Costituzionalizzazione del pareggio di bilancio ed evoluzione della

Costituzionalizzazione del pareggio di bilancio
ed evoluzione della forma di governo italiana
Raffaele Perna
SOMMARIO: 1. La riforma dell’articolo 81 fra emergenza finanziaria e fondamenta
della democrazia. – 2. Un paradosso: un ritorno al passato? – 3. Decisione di
bilancio ed evoluzione degli equilibri politico-istituzionali. – 4. Il pareggio di
bilancio fra Governo e Parlamento.
1.
La riforma dell’articolo 81 fra emergenza finanziaria e fondamenta della democrazia.
La legge costituzionale n. 1 del 20 aprile 2012 ha avuto una
sorte curiosa. Pur rappresentando probabilmente la più importante
innovazione apportata alla nostra Carta fondamentale in questi oltre
sessant’anni di vigenza, la riforma dell’articolo 81 della Costituzione
non è stata accompagnata da un’adeguata analisi in sede scientifica e
soprattutto da un adeguato approfondimento nel dibattito pubblico1. Una situazione anomala se confrontata con quanto accaduto
ad esempio negli ultimi vent’anni sul tema della riforma della forma
di governo, o anche con le discussioni che hanno accompagnato,
prima e dopo la riforma del titolo V, il tema del federalismo.
La ragione di questa anomalia risiede evidentemente nelle particolari condizioni che hanno condotto all’approvazione della riforma
della Costituzione. L’emergenza economica e finanziaria che si è diffusa in tutti i Paesi occidentali a partire dal 2008, a partire da un
certo momento, ha concentrato la sua attenzione sul profilo della so1 Per
un primo commento alla legge costituzionale n. 1 del 2012, cfr. A. BRANCASI,
L’introduzione del principio del c.d. pareggio di bilancio: un esempio di revisione affrettata
della Costituitone, in www.forumcostituzionale.it, gennaio 2012; R. DICKMANN, Le regole
della governance economica europea e il pareggio di bilancio in Costituzione, in www.federalismi.it, 4/2012; D. CABRAS, Su alcuni rilievi critici al c.d. ‘pareggio di bilancio’, in
www.associazionedeicostituzionalisti.it, 2/2012; V.F. BILANCIA, Note critiche sul c.d. pareggio di bilancio, in www.associazionedeicostituzionalisti.it, 2/2012.
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stenibilità delle finanze pubbliche, con particolare riferimento ad alcuni Paesi che presentano una particolare esposizione in termini di
disavanzo e di debito pubblico.
Ed in questo quadro gli organi dell’Unione europea e i singoli
Paesi Euro hanno adottato o stanno per adottare importanti riforme
dirette ad introdurre forti vincoli alla discrezionalità di bilancio, con
l’obiettivo di rassicurare i mercati finanziari sulla sostenibilità nel
medio e lungo periodo delle proprie finanze pubbliche. La riforma
della nostra Costituzione fiscale è cioè apparsa un atto non solo urgente ma anche vincolato.
Ma, sebbene sia evidente il nesso tra le recenti turbolenze dei
mercati finanziari, le indicazioni provenienti dall’Unione Europea e
la costituzionalizzazione del principio dell’equilibrio del bilancio
pubblico, non è comunque corretto esaurire il tema all’interno in
questo orizzonte. La legge costituzionale n. 1 del 2012 non può cioè
essere derubricata a mero adempimento di una prescrizione comunitaria, adottata in una fase di grave crisi finanziaria, nell’ambito di
quel processo di convergenza delle finanze pubbliche che ha accompagnato l’adozione di una valuta comune.
E ciò non sarebbe corretto né dal punto di vista formale, né –
soprattutto – dal punto di vista sostanziale. Dal punto di vista formale è appena il caso di notare come le indicazioni europee sulla sostenibilità delle finanze pubbliche, per quanto rigorose, lascino comunque alcuni margini di discrezionalità agli Stati membri. Il Patto
Euro Plus marzo 2011, si limita a chiedere che vengano recepite negli ordinamenti nazionali le regole di bilancio dell’UE fissate nel
Patto di stabilità e crescita, lasciando agli Stati la facoltà di scegliere
lo specifico strumento giuridico nazionale (a condizione che sia vincolante, sostenibile e sufficientemente forte) e l’esatta forma della regola (a condizione che garantisca la disciplina di bilancio a livello sia
nazionale che subnazionale)2. E, lo stesso trattato sulla governance
nell’UEM (il fiscal compact), ratificato dall’Italia con la legge n. 116
2 C. GORETTI e L. RIZZUTO, La costituzionalizzazione del pareggio di bilancio. Prime
riflessioni, in Short notes series, 2/2011, in www.econpubblica.unibocconi.it.; F. CORONIDI,
La costituzionalizzazione dei vincoli di bilancio prima e dopo il patto Europlus, in www.federalismi.it, 5/2012. Per un quadro delle indicazioni europee in materia e delle iniziative
adottate nei principali paesi europei cfr. A. PIROZZOLI, Il vincolo costituzionale del pareggio di bilancio, in www.associazionedeicostituzionalisti.it, 4/2011.
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del 2012, all’articolo 3, comma 2, prevede che le regole concordate
in sede europea vengano recepite dagli Stati attraverso disposizioni
vincolanti e di natura permanente, preferibilmente costituzionale.
Ma naturalmente non è questa la ragione più importante. La ragione vera è che la costituzionalizzazione del principio del pareggio
del bilancio non può in ogni caso essere ridotta a questione di natura
meramente contabile-finanziaria. A strumento di rassicurazione dei
mercati. Il tema coinvolge la concezione stessa della democrazia, perché investe uno dei pilastri dell’intero edificio istituzionale. Attraverso la Costituzione fiscale, infatti, vengono fissate le regole fondamentali entro le quali si svilupperanno le successive attività degli apparati pubblici. In altre parole, con la Costituzione fiscale si
definiscono compiutamente le relazioni fra libertà ed autorità, fra diritti individuali, diritti sociali e doveri fiscali che rappresentano il
cuore dei sistemi politici.
E la Costituzione fiscale, nel disciplinare tale relazione, esercita
anche la fondamentale funzione di definizione dei confini e di regolazione dei rapporti tra gli attori istituzionali, ed in particolare fra il
Parlamento ed il Governo. La stessa origine del parlamentarismo, e
quindi delle moderne democrazie costituzionali, è intimamente legata all’emersione di forme di controllo sull’esercizio da parte del
Sovrano dei poteri di spesa e delle connesse potestà impositive. Sul
punto basti pensare alle riflessioni di Walter Bagehot a proposito
della «funzione finanziaria» del Parlamento o al famoso slogan dei
coloni nord-americani «No taxation, without representation»3.
Da questo punto di vista, l’introduzione di un vincolo costituzionale al saldo del bilancio pubblico può essere reinterpretata come
l’ultima tappa del processo di evoluzione della forma di governo del
nostro Paese. Un processo lungo e faticoso nel quale le previsioni costituzionali in materia di decisioni di finanza pubblica, e la relativa
disciplina legislativa ordinaria e dei regolamenti parlamentari, hanno
storicamente svolto un ruolo decisivo. Il nuovo articolo 81 della Costituzione rappresenta cioè l’ultimo capitolo di quella «autobiografia
3 Cfr. W. BAGEHOT, The English Constitution, Londra, 1867 (trad. it. La Costituzione inglese, Il mulino, Bologna, 1995); G. RIVOSECCHI, Forma di governo e funzione finanziaria del Parlamento: da Walter Bagehot alle moderne procedure di bilancio, in G. DI
GASPARE (a cura di), Walter Bagehot e la Costituzione inglese, Giuffrè, Milano, 2001,
123 ss.
22
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del nostro sistema politico» che per dirla con Paolo De Ioanna può
essere rintracciata «nella traiettoria delle nostre istituzioni di bilancio»4.
