SOCIETA’ PER AZIONI ARTICOLO 2325. Responsabilità. [I]. Nella società per azioni per le obbligazioni sociali risponde soltanto la società con il suo patrimonio. [II]. In caso di insolvenza della società, per le obbligazioni sociali sorte nel periodo in cui le azioni sono appartenute ad una sola persona, questa risponde illimitatamente quando i conferimenti non siano stati effettuati secondo quanto previsto dall'articolo 2342 o fin quando non sia stata attuata la pubblicità prescritta dall'articolo 2362. Sommario:1.-Personalità giuridica e autonomia patrimoniale. Giurisprudenza di legittimità. 2.-Stato di insolvenza. Giurisprudenza di legittimità. 3.-Ipotesi patologiche. Giurisprudenza di legittimità 1.Personalità giuridica e autonomia patrimoniale. Giurisprudenza di legittimità.La circostanza che un socio disponga, direttamente e/o indirettamente - nella specie attraverso un'"Anstalt" dal medesimo fondata dell'intero capitale sociale di una società di capitale, non comporta la confusione del patrimonio personale del primo con quello della seconda, e perciò i creditori dell'uno non possono aggredire i beni dell'altra, sottraendoli alla loro primaria funzione di garanzia dell'adempimento delle obbligazioni sociali. Invece, proprio per rafforzare questa funzione, a norma dell'art. 2497, comma 2, c.c., nella formulazione previgente a quella introdotta dall'art. 7 d.lg. 3 marzo 1993 n. 88, nel caso di insolvenza di una società a responsabilità limitata, per le obbligazioni sorte nel periodo in cui le quote sociali siano appartenute ad un solo socio, questi ne rispondeva illimitatamente con il suo patrimonio. Cass.civ., sez.II,16 novembre2000,n. 14870,Giust. civ. Mass. 2000, 2351 7968/12 Nelle società di capitali, che sono titolari di distinta personalità giuridica e di un proprio patrimonio, l'interesse del socio al potenziamento ed alla conservazione della consistenza economica dell'ente è tutelabile esclusivamente con strumenti interni, rappresentati dalla partecipazione alla vita sociale e dalla possibilità di insorgere contro le deliberazioni o di far valere la responsabilità degli organi sociali, mentre non implica la legittimazione a denunciare in giudizio atti esterni ed in particolare ad impugnare i negozi giuridici stipulati dalla società, la cui validità, anche nelle ipotesi di nullità per illiceità dell'oggetto, della causa o dei motivi, resta contestabile solo dalla società stessa, senza che in contrario il socio possa invocare la norma dell'art. 1421 c.c. Cass.civ. sez.I,15novembre1999,n.12615,Giust. civ. Mass. 1999, 2245, 7968/12 La personalità giuridica delle società di capitali (e la conseguente autonomia patrimoniale perfetta) comportano l'esclusiva imputabilità all'ente degli atti compiuti e dell'attività svolta in suo nome, nonché delle relative conseguenze patrimoniali sfavorevoli, poiché la norma di cui all'art. 2362 c.c. (che sancisce la responsabilità illimitata dell'unico azionista per le obbligazioni sociali) ha carattere derogatorio, in via eccezionale, ai detti principi, e non è, pertanto, suscettibile di applicazione analogica ad ipotesi diverse da quella espressamente prevista. (Nella specie, i soci di una s.p.a., titolari della quasi totalità del capitale sociale, avevano costituito in pegno indivisibile un certo numero di azioni della società stessa - in veste di terzi datori di garanzia reale - a garanzia di un fido accordato alla società da una banca che, all'esito di successive operazioni societarie di riduzione prima, di azzeramento poi del capitale sociale, aveva chiesto che i soci stessi fossero condannati alla ricostituzione dell'originario valore del pegno azionario ed al risarcimento del danno, quantificabile nella perdita del valore delle azioni date in pegno come conseguenza delle delibere assembleari. Il giudice di merito, nel respingere la richiesta, ebbe ad osservare che l'apertura di credito era stata concessa alla società quale soggetto distinto ed autonomo dalle persone dei soci - che pure ne detenevano la quasi totalità delle partecipazioni azionarie - con sentenza confermata dalla S.C. che ha, nell'occasione, sancito il principio di diritto di cui in massima). Cass.civ.,sez.I,10marzo1999,n.2053,Giust. civ. Mass. 1999, 533 7968/12 La responsabilità illimitata del socio unico azionista, prevista dall'art. 2362 c.c. per il caso d'insolvenza della società partecipata, sussiste anche quando detto unico socio sia una persona giuridica, e, in particolare, una società per azioni, mentre restano pure in tale ipotesi irrilevanti sia le ragioni che abbiano determinato la concentrazione delle azioni (quale la sussistenza o meno di un intento speculativo), sia la circostanza che il creditore conosca o meno tale concentrazione; sia infine il fatto che la insolvenza della predetta società partecipata ne abbia comportato la dichiarazione di fallimento. Cass.civ.,sez.un.,24febbraio1986,n.1088,Giust. civ. Mass. 1986, fasc. 2. 7968/12 L'art. 2362 c.c. il quale sancisce la responsabilità illimitata, per le obbligazioni di una società, a carico della persona nelle cui mani si concentrano tutte le azioni della società medesima, trova applicazione tanto con riguardo alla persona fisica, quanto con riguardo alla persona giuridica, tenuto conto che entrambe sono da includersi nella nozione di persona, usata dalla suddetta norma senza ulteriori specificazioni, e che, nell'uno che nell'altro, ricorre l'esigenza di evitare l'utilizzazione della società di capitali, da parte di un unico soggetto, come mezzo per sottrarre il proprio patrimonio alla responsabilità per obbligazioni contratte nel suo interesse. Cass.civ.,sez.un.,14dicembre1981,n. 6594,Giust. civ. Mass. 1981, fasc. 12. 7968/12 2.Stato di insolvenza. Giurisprudenza di legittimità.- La responsabilità sancita dall'art. 2362 c.c. a carico dell'unico azionista, che può essere anche una persona giuridica, per le obbligazioni contratte dalla società insolvente responsabilità che non richiede, nè presuppone l'estinzione di quest'ultima essendo sufficiente una situazione di insolvenza che non consenta il soddisfacimento dei creditori - trova applicazione anche nelle ipotesi in cui vi sia apparentemente un socio di minoranza, essendo l'intestazione delle azioni a nome di quest'ultimo fittizia o fraudolenta. Cass.civ.,sez.lav.,27agosto1987,n.7064,Giust. civ. Mass. 1987, fasc. 8-9. Conf. Cass.civ., sez.I,28aprile1994,n.4111,Giust. civ. Mass. 1994, 575;Cass. civ., sez. un., 24febbraio1986,n.1088,Giust.civ.,Mass. 1986, fas c. 2 7968/123 3.Ipotesi patologiche. Giurisprudenza di legittimità.- Con l'intestazione fiduciaria di titoli azionari si realizza un fenomeno di interposizione reale, mediante il quale l'interposto acquista effettivamente la titolarità delle azioni, ma, in virtù di un rapporto interno con l'interponente, di natura obbligatoria, è tenuto ad osservare un certo comportamento convenuto con il fiduciante ed a retrocedere i titoli a quest'ultimo in seguito al verificarsi di una situazione determinante il venir meno della "causa fiduciae", e siffatto obbligo è coercibile non solo con l'ordinaria azione risarcitoria, ma anche con l'azione diretta all'esecuzione in forma specifica dell'obbligo di concludere un contratto, assumendo in tal modo l'interponente una posizione di sostanziale effettiva disponibilità dei titoli fiduciariamente trasferiti o intestati all'interposto. Pertanto, se con l'intestazione fiduciaria si realizzi da parte del fiduciante la disponibilità dell'intero capitale azionario, e sia attuata al fine di sottrarre il medesimo alla responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali, sancita dall'art. 2362 c.c. a carico dell'unico azionista, si ha un contratto in frode alla legge, dotato di sufficiente funzionalità ed efficacia rispetto all'intento voluto dalle parti di eludere l'applicazione della norma imperativa dell'art. 2362 c.c., ed esso è, come tale, colpito da nullità ai sensi dell'art. 1344 c.c., con la conseguente applicazione della norma fraudolentemente elusa. (Nella specie, i giudici del merito, ritenuto che l'azionista di una società aveva ridotto la sua partecipazione sociale ad una misura infinitesimale, pur continuando a mantenere la titolarità delle azioni, a titolo meramente fiduciario, per assicurare all'altro socio, che disponeva sostanzialmente dell'intero capitale azionario, l'esenzione dalla responsabilità personale per le obbligazioni della società, avevano dichiarato nulla tale intestazione fiduciaria, perché in frode alla norma imperativa dell'art. 2362 c.c., con la conseguente affermazione di responsabilità del socio fiduciante verso un creditore sociale. La S.C. ha ritenuto corretta tale statuizione ed enunciato il principio di cui in massima. Cass.civ., sez.I,29novembre1983,n.7152,Giust. civ. Mass. 1983, fasc. 10. 7968/12 Gli istituti dell'autonomia patrimoniale e della distinta personalità giuridica della società di capitali (nella specie, società per azioni) rispetto ai soci comportano la esclusione della riferibilità a costoro del patrimonio, (ivi compresi i titoli azionari di altre società), intestato alla prima, anche nella ipotesi in cui uno dei soci, possa essere considerato (eventualmente attraverso un'anstalt a lui facente capo la quale risulti intestataria della quasi totalità del capitale della società) il socio di larga maggioranza. Tali conclusioni si impongono ancora a più forte ragione quando manchi la dimostrazione della sussistenza di comportamenti suscettibili di essere qualificati come abuso della personalità giuridica (configurabile con riguardo alla natura fittizia o fraudolenta delle partecipazioni di minoranza, e ravvisabile allorché alla forma societaria corrisponda una gestione individuale, che rende ipotizzabili la responsabilità illimitata del socio "tiranno" con il proprio patrimonio, nonché forme di responsabilità civile e penale), manifestandosi in tale ipotesi la esigenza di tutela delle partecipazioni di minoranza non fittizie o fraudolente. Cass.civ.,sez.I,25gennaio2000,n.804,Giust. civ. Mass. 2000, 133 7968/12 L'art. 2362 c.c., il quale prevede la responsabilità illimitata dell'unico azionista per le obbligazioni sociali, è qualificabile come norma imperativa, cioè sottratta ad ogni possibilità di deroga negoziale, in quanto, con il vietare che detto unico azionista utilizzi l'ente societario come strumento per l'esercizio della impresa individuale, senza gli oneri ad esso conseguenti, è rivolto a tutelare irrinunciabili interessi di ordine generale. Dal carattere imperativo della citata norma discende l'applicabilità degli art. 1343 e 1344 c.c., e, quindi, oltre la nullità, per illiceità della causa, del contratto che violi direttamente la norma medesima, anche la nullità, per frode alla legge, del contratto che si avvalga di una causa lecita per eludere la suddetta responsabilità illimitata (quale la cessione a terzi di un numero esiguo di azioni, al solo fine dell'esonero dalla responsabilità stessa). Cass.civ.,sez.I,17maggio1986,n.3266,Giust. civ. Mass. 1986, fasc. 5 7968/12 L'art. 2362 c.c. è norma eccezionale e come tale non suscettibile di applicazione analogica; d'altra parte con la espressione "appartenenza" il legislatore ha voluto comprendere accanto alla ipotesi in cui la concentrazione in unica mano si realizza attraverso la formale intestazione delle azioni ad un solo socio, anche quelle in cui, attraverso intestazioni fittizie o mezzi fraudolenti, l'appartenenza delle azioni sia mantenuta nelle mani di un socio in realtà unico. Cass.civ.,sez.III,09 maggio1985,n. 2879,Riv. dir. comm. 1986, II,333 7968/12 La responsabilità dell'unico azionista, sia esso persona fisica o persona giuridica, per le obbligazioni sociali, prevista dall'art. 2362 c.c., integra un'eccezionale deroga al principio della responsabilità esclusiva della società di capitali per i propri debiti, la quale postula la mancanza della pluralità dei soci, non sotto il profilo economico, quanto sotto quello giuridico. La suddetta norma, pertanto, non trova applicazione quando le azioni appartengono a due o più soci, realmente e non fittiziamente, mentre resta a tal fine irrilevante l'eventuale posizione dominante di uno dei soci stessi, ancorché essa derivi, per il caso in cui i soci siano a loro volta società, dalla concentrazione in uniche mani delle rispettive azioni. Cass.civ.,sez.I,09dicembre1982,Giust.civ.Mass. 1 982, fasc. 12. 7968/12 L'art. 2362 c.c., sancendo la responsabilità illimitata dell'unico azionista per le obbligazioni sociali relative al tempo in cui egli è stato titolare dell'intero pacchetto azionario, deroga al principio generale della responsabilità limitata previsto dagli art. 2325 e 2472 c.c. e, quindi, non è applicabile analogicamente ad ipotesi diverse da quella prevista, la quale si configura solo quando i soci sono ridotti ad un solo soggetto (o per le stesse risultanze formali o per l'accertamento della presenza meramente fittizia di altri soci), e non quando uno dei soci si trovi in posizione dominante riguardo alla volontà gestionale ed agli effetti patrimoniali della gestione medesima, nè se il pacchetto azionario di una seconda o di altre società risultanti tra i soci sia posseduto totalitariamente dal socio dominante. Cass.civ.,sez.I,07 ottobre 1982,n. 5143,Giust. civ. Mass. 1982, fasc. 9, 7968/12 ARTICOLO 2325 BIS Società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio . [I]. Ai fini dell'applicazione del presente titolo, sono società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio le società con azioni quotate in mercati regolamentati o diffuse fra il pubblico in misura rilevante. [II]. Le norme di questo titolo si applicano alle società con azioni quotate in mercati regolamentati in quanto non sia diversamente disposto da altre norme di questo codice o di leggi speciali. ARTICOLO 2326 Denominazione sociale. [I]. La denominazione sociale, in qualunque modo formata, deve contenere l'indicazione di società per azioni. Sommario:1.-Formazione della denominazione sociale. Giurisprudenza di merito. 2.-Disciplina della denominazione sociale. Giurisprudenza di merito . 1.-Formazione della denominazione sociale. Giurisprudenza di merito.- Il cosiddetto principio di verità della denominazione sociale, in base al quale l'autorità giudiziaria potrebbe rifiutare l'omologazione degli atti sociali che ne comportino la violazione, impone che la denominazione non possa apparire ingannevole per il pubblico, ma non è violato allorché altri vantino diritti sulla denominazione adottata. App. L'Aquila,14 dicembre 1983, Giur. it. 1985, I,2,296. 2.-Disciplina della denominazione sociale. Giurisprudenza di merito- Non è omologabile lo statuto di una società il quale contempli una pluralità di "abbreviazioni" della denominazione sociale. Trib.CasaleMonferrato,05 dicembre 1991,Giur. comm.1992,II,622. Una sola dovendo essere la denominazione sociale, non è omologabile lo statuto sociale che ne contenga più d'una anche in forma abbreviata o sigla. Trib.Udine,11febbraio1998,Riv.Not.1999,1018.C ontra App. Trieste, 29 luglio 1998, Riv.not.,1999,1018. 7968/11162 ARTICOLO 2327 Ammontare minimo del capitale [I]. La società per azioni deve costituirsi con un capitale non inferiore a centoventimila euro. Sommario:1.1.-Novità della riforma. 1.- Non 1.Novità della riforma.- La riforma del 2003 ha elevato la cifra minima del capitale sociale ad euro centoventimila ed ha anche eliminato la prescrizione del valore minimo dell’azione. 1.1.Non necessaria congruità. Giurisprudenza prevalente – Esula al giudice dell'omologazione il sindacato, che sarebbe di merito, circa necessaria congruità. Giurisprudenza consolidata. l'adeguatezza o meno del capitale rispetto all'oggetto sociale. App. Milano,13luglio1996,Riv.Not.,1996 ,1524.C onf. Trib. Cosenza, 21 giugno 1990, Soc., 1990,1386.Contra Trib. Udine, 12 giugno 1982, Foro it., I , 2619. 7968/1044 Articolo 2328 Atto costitutivo. [I]. La società può essere costituita per contratto o per atto unilaterale. [II]. L'atto costitutivo deve essere redatto per atto pubblico e deve indicare: 1) il cognome e il nome o la denominazione, la data e il luogo di nascita o lo Stato di costituzione, il domicilio o la sede, la cittadinanza dei soci e degli eventuali promotori, nonché il numero delle azioni assegnate a ciascuno di essi; 2) la denominazione e il comune ove sono poste la sede della società e le eventuali sedi secondarie; 3) l'attività che costituisce l'oggetto sociale; 4) l'ammontare del capitale sottoscritto e di quello versato; 5) il numero e l'eventuale valore nominale delle azioni, le loro caratteristiche e le modalità di emissione e circolazione; 6) il valore attribuito ai crediti e beni conferiti in natura; 7) le norme secondo le quali gli utili devono essere ripartiti; 8) i benefici eventualmente accordati ai promotori o ai soci fondatori; 9) il sistema di amministrazione adottato, il numero degli amministratori e i loro poteri, indicando quali tra essi hanno la rappresentanza della società; 10) il numero dei componenti il collegio sindacale; 11) la nomina dei primi amministratori e sindaci ovvero dei componenti del consiglio di sorveglianza (3) e, quando previsto, del soggetto al quale è demandato il controllo contabile; 12) l'importo globale, almeno approssimativo, delle spese per la costituzione poste a carico della società; 13) la durata della società ovvero, se la società è costituita a tempo indeterminato, il periodo di tempo, comunque non superiore ad un anno, decorso il quale il socio potrà recedere. [III]. Lo statuto contenente le norme relative al funzionamento della società, anche se forma oggetto di atto separato, costituisce parte integrante dell'atto costitutivo. In caso di contrasto tra le clausole dell'atto costitutivo e quelle dello statuto prevalgono le seconde. Sommario:1. Novità della riforma-1.1Atto costitutivo per persona da nominare. Giurisprudenza di merito 2.Associazioni non riconosciute socie. Giurisprudenza di merito maggioritaria - 2.1.Associazioni non riconosciute socie. Giurisprudenza di merito minoritaria-3.Sede sociale. Giurisprudenza consolidata –4.Oggetto sociale. Casistica. Giurisprudenza di legittimità. –4.1. Oggetto sociale. Casistica. Giurisprudenza di merito -5.Omissione lettura statuto. Giurisprudenza di merito. Primo orientamento. –5.1.Omissione lettura statuto. Giurisprudenza di merito. Secondo orientamento.-6. Elezione domicilio.-7.Arbitrato societario e arbitrato di diritto comune. Giurisprudenza di merito. Primo orientamento. – 7.1. Arbitrato societario e arbitrato di diritto comune. Giurisprudenza di merito. Secondo orientamento. 1.Novità della riforma.- La novità più significativa introdotta dalla riforma del 2003 è la possibilità di costituzione per atto unilaterale della s.p.a.. Altre differenze rispetto alla previgente disciplina sono l’introduzione del principio espresso della prevalenza dell’atto costitutivo sulle norme dello statuto, l’eliminazione della durata della società dall’elenco delle indicazioni necessarie nonché la sufficienza dell’indicazione del solo comune ove è posta la sede sociale. 1.1.Atto costitutivo per persona da nominare. Giurisprudenza di merito – È applicabile al contratto costitutivo di società di capitali l'istituto del contratto per persona da nominare purché vengano rispettate le norme specificamente dirette a disciplinare la costituzione di tale tipo di società. Trib. Milano, 19 giugno 1990, Riv. Not.,1990, 823. 7968/1044 2.Associazioni non riconosciute socie. Giurisprudenza di merito maggioritaria– Le associazioni non riconosciute costituiscono un centro autonomo di imputazione giuridica dotato di una sua soggettività: pertanto, per tale loro peculiarità, esse possono rivestire la qualità di soci fondatori di una società di capitali Trib.Lucca,02febbraio1994,Soc.,1994, 807.Conf. Trib.Roma,04luglio1984,Riv. Not., 1985, 974. 7968/1044 2.1.Associazioni non riconosciute socie. Giurisprudenza di merito minoritaria.- Non è ammissibile, per mancanza di capacità della associazione non riconosciuta di essere socia di una società di capitali, l'omologazione del relativo atto costitutivo. Trib.Bologna,29 novembre 1984,Giur. comm. 1985,II,352. 7968/1044 3.Sede sociale. Giurisprudenza consolidata.- la competenza a dichiarare il fallimento spetta al tribunale del luogo ove l'impresa ha la sua sede principale, ove, cioè, promuove sul piano organizzativo i suoi affari, e tale luogo, di regola, si deve presumere coincidente con quello della sede legale, potendo, tuttavia, siffatta presunzione di coincidenza essere vinta dalla prova del carattere meramente fittizio o formale della sede legale. A tal fine resta irrilevante la circostanza che l'attività imprenditoriale contemplata nell'oggetto sociale si esplichi in luogo diverso dalla sede legale, essendo necessario, per superare l'anzidetta presunzione, dimostrare che in quel diverso luogo si colloca il centro direttivo della società, ove operano i suoi dirigenti, viene tenuta la sua contabilità e normalmente si riuniscono in assemblea i suoi soci. Cass.civ.,sez.I,11marzo2005,n.5391,Giust.ciV.,M ass.2005,3 Conf. Cass.civ.,sez.I, 28marzo1997,n.2795,Giust. civ. Mass. 1997, 494;Cass.civ.,sez.I,28marzo1997,n.2803; Cass.civ.,sez.I,30dicembre1981,n.6780,Giust. civ. Mass. 1981, fasc. 12 7968/1044 Per "sede effettiva", presso la quale effettuare una notifica ai sensi dell'art. 145, c.p.c., deve intendersi, giusta consolidato arresto giurisprudenziale, il luogo in cui hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione della società e dove operano i suoi organi amministrativi o i suoi dipendenti, ossia il luogo deputato o stabilmente utilizzato per l'accentramento dei rapporti interni e con i terzi degli organi ed uffici in vista del compimento degli affari e della propulsione dell'attività della società stessa, non essendo sufficiente il luogo in cui essa abbia un proprio stabilimento e vengano svolte altre attività inerenti l'oggetto sociale. Cons.Stato,sez.IV,17novembre2004,n.7533,Foroa mm.,CDS,2004,3192. Conf. Cass. civ., sez. I, 19aprile1995,n. 4399,Giust. civ. Mass. 1995, 862. Cass.civ.,sez.I,25maggio1982,n.3175,Giust. civ. Mass. 1982, fasc. 5. 7968/1044 A norma degli art. 2328 e 2475 c.c., ai fini dell'iscrizione nel registro delle imprese la sede della società di capitali è esattamente individuata, nell'atto costitutivo (o in una sua modifica) mediante l'indicazione del comune, della via e del numero civico, senza che sussista alcun onere di specificare, altresì, se si tratta di sede "propria" della società o di un recapito, presso un "domiciliatario" (erroneamente, per l'effetto, il tribunale non ordina l'iscrizione nel registro delle imprese di un atto precedente, tra l'altro, il trasferimento della sede di una società a responsabilità limitata perché privo della precisazione se la nuova sede è "propria" o presso un domiciliatario"). App.Brescia,15maggio1991,Giust. civ. 1991, I,1811. 7968/1044 4.Oggetto sociale. Casistica. Giurisprudenza di legittimità - L'oggetto sociale è costituito dall’attività fissata e determinata dalla relativa clausola statutaria, sicchè, ai fini della individuazione, occorre aver riguardo, quando tale clausola non presenti oscurità, esclusivamente al contenuto di questa e non anche ai programmi ed agli atti elaborati e posti in essere dalla società per il raggiungimento del suo scopo e che, attenendo alle modalità di attuzione dell’oggetto sociale, assumono una propria ed autonoma sfera di efficacia, contro la quale, ove essa contrasti con tale oggetto, sono azionabili appositi rimedi, a tutela dei soci. Cass.civ., 13 luglio 1972 7968/1044 4.Oggetto sociale. Casistica. Giurisprudenza di merito - L'oggetto sociale consiste nell'attività d'impresa esercitata dalla società in relazione a quanto denunziato nello statuto sociale, senza che invece possa rilevare l'oggetto "in concreto" attuato dalla società App.Milano,07 Giur. merito aprile 2005, 4, 2004, 849. 7968/1044 Rispetto all'oggetto della società, il rilascio di fideiussioni, qualificabili come atti neutri, costituisce atto estraneo all'oggetto sociale se non corrisponde all'interesse economico della stessa garante, secondo una valutazione che tenga conto di tutti gli elementi sussistenti nel momento in cui l'atto è stato compiuto, in particolare della sua incidenza economica, dell'interesse economico della garante, dell'attività da essa svolta. Trib.Treviso,20 giugno 2002, Giur. it. 2003, 2118 7968/1044 La circostanza che l'oggetto sociale non preveda espressamente la concessione di garanzie non preclude, di per sè, la possibilità di concederle: l'oggetto definisce infatti l'ambito entro il quale la società deve operare, ed è implicito che quest'ultima possa far ricorso al credito e dare altresì le necessarie garanzie per realizzare i propri scopi; ed anche, sussistendone i presupposti, in favore di una società collegata. Trib. Piacenza,09 luglio 2001, Giur. it. 2001, 2092 7968/1044 E’ legittima l'omologazione di una società di capitali che abbia un oggetto sociale eterogeneo, qualora la pluralità delle attività previste non si risolva in un'indeterminatezza dell'oggetto tale da precludere l'operatività delle norme poste a tutela del socio App.Catania,23gennaio1987,Vitanot.1987,805. notaio rogante abbia dato lettura alle parti - ciò che consente al pubblico ufficiale l'indagine della volontà delle parti, la direzione personale della compilazione dell'atto, nonché il controllo della legittimità delle clausole statutarie. App.Roma,11febbraio1997,Giur. it. 1997, I, 2, 494. Conf. App. Roma, 24 luglio 1993, ; App. Bologna, 12 gennaio 1993, 7968/1044 5.1.Omissione lettura statuto. Giurisprudenza di merito. Secondo orientamento. -Poiché, secondo l'espressa disposizione di cui all'art. 2328 c.c., l'atto costitutivo deve redigersi nella forma dell'atto pubblico, esso deve contenere tra l'altro l'indicazione dell'oggetto sociale e delle norme secondo le quali gli utili debbono essere ripartiti; in mancanza - poiché lo statuto allegato non è redatto nelle forme dell'atto pubblico e poiché il dettato normativo secondo il quale lo statuto è considerato parte integrante dell'atto costitutivo deve intendersi riferito alle sole norme relative al funzionamento della società - l'atto costitutivo non è omologabile. App.Roma,09settembre1993,Riv. notariato 1993, 942.Conf. App. Torino, 8 marzo 1982, Giur. Comm., 1983, II, 288 6.Elezione di domicilio. Giurisprudenza di merito – È illegittima la clausola statutaria che elegge come domicilio dei soci, per i loro rapporti con la società, la sede sociale, in quanto non idoneo a garantire la effettiva e concreta conoscibilità della convocazione dell'assemblea da parte di tutti i soci. Trib.Udine,15febbraio1994,Soc.,1994,1073 7968/1044 7968/1044 L'indicazione di attività del tutto eterogenee tra loro, senza la previsione di alcun ordine prioritario, è inidonea a delimitare con sufficiente determinatezza o determinabilità l'oggetto sociale della costituenda società e, ponendosi in palese contrasto con l'art. 2475 n. 3 c.c., impone il rigetto dell'istanza di omologa. Trib.Trani,25maggio1993,Riv. Not.,1993, 934 7968/1044 7.Arbitrato societario e arbitrato di diritto comune. Giurisprudenza di merito. Primo orientamento–Con la riforma del diritto societario (d.lg. n. 5 del 2003) è stato previsto un nuovo modello di arbitrato rituale, endosocietario che si è aggiunto, senza sostituirlo, all'arbitrato di diritto comune disciplinato dal codice di rito. Pertanto, sono valide le clausole che devolvono le controversie societarie ad un arbitrato di diritto comune. Trib.Genova,07marzo2005,Corr.merito,2005, 759 7968/1044 5.Omissione lettura statuto.Giurisprudenza di merito. Primo orientamento. -È omologabile l'atto costitutivo qualora taluno degli "elementi essenziali" tipici dell'atto costitutivo sia indicato esclusivamente nello statuto, a condizione che del medesimo statuto, allegato all'atto costitutivo, il Le norme richiamate dal comma 2 dell'art. 41 d.lg. n. 5 del 2003 (oltre all'art. 223 bis, anche l'art. 223 duodecies disp. att. c.c.) possono trovare applicazione solamente con riguardo alle società di capitali ed alle società cooperative, ma non anche alle società di persone, del tutto estranee alla disciplina del d.lg n. 5 del 2003. Trib.Udine,04novembre2004,Vita not. 2005, 821 Trib.Trento,08aprile2004,Giur. it. 2005, 116.Conf.Trib.Latina,22giugno2004,Soc.,2005,93 ; Trib. Trento, 8 aprile 2004, Soc., 2004, 998. 7968/1044 7968/1044 7.1.Arbitrato societario e arbitrato di diritto comune. Giurisprudenza di merito. Secondo orientamento–L'art. 34 d.lg. n. 5 del 2003 (introduttivo delle nuove clausole compromissorie in tema di arbitrato endosocietario) si estende a tutti i rapporti societari, senza alcuna distinzione tra società di capitali e società di persone (comprese quelle di fatto) e comporta la sopravvenuta nullità della clausola compromissoria contenuta in uno statuto o atto costitutivo societario definiti prima della sua entrata in vigore, allorché detta clausola non preveda che il potere di nomina degli arbitri sia riservato ad un terzo estraneo. La disciplina dell'arbitrato societario introdotta dal d.lg. 17 gennaio 2003 n. 5, si applica anche alle società di persone, ivi comprese quelle di fatto. Articolo 2329 Condizioni per la costituzione. [I]. Per procedere alla costituzione della società è necessario: 1) che sia sottoscritto per intero il capitale sociale; 2) che siano rispettate le previsioni degli articoli 2342, 2343 e 2343-ter relative ai conferimenti; 3) che sussistano le autorizzazioni e le altre condizioni richieste dalle leggi speciali per la costituzione della società, in relazione al suo particolare oggetto. Sommario:1.Natura del negozio di sottoscrizione. Giurisprudenza di legittimità -2.Versamento del venticinque per cento dei conferimenti in denaro 1.Natura del negozio di sottoscrizione. Giurisprudenza di legittimità – Il negozio di sottoscrizione dell'aumento di capitale di una società per azioni ha natura consensuale, e non reale, essendo il versamento dei tre decimi del valore nominale delle azioni sottoscritte, previsto dall'art. 2439 c.c., come quello da effettuare al momento della costituzione della società (art. 2329 n. 2 c.c.) Cass.civ.,sez.I,26gennaio1996,n.611,Soc.,1996,89 2 Conf. Cass. civ.,sez.trib., 19aprile2000,n.5190,Societa',2000,1088 7968/1080 2.Versamento del venticinque per cento dei conferimenti in denaro. Giurisprudenza di legittimità – Il versamento dei tre decimi dei conferimenti in denaro configura presupposto indefettibile per la costituzione di una società per azioni o di una società a responsabilità limitata (quale che sia il modo della costituzione, simultaneo o successivo), e non mero requisito per la sua omologazione. Cass.civ.,sez.III,21aprile1983,n.2745,Giust. civ. Mass. 1983, fasc. 4.Conf. Trib.Bologna,18 gennaio 1990,Riv. Not.,1990, 805. 7968/1080 Articolo 2330 Deposito dell'atto costitutivo e iscrizione della società . [I]. Il notaio che ha ricevuto l'atto costitutivo deve depositarlo entro venti giorni presso l'ufficio del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sede sociale, allegando i documenti comprovanti la sussistenza delle condizioni previste dall'articolo 2329. [II]. Se il notaio o gli amministratori non provvedono al deposito nel termine indicato nel comma precedente, ciascun socio può provvedervi a spese della società. [III]. L'iscrizione della società nel registro delle imprese è richiesta contestualmente al deposito dell'atto costitutivo. L'ufficio del registro delle imprese, verificata la regolarità formale della documentazione, iscrive la società nel registro. [IV]. Se la società istituisce sedi secondarie, si applica l'articolo 2299. Sommario:1.Ambito del controllo notarile e di quello del registro delle imprese. Vizi rilevabili. Giurisprudenza di merito. 1.Ambito del controllo notarile. Giurisprudenza di merito. -La soppressione dell'omologazione giudiziaria abolisce il controllo giudiziario sugli atti soggetti ad iscrizione nel registro delle imprese non li sostituisce con altri tipi di controllo. Il notaio chiamato a redigere l'atto, infatti, non esercita un vero controllo, in senso stretto, in quanto non è soggetto terzo diverso da quello che lo ha rogato, ma ne garantisce soltanto la legittimità; mentre all'ufficio del registro delle imprese è richiesta la sola verifica della regolarità formale della documentazione esibita, all'atto dell'iscrizione della società nei registri. App.Palermo,02aprile2001, Not., 2001, 248 Conf. Trib.Perugia,21giugno2001,Soc., 2002, 219; Trib. Bologna, 24 gennaio 2002, Not. 2002., 296 7968/1044 I vizi rilevabili nel procedimento di omologazione investono non solamente quelli determinanti la nullità dell'atto, bensì anche quelli che ne comportano la mera annullabilità; condizione essenziale è che, tuttavia, questi visi emergano dagli atti sottoposti all'esame del tribunale, sia dalla società che chiede l'omologazione, che dagli eventuali controinteressati che vi si oppongano. Trib.Napoli,28 febbraio 1996,Dir. e giur. 1997, 263 Contra e per la rilevabilità dei soli vizi comportanti la nullità Trib. Milano, 9 maggio 1991, Foro it., 1992,I,1016. 7968/1044 Articolo 2331 Effetti dell'iscrizione . [I]. Con l'iscrizione nel registro la società acquista la personalità giuridica. [II]. Per le operazioni compiute in nome della società prima dell'iscrizione sono illimitatamente e solidalmente responsabili verso i terzi coloro che hanno agito. Sono altresì solidalmente e illimitatamente responsabili il socio unico fondatore e quelli tra i soci che nell'atto costitutivo o con atto separato hanno deciso, autorizzato o consentito il compimento dell'operazione. [III]. Qualora successivamente all'iscrizione la società abbia approvato un'operazione prevista dal precedente comma, è responsabile anche la società ed essa è tenuta a rilevare coloro che hanno agito. [IV]. Le somme depositate a norma del secondo comma dell'articolo 2342 non possono essere consegnate agli amministratori se non provano l'avvenuta iscrizione della società nel registro. Se entro novanta giorni dalla stipulazione dell'atto costitutivo o dal rilascio delle autorizzazioni previste dal numero 3) dell'articolo 2329 l'iscrizione non ha avuto luogo, esse sono restituite ai sottoscrittori e l'atto costitutivo perde efficacia. [V]. Prima dell'iscrizione nel registro è vietata l'emissione delle azioni ed esse, salvo l'offerta pubblica di sottoscrizione ai sensi dell'articolo 2333, non possono costituire oggetto di una offerta al pubblico di prodotti finanziari . Sommario:1. Novità della riforma. -1.1. Derogabilità del secondo comma. Giurisprudenza di legittimità 2.Contemplatio domini. Giurisprudenza di legittimità -3.Operazioni compiute prima della costituzione. Giurisprudenza di legittimità –4.Natura della rappresentanza e suoi effetti. Giurisprudenza di legittimità. – 5. Responsabilità dei rappresentanti successiva all’approvazione. Giurisprudenza di legittimità- 1. Novità della riforma. Il legislatore delegato si è preoccupato soprattutto di regolamentare in manierà particolareggiata la sorte degli atti posti in essere in nome della società prima della sua iscrizione nel registro delle imprese. 1.1.Derogabilità del secondo comma. Giurisprudenza di legittimità – La responsabilità di chi agisce in nome della società per azioni prima dell'iscrizione è esclusa, sia quando i terzi con apposita convenzione subordinano l'efficacia degli impegni assunti nei loro riguardi al sorgere della società, sia quando le operazioni per loro natura hanno un senso solo se effettuate nel corso dell'attività sociale. Cass.civ.,sez.I,07 luglio 1989,n. 3228,Giust. civ. 1990, I,1069 7968/1044 2.Contemplatio domini. Giurisprudenza di legittimità – Per il disposto dell'art. 2331 c.c. nel caso di società non ancora iscritta nel registro delle imprese e quindi non ancora dotata di personalità giuridica, la illimitata e solidale responsabilità verso i terzi di coloro che hanno agito presuppone che si tratti di operazioni compiute in nome della società stessa prima della sua iscrizione, onde la norma non può trovare applicazione in caso di operazioni poste in essere senza alcun riferimento alla costituenda società. Cass.civ.,sez.II,15giugno1999,n.5915,Giust. civ., Mass.1999,1387. 7968/1044 Cass.civ.,sez.I,15novembre1993,n.11278,Riv. giur. Sarda 1995, 288 Conf. Cass. civ., sez. II, 05maggio1989,n. 2127,Giust. civ. Mass. 1989, fasc.5, Riv. notariato 1989, 930;Cass. civ., sez. I, 29marzo1991,n.3435,Giust. civ. Mass. 1991, fasc. 3. 7968/1044 Il contratto concluso dal rappresentante senza poteri in nome di una costituenda società di capitali non è nè nullo, nè annullabile, nè esprime mere proposte contrattuali, ma è solo inefficace nei confronti della società, fino a che questa non venga ad esistenza e non lo ratifichi, mediante volontà manifestata dai suoi organi competenti (espressamente, od anche tacitamente, come nel caso di azione promossa per l'esecuzione del contratto stesso). Cass.civ.,sez.II,05maggio1989,n.2127,Riv. Not., 1989, 930 7968/1044 3.Operazioni compiute prima della costituzione. Giurisprudenza di legittimità La norma dell'art. 2331 comma 2 c.c. che si riferisce alle operazioni compiute in nome della società già costituita, è applicabile, in via analogica, anche al caso di operazioni poste in essere prima della costituzione della società. Cass.civ.,sez.I,07luglio1989,n. 3228,Giust. civ. 1990, I,1069 7968/1044 5. Responsabilità dei rappresentanti successiva alla approvazione. Giurisprudenza di legittimità- Coloro i quali contraggono obbligazioni in nome di una costituenda società di capitali assumono responsabilità personale e diretta, la quale permane, salvo patto contrario, anche quando la società abbia conseguito la personalità giuridica e ratificato le operazioni compiute anteriormente in suo nome. Cass.civ.,sez.I,06settembre1996,n.8127,Not., 1997, 534 Conf. Cass.civ.,sez.III, 12novembre2004,n. 21520,Giust. civ. Mass. 2004, 11 7968/1044 4.Natura della rappresentanza e suoi effetti. Giurisprudenza di legittimità - Colui che agisce in nome di una società di capitali prima dell'iscrizione di questa nel registro delle società è qualificabile come "falsus procurator" ed incorre perciò nella responsabilità prevista dall'art. 1398 c.c. La società di capitali, acquisita la personalità giuridica per effetto della iscrizione, può ratificare anche per "facta concludentia" gli atti posti in essere dal rappresentante senza poteri. Gli effetti prodotti dalla ratifica di un contratto stipulato dal rappresentante di una società di capitali non ancora iscritta retroagiscono sino al momento della stipulazione del contratto di società ma non sono riferibili a negozi posti in essere in un periodo precedente, attesa l'impossibilità, per il rappresentante senza poteri di spendere il nome di un soggetto non ancora venuto in esistenza. 6.Ratio del divieto dell’emissione delle azioni prima dell’iscrizione. Giurisprudenza di legittimità - È nullo, ai sensi dell'art. 2331, comma 3, c.c., il trasferimento della partecipazione societaria relativa ad una società per azioni non ancora iscritta al Registro delle imprese, atteso che, sino a quando non esiste la società persona giuridica, non può neppure logicamente configurarsi una partecipazione sociale. Cass.civ.,sez.I,16giugno1990,n.6080,Giust.civ.Ma ss.1990,fasc.6 7968/1044 ARTICOLO 2332 Nullità della società. [I]. Avvenuta l'iscrizione nel registro delle imprese, la nullità della società può essere pronunciata soltanto nei seguenti casi: 1) mancata stipulazione dell'atto costitutivo nella forma dell'atto pubblico; 2) illiceità dell'oggetto sociale; 3) mancanza nell'atto costitutivo di ogni indicazione riguardante la denominazione della società, o i conferimenti, o l'ammontare del capitale sociale o l'oggetto sociale. [II]. La dichiarazione di nullità non pregiudica l'efficacia degli atti compiuti in nome della società dopo l'iscrizione nel registro delle imprese. [III]. I soci non sono liberati dall'obbligo di conferimento fino a quando non sono soddisfatti i creditori sociali. [IV]. La sentenza che dichiara la nullità nomina i liquidatori. [V]. La nullità non può essere dichiarata quando la causa di essa è stata eliminata e di tale eliminazione è stata data pubblicità con iscrizione nel registro delle imprese. [VI]. Il dispositivo della sentenza che dichiara la nullità deve essere iscritto, a cura degli amministratori o dei liquidatori nominati ai sensi del quarto comma, nel registro delle imprese. Sommario:1. Novità della riforma.-1.1.Illiceità dell’oggetto sociale. Giurisprudenza di legittimità -2. Effetti della nullità. Giurisprudenza di legittimità. -3. Simulazione. Giurisprudenza di legittimità 1.Novità della riforma. La riforma del 2003 ha ulteriormente ridotto le cause di nullità, esplicitando, in tal modo, un certo favor per quelle società che hanno già iniziato a stringere rapporti contrattuali con i terzi pur presentando atti costitutivi affetti da vizi. Contra Cass.civ.,sez.III,01 dicembre 8939,Giur. comm. 1988, II,495 7968/1092 1.1.Illiceità dell’oggetto sociale. Giurisprudenza di legittimità – L'illiceità dell'oggetto sociale, ai fini della declaratoria di nullità della società per azioni ai sensi dell'art. 2332 n. 4 comma 1 c.c., va valutata con esclusivo riferimento al dato formale emergente dallo statuto e dall'atto costitutivo, potendo risultare oggetto dell'accertamento giudiziale solo i vizi genetici dell'ente e non le anomalie che attengono a scelte successive degli amministratori e che possono semmai rilevare come fonte di eventuale responsabilità per costoro. Con riguardo alla declaratoria di nullità della società per azioni, la particolare disciplina prevista dall'art. 2332 c.c. non osta all'applicazione dei principi di diritto comune in tema di nullità contrattuale, con la conseguenza che deve essere considerato legittimato ad esperire la relativa azione qualsiasi terzo che vi abbia un concreto interesse secondo il principio espresso dall'art. 1421 c.c. App. Milano,15febbraio1994,Soc. 1994, 625. 7968/1092 2.Effetti della nullità. Giurisprudenza di legittimità – In tema di nullità del contratto di società, il comma ultimo dell'art. 2332 c.c. in base al quale la nullità non può essere dichiarata quando sia stata eliminata per effetto di una Con riguardo ad una società per azioni nata per l'acquisto, la vendita, la gestione e la costruzione di immobili, la semplice inesecuzione dello scopo sociale indicato nell'atto costitutivo non basta ad integrare la prova della simulazione di tale atto, essendo a tal fine necessario dimostrare che l'inattuazione dello scopo sociale è preordinata da tutte le parti dell'accordo simulatorio. modificazione dell'atto costitutivo iscritta nel registro delle imprese - non osta, ove difetti detta sanatoria, all'applicabilità, in presenza di una clausola nulla che non infici l'intero contratto, del principio di cui all'art. 1419 c.c. per effetto del quale il negozio rimane valido con l'esclusione della clausola nulla. Cass.civ.,sez.II,14maggio1992,n.5735,Giur.comm .,1993,II,461. Conf. Trib. Monza, 29 gennaio 1982, Giur. Comm., 1983,II, 125 7968/1092 3.Simulazione. Giurisprudenza di legittimità Non è configurabile la simulazione di una società di capitali iscritta nel registro delle imprese, stante il carattere tassativo delle cause di nullità previste dall'art. 2332 c.c. Cass.civ.,sez.I.28 aprile 1997,n. 3666 Riv. dir. comm. 1997, II, 257. Conf. Cass.civ.,sez.I,17novembre1992,,n.12302;App.Ge nova, 13 dicembre 1997, Vita not., 1998, 1655. Cass.civ., sez.I,09luglio1994,n.6515,Giust. Mass. 1994, 947. 7968/1092 1987,n. civ. ARTICOLO 2333 Programma e sottoscrizione delle azioni . [I]. La società può essere costituita anche per mezzo di pubblica sottoscrizione sulla base di un programma che ne indichi l'oggetto e il capitale, le principali disposizioni dell'atto costitutivo e dello statuto, l'eventuale partecipazione che i promotori si riservano agli utili e il termine entro il quale deve essere stipulato l'atto costitutivo. [II]. Il programma con le firme autenticate dei promotori, prima di essere reso pubblico, deve essere depositato presso un notaio. [III]. Le sottoscrizioni delle azioni devono risultare da atto pubblico o da scrittura privata autenticata. L'atto deve indicare il cognome e il nome o la denominazione, il domicilio o la sede del sottoscrittore, il numero delle azioni sottoscritte e la data della sottoscrizione. ARTICOLO 2334 Versamenti e convocazione dell'assemblea dei sottoscrittori . [I]. Raccolte le sottoscrizioni, i promotori, con raccomandata o nella forma prevista nel programma, devono assegnare ai sottoscrittori un termine non superiore a trenta giorni per fare il versamento prescritto dal secondo comma dell'articolo 2342. [II]. Decorso inutilmente questo termine, è in facoltà dei promotori di agire contro i sottoscrittori morosi o di scioglierli dall'obbligazione assunta. Qualora i promotori si avvalgano di quest'ultima facoltà, non può procedersi alla costituzione della società prima che siano collocate le azioni che quelli avevano sottoscritte. [III]. Salvo che il programma stabilisca un termine diverso, i promotori, nei venti giorni successivi al termine fissato per il versamento prescritto dal primo comma del presente articolo, devono convocare l'assemblea dei sottoscrittori mediante raccomandata, da inviarsi a ciascuno di essi almeno dieci giorni prima di quello fissato per l'assemblea, con l'indicazione delle materie da trattare. ARTICOLO 2335 Assemblea dei sottoscrittori. [I]. L'assemblea dei sottoscrittori: 1) accerta l'esistenza delle condizioni richieste per la costituzione della società; 2) delibera sul contenuto dell'atto costitutivo e dello statuto; 3) delibera sulla riserva di partecipazione agli utili fatta a proprio favore dai promotori; 4) nomina gli amministratori ed i sindaci ovvero i componenti del consiglio di sorveglianza e, quando previsto, il soggetto cui è demandato il controllo contabile. [II]. L'assemblea è validamente costituita con la presenza della metà dei sottoscrittori. [III]. Ciascun sottoscrittore ha diritto a un voto, qualunque sia il numero delle azioni sottoscritte, e per la validità delle deliberazioni si richiede il voto favorevole della maggioranza dei presenti. [IV]. Tuttavia per modificare le condizioni stabilite nel programma è necessario il consenso di tutti i sottoscrittori. ARTICOLO 2336 Stipulazione e deposito dell'atto costitutivo. [I]. Eseguito quanto è prescritto nell'articolo precedente, gli intervenuti all'assemblea, in rappresentanza anche dei sottoscrittori assenti, stipulano l'atto costitutivo, che deve essere depositato per l'iscrizione nel registro delle imprese a norma dell'articolo 2330. ARTICOLO 2337 Promotori . [I]. Sono promotori coloro che nella costituzione per pubblica sottoscrizione hanno firmato il programma a norma del secondo comma dell'articolo 2333. ARTICOLO 2338 Obbligazioni dei promotori. [I]. I promotori sono solidalmente responsabili verso i terzi per le obbligazioni assunte per costituire la società. [II]. La società è tenuta a rilevare i promotori dalle obbligazioni assunte e a rimborsare loro le spese sostenute, sempre che siano state necessarie per la costituzione della società o siano state approvate dall'assemblea. [III]. Se per qualsiasi ragione la società non si costituisce, i promotori non possono rivalersi verso i sottoscrittori delle azioni. ARTICOLO 2339 Responsabilità dei promotori. [I]. I promotori sono solidalmente responsabili verso la società e verso i terzi: 1) per l'integrale sottoscrizione del capitale sociale e per i versamenti richiesti per la costituzione della società; 2) per l'esistenza dei conferimenti in natura in conformità della relazione giurata indicata nell'articolo 2343; 3) per la veridicità delle comunicazioni da essi fatte al pubblico per la costituzione della società. [II]. Sono del pari solidalmente responsabili verso la società e verso i terzi coloro per conto dei quali i promotori hanno agito. ARTICOLO 2340 Limiti dei benefici riservati ai promotori . [I]. I promotori possono riservarsi nell'atto costitutivo, indipendentemente dalla loro qualità di soci, una partecipazione non superiore complessivamente a un decimo degli utili netti risultanti dal bilancio e per un periodo massimo di cinque anni. [II]. Essi non possono stipulare a proprio vantaggio altro beneficio ARTICOLO 2341 Soci fondatori . [I]. La disposizione del primo comma dell'articolo 2340 si applica anche ai soci che nella costituzione simultanea o in quella per pubblica sottoscrizione stipulano l'atto costitutivo. Sezione III bis DEI PATTI PARASOCIALI 2341 bis. Patti parasociali (1). [I]. I patti, in qualunque forma stipulati, che al fine di stabilizzare gli assetti proprietari o il governo della società: a) hanno per oggetto l'esercizio del diritto di voto nelle società per azioni o nelle società che le controllano; b) pongono limiti al trasferimento delle relative azioni o delle partecipazioni in società che le controllano; c) hanno per oggetto o per effetto l'esercizio anche congiunto di un'influenza dominante su tali società, non possono avere durata superiore a cinque anni e si intendono stipulati per questa durata anche se le parti hanno previsto un termine maggiore; i patti sono rinnovabili alla scadenza. [II]. Qualora il patto non preveda un termine di durata, ciascun contraente ha diritto di recedere con un preavviso di centottanta giorni (2). [III]. Le disposizioni di questo articolo non si applicano ai patti strumentali ad accordi di collaborazione nella produzione o nello scambio di beni o servizi e relativi a società interamente possedute dai partecipanti all'accordo. (1) V. nota al Capo V. (2) V. Avviso di rettifica in G.U. 4 luglio 2003, n. 153. Sommario: 1. Introduzione. - 2. La durata dei patti parasociali nell'esperienza ante Riforma. Giurisprudenza contrastante.- 3. La natura dei patti parasociali. Giurisprudenza consolidata. - 4. L'oggetto dei patti parasociali. Giurisprudenza consolidata. - 5. La forma delle intese parasociali. Giurisprudenza consolidata.- 6. L'invalidità dei patti parasociali. Giurisprudenza consolidata. 1. Introduzione. - L'articolo in esame, come introdotto dalla Riforma, omette di fornire una compiuta definizione di patto parasociale e si limita a disciplinare la durata e gli obblighi di pubblicità imposti ai paciscenti. 2. La durata dei patti parasociali nell'esperienza ante Riforma. Giurisprudenza contrastante.- In tema di contratti cosiddetti "parasociali", il patto in virtù del quale alcuni soci di una S.p.A. si vincolino a fare sì che coloro che detengono le partecipazioni azionarie, in loro possesso all'atto della conclusione del patto, abbiano e conservino la possibilità di designare un certo numero di amministratori e di sindaci della società, non è nullo, pur essendo a tempo indeterminato, non implicando una limitazione alle possibilità del socio di esercitare liberamente il proprio diritto di voto in assemblea, e potendo, quanto al rapporto meramente obbligatorio da esso derivante, essere in ogni tempo oggetto di recesso unilaterale da parte del socio firmatario. Cass. civ., 23 novembre 2001, n. 14865, Giust. civ. Mass. 2001, 2004, Società 2002, 431, Riv. notariato 2002, 1047, Arch. civ. 2002, 1059, Giur. comm. 2002, II, 666, Riv. dottori comm. 2003, 111. (8004/18). L'esigenza di evitare la durata indeterminata o eccessiva del vincolo parasociale deve essere soddisfatta tramite il riconoscimento dell'applicabilità ai patti parasociali a tempo indeterminato od eccessivo, dell'istituto del recesso unilaterale ad nutum, con obbligo di preavviso. App.Milano, 24 luglio 1998, Giur. it. 1998, 2336. (8004/18). Contrariamente a quanto sopra è stato ritenuto che i patti parasociali con durata indeterminata non ragionevolmente contenuta devono considerarsi invalidi, non potendo essere giudicati meritevoli di tutela ai sensi dell'art. 1322, comma 2, c.c. App. Roma, 24 gennaio 1991, Giur. it. 1991, I, 2, 241. (8004/18). 3. La natura dei patti parasociali. Giurisprudenza consolidata. - I patti di sindacato sono accordi atipici volti a disciplinare, tra i soci contraenti ed in via meramente obbligatoria, con conseguenze meramente risarcitorie, i rapporti interni fra di essi. Cass. civ., 5 marzo 2008, n. 5963, Giust. civ. Mass. 2008, 3, 365, Riv. notariato 2009, 2, 460. (8004/18). I patti parasociali (e, in particolare, i cosiddetti sindacati di voto) sono, nella loro composita tipologia (che non consente, pertanto, la riconduzione ad uno schema tipico unitario), accordi atipici, volti a disciplinare, in via meramente obbligatoria tra i soci contraenti, il modo in cui dovrà atteggiarsi, su vari oggetti (nella specie, circa la nomina di amministratori societari), il loro diritto di voto in assemblea. Il vincolo che discende da tali patti opera, pertanto, su di un terreno esterno a quello dell'organizzazione sociale (dal che, appunto, il loro carattere "parasociale" e, conseguentemente, l'esclusione della relativa invalidità "ipso facto"), sicché non è legittimamente predicabile, al riguardo, nè la circostanza che al socio stipulante sia impedito di determinarsi autonomamente all'esercizio del voto in assemblea, nè quella che il patto stesso ponga in discussione il corretto funzionamento dell'organo assembleare (operando il vincolo obbligatorio così assunto non dissimilmente da qualsiasi altro possibile motivo soggettivo che spinga un socio a determinarsi al voto assembleare in un certo modo), poiché al socio non è in alcun modo impedito di optare per il non rispetto del patto di sindacato ogni qualvolta l'interesse ad un certo esito della votazione assembleare prevalga sul rischio di dover rispondere dell'inadempimento del patto. Cass. civ., 23 novembre 2001, n. 14865, Dir. fall. 2002, 210. (8004/18). Il patto parasociale ha una efficacia meramente obbligatoria, come tale non opponibile alla società nè idoneo ad incidere sulla validità delle delibere assembleari ma solo ai soci tra i quali è intercorso e che possono essere chiamati anche a rispondere dei danni che eventualmente dalla violazione del patto alcuni di essi assumano aver subito. Trib. Nocera Inferiore, 19 giugno 2006. (8004/18). 4. L'oggetto dei patti parasociali. Giurisprudenza consolidata. – Si deve riconoscere natura parasociale anche al patto cui partecipino soggetti non soci ogni qual volta l'oggetto dell'accordo verta sull'esercizio da parte dei soci di diritti, facoltà o poteri loro spettanti nella società. Cass. civ., sez. I, 18 luglio 2007, n. 15963, Giust. civ. Mass. 2007, 9, Giust. civ. 2008, 12, 2918. (8004/18). Rientrano nella categoria dei patti parasociali comunemente definiti sindacati di gestione gli accordi con cui i soci si impegnano a fare in modo che gli amministratori nominati grazie ai loro voti si conformino a pattuizioni riguardanti la gestione societaria, replicandole nelle sedi opportune e dandovi esecuzione: in tali ipotesi i soci non svolgono alcuna attività gestoria all'interno della società e le loro pattuizioni possono essere attuate soltanto se e quando siano recepite ed attuate autonomamente dagli organi preposti della società. Trib. Milano, 2 luglio 2001, Giur. it. 2002, 562. (8004/18). È da considerarsi valido il sindacato di voto con il quale il socio si impegna ad esercitare il voto personalmente o tramite comune mandatario secondo le indicazioni della maggioranza degli aderenti al patto, purché simile patto risponda ad un criterio di meritevolezza sia generale che speciale (interesse sociale) e sia contenuto in circoscritti limiti di tempo e oggetto. È invalido il sindacato di voto (ad efficacia c.d. reale) che delega, con mandato irrevocabile, l'esercizio del diritto di voto, secondo le direttive della maggioranza dei sottoscrittori, alla società fiduciaria depositaria delle azioni sindacate, in quanto in contrasto con le norme a tutela del diritto di voto e del corretto funzionamento dell'assemblea. Trib. Milano, 28 marzo 1990, Giur. it. 1990, I, 2, 337. (8004/18). 5. La forma delle intese parasociali. Giurisprudenza consolidata. – La norma riformata si è allineata alla giurisprudenza per cui i patti parasociali possono essere conclusi anche oralmente o per fatti concludenti, e la cui esistenza dimostrata anche a mezzo di presunzioni. App. Milano, 28 febbraio 2003, Giur. it. 2003, 1875. (8004/18). 6. L'invalidità dei patti parasociali. Giurisprudenza consolidata. - Non è legittimamente predicabile né la circostanza che al socio stipulante sia impedito di determinarsi autonomamente all'esercizio del voto in assemblea, né quella che il patto stesso ponga in discussione il corretto funzionamento dell'organo assembleare o la formazione del capitale (operando il vincolo obbligatorio così assunto non dissimilmente da qualsiasi altro possibile motivo soggettivo che spinga un socio a determinarsi al voto assembleare o alla gestione della partecipazione in un certo modo), poiché al socio non è impedito di scegliere il non rispetto del patto di sindacato ogni qualvolta l'interesse ad un certo esito della votazione assembleare o proprio atto negoziale prevalga sul rischio di dover rispondere dell'inadempimento del patto. Cass. civ., sez. I, 5 marzo 2008, n. 5963. (8004/18). È valido l'accordo negoziale stipulato tra soci e terzi avente ad oggetto la ricapitalizzazione di una società a responsabilità limitata e la sua trasformazione in società per azioni anche se la delibera societaria possa astrattamente ritenersi viziata perché assunta sulla base di una situazione patrimoniale non corrispondente a quella reale. I patti parasociali, in quanto destinati a disciplinare convenzionalmente l'esercizio di diritti e facoltà dei soci, non sono vietati e possono essere stipulati non solo tra soci ma anche tra soci e terzi. Pur essendo vincolanti esclusivamente tra le parti contraenti e non potendo incidere direttamente sull'attività sociale, i patti parasociali devono ritenersi illegittimi solo quando il contenuto dell'accordo si ponga in contrasto con norme imperative o sia idoneo a consentire l'elusione di norme o principi generali dell'ordinamento inderogabili ma non quando sia destinato a realizzare un risultato pienamente consentito dall'ordinamento. Cass. civ., sez. I, 18 luglio 2007, n. 15963, Giust. civ. Mass. 2007, 9, Giust. civ. 2008, 12, 2918. (8004/18). E' correttamente motivata la sentenza con la quale, pur ravvisandosi un collegamento negoziale tra il contratto preliminare di cessione delle quote sociali, concluso tra i soci di maggioranza di una società ed un terzo, anche per persona da nominare, ed un patto parasociale con cui il terzo si era impegnato ad accettare l'opzione di cessione delle quote di un socio di minoranza, si è ritenuto che tale obbligo non fosse venuto meno per il fatto che le quote di maggioranza erano state intestate ad un soggetto diverso dal promittente acquirente, in quanto il patto parasociale costituiva un regolamento contrattuale autonomo e distinto dal preliminare, che individuava l'obbligato all'acquisto proprio nella persona del promittente. Cass. civ., sez. I, 5 giugno 2007, n. 13164, Giust. civ. Mass. 2007, 6. (8004/18). Il patto con il quale i soci di una s.r.l. si impegnano nei confronti di un terzo, socio uscente ed ex amministratore unico della società, a non deliberare l'azione sociale di responsabilità nei confronti dello stesso, abdicando al diritto di voto pur in presenza dei presupposti dell'indicata azione, è affetto da nullità, in quanto il contenuto della pattuizione realizza un conflitto di interessi tra la società ed i soci fattisi portatori dell'interesse del terzo ed integra una condotta contraria alle finalità inderogabilmente imposte dal modello legale della società, non potendo i soci non solo esercitare, ma neanche vincolarsi negozialmente ad esercitare il diritto di voto in contrasto con l'interesse della società a nulla rilevando che il patto in questione riguardi tutti i soci della società nè che la compagine sociale sia limitata a due soci aventi tra loro convergenti interessi (nella specie, coniugi). Cass. civ., 27 luglio 1994, n.7030, Giust. civ. Mass. 1994, 1019. (8004/18). E' nullo l'accordo intervenuto tra tutti i soci di una società di capitali per la distribuzione tra loro dell'intero patrimonio dell'ente (Cass. civ., 22 dicembre 1969, n. 4023 (8004/18)), ovvero del contratto con cui i soci, in qualità anche di amministratori e liquidatori, si impegnino reciprocamente a svendere i beni sociali per un prezzo irrisorio, in favore di terzi ovvero di loro stessi, in contrasto con le norme imperative che disciplinano lo scioglimento e la liquidazione. Cass. civ., 22 dicembre 1989, n. 5778, Giust. civ. Mass. 1989, fasc. 12. (8004/18). La validità dei patti parasociali è subordinata alla condizione che non risultino pregiudicati gli interessi della società o vincolata la volontà dell'assemblea. Cass. civ., 20 ottobre 1969, n. 3423. Sono incontestabilmente e radicalmente nulli i patti parasociali i quali, nel caso di mancato accordo tra i partecipanti su decisioni da adottare in conformità al patto, rimettano la decisione stessa ad un collegio di esperti: e così a maggior ragione quelle pattuizioni per cui i soci, spogliandosi del possesso delle azioni, le trasferiscano fiduciariamente a un terzo cui, dando al vincolo i caratteri della realità, sia conferito mandato irrevocabile di votare in determinate assemblee secondo le istruzioni congiunte degli appartenenti al sindacato e, in difetto di accordo, di astenersi dal voto. App. Roma, 24 gennaio 1991, Giur. it. 1991, I, 2, 241. (8004/18). È valido il patto parasociale comportante l'obbligo di votare in assemblea conformemente alle decisioni prese a maggioranza (per teste) dei partecipanti all'accordo prima della delibera assembleare. Trib. Genova, 8 luglio 2004, Società 2004, 1265, Banca borsa tit. cred. 2006, 2, 236. (8004/18). Il patto parasociale con il quale il socio maggioritario di una s.n.c. nel contratto preliminare di alienazione di una quota della società promette all'acquirente di conferirgli in esclusiva l'amministrazione della società non è efficace nei confronti dei soci che non lo hanno sottoscritto, nè nei confronti della società, trattandosi di negozio autonomo rispetto a quello societario, nè è esperibile un'azione ex art. 2932 c.c., per ottenere una sentenza che produca gli effetti delle obbligazioni inadempiute. Trib. Napoli, 18 febbraio 1997, Società 1997, 935, Riv. notariato 1997, fasc. 6. (8004/18). La sopraggiunta indisponibilità, conseguente ad un provvedimento di sequestro giudiziario, di una delle partecipazioni azionarie aderenti ad un sindacato di voto, determina la nullità dell'intero patto parasociale per difetto sopravvenuto di causa se si dimostra l'essenzialità della partecipazione medesima. Trib. Milano, 28 marzo 1990, Giur. it. 1990, I, 2, 337. (8004/18). 2341 ter. Pubblicità dei patti parasociali (1). – [I]. Nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio i patti parasociali devono essere comunicati alla società e dichiarati in apertura di ogni assemblea. La dichiarazione deve essere trascritta nel verbale e questo deve essere depositato presso l'ufficio del registro delle imprese. [II]. In caso di mancanza della dichiarazione prevista dal comma precedente i possessori delle azioni cui si riferisce il patto parasociale non possono esercitare il diritto di voto e le deliberazioni assembleari adottate con il loro voto determinante sono impugnabili a norma dell'articolo 2377. (1) V. nota al Capo V. Articolo 2342.Conferimenti . [I]. Se nell'atto costitutivo non è stabilito diversamente, il conferimento deve farsi in danaro. [II]. Alla sottoscrizione dell'atto costitutivo deve essere versato presso una banca almeno il venticinque per cento dei conferimenti in danaro o, nel caso di costituzione con atto unilaterale, il loro intero ammontare. [III]. Per i conferimenti di beni in natura e di crediti si osservano le disposizioni degli articoli 2254 e 2255. Le azioni corrispondenti a tali conferimenti devono essere integralmente liberate al momento della sottoscrizione. [IV]. Se viene meno la pluralità dei soci, i versamenti ancora dovuti devono essere effettuati entro novanta giorni. [V]. Non possono formare oggetto di conferimento le prestazioni di opera o di servizi. Sommario:1.Natura del contratto di sottoscrizione. Giurisprudenza consolidata- 2.Non necessaria espropriabilità dei beni conferiti. Giurisprudenza consolidata.- 3.Conferibilità dei diritti reali di godimento. Giurisprudenza amministrativa- 4.Conferibilità del know-how. Giurisprudenza maggioritaria.- 5. Conferimento dell’azienda. Giurisprudenza di legittimità.-5.1….e del suo avviamento. Giurisprudenza di merito.-6. Conferimento di crediti. Giurisprudenza di merito 7.-Compensazione. Giurisprudenza di legittimità - 8. Titoli di stato. 1.Natura del contratto di sottoscrizione. Giurisprudenza consolidata. La 4.Conferibilità del know-how. Giurisprudenza maggioritaria. - Qualora reintegrazione del capitale di una società in caso di perdite, postula nuovi conferimenti, che possono essere effettuati dai vecchi, come da nuovi soci nel caso in cui i primi abbiano rinunciato all'esercizio del diritto d'opzione o siano stati, per altro verso, privati della possibilità di esercitare tale diritto. L'operazione - che richiede il concorso della volontà della società (manifestata attraverso la delibera di emissione delle nuove azioni) e dei soci (espressa con la sottoscrizione delle azioni emesse) - si configura come "contratto consensuale". Deve quindi ritenersi che essa si perfezioni per effetto del consenso legittimamente manifestato dalle parti, e che - conseguentemente - il versamento del prezzo di emissione rilevi quale adempimento di un impegno contrattuale già assunto, e non già quale elemento integrante della fattispecie costitutiva. Cass.civ.,sez.trib.,19aprile2000,n.5190,Giust. civ. Mass. 2000, 858. vengano acquistati da una società per azioni a titolo oneroso i cosiddetti diritti di Know-how, essi vanno iscritti nelle poste attive del bilancio, ai sensi dell'art. 2424 n. 5 c.c., e stimati per un valore non superiore al prezzo d'acquisto o di costo, secondo la previsione dell'art. 2425 n. 3 c.c. (nonché in conformità della quarta direttiva Cee, art. 9 e 10, punto C), tenuto conto che i diritti medesimi, nella indicata ipotesi di trasferimento, si traducono in un distinto bene economico, relativo ad un'immobilizzazione di tipo immateriale e derivante da un rapporto qualificabile come concessione. Cass.civ.,sez.I,27febbraio1985,n. 1699,Dir. e prat. trib. 1985, II,1337. Conforme. Cass.civ., sez. I,28 gennaio 1992,n. 659,sez. I, Giur it 92 I ,1021. 7968/984 individuale conferita in società di capitali estraneo alle ipotesi previste dall'art. 2498 c.c., configura un conferimento in natura con l'acquisto della posizione di socio da parte del titolare dell'azienda. Indefettibile presupposto per l'operatività di detta norma è infatti l'esistenza di una società sia pure irregolare, da trasformare in altra di tipo legale, mentre il conferimento in società di una azienda equivale ad una cessione di azienda in favore della società conferitaria con la conseguenza che quanto ai debiti dell'azienda medesima anteriori al trasferimento, trova applicazione l'art. 2560 c.c., secondo cui il cedente non è liberato se non risulta che i creditori vi abbiano consentito, onde cedente e cessionario siano responsabili in via solidale verso i terzi creditori. Cass.civ.,sez.I,21dicembre1998,n.12739,Riv. Not., 1999, 1306.Conforme Cass. 2001,n. 3052, Soc 01, 802; Cass 1998, n. 12739, riv. Not., 1999, 1306. Cass, 1993, 9802, giust. Civ., 1994, I, 992. 2.Non necessaria espropriabilità dei beni conferiti. Giurisprudenza consolidata. - In tema di società di capitali, nella ipotesi di sottoscrizione di un aumento del capitale sociale, l'oggetto del conferimento, da parte del socio, non deve, necessariamente, identificarsi in un bene suscettibile di espropriazione forzata, bensì in una res dotata di consistenza economica. Cass.civ.,sez.I,05febbraio1996,n.738,Riv. Not., 1996, 618 anche in Foro it. 1996, I,2490, Soc. 1996,782.Conforme App. Roma, 3 settembre 2002, Soc. 2003, 41; App. Trento, 16 marzo 1999, Soc. 1999, 1077. 7968/984 3.Conferibilità dei diritti reali di godimento. Giurisprudenza amministrativa- I conferimenti di beni in natura delle società per azioni hanno ad oggetto sia il trasferimento della proprietà dei beni, sia il solo godimento di essi. Cons.Stato,sez.II,24aprile1997,n.773,ForoAmm.1 998,11-12. 