LA STORIA DEL MUSEO La storia del Museo risale agli ultimi decenni dell’800, quando, a seguito dei complessi rapporti intercorsi fra il Ministero dell’Istruzione Pubblica e l’amministrazione municipale di Taranto, fu individuato come sede dell’Ufficio scavi il Convento degli Alcantarini o di San Pasquale, costruito intorno alla metà del XVIII secolo. Tale sede era stata preferita al Convento di Sant’Antonio anche per la sua posizione favorevole nel nuovo quartiere di Borgo. Il repentino estendersi delle abitazioni a oriente dell’istmo naturale in cui nel 1883 era stato ricavato il Canale Navigabile, se da un lato consentì di riportare in luce i resti della città antica, confermando l’importanza archeologica di Taranto, sancì contestualmente la distruzione dei resti stessi, prevedendo l’impianto di isolati regolari e il livellamento di oltre tre metri delle differenti altimetrie antiche. Con Regio Decreto del 3 aprile del 1887 fu istituito, quindi, nel periodo in cui le ricerche erano condotte a Taranto dall’archeologo Luigi Viola, un Museo Nazionale, destinato ad accogliere, come previsto dall’articolo 2 “Tutti gli oggetti di interesse storico ed archeologico, tornati … in luce … per lavori e scavi fatti direttamente dallo Stato, o ad opera delle autorità locali …”. Soltanto agli inizi del Novecento la struttura si trasformò da semplice deposito in vero e proprio museo, sotto la colta ed efficiente guida di Quintino Quagliati. A partire dal 1903, infatti, l’edificio, già sottoposto nel tempo a radicali modifiche ed integrazioni, venne ingrandito e risistemato in fasi diverse: soltanto la facciata in stile neoclassico, realizzata nello stesso periodo e attribuita a Guglielmo Calderini, è rimasta pressoché invariata fino ai nostri giorni. Fra il 1935 e il 1941 fu costruita una nuova ala su progetto di Carlo Ceschi, utilizzando gli spazi a giardino a nord dell’ala Alcantarini. Durante la guerra si rese però necessario il trasferimento dei materiali archeologici in luoghi più sicuri: le sale vuote del museo, infatti, furono requisite dalle truppe alleate qualche giorno dopo l’armistizio del 1943. Soltanto nel 1949 Ciro Drago riavviò i lavori di ripristino dell’edificio, fortemente compromesso dagli eventi bellici, provvedendo anche ad un rinnovamento dell’esposizione, riaperta al pubblico nel 1952. Il Presidente della Repubblica Antonio Segni inaugurò nel 1963 il nuovo allestimento generale delle collezioni curato da Nevio Degrassi, che aveva privilegiato nell’elaborazione del percorso di visita una presentazione per classi di materiali. La realizzazione della sezione preistorica allestita nella sopraelevazione al secondo piano fu affidata a Felice Gino Lo Porto, mentre la sezione topografica al piano rialzato rimase fruibile solo poco tempo, in quanto le sale espositive vennero progressivamente utilizzate per la conservazione dei materiali provenienti dalle nuove indagini sul territorio, a causa della carenza di spazi all’interno dell’edificio che ospitava anche gli uffici della Soprintendenza. Intorno agli anni ’90 del secolo scorso, l’esigenza di ristrutturazione dell’edificio e di rinnovamento dell’esposizione, rimasta praticamente invariata per decenni, portò ad avviare impegnative revisioni e attività di riordino dei depositi, campagne di inventariazione, catalogazione e documentazione dei reperti, nella prospettiva del riallestimento delle collezioni. Tali interventi consentivano contestualmente di integrare l’esposizione, ricostituendo i contesti smembrati nelle varie sezioni, e di programmare il restauro di importanti elementi scultorei di epoche e contesti diversi conservati nei magazzini e mai esposti, come le statue in marmo del ciclo giulio-claudio o gli elementi architettonici e i rilievi in pietra tenera sia della necropoli tarantina, sia del territorio apulo. Nello stesso periodo, con il Soprintendente Pietro Giovanni Guzzo, si riaprì al pubblico la sezione preistorica regionale, alla presenza del Presidente della Repubblica Cossiga. Progressivamente, fra il 1998 e il 1999, infine, fu