Del resto, se appare indubitabile che la concreta configurazione
di un sistema istituzionale abbia profonde implicazioni sulle modalità di adozione e sul contenuto delle decisioni di finanza pubblica,
occorre anche considerare come la specifica disciplina delle procedure di bilancio eserciti una fortissima influenza sulla stessa forma di
governo del sistema5. Siamo cioè di fronte ad un processo di carattere circolare nell’ambito del quale gli elementi evolutivi della forma
di governo e delle procedure di bilancio, immaginati come due pendoli, attivano processi di reciproca evoluzione. L’intero percorso che
ha condotto dall’articolo 81 alla legge n. 468 del 1978 e all’ingresso
nell’Unione monetaria europea testimonia come i successivi affinamenti della disciplina legislativa e regolamentare hanno non solo
consentito una progressiva razionalizzazione della decisione di bilancio, ma altresì determinato una profonda evoluzione della nostra
forma di governo.
Allo stesso modo, i ritardi, le incertezze, le occasioni mancate di
uno dei due ambiti hanno determinato lentezze e incoerenze nello
sviluppo dell’altro. Del resto, proprio in considerazione della natura
circolare del rapporto, si può ritenere che, durante quindicennio
1994-2009, il mancato adeguamento delle procedure di bilancio al
mutato contesto istituzionale abbia contribuito in modo assai significativo nel determinare quel carattere di forte incompiutezza che contraddistingue la transizione italiana verso un modello di democrazia
maggioritaria6. Rimane semmai da valutare in che modo la nuova disciplina costituzionale in materia di bilancio pubblico influenzerà il
processo in atto di evoluzione della forma di governo.
4 P. DE IOANNA, Parlamento e procedure di bilancio, in F. BASSANINI e A. MANZELLA
(a cura di), Per far funzionare il Parlamento, Il mulino, Bologna, 2007, 106.
5 Per un’interessante lettura «incrociata» tra fenomeni di finanza pubblica ed l’evoluzione degli equilibri politico-istituzionali, cfr. A. LOMBARDO, Le cause politiche e istituzionale dell’incremento incontrollato del deficit e del debito pubblico, in M. D’ANTONIO
(a cura di), La Costituzione economica, Il Sole 24 Ore, Milano, 1985, 323 ss.
6 Per una ricostruzione più puntuale del legame fra evoluzione della forma di governo e disciplina contabilistica, si rinvia a R. PERNA, La costituzione fiscale e l’evoluzione
della forma di governo italiana, in Percorsi costituzionali, 2/2009.
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2.
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Un paradosso: un ritorno al passato?
Da altro punto di vista ci troviamo di fronte ad un paradosso: il
nuovo articolo 81 se da un lato si configura come il massimo dell’innovazione istituzionale rispetto alla storia della nostra costituzione fiscale, dall’altro rappresenta il massimo della continuità costituzionale. Da un punto di vista puramente testuale, infatti, il nuovo articolo non è né più né meno che un ritorno al passato. Rappresenta
quasi un tentativo di restaurare il significato originario della disposizione costituzionale.
Sono note le vicende che portarono alla formulazione dell’articolo 81. Il quale, nelle intenzioni di chi lo propose in sede di Assemblea costituzionale, doveva appunto garantire la «tendenza al pareggio di bilancio». E del resto, dal punta di vista strettamente testuale,
il combinato disposto fra il terzo ed il quarto comma dell’articolo 81
riduce al minimo gli spazi per la creazione intenzionale di deficit di
bilancio in funzione anticongiunturale (secondo i paradigmi della finanza pubblica discrezionale), e sembra recepire un modello assai rigoroso di finanza pubblica neutrale. Si tratta di un obiettivo per
molti versi sovrapponibile a quello dell’equilibrio di bilancio recepito nell’attuale versione dell’articolo 817.
Il modello einaudiano, tradotto nel quarto comma dell’articolo
81, rappresenta una soluzione assolutamente originale nel panorama
costituzionale. Una soluzione che affida l’obiettivo dell’equilibrio del
bilancio al vincolo del pareggio della decisione incrementale di
spesa. Dal punto di vista teorico la proposta einaudiana si ricollega
alle riflessioni dell’economista svedese Knut Wicksell, il quale, nell’ambito delle riflessioni sul principio della «spontaneità e quasi-unanimità nell’approvazione delle imposte», proponeva che «una spesa
non venga mai votata prima di aver contemporaneamente deciso in-
7 Nonostante
le numerose e articolate interpretazioni della norma che si sono succedute durante gli oltre sessant’anni di applicazione, non vi possono essere dubbi sul
fatto che l’obiettivo della disposizione nella mente di chi la propose, senza che durante
i lavori della Costituente fossero avanzati dubbi o obiezioni in proposito, fosse quello di
sancire l’obbligo «per governi e parlamenti di fare ogni sforzo verso il pareggio di bilancio». Per un’interpretazione autentica del pensiero einaudiano, cfr. L. EINAUDI, Sulla
interpretazione dell’art. 81 della Costituzione, in Lo scrittoio del Presidente, Einaudi, Torino, 1956, 201 ss.
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torno ai mezzi atti a coprirla»8. Ma obiettivo dell’elaborazione wickselliana non era certo garantire il tendenziale pareggio del bilancio
pubblico (all’epoca scontato), quanto piuttosto a porre un freno a
quei fenomeni di dilatazione della spesa pubblica, connessi con il deficit di razionalità delle decisioni collettive. Se ogni aumento di spesa
deve essere necessariamente accompagnato da un corrispondente aumento di entrata o diminuzione di un’altra spesa, il conflitto di interessi implicito in ogni decisione di spesa pubblica diventa inevitabilmente palese e ciò conduce in qualche modo ad un aumento della
razionalità della decisione. In questo senso, il principio della copertura delle decisioni incrementali di spesa può rappresentare un efficace meccanismo per fronteggiare quel fenomeno di «illusione finanziaria» che un economista della scuola italiana di finanza pubblica di
fine ottocento, Amilcare Puviani, aveva individuato come la principale causa dell’espansione della spesa pubblica ad un livello superiore a quello da ritenersi preferibile sulla base delle preferenze dei
contribuenti. In particolare, le asimmetrie nella percezione di benefici palesi e costi occulti ed in quella di benefici immediati e costi futuri vengono fortemente ridotte se ad ogni decisione di spesa si deve
accompagnare una decisione di entrata o di riduzione di spesa9.
Ma per comprenderne appieno il significato dell’originale soluzione einaudiana, occorre collocarla nella temperie politico-culturale
dell’Assemblea Costituente. Una temperie caratterizzata da una diffusa ostilità verso meccanismi di rafforzamento del ruolo del governo
negli equilibri istituzionali in generale e nell’ambito del procedimento legislativo in particolare. Un’ostilità evidentemente derivante
dalla memoria ancora fresca del regime autoritario del quale il Paese
era riuscito a liberarsi, ma connessa anche alla profonda diffidenza
reciproca che caratterizzava i rapporti fra i due schieramenti principali che contribuirono alla redazione della Carta fondamentale10.
Un clima di diffidenza che determinò il carattere «armistiziale»
8 Cfr.
K. WICKSELL, Saggi di finanza teorica, UTET, Torino, 1934, 97.
A. PUVIANI, Teoria della illusione finanziaria, Sandron, Palermo, 1903 (rist.,
Istituto Editoriale Internazionale, Varese, 1973, a cura di F. Volpi).
10 Sul punto si veda la precisa ricostruzione di Pietro Scoppola, il quale parla significativamente di «appartenenze separate». Cfr. P. SCOPPOLA, La repubblica dei partiti,
Il mulino, Bologna, 1991, 138 ss.
9 Cfr.
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della Costituzione italiana11. Un carattere che derivava non dal conflitto fra chi aveva vinto e chi aveva perso la guerra che portò alla nascita della Repubblica, quanto dal conflitto interno all’alleanza di
forze politiche, sociali e militari risultate vincitrici. E non si trattava
del fisiologico conflitto fra soggetti portatori di posizioni politiche
diverse, ma uniti da una comune visione del mondo. Il conflitto
aveva natura «esistenziale», perché relativo ai principi fondamentali
del vivere comune e perché ciascuno temeva che dal successo dell’altro potessero derivare pericoli per la propria stessa sopravvivenza.