7968/984 7968/984 5.Conferimento d’azienda. Giurisprudenza di legittimità. - Il fenomeno di una azienda 7968/984 5.1….e del suo .Giurisprudenza di merito. avviamento La questione della conferibilità in una società per azioni (nel caso una società mista costituita per gestire il servizio farmaceutico) del diritto di costituibilità e gestire una sede farmaceutica va risolta unicamente accertando la iscrivibilità o meno di tale diritto nell'attivo dello stato patrimoniale della società stessa. Nel caso di specie, l'iscrivibilità di tale voce - e così il conferimento del diritto in questione - deve essere negata sia in astratto, in quanto tale diritto non potrebbe trovare collocazione in alcuna delle voci tassativamente previste nell'art. 2424 c.c., sia in concreto perché anche volendo assimilare questa voce a quella dell' avviamento (e ben si potrebbe procedere in tale modo considerato che nella stima dell' avviamento può trovare utile valutazione la circostanza che l'esercizio di azienda farmaceutica è retto da regime concessorio che impedisce il sorgere di altre aziende farmaceutiche nel bacino di utenza dell'esercizio) nel caso di specie il comune in questione non ha mai costituito, e dunque gestito, un'azienda farmaceutica che, pertanto, non può avere un avviamento (e, dunque, una entità iscrivibile in bilancio). App.Trento,25marzo1999,Rass. dir. farmaceutico 1999, 912. 7968/984 6.Compensazione.Giurisprudenza di legittimità. In tema di società di capitali, nella ipotesi di sottoscrizione di un aumento del capitale sociale, l'oggetto del conferimento, da parte del socio, non deve, necessariamente, identificarsi in un bene suscettibile di espropriazione forzata, bensì in una res dotata di consistenza economica. Ne consegue la legittimità del conferimento attuato mediante compensazione tra il debito del socio verso la società ed un credito vantato dal medesimo nei confronti dell'ente, atteso che la società stessa, pur perdendo formalmente il suo credito al conferimento, acquista concretamente un "valore" economico, consistente nella liberazione da un corrispondente debito. Alla funzione essenzialmente "produttiva" del capitale sociale consegue, difatti, quella di garanzia meramente indiretta del pagamento dei debiti sociali, funzione, quest'ultima, assolta direttamente dal patrimonio sociale, cui non risultano trasferibili quei vincoli di indisponibilità e di invariabilità tipici, in via esclusiva, del capitale. Nessun pregiudizio per i creditori sociali è, pertanto, ravvisabile (diversamente che nella ipotesi di conferimenti iniziali, quantomeno per i tre decimi previsti dall'art. 2329 c.c.) in un aumento di capitale sottoscritto mercè la contestuale estinzione per compensazione di un credito del socio sottoscrittore (scaturendo, invece, da tale operazione un aumento della generica garanzia patrimoniale, poiché dalla trasformazione del credito del socio in capitale di rischio deriva che detta garanzia non copre più il credito medesimo), mentre, sul piano economicopatrimoniale, nessun vantaggio deriverebbe ai creditori stessi dall'imposizione, alla società, dell'obbligo di pagare il proprio debito nei confronti del socio sottoscrittore e di incassare, contestualmente, la stessa somma da lui dovuta. Cass.civ.,sez.I,24aprile1998,n.4236,Giust.civ.199 8,I,2819. 7968/984 Il credito del socio di una società di capitali nei confronti della società è compensabile con il debito relativo alla sottoscrizione di azioni emesse in sede di aumento del capitale sociale, non essendo ravvisabile un divieto implicito, desumibile da principi inderogabili del diritto di societario, che impedisca in tal caso l'operatività della compensazione ex art. 1246 n. 5 c.c. Mentre la compensazione tra debito di conferimento e credito verso la società non può avvenire in relazione al capitale originario - nè per il versamento dei decimi prescritti dall'art. 2329 c.c., perché la società ancora non esiste, nè per i versamenti successivi, perché i conferimenti iniziali possono essere costituiti solo da beni idonei a formare oggetto di garanzia patrimoniale - l'aumento di capitale sottoscritto attraverso l'estinzione per compensazione di un debito del socio non è contrario all'interesse della società o dei terzi, comportando, in concreto, un aumento della garanzia patrimoniale generica offerta dalla società ai creditori, in quanto dalla trasformazione del credito (certo, liquido ed esigibile) del socio in capitale di rischio deriva che detta garanzia non copre più il credito del socio. Cass.civ.,sez.I,1996,n.936 7968/984 7. Titoli di stato. Giurisprudenza consolidata. - Nell'ipotesi di conferimento di certificati di credito del tesoro, non è necessario il deposito dei titoli stessi o delle loro copie autentiche, essendo sufficiente la loro descrizione e valutazione, rientrando la fattispecie nella disciplina dei conferimenti di beni in natura. App.Bologna,14dicembre1984,Giur. comm. 1985, II,520.Conforme Trib. Udine, 21 giugno 1982, Soc. 1983, 353. Trib. Milano, 4 gennaio 1984, Soc. 1984, 1020. 7968/984 ARTICOLO 2343. Stima dei conferimenti di beni in natura e di crediti.[I]. Chi conferisce beni in natura o crediti deve presentare la relazione giurata di un esperto designato dal tribunale nel cui circondario ha sede la società, contenente la descrizione dei beni o dei crediti conferiti, l'attestazione che il loro valore è almeno pari a quello ad essi attribuito ai fini della determinazione del capitale sociale e dell'eventuale soprapprezzo e i criteri di valutazione seguiti. La relazione deve essere allegata all'atto costitutivo.[II]. L'esperto risponde dei danni causati alla società, ai soci e ai terzi. Si applicano le disposizioni dell'articolo 64 del codice di procedura civile. [III]. Gli amministratori devono, nel termine di centottanta giorni dalla iscrizione della società, controllare le valutazioni contenute nella relazione indicata nel primo comma e, se sussistano fondati motivi, devono procedere alla revisione della stima. Fino a quando le valutazioni non sono state controllate, le azioni corrispondenti ai conferimenti sono inalienabili e devono restare depositate presso la società.[IV]. Se risulta che il valore dei beni o dei crediti conferiti era inferiore di oltre un quinto a quello per cui avvenne il conferimento, la società deve proporzionalmente ridurre il capitale sociale, annullando le azioni che risultano scoperte. Tuttavia il socio conferente può versare la differenza in danaro o recedere dalla società; il socio recedente ha diritto alla restituzione del conferimento, qualora sia possibile in tutto o in parte in natura. L'atto costitutivo può prevedere, salvo in ogni caso quanto disposto dal quinto comma dell'articolo 2346, che per effetto dell'annullamento delle azioni disposto nel presente comma si determini una loro diversa ripartizione tra i soci. Sommario:1. Interessi tutelati. Giurisprudenza di legittimità- 2. Ipotesi inespresse di necessità della relazione. Giurisprudenza consolidata.- 3.Natura del controllo esercitato dal Registro delle Imprese sulla relazione. Giurisprudenza di merito - 4. La nomina dell’esperto. Giurisprudenza di merito.- 5. La relazione dell’esperto. Giurisprudenza di merito.-6.Gli effetti della revisione della stima. . Giurisprudenza di legittimità..-6.1.Gli effetti della revisione della stima. . Giurisprudenza di merito- 7. La responsabilità dell’esperto. Giurisprudenza di legittimità 1.Interessi tutelati. Giurisprudenza di legittimità. - La nomina ad esperto per la relazione giurata di stima del patrimonio sociale, previsto nell'interesse generale al corretto esercizio del diritto d'impresa ed in quello particolare dei creditori sociali e dei soci futuri, ha ad oggetto l'attività di stima di un patrimonio sociale, la quale non è attività negoziale, propria invece del rapporto di mandato e delle ipotesi di rappresentanza legale, e si fonda su una designazione operata ad persona. Cass.civ.,sez.II,28gennaio2003,n. 1227,Giust. civ. Mass. 2003, 193. Conf. Cass. civ., sez I, 4 febbraio 2000, n. 1240, Giust. Civ, 200, I, 2680. 7968/996 2.Ipotesi inespresse di necessità della relazione di stima. Giurisprudenza consolidata. - Nel caso di trasformazione di una società di persone in una società di capitali, la relazione di stima del patrimonio della società trasformanda da parte dell'esperto nominato dal Presidente del tribunale è imposta dagli art. 2498 e 2343 c.c. nell'interesse dei creditori sociali e dei soci futuri, i quali sono legittimati ad agire per il risarcimento dei danni da essi subiti per effetto della condotta di detto esperto. Cass. civ., sez I, 4 febbraio 2000, n. 1240, Giust. Civ, 200, I, 2680. Conf. Cass.civ.,sez.II,28gennaio2003,n. 1227,Giust. civ. Mass. 2003, 193. 7968/996 3.Natura del controllo esercitato dal Registro delle Imprese sulla relazione. Giurisprudenza di merito. -La soppressione dell'omologazione giudiziaria abolisce il controllo giudiziario sugli atti soggetti ad iscrizione nel registro delle imprese non li sostituisce con altri tipi di controllo. Il notaio chiamato a redigere l'atto, infatti, non esercita un vero controllo, in senso stretto, in quanto non è soggetto terzo diverso da quello che lo ha rogato, ma ne garantisce soltanto la legittimità; mentre all'ufficio del registro delle imprese è richiesta la sola verifica della regolarità formale della documentazione esibita, all'atto dell'iscrizione della società nei registri. App. Palermo,02 aprile 2001,Notariato 2001, 248 7968/996 4.La nomina dell’esperto. Giurisprudenza di merito. – La società è legittimata a domandare, ex art. 2343 c.c., la designazione del perito che rediga la relazione di stima dei conferimenti in natura (nella specie, la successiva sottoscrizione delle obbligazioni, implicando l'accettazione dei valori della stima, ha assorbito ogni questione relativa alla validità del procedimento). Trib. Milano,15ottobre1987,Foro it. 1988, I,1683. 7968/996 6.Gli effetti della revisione della stima. Giurisprudenza di legittimità- La delibera di aumento del capitale sociale adottata nella consapevolezza della falsità dei presupposti di fatto della stima del conferimento in natura realizza un insanabile contrasto con norme di ordine pubblico ed è, pertanto, nulla ai sensi dell'art. 2379 c.c.; in tale ipotesi non è util È legittima la nomina di una società di revisione quale esperto per la stima dei beni ai sensi dell'art. 2343 c.c. Trib. Milano,15febbraio1999,Giur. it. 1999, 2348. 7968/996 7968/996 Non può essere nominato sindaco di società non solo chi abbia svolto le funzioni di esperto nominato dal presidente del tribunale per la stima del patrimonio sociale in vista della trasformazione, ma anche chi svolga la sua professione in associazione con chi abbia esercitato le funzioni di esperto o che abbia (o abbia avuto) rapporti di lavoro con la società trasformata. Trib.Treviso,18 maggio 1998,Soc. 1998, 1069. 7968/996 La relazione di stima prevista dall'art. 2343 c.c. ha funzione di garanzia dei creditori e terzi in generale e costituisce presupposto indispensabile dell'omologazione della delibera di aumento di capitale. In considerazione della necessaria posizione di neutralità e indipendenza dell'esperto stimatore rispetto ai soci e agli organi sociali e la sua idoneità a predisporre una valutazione oggettiva, è da ritenersi invalida la relazione di stima ex art. 2343 c.c. redatta da colui che partecipa alla società in veste di presidente del collegio sindacale, anche perché egli, in forza del disposto dell'art. 2343 comma 3 c.c. si troverebbe ad essere controllore di se stesso. Trib.Udine, 22 febbraio 1994, Soc. 1994, 953. 7968/996 5.La relazione dell’esperto. Giurisprudenza di merito.- È viziata la deliberazione assembleare di aumento del capitale di una società a responsabilità limitata mediante conferimento di beni in natura, il cui valore sia determinato mediante relazione di stima basata su valori obiettivamente errati. Trib. Napoli,05ottobre1999,Soc. 2000, 885. 7968/996 izzabile lo strumento di correzione di cui all'art. 2343, ultimo comma c.c., che ha funzione di rimedio agli errori della stima. Cass.civ.,sez.I,02marzo2001,n. 3052, Vita not. 2001, 1342. 6.1.Gli effetti della revisione della stima. Giurisprudenza di merito- La riduzione della partecipazione del socio in proporzione alla minusvalenza del suo conferimento in natura rispetto al valore dichiarato nella relazione di stima si produce solo con la deliberazione dell'assemblea straordinaria che, in mancanza di versamento della differenza in denaro da parte del conferente, riduce il capitale ed annulla le azioni scoperte; pertanto la società non può considerare tale partecipazione come già ridotta ai fini della votazione in tale assemblea straordinaria. Trib. Milano,13marzo2000,Soc. 2001, 337. 7968/996 7.La responsabilità dell’esperto. Giurisprudenza di legittimità. Nel caso di trasformazione di una società di persone in una società di capitali, la relazione di stima del patrimonio della società trasformanda da parte dell'esperto nominato dal Presidente del tribunale è imposta dagli art. 2498 e 2343 c.c. nell'interesse dei creditori sociali e dei soci futuri, i quali sono legittimati ad agire per il risarcimento dei danni da essi subiti per effetto della condotta di detto esperto. Cass.civ., sez.III,04 febbraio 2000,n. 1240,Giust. civ. 2000, I,2680 7968/996 ARTICOLO 2343 BIS. Acquisto della società da promotori, fondatori, soci e amministratori. [I]. L'acquisto da parte della società, per un corrispettivo pari o superiore al decimo del capitale sociale, di beni o di crediti dei promotori, dei fondatori, dei soci o degli amministratori, nei due anni dalla iscrizione della società nel registro delle imprese, deve essere autorizzato dall'assemblea ordinaria.[II]. L'alienante deve presentare la relazione giurata di un esperto designato dal tribunale nel cui circondario ha sede la società contenente la descrizione dei beni o dei crediti, il valore a ciascuno di essi attribuito, i criteri di valutazione seguiti, nonché l'attestazione che tale valore non è inferiore al corrispettivo, che deve comunque essere indicato.[III]. La relazione deve essere depositata nella sede della società durante i quindici giorni che precedono l'assemblea. I soci possono prenderne visione. Entro trenta giorni dall'autorizzazione il verbale dell'assemblea, corredato dalla relazione dell'esperto designato dal tribunale, deve essere depositato a cura degli amministratori presso l'ufficio del registro delle imprese.[IV]. Le disposizioni del presente articolo non si applicano agli acquisti che siano effettuati a condizioni normali nell'ambito delle operazioni correnti della società né a quelli che avvengono nei mercati regolamentati o sotto il controllo dell'autorità giudiziaria o amministrativa.[V]. In caso di violazione delle disposizioni del presente articolo gli amministratori e l'alienante sono solidalmente responsabili per i danni causati alla società, ai soci ed ai terzi. Sommario:1.Ratio. Giurisprudenza di legittimità- 2.”Condizioni normali”. Giurisprudenza di merito. 1.La nomina dell’esperto. Giurisprudenza di legittimità.- L'art. 1395 c.c. trova applicazione nel caso di contratto di vendita di propri beni ad una società per azioni concluso, alle condizioni da lui ritenute più vantaggiose, dall'amministratore che rappresenta detta società, anche dopo che sono trascorsi i due anni dalla data di iscrizione nel registro delle imprese, ove sia mancata l'autorizzazione dell'assemblea dei soci, non essendovi alcun rapporto di specialità tra il cit. art. 1395 (che, nell'ambito della disciplina generale dei contratti, sancisce l'annullabilità del contratto che il rappresentante conclude con sè stesso senza l'autorizzazione specifica del rappresentato) e l'art. 2343 bis c.c., che, nell'ambito della disciplina delle società di capitali, vietando l'acquisto, senza l'autorizzazione dell'assemblea ordinaria dei soci, dei beni degli amministratori, promotori, fondatori o soci della società per azioni nei due anni successivi all'iscrizione della società nel registro delle imprese, persegue la diversa ed autonoma finalità di prevenire la possibilità di operazioni in frode al principio del precedente art. 2343 (a norma del quale il conferimento dei beni all'atto della costituzione della società deve essere preceduto da stima giurata). Cass.civ.,sez.III,10 novembre 1992 n. 12081, Giust. civ. Mass. 1992, fasc. 11. 2.”Condizioni normali”. Giurisprudenza di merito.- Costituisce grave irregolarità il fatto che gli amministratori di una società a responsabilità limitata, circa un anno dopo la costituzione di questa; abbiano proceduto ad un unico ingente acquisto da soci fondatori di azioni da loro possedute in altra società senza procedere ad una perizia di stima ai sensi dell'art. 2343 bis c.c., perché trattandosi di azioni non quotate in borsa il riferimento al valore nominale delle azioni non poteva considerarsi il prezzo "normale" dal momento che l'eventuale esistenza di perdite finiva per rendere il valore nominale eccessivo rispetto al capitale netto. Trib. Verona,24 gennaio 1994,Soc. 1994, 797. 7968/984 ARTICOLO 2343 TER. Conferimento di beni in natura o crediti senza relazione di stima.[I]. Nel caso di conferimento di valori mobiliari ovvero di strumenti del mercato monetario non è richiesta la relazione di cui all'articolo 2343, primo comma, se il valore ad essi attribuito ai fini della determinazione del capitale sociale e dell'eventuale sovrapprezzo è pari o inferiore al prezzo medio ponderato al quale sono stati negoziati su uno o più mercati regolamentati nei sei mesi precedenti il conferimento.[II]. Non è altresì richiesta la relazione di cui all'articolo 2343, primo comma, qualora il valore attribuito, ai fini della determinazione del capitale sociale e dell'eventuale sovrapprezzo, ai beni in natura o crediti conferiti, diversi da quelli di cui al primo comma, corrisponda: a) al valore equo ricavato da un bilancio approvato da non oltre un anno, purché sottoposto a revisione legale e a condizione che la relazione del revisore non esprima rilievi in ordine alla valutazione dei beni oggetto del conferimento, ovvero b) al valore equo risultante dalla valutazione, precedente di non oltre sei mesi il conferimento e conforme ai principi e criteri generalmente riconosciuti per la valutazione dei beni oggetto del conferimento, effettuata da un esperto indipendente da chi effettua il conferimento e dalla società e dotato di adeguata e comprovata professionalità.[III]. Chi conferisce beni o crediti ai sensi del primo e secondo comma presenta la documentazione dalla quale risulta il valore attribuito ai conferimenti e la sussistenza, per i conferimenti di cui al secondo comma, delle condizioni ivi indicate. La documentazione è allegata all'atto costitutivo. [IV]. L'esperto di cui al secondo comma, lettera b), risponde dei danni causati alla società, ai soci e ai terzi. Sommario:1.Il “valore equo ricavato da un bilancio approvato”. Massima Consiglio Notarile di Milano- 2.Il “valore equo ricavato da una precedente valutazione”. Massima Consiglio Notarile di Milano. - Requisiti del verbale della deliberazione di aumento di capitale in caso di adozione del regime alternativo della valutazione dei conferimenti. Massima Consiglio Notarile di Milano 1.Il “valore equo ricavato da un bilancio approvato”. Massima Consiglio Notarile di Milano.-Il “valore equo ricavato da un bilancio approvato da non oltre un anno” di cui all’art. 2343-ter, comma 2, lett. a), c.c., consiste nel valore correttamente iscritto in un bilancio approvato — nei tempi e con i requisiti richiesti dalla norma stessa — a prescindere da fatto che: (i) il bilancio sia redatto secondo i principi contabili IAS/IFRS o secondo le norme e i principi contabili emanati da ogni Stato membro in ossequio alla quarta direttiva comunitaria (Direttiva 78/660/CEE); (ii) il bene o i beni da conferire siano iscritti in bilancio con il criterio del “valore equo” o con altro criterio, purché siano iscritti in conformità ai criteri stabiliti dalle norme e ai principi applicabili nel caso concreto. Affinché il valore risultante dal bilancio possa costituire il parametro di riferimento per la valutazione dei beni oggetto di conferimento in s.p.a., occorre: a) che si tratti del bilancio di esercizio, approvato da non oltre un anno, che sia riferito ad una data non anteriore alla chiusura dell’ultimo esercizio per il quale sia scaduto il termine legale di approvazione; b) che il bilancio sia stato nel caso concreto sottoposto a controllo o revisione contabile ai sensi degli artt. 2409-bis e ss. c.c. o degli artt. 155 e ss. TUF, sempre che il revisore non abbia espresso rilievi in ordine alla valutazione dei beni oggetto del conferimento o non abbia espresso giudizio negativo sul bilancio o non abbia rilasciato una dichiarazione di impossibilità di esprimere un giudizio (ai sensi dell’art. 2409ter, comma 3, c.c., e dell’art. 156, comma 3 TUF); c) che si tratti, in alternativa, di un bilancio infrannuale (ad esempio il bilancio di fusione ex art. 2504-quater c.c.) avente le medesime caratteristiche e redatto secondo le medesime norme del bilancio d’esercizio, approvato dall’assemblea e sottoposto a revisione contabile con i medesimi esiti di cui sopra, riferito ad una data non anteriore alla chiusura dell’ultimo esercizio per il quale sia scaduto il termine legale di approvazione. Massima n. 101 Consiglio Notarile di Milano 2.Il “valore equo risultante da una valutazione precedente”. Massima Consiglio Notarile di Milano-La “valutazione precedente di non oltre sei mesi il conferimento” prevista dall’art. 2343-ter, comma 2, lett. b), c.c., può consistere sia in una valutazione commissionata ed eseguita al solo fine di effettuare il conferimento avvalendosi del regime alternativo di cui agli artt. 2343-ter e seguenti c.c., sia in una valutazione già eseguita ad altri fini, purché rispondente ai requisiti richiesti dalla norma sopra citata. La perizia di cui ci si avvale ai fini del conferimento ai sensi dell’art. 2343-ter, comma 2, lett. b), c.c., non deve essere necessariamente asseverata di giuramento. Il termine di sei mesi richiesto dalla norma decorre dalla data a cui è riferita la valutazione peritale e deve ritenersi rispettato: (i) in sede di costituzione della società, qualora entro i sei mesi sia sottoscritto l’atto costitutivo; (ii) in sede di aumento di capitale, qualora entro i sei mesi sia eseguito il conferimento in natura. Massima n. 102 Consiglio Notarile di Milano 3.Requisiti del verbale della deliberazione di aumento di capitale in caso di adozione del regime alternativo della valutazione dei conferimenti. Massima Consiglio Notarile di Milano -In caso di conferimenti in natura effettuati in sede di aumento del capitale sociale, secondo la disciplina “alternativa” di cui agli artt. 2343-ter e seguenti c.c., la documentazione richiesta dall’art. 2343-ter, comma 3, c.c., deve essere allegata al verbale della deliberazione di aumento. Essa deve altresì restare depositata nella sede della società durante i quindici giorni che precedono l'assemblea e finché questa non abbia deliberato, a disposizione dei soci, ai sensi dell’art. 2441, comma 6, c.c., unitamente alla relazione dell’organo amministrativo e al parere di congruità sul prezzo di emissione (salva la possibilità che la totalità dei soci rinunci al preventivo deposito, nonché, limitatamente alla relazione degli amministratori e al parere di congruità, alla redazione stessa dei documenti). La documentazione richiesta dall’art. 2343-ter, comma 3, c.c., può consistere, a seconda dei casi: a) nella elaborazione o riproduzione scritta del calcolo della media ponderata, effettuato dalla stessa società di gestione del mercato — se in concreto svolge tale servizio — o da imprese di diffusione ed elaborazione di dati dei mercati finanziari, quali ad esempio Bloomberg o Reuters, se rendono disponibili le medie ponderate dei valori mobiliari o degli strumenti del mercato monetario oggetto di conferimento (nell’ipotesi di cui all’art. 2343-ter, comma 1, c.c.); b) nel bilancio d’esercizio (o in un suo estratto, relativo alle parti da cui “risulta” il valore dei beni da conferire), nonché, ove il valore dei beni non sia “leggibile” dallo stato patrimoniale o dalla nota integrativa, anche in un estratto del libro inventari o delle scritture contabili dalle quali “risulta” il valore del bene oggetto di conferimento; nonché infine nella relazione di revisione, dalla quale non emergano rilievi in ordine alla valutazione dei beni oggetto del conferimento (nell’ipotesi di cui all’art. 2343-ter, comma 2, lett. a, c.c.); c) nella perizia redatta dall’esperto (non necessariamente asseverata di giuramento), non ritenendosi necessaria l’allegazione di alcuna documentazione riguardante i requisiti di indipendenza e professionalità dell’esperto. Il rispetto dei termini di “obsolescenza” dei sistemi di valutazione previsti . nelle diverse ipotesi dell’art. 2343-ter, commi 1 e 2, c.c., può tra l’altro essere garantito, nell’ambito della deliberazione di aumento di capitale, dalla previsione di conformi termini finali per la sottoscrizione, ai sensi dell’art. 2439, comma 2, c.c.. Qualora l’aumento di capitale venga contestualmente sottoscritto, mediante esecuzione del conferimento in natura nell’ambito del medesimo atto notarile contenente il verbale della deliberazione assembleare, l’attestazione degli amministratori di avvenuta sottoscrizione ai sensi dell’art. 2444 c.c. (e il conseguente deposito dello statuto aggiornato ai sensi dell’art. 2436, comma 6, c.c.) è subordinata alla contestuale allegazione della “dichiarazione di conferma” di cui all’art. 2343-quater, comma 3, c.c., come prescritto dal nuovo art. 2440, comma 2, c.c.. Massima n. 103 Consiglio Notarile di Milano ARTICOLO 2343 QUATER. Fatti eccezionali o rilevanti che incidono sulla valutazione.[I]. Gli amministratori verificano, nel termine di trenta giorni dalla iscrizione della società, se, nel periodo successivo a quello di cui all'articolo 2343-ter, primo comma, sono intervenuti fatti eccezionali che hanno inciso sul prezzo dei valori mobiliari o degli strumenti del mercato monetario conferiti in modo tale da modificare sensibilmente il valore di tali beni alla data effettiva del conferimento, comprese le situazioni in cui il mercato dei valori o strumenti non è più liquido, ovvero se, successivamente al termine dell'esercizio cui si riferisce il bilancio di cui alla lettera a) del secondo comma dell'articolo 2343-ter, o alla data della valutazione di cui alla lettera b) del medesimo comma si sono verificati fatti nuovi rilevanti tali da modificare sensibilmente il valore equo dei beni o dei crediti conferiti. Gli amministratori verificano altresì nel medesimo termine i requisiti di professionalità ed indipendenza dell'esperto che ha reso la valutazione di cui all'articolo 2343-ter, secondo comma, lettera b). [II]. Qualora gli amministratori ritengano che siano intervenuti i fatti di cui al primo comma ovvero ritengano non idonei i requisiti di professionalità e indipendenza dell'esperto che ha reso la valutazione di cui all'articolo 2343-ter, secondo comma, lettera b), procedono ad una nuova valutazione. Si applica in tal caso l'articolo 2343.[III]. Fuori dai casi di cui al secondo comma, è depositata per l'iscrizione nel registro delle imprese, nel medesimo termine di cui al primo comma, una dichiarazione degli amministratori contenente le seguenti informazioni: a) la descrizione dei beni o dei crediti conferiti per i quali non si è fatto luogo alla relazione di cui all'articolo 2343, primo comma; b) il valore ad essi attribuito, la fonte di tale valutazione e, se del caso, il metodo di valutazione; c) la dichiarazione che tale valore è almeno pari a quello loro attribuito ai fini della determinazione del capitale sociale e dell'eventuale sovrapprezzo; d) la dichiarazione che non sono intervenuti fatti eccezionali o rilevanti che incidono sulla valutazione di cui alla lettera b); e) la dichiarazione di idoneità dei requisiti di professionalità e indipendenza dell'esperto di cui all'articolo 2343-ter, secondo comma, lettera b).[IV]. Fino all'iscrizione della dichiarazione le azioni sono inalienabili e devono restare depositate presso la società ARTICOLO 2344. Mancato pagamento delle quote.[I]. Se il socio non esegue i pagamenti dovuti, decorsi quindici giorni dalla pubblicazione di una diffida nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, gli amministratori, se non ritengono utile promuovere azione per l'esecuzione del conferimento, offrono le azioni agli altri soci, in proporzione alla loro partecipazione, per un corrispettivo non inferiore ai conferimenti ancora dovuti. In mancanza di offerte possono far vendere le azioni a rischio e per conto del socio, a mezzo di una banca o di un intermediario autorizzato alla negoziazione in mercati regolamentati.[II]. Qualora la vendita non possa aver luogo per mancanza di compratori, gli amministratori possono dichiarare decaduto il socio, trattenendo le somme riscosse, salvo il risarcimento dei maggiori danni.[III]. Le azioni non vendute, se non possono essere rimesse in circolazione entro l'esercizio in cui fu pronunziata la decadenza del socio moroso, devono essere estinte con la corrispondente riduzione del capitale. [IV]. Il socio in mora nei versamenti non può esercitare il diritto di voto. Sommario:1.I limiti di applicazione della norma. . Giurisprudenza di legittimità.-1.1.I limiti di applicazione della norma. . Giurisprudenza di merito 1.I limiti di applicazione della norma. Giurisprudenza di legittimità.- La norma di cui all'ultimo comma dell'art. 2344 c.c., secondo cui i soci in mora nei versamenti delle quote dovute non possono esercitare il diritto di voto, si riferisce esclusivamente ai versamenti iniziali necessari per la costituzione del capitale sociale e non a qualsiasi diversa richiesta di pagamento o di restituzione, o di nuovo versamento in caso di indebita restituzione, al fine della ricostituzione del capitale sociale Cass.civ.,sez.I,29aprile1992,Giust. civ. Mass. 1992,fasc.4. 7968/1008 E’ inammissibile la sospensione in via d'urgenza del diritto di voto del socio moroso nel pagamento della quota sociale, quando, posto che non è ravvisabile alcun pregiudizio nel mero esercizio del diritto di voto e che sussiste il rimedio cautelare tipico dell’art. 2378 comma 4 c.c., l’istanza cautelare sia proposta dai singoli soci, il mancato pagamento riguardi la quota sottoscritta in sede di aumento del capitale sociale ed il socio non sia stato preventivamente costituito in mora. Trib. S.MariaCapuaV.,06ottobre1998,Soc. 1999, 601. 7968/1008 1.1.I limiti di applicazione della norma. Giurisprudenza di legittimità.- Se l'aumento Nelle società di capitali, in caso di dichiarazione di decadenza del socio moroso nei versamenti ex art. 2344 comma 2 c.c. la società non può agire per la riscossione coattiva di quanto dovutole bensì per il risarcimento del maggior danno subito, fatto comunque salvo il diritto di ritenzione delle somme riscosse. Trib. Roma,19 aprile 1995,Gius 1995, 1646 7968/1008 di capitale sia scindibile, in presenza di versamento inferiore a quello corrispondente al numero delle azioni che il socio dichiara di voler sottoscrivere, la richiesta di sottoscrizione resta valida ed efficace ma nei limiti del minor versamento. Trib. Genova,17ottobre1990,Riv.Not., 1991, 1047 7968/1008 ARTICOLO 2345.Prestazioni accessorie.[I]. Oltre l'obbligo dei conferimenti, l'atto costitutivo può stabilire l'obbligo dei soci di eseguire prestazioni accessorie non consistenti in danaro, determinandone il contenuto, la durata, le modalità e il compenso, e stabilendo particolari sanzioni per il caso di inadempimento. Nella determinazione del compenso devono essere osservate le norme applicabili ai rapporti aventi per oggetto le stesse prestazioni.[II]. Le azioni alle quali è connesso l'obbligo delle prestazioni anzidette devono essere nominative e non sono trasferibili senza il consenso degli amministratori.[III]. Se non è diversamente disposto dall'atto costitutivo, gli obblighi previsti in questo articolo non possono essere modificati senza il consenso di tutti i soci. Sommario:1.Natura del rapporto. Giurisprudenza di legittimità consolidata - 2.Il contenuto delle prestazioni accessorie. Giurisprudenza di legittimità .- 3.L’inadempimento delle prestazioni accessorie. Giurisprudenza di merito 4. La disciplina. Giurisprudenza di legittimità 1.Natura del rapporto. Giurisprudenza di legittimità consolidata.- Le prestazioni a carattere accessorio e non consistenti in conferimenti in danaro che, a norma dell'art. 2345 c.c., l'atto costitutivo può porre a carico dei soci di società per azioni, costituiscono adempimento di obbligazioni sociali e non di obbligazioni inerenti ad un rapporto contrattuale diverso e distinto da quello sociale, ancorché ad esso collegato; ne consegue che, in caso di inadempimento, vanno irrogate a norma del citato art. 2345, le sanzioni stabilite, per questa inosservanza, dall'atto costitutivo, dovendo perciò escludersi che l'assemblea dei soci possa irrogare all'inadempiente una sanzione diversa da quella prevista. Cass.civ.,sez.I,8 novembre 2000, n. 12081, Giust. civ. Mass. 2000, 2282. Conf. Cass.civ.,sez. lav., 7 aprile 1987 n. 3402, Giust. civ. Mass. 1987, fasc. 4. Cass.civ.,sez. lav., 17 gennaio 1985 n. 123, Giur. It.,. 1986, I,1,131. 7968/1020 2.Il contenuto delle prestazioni accessorie. Giurisprudenza di legittimità .- Le prestazioni del socio di società per azioni di cui all'art. 2345 c.c., a carattere accessorio e non rappresentate da conferimenti in danaro, ben possono consistere in attività personali simili a quelle di un prestatore d'opera, sicché la concreta prestazione di attività da parte del socio costituisce adempimento dell'obbligo sociale, anziché svolgimento di un rapporto di lavoro subordinato tra il socio e la società. Cass.civ.,sez. lav., 7 aprile 1987 n. 3402, Soc. 1987, 803. 7968/1020 Le prestazioni espletate dal socio di una cooperativa di lavoro, che non sono riconducibili ad un rapporto di lavoro subordinato o parasubordinato, sicché non trova applicazione la disciplina delle mansioni dettata dall'art. 2103 c.c., non possono neppure considerarsi accessorie ai sensi dell'art. 2345 c.c., dettato per le società per azioni ed applicabile alle cooperative ai sensi dell'art. 2516 c.c., nei limiti della compatibilità con la disciplina speciale prevista per queste ultime, in quanto sono essenziali ed obbligatorie; conseguentemente non occorre il consenso di tutti i soci per la modifica delle mansioni assegnate al socio. Cass.civ.,sez.I,21 marzo 1997, n. 2557, Soc.,. 1997, I,1029. 7968/1020 L’eventuale indeterminatezza dell’oggetto della prestazione accessoria comporta solo la nullità del patto che la preveda ma non del contratto di società. Trib. Cassino,18 dicembre 1987,Riv. Dir. comm. 1989,II, 1975 Contra Trib. Vicenza,6 luglio 1989,Soc.,1990, 356. 7968/1020 3.L’inadempimento delle prestazioni accessorie. Giurisprudenza di legittimitàL'art. 2345 c.c., attribuisce all'atto costitutivo della s.p.a. un'ampia discrezionalità nel determinare le sanzioni applicabili in caso di inadempimento degli obblighi connessi ad azioni con prestazioni accessorie; pertanto, qualora sia stata prevista una particolare sanzione per l'inadempimento dei suddetti obblighi, non è possibile applicarne una diversa. App.Lecce, 09 settembre 1996, Soc., 1996, 1413. Conf. Trib. Genova,3 gennaio 1986,Banca Borsa Tit. cred..,1986,II, 427. 7968/1020 Nel caso siano emesse azioni con prestazioni accessorie, è legittima la clausola statutaria in cui si prevede la facoltà per la società di riacquistare le proprie azioni in caso di interruzione per qualsiasi causa della prestazione accessoria. Trib. M ilano,14 luglio 1988,Banca Borsa Tit. cred..,1991,II, 106. L’esclusione del socio per mancato pagamento delle quote prevista dall’art. 2344 c.c. è applicabile anche alle azioni con prestazioni accessorie. Trib. M ilano,17 aprile 1982,Banca Borsa Tit. cred..,1983,II, 506. 7968/1020 4.La disciplina. Giurisprudenza di legittimità .- La delibera dell'assemblea di una società la quale a maggioranza e non all'unanimità e, quindi, in violazione dell'art. 2345 comma 3 c.c., modifichi le prestazioni accessorie previste dall'atto costitutivo a carico dei soci, è affetta da una giuridica inesistenza, ma la invalidità, deducibile nei modi e nei limiti di cui all'art. 2377 c.c. Cass.civ.,sez. I., 28 ottobre 1980 n. 5790, Giur. It.,1981,I,1,32. 7968/1020 Articolo 2346 Emissione delle azioni (1). [I]. La partecipazione sociale è rappresentata da azioni; salvo diversa disposizione di leggi speciali lo statuto può escludere l'emissione dei relativi titoli o prevedere l'utilizzazione di diverse tecniche di legittimazione e circolazione. [II]. Se determinato nello statuto, il valore nominale di ciascuna azione corrisponde ad una frazione del capitale sociale; tale determinazione deve riferirsi senza eccezioni a tutte le azioni emesse dalla società. [III]. In mancanza di indicazione del valore nominale delle azioni, le disposizioni che ad esso si riferiscono si applicano con riguardo al loro numero in rapporto al totale delle azioni emesse. [IV]. A ciascun socio è assegnato un numero di azioni proporzionale alla parte del capitale sociale sottoscritta e per un valore non superiore a quello del suo conferimento. Lo statuto (2) può prevedere una diversa assegnazione delle azioni. [V]. In nessun caso il valore dei conferimenti può essere complessivamente inferiore all'ammontare globale del capitale sociale. [VI]. Resta salva la possibilità che la società, a seguito dell'apporto da parte dei soci o di terzi anche di opere o servizi, emetta strumenti finanziari forniti di diritti patrimoniali o anche (3) di diritti amministrativi, escluso il voto nell'assemblea generale degli azionisti. In tal caso lo statuto ne disciplina le modalità e condizioni di emissione, i diritti che conferiscono, le sanzioni in caso di inadempimento delle prestazioni e, se ammessa, la legge di circolazione. Sommario:1.Azioni e beni costituenti il patrimonio sociale. Giurisprudenza consolidata - 1.Azioni e beni costituenti il patrimonio sociale Giurisprudenza consolidata.- La cessione delle azioni di una società di capitali o di persone fisiche ha come oggetto immediato la partecipazione sociale e solo quale oggetto mediato la quota parte del patrimonio sociale che tale partecipazione rappresenta. Pertanto, le carenze o i vizi relativi alle caratteristiche e al valore dei beni ricompresi nel patrimonio sociale e, di riverbero, alla consistenza economica della partecipazione possono giustificare l'annullamento del contratto per errore o, ai sensi dell'art. 1497 c.c., la risoluzione per difetto di "qualità" della cosa venduta (necessariamente attinente ai diritti e obblighi che, in concreto, la partecipazione sociale sia idonea ad attribuire e non al suo valore economico), solo se il cedente abbia fornito, a tale riguardo, specifiche garanzie contrattuali, ovvero nel caso di dolo di un contraente, quando il mendacio o le omissioni sulla situazione patrimoniale della società siano accompagnate da malizie ed astuzie volte a realizzare l'inganno ed idonee, in concreto, a sorprendere una persona di normale diligenza. Cass.civ., sez. I., 16 luglio 2007 n. 16031, Vita not., 2007,3, 1206. Conf. Trib. Milano, 26 novembre 2001, Soc., 2002, 568; Trib. Catania, 30 aprile 1997, Giur. Comm., 99,II, 681. 7968/408 Articolo 2347 Indivisibilità delle azioni . [I]. Le azioni sono indivisibili. Nel caso di comproprietà di un'azione, i diritti dei comproprietari devono essere esercitati da un rappresentante comune nominato secondo le modalità previste dagli articoli 1105 e 1106. [II]. Se il rappresentante comune non è stato nominato, le comunicazioni e le dichiarazioni fatte dalla società a uno dei comproprietari sono efficaci nei confronti di tutti. [III]. I comproprietari dell'azione rispondono solidalmente delle obbligazioni da essa derivanti. Sommario:1.Poteri di competenza esclusiva del rappresentante comune. 1.Poteri di competenza esclusiva del rappresentante comune. Giurisprudenza di legittimità.- In caso di comproprietà di partecipazioni azionarie, l'impugnazione di una deliberazione assembleare può essere proposta esclusivamente dal rappresentante comune indicato nell'art. 2347 c.c. e non dal singolo comproprietario, carente del potere d'impugnare così come di quello di esercitare il diritto d'intervento e di voto in assemblea. Cass.civ., sez. I., 18 luglio 2007 n. 15962, Riv. not., 2008,3, 658. Conf. App. Milano, 31 gennaio 2003,Giur. Comm.., 2003, II,612; Trib. Catania, 30 aprile 1997, Giur. Comm., 99,II, 681; .Trib. Salerno, 16 febbraio2007, Riv.not, 2008,II,191 Contra Trib Milano, 28 giugno 2001, Giur. It.,2001, 2323. 7968/516 Articolo 2348 Categorie di azioni . [I]. Le azioni devono essere di uguale valore e conferiscono ai loro possessori uguali diritti. [II]. Si possono tuttavia creare, con lo statuto o con successive modificazioni di questo, categorie di azioni fornite di diritti diversi anche per quanto concerne la incidenza delle perdite. In tal caso la società, nei limiti imposti dalla legge, può liberamente determinare il contenuto delle azioni delle varie categorie. [III]. Tutte le azioni appartenenti ad una medesima categoria conferiscono uguali diritti. Importante novità della riforma, dettata dalla volontà di rendere più flessibile e dunque più competitiva la s.p.a. , è quella di aver previsto espressamente la possibilità di creare categorie atipiche di azioni oltre ad un maggior numero di categorie speciali di azioni Articolo 2349 Azioni e strumenti finanziari a favore dei prestatori di lavoro . [I]. Se lo statuto lo prevede, l'assemblea straordinaria può deliberare l'assegnazione di utili ai prestatori di lavoro dipendenti delle società o di società controllate mediante l'emissione, per un ammontare corrispondente agli utili stessi, di speciali categorie di azioni da assegnare individualmente ai prestatori di lavoro, con norme particolari riguardo alla forma, al modo di trasferimento ed ai diritti spettanti agli azionisti. Il capitale sociale deve essere aumentato in misura corrispondente. [II]. L'assemblea straordinaria può altresì deliberare l'assegnazione ai prestatori di lavoro dipendenti della società o di società controllate di strumenti finanziari, diversi dalle azioni, forniti di diritti patrimoniali o anche di diritti amministrativi, escluso il voto nell'assemblea generale degli azionisti. In tal caso possono essere previste norme particolari riguardo alle condizioni di esercizio dei diritti attribuiti, alla possibilità di trasferimento ed alle eventuali cause di decadenza o riscatto. Articolo 2350 Diritto agli utili e alla quota di liquidazione. [I]. Ogni azione attribuisce il diritto a una parte proporzionale degli utili netti e del patrimonio netto risultante dalla liquidazione, salvi i diritti stabiliti a favore di speciali categorie di azioni. [II]. Fuori dai casi di cui all'articolo 2447-bis, la società può emettere azioni fornite di diritti patrimoniali correlati ai risultati dell'attività sociale in un determinato settore. Lo statuto stabilisce i criteri di individuazione dei costi e ricavi imputabili al settore, le modalità di rendicontazione, i diritti attribuiti a tali azioni, nonché le eventuali (2) condizioni e modalità di conversione in azioni di altra categoria. [III]. Non possono essere pagati dividendi ai possessori delle azioni previste dal precedente comma se non nei limiti degli utili risultanti dal bilancio della società. Sommario:1.Situazione giuridica soggettiva del socio rispetto alla distribuzione degli utili. Giurisprudenza di legittimità 2.Clausola di divieto di distribuzione degli utili. Giurisprudenza di legittimità 1.Situazione giuridica soggettiva del socio rispetto alla distribuzione degli utili Giurisprudenza di legittimità.- In tema di società, la costituzione del rapporto societario e l'originario conferimento, pur rappresentando il presupposto giuridico del diritto del socio alla quota di liquidazione, non rilevano come fatto direttamente genetico di un contestuale credito restitutorio del conferente, configurandosi la posizione di quest'ultimo come mera aspettativa o diritto in attesa di espansione, destinato a divenire attuale soltanto nel momento in cui si addivenga alla liquidazione (del patrimonio della società o della singola quota del socio, al verificarsi dei presupposti dello scioglimento del rapporto societario soltanto nei suoi confronti), ed alla condizione che a tale momento dal bilancio (finale o di esercizio) risulti una consistenza attiva sufficiente a giustificare l'attribuzione "pro quota" al socio stesso di valori proporzionali alla sua partecipazione. Pertanto, il credito relativo alla quota di liquidazione vantato dal socio di una cooperativa escluso dalla società per effetto della dichiarazione di fallimento (ovvero, ai sensi dell'art. 2533 n. 5 c.c., nel testo introdotto dal d.lg. n. 6 del 2003, a seguito della delibera di esclusione che è in facoltà della società adottare in caso di fallimento del socio) nasce o comunque diviene certo esclusivamente nel momento in cui interviene quella dichiarazione (o quella delibera), con la conseguenza che, non potendosi considerare detto credito anteriore al fallimento, viene a mancare il presupposto necessario, ai sensi dell'art. 56 l. fall., per la compensabilità dello stesso con i contrapposti crediti vantati dalla società nei confronti del socio. Cass.civ., sez. I., 23 ottobre 2006 n. 22659,Giust. civ. 2007, 12, 2770.Conf. Cass.civ., sez. I., 11 marzo 1993, n. 2959,Soc., 1993,1202. 7968/636 2.Clausola di divieto di distribuzione degli utili. Giurisprudenza di legittimità.- Il prevedere che le società aventi ad oggetto l'esercizio di attività commerciali devono costituirsi secondo i tipi di legge, non consente l'adozione di clausole statutarie incompatibili con il tipo di società prescelto; ne consegue che, costituendo lo scopo di lucro un elemento essenziale e caratterizzante il tipo della società per azioni, l'assemblea straordinaria della società non può deliberare la sostituzione dello scopo lucrativo con uno scopo non lucrativo, mediante l'introduzione del divieto di distribuzione degli utili, al di fuori delle tassative ipotesi nelle quali è espressamente consentita l'utilizzazione del tipo della s.p.a. per uno scopo non lucrativo e del procedimento di trasformazione della società in società cooperativa; peraltro, la delibera dell'assemblea straordinaria di una s.p.a. che sostituisca, a livello statutario, allo scopo di lucro soggettivo uno scopo mutualistico, non incide sulla causa del contratto di società e neppure dà vita ad una società di tipo mutualistico e, benché illegittima, se sia stata adottata con la maggioranza stabilita per la modifica dello statuto della società e non sia stata impugnata, comporta l'utilizzazione della società per uno scopo diverso da quello inerente alla sua forma giuridica, sicché la successiva delibera che modifica la precedente, ripristinando lo scopo di lucro, a sua volta, neppure incide sulla causa del contratto di società e, conseguentemente, avendo ad oggetto una modificazione dello statuto, può validamente essere adottata con le maggioranze stabilite a questo fine. Cass.civ., sez. I., 12 aprile 2005, n. 7536,Giust.civ. mass., 2005,4. 7968/636 principio di autonomia negoziale è applicabile al contratto di società di capitali, con i limiti derivanti dalla circostanza che l'art. 2249, c.c., nel Articolo 2351 Diritto di voto. [I]. Ogni azione attribuisce il diritto di voto. [II]. Salvo quanto previsto dalle leggi speciali, lo statuto può prevedere la creazione di azioni senza diritto di voto, con diritto di voto limitato a particolari argomenti, con diritto di voto subordinato al verificarsi di particolari condizioni non meramente potestative. Il valore di tali azioni non può complessivamente superare la metà del capitale sociale. [III]. Lo statuto delle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio può prevedere che, in relazione alla quantità di azioni possedute da uno stesso soggetto, il diritto di voto sia limitato ad una misura massima o disporne scaglionamenti. [IV]. Non possono emettersi azioni a voto plurimo. [V]. Gli strumenti finanziari di cui agli articoli 2346, sesto comma, e 2349, secondo comma, possono essere dotati del diritto di voto su argomenti specificamente indicati e in particolare può essere ad essi riservata, secondo modalità stabilite dallo statuto, la nomina di un componente indipendente del consiglio di amministrazione o del consiglio di sorveglianza o di un sindaco. Alle persone così nominate si applicano le medesime norme previste per gli altri componenti dell'organo cui partecipano. Sommario:1.Legittimazione . Giurisprudenza di legttimità 2.-.Voto divergente . Giurisprudenza di merito 1.Legittimazione.Giurisprudenza di legittimità.- Effetto naturale del sequestro penale preventivo - che, a norma dell'art. 321 c.p.p., ha la funzione di prevenire il pericolo che la disponibilità di cose pertinenti al reato possa aggravarne o protrarne le conseguenze ovvero possa agevolare la commissione di ulteriori reati è, nel caso in cui abbia ad oggetto azioni di società, l'attribuzione al custode giudiziario, in luogo del socio, del diritto di intervento e di voto in assemblea. Cass.civ.,sez.I,18 giugno 2006, n.13169,Foro it. 2006, 10, 2864 siano riconducibili al medesimo socio fiduciante), potendosi giustificare un voto divergente unicamente in presenza di un interesse meritevole di tutela. App. Bologna, 10 luglio 1995,Giur. it.., 1996, I,2,590. 7968/636 E ammissibile il c.d. voto divergente da parte di un unico procuratore che rappresenti più soci, senza che in tal caso possa parlarsi di voto contraddittorio. Trib Milano, 14 aprile 1989, Giur. comm.,1990,II, 158. 7968/636 7968/636 2.Voto divergente. Giurisprudenza di merito.- Poiché la partecipazione sociale è unitaria, il socio che disponga di più azioni non può votare con alcune di esse ed astenersi o votare in modo diverso con altre (ancorché queste ultime vengano intestate ad una società fiduciaria, ma Articolo 2352 Pegno, usufrutto e sequestro delle azioni. [I]. Nel caso di pegno o usufrutto sulle azioni, il diritto di voto spetta, salvo convenzione contraria, al creditore pignoratizio o all'usufruttuario. Nel caso di sequestro delle azioni il diritto di voto è esercitato dal custode. [II]. Se le azioni attribuiscono un diritto di opzione, questo spetta al socio ed al medesimo sono attribuite le azioni in base ad esso sottoscritte. Qualora il socio non provveda almeno tre giorni prima della scadenza al versamento delle somme necessarie per l'esercizio del diritto di opzione e qualora gli altri soci non si offrano di acquistarlo, questo deve essere alienato per suo conto a mezzo banca od intermediario autorizzato alla negoziazione nei mercati regolamentati. [III]. Nel caso di aumento del capitale sociale ai sensi dell'articolo 2442, il pegno, l'usufrutto o il sequestro si estendono alle azioni di nuova emissione. [IV]. Se sono richiesti versamenti sulle azioni, nel caso di pegno, il socio deve provvedere al versamento delle somme necessarie almeno tre giorni prima della scadenza; in mancanza il creditore pignoratizio può vendere le azioni nel modo stabilito dal secondo comma del presente articolo. Nel caso di usufrutto, l'usufruttuario deve provvedere al versamento, salvo il suo diritto alla restituzione al termine dell'usufrutto. [V]. Se l'usufrutto spetta a più persone, si applica il secondo comma dell'articolo 2347. [VI]. Salvo che dal titolo o dal provvedimento del giudice risulti diversamente, i diritti amministrativi diversi da quelli previsti nel presente articolo spettano, nel caso di pegno o di usufrutto, sia al socio sia al creditore pignoratizio o all'usufruttuario; nel caso di sequestro sono esercitati dal custode. Sommario:1.-Costituzione.Giurisprudenza di merito 2.-Diritti reali limitati e clausola di prelazione. Giurisprudenza di merito 2.-.L’esercizio dei diritti amministrativi. Casisitica. .Giurisprudenza di legittimità.-2.1.L’esercizio dei diritti amministrativi.Casisitica..Giurisprudenzadimerito 1.Costituzione. Giurisprudenza di legittimità.- Il pegno di azioni si costituisce mediante annotazione sul titolo e nel libro dei soci ma si perfeziona solo con la consegna materiale dei titoli oppignorati; di conseguenza, ai fini della revoca ex art. 67 comma 1 n. 4 l. fall., è necessario far riferimento alla data in cui i titoli azionari sono consegnati al creditore pignoratizio. Trib Milano, 28 giugno 2001,Banca Borsa Tit. cred..,1983,II, 506. 7968/564 2.Diritti reali limitati e clausola prelazione. Giurisprudenza di merito.- di Premesso che la clausola di prelazione azionaria, contenuta nello statuto e riferita genericamente alle cessioni di azioni, può, in sede di sommaria delibazione, qual è quella dell'esame del ricorso per misura cautelare, intendersi come comprensiva anche della cessione dell'usufrutto sulle azioni, nella valutazione delle condizioni necessarie per la concessione di una misura cautelare, richiesta dai convenuti nel caso di giudizio promosso per fare accertare la validità della cessione dell'usufrutto su azioni, compiuta in violazione della clausola predetta, deve ritenersi sussistente, oltre che il requisito della infondatezza della domanda attrice, anche quello del pericolo di lesione ai diritti dei convenuti, ai fini di concedere la richiesta misura cautelare che, nella specie, si identifica, a norma dell'art. 700 c.p.c., nella nomina di un amministratore giudiziario, la cui gestione consenta il congelamento dell'assetto azionario fino alla definizione del giudizio. Trib.Bologna,03agosto1994,Soc., 1995, 660 7968/564 3.L’esercizio dei diritti amministrativi. Casistica.Giurisprudenza di legittimità.-La partecipazione all'assemblea di una società di capitali da parte di soci titolari della maggioranza del capitale sociale, ma privi del diritto di voto per aver costituito in pegno le proprie azioni, non inficia la validità della costituzione dell'organo societario, e non impedisce che la delibera adottata sia, pur sempre, imputabile all'ente tutte le volte in cui alla stessa assemblea abbiano, altresì, partecipato soci legittimati, benché detentori della minoranza del capitale sociale, con la conseguenza che la delibera adottata con il voto (eventualmente) determinante dei soci non legittimati è annullabile, ma non inesistente, diversamente dalla ipotesi in cui, all'assemblea, abbiano partecipato, esercitando il diritto di voto, esclusivamente i soci non legittimati. Il vizio derivante dall'esercizio del diritto di voto da parte del socio datore di pegno attiene, difatti, al rapporto tra il socio stesso ed il creditore pignoratizio, e non riguardo, per converso, l'organo assembleare, essendo in facoltà del creditore pignoratizio di azioni manifestare tacitamente la volontà di ratificare quel voto astenendosi dall'impugnare la delibera adottata con il voto del titolare delle azioni date in pegno. In tema di delibere dell'assemblea di una s.p.a., il creditore pignoratizio di azioni dell'ente, nell'esercizio del diritto di voto (a lui riconosciuto "ex lege"), deve, comunque, ispirarsi ai principi della buona amministrazione societaria ed attenersi al perseguimento dell'interesse sociale, senza coltivare, pertanto, interessi egoistici ovvero in contrasto con quelli della società. Ai fini del raggiungimento del "quorum" costitutivo dell'assemblea di una società per azioni, sono legittimamente computabili le azioni del socio datore di pegno, quand'anche questi risulti titolare di gran parte del capitale sociale, considerato che, a differenza di quanto sancito in tema di esercizio del diritto di voto da parte del socio in conflitto di interessi con la società, l'art. 2352 c.c. prevede espressamente la possibilità di stabilire, con apposita convenzione, che il diritto di voto sia esercitato dal socio datore di pegno, anziché dal creditore pignoratizio. Cass.civ.,sez.I,10marzo1999,n.2053,Riv.Not.,199 9,1548. . 7968/564 Poiché la costituzione del diritto di pegno sulle azioni non implica il trasferimento della disponibilità della partecipazione societaria del debitore in capo al creditore pignoratizio, questi non è legittimato, neppure in via surrogatoria, ad esercitare diritto di recesso di cui all'art. 2437 c.c. Cass.civ.,sez.I,12luglio2002,n.10144,Foroit.,2003, I,1194. 7968/564 Nel caso di pegno o usufrutto di azioni, la legittimazione ad impugnare le deliberazioni assembleari invalide ai sensi dell'art. 2377 c.c. spetta al creditore pignoratizio o all'usufruttuario, salva l'azione per il risarcimento dei danni spettante al socio titolare delle azioni nel caso che la votazione sia stata compiuta per danneggiarlo e salva altresì l'azione di nullità ex art. 2379 c.c. per l'illiceità dell'oggetto della deliberazione Cass.civ.,sez.I,02agosto1977,n.3422,Banca borsa tit.cred.,1979,69,II. 7968/564 3.L’esercizio dei diritti amministrativi. Casistica.Giurisprudenza di merito. .- Il creditore pignoratizio partecipa all'organizzazione societaria, spettando ad esso, quale titolare del diritto di voto in assemblea, tutte le facoltà sociali correlate e strumentali all'esercizio di quel diritto. Trib.Monza,10 luglio 2000,Giur. comm. 2002, II, 410 informazioni necessarie per l'esercizio del voto. Tuttavia, la titolarità del diritto di voto rimane in capo al socio debitore e il creditore pignoratizio deve ispirare il suo comportamento assembleare al principio della buona amministrazione e conservazione del valore della azione. Trib.Gorizia,30 ottobre2001,Soc., 2002, 203 7968/564 7968/564 Nel caso in cui si dispone sequestro giudiziario su azioni soggette a pegno, il diritto di voto relativo è attribuito al custode giudiziario, anche qualora detti titoli siano detenuti dal creditore pignoratizio cui il diritto di voto spetta ex art. 2352, c.c. e di detta dazione di garanzia sia fatta esplicita menzione nel ricorso per il sequestro. Trib.Aosta,19 settembre 1995,Soc.,1996, 201 Qualora il creditore pignoratizio eserciti il diritto di voto a lui spettante ai sensi dell'art. 2352 in violazione del dovere di conservare il valore delle azioni avute in pegno, ciò non si riflette sulla validità della delibera, ma incide unicamente sul piano dei rapporti interni tra debitore e creditore, legittimando una richiesta di risarcimento dei danni che ne siano eventualmente derivati. Trib.Milano,11luglio1994,Giur.it., 1995,I,2, 830 7968/564 7968/564 In presenza di azioni sottoposte a sequestro giudiziario, in relazione alle quali il custode non abbia esercitato il diritto di opzione per non avere ricevuto la provvista, il sequestro si estende alle nuove azioni inoptate sottoscritte da parte di un socio in forza del diritto di prelazione, ovvero da parte di un terzo. Trib.Milano,25novembre2002,Giur. it. 2003, 1885 7968/564 In caso di sequestro giudiziario di titoli azionari, la legittimazione all'esercizio del diritto di opzione ad essi relativo spetta a colui che riveste la formale titolarità di socio - azionista della società. Gli effetti dell'originario sequestro non si estendono tuttavia alle azioni pervenute al socio a seguito dell'opzione, e permane in capo al sequestrante la facoltà di ottenere un nuovo sequestro avente ad oggetto queste ultime. Trib.Monza,11 gennaio 1996,Soc., 1996, 706 7968/564 .- Il creditore pignoratizio è legittimato, ex art. 2352 c.c., all'esercizio del diritto di voto in assemblea. Tale norma attribuisce a tale soggetto anche il diritto, di carattere strumentale, di ispezionare i libri sociali al fine di ottenere le Articolo 2353 Azioni di godimento.[I]. Salvo diversa disposizione dello statuto, le azioni di godimento attribuite ai possessori delle azioni rimborsate non danno diritto di voto nell'assemblea. Esse concorrono nella ripartizione degli utili che residuano dopo il pagamento delle azioni non rimborsate di un dividendo pari all'interesse legale e, nel caso di liquidazione, nella ripartizione del patrimonio sociale residuo dopo il rimborso delle altre azioni al loro valore nominale. Articolo 2354 Titoli azionari . [I]. I titoli possono essere nominativi o al portatore, a scelta del socio, se lo statuto o le leggi speciali non stabiliscono diversamente. [II]. Finché le azioni non siano interamente liberate, non possono essere emessi titoli al portatore. [III]. I titoli azionari devono indicare: 1) la denominazione e la sede della società; 2) la data dell'atto costitutivo e della sua iscrizione e l'ufficio del registro delle imprese dove la società è iscritta; 3) il loro valore nominale o, se si tratta di azioni senza valore nominale, il numero complessivo delle azioni emesse, nonché l'ammontare del capitale sociale; 4) l'ammontare dei versamenti parziali sulle azioni non interamente liberate; 5) i diritti e gli obblighi particolari ad essi inerenti. [IV]. I titoli azionari devono essere sottoscritti da uno degli amministratori. È valida la sottoscrizione mediante riproduzione meccanica della firma. [V]. Le disposizioni di questo articolo si applicano anche ai certificati provvisori che si distribuiscono ai soci prima dell'emissione dei titoli definitivi. [VI]. Sono salve le disposizioni delle leggi speciali in tema di strumenti finanziari negoziati o destinati alla negoziazione nei mercati regolamentati. [VII]. Lo statuto può assoggettare le azioni alla disciplina prevista dalle leggi speciali di cui al precedente comma. Sommario:1.Natura delle cedole per l’esercizio dei diritti sociali . Giurisprudenza di legittimità 2.-.Ricevute di versamento. Giurisprudenza di merito 3.- Certificato azionario provvisorio. Giurisprudenza di legittimità 4.Dematerializzazione. Giurisprudenza di legittimità 1.Natura delle cedole per l’esercizio dei diritti sociali. Giurisprudenza di legittimità.- Qualora, con riguardo al diritto di opzione spettante al socio sulle azioni di nuova emissione, ne venga prevista l'incorporazione in una determinata cedola da staccarsi dal certificato azionario, deve escludersi che gli organi sociali possano validamente imporre, per l'esercizio dell'opzione stessa, la presentazione, oltre che della cedola, anche del certificato azionario, atteso che ciò implicherebbe una non consentita lesione del diritto del socio, con la perdita della facoltà di alienarlo. Cass.civ.,sez.I,17marzo1989,n.1319,Foroit.,1989,I ,2196.Conf. App. Genova,31 dicembre 1993, Giur. Comm., 1995, II, 681 79687408 3.Il certificato azionario provvisorio. Giurisprudenza di legittimità.- Il certificato 2.Ricevute di versamento. Giurisprudenza di merito.- I certificati provvisori impropri (cioè le ricevute rilasciate ai soci all'atto della sottoscrizione delle azioni allo scopo di attestare l'avvenuto versamento) non sono assimilabili ai certificati provvisori di cui all'art. 2354 c.c. Essi pertanto non legittimano il possessore all'esercizio dei diritti inerenti allo "status" di socio. Trib. Milano, 28 gennaio 1982, Giur. Comm., 1983,II, 438 79687408 provvisorio di titoli azionari, qualora siano in esso riportate tutte le indicazioni prescritte dall’art. 2354 c.c., costituisce, per tutto quanto attiene alla disciplina giuridica, un titolo di credito, al pari delle azioni che sostituisce, essendo disciplinato in modo del tutto identico a queste ultime dal decreto n. 239 del 1949, senza alcuna limitazione temporale per la sua validità e neppure alcun limite di tempo, dalla costituzione della società per la sua emissione. Cass.civ.,sez.I,21febbraio1979,n.1319,Foroit.,198 0,I,346. 79687408 L’emissione ed il rilascio, da parte di una società per azioni, del titolo azionario definitivo, ancorchè in favore di chi risulti socio dai registri della società medesima, impone il preventivo ritiro ed annullamento dell’eventuale certificato azionario provvisorio, a tutela dell’inderogabile esigenza che la stessa partecipazione non venga contemporaneamente espressa da due titoli, nonché dei diritti del terzo che sia nel legittimo possesso o detenzione del certificato provvisorio. L’inosservanza di tale dovere configura un illecito, fonte di obbligazione risarcitoria nei confronti di quel terzo che abbia risentito un danno. Cass.civ.,sez.I,2marzo1978,n.1052,Foroit.,1979,I, 865. 79687408 4.Dematerializzazione. Giurisprudenza di legittimità.- La "dematerializzazione" (o "decartolarizzazione") dei titoli di credito, secondo il regime compiutamente attuato dalla l. n. 231 del 1998, supera la fisicità del titolo, consentendone forme di consegna e di trasferimento virtuali (agli effetti, ad esempio, della costituzione in pegno), senza la movimentazione o addirittura neppure la creazione del supporto cartaceo; essa non elimina, però, anche la necessità dell'individuazione, a norma dell'art. 1378 c.c., attraverso meccanismi sia pure alternativi di scritturazione, del titolo stesso come bene immateriale, configurandosi, altrimenti, in relazione a questo, un credito e non più un titolo di credito. Cass.civ.,sez.I,14giugno2000,n.8107,Giust.civ.,20 00,I,2593. 79687408 Articolo 2355. Circolazione delle azioni. [I]. Nel caso di mancata emissione dei titoli azionari il trasferimento delle azioni ha effetto nei confronti della società dal momento dell'iscrizione nel libro dei soci. [II]. Le azioni al portatore si trasferiscono con la consegna del titolo. [III]. Il trasferimento delle azioni nominative si opera mediante girata autenticata da un notaio o da altro soggetto secondo quanto previsto dalle leggi speciali. Il giratario che si dimostra possessore in base a una serie continua di girate ha diritto di ottenere l'annotazione del trasferimento nel libro dei soci, ed è comunque legittimato ad esercitare i diritti sociali; resta salvo l'obbligo della società, previsto dalle leggi speciali, di aggiornare il libro dei soci. [IV]. Il trasferimento delle azioni nominative con mezzo diverso dalla girata si opera a norma dell'articolo 2022. [V]. Nei casi previsti ai commi sesto e settimo dell'articolo 2354, il trasferimento si opera mediante scritturazione sui conti destinati a registrare i movimenti degli strumenti finanziari; in tal caso, se le azioni sono nominative, si applica il terzo comma e la scritturazione sul conto equivale alla girata. Sommario:1.Usucapione. Giurisprudenza di legittimità 1.Usucapione. Giurisprudenza di legittimitàL'usucapione dei titoli azionari presuppone il possesso "ad legitimationem" di essi, poiché solo in tal modo si esteriorizza la situazione possessoria mentre solo chi è legittimato, pur non essendo titolare, può esercitare i poteri cartolari inerenti al possesso. Il possessore acquista la proprietà dei titoli azionari esercitando i poteri collegati al possesso del documento (esercizio del diritto di voto, diritto agli utili, ispezione dei libri sociali, ecc.), non essendo sufficiente la mera intestazione formale sul titolo. Per il possesso in buona fede di un titolo azionario si richiede sin dall'origine la doppia intestazione formale di cui all'art. 2022 comma 2 c.c. Per aversi usucapione abbreviata (decennale) di un titolo nominativo azionario è necessario: a) un possesso caratterizzato dalla duplice intestazione formale sul titolo e nel registro dell'emittente e consistente nell'esercizio dei diritti inerenti alla qualità di socio; b) la buona fede, includente il convincimento dell'esistenza di un titolo idoneo al trasferimento delle azioni. Tale possesso di buona fede deve pertanto sussistere sia in ordine alla idoneità nel negozio traslativo a trasferire il diritto cartolare, sia relativamente ai requisiti formali che sono necessari "ad legitimationem". Cass.civ.,sez.I,06aprile1982,Foro it. 1983, I,1695 7968/408 In tema di effetti del possesso di buona fede di titoli di credito, l'acquisto di azioni di nuova emissione non può considerarsi avvenuto "in conformità delle norme che ne disciplinano la circolazione", come prescrive l'art. 1994 c.c., allorché tali azioni siano state illegittimamente considerate non optate (nella specie, per la presunta estraneità alla compagine sociale di coloro che avevano effettuato richiesta di sottoscrizione delle azioni di nuova emissione, e che, invece, all'esercizio di questo diritto erano legittimati). Cass.civ.,sez.I,15luglio2004,Banca borsa tit. cred. 2006, 1, 1. 