ridotto il percorso fruibile per l’avvio dei nuovi lavori di ristrutturazione, fino alla chiusura totale del museo nel gennaio del 2000. Per non privare completamente la città di uno dei maggiori poli di attrazione culturale, nel mese di aprile dello stesso anno fu realizzato nel settecentesco Palazzo Pantaleo, nel centro storico di Taranto, un percorso espositivo che, utilizzando contesti rilevanti delle collezioni museali, consentiva di seguire le principali manifestazioni culturali della preistoria e protostoria regionale e della cultura funeraria e religiosa della Taranto di età greca e romana. Il 20 dicembre del 2007 venne finalmente riaperto al pubblico, alla presenza del Ministro Rutelli, un settore limitato del nuovo percorso espositivo. Nel 2013 fu completato l’allestimento di tutto il primo Piano e venne aperto al pubblico il settore del Museo dedicato alla città romana, a partire dalla conquista di Quinto Fabio Massimo, sottolineando gli aspetti di continuità rispetto alla tradizione greca e le innovazioni apportate dai contatti e dalla presenza nel territorio tarantino delle genti italiche nelle manifestazioni della vita quotidiana, dell’economia, delle attività produttive, dell’ambito funerario. Le ultime due sale furono riservate all’illustrazione dei principali aspetti, acquisiti in scavi recenti, della vita della città fra tardoantico ed altomedioevo. Con l’inaugurazione odierna viene infine restituito al pubblico tutto il percorso espositivo del secondo piano: partendo dal popolamento del territorio tarantino nel Neolitico, il nuovo allestimento ripercorre la storia della città fino alla fine del IV secolo a.C. ricollegandosi all’esposizione del primo piano, in un excursus cronologico di oltre 8000 anni. IL NUOVO ALLESTIMENTO. PROGETTO SCIENTIFICO Le tematiche prescelte per il nuovo allestimento, incentrate principalmente su Taranto sono scaturite innanzitutto da un'ipotesi di risistemazione generale della rete museale dell’intera regione (che purtroppo non ha trovato ancora piena attuazione) e dalla previsione della redistribuzione in percorsi espositivi alternativi, sia in ambito urbano che su scala territoriale più ampia, dei materiali confluiti nei depositi di Soprintendenza soprattutto negli ultimi decenni. Le modalità di acquisizione dei materiali, confluiti nel museo prevalentemente a seguito di scavi e, quindi, la possibilità di riferire al contesto urbano di provenienza la maggior parte dei reperti hanno consentito di sviluppare il progetto espositivo su Taranto, stabilendo un rapporto stretto fra il museo, la città e il territorio, a partire dall’età neolitica e dalle prime forme del popolamento nell’arco jonico. Ampio spazio è stato riservato alle fasi riconducibili alla polis greca, prese in esame senza tralasciare le problematiche dei rapporti dinamici fra centro coloniale e mondo indigeno. Nella presentazione della fasi riconducibili all’età romana, invece, sono state evidenziate le diverse forme di organizzazione politico-amministrativa, le trasformazioni di carattere sociale ed economico seguite alla conquista della città da parte di Roma. Il limite cronologico più recente è stato rialzato fino all’età bizantina, in considerazione dei risultati delle indagini di archeologia urbana condotte negli ultimi decenni nella Città Vecchia e tenendo altresì conto di un nucleo consistente di reperti “storici” conservati nel Museo. Il percorso espositivo si sviluppa dal II piano, dove nella sala I sono stati collocati alcuni reperti “simbolo” delle collezioni: la giara micenea da Scoglio del Tonno, la kore in marmo di Montegranaro, la statua bronzea dello Zeus stilita di Ugento e la copia, su rilievo a laser scanner, della Dea in trono conservata all’Altes Museum di Berlino, realizzata su concessione dei Musei Statali di Berlino e con finanziamento dell’Autorità Portuale di Taranto. Il progetto dell’impianto espositivo (sale II-XXV) si sviluppa privilegiando l’aspetto cronologico: periodo preistorico e protostorico, periodo greco, periodo romano, periodo tardoantico