Non deve quindi stupire il fatto che non venne preso adeguatamente in considerazione il tema della limitazione del potere di iniziativa parlamentare in leggi di spesa sollevato da Luigi Einaudi,
nella convinzione che un indiscriminato riconoscimento del potere
di spesa anche al Parlamento avrebbe finito per pregiudicare l’equilibrio dei conti pubblici. Ma, riconoscere al Governo un potere di
veto sulle iniziative legislative di spesa (come accade nelle principali
democrazie europee) avrebbe conferito all’Esecutivo una posizione
di sovraordinazione nello sviluppo della dialettica istituzionale. Piuttosto in Costituzione venne sancito il principio di assoluta equiordinazione fra le iniziative legislative parlamentari e governative12.
E proprio per queste ragioni, in sede di sottocommissione fu
senz’altro preferita la soluzione, avanzata da Einaudi come second
best, di affidare al meccanismo della copertura finanziaria, in assenza
del riconoscimento di incisivi poteri in capo al Governo, di garantire
comunque una politica di bilancio equilibrata13.
11 Sul punto si rinvia a R. PERNA, La Costituzione economica e da riformare?, Fondazione Magna Carta, Roma, 2010.
12 Per comprendere appieno il clima di diffidenza verso il Governo diffuso durante i lavori della Costituente, può essere utile ricordare come Massimo Severo Giannini, allora Capo di Gabinetto di Pietro Nenni, Ministro per la Costituente, in audizione
presso la c.d. Commissione Forti, in una visione formalistica, quasi meccanicistica, del
principio di separazione fra potere legislativo e potere esecutivo teorizzato da Locke e
Montesquieu in un contesto storico istituzionale affatto diverso, arrivò addirittura a proporre che al Governo non venisse neppure attribuito il potere di iniziativa legislativa in
capo al Governo. Sull’episodio cfr. F. COCOZZA, Il Governo nel procedimento legislativo,
Giuffrè, Milano, 1989.
13 Per una puntuale ricostruzione dei lavori dell’Assemblea costituente sul punto,
cfr. L. GIANNITI, Il pareggio di bilancio nei lavori della Costituente, 2011, in www.astridonline.it.
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Naturalmente la storia si è incaricata di dimostrare come la costruzione einaudiana fosse in realtà inadatta per governare lo sviluppo
del sistema di finanza pubblica di una democrazia contemporanea
complessa e come l’argine predisposto dal quarto comma dell’articolo
81 sia stato incapace di prevenire a formazione di crescenti disavanzi
annuali di bilancio e l’accumulo di un ingente debito pubblico.
Diverse sono le ragioni che determinarono tale fallimento14. Alcune di natura squisitamente tecnica. Affidare l’obiettivo del tendenziale pareggio del bilancio al combinato «natura formale della legge
di bilancio - obbligo di copertura delle leggi sostanziali di spesa»
poteva forse risultare efficace in un diverso contesto storico, caratterizzato da un basso livello di spesa pubblica e soprattutto da un modello ottocentesco di legislazione di spesa (con interventi di ammontare contenuto, verso destinatari determinati e con orizzonti temporali limitati). Con l’affermazione nel secondo dopoguerra dello stato
pluriclasse e della democrazia di integrazione di massa cambia
profondamente il modello stesso della spesa pubblica. Nella realtà
odierna, la legislazione di spesa, per la sua parte quantitativamente
più consistente, prevede il riconoscimento di diritti soggettivi universali, ovvero il riconoscimento permanente da parte delle amministrazioni pubbliche di utilità di contenuto economico a tempo indeterminato ed in favore di grandi settori della cittadinanza. Un modello che ben presto si dimostra assai refrattario ad essere governato,
dal punto di vista finanziario, con la semplice regola del pareggio
delle decisioni incrementali di spesa. Al di là dei casi di violazione o
aggiramento del vincolo costituzionale della copertura finanziaria
delle nuove leggi di spesa, la causa più potente della crescita incontrollata del disavanzo pubblico in questi decenni è stato l’andamento
dei grandi settori della legislazione vigente di spesa (basti pensare
alla legislazione previdenziale, assistenziale o sanitaria) rispetto al
quale il vincolo del quarto comma dell’articolo 81 è del tutto impotente. E la debolezza della costruzione costituzionale era resa più
drammatica dal carattere arcaico della strumentazione contabile all’epoca a disposizione. Una strumentazione caratterizzata dalla totale
mancanza di strumenti di previsione pluriennale, dalla considera14 Per
una rigorosa analisi del processo di interpretazione ed attuazione dell’articolo 81 della Costituzione cfr. N. LUPO, Costituzione e bilancio (l’art. 81 della Costituitone tra interpretazione, attuazione e aggiramento), LUISS University Press, Roma, 2007.
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zione del solo bilancio dello Stato, dal fatto che lo steso bilancio
dello Stato non esisteva in quanto tale, ma era – né più né meno –
che la sommatoria dei bilanci dei singoli ministeri.
3.
Decisione di bilancio ed evoluzione degli equilibri politico-istituzionali.
Ma per comprendere appieno le ragioni del fallimento del
quarto comma dell’articolo 81 non è sufficiente rimandare alle sole
debolezze tecniche del meccanismo della copertura finanziaria. Le
vere cause del fallimento vanno infatti rintracciate nelle dinamiche
politiche ed istituzionali del sistema, dinamiche che ne hanno determinato il concreto funzionamento. Ed è proprio l’analisi di tali dinamiche che consente di rintracciare lo stretto legame fra disciplina
della decisione di bilancio ed evoluzione della forma di governo. Un
legame che varia in modo assai marcato in relazione al variare degli
equilibri istituzionali nelle diverse fasi storiche che si sono succedute
nel corso dei decenni.
Potrebbe ad esempio apparire sorprendente il fatto che il meccanismo costituzionale della copertura finanziaria delle leggi di spesa
abbia funzionato in modo abbastanza soddisfacente nella prima fase
di attuazione, durante la quale riesce a garantire la tenuta dei saldi di
bilancio. Certo anche in questo periodo iniziale si registrano le prime
crepe nell’edificio immaginato da Einaudi. Basti pensare alla prassi
di iscrivere a bilancio i fondi speciali per la copertura delle leggi di
spesa che rappresenta la prima clamorosa smentita del modello basato sulla coppia obbligo di copertura-natura formale della legge di
bilancio. Ma, in questa fase, grazie alla presenza di solidi equilibri
politici, con una maggioranza parlamentare compatta e con un governo che esercita la funzione «comitato direttivo della maggioranza» (secondo la formula di Leopoldo Elia)15, il deficit viene tenuto sotto controllo e si realizza un importante processo di rientro
del debito pubblico, gravato dalla pesante eredità bellica.
Ma già a partire dalla prima metà degli anni sessanta l’argine
predisposto in Costituzione si sgretola. Diversi i fattori che determi15 Cfr.
L. ELIA, Governo (forme di), in Enc. dir., vol. XIX, Giuffrè, Milano, 1970,
657, il quale osserva come nel periodo degasperiano abbia avuto un governo parlamentare di tipo inglese.
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narono tale esito. Vi fu in primo luogo la dinamica generale che investì tutte le democrazie europee nei decenni successivi al secondo
dopoguerra, quando vennero ribaltati i tradizionali canoni della finanza pubblica neutrale. Ribaltamento che, dopo una lunga elaborazione in sede scientifica ed istituzionale, trovò una traduzione formale nella nota sentenza della Corte costituzionale n. 1 del 196616, la
quale pur ribadendo il valore del vincolo di cui al quarto comma per
l’esercizio in corso, sancì la legittimità del ricorso all’indebitamento
come forma di copertura finanziaria degli oneri finanziari gravanti
sugli esercizi futuri. Ma il fattore decisivo del cambiamento furono i
nuovi equilibri politico-istituzionali del Paese. A partire dalla metà
degli anni ’50, la maggioranza parlamentare si allarga e il partito di
maggioranza relativa perde quella compattezza e quella coesione che
lo aveva caratterizzato nella prima fase della Repubblica. In questo
periodo il Governo è sempre meno in grado di esercitare quella funzione di guida dei processi istituzionali e da «comitato direttivo della
maggioranza» che era, diventa progressivamente il «comitato esecutivo del Parlamento». Tale processo si evidenzia in modo particolare
nell’ambito delle decisioni di finanza pubblica, sempre meno guidate
dal Governo, e con riferimento allo stesso ordinamento contabile,
che mostra tutto il suo carattere arcaico e la sua inadeguatezza a garantire la tenuta della politica di bilancio17.