7968/408 Articolo 2355 Bis. Limiti alla circolazione delle azioni. [I]. Nel caso di azioni nominative ed in quello di mancata emissione dei titoli azionari, lo statuto può sottoporre a particolari condizioni il loro trasferimento e può, per un periodo non superiore a cinque anni dalla costituzione della società o dal momento in cui il divieto viene introdotto, vietarne il trasferimento. [II]. Le clausole dello statuto che subordinano il trasferimento delle azioni al mero gradimento di organi sociali o di altri soci sono inefficaci se non prevedono, a carico della società o degli altri soci, un obbligo di acquisto oppure il diritto di recesso dell'alienante; resta ferma l'applicazione dell'articolo 2357. Il corrispettivo dell'acquisto o rispettivamente la quota di liquidazione sono determinati secondo le modalità e nella misura previste dall'articolo 2437-ter. [III]. La disposizione del precedente comma si applica in ogni ipotesi di clausole che sottopongono a particolari condizioni il trasferimento a causa di morte delle azioni, salvo che sia previsto il gradimento e questo sia concesso. [IV]. Le limitazioni al trasferimento delle azioni devono risultare dal titolo. Sommario:1.-Il divieto di trasferimento. Massime Consiglio Notarile di Milano. 2.-.La clausola di prelazione e la costituzione dei diritti reali. Operatività. Sussistenza Giurisprudenza consolidata.2.1.-La clausola di prelazione e la parità di condizioni. Giurisprudenza consolidata. -2.2.. L’operatività della clausola di prelazione in fattispecie particolari. Giurisprudenza di legittimità . -2.2.1. L’operatività della clausola di prelazione in fattispecie particolari. Giurisprudenza di legittimità e Massima Consiglio Notarile di Milano 2.3.. L’efficacia reale della clausola di prelazione. Giurisprudenza maggioritaria 3.- La clausola di gradimento. Giurisprudenza di legittimità. 3.1- La clausola di gradimento. Massima Consiglio Notarile di Milano. - 4. Clausole limitative della circolazione azioni, applicabili solo a determinate categorie di azioni.-5. Violazione: inefficacia o nullità?.- 5.1.Violazione:non spettanza di un diritto di riscatto 1.Il divieto di trasferimento. Massime Consiglio Notarile di Milano - Le clausole di mero gradimento contenute nello statuto di s.p.a. sono efficaci anche nel caso in cui (pur non prevedendosi il diritto di recesso ovvero l’obbligo, per la società o per gli altri soci, di acquistare le azioni al valore stabilito per il recesso, come prevede l´art. 2355 bis c.c.) contemplino l´obbligo per la società o per gli altri soci di acquistare "a parità di condizioni", cioè al prezzo che l´alienante ha concordato con il terzo non gradito, ovvero l´obbligo, per la società, di procurare altro acquirente gradito, che acquisti al valore stabilito per il recesso o "a parità di condizioni". Consiglio notarile di Milano, massima n.32, 19.11.2004. 7968/612 Sono legittime, anche in assenza del termine di efficacia di cinque anni di cui al-l´art. 2355 bis, 1° comma, c.c., le clausole che vietano la costituzione di usufrutto o di pegno su azioni. Sono legittime, ed efficaci anche in assenza della previsione di un obbligo di ac-quisto a carico della società o degli altri soci ovvero del diritto di recesso del costituente, le clausole di mero gradimento riferite alla costituzione di usufrutto o di pegno su azioni. Consiglio notarile di Milano, massima n.34, 19.11.2004 7968/612 Non è sufficiente il consenso dei soci, espresso al di fuori di un'assemblea straordinaria (nella s.p.a.) o di un'assemblea che deliberi con le maggioranze e con le forme necessarie per modificare l'atto costitutivo (nella s.r.l.), per trasferire con effetto verso la società le azioni o le partecipazioni la cui circolazione è vietata dallo statuto in conformità al disposto degli articoli 2355 bis, comma 1, o 2469 c.c.. Nella s.p.a. è comunque legittima la clausola che nel limite temporale di cinque anni previsto dall'art. 2355 bis, comma 1, c.c. preveda il divieto del trasferimento delle azioni e nel contempo l'ammissibilità del trasferimento stesso in presenza del consenso dei soci. Nella s.r.l. la medesima clausola determina il diritto di recesso ai sensi dell’articolo 2469, comma 2, salva la possibilità di escluderlo limitatamente ad un periodo massimo di due anni. Consiglio notarile di Milano, massima n.92, 18.05.2007 7968/612 2.La clausola di prelazione e la costituzione dei diritti reali. Operatività. Sussistenza. Giurisprudenza di merito consolidata Premesso che la clausola di prelazione azionaria, contenuta nello statuto e riferita genericamente alle cessioni di azioni, può, in sede di sommaria delibazione, qual è quella dell'esame del ricorso per misura cautelare, intendersi come comprensiva anche della cessione dell'usufrutto sulle azioni, nella valutazione delle condizioni necessarie per la concessione di una misura cautelare, richiesta dai convenuti nel caso di giudizio promosso per fare accertare la validità della cessione dell'usufrutto su azioni, compiuta in violazione della clausola predetta, deve ritenersi sussistente, oltre che il requisito della infondatezza della domanda attrice, anche quello del pericolo di lesione ai diritti dei convenuti, ai fini di concedere la richiesta misura cautelare che, nella specie, si identifica, a norma dell'art. 700 c.p.c., nella nomina di un amministratore giudiziario, la cui gestione consenta il congelamento dell'assetto azionario fino alla definizione del giudizio. Trib. Bologna, 3 agosto 1994, Giur. Comm., 1994, II, 880 Conf. Trib. Trieste, 14 agosto 1998, Giur. Comm., 1998, II, 736 7968/612 2.1. La clausola di prelazione e la parità di condizioni. Giurisprudenza consolidata.Presupposto di applicabilità della clausola statutaria di prelazione, stabilita "a parità di condizioni" è l'indifferenza della sostituzione del cessionario rispetto alle altre componenti negoziali della cessione. Non costituisce quindi violazione della clausola la cessione delle quote sociali effettuata mediante loro conferimento in altra società, poiché essa realizza un negozio di tipo associativo e non un semplice contratto di scambio. Trib. Milano, 6 febbraio 2002, Giur.it., 2002,1220. Conf. Trib. Foggia, 19 ottobre 1991, Dir. e giur. 1992, 590 7968/612 La clausola di prelazione prevista genericamente "in caso di trasferimento per atto tra vivi" delle quote non si applica anche ai trasferimenti a titolo gratuito in mancanza di espressa previsione in tal senso. Cass. civ., sez. I, 12 gennaio 1989, n. 93,Riv. Not., 1989, 1244. 7968/612 2.2. L’operatività della clausola di prelazione in fattispecie particolari. Giurisprudenza di legittimità. - La clausola di prelazione (…)è dettata nell'interesse dei soci che intendono garantirsi contro il rischio di mutamento della compagine sociale; peraltro, in caso di retrocessione di partecipazioni oggetto di intestazione fiduciaria non vi è, dal punto di vista sostanziale, mutamento nelle persone dei soci, operando il fiduciante nell'interesse e secondo le istruzioni del mandante; pertanto, il fiduciante, che sia titolare di proprie quote, non può invocare il diritto di prelazione, in quanto il trasferimento delle quote al mandante fa parte del pactum fiduciae. Cass. civ., sez. I, 2 maggio 2007, n. 10121, Giust. civ.,Mass.2007,5 7968/612 2.2.1. L’operatività della clausola di prelazione in fattispecie particolari. Giurisprudenza di merito e Massima Consiglio Notarile di Milano. - Nel caso di espropriazione forzata (concorsuale come singolare), le modalità della vendita, stabilite dalla legge e attuate dal giudice, sono dirette alla tutela delle ragioni dei creditori, le quali, per la loro natura pubblicistica, prevalgono su qualsiasi interesse confliggente, sì da comportare la inoperatività della clausola di prelazione eventualmente contenuta nello statuto di una società per azioni. Trib Perugia,07 luglio 1989,Banca borsa tit. cred. 1992, II,723 7968/612 La clausola statutaria di prelazione, avendo efficacia "erga omnes" è opponibile alla società che voglia acquistare le proprie azioni. Trib.Verona,25ottobre1986,Riv.Not.1988,1003. 7968/612 Devono ritenersi inefficaci (salvo che sia espressamente previsto il diritto di recesso) le clausole di prelazione contenute in statuti di s.p.a. che attribuiscano il diritto di esercitare la prelazione, al di là dei limiti temporali di cui all'art. 2355-bis, comma 1, c.c., per un corrispettivo, diverso da quello proposto dall’alienante, determinato con criteri tali da quantificarlo in un ammontare significativamente inferiore a quello che risulterebbe applicando i criteri di calcolo previsti in caso di recesso. Consiglio notarile di Milano, massima n.85, 15.11.2005 7968/612 2.3. L’efficacia reale della clausola di gradimento. Giurisprudenza maggioritaria.- In tema di vendita di azioni di una società, qualora il diritto di prelazione riconosciuto ai singoli soci da apposita clausola statutaria riguardi ogni singolo contratto avente ad oggetto le azioni di ciascun socio, non è consentita la vendita in modo congiunto e per un prezzo globale delle azioni appartenenti a più soci, non operando, in tal caso, la regola della cosiddetta "inscindibilità della prelazione". Infatti, detta clausola statutaria, al pari di qualsiasi altra pattuizione riguardante posizioni soggettive individuali dei soci che venga iscritta nello statuto della società, ha efficacia reale, sicché i suoi effetti sono opponibili anche al terzo acquirente, e pertanto il patto "parasociale", col quale alcuni soci si accordino per vendere congiuntamente le azioni di loro proprietà per un prezzo globale, intervenuto successivamente alla stipulazione della clausola di prelazione, non potrebbe legittimare la violazione del diritto di prelazione riconosciuto dalla stessa clausola ai soci che non abbiano aderito a detto patto parasociale. Cass.civ.,sez.I,29agosto1998,n.8645,Giust.civ.Ma ss.,1998,1815. Conf. Trib. Bari,21 ottobre 2008, Giurisprudenzabarese.it; Trib.Milano, 22 giugno 2001, Giur. it. 2002, 1898; Trib. Como, 23 febbraio 1994,Soc.,1994, 678 7968/612 3.La clausola di gradimento. Giurisprudenza di legittimità- In relazione a una clausola dello statuto di società per azioni che subordini l'efficacia del trasferimento delle azioni al gradimento di organi sociali, è legittimato a chiedere tale gradimento solo il socio alienante e non anche l'acquirente delle azioni, ancora estraneo alla compagine sociale e non destinatario dell'ordinamento interno della società. L'interesse dell'acquirente, peraltro, può sorgere in un momento successivo, qualora l'organo sociale emetta una delibera di rifiuto viziata da invalidità, così come lo stesso acquirente deve ritenersi legittimato nella diversa ipotesi in cui egli faccia valere l'invalidità della clausola statutaria e la conseguente opponibilità alla società dell'alienazione delle ragioni. (Nella specie, confermata la statuizione di merito dichiarativa della validità della specifica clausola di gradimento, la S.C. ha rilevato che non poteva ritenersi rilevante la richiesta di gradimento in ipotesi formulata dall'acquirente). Cass.civ.,sez.I,20luglio1995,n.7890,Giust. civ., Mass.1995,1404 7968/612 La circostanza che l'organo collegiale di amministrazione di una società di capitali, nell'ambito del potere statutario di aderire o meno al proposito del socio di cedere ad altri le sue azioni, si esprima favorevolmente, senza però indicare od esigere l'indicazione del promissario acquirente, non priva la relativa delibera degli essenziali requisiti di contenuto, atteso che quell'omissione si traduce in un apprezzamento negativo, ai fini del gradimento, dell'influenza dell'identificazione del nuovo socio: la delineata evenienza non può, pertanto, comportare inesistenza o nullità assoluta della delibera, ma si esaurisce in uno scorretto esercizio del suddetto potere da parte degli amministratori e la tutela della società resta affidata all'azione di responsabilità contro gli amministratori, secondo le previsioni dell'art. 2392 c.c., tenendo anche conto che l'impugnazione delle delibere del consiglio di amministrazione - nei casi e nei tempi contemplati dall'art. 2391 c.c. - è rimedio accordato solo agli amministratori assenti o dissenzienti ed ai sindaci ed estensibile solo in favore dei soci che subiscono diretta lesione dei propri diritti. Cass.civ.,sez.I,15 novembre 1993, n.11278,Giust. civ. 1994, I,1583 7968/612 3.1. La clausola di gradimento. Massima Consiglio Notarile di Milano.-Le clausole di mero gradimento contenute nello statuto di s.p.a. sono efficaci anche nel caso in cui (pur non prevedendosi il diritto di recesso ovvero l’obbligo, per la società o per gli altri soci, di acquistare le azioni al valore stabilito per il recesso, come prevede l'art. 2355 bis c.c.) contemplino l'obbligo per la società o per gli altri soci di acquistare "a parità di condizioni", cioè al prezzo che l'alienante ha concordato con il terzo non gradito, ovvero l'obbligo, per la società, di procurare altro acquirente gradito, che acquisti al valore stabilito per il recesso o “a parità di condizioni”. Consiglio notarile di Milano, massima n.32, 19.11.2004 7968/612 4.Clausole limitative della circolazione azioni, applicabili solo a determinate categorie di azioni. Massima Consiglio Notarile di Milano.E' legittima la previsione statutaria di diverse regole di circolazione delle azioni dis.p.a. o delle partecipazioni di s.r.l., che siano applicabili non già a tutte le azioni o partecipazioni emesse dalla società, bensì solo ad alcune di esse. Tale facoltà – che incontra ovviamente i medesimi vincoli imposti dalla legge perla generalità delle azioni o partecipazioni sociali – può riguardare sia le clausole comportanti limiti alla circolazione in senso proprio (ad es. prelazione, gradimento, etc.), sia le altre clausole riguardanti in senso lato il trasferimento delle azioni (ad es. tecniche di rappresentazione delle azioni, riscatto, recesso convenzionale, etc.).In queste circostanze, il diverso regime di circolazione dà luogo: (i) nella s.p.a., a diverse categorie di azioni ai sensi dell'art. 2348 c.c., ciascuna delle quali caratterizzata dalle regole statutarie ad essa applicabili; (ii) nella s.r.l., a diritti particolari dei soci ai sensi dell'art. 2468 c.c., spettanti ai singoli soci cui si applica il diverso regime di circolazione.. . Consiglio notarile di Milano, massima n.95, 18.05.2007 7968/612 5.Violazione.Giurisprudenza recenteLa clausola inserita nello statuto di una società di capitali che contempli un diritto di prelazione in capo ai soci per l'evenienza del trasferimento di partecipazioni sociali è posta a garanzia dell'interesse del soggetto collettivo, di talché l'eventuale trasferimento compiuto in spregio della prelazione non è nullo, ma inopponibile alla società, la quale può decidere di rifiutare l'annotazione del trasferimento nel libro soci ovvero, in alternativa, di proporre una domanda giudiziale di accertamento dell'inefficacia relativa della cessione. Trib.Catania,05maggio2003,Gius 2003, 1778. Conf. Trib.Roma, 04maggio1998,Riv. dir. comm. 1999, II, 65;Trib.Catania,06febbraio2003,Giur. comm. 2003, II, 761. Contra e nel senso della nullità:Trib. Cagliari, 7 gennaio 2001, Riv. Giur. Sarda, 2002, 125; Trib. Catania, 5 maggio 2003, Soc., 2004, 69; Cass. 1973 n. 2763; Cass. 1957 n. 3702. 7968/612 5.1.Violazione: non spettanza di un diritto di riscatto-Giurisprudenza maggioritaria La domanda del socio pretermesso, fondata sulla violazione del patto di prelazione, può condurre alla dichiarazione di inefficacia assoluta del contratto di vendita all'acquirente; inappropriata è, invece, la notizia di nullità, in quanto questa non è sanzione disponibile delle parti ma consegue per legge alla violazione di norme imperative. L'esperimento dell'azione non implica anche la possibilità per il socio pretermesso di esercitare il diritto di riscatto, il quale costituisce ipotesi eccezionale limitata ai casi tassativi di legge. Trib.Roma,04maggio1998,Riv. dir. comm. 1999, II, 65 7968/612 Articolo 2356 .Responsabilità in caso di trasferimento di azioni non liberate . [I]. Coloro che hanno trasferito azioni non liberate sono obbligati in solido con gli acquirenti per l'ammontare dei versamenti ancora dovuti, per il periodo di tre anni dall'annotazione del trasferimento nel libro dei soci. [II]. Il pagamento non può essere ad essi domandato se non nel caso in cui la richiesta al possessore dell'azione sia rimasta infruttuosa. Sommario:1.-Fattispecie.Giurisprudenza 1.Fattispecie. Giurisprudenza di legittimità.- La compravendita di azioni può trasferire in capo all'acquirente, indipendentemente da specifico patto, gli obblighi inerenti alla qualità di socio, posti dall'atto costitutivo o da deliberazioni assembleari, non anche quelli che derivino da impegni personalmente assunti dal venditore di legittimità. verso la società con autonomi contratti (nella specie, per l'erogazione di mezzi finanziari), rispetto ai quali, pertanto, un debito dell'acquirente medesimo, sia pure come dovere di tenere indenne il venditore di quanto sborsato in favore della società, può derivare soltanto da un'espressa clausola della compravendita stessa. Cass.civ.,sez.I,30 marzo 1987,n. 3052,Giust. civ.,Mass.,1987,fasc.3 7968/408 Articolo 2357 Acquisto delle proprie azioni. [I]. La società non può acquistare azioni proprie se non nei limiti degli utili distribuibili e delle riserve disponibili risultanti dall'ultimo bilancio regolarmente approvato. Possono essere acquistate soltanto azioni interamente liberate. [II]. L'acquisto deve essere autorizzato dall'assemblea, la quale ne fissa le modalità, indicando in particolare il numero massimo di azioni da acquistare, la durata, non superiore ai diciotto mesi, per la quale l'autorizzazione è accordata, il corrispettivo minimo ed il corrispettivo massimo. [III]. Il valore nominale delle azioni acquistate a norma del primo e secondo comma dalle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio non può eccedere la quinta parte del capitale sociale, tenendosi conto a tal fine anche delle azioni possedute da società controllate .[IV]. Le azioni acquistate in violazione dei commi precedenti debbono essere alienate secondo modalità da determinarsi dall'assemblea, entro un anno dal loro acquisto. In mancanza, deve procedersi senza indugio al loro annullamento e alla corrispondente riduzione del capitale. Qualora l'assemblea non provveda, gli amministratori e i sindaci devono chiedere che la riduzione sia disposta dal tribunale secondo il procedimento previsto dall'articolo 2446, secondo comma. [V]. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche agli acquisti fatti per tramite di società fiduciaria o per interposta persona. Sommario:1.-L’ambito del divieto. Giurisprudenza di legittimità 2.-.I requisiti della delibera di autorizzazione. Giurisprudenza di legittimità.3.-La sanzione. Giurisprudenza di legittimità 1.L’ambito del divieto. Giurisprudenza di legittimità.- L'ipotesi dell'acquisto di azioni, emesse da una società controllante, oltre il limite del 10% del suo capitale, da parte di altra società indirettamente controllata, equivale a quella dell'assunzione del controllo indiretto su una società, che già detenga più del 10% del capitale di quella, che ne assume il predetto controllo. Cass.civ.,sez.I,13 marzo 2003,n. 3722,Soc., 2003, 824 7968/408 12.I requisiti della delibera di autorizzazione. Giurisprudenza di legittimità.- L'autorizzazione all'acquisto di azioni proprie, in quanto espressione di una competenza specifica dell'assemblea (in aggiunta alla competenza generale disposta dall'art. 2364 c.c.) e diretta a dare impulso ad uno specifico programma di azione della società, non può considerarsi come situazione meramente accessoria e conseguente all'esame del bilancio di esercizio. Di conseguenza deve ritenersi invalida la delibera dell'assemblea nella parte in cui ha disposto di destinare parte degli utili realizzati all'acquisto di azioni proprie, senza che tale oggetto fosse indicato espressamente nell'avviso di convocazione dei soci. Cass.civ.,sez.I,20dicembre1995,n. 13019,Giust. civ. Mass. 1995, fasc. 12. 7968/408 1.La sanzione. Giurisprudenza di legittimità.L'atto di disposizione delle azioni proprie compiuto dagli amministratori senza l'autorizzazione dell'assemblea non è nullo, ma soltanto annullabile, poiché l'interesse tutelato dalla disposizione in esame è quello di proteggere la società dal rischio di abusi da parte degli amministratori e di garantire ai soci una eventuale preferenza ai fini del mantenimento degli equilibri interni in atto, senza che in ciò possa configurarsi una norma di ordine pubblico. Cass.civ.,sez.I,01 aprile 1996, n.3012,Soc. 1996, 1152 7968/408 Articolo 2357 Bis .Casi speciali di acquisto delle proprie azioni. [I]. Le limitazioni contenute nell'articolo 2357 non si applicano quando l'acquisto di azioni proprie avvenga: 1) in esecuzione di una deliberazione dell'assemblea di riduzione del capitale, da attuarsi mediante riscatto e annullamento di azioni; 2) a titolo gratuito, sempre che si tratti di azioni interamente liberate; 3) per effetto di successione universale o di fusione o scissione; 4) in occasione di esecuzione forzata per il soddisfacimento di un credito della società, sempre che si tratti di azioni interamente liberate. [II]. Se il valore nominale delle azioni proprie supera il limite della quinta parte del capitale per effetto di acquisti avvenuti a norma dei numeri 2), 3) e 4) del primo comma del presente articolo, si applica per l'eccedenza il penultimo comma dell'articolo 2357, ma il termine entro il quale deve avvenire l'alienazione è di tre anni. Articolo 2357 Ter Disciplina delle proprie azioni. [I]. Gli amministratori non possono disporre delle azioni acquistate a norma dei due articoli precedenti se non previa autorizzazione dell'assemblea, la quale deve stabilire le relative modalità. A tal fine possono essere previste, nei limiti stabiliti dal primo e secondo comma dell'articolo 2357, operazioni successive di acquisto ed alienazione. [II]. Finché le azioni restano in proprietà della società, il diritto agli utili e il diritto di opzione sono attribuiti proporzionalmente alle altre azioni; l'assemblea può tuttavia, alle condizioni previste dal primo e secondo comma dell'articolo 2357, autorizzare l'esercizio totale o parziale del diritto di opzione. Il diritto di voto è sospeso, ma le azioni proprie sono tuttavia computate nel capitale ai fini del calcolo delle quote richieste per la costituzione e per le deliberazioni dell'assemblea. [III]. Una riserva indisponibile pari all'importo delle azioni proprie iscritto all'attivo del bilancio deve essere costituita e mantenuta finché le azioni non siano trasferite o annullate Sommario:1.-La natura della riserva azioni proprie. Giurisprudenza di legittimità 1.La natura della riserva azioni proprie. Giurisprudenza di legittimità. La riserva per azioni proprie in portafoglio non ha funzione meramente rettificativa dell'attivo, ma costituisce una vera e propria riserva, destinata ad esprimere valori facenti parte del patrimonio della società. Cass.civ.,sez.I,03settembre1996,n. 8048,Giur. comm. 1997, II, 249 7968/408 Articolo 2357 Quater. Divieto di sottoscrizione delle proprie azioni . [I]. Salvo quanto previsto dall'articolo 2357-ter, secondo comma (2), la società non può sottoscrivere azioni proprie. [II]. Le azioni sottoscritte in violazione del divieto stabilito nel precedente comma si intendono sottoscritte e devono essere liberate dai promotori e dai soci fondatori o, in caso di aumento del capitale sociale, dagli amministratori. La presente disposizione non si applica a chi dimostri di essere esente da colpa. [III]. Chiunque abbia sottoscritto in nome proprio, ma per conto della società, azioni di quest'ultima è considerato a tutti gli effetti sottoscrittore per conto proprio. Della liberazione delle azioni rispondono solidalmente, a meno che dimostrino di essere esenti da colpa, i promotori, i soci fondatori e, nel caso di aumento del capitale sociale, gli amministratori. Articolo 2358 Altre operazioni sulle proprie azioni. [I]. La società non può, direttamente o indirettamente, accordare prestiti, nè fornire garanzie per l'acquisto o la sottoscrizione delle proprie azioni, se non alle condizioni previste dal presente articolo. [II]. Tali operazioni sono preventivamente autorizzate dall'assemblea straordinaria. [III]. Gli amministratori della società predispongono una relazione che illustri, sotto il profilo giuridico ed economico, l'operazione, descrivendone le condizioni, evidenziando le ragioni e gli obiettivi imprenditoriali che la giustificano, lo specifico interesse che l'operazione presenta per la società, i rischi che essa comporta per la liquidità e la solvibilità della società ed indicando il prezzo al quale il terzo acquisirà le azioni. Nella relazione gli amministratori attestano altresì che l'operazione ha luogo a condizioni di mercato, in particolare per quanto riguarda le garanzie prestate e il tasso di interesse praticato per il rimborso del finanziamento, e che il merito di credito della controparte è stato debitamente valutato. La relazione è depositata presso la sede della società durante i trenta giorni che precedono l'assemblea. Il verbale dell'assemblea, corredato dalla relazione degli amministratori, è depositato entro trenta giorni per l'iscrizione nel registro delle imprese. [IV]. In deroga all'articolo 2357-ter, quando le somme o le garanzie fornite ai sensi del presente articolo sono utilizzate per l'acquisto di azioni detenute dalla società ai sensi dell'articolo 2357 e 2357-bis l'assemblea straordinaria autorizza gli amministratori a disporre di tali azioni con la delibera di cui al secondo comma. Il prezzo di acquisto delle azioni è determinato secondo i criteri di cui all'articolo 2437-ter, secondo comma. Nel caso di azioni negoziate in un mercato regolamentato il prezzo di acquisto è pari almeno al prezzo medio ponderato al quale le azioni sono state negoziate nei sei mesi che precedono la pubblicazione dell'avviso di convocazione dell'assemblea. [V]. Qualora la società accordi prestiti o fornisca garanzie per l'acquisto o la sottoscrizione delle azioni proprie a singoli amministratori della società o della controllante o alla stessa controllante ovvero a terzi che agiscono in nome proprio e per conto dei predetti soggetti, la relazione di cui al terzo comma attesta altresì che l'operazione realizza al meglio l'interesse della società. [VI]. L'importo complessivo delle somme impiegate e delle garanzie fornite ai sensi del presente articolo non può eccedere il limite degli utili distribuibili e delle riserve disponibili risultanti dall'ultimo bilancio regolarmente approvato, tenuto conto anche dell'eventuale acquisto di proprie azioni ai sensi dell'articolo 2357. Una riserva indisponibile pari all'importo complessivo delle somme impiegate e delle garanzie fornite è iscritta al passivo del bilancio. [VII]. La società non può, neppure per tramite di società fiduciaria, o per interposta persona, accettare azioni proprie in garanzia. [VIII]. Salvo quanto previsto dal comma sesto, le disposizioni del presente articolo non si applicano alle operazioni effettuate per favorire l'acquisto di azioni da parte di dipendenti della società o di quelli di società controllanti o controllate. [IX]. Resta salvo quanto previsto dagli articoli 2391-bis e 2501-bis. Sommario:1.-La fattispecie. Il principio enunciato nell'art. 2358 c.c. con riferimento alle società per azioni è espressione di un principio generale applicabile anche nella ipotesi di fideiussione e anche alle società a Giurisprudenza di legittimità responsabilità limitata. È nullo per illiceità dei motivi comuni il negozio giuridico posto in essere dall'amministratore in violazione dei divieti su di lui incombenti quando l'altra parte è consapevole della situazione. Cass. civ., sez. I, 4 ottobre 1984, n. 4916, Riv. Dir.Comm., 1985,II,85. Conf. Cass. civ., sez. I, 21 gennaio 1970, n. 123 7968/408 Articolo 2359 Società controllate e società collegate . [I]. Sono considerate società controllate: 1) le società in cui un'altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria; 2) le società in cui un'altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un'influenza dominante nell'assemblea ordinaria; 3) le società che sono sotto influenza dominante di un'altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa. [II]. Ai fini dell'applicazione dei numeri 1) e 2) del primo comma si computano anche i voti spettanti a società controllate, a società fiduciarie e a persona interposta: non si computano i voti spettanti per conto di terzi. [III]. Sono considerate collegate le società sulle quali un'altra società esercita un'influenza notevole. L'influenza si presume quando nell'assemblea ordinaria può essere esercitato almeno un quinto dei voti ovvero un decimo se la società ha azioni quotate in mercati regolamentati Sommario:1.-La nozione di controllo esterno. Giurisprudenza consolidata. 2.-L’interessse di gruppo. Giurisprudenza di legittimità. 3.L’autonomia giuridica. Giurisprudenza di legittimità.4- I c.d. vantaggi compensativi. Giurisprudenza di legittimità5. Holding. Giurisprudenza di legittimità 1.La nozione di controllo esterno. Giurisprudenza consolidata -La configurabilità del controllo esterno di una società su di un'altra (quale disciplinata dal comma 1, n. 3, dell'art. 2359 c.c. nella formulazione risultante a seguito della modifica apportata dal d.lg. n. 127 del 1991 e consistente nella influenza dominante che la controllante esercita sulla controllata in virtù di particolari vincoli contrattuali), postula la esistenza di determinati rapporti contrattuali la cui costituzione ed il cui perdurare rappresentino la condizione di esistenza e di sopravvivenza della capacità di impresa della società controllata; l'accertamento della esistenza di tali rapporti, così come l'accertamento dell'esistenza di comportamenti nei quali possa ravvisarsi un abuso della posizione di controllo tale da convertire una situazione di per sè non illecita nel contesto della vigente disciplina codicistica in una condotta illecita causativa di danno risarcibile, costituisce indagine di fatto, rimessa, come tale, all'apprezzamento del giudice del merito e sindacabile in sede di legittimità solo per aspetti di contraddizione interna all'"iter" logico formale della decisione, ovvero per omissione di esame di elementi determinanti per la decisione stessa. Cass.civ.,sez.I,27settembre2001,n.12094,Giust.civ .Mass.,2001,1696 7968/1896 Il rapporto di controllo ex art. 2359 comma 1 n. 2 c.c., si ha quando tra due o più società corrono rapporti contrattuali la cui costituzione ed il cui perdurare rappresentano la condizione di esistenza e di sopravvivenza della capacità d'impresa della società c.d. controllata. Di conseguenza, non sussiste un rapporto di controllo ex art. 2359, comma 1 n. 2, nel caso in cui gli elementi idonei ad evidenziare una posizione contrattuale "forte" di una società, che si presume essere la c.d. controllante, non son però tali da impedire alle società, presunte controllate, al termine della scadenza annuale, di non rinnovare e di stipularne altri con imprenditori diversi. Trib.Milano,28 aprile 1994 Soc. 1995, 74. 7968/1896 2.L’interesse di gruppo. Giurisprudenza di legittimità- . Nei gruppi di società, ferma restando l'autonomia giuridica delle singole società controllate, è legittimo l'esercizio di una direzione unitaria da parte della capogruppo, che implica necessariamente un interesse di gruppo, inteso come perseguimento di scopi comuni, anche trascendenti gli obiettivi delle singole società. Cass.civ.,sez.I,05dicembre1998n.12325,Giur. it. 1999, 2317 7968/1896 Con riguardo ad un gruppo di società collegate in senso economico e dirigenziale (in virtù dell'unione personale costituita dalla pressoché totale indennità dei titolari dei pacchetti azionari e dalla comunanza degli organi direttivi), ma non in senso giuridico, per l'inconfigurabilità dei presupposti richiesti dall'art. 2359 c.c., gli organi amministrativi di una società non possono compiere atti che, realizzando le direttive del gruppo, favoriscano altre società collegate, quando tali atti pregiudichino gli interessi della prima società (nella specie, trattavasi di una fideiussione a favore di altra società del gruppo, senza vantaggi economici per la fideiubente, che veniva a partecipare solo al rischio delle perdite). Cass.civ.,sez.I,13febbraio1992,n.1759,Giust. civ. Mass. 1992, fasc. 2, 7968/1896 3.L’autonomia giuridica. Giurisprudenza di legittimità- . Posto che il gruppo di imprese non costituisce un soggetto giuridico o comunque un centro di interessi autonomo rispetto alle società collegate, la nozione di interesse sociale deve essere valutata tenendo conto dell'autonomia soggettiva delle singole società del gruppo (nella specie, ai fini della responsabilità degli amministratori, è stata ritenuta l'illegittimità di operazioni di finanziamento senza corrispettivo e senza garanzie, e di distacchi di personale a favore di società diversa da quella a cui carico gravano gli oneri economici). Cass.civ.,sez.I,08maggio1991,n. 5123,Foro it. 1992, I,817.,Conf. Cass.civ.,sez.I,21 gennaio 1999,n. 521,Giust. civ. Mass. 1999, 122, 7968/1896 4. I vantaggi compensativi. Giurisprudenza di legittimità- - È valida l'obbligazione assunta da una società controllata a favore di altra società del gruppo o della stessa controllante - capogruppo, a meno che l'obbligazione non rappresenti per la società obbligata un vantaggio neppure mediato o riflesso. Nei gruppi di società, ferma restando l'autonomia giuridica delle singole società controllate, è legittimo l'esercizio di una direzione unitaria da parte della capogruppo, che implica necessariamente un interesse di gruppo, inteso come perseguimento di scopi comuni, anche trascendenti gli obiettivi delle singole società. La promessa, con la quale una società si impegna a garantire in futuro tutte le obbligazioni assunte dalla propria controllante a beneficio del gruppo, è valida in quanto sorretta da un interesse proprio anche se non esclusivo della società promittente. Cass.civ.,sez.I,05 dicembre Giur. it. 1999, 2317 7968/1896 1998n.12325, Il gruppo di imprese non costituisce un soggetto giuridico o comunque un centro di interessi autonomo rispetto alle società collegate e, pertanto, anche ai fini della responsabilità degli amministratori - quando manchi la prova di un accordo fra le varie società, diretto a creare un'impresa unica, con direzione unitaria e patrimoni tutti destinati al conseguimento di una finalità comune e ulteriore - va valutato il comportamento che la legge e l'atto costitutivo impongono rispetto alla società di appartenenza, talché essi rispondono verso la medesima società della inosservanza dei loro doveri, senza che sia possibile compensare, in una valutazione globale del loro comportamento, il pregiudizio cagionato a quest'ultima, per effetto di mala gestio, col corrispondente vantaggio di altra società del gruppo. Cass.civ.,sez.I,08maggio1991,n.5123,Giust. civ. Mass. 1991, fasc. 5 7968/1896 5. Holding. Giurisprudenza di legittimità- In ipotesi di holding di tipo personale, cioè di persona fisica che sia a capo di più società di capitali in veste di titolare di quote o partecipazioni azionarie e svolga professionalmente, con stabile organizzazione, l'indirizzo, il controllo e il coordinamento delle società medesime (non limitandosi così al mero esercizio dei poteri inerenti alla qualità di socio), la configurabilità di un'autonoma impresa, come tale assoggettabile a fallimento, postula che la suddetta attività, sia essa di sola gestione del gruppo (cosiddetta holding pura), ovvero anche di natura ausiliaria o finanziaria (cosiddetta holding operativa), si esplichi in atti, anche negoziali, posti in essere in nome proprio, quindi fonte di responsabilità diretta del loro autore, e presenti altresì obiettiva attitudine a perseguire utili risultati economici, per il gruppo o le sue componenti, causalmente ricollegabili all'attività medesima. Cass.civ.,sez.I,09agosto2002,n.12113,Giust. civ. Mass. 2002, 1523, 7968/1896 Articolo 2359 Bis. Acquisto di azioni o quote da parte di società controllate. [I]. La società controllata non può acquistare azioni o quote della società controllante se non nei limiti degli utili distribuibili e delle riserve disponibili risultanti dall'ultimo bilancio regolarmente approvato. Possono essere acquistate soltanto azioni interamente liberate. [II]. L'acquisto deve essere autorizzato dall'assemblea a norma del secondo comma dell'articolo 2357. [III]. In nessun caso il valore nominale delle azioni o quote acquistate a norma dei commi precedenti può eccedere la decima parte del capitale della società controllante, tenendosi conto a tal fine delle azioni o quote possedute dalla medesima società controllante e dalle società da essa controllate. [IV]. Una riserva indisponibile, pari all'importo delle azioni o quote della società controllante iscritto all'attivo del bilancio deve essere costituita e mantenuta finché le azioni o quote non siano trasferite. [V]. La società controllata da altra società non può esercitare il diritto di voto nelle assemblee di questa. [VI]. Le disposizioni di questo articolo si applicano anche agli acquisti fatti per il tramite di società fiduciaria o per interposta persona. Articolo 2359 Ter .Alienazione o annullamento delle azioni o quote della società controllante.[I]. Le azioni o quote acquistate in violazione dell'articolo 2359-bis devono essere alienate secondo modalità da determinarsi dall'assemblea entro un anno dal loro acquisto. [II]. In mancanza, la società controllante deve procedere senza indugio al loro annullamento e alla corrispondente riduzione del capitale, con rimborso secondo i criteri indicati dagli articoli 2437-ter e 2437-quater. Qualora l'assemblea non provveda, gli amministratori e i sindaci devono chiedere che la riduzione sia disposta dal tribunale secondo il procedimento previsto dall'articolo 2446, secondo comma. Articolo 2359 Quater Casi speciali di acquisto o di possesso di azioni o quote della società controllante. [I]. Le limitazioni dell'articolo 2359-bis non si applicano quando l'acquisto avvenga ai sensi dei numeri 2, 3 e 4 del primo comma dell'articolo 2357-bis. [II]. Le azioni o quote così acquistate, che superino il limite stabilito dal terzo comma dell'articolo 2359-bis, devono tuttavia essere alienate, secondo modalità da determinarsi dall'assemblea, entro tre anni dall'acquisto. Si applica il secondo comma dell'articolo 2359-ter. [III]. Se il limite indicato dal terzo comma dell'articolo 2359-bis è superato per effetto di circostanze sopravvenute, la società controllante, entro tre anni dal momento in cui si è verificata la circostanza che ha determinato il superamento del limite, deve procedere all'annullamento delle azioni o quote in misura proporzionale a quelle possedute da ciascuna società, con conseguente riduzione del capitale e con rimborso alle società controllate secondo i criteri indicati dagli articoli 2437-ter e 2437-quater. Qualora l'assemblea non provveda, gli amministratori e i sindaci devono chiedere che la riduzione sia disposta dal tribunale secondo il procedimento previsto dall'articolo 2446, secondo comma Articolo 2359 Quinquies. Sottoscrizione di azioni o quote della società controllante (1). [I]. La società controllata non può sottoscrivere azioni o quote della società controllante. [II]. Le azioni o quote sottoscritte in violazione del comma precedente si intendono sottoscritte e devono essere liberate dagli amministratori, che non dimostrino di essere esenti da colpa. [III]. Chiunque abbia sottoscritto in nome proprio, ma per conto della società controllata, azioni o quote della società controllante è considerato a tutti gli effetti sottoscrittore per conto proprio. Della liberazione delle azioni o quote rispondono solidalmente gli amministratori della società controllata che non dimostrino di essere esenti da colpa. Articolo 2360 Divieto di sottoscrizione reciproca di azioni. [I]. È vietato alle società di costituire o di aumentare il capitale mediante sottoscrizione reciproca di azioni, anche per tramite di società fiduciaria o per interposta persona. Articolo 2361.Partecipazioni . [I]. L'assunzione di partecipazioni in altre imprese, anche se prevista genericamente nello statuto, non è consentita, se per la misura e per l'oggetto della partecipazione ne risulta sostanzialmente modificato l'oggetto sociale determinato dallo statuto. [II]. L'assunzione di partecipazioni in altre imprese comportante una responsabilità illimitata per le obbligazioni delle medesime deve essere deliberata dall'assemblea; di tali partecipazioni gli amministratori danno specifica informazione nella nota integrativa del bilancio. Sommario:1.-La nozione di “modifica sostanziale” dell’oggetto sociale. Giurisprudenza di legittimità. 1.La nozione di “modifica sostanziale” dell’oggetto sociale. Giurisprudenza di legittimità. -Non integra una modifica dell'oggetto sociale preclusa all'organo amministrativo e non costituisce pertanto grave irregolarità il fatto che gli amministratori di una s.p.a. deliberino di trasferire il complesso aziendale produttivo a società (interamente) controllata sottoscrivendone il corrispondente aumento di capitale. App.Milano,22ottobre2001,Giur. it. 2002, 320 7968/1296 Articolo 2362 .Unico azionista. [I]. Quando le azioni risultano appartenere ad una sola persona o muta la persona dell'unico socio, gli amministratori devono depositare per l'iscrizione del registro delle imprese una dichiarazione contenente l'indicazione del cognome e nome o della denominazione, della data e del luogo di nascita o lo Stato di costituzione, del domicilio o della sede e cittadinanza dell'unico socio. [II]. Quando si costituisce o ricostituisce la pluralità dei soci, gli amministratori ne devono depositare apposita dichiarazione per l'iscrizione nel registro delle imprese. [III]. L'unico socio o colui che cessa di essere tale può provvedere alla pubblicità prevista nei commi precedenti. [IV]. Le dichiarazioni degli amministratori previste dai precedenti commi devono essere depositate entro trenta giorni dall'iscrizione nel libro dei soci e devono indicare la data di iscrizione. [V]. I contratti della società con l'unico socio o le operazioni a favore dell'unico socio sono opponibili ai creditori della società solo se risultano dal libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio di amministrazione o da atto scritto avente data certa anteriore al pignoramento Sommario:1.-Intestazione fittizia. Giurisprudenza di legittimità 1.Intestazione legittimità. fittizia. Giurisprudenza di La responsabilità sancita dall'art. 2362 c.c. a carico dell'unico azionista, che può essere anche una persona giuridica, per le obbligazioni contratte dalla società insolvente - responsabilità che non richiede, nè presuppone l'estinzione di quest'ultima essendo sufficiente una situazione di insolvenza che non consenta il soddisfacimento dei creditori - trova applicazione anche nelle ipotesi in cui vi sia apparentemente un socio di minoranza, essendo l'intestazione delle azioni a nome di quest'ultimo fittizia o fraudolenta Cass.civ.,sez.lav.27agosto1987,n.7064,Giust. civ. Mass. 1987, fasc. 8-9 7968/624 Conf. Cass. 1983 7152 7968/1896 SEZIONE VI Dell'assemblea 2363. Luogo di convocazione dell'assemblea (1). – [I]. L'assemblea è convocata nel comune dove ha sede la società, se lo statuto non dispone diversamente. [II]. L'assemblea è ordinaria o straordinaria. (1) V. nota al Capo V. Sommario: 1. Introduzione. - 2. Il luogo di convocazione dell'assemblea ante Riforma. Giurisprudenza consolidata. - 3. Le conseguenze dell'imprecisa o mancante indicazione del luogo della convocazione. Giurisprudenza consolidata. - 4. Assemblea ordinaria o straordinaria. Giurisprudenza consolidata. 1. Introduzione. - La norma, come modificata dalla Riforma, precisa che l'assemblea va convocata nel comune dove ha sede la società e non già nella sede della società. 2. Il luogo di convocazione dell'assemblea ante Riforma. Giurisprudenza consolidata. - Il riferimento alla sede della società come luogo di convocazione dell'assemblea di una società a responsabilità limitata - di cui all'art. 2363 c.c., applicabile in forza del rinvio di cui all'art. 2486 c.c. - può essere interpretato nel senso che, salva diversa disposizione dell'atto costitutivo, l'assemblea possa essere convocata entro l'ambito del territorio del comune in cui si trova la sede della società. Deve invece ritenersi illegittima la convocazione dell'assemblea in un comune diverso da quello ove si trova la sede sociale, benché distante pochi chilometri e facilmente raggiungibile senza aggravi di costi. Cass. civ., 17 gennaio 2007, n. 1034, Foro it. 2007, 12, 3501. (7968/264). Non può essere omologato l'atto costitutivo di una società a responsabilità limitata che preveda la possibilità di convocazione dell'assemblea dei soci da parte degli amministratori in un luogo diverso dalla sede sociale che non sia specificamente indicato. App. Napoli, 27 marzo 1996, Gius 1996, 1699. (7968/264). L'assemblea della società per azioni è validamente convocata anche in un luogo diverso dalla sede sociale a condizione che da ciò non derivi ai soci onere maggiore di quello necessario per accedere alla sede sociale. Trib. Genova, 11 luglio 1987, Riv. notariato 1988, 451. (7968/264). I soci di una società per azioni possono in assemblea totalitaria validamente deliberare in deroga allo statuto della società (nella specie è stata giudicata valida ed omologata una deliberazione di assemblea straordinaria tenuta all'estero nonostante la clausola statutaria che imponeva lo svolgimento dell'assemblea nel territorio dello Stato italiano). Trib. Bologna, 2 giugno 1992, Vita not. 1992, 1071. (7968/264). salvi gli effetti sananti dell'assemblea totalitaria. Trib. Bologna, 2 giugno 1992, Vita not. 1992, 1071. (7968/264). 3. Le conseguenze dell'imprecisa o mancante indicazione del luogo della convocazione. Giurisprudenza consolidata. - In caso di imprecisa o mancante indicazione del luogo dell'assemblea nell'avviso di convocazione, la delibera è annullabile per violazione di legge, 4. Assemblea ordinaria o straordinaria. Giurisprudenza consolidata – L'organo assembleare è unico; la riunione si tiene in seduta ordinaria o straordinaria a prescindere dal nomen iuris. Trib. Torino, 6 ottobre 1980, Giur. comm. 1981, II, 635. (7968/264). 2364. Assemblea ordinaria nelle società prive di consiglio di sorveglianza (1). – [I]. Nelle società prive di consiglio di sorveglianza, l'assemblea ordinaria: 1) approva il bilancio; 2) nomina e revoca gli amministratori; nomina i sindaci e il presidente del collegio sindacale e, quando previsto, il soggetto al quale è demandato il controllo contabile; 3) determina il compenso degli amministratori e dei sindaci, se non è stabilito dallo statuto; 4) delibera sulla responsabilità degli amministratori e dei sindaci; 5) delibera sugli altri oggetti attribuiti dalla legge alla competenza dell'assemblea, nonché sulle autorizzazioni eventualmente richieste dallo statuto per il compimento di atti degli amministratori, ferma in ogni caso la responsabilità di questi per gli atti compiuti; 6) approva l'eventuale regolamento dei lavori assembleari. [II]. L'assemblea ordinaria deve essere convocata almeno una volta l'anno, entro il termine stabilito dallo statuto e comunque non superiore a centoventi giorni dalla chiusura dell'esercizio sociale. Lo statuto può prevedere un maggior termine, comunque non superiore a centottanta giorni, nel caso di società tenute alla redazione del bilancio consolidato ovvero (2) quando lo richiedono particolari esigenze relative alla struttura ed all'oggetto della società; in questi casi gli amministratori segnalano nella relazione prevista dall'articolo 2428 le ragioni della dilazione. (1) V. nota al Capo V. (2) La parola « ovvero » è stata sostituita alla parola « e » dall'art. 9 d.lgs. 28 dicembre 2004, n. 310. Sommario: 1. Introduzione. - 2. L'inderogabilità delle norme che determinano la competenza assembleare. Giurisprudenza consolidata. 3. La determinazione del compenso di amministratori e sindaci. La soluzione delle Sezioni Unite. - 4. La delibera di nomina degli amministratori. Giurisprudenza consolidata.- 5. Il regolamento di assemblea. Giurisprudenza consolidata. - 6. La delibera che sposta la chiusura dell'esercizio sociale. Giurisprudenza consolidata. 7. La responsabilità degli amministratori che hanno agito in conformità alla volontà dell'assemblea. Giurisprudenza consolidata. - 8. La proroga del termine per la convocazione e per l'approvazione del bilancio. – 8.1. La responsabilità derivante dalla proroga. Giurisprudenza consolidata. - 8.2. La previsione statutaria della proroga. Giurisprudenza contrastante. 1. Introduzione. – La norma ha riguardo ai compiti dell'assemblea ordinaria nelle società prive del consiglio di sorveglianza. La Riforma ha modificato la norma con livelli di pregnanza più o meno accentuati, come vedremo nel dettaglio. 2. L'inderogabilità delle norme che determinano la competenza assembleare. Giurisprudenza consolidata. - La competenza dell' assemblea per la nomina degli amministratori è di ordine pubblico (perché posta a tutela di interessi generali della collettività) e quindi inderogabile. App. Milano, 20 aprile 1993, Società 1993, 1225. (7968/240). È nulla la clausola statutaria che sottrae all'esclusiva competenza dell'assemblea la nomina degli amministratori. Le norme che determinano la competenza dell'assemblea non possono essere derogate in via negoziale, neppure quando la deroga sia diretta a realizzare un fine meritevole di tutela da parte dell'ordinamento. Trib. Monza, 29 gennaio 1982, Giur. comm. 1983, II, 125. (7968/240). 3. La determinazione del compenso di amministratori e sindaci. La soluzione delle Sezioni Unite. - L'approvazione del bilancio contenente la posta relativa ai compensi degli amministratori non è idonea a configurare la specifica delibera di determinazione del compenso richiesta, in caso di omessa previsione statutaria, dall'art. 2389, comma 1, c.c. Può, tuttavia, ammettersi che accanto all'approvazione del bilancio, avente la funzione sua propria di accertamento della regolarità della rappresentazione contabile, l'assemblea possa anche adottare la delibera di determinazione del compenso degli amministratori, se sussista la prova che l'assemblea convocata soltanto per l'esame e l'approvazione del bilancio, essendo totalitaria, abbia anche espressamente discusso e approvato una specifica proposta di determinazione dei compensi degli amministratori. Cass. civ., sez. un., 29 agosto 2008, n. 21933, Guida al diritto 2008, 44, 69. (7968/72). 4. La delibera di nomina degli ammministratori. Giurisprudenza consolidata. – La competenza per la nomina degli amministratori spetta inderogabilmente all'assemblea. Le clausole stautarie che prevedono anche la parziale menomazione di tale potere sono radicalmente nulle. Trib. Verona, 11 dicembre 1992, Società 1993, 950. (7968/120). La nomina dei nuovi amministratori che sostituiscono quelli nominati da atto costitutivo, spetta all'assemblea ordinaria. Trib. Milano, 4 maggio 1990, Giur. it. 1990, I, 2, 555, Giur. comm. 1990, II, 458. (7968/120). Sono ammissibili meccanismi che riservino alla minoranza la nomina di una parte degli amministratori. Trib. Roma, 12 marzo 2001, Società 2001, 1093. (7968/120). 5. Il regolamento di assemblea. Giurisprudenza consolidata. - Non lede il diritto di intervento del socio il regolamento dell'assemblea che attribuisca al presidente della stessa il potere di disciplinare la discussione, anche attravero la limitazione della durata degli interventi. Cass. civ., 11 luglio 1975, n. 7576. (7968/240). 6. La delibera che sposta la chiusura dell'esercizio sociale. Giurisprudenza consolidata. - Non è legittima, in quanto contrastante con la disposizione dell'art. 2364 c.c., la deliberazione che proroghi la chiusura dell'esercizio sociale al fine di far decorrere il termine di durata dell'esercizio da un mese diverso (dal 30 giugno anziché dal 31 dicembre di ciascun anno). Trib. Treviso, 9 ottobre 1985, Riv. dir. comm. 1986, II, 429. Non è omologabile la deliberazione dell'assemblea ordinaria di una società per azioni che sposta la chiusura dell'esercizio sociale oltre l'anno previsto dalla legge. Trib. Udine, 13 dicembre 1984, Dir. fall. 1985, II, 503. 7. La responsabilità degli amministratori che hanno agito in conformità alla volontà dell'assemblea. Giurisprudenza consolidata. - Il vecchio orientamento giurisprudenziale sul punto, è adesso fatto proprio dalla norma in commento. L'avere l'amministratore agito in conformità alla volontà unanime dei soci non vale ad escludere una sua responsabilità verso i creditori sociali e non è opponibile al curatore. Cass. civ., 25 luglio 1979, n. 4415, Giur. comm. 1980, II, 327. (7968/144). La responsabilità dell'amministratore verso la società è ravvisabile in ogni abuso, arbitrio od omissione che si traduca in un pregiudizio per il patrimonio sociale, sia dal punto di vista economico che da quello della regolarità contabile e nè il fatto che i soci fossero a conoscenza degli atti addebitati all'amministratore ed avessero dato il proprio consenso al suo operato, nè il fatto che anche successivamente alla revoca di questi i soci ed il nuovo amministratore avessero compiuto irregolarità, rappresentano motivi che potrebbero esonerare dalla responsabilità verso la società per atti di "mala gestio" e depauperamento illegittimo del patrimonio sociale. App. Milano, 20 gennaio 1998, Giur. it. 1998, 1431. (7968/144). 8. La proroga del termine per la convocazione e per l'approvazione del bilancio nell'esperienza ante Riforma. Le sottoinindicate massime si riferiscono ad una casistica pregressa rispetto alla Riforma che ha previsto che le particolari esigenze devono essere riferite alla struttura ed all'oggetto della società e gli amministratori devono segnalare le ragioni della dilazione nella relazione ai sensi dell'art. 2428 c.c. L'esperienza ante riforma va valutata, anche, tenendo in considerazione che i termini quattro mesi e sei mesi sono stati sostituiti dai termini centoventi giorni e centottanta giorni. 8.1. La responsabilità derivante dalla proroga. Giurisprudenza consolidata. - L'approvazione del bilancio oltre il termine di quattro mesi (ma entro i sei) dalla chiusura dell'esercizio sociale esclude la tardività della dichiarazione fiscale solo se gli amministratori abbiano comunque invocato l'aderente previsione dell'atto costitutivo per giustificare la ritardata convocazione, ovverosia se nell'afferente verbale di assemblea il ritardo della convocazione risulti giustificato con il richiamo della previsione dell'atto costitutivo. Cass. civ., 24 settembre 2008, n. 23983, Diritto & Giustizia 2008, Riv. dottori comm. 2008, 6, 1236. (7968/240). Il ricorso alla proroga del termine per la convocazione dell'assemblea ordinaria comporta per gli amministratori l'obbligo di giustificare l'inosservanza del termine ordinario poiché l'abuso della facoltà di proroga è fonte di responsabilità ex art. 2393 c.c. App. Bologna, 14 marzo 1997. (7968/240). 8.2. La previsione statutaria della proroga. Giurisprudenza contrastante. - La proroga a sei mesi del termine di legge per approvare il bilancio può essere prevista nello statuto di una società di capitali facendo generico riferimento all'esistenza di particolari esigenze, senza che sia necessario che dette particolari esigenze vengano specificate nello statuto stesso e quindi devolvendone l'accertamento concreto all'apprezzamento (motivato) degli amministratori. App. Milano, 20 ottobre 2001. (7968/240). La proroga a sei mesi del termine di legge per la convocazione da parte degli amministratori dell'assemblea chiamata ad approvare il bilancio di esercizio può essere prevista dallo statuto di una società di capitali facendo generico riferimento all'esistenza in tal senso di particolari esigenze, non essendo necessario nè che le stesse siano predeterminate, nè che l'organo amministrativo di volta in volta le enunci prima della scadenza del termine ordinario. App. Bologna, 8 gennaio 1996, Notariato 1996, 449. La norma dell'art. 2364 comma 2 c.c. affida allo statuto non solo la possibilità di prevedere la deroga al termine quadrimestrale per la convocazione dell'assemblea che approva il bilancio, ma anche l'indicazione delle ragioni che giustificano tale deroga. App. Napoli, 19 maggio 1995. (7968/240). La possibilità di convocare l'assemblea ordinaria che approva il bilancio entro un termine maggiore di quello stabilito dall'art. 2364 c.c. è stata subordinata dal legislatore a una specifica previsione statutaria e quindi a una valutazione preventiva dei soci; pertanto, deve escludersi che l'apprezzamento della ricorrenza delle "particolari esigenze" possa essere rimesso, di volta in volta, all'apprezzamento degli amministratori. App. Roma, 30 giugno 1993. (7968/240). In senso parzialmente difforme si è orientata altra la sottoindicata giurisprudenza. Non può essere omologata la modifica dello statuto di una società di assicurazioni, laddove, recependo quanto previsto dall'art. 2364 comma 2 c.c. (reso applicabile alle imprese di assicurazione dall'art. 11 comma 3 d.lg. 26 maggio 1997 n. 173), si limita a prevedere, riproducendo letteralmente la suddetta norma, che il termine per la convocazione della assemblea dei soci per l'approvazione del bilancio può essere prorogato, senza indicare le esigenze in presenza delle quali è consentita la proroga. App. Roma, 26 gennaio 2000, Giur. Romana 2000, 374. (7968/240). La clausola statutaria che consente la proroga a sei mesi dalla chiusura dell'esercizio del termine per la convocazione dell'assemblea ordinaria di approvazione del bilancio deve contenere l'esplicita enunciazione delle particolari esigenze, di carattere strutturale, legittimanti l'esercizio della facoltà di differimento, la cui sussistenza deve essere valutata una volta per tutte al momento dell'omologazione della clausola stessa. Trib. Roma, 12 luglio 1999, Giur. it. 2000, 1685. 2364 bis. Assemblea ordinaria nelle società con consiglio di sorveglianza (1). – [I]. Nelle società ove è previsto il consiglio di sorveglianza, l'assemblea ordinaria: 1) nomina e revoca i consiglieri di sorveglianza; 2) determina il compenso ad essi spettante, se non è stabilito nello statuto; 3) delibera sulla responsabilità dei consiglieri di sorveglianza; 4) delibera sulla distribuzione degli utili; 5) nomina il revisore. [II]. Si applica il secondo comma dell'articolo 2364. (1) V. nota al Capo V. 2365. Assemblea straordinaria (1). [I]. L'assemblea straordinaria delibera sulle modificazioni dello statuto, sulla nomina, sulla sostituzione e sui poteri dei liquidatori e su ogni altra materia espressamente attribuita dalla legge alla sua competenza. [II]. Fermo quanto disposto dagli articoli 2420-ter e 2443, lo statuto può attribuire alla competenza dell'organo amministrativo o del consiglio di sorveglianza o del consiglio di gestione le deliberazioni concernenti la fusione nei casi previsti dagli articoli 2505 e 2505-bis, l'istituzione o la soppressione di sedi secondarie, la indicazione di quali tra gli amministratori hanno la rappresentanza della società, la riduzione del capitale in caso di recesso del socio, gli adeguamenti dello statuto a disposizioni normative, il trasferimento della sede sociale nel territorio nazionale. Si applica in ogni caso l'articolo 2436. (1) V. nota al Capo V. Sommario: 1. La sostituzione degli amministratori nominati da statuto. Giurisprudenza di merito. - 2. Il verbale notarile di assemblea straordinaria. Giurisprudenza di legittimità. 1. La sostituzione degli amministratori nominati da statuto. Giurisprudenza di merito. - La nomina dei nuovi amministratori che sostituiscono quelli nominati da atto costitutivo, spetta all'assemblea ordinaria e non all'assemblea straordinaria, non integrando i profili di una mera modifica statutaria. Trib. Milano, 4 maggio 1990, Giur. it. 1990, I, 2, 555, Giur. comm. 1990, II, 458. (7968/372). 2. Il verbale notarile di assemblea straordinaria. Giurisprudenza di legittimità. Il verbale notarile di assemblea straordinaria di società di capitali non rientra nell'ambito del sottosistema tracciato dalla corte di cassazione per individuare gli atti non richiedenti la presenza dei testimoni (atti unilaterali a contenuto patrimoniale che possono essere ricevuti anche da soggetto diverso dal notaio) perché il verbale predetto può essere formato solo dal notaio. Spetta al presidente dell'assemblea, nell'ambito dei poteri strumentali inerenti all'organizzazione dei procedimenti di deliberazione assembleare, effettuare la rinuncia ai testi. Dei verbali notarili va data lettura al presidente dell'assemblea. Cass. civ., 4 novembre 1997, n. 10799, Riv. notariato 1998, 939. (7968/384). A soddisfare l'esigenza di certezza sulla regolarità delle operazioni concernenti la costituzione dell' assemblea dei soci di una società per azioni, quando essa non risulti tecnicamente possibile per l'assenza del numero legale, non è necessario un atto pubblico notarile bensè è sufficiente la redazione di un normale verbale di adunanza, da redigere, al di fuori delle regole speciali dettate dall'art. 2375 c.c., dal presidente o da altro socio presente, anche quando l'assemblea sia stata convocata in sede straordinaria (oltre che ordinaria) per il medesimo giorno. Cass. civ., 7 marzo 1992, n. 2764, Giust. civ. Mass. 1992, fasc. 3. (7968/384). 2366. Formalità per la convocazione (1). – [I]. L'assemblea è convocata dagli amministratori o dal consiglio di gestione mediante avviso contenente l'indicazione del giorno, dell'ora e del lu ogo dell'adunanza e l'elenco delle materie da trattare. [II]. L'avviso deve essere pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica o in almeno un quotidiano indicato nello statuto almeno quindici giorni prima di quello fissato per l'assemblea. Se i quotidiani indicati nello statuto hanno cessato le pubblicazioni, l'avviso deve essere pubblicato nella Gazzetta Ufficiale (2). [III]. Lo statuto delle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio può, in deroga al comma precedente, consentire la convocazione mediante avviso comunicato ai soci con mezzi che garantiscano la prova dell'avvenuto ricevimento almeno otto giorni prima dell'assemblea. [IV]. In mancanza delle formalità suddette, l'assemblea si reputa regolarmente costituita, quando è rappresentato l'intero capitale sociale e partecipa all'assemblea la maggioranza dei componenti degli organi amministrativi e di controllo. Tuttavia in tale ipotesi ciascuno dei partecipanti può opporsi alla discussione degli argomenti sui quali non si ritenga sufficientemente informato. [V]. Nell'ipotesi di cui al comma precedente, dovrà essere data tempestiva comunicazione delle deliberazioni assunte ai componenti degli organi amministrativi e di controllo non presenti. (1) V. nota al Capo V. (2) Periodo aggiunto dall'art. 1 d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, come modificato dall'art. 5-1m)d.lgs. 6 febbraio 2004, n. 37. Sommario: 1. L'organo legittimato alla convocazione dell'assemblea. Giurisprudenza consolidata. - 2. Le conseguenze del difetto di regolare convocazione nel sistema ante Riforma. - 3. Le conseguenze del difetto di regolare convocazione nel sistema post Rifoma. Giurisprudenza di merito. - 4. L'elenco delle materie da trattare. - 5. L'informativa degli amministratori. Giurisprudenza consolidata. - 6. Assemblea totalitaria. - 6.1. L'onere di dimostrare il carattare totalitario dell'assemblea. Giurisprudenza contrastante. – 6.2. La casistica. Giurisprudenza di merito. - 7. Le delibere implicite. Orientamento delle Sezioni Unite. 1. L'organo legittimato alla convocazione dell'assemblea. Giurisprudenza consolidata. L'organo legittimato a convocare l'assemblea è l'amministratore o, come nella specie, il consiglio di amministrazione nella sua collegialità. Cass. civ., sez. I, 2 Agosto 1977, n. 3422, Banca borsa tit. cred. 1979, 69, II. (7968/264). L'organo legittimato a convocare l'assemblea è l'organo amministrativo, e pertanto l'amministratore unico o il consiglio di amministrazione nella sua collegialità. La deliberazione assunta dall'assemblea convocata dal presidente del c.d.a., in assenza di previa deliberazione del c.d.a., è pertanto annullabile. Cass. civ., sez. I, 22 settembre 2008, n. 23950, Vita not. 2008, 3, 1484. (7968/264). La regola secondo cui la convocazione dell'assemblea deve essere deliberata collegialmente da parte del consiglio di amministrazione, a pena di annullabilità della conseguente deliberazione ai sensi dell'art. 2377 c.c., è rispettata anche quando la fissazione della data e del luogo di convocazione venga delegata al presidente. Trib. Trento, 6 luglio 1999. (7968/264). 2. Le conseguenze del difetto di regolare convocazione nel sistema ante Riforma. - Con riferimento ai vizi afferenti la convocazione dell'assemblea, parte della giurisprudenza aveva invocato il vizio della inesistenza (Trib. Cagliari, 19 agosto 2002, Riv. Giur. Sarda 2003, 729; Cass. civ., 24 gennaio 1995, n. 835, Giust. Civ. Massimario 1995, 156; Cass. civ., 15 marzo 1986, n. 1768, Giust. Civ. Massimario 1986; Cass. civ., 28 novembre 1981, n. 6340, Giur. Comm. 1982, II, 424 (7968/264)), altra parte della gurisprudenza aveva proteso per l'annullabilità (Trib. Cassino, 3 febbraio 1986, Dir. Fall. 1987, II, 543; Trib. Catania, 31 maggio 1983, Dir Fall. 1984, II, 358). (7968/264). Si è invece deciso per la nullità della delibera per mancata convocazione di un socio. App. Catania, 28 ottobre 1980, Giur. Comm. 1981, II, 970. (7968/264). 3. Le conseguenze del difetto di regolare convocazione nel sistema post Rifoma. Giurisprudenza di merito. - Con l'attuale art. 2379 comma 3 cod. civ. È stato previsto che la convocazione non si considera mancante nè in caso di convocazione agli aventi diritto (indipendentemente dal lasso temporale intercorso tra la comunicazione dell'avviso e il giorno della riunione assembleare), nè per irregolarità dell'avviso, a patto che la provenienza dello stesso sia di un componente dell'organo di amministrazione o di controllo della società e sia idoneo a consentire a coloro che hanno diritto di intervenire di essere preventivamente avertiti della convocazione e della data dell'assemblea. E' nulla una delibera assembleare nel caso in cui i soci, pur convocati, non lo siano stati in tempo utile. Trib. Milano, 3 maggio 2006, Giur. it. 2007, 1, 131. (7968/264). E' stata, invece, ritenuta annullabile la deliberazione presa a seguito di convocazione di soggetto a ciò non legittimato. Trib. Milano, 21 ottobre 2005, Giur. it. 2006, 1208. (7968/264). 