e altomedievale fino alla fase bizantina e prevede anche una sezione sul Museo e la sua storia. Il percorso si articola su livelli complementari, di complessità variabile, in grado di soddisfare esigenze diverse e gradi di lettura differenziati. Il livello più semplice, destinato all’inquadramento di carattere generale, si lega allo scorrere del tempo e ai mutamenti percepibili nella cultura materiale, ma che riflettono cambiamenti di carattere politico, sociale, economico, culturale. Un secondo livello, più complesso, a carattere tematico (città, organizzazione del territorio, economia e produzione, manifestazioni del culto, cultura funeraria, rapporti fra genti di cultura diversa) è distribuito sul piano areale e ripetuto all’interno delle ampie fasce cronologiche individuate. È stato previsto infine un terzo livello di approfondimento, presente nel percorso in maniera discontinua e puntiforme, con trattazioni specifiche che variano a seconda delle fasce cronologiche. Soffermandoci soltanto sugli spazi oggi riaperti, gli approfondimenti a tema hanno consentito di recuperare e offrire alla fruizione reperti particolarmente pregevoli sia a livello estetico che per la ricchezza di contenuti ad essi intrinseci, come, nella Sezione Preistorica e Protostorica, le famose Veneri di Parabita e i materiali di importazione egea del sito di Scoglio del Tonno. Dopo la fondazione di Taras da parte dei coloni spartani, gli stretti rapporti con la madrepatria sono riscontrabili nell’importazione di ceramica laconica presente nei doni votivi dei santuari e nei corredi funerari, come le famose “coppe dei pesci”, in associazione con importazioni di ceramiche figurate corinzie, attiche, insulari. Nella sezione dedicata ai dinamici rapporti con il mondo indigeno, è possibile ammirare i ricchi corredi con ambre, oreficerie, armature e ceramiche figurate con cui le aristocrazie locali esprimevano e sottolineavano il loro ruolo sociale, rielaborando modelli di cultura greca. A questi rapporti tra Taranto e la Messapia, il territorio indigeno della parte meridionale della Puglia, si deve la splendida statua bronzea di Zeus stilita saettante, attribuibile ad artigianato tarantino del VI secolo a.C., che accoglie i visitatori nella I Sala. Con gli spazi destinati al mondo dei defunti e ai complessi rituali di seppellimento tra la fine dell’VIII secolo e i decenni finali del IV secolo a.C. si chiude il nuovo percorso espositivo, con le famose sepolture monumentali dell’aristocrazia tarantina di età tardoarcaica: il sarcofago dell’Atleta con le anfore ricevute in dono nelle gare che si disputavano in Attica in onore di Atena e la ricostruzione della tomba a camera “degli atleti” con il ricco corredo legato al consumo del vino e alla pratica del simposio. Ma le ceramiche figurate di importazione o di produzione italiota sono una fonte documentaria senza paragoni sul mito, la ritualità religiosa, gli dei, gli eroi, il mondo dell’oikos, sfruttando la maniera dei Greci di comunicare per immagini; ma è possibile soffermarsi anche sui giochi dei bambini, sui riti di passaggio, sui legami con il teatro e con l’ambito dionisiaco, sulla musica, sulle manifestazioni cultuali nelle aree di necropoli. Con la conclusione dell’allestimento del II Piano, si chiude il percorso di visita finora limitato al I Piano, dove prosegue la presentazione della necropoli di età ellenistica con i famosi “ori” di Taranto, prodotti di un artigianato artistico locale che non trova eguali e che indirizza ancora nel III secolo avanzato i suoi prodotti verso il mondo apulo. Un esempio eccellente in tal senso sono le oreficerie della “Tomba degli ori” di Canosa. Altrettanto fiorente e di altissimo livello qualitativo è la lavorazione della pietra destinata in larga parte all’ambito funerario, con una rielaborazione colta delle tematiche culturali greche. Dalla Sala XIII prende avvio l’esposizione dedicata alla città romana, dal momento della conquista del 209 a.C. La cultura materiale si discosta progressivamente dalla tradizione precedente e si