Bisognerà attendere fino alla fine degli anni settanta perché il
nuovo equilibrio politico trovi traduzione nei meccanismi di decisione di finanza pubblica. In effetti la legge n. 468 del 1978 rappresenta l’avvio di un processo, durato oltre 30 anni, che ha definito un
modello di decisione di bilancio affatto differente rispetto a quello
originariamente delineato dall’articolo 8118.
16 Sulla quale cfr. V. ONIDA, Portata e limiti dell’obbligo di indicazione della «copertura» finanziaria nelle leggi che importino «nuove o maggiori spese», in Giurisprudenza
costituzionale, 1966, 4.
17 Basti pensare che sino alla legge n. 62 del 1964 non era neanche possibile parlare di bilancio dello Stato in senso proprio, poiché vi erano tanti bilanci quante erano
le amministrazioni ministeriali, bilanci che venivano discussi ed approvati dal Paramento individualmente.
18 Per una ricostruzione delle diverse tappe che condussero alla legge n.
468/1978, cfr. P. DE IOANNA, Il «diritto del bilancio» nella Costituzione repubblicana: profili evolutivi, in M. D’ANTONIO (a cura di), La Costituzione economica, cit., 569 ss.
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È la traduzione normativa di tali dinamiche si avrà con la legge
n. 468 del 1978, che rappresenta il frutto più compiuto di quella cultura della programmazione economica sviluppatasi a partire dagli
anni sessanta sino alla stagione della solidarietà nazionale della fine
degli anni settanta. La legge finanziaria introdotta dalla legge 468 si
presenta come un ircocervo: da un lato il tentativo di strutturare il
procedimento decisionale di finanza pubblica, collocandolo all’interno di una rete di vincoli legislativi e regolamentari diretti ad elevarne il grado di coerenza e di trasparenza, dall’altro affermazione
compiuta di quella «cultura del piano» così felicemente definita da
Giuliano Amato: «l’idea che, purché si arrivi a conoscerla, e purché
si adotti la procedura adatta per farlo, la soluzione che elimina i conflitti c’è sempre»19.
Ma la riforma del 1978 si dimostra un sostanziale fallimento,
producendo esiti opposti rispetto alle intenzioni. La legge finanziaria, pensata come strumento per recuperare una maggiore capacità
di governo nella decisione di bilancio e per agevolare il processo di
rientro dal deficit pubblico, si dimostra essa stessa fattore di ingovernabilità e di crescita del disavanzo20.
Ed è proprio la consapevolezza dell’«ambiguità sistematica della
legge finanziaria» che conduce alla seconda stagione di riforme dell’ordinamento della finanza pubblica, realizzata con la legge n. 362
del 1988. In questa la procedura di bilancio assume, come è stato efficacemente scritto, i caratteri di «procedura decisionale autorisolta»21.
La filosofia della riforma del 1988 consiste nella forte accentuazione del carattere procedimentalizzato e strutturato della decisione
di finanza pubblica. L’idea è che attraverso la previsione di vincoli incrociati di natura procedimentale si possa elevare il grado di coerenza
e di razionalità del circuito decisionale. Da questo punto di vista la
legge del 1988 traduce intuizioni già presenti nella scuola di finanza
pubblica italiana22 e sviluppate dagli studiosi di public choice degli
19 G.
AMATO, L. CAFAGNA, Duello a sinistra, Il mulino, Bologna, 1982, 178.
primo decennio di applicazione della legge n. 468 e sulla riforma del 1988,
cfr. P. DE IOANNA, Parlamento e spesa pubblica, Il mulino, Bologna, 1993.
21 Ibidem, cit., 34.
22 Sulla quale cfr. N. BELLANCA, La teoria della finanza pubblica in Italia, 18831946, Firenze, 1993.
20 Sul
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anni sessanta. L’idea di fondo è che, come evocato dall’episodio omerico di Ulisse e le Sirene, l’auto-imposizione di limiti alla libertà ed all’autonomia dei soggetti coinvolti nel procedimento in realtà si traduca in un aumento della rispettiva capacità operativa e decisionale23.
È questa la fase in cui esauritasi la fase delle larghe convergenze
politiche giunta sino all’esperienza dell’unità nazionale, si affermano
nuovi equilibri e si affaccia con prepotenza il tema della governabilità. In questo periodo, si cerca di dar vita a quello che è stato definito «maggioritarismo funzionale»24, attraverso un sistema di regole
idoneo a rafforzare la capacità del Governo nella guida dei procedimenti legislativi fermi restandone i limiti strutturali all’interno degli
equilibri istituzionali complessivi del sistema.
Il capitolo successivo di questa storia si apre nel 1994 quando,
per una serie concomitante di fattori, prende il via il processo di costruzione di un (per quanto parziale, contraddittorio ed incompleto)25
modello di democrazia maggioritaria (quando cioè si cerca di passare
dal maggioritarismo funzionale al maggioritarismo strutturale).
Il fattore di cambiamento più potente è naturalmente direttamente collegato al mutamento del quadro politico e all’adozione di
una nuova legge elettorale che sorregge il passaggio alla cosiddetta
Seconda Repubblica. Nel nuovo contesto politico-istituzionale cambia profondamente il ruolo sistemico delle procedure di bilancio. Se,
23 Secondo il mito omerico, Ulisse, avvicinandosi all’isola delle sirene, volendo
udirne il canto e, al tempo stesso garantire la sicurezza della sua nave, decise di farsi legare all’albero maestro (in modo da poter liberamente ascoltare ma da non poter interferire con la navigazione) e far turare le orecchie del suo equipaggio (in modo da far
proseguire tranquillamente la navigazione). Cfr. J. ELSTER, Ulisse e le sirene. Indagini
sulla razionalità e l’irrazionalità, Bologna, 1983. Per un richiamo al mito omerico in relazione alle tematiche di finanza pubblica cfr., R. PERNA, Ulisse e le sirene. Presupposti
teorici e prospettive politiche del costituzionalismo fiscale, in «Il Poliedro, 1987, 9/10, 26;
M. SALVATI, Dal miracolo economico alla moneta unica europea, in SABATUCCI e VIDOTTO
(a cura di), Storia d’Italia. Vol. 6. L’Italia contemporanea dal 1963 ad oggi, Laterza, Bari,
1999, 391; A. PALANZA, La perdita dei confini: le nuove procedure interistituzionali, in L.
VIOLANTE (a cura di), Storia d’Italia. Annale 17, Einaudi, Torino, 2001, 1211 s.
24 Cfr. C. FUSARO, Il rapporto di fiducia nei regolamenti parlamentari, in S. LABRIOLA (a cura di), Il Parlamento repubblicano (1948-1988), Quaderni della «Rassegna
parlamentare», Milano, 1999, 185; V. LIPPOLIS, Maggioranza, opposizione, Governo, in L.
VIOLANTE, F. PIAZZA (a cura di), Storia d’Italia. Annale 17, cit., 631.
25 Sui limiti e le criticità del regime politico della Seconda Repubblica, cfr. V. LIPPOLIS e G. PITRUZZELLA, Il bipolarismo conflittuale, Rubettino, Soveria Mannelli, 2007.
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31
come abbiamo detto, l’articolo 81 della Costituzione nasce come
strumento di compensazione della debolezza istituzionale dell’Esecutivo, e se le successive evoluzioni della disciplina contabile sono sostanzialmente finalizzate ad introdurre nella decisione di bilancio
meccanismi idonei ad elevare la capacità di governo del sistema, l’affermarsi della cosiddetta Seconda Repubblica segna evidentemente
un fattore di forte discontinuità26.