4. L'elenco delle materie da trattare. – Considerando l'urgenza di provvedere ad una sanatoria nell'interesse della società, gli amministratori possono mettere all'ordine del giorno di una medesima adunanza assembleare la rinnovazione in via sostitutiva, da parte dei vecchi soci, delle deliberazioni votate nel corso di un lungo periodo di tempo (nella specie un decennio) soltanto dagli azionisti che avevano sottoscritto un aumento del capitale dopo che ne era stato approvato l'azzeramento per perdite, ma con una deliberazione successivamente giudicata invalida. Trib. Milano, 28 giugno 2001. (7968/240). L'indicazione nell'ordine del giorno delle materie da trattare può essere anche sintetica purché sia chiara e non ambigua, tale da non sorprendere la buona fede degli assenti e consenta la discussione e l'adozione anche di deliberazioni consequenziali ed accessorie. Trib. Mantova 16 gennaio 2003, Società 2003, 1133. (7968/240). In tema di convocazione dell'assemblea di una società di capitali (nella specie, una cooperativa a r.l.), è sufficiente che l'ordine del giorno contenga un'identificazione degli argomenti da trattare anche sintetica, purché chiara e non ambigua, specifica e non generica (nella specie, è stata ritenuta sufficiente la formula "Adozione del nuovo statuto sociale", non potendosi pretendere, in presenza di una serie di modifiche articolate e relative a vari aspetti dello statuto stesso, una puntuale indicazione in sede di avviso di convocazione). App. Milano, 27 marzo 2002, Società 2002, 1521. (7968/240). Ai fini del rispetto dell'art. 2366, comma 1, c.c., che prescrive l'indicazione nell'avviso di convocazione dell'elenco delle "materie" su cui l'assemblea è chiamata a discutere e deliberare, non è necessaria un'indicazione particolareggiata di tali "materie", essendo sufficiente un'indicazione sintetica, purché chiara. L'assemblea può sempre deliberare sulle questioni connesse, consequenziali o accessorie, anche quando attengano ad argomenti non indicati specificamente nelle "materie" da trattare (Nel caso in esame, tuttavia, si è escluso avesse tale natura il conferimento di mandato agli amministratori per l'esercizio di azioni risarcitorie verso terzi, in relazione ad un ordine del giorno che prevedeva l'"esame della situazione aziendale; provvedimenti conseguenti"). Cass. civ., 5 novembre 2004, n. 21232, Società 2005, 338. (7968/240). Nell'avviso di convocazione dell'assemblea, l'ordine del giorno deve indicare l'argomento da trattare senza anticipare il contenuto delle deliberazioni che in quella sede dovranno essere assunte, in modo da consentire al socio una consapevole decisione in ordine alla propria presenza ai lavori. Trib. Monza, 15 gennaio 2004, Giur. comm. 2004, II, 551. (7968/240). L'assemblea di società di capitali può liberamente modificare, attraverso la maggioranza che la esprime, l'ordine di trattazione degli argomenti posti all'ordine del giorno, e ciò a prescindere dalla modalità di convocazione, su impulso degli amministratori ovvero in caso di convocazione autoritativa ex art. 2367, comma 2, c.c., non incidendo ciè nè sulla posizione della società nè su quella dei singoli soci. Trib. Palermo, 18 maggio 2001. In senso contrario si espressa App. Brescia 9 febbraio 1977, Giur. comm. 1990, II, 612. (7968/240). Gli argomenti non espressamente indicate sono ammessi, ma solo se impliciti, consequenziali o accessori rispetto a quelli previsti. Trib. Roma, 27 aprile 1998, Società 1998, 1442; Trib. Milano, 29 gennaio 1998, Giur. it. 1998, II, 2114. (7968/240). L'inversione dell'ordine delle materie da trattare non rappresenta una violazione. Cass. civ., sez. I, 17 gennaio 2001, n. 560, Giust. civ. Mass. 2001, 96, Giur. it. 2001, 1179, Riv. notariato 2001, 915, Società 2001, 671, Vita not. 2002, 878; Trib. Torino, 29 dicembre 1998, Giur. it. 1999, 1668. (7968/240). 5. L'informativa degli amministratori. Giurisprudenza consolidata. - Non è necessaria un'indicazione particolareggiata delle materie da trattare, ma è sufficiente un'indicazione sintetica, purchè chiara e non ambigua, specifica e non generica, la quale consenta la discussione e l'adozione da parte dell'assemblea dei soci anche delle eventuali deliberazioni consequenziali ed accessorie. Cass. civ., 27 giugno 2006, n. 14814, Giust. civ. Mass. 2006, 6; Cass. civ., 17 novembre 2005, n. 23269, Giust. civ. Mass. 2005, 11; Cass. civ., 27 aprile 1990, n. 3535, Giust. civ. Mass. 1990, fasc. 4, Giust. civ. 1990, I, 2577, Giur. it. 1990, I, 1, 1394. (7968/240). L'informativa degli amministratori deve riguardare l'oggetto della decisione su cui il socio è chiamato ad esprimere il proprio voto e non anche le motivazioni ad essa sottostanti (nella specie, proposta di soppressione del diritto di prelazione). Trib. Milano, 11 gennaio 2002, Giur. it. 2002, 1897. (7968/240). Gli amministratori sono tenuti a mettere a disposizione dei soci documenti, informazioni e chiarimenti necessari a consentirgli una discussione informata ed un'espressione del voto consapevole e meditate sugli argomenti all'ordine del giorno. Trib. Milano, 12 settembre 1995, Giur. comm. 1996, II, 827. (7968/240). Il deposito del progetto di bilancio presso la sede sociale è idoneo a rendere edotto qualunque socio diligente delle risultanze del bilancio e quindi, in presenza di perdite superiori ad un terzo del capitale che abbiano ridotto lo stesso sotto il minimo legale, della necessità di dover procedere ex art. 2447 c.c. anche senza esplicita indicazione di tale necessità nell'avviso di convocazione dell'assemblea per l'approvazione del bilancio di esercizio. App. Roma, 15 luglio 2002, Società 2003, 199. (7968/240). 6. Assemblea totalitaria. – La norma discpplina anche le percularietà dell'assemblea totalitaria. 6.1. L'onere di dimostrare il carattare totalitario dell'assemblea. Giurisprudenza contrastante. - In difetto di regolare convocazione, secondo parte della giurisprudenza, spetta all'attore l'onere probatorio di dimostrare il carattere totalitario dell'assemblea (Cass. civ., sez. I, 8 settembre 2005, n. 17950, Giust. civ. Mass. 2005, 6: anche se tale decisione è stata presa in caso di presenza a mezzo deleghe, laddove la società, avendo l'obbligo di conservare le deleghe, ha la facoltà di recuperare queste con estrema facilità), secondo altra giurisprudenza tale onere spetta al convenuto (Trib. Milano, 2 maggio 2007, n. 5190, Società 2008, 749). (7968/240). 6.2. La casistica. Giurisprudenza di merito. La natura totalitaria dell'adunanza non viene meno per il fatto che un socio si sia allontanato prima della votazione. Trib. Milano, 11 dicembre 2003, Giur. it. 2004, 2348. (7968/240). L'approvazione unanime da parte dell'assemblea totalitaria non impedisce alla società di opporre al terzo di mala fede l'estraneità dell'atto deliberato rispetto al suo oggetto sociale, finché resta immutato l'atto costitutivo, potendo al più la volontà dei soci mettere l'amministratore al riparo da una eventuale azione di responsabilità. Trib. Roma, 10 gennaio 2001, Giur. it. 2001, 1432. (7968/240). 7. Le delibere implicite. Orientamento delle Sezioni Unite. - L'ammissibilità di delibere tacite e delibere implicite si pone in diretto contrasto con le regole di formazione della volontà della società, e in particolare con l'art. 2366 c.c. Cass. civ., sezioni unite, 29 agosto 2008, n. 21933, Dir. e prat. soc. 2008, 20, 46. (7968/288). 2367. Convocazione su richiesta di soci (1). – [I]. Gli amministratori o il consiglio di gestione devono convocare senza ritardo l'assemblea, quando ne è fatta domanda da tanti soci che rappresentino almeno il decimo del capitale sociale o la minore percentuale prevista nello statuto, e nella domanda sono indicati gli argomenti da trattare. [II]. Se gli amministratori o il consiglio di gestione, oppure in loro vece i sindaci o il consiglio di sorveglianza o il comitato per il controllo sulla gestione, non provvedono, il tribunale, sentiti i componenti degli organi amministrativi e di controllo, ove il rifiuto di provvedere risulti ingiustificato, ordina con decreto la convocazione dell'assemblea, designando la persona che deve presiederla. [III]. La convocazione su richiesta di soci non è ammessa per argomenti sui quali l'assemblea delibera, a norma di legge, su proposta degli amministratori o sulla base di un progetto o di una relazione da essi predisposta. (1) V. nota al Capo V. Sommario: 1. La convocazione senza ritardo dell'assemblea. - 2. L'ordine del giorno. Giurisprudenza di merito. - 3. I provvedimenti in caso di inerzia degli organi sociali. - 4. L'applicabilità della norma alle s.r.l. Giurisprudenza contrastante. 1. La convocazione senza ritardo dell'assemblea. - In materia parte della giurisprudenza ha statuito che il novellato art. 2367 c.c. prevede che gli amministratori non sono obbligati automaticamente alla convocazione dell'assemblea, una volta pervenuta la richiesta da parte dei soci che rappresentino almeno un decimo del capitale sociale, ma possono sindacare la richiesta e rifiutare la convocazione, purché sulla base di motivi giustificati. Di conseguenza, il controllo del tribunale nel procedimento camerale previsto dal comma 2 dell'art. 2367 c.c. è finalizzato esclusivamente ad accertare se ricorra o meno una delle ipotesi in cui il rifiuto degli amministratori possa ritenersi legittimo. Trib. Verona, sez. IV, 21 novembre 2008. (7968/264). La giurisprudenza costituitasi prima della Riforma prevede invece che, ricorrendo le condizioni di legge, la convocazione dell'assemblea è per gli organi della società un atto dovuto, la cui omissione è censurabile quale grave irregolarità ex art. 2409 c.c. (Trib. Padova, 24 dicembre 1986, Giur. comm. 88, II, 632, (7968/264)), pur precisando che a tale dovere bisogna adempiere non dando seguito a richieste illegittime, immotivate, illecite o impossibili (App. Bologna, 17 settembre 1985, Giur. comm. 88, II, 910, (7968/264)) o di abuso del diritto (Trib. Milano, 22 maggio 1990, Società 1990, 775, (7968/264)) ed a istanze pretestuose e che possano dare vita a situazioni di potenziale danno alla società (Trib. Milano, 21 novembre 1994, Società 1995, II, 586, (7968/264)). 2. L'ordine del giorno. Giurisprudenza di merito. - L'assemblea di società di capitali può liberamente modificare, attraverso la maggioranza che la esprime, l'ordine di trattazione degli argomenti posti all'ordine del giorno, e ciò a prescindere dalla modalità di convocazione, su impulso degli amministratori ovvero in caso di convocazione autoritativa ex art. 2367, comma 2, c.c., non incidendo ciè nè sulla posizione della società nè su quella dei singoli soci (Trib. Palermo, 18 maggio 2001, (7968/240)) mentre non è previsto in termini generali il potere di provocare l'integrazione dell'ordine del giorno (Trib. Napoli, 25 novembre 1996, Società 97, 920, 7968/240)). 3. I provvedimenti in caso di inerzia degli organi sociali. – In caso di inerzia degli organi sociali è prevista la convocazione da parte del tribunale, previa la discrezionale valutazione che si forma sulla base della valutazione della audizione degli organi amministrativi e di controllo. App. Bologna, 4 marzo 1995, Società 1995, 806. (7968/264). Il decreto di convocazione giudiziaria è revocabile prima del compimento delle formalità relative alla convocazione, se siano dedotti fatti nuovi sopravvenuti. Trib. Napoli, 24 marzo 1991, Vita Not. 2002, 412. (7968/264). 4. L'applicabilità della norma alle s.r.l. Giurisprudenza contrastante. - Nella società a responsabilità limitata in caso di omissione o di inerzia del o degli amministratori, è possibile convocare l'assemblea su iniziativa dei soci ex art. 2479 c. c, dovendosi invece escludere il ricorso, in via analogica, allo strumento previsto dall'art. 2367 c. c. dettato in materia di società per azioni. Trib. Milano, 18 gennaio 2007, Giur. it. 2007, 7, 1694; Trib. Trani, 6 marzo 2007, Giurisprudenzabarese.it 2007; Trib. Agrigento, 29 dicembre 2005, Vita not. 2006, 1, 315. (7968/264). In senso difforme rispetto alle pronunce appena richiamate si sono espresse: App. Napoli, 20 maggio 2005, Giur. comm. 2006, 4, 646; Trib. Brescia, 8 marzo 2005, Società 2005, 1254, Giur. comm. 2006, 2, 328; Trib. Napoli, 10 febbraio 2005, Giur. merito 2005, 12, 2641. (7968/264). In particolare quest'ultimo organo giudicante ha statuito che benché, a seguito della Riforma, non vi sia più alcuna espressa disposizione codicistica corrispondente a quella del previgente art. 2486 c.c., che, in tema di convocazione dell'assemblea dei soci di una s.r.l., rinviava alle norme dettate in tema di s.p.a. dall'art. 2367 c.c., deve ritenersi che, in applicazione analogica di tale articolo così come riformato anche nell'attuale regime i soci della s.r.l. siano legittimati a ricorrere al tribunale perché ordini con decreto la convocazione dell'assemblea se l'amministratore abbia ingiustificatamente rifiutato di provvedere. Trib. Napoli, 10 febbraio 2005, Giur. merito 2005, 12, 2641. (7968/264). 2368. Costituzione dell'assemblea e validità delle deliberazioni (1). – [I]. L'assemblea ordinaria è regolarmente costituita con l'intervento di tanti soci che rappresentino almeno la metà del capitale sociale, escluse dal computo le azioni prive del diritto di voto nell'assemblea medesima. Essa delibera a maggioranza assoluta, salvo che lo statuto richieda una maggioranza più elevata. Per la nomina alle cariche sociali lo statuto può stabilire norme particolari. [II]. L'assemblea straordinaria delibera con il voto favorevole di tanti soci che rappresentino più della metà del capitale sociale, se lo statuto non richiede una maggioranza più elevata. Nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio l'assemblea straordinaria è regolarmente costituita con la presenza di tanti soci che rappresentino almeno la metà del capitale sociale o la maggiore percentuale prevista dallo statuto e delibera con il voto favorevole di almeno i due terzi del capitale rappresentato in assemblea. [III]. Salvo diversa disposizione di legge le azioni per le quali non può essere esercitato il diritto di voto sono computate ai fini della regolare costituzione dell'assemblea. Le medesime azioni e quelle per le quali il diritto di voto non è stato esercitato a seguito della dichiarazione del socio di astenersi per conflitto di interessi non sono computate ai fini del calcolo della maggioranza e della quota di capitale richiesta per l'approvazione della deliberazione. (1) V. nota al Capo V. Sommario: 1. Quorum costitutivo e deliberativo dell'assemblea ordinaria di prima convocazione. Giurisprudenza consolidata. - 2. La scelta dei sistemi di votazione. Giurisprudenza consolidata. 1. Quorum costitutivo e deliberativo dell'assemblea ordinaria di prima convocazione. Giurisprudenza consolidata. - Le presenze in assemblea e i voti si calcolano solo sulla base del capitale sottoscritto e versato. Trib. Milano, 3 settembre 2003, Società 2004, 1016. (7968/276). Il raggiungimento del quorum costitutivo deve sussistere soltanto all'inizio dei lavori. Trib. Bologna, 12 ottobre 1984, Giur. It. 1985, I, 91. (7968/276). (7968/288). La maggioranza dei voti va computata sui votanti. Trib. Livorno, 1 febbraio 1957, Giur. It. 1957, I, 2, 986; Trib. Milano, 26 febbraio 1973. (7968/288). Secondo la giurisprudenza è possibile innalzare il quorum deliberativo con apposita clausola statutaria (Trib. Milano, 6 ottobre 1990, (7968/288)), ma l'innalzamento non può spingersi sino alla previsione dell'unanimità, in quanto una siffatta previsione minerebbbe l'operatività del principio maggioritario con conseguente nullità della relative clausola statutaria (Cass. civ., sez. I, 13 aprile 2005, n. 7663, Foro it. 2006, 4, 1170, Riv. notariato 2006, 2, 535, (7968/288)). 2. La scelta dei sistemi di votazione. Giurisprudenza consolidata. - In sede di votazione per il rinnovo delle cariche sociali, è legittimo l'uso di schede prestampate nelle quali siano indicati i nominativi proposti dal presidente dell'assemblea, se il socio è preventivamente informato, mediante qualsiasi mezzo idoneo allo scopo, purché chiaro ed inequivoco, della facoltà di procedere ad autonoma designazione. Cass. civ., sez. I, 29 novembre 2000, n. 15302, Vita not. 2001, 889, Società 2001, 300. (7968/248). È legittimo in sede di votazione per il rinnovo delle cariche sociali (nella specie di società cooperativa) avvalersi di schede nelle quali siano prestampati i nomi dei candidati proposti dal consiglio di amministrazione, se è salvaguardata, mediante esplicito richiamo nel testo della scheda, la facoltà di ogni socio di cancellare i nominativi prestampati e sostituirli con altri di proprio gradimento. Cass. civ., sez. I, 19 ottobre 1990, n. 10171, Foro it. 1991, I, 2154. (7968/248). 2369. Seconda convocazione e convocazioni successive (1). – [I]. Se i soci partecipanti all'assemblea non rappresentano complessivamente la parte di capitale richiesta dall'articolo precedente, l'assemblea deve essere nuovamente convocata. [II]. Nell'avviso di convocazione dell'assemblea può essere fissato il giorno per la seconda convocazione. Questa non può aver luogo nello stesso giorno fissato per la prima. Se il giorno per la seconda convocazione non è indicato nell'avviso, l'assemblea deve essere riconvocata entro trenta giorni dalla data della prima, e il termine stabilito dal secondo comma dell'articolo 2366 è ridotto ad otto giorni. [III]. In seconda convocazione l'assemblea ordinaria delibera sugli oggetti che avrebbero dovuto essere trattati nella prima, qualunque sia la parte di capitale rappresentata dai soci partecipanti, e l'assemblea straordinaria è regolarmente costituita con la partecipazione di oltre un terzo del capitale sociale e delibera con il voto favorevole di almeno i due terzi del capitale rappresentato in assemblea. [IV]. Lo statuto può richiedere maggioranze più elevate, tranne che per l'approvazione del bilancio e per la nomina e la revoca delle cariche sociali. [V]. Nelle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio è necessario, anche in seconda convocazione, il voto favorevole di tanti soci che rappresentino più di un terzo del capitale sociale per le deliberazioni concernenti il cambiamento dell'oggetto sociale, la trasformazione della società, lo scioglimento anticipato, la proroga della società, la revoca dello stato di liquidazione, il trasferimento della sede sociale all'estero e l'emissione delle azioni di cui al secondo comma dell'articolo 2351 (2). [VI]. Lo statuto può prevedere eventuali ulteriori convocazioni dell'assemblea, alle quali si applicano le disposizioni del terzo, quarto e quinto comma. [VII]. Nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio l'assemblea straordinaria è costituita, nelle convocazioni successive alla seconda, con la presenza di tanti soci che rappresentino almeno un quinto del capitale sociale, salvo che lo statuto richieda una quota di capitale più elevata. (1) V. nota al Capo V. (2) Le parole « e l'emissione delle azioni di cui al secondo comma dell'articolo 2351 » sono state sostituite alle parole « e l'emissione di azioni privilegiate » dall'art. 1 d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, come modificato dall'art. 51n)d.lgs. 6 febbraio 2004, n. 37. Sommario: 1. Il verbale di prima convocazione in relazione ai problemi di regolarità delle operazioni. - 2. Il quorum costitutivo della seconda convocazione. 1. Il verbale di prima convocazione in relazione ai problemi di regolarità delle operazioni. - A soddisfare l'esigenza di certezza sulla regolarità delle operazioni concernenti la costituzione dell'assemblea dei soci di una società per azioni, quando essa non risulti tecnicamente possibile per l'assenza del numero legale, non è necessario un atto pubblico notarile bensè è sufficiente la redazione di un normale verbale di adunanza, da redigere, al di fuori delle regole speciali dettate dall'art. 2375 c.c., dal presidente o da altro socio presente, anche quando l'assemblea sia stata convocata in sede straordinaria (oltre che ordinaria) per il medesimo giorno. Cass. civ., sez. I, 7 marzo 1992, n. 2764, Giust. civ. Mass. 1992, fasc. 3. (7968/240). Della diserzione della riunione in prima convocazione, può darsi atto anche nel verbale di seconda convocazione. Trib. Reggio Emilia, 27 aprile 1994, Giur. comm. 1995, II, 741. (7968/384). La deliberazione assembleare societaria assunta, in seconda convocazione, non preceduta dalla verbalizzazione del mancato raggiungimento delle maggioranze richieste per la sua costituzione in prima convocazione, non può essere considerata "inesistente", ed infatti essa possiede tutti gli elementi per essere riconducibile al modello legale delle deliberazioni assembleari e per essere imputata alla società nel cui ambito viene assunta, e pone solo problemi di validità legati all'accertamento della maggioranza necessaria per assumere la deliberazione. Cass. civ., sez. I, 26 novembre 1998, n. 12008, Giust. civ. Mass. 1998, 2464, Arch. civ. 1999, 158, Riv. notariato 1999, 743, Foro it. 1999, I, 2289, Notariato 1999, 427, Giust. civ. 1999, I, 2097. (7968/384). 2. Il quorum costitutivo della seconda convocazione. - La disposizione di cui al comma 3 dell'art. 2369 c.c. (ante Riforma), nella parte in cui stabilisce che l'assemblea ordinaria di una società per azioni, in seconda convocazione, delibera sugli oggetti che avrebbero dovuto essere trattati nella prima qualunque sia la parte di capitale rappresentata dai soci intervenuti, è inderogabile. Pertanto, è nulla ed inefficace la modifica dello statuto speciale volta a stabilire anche per le assemblee ordinarie in seconda convocazione un quorum di maggioranza determinato. Cass. civ., sez. I, 16 marzo 1990, n. 2198, Giust. civ. Mass. 1990, fasc. 3, Giust. civ. 1990, I, 2608, Dir. fall. 1990, II, 986. (7968/288). È nulla la delibera assembleare di società per azioni che imponga un quorum di maggioranza determinato anche per le delibere assunte dalle assemblee ordinarie di seconda convocazione. Cass. civ., sez. I, 16 marzo 1990, n. 2198, Foro it. 1991, I, 228, Giur. comm. 1991, II, 723. (7968/288). È nulla la clausola statutaria di s.p.a. che richiede, per l'assemblea ordinaria di seconda convocazione, un "quorum" costitutivo. Trib. Bologna, 13 settembre 1984, Giur. comm. 1985, II, 354. (7968/276). 2370. Diritto d'intervento all'assemblea ed esercizio del voto (1). – [I]. Possono intervenire all'assemblea gli azionisti cui spetta il diritto di voto. [II]. Lo statuto può richiedere il preventivo deposito delle azioni o della relativa certificazione presso la sede sociale o le banche indicate nell'avviso di convocazione, fissando il termine entro il quale debbono essere depositate ed eventualmente prevedendo che non possano essere ritirate prima che l'assemblea abbia avuto luogo. Nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio il termine non può essere superiore a due giorni non festivi (2) e, nei casi previsti dai commi sesto e settimo dell'articolo 2354, il deposito è sostituito da una comunicazione dell'intermediario (3) che tiene i relativi conti. [III]. Se le azioni sono nominative, la società provvede all'iscrizione nel libro dei soci di coloro che hanno partecipato all'assemblea o che hanno effettuato il deposito, ovvero che risultino dalla comunicazione dell'intermediario (3) di cui al comma precedente. [IV]. Lo statuto può consentire l'intervento all'assemblea mediante mezzi di telecomunicazione o l'espressione del voto per corrispondenza. Chi esprime il voto per corrispondenza si considera intervenuto all'assemblea. (1) V. nota al Capo V. (2) Le parole « non festivi » sono state inserite dall'art. 10 d.lgs. 28 dicembre 2004, n. 310. (3) V. Avviso di rettifica in G.U. 4 luglio 2003, n. 153. Sommario: 1. Le modifiche della Riforma. - 2. Uso di mezzi telematici e del voto per corrispondenza. 1. Le modifiche della Riforma. - Le modifiche più rilevanti riguardano il diritto di intervento solo per i soci titolari del diritto di voto e la non obbligatorietà del preventivo deposito delle azioni cinque giorni prima dell'assemblea. stesse condizioni in presenza delle quali tali modalità di svolgimento delle riunioni assembleari e di partecipazione alle decisioni dei soci sono ammesse nella s.p.a. che non fa ricorso al mercato del capitale di rischio. Consiglio Notarile Milano, 10 marzo 2004, n. 14. 2. Uso di mezzi telematici e del voto per corrispondenza. - Devono ritenersi ammissibili le assemblee tenute con mezzi di telecomunicazione e i voti per corrispondenza alle 2371. Presidenza dell'assemblea (1). – [I]. L'assemblea è presieduta dalla persona indicata nello statuto o, in mancanza, da quella eletta con il voto della maggioranza dei presenti. Il presidente è assistito da un segretario designato nello stesso modo. Il presidente dell'assemblea verifica la regolarità della costituzione, accerta l'identità e la legittimazione dei presenti, regola il suo svolgimento ed accerta i risultati delle votazioni; degli esiti di tali (2) accertamenti deve essere dato conto nel verbale. [II]. L'assistenza del segretario non è necessaria quando il verbale dell'assemblea è redatto da un notaio. (1) V. nota al Capo V. (2) V. Errata-corrige in G.U. 4 luglio 2003, n. 153. Sommario: 1. Introduzione. - 2. L'individuazione del Presidente. - 3. I doveri e i poteri del Presidente. Giurisprudenza di merito. 1. Introduzione. - La norma, come modificata dalla Riforma, si connota solo per maggiore precisione rispetto alla previgente disciplina, riferendosi alla persona indicata nello statuto. 2. L'individuazione del Presidente. - In tema di presidenza dell'assemblea della società per azioni, è illegittima, per contrarietà alla norma inderogabile di cui all'art. 2371 c.c., la delibera che, attribuendo la funzione al presidente del consiglio di amministrazione, preveda che, in caso di assenza o impedimento, essa spetti ad un consigliere scelto dallo stesso collegio, poiché per tale ipotesi subordinata la norma espressamente deferisce la scelta alla maggioranza degli intervenuti. Cass. civ., sez. I, 13 settembre 2007, n. 19160, Giust. civ. Mass. 2007, 9. (7968/240). La disposizione dello statuto di una società per azioni, che preveda che l'assemblea deve essere presieduta da un azionista, nominato a maggioranza dagli intervenuti, non è diretta ad ampliare i poteri dello stesso, che, indipendentemente da tale qualità, nel silenzio dell'atto costitutivo o dello statuto, potrebbe ugualmente essere designato a presiedere l'assemblea, ma a limitare i poteri dell'assemblea stessa nella scelta del presidente, che, nell'avvalersi del potere di designarlo, ai sensi dell'art. 2371 c.c., dovrà farlo scegliendolo esclusivamente tra gli azionisti. Pertanto, il mandato conferito dall'azionista ad altro soggetto, che non rivesta tale qualità, di rappresentarlo all'assemblea, non è idoneo a conferire a quest'ultimo anche la legittimazione a presiederla. (Nel caso di specie, in virtù di tale principio, è stata ritenuta illegittima la delibera di un'assemblea svoltasi sotto la presidenza di un avvocato, non azionista, cui era stato conferito da un azionista l'incarico di rappresentarlo all'assemblea sociale). Cass. civ., sez. I, 8 giugno 2001, n. 7770, Giust. civ. Mass. 2001, 1151, Riv. notariato 2001, 1217, Società 2001, 1343. (7968/240). Il consenso tacito dei soci di una s.p.a. nello svolgimento, da parte di un soggetto, delle funzioni di presidente dell'assemblea è una forma di designazione rilevante ai sensi dell'art. 2371 c.c. Trib. Milano, 9 novembre 1987, Giur. comm. 1988, II, 967, Riv. notariato 1989, 239. (7968/240). La giurisprudenza ha ritenuto che l'amministratore unico di una società, ancorché revocato dalla carica, potesse continuare a presiedere l'assemblea, qualora vi sia stato un tacito consenso dei soci intervenuti. Trib. Milano, 16 marzo 1998, Giur. it. 1998, 1426. (7968/240). L'assemblea che si svolge a seguito di rinvio è legittimamente presieduta da persona designata dagli interventi in assenza dell'amministratore cui lo statuto attribuisce tale carica e che aveva presieduto la precedente adunanza. Trib. Roma, 15 gennaio 1988, Foro it. 1989, I, 257. (7968/240). 3. I doveri e i poteri del Presidente. Giurisprudenza di merito. - Il rifiuto da parte del presidente dell'assemblea di accogliere la richiesta di rinvio proveniente dalla minoranza qualificata dei soci, ai sensi dell'art. 2374 c.c., non è causa di invalidità della deliberazione qualora la richiesta stessa non sia conforme al comportamento che l'art. 1375 c.c. impone ai contraenti. Trib. Roma, 14 giugno 2005, Riv. notariato 2006, 6, 1584. (7968/348). Il biglietto di ammissione, ove mancante, non preclude al socio la partecipazione all'assemblea della s.p.a., il cui diritto dipende dalla titolarità delle azioni, accertabile "aliunde" dal presidente della assemblea. Trib. Padova, 11 gennaio 2005, Giur. merito 2005, 7/8, 1549. (7968/240). I poteri del presidente dell'assemblea sono funzionali all'ordinato e regolare svolgimento dei lavori e possono estendersi sino alla sospensione e allo scioglimento dell'assemblea. Trib. Nocera Inferiore, 28 luglio 2003, Giur. it. 2004, 115, Giur. comm. 2004, II, 443. (7968/240). Nelle società di capitali, in assenza di specifiche indicazioni statutarie o regolamentari circa le modalità di votazione in sede assemblare, la scelta del sistema di votazione spetta al presidente dell'assemblea, soggetto competente a regolare lo svolgimento dei lavori assembleari (nella specie per la nomina delle cariche sociali era stato adottato il voto di lista con espressione del voto per alzata di mano e successiva identificazione nominativa dei soci contrari o astenuti ai fini della controprova, mediante raccolta dei relativi tagliandi di votazione). App. Milano, 11 agosto 2000, Giur. it. 2001, 1906. (7968/240). Il presidente dell'assemblea di un organo collegiale, massimamente quando tale carica sia prevista dallo statuto, possiede tutti i poteri necessari per il razionale e corretto svolgimento dell'assemblea, ivi compreso quello della scelta delle proposte da mettere ai voti. Ne consegue che la deliberazione assembleare di una persona giuridica, la quale abbia ottenuto il prescritto "quorum" deliberativo, non può ritenersi viziata per il solo fatto che non siano state messe ai voti altre proposte sullo stesso "thema decidendum". Trib. Roma, 24 gennaio 2000, Giur. romana 2000, 365. (7968/240). Il presidente dell'assemblea di una s.p.a., con la tacita approvazione della maggioranza dei soci intervenuti, può legittimamente disporre che la deliberazione assembleare sia votata "per alzata di mano". Trib. Varese, 1 marzo 1999, Società 1999, 864. (7968/288). L'identificazione degli intervenuti ad un'assemblea di società di capitali può essere effettuata mediante le dichiarazioni rese dal presidente e come tali verbalizzate dal notaio. App. Genova, 23 maggio 1998, Giur. comm. 1999, II, 127. (7968/240). È in contrasto con l'art. 2371 c.c. e deve pertanto considerarsi illegittima, la clausola statutaria con la quale si autorizza il presidente dell'assemblea a nominare il segretario per la redazione del verbale. Trib. Roma, 11 aprile 1996, Giust. civ. 1996, I, 2706. (7968/384). È compito del presidente dell'assemblea e non del segretario o del notaio verbalizzante di verificare l'esistenza e la regolarità delle deleghe di voto. App. Genova, 19 luglio 1995, Giur. it. 1995, I, 2, 784. (7968/240). È illegittima la clausola statutaria, secondo cui "il presidente dell'assemblea nomina un segretario anche non socio", spettando la designazione del segretario ai soci intervenuti all'adunanza assembleare, in mancanza di specifica indicazione dell'atto costitutivo (o dell'allegato statuto), ai sensi degli art. 2371 comma 1 e 2486 comma 2 c.c. Trib. Cassino, 6 aprile 1990, Riv. dir. comm. 1991, II, 207. (7968/240). 2372. Rappresentanza nell'assemblea (1). – [I]. Salvo disposizione contraria dello statuto, i soci possono farsi rappresentare nell'assemblea. La rappresentanza deve essere conferita per iscritto e i documenti relativi devono essere conservati dalla società. [II]. Nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio la rappresentanza può essere conferita solo per singole assemblee, con effetto anche per le successive convocazioni, salvo che si tratti di procura generale o di procura conferita da una società, associazione, fondazione o altro ente collettivo o istituzione ad un proprio dipendente. [III]. La delega non può essere rilasciata con il nome del rappresentante in bianco ed è sempre revocabile nonostante ogni patto contrario. Il rappresentante può farsi sostituire solo da chi sia espressamente indicato nella delega. [IV]. Se la rappresentanza è conferita ad una società, associazione, fondazione od altro ente collettivo o istituzione, questi possono delegare soltanto un proprio dipendente o collaboratore. [V]. La rappresentanza non può essere conferita né ai membri degli organi amministrativi o di controllo o ai dipendenti della società, né alle società da essa controllate o ai membri degli organi amministrativi o di controllo o ai dipendenti di queste. [VI]. La stessa persona non può rappresentare in assemblea più di venti soci o, se si tratta di società previste nel secondo comma di questo articolo, più di cinquanta soci se la società ha capitale non superiore a cinque milioni di euro, più di cento soci se la società ha capitale superiore a cinque milioni di euro e non superiore a venticinque milioni di euro, e più di duecento soci se la società ha capitale superiore a venticinque milioni di euro. [VII]. Le disposizioni del quinto e del sesto comma di questo articolo si applicano anche nel caso di girata delle azioni per procura. (1) V. nota al Capo V. Sommario: 1. Introduzione. – 2. Cenni generali sulle deleghe. - 3. Deroga per le deleghe conferite per più assemblee. - 4. Validità delle delibere adottate con il conteggio di voti espressi in violazione dell'art. 2372. Giurisprudenza contrastante. 1. Introduzione. – Con la Riforma il legislatore ha notevolmente differenziato la disciplina in tema di deleghe per la partecipazione all’assemblea tra le società per azioni e quella a responsabilità limitata. Quanto alle società per azioni, l’art. 2372 c.c. assoggetta ad un diverso regime la rappresentanza in relazione ad assemblee di società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio rispetto a quelle di società che non vi fanno ricorso. Quanto alle prime, la delega può essere conferita unicamente per singole assemblee, per le seconde, diversamente, non opera il predetto limite. 2. Cenni generali sulle deleghe. - La delega per partecipare ad una assemblea di società di capitali deve avere la forma scritta ad substantiam (Tribunale Milano, 23 aprile 2008, Giur. it 2008, dicembre, 2743, (7968/336)), quindi il relativo documento deve contenere l’estrinsecazione diretta della volontà negoziale della parte, non essendo sufficiente l’allegazione di un documento formato da terzi (privati) che si limiti a riconoscere il fatto storico dell’avvenuto conferimento del mandato (in analogia con quanto statuito in materia contrattuale da Cass. civ., sez. II, 30 agosto 1994, n. 7590, Giust. civ. Mass. 1994, 1117). L'indicazione, nel verbale di assemblea di società per azioni, dell'elenco nominativo dei partecipanti in proprio o per delega è finalizzato alla verifica del corretto esercizio del diritto di voto da parte dei rappresentanti, in funzione della tutela degli interessi dei rappresentati. Cass. civ., sez. I, 17 luglio 2007, n. 15950, Giust. civ. Mass. 2007, 9. (7968/384). Non può parlarsi di inesistenza del mandato qualora si verifichi che sussista divergenza tra il numero di azioni oggetto di delega e il numero effettivo di azioni per il quale può essere esercitato in sede assembleare il relativo diritto di voto da parte del delegato. Trib. Milano, 3 settembre 2003, Società 2004, 1016. (7968/336). 3. Deroga per le deleghe conferite per più assemblee. - In tema di società di capitali, il divieto di conferire la rappresentanza in assemblea di cui all'art. 2372 c.c. non è applicabile in caso di rappresentanza organica. Trib. Milano, sez. VIII, 5 luglio 2006, n. 8197, Il merito 2006, 12, 40. (7968/336). Con riguardo alle società per azioni, in ordine alla rappresentanza del socio nell'assemblea l'art. 8 della l. 7 giugno 1974, n. 216 il quale, modificando l'art. 2372 c.c., ha inteso imporre all'azionista una maggiore oculatezza nell'esercizio del diritto di farsi rappresentare nell'assemblea, richiedendo (tra l'altro) che la procura sia conferita per singole assemblee e quindi con piena contezza della convocazione di questa e del relativo ordine del giorno, comporta che il procuratore generale dell'azionista non è in quanto tale legittimato a rappresentarlo nell'assemblea, occorrendo invece che, oltre a non rientrare nel novero delle persone cui la rappresentanza non può essere conferita per divieto legale (o statutario), egli sia munito di procura conferita per la specifica assemblea in cui il diritto di voto dovrà essere esercitato. Cass. civ., sez. I, 20 luglio 1988, n. 4709, Giust. civ. Mass. 1988, fasc. 7, Giur. it. 1988, I, 1, 1714, Giust. civ. 1988, I, 2525. (7968/336). La delega conferita per la votazione delle cariche sociali comprende necessariamente anche la delega per le deliberazioni accessorie (propedeutiche, strumentali e consequenziali), tra le quali rientra quella relativa alla scelta del sistema di votazione. Le limitazioni di cui all'art. 2372 c.c., ed in particolare quella per cui la rappresentanza può essere conferita solo per singole assemblee, non sono applicabili al procuratore generale ad negotia il quale è conseguentemente legittimato a chiedere la convocazione dell'assemblea ai sensi dell'art. 2367 c.c. Trib. Milano, 7 maggio 2002, Giur. it. 2002, 2100. (7968/336). 4. Validità delle delibere adottate con il conteggio di voti espressi in violazione dell'art. 2372. Giurisprudenza contrastante. - La presenza, e al limite la partecipazione alla discussione, di soggetti non legittimati è circostanza irrilevante ai fini della costituzione dell'assemblea e ai fini della validità delle deliberazioni, se il voto degli intervenuti non legittimati non è determinante per l'approvazione delle deliberazioni. App. Milano, 14 luglio 1989, Banca borsa tit. cred. 1990, II,608. (7968/336). In senso contrario si è espressa App. Napoli, 11 aprile 1984, Società 1984, 1231. (7968/336). 2373. Conflitto d'interessi (1). – [I]. La deliberazione approvata con il voto determinante di soci che abbiano, per conto proprio o di terzi, un interesse in conflitto con quello della società è impugnabile a norma dell'articolo 2377 qualora possa recarle danno. [II]. Gli amministratori non possono votare nelle deliberazioni riguardanti la loro responsabilità. I componenti del consiglio di gestione non possono votare nelle deliberazioni riguardanti la nomina, la revoca o la responsabilità dei consiglieri di sorveglianza. (1) V. nota al Capo V. Sommario: 1. Introduzione. - 2. Il conflitto di interessi - 3. L'abuso di maggioranza e l'eccesso di potere. - 4. Il calcolo dei quorum ed annullabilità delle delibere. Giurisprudenza consolidata. - 5. La casistica . 1. Introduzione. - La Riforma non ha previsto un obbligo di disclosure in capo al socio conflittato, analogamente a quanto invece previsto dall'art. 2391, comma 2, c.c. (in tema di amministratori) ovvero dall'art. 2497 ter c.c. (in tema di società soggette ad attività di direzione e coordinamento). Permane il divieto assoluto di voto in capo agli amministratori nelle delibere riguardanti la loro responsabilità. 2. Il conflitto di interessi - In applicazione del principio di buona fede in senso oggettivo al quale deve essere improntata l'esecuzione del contratto di società, la cosiddetta regola di maggioranza consente al socio di esercitare liberamente e legittimamente il diritto di voto per il perseguimento di un proprio interesse fino al limite dell'altrui potenziale danno. L'abuso della regola di maggioranza (altrimenti detto abuso o eccesso di potere) è, quindi, causa di annullamento delle deliberazioni assembleari allorquando la delibera non trovi alcuna giustificazione nell'interesse della società - per essere il voto ispirato al perseguimento da parte dei soci di maggioranza di un interesse personale antitetico a quello sociale - oppure sia il risultato di una intenzionale attività fraudolenta dei soci maggioritari diretta a provocare la lesione dei diritti di partecipazione e degli altri diritti patrimoniali spettanti ai soci di minoranza "uti singuli". L'onere di provare che il socio di maggioranza abbia abusato del proprio diritto di voto grava sul socio di minoranza che assume l'illegittimità della deliberazione; nel concreto suo atteggiarsi, detta prova non deve ritenersi limitata ai sintomi dell'abuso della regola di maggioranza manifestatisi prima dell'adozione della delibera impugnata, potendo, viceversa, farsi leva su comportamenti o indizi cronologicamente successivi, in grado di rivelarne "ex post" la sussistenza. Non è impugnabile per conflitto di interessi la delibera di scioglimento anticipato della società ex art. 2484, n. 5, c.c. testo previgente (ora art. 2484, n. 6, c.c.) in quanto la situazione di conflitto rilevante ai fini dell'art. 2373 c.c. testo previgente deve essere valutata con riferimento non già a confliggenti interessi dei soci, bensì a un eventuale contrasto tra l'interesse del socio e l'interesse sociale inteso come l'insieme degli interessi riconducibili al contratto di società tra i quali non è ricompreso l'interesse della società alla prosecuzione della propria attività, giacché la stessa disciplina legale del fenomeno societario consente che la maggioranza dei soci ponga fine all'impresa comune senza subordinare tale decisione ad alcuna condizione. Cass. civ., 12 dicembre 2005, n. 27387, Giust. civ. Mass. 2005, 7/8. (7968/252). Nelle deliberazioni assembleari di società per azioni sulla responsabilità degli amministratori e dei sindaci si pone in conflitto d'interessi con la società il voto contrario espresso dai soggetti contro cui l'azione risarcitoria viene proposta, sebbene abbiano ormai lasciato l'incarico o agiscano come procuratori di altro socio. Trib. Ancona, 7 marzo 2006, Giur. it. 2007, 3, 666. (7968/252). 3. L'abuso di maggioranza e l'eccesso di potere. L’esistenza, quantomeno in via astratta, della figura dell’abuso o eccesso di potere, per lo più in fattispecie nelle quali si trattava del voto determinante della maggioranza, è stata riconosciuta dalla giurisprudenza. Cass. civ., 12 dicembre 2005, n. 27387, Foro it. 2006, I, 3455; Cass. civ., 19 aprile 2003, n. 6361, Società 2004, I, 1219; Cass. civ., 4 maggio 1994, n. 4323; Cass. civ., 11 marzo 1993, n. 2958, Società 1993, 1049; Cass. civ., 29 maggio 1986, n. 3628; Trib. Roma, 11 marzo 2005, Foro it. 2006, I, 293; Trib. Vigevano, 2 marzo 2005, Società 2006, 626; Trib. Torino, 26 novembre 2004, Giur. it. 2005, 750; Trib. Milano, 28 gennaio 1998, Società 1998, 946; Trib. Catania, 12 settembre 1989; Trib. Genova, 19 gennaio 1988, Società 1988, 273; Trib. Milano, 8 gennaio 1987, Foro it. 1988, I, 608. (7968/252). Altra parte della giurisprudenza ha ribadito che ferma l’insindacabilità nel merito, da parte dei Giudici, delle delibere assembleari - le espressioni di voto possono essere illegittime se adottate con un voto di maggioranza espresso al solo fine di danneggiare la minoranza, anzichè di ottenere un risultato utile per la società. Cass. civ., 26 ottobre 1995, n. 11151, Società 1996, 295, Giur. comm. 1996, II, 329; Cass. civ., 11 giugno 2003, n. 9353, Società 2004, 188; App. Milano, 18 aprile 2000, Società 2000, 958. (7968/252). 4. Il calcolo dei quorum ed annullabilità delle delibere. Giurisprudenza consolidata.– Nella vigenza del testo ante Riforma dell'art. 2373, la giurisprudenza aveva più volte statuito che le azioni del socio in conflitto dovevano essere computate ai fini del quorum costitutivo, lasciando intendere l'esclusione delle stesse azioni dal computo del quorum deliberativo. App. Roma, 29 maggio 2001, Foro it. 2001, I, 3395; App. Catania 23 maggio 1952, Foro it. 1952, I, 936; Trib. Milano 18 maggio 2000, Giur. it. 2001, 98; Trib,. Milano 21 giugno 1988, Giur. it. 1989, I, 2, 224, Riv. notariato 1989, 444. (7968/252). La giurisprudenza ha dunque aperto la strada per il nuovo disposto normativo dell'art. 2368, ultimo comma, c.c., che prevede l'esclusione dal quorum deliberativo delle azioni del socio in conflitto, che va coordinato con quello dell'art. 2373 nella parte in cui prevede che l'annullamento della delibera può aversi solo in costanza di determinanza del voto conflitttato e di un danno potenziale nei confronti della società. Ed infatti la giurisprudenza ha statuito che in caso di conflitto di interssi di socio che scelga di votare, l'annullamento della relativa delibera non è automatica, ma collegato alla contemporanea sussistenza di due ulteriori requisiti: la decisività del voto ai fini dell'assunzione della decisione (c.d. prova di resistenza); la delibera sia potenzialmente dannosa per la società. Cass. civ., 12 dicembre 2005, n. 27387, Giust. civ. Mass. 2005, 7/8. (7968/252). Sulla potenzialità del danno si è espressa giurisprudenza costante: Cass. civ., sez. I, 23 marzo 1996, n. 2562, Giust. civ. Mass. 1996, 417, Giur. it. 1996, I, 1, 1332, Notariato 1996, 521, Società 1996, 1146, Vita not. 1996, 1411; Cass. civ., sez. I, 21 dicembre 1994, n. 11017, Giust. civ. Mass. 1994, fasc. 12; Cass. civ., sez. I, 11 marzo 1993, n. 2958, Società 1993, 1049. (7968/252). I suindicati requisiti devono ricorrere entrambi e, laddove manchi uno di essi, potremo definire la delibera come inattaccabile. Cass. civ., sez. I, 21 marzo 2000, n. 3312, Giust. civ. Mass. 2000, 607, Giust. civ. 2000, I, 1953, Dir. e prat. soc. 2000, 12, 80, Nuova giur. civ. commentata 2001, I, 428. (7968/252). 5. La casistica - Deve essere annullata la delibera dell’assemblea quando il compenso degli amministratori serve, in realtà, a regolare i conti fra i soci in uscita e quelli che restano nella compagine. Ricorre, nella specie, il conflitto di interessi regolato dall’art. 2373 c.c. Cass. civ., sez. I, 3 dicembre 2008, n. 28748, Diritto & Giustizia 2008. (7968/252). Anche con riguardo a una deliberazione dell'assemblea di una società per azioni con la quale si decida la proposizione dell'azione sociale di responsabilità nei confronti dell'amministratore è configurabile un conflitto d'interessi nei sensi previsti dall'art. 2373 c.c. con la conseguente possibilità d'impugnazione della delibera medesima ove si accerti, attraverso obiettive circostanze di fatto, che l'azione di responsabilità, prevista in astratto a favore e a tutela della società, sia stata in concreto deliberata nell'interesse particolare dei soci che intendono promuoverla e che questo interesse sia confliggente con quello sociale. Cass. civ., 12 dicembre 2005, n. 27387, Giust. civ. Mass. 2005, 7/8. (7968/252). Il vizio di eccesso o abuso di potere è ravvisabile allorquando la delibera dell'assemblea di un fondo previdenziale, anche se adottata nelle forme legali e con le maggioranze prescritte, risulti arbitraria e fraudolentemente preordinata al perseguimento, da parte dei soci di maggioranza, di interessi diversi da quelli del fondo ovvero volutamente lesivi degli interessi degli altri soci, conseguendone pertanto che la relativa tutela è richiamabile solo qualora la delibera stessa non abbia una propria autonoma giustificazione sulla base dei legittimi interessi dei soci di maggioranza e la finalità fraudolenta in danno della minoranza costituisca l'unica ragione della delibera. Cass. civ., sez. lav., 19 aprile 2003, n. 6361, Foro it. 2004, I, 1219. (7968/252). Il vizio della deliberazione assembleare, costituito dal cosiddetto eccesso di potere, deve riconoscersi laddove la delibera sia stata adottata a proprio esclusivo vantaggio dai soci di maggioranza di una società di capitali in danno di quelli di minoranza, essendo applicabile in materia l'art. 1375 c.c., in base al quale il contratto deve essere eseguito secondo buona fede. Tale vizio non può invece riconoscersi sulla base della supposta irrazionalità della determinazione dell'assemblea, per avere la maggioranza agito per finalità contrarie a quelle per le quali era stata costituita, essendo rimesso all'insindacabile apprezzamento degli organi sociali l'individuazione del modo migliore per perseguire l'interesse sociale. Cass. civ., 11 giugno 2003, n. 9353, Dir. e giust. 2003, 26, 95. (7968/252). Per alcune ipotesi di non annullabilità della delibera determinative del compenso dell'amministratore per conflitto di interessi dello stesso qualora non ne derivi un danno per la società: Cass. civ., sez. I, 17 luglio 2007, n. 15942, Giust. civ. Mass. 2007, 7-8; Cass. civ., sez. I, 21 marzo 2000, n. 3312, Giust. civ. 2000, I, 1953. (7968/252). Le deliberazioni dell'assemblea di una società aventi ad oggetto l'aumento del capitale, ove siano frutto di un accordo di maggioranza diretto a realizzare non l'interesse sociale, ma quello, personale dei partecipanti all'accordo medesimo, di accentramento in proprie mani della disponibilità del capitale azionario, con conseguente riduzione della partecipazione percentuale di soci impossibilitati ad esercitare il diritto di opzione, sono viziate da eccesso di potere e, pertanto, annullabili ex art. 2377 c.c., rimanendo la diversa ipotesi di nullità ex art. 2379, stesso codice, limitata ai casi di deliberazioni che si caratterizzino per impossibilità o illiceità dell'oggetto, identificato nel contenuto della deliberazione. Cass. civ., sez. I, 4 maggio 1994, n. 4323, Giust. civ. Mass. 1994, 607. (7968/252). (7968/252). La fattispecie del conflitto di interessi, come causa di annullamento di deliberazioni assembleari, è ancorata alla disciplina dell'art. 2373 c.c., ed è caratterizzata da un contrasto oggettivo e preesistente tra l'interesse concretamente perseguito dal socio di maggioranza e quello istituzionale della società, individuato quest'ultimo in un interesse a contenuto patrimoniale, e precisamente in quello che il patrimonio sociale non sia danneggiato dalla deliberazione, potendosi individuare la "ratio" dell'articolo richiamato nella necessità di colpire attentati all'integrità patrimoniale della società. Cass. civ., sez. I, 11 marzo 1993, n. 2958, Società 1993, 1049. (7968/252). La deliberazione di scioglimento di una società, che sia stata adottata dai soci nelle forme legali e con le maggioranze all'uopo prescritte, può essere invalidata, in difetto delle ragioni tipiche all'uopo previste (art. 2377-2379 c.c.), sotto il profilo dell'abuso od eccesso di potere, solo quando risulti arbitrariamente o fraudolentemente preordinata dai soci maggioritari per perseguire interessi divergenti da quelli societari (e quindi, per le società cooperative, dal fine mutualistico), ovvero per ledere i diritti del singolo partecipante (come nel caso in cui lo scioglimento sia indirizzato soltanto all'esclusione del socio), mentre, all'infuori di tali ipotesi, resta preclusa ogni possibilità di sindacato in sede giudiziaria sui motivi che hanno indotto la maggioranza alla suddetta decisione. Cass. civ., sez. I, 29 maggio 1986, n. 3628, Giust. civ. Mass. 1986, I, 2093. (7968/252). La configurabilità dell'abuso di potere, quale limite al principio maggioritario che regola i meccanismi di determinazione della volontà della società, è correlata ad ipotesi in cui l'esercizio del diritto di voto da parte della maggioranza è fraudolentemente preordinato ad esclusivo danno della minoranza. Ne consegue che, al fine di provocare l'annullamento della delibera assembleare, devono contestualmente ricorrere due fondamentali presupposti: da un lato, la decisione deve essere esclusivamente ispirata da un interesse personale dei soci di maggioranza palesemente collidente con lo scopo del contratto di società e antitetico all'interesse sociale; dall'altro, tale decisione deve essere conseguente ad un'attività fraudolenta dei soci di maggioranza diretta a determinare un danno ai soci di minoranza. Corollario a tali principi è che, qualora la delibera abbia comunque una propria e autonoma giustificazione sulla base di una valutazione discrezionale dei soci di maggioranza e la finalità in danno della minoranza non costituisca, quindi, l'unica ragione della delibera, non è riscontrabile la predetta causa di annullabilità. App. Milano, 21 novembre 2003, Dir. e prat. soc. 2004, 22, 69. (7968/252). La delibera di una società per azioni, avente ad oggetto l'attribuzione ai propri amministratori di un compenso, la cui entità non trova giustificazione alla luce dell'andamento degli affari e delle pregresse determinazioni assunte sull'argomento dalla stessa società, risultando precipuamente finalizzata alla spoliazione del soci di minoranza, è viziata da conflitto di interessi ove sia assunta con il voto determinante di altra s.p.a. socia, controllata da un consigliere di amministrazione della prima. Trib. Milano, 1 febbraio 2005, Giur. it. 2005, 2110. (7968/252). L'eccesso di potere è un abuso che può condurre all'annullamento della delibera che "risulti arbitrariamente e fraudolentemente preordinata al perseguimento, da parte di soci di maggioranza, di interessi divergenti da quelli societari, ovvero alla realizzazione di scopi lesivi del singolo partecipante; mentre, al di fuori di tali ipotesi, resta preclusa ogni possibilità di sindacato giurisdizionale in ordine ai motivi che hanno indotto la maggioranza dei soci ad adottare deliberazioni siffatte. Tuttavia, in queste ipotesi, costituisca preciso onere di chi impugna la deliberazione dimostrare, con idonei mezzi di prova, la sussistenza dell'abuso o dell'eccesso di potere denunziato, perché possa dispiegarsi il predetto sindacato del giudice. Trib. Milano, 5 febbraio 2004. Una delibera in concreto preordinata ad avvantaggiare alcuni soci in danno di altri, è illegittima. Collegio Arbitrale Milano, 11 luglio 2007, Società 2008, 11, 1419. (7968/252). 2374. Rinvio dell'assemblea (1). – [I]. I soci intervenuti che riuniscono un terzo del capitale rappresentato nell'assemblea, se dichiarano di non essere sufficientemente informati sugli oggetti posti in deliberazione, possono chiedere che l'assemblea sia rinviata a non oltre cinque giorni. [II]. Questo diritto non può esercitarsi che una sola volta per lo stesso oggetto. (1) V. nota al Capo V. Sommario: 1. Introduzione. - 2. Portata della norma.- 3. Casi di rinvio senza applicazione della norma. Giurisprudenza consolidata. 1. Introduzione. – La norma ha riigurado alla possibilità di rinvio dell'assemblea in costanza di gap di informazione. L'unica modifica della Riforma si rinviene nella circostanza che il rinvio sia esercitato a cinque giorni e non più a tre giorni. 2. . Portata della norma - La norma in esame afferma un vero e proprio diritto al rinvio non essendo sottoponibile la facoltà concessa dalla norma in esame alla votazione dell'asssemblea. Trib. Roma, 3 agosto 1998, Società 1999, 455. (7968/348). È annullabile la deliberazione che sia stata assunta nonostante la richiesta di rinvio avanzata dal singolo socio, in caso di assemblea totalitaria, o da una parte qualificata del capitate sociale presente all'assemblea convocata secondo l'ordinaria procedura. Trib. Catania, 10 gennaio 2002, Società 2002, 879. (7968/348). La richiesta di differimento dell'adunanza formulata a norma dell'art. 2374 c.c. dal socio che si dichiari non sufficientemente informato prescinde dal riscontro ad opera dell'assemblea o del suo presidente di una situazione obiettiva di difetto d'informazione in capo al socio richiedente, con la conseguenza che il mancato differimento dell'adunanza rende annullabile la delibera adottata. Trib. Milano, 25 agosto 2006, Riv. notariato 2008, 3, 671. (7968/348). Diversamente, il rifiuto da parte del presidente dell'assemblea di accogliere la richiesta di rinvio proveniente dalla minoranza qualificata dei soci, ai sensi dell'art. 2374 c.c., non è causa di invalidità della deliberazione qualora la richiesta stessa non sia conforme al comportamento che l'art. 1375 c.c. impone ai contraenti. Trib. Roma, 14 giugno 2005, Riv. notariato 2006, 6, 1584. (7968/348). Pertiene al potere dell'assemblea di decidere l'oggetto dei propri lavori, sicché il rinvio ex art. 2374 c.c. deve essere interpretato come decisione dell'organo deliberativo sul futuro ordine del giorno. Trib. Milano, 14 febbraio 2005, Giur. it. 2005, 1656. (7968/348). In caso di rinvio dell'assemblea chiesto dai soci che si dichiarino insufficientemente informati sugli oggetti posti in deliberazione ai sensi dell'art. 2374 c.c., non si configurano due diverse assemblee, l'adunanza di rinvio costituendo invece un proseguimento della prima, con la conseguenza che le decisioni adottate nelle due sedute danno luogo ad un'unica delibera a contenuto plurimo. App. Roma, 11 dicembre 2001, Riv. notariato 2003, 787. (7968/348). Il diritto di chiedere il rinvio dell'assemblea di società di capitali previsto dall'art. 2374 c.c. deve essere esercitato nell'ambito della riunione assembleare e deve essere motivato con la necessità di assumere maggiori informazioni sugli argomenti all'ordine del giorno. App. Roma, 21 aprile 1998, Riv. dir. comm. 1998, II, 197. (7968/348). Nessuna norma impone all'assemblea dei soci di società di capitali, convocata per i provvedimenti di cui all'art. 2447 c.c. e rinviata ex art. 2374 c.c. su richiesta della maggioranza dei soci intervenutivi, di deliberare nella nuova seduta sulla base di una relazione sulla situazione patrimoniale diversa rispetto a quella presentata dagli amministratori in vista della precedente adunanza. Trib. Catania, 12 agosto 1997, Giur. merito 1998, 4, Società 1998, 188. (7968/348). 3. Casi di rinvio senza applicazione della norma. Giurisprudenza consolidata. - Qualora l'assemblea, regolarmente tenutasi, decida con l'accordo di tutti i soci la prosecuzione della seduta ad altra data, in cui, sempre con l'intervento di tutti i soci, sia disposto a maggioranza e senza alcuna deliberazione l'ulteriore differimento ad altro giorno, è valida la deliberazione adottata in questa sede, giacché essendo stati i presenti edotti del prosieguo della assemblea regolarmente tenutasi - non è necessario, in assenza di variazioni dell'ordine del giorno originario - un nuovo avviso di convocazione, mentre, d'altra parte, non ricorrono i presupposti stabiliti dall'art. 2374 c.c. per il rinvio dell'adunanza. Cass. civ., sez. II, 30 ottobre 2006, n. 23329, Giust. civ. Mass. 2006, 10. (7968/348). L'art. 2374 c.c. non esaurisce la disciplina delle ipotesi di rinvio della riunione assembleare, tuttavia, si può parlare di mero rinvio (cd. aggiornamento) dell'adunanza solo nel caso in cui non sia esaurita la discussione sopra tutti gli argomenti posti nell'ordine del giorno e venga determinata una data fissa per la prosecuzione della riunione. Pertanto, solo in questo caso, essendo la nuova assemblea una semplice prosecuzione della precedente, gli amministratori sono esonerati dal compiere nuove formalità di convocazione. Trib. Milano, 23 maggio 1996, Giur. it. 1996, I, 2, 808. (7968/348). 2375. Verbale delle deliberazioni dell'assemblea (1). – [I]. Le deliberazioni dell'assemblea devono constare da verbale sottoscritto dal presidente e dal segretario o dal notaio. Il verbale deve indicare la data dell'assemblea e, anche in allegato, l'identità dei partecipanti e il capitale rappresentato da ciascuno; deve altresì indicare le modalità e il risultato delle votazioni e deve consentire, anche per allegato, l'identificazione dei soci favorevoli, astenuti o dissenzienti. Nel verbale devono essere riassunte, su richiesta dei soci, le loro dichiarazioni pertinenti all'ordine del giorno. [II]. Il verbale dell'assemblea straordinaria deve essere redatto da un notaio. [III]. Il verbale deve essere redatto senza ritardo, nei tempi necessari per la tempestiva esecuzione degli obblighi di deposito o di pubblicazione. (1) V. nota al Capo V. Sommario: 1. Analiticità o sinteticità del verbale. Giurisprudenza contrastante. - 2. Gli allegati al verbale. Giurisprudenza consolidata. - 3. Il verbale di assemblea straordinaria. - 4. Il verbale non contestuale. 1. Analiticità o sinteticità del verbale. Giurisprudenza contrastante. - Prima della Riforma vi erano tre line di pensiero in merito alle modalità di verbalizzazione. Sul carattere analitico si erano, tra le tantissime, espresse: Cass. civ., 20 giugno 2000, n. 8370, Giust. civ. Mass. 2000, 1345, Società 2000, 1191, Foro it. 2000, I, 3506, Dir. e prat. soc. 2000, 23, 99, Giust. civ. 2001, I, 1045, Riv. notariato 2001, 507, Dir. e prat. soc. 2000, 24, 65, Vita not. 2001, 374. (7968/384). Sul carattere sintetico della verbalizzazione si erano espresse: Cass. civ., 20 giugno 1997, n. 5542; App. Roma, 18 maggio 1998, Società 1998, 1307; App. Roma, 30 agosto 1996, Giur. it. 1997, I, 218; App. Roma, 18 aprile 1995, Riv. not. 1995, 1541; App. Roma, 4 dicembre 1993, Riv. not. 1994, 866; App. Torino, 22 novembre 1989, Riv. not. 1990, 209; App. Roma, 26 luglio 1985, Vita not. 1986, 831; App. Milano, 30 maggio 1984, Vita not. 1985, 350; App. Milano, 27 settembre 1983, Giust. civ. 1984, I, 1273; App. Firenze, 8 ottobre 1982, Riv. not. 1983, 235; Trib. Lecce, 21 marzo 1992, Giur. comm. 1993, 126; Trib. Busto Arsizio, 21 marzo 1984, Foro it. 1986, I, 1049. (7968/384). Si era, infine, posto in luce un indirizzo di tipo intermedio che aveva sostanzialmente statuito che se da un lato il verbale delle deliberazioni assembleari non ha carattere analitico, dall'altro, la società è tenuta a conservare non solo la documentazione relativa alle deleghe di rappresentanza, ma anche quella concernente la verifica del diritto dell'intervento dei soci. App. Firenze, 12 settembre 1962, Riv. Not. 1962, 776; Trib. Trento, 6 luglio 1999, Giur. Comm. 2001, II, 84. (7968/384). Con la Riforma, e la nuova formulazione dell'art. 2375 comma 1, sembra che il legislatore abbia preferito la soluzione dell'analiticità del verbale. 2. Gli allegati al verbale. Giurisprudenza consolidata.- La giurisprudenza ha ritenuto che gli allegati al verbale (riguardanti soci ammessi, partecipanti, deleghe ecc.) non fanno necessariamente parte del verbale di assemblea (Cass. civ., 20 giugno 1997, n. 5542, Giust. civ. 1997, I, 2747; Trib. Milano, 28 maggio 1968, Foro it. 1968, I, 2004 (7968/384)), e che l’attestazione fidefacente riguarda solamente il fatto che l’allegato in questione sia stato redatto e consegnato al notaio dal presidente dell’assemblea, ma non il suo contenuto sostanziale di qualificazione delle presenze o di conformità delle deleghe (App. Bologna, 25 luglio 1951, Riv. not. 1951, 527 (7968/384). E stato, inoltre, ritenuto che nei verbali di assemblea redatti da notaio, questi non e` tenuto ad identificare, oltre al presidente, gli altri intervenuti, nè a verificare il libro soci o la regolarità delle deleghe; Trib. Milano, 17 gennaio 2004, Società 2004, 1147 (7968/384).). Altra giurisprudenza segnala, inoltre, come nella prassi, determinate allegazioni a verbale non rientrino nelle specifiche attribuzioni del notaio. App. Genova, 23 maggio 1998, Giur. comm. 1999, II, 127. (7968/384). 3. Il verbale di assemblea straordinaria. - Il verbale notarile di assemblea straordinaria di società di capitali non rientra nell'ambito del sottosistema tracciato dalla corte di cassazione per individuare gli atti non richiedenti la presenza dei testimoni (atti unilaterali a contenuto patrimoniale che possono essere ricevuti anche da soggetto diverso dal notaio) perché il verbale predetto può essere formato solo dal notaio. Spetta al presidente dell'assemblea, nell'ambito dei poteri strumentali inerenti all'organizzazione dei procedimenti di deliberazione assembleare, effettuare la rinuncia ai testi. Cass. civ., 4 novembre 1997, n. 10799, Giust. civ. Mass. 1997, 2070. (7968/384). A soddisfare l'esigenza di certezza sulla regolarità delle operazioni concernenti la costituzione dell'assemblea dei soci di una società per azioni, quando essa non risulti tecnicamente possibile per l'assenza del numero legale, non è necessario un atto pubblico notarile, bensì è sufficiente la redazione di un normale verbale di adunanza, da redigere, al di fuori delle regole speciali dettate dall'art. 2375 c.c., dal presidente o da altro socio presente, anche quando l'assemblea sia stata convocata in sede straordinaria (oltre che ordinaria) per il medesimo giorno. Cass. civ., 7 marzo 1992, n. 276, Giust. civ. Mass. 1992, fasc. 3. (7968/384). Un verbale di assemblea straordinaria di società di capitali, redatto (secondo l'espressa previsione dell'art. 2375 c.c.) da notaio, come atto tipico rientrante nelle sue attribuzioni d'ufficio, ha le caratteristiche dell'atto pubblico, giusta disposto dell'art. 2421. Il verbale fa pertanto piena prova, fino a querela di falso, delle modalità di svolgimento delle operazioni assembleari che il notaio attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti, anche quanto alla espressione di voto unanime da parte dei rappresentanti dei soci, alla sottoscrizione del capitale ddaumento ed al versamento dei tre decimi da parte dei soci stessi. Trib. Salerno, 16 aprile 2007, Società 2008, 1263. (7968/384). 4. Il verbale non contestuale. – La Riforma ha riconosciuto l'ammissibilità del verbale non contestualmente redatto, ma predisposto posteriormente all'assemblea, seppur senza ritardo. Il verbale postumo deve essere iscritto nel repertorio del notaio verbalizzante il giorno della sua redazione, e non in quello in cui si è tenuta l'assemblea. Consiglio Notarile di Milano, massima n. 45 del 19 novembre 2004. (7968/384). Pur in assenza di un espresso richiamo legislativo si applicano alla verbalizzazione per atto notarile dell’adunanza e delle deliberazioni di organi collegiali diversi dall’assemblea le regole dettate per la redazione del verbale delle deliberazioni assem-bleari e quindi: a) il verbale potrà essere redatto anche in un giorno successivo a quello della riu-nione purché nei tempi necessari per la tempestiva esecuzione degli obblighi di deposito o di pubblicazione delle deliberazioni ivi documentate; b) il verbale può essere sottoscritto dal solo notaio senza che sia richiesta a pena di invalidità la sottoscrizione del presidente del collegio; c) il verbale deve essere iscritto nel repertorio del notaio verbalizzante nel giorno della sua redazione e non in quello in cui si è tenuta la riunione; d) non sono applicabili le disposizioni della legge notarile relative sia alla necessità dell’assistenza dei testimoni o della rinunzia agli stessi sia alla necessità della let-tura del documento al presidente del collegio; e) nel caso in cui uno o più intervenuti abbiano compiuto interventi in lingua non compresa dal verbalizzante, tali interventi dovranno essere tradotti in modo da assicurarne al soggetto verbalizzante la comprensione senza però vincoli formali, non risultan-do applicabili gli artt. 55, 56 e 57 della legge notarile. Consiglio Notarile di Milano, massima n. 46 del 19 novembre 2004. (7968/384). 2376. Assemblee speciali (1). – [I]. Se esistono diverse categorie di azioni o strumenti finanziari che conferiscono diritti amministrativi, le deliberazioni dell'assemblea, che pregiudicano i diritti di una di esse, devono essere approvate anche dall'assemblea speciale degli appartenenti alla categoria interessata. [II]. Alle assemblee speciali si applicano le disposizioni relative alle assemblee straordinarie. [III]. Con il decreto previsto dall'articolo 163 o con successivo decreto, il tribunale può stabilire un limite di valore al di sotto del quale non è dovuta l'autorizzazione di cui al secondo comma. (1) V. nota al Capo V. Sommario: 1. Introduzione. - 2. Configurabilità della norma. - 3. La casistica. 1. Introduzione. – La norma ha riguardo a particolari categorie di assemblee, esistenti nell'ambito di società che hanno più categorie di azioni o strumenti finanziari. 2. Configurabilità della norma. - Perchè sia configurabile la norma, vi deve essere un pregiudizio non di mero fatto, bensì di diritto, riscontrabile quando la delibera dell'assemblea generale, avendo ad oggetto un diritto speciale fra quelli che sono propri delle singole categorie, ne determini una compressione o una limitazione, alterando il rapporto esistente tra le diverse categorie, e menomando la posizione di vantaggio precedentemente attribuita collettivamente alla singola categoria interessata. Trib. Milano, 26 maggio 1990, Giur. it. 1991, I, 2, 590. (7968/360). 