adegua all’uso di nuovi prodotti non più strettamente legati alle officine artigianali locali, ma alle diverse forme di produzione e alla diversa organizzazione economica di età romana. Dalle domus di età imperiale provengono i bellissimi mosaici policromi in esposizione, mentre dalla necropoli di Tarentum provengono le numerose sepolture ad incinerazione in olle fittili, ma soprattutto in vetro. Il successivo ed ultimo settore espositivo accoglie le testimonianze riferibili alla città dal tardoantico al periodo bizantino, con pavimenti musivi e altri documenti relativi alla presenza a Taranto di Cristiani, Ebrei e Musulmani. Per quanto attiene alla comunicazione, i reperti e i contesti in esposizione sono accompagnati da un apparato didascalico ed illustrativo, predisposto in italiano ed inglese, che consente anch’esso approfondimenti diversi. Le didascalie forniscono informazioni essenziali sui singoli oggetti e sul contesto di rinvenimento, mentre i pannelli distribuiti nelle sale ampliano le informazioni sulle tematiche trattate. Infine, una serie di postazioni multimediali sono distribuite lungo il percorso e i monitor touch-screen consentono quindi ai visitatori di consultare ipertesti con notizie più specifiche, di carattere storico, mitologico, iconografico, topografico, tecnico, con la possibilità di consultare anche vocabolari terminologici. GLI ORI Il MArTA è famoso per le bellissime oreficerie contenute nelle tombe di età ellenistica. Tra il IV e il II secolo a.C., a Taranto sono infatti attive botteghe di orafi che realizzano gioielli di particolare pregio qualitativo, distintivi soprattutto del mondo femminile. La creatività degli artigiani interpreta in maniera originale e con tecnica esperta i motivi ornamentali tratti dalla produzione greca in metallo prezioso. Spiccano in particolare la predilezione per la decorazione naturalistica e per gli effetti di colore realizzati attraverso l’uso degli smalti, nell’ambito di un repertorio di forme caratteristico della produzione locale. Un notevole salto qualitativo si registra nell’artigianato orafo tarantino della seconda metà del IV secolo a.C., periodo nel quale una elevata quantità di oro e di argento è riversata sui mercati mediterranei dall’impresa orientale di Alessandro Magno. Si creano nuovi monili, reinterpretando in maniera originale tipologie già in uso, e si sperimentano tecniche innovative soprattutto nella creazione delle maglie delle collane o nelle varietà di anelli ed orecchini. Tra questi acquista nuovo risalto il tipo a navicella, sul quale si sviluppa una decorazione di particolare effetto, apprezzabile soprattutto in un esemplare di notevoli dimensioni, riccamente ornato e certamente eseguito per una committenza specifica. Questa ed altre creazioni che si differenziano per la superiore qualità di esecuzione testimoniano l’importanza attribuita al corredo funerario come occasione di rappresentatività sociale. Le tecniche principali erano la filigrana e la godronatura: sulla superficie del monile spesso venivano aggiunti elementi decorativi realizzati con fili. Inoltre, dalla tecnica dei fili venivano ricavate le catene. Le tipologie erano varie: orecchini, collane, diademi e corone, anelli e bracciali. All’interno della necropoli urbana le deposizioni con gioielli sono numerose, ma in genere non vi è un’eccessiva presenza di preziosi. Tuttavia la raffinatezza degli usi nella Taranto ellenistica è tale che sovente si trovano fili d’oro che facevano parte delle stoffe usate per gli abiti e i veli funebri, o addirittura sandali in lamina aurea. Nel territorio della regione, invece, le civiltà italiche influenzate dalla cultura greca esprimono con maggiore opulenza la propria ricchezza ostentando una grande quantità di gioielli nel rituale funerario. È il caso delle due tombe degli Ori visibili nella sala XII, quella di San Paolo di Civitate, l’antica Teanum Apulum (FG), e di Canosa (BT) dove l’esibizione di oreficerie ancora oggi stupefacenti sottolinea il rango egemone della famiglia di appartenenza del defunto.