Inoltre, accanto alle generali dinamiche evolutive della forma di
governo, altri potenti fattori di cambiamento del contesto generale si
affacciano in questa fase. Il primo è naturalmente rappresentato dall’emersione, con la sottoscrizione del Patto di stabilità, di vincoli europei alla discrezionalità finanziaria degli Stati aderenti all’Unione
monetaria europea che determinano una soluzione di continuità nell’evoluzione del nostro sistema di finanza pubblica27. Storicamente,
la «procedura decisionale autorisolta» affermatasi al termine di un
lungo processo partito dall’articolo 81 della Costituzione e giunto
alla riforma del 1988, altro non è stato se non il faticoso emergere di
un quadro legislativo e regolamentare idoneo a garantire un adeguato livello di coerenza, trasparenza e responsabilità alla decisione
di finanza pubblica, in assenza di vincoli esterni alla stessa decisione.
Naturalmente, la fissazione di una regola che per quanto articolata,
«procedimentalizzata» e «flessibilizzata» rimane una regola di natura
comunque quantitativa rappresenta una vera e propria soluzione di
continuità.
Anzi, da altro punto di vista, è proprio il carattere procedimentale – quasi negoziale – del Patto che rafforza ulteriormente la posizione del Governo all’interno degli equilibri istituzionali. Infatti, è
proprio il carattere procedimentale delle procedure attuative del
Patto che esalta il ruolo dell’Esecutivo sia nella fase dell’impostazione della politica di bilancio che in quella della verifica degli andamenti in corso.
Ulteriore fattore di evoluzione del contesto istituzionale generale è stata la riforma, di pochi anni successiva, in senso federale
26 Cfr.
M. DEGNI, La decisione di bilancio nel sistema maggioritario, Ediesse, Roma,
2004.
27 Cfr.
G. RIVOSECCHI, L’indirizzo politico finanziaria tra Costituzione italiana e vincoli europei, CEDAM, Padova, 2007; N. LUPO, Le procedure di bilancio dopo l’ingresso
nell’Unione economica e monetaria europea, in Quaderni costituzionali, 1999, 523.
32
IL FILANGIERI - QUADERNO 2011
della forma di Stato. Una riforma che, spostando una quota sempre
maggiore di spesa pubblica verso i livelli di governo regionale e locale pone un acuto problema di raccordo e coordinamento fra lo
Stato, le Regioni e gli enti locali. Attività complessa e delicata, che richiede lo sviluppo di una fitta rete di rapporti, anche informali, e di
una costante attività di negoziazione che trovano il loro naturale riferimento negli esecutivi e mal si prestano ad essere gestiti in una
sede complessa e procedimentalizzata come le assemblee parlamentari28.
Ma nonostante la forza di tali fattori innovativi nel periodo
1994-2008 è mancato un organico intervento di adeguamento della
disciplina di bilancio al mutato contesto. Anzi, con la legge n. 208
del 1999 da un lato si conferma l’impianto della legislazione precedente adeguando tempi e procedure al mutato contesto, dall’altro si
compie qualche passo indietro con riferimento ad esempio al contenuto degli strumenti legislativi della sessione di bilancio29.
Naturalmente, non per questo il sistema è rimasto immobile.
Come è naturale, la forte pressione proveniente dall’evoluzione del
generale contesto istituzionale si è incanalata laddove ha trovato spazio, forzando gli argini delle vie consolidate o aprendosene di nuove,
in modo non sempre coerente ed ordinato.
In particolare, l’Esecutivo di fronte alla necessità di guadagnare
un’effettiva capacità di governo della finanza pubblica, indispensabile
per l’esercizio della propria responsabilità nei confronti dell’Unione
europea, ha fatto ricorso ad una pluralità di strumenti, derivanti da
innovazioni legislative o basati sull’evoluzione di prassi, sostanzial28 Emblematica è, in tal senso, la mancata attuazione dell’art. 11 della legge costituzionale n. 1 del 2001, che aveva previsto che la Commissione bicamerale per questioni
regionali sarebbe dovuta diventare la sede d’elezione del confronto fra Stato e regioni in
materia legislativa. La scelta, confermata nonostante l’alternarsi delle legislature e delle
maggioranze, non può essere derubricata a mera omissione casuale, ma è piuttosto il
sintomo della consapevolezza che questo delicato profilo di raccordo istituzionale può
essere gestito in modo molto più funzionale ed efficace se concentrato in capo ai governi. Sul punto cfr. V. LIPPOLIS, Le ragioni che sconsigliano di attuare l’articolo 11 della
legge costituzionale n. 3 del 2001, in Rassegna parlamentare, 2007, 1, 61.
29 Sulla riforma del 1999, cfr. A. PALANZA, Una nuova legge ed un ordine del giorno
per la riorganizzazione del processo di bilancio come metodo della politica generale (legge
25 giugno 1999, n. 208), in Rassegna parlamentare, 635; R. PEREZ, La riforma del processo
di bilancio, in Giornale di diritto amministrativo, 1999, 921.
RAFFAELE PERNA
33
mente finalizzati a «disintermediare» dai procedimenti parlamentari
alcuni significativi momenti e parti della decisione di bilancio30.
Diversi sono stati gli strumenti e le tecniche adottate nell’ultimo
decennio. Basti pensare al decreto legge n. 194 del 2002, cosiddetto
«taglia spese»31, all’istituzione accanto a quelli tradizionalmente previsti a bilancio, di nuovi fondi di riserva (ad esempio quelli per le autorizzazioni di cassa, per le autorizzazioni di tabella C), i quali conferiscono anch’essi al Governo un autonomo e significativo potere di
intervento integrativo e modificativo della decisione parlamentare, al
decreto legge n. 112 del 200832, alla riorganizzazione del bilancio
dello Stato per missioni e per programmi o, anche, all’utilizzo (in misura assai significativa in alcuni esercizi) del miglioramento del risparmio pubblico per la copertura di nuovi oneri correnti recati dalla
legge finanziaria33.
Ma, anche se in alcuni casi di notevole impatto, gli interventi
succedutisi nel decennio 1999-2008 hanno avuto comunque un respiro parziale ed un carattere quasi emergenziale. In questo periodo
è mancato un intervento organico di aggiornamento della legge di
contabilità alla luce delle profonde novità intervenute nella nostra
forma di Stato e nella forma di governo. Storicamente l’evoluzione
delle procedure di bilancio, a partire dall’articolo 81, ha accompagnato l’evoluzione del sistema istituzionale in generale e della forma
di governo in particolare. In questo periodo è sembrata invece interrompersi quella sorta di «collateralismo» in virtù della quale sino ad
30 Cfr.
R. PERNA, Le procedure di bilancio, Governo e Parlamento in una democrazia maggioritaria, in Il Filangieri, 2007.
31 Sul punto cfr., fra gli altri, R. PEREZ (a cura di), Le limitazioni amministrative
della spesa, Giuffrè, Milano, 2003; C. FORTE, Contabilità di Stato in evoluzione, Scienze
e lettere, Roma, 2006; A. BRANCASI, Le «Misure urgenti per il controllo, la trasparenza ed
il contenimento della spesa pubblica», in Diritto Pubblico, 2003, 962. Solleva dubbi sulla
legittimità costituzionale del decreto, anche dopo le modifiche introdotte in sede di conversione, M. DEGNI, La decisione di bilancio nel sistema maggioritario, cit., 243 ss.
32 Sulle novità recate dal d.l. n. 112/2008, cfr. R. PERNA, La rivoluzione silenziosa
delle procedure di bilancio, in Rassegna parlamentare, 2008, 897 ss.
33 Tale possibilità era ritenuta, prima del 2000, se non illegittima quantomeno
inopportuna. Sul punto è successivamente intervenuta la legge nl 196 del 2009, la quale
– all’articolo 11 – ha sancito che il miglioramento del risparmio pubblico può essere utilizzato a fini di copertura dei nuovi oneri recati dalla legge di stabilità solo se presenta
un valore positivo e, a seguito dell’ulteriore modifica apportata con la legge n. 39 del
2011, solo a copertura di riduzioni di entrata.
34
IL FILANGIERI - QUADERNO 2011
oggi l’evoluzione delle procedure di bilancio ha accompagnato e favorito l’evoluzione del nostro sistema istituzionale e della nostra
forma di governo.