3. La casistica. - Non soddisfa il presupposto del "pregiudizio rilevante", richiesto dagli art. 2376 c.c. e 146 T.u.f. per la convocazione dell'assemblea speciale, la deliberazione con la quale venga approvato il progetto di fusione che assicuri, da punto di vista formale, la parità di trattamento degli azionisti. Trib. Milano, 9 ottobre 2002, Riv. dottori comm. 2004, 1111. (7968/360). Il pregiudizio rilevante può configurarsi quando le decisioni assembleari configurino modifiche alla struttura dell'azionariato tali da alterare in maniera qualitative o quantitative il rapporto tra le categorie esistenti. Trib. Roma, 20 marzo 1995, D. Fall. 1995, II, 910. (7968/360). Non è stato ritenuto sussitente il pregiudizio in caso di delibera di approvazione del progetto di fusione nella quale sia formalmente assicurata parità di trattamento agli azionisti di risparmio. Trib. Milano, 9 ottobre 2002, Società 2003, 863. (7968/360). Come pure è stato stauito che non pregiudica i diritti della categoria e non rileva pertanto la mancata convocazione dell'assemblea degli azionisti di risparmio la delibera dell'assemblea straordinaria di società per azioni quotata in borsa che consideri la conversione volontaria delle azioni di risparmio in azioni ordinarie, ove la conversione non sia imposta, ma si realizzi solo quale (eventuale) effetto di una apposita manifestazione di volontà degli azionisti di risparmio interessati a divenire azionisti ordinari. Non può infatti ravvisarsi un pregiudizio nel fatto in sè della conversione di azioni di risparmio in azioni ordinarie: eventuali conseguenze di carattere pregiudizievole della conversione saranno imputabili esclusivamente alla libera ed autonoma determinazione degli azionisti di risparmio che decideranno di avvalersi del diritto loro concesso dalla delibera degli azionisti ordinari. Trib. Torino, 24 novembre 2000, Società 2001, 991. (7968/360). Analogamente, è stata ritenuta legittima l'emissione di azioni di risparmio con sopraprezzo, in occasione di aumenti del capitale sociale, anche nel caso in cui tali azioni siano offerte in opzione ai soci. Trib. Milano, 26 settembre 1991, Giur. comm. 1992, II, 492. (7968/360). Come pure è stato ritenuto che la deduzione secondo cui - in caso di conversione di azioni ordinarie in azioni di risparmio - l'aumento di queste ultime determina il rischio di futura insufficienza dell'utile, per la distribuzione del dividendo privilegiato ai soci di risparmio, configura un argomento metagiuridico e del tutto eventuale, come tale irrilevante al fine dell'attribuzione della competenza dell'assemblea speciale di categoria ex art. 146 comma 1 lett. b), t.u.f. Trib. Vicenza, 10 febbraio 2003, Banca borsa tit. cred. 2004, II, 574. (7968/360). È stata ritenuta legittima anche la riduzione di capitale di una S.p.a. per esuberanza mediante annullamento di azioni privilegiate proprie (acquisite dalla società a seguito di conversione volontaria di azioni privilegiate in ordinarie con contestuale rinuncia da parte degli azionisti privilegiati a parte delle loro azioni) ed accantonamento di una riserva di corrispondente importo. L'esuberanza può legittimamente essere giustificata da ragioni dirette ad una migliore organizzazione dell'impresa sociale e quindi ad un miglior conseguimento dell'oggetto ai sensi dell'art. 2445 c.c. Trib. Milano, 9 marzo 2000, Giur. it. 2000, 1879. (7968/360). 2377. Annullabilità delle deliberazioni (1). – [I]. Le deliberazioni dell'assemblea, prese in conformità della legge e dell'atto costitutivo, vincolano tutti i soci, ancorché non intervenuti o dissenzienti (2). [II]. Le deliberazioni che non sono prese in conformità della legge o dello statuto possono essere impugnate dai soci assenti, dissenzienti od astenuti, dagli amministratori, dal consiglio di sorveglianza e dal collegio sindacale. [III]. L'impugnazione può essere proposta dai soci quando possiedono tante azioni aventi diritto di voto con riferimento alla deliberazione che rappresentino, anche congiuntamente, l'uno per mille del capitale sociale nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio e il cinque per cento nelle altre; lo statuto può ridurre o escludere questo requisito. Per l'impugnazione delle deliberazioni delle assemblee speciali queste percentuali sono riferite al capitale rappresentato dalle azioni della categoria. [IV]. I soci che non rappresentano la parte di capitale indicata nel comma precedente e quelli che, in quanto privi di voto, non sono legittimati a proporre l'impugnativa hanno diritto al risarcimento del danno loro cagionato dalla non conformità della deliberazione alla legge o allo statuto. [V]. La deliberazione non può essere annullata: 1) per la partecipazione all'assemblea di persone non legittimate, salvo che tale partecipazione sia stata determinante ai fini della regolare costituzione dell'assemblea a norma degli articoli 2368 e 2369; 2) per l'invalidità di singoli voti o per il loro errato conteggio, salvo che il voto invalido o l'errore di conteggio siano stati determinanti ai fini del raggiungimento della maggioranza richiesta; 3) per l'incompletezza o l'inesattezza del verbale, salvo che impediscano l'accertamento del contenuto, degli effetti e della validità della deliberazione. [VI]. L'impugnazione o la domanda di risarcimento del danno sono proposte nel termine di novanta giorni dalla data della deliberazione, ovvero, se questa è soggetta ad iscrizione nel registro delle imprese, entro novanta giorni dall'iscrizione o, se è soggetta solo a deposito presso l'ufficio del registro delle imprese, entro novanta giorni dalla data di questo (3). [VII]. L'annullamento della deliberazione ha effetto rispetto a tutti i soci ed obbliga gli amministratori, il consiglio di sorveglianza e il consiglio di gestione a prendere i conseguenti provvedimenti sotto la propria responsabilità. In ogni caso sono salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi in base ad atti compiuti in esecuzione della deliberazione. [VIII]. L'annullamento della deliberazione non può aver luogo, se la deliberazione impugnata è sostituita con altra presa in conformità della legge e dello statuto. In tal caso il giudice provvede sulle spese di lite, ponendole di norma a carico della società, e sul risarcimento dell'eventuale danno. [IX]. Restano salvi i diritti acquisiti dai terzi sulla base della deliberazione sostituita. (1) V. nota al Capo V. (2) Comma inserito dall'art. 1 d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, come modificato dall'art. 51o)d.lgs. 6 febbraio 2004, n. 37. (3) V. Avviso di rettifica in G.U. 4 luglio 2003, n. 153. Sommario: 1. Introduzione. - 2. Applicabilità della norma. - 3. Differenze con la nullità. Giurisprudenza di legittimità. - 4. La casistica. - 5. Legittimazione all'impugnazione. - 5.1. Legittimazione del collegio sindacale e degli amministratori. Giurisprudenza contrastante. - 5.2. Legittimazione dei soci ed interesse ad agire. Giurisprudenza di legittimità. - 5.3. Legittimazione del socio dissenziente. Giurisprudenza consolidata. - 6. I termini per l'impugnazione e per la richiesta risarcitoria. Giurisprudenza consolidata. - 7. Limiti all'annullamento. – 7.1. La partecipazione all'assemblea di persone non legittimate. - 7.2. Invalidità di singoli voti o errato conteggio. - 7.3. Incompletezza o inesattezza del verbale. - 8. Effetti della delibera invalida e della pronuncia di annullamento. Giurisprudenza contrastante. – 9. L'inesistenza. – 9.1. La casistica dell'inesistenza prima della Riforma. – 9.2. L'inesistenza dopo la Riforma. Giurisprudenza contrastante. - 10. L'inefficacia. 1. Introduzione. – Con la Riforma si è avuta una sostanziale revisione del sistema delle impugnazioni, che verrà esaminato in relazione ai singoli argomenti. 2. Applicabilità della norma.- Si è discusso in giurisprudenza se l'art. 2377 possa trovare applicazione anche per le delibere di organi collegiali di società di persone (in senso negativo: Cass. civ., sez. I, 7 giugno 2002, n. 8276, Giust. civ. Mass. 2002, 990, Giur. it. 2002, 2323; Cass. civ., sez. I, 10 aprile 1999, n. 3514, Società 1999, 1195; Trib. Napoli, 16 luglio 2003, Dir. e giur. 2005, 316 (7968/300)). In tema, invece, di applicabilità della norma per enti non societari, si è espressa in contrasto la giurisprudenza (in senso affermativo: Cass. civ., sez. I, 21 ottobre 1987, n. 7754, Dir. fall. 1988, II, 24; Trib. Napoli, 16 luglio 2003, Dir. e giur. 2005, 316; in senso contrario: Cass. civ., sez. I, 27 luglio 1990, n. 7599, Giust. civ. Mass. 1990, fasc. 7; (7968/300)). 3. Differenze con la nullità. Giurisprudenza di legittimità.– Con la Riforma la distanza tra nullità e annullabilità si è sensibilmente ridotta. Passiamo in rassegna alcune massime relative all'esperienza pre-Riforma, che hanno posto in luce caratteri differenziali dei due istituti. Nell'ambito dell'autonoma disciplina dell'invalidità delle deliberazioni dell'assemblea delle società per azioni - nella quale, con inversione dei principi comuni (art. 1418, 1441 c.c.), la regola generale è quella dell'annullabilità (art. 2377 c.c.) - la previsione della nullità è limitata ai soli casi, disciplinati dall'art. 2379 c.c., di impossibilità o illiceità dell'oggetto, che ricorrono quando il contenuto della deliberazione contrasta con norme dettate a tutela degli interessi generali, che trascendono l'interesse del singolo socio, risultando dirette ad impedire deviazioni dallo scopo economico-pratico del rapporto di società. Deve pertanto escludersi che - operando una scissione tra "oggetto" e "contenuto" della delibera (il primo sottoposto alla disciplina di cui all'art. 2379 c.c., il secondo alle regole generali in tema di invalidità dei negozi giuridici) - possa dichiararsi la nullità di una deliberazione assembleare ai sensi degli art. 1324 e 1345 c.c., in quanto determinata da motivo illecito: rientrando tale ipotesi nella categoria dell'annullabilità di cui all'art. 2377 c.c. (con conseguente applicabilità del relativo regime in tema di legittimazione attiva e del termine di decadenza per l'esperimento dell'azione), la quale comprende qualunque altra inosservanza di norme inderogabili attinenti al procedimento di formazione della volontà dell'assemblea. Cass. civ., 27 luglio 2005, n. 1572, Giust. civ. Mass. 2005, 6. (7968/300). La nullità delle delibere dell'assemblea delle società per azioni, prevista dall'art. 2379 c.c. nelle ipotesi di impossibilità ed illiceità dell'oggetto, ricorre solo in caso di contrasto con norme dettate a tutela dell'interesse generale, trascendente quello del singolo socio, e dirette ad impedire una deviazione dallo scopo essenziale economico pratico del rapporto societario, mentre la violazione di norme poste a tutela di soci o gruppi di soci è ridotta alla ipotesi di annullabilità. Pertanto, ove la delibera di azzeramento e ricostituzione del capitale sociale di una società per azioni sia adottata dall'assemblea in sede ordinaria anziché straordinaria, con la partecipazione in composizione non integrale del collegio sindacale, il quale abbia, inoltre, espresso il prescritto parere in modo irrituale, i riscontrati vizi del procedimento formativo della volontà assembleare non integrano una nullità della delibera, non essendo riconducibili ad illiceità dell'oggetto della stessa, e costituiscono, invece, una ipotesi di annullabilità. Cass. civ., 15 novembre 2000, n. 14799, Giust. civ. Mass. 2000, 2332. (7968/300). 4. La casistica. - L'omessa convocazione di alcuni soci, comportando la mancanza, in concreto, di un elemento essenziale dello schema legale della deliberazione assembleare, determina l'inesistenza giuridica di quest'ultima, per contro, l'irregolarità che infici la convocazione non provoca lo stesso effetto radicale, bensì la mera annullabilità della deliberazione, ai sensi dell'art. 2377 cod. civ., giacchè, per quanto viziato, quell'elemento essenziale comunque sussiste. Cass. civ., sez. I, 11 Giugno 2003, n. 9364, Società 2003, 1354. (7968/300). L'irregolare composizione dell'organo non determina un'ipotesi di nullità, ma solo di annullabilità. Cass. civ., 14 dicembre 2000, n. 15786, Giust. civ. Mass. 2000, 2599; Cass. civ., 15 novembre 2000, n. 14799, Giust. civ. Mass. 2000, 2332. (7968/300). E' annullabile la delibera la cui votazione sia avvenuta prima della chiusura della discussione, non rilevando la decisività o meno dell'intervento dei soci non ammessi alla discussione al fine di influire concretamente sulla formazione della volontà degli altri soci a votare in un determinato modo. Ai fini del rispetto del metodo assembleare, previsto dalla legge a tutela della minoranza, rileva solo che il socio abbia la possibilità di influire sull'orientamento dell'assemblea e non che egli sia in grado concretamente di farlo. Cass. civ., 30 maggio 2008, n. 14554, Diritto & Giustizia 2008. (7968/300). Con riguardo alla deliberazione di assemblea di società per azioni, la doglianza che la maggioranza dei soci non abbia consentito alla minoranza ampia informazione e discussione su un argomento all'ordine del giorno attiene a disciplina etica e di merito e non a questione di legittimità sindacabile da parte del giudice e non può di per sè costituire ragione di invalidità della delibera, denunciabile con l'impugnazione prevista dall'art. 2377 c.c., a meno che non si deduca e dimostri che proprio l'indicato comportamento prevaricatore, frutto di un disegno della maggioranza di realizzare propri interessi particolari oggettivamente in conflitto con quello sociale, abbia determinato in concreto scelte contrastanti con tale ultimo interesse. Cass. civ., 12 dicembre 2005, n. 27387, Giust. civ. Mass. 2005, 7/8. (7968/300). L'omessa verbalizzazione e la convocazione da parte di un solo consigliere non integrerebbero profili di nullità, nè, men che meno, d'inesistenza dei deliberati, ma potrebbero caso mai condurre alla loro annullabilità. Ai sensi degli art. 2379 e 1421 c.c., infatti, la nullità può essere fatta valere, sia pure senza i limiti temporali appena menzionati, da chiunque, ma sempreché ricorra un interesse ad agire giuridicamente rilevante: interesse che non è ravvisabile in base al solo diritto del socio al corretto svolgimento dell'attività sociale (diversamente da quanto si verifica per l'azione di annullamento: Cass. civ., sez. I, 4 dicembre 1996, n. 10814, Giust. civ. Mass. 1996, 1670), e che invece postula un pregiudizio concreto ed attuale (od almeno un apprezzabile pericolo di danno) sulla sua sfera patrimoniale, per effetto dell'incidenza delle denunciate irregolarità. Trib. Milano, 5 febbraio 2004 (7968/300). 5. Legittimazione all'impugnazione. – La norma prevede un'elencazione dei soggetti legittimati all'impugnazione, con l'aggiunta in tale elenco, da parte della Riforma, dei soci astenuti. 5.1. Legittimazione del collegio sindacale e degli amministratori. Giurisprudenza contrastante. - La Riforma ha mutuato la parola sindaci in collegio sindacale, lasciando però intatta la parola amministratori. Pertanto, da un lato si è pensato ad un riferimento all'organo di controllo collegialmente considerato, dall'altro la giurisprudenza si è chiesta se tale assunto valga anche per l'organo di amministrazione (in senso affermativo: Trib. Milano, 12 ottobre 2005, Giur. it. 2006, 1208; contra (ante Riforma) Trib. Udine 26 marzo 1982, Giur. it. 1982, I, 2, 662 (7968/300)). In ogni caso l'impugnazione sia dell'uno che dell'altro organo è recepita dalla giurisprudenza come un vero e proprio obbligo in presenza di vizi delle delibere (Trib. Napoli, 16 aprile 1999, Foro nap. 1999, 257(7968/300)), anche in costanza di delibere prese all'unanimità (App. Milano, 3 novembre 1987, Giur. it. 1988, I, 2 815 (7968/300)). 5.2. Legittimazione dei soci ed interesse ad agire. Giurisprudenza di legittimità. - La legittimazione del socio all’impugnazione della delibera assembleare, ai sensi dell'art. 2377 c.c., discende dalla sua assenza alla relativa adunanza, ovvero dalla partecipazione ad essa con voto opposto a quello espresso dalla maggioranza, mentre non esige, quale ulteriore requisito, la dimostrazione di uno specifico interesse ad agire, essendo tale requisito già insito nell’interesse del socio alla legittimità delle deliberazioni dell’assemblea anche indipendentemente dal fatto che la denunziata inosservanza della legge o dell’atto costitutivo si sia tradotta in effettivo pregiudizio per il socio medesimo Cass. civ., sez. I, 16 ottobre 2007, n. 21730, Società 2009, 175; Cass. civ., 4 dicembre 1996, n. 10814; Cass. civ., 15 marzo 1995, n. 2968. (7968/300). 5.3. Legittimazione del socio dissenziente. Giurisprudenza consolidata.– Il dissenso può essere manifestato dal socio in qualunque modo senza necessità di dichiarazioni formali e predeterminate, intendendosi per dissenzienti i soci che abbiano negato, in qualsiasi forma manifestata in assemblea, il proprio contributo alla approvazione dell'assemblea. Cass. civ., sez. I, 30 maggio 2008, n. 14554, Società 2008, 1093. (7968/300). 6. I termini per l'impugnazione e per la richiesta risarcitoria. Giurisprudenza consolidata. – Sia la domanda di annullamento che la domanda risarcitoria possono essere proposte nel termine di novanta giorni dalla data della delibera o di deposito e/o iscrizione presso il registro delle imprese. La data di proposizione dell'azione decorre dal momente della consegna dell'atto all'ufficiale giudiziario. Cass. civ., sez. un., 4 maggio 2006 2006, n. 10216, Giust. civ. Mass. 2006, 5; Cass. civ., sez. trib., 4 maggio 2004, n. 8447, Giust. civ. Mass. 2004, 5. (7968/300). 7. Limiti all'annullamento. – L'art. 2377 individua specifici casi in cui la delibera pur essendo astrattamente annullabilt, non potrà esserlo in concreto. 7.1. La partecipazione all'assemblea di persone non legittimate.- La norma chiarisce che si può avere annullamento solo in caso in cui la partecipazione in oggetto sia risultata determinante ai fini del raggiungemento dei quorum costitutivi di cui all'art. 2368 e 2369. 7.2. Invalidità di singoli voti o errato conteggio. – In tal caso la normativa recepisce l'orientamento giurisprudenziale per cui le circostanze debbano essere determinanti per il raggiungimento delle maggioranze richieste. Trib. Udine, 8 ottobre 2001, Società 2002, 364. (7968/300). 7.3. Incompletezza o inesattezza del verbale. – La norma va letta alla luce anche dell'art. 2379 riguardante la nulllità nei casi di mancanza del verbale. 8. Effetti della delibera invalida e della pronuncia di annullamento. Giurisprudenza contrastante. – In giurisprudenza si è discusso se annullando una delibera negativa, adottata con il voto determinante di un socio in conflitto di interessi, il giudice possa dichiarare approvato il punto all'ordine del giorno (in senso positivo App. Roma, 29 maggio 2001, Società 2001, 1487; contra: Trib. Palermo, 18 maggio 2001, Giur. comm. 2001, II, 835; Trib. Roma, 24 settembre 2001, Corr. Giur. 2002, 949; Trib. Milano, 2 giugno 2000, Foro it. 2000, I, 3638 (7968/300)). Parte della giuriprudenza ha attribuito efficacia retroattiva della pronuncia di annullamento della delibera, in caso di delibera di trasformazione (Cass. civ., sez. I, 2 dicembre 2005, n. 26258, Giust. civ. Mass. 2005, 12 (7968/300)) e di esclusione del socio (Cass. civ., sez. I, 9 agosto 1983, n. 5321, Giust. civ. Mass. 1983, fasc. 8 (7968/300)). 9. L'inesistenza. – Oltre alla annullabilità ed alla nullità delle delibere (e fin dai tempi di Cass. civ., 13 agosto, 1951, n. 2513, Giur. it., 1952, I, 1, 174 (7968/300)) si è ritenuto sussistere l'inesistenza delle delibere. 9.1. – La casistica dell'inesistenza prima della Riforma. – È inesistente la delibera di modifica delle condizioni del prestito obbligazionario adottata dall'assemblea degli obbligazionisti col voto di obbligazionisti estranei al prestito da modificare ed in assenza degli obbligazionisti legittimati. Cass. civ., sez. I, 31 marzo 2006, n. 7693, Giur. comm. 2007, 3, 555. (7968/300). In tema di validità delle deliberazioni assembleari delle società di capitali, la omessa convocazione (di tutti o di alcuni) dei soci, comportando la mancanza, in concreto, di un elemento essenziale dello schema legale della deliberazione assembleare, determina l'inesistenza giuridica di quest'ultima; invece la irregolarità, o il vizio, che infici la convocazione non determina la stessa conseguenza, ma la mera annullabilità della deliberazione ai sensi dell'art. 2377 c.c., giacché, per quanto viziato, quell'elemento essenziale comunque sussiste. Nè comporta inesistenza della convocazione (e della conseguente deliberazione, che sarà quindi solo annullabile) l'assoluta carenza di legittimazione dell'autore di essa (nella specie il curatore del fallimento del socio amministratore di s.r.l., decaduto dalla carica), essendo in tal caso configurabile una convocazione nel suo essenziale schema giuridico (atto recettizio con cui il socio è avvisato della data e del luogo della riunione) e dovendosi, d'altro canto, considerare che, mentre è giustificabile una reazione radicale (quale l'inesistenza giuridica) dell'ordinamento avverso una delibera assembleare in cui ai soci (che "sono" l'assemblea) non sia stata data neppure l'opportunità di partecipare alla deliberazione, sì che quest'ultima non può essere in alcun modo ricondotta alla loro volontà, diversamente deve, invece, argomentarsi allorché tale opportunità sia stata in concreto offerta, giacché in tale ultimo caso appare certamente più adeguata una reazione più misurata, in equilibrio con le contrapposte esigenze di certezza e stabilità dei deliberati societari, sottostanti alla particolare disciplina delle loro patologie prevista dagli art. 2377 e 2378 c.c. Cass. civ., 11 giugno 2003, n. 9364. (7968/300). La deliberazione assembleare societaria assunta, in seconda convocazione, non preceduta dalla verbalizzazione del mancato raggiungimento delle maggioranze richieste per la sua costituzione in prima convocazione, non può essere considerata "inesistente", ed infatti essa possiede tutti gli elementi per essere riconducibile al modello legale delle deliberazioni assembleari e per essere imputata alla società nel cui ambito viene assunta, e pone solo problemi di validità legati all'accertamento della maggioranza necessaria per assumere la deliberazione. Cass. civ., sez. I, 26 novembre 1998, n. 12008, Giust. civ. Mass. 1998, 2464. (7968/300). Ricorre l'ipotesi di inesistenza della deliberazione assembleare di una società di capitali (non suscettibile di ratifica successiva) quando manchi alcuno dei requisiti procedimentali indispensabili per la formazione di una delibera imputabile alla società, con il risultato di determinare una fattispecie apparente, non sussumibile nella categoria giuridica delle deliberazioni assembleari per inadeguatezza strutturale o funzionale rispetto al modello normativo (nella specie, omessa convocazione e mancata adunanza dei soci). Cass. civ., sez. I, 24 gennaio 1995, n. 835, Giust. civ. Mass. 1995, 156. (7968/300). La delibera assembleare, non totalitaria, di una società (nella specie, cooperativa), che venga adottata in un luogo diverso da quello indicato nell'avviso di convocazione, di modo che non vi sia certezza che tutti i soci siano stati messi in grado di parteciparvi, è affetta da inesistenza (non nullità od annullabilità), vertendosi in tema di radicale carenza di uno dei requisiti procedimentali indispensabili per la formazione di una volontà imputabile alla società medesima. Cass. civ., 14 gennaio 1993, n. 403. (7968/300). Ricorre l'ipotesi di inesistenza della deliberazione assembleare di una società quando manchi un elemento costitutivo della fattispecie procedimentale di formazione della deliberazione, tale da non consentire l'inizio o da provocare l'interruzione dell'iter legale necessario alla formazione di una deliberazione assembleare imputabile alla società. Tale inesistenza si realizza anche nella ipotesi di mancata verbalizzazione delle operazioni assembleari, che rende impossibile la individuazione di una deliberazione dei soci partecipanti all'assemblea, con la conseguenza che nel caso in cui la mancata verbalizzazione riguardi la riunione dell'assemblea in prima convocazione, anche se andata deserta, ne resta impedita la costituzione e formazione della relativa deliberazione della assemblea in seconda convocazione, avendo questa per presupposto inderogabile la riunione della stessa assemblea in prima convocazione (con un "quorum" insufficiente). Cass. civ., 4 dicembre 1990, n. 11601; Cass. civ., 28 novembre 1981, n. 6340. (7968/300). 9.2. – L'inesistenza dopo la Riforma. Giurisprudenza contrastante. – Con la Riforma molti dei casi che la giurispudenza riconduceva ad ipotesi di inesistenza sono stati ricollegati ad ipotesi disciplinate secondo lo schema dell'annullabilità e nullità. Così ad esempio la delibera presa in un’assemblea irregolarmente costituita, costituisce oggi causa di annullabilità della delibera, ex art. 2377, comma 5, n. 1, c.c. Analogamente, in tema di delibera presa in difetto del quorum deliberativo (n. 2 dell'articolo in esame), o irregolarmente verbalizzata (n. 3 dell'articolo in esame), è oggi prevista l'annullabilità. Invece, è fonte di nullità (e non piu` di inesistenza) la delibera presa senza convocazione dell’assemblea o senza verbalizzazione (cfr. art. 2379 c.c.). Sulla scorta di quanto detto la giurisprudenza ha ritenuto che il legislatore ha espunto dal sistema la categoria dell'inesistenza. Trib. Milano, 21 ottobre 2005, Giur. it. 2006, 1208. (7968/300). In ogni caso, anche nel sistema post Riforma non mancano le pronunce di declaratoria di inesistenza di delibera, come in caso di revoca di un amministratore da parte del c.d.a. (Trib. Ferrara, 22 dic. 2006, Riv. Dir. soc. 2008, 3, 598 (7968/300)) o in caso di delibera adottata da soggetto che si è autoattribuito la qualità di socio (Trib. Milano, 1 aprile 2008, Società 2008, 1130 (7968/300)). In questa ultima pronuncia il tribunale osservava quanto segue: Ora, è noto che nella relazione accompagnatrice al D.Lgs. n. 6/2003 il legislatore esplicita di avere bandito ogni ipotesi di invalidità atipiche, come l’inesistenza di deliberazioni assembleari, sussistendo una piena riserva di legge con riguardo ai casi d’invalidità delle deliberazioni assembleari. Ma è anche vero che le ipotesi di nullità considerate dall’art. 2379 c.c. si riferiscono ai casi in cui ci si trovi in presenza di un atto formale comunque imputabile alla società (mancata convocazione dell’assemblea, mancanza di verbale, impossibilità o illiceità dell’oggetto). Il tutto presuppone, dunque, che si sia tenuta un’assemblea della società che, sebbene non convocata, sia qualificabile come tale. Il caso di specie, invece, rappresenta un’ipotesi estrema - per quanto accaduta - di inesistenza materiale della delibera che risulta addirittura estranea alla categoria di cui agli artt. 2377 ss. c.c., non sussistendo un atto imputabile in via astratta alla società. Trib. Milano, 1 aprile 2008, Società 2008, 1130. (7968/300). 10. L'inefficacia. – Sono state ritenute inefficaci le delibere sottoposte a termine o a condizione volontaria o legale. Cass. civ., sez. I, 28 novembre 1991, n. 12795, Foro it. 1992, I, 699; Cass. civ., sez. I, 25 novembre 1980, n. 6260, Giur. imp. 1982, 237; Trib. Cassino, 18 maggio 1994, Riv. Not. 1995, 706. (7968/300). Ipotesi di inefficacia sono ravvisabili nelle delibere di revoca dei sindaci senza l'approvazione del tribunale (Trib. Bologna, 25 luglio 1997, Società 1998, 185) o di nomina di organi la cui designazione è riservata a un enete pubblico (App. Milano, 18 maggio 2001, Giur. it. 2002, 123 (7968/300)). I terzi ed i soci quando agiscono uti tertii possono fare accertare l'inefficacia di una delibera anche in assenza di impugnazione. Cass. civ., sez. I, 16 aprile 2003, n. 6016, Giur. comm. 2004, II, 384; Cass. civ., sez. I, 5 giugno 2003, n. 8992, Foro it. 2003, I, 3007. (7968/300). 2378. Procedimento d'impugnazione. (1). – [I]. L'impugnazione è proposta con atto di citazione davanti al tribunale del luogo dove la società ha sede. [II]. Il socio o i soci opponenti devono dimostrarsi possessori al tempo dell'impugnazione del numero delle azioni previsto dal terzo comma (2) dell'articolo 2377. Fermo restando quanto disposto dall'articolo 111 del codice di procedura civile, qualora nel corso del processo venga meno a seguito di trasferimenti per atto tra vivi il richiesto numero delle azioni, il giudice, previa se del caso revoca del provvedimento di sospensione dell'esecuzione della deliberazione, non può pronunciare l'annullamento e provvede sul risarcimento dell'eventuale danno, ove richiesto. [III]. Con ricorso depositato contestualmente al deposito, anche in copia, della citazione, l'impugnante può chiedere la sospensione dell'esecuzione della deliberazione. In caso di eccezionale e motivata urgenza, il presidente del tribunale, omessa la convocazione della società convenuta, provvede sull'istanza con decreto motivato, che deve altresì contenere la designazione del giudice per la trattazione della causa di merito e la fissazione, davanti al giudice designato, entro quindici giorni, dell'udienza per la conferma, modifica o revoca dei provvedimenti emanati con il decreto, nonché la fissazione del termine per la notificazione alla controparte del ricorso e del decreto. [IV]. Il giudice designato per la trattazione della causa di merito, sentiti gli amministratori e sindaci, provvede valutando comparativamente il pregiudizio che subirebbe il ricorrente dalla esecuzione e quello che subirebbe la società dalla sospensione dell'esecuzione della deliberazione; può disporre in ogni momento che i soci opponenti prestino idonea garanzia per l'eventuale risarcimento dei danni. All'udienza, il giudice, ove lo ritenga utile, esperisce il tentativo di conciliazione eventualmente suggerendo le modificazioni da apportare alla deliberazione impugnata e, ove la soluzione appaia realizzabile, rinvia adeguatamente l'udienza. [V]. Tutte le impugnazioni relative alla medesima deliberazione, anche se separatamente proposte ed ivi comprese le domande proposte ai sensi del quarto comma (3) dell'articolo 2377, devono essere istruite congiuntamente e decise con unica sentenza. Salvo quanto disposto dal quarto comma del presente articolo, la trattazione della causa di merito ha inizio trascorso il termine stabilito nel sesto comma (4) dell'articolo 2377. [VI]. I dispositivi del provvedimento di sospensione e della sentenza che decide sull'impugnazione devono essere iscritti, a cura degli amministratori, nel registro delle imprese (5). (1) V. nota al Capo V. (2) Le parole « terzo comma » sono state sostituite alle parole « secondo comma » dall'art. 1 d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, come modificato dall'art. 51p) n. 1d.lgs. 6 febbraio 2004, n. 37. (3) Le parole « quarto comma » sono state sostituite alle parole « terzo comma » dall'art. 1 d.lgs. n. 6, cit., come modificato dall'art. 51p) n. 2 d.lgs. n. 37, cit. (4) Le parole « sesto comma » sono state sostituite alle parole « quinto comma » dall'art. 1 d.lgs. n. 6, cit., come modificato dall'art. 51p) n. 2 d.lgs. n. 37, cit. (5) Comma aggiunto dall'art. 1 d.lgs. n. 6, cit., come modificato dall'art. 51p) n. 3 d.lgs. n. 37, cit. Sommario: 1. Introduzione. - 2. Il diritto di impugnativa di cui al comma 2. – 2.1. Il diritto di impugnativa dell'ex socio. - 3. La sospensione cautelare dell'efficacia della delibera. - 3.1. La casistica post Riforma. – 3.2. Profili processuali nell'esperienza post Riforma. 1. Introduzione. – La norma regola la disciplina procedurale dell'impugnazione. Di particolare interesse è la parte sulla sospensione dell'efficacia della delibera. 2. Il diritto di impugnativa di cui al comma 2. – Il sistema previgente, imponeva al socio opponente il deposito presso la cancelleria del giudice di almeno un’azione, negando, in buona sostanza, la legittimazione all'impugnativa a colui che, rivestita la qualità di socio al momento della delibera, l’avesse successivamente perduta. Il deposito dell’azione, è stato dapprima interpretato dalla giurisprudenza come presupposto processuale attinente alla regolare instaurazione del processo e, come tale, necessario sin dalla proposizione della domanda (Trib. Roma 25 maggio 1998, Società 1998, 1448 (7968/300)), per poi essere considerato come unico mezzo di prova legale circa la sussistenza dello status di socio in capo al soggetto che agisce (Cass. civ., 25 marzo 2003, n. 4372; Cass. civ., 8 giugno 1988, n. 3881; App. Milano, 13 febbraio 1998, Giur. it. 1998, 2113; Trib. Napoli, 29 giugno 1998, Società 1999, 714 (7968/300)). Con l'avvento della Riforma e la conseguente rimodulazione dell'art. 2378 comma 2, la giurisprudenza ha ritenuto che il legislatore abbia reso esplicito il principio per cui lo status di socio sia condizione dell'azione. App. Torino, sez. I, 8 agosto 2007, Società 2008, 869. (7968/300). 2.1. Il diritto di impugnativa dell'ex socio. Secondo consolidata giurisprudenza (Cass. civ., sez. un., 18 aprile 1961, n. 853, Foro it. 1961, I, 572 (7968/300)), la qualità di socio, attributiva della legittimazione ad agire nell’impugnazione di delibera societaria, costituisce condizione dell’azione (Trib. Catania, 10 gennaio 2002, Società 2002, 879), che deve permanere pertanto per tutto il giudizio, fino alla sua decisione (Cass. civ., 8 giugno 1988, n. 3881, Foro it. 1989, I, 2925; Cass. civ., 25 marzo 2003, n. 4372, Società 2003, I, 2741; App. Milano, 10 ottobre 2006, Corr. mer. 2007, 301 (7968/300)). Tale principio, secondo giurisprudenza consolidata, non è contraddetto in costanza di un interesse ad agire da parte di un ex socio che voglia vedere accertato, in forza di un diritto ancora attuale, l'annullamento di una delibera assembleare assunta quando egli ancora era socio: come ad esempio in caso di diritto alla liquidazione della quota o di rimborso delle azioni, sulla base di bilancio di esercizio approvato dopo lo scioglimento del rapporto sociale; ovvero di impugnazione, da parte dell’ex socio, della delibera di sua esclusione (App. Torino, sez. I, 8 agosto 2007, Società 2008, 869; Cass. civ., 13 gennaio 1988, n. 181, Foro it. 1989, I, 2929 (7968/300)). 3. – La sospensione cautelare dell'efficacia della delibera. – Parte della giurisprudenza consolidatasi prima della Riforma riteneva che la sospensione della deliberazione impugnata poteva essere richiesta solo in presenza di gravi motivi, che nella maggior parte dei casi vennero identificati nel danno o altro effetto negativo che sarebbe derivato dalla sua immediata esecuzione al socio impugnante o anche alla società, nel caso di azione proposta dai sindaci o dagli amministratori. Trib. Roma, 9 ottobre 1989, Società 1990, 323. (7968/300). Chiamata a giudicare su altri casi, invece, la giurisprudenza ha ritenuto di comparare l’interesse del socio ad impedire l’efficacia della deliberazione all'interesse della società ad attuare la deliberazione stessa. Trib. Milano, 21 giugno 1988, Società 1988, 1052; Trib.Genova, 15 gennaio 1994, Società 1994, 527; Trib. Catania, 12 agosto 1997, Società 1998, 188; Trib. Napoli, 29 giugno 1998, Società 1999, 714. (7968/300). Tale ultimo indirizzo giurisprudenziale è poi stato fatto proprio dalla norma, come riformata. 3.1. La casistica post Riforma. – È ammissibile il provvedimento di urgenza di sospensione degli effetti della delibera di approvazione del bilancio d'esercizio, poiché tale provvedimento benché non abbia di per sé bisogno di atti di esecuzione in senso stretto, non esaurisce i propri effetti nel momento stesso in cui viene adottata, ma, al contrario, è destinata ad esplicare un'efficacia fondamentale per la vita della società, costituendo la premessa di gran parte delle sue successive decisioni e non sussistono ragioni logiche e/o giuridiche per escludere che tali effetti non possano, anche se solo provvisoriamente e non retroattivamente, essere cautelativamente impediti da un provvedimento giurisdizionale. Trib. Nocera Inferiore, 1 luglio 2008, Giur. merito 2008, 10, 2550. (7968/300). Sebbene la deliberazione di fusione, assunta dall’assemblea di una società quotata per la sua incorporazione in altra società non quotata, presenti vari aspetti di criticità, la sua sospensione, richiesta dai soci che l’hanno impugnata, non può essere concessa, perche´, nella valutazione comparativa del loro interesse e di quello della società, mentre il pregiudizio, che i primi vogliono evitare, si è già verificato a causa del già avvenuto ribasso del valore di borsa, che ha colpito le loro azioni, per effetto delle operazioni compiute dal socio di maggioranza, l’interesse della società convenuta, anche se non chiaramente rappresentato, deve prevalere, atteso che l’interesse dei soci impugnanti risulta avere carattere patrimoniale e, pertanto, tutelabile con il risarcimento del danno. Trib. Milano, 10 dicembre 2007, Società 2008, 875. (7968/300). Deve ritenersi l'ammissibilità della sospensione delle delibere di approvazione del bilancio, che, pur avendo valore dichiarativo e non richiedendo atti di esecuzione in senso proprio, costituiscono il presupposto di tutte le deliberazioni successive della società e incidono, sotto il profilo dell'efficacia, sulle stesse. Trib. Verona, 24 settembre 2007, Guida al diritto 2007, 43, 50. (7968/300). Non può essere chiesta ex art. 700 c.p.c., nemmeno da parte del socio privo della legittimazione ad impugnare la delibera, la sospensione della convocazione dell'assemblea, poiché l'art. 2378 c.c. prevede un apposito rimedio cautelare per la sospensione dell'efficacia della delibera assembleare. Trib. Santa Maria Capua Vetere, 16 marzo 2004, Giur. merito 2004, 2490. (7968/300). 3.2. Profili processuali nell'esperienza post Riforma. - In materia di società, la sospensione della delibera assembleare può essere disposta soltanto con istanza incidentale, nell'ambito cioè di un procedimento di impugnazione della delibera medesima, e quindi con riferimento ad una delibera tempestivamente impugnata rispetto alla quale l'istanza ha la funzione strumentale di garantire gli effetti della domanda di merito. Trib. Salerno, 11 aprile 2008. (7968/300). La sospensione della esecutività della delibera assembleare proposta ex art. 2378 c.c. va decisa dal giudice monocratico e non dal collegio. Trib. Rimini, 27 ottobre 2004, Giur. merito 2005, 3, 573. (7968/300). A norma delle nuove disposizioni in materia di procedimento societario, nei ricorsi in materia di sospensione delle deliberazioni assembleari di cui all'art. 2378 c.c. il presidente del tribunale può designare un magistrato per la trattazione della fase cautelare, ivi compresa quella inerente i provvedimenti d'urgenza invocati dal ricorrente inaudita altera parte e delegando a questo giudice anche il potere previsto dall'art. 2378 comma 3 c.c. Trib. Rimini, 27 ottobre 2004, Giur. merito 2005, 3, 573. (7968/300). 2379. Nullità delle deliberazioni (1). – [I]. Nei casi di mancata convocazione dell'assemblea, di mancanza del verbale e di impossibilità o illiceità dell'oggetto la deliberazione può essere impugnata da chiunque vi abbia interesse entro tre anni dalla sua iscrizione o deposito nel registro delle imprese, se la deliberazione vi è soggetta, o dalla trascrizione nel libro delle adunanze dell'assemblea, se la deliberazione non è soggetta né a iscrizione né a deposito. Possono essere impugnate senza limiti di tempo le deliberazioni che modificano l'oggetto sociale prevedendo attività illecite o impossibili. [II]. Nei casi e nei termini previsti dal precedente comma l'invalidità può essere rilevata d'ufficio dal giudice. [III]. Ai fini di quanto previsto dal primo comma la convocazione non si considera mancante nel caso d'irregolarità dell'avviso, se questo proviene da un componente dell'organo di amministrazione o di controllo della società ed è idoneo a consentire a coloro che hanno diritto di intervenire di essere preventivamente (2) avvertiti della convocazione e della data dell'assemblea. Il verbale non si considera mancante se contiene la data della deliberazione e il suo oggetto ed è sottoscritto dal presidente dell'assemblea, o dal presidente del consiglio d'amministrazione o del consiglio di sorveglianza e dal segretario o dal notaio. [IV]. Si applicano, in quanto compatibili, il settimo e ottavo comma (3) dell'articolo 2377. (1) V. nota al Capo V. (2) La parola « preventivamente » è stata sostituita alla parola « tempestivamente » dall'art. 1 d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, come modificato dall'art. 51q) n. 1d.lgs. 6 febbraio 2004, n. 37. (3) Le parole « settimo e ottavo comma » sono state sostituite alle parole « sesto e settimo comma » dall'art. 1 d.lgs. n. 6, cit., come modificato dall'art. 51q) n. 2 d.lgs. n. 37, cit. Sommario: 1. Introduzione. - 2. I casi di nullità. - 2.1. Impossibilità o illiceità dell'oggetto. Giurisprudenza consolidata. – 2.2. Mancata convocazione dell'assemblea. Giurisprudenza di merito. – 2.3. Mancata verbalizzazione della delibera. Giurisprudenza di merito. - 3. Effetti della nullità. Giurisprudenza consolidata. 4. Legittimazione ed interesse all'impugnativa. Giurisprudenza consolidata. 1. Introduzione. – Le fattispecie di nullità previste nell'articolo in commento, costituiscono elenco tassativo di nullità per delibere assembleari. La Riforma ha accentuato il carattere di specialità della disciplina. 2. I casi di nullità. – La Riforma ha esteso le ipotesi di nullità. Infatti all'ipotesi classica di impossibilità o illiceità dell'oggetto, sono state affiancati i casi di omessa convocazione o mancante verbalizzazione che nell'esperienza preRiforma erano visti come motivi di inesistenza. 2.1. Impossibilità o illiceità dell'oggetto. Giurisprudenza consolidata. - Con riguardo alla deliberazione di assemblea di società per azioni, la dedotta carenza di informazione e discussione sull'argomento all'ordine del giorno - nella specie, l'autorizzazione all'esercizio dell'azione di responsabilità contro gli amministratori costituisce, ove sia frutto di comportamento prevaricatore della maggioranza volto a realizzare il perseguimento di propri interessi particolari oggettivamente in conflitto con quello sociale, ragione di mera annullabilità ex art. 2377 c.c., in quanto per le predette delibere si applica il principio per cui la previsione della nullità, ex art. 2379 c.c., è limitata ai soli casi di impossibilità o illiceità dell'oggetto, ricorrenti allorché il contenuto dell'atto contrasta con norme dettate a tutela degli interessi generali e dirette ad impedire deviazioni dallo scopo economico-pratico del rapporto di società. Cass. civ., sez. I, 11 luglio 2008, n. 19235, Giust. civ. Mass. 2008, 7-8, 1129. (7968/300). La nullità delle delibere dell'assemblea delle società per azioni, prevista dall'art. 2379 c.c. nelle ipotesi di impossibilità ed illiceità dell'oggetto, ricorre solo in caso di contrasto con norme dettate a tutela dell'interesse generale, trascendente quello del singolo socio, e dirette ad impedire una deviazione dallo scopo essenziale economico pratico del rapporto societario, mentre la violazione di norme poste a tutela di soci o gruppi di soci è ridotta alla ipotesi di annullabilità. Pertanto, ove la delibera di azzeramento e ricostituzione del capitale sociale di una società per azioni sia adottata dall'assemblea in sede ordinaria anziché straordinaria, con la partecipazione in composizione non integrale del collegio sindacale, il quale abbia, inoltre, espresso il prescritto parere in modo irrituale, i riscontrati vizi del procedimento formativo della volontà assembleare non integrano una nullità della delibera, non essendo riconducibili ad illiceità dell'oggetto della stessa, e costituiscono, invece, una ipotesi di annullabilità. Cass. civ., sez. I, 15 novembre 2000, n. 14799, Giust. civ. Mass. 2000, 2332. (7968/300). La delibera assembleare di una società di capitali è nulla per illecità dell'oggetto, a norma dell'art. 2379 c.c., quando è contraria a norme dettate a tutela dell'interesse generale, che trascende quello dei singoli soci, e che siano dirette a impedire una deviazione dallo scopo essenziale economico pratico del contratto e del rapporto di società. Pertanto, qualora, in relazione alla deliberazione del bilancio sociale, siano dedotte violazioni del principio di chiarezza e precisione del bilancio, la nullità della deliberazione ben può concretamente configurarsi se i fatti asseritamente contrari a quel principio si rivelino idonei ad ingenerare, per tutti gli interessati, incertezze ovvero erronee convinzioni circa la situazione economico patrimoniale, in modo da tradursi in un effettivo pregiudizio per l'interesse generale alla verità del bilancio sociale, essendo posta la verità e la chiarezza di questo a tutela non soltanto del o dei singoli soci, bensì di tutti i terzi e dei creditori in particolare. Cass. civ., sez. I, 22 gennaio 2003, n. 928, Giust. civ. Mass. 2003, 149. (7968/300). 2.2. Mancata convocazione dell'assemblea. Giurisprudenza di merito. – La previsione normativa in oggetto va letta anche sulla base delle cause di esclusione della nullità previste dall'art. 2379, comma 3, c.c. per cui non si considererà mancante la convocazione per irregolarità dell'avviso in costanza di (i) provenienza dell'avviso da organo amministrativo o di controllo; (ii) idoneità dell'avviso a consentire a coloro che hanno diritto di intervento ad essere preventivamente edotti sia della convocazione che della data dell'assemblea. La delibera del consiglio di amministrazione di una società cooperativa è invalida in caso di violazione delle regole relative al procedimento di convocazione dell'assemblea quando la convocazione è stata effettuata da un soggetto diverso da quello indicato nello statuto e nell'avviso è mancato l'oggetto della decisione. Trib. Verona, 15 febbraio 2005, Giur. merito 2005, 12, 2653. (7968/300). È annullabile la delibera dell'assemblea di s.p.a. convocata dal solo presidente dell'organo amministrativo, non munito di tutti i poteri di ordinaria amministrazione. Trib. Milano, 25 febbraio 2004, Società 2004, 1290. (7968/300). 2.3. Mancata verbalizzazione della delibera. Giurisprudenza di merito. – Anche il vizio della mancata verbalizzazione va letto alla luce del comma 3 della norma in commento. Laddove non potrà dichiarasi nullità della delibera, in costanza di data ed oggetto di deliberazione nonché di sottoscrizione da parte del presidente dell'assemblea, o del presidente del consiglio d'amministrazione o del consiglio di sorveglianza e del segretario o del notaio. È annullabile, e non nulla, la delibera di scioglimento e messa in liquidazione di una società di capitali il cui verbale non è stato redatto da notaio non essendo il vizio della delibera riconducibile ad alcuno dei casi specifici e tassativi previsti dall'art. 2379 c. c. (men che mai al caso di verbale mancante giacché nella fattispecie il verbale esiste ancorché andasse redatto da notaio). Trib. Vallo Lucania, 21 dicembre 2005, Giur. it. 2006, 7, 1433. (7968/300). 3. Effetti della nullità. Giurisprudenza consolidata. - La giurisprudenza ha consolidato il princiopio per cui la nullità di una delibera travolge anche tutte le delibere ad essa conseguenti. Cass. civ., sez. I, 23 marzo 2004, n. 5740; Cass. civ., sez. I, 6 novembre 1999, n. 12347; Cass. civ., sez. I, 13 gennaio 1987, n. 133; App. Milano, 31 gennaio 2003, Giur. it. 2003, 1178; App. Milano, 18 maggio 1996, Società 1997, 49; Trib. Milano, 26 luglio 1997, Giur. it., 1998, 93; Trib. Napoli, 20 novembre 1996, Società 1997, 439; Trib. Milano, 16 giugno 1988, Società 1988, 1144. (7968/300). 4. Legittimazione ed interesse all'impugnativa. Giurisprudenza consolidata. – L'azione di accertamento della nullità di delibere assembleari può essere esercitata da chiunque vi abbia un interesse concreto ed attuale, oltre che specificamente riferito all'azione di nullità medesima: l'interesse ad agire per evitare la lesione attuale di un proprio diritto e per conseguire con il giudizio un risultato pratico giuridicamente apprezzabile deve, infatti, per definizione, riferirsi all'azione in concreto esercitata. L'esistenza di tale interesse concreto ed attuale deve essere allegata anche da parte di colui che rivesta la qualità di socio, non essendo necessariamente sufficiente, ai fini dell'impugnativa, il fatto che egli abbia tale qualità e che non abbia concorso con il proprio voto alla formazione della decisione assembleare nulla. Lo "status" di socio, quando ad esso è collegato l'interesse ad agire, oltre a sussistere al momento della proposizione della domanda, deve permanere per tutto il giudizio sino alla decisione della controversia. Cass. civ., sez. I, 25 marzo 2003, n. 4372, Società 2003, 1109. (7968/300). 2379 bis. Sanatoria della nullità (1). – [I]. L'impugnazione della deliberazione invalida per mancata convocazione non può essere esercitata da chi anche successivamente abbia dichiarato il suo assenso allo svolgimento dell'assemblea. [II]. L'invalidità della deliberazione per mancanza del verbale può essere sanata mediante verbalizzazione eseguita prima dell'assemblea successiva. La deliberazione ha effetto dalla data in cui è stata presa, salvi i diritti dei terzi che in buona fede ignoravano la deliberazione. (1) V. nota al Capo V. 2379 ter. Invalidità delle deliberazioni di aumento o di riduzione del capitale e della emissione di obbligazioni (1). – [I]. Nei casi previsti dall'articolo 2379 l'impugnativa dell'aumento di capitale, della riduzione del capitale ai sensi dell'articolo 2445 o della emissione di obbligazioni non può essere proposta dopo che siano trascorsi centottanta giorni dall'iscrizione della deliberazione nel registro delle imprese o, nel caso di mancata convocazione, novanta giorni dall'approvazione del bilancio dell'esercizio nel corso del quale la deliberazione è stata anche parzialmente eseguita. [II]. Nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio l'invalidità della deliberazione di aumento del capitale non può essere pronunciata dopo che a norma dell'articolo 2444 sia stata iscritta nel registro delle imprese l'attestazione che l'aumento è stato anche parzialmente eseguito; l'invalidità della deliberazione di riduzione del capitale ai sensi dell'articolo 2445 o della deliberazione di emissione delle obbligazioni non può essere pronunciata dopo che la deliberazione sia stata anche parzialmente eseguita. [III]. Resta salvo il diritto al risarcimento del danno eventualmente spettante ai soci e ai terzi. (1) V. nota al Capo V. SEZIONE VI BIS- DELL'AMMINISTRAZIONE E DEL CONTROLLO 1. DISPOSIZIONI GENERALI 2380. Sistemi di amministrazione e di controllo (1). – [I]. Se lo statuto non dispone diversamente, l'amministrazione e il controllo della società sono regolati dai successivi paragrafi 2, 3 e 4. [II]. Lo statuto può adottare per l'amministrazione e per il controllo della società il sistema di cui al paragrafo 5, oppure quello di cui al paragrafo 6; salvo che la deliberazione disponga altrimenti, la variazione di sistema ha effetto alla data dell'assemblea convocata per l'approvazione del bilancio relativo all'esercizio successivo. [III]. Salvo che sia diversamente stabilito, le disposizioni che fanno riferimento agli amministratori si applicano a seconda dei casi al consiglio di amministrazione o al consiglio di gestione. (1) V. nota al Capo V. 1. La massima del Consiglio Notarile di Milano. Si reputa non conforme alla legge la previsione, nello statuto di una s.p.a., di più sistemi di amministrazione e controllo (tradizionale, dualistico, monistico) con scelta rimessa all’assemblea ordinaria: il cambiamento di sistema richiede, in ogni caso, una deliberazione modificativa dello statuto con i quorum minimi, il controllo di legalità e la pubblicità a tal fine richiesti dalla legge. Consiglio Notarile di Milano, 18 marzo 2004, n. 17. 2. DEGLI AMMINISTRATORI 2380 bis. Amministrazione della società (1). – [I]. La gestione dell'impresa spetta esclusivamente agli amministratori, i quali compiono le operazioni necessarie per l'attuazione dell'oggetto sociale. [II]. L'amministrazione della società può essere affidata anche a non soci. [III]. Quando l'amministrazione è affidata a più persone, queste costituiscono il consiglio di amministrazione. [IV]. Se lo statuto non stabilisce il numero degli amministratori, ma ne indica solamente un numero massimo e minimo, la determinazione spetta all'assemblea. [V]. Il consiglio di amministrazione sceglie tra i suoi componenti il presidente, se questi non è nominato dall'assemblea. (1) V. nota al Capo V. Sommario: 1. Massime giurisprudenziali di carattere generale. - 2. Amministratore di fatto. – 2.1. La nomina dell'amministratore di fatto. – 2.2. Gli indici identificativi dell'amministratore di fatto. –3. Natura del rapporto amministratori-società. Giurisprudenza contrastante. - 4. Inderogabilità del metodo collegiale. Giurisprudenza consolidata. - 5. Il numero di amministratori. Giurisprudenza contrastante. - 6. La prevalenza del voto del presidente in caso di parità. Giurisprudenza di merito. 1. Massime giurisprudenziali di carattere generale. - È legittima la clausola dell'atto costitutivo e dello statuto la quale - ferma la necessità di indicare nell'atto costitutivo coloro che, per primi, vengono designati quali amministratori - preveda che la società possa essere amministrata da un amministratore unico, ovvero da un consiglio di amministrazione, rimettendo all'assemblea ordinaria la scelta in ordine alla concreta configurazione dell'organo ed al numero degli amministratori, in quanto questa previsione non vulnera gli interessi dei soci e dei terzi, tutelati dalla disciplina in materia di pubblicità, prevista anche in riferimento alle delibere dell'assemblea ordinaria (art. 2383, comma 3, c.c., richiamato dall'art. 2487 c.c.), non rilevando, in contrario, che l'art. 2487 c.c. non richiama l'art. 2380, comma 3, c.c., concernente la s.p.a., sia perché questa norma stabilisce esclusivamente che la fissazione del numero degli amministratori spetta all'assemblea ordinaria, qualora il numero non sia indicato nell'atto costitutivo, in virtù di una facoltà non prevista direttamente da detta disposizione, ma insita nel sistema, sia perché il mancato richiamo espresso nell'art. 2487 c.c., di una norma relativa alla s.p.a. non giustifica, da sola, l'inapplicabilità alla s.r.l., se l'estensione della disposizione non risulti in contrasto con le caratteristiche peculiari di questo tipo societario. Cass. civ., sez. I, 4 novembre 2003, n. 16496, Dir. e giust. 2003, 44, 25. (7968/36). La nomina, in seno ad una società di capitali, di un consiglio di amministrazione, del quale venga chiamato a far parte chi fino ad allora abbia espletato le funzioni di amministratore unico, comporta la revoca implicita di quest'ultimo da tale carica in quanto incompatibile con la successiva, non essendo ipotizzabile - dato il diverso contenuto di poteri esercitabili nell'uno e nell'altro caso - una continuità soggettiva nell'attività gestoria qualora all'organo monocratico si sostituisca l'organo collegiale, a nulla rilevando che al precedente amministratore unico siano attribuite le funzioni di amministratore delegato; ne consegue che, ove detta revoca implicita sia avvenuta senza giusta causa, all'amministratore spetta il diritto al risarcimento dei danni ai sensi dell'art. 2383, comma 3, c.c. Cass. civ., sez. I, 7 maggio 2002, n. 6526, Giust. civ. Mass. 2002, 780. (7968/36). 2.1 La nomina dell'amministratore di fatto. – L' orientamento giurisprudenziale che per anni si è affermato è che per accertarsi la natura di amministratore di fatto fosse necessario un qualsiasi atto della società o dei soci, ancorché implicito, riconducibile ad una attribuzione o ad un riconoscimento delle funzioni svolte dalla persona di fatto ingeritasi nella gestione della società. Cass. civ., sez. I, 12 gennaio 1984, n. 234, Giur. Comm. 1985, II, 182; Cass. civ. sez. I, 19 dicembre 1985, n. 6493, Giur. It. 1986, I, 1, 3749. (7968/144). La rigida impostazione di cui sopra fu smussata dal corollario per cui si presumeva un tacito atto di nomina qualora fosse stata accertata una concreta volontà della società (espressa dagli organi a ciò deputati) di ritenere un soggetto, che di fatto già svolgeva attività gestoria, come regolarmente inserito nell’attività di organizzazione societaria. Cass. civ., sez. I, 6 marzo 1999, n. 1925, Giust. civ. Mass. 1999, 511. (7968/144). L'inversione di tendenza si ebbe con due decisioni della Suprema Corte che ha ritenuto pacificamente applicabile la disciplina della responsabilità degli amministratori a coloro che si siano concretamente ingeriti nella gestione della società, anche in assenza di una preposizione institoria più o meno implicita e valida. Cass. civ., sez. I, 6 marzo 1999, n. 1925, Giur. It., 2000, 770; Cass. civ., sez. I, 14 settembre 1999, n. 9795, Giust. civ. Mass. 1999, 1970 (7968/144). La giurisprudenza di merito si è poi uniformata al principio espresso dalla Cassazione: Trib. Milano, 18 ottobre 2007, Giur. it. 2008, 1161; Trib. Milano, 8 marzo 2007, Giur. it. 2008, 1441; Trib. Milano, 21 maggio 2008, Giur. it. 2008, 2740. (7968/144). 2. Amministratore di fatto. – Passiamo in rassegna gli orientamenti giurisprudenziali inerenti la figura dell'amministratore di fatto ovvero la figura del soggetto che di fatto si è occupato della gestione della società. L'importanza di tale istituto va ricercata in termini di allargamento delle responsabilità anche ai soggetti che formalmente non hanno una loro posizione nell'organigramma societario. Come vedremo, però, in mancanza di una normativa, la difficoltà della giurisprudenza sta proprio nel trovare quegli elementi che individuino le circostanze idonee all'accertamento della natura di amministratore di fatto in capo ad un dato soggetto. 2.2. Gli indici identificativi dell'amministratore di fatto. – La giurisprudenza ha statuito che la qualifica di amministratore di fatto può essere riferita soltanto al soggetto che abbia svolto vera e propria attività di amministrazione in modo stabile, non subordinato, per un rilevante arco di tempo, potendosi dunque considerare amministratore a pieno titolo solo chi in modo sistematico abbia compiuto gli atti tipici della gestione sociale. Cass. 14 settembre 1999, n. 9795, Giust. civ. 2000, I, 79; Trib. Milano, 21 maggio 2008, Giur. it. 2008, 2740; Trib. Milano, 18 ottobre 2007, Giur. it. 2008, 1161; Trib. Milano, 11 dicembre 1997, Società 1998, 802; App. Milano, 9 dicembre 1994, Vita not. 1996, 315. (7968/144). E' stato inoltre ritenuto che per dimostrare la natura di amministratore di fatto è necessario provare l’esercizio di un’attività di amministrazione intesa come un insieme di atti coordinati sul piano funzionale della unicita` dello scopo, e che si tratti comunque di atti “tipici”, ovvero di atti giustificati dal potere di iniziativa proprio di chi governa una societa` in vista del suo funzionamento (es. convocazione assemblea), di atti diretti a conseguire l’oggetto sociale (le iniziative assimilabili alla funzione imprenditoriale di indirizzo e di coordinamento dei fattori della produzione), o ancora di atti di esecuzione delle delibere assembleari. Inoltre appare necessario che detta attività sia svolta senza subordinazione, e quantomeno sul piano di un rapporto paritario di cooperazione - se non di superiorità - con il soggetto investito formalmente dei poteri amministrativi. Uff. Indagini preliminari Milano, 12 giugno 2001, Foro ambrosiano 2002, 240. (7968/144). Sul piano degli atti concretamente posti in essere dagli amministratori, recenti decisioni di merito hanno precisato che è amministratore di fatto il soggetto che abbia assunto debiti, compiuto operazioni attraverso l’emissione e la sottoscrizione di assegni e cambiali per conto della società o negoziato con le banche i rapporti di finanziamento. Trib. Roma, 27 gennaio 2006, Dir. Fall. 2007, 465. (7968/144). La giurisprudenza ha individuato indici per definire quale comportamento possa integrare, in concreto, a prescindere da investiture formali, l’esercizio dei poteri tipici dell’amministrazione: escluso che un singolo atto possa essere sufficiente, o che possa bastare la considerazioni di alcuni atti eterogenei, si ritiene che sia necessario l’esercizio di un’attività di amministrazione intesa come un insieme di atti coordinati sul piano funzionale dalla unicità dello scopo, e che si tratti comunque di atti «tipici», ovvero di atti giustificati dal potere di iniziativa proprio di chi governa una società in vista del suo funzionamento (es. convocazione assemblea), di atti diretti a conseguire l’oggetto sociale (le iniziative assimilabili alla funzione imprenditoriale di indirizzo e di coordinamento dei fattori della produzione), o ancora di atti di esecuzione delle delibere assembleari. Inoltre, appare necessario che detta attività sia svolta senza subordinazione, e quantomeno sul piano di un rapporto paritario di cooperazione - se non di superiorità - con il soggetto investito formalmente dei poteri amministrativi, la cui inerzia, per converso, può rappresentare obbiettivo riscontro dell’effettività della titolarità di un potere gestionale di fatto. Trib. Milano, 18 ottobre 2007. (7968/144). 3. Natura del rapporto amministratori-società. Giurisprudenza contrastante. La giurisprudenza si è affermata nel senso di non escludere aprioristicamente la natura di rapporto di lavoro subordinato tra Presidente del c.d.a. e la società. A tal uopo sarà demandato al Giudice del merito valutare le risultanze processuali che lo inducono ad escludere la sussistenza del rapporto di lavoro stesso, il cui onere probatorio verte sul Presidente. Cass. civ., sez. lav., 19 maggio 2008, n. 12630, Società 2008, 11, 1358. (7968/36). Infatti, la Cassazione aveva già statuito che la qualifica di amministratore di una società commerciale non è di per sè incompatibile con la condizione di lavoratore subordinato alle dipendenze della stessa società, ma, perchè sia configurabile tale rapporto di lavoro subordinato, è necessario che colui che intenda farlo valere non sia amministratore unico della società e provi in modo certo il requisito della subordinazione, elemento tipico qualificante del rapporto, che deve consistere nel suo effettivo assoggettamento, nonostante egli rivesta la carica di amministratore, al potere direttivo di controllo e disciplinare dell’organo di amministrazione della società nel suo complesso. Cass. civ., sez. lav. 24 maggio 2000, n. 6819. (7968/36). In linea parzialmente differente si è espressa altra parte della giurisprudenza la quale ha avuto modo di rilevare che l'amministratore della società, essendo un organo cui è commessa la gestione sociale, è a questa legato da un rapporto interno di immedesimazione organica che non può essere qualificato nè come rapporto di lavoro subordinato, nè come rapporto di collaborazione continuata e coordinata (Cass. civ., sez. lav., 26 febbraio 2002, n. 2861, Giust. civ. Mass. 2002, 327, Società 2002, 1371; Cass. civ., sez. lav., 3 aprile 1991, n. 3980, Giust. civ. Mass. 1991, fasc. 4, Mass. giur. lav. 1991, 576, Orient. giur. lav. 1992, I, 241; Cass. civ., sez. lav., 23 agosto 1991, n. 9076, Giust. civ. Mass. 1991, fasc. 8 (7968/36).); le prestazioni dell'amministratore in favore della società rientrano piuttosto nell'area del lavoro professionale autonomo, come è dato desumere dall'art. 2392 c.c. che richiama le norme sul mandato (nella sua concezione ante Riforma (Cass. civ., sez. lav., 26 luglio 1990, n. 7543, Giust. civ. Mass. 1990, fasc. 7; Cass. civ., sez. lav., 19 marzo 1991, n. 2895, Giust. civ. Mass. 1991, fasc. 3 (7968/36)). 4. Inderogabilità del metodo collegiale. Giurisprudenza consolidata. – Il metodo collegiale è inderogabile stante il carattere imperative della norma dal quale deriva. Trib. Novara, 7 novembre 2000, Not. 2001, 371; Trib. Parma, 16 giugno 2000, Società 2000, 1216; Trib. Foggia, 27 aprile 1999, Giur. comm. 2000, II, 32. (7968/36). 5. Il numero di amministratori. Giurisprudenza contrastante. - E' stato ritenuto che non vi siano limiti al numero di amministratori e che il c.d.a. possa essere composto anche da soli due membri, non implicandosi in tal caso violazione del principio di collegialità (Trib. Napoli, 21 giugno 1996, Società 1997, 71; in senso contrario: Trib. Novara, 7 novembre 2000, Not. 2001, 371 (7968/36)). 6. La prevalenza del voto del presidente in caso di parità. Giurisprudenza di merito. Nel caso di due amministratori si è statuito che si possa dare prevalenza al voto del Presidente. Trib. Cassino, 26 giugno 1992, Riv. Not. 1992, 572 (anche se in tema di assemblea); Trib. Napoli, 30 marzo 1988, Dir. fall. 1989, II, 490. (7968/36). 2381. Presidente, comitato esecutivo e amministratori delegati (1). – [I]. Salvo diversa previsione dello statuto, il presidente convoca il consiglio di amministrazione, ne fissa l'ordine del giorno, ne coordina i lavori e provvede affinché adeguate informazioni sulle materie iscritte all'ordine del giorno vengano fornite a tutti i consiglieri. [II]. Se lo statuto o l'assemblea lo consentono, il consiglio di amministrazione può delegare proprie attribuzioni ad un comitato esecutivo composto da alcuni dei suoi componenti, o ad uno o più dei suoi componenti. [III]. Il consiglio di amministrazione determina il contenuto, i limiti e le eventuali modalità di esercizio della delega; può sempre impartire direttive agli organi delegati e avocare a sé operazioni rientranti nella delega. Sulla base delle informazioni ricevute valuta l'adeguatezza dell'assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società; quando elaborati, esamina i piani strategici, industriali e finanziari della società; valuta, sulla base della relazione degli organi delegati, il generale andamento della gestione. [IV]. Non possono essere delegate le attribuzioni indicate negli articoli 2420-ter, 2423, 2443, 2446, 2447, 2501-ter e 2506-bis. [V]. Gli organi delegati curano che l'assetto organizzativo, amministrativo e contabile sia adeguato alla natura e alle dimensioni dell'impresa e riferiscono al consiglio di amministrazione e al collegio sindacale, con la periodicità fissata dallo statuto e in ogni caso almeno ogni sei mesi (2), sul generale andamento della gestione e sulla sua prevedibile evoluzione nonché sulle operazioni di maggior rilievo, per le loro dimensioni o caratteristiche, effettuate dalla società e dalle sue controllate. [VI]. Gli amministratori sono tenuti ad agire in modo informato; ciascun amministratore può chiedere agli organi delegati che in consiglio siano fornite informazioni relative alla gestione della società. (1) V. nota al Capo V. (2) Le parole « sei mesi » sono state sostituite alle parole « centottanta giorni » dall'art. 1 d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, come modificato dall'art. 51r)d.lgs. 6 febbraio 2004, n. 37. Sommario: 1. Introduzione. - 2. La convocazione del c.d.a. Giurisprudenza consolidata.– 2.1. I soggetti a cui deve essere inviata la comunicazione. Giurisprudenza consolidata. – 2.2. Le modalità di convocazione. – 2.3. Il luogo di convocazione. - 3. Natura e revoca delle deleghe. Giurisprudenza consolidata. - 4. L'impatto della Riforma in sede penale. Giurisprudenza di legittimità. 1. Introduzione. – La norma ha riguardo ai poteri del Presidente ed alla disciplina degli organi delegati. A proposito di delegati, la Riforma ha espunto dal testo dell'art. 2392 cod. civ. il riferimento alla vigilanza sul generale andamento della gestione, sostituito dal richiamo al comma terzo dell’art. 2381. L’aspetto forse più rilevante sembrerebbe essere quello per cui il consiglio è chiamato ad esaminare i piani strategici, industriali e finanziari dell’impresa, la cui elaborazione si presume sia opera degli amministratori delegati, ed a valutare tanto l’adeguatezza dell’assetto amministrativo, organizzativo e contabile della società quanto il generale andamento della gestione, ma sempre e solo sulla base delle relazioni e delle informazioni che gli organi delegati sono tenuti a fornire. 2. La convocazione del c.d.a. Giurisprudenza consolidata.– Il primo comma della norma in commento ha riguardo alla convocazione del c.d.a. da parte del Presidente. A tal proposito, è stato statuito (in epoca ante Riforma) che i singoli amministratori debbono ritenersi dotati del potere di pretendere che il Presidente provveda a tale convocazione e con uno specifico ordine del giorno. Cass. civ., sez. I, 23 giugno 1998, n. 6238, Giust. civ. Mass. 1998, 1382, Società 1998, 1168. (7968/108). Il surriferito potere, sempre secondo la richiamata pronuncia, scaturirebbe dai rilievi: a) che ogni singolo amministratore è responsabile del controllo sulla gestione societaria e pertanto egli deve ritenersi abilitato a mettere in moto qualunque meccanismo necessario che gli consenta di provvedere appieno al controllo stesso e di porre in essere gli adempimenti che questo richieda pronta; b) che i singoli amministratori sono solidamente responsabili e tale solidarietà non può non importare che il singolo amministratore abbia anche il potere di controllare l'operato degli altri amministratori. Cass. civ., sez. I, 23 giugno 1998, n. 6238, Giust. civ. Mass. 1998, 1382, Società 1998, 1168. (7968/108). 2.1. I soggetti a cui deve essere inviata la convocazione. Giurisprudenza consolidata. - In giurisprudenza si è consolidato il principio per cui, in mancanza di disposizioni dettagliate la convocazione del c.d.a. deve essere inviata a tutti i componenti dello stesso organo (Cass. civ., sez. I, 5 settembre 1995, n. 9314, Giur. comm. 1997, II, 145 (7968/108)), questo perchè la convocazione assolve, negli organi collegiali, alla fondamentale funzione di rendere edotti tutti i membri circa gli argomenti sui quali il collegio potrà discutere e deliberare, al duplice fine di consentire la necessaria partecipazione ed informazione di tutti e di evitare, al contempo, che sia sorpresa la buona fede degli assenti (Cass. civ., 16 marzo 1990, n. 2198, Foro it. 1991, I, 228, Dir. fall. 1990, I, 986, Giust. civ. 1990, I, 2608, Società 1990, 1044 (7968/108)). 2.2. Le modalità di convocazione. - -Quanto alle modalità di comunicazione è consentita l'utilizzazione di qualsiasi mezzo. Trib. Sassari, 19 maggio 2000, Vita not. 2001, 883. (7968/108). 2.3. Il luogo di convocazione. - Sul luogo di convocazione, la giurisprudenza si è espressa con una certa incertezza circa la legittimità di clausole stautarie che prevedano la riunione in un luogo diverso rispetto alla sede sociale (App. Genova, 23 aprile 1987, N.G.C.C. 1987, I, 633; Trib. Torino, 6 agosto 1988, Vita not. 1988, 1249 (7968/108)), ma il problema sembra superato dall'introduzione del riformato art. 2388, comma 3, c.c. 3. Natura e revoca delle deleghe. Giurisprudenza consolidata. – La delega non ha effetti traslativi, in quanto il consiglio non si spoglia dei suoi poteri e conserva una competenza concorrente ad amministrare, che rimane integra ed anzi sovraordinata a quella degli organi delegati, ai quali può pertanto sostituirsi nel compimento di atti inerenti alle funzioni delegate. Cass. civ., sez. I, 4 marzo 2005, n. 4787, Giust. civ. Mass. 2005, 4. (7968/108). Il consiglio di amministrazione nel suo complesso (e, quindi, anche agli amministratori non esecutivi, che ne fanno parte) resta ovviamente titolare del potere che è stato delegato agli amministratori esecutivi, sicché - come specificato nel citato terzo comma dell’articolo in commento- non solo determina il contenuto, i limiti e le modalità di esercizio della delega, ma conserva la possibilità d’impartire direttive ai delegati e di avocare a sé il compimento di specifiche operazioni, nonché - parrebbe logico aggiungere - di revocare in ogni tempo la stessa delega. Cass. civ., 17 luglio 1979, n. 4191; Cass. civ., 21 ottobre 1974, n. 2985; Trib. Milano, sez. VIII, 26 ottobre 2006, n. 11631, Il merito 2007, 6, 41; Trib. Napoli 9 gennaio 2002. (7968/108). Il consiglio di amministrazione è legittimato a revocare le deleghe operative già conferite al proprio amministratore, allorquando venga a mancare il presupposto requisito della fiducia degli altri consiglieri circa la conduzione amministrativa della società, essendo indifferente anche sotto il profilo dell'eventuale risarcimento del danno, la presenza o meno di una giusta causa. Trib. Milano, 16 ottobre 2006, Giur. it. 2007, 12, 2788. 4. L'impatto della Riforma in sede penale. Giurisprudenza di legittimità.- Per quanto la previsione di cui all'art. 2381 c.c. - introdotta con la Riforma che ha modificato l'art. 2392 c.c. riduca gli oneri e le responsabilità degli amministratori privi di delega, tuttavia, l'amministratore (con o senza delega) è penalmente responsabile, ex art. 40, comma 2, c.p., per la commissione dell'evento che viene a conoscere (anche al di fuori dei prestabiliti mezzi informativi) e che, pur potendo, non provvede ad impedire, posto che a tal riguardo l'art. 2932 c.c., nei limiti della nuova disciplina dell'art. 2381 c.c., risulta immutato. Ne deriva, altresì, che detta responsabilità richiede la dimostrazione, da parte dell'accusa, della presenza (e della percezione da parte degli imputati) di segnali perspicui e peculiari in relazione all'evento illecito nonché l'accertamento del grado di anormalità di questi sintomi, onere che qualora non sia assolto dal ricorrente, nel silenzio della sentenza impugnata, si converte nella richiesta di una ricostruzione storica del fatto, improponibile in sede di legittimità. Cass. pen., sez. V, 28 aprile 2009, n. 21581, Diritto & Giustizia 2009. (7968/108). 2382. Cause di ineleggibilità e di decadenza (1). – [I]. Non può essere nominato amministratore, e se nominato decade dal suo ufficio, l'interdetto, l'inabilitato, il fallito, o chi è stato condannato ad una pena che importa l'interdizione, anche temporanea, dai pubblici uffici o l'incapacità ad esercitare uffici direttivi. (1) V. nota al Capo V. Sommario: 1. Ineleggibilità. Giurisprudenza consolidata. - 2. Decadenza. Giurisprudenza consolidata. 1. Ineleggibilità. Giurisprudenza consolidata. Il potere di rappresentanza della società non è riconoscibile in capo a soggetto interdetto, nel periodo che rileva, dai pubblici uffici, poiché, ai sensi dell'art. 2382 c.c., la condanna a tale interdizione costituisce causa di decadenza dalla carica d'amministratore delle società di capitali, e comporta l'immediata ed automatica cessazione del rapporto organico tra questo e la società. Cass. civ., sez. I, 17 maggio 2005, n. 10355, Giust. civ. Mass. 2005, 5. (7968/386). 2. Decadenza. Giurisprudenza consolidata. - Il rapporto organico concerne soltanto i terzi, verso i quali gli atti giuridici compiuti dall'organo vengono direttamente imputati alla società, con la conseguenza che, sempre verso i terzi, assume rilevanza solo la persona giuridica rappresentata e non anche la persona fisica. Nulla esclude però che, nei rapporti interni, sussistano rapporti obbligatori tra le due persone e, in particolare il rapporto di lavoro subordinato. Si è, peraltro, anche affermato, dalla Suprema Corte che, stabilita la compatibilità giuridica, astratta tra le funzioni del lavoratore dipendente, anche dirigenziali, e quelle di amministratore di una società, la sussistenza di un simile rapporto deve essere verificata in concreto, essendo indispensabile, da una parte, accertare l'oggettivo svolgimento di attività estranee alle funzioni inerenti al rapporto organico; dall'altra, la ricorrenza della subordinazione, sia pure nelle forme peculiari compatibili con la prestazione lavorativa dirigenziale. Cass. civ., sez. lav., 12 gennaio 2002, n. 329, Giust. civ. Mass. 2002, 52, Società 2002, 690, Notiziario giur. lav. 2002, 298; Cass. 7 marzo 1996, n. 1793; Cass. civ., sez. unite, 14 dicembre 1994, n. 10680; Cass. civ., 21 gennaio 1993, n. 706; Cass .civ., 25 maggio 1991, n. 5944; Cass. civ., 13 novembre 1989, n. 4781. (7968/386). 2383. Nomina e revoca degli amministratori (1). – [I]. La nomina degli amministratori spetta all'assemblea, fatta eccezione per i primi amministratori, che sono nominati nell'atto costitutivo, e salvo il disposto degli articoli 2351, 2449 e 2450. [II]. Gli amministratori non possono essere nominati per un periodo superiore a tre esercizi, e scadono alla data dell'assemblea convocata per l'approvazione del bilancio relativo all'ultimo esercizio della loro carica. [III]. Gli amministratori sono rieleggibili, salvo diversa disposizione dello statuto, e sono revocabili dall'assemblea in qualunque tempo, anche se nominati nell'atto costitutivo, salvo il diritto dell'amministratore al risarcimento dei danni, se la revoca avviene senza giusta causa. [IV]. Entro trenta giorni dalla notizia della loro nomina gli amministratori devono chiederne l'iscrizione nel registro delle imprese indicando per ciascuno di essi il cognome e il nome, il luogo e la data di nascita, il domicilio e la cittadinanza, nonché a quali tra essi è attribuita la rappresentanza della società, precisando se disgiuntamente o congiuntamente. [V]. Le cause di nullità o di annullabilità della nomina degli amministratori che hanno la rappresentanza della società non sono opponibili ai terzi dopo l'adempimento della pubblicità di cui al quarto comma, salvo che la società provi che i terzi ne erano a conoscenza. (1) V. nota al Capo V. Sommario: 1. La nomina degli amministratori. Giurisprudenza consolidata. - 2. Revoca dell'amministratore. Giurisprudenza consolidata. - 3. Revoca implicita. Giurisprudenza di legittimità. - 4. Revoca automatica. – 5. Esplicitazione delle motivazioni della revoca nell'ambito dell'assemblea di riferimento. Giurisprudenza di merito. - 6. Il risarcimento del danno in assenza di giusta causa di revoca. Giurisprudenza di merito. 1. La nomina degli amministratori. Giurisprudenza consolidata. - La competenza per la nomina degli amministratori spetta inderogabilmente all'assemblea. Le clausole stautarie che prevedono anche la parziale menomazione di tale potere sono radicalmente nulle. Trib. Verona, 11 dicembre 1992, Società 1993, 950. (7968/120). La nomina dei nuovi amministratori che sostituiscono quelli nominati da atto costitutivo, spetta all'assemblea ordinaria. Trib. Milano, 4 maggio 1990, Giur. it. 1990, I, 2, 555, Giur. comm. 1990, II, 458. (7968/120). Sono ammissibili meccanismi che riservino alla minoranza la nomina di una parte degli amministratori. Trib. Roma, 12 marzo 2001, Società 2001, 1093. (7968/120). L'accettazione della nomina ad amministratore di una società - necessaria, avendo i poteri degli amministratori, fonte contrattuale - non richiede l'osservanza di specifiche formalità e può essere anche tacita, prescindendo dall'adempimento degli oneri pubblicitari di cui all'art. 2383, comma 4, c.c. Cass. civ., sez. I, 22 maggio 2001, n. 6928, Giust. civ. Mass. 2001, 1023, Società 2001, 1350. (7968/120). 2. Revoca dell'amministratore. Giurisprudenza consolidata. Secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte, la giusta causa che giustifica la revoca dell'amministratore può essere sia soggettiva, sia oggettiva, e cioè consistere anche in situazioni estranee alla persona dell'amministratore, non riconducibili a condotte di quest'ultimo, che siano tali da impedire la prosecuzione del rapporto. Nell'identificazione della seconda, è stato altresì precisato che, sebbene la giusta causa possa derivare anche da fatti non integranti inadempimento, occorre tuttavia "pur sempre un quid pluris", nel senso che è necessaria l'esistenza di "situazioni sopravvenute (provocate o meno dall'amministratore stesso), che minino il pactum fiduciae, elidendo l'affidamento inizialmente riposto sulle attitudini e le capacità dell'organo di gestione". Cass. civ., sez. I, 12 settembre 2008, n. 23557, Giust. civ. Mass. 2008; Cass. civ., sez. I, 5 agosto 2005, n. 16526, Giust. civ. Mass. 2005, 7/8; Cass. civ. sez. I, 21 novembre 1998, n. 11801; Cass. civ., sez. lavoro, 7 agosto 2004, n. 15322, Giust. civ. Mass. 2004, 7-8. (7968/120). Le circostanze di fatto integranti la revoca dell'amministratore sono di regola sopravvenute alla costituzione del rapporto di amministrazione, operano dall'esterno sulle vicende negoziali dello stesso incidendo sul rapporto fiduciario che deve sussistere tra le parti. Occorre peraltro che gli elementi intrinseci sopravvenuti incidano sull'apporto effettivo che il socio può concretamente attendersi dall'amministratore, in modo tale da poter fondatamente ritenere che siano venuti meno in capo allo stesso quei requisiti di avvedutezza, capacità e diligenza di tipo professionale che dovrebbero sempre contraddistinguere l'amministratore di una società di capitali. Cass. civ., sez. I, 5 agosto 2005, n. 16526, Giust. civ. Mass. 2005, 7/8; Cass. civ. sez. I, 21 novembre 1998, n. 11801. (7968/120). Sussiste una giusta causa di revoca dell'amministratore di società di capitali non solo qualora quest'ultimo violi i doveri impostigli dalla legge o dall'atto costitutivo, ma ogni volta che sopravvengano alla nomina circostanze, anche non ascrivibili alle parti, idonee a minare il rapporto fiduciario che caratterizza l'incarico in questione. Trib. Arezzo, 6 luglio 2006. (7968/120). La partecipazione di un amministratore come azionista ad un patto parasociale, che vincola ad eseguire le decisioni prese a maggioranza anche su atti di gestione quali l'assunzione e il licenziamento di dirigenti e quadri, pregiudica il rapporto fiduciario che deve esistere tra società e amministratori e costituisce conseguentemente giusta causa di revoca. App. Torino, 31 maggio 2006, Giur. it. 2007, 3, 665. (7968/120). Di fronte all'inerzia dell'amministratore delegato rispetto alle direttive, da lui conosciute, essenziali al proficuo ed efficace svolgimento del ruolo di direzione unitaria da parte della società capogruppo, il rapporto tra quest'ultima e il primo può incrinarsi, fino a condurre alla revoca dell'amministratore stesso fatta secondo criteri di giusta causa. Trib. Firenze, 15 febbraio 2005, Giur. merito 2007, 2, 397. (7968/120). E' escluso che costituisca giusta causa di revoca la mera convenienza economica conseguente alla diminuzione di spesa resa possibile dalla riduzione del numero degli amministratori. Cass. civ., n. 4240 del 1957. (7968/120). 3. Revoca implicita. Giurisprudenza di legittimità. - La revoca non deve essere necessariamente formalizzata con una esplicita manifestazione di volontà, ma può viceversa avvenire anche in modo implicito (rilievo peraltro condiviso in linea di principio dalla stessa ricorrente), e segnatamente con delibera di riduzione dei membri del consiglio di amministrazione. Cass. civ., sez. I, 19 novembre 2008, n. 27512, Società 2009, 25. (7968/120). La nomina, in seno a una s.p.a., di un consiglio di amministrazione del quale venga chiamato a far parte la persona che sino ad allora rivestiva la carica di amministratore unico, comporta la revoca di quest'ultimo da tale carica, non essendo ipotizzabile una continuità soggettiva nell'attività gestoria qualora si sostituisca l'organo monocratico con un organo collegiale. Cass. civ., sez. I, 7 maggio 2002, n. 6526, Giur. it. 2003, 115. (7968/120). 4. Revoca automatica. – La revoca automatica è disciplinata dall'art. 2393, comma 4, c.c. 5. Esplicitazione delle motivazioni della revoca nell'ambito dell'assemblea di riferimento. Giurisprudenza di merito. - Le motivazioni integranti la giusta causa di revoca dell'amministratore di società capitalistica devono essere chiarite in sede assembleare, quanto meno nei loro connotati essenziali, posto che si chiede il riferimento ad elementi sia di natura soggettiva sia oggettiva, comunque un quid pluris rispetto al mero dissenso, esigendosi pregiudizio tale per gli interessi della società da elidere l'affidamento riposto nell'amministratore. Trib. Milano, 22 marzo 2007, Giur. merito 2008, 12, 3177. (7968/120). Le motivazioni, integranti la giusta causa di revoca dell'amministratore, devono essere esplicitate, quantomeno nei loro connotati essenziali, in sede assembleare. Trib. Milano, 14 febbraio 2004, Giur. it. 2004, 1209. (7968/120). 6. Il risarcimento del danno in assenza di giusta causa di revoca. Giurisprudenza di merito. - Il potere di revoca dell'amministratore è un potere di recesso ex lege, rilevando la giusta causa solo ai fini risarcitori. Trib. Roma, 7 marzo 2001, Dir fall. 2001, II, 795. (7968/120). Il risarcimento del danno per la revoca senza giusta causa si parametra normalmente in via equitativa con l'emolumento che la parte avrebbe conseguito dalla prestazione gestoria nell'arco di sei mesi, quale lasso di tempo ragionevolmente idoneo a consentire all'amministratore revocato di trovare nuovi incarichi od analoghe prestazioni e compensi, salvo che il mandato scada in epoca anteriore. Trib. Milano, 22 marzo 2007, Giur. merito 2008, 12, 3177. (7968/120). Il diritto dell'amministratore al risarcimento del danno per essere stato revocato senza giusta causa sussiste se la revoca sia stata comunicata senza congruo preavviso e solo in presenza della prova di un danno risarcibile. Trib. Cagliari, 12 maggio 2006, n. 1262, Riv. giur. Sarda 2007, 1, 171. (7968/120). La revoca dell'amministratore senza giusta causa comporta soltanto l'obbligo di risarcire i relativi danni e non già il diritto alla ricostituzione del rapporto. Trib. Verona, sez. IV, 1 ottobre 2005 (7968/120). 2384. Poteri di rappresentanza (1). – [I]. Il potere di rappresentanza attribuito agli amministratori dallo statuto o dalla deliberazione di nomina è generale. [II]. Le limitazioni ai poteri degli amministratori che risultano dallo statuto o da una decisione degli organi competenti non sono opponibili ai terzi, anche se pubblicate, salvo che si provi che questi abbiano intenzionalmente agito a danno della società. (1) V. nota al Capo V. Sommario: 1. Introduzione. - 2. Il compimento di atti ultra vires prima della Riforma. Giurisprudenza consolidata. - 3. Il compimento di atti ultra vires dopo la Riforma. 1. Introduzione. - La Riforma è intervenuta attraverso l’abrogazione della norma relativa agli atti ultra vires; nonché mediante la rimodulazione dei rapporti tra assemblea e organo amministrativo. Il nuovo art. 2384, comma 1, cod. civ., stabilisce che "Il potere di rappresentanza attribuito agli amministratori dallo statuto o dalla deliberazione di nomina è generale". Sulla base di questa norma taluno si è spinto ad affermare che non sarebbero più consentite limitazioni statutarie al potere di rappresentanza e la maggioranza degli interpreti si esprime nel senso che tali limitazioni avrebbero oggi una rilevanza meramente interna . La tesi del rilievo interno delle limitazioni ai poteri degli amministratori sembra, in effetti, avvalorata dal comma 2 dell’art. 2384 cod. civ. che estende a tutte le limitazioni "che risultano dallo statuto o da una decisione degli organi competenti" la regola, prima riservata alle sole limitazioni statutarie, dell’inopponibilità ai terzi salvo la prova che questi "abbiano intenzionalmente agito a danno della società". 2. Il compimento di atti ultra vires prima della Riforma. Giurisprudenza consolidata. - In tema di società di capitali, l'eccedenza dell'atto rispetto ai limiti dell'oggetto sociale, ovvero il suo compimento al di fuori dei poteri conferiti, non integra un'ipotesi di nullità dell'atto, ma, al più, di inefficacia e di opponibilità nei rapporti con i terzi; e posto che è rimesso alla società, e solo ad essa, di respingere gli effetti dell'atto, deve correlativamente essere riconosciuto alla società il potere di assumere ex tunc quegli effetti, attraverso la ratifica, ovvero di farli preventivamente propri, attraverso una delibera autorizzativa, capace di rimuovere i limiti del potere rappresentativo dell'amministratore. Ne deriva che ogni questione relativa alla estraneità dell'atto compiuto dall'amministratore rispetto all'oggetto sociale è da ritenersi irrilevante a seguito e per effetto dell'adozione di una delibera di autorizzazione preventiva adottata dalla società, posto che tale delibera impegna la società medesima alla condotta di essa esecutiva e ad essa conforme posta in essere dall'organo di gestione, idonea o meno che sia rispetto al perseguimento dell'oggetto sociale. Cass. civ., 2 settembre 2004, n. 17678, Giust. civ. Mass. 2004, 9. L'oggetto sociale non limita la capacità giuridica e di agire della società, ma i poteri di rappresentanza degli amministratori e pertanto un atto ad esso estraneo, come può essere ratificato, così a maggior ragione può essere preventivamente autorizzato dalla società rappresentata mediante una deliberazione dell'assemblea ordinaria (nella specie l'iscrizione di un'ipoteca sugli immobili appartenenti ad una società per azioni, a favore di una banca creditrice di una terza società, era stata autorizzata da un'assemblea totalitaria). App. Milano, 20 febbraio 2001. 3. Il compimento di atti ultra vires dopo la Riforma. - Una significativa novità della Riforma riguarda invece da vicino il limite dell’oggetto sociale, al quale non è più dedicata una norma ad hoc in tema di limitazioni al potere di rappresentanza (l’art. 2384 bis cod. civ. è stato infatti abrogato) ed essendo dalla legge previsto unicamente come obiettivo della gestione degli amministratori, i quali compiono le operazioni necessarie per la sua attuazione (così dispone l’art. 2380 bis, comma 1, cod. civ.). 2385. Cessazione degli amministratori (1). – [I]. L'amministratore che rinunzia all'ufficio deve darne comunicazione scritta al consiglio d'amministrazione e al presidente del collegio sindacale. La rinunzia ha effetto immediato, se rimane in carica la maggioranza del consiglio di amministrazione, o, in caso contrario, dal momento in cui la maggioranza del consiglio si è ricostituita in seguito all'accettazione dei nuovi amministratori. [II]. La cessazione degli amministratori per scadenza del termine ha effetto dal momento in cui il consiglio di amministrazione è stato ricostituito. [III]. La cessazione degli amministratori dall'ufficio per qualsiasi causa deve essere iscritta entro trenta giorni nel registro delle imprese a cura del collegio sindacale. (1) V. nota al Capo V. Sommario: 1. Introduzione. - 2. La rinunzia. Giurisprudenza consolidata. - La prorogatio. Giurisprudenza di legittimità. 1. Introduzione. – Il primo comma della norma disciplina la rinunzia e gli effetti della rinunzia degli amministratori. Come esplicita la norma, la rinunzia può avere una efficacia immediata o differita. Il secondo comma disciplina la mera scadenza naturale dell'incarico degli amministratori. L'ultimo comma ha riguardo ai soli adempimenti pubblicitari. 2. La rinunzia. Giurisprudenza consolidata. - I poteri di rappresentanza dell'amministratore di società di capitali cessano per effetto di un valido atto di rinuncia, senza che si renda a tale fine necessaria, salvo specifico patto, la sussistenza di una giusta causa o l'accettazione di quell'atto da parte dei soci. (Nella specie il ricorrente deduceva che anche in applicazione delle norme in tema di mandato, la rinuncia alla carica di amministratore, così come avviene per la revoca da parte della assemblea, deve essere subordinata alla presenza di una giusta causa, la cui mancanza, oltre a escludere il diritto al compenso da parte di chi recede dal rapporto, fa sorgere in capo alla società il diritto al risarcimento dei danni derivanti dal recesso anticipato. In applicazione del principio esposto sopra la S.C. ha rigettato tale motivo di ricorso, attesa la stessa formulazione dell'art. 2385 c.c.). Cass. civ., sez. I, 13 agosto 2008, n. 21563, Guida al diritto 2008, 42, 84. (7968/216). Le dimissioni o la rinuncia dell'amministratore possono essere efficaci anche in assenza di una particolare forma scritta, purché lo strumento di comunicazione prescelto sia congruo, in concreto, a farne apprendere compiutamente e nel suo giusto significato il contenuto. Trib. Nocera Inferiore, 28 luglio 2003, Giur. it. 2004, 115. (7968/216). 3. La prorogatio. Giurisprudenza di legittimità. - La proroga disposta dall'ultimo comma dell'art. 2385 c.c., a differenza di quella contemplata dall'art. 2386, non ha una durata predeterminata ed è stata prevista dal legislatore proprio al fine di assicurare la continuità della gestione della società, evitando che in occasione del ricambio delle cariche sociali, ogni rischio di paralisi dell'organo di amministrazione. E questo spiega perché il secondo comma dell'art. 2385 c.c. non limiti in alcun modo le attribuzioni degli amministratori nel periodo di proroga, lasciando così intendere che essi rimangano immutati fino alla nomina del nuovo amministratore o, a seconda dei casi, fino a quando il consiglio non sia stato ricostituito. Cass. civ., sez. I, 4 giugno 2003, n. 8912, Giust. civ. Mass. 2003, 6, D&G Dir. e giust. 2003, 26, 98, Giur. it. 2004, 791; Cass. 28 aprile 1997, n. 3652, Giust. civ. Mass. 1997, 649, Società 1997, 1389. (7968/36). 2386. Sostituzione degli amministratori (1). – [I]. Se nel corso dell'esercizio vengono a mancare uno o più amministratori, gli altri provvedono a sostituirli con deliberazione approvata dal collegio sindacale, purché la maggioranza sia sempre costituita da amministratori nominati dall'assemblea. Gli amministratori così nominati restano in carica fino alla prossima assemblea. [II]. Se viene meno la maggioranza degli amministratori nominati dall'assemblea, quelli rimasti in carica devono convocare l'assemblea perché provveda alla sostituzione dei mancanti. [III]. Salvo diversa disposizione dello statuto o dell'assemblea, gli amministratori nominati ai sensi del comma precedente scadono insieme con quelli in carica all'atto della loro nomina. [IV]. Se particolari disposizioni dello statuto prevedono che a seguito della cessazione di taluni amministratori cessi l'intero consiglio, l'assemblea per la nomina del nuovo consiglio è convocata d'urgenza dagli amministratori rimasti in carica; lo statuto può tuttavia prevedere l'applicazione in tal caso di quanto disposto nel successivo comma. [V]. Se vengono a cessare l'amministratore unico o tutti gli amministratori, l'assemblea per la nomina dell'amministratore o dell'intero consiglio deve essere convocata d'urgenza dal collegio sindacale, il quale può compiere nel frattempo gli atti di ordinaria amministrazione. (1) V. nota al Capo V. Sommario: 1. Introduzione. - 2. La cooptazione. Giurisprudenza consolidata. - 3. La clausola simul stabunt simul cadent. – 3.1. Portata della norma. – 3.2. La giurisprudenza affermatasi prima della Riforma. – 3.3. L'orientamento post Riforma. Giurisprudenza di merito. 1. Introduzione. – La norma, sostanzialmente modificata dalla Riforma, disciplina i vari casi di sostituzione degli amministratori. Di particolare interesse sono la disciplina della cooptazione e della possibilità di inserimento della clausola simul stabunt simul cadent. In particolare, quanto alla disciplina sulla cooptazione, si noti come questa costituisca una vera e propria eccezione al principio della competenza assembleare rispetto alla nomina degli amministratori. Si noti, infine, la natura non inderogabile delle disposizioni dei commi tre e quattro. 2. La cooptazione. Giurisprudenza consolidata. – La norma dell'art. 2386 c.c. riguarda la sostituzione degli amministratori venuti a mancare "nel corso dell'esercizio": ciò significa che la cessazione deve avvenire non per scadenza naturale del mandato, ma "nel corso" del mandato stesso, anteriormente alla scadenza, per dimissioni o per altra causa. Cass. civ., sez. I, 4 marzo 1994, n. 2144, Giust. civ. Mass. 1994, 263, Società 1994, 915 osser., Giur. it. 1994, I, 1, 1118, Foro it. 1994, I, 3460, Giur. comm. 1994, II, 639, Dir. fall. 1994, II, 1074. (7968/120). 3. La clausola simul stabunt simul cadent. – La disciplina della clausola in esame trova con la Riforma una propria collocazione nell'articolo in commento. Si tratta di una clausola statutaria che crea un collegamento tra i vari componenti del consiglio di amministrazione, in modo che se taluno di essi decada, o dia le dimissioni o comunque cessi dalla carica, poichè il consiglio perde la sua composizione originaria, vi è la necessità di costituzione del nuovo organo amministrativo. 3.1. Portata della norma. - La clausola simul stabunt simul cadent e` applicabile anche ai modelli di amministrazione delle s.p.a. alternativi a quello tradizionale. 3.2. La giurisprudenza affermatasi prima della Riforma. – La clausola può essere articolata in maniera differente stabilendo che a seguito del venir meno di uno o più amministratori l’intero consiglio di amministrazione (i) si consideri decaduto ovvero (ii) si consideri dimissionario. Nel primo caso la giurisprudenza ha ritenuto che venisse meno l'intero consiglio, ergo solo il collegio sindacale era legittimato alla convocazione dell'assemblea per la nomina dei nuovi amministratori. Pertanto, laddove convocazione fosse stata effettuata da parte del consiglio decaduto, la conseguente delibera sarebbe stata annullabile. Trib. Milano, 5 ottobre 2000, Giur. It. 2001, 327. (7968/120). Nel secondo caso, invece, la giurisprudenza ha ritenuto che l’organo amministrativo rimane in carica fino alla nomina dei nuovi amministratori da parte dell’assemblea convocata dallo stesso consiglio dimissionario, garantendo cosı` anche la continuitò di funzionamento alla gestione della società. Trib. Milano, 6 aprile 1995, Giur. Comm. 1996, II, 233; Trib. Milano, 11 settembre 1995, Giur. It. 1996, I, 2, 51; Trib. Torino, 1 ottobre 1997, Giur. piemontese 1998, 128. (7968/120). 3.3. L'orientamento post Riforma. Giurisprudenza di merito. – La clausola statutaria di specie dispone, di fatto, semplicemente un meccanismo di scadenza anticipata dei poteri di tutti, collegato ad una causa di cessazione di alcuni, la quale opera come condizione risolutiva del rapporto; per tale via il suo operare porta al medesimo risultato che si produce in caso di naturale scadenza del mandato, regolato nell'art. 2385, comma 2, c.c. ove si prevede una specifica ipotesi di " prorogatio " dei poteri. Agli effetti della norma in esame, che si preoccupa solamente di indicare che gli amministratori mantengono il potere di convocare l'assemblea, gli amministratori rimasti in carica dopo la causa di cessazione coincidono con quelli che ricadono nel regime di " prorogatio " per i quali la scadenza del termine convenzionale del mandato può avere effetto solo dal momento in cui il consiglio di amministrazione è stato ricostituito. Tribunale Milano, VIII Sezione, 10 giugno 2008, Giurisprudenza it. 2009, 2, 377. (7968/120). Se per effetto della clausola simul stabunt simul cadent sia prevista la decadenza dell’intero consiglio di amministrazione in conseguenza della cassazione di uno o più amministratori, esso mantiene i suoi poteri alla nomina dei nuovi amministratori; sicché, anche nel caso in cui si dimetta la maggioranza degli stessi, l’intero consiglio di amministrazione resterà in carica fino alla sua ricostituzione e sarà legittimato a procedere alla convocazione dell’assemblea affinché vi provveda. Tribunale Milano, VIII Sezione, 10 giugno 2008, Giurisprudenza it. 2009, 2, 377. (7968/120). . 2387. Requisiti di onorabilità, professionalità e indipendenza (1). – [I]. Lo statuto può subordinare l'assunzione della carica di amministratore al possesso di speciali requisiti di onorabilità, professionalità ed indipendenza, anche con riferimento ai requisiti al riguardo previsti da codici di comportamento redatti da associazioni di categoria o da società di gestione di mercati regolamentati. Si applica in tal caso l'articolo 2382. [II]. Resta salvo quanto previsto da leggi speciali in relazione all'esercizio di particolari attività. (1) V. nota al Capo V. 1. L'esperienza ante Riforma. - In assenza di pronounce giurisprudenziale circa i requisiti di cui al nuovo art. 2387 c.c., è bene comunque tener presente il principio per cui, sebbene con riferimento all'art. 2382 c.c., i soci sono soggetti muniti del potere di stabilire requisiti di eleggibilità. Cass. civ., sez. I, 14 dicembre 1995, n. 12820, Giust. civ. Mass. 1995, fasc. 12. (7986/36). 2388. Validità delle deliberazioni del consiglio (1). – [I]. Per la validità delle deliberazioni del consiglio di amministrazione è necessaria la presenza della maggioranza degli amministratori in carica, quando lo statuto non richiede un maggior numero di presenti. Lo statuto può prevedere che la presenza alle riunioni del consiglio avvenga anche mediante mezzi di telecomunicazione. [II]. Le deliberazioni del consiglio di amministrazione sono prese a maggioranza assoluta dei presenti, salvo diversa disposizione dello statuto. [III]. Il voto non può essere dato per rappresentanza. [IV]. Le deliberazioni che non sono prese in conformità della legge o dello statuto possono essere impugnate solo dal collegio sindacale e dagli amministratori assenti o dissenzienti entro novanta giorni dalla data della deliberazione; si applica in quanto compatibile l'articolo 2378. Possono essere altresì impugnate dai soci le deliberazioni lesive dei loro diritti; si applicano in tal caso, in quanto compatibili, gli articoli 2377 e 2378. [V]. In ogni caso sono salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi in base ad atti compiuti in esecuzione delle deliberazioni. (1) V. nota al Capo V. Sommario: 1. Introduzione. - 2. Quorum deliberativo. - 3. L'invalidità delle delibere del c.d.a.. - 4. La presenza mediante mezzi di telecomunicazione. 1. Introduzione. - La Riforma ha introdotto la possibilità di presenziare alle riunioni del c.d.a. attraverso mezzi di telecomunicazione. Di nuova formulazione, invece, gli ultimi due commi della norma. 2. Quorum deliberativo. - In mancanza di diversa disposizione dell'atto costitutivo il c.d.a. delibera a maggioranza assoluta, da calcolare per teste sul numero degli amministratori presenti. In merito agli astenuti è stato ritenuto che la delibera del consiglio di amministrazione di una società per azioni che sia stata adottata con il voto di uno solo degli amministratori, a seguito dell'astensione da parte degli altri due componenti partecipanti alla riunione del consiglio stesso, per conflitto di interessi con la società, non può considerarsi inesistente nè invalida per difetto della consistenza numerica idonea a costituire un "collegio", atteso che, in base ad un principio generale della società per azioni enunciato nell'art. 2373 c.c., con riferimento all'assemblea dei soci, ma applicabile analogicamente anche alle deliberazioni del Consiglio di amministrazione (art. 2388, 2391 c.c.) - nel quorum costitutivo del collegio, a differenza che nel quorum deliberativo, vanno computati anche i soggetti che si trovino in conflitto di interessi con la società. Cass. civ., sez. I, 15 ottobre 1991, n. 10864, Dir. fall. 1992, II, 766; Cass. civ., sez. I, 21 agosto 1991, n. 8976, Giust. civ. Mass. 1991, fasc. 8. (7968/288). Quanto alla illegittimità del casting vote ovvero del valore determinante, in caso di parità, al voto del presidente dell'assemblea, si è espresso giurisprudenza di merito, perchè una clausola statutaria con tale previsione integrerebbe fattispecie analoga a quella dell'emissione di quote e/o azioni a voto plurimo Trib. Cassino, 26 giugno 1992, Foro it. 1992, I, 3198; Trib. Napoli, 28 settembre 1988, Giur. comm. 1991, II, 327. (7968/108). 3. L'invalidità delle delibere del c.d.a. - Il contrasto giurisprudenziale ante Riforma riguardava l'applicazione analogica della disciplina delle impugnazione delle delibere assembleari. In senso sostanzialmente contrario all'applicazione analogica si era ripetutamente espressa la Cassazione. Tale giurisprudenza aveva convenuto che l'art. 2391 consentisse l'impugnazione solo agli amministratori assenti o dissenzienti ed ai sindaci; e unicamente nel caso di delibere assunte con la partecipazione di un amministratore in conflitto d'interessi con la società. Cass. civ., 10 aprile 1973, n. 1016; Cass. civ., 20 aprile 1961, n. 883. (7968/108). La stessa giurisprudenza ha anche sottolineato che contro le deliberazioni degli amministratori non sussiste, per il socio, possibilità alcuna di ricorso all'autorità giudiziaria, mancando una norma che l'autorizzi e non potendo applicarsi in via analogica il sistema eccezionale d'impugnazione previsto per le deliberazioni dell'assemblea. Conseguentemente, al socio sarebbe assegnata una tutela soltanto indiretta, realizzabile attraverso le iniziative volte a promuovere la revoca degli amministratori (art. 2383), l'azione di responsabilità di cui all'art. 2393, la denuncia al Collegio sindacale (art. 1408) e al tribunale (art. 1409), l'azione risarcitoria a norma dell'art. 2395 oppure, infine, la facoltà d'impugnare l'atto esterno, di cui la delibera è presupposto, o di sottoporre la delibera stessa all'assemblea dei soci. Tale sistema - si dice - sarebbe improntato all'esigenza di potenziare l'efficienza dell'attività amministrativa e di sottrarla agli intralci che ad essa deriverebbero dall'esercizio di azioni giudiziarie avventate o capziose, e questa esigenza - si è pure osservato - troverebbe un limite, oltre che nel potere d'impugnazione dei (soli) amministratori nell'ambito dell'art. 2391, anche nella previsione dell'art. 2527, che contempla l'impugnazione da parte del socio della delibera di esclusione presa dall'assemblea o, di secondo l'atto costitutivo, dagli amministratori, nei casi d'inesistenza e di nullità per impossibilità o illecità dell'oggetto. Cass. civ., sez. III, 11 marzo 1980, n. 1625, Giust. civ. Mass. 1980, fasc. 3, Riv. notariato 1980, 911. (7968/108). Il problema è stato poi riesaminato dalla Cassazione la quale ha osservato che la questione può ritenersi esattamente posta, nei termini suddetti, quando si tratti di delibere che gli amministratori abbiano adottato in violazione o delle disposizioni sulle modalità di formazione delle stesse o dei doveri assunti nei confronti della società oppure delle regole di buona amministrazione; cioè di delibere che ledano solo indirettamente gli interessi del socio e violino immediatamente l'interesse sociale. Cass. civ., sez. I, 21 maggio 1988, n. 3544, Giust. civ. Mass. 1988, fasc. 5, Giust. civ. 1988, I, 1979. (7968/108). Deve ritenersi che i limiti soggettivi alla impugnazione delle delibere, posti sulla normativa in materia di società, riguardano esclusivamente l'ipotesi che le delibere adottare contrastino con l'interesse sociale (siano state esse assunte con o senza violazione delle regole generali fissate nell'atto costitutivo o nello statuto della società). Quando, invece, si sia in presenza di atti del consiglio d'amministrazione vincolati (ossia non discrezionali) e direttamente lesivi del diritto del socio, si deve escludere l'operatività di quei limiti, non essendo ragionevole ritenere che la legge abbia inteso, anche in tale caso, affidare a terzi la tutela del singolo socio (evidentemente appartenente alla minoranza), precludendogli l'esercizio diretto, limitandolo alla utilizzazione di meccanismi d'intervento già in astratto inidonei a garantire una difesa piena. Cass. civ., sez. I, 24 gennaio 1990, n. 420, Giust. civ. Mass. 1990, fasc. 1, Giust. civ. 1990, I, 325, 2634, Foro it. 1990, I, 1551. (7968/108). Per l'applicazione analogica della diciplina in materia di impugnazione delle delibere assembleari si sono invece espressi: Trib. Milano, 16 luglio 1999, Giur. it. 2000, 1886; Trib. Roma, 18 marzo 1982, Riv. Dir. Comm. 1983, II, 167; Trib. Milano, 5 novembre 1987, Giur. Comm. 1988, II, 775; Trib. Milano, 20 dicembre 1996, Giur. Comm. 1998, II, 79. 4. La presenza mediante mezzi di telecomunicazione. – La Riforma sul punto ha colto il suggerimento della giurisprudenza secondo la quale è omologabile l'atto costitutivo di una società che preveda la possibilità di convocare l'assemblea dei soci mediante posta elettronica e che ne consenta poi lo svolgimento in videoconferenza. Trib. Sassari, 19 maggio 2000, Società 2001, 209; Trib. Roma, 24 febbraio 1997, Società 1997, 695. 2389. Compensi degli amministratori (1). – [I]. I compensi spettanti ai membri del consiglio di amministrazione e del comitato esecutivo sono stabiliti all'atto della nomina o dall'assemblea. [II]. Essi possono essere costituiti in tutto o in parte da partecipazioni agli utili o dall'attribuzione del diritto di sottoscrivere a prezzo predeterminato azioni di futura emissione. [III]. La rimunerazione degli amministratori investiti di particolari cariche in conformità dello statuto è stabilita dal consiglio di amministrazione, sentito il parere del collegio sindacale. Se lo statuto lo prevede, l'assemblea può determinare un importo complessivo per la remunerazione di tutti gli amministratori, inclusi quelli investiti di particolari cariche. (1) V. nota al Capo V. Sommario: 1. Introduzione. - 2. . Il diritto al compenso, nozioni generali. - 3. Il compenso mediante partecipazione agli utili. - 4. La determinazione giudiziale del compenso. Giurisprudenza consolidata. - 5. La rinuncia al compenso. Giurisprudenza consolidata. - 6. L'impugnazione della delibera di determinazione del compenso. 1. Introduzione. – La norma regola un vero e proprio diritto al compenso degli amministratori, essendo stata da sempre minoritaria l'idea di gratuità dell'incarico. 2. Il diritto al compenso, nozioni generali. - Il rapporto di immedesimazione organica tra amministratore e società di capitali non giustifica l'esclusione del compenso a favore dell'amministratore, dovendo verificarsi, ai fini di tale esclusione, la sussistenza o meno di una rinuncia, espressa o tacita. Cass. civ., sez. lav., 20 febbraio 2009, n. 4261, Guida al diritto 2009, 12, 54. (7968/72). In base al combinato disposto degli art. 2364, comma 1, n. 3, e 2389, comma 1, c.c. (nel testo anteriore alla riforma attuata dal d.lg. 17 gennaio 2003 n. 6), la determinazione del compenso degli amministratori di società per azioni è rimessa in primo luogo all'atto costitutivo e, solo ove esso non provveda, all'assemblea ordinaria. Resta di conseguenza escluso che l'assemblea possa accordare agli amministratori un compenso ulteriore rispetto a quello già previsto dallo statuto sociale, a nulla rilevando che quest'ultimo sia eventualmente stabilito nella forma aleatoria della partecipazione agli utili. Cass. civ., sez. I, 7 aprile 2006, n. 8230, Giur. it. 2006, 8-9, 1625, Giust. civ. Mass. 2006, 4. (7968/72). In mancanza di statuizioni nell'atto costitutivo, ben può il consiglio di amministrazione determinare il compenso degli amministratori esercitando i poteri di cui all'art. 2389, comma 1, c.c., a ciò non ostando il combinato disposto di cui al suindicato articolo e all'art. 2384 bis c.c., scopo di quest'ultimo essendo quello di garantire la certezza e la speditezza degli affari, tutelando l'affidamento dei terzi. Cass. civ., sez. I, 15 novembre 2004, n. 21628, Giust. civ. Mass. 2004, 11. (7968/72). L'amministratore vanta nei confronti della società un diritto soggettivo perfetto al compenso per l'incarico ricoperto, non comprimibile neppure per il caso di revoca dall'incarico, salvo che si accerti una responsabilità per danni dell'amministratore da cui derivi il diritto della società al risarcimento del danno. Trib. Roma, 25 settembre 2007, Riv. dir. comm. 2008, 1-2-3, 1. (7968/72). Il diritto al compenso per l'amministratore di società per azioni è irrinunciabile ed il suo contenuto economico non può essere modificato se non con espressa manifestazione di volontà dell'amministratore. Trib. L'Aquila, 14 aprile 2006, Giur. merito 2006, 11, 2415. (7968/72). Il compenso degli amministratori (cfr. art. 2389 c.c. nel testo all'epoca vigente) può essere calcolato sia autonomamente sia in rapporto agli utili (in tal caso non costituendo un impiego degli utili di bilancio, ma soltanto un criterio di commisurazione del compenso) e può essere fissato fin dal sorgere della società oppure successivamente dall'assemblea, la quale può modificare il compenso stabilito dall'atto costitutivo. L'aumento del compenso all'amministratore può non corrispondere necessariamente ad un aumento delle mansioni ovvero ad un miglioramento della situazione aziendale (cfr. App. Milano 29 marzo 1991, Foro It. 1991, I, 3214), e ciò in quanto la prestazione dell'amministratore è prestazione di mezzi e non di risultato, sicché la congruità del compenso, in relazione alla prestazione dovuta, va valutata "ex ante" e non "ex post". La quantificazione del compenso in quanto tale non è censurabile nel merito, salva peraltro la dimostrazione del vizio di eccesso di potere della delibera attributiva di compenso , laddove si riscontri in concreto un emolumento manifestamente sproporzionato rispetto alle mansioni di fatto svolte, ovvero una irragionevole sproporzione del compenso attribuito, in rapporto all'attività dell'amministratore ed al perseguimento dell'oggetto sociale. Il riscontro obiettivo di una irragionevole sproporzione costituisce di per sè un vizio invalidante della delibera per eccesso di potere, indipendentemente dalla dimostrazione del perseguimento da parte della maggioranza di finalità extrasociali. Trib. Milano, 13 aprile 2005, Giustizia a Milano 2005, 62. (7968/72). 3. Il compenso mediante partecipazione agli utili. - Il compenso degli amministratori con «partecipazioni agli utili» deve inderogabilmente calcolarsi «sugli utili netti risultanti dal bilancio, fatta deduzione della quota di riserva legale»; ne consegue che tale compenso costituisce una spesa da cui gli utili vanno depurati prima di essere distribuiti come dividendi sulle azioni ai soci. Collegio arbitrale, 8 settembre 2005, Giur. it. 2006, 8-9, 1651. (7968/72). Il compenso degli amministratori (cfr. art. 2389 c.c. nel testo all'epoca vigente) può essere calcolato sia autonomamente sia in rapporto agli utili (in tal caso non costituendo un impiego degli utili di bilancio, ma soltanto un criterio di commisurazione del compenso) e può essere fissato fin dal sorgere della società oppure successivamente dall'assemblea, la quale può modificare il compenso stabilito dall'atto costitutivo L'aumento del compenso all'amministratore può non corrispondere necessariamente ad un aumento delle mansioni ovvero ad un miglioramento della situazione aziendale (cfr. App. Milano 29.3.1991, in Foro It. 1991, I, 3214), e ciò in quanto la prestazione dell'amministratore è prestazione di mezzi e non di risultato, sicché la congruità del compenso, in relazione alla prestazione dovuta, va valutata "ex ante" e non " "ex post"". La quantificazione del compenso in quanto tale non è censurabile nel merito, salva peraltro la dimostrazione del vizio di eccesso di potere della delibera attributiva di compenso, laddove si riscontri in concreto un emolumento manifestamente sproporzionato rispetto alle mansioni di fatto svolte, ovvero una irragionevole sproporzione del compenso attribuito, in rapporto all'attività dell'amministratore ed al perseguimento dell'oggetto sociale. Il riscontro obiettivo di una irragionevole sproporzione costituisce di per sè un vizio invalidante della delibera per eccesso di potere, indipendentemente dalla dimostrazione del perseguimento da parte della maggioranza di finalità extrasociali. Trib. Milano, 13 aprile 2005, Giustizia a Milano 2005, 62. (7968/72). È nulla la clausola con la quale si dispone che l'assemblea può destinare all'organo amministrativo tutti gli utili netti di bilancio previa deduzione della quota di riserva legale, perché contraria agli art. 2389 e 2432 (già 2431) c.c. che comportano un limite all'attribuzione di utili a favore degli amministratori, limite non derogabile dall'autonomia statutaria giacché si riconnette alla causa del contratto di società. Trib. Cassino, 20 marzo 1992, Riv. notariato 1992, 1283. (7968/72). 4. La determinazione giudiziale del compenso. Giurisprudenza consolidata. - La pretesa di un amministratore di società di capitali al compenso per l'opera prestata ha natura di diritto soggettivo perfetto sicchè ove la misura di tale compenso non sia stata stabilita dall'atto costitutivo o dall'assemblea, può esserne chiesta al giudice la determinazione equitativa. Cass. civ., sez. lav., 9 agosto 2005, n. 16764, Giur. it. 2006, 2, 295; Giustizia a Milano, 2008, 7-8, 53. (7968/72). Il tribunale può, se richiesto, determinare il compenso dovuto all'amministratore, dovendosi concordare con quell'orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo il quale la pretesa di un amministratore di società di capitali al compenso per l'opera prestata ha natura di diritto soggettivo perfetto sicché, ove la misura di tale compenso non sia stata stabilita nell'atto costitutivo o dall'assemblea all'atto della nomina (o successivamente) ben può esserne chiesta al giudice la determinazione. Non v'è dubbio che, a tal proposito, soccorrano una pluralità di parametri. Fra questi, ben più che le dimensioni del volume d'affari della società, le attività concretamente e specificamente svolte in assolvimento dell'incarico, la durata dello stesso, ed il compenso riconosciuto per analoghe prestazioni ad altri amministratori. Trib. Milano, sez. VIII, 30 giugno 2008, n. 8611,Giustizia a Milano 2008, 7-8, 53. (7968/72). In tema di determinazione del compenso dell'amministratore (cui è pacificamente equiparato il liquidatore), la competenza assembleare è esclusiva e inderogabile. In alternativa alla competenza assembleare, pertanto, vi è solo la possibilità di richiedere la determinazione del compenso in sede giudiziale. Trib. Milano, 13 maggio 2004, Giustizia a Milano 2004, 54. (7968/72). 5. La rinuncia al compenso. Giurisprudenza consolidata. - Deve considerarsi sussistere la rinuncia dell'amministratore a percepire il compenso per le prestazioni effettuate allorquando l'assemblea non ha deliberato di remunerare l'attività amministrativa dell'amministratore, non risultano a bilancio (redatto anche dal reclamante) le voci per i compensi agli amministratori e non siano mai state rivolte pretese per tutta la durata dell'incarico e per ampio tempo successivo. Trib. Milano, sez. VIII, 15 ottobre 2008, n. 12072, Giustizia a Milano 2008, 10, 71. (7968/72). Quando l'organo assembleare omette di determinare il compenso spettante agli amministratori non si ravvisa alcuna rinuncia preventiva da parte dell'avente diritto, manifestata attraverso l'accettazione della nomina nella consapevolezza della gratuità del mandato, o alcuna deroga bilaterale al diritto al compenso nascente dalla legge e non escluso dallo statuto. Trib. Pescara, 19 maggio 2004. (7968/72). 6. L'impugnazione della delibera di determinazione del compenso. - A fronte dell'attribuzione all'amministratore di compensi sproporzionati o in misura eccedente i limiti della discrezionalità imprenditoriale, è possibile impugnare la delibera dell'assemblea della società di capitali per abuso o eccesso di potere, sotto il profilo della violazione del dovere di buona fede in senso oggettivo o di correttezza, giacché una tale deliberazione si dimostra intesa al perseguimento della prevalenza di interessi personali estranei al rapporto sociale, con ciò danneggiando gli altri partecipi al rapporto stesso. In tal caso al giudice è affidata una valutazione che è diretta non ad accertare, in sostituzione delle scelte istituzionalmente spettanti all'assemblea dei soci, la convenienza o l'opportunità della delibera per l'interesse della società, bensì ad identificare, nell'ambito di un giudizio di carattere relazionale, teso a verificare la pertinenza, la proporzionalità e la congruenza della scelta, un vizio di illegittimità desumibile dalla irragionevolezza della misura del compenso stabilita in favore dell'amministratore, occorrendo a tal fine avere riguardo, in primo luogo, alla natura e alla ampiezza dei compiti dell'amministratore ed al compenso corrente nel mercato per analoghe prestazioni, in relazione a società di analoghe dimensioni, e, ma in funzione complementare, alla situazione patrimoniale e all'andamento economico della società. Cass. civ., sez. I, 17 luglio 2007, n. 15942, Giust. civ. Mass. 2007, 7-8. (7968/72). La delibera di una società per azioni, avente ad oggetto l'attribuzione ai propri amministratori di un compenso, la cui entità non trova giustificazione alla luce dell'andamento degli affari e delle pregresse determinazioni assunte sull'argomento dalla stessa società, risultando precipuamente finalizzata alla spoliazione del soci di minoranza, è viziata da conflitto di interessi ove sia assunta con il voto determinante di altra s.p.a. socia, controllata da un consigliere di amministrazione della prima. Trib. Milano, 1 febbraio 2005, Giur. it. 2005, 2110. (7968/72). È annullabile per abuso di potere la deliberazione assembleare in cui l'assemblea deliberi un compenso eccessivo ed irragionevole all'amministratore. Trib. Milano, 19 novembre 2001, Giur. it. 2002, 1438. (7968/72). 2390. Divieto di concorrenza (1). – [I]. Gli amministratori non possono assumere la qualità di soci illimitatamente responsabili in società concorrenti, né esercitare un'attività concorrente per conto proprio o di terzi, né essere amministratori o direttori generali in società concorrenti, salvo autorizzazione dell'assemblea. [II]. Per l'inosservanza di tale divieto l'amministratore può essere revocato dall'ufficio e risponde dei danni. (1) V. nota al Capo V. Sommario: 1. Introduzione. - 2. La casistica. 1. Introduzione. – La norma è posta a tutela del rapporto fiduciario che deve intercorrere tra amministratore-società. 2. La casistica. - La ricorrenza del conflitto d'interessi va riconosciuta in esito ad una valutazione sostanziale che esamini il profilo fattuale del rapporto fra società e socio, in direzione della tutela da atti arbitrari e dotati di finalità "oblique", richiedendosi comunque l'accertamento di un conflitto attuale e concreto, a differenza dell'art. 2390 c.c., che si arresta invece alla evidenza della potenzialità pura del conflitto (nella specie, il decreto è stato emesso nel procedimento ex art. 2378 in relazione all'art. 2373 c.c.). Trib. Monza, 15 novembre 2002, Giur. merito 2003, 462. (7968/84). L'amministratore unico di una società a responsabilità limitata viola il divieto di non concorrenza se assume la qualità di socio illimitatamente responsabile di una società concorrente, indipendentemente dal concreto esercizio da parte di quest'ultima di attività imprenditoriale. Trib. Napoli, 19 gennaio 1999, Foro napoletano 1999, 54. (7968/84). Deve considerarsi inammissibile un intervento esterno ex art. 2409 c.c. nei confronti dell'amministratore che abbia violato l'obbligo di non concorrenza. Trib. Catania, 2 febbraio 1991, Giur. comm. 1992, II, 1029. L'art. 2390 c.c. che prevede il divieto per l'amministratore di assumere la qualità di socio illimitatamente responsabile in società concorrente o di esercitare comunque attività concorrente, può essere utilizzato al fine della configurazione di quel fondato sospetto di grave irregolarità che giustifica ai sensi dell'art. 2409 c.c., l'adozione di provvedimenti cautelari. Trib. Napoli, 9 ottobre 1986, Giur. merito 1987, 1197, Dir. e giur. 1986, 819. (7968/84). L'effettivo ambito del patto di non concorrenza è quello significato nel testo della lettera agli atti, che contiene la diretta enunciazione alla società attrice degli impegni non concorrenziali assunti dai convenuti verso l'attrice stessa, mentre l'attività vietata, oggetto del predetto patto, risulta consistere sia nella "promozione/sollecitazione" sia nella "fornitura" del servizio in concorrenza. Manca, innanzitutto, la prova della sussistenza di un'attività di promozione - sollecitazione presso i clienti che l'attrice pretende stornati. Parte attrice, poi, ai fini del riconoscimento del danno conseguente al preteso storno di quattro dipendenti, non ha, altresì, dimostrato nè descritto, quanto meno, quale fosse il complesso della propria organizzazione aziendale e come il predetto preteso storno abbia creato problemi di disgregazione e disorganizzazione. Inoltre, nella fattispecie parte attrice non è stata neppure in grado di evidenziare il benché minimo concreto indice di un subito danno, tanto da richiedere la liquidazione "equitativa" in una misura del tutto apodittica. Infine, manca la prova della violazione del divieto di concorrenza di cui all'art 2390 c.c. Difatti, risulta pacifico che il convenuto abbia collaborato con altra società nel tempo in cui egli era ancora amministratore della società attrice e che essa esercitava attività rientranti tra quelle esercitabili anche dall'attrice medesima. Trib. Milano, 17 marzo 2005, Giustizia a Milano 2005, 55. (7968/84). È illecita la concorrenza attuata da una società composta da soggetti che siano contemporaneamente soci ed ex-amministratori di altra impresa concorrente, quando detta concorrenza sia stata già programmata dai medesimi soci all'epoca in cui detenevano ancora cariche amministrative, sia proseguita sfruttando una situazione di ambiguità derivante dalla identificazione abituale dei soci stessi presso clienti o fornitori con la società di provenienza e sia stata, infine, attuata con modalità denigratorie della concorrente. Trib. Monza, 14 marzo 2005, Giur. comm. 2007, 3, 669. (7968/84). L'obbligo di non concorrenza imposto dall'art. 2390 c.c. è violato dagli amministratori di una società bolding che ricoprano analoga carica in altra società concorrente con società operativa controllata dalla bolding. Trib. Mantova, 26 novembre 1992, Foro padano 1993, I, 101. (7968/84). Non si pone in concorrenza con la società l'amministratore che diventa amministratore unico di un'altra società con diverso oggetto sociale. App. Milano, 10 giugno 1991, Giur. it. 1992, I, 2, 235. (7968/84). 2391. Interessi degli amministratori (1). – [I]. L'amministratore deve dare notizia agli altri amministratori e al collegio sindacale di ogni interesse che, per conto proprio o di terzi, abbia in una determinata operazione della società, precisandone la natura, i termini, l'origine e la portata; se si tratta di amministratore delegato, deve altresì astenersi dal compiere l'operazione, investendo della stessa l'organo collegiale; se si tratta di amministratore unico, deve darne notizia anche alla prima assemblea utile (2). [II]. Nei casi previsti dal precedente comma la deliberazione del consiglio di amministrazione deve adeguatamente motivare le ragioni e la convenienza per la società dell'operazione. [III]. Nei casi di inosservanza a quanto disposto nei due precedenti commi del presente articolo ovvero nel caso di deliberazioni del consiglio o del comitato esecutivo adottate con il voto determinante dell'amministratore interessato, le deliberazioni medesime, qualora possano recare danno alla società, possono essere impugnate dagli amministratori e dal collegio sindacale entro novanta giorni dalla loro data; l'impugnazione non può essere proposta da chi ha consentito con il proprio voto alla deliberazione se sono stati adempiuti gli obblighi di informazione previsti dal primo comma. In ogni caso sono salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi in base ad atti compiuti in esecuzione della deliberazione. [IV]. L'amministratore risponde dei danni derivati alla società dalla sua azione od omissione. [V]. L'amministratore risponde altresì dei danni che siano derivati alla società dalla utilizzazione a vantaggio proprio o di terzi di dati, notizie o opportunità di affari appresi nell'esercizio del suo incarico. (1) V. nota al Capo V. (2) Le parole da « , se si tratta » alla fine del comma sono state aggiunte dall'art. 11 d.lgs. 28 dicembre 2004, n. 310. Sommario: 1. Introduzione. - 2. Portata della norma. - 3. La differenza con la disciplina in ambito di s.r.l. Giurisprudenza di merito. - 4. Effetti della norma sulle delibere. - 5. La responsabilità per la mancata astensione dell'amministratore conflittato. Giurisprudenza di legittimità. - 6. Rapporto con l'art. 1394 c.c. 1. Introduzione. – La norma prevede un obbligo di disclousure in capo agli amministratori conflittati, differentemente da quanto previsto per i soci. La Riforma ha profondamente mutuato la norma. 2. Portata della norma. - L'amministratore di una società facente parte di un gruppo deve perseguire prioritariamente l'interesse di questa, tenendo però conto di valutazioni afferenti alla conduzione del gruppo nel suo insieme, sempre che non vengano ingiustificatamente pregiudicati gli interessi della società, cioè valutando non soltanto l'effetto patrimoniale immediatamente negativo di un determinato atto di gestione, ma altresì gli eventuali riflessi positivi che ne possono derivare in conseguenza della partecipazione della singola società ai vantaggi che quell'atto abbia arrecato al gruppo di appartenenza. Cass. civ., sez. I, 24 agosto 2004, n. 16707, Giur. comm. 2005, II, 246. (7968/96). La violazione del dovere di non agire in conflitto di interessi con la società amministrata, indipendentemente dall'esistenza di un danno, costituisce grave irregolarità denunziabile al tribunale (nella specie: a) gli amministratori avevano favorito con il loro comportamento omissivo una società concorrente; b) avevano consentito il depauperamento del patrimonio sociale sovrastimando un conferimento in natura effettuato in sede di aumento di capitale; c) avevano proposto all'assemblea una transazione della società con un ex amministratore a condizioni notevolmente sfavorevoli per la società. Trib. Roma, 13 luglio 2000, Giur. it. 2000, 2103. (7968/96). Non costituisce grave irregolarità sotto il profilo della violazione del principio generale sancito dall'art. 2391 comma 1 c.c. norma applicabile anche all'amministratore unico, la stipulazione da parte dello stesso di un contratto che miri al soddisfacimento di un interesse comune alla totalità dei soci. Trib. Como, 30 ottobre 1998, Giur. it. 1999, 1890. (7968/96). 3. La differenza con la disciplina in ambito di s.r.l. Giurisprudenza di merito. - L'art. 2475 ter c.c. a differenza del vigente art. 2391 c.c. che, per le società per azioni, si limita a chiedere il riscontro di un interesse personale dell'amministratore (anche non confliggente) e la prospettiva meramente "potenziale" del correlativo danno alla società - sanziona le fattispecie ove siano preliminarmente dimostrate tre condizioni: esse sono date dalla contemporanea esistenza di un conflitto di interessi "effettivo" in capo all'amministratore; di un suo voto "determinante" ai fini dell'approvazione della contestata delibera consiliare; di un danno "reale" cagionato alla società con tale decisione. Tale norma si occupa del pregiudizio subito dalla società anziché dai suoi soci donde la legittimazione attiva prevista dall'art. 2475 ter comma 2 c.c., risulta testualmente affidata ai soli amministratori ed ai sindaci, sempreché quest'ultimi vi siano. In altri termini, per le società a responsabilità limitata manca una disposizione esplicita corrispondente a quella viceversa prevista dall'art. 2388 comma 4 c.c. che, nelle società per azioni autorizza altresì i soci ad impugnare "in proprio" le delibere dei c.d.a., ove riconosciute "lesive dei loro diritti", applicandosi, in tal caso, in quanto compatibili, gli art. 2377 e 2378 c.c. Trib. Bologna, sez. IV, 20 ottobre 2006, n. 2412, Il merito 2007, 5, 39. (7968/96). 4. Effetti della norma sulle delibere. - La delibera del consiglio di amministrazione di società di capitali, impugnata dai componenti del consiglio assenti o dissenzienti, per conflitto di interessi tra la maggioranza degli amministratori e la società è invalida sempre che sussista, in concreto, il conflitto di interessi, nonché se dall'esecuzione della delibera stessa possa derivare in concreto un danno per la società o per i soci (nella specie la domanda di annullamento è stata rigettata in quanto la delibera aveva ad oggetto la sorte dei diritti edificatori di una cooperativa edilizia, ed era stata successivamente modificata dal consiglio medesimo). Trib. Napoli, 26 aprile 2006, Corriere del merito 2006, 8-9, 988. (7968/96). Ai fini dell'impugnazione della delibera del consiglio di amministrazione a norma dell'art. 2391 c.c., testo previgente, è necessario non solo che la stessa sia stata adottata con il voto determinante di un amministratore in conflitto di interessi ma sia in grado anche, di per sé, di arrecare danno alla società. Trib. Roma, 11 marzo 2005, Foro it. 2006, 1, 293. (7968/96). Le deliberazioni del consiglio di amministrazione di una s.p.a. sono atti negoziali e pertanto, se sono viziate nel procedimento o nel contenuto, sono impugnabili, oltre che nell'ipotesi di conflitto di interessi, anche per analogia con quanto le norme dispongono relativamente alle deliberazioni assembleari. Trib. Milano, 23 dicembre 1996, Giur. it. 1997, I,2, 684. (7968/96). È ammissibile l'impugnazione per conflitto di interessi della delibera con cui un Consiglio d'amministrazione di una società per azioni abbia nominato e/o sostituito il presidente e/o l'amministrazione delegato (e modificato le attribuzioni e le modalità d'esercizio della delega ad amministrare): tanto in quanto il carattere c.d. neutro delle delibere concernenti gli organi societari non osta - in via di principio - alla impugnabilità ex art. 2391 c.c. delle stesse, poiché, anche in assenza della diretta riferibilità a determinate operazioni, ben può il giudice - ove ne ricorrano i presupposti - individuare il reale carattere operativo (e non quello apparentemente neutro) effettivamente perseguito dalle medesime delibere per ciò stesso impugnabili (ed, anche, eventualmente sospendibili). Trib. Roma, 25 gennaio 1995, Riv. dir. comm. 1995, II, 455. (7968/96). Non può ipotizzarsi il conflitto di interessi di cui all'art. 2391 c.c. fra l'amministratore e la società quando lo stesso amministratore partecipi alla deliberazione quale rappresentante di un socio, ove non si dimostri in concreto che senza il suo voto si sarebbe potuto trovare una soluzione più conveniente. App. Roma, 7 dicembre 1994, Dir. fall. 1995, II, 267. (7968/96). La circostanza che l'organo collegiale di amministrazione di una società di capitali, nell'ambito del potere statutario di aderire o meno al proposito del socio di cedere ad altri le sue azioni, si esprima favorevolmente, senza però indicare od esigere l'indicazione del promissario acquirente, non priva la relativa delibera degli essenziali requisiti di contenuto, atteso che quell'omissione si traduce in un apprezzamento negativo, ai fini del gradimento, dell'influenza dell'identificazione del nuovo socio: la delineata evenienza non può, pertanto, comportare inesistenza o nullità assoluta della delibera, ma si esaurisce in uno scorretto esercizio del suddetto potere da parte degli amministratori e la tutela della società resta affidata all'azione di responsabilità contro gli amministratori, secondo le previsioni dell'art. 2392 c.c., tenendo anche conto che l'impugnazione delle delibere del consiglio di amministrazione - nei casi e nei tempi contemplati dall'art. 2391 c.c. - è rimedio accordato solo agli amministratori assenti o dissenzienti ed ai sindaci ed estensibile solo in favore dei soci che subiscono diretta lesione dei propri diritti. Cass. civ., sez. I, 15 novembre 1993, n. 11278, Giust. civ. 1994, I, 1583. (7968/96). Il potere dei sindaci di impugnare le deliberazioni dell'assemblea e del consiglio di amministrazione, previsto dagli art. 2377 e 2391 c.c. è espressione del più ampio dovere di vigilanza riconosciuto al collegio sindacale dall'art. 2403 c.c. e non cessa con l'apertura della fase di liquidazione; conseguentemente, tenuto conto dell'interesse pubblicistico che circonda le norme sul bilancio, non sembrano sussistere ragioni per negare al collegio sindacale il potere di impugnare il bilancio finale di liquidazione. Trib. Verona, 8 giugno 1993, Società 1994. (7968/96). 5. La responsabilità per la mancata astensione dell'amministratore conflittato. Giurisprudenza di legittimità. - Ai fini della responsabilità dell'amministratore di una società ex art. 2391 comma 2 c.c., per non essersi astenuto dal voto sulla deliberazione con cui gli vengono affidati lavori in appalto, non basta che le opere siano state realizzate dall'appaltatore - per personali attitudini o per il concorso di particolari circostanze a lui favorevoli - con costi minori di quelli contabilizzati, ma deve fornirsi la prova del danno "ingiusto" cagionato alla società, e cioè dell'eccessività del corrispettivo pattuito rispetto a quello di norma effettivamente praticato per opere del medesimo tipo o, comunque, della concreta possibilità di realizzare tali opere mediante altre imprese a condizioni più vantaggiose per la committente. Cass. civ., sez. I, 22 dicembre 1993, n. 12700, Giust. civ. Mass. 1993, fasc. 12. (7968/96). Ai fini della sussistenza della responsabilità degli amministratori per la loro partecipazione ad una delibera riguardante un'operazione in conflitto di interessi con la società, è sufficiente che tale operazione presenti una utilità per la controparte nella quale i suddetti amministratori abbiano un interesse, risultando ininfluente, a tal fine, la valutazione delle scelte gestionali e delle ragioni che hanno indotto gli amministratori a compierle, posto che, in presenza di un conflitto di interessi, la fonte della responsabilità è costituita dal compimento dell'azione in sè e per sè considerata, dalla sua illegittimità conseguente all'essere stata compiuta in violazione di precisi canoni generali e specifici di comportamento, e dalla dannosità della scelta gestionale, senza che, peraltro, possa rilevare il merito di tale scelta. Cass. civ., sez. I, 4 aprile 1998, n. 3483, Giust. civ. Mass. 1998, 727. (7968/96). 