L’architettura della decisione di bilancio costruita nel corso di
tre decenni è stata interessata in profondità da un processo di erosione dall’interno che ha reso inattuali gli equilibri della stagione
conclusa senza che ne siano stati definiti di nuovi. La parabola disegnata dalle procedure di bilancio, dall’originario articolo 81 sino al
primo decennio del nuovo secolo, ha esaurito il proprio percorso,
proprio perché sono radicalmente cambiati i caratteri di fondo del
sistema che avevano determinato il disegno costituzionale ed i successivi affinamenti.
E tale conclusione rimane valida anche dopo l’approvazione nel
triennio 2009-2011 delle due riforme della legge di contabilità, le
leggi n. 196/2009 e n. 39/2011, le quali si sono limitate ad una risistemazione organica della materia, operando un migliore coordinamento con l’ordinamento europeo ed sistematizzazione di alcune
delle novità del precedente decennio, confermando però l’impianto
di fondo del sistema contabile definito nel 198834. Le riforme del
2009-2011 costituiscono una tappa di quel processo, durato oltre
sessant’anni di adeguamento, a Costituzione invariata, della disciplina contabile rispetto alle dinamiche evolutive della forma di governo registratesi nel frattempo. Con le leggi n. 196 e n. 39 erano
state esplorate tutte le possibilità offerte dallo strumento della legge
ordinaria35.
4.
Il pareggio di bilancio fra Governo e Parlamento.
L’ultima tappa del percorso storico che abbiamo cercato di delineare naturalmente è l’introduzione, con la legge costituzionale n. 1
del 2012, del principio del pareggio del bilancio dello Stato. Ancorché scaturita da una condizione di emergenza finanziaria e non da
34 La novità più significativa delle riforme e la restrizione del contenuto proprio
della decisione annuale di finanza pubblica, dal quale vengono escluse le misure di sostegno allo sviluppo, introdotte con la legge n. 209 del 199. Ma anche questa innovazione altro non è se non un ritorno all’impostazione della legge n. 362 del 1988.
35 Cfr. R. PERNA, Bilancio pubblico (voce), in Dizionario del liberalismo italiano,
Rubettino, Soveria Mannelli, 2011, I.
RAFFAELE PERNA
35
un’organica strategia di revisione della forma di governo, appare indubbio che la nuova formulazione dell’articolo 81, e le altre norme
della legge n. 1, ha importanti conseguenze sull’equilibrio fra Governo e Parlamento con riferimento alla politica di bilancio.
L’assetto delle decisioni di finanza pubblica definito originariamente in Costituzione era, come visto nei paragrafi precedenti, concentrato sul pareggio delle decisioni incrementali di spesa ed era viceversa indifferente al saldo complessivo del bilancio, nella convinzione che, assicurato il pareggio di ogni nuova decisione di spesa, ne
sarebbe automaticamente derivata una naturale tendenza verso il pareggio. La costituzionalizzazione del vincolo al saldo di bilancio, non
solo determina un radicale cambiamento nel paradigma attorno al
quale abbiamo costruito il nostro modello di finanza pubblica, ma ha
anche importanti ricadute sull’equilibrio complessivo del sistema. È
indubbio, infatti, che l’assetto politico-istituzionale che ha caratterizzato i primi decenni della storia repubblicana non si sarebbe potuto
sviluppare con le caratteristiche che abbiamo conosciuto in presenza
di uno stringente vincolo al saldo di bilancio. La regola costituzionale dell’equilibrio di bilancio possiede cioè un’intrinseca valenza
maggioritaria perché riduce significativamente gli spazi per lo sviluppo di quel modello di «centralità parlamentare» che ha caratterizzato l’esperienza della Prima Repubblica. E, da questo punto di
vista, è possibile sostenere che la riforma dell’articolo 81 sia la prima
vera riforma costituzionale della forma di governo del nostro Paese.
Il passaggio dal vincolo di ciascuna decisione incrementale di
spesa al vincolo sul saldo complessivo del bilancio, riporta al centro
della discussione il ruolo del Governo in materia di legislazione di
spesa. In particolare, nel nuovo contesto risulta completamente ridisegnato il circuito della responsabilità istituzionale che rappresenta il
cuore della democrazia parlamentare. Con la fissazione di un vincolo
costituzionale rigido al saldo di bilancio accanto alla generale responsabilità politica dell’esecutivo nei confronti del Parlamento, a
sua volta responsabile nei confronti degli elettori, si sviluppa un ulteriore circuito di responsabilità dell’Esecutivo: una responsabilità
assai più stringente perché riferita ad un preciso parametro contabile
(il saldo di bilancio) e perché operante in due direzioni, nei confronti
del Parlamento (e quindi dei cittadini) e nei confronti dell’Unione
europea.
36
IL FILANGIERI - QUADERNO 2011
L’introduzione di un vincolo costituzionale al saldo di bilancio,
cioè, determina di per sé importanti effetti sulla forma di governo. Effetti evidentemente connessi con il ruolo centrale che assume nel sistema il Governo come soggetto responsabile del rispetto effettivo del
vincolo. Una responsabilità assai impegnativa che indurrà l’Esecutivo
ad un esercizio assai più consapevole ed assai più intenso delle proprie prerogative costituzionali al fine di scongiurare che le singole decisioni di spesa e le dinamiche «spontanee» della legislazione di spesa
possano determinare a consuntivo sforamenti nei saldi di bilancio.
Da questo punto di vista, appare difficile contestare il fatto che il
principio dell’equilibrio del bilancio appaia in quanto tale incompatibile con quel parlamentarismo non razionalizzato che per lunghi tratti
ha rappresentato il modello istituzionale della nostra Repubblica. E,
per le stesse ragioni, appare chiaro che, dal nuovo quadro costituzionale, la faticosa e incerta transizione verso un modello di democrazia
maggioritaria riceve un impulso probabilmente irreversibile.
Oggi, la questione centrale diventa semmai verificare in che
modo e con quali strumenti sia possibile che il pareggio del saldo di
bilancio, una volta introdotto in Costituzione, possa poi essere concretamente rispettato. Se, infatti, fino ad ieri una legge di spesa, che
avesse determinato oneri finanziari superiori ai mezzi di copertura
apprestati avrebbe fatto sorgere un problema di legittimità limitato
alla stessa legge, oggi – affermato il vincolo del pareggio del bilancio
– l’eventuale inidoneità della copertura finanziaria di una legge di
spesa rischia di determinare gravi conseguenze sull’intero bilancio
dello Stato.
II tema che abbiamo di fronte è allora quello di verificare se la
strumentazione istituzionale della quale dispone oggi il Governo sia
idonea a consentirgli un efficace adempimento dei compiti istituzionali connessi ai profili di responsabilità che gli competono. Occorre
cioè verificare se alle responsabilità del Governo corrispondono poteri adeguati.
Nella nuova prospettiva due sono i terreni sui quali diventa decisivo compiere tale verifica: quello delle decisioni incrementali di
spesa e quello degli andamenti tendenziali di finanza pubblica.
Per quanto concerne il primo aspetto, il nuovo testo dell’articolo 81 nulla innova rispetto al precedente. Il terzo comma, identico
al precedente quarto, affida tale funzione alla regola della copertura
RAFFAELE PERNA
37
finanziaria delle nuove decisioni di spesa. Come si è visto in precedenza l’obbligo della copertura rappresentava, nella mente di chi lo
propose, una sorta di surrogato di meccanismi più incisivi rispetto all’obiettivo di disincentivare l’adozione di decisioni di spesa idonee a
pregiudicare l’equilibrio del bilancio.
Ragionando astrattamente l’introduzione di un vincolo al saldo
complessivo del bilancio avrebbe potuto essere accompagnata dalla
soppressione della regola del pareggio delle decisioni incrementali di
spesa. Tale meccanismo appare del resto poco coerente con lo stesso
impianto della disciplina comunitaria, il quale si basa piuttosto sulla
definizione di tetti e di regole di variazione della spesa che si pongono su un terreno affatto diverso da quella del pareggio della singola decisione di spesa. Del resto la stessa legge costituzionale n. 1,
demanda alla nuova (e rinforzata) legge di contabilità proprio l’introduzione della disciplina relativa alla definizione di regole sulla
spesa idonee a salvaguardare gli equilibri di bilancio (articolo 5,
comma 1, lett. e).
Ma, ragionando più concretamente, il mantenimento della regola della copertura finanziaria delle leggi di spesa appare senz’altro
opportuno, perché rappresenta un presidio alla correttezza delle decisioni legislative di spesa ormai consolidato dopo oltre sessant’anni
di elaborazioni e di esperienze applicative. È piuttosto da dire che,
nel nuovo contesto costituzionale, tale norma finisce per assumere
un valore affatto differente rispetto a quello che ne aveva giustificato
l’adozione nel 1948. Nel nuovo contesto la regola appare diretta a
rendere più trasparente e responsabile il processo di decisione di
spesa ed a disincentivare la lievitazione delle spese pubbliche. Se storicamente la regola della copertura finanziaria era soprattutto il principale presidio a disposizione del Governo contro le incontrollate
iniziative parlamentari di spesa, da oggi sembra piuttosto diventare
uno strumento a disposizione del Parlamento nei confronti del Governo che propone nuove spese. Oggi, cioè, il comma terzo dell’articolo 81 sembra ritornare a quella impostazione della teoria wickselliana di fine ottocento sulla cui base era stato elaborato.
È semmai da notare come la discussione sulla nuova costituzione
di bilancio non abbia sfiorato, se non in modo assai marginale, il
nodo vero dell’assetto dei poteri istituzionali in materia di adozione di
nuove leggi di spesa: il potere di veto del Governo sulle norme di
38
IL FILANGIERI - QUADERNO 2011
spesa. Si tratta di una previsione nota e consolidata nei principali ordinamenti costituzionali europei, il cui recepimento nel nostro sistema sarebbe stato opportuno valutare adeguatamente, nel momento
in cui si introduce un vincolo costituzionale al saldo di bilancio.
Un vincolo al saldo di bilancio, infatti, può essere concretamente rispettato solo a condizione di prevedere meccanismi istituzionali tali da consentire lo svolgimento di una puntuale e compiuta
analisi della compatibilità delle singole iniziative di spesa con il quadro di finanza pubblica e con il rispetto dell’equilibrio contabile.
Una valutazione del genere, postula una visione di insieme degli andamenti finanziari e una conoscenza adeguata dei meccanismi che
naturalmente non è sempre presente nelle deliberazioni parlamentari. E soprattutto postula la coincidenza fra il soggetto su cui grava
la responsabilità istituzionale del rispetto del vincolo ed il soggetto
titolare dei relativi poteri. E certo il vincolo della copertura, che pure
in qualche modo esalta il ruolo tecnico degli apparati del Governo
(con la relazione tecnica verificata dalla RGS), rappresenta un surrogato del formale riconoscimento del potere. Ma di un surrogato appunto si tratta.
Il secondo terreno di verifica dell’adeguatezza dei poteri dell’Esecutivo a governare le dinamiche della finanza pubblica, e quindi ad
adempiere alle proprie responsabilità istituzionali, riguarda le possibilità di intervento sulla spesa storica. Il tema rimanda naturalmente al
problema della natura formale della legge di bilancio. Sul punto il
nuovo testo dell’articolo 81 non è chiaro. La nuova formulazione del
testo si limita ad espungere dal testo l’attuale terzo comma, rinviando
la definizione del contenuto proprio della legge di bilancio alla legge
rinforzata di contabilità, prevista dal sesto comma del nuovo articolo
81. La soluzione prescelta non appare la più felice, atteso che si tratta
di un tema centrale nella configurazione di una costituzione di bilancio. Sarebbe stato senz’altro opportuno che la Costituzione contenesse un’indicazione chiara al riguardo, lasciando semmai alla successiva legge di contabilità la definizione dei profili di dettaglio.
Sul piano del merito, non si può non ricordare come il principio
della natura formale della legge di bilancio, ha una lunga tradizione
ed illustri natali ed è, del resto presente, a differenza dell’obbligo di
copertura finanziaria, in altri importanti ordinamenti costituzionali.
Occorre, semmai, notare come lo stesso principio abbia oggi una va-
RAFFAELE PERNA
39
lenza in parte difforme rispetto a quella originaria. La norma, elaborata in un contesto storico caratterizzato da uno Stato minimo e con
basso livello di spesa pubblica, è finalizzata a garantire la massima
trasparenza democratica alle nuove decisioni di spesa. L’obiettivo è
assicurare la piena consapevolezza della collettività sulle spese pubbliche che il Parlamento approvava via via. Consapevolezza che sarebbe stata estremamente limitata se le spese fossero state introdotte
attraverso un documento lungo e tecnicamente complesso come la
legge di bilancio.
Ma nell’attuale contesto storico la norma ha anche una diversa
valenza. Oggi l’effetto della natura formale della legge di bilancio
non è soltanto quello di impedire la deliberazione di nuove spese in
sede di bilancio ma, in virtù dell’interpretazione estensiva che si è affermata nella prassi, anche quello di impedire che spese già approvate con precedenti leggi possano essere ridotte o annullate con la
decisione di bilancio. L’intero ammontare dei c.d. fattori legislativi è
cioè sottratto alla competenza decisionale della decisione annuale di
bilancio.
Tale vincolo si è rivelato nel corso degli anni un formidabile
strumento di protezione e conservazione della legislazione di spesa
vigente, quindi, un fattore di freno alla politica di contenimento e di
razionalizzazione della spesa pubblica. Uno dei paradossi del sistema
di finanza pubblica italiano degli ultimi anni è stata la concentrazione parossistica dell’attenzione politica e istituzionale sulle decisioni incrementali di spesa (sublimata nell’assoluta centralità della
legge finanziaria) ed il sostanziale disinteresse per la c.d. spesa storica (sublimata dall’assoluta marginalità della legge di bilancio).
In questo senso, la natura formale della legge di bilancio ha finito per ostacolare le politiche di risanamento delle finanze pubbliche, le quali anche per la difficoltà di aggredire la spesa storica
hanno spesso assunto un carattere emergenziale, frammentato e di
breve respiro. Oggi, nel momento in cui si introduce il vincolo costituzionale del pareggio di bilancio, potrebbe essere opportuno superare anche il tradizionale principio del bilancio come legge meramente formale. Per poter concretamente rispettare il vincolo al pareggio, è, infatti, indispensabile dotare il Parlamento ed il Governo
di uno strumento che consenta di intervenire in modo rapido ed efficace sulla spesa pubblica stratificatasi nel corso degli anni. E tale
40
IL FILANGIERI - QUADERNO 2011
strumento non può che essere un bilancio in grado di incidere su
precedenti autorizzazioni di spesa. La stessa spending review, che
rappresenta la nuova frontiera delle politiche di risanamento finanziario e di quelle di efficientamento degli apparati pubblici, rischia di
tradursi in una mera esercitazione accademica se non abbinata ad un
efficace strumento legislativo di intervento sulla spesa storica.
In questa prospettiva, ritenendo comunque necessario tutelare
quelle esigenze di trasparenza e responsabilità che furono alla base
dell’introduzione del principio del bilancio come legge meramente
formale, potrebbe essere opportuno confermare, in sede di disciplina
contabile, il principio secondo il quale con il bilancio non si possono
prevedere nuove spese ma, al contempo, al fine di rendere possibile
il rispetto del vincolo del pareggio, ammettere la possibilità di intervenire con il bilancio per ridurre le spese già approvate con precedenti leggi.
Tale innovazione potrebbe, senza indulgere a costruzioni teoriche un po’ astratte del tipo zero base budget, definire uno strumento
di governo delle autorizzazioni legislative di spesa assai più incisivo
ed efficace rispetto a quelli attualmente disponibili (leggi in corso di
esercizio o modifiche legislative in sede di legge di stabilità).
Un ultimo punto merita di essere esaminato: il riconoscimento
di incisivi poteri istituzionali in capo all’Esecutivo in relazione all’adozione di nuova legislazione di spesa ed alla gestione della spesa
storica andrebbe collocata all’interno di una strategia diretta a ricostruire un coerente circuito istituzionale nelle decisioni di bilancio.