6. Rapporto con l'art. 1394 c.c. – L'incidenza del conflitto di interessi ai fini dell'annullabilità del contratto stipulato dal rappresentante organico, senza previa delibera del Consiglio, non deve essere regolata sulla base dell'art. 2391 c.c. che, riferendosi al conflitto in sede deliberativa, concerne l'esercizio del potere di gestione in un momento anteriore rispetto a quello in cui l'atto è posto in essere, bensì della disciplina generale di cui all'art. 1394 c.c. Al riguardo, costituendo il divieto per gli amministratori di agire in conflitto d'interessi un limite derivante da una norma di legge, la sua rilevanza esterna non è subordinata ai presupposti stabiliti dal comma 2 art. 2384 c.c., il cui ambito di applicazione deve essere ristretto alle sole limitazioni del potere di rappresentanza che hanno la propria fonte nell'autonomia privata. Cass. civ., sez. I, 26 gennaio 2006, n. 1525, Riv. notariato 2006, 4, 1077. (7968/96). La specialità dell'art. 2391 c.c. rispetto alla normativa dettata dall'art. 1394 c.c. non riguarda l'intera disciplina dell'esercizio dell'azione di annullamento del contratto concluso in conflitto di interessi, limitandosi il comma 3 dell'art. 2391 c.c. ad aggiungere (e non sostituire) all'ordinario termine quinquennale di prescrizione un termine preliminare di decadenza di tre mesi per l'impugnazione della delibera viziata da parte degli amministratori assenti o dissenzienti, ovvero da parte dei sindaci. Infatti, la norma sul conflitto di interessi nell'amministrazione pluripersonale non è articolata in funzione del regime giuridico del contratto concluso in tali condizioni, ma è incentrata sul profilo della responsabilità degli amministratori che hanno agito in conflitto di interessi, di tal che per la disciplina del negozio concluso in conflitto di interessi devono richiamarsi i principi generali di cui all'art. 1394 c.c. (conflitto di interessi e mancanza di buona fede dei terzi contraenti). Trib. Foggia, 14 gennaio 2003, Giur. merito 2003, 1736. (7968/96). La disciplina dell'atto compiuto dall'amministratore unico in nome della società ed in conflitto d'interessi con la stessa si rinviene nell'art. 1394 c.c., e non nel successivo art. 2391, che presuppone, per la sua applicabilità, l'esistenza di una delibera consiliare. Cass. civ., sez. I., 10 aprile 2000, n. 4505, Giust. civ. Mass. 2000, 764. (7968/96). La norma dell'art. 1394 c.c. rappresenta un principio generale applicabile anche quando il conflitto sorga fra società ed amministratore unico, mentre non trova applicazione in presenza di una deliberazione del consiglio di amministrazione, ricadendo tale fattispecie nella previsione dell'art. 2391 c.c. Trib. Catania, 9 settembre 1999, Riv. dir. comm. 2001, II, 37. (7968/96). In tema di conflitto di interessi per amministratori e società di capitali (o cooperative), le norme di cui agli art. 1394 e 2391 c.c. si pongono in una relazione di reciproca esclusione, ciascuna avendo un proprio ambito di applicazione. L'art. 2391 c.c. copre ogni ipotesi in cui sussista un consiglio di amministrazione della società, mirando all'annullamento della delibera e del contratto concluso in esecuzione di essa, laddove l'art. 1394 c.c. può trovare applicazione nei rapporti fra società di capitali ed amministratori nei casi in cui non vi sia scissione tra potere rappresentativo della volontà della società e potere deliberativo (vale a dire nei casi di amministratore unico o di amministratore delegato, allorché il negozio da quest'ultimo posto in essere rientri nell'ambito dei limiti di competenza previsti dalla delega). Trib. Napoli, 1 luglio 1996, Società 1997, 291. (7968/96). L'art. 1394 c.c., relativo al conflitto di interessi fra rappresentante e rappresentato, è applicabile in caso di conflitto d'interessi tra amministratore e società, per lo meno quando non sia applicabile l'art. 2391, il che appunto si verifica quando si debba decidere in ordine ad una società di persone. Cass. civ., sez. I, 24 giugno 1995, n. 7166, Giur. it. 1996, I, 1, 788. (7968/96). Nell'ipotesi di amministrazione collegiale, la specialità dell'art. 2391 c.c., rispetto alla disciplina generale delineata dall'art. 1394 c.c., non riguarda l'intera disciplina dell'esercizio dell'azione di annullamento del contratto concluso in conflitto di interessi con la società rappresentata, limitandosi il comma 3 dell'art. 2391 ad aggiungere (e non sostituire) all'ordinario termine quinquennale di prescrizione un termine preliminare di decadenza di tre mesi dalla delibera. Trib. Roma, 25 febbraio 1995, Società 1995, 1339. (7968/96). 2391 bis. Operazioni con parti correlate (1). – [I]. Gli organi di amministrazione delle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio adottano, secondo principi generali indicati dalla CONSOB, regole che assicurano la trasparenza e la correttezza sostanziale e procedurale delle operazioni con parti correlate e li rendono noti nella relazione sulla gestione; a tali fini possono farsi assistere da esperti indipendenti, in ragione della natura, del valore o delle caratteristiche dell'operazione. [II]. I principi di cui al primo comma si applicano alle operazioni realizzate direttamente o per il tramite di società controllate e disciplinano le operazioni stesse in termini di competenza decisionale, di motivazione e di documentazione. L'organo di controllo vigila sull'osservanza delle regole adottate ai sensi del primo comma e ne riferisce nella relazione all'assemblea. (1) Articolo inserito dall'art. 12 d.lgs. 28 dicembre 2004, n. 310 1. L'indirizzo della Consob. La Consob ha individuato, inter alia, i criteri di individuzione delle operazioni rilevanti e il ruolo degli amministratori indipendenti. Consob, 9 aprile 2008. 2392. Responsabilità verso la società (1). – [I]. Gli amministratori devono adempiere i doveri ad essi imposti dalla legge e dallo statuto con la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico e dalle loro specifiche competenze. Essi sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall'inosservanza di tali doveri, a meno che si tratti di attribuzioni proprie del comitato esecutivo o di funzioni in concreto attribuite ad uno o più amministratori. [II]. In ogni caso gli amministratori, fermo quanto disposto dal comma terzo dell'articolo 2381, sono solidalmente responsabili se, essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli, non hanno fatto quanto potevano per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose. [III]. La responsabilità per gli atti o le omissioni degli amministratori non si estende a quello tra essi che, essendo immune da colpa, abbia fatto annotare senza ritardo il suo dissenso nel libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio, dandone immediata notizia per iscritto al presidente del collegio sindacale. (1) V. nota al Capo V. Sommario: 1. Introduzione. - 2. Sulla natura del rapporto amministratori – società. Giurisprudenza consolidata. - 3. Criteri di identificazione della responsabilità e del danno risarcibile. - 3.1. La verifica del grado di diligenza in genarale. Giurisprudenza consolidata. – 3.2. la natura dell'incarico. – 3.3. Le specifiche competenze. – 3.4. La responsabilità foriera (o meno) di danni nella casistica giurisprudenziale. Giurisprudenza consolidata. – 4. L'onere della prova della responsabilità. Giurisprudenza consolidata. - 5. Le esenzioni di responsabilità di cui al comma 3. Giurisprudenza consolidata.- 6. Il carattere solidale della responsabilità. Giurisprudenza consolidata. 1. Introduzione. – La Riforma, con il nuovo testo dell'art. 2392 c.c., ha eliminato ogni obsoleto rinvio alla disciplina del mandato, chiarendo che gli amministratori di una s.p.a. sono tenuti, sotto pena di responsabilità civile, ad agire secondo la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico e dalle loro specifiche competenze. Le modifiche della Riforma traggono spunto dall'orientamento giurisprudenziale per cui si era criticato il riferimento alla diligenza del buon padre di famiglia prevista per il mandatario, in particolare per la posizione non meramente occasionale, come può essere quella di un mandatario, seppure generale, bensì di inserimento stabile ed istituzionale all'interno di un'organizzazione imprenditoriale, il tutto con un forte carattere di professionalità e di perizia tecnica specifica (come accade normalmente nel caso dei manager delle grandi società di capitali. Cass. civ., sez. I, 4 aprile 1998, n. 3483, Giur. it. 1999, 324; Trib. Milano 2 marzo 1995, Società 1996, 57; Trib. Milano, 14 settembre 1992, Società 1993, 511. (7968/12). 2. Sulla natura del rapporto amministratori – società. Giurisprudenza consolidata. – La giurisprudenza aderisce alla concezione della responsabilità contrattuale degli amministratori, ritenendo che essa possa discendere anche dalla violazione di obblighi nascenti da situazioni (non già di contratto, bensì) di semplice contatto sociale, ogni qual volta l’ordinamento imponga ad un soggetto di tenere, in tali situazioni, un determinato comportamento. Cass. civ., sez. III, 19 aprile 2006, n. 9085, Giust. civ. Mass. 2006, 4; Cass. civ., sez. III, 24 maggio 2006, n. 12362, Giust. civ. Mass. 2006, 5; Cass. civ., sez. III, 28 maggio 2004, n. 10297, Giust. civ. Mass. 2004, 5, Foro it. 2005, I, 2479, Giust. civ. 2005, 6, I, 1601; Cass. civ., sez. III, 28 maggio 2004, n. 10297, Giust. civ. Mass. 2004, 5. (7968/12). 3. Criteri di identificazione della responsabilità e del danno risarcibile. – Ai fini della valutazione della responsabilità dell'amministratore bisogna commisurare il comportamento dello stesso ai parametri stabiliti dalla norma in commento. Altra cosa è, invece, la valutazione di produttività di danno di un determinato comportamento colposo dell'amministratore. Come spesso accade, infatti, pur in presenza di un comportamento non in linea con i parametri di diligenzi richiesti dall'incarico, l'amministratore non sarà condannabile per danni arrecati alla società, ai creditori, ai soci o ai terzi, mancando, appunto, il danno risarcibile. 3.1. La verifica del grado di diligenza in generale. Giurisprudenza consolidata. - Che la diligenza costituisca propriamente l’oggetto dell’obbligazione gravante sugli amministratori, piuttosto che il metro per valutare il corretto adempimento del loro obbligo gestorio, è stato in verità messo in dubbio, giacché il primo comma dell’art. 2392 cod. civ. sembra riferirsi alla diligenza come alla modalità con cui gli amministratori devono adempiere i loro doveri e non al contenuto di questi. La giurisprudenza ha però osservato che il tema della diligenza resti centrale, proprio perchè è evidente che l’obbligo di amministrare in via continuativa una società di capitali, ossia un’impresa creata a fini di lucro, difficilmente si presta ad esser totalmente inadempiuto, ma piuttosto è suscettibile di dar luogo a difformi valutazioni quanto al modo del suo adempimento: cioè, appunto, al grado di diligenza con cui l’amministratore vi ha atteso Cass. civ., sez. I, 24 agosto 2004, n. 16707, Giur. comm. 2005, II, 246. (7968/12). La verifica del grado di diligenza con cui l’amministratore ha adempiuto i propri compiti non può, né deve, sconfinare in un sindacato di merito sull’opportunità delle scelte gestionali (cd. Business judgement rule), che al giudice non è consentito svolgere. Il principio è assolutamente consolidato come, tra le tantissime, statuito da: Cass. Civ. 27 luglio 1978, n. 3768; Cass. Civ. 6 marzo 1970, n. 558. (7968/12). Né, in alcun modo, potrebbe essere censurato l'operato dell’amministratore, per il semplice motivo che la società da egli gestita avrebbe registrato delle perdite, ma sono la mancata adozione di quelle cautele o il mancato rispetto di quei canoni che divengono perciò apprezzabili in termini di inesatto adempimento dell’obbligazione gravante sul gestore. Cass. civ., sez. I, 24 agosto 2004, n. 16707, Giur. comm. 2005, II, 246; Cass. civ., sez. I, 28 aprile 1997, n. 3652, Società, 1997, 1389; Trib. Milano, 14 aprile 2004, Giur. it. 2004, 1897; Trib. Milano, 10 febbraio 2000, Giur. comm. 2001, II, 326; Trib. Milano, 20 marzo 2003, Società 2003, 1268. (7968/12). In altre parole, la pretesa violazione del dovere di amministrare con diligenza non può essere semplicemente desunta dai risultati negativi di gestione, giacché per quanto penetrante possa essere il controllo giurisdizionale è indubbio che trovi un limite nella discrezionalità imprenditoriale. È solo l'eventuale omissione, da parte dell'amministratore, di quelle cautele, di quelle verifiche o di quelle informazioni preventive normalmente richieste per una scelta di quel genere che può configurare la violazione dell'obbligo di adempiere con diligenza il mandato di amministrazione e può quindi generare una responsabilità contrattuale dell'amministratore verso la società. Trib. Milano, 2 maggio 2007, n. 5181, Corriere del merito 2007, 10, 1116. (7968/12). 3.2. La natura dell'incarico. – Sulla natura dell'incarico, pur non rinvenendosi specifici precedenti giurisprudenziali, sembra sostenibile il rifierimento alla natura dell'incarico ex art. 1176 c.c. 3.3. Le specifiche competenze. – Il Legislatore della Riforma ha inserito anche questo ulteriore elemento di valutazione del comportamento degli amministratori, che attiene al gradio di professionalità dell'amministratore. 3.4. La responsabilità foriera (o meno) di danni nella casistica giurisprudenziale. Giurisprudenza consolidata. – L'acclarato inadempimento dell'amministratore può anche non essere foriero di danni per la società, ragion per cui in un eventuale giudizio di responsabilità l'Organo Giudicante potrebbe trovarsi in una situazione in cui, preso atto dell'inadempimento, non può statuire la relativa sentenza di condanna. L'eventuale esistenza di una denunciata violazione di legge può costituire presupposto idoneo all'accertamento di una responsabilità risarcitoria degli amministratori solo se si accompagna alla prova, indispensabile in ogni azione di risarcimento del danno, che da tali e siffatte violazioni siano direttamente derivati pregiudizi al patrimonio sociale Cass. Civ,. 22 ottobre 1998, n. 10488, Giust. civ. Mass. 1998, 2151. (7968/12). Illuminante sull'argomento è stata la sentenza con la quale la Corte d'Appello di Genova, pur esordendo affermando che "non può dubitarsi che l'occultamento di una massa così ingente di beni (omissis) sia di per sé fonte specifica ed autonoma di danno per la società" scende poi ad un'analisi in concreto dell'utilizzo che l'amministratore aveva fatto di tali "fondi neri", ha affermato la responsabilità perché i fondi risultarono essere stati impiegati a favore di terzi diversi dalla società amministrata e, quindi, risultarono impiegati in conflitto di interessi (si trattava di compensi ad amministratori e contributi a fondi di solidarietà; di pagamenti a sé stesso; di esborsi a favore di società controllate; di pagamenti senza indicazione di causale; di integrazioni di stipendi, gratifiche e liquidazioni di dipendenti; del trasferimento ad altre società del residuo di tali "fondi neri"). Anche in questo caso, dunque, sebbene si trattasse di un giudizio per la condanna generica ai danni, i giudici non hanno fatto derivare la responsabilità degli amministratori dal semplice accertamento delle irregolarità contabili (che, malgrado l'esordio della sentenza non costituiscono un depauperamento del patrimonio sociale), ma dall'utilizzo dei "fondi neri" posto in essere in conflitto di interessi. App. Genova, 5 luglio 1986, Giur. comm. 1988, II, 730. (7968/12). La circostanza, dunque, che la documentazione conservata agli atti di una società non sia conforme alle prescrizioni di legge può costituire motivo di responsabilità per gli amministratori a carico dei quali sono posti gli obblighi legali di tenuta di dette scritture, solo e soltanto laddove ne sia derivato un danno per la società medesima, per i creditori sociali o per i terzi. Trib. Ivrea, 10 maggio 2006, Giur. it. 2006, 12, 2313. (7968/12). Va da sé che le sopravvalutazioni possono danneggiare la società, i soci o terzi indotti da bilanci falsamente ottimistici a sottoscrivere o ad acquistare azioni (o diritti di opzione) a prezzo insostenibile. Classico esempio di danno alla società per una siffatta violazione, è l'esposizione della società a tassazione per utili mai conseguiti. In tal caso agli amministratori potrebbe essere imputabile la responsabilità delle sanzioni amministrative irrogate per l’omesso versamento degli oneri contributivi ed assistenziali, ma per fare ciò occorre dimostrare le ragioni per le quali la società non è stata in grado di versare detti contributi ed ha subito le conseguenti sanzioni. Trib. Milano 12 ottobre 2005, Giur. it. 2006, 303. (7968/12). In costanza di una perdita che riduce il capitale al di sotto del minimo legale il danno non è costituito dalla mancata convocazione dell’assemblea in sé considerata, ma dalle ulteriori perdite in cui la società sia incorsa per aver proseguito la gestione pur dopo che gli amministratori sapevano, o dovevano sapere, che si era verificata una perdita di oltre un terzo del capitale sociale. Invero, anche se gli amministratori avessero tempestivamente convocato l’assemblea, non è detto che quest’ultima avrebbe preso dei provvedimenti che avrebbero evitato perdite ulteriori. Trib. Milano, 3 marzo 1999, Società 1988, 618. (7968/12). Tale argomento si ricollega al divieto di nuove operazioni dell'art. 2449 c.c. ante Riforma, mutuato nella nuova disciplina dell'art. 2485 c.c. In tal modo, il legislatore ha esplicato un concetto già enunciato dalla giurisprudenza, che aveva ripetutamente chiarito che non integravano nuove operazioni vietate gli atti di impresa strumentali alla conservazione del patrimonio ed alle necessità inerenti alla liquidazione delle attività sociali. Cass. civ., 12 giugno 1997, n. 5275, Foro it. 1997, I, 2907; Cass. civ., 19 settembre 1995, n. 9887, Società 1996, I, 2873. (7968/12). 4. L'onere della prova della responsabilità. Giurisprudenza consolidata. - Costituisce orientamento risalente e costante della giurisprudenza quello per cui nei casi in cui si invochi la responsabilità degli amministratori per violazione di uno specifico obbligo, l'attore dovrà provare solo l'inadempimento dell'organo gestorio e che da tale inadempimento sia derivato un danno, senza che sia necessario accertare o provare la colpa degli amministratori (Trib. Milano, 22 dicembre 1983; Trib. Milano, 16 marzo 1972 (7968/12)) spettando invece a costoro l'onere di provare i fatti che valgono ad escludere o ad attenuare la loro responsabilità. (Cass. civ., 9 luglio 1979, n. 3925; Cass. civ., 22 novembre 1971, n. 3371; Trib. Pisa, 9 aprile 1980 (7968/12)). 5. Le esenzioni di responsabilità di cui al comma 3. Giurisprudenza consolidata. – Il terzo comma dell'articolo in commento continua a prevedere che, per sottrarsi a responsabilità derivanti da deliberazioni consiliari, l’amministratore deve fare annotare il suo dissenso nel libro delle adunanze e deliberazioni del consiglio d’amministrazione e darne avviso al presidente del collegio sindacale. Non è quindi sufficiente che egli si astenga dal voto inerente alla deliberazione pregiudizievole, ma occorre che, al momento della deliberazione stessa, esprima il proprio dissenso, lo faccia annotare a verbale e lo comunichi per iscritto al presidente del collegio sindacale; ed occorre inoltre che, nella fase di attuazione, egli vigili ed intervenga per eliminare o, quantomeno attenuare, le conseguenze dannose dell’operazione precedentemente deliberata App. Milano, 6 febbraio 1998, Giur. it. 1998, 2350. (7968/12). Se però, per giustificati motivi, l’amministratore non partecipa alla riunione del consiglio in cui la deliberazione pregiudizievole viene presa e ne ha notizia quando è troppo tardi per evitare il danno, per restare immune da responsabilità non ha bisogno di seguire il procedimento descritto dalla norma citata Cass. civ., 21 ottobre 1961, n. 2266, Foro it. 1961, I, 1830. (7968/12). 6. Il carattere solidale della responsabilità. Giurisprudenza consolidata. - E' ben noto come la formulazione del secondo comma dell’art. 2392 cod. civ., nella sua versione originaria, prevedesse - in ogni caso, e quindi indipendentemente dall’eventuale attribuzione di funzioni specifiche la corresponsabilità solidale degli amministratori che non avessero vigilato sul generale andamento della società, o che, essendo a conoscenza di atti pregiudizievoli compiuti da altri, non si fossero adoperati per impedire il compimento di tali atti o almeno per eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose. Quest’ultima ipotesi di responsabilità, derivante dal non avere consapevolmente impedito altrui comportamenti illegittimi o nel non averne disinnescato gli effetti, non ha mai dato origine a gravi dubbi interpretativi, ed è rimasta sostanzialmente immutata anche nel nuovo testo del citato art. 2392. Nella giurisprudenza anteriore alla Riforma è, dunque, ricorrente l'espressione per cui secondo cui la responsabilità di tutti gli amministratori per omessa vigilanza sul generale andamento della società non restava esclusa dal fatto che l’attività gestoria illegittima ricadesse nella sfera di attribuzione di specifiche competenze del comitato esecutivo o di uno o più amministratori, a meno che gli altri componenti del consiglio non avessero fornito la prova che, pur essendosi diligentemente attivati a tal fine, la loro vigilanza era stata vanificata dal comportamento ostativo degli amministratori esecutivi. Cass. civ., sez. I, 15 febbraio 2005, n. 3032, Giust. civ. 2006, 4-5, 967; Cass. civ., sez. lav., 24 giugno 2004, n. 11751, Giust. civ. Mass. 2004, 6; Cass. civ., sez. I, 29 agosto 2003, n. 12696, Giust. civ. Mass. 2003, 7-8. (7968/12). 2393. Azione sociale di responsabilità (1). – [I]. L'azione di responsabilità contro gli amministratori è promossa in seguito a deliberazione dell'assemblea, anche se la società è in liquidazione. [II]. La deliberazione concernente la responsabilità degli amministratori può essere presa in occasione della discussione del bilancio, anche se non è indicata nell'elenco delle materie (2) da trattare, quando si tratta di fatti di competenza dell'esercizio cui si riferisce il bilancio. [III]. L'azione di responsabilità può anche essere promossa a seguito di deliberazione del collegio sindacale, assunta con la maggioranza dei due terzi dei suoi componenti (3). [IV]. L'azione può essere esercitata entro cinque anni dalla cessazione dell'amministratore dalla carica. [V]. La deliberazione dell'azione di responsabilità importa la revoca dall'ufficio degli amministratori contro cui è proposta, purché sia presa con il voto favorevole di almeno un quinto del capitale sociale. In questo caso, l'assemblea provvede alla sostituzione degli amministratori (4). [VI]. La società può rinunziare all'esercizio dell'azione di responsabilità e può transigere, purché la rinunzia e la transazione siano approvate con espressa deliberazione dell'assemblea, e purché non vi sia il voto contrario di una minoranza di soci che rappresenti almeno il quinto del capitale sociale o, nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, almeno un ventesimo del capitale sociale, ovvero la misura prevista nello statuto per l'esercizio dell'azione sociale di responsabilità ai sensi dei commi primo e secondo dell'articolo 2393-bis. (1) V. nota al Capo V. (2) V. Avviso di rettifica in G.U. 4 luglio 2003, n. 153. (3) Comma inserito dall'art. 31 lett. a) n. 1l. 28 dicembre 2005, n. 262. (4) Comma così sostituito dall'art. 31 lett. a) n. 2 l. n. 262, cit. Il testo del comma era il seguente: « La deliberazione dell'azione di responsabilità importa la revoca dall'ufficio degli amministratori contro cui è proposta, purché sia presa col voto favorevole di almeno un quinto del capitale sociale. In questo caso l'assemblea stessa provvede alla loro sostituzione ». Sommario: 1. Introduzione. - 2. La deliberazione autorizzativa. Giurisprudenza consolidata. - 3. Impugnazione della deliberazione. - 4. La legittimazione passiva. Giurisprudenza di legittimità. - 5. La rinuncia e la transazione. - 6. Il termine prescrizionale dell'azione. – 1. Introduzione. - L'azione sociale di responsabilità, ai sensi dell'art. 2393 cod. civ., è un'azione di natura contrattuale, la cui legittimazione deriva direttamente dalla volontà assembleare espressa nelle forme ordinarie. 2. La deliberazione autorizzativa. Giurisprudenza consolidata. – La deliberazione è stata ritenuta come condizione per l'accoglimento della domanda, con la conseguenza che tale delibera può anche venire in essere successivamente alla proposizione della domanda giudiziale, purché prima della rimessione in decisione della causa. Cass. civ., sez. I, 11 novembre 1996 n. 9849, Società 1997, 641, Giust. civ. Mass. 1996, 1502. (7968/156). La deliberazione ai sensi dell'art. 2393 è stata ritenuta indispensabile per integrare la legittimazione ad agire del rappresentante legale della società, il quale si limita a rendersi esecutore di una decisione manifestata dalla stessa società in conformità ai suoi procedimenti deliberativi interni. Cass. civ., 28 luglio 2000, n. 9904, Giur. comm. 2001, II, 221. (7968/156). Tale impostazione è parsa corretta sulla base della circostanza che, quand’anche in concreto la decisione dei soci faccia menzione di precise circostanze, queste non vincolano in alcun modo lo spettro del successivo giudizio, il cui oggetto rimane liberamente determinabile nell’atto introduttivo. App. Milano, 12 luglio 1968, Foro Pad. 1970, I, 498; Trib. Milano, 20 ottobre 1969, Foro It. 1970, I, 1825; Trib. Milano, 9 novembre 1987, Giur. Comm. 1988, II, 96. (7968/156). 3. Impugnazione della deliberazione. – La deliberazione e` suscettibile di essere sindacata sia sotto il profilo della regolarità del procedimento sia per quanto concerne il contenuto, con particolare riguardo vuoi all’ipotetica situazione di conflitto d’interessi in cui versi il socio che abbia espresso un voto determinante, vuoi all’eventuale abuso della regola della maggioranza. Trib. Milano, 1 febbraio 1999, Giur. It. 1999, 1981. (7968/156). L'impugnazione della deliberazione può dipendere anche da un asserito conflitto d’interessi (o da un preteso eccesso di potere) da cui sia eventualmente inficiato il voto determinante espresso dai soci favorevoli all’esperimento dell’azione di responsabilità. Cass. civ. ,sez. I, 12 dicembre 2005, n. 27387, Foro it. 2006, I, 3455. (7968/156). Perchè si possa pervenire all’annullamento occorre che risulti accertato, attraverso obiettive circostanze di fatto, che l’azione di responsabilità, prevista in astratto a favore ed a tutela della società, sia stata in concreto deliberata nell’interesse particolare dei soci che intendono promuoverla. Cass. civ., 19 agosto 1983, n. 5410, Giur. comm. 1985, II, 336. (7968/156). E' stato invece negato che determini l’invalidità della deliberazione la circostanza che essa sia stata adottata con il consenso dei medesimi soggetti che, in precedenza, avevano rilevato la quota dell’amministratore stesso, in quanto la loro partecipazione alla formazione di tali atti si realizza, nelle due ipotesi, in ruoli diversi ed a tutela di interessi del tutto distinti (Cass.civ., 2 maggio 1997, n. 3805, Giur. it. 1998, 727 (7968/156)), o che possa essere invocata come ragione di nullità di detta deliberazione assembleare la circostanza che, attraverso di essa, un socio persegua lo scopo di liberarsi di una propria obbligazione verso l’amministratore, perchè tale situazione non è riconducibile alle ipotesi di nullita` contemplate dall’art. 2379 c.c. (Cass. civ., 12 novembre 1987, n. 8337, Foro it. 1988, I, 3378, Società 1988, 32 (7968/156)). È stata ritenuta legittima la deliberazione con la quale l'assemblea dei soci decide di promuovere l'azione di responsabilità contro gli amministratori, in occasione della discussione del bilancio di esercizio ed indipendentemente dalla sua approvazione e dalla sua validità, anche se il relativo argomento non sia stato indicato nell'avviso di convocazione e la responsabilità si riferisca a fatti non rappresentati nel predetto documento contabile. Trib. Milano, 3 settembre 2003, Giur. it. 2003, 2325. (7968/156). 4. La legittimazione passiva. Giurisprudenza di legittimità. - La legittimazione passiva, con riguardo all’azione di responsabilità, compete a ciascun amministratore, giacchè detta azione ben può essere esercitata anche contro uno solo di piu` amministratori solidalmente responsabili, senza che gli altri assumano la veste di litisconsorzi necessari. Trib. Milano, 11 maggio 1992, Giur. it. 1992, I, 2, 641. (7968/156). L'azione promossa nei confronti degli amministratori di una società, per far valere la responsabilità dei medesimi a norma dell'art. 2392 c.c., introduce cause scindibili ed indipendenti, in quanto investe obbligazioni solidali, cioè rapporti autonomi, pur nella identità della prestazione gravante su ciascun debitore. Pertanto, la mancata impugnazione della sentenza che provvede su detta domanda, nei confronti di alcuno dei predetti condebitori, non comporta la necessità di integrazione del contraddittorio ai sensi dell'art. 331 comma 1 c.p.c. Cass. civ., sez. I, 26 marzo 1981, n. 1760, Foro it. 1981, I, 1931. (7968/156). E' stato ritenuto che, in caso di azione proposta congiuntamente contro amministratori e sindaci, quando la condotta addebitata a ciascuno sia definibile come illecita solo in stretto collegamento con la valutazione della condotta degli altri, tra le diverse cause derivanti dai differenti titoli dedotti in giudizio sussista una relazione d’inscindibilità. Cass. civ., sez. I, 7 maggio 1993, n. 5263, Foro it. 1994, I, 130; Cass. civ., sez. I, 22 giugno 1990, n. 6278, Giust. civ. 1990, I, 2265. (7968/156). 5. La rinuncia e la transazione. – La possibilita` di rinuncia all’azione da parte della societa`, anche in caso di azione esercitata dall’amministratore giudiziario, era già stata riconosciuta, prima della Riforma. Trib. Milano, 11 giugno 1998, Giur. it. 1998, 2344. (7968/156). In tema di società, l'amministratore convenuto in giudizio, unitamente ad altri soggetti, con l'azione sociale di responsabilità, non può giovarsi, ai sensi dell'art. 1304 c.c., della transazione intervenuta tra la società ed i coobbligati solidali, qualora la transazione non sia stata autorizzata dall'assemblea con deliberazione adottata senza il voto contrario della minoranza qualificata prevista dall'art. 2393 c.c.: tale delibera costituisce infatti una forma tipica ed inderogabile di espressione della volontà sociale, il cui difetto è causa di nullità assoluta ed insanabile della transazione stipulata con l'amministratore, trattandosi di un requisito prescritto a garanzia dei soci di minoranza, la cui tutela risulterebbe pertanto svuotata di ogni contenuto qualora, essendo convenuti anche soggetti che non rivestono la predetta qualità, l'atto in questione potesse perfezionarsi senza l'espressa autorizzazione richiesta da tale disposizione. Cass. civ., sez. I, 24 aprile 2007, n. 9901, Giur. it. 2007, 2757. (7968/156). 6. Il termine prescrizionale dell'azione. – Nell'esperienza ante Riforma non è mai stata posta in discussione la circostanza che l’azione sociale di responsabilità rientrasse tra quelle che derivano dai rapporti sociali, alle quali si riferisce il primo comma dell’art. 2949 c.c., e che, di conseguenza, fosse ad essa applicabile il termine di prescrizione quinquennale in detta norma indicato. Cass. civ., 10 aprile 1965, n. 634, Riv. dir. comm. 1967, II, 241. (7968/156). Come pure non è stata posta in discussione l’applicabilità della causa di sospensione enunciata dal precedente art. 2941, n. 7, per tutto il tempo in cui perduri il rapporto gestorio tra la società e l’amministratore. Cass. civ., sez. I, 12 giugno 2007, n. 13765, Giust. civ. Mass. 2007, 10; Cass. civ., 5 dicembre 1969, n. 3887, Foro it. 1970, I, 1171. (7968/156). Le disposizione in esame non sembrano essere state intaccate dalla Riforma, la quale ha però introdotto un termine di cinque anni, a decorrere dalla cessazione dell’amministratore dalla carica, per l’esercizio dell’azione sociale di responsabilità nei confronti dell’amministratore medesimo. Il condizionale è d'obbligo visto che alcuni autori hanno individuato tale termine come decadenziale. 2393 bis. Azione sociale di responsabilità esercitata dai soci (1). – [I]. L'azione sociale di responsabilità può essere esercitata anche dai soci che rappresentino almeno un quinto del capitale sociale o la diversa misura prevista nello statuto, comunque non superiore al terzo. [II]. Nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, l'azione di cui al comma precedente può essere esercitata dai soci che rappresentino un quarantesimo (2) del capitale sociale o la minore misura prevista nello statuto. [III]. La società deve essere chiamata in giudizio e l'atto di citazione è ad essa notificato anche in persona del presidente del collegio sindacale. [IV]. I soci che intendono promuovere l'azione nominano, a maggioranza del capitale posseduto, uno o più rappresentanti comuni per l'esercizio dell'azione e per il compimento degli atti conseguenti. [V]. In caso di accoglimento della domanda, la società rimborsa agli attori le spese del giudizio e quelle sopportate nell'accertamento dei fatti che il giudice non abbia posto a carico dei soccombenti o che non sia possibile recuperare a seguito della loro escussione. [VI]. I soci che hanno agito possono rinunciare all'azione o transigerla; ogni corrispettivo per la rinuncia o transazione deve andare a vantaggio della società. [VII]. Si applica all'azione prevista dal presente articolo l'ultimo comma dell'articolo precedente. (1) V. nota al Capo V. (2) Le parole « un quarantesimo » sono state sostituite alle parole « un ventesimo » dall'art. 31 lett. b)l. 28 dicembre 2005, n. 262. Sommario: 1. Introduzione. - 2. La casistica della nuova azione. 1. Introduzione. - L’azione della minoranza è stata introdotta dalla Riforma sulla base dell'impostazione dell'art. 129 T.u.f. L'azione in oggetto, disciplinata dall'art. 2393 bis cod. civ., rappresenta il mezzo di tutela della minoranze azionarie. Il nuovo istituto rappresenta un caso di legittimazione straordinaria all'esercizio dell'azione ai sensi dell'art. 81 c.p.c., in cui una parte qualificata degli azionisti si sostituisce alla società nel perseguire giudizialmente gli amministratori. La natura straordinaria dell'azione risiede anche nell'allocazione in favore della società degli eventuali vantaggi economici che deriverebbero dalla proposizione dell'azione. Rispetto alla legittimazione ad agire, la differenza fondamentale di tale azione rispetto all'actio di cui all'art. 2393 cod. civ., è costituita dalla non necessarietà della delibera autorizzativa. Sembrerebbe, che solo e soltanto nelle società chiuse lo statuto possa prevedere che l'azione possa essere esercitata anche dal titolare di una sola azione, ossia fino a riconoscerlo in presenza del mero status socii. L'art. 2393 bis cod. civ. prevede, inoltre, che gli azionisti debbano nominare a maggioranza un rappresentante comune per esercitare l'azione. Tale norma non appare inderogabile posto che l'azione potrebbe essere esercitata anche da un singolo socio. In ogni caso, la norma presuppone che già esista un gruppo di soci interessati ad attivare un'azione di responsabilità e che siano legati da patto parasociale avente tale oggetto. Un problema può emergere qualora vi fossero più minoranze che esercitino separatamente l'azione di responsabilità. A tal proposito, per motivi di semplificazione processuale, appare preferibile la nomina di un unico rappresentante comune che rappresenti le diverse minoranze. Cenno finale meritano la rinuncia all'azione e la transazione, disciplinati dagli ultimi due commi dell'art. 2393 bis cod. civ. Rinuncia all'azione e transazione che possono essere attuati, secondo effetti diversi, sia dai soci agenti (ma la possibilità non è prevista dall'art. 129 T.u.f.), sia dalla stessa società. I soci agenti potranno, dunque, rinunciare agli atti del processo estinguendo il processo, ma non l'azione né il diritto sostanziale. L'art. 2393 bis, comma 6, cod. civ., infatti, impiega l'espressione rinuncia all'azione. A tal proposito bisogna tenere ben presente che i soci di minoranza sono titolari di una legittimazione processuale autonoma di cui possono, quindi, liberamente disporre. Diversamente, però, non potranno disporre del diritto di credito nei confronti degli amministratori, che resta avocato solo e soltanto alla società. Analogamente può argomentarsi riguardo alla transazione. Quanto alla delibera di rinuncia e di transazione della società, vi sono maggiori aspetti di criticità. In tal caso l'art. 2393 bis ultimo comma cod. civ. rinvia alla normativa prevista per l'azione sociale di responsabilità, in base alla quale la delibera assembleare non può essere adottata con il voto contrario di una minoranza pari o superiore al quinto del capitale sociale, nelle società chiuse, o al ventesimo del capitale sociale, nelle società aperte. 2. La casistica della nuova azione. - -Deve ritenersi inammissibile la domanda proposta ex art. 700 c.p.c. volta ad ottenere la revoca in via cautelare del consigliere delegato di società per azioni proposta dai soci di minoranza benché titolari di oltre il 20% del capitale sociale sia perché tale rimedio non è previsto in loro favore dal vigente sistema normativo, sia perché difetta il presupposto della strumentalità e del necessario collegamento della misura cautelare richiesta con le domande oggetto della causa di merito (azione di responsabilità e richiesta di condanna dell'amministratore al risarcimento dei danni). Trib. Mantova, 10 luglio 2008, Giur. merito 2009, 3, 716. (7968/156). Nell'azione di responsabilità sociale proposta dal socio ex art. 2476 c.c., a differenza di quanto accade per le società per azioni in conseguenza dell'esplicita previsione contenuta nell'art. 2393 bis, comma 3, c.c., la società non deve essere evocata in giudizio e non ricorre una ipotesi di litisconsorzio necessario in quanto l'art. 2476, comma 3, c.c. attribuisce al socio un potere autonomo di proposizione della domanda di responsabilità sociale. Trib. Marsala, 15 marzo 2005. (7968/156). 2394. Responsabilità verso i creditori sociali (1). – [I]. Gli amministratori rispondono verso i creditori sociali per l'inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell'integrità del patrimonio sociale. [II]. L'azione può essere proposta dai creditori quando il patrimonio sociale risulta insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti. [III]. La rinunzia all'azione da parte della società non impedisce l'esercizio dell'azione da parte dei creditori sociali. La transazione può essere impugnata dai creditori sociali soltanto con l'azione revocatoria quando ne ricorrono gli estremi. (1) V. nota al Capo V. Sommario: 1. Introduzione. - 2. Natura dell'azione. - 3. Legittimazione ad agire. Giurisprudenza consolidata. 4. Presupposti dell'azione. Giurisprudenza consolidata. - 5. Il termine prescrizionale. - 6. Il problema dell'esistenza dell'azione in ambito di s.r.l. Giurisprudenza contrastante. 1. Introduzione. – La norma disciplina l'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori da parte dei creditori sociali. Azioni che si differenzia sostanzialmente dall'azione sociale. 2. Natura dell’azione. – L’orientamento giurisprudenziale che si era maggiormente consolidato in in passato, era incline a configurare siffatta azione come surrogatoria, sul modello delineato in via generale dall’art. 2900 c.c. Cass. civ., 14 dicembre 1991, n. 13498, Foro it. 1992, I, 1803; Cass. civ., 28 novembre 1984, n. 6187, Società 1985, I, 3179; Cass. civ., 27 novembre 1982, n. 6431, Fall. 1983, 810; Cass. 9 agosto 1977, n. 3652, Dir. fall. 1978, II, 90; Trib. Palermo 11 settembre 1992, Società 1993, 788; Trib. Torino, 13 dicembre 1989, Giur. it. 1990, I, 2, 145; Trib. Milano, 13 novembre 1989, Dir. fall. 1990. (7968/12). L'orientamento giurisprudenziale oggi consolidato, invece, è quello per cui l’azione dei creditori abbia natura autonoma rispetto all’azione sociale. Cass. civ., sez. I, 22 ottobre 1998, n. 10488, Foro it. 1999, I, 1967, Giust. civ. 1999, I, 75; App. Milano, 14 gennaio 1992, Fall. 1992, 1146; Trib. Milano, 2 ottobre 2006, Giur. it. 2007, 382; Trib. Bologna 8 agosto 2002, Giur. it. 2003, 1649; Trib. Milano, 6 febbraio 1989, Società 1989, 703. (7968/12). 3. Legittimazione ad agire. Giurisprudenza consolidata. - Per la legittimazione dei creditori sociali all'azione ex art. 2394 c. c. non è necessario che chi agisce sia già titolare di un credito certo, liquido ed esigibile, essendo sufficiente che esso prospetti la sua posizione di creditore, anche se soggetta ad eventuale ulteriore accertamento o sottoposta a termine o condizione. Trib. Milano, 2 ottobre 2006, Giur. it. 2007, 2, 382. (7968/12). 4. Presupposti dell'azione. Giurisprudenza consolidata. – In tema di società, presupposti necessari e sufficienti per l'esperimento dell'azione di responsabilità verso gli amministratori, ex art. 2394 c.c., devono ritenersi l'esistenza di un pregiudizio patrimoniale per i creditori (costituito dall'insufficienza del patrimonio sociale a soddisfarne le rispettive ragioni di credito), la condotta illegittima degli amministratori, nonché un rapporto di causalità tra pregiudizio e condotta, dovendosi, peraltro, commisurare l'entità del danno alla corrispondente riduzione della massa attiva disponibile in favore dei creditori stessi. Cass. civ., sez. I, 6 dicembre 2000, n. 15487, Giust. civ. Mass. 2000, 2552, Società 2001, 591. (7968/12). 5. Il termine prescrizionale. – Il dies a quo per il decorso del termine prescrizionale decorre non dal momento della commissione dei fatti integrativi di responsabilità, bensì da quello in cui la situazione di insufficienza patrimoniale e` divenuta oggettivamente conoscibile da parte di tutti i creditori. Cass. civ., sez. I, 22 ottobre 2004, n. 20637, Giust. civ. Mass. 2004, 10; Cass. civ., sez. I, 5 luglio 2002, n. 9815, Giust. civ. Mass. 2002, 1172; Trib. Marsala 23 maggio 2005, Società 2007, 83; Trib. Ivrea 29 gennaio 2004. (7968/12). Tale momento non coincide necessariamente con il determinarsi dello stato d’insolvenza, potendo essere anteriore o posteriore alla dichiarazione di fallimento. Cass. civ., sez. I, 18 gennaio 2005, n. 941, Giur. it. 2005, 971; Cass. civ., sez. I, 7 novembre 1997, n. 10937, Fall. 1998, 697; Cass. civ., sez. I, 6 ottobre 1981, n. 5241, Foro it. 1982, I, 94; Cass. civ., sez. I, 25 settembre 1980, n. 5327; Cass. 25 luglio 1979, n. 4415, Giur. it. 1980, I, 1, 55; Cass. 23 giugno 1977, n. 2671, Dir. fall. 1977, II, 620; App. Torino 23 gennaio 2003, Giur. comm. 2004, II, 149. (7968/12). L’onere della prova della preesistenza al fallimento dello stato d’insufficienza patrimoniale della società spetta al soggetto (amministratore o sindaco) nei confronti del quale è stata esperita l’azione di responsabilità e che ne eccepisca l’avvenuta prescrizione; e questo onere non è assolto con la sola deduzione che la società era già stata posta in liquidazione prima del fallimento, perchè il procedimento di liquidazione non è necessariamente determinato dall’eccedenza delle passività sulle attività patrimoniali e neppure la perdita integrale del capitale sociale implica sempre la perdita di ogni valore attivo del patrimonio sociale. Cass. civ., sez. I, 18 gennaio 2005, n. 941, Giur. comm. 2005, 6, 729. (7968/12). Il dies a quo non coincide necessariamente neppure con la pubblicazione del primo bilancio di segno negativo, giacchè potrebbe accadere che, per valutare lo squilibrio tra attivo e passivo riportato in bilancio, siano necessarie nozioni tecniche o la conoscenza di altri elementi non alla portata dei creditori sociali. Trib. Milano 19 settembre 2003, Giur. it. 2004, 1015. (7968/12). 6. Il problema dell'esistenza dell'azione in ambito di s.r.l. Giurisprudenza contrastante. – In ragione del mancato richiamo dell'art. 2394 c.c. da parte della normativa in materia di s.r.l. ed in assenza di una specifica disciplina, la giurisprudenza è oggi divisa nel ritenere l'applicabilità o meno della norma in commento alle s.r.l. I problema si è posto sia in riferimento all'applicabilità diretta dell'azione ai sensi dell'art. 2394 c.c., sia in riferimento all'aplicabilità dell'azione, come richiamata dall'art. 146 legge fallimentare. Nel caso di società a responsabilità limitata, la normativa che attualmente disciplina in tale ambito la legittimazione attiva all'esercizio dell'azione di responsabilità nei confronti dell'amministratore sociale, in ragione della mancata salvaguardia dell'integrità del patrimonio sociale non si colloca negli art. 2393 e 2394 c.c. che si applicano solo alle società per azioni - e la cui disciplina non è più richiamata, come fatto dal previgente art. 2487 c.c. (superandosi con ciò anche l'argomento fondato su una certa interpretazione dell'art. 146 l. fall.) ma si colloca nell'art. 2476 comma 3 c.c. che, tuttavia, attribuisce la legittimazione all'esercizio di tale azione solo ai singoli soci della società stessa. Trib. Milano, sez. VIII, 27 febbraio 2008, n. 2589, Giustizia a Milano 2008, 2, 13. (7968/12). Anche dopo la riforma il curatore del fallimento di una s.r.l può esercitare l'azione dei creditori sociali. Trib. Milano, 16 maggio 2008, Riv. Dir. soc. 2009, 1, 182. (7968/12). Dopo l'entrata in vigore del d.lg. n. 6 del 2003, pur in difetto di un'esplicita disposizione normativa, gli amministratori continuano a rispondere dei danni subiti dai creditori associati per l'inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione del patrimonio della società ai sensi dell'art. 2043 c.c., ma, in caso di fallimento della società, il curatore non è più legittimato ad esercitare l'azione, che spetta invece ai singoli creditori. Trib. Napoli 11 novembre 2004, Societa' 2005, 1007. (7968/12). L'art. 146 r.d. n. 267 del 1942 è norma speciale che, attraverso un rinvio "per relationem", attribuisce al curatore del fallimento di una società di capitali la legittimazione esclusiva ad esercitare tutte le azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori e dei sindaci disciplinate dal codice civile, fatta eccezione per le azioni individuali dei terzi per i cd. danni diretti. Ne consegue che anche dopo l'entrata in vigore del d.lg. 17 gennaio 2003 n. 6 non è venuta meno la legittimazione del curatore all'esercizio in via esclusiva dell'azione dei creditori sociali della Trib. Napoli, 12 maggio 2004, Società 2005, 1013. (7968/12). 2394 bis. Azioni di responsabilità nelle procedure concorsuali (1). – [I]. In caso di fallimento, liquidazione coatta amministrativa e amministrazione straordinaria le azioni di responsabilità previste dai precedenti articoli spettano al curatore del fallimento, al commissario liquidatore e al commissario straordinario. (1) V. nota al Capo V. Sommario: 1. Introduzione. - 2. Natura dell'azione. Giurisprudenza consolidata. - 3. Criteri di quantificazione del danno. Giurisprudenza consolidata.- 4. La prescrizione dell'azione. 1. Introduzione. - L’articolo in commento pone il collegamento tra le azioni di responsabilità di cui al codice civile e quelle che possono intraprendersi in sede concorsuale. 2. Natura dell'azione. Giurisprudenza consolidata. - Costituisce ormai ius receptum l’affermazione giurisprudenziale secondo la quale, per effetto del fallimento, le azioni di responsabilità di cui agli art. 2392-2393 e 2394 C.C. confluiscono in una unica azione avente carattere unitario e inscindibile: con il corollario che la domanda risarcitoria contro gli amministratori può essere formulata così con riferimento ai presupposti della responsabilità verso la società come sulla base dei presupposti della responsabilità verso i creditori sociali. Cass. civ., sez. I, 22 ottobre 1998 n. 10488, Giust. civ. Mass. 2003, 12. (7968/144). L'azione, dunque, cumula i presupposti di entrambe le azioni: “la responsabilità degli amministratori può essere dedotta dal curatore tanto con riferimento ai presupposti dell’azione dei creditori sociali, quanto con riferimento ai presupposti dell’azione sociale di responsabilità”. In altri termini ciò significa che i presupposti dell’una possono diventare presupposti dell’altra e viceversa. Cass. civ., sez. I, 28 febbraio 1998, n. 2251, Giur. it. 1998, 1639; Cass. civ., sez. I, 28 novembre 1984, n. 6187, Giust. civ. Mass. 1984, fasc. 11. (7968/144). Il curatore, pertanto è legittimato, ai sensi dell’art. 2393 c.c. a chiedere il risarcimento dei danni subiti dalla società per effetto degli inadempimenti dell’organo amministrativo, anche se i danni si siano determinati prima che il patrimonio sociale sia risultato insufficiente a soddisfare i creditori sociali. Nello stesso tempo il curatore è legittimato ad esercitare ex art. 2394 c.c. l’azione risarcitoria dei danni causati dagli amministratori per inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione ed integrità del patrimonio sociale. Trib. Genova, 24 gennaio 2000, Fall. 2000, 813. (7968/144). 3. Criteri di quantificazione del danno. Giurisprudenza consolidata. – L'orientamento giurisprudenziale che era andato affermandosi era quello secondo il quale nel caso di omessa o irregolare tenuta della contabilità sociale, gli amministratori rispondono dei danni, la cui entità si presume consistere, fino a prova contraria, nella differenza tra il passivo e l’attivo fallimentare. Trib. Roma, 9 luglio 2001, Dir. e prat. Soc. 2002, 11, 87; Trib. Catania, 1 settembre 2000, Fall. 2001, 112; Trib. Milano, 15 luglio 1991, Fall. 1991, 1286. (7968/144). L'orientamento, invece, che in epoca recente si è andato consolidando è quello secondo il quale non può farsi automaticamente discendere da atti di mala gestio degli amministrari, un danno risarcibile pari alla mera differenza contabile tra passivo ed attivo patrimoniale così come accertati nell'ambito della procedura concorsuale, ribadendo invece la necessità di valutare le specifiche conseguenze dannose che sono causalmente riconducibili ai singoli atti gestori lesivi. Cass. civ., sez. I, 22 ottobre 1998 n. 10488, Giust. civ. Mass. 2003, 12.; Cass. 17 settembre 1997 n. 9252, Società 1998, 1025, Giust. civ. Mass. 1997, 1735. (7968/144). Ad un siffatto criterio di quantificazione è stato sostenuto si possa addivenire qualora sia oggettivamente impossibile valutare l’esatto disavanzo della società al momento della dichiarazione di insolvenza a causa di carenze gestionali imputabili agli stessi organi responsabili, è legittimo il ricorso al criterio equitativo di cui all’art. 1226 c.c. e, nell’applicazione di tale criterio, la considerazione del parametro rappresentato dalla differenza tra attivo e passivo della procedura concorsuale”. App. Roma, 14 marzo 2000, Gius. 2000, 1879. (7968/144). 4. La prescrizione dell'azione. - L'azione di responsabilità contro amministratori e sindaci, esercitata dal curatore del fallimento, ex art. 146 l. fall., compendia in sè le azioni ex art. 2393 e 2394 c.c., ed è diretta alla reintegrazione del patrimonio della società fallita, visto unitariamente come garanzia e dei soci e dei creditori sociali; essa sorge, ai sensi dell'art. 2394, comma 2, c.c., nel momento in cui il patrimonio sociale risulti insufficiente al soddisfacimento dei creditori della società e si trasmette al curatore nel caso di fallimento sopravvenuto. Ne consegue che la prescrizione quinquennale, di cui all'art. 2949, comma 2, c.c., decorre dal momento in cui si verifica l'insufficienza del patrimonio sociale: momento che, non coincidendo con il determinarsi dello stato di insolvenza, può essere anteriore o posteriore alla dichiarazione di fallimento. Cass. civ., sez. I, 7 novembre 1997, n. 10937, Giust. civ. Mass. 1997, 2098, Fallimento 1998, 697. (7968/144). Il termine quinquennale di prescrizione, a fronte dell'unica azione in cui, a seguito delle procedure concorsuali, confluiscono le due azioni di responsabilità ex art. 2393 e 2394 c.c., decorre dall'ultimo dei termini previsti per ciascuna di esse, ossia, ex art. 2394 comma 2 c.c., dal momento in cui si è manifestato l'evento dannoso costituito dalla insufficienza patrimoniale al soddisfacimento dei crediti, il quale non coincide necessariamente con lo stato di insolvenza o la messa in liquidazione della società; l'insufficienza indicata, infatti, si rivela all'esterno allorquando l'attivo sociale, raffrontato ai debiti della società, non risulta sufficiente al loro soddisfacimento, diventando oggettiva in quel momento, per i terzi, la possibilità di conoscere la situazione descritta, con l'uso della diligenza comune dell'uomo medio. App. Napoli, 23 ottobre 2003, Giur. napoletana 2004, 168. (7968/144). 2395. Azione individuale del socio e del terzo (1). – [I]. Le disposizioni dei precedenti articoli non pregiudicano il diritto al risarcimento del danno spettante al singolo socio o al terzo che sono stati direttamente danneggiati da atti colposi o dolosi degli amministratori. [II]. L'azione può essere esercitata entro cinque anni dal compimento dell'atto che ha pregiudicato il socio o il terzo. (1) V. nota al Capo V. Sommario: 1. Introduzione. - 2. Limiti dell'azione inerenti il danno diretto. Giurisprudenza consolidata. - 3. Limiti inerenti l'applicabilità degli altri strumenti di reazione nei confronti degli amministratori. Giurisprudenza di legittimità. - 4. Applicabilità dell'istituto nel caso di mancata distribuzione degli utili. Giurisprudenza consolidata. - 5. Il danno risarcibile. Giurisprudenza consolidata. - 6. Prescrizione. Giurisprudenza di merito. 1. - L’art. 167 disciplina la gestione dei beni appartenenti all’imprenditore durante la procedura di concordato, specificando che gli atti di ordinaria amministrazione sono normalmente liberi, mentre quelli di amministrazione straordinaria (e, comunque, quelli espressamente elencati) possono essere compiuti solo con l’autorizzazione del giudice delegato. Ciò perché la procedura di concordato attua uno spossessamento, sebbene attenuato, del debitore. 2. Limiti dell'azione inerenti il danno diretto. Giurisprudenza consolidata. – L'elemento peculiare dell'azione in commento è rappresentata dall'incidenza diretta del danno nella sfera patrimoniale del socio o del terzo. L'avverbio direttamente delimita l'ambito di esperibilità dell'azione ex art. 2395 c.c. rispetto alle fattispecie disciplinate dagli artt. 2393 e 2394 c.c. rendendo palese che il discrimine tra le stesse non va individuato nei presupposti stabiliti dalla legge per il sorgere di tali forme di responsabilità (che consistono pur sempre nella violazione, dolosa o colposa, dei doveri ad essi imposti dalla legge o dall'atto costitutivo), bensì nelle conseguenze che il comportamento illegittimo degli amministratori ha determinato nel patrimonio del socio o del terzo. Se il danno allegato costituisce solo il riflesso di quello cagionato al patrimonio sociale, si è al di fuori dell'ambito di applicazione dell'art. 2395 c.c., in quanto tale norma richiede che il danno abbia investito direttamente il patrimonio del socio o del terzo. Cass. civ., sez. I, 3 aprile 2007, n. 8359, Giust. civ. Mass. 2007, 4; Cass. civ., sez. I, 13 gennaio 2004, n. 269, Società 2004, 1114; Cass. civ., sez. I, 27 giugno 1998, n. 6364, Giust. civ. Mass. 1998, 1410. (7968/180). Pertanto, secondo l'orientamento ormai consolidato, neppure rileva che il danno sia stato arrecato dagli amministratori nell'esercizio del loro ufficio o al di fuori di tali incombenze, ovvero che tale danno sia (o meno) ricollegabile ad un inadempimento della società, nè infine che l'atto lesivo sia stato eventualmente compiuto dagli amministratori nell'interesse della società e a suo vantaggio, dato che la formulazione dell'art. 2395 c.c. pone in evidenza che l'unico dato significativo ai fini della sua applicazione è costituito appunto dall'incidenza del danno. Cass. civ., sez. I, 3 aprile 2007, n. 8359, Giust. civ. Mass. 2007, 4. (7968/180). 3. Limiti inerenti l'applicabilità degli altri strumenti di reazione nei confronti degli amministratori. Giurisprudenza di legittimità. – L'azione concessa individualmente dall'art. 2395 c.c. ai soci o ai terzi per il risarcimento dei danni ad essi derivati come conseguenza di atti dolosi o colposi degli amministratori di società per azioni, rientra nello schema della responsabilità aquiliana e presuppone che i danni stessi non siano solo il riflesso di quelli arrecati eventualmente al patrimonio sociale, ma siano direttamente cagionati ai soci o ai terzi come conseguenza immediata del comportamento degli amministratori medesimi, essa trova perciò applicazione solo quando la violazione del diritto individuale del socio o del terzo sia in rapporto causale diretto con l'azione degli amministratori, a nulla rilevando che il socio o il terzo possano avere anche azione contro la società. Cass. civ., sez. I, 3 agosto 1988, n. 4817, Dir. fall. 1989, II, 381. (7968/180). 4. Applicabilità dell'istituto nel caso di mancata distribuzione degli utili. Giurisprudenza consolidata. - In riferimento al diritto agli utili la Corte di Cassazione ha affermato che, essendo questi parte del patrimonio sociale fin quando l'assemblea, eventualmente, non ne disponga la distribuzione in favore dei soci, la loro sottrazione indebita ad opera dell'amministratore lede il patrimonio sociale e solo indirettamente si ripercuote sulla posizione giuridica e sull'interesse economico del singolo socio, compromettendo la sua aspettativa di reddito e comprimendo il valore della sua quota. Analogamente, il danno diretto non può consistere nella mancata distribuzione degli utili, appunto in quanto questi, prima della distribuzione, appartengono alla società. Pertanto, neppure in detta ipotesi al singolo socio compete l'azione di responsabilità disciplinata dall'art. 2395 c.c. Cass. civ., sez. I, 3 aprile 2007, n. 8359, Giust. civ. Mass. 2007, 4; Cass. civ., sez. I, 27 giugno 1998, n. 6364, Giust. civ. Mass. 1998, 1410. (7968/180). 5. Il danno risarcibile. Giurisprudenza consolidata.- Il danno risarcibile a norma dell'art. 2395 c.c. è quello al cui verificarsi il patrimonio della società resta indifferente, giacché quel danno si produce immediatamente (direttamente) a carico del patrimonio personale del socio o del terzo (il quale non necessariamente s’identifica con un creditore sociale). Cass. civ., sez. I, 12 giugno 2007, n. 13766, Giur. it. 2007, 2761; Cass. civ., sez. I, 28 maggio 2004, n. 10271, Foro it. 2005, I, 816; Cass. civ., sez. I, 1 aprile 1994, n. 3216, Società 1995, I, 1302; Cass. civ., sez. I, 7 settembre 1993, n. 9385, Fallimento 1994, 44; Cass. civ., sez. I, 3 agosto 1988, n. 4817, Dir. fall. 1989, II, 381. (7968/180). 6. Prescrizione. Giurisprudenza di merito. Con riguardo al termine prescrizionale dell'azione la giurisprudenza ha sempre reputato applicabili le regole proprie della responsabilità extracontrattuale e ne ha tratto la conseguenza che l’azione in esame è soggetta alla prescrizione breve, sancita dall’art. 2947 c.c. per le pretese nascenti da fatti illeciti. Trib. Milano, 16 ottobre 1989, Società 1990, 902. (7968/180). Il dies a quo decorre dal momento in cui l’evento dannoso si e` verificato o, se successivo, da quello in cui il pregiudizio si e` reso conoscibile al titolare della pretesa risarcitoria. Trib. Milano 30 aprile 2001, Società 2002, 616. (7968/180). 2396. Direttori generali (1). – [I]. Le disposizioni che regolano la responsabilità degli amministratori si applicano anche ai direttori generali nominati dall'assemblea o per disposizione dello statuto, in relazione ai compiti loro affidati, salve le azioni esercitabili in base al rapporto di lavoro con la società. (1) V. nota al Capo V. Sommario: 1. Introduzione. - 2. Portata della norma. Giurisprudenza consolidata. – 3. Le mansioni del direttore generale. Giurisprudenza contrastante. 1. Introduzione. – La norma prevede solo un'estensione della disciplina della responsabilità degli amministratori ai direttori generali qualora nominati da assemblea o da statuto. Nulla dispone in merito alle mansioni svolte dai direttori generali. 2. Portata della norma. Giurisprudenza consolidata. - . La giurisprudenza ha affermato che “al direttore generale puo` essere estesa la stessa disciplina prevista per la responsabilita` degli amministratori qualora la sua nomina sia stata prevista nell’atto costitutivo o sia stata deliberata dall’assemblea, entrando in questi casi la sua figura a far parte della struttura tipica della società. Cass. civ., sez. I, 5 dicembre 2008, n. 28819, Giur. it. 2009, 871; Cass. civ. , sez. lav., 12 dicembre 2003, n. 18995, Giust. civ. Mass. 2003, 12. 3. Le mansioni del direttore generale. Giurisprudenza contrastante. - Non esiste accordo giurisprudenziale sull'ampiezza delle funzioni decisionali che valgono a qualificare un soggetto quale direttore generale, infatti, se tradizionalmente il direttore generale è stato inquadrato nell'ambito dei lavoratori dipendenti dell'impresa, ancorchè il vincolo di subordinazione, pur sussistente, risulti affievolito dall'ampiezza e discrezionalità dei poteri attribuiti (Cass. civ., sez. lav., 10 novembre 1987, n. 8279, Giust. civ. Mass. 1987, fasc. 11; Cass. civ., sez. lav., 16 giugno 1979, n. 3400, Giust. civ. Mass. 1979, fasc. 6), non sono mancate affermazioni contrarie, essendo stato sostenuto che il direttore generale può anche essere un soggetto esterno alla società, non legato da un vincolo di subordinazione (Cass. civ., sez. lav., 14 luglio 1993, n. 7796, Giust. civ. Mass. 1993, 1179; Cass. civ., sez. I, 4 giugno 1981, n. 3614, Giust. civ. Mass. 1981, fasc. 6), ancorchè la prestazione per le caratteristiche che la contraddistinguono rientri ragionevolmente nella previsione dell'attività coordinata e continuativa. Cass. civ., sez. I, 5 dicembre 2008, n. 28819, Giur. it. 2009, 871. 3 – DEL COLLEGIO SINDACALE 2397. Composizione del collegio (1). – [I]. Il collegio sindacale si compone di tre o cinque membri effettivi, soci o non soci. Devono inoltre essere nominati due sindaci supplenti. [II]. Almeno un membro effettivo ed uno supplente devono essere scelti tra gli iscritti nel registro dei revisori contabili istituito presso il Ministero della giustizia. I restanti membri, se non iscritti in tale registro, devono essere scelti fra gli iscritti negli albi professionali individuati con decreto del Ministro della giustizia (2), o fra i professori universitari di ruolo, in materie economiche o giuridiche. (1) V. nota al Capo V. (2) V. l'art. 1 d.m. 29 dicembre 2004, n. 320 (G.U. 18 gennaio 2005, n. 13), che individua i seguenti albi professionali: avvocati, dottori commercialisti, ragionieri e periti commerciali, consulenti del lavoro. 1. Il numero dei sindaci. Giurisprudenza di merito. – Il numero dei sindaci è fissato dallo statuto ed una variazione può aversi solo con delibera dell'assemblea straordinaria. Trib. Napoli, 31 gennaio 1997, Società 1997, 823. (7956/12). 2398. Presidenza del collegio (1). – [I]. Il presidente del collegio sindacale è nominato dall'assemblea. (1) V. nota al Capo V. Sommario: 1.La clausola statutaria con indicazioni sulla nomina. - 2. La nomina di provenienza non assembleare. 1. La clausola statutaria con indicazioni sulla nomina. Giurisprudenza di merito. – E' ammissibile la clausola statutaria con indicazioni sulla nomina di presidente del collegio sindacale. Trib. Udine, 7 luglio 1989, Società 1989, 1317. (7956/12). 2. La nomina di provenienza non assembleare Giurisprudenza di merito. - Quando un sindaco, ancorché subentrato come supplente ad altro sindaco dimissionario, è l'unico membro del collegio sindacale ad essere iscritto nell'albo dei revisori ufficiali dei conti, può assumere legittimamente la funzione di presidente del collegio anche in assenza di nomina assembleare. Trib. Monza, 14 febbraio 1983, Giur. comm. 1983, II, 937. (7956/12). 2399. Cause di ineleggibilità e decadenza (1). – [I]. Non possono essere eletti alla carica di sindaco e, se eletti, decadono dall'ufficio: a) coloro che si trovano nelle condizioni previste dall'articolo 2382; b) il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado degli amministratori della società, gli amministratori, il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado degli amministratori delle società da questa controllate, delle società che la controllano e di quelle sottoposte a comune controllo; c) coloro che sono legati alla società o alle società da questa controllate o alle società che la controllano o a quelle sottoposte a comune controllo da un rapporto di lavoro o da un rapporto continuativo di consulenza o di prestazione d'opera retribuita, ovvero da altri rapporti di natura patrimoniale che ne compromettano l'indipendenza. [II]. La cancellazione o la sospensione dal registro dei revisori contabili e la perdita dei requisiti previsti dall'ultimo comma dell'articolo 2397 sono causa di decadenza dall'ufficio di sindaco. [III]. Lo statuto può prevedere altre cause di ineleggibilità o decadenza, nonché cause di incompatibilità e limiti e criteri per il cumulo degli incarichi. (1) V. nota al Capo V. Sommario: 1. Introduzione. - 2. Le cause di ineleggibilità e decadenza. – 2.1. Le cause di ineleggibilità di cui al comma 1, lett. a). – 2.2. Le cause di ineleggibilità di cui al comma 1, lett. b). - 2.3. Le cause di ineleggibilità di cui al comma 1, lett. c). – 2.4. Le cause di decadenza di cui al comma 2. – 3. Il sindaco associato del consulente. 4. La responsabilità. Giurisprudenza di merito. - 5. Operatività della decadenza. Giurisprudenza consolidata. 1. Introduzione. – La norma, come modificata dalla Riforma, disciplina in maniera più compiuta le cause di ineleggibilità e decadenza dei sindaci. 2. Le singole cause di ineleggibilità e decadenza. - La disciplina è prevista al comma 1 dell'articolo in commento. 2.1. Le cause di ineleggibilità di cui al comma 1, lett. a). – La norma fa riferimento ai casi di ineleggibilità degli amministratori previsti dall.'art. 2382 c.c. L'art. 2399 c.c. (che prevede che non possono essere eletti alla carica di Sindaco e, se eletti, decadono dall'ufficio, il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado degli amministratori della società, gli amministratori, il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado degli amministratori di società da questa controllate, delle società che la controllano e di quelle sottoposte a comune controllo) è espressione di un principio generale, volto a tutelare il delicato incarico in questione da potenziali condizionamenti da parte dei familiari più stretti, che esercitino la carica di amministratore. Tale principio generale dell'ordinamento trova, senz'altro, applicazione anche nel settore delle autonomie locali, relativamente al funzionamento del corrispondente organo di vigilanza, rappresentato dal collegio dei revisori. T.A.R. Campania, sez. I, 10 maggio 2006, n. 4053, Foro amm. TAR 2006, 5, 1803. (7956/12). 2.2. Le cause di ineleggibilità di cui al comma 1, lett. b). – La norma fa riferimento all'ineleggibilità a sindaco di parenti ed affini degli amministratori sia della stessa società, che delle società dell'eventuale gruppo cui appartengono. 2.3. Le cause di ineleggibilità di cui al comma 1, lett. c). – La norma fa riferimento in primis a legami con società controllate o controllanti. La causa di ineleggibilità e di decadenza alla carica di sindaco, di cui all'art. 2399 comma 1 c.c., opera anche nei confronti degli amministratori di una società controllata dalla nominante, in quanto gli amministratori rientrano fra i soggetti legati alla società da un rapporto continuativo di prestazione d'opera retribuita. Trib. Matera, 14 luglio 1994, Giur. it. 1995, I, 2, 420. (7956/12). La norma fa poi riferimento all'incompatibilità con l'ufficio sindacale di qualsiasi prestazione d'opera continuativa e retribuita, anche se non caratterizzata da un vero e proprio vincolo di subordinazione. Cass. civ., sez. I, 11 luglio 2008, n. 19235, Diritto & Giustizia 2008; Cass. civ., sez. I, 9 maggio 2008, n. 11554, Giust. civ. Mass. 2008, 5, 691. (7956/12). Ai sensi dell'art. 2399 c.c. deve considerarsi incompatibile con la carica di sindaco di una società di capitali l'esercizio di attività continuativa di consulenza e assistenza in favore della società, tale dovendosi intendere anche un'attività professionale in materia contabile, tributaria e contrattuale che, pur non avendo assunto carattere di rapporto a tempo indeterminato, qualificato da una formalizzazione per iscritto dell'incarico e da una predeterminazione del compenso, si sia protratta per svariati anni dell'attività della società ed abbia riguardato in modo penetrante non già singole questioni o affari della medesima, bensì propriamente la redazione del bilancio, degli allegati esplicativi e della relazione degli amministratori ad esso, atti questi che costituiscono oggetto specifico dell'attività di controllo affidata al collegio sindacale. App. Bologna, 9 marzo 1995, Vita not. 1996, 326. (7956/12). È incompatibile, a pena di decadenza, con la funzione di controllo che la legge assegna al sindaco, l'attribuzione a quest'ultimo di una consulenza generale in materia contabile, amministrativa e fiscale che si concreti in una prestazione d'opera retribuita resa non saltuariamente. Trib. Milano, 28 maggio 1990, Giur. it. 1990, I, 2,809. (7956/12). Non può essere eletto sindaco e, in caso di nomina, decade dalla carica colui che abbia ricevuto dalla società un incarico professionale che non debba essere affidato di volta in volta, ma risulti da un vincolo precostituito tra la società e il professionista, come per esempio nell'ipotesi di consulenza tributaria e societaria Trib. Torino, 7 settembre 1988, Dir. fall. 1989, II, 682. (7956/12). 2.4. Le cause di decadenza di cui al comma 2. – Il comma 2 disciplina solo la decadenza in caso di cancellazione o sopsensione dal registro dei revisori contabili e la n caso di perdita di requisiti di eleggibilità ex art. 2397 c.c. 3. Il sindaco associato del consulente. Giurisprudenza di merito. - Le prestazioni professionali svolte a favore di una società da un collaboratore di studio del presidente del collegio sindacale della stessa non originano una causa di ineleggibilità e decadenza ex art. 2399 c.c. Il riferimento a tale articolo deve misurarsi anzitutto con i dati della fattispecie e con l'onere probatorio incombente sull'attore impugnante in relazione al dedotto vizio della deliberazione assembleare ed alla effettiva situazione di incompatibilità del sindaco nominato che ne costituisce il presupposto. Trib. Milano, sez. VIII, 22 novembre 2006, n. 12753, Dir. e prat. soc. 2007, 16, 76. (7956/12). Il provvedimento di sospensione dal registro dei revisori è legittimamente assunto nei confronti dei sindaci di una s.r.l. facenti parte di uno studio associato in cui un professionista, in rapporto di parasubordinazione con lo studio, abbia svolto in via continuativa, in favore del società stessa, un'attività retribuita di consulenza generale in materia fiscale, contabile, societaria e di bilancio. Trib. Trento, 30 maggio 2003, Giur. comm. 2004, II, 158. (7956/12). 4. La responsabilità. Giurisprudenza di merito. - La ricorrenza di una delle cause di ineleggibilità previste dall'art. 2399 c.c. non esonera da responsabilità i sindaci che, senza dichiarare tale causa, abbiano accettato la carica e l'abbiano mantenuta per la durata dell'incarico. Trib. Catania, 5 novembre 1999, Giur. comm. 2001, II, 510. (7956/12). 5. Operatività della decadenza. Giurisprudenza consolidata. – In presenza di una delle situazioni ipotizzate dall'art. 2399 c.c., la decadenza del sindaco opera in modo automatico, non essendo previsto al riguardo un procedimento accertativo e deponendo l'art. 2401 c.c. a favore dell'immediato subentro del sindaco supplente. Cass. civ., sez. I, 9 maggio 2008, n. 11554, Dir. e prat. soc. 2008, 17, 58. (7956/12). 2400. Nomina e cessazione dall'ufficio (1). – [I]. I sindaci sono nominati per la prima volta nell'atto costitutivo e successivamente dall'assemblea, salvo il disposto degli articoli 2351, 2449 e 2450. Essi restano in carica per tre esercizi, e scadono alla data dell'assemblea convocata per l'approvazione del bilancio relativo al terzo esercizio della carica. La cessazione dei sindaci per scadenza del termine ha effetto dal momento in cui il collegio è stato ricostituito. [II]. I sindaci possono essere revocati solo per giusta causa. La deliberazione di revoca deve essere approvata con decreto dal tribunale, sentito l'interessato. [III]. La nomina dei sindaci, con l'indicazione per ciascuno di essi del cognome e del nome, del luogo e della data di nascita e del domicilio, e la cessazione dall'ufficio devono essere iscritte, a cura degli amministratori, nel registro delle imprese nel termine di trenta giorni. [IV]. Al momento della nomina dei sindaci e prima dell'accettazione dell'incarico, sono resi noti all'assemblea gli incarichi di amministrazione e di controllo da essi ricoperti presso altre società (2). (1) V. nota al Capo V. (2) Comma aggiunto dall'art. 22 lett. a)l. 28 dicembre 2005, n. 262. Sommario: 1. Introduzione. - 2. L'assemblea di nomina dei sindaci. Giurisprudenza di merito.- 3. La delibera di revoca dei sindaci. Giurisprudenza contrastante.- 4. La giusta causa di revoca dei sindaci. Giurisprudenza di merito. 1. Introduzione. - La Riforma non ha comportato particolari stravolgimenti della disciplina. Di rilievo è il riconoscimento della prorogatio nel caso di scadenza naturale dell'incarico. 2. L'assemblea di nomina dei sindaci. Giurisprudenza di merito. - È illegittima la delibera assembleare di nomina dei sindaci in cui non venga specificato nè il compenso annuo dei medesimi nè se le persone nominate sindaci siano in possesso dei requisiti previsti dall'art. 2397 comma 2 c.c. Trib. Cosenza, 8 febbraio 1994, Società 1994, 1071. (7968/912). 3. La delibera di revoca dei sindaci. Giurisprudenza contrastante. – La giurisprudenza ha statuito che mentre gli amministratori possono essere sempre revocati dall'assemblea e l'eventuale mancanza di giusta causa determina il loro diritto al risarcimento dei danni, ma non condiziona l'operatività della revoca, l'art. 2400 detta per i sindaci una regola diversa. La loro revoca da parte dell'assemblea deve essere approvata infatti dal tribunale, e tale approvazione non rappresenta una semplice verifica formale della regolarità della delibera, ma un atto (di volontaria giurisdizione) con il quale viene esercitato un controllo sull'esistenza della giusta causa, ponendosi come fase necessaria e terminale di una vera e propria sequenza procedimentale preordinata alla produzione dell'effetto della revoca. Cass. civ., sez. I, 12 dicembre 2005, n. 27389, Foro it. 2006, 9, 2369; Cass. civ., 10 luglio 1999, n. 7264. (7968/912). Diverso è l'orietnamento espresso dalla giurisprudenza di merito, secondo la quale il rinvio disposto dall'articolo 2407 all'art. 2393, anche con riferimento alla specifica previsione di cui al terzo comma, che prevede la revoca automatica degli amministratori in costanza di delibera approvata da un quinto dei voti favorevoli, rende automatica la revoca anche dei sindaci senza bisogno dell'approvazione del tribunale. Trib. Rimini, 24 settembre 2002, Giur. it. 2003, 302; Trib. Roma, 8 aprile 1997, Giur. comm. 1998, II, 73; Trib. Roma, 17 gennaio 1997, Società 1997, 453. . (7968/912). 4. La giusta causa di revoca dei sindaci. Giurisprudenza di merito.- I soci che vogliano anticipare la cessazione del rapporto di controllo con i sindaci debbono contestare ad essi precisi fatti di violazione dei doveri cedenti a carico di ognuno, sottoponendo poi, in stretto collegamento di razionalità e proporzionalità dei motivi della delibera, il vaglio del loro assunto all'autorità giudiziaria perché su quegli stessi fatti sia osservato l'atto volitivo di censura, sino ad allora improduttivo di effetti. Trib. Bologna, 25 luglio 1997, Società 1998, 185. (7968/912). 2401. Sostituzione (1). – [I]. In caso di morte, di rinunzia o di decadenza di un sindaco, subentrano i supplenti in ordine di età, nel rispetto dell'articolo 2397, secondo comma. I nuovi sindaci restano in carica fino alla prossima assemblea, la quale deve provvedere alla nomina dei sindaci effettivi e supplenti necessari per l'integrazione del collegio, nel rispetto dell'articolo 2397, secondo comma. I nuovi nominati scadono insieme con quelli in carica. [II]. In caso di sostituzione del presidente, la presidenza è assunta fino alla prossima assemblea dal sindaco più anziano. [III]. Se con i sindaci supplenti non si completa il collegio sindacale, deve essere convocata l'assemblea perché provveda all'integrazione del collegio medesimo. (1) V. nota al Capo V. Sommario: 1. Introduzione. - 2. La prorogatio dei sindaci in caso di rinuncia. Giurisprudenza contrastante.- 3. Effetti della rinuncia. Giurisprudenza consolidata. 1. Introduzione. - La Riforma ha espressamente risolto in senso positivo l'applicazione della prorogatio ai sindaci nel solo caso di scadenza naturale del termine, nulla disponendo in merito alla decorrenza immediata o differita nel caso della rinuncia volontaria. 2. La prorogatio dei sindaci in caso di rinuncia. Giurisprudenza contrastante. – Parte della giurisprudenza ha ritenuto applicabile analogicamente per i sindaci l'istituto della prorogatio a seguito della rinuncia da parte degli stessi. Trib. Roma, 27 aprile 1998, Società 1998, 1442. (7968/912). La giurisprudenza contraria, invece, si connota per sfumature diverse. Vi è giurisprudenza che nega tout court l'applicabilità dell'istituto (App. Bologna, 18 maggio 1988, Giur. comm. 1990, II, 454 (7968/912)), che nega l'applicabilità dell'istituto per i sindaci dimissionari per giusta causa (Trib. Milano 26 aprile 1983, Società 1983, 1157 (7968/912)) ed altra giurisprudenza che esclude l'applicazione analogica sulla base della sostanziale differenze tra organo amministrativo e di controllo (Trib. Monza, 26 aprile 2001, Società 2001, 1229 (7968/912)). 3. Effetti della rinuncia. Giurisprudenza consolidata.- La rinuncia all'incarico da parte di un sindaco di una società di capitali ha effetto immediato, indipendentemente dalla sua accettazione da parte dell'assemblea, soltanto quando sia possibile l'automatica sostituzione del dimissionario con un sindaco supplente e non quando, invece, le dimissioni coinvolgano un numero di sindaci effettivi superiore a quello dei membri supplenti a disposizione. Cass. civ., sez. I, 18 gennaio 2005, n. 941, Giust. civ. 2006, 2, 445. (7968/912). In tema di funzionamento del collegio sindacale di una società di capitali, la rinunzia di un sindaco effettivo - a meno che non sia diversamente disposto dallo statuto sociale - ha effetto immediato, indipendentemente dalla sua accettazione da parte dell'assemblea, quando sia possibile l'automatica sostituzione del dimissionario con un sindaco supplente con la conseguenza che quest'ultimo, istituzionalmente obbligato, in ragione della sua carica a sostituire il sindaco effettivo che non possa o che comunque non voglia esercitare l'ufficio, incorre nella responsabilità prevista dall'art. 2407 c.c. per l'esercizio di funzioni (nella specie: sottoscrizione di un bilancio poi risultato falso) in sostituzione del componente effettivo, dimissionario. Cass. civ., sez. I, 9 ottobre 1986, n. 5928, Giust. civ. Mass. 1986, fasc. 10. (7968/912). A seguito delle dimissioni di un membro del collegio sindacale di una s.p.a., subentra al suo posto, ai sensi dell'art. 2401 c.c., il sindaco supplente più anziano e, conseguentemente, l'organo amministrativo ha l'obbligo di provvedere, entro 15 giorni, all'iscrizione delle dimissioni stesse nel registro delle imprese. In caso di omissione, trattandosi di iscrizione obbligatoria, essa va disposta d'ufficio dal tribunale. Trib. Roma, 24 maggio 2000, Nuova giur. civ. commentata 2001, I, 241. (7968/912). Le dimissioni rassegnate da un sindaco hanno effetto immediato solo quando ne sia possibile la sostituzione automatica con un supplente. App. Bologna, 15 aprile 1988, Giur. comm. 1990, II, 454. (7968/912). 2402. Retribuzione (1). – [I]. La retribuzione annuale dei sindaci, se non è stabilita nello statuto, deve essere determinata dalla assemblea all'atto della nomina per l'intero periodo di durata del loro ufficio. (1) V. nota al Capo V. Sommario: 1. Introduzione. - 2. Il rapporto determinazione compenso / natura dell'incarico. Giurisprudenza di legittimità.- 3. La determinazione del compenso. Giurisprudenza consolidata. – 4. La mancata determinazione del compenso. Giurisprudenza contrastante. 1. Introduzione. - L’art. 2402 c.c., attraverso la regola dell’onerosità della carica di sindaco nonché la previsione della predeterminazione e dell’invariabilità del compenso, è espressione della volontà del legislatore di munire l’attività dei sindaci di particolari presidi di indipendenza. determinazione del compenso la giurisprudenza ritiene applicabile l'art. 2233 c.c. Cass. civ., sez. II, 16 dicembre 1983, n. 7424, Giust. civ. Mass. 1983, fasc. 11; App. Napoli, 10 giugno 1992, Società 1992, 1377. (7968/960). 2. Il rapporto determinazione compenso / natura dell'incarico. Giurisprudenza di legittimità. - In ragione della finalità della norma, deve ritenersi che l’incarico di sindaco sia essenzialmente oneroso, con conseguente invalidità delle clausole statutarie che ne prevedono la gratuità. Cass. civ., sez. I, 31 maggio 2008, n. 14640, Guida al diritto 2008, 41, 57. (7968/960). 4. La mancata determinazione del compenso. Giurisprudenza contrastante.- Qualora non sia deliberato il compenso dei sindaci, secondo parte della giurisprudenza non è invalida la delibera di nomina (Cass. civ., sez. II, 16 dicembre 1983, n. 7424, Giust. civ. Mass. 1983, fasc. 11; App. Napoli, 10 giugno 1992, Società 1992, 1377 (7968/960)), altra parte della giurisprudenza propende, invece, per l'invalidità (Trib. Cosenza, 10 luglio 1985, Società 1985, 1200; Trib. Napoli, 7 aprile 1972 (7968/960)). 3. La determinazione del compenso. Giurisprudenza consolidata. – Per la 2403. Doveri del collegio sindacale (1). – [I]. Il collegio sindacale vigila sull'osservanza della legge e dello statuto, sul rispetto dei principi di corretta amministrazione ed in particolare sull'adeguatezza dell'assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla società e sul suo concreto funzionamento. [II]. Esercita inoltre il controllo contabile nel caso previsto dall'articolo 2409-bis, terzo comma. (1) V. nota al Capo V. Sommario: 1. Introduzione. - 2. Il dovere di vigilanza e controllo. Giurisprudenza consolidata. - 3. Il dissenso come causa di esonero da responsabilità. Giurisprudenza di merito. - 4. La non sindacabilità da parte dei sindaci nel merito delle scelte gestorie degli amministratori. Giurisprudenza consolidata. 1. Introduzione. – Con la Riforma è stato sostanzialmente riqualificata la portata dell'art. 2403. Molti dei doveri del collegio sindacale sono stati sotanzialmente rivisti. Mentre i poteri del collegio sindacale trovano sistemazione nel nuovo art. 2403 bis. 2. Il dovere di vigilanza e controllo. Giurisprudenza consolidata. - Il controllo del collegio sindacale di una società per azioni non è circoscritto all'operato degli amministratori, ma si estende a tutta l'attività sociale (come è lecito desumere dal disposto di cui agli art. 2403, 2405, 2377, comma 2, c.c.), con funzione di tutela non solo dell'interesse dei soci, ma anche di quello, concorrente, dei creditori sociali. Il diverso rilievo causale di quanti (sindaci ed amministratori) abbiano concorso alla causazione del danno, inteso come insufficienza patrimoniale della società, assume, poi, rilievo nei soli rapporti interni tra coobbligati (ai fini dell'eventuale esercizio dell'azione di regresso), e non anche nei rapporti esterni che legano gli autori dell'illecito al danneggiato (società, creditori sociali, singoli soci e terzi), giusto il principio generale di solidarietà tra coobbligati di cui all'art. 2055, comma 1, c.c. (sancito espressamente in materia di responsabilità extracontrattuale, ma applicabile, altresì, in tema di responsabilità contrattuale, quand'anche il danno derivi dall'inadempimento di contratti diversi, quand'anche la responsabilità abbia, per alcuni dei danneggianti, natura contrattuale, e, per altri, natura extracontrattuale), ribadito, con specifico riguardo ai sindaci della società, dall'art. 2407, comma 2, c.c., che esclude la legittimità di una commisurazione percentuale della responsabilità dei sindaci all'entità del loro concorso nella causazione dell'evento dannoso. Cass. civ., sez. I, 28 maggio 1998, n. 5287, Fallimento 1999, 397. (7968/924). Il dovere di vigilanza e di controllo imposto ai sindaci delle societa` per azioni dall’art. 2403 cod. civ. concerne l’operato degli amministratori e tutta l’attivita` sociale, al fine di assicurare che la stessa venga svolta nel rispetto della legge e dell’atto costitutivo. Cass. civ., sez. I, 6 settembre 2007, n. 18728; Cass. civ., sez. I, 24 marzo 1999, n. 2772. (7968/924). Quanto all'annotazione del dissenso quale causa di esonero da responsabilità, la giurisprudenza di merito ha ritenuto applicarsi la stessa dicsciplina prevista per gli amministratori. App. Torino, 9 luglio 1975, Giur. comm. 1976, II, 871. (7968/924). 4. La non sindacabilità da parte dei sindaci nel merito delle scelte gestorie degli amministratori. Giurisprudenza consolidata. – Resta tuttavia fermo che esso è finalizzato alla verifica dell'osservanza della legge e dell'atto costitutivo (art. 2403, primo comma, c.c.) e non può quindi estendersi anche all'esame dell'opportunità e della convenienza delle scelte gestionali, il cui apprezzamento è riservato alla competenza esclusiva degli amministratori e dei soci. Cass. civ., sez. I, 28 maggio 1998, n. 5287, Fallimento 1999, 397. (7968/924). 3. Il dissenso come causa di esonero da responsabilità. Giurisprudenza di merito. - 2403 bis. Poteri del collegio sindacale (1). – [I]. I sindaci possono in qualsiasi momento procedere, anche individualmente, ad atti di ispezione e di controllo. [II]. Il collegio sindacale può chiedere agli amministratori notizie, anche con riferimento a società controllate, sull'andamento delle operazioni sociali o su determinati affari. Può altresì scambiare informazioni con i corrispondenti organi delle società controllate in merito ai sistemi di amministrazione e controllo ed all'andamento generale dell'attività sociale. [III]. Gli accertamenti eseguiti devono risultare dal libro previsto dall'articolo 2421, primo comma, n. 5). [IV]. Nell'espletamento di specifiche operazioni di ispezione e di controllo i sindaci sotto la propria responsabilità ed a proprie spese possono avvalersi di propri dipendenti ed ausiliari che non si trovino in una delle condizioni previste dall'articolo 2399. [V]. L'organo amministrativo può rifiutare agli ausiliari e ai dipendenti dei sindaci l'accesso a informazioni riservate. (1) V. nota al Capo V. 2404. Riunioni e deliberazioni del collegio (1). – [I]. Il collegio sindacale deve riunirsi almeno ogni novanta giorni. La riunione può svolgersi, se lo statuto lo consente indicandone le modalità, anche con mezzi di telecomunicazione (2). [II]. Il sindaco che, senza giustificato motivo, non partecipa durante un esercizio sociale a due riunioni del collegio decade dall'ufficio. [III]. Delle riunioni del collegio deve redigersi verbale, che viene trascritto nel libro previsto dall'articolo 2421, primo comma, n. 5), e sottoscritto dagli intervenuti. [IV]. Il collegio sindacale è regolarmente costituito con la presenza della maggioranza dei sindaci e delibera a maggioranza assoluta dei presenti. Il sindaco dissenziente ha diritto di fare iscrivere a verbale i motivi del proprio dissenso. (1) V. nota al Capo V. (2) V. Avviso di rettifica in G.U. 4 luglio 2003, n. 153. Sommario: 1. L'uso dei mezzi di telecomunicazione. - 2. Il verbale di riunione. - 3. La decadenza per assenteismo. 1. L'uso dei mezzi di telecomunicazione. – La clausola statutaria che consente lo svolgimento delle riunioni con mezzi di telecomunicazione, deve assicurare che tutti i partecipanti possano prendere parte attivamente ed intempo reale alla discussione e votare simultaneamente. Trib. Roma, 24 febbraio 1997, Società 1997, 695. (7968/876). 2. Il verbale di riunione. – La giurisprudenza di merito ha ritenuto che la verbalizzazione debba avvenire contestualmente o immediatamente dopo la riunione, la sua trascrizione, invece, anche in un momento successivo. Trib. Milano, 15 luglio 1982, Riv. Dott. Comm. 1983, 1010. (7968/876). La giurisprudenza di legittimità ha ritenuto legittima la trascrizione nel libro dei verbali successivamnete alla vidimazione di verbali di riunioni redatti originariamente su fogli separati. Cass. civ., sez. I, 7 maggio 1992, n. 5422, Giust. civ. Mass. 1992, fasc. 5, Giur. it. 1993, I, 1, 366, Foro it. 1993, I, 2922. (7968/876). Il verbale assume rilevanza ai fini dell'accertamento della responsabilità dei sindaci. Trib. Napoli, 7 aprile 1992, Società 1992, 1107. Quanto invece all'annotazione del dissenso quale causa di esonero di responsabilità, analogamente a quanto avviene per gli amministratori, si è espressa in senso affermativo la giurisprudenza di merito. App. Torino, 9 luglio 1975, Giur. comm. 1976, II, 871. (7968/900). e 2405 c.c., applicabili anche alla società cooperative per il richiamo disposto dall'art. 2516 c.c., si verifica in modo automatico, come conseguenza dell'assenza ingiustificata del sindaco dalle riunioni del collegio sindacale, dalle adunanze del consiglio di amministrazione o dalle assemblee, senza che a tal fine sia necessaria alcuna deliberazione assembleare che, se intervenuta, assume valore di accertamento dichiarativo, e non costitutivo, della avvenuta decadenza. Cass. civ., sez. I, 1 aprile 1982, n. 2009, Giust. civ. Mass. 1982, fasc. 4, Foro it. 1982, I, 1276, Giur. comm. 1982, II, 570. (7968/900). L'onere di giustificare l'assenza grava sul sindaco. Trib. Genova, 27 aprile 1995, Società 1995, 1605. Secondo la giurisprudenza non costituiscono assenze rilevanti ai fini dell'applicazione dell'istituto, quelle relative alle ispezioni effettuate da uno o più sindaci. Trib. Genova, 19 luglio 1993, Giur. it. 1994, I, 2, 569. (7968/900). Secondo parte della giurisprudenza non costituisce causa di decadenza del collegio sindacale la mancata riunione periodica o la circostanza che il collegio sindacale non si sia riunito due volte nel corso dell'esercizio. Trib. Napoli, 16 marzo 1989, Società 1989, 1041; App. Milano, 23 marzo 1954, Giur. it. 1954, I, 2, 569. (7968/900). Altra giurisprudenza ha conseguito una determinazione di segno opposto. Trib. Milano, 9 giugno 1975, Giur. comm. 1976, II, 551. (7968/900) 3. La decadenza per assenteismo. - La decadenza dall'ufficio di sindaco di società per azioni per una delle cause previste dagli art. 2404 2405. Intervento alle adunanze del consiglio di amministrazione e alle assemblee (1). – [I]. I sindaci devono assistere alle adunanze del consiglio di amministrazione, alle assemblee e alle riunioni del comitato esecutivo. [II]. I sindaci, che non assistono senza giustificato motivo alle assemblee o, durante un esercizio sociale, a due adunanze consecutive del consiglio d'amministrazione o del comitato esecutivo, decadono dall'ufficio. (1) V. nota al Capo V. Sommario: 1. Differenza tra assenza ad assemblee ed adunanze del c.d.a. - 2. Esclusione della decadenza. Giurisprudenza di legittimità. - 3. Effetti dell'assenza della maggioranza dei sindaci nelle riunioni ex art. 2366 comma 4. Giurisprudenza contrastante 1. Differenza tra assenza ad assemblee ed adunanze del c.d.a.. – La disposizione differenzia l'assenza dei sindaci nel caso di assemblea e nel caso di adunanza del c.d.a. Nel primo caso, infatti, una sola assenza comporta la decadenza di cui all'art. 2406 c.c. 2. Esclusione della decadenza. Giurisprudenza di legittimità. - La decadenza dalla carica dei sindaci che non sono intervenuti alle assemblee sociali a norma dell'art. 2405 c.c. non opera quando, come nel caso delle assemblee (ordinarie o straordinarie) di prima convocazione andate deserte, un'adunanza dei soci della società per azioni sia, in effetti, mancata. Cass. civ., sez. I, 7 marzo 1992, n. 2764, Giust. civ. Mass. 1992, fasc. 3. (7968/900). 3. Effetti dell'assenza della maggioranza dei sindaci nelle riunioni ex art. 2366 comma 4. Giurisprudenza contrastante. - Il quarto comma dell'art. 2366 prevede che la riunione posssa tenersi senza formalità per la convocazione quando sono presenti gli organi di amministrazione e di controllo. Gli effetti dell'assenza della maggiornaza dei sindaci in tali casi sono dibattuti. Secondo parte della giurisprudenza si tratterebbe di delibere nulle (Cass. civ., sez. I, 15 marzo 1986, n. 1768, Giur. comm. 1987, II, 83; Trib. Torino, 15 giugno 1964, Giust. Civ. 1964, I, 1874 (7968/900)), secondo altra parte della giurisprudenza annullabili (Cass. civ., sez. I, 8 marzo 2000 n. 2624, Giur. it. 2000, 2089; App. Milano, 22 dicembre 1978, F. pad. 1978, I, 377 (7968/900)). 2406. Omissioni degli amministratori (1). – [I]. In caso di omissione o di ingiustificato ritardo da parte degli amministratori, il collegio sindacale deve convocare l'assemblea ed eseguire le pubblicazioni prescritte dalla legge. [II]. Il collegio sindacale può altresì, previa comunicazione al presidente del consiglio di amministrazione, convocare l'assemblea qualora nell'espletamento del suo incarico ravvisi fatti censurabili di rilevante gravità e vi sia urgente necessità di provvedere. (1) V. nota al Capo V. Sommario: 1. L'obbligo di convocare l'assemblea e di effettuare le iscrizioni in caso di omissione o ingiustificato ritardo degli amministratori. - 2. Potere di convocare l'assemblea in costanza di fatti censurabili di rilevante gravità. 1. L'obbligo di convocare l'assemblea e di effettuare le iscrizioni in caso di omissione o ingiustificato ritardo degli amministratori. –Il primo comma della norma in esame può operare solo in presenza di una omissione da parte degli amministratori. Trib. Napoli, 24 gennaio 1996, Società 1996, 817. (7968/840). In mancanza di un termine fissato dalla legge, l'obbligo per i sindaci inizia a decorrere dal momento in cui è scaduto il termine per adempiere per gli amministratori. Trib. Milano, 6 febbraio 1988, Giur. comm. 1989, II, 107. (7968/840). L'ingiustificato ritardo degli amministratori deve essere valutato secondo criteri di diligenza. App. Milano, 30 aprile 1991, Società 1991, 1366. (7968/840). Le deliberazioni dell'assemblea convocata dai sindaci sull'erroneo presupposto che non avessero provveduto gli amministratori, sono annullabili. App. Bologna, 4 marzo 1995, Società 1995, 806; Trib. Monza, 14 febbraio 1983, Giur. comm. 1983, II, 940. (7968/840). 2. Potere di convocare l'assemblea in costanza di fatti censurabili di rilevante gravità. – Il secondo comma della norma in esame prevede un vero e proprio potere in capo ai sindaci da esercitarsi solo secondo il dettato della norma. Il requisito dei fatti censurabili rilevanti gravità, è stato ritenuto soddisfatto da violazioni di legge e dello statuto (App. Cagliari, 31 marzo 1965, Foro pad. 1965, I, 738 (7968/840)) o dall'inosservanza di regole riguardanti l'opportunità economica e dall'inosservanza delle regole della tecnica (Trib. Roma, 17 marzo 2003, Foro it. 2004, I, 939 (7968/840)). 2407. Responsabilità (1). – [I]. I sindaci devono adempiere i loro doveri con la professionalità e la diligenza richieste dalla natura dell'incarico; sono responsabili della verità delle loro attestazioni e devono conservare il segreto sui fatti e sui documenti di cui hanno conoscenza per ragione del loro ufficio. [II]. Essi sono responsabili solidalmente con gli amministratori per i fatti o le omissioni di questi, quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi della loro carica. [III]. All'azione di responsabilità contro i sindaci si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni degli articoli 2393, 2393-bis, 2394, 2394-bis e 2395. (1) V. nota al Capo V. Sommario: 1. Introduzione. - 2. Sospensione del termine prescrizionale dell'azione di responsabilità nei confronti dei sindaci. Giurisprudenza consolidata. - 3. Sulla responsabilità solidale sindaci/amministratori. Giurisprudenza di legittimità. 1. Introduzione. – La norma, da un lato, va ad integrarsi con l'art. 2403 in tema di doveri dei sindaci, dall'altro, disciplina le azioni di responsabilità nei confronti degli stessi. solido non ha effetto riguardo agli altri. Trib. Milano, 16 luglio 2008, Riv. Dir. soc. 2009, 1, 188; Trib. Lodi, 23 giugno 2006, n. 422, Dir. e prat. soc. 2007, 7, 81. (7968/936). 2. Sospensione del termine prescrizionale dell'azione di responsabilità nei confronti dei sindaci. Giurisprudenza consolidata. - La disciplina del decorso del termine di prescrizione dell'azione di responsabilità verso i membri del collegio sindacale è differente rispetto a quella applicabile agli amministratori. Infatti, mentre per questi ultimi il decorrere della prescrizione rimane sospeso fino a quando gli organi amministrativi rimangono in carica e ciò in forza dell'art. 2941, comma 7, c.c., ai sindaci (e ai direttori della società) non si applica tale norma, che va considerata tassativamente delimitata agli amministratori. Ciò è vero anche se si pensa al fatto che i sindaci sono solidalmente responsabili con gli organi amministrativi, ai sensi dell'art. 2407, comma 2, c.c., posto che l'art. 1310, comma 2, c.c. statuisce che la sospensione della prescrizione nei rapporti di uno dei debitori in 3. Sulla responsabilità solidale sindaci/amministratori. Giurisprudenza di legittimità. - Secondo l'orientamento della Suprema Corte qualora, unitamente all'azione di responsabilità contro gli amministratori di una società, venga proposta azione di responsabilità contro i componenti del collegio sindacale, per non aver vigilato sul loro operato, le cause promosse contro i sindaci, tra di loro scindibili ed indipendenti, assumono carattere di dipendenza nel rapporto con quelle proposte nei confronti degli amministratori, l'accertamento della cui responsabilità viene quindi, a configurarsi come presupposto necessario per l'affermazione della responsabilità dei sindaci. Cass. 9 marzo 1988, n. 2355; 22 giugno 1990, n. 6278; 7 maggio 1993, n. 5263. Cass. civ., sez. I, 28 maggio 1998, n. 5287; Fallimento 1999, 397. (7968/936). 2408. Denunzia al collegio sindacale (1). – [I]. Ogni socio può denunziare i fatti che ritiene censurabili al collegio sindacale, il quale deve tener conto della denunzia nella relazione all'assemblea. [II]. Se la denunzia è fatta da tanti soci che rappresentino un ventesimo del capitale sociale o un cinquantesimo nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, il collegio sindacale deve indagare senza ritardo sui fatti denunziati e presentare le sue conclusioni ed eventuali proposte all'assemblea; deve altresì, nelle ipotesi previste dal secondo comma dell'articolo 2406, convocare l'assemblea. Lo statuto può prevedere per la denunzia percentuali minori di partecipazione. (1) V. nota al Capo V. Sommario: 1. Il richiamo dell'art. 2406 comma 2. - 2. Il raggiungimento delle soglie di capitale di cui al comma 2. - 3. Menzione della denunzia nella relazione. - 4. Convocazione dell'assemblea. 1. Il richiamo dell'art. 2406 comma 2. - L’art. in esame richiama i fatti censurabili di rilevante gravità previsti dall'art. 2406, comma 2, c.c. 2. Il raggiungimento delle soglie di capitale di cui al comma 2. – La diligenza che deve contraddistinguere l'attività dei sindaci impone a questi di esaminare ogni denunzia anche se non si raggiungessero le soglie di capitale indicate dalla norma. Trib. Torino, 6 ottobre 1980, Giur. comm. 1981, II, 635. (7968/888). Al raggiungimento, invece, delle aliquote di capitale previste dalla norma, scatta l'obbligo di indagare senza ritardo , anche se da un primo esame emergesse che la denunzia era infondata e darne riscontro nella relazione al bilancio. Trib. Roma, 10 febbraio 1987, Dir fall. 1988, II, 338. (7968/888). 3. Menzione della denunzia nella relazione. – La mancata menzione della denunzia nella relazione costituisce causa di responsabilità dei sindaci ai sensi dell'art. 2407 c.c. Trib. Torino, 6 ottobre 1980, Giur. comm. 1981, II, 635; Trib. Roma, 10 febbraio 1987, Dir fall. 1988, II, 338. (7968/888). 4. Convocazione dell'assemblea. – Non è necessaria la convocazione dell'assemblea qualora non risulti fondata la denunzia. App. Milano, 27 febbraio 1992, Società 1992, 1078. (7968/888). 2409. Denunzia al tribunale (1). – [I]. Se vi è fondato sospetto che gli amministratori, in violazione dei loro doveri, abbiano compiuto gravi irregolarità nella gestione che possono arrecare danno alla società o a una o più società controllate, i soci che rappresentano il decimo del capitale sociale o, nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, il ventesimo del capitale sociale possono denunziare i fatti al tribunale con ricorso notificato anche alla società. Lo statuto può prevedere percentuali minori di partecipazione. [II]. Il tribunale, sentiti in camera di consiglio gli amministratori e i sindaci, può ordinare l'ispezione dell'amministrazione della società a spese dei soci richiedenti, subordinandola, se del caso, alla prestazione di una cauzione. Il provvedimento è reclamabile. [III]. Il tribunale non ordina l'ispezione e sospende per un periodo determinato il procedimento se l'assemblea sostituisce gli amministratori e i sindaci con soggetti di adeguata professionalità, che si attivano senza indugio per accertare se le violazioni sussistono e, in caso positivo, per eliminarle, riferendo al tribunale sugli accertamenti e le attività compiute. [IV]. Se le violazioni denunziate sussistono ovvero se gli accertamenti e le attività compiute ai sensi del terzo comma risultano insufficienti alla loro eliminazione, il tribunale può disporre gli opportuni provvedimenti provvisori e convocare l'assemblea per le conseguenti deliberazioni. Nei casi più gravi può revocare gli amministratori ed eventualmente anche i sindaci e nominare un amministratore giudiziario, determinandone i poteri e la durata. [V]. L'amministratore giudiziario può proporre l'azione di responsabilità contro gli amministratori e i sindaci. Si applica l'ultimo comma dell'articolo 2393. [VI]. Prima della scadenza del suo incarico l'amministratore giudiziario rende conto al tribunale che lo ha nominato; convoca e presiede l'assemblea per la nomina dei nuovi amministratori e sindaci o per proporre, se del caso, la messa in liquidazione della società o la sua ammissione ad una procedura concorsuale. [VII]. I provvedimenti previsti da questo articolo possono essere adottati anche su richiesta del collegio sindacale, del consiglio di sorveglianza o del comitato per il controllo sulla (2) gestione, nonché, nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, del pubblico ministero; in questi casi le spese per l'ispezione sono a carico della società. (1) V. nota al Capo V. (2) V. Avviso di rettifica in G.U. 4 luglio 2003, n. 153. Sommario: 1. Introduzione. - 2. Ambito di apllicazione della norma. – 2.1. La ricorribilità in costanza di liquidazione. Giurisprudenza contrastante. – 2.2. Applicabilità della norma alle s.r.l. Giurisprudenza contrastante .- 3. Le gravi irregolarità. - 3.1. Le gravi irregolarità nella gestione. Giurisprudenza contrastante. – 3.2. La dannosità delle gravi irregolarità. Giurisprudenza consolidata. - 3.3 L'attualità delle gravi irregolarità. Giurisprudenza consolidata. – 3.4. La casistica delle gravi irregolarità. - 4. I soggetti legittimati a proporre la denuncia. - 5. I provvedimenti del Tribunale. - 6. L'azione di responsabilità dell'amministratore giudiziario. - 7. Rapporti tra procedimento ex art. 2409 e gli altri strumenti di tutela. – 8. La casistica. 1. Introduzione. - L’art. 2409 c.c. si sostanzia in uno strumento di reazione che i soci (ovvero i soggetti individuati nell'ultimo comma) possono adottare per tutelare quello che la giurisprudenza ha definito, talora, come un interesse generale all’ordinato svolgimento dell’attività economica (App. Milano, 14 febbraio 1994, Società 1994, 622; Trib. Cassino, 20 febbraio 1997, Società, 1997, 832; Trib. Como, 30 gennaio 1997, Società, 1997, 821; Trib. Milano, 7 luglio 1995; Trib. Napoli, 14 luglio 1993, Società 1993, 1499 (7968/948)), altre volte, come interesse ad ad una ordinata e regolare amministrazione (Cass. civ., 27 marzo 1992, n. 3799, Società 1992, 942; Cass.civ., 15 gennaio 1985, n. 60, Società 1985, 488; App. Lecce, 9 luglio 1990, Giur. merito 1990, 927; App. Milano, 18 aprile 1989, Società 1989, II, 826; Trib. Napoli, 29 marzo 1991, Società 1991, 994; Trib. Udine, 22 giugno 1989, Giur. comm. 1991, II, 323 (7968/948)). 2. Ambito di applicazione della norma. – Quello dell'ambito dell'applicazione dell'art. 2409 è sempre stato un problema che la giurisprudenza è stata più volte chiamata a risolvere. 2.1. La ricorribilità in costanza di liquidazione. Giurisprudenza contrastante. - Lo strumento giuridico in esame è attuabile secondo parte giurisprudenza anche in costanza di liquidazione della società. Trib. Roma, 3 ottobre 1985, Giur. comm. 1986, II, 609; Trib. Bergamo, 3 aprile 2001, Società 2001, 1224; Trib. Santa Maria Capua Vetere, 19 luglio 2000, Giur. nap. 2000, 390; Trib. Napoli, 4 dicembre 1998, Dir. e giur. 1998, 508; Trib. Roma, 17 luglio 1998, Giur. it. 1999, 1458; Trib. Como, 7 novembre 1997, Giur. it. 1999, 1459; Trib. Genova, 10 gennaio 1996. (7968/948). In senso contrario si sono invece espressi: Trib. Pisa, 23 maggio 2001, Società 2001, 1223; App. Venezia, 17 novembre 1998, Società 1999, 701; Trib. Genova, 30 aprile 1991, Società 1991, 1523. (7968/948). 2.2. Applicabilità della norma alle s.r.l. Giurisprudenza contrastante. – L'applicabilità della norma alle s.r.l. è stata oggetto di valutazione anche della Corte Costituzionale, la quale ne ha escluso l'illegittimità. Corte Cost., n. 481/05, Giur. comm. 2006, II, 799. (7968/948). La giurisprudenza si è orientata verso la non estendibilità della norma alle s.r.l. anche in presenza di collegio sindacale. Trib. Palermo, 16 aprile 2004, Società 2005, 70; Trib. Terni, 9 aprile 2004, Foro it. 2005, I, 868; Trib. Pescara, 4 ottobre 2007. (7968/948). Per l'estendibilità della norma alle s.r.l. con collegio sindacale si è invece espresso: Trib. Roma, 6 luglio 2004, Società 2004, 1385. (7968/948). 3. Le gravi irregolarità. – La portata di tale requisito ha sempre diviso la giurisprudenza, come vedremo in relazione ai diversi profili. 3.1. Le gravi irregolarità nella gestione. Giurisprudenza contrastante. – La giurisprudenza ha escluso che le irregolarità in commento possano essere ricondotte al merito dell’attività di gestione, ovvero all’opportunità o meno della convenienza delle scelte adottate dall’organo amministrativo. App. Roma, 3 aprile 2002, Gius. 2002, 1304; Trib. Venezia, 30 novembre 2001, Società 2002, 346; App. Brescia, 8 febbraio 2001, Foro it. 2001, I, 3383; Trib. Brescia, 17 luglio 2000, Foro it. 2001, I, 3384; Trib. Como, 30 ottobre 1998, Giur. it. 1999, 1980; Trib. Como, 6 luglio 1998, Giur. it. 1999, 1458; Trib. Milano, 26 novembre 1993, Società 1994, 1215; Trib. Milano, 9 aprile 1990, Foro it. 1991, I, 1262; App. Torino, 7 novembre 1989, Società 1990, 778. (7968/948). L'applicabilità della norma, invece, per parte della giurisprudenza, si avrebbe in presenza di irregolarità idonee a violare specifiche disposizioni di legge o statutarie, ad esclusione di tutte le violazioni di obblighi di natura generale. Cass. civ., 12 novembre 1965, n. 2359, Giust. civ. 1966, I, 1149; Cass. civ., 6 marzo 1970, n. 558, Foro it. 1970, I, 1728. (7968/948). Per altra parte della giurisprudenza le irregolarità si perfezionerebbero non solo in costanza di violazioni di specifici doveri degli amministratori, ma anche con la violazione dei più generali doveri di agire in maniera informata, di agire con diligenza (App. Roma, 3 aprile 2002, Gius. 2002, 1304 (7968/948)) e di agire senza conflitti di interesse (Trib. Brescia, 17 luglio 2000, Foro it. 2001, I, 3384; Trib. Napoli, 23 marzo 1992, Società 1992, 1097). 3.2. La dannosità delle gravi irregolarità. Giurisprudenza consolidata. – La Riforma, recependo il pregresso orientamento giurisprudenziale, ha introdotto l'elemento della dannosità delle gravi irregolarità. Trib. Trapani, 10 agosto 2001, Società 2002, 868; Trib. Como, 19 marzo 1999, Iur. it. 2000, I, 2, 125; App. Milano, 7 luglio 1995, Giur. it. 1995, I, 2, 593; App. Milano, 27 febbraio 1992, Società 1992, 1078. (7968/948). 3.3 L'attualità delle gravi irregolarità. Giurisprudenza consolidata. – Nonostante non espressamente previsto dalla norma la giurisprudenza ha ritenuto che le gravi irregolarità debbano essere attuali. App. Torino, 29 maggio 2007, Società 2008, 1245; Tribunale Tivoli, 6 marzo 2007; Trib. Santa Maria Capua Vetere, 4 maggio 2001, Società 2002, 69; Trib. Roma, 13 luglio 2000, Giur. it. 2000, 2103; Trib. Lecco, 19 febbraio 1999, Società 1999, 859; Trib. Como, 10 giugno 1998, Società 1999, 1459; Trib. Roma, 17 luglio 1998, Società 1999, 1458; Trib. Como, 7 novembre 1997, Società 1999, 1459; App. Milano, 27 febbraio 1992, Società 2002, 1078; Trib. Napoli, 23 marzo 1992, Società 1992, 1097. (7968/948). Il Tribunale, dunque, non potrà intervenire se le irregolarità sono sanate a seguito di apposito intervento posto in essere dai medesimi amministratori autori delle irregolarità stesse. App. Bologna, 19 marzo 1982, Società 1987, 742; Trib. Milano, 13 luglio 1984, Società 1984, 1357; Trib. Milano, 10 ottobre 1985, Giur. comm. 1985, II, 459. (7968/948). Diversamente, nel caso in cui le irregolarità persistano, la semplice sostituzione degli organi di amministrazione e controllo non inibirà l'instaurazione o la prosecuzione del procedimento. Trib. Santa Maria Capua Vetere, 4 maggio 2001, Società 2002, 69; Trib. Roma, 13 luglio 2000, Giur. it. 2000, 2103; Trib. Lecco, 19 febbraio 1999, Società 1999, 859; Trib. Roma, 17 luglio 1998, Società 1999, 1458; Trib. Napoli, 23 marzo 1992, Società 1992, 1097. (7968/948). 3.4. La casistica delle gravi irregolarità. - La casisitica delle gravi irregolarità vede il riconoscimento delle stesse da parte dei Tribunali, in caso di: omessa annotazione nel libro soci del sequestro di quote sociali (Trib. Padova, 26 aprile 2004, Società 2005, 200 (7968/948)); mancata approvazione o mancata redazione o tardivo deposito di uno o più bilanci di esercizio (App. Venezia, 14 settembre 1987 (7968/948)); mancata convocazione dell'assemblea per l'approvazione del bilancio (App. Milano, 15 luglio 1997 (7968/948)); mancata convocazione dell'assemblea per la nomina del collegio sindacale o dei liquidatori (Trib. Como, 19 marzo 1999, Giur. it. 2000, 125; Trib. Bologna, 28 dicembre 1998, Giur. comm. 2001, II, 430 (7968/948)). 4. I soggetti legittimati a proporre la denuncia. - Il custode nominato dal giudice con il provvedimento di sequestro giudiziario delle quote sociali è legittimato a proporre il ricorso ex art. 2409 c.c. Trib. Milano 19 febbraio 1999, Società 1999, 972. (7968/948). I soci di maggioranza di una società di capitali sono legittimati a promuovere il procedimento previsto dall'art. 2409 c.c. Trib. Genova, 24 marzo 1989, Giur. comm. 1990, II, 670. (7968/948). Anche il socio sovrano è stato ritenuto legittimato ad attivare l'azione in oggetto. App. Roma, 15 gennaio 2003, Società 2003, 587. (7968/948). Sono denunciabili anche irregolarità che possono arrecare danno alle società controllate. In tale ipotesi i soggetti legittimati a proporre la denuncia sono sia i soci della controllante che i soci della controllata cui si riferisce l'attività dannosa degli amministratori della controllante, mentre i provvedimenti del Tribunale possono essere adottati soltanto nei confronti dellla controllante, essendo questa ultima il soggetto passivo della procedura. App. Milano, 10 marzo 2004, Giur. merito 2004, I, 1632. (7968/948). Sulla legittimazione della maggioranza sociale alla proposizione del reclamo ex art. 2409 c.c.; Trib. Milano, 30 ottobre 1986, Riv. dir. comm. 1987, II, 375; Trib. Milano, 15 ottobre 1985, Giur. comm. 1986, II, 459; Trib. Roma, 9 gennaio 1970, Dir. fall. 1970, II, 216; Trib. Milano, 20 novembre1968, Riv. dir. comm. 1969, II, 221; App. Bologna, 18 luglio 1957, Banca borsa e tit. cred 1957, 595; App. Catania, 7 febbraio 1955, Foro it. 1956, I, 113. (7968/948). 5. I provvedimenti del Tribunale. - Il procedimento ex art. 2409 c.c. è finalizzato al riassetto economico e contabile della società nel caso in cui vengano denunziate gravi irregolarità di gestione, per l'accertamento delle quali il Tribunale può disporre ispezione giudiziale, all'esito della quale il Tribunale medesimo adotta i provvedimenti necessari per detto riassetto, a meno che le irregolarità riscontrate siano di tale gravità da imporre la revoca degli amministratori e la nomina di un amministratore giudiziario, potendo, solo in quest'ultimo caso, incidere sulle prerogative dell'assemblea circa la nomina degli amministratori (in forza di tale principio, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva riconosciuto legittima la disapplicazione, da parte dell'assemblea di una S.p.a., di un provvedimento del Tribunale che, pur avendo escluso la sussistenza di gravi irregolarità aveva imposto all'assemblea la nomina di un consiglio d'amministrazione di tre membri, in luogo dell'amministratore unico esistente, trattandosi di provvedimento illegittimo, sia per la carenza dei presupposti, sia per l'assunzione di un contenuto non previsto dall'art. 2409 c.c.). Cass. civ., sez. I, 9 aprile 1994, n. 3341, Giust. civ. Mass. 1994, 459. (7968/948). I provvedimenti emessi dall'autorità giudiziaria a norma dell'art. 2409 c.c. per il riassetto amministrativo e contabile delle società per azioni, sono atti di volontaria giurisdizione e non assumono carattere contenzioso neppure quando contengono, nei casi più gravi, la revoca degli amministratori e dei sindaci, essendo questa disposta nell'interesse della società ad una corretta amministrazione, non in quanto nei confronti degli amministratori vengano fatti valere dei diritti soggettivi da parte di altri soggetti. Tali provvedimenti, quindi, in quanto solo strumentali e cautelari sono inidonei anche sotto tale profilo, ad incidere su posizioni di diritto soggettivo, e sono pertanto insuscettibili di ricorso per cassazione ex art. 111 cost. Cass. civ., sez. I, 5 agosto 1987, n. 6720, Giust. civ. Mass. 1987, fasc. 8-9. (7968/948). Il decreto con cui la corte di appello in sede di reclamo avverso un provvedimento del giudice istruttore del tribunale, che a norma dell'art. 2409 c.c. abbia proceduto alla nomina di un amministratore giudiziario di una società per azioni, ne dichiari d'ufficio la nullità, perché emesso da un organo interno non investito del relativo potere spettante esclusivamente al tribunale, non è ricorribile in cassazione ex art. 111 Cost., nè è impugnabile con regolamento di competenza, non comportando alcuna decisione in ordine alla competenza bensì configurando un provvedimento di volontaria giurisdizione in ragione della natura meramente strumentale e cautelare, non contenziosa, dei provvedimenti adottati dall'autorità giudiziaria, a norma dell'art. 2409 c.c., in materia di riassetto amministrativo e contabile delle società per azioni. Cass. civ., sez. I, 9 marzo 1990, n. 1927, Giust. civ. Mass. 1990, fasc. 3. (7968/948). I provvedimenti emanati dal tribunale ex art. 2409 c.c. sono per legge immediatamente esecutivi nonostante reclamo. App. Torino, 25 ottobre 1988, Giur. it. 1988, II, 713. (7968/948). Le spese del procedimento ex art. 2409 c.c. possono essere compensate, in quanto sono applicabili gli art. 91 ss. c.p.c. allorquando nel medesimo procedimento confluiscano posizioni giuridiche contrapposte. Trib. Napoli, 20 aprile 1999, Foro napoletano 1999, 144. (7968/948). 6. L'azione di responsabiltià dell'amministratore giudiziario. – L’esercizio dell’azione di responsabilità è rimessa alla valutazione discrezionale dell’amministratore giudiziario. App. Milano, 1 giugno 1994, Giur. it. 1995, I, 2, 750; App. Milano, 27 febbraio 1992, Società 1992, 1078. (7968/948). 7. Rapporti tra procedimento ex art. 2409 e gli altri strumenti di tutela. - La denunzia al tribunale ha funzione autonoma rispetto all’azione di responsabilità promossa dall'amministratore giudiziario mei confronti degli amministratori, alla loro revoca per giusta causa, all’impugnativa della deliberazione consiliare ed agli altri rimedi previsti a favore dei soci nei confronti dell’organo amministrativo. Conseguentemente, il rimedio giuridico previsto dalla norma in esame non può essere essere considerato come residuale - nel senso di rimedio attuabile soloquando non ve ne siano altri disponibili. Il ricorso ex art. 2409 c.c., al contrario, ha natura indipendente dagli altri rimedi ed è concesso anche se le conseguenze delle gravi irregolarita possono essere rimosse mediante differenti strumenti giudiziari. Trib. Milano, 10 ottobre 1985, Giur. comm. 1986, II, 459; Trib. Milano, 30 ottobre 1986, Società 1987, 185; Trib. Milano, 21 dicembre 1987, Società 1988, 410; Trib.Venezia, 11 dicembre 1987, Società 1988, 284; App. Cagliari, 13 febbraio 2004, Società 2004, 978. (7968/948). 8. La casistica. Giurisprudenza recente. - La mancata adozione dei provvedimenti necessari per far fronte alla diminuzione per perdite di oltre un terzo del capitale sociale costituisce potenziale fonte di danno per la società ed i terzi e giustifica l’adozione dei provvedimenti di cui all’art. 2409 codice civile di revoca degli amministratori e di nomina di un amministratore giudiziario. Trib. Ancona, 13 gennaio 2009. (7968/948). I componenti del collegio sindacale di una società a responsabilità limitata sono legittimati ad esperire il rimedio di cui alllart. 2409 c.c. nei casi in cui la loro nomina sia obbligatoria per legge ex art. 2477, commi 2 e 3, c.c. Trib. Napoli, 14 maggio 2008. (7968/948). Non può essere proposta denuncia al tribunale ai sensi dell'art. 2409 c.c. in caso di lamentata invalidità della delibera assembleare, essendo diversamente il suddetto strumento utilizzabile in caso di gravi irregolarità nella gestione da parte degli amministratori. Queste ultime, infatti, attengono alla gestione della società e mai a profili amministrativi ed organizzativi. Trib. Salerno, 26 febbraio 2008. (7968/948). Articolo 2410.Emissione.[I]. Se la legge o lo statuto non dispongono diversamente, l'emissione di obbligazioni è deliberata dagli amministratori. [II]. In ogni caso la deliberazione di emissione deve risultare da verbale redatto da notaio ed è depositata ed iscritta a norma dell'articolo 2436. La riforma del 2003 è intervenutata sulla disciplina delle obbligazioni sostanzialmente in tre direzioni.Anzitutto ha attribuito agli amministratori e non all’assemblea, salvo diversa disposizione statutaria, la competenza all’emissione delle obbligazioni ordinarie. Inoltre ha statuito la legittimità di tipi di obbligazioni speciali (indicizzate e subordinate).Infine ha rivisto in aumento i limiti di emissione delle obbligazioni. Articolo 2411.Diritti degli obbligazionisti.[I]. Il diritto degli obbligazionisti alla restituzione del capitale ed agli interessi può essere, in tutto o in parte, subordinato alla soddisfazione dei diritti di altri creditori della società. [II]. I tempi e l'entità del pagamento degli interessi possono variare in dipendenza di parametri oggettivi anche relativi all'andamento economico della società. [III]. La disciplina della presente sezione (2) si applica inoltre agli strumenti finanziari, comunque denominati, che condizionano i tempi e l'entità del rimborso del capitale all'andamento economico della società. Articolo 2412 .Limiti all'emissione. [I]. La società può emettere obbligazioni al portatore o nominative per somma complessivamente non eccedente il doppio del capitale sociale, della riserva legale e delle riserve disponibili risultanti dall'ultimo bilancio approvato. I sindaci attestano il rispetto del suddetto limite. [II]. Il limite di cui al primo comma può essere superato se le obbligazioni emesse in eccedenza sono destinate alla sottoscrizione da parte di investitori professionali soggetti a vigilanza prudenziale a norma delle leggi speciali. In caso di successiva circolazione delle obbligazioni, chi le trasferisce risponde della solvenza della società nei confronti degli acquirenti che non siano investitori professionali. III]. Non è soggetta al limite di cui al primo comma, e non rientra nel calcolo al fine del medesimo, l'emissione di obbligazioni garantite da ipoteca di primo grado su immobili di proprietà della società, sino a due terzi del valore degli immobili medesimi. [IV]. Al computo del limite di cui al primo comma concorrono gli importi relativi a garanzie comunque prestate dalla società per obbligazioni emesse da altre società, anche estere. [V]. Il primo e il secondo comma non si applicano all'emissione di obbligazioni effettuata da società con azioni quotate in mercati regolamentati, limitatamente alle obbligazioni destinate ad essere quotate negli stessi o in altri mercati regolamentati. [VI].Quando ricorrono particolari ragioni che interessano l'economia nazionale, la società può essere autorizzata con provvedimento dell'autorità governativa, ad emettere obbligazioni per somma superiore a quanto previsto nel presente articolo, con l'osservanza dei limiti, delle modalità e delle cautele stabilite nel provvedimento stesso. [VII]. Restano salve le disposizioni di leggi speciali relative a particolari categorie di società e alle riserve di attività . Sommario:1.Valore da assegnare agli immobili. Valore d’iscrizione in bilancio o valore di mercato? Giurisprudenza di merito. 1.Valore da assegnare agli immobili. Valore d’iscrizione in bilancio o valore di mercato? Giurisprudenza di merito. Rientra nei poteri di controllo di legalità sostanziale del giudice dell'omologazione, la valutazione della congruità e dell'attendibilità della stima presentata dal perito sul valore degli immobili di proprietà della società offerti in garanzia in occasione dell'emissione di un prestito obbligazionario eccedente il limite del capitale sociale versato ed esistente Trib.Roma,15gennaio1996,Giur. it. 1998, 95. 7968/1452 Articolo 2413.Riduzione del capitale. [I]. Salvo i casi previsti dal terzo, quarto e quinto comma dell'articolo 2412, la società che ha emesso obbligazioni non può ridurre volontariamente il capitale sociale o distribuire riserve se rispetto all'ammontare delle obbligazioni ancora in circolazione il limite di cui al primo comma dell'articolo medesimo non risulta più rispettato. [II]. Se la riduzione del capitale sociale è obbligatoria, o le riserve diminuiscono in conseguenza di perdite, non possono distribuirsi utili sinché l'ammontare del capitale sociale, della riserva legale e delle riserve disponibili non eguagli la metà dell'ammontare delle obbligazioni in circolazione. Articolo 2414.Contenuto delle obbligazioni.[I]. I titoli obbligazionari devono indicare: 1) la denominazione, l'oggetto e la sede della società, con l'indicazione dell'ufficio del registro delle imprese presso il quale la società è iscritta; 2) il capitale sociale e le riserve esistenti al momento dell'emissione; 3) la data della deliberazione di emissione e della sua iscrizione nel registro; 4) l'ammontare complessivo dell'emissione, il valore nominale di ciascun titolo, i diritti con essi attribuiti, il rendimento o i criteri per la sua determinazione e il modo di pagamento e di rimborso, l'eventuale subordinazione dei diritti degli obbligazionisti a quelli di altri creditori della società; 5) le eventuali garanzie da cui sono assistiti; 6) la data di rimborso del prestito e gli estremi dell'eventuale prospetto informativo. Sommario:1.Opponibilità clausola rimborso anticipato. Giurisprudenza di merito. 1.Opponibilità clausola rimborso anticipato. Giurisprudenza di merito. - La clausola di rimborso anticipato, contenuta nel regolamento di un prestito obbligazionario emesso da una banca, è da intendersi alla stregua di elemento letterale del titolo, ed in quanto tale è opponibile a tutti i possessori delle obbligazioni. TribunaleSaluzzo,05dicembre2000,Giur. 2001, II, 710 comm. Articolo 2414 Bis. Costituzione delle garanzie. [I]. La deliberazione di emissione di obbligazioni che preveda la costituzione di garanzie reali a favore dei sottoscrittori deve designare un notaio che, per conto dei sottoscrittori, compia le formalità necessarie per la costituzione delle garanzie medesime. [II]. Qualora un azionista pubblico garantisca i titoli obbligazionari si applica il numero 5) dell'articolo 2414. Sommario:1.Garanzie atipiche? Giurisprudenza di merito..- 2. Termine di costituzione delle garanzie. Giurisprudenza di merito. 1.Garanzie atipiche? Giurisprudenza di merito. - È legittima la delibera di assemblea di società per azioni recante l'emissione di un prestito obbligazionario garantito per mezzo di un "trust". Trib.Milano,27 dicembre 1996, Soc. 1997, 585. 7968/1404 2.Termine di costituzione delle garanzie.Giurisprudenza di merito. - designazione del notaio, che dovrà compiere le formalità necessarie per la costituzione delle garanzie, potendo l'ipoteca essere costituita anche in epoca successiva all'iscrizione, purché prima della creazione dei titoli. TribunaleRoma,13 dicembre 1988,Riv. Not. 1990, 520. 7968/1404 Ai fini dell'omologazione della deliberazione di emissione di obbligazioni per un ammontare eccedente il capitale sociale è sufficiente la Articolo 2415.Assemblea degli obbligazionisti. [I]. L'assemblea degli obbligazionisti delibera: 1) sulla nomina e sulla revoca del rappresentante comune; 2) sulle modificazioni delle condizioni del prestito; 3) sulla proposta di amministrazione controllata e di concordato; 4) sulla costituzione di un fondo per le spese necessarie alla tutela dei comuni interessi e sul rendiconto relativo; 5) sugli altri oggetti d'interesse comune degli obbligazionisti. [II]. L'assemblea è convocata dagli amministratori o dal rappresentante degli obbligazionisti, quando lo ritengono necessario, o quando ne è fatta richiesta da tanti obbligazionisti che rappresentino il ventesimo dei titoli emessi e non estinti. [III]. Si applicano all'assemblea degli obbligazionisti le disposizioni relative all'assemblea straordinaria dei soci e le sue deliberazioni sono iscritte, a cura del notaio che ha redatto il verbale, nel registro delle imprese. Per la validità delle deliberazioni sull'oggetto indicato nel primo comma, numero 2, è necessario anche in seconda convocazione il voto favorevole degli obbligazionisti che rappresentino la metà delle obbligazioni emesse e non estinte. [IV]. La società, per le obbligazioni da essa eventualmente possedute, non può partecipare alle deliberazioni. [V]. All'assemblea degli obbligazionisti possono assistere gli amministratori ed i sindaci. Sommario:1.Pluralità di emissioni obbligazionarie. Giurisprudenza di legittimità..- 2. Inapplicabilità del divieto di cui al IV comma. Giurisprudenza di merito.3.Modificazioni delle condizioni del prestito.Giurisprudenza di merito 1.Pluralità di emissioni obbligazionarie. Giurisprudenza legittimità. - Nel caso in cui una società abbia posto in essere una pluralità di emissioni obbligazionarie, aventi caratteristiche diverse, non vi è alcun interesse comune che leghi tra loro i sottoscrittori dei singoli prestiti, ciascuno dei quali è dotato di un proprio specifico regolamento negoziale, al quale risultano estranei i sottoscrittori degli altri prestiti. Ciò determina la necessità di dar vita ad altrettante organizzazioni degli obbligazionisti, con distinte assemblee (ed eventualmente distinti rappresentanti comuni), ciascuna delle quali è chiamata a deliberare su materie di interesse comune dei sottoscrittori del prestito al quale afferisce l'organizzazione. L'eventuale modificazione delle condizioni di ogni prestito richiede, pertanto, unicamente il consenso dei sottoscrittori di quella particolare emissione, nella peculiare forma assembleare indicata dall'art. 2415 c.c., poiché soltanto ad essi fa capo il relativo rapporto obbligatorio con la società emittente; ne consegue che l'approvazione della modifica con il concorso determinante dei sottoscrittori di obbligazioni rivenienti da un'emissione diversa comporta non già la mera annullabilità, ma l'inesistenza della relativa delibera, la cui impugnazione è sottratta al termine di decadenza previsto dall'art. 2377, comma 2, richiamato dall'art. 2416, comma 2, c.c.. Cass.civ.,sez.I,n.7693,31marzo2006,Giust. civ. Mass. 2006, 3, Giur. comm. 2007, 3, 555. 7968/1380 2.Inapplicabilità del divieto di cui al IV comma. Giurisprudenza di merito. - L'art. 2415 c.c. fa divieto alla società emittente di partecipare alle deliberazioni dell'assemblea degli obbligazionisti per le obbligazioni da essa possedute, mentre è irrilevante la partecipazione di soci della società emittente del prestito obbligazionario ovvero di soci di una società controllante l'emittente. Trib.Milano,18settembre1989,Giur. comm. 1991, II,507. 7968/1380 3.Modificazioni alle condizioni del prestito. Giurisprudenza di merito. - L'emissione di un prestito obbligazionario è regolata dalla legge appunto nella struttura del mutuo, mentre gli interessi comuni, che delineano i confini oltre lo scopo delle delibere dell'assemblea degli obbligazionisti, vengono espressamente definiti come propri degli obbligazionisti medesimi e non della società. Deve quindi aversi riguardo al fondamentale aspetto degli interessi che provengono da un gruppo organizzato di creditori sociali. Da questo punto di vista, deve concludersi che la rinuncia agli interessi del mutuo, pur riguardata sotto il profilo del futuro svolgimento del rapporto, omettendo di considerare la rinuncia agli interessi pregressi, comporta una modifica sostanziale del rapporto trasformandolo da contratto a prestazioni corrispettive a contratto a titolo gratuito o, comunque in un mutuo oneroso per via della svalutazione monetaria. Tale rinuncia, presa dalla maggioranza di un'assemblea di obbligazionisti di una società, ben può, pertanto, essere impugnata ex art. 2416 c.c. La rinuncia, per il futuro, agli interessi derivanti dal possesso di obbligazioni costituisce modifica sostanziale delle condizioni del prestito, che può essere legittimamente deliberata dall'assemblea degli obbligazionisti a maggioranza solo se sorretta da congrua motivazione del concreto interesse del gruppo. La competenza dell'assemblea degli obbligazionisti a modificare le condizioni del prestito non può riguardare situazioni pregresse, quali gli interessi già maturati, che essendo ormai entrate a far parte del patrimonio del singolo creditore devono essere approvate con il consenso di ogni interessato. Trib.Milano,18settembre1989,Giur. comm. 1991, II,507 7968/1380 La trasformazione di obbligazioni non convertibili in obbligazioni convertibili non appare compatibile con la disciplina normativa sia perché implica non una modifica ma una trasformazione sostanziale del rapporto, sia perché determina una lesione del diritto di opzione dei soci. Trib.Saluzzo,10 aprile 2001,Giur. comm. 2001, II, 623, Soc. 2001, 1367. 7968/1380 Articolo 2416.Impugnazione delle deliberazioni dell'assemblea.[I].Le deliberazioni prese dall'assemblea degli obbligazionisti sono impugnabili a norma degli articoli 2377 e 2379. Le percentuali previste dall'articolo 2377 sono calcolate con riferimento all'ammontare del prestito obbligazionario e alla circostanza che le obbligazioni siano quotate in mercati regolamentati. [II]. L'impugnazione è proposta innanzi al tribunale, nella cui giurisdizione la società ha sede, in contraddittorio del rappresentante degli obbligazionisti. Sommario:1.Ipotesi di inesistenza della delibera. Giurisprudenza di legittimità..- 2.Legittimato passivo. Giurisprudenza di merito. 1.Ipotesi di inesistenza della delibera. Giurisprudenza legittimità. - Nel caso in cui una società abbia posto in essere una pluralità di emissioni obbligazionarie, aventi caratteristiche diverse, non vi è alcun interesse comune che leghi tra loro i sottoscrittori dei singoli prestiti, ciascuno dei quali è dotato di un proprio specifico regolamento negoziale, al quale risultano estranei i sottoscrittori degli altri prestiti. Ciò determina la necessità di dar vita ad altrettante organizzazioni degli obbligazionisti, con distinte assemblee (ed eventualmente distinti rappresentanti comuni), ciascuna delle quali è chiamata a deliberare su materie di interesse comune dei sottoscrittori del prestito al quale afferisce l'organizzazione. L'eventuale modificazione delle condizioni di ogni prestito richiede, pertanto, unicamente il consenso dei sottoscrittori di quella particolare emissione, nella peculiare forma assembleare indicata dall'art. 2415 c.c., poiché soltanto ad essi fa capo il relativo rapporto obbligatorio con la società emittente; ne consegue che l'approvazione della modifica con il concorso determinante dei sottoscrittori di obbligazioni rivenienti da un'emissione diversa comporta non già la mera annullabilità, ma l'inesistenza della relativa delibera, la cui impugnazione è sottratta al termine di decadenza previsto dall'art. 2377, comma 2, richiamato dall'art. 2416, comma 2, c.c.. Cass.civ.,sez.I,n.7693,31marzo2006,Giur. comm. 2007, 3, 555. 7968/1380 2.Legittimato passivo. Giurisprudenza di merito. - Il rappresentante degli obbligazionisti è organo che la legge impone di istituire, ma non è essenziale, in generale e sempre, per il funzionamento dell'assemblea degli obbligazionisti; nè in particolare la mancanza del rappresentante vizia di per sè ogni e qualsiasi decisione dell'assemblea sul versante deliberativo o su quello esecutivo; può solo produrre l'annullamento di specifiche deliberazioni assunte a causa del mancato apporto informativo, connaturato alla funzione del predetto rappresentante nell'assemblea degli obbligazionisti e non espletato in contrasto con l'interesse collettivo degli obbligazionisti. Nel caso in cui la nomina del rappresentante comune degli obbligazionisti venga fatta dopo l'assunzione di una deliberazione da parte dell'assemblea di questi ultimi, il termine per impugnarla decorre dalla data della sua assunzione e non da quella della nomina del rappresentante predetto. Il rappresentante comune è il soggetto passivo delle impugnazioni delle delibere dell'assemblea degli obbligazionisti; se il rappresentante non è stato nominato al tempo della delibera può essere nominato successivamente ad opera di chi intende promuovere l'impugnazione. App.Milano,17novembre1998,Soc. 1999, 194. 7968/1380 Articolo 2417.Rappresentante comune.[I]. Il rappresentante comune può essere scelto al di fuori degli obbligazionisti e possono essere nominate anche le persone giuridiche autorizzate all'esercizio dei servizi di investimento nonché le società fiduciarie. Non possono essere nominati rappresentanti comuni degli obbligazionisti e, se nominati, decadono dall'ufficio, gli amministratori, i sindaci, i dipendenti della società debitrice e coloro che si trovano nelle condizioni indicate nell'articolo 2399. [II]. Se non è nominato dall'assemblea a norma dell'articolo 2415, il rappresentante comune è nominato con decreto dal tribunale su domanda di uno o più obbligazionisti o degli amministratori della società. [III]. Il rappresentante comune dura in carica per un periodo non superiore a tre esercizi sociali (2) e può essere rieletto. L'assemblea degli obbligazionisti ne fissa il compenso. Entro trenta giorni dalla notizia della sua nomina il rappresentante comune deve richiederne l'iscrizione nel registro delle imprese. Sommario:1.Nomina. Giurisprudenza di merito..- 2.Compenso. Determinazione. Giurisprudenza 2.1.Compenso.Soggetto debitore. Giurisprudenza di 1.Nomina. Giurisprudenza di merito. - La nomina di un rappresentante comune degli obbligazionisti, come può arguirsi dalla lettura dell'art. 2419 c.c., non è automatica "ex lege", nè necessaria, ma rimessa alla valutazione discrezionale degli obbligazionisti stessi, con la conseguenza che, là dove tale figura non esista, le determinazioni dell'assemblea speciale assunte senza la sua partecipazione non solo presentano tutti i requisiti strutturali tipici per essere qualificate alla stregua di deliberazioni assembleari, ma devono essere considerate valide. Trib.Monza,13 giugno 1997,Soc. 1998, 175. 7968/1464 di merito. legittimità Il rappresentante degli obbligazionisti è organo che la legge impone di istituire, ma non è essenziale, in generale e sempre, per il funzionamento dell'assemblea degli obbligazionisti; nè in particolare la mancanza del rappresentante vizia di per sè ogni e qualsiasi decisione dell'assemblea sul versante deliberativo o su quello esecutivo. App.Milano,17novembre1998,Soc. 1999, 194. 7968/1464 2.Compenso. Determinazione. Giurisprudenza di merito - La competenza dell'assemblea degli obbligazionisti a determinare il compenso del