Storicamente i Parlamenti nascono esattamente con l’obiettivo di
controllare, in rappresentanza dei cittadini contribuenti, l’attività di
tassazione (e quindi di spesa) degli Esecutivi. Nell’esperienza del secondo dopoguerra (e particolarmente in quella italiana) si è verificato un sostanziale ribaltamento del rapporto. Abbiamo assistito ad
un Governo costretto ad una continua azione di rincorsa e contenimento delle iniziative di spesa dei parlamentari e quindi incapace di
perseguire una propria efficace strategia di politica economica e di
bilancio. Ma, per restaurare il circuito della responsabilità relativamente alle decisioni di bilancio, è essenziale il rilancio del ruolo del
Parlamento nel controllo sulla finanza pubblica.
Nonostante, infatti, i tentativi di rianimazione succedutesi negli
ultimi anni (basti pensare da ultimo alla riclassificazione del bilancio
RAFFAELE PERNA
41
per missioni e per programmi o alla legge n. 196 del 2009), il controllo parlamentare sulla finanza pubblica rimane la cenerentola del
nostro sistema istituzionale. Ma ciò rappresenta il venir meno di una
delle funzioni fondamentali della rappresentanza parlamentare36. E
quest’assenza, paradossalmente, finisce per indebolire lo stesso Governo, che potrebbe controllare assai meglio l’attività degli apparati
amministrativi sotto la sua direzione, se fosse soggetto ad un efficace
stimolo parlamentare.
Del problema si trova del resto flebile traccia del resto nel testo
della legge n. 1 la quale al comma 4 dell’articolo 5 prevede che «le
Camere, secondo modalità stabilite dai rispettivi regolamenti, esercitano la funzione di controllo sulla finanza pubblica con particolare
riferimento all’equilibrio fra entrate e spese nonché alla qualità ed efficacia della spesa delle pubbliche amministrazioni». La disposizione
risulta – dal punto di vista strettamente testuale – sorprendente, considerato che nulla aggiunge e nulla toglie a quelle che sono le generali funzioni di controllo parlamentare previste dalla Costituzione.
In realtà, la norma è altamente rivelatrice della consapevolezza
del legislatore costituente circa la necessità che la previsione di un
vincolo costituzionale al saldo di bilancio sia accompagnata da un
forte impulso alla funzione di controllo parlamentare sulla gestione
del bilancio. Funzione che deve concentrarsi da un lato sull’effettività dell’equilibrio fra entrate e spese (allo scopo di prevenire situazioni che finiscano per rendere impossibile il rispetto del pareggio di
bilancio) e dall’altro sulla qualità e sull’efficacia della spesa pubblica
(atteso che in un contesto di pareggio di bilancio, gli unici margini di
miglioramento della soddisfazione dei cittadini risiedono appunto
nell’elevazione di tali due profili, a lungo trascurati in regime di finanza pubblica in disavanzo).
Del resto, analizzando i lavori preparatori della legge si scorge
come la formulazione della norma sia frutto di un compromesso rispetto ad alcune proposte emendative dirette non solo a costituzio36 Per un approfondimento sul rilievo che le attività di controllo stanno assumendo nel nuovo contesto istituzionale, con specifico riferimento alle decisioni di finanza pubblica cfr. V. LIPPOLIS, Il rapporto tra la Corte dei conti e il Parlamento e le prospettive della «valutazione delle politiche pubbliche, in Rivista trimestrale di diritto
pubblico, 2009, 3, 659. Cfr., altresì, R. DICKMANN e S. STAIANO (a cura di), Funzioni parlamentari non legislative e forma di governo - l’esperienza italiana, Giuffrè, Milano, 2008.
42
IL FILANGIERI - QUADERNO 2011
nalizzare espressamente la funzione di controllo parlamentare in materia di finanza pubblica ma anche, e soprattutto, ad affidarne l’esercizio in via prevalente ad una commissione bicamerale a composizione paritaria. Si tratta di un tema del quale il Parlamento ha già a
lungo discusso in occasione della recente riforma della legge di contabilità senza, per il prevalere di riflessi conservatori, giungere ad
alcuna soluzione. In proposito, non si può sottacere come le Commissioni bilancio e le Commissioni di settore delle due Camere, completamente assorbite dalle proprie funzioni legislative, dedichino pochissimo tempo e nessuna energia all’attività di controllo sulla quantità e sulla qualità della spesa. Del resto, sulla base di una banale
analisi economica delle istituzioni, è evidente come – nel breve periodo – sia molto più «redditizio» per una commissione parlamentare concentrare la propria attenzione ed il proprio tempo per cercare di far approvare nuove misure legislative (semmai di spesa) che
non dedicarsi ad una lenta, faticosa e poco visibile attività di controllo sulla finanza pubblica. Da questo punto di vista le nostre commissioni permanenti dotate di penetranti poteri nel procedimento legislativo, appaiono come i soggetti meno indicati per sviluppare
un’adeguata funzione di controllo in un settore decisivo come quello
dei conti pubblici.
In questa prospettiva, la previsione di un organismo parlamentare dedicato al controllo potrebbe determinare una positiva inversione di tendenza, andando a modificare l’assetto degli «incentivi
istituzionali» al concreto esercizio della funzione di controllo. E prevedere il carattere paritario di tale organismo potrebbe garantire
maggiore efficacia a tale funzione, la quale rischia evidentemente di
risultare compressa se collocata all’interno della normale dialettica
maggioranza-opposizione. Uno schema che è essenziale governi i
procedimenti parlamentari di natura legislativa ma che (come dimostrano anche alcuni esempi stranieri, quello britannico fra tutti) non
è essenziale, ed anzi può rivelarsi controindicato, nel caso dei procedimenti di controllo.
Occorre, inoltre, sottolineare come la previsione di un’efficace
funzione parlamentare di controllo sulla finanza pubblica, appaia
fondamentale anche perché possano essere colte appieno le potenzialità insite nella previsione, di cui alla lettera f ) del comma 1 del
medesimo articolo 5 della legge, dell’organismo indipendente per l’a-
RAFFAELE PERNA
43
nalisi e la verifica degli andamenti di finanza pubblica e di valutazione dell’osservanza delle regole di bilancio. II Fiscal Council, anch’esso previsto dalle indicazioni europee, rappresenta un’efficace risposta ad un esigenza fondamentale del sistema: la definizione di
forme e strumenti di controllo neutrale e qualificato sugli andamenti
di finanza pubblica e sulla veridicità e correttezza dei conti. Tale essenziale e delicata attività si pone però al confine con un’altra attività
di controllo che ricomprende anche l’analisi concreta delle spese, la
valutazione della loro necessità ed adeguatezza. Attività, anch’esse
fondamentali, che però presentano un ineliminabile tasso di politicità e che non possono pertanto essere affidate ad un organismo tecnico indipendente. In questo senso la previsione di un controllo tecnico affidato ad un organismo indipendente affiancato da un controllo politico affidato ad un organismo parlamentare, potrebbe non
solo garantire il massimo della funzione ma anche scongiurare il rischio che il controllo tecnico lasciato nel vuoto della politica possa
incorrere in uno dei due rischi, opposti ma entrambi pericolosi, che
inevitabilmente sorgono in questi casi: la sostanziale irrilevanza o
l’insorgere di insanabili e pericolosi conflitti istituzionali.
Ma al di là delle singole questioni di merito, per disegnare un
coerente ed efficace processo di bilancio occorre innanzitutto liberarsi di quel pregiudizio secondo il quale i rapporti di forza fra Governo e Parlamento nell’ambito della decisione di bilancio rappresentino un «gioco a somma zero». È ben possibile definire un quadro di
regole che consenta di garantire l’esigenza dell’Esecutivo di poter realizzare in tempi certi e con soluzioni coerenti il proprio programma
economico e di adempiere alle proprie responsabilità (anche nei confronti dell’Europa), esaltando al contempo la essenziale funzione (di
controllo e di stimolo) delle assemblee parlamentari, sede della rappresentanza e quindi espressione della sovranità democratica.
E, se la normativa di attuazione della nuova disciplina costituzionale in materia di finanza pubblica riuscirà a coniugare efficacemente queste due esigenze, ciò rappresenterà non solo il miglior presidio a garanzia del vincolo all’equilibrio del bilancio, ma anche un
potente fattore di evoluzione positiva della nostra forma di governo
e, quindi, di miglioramento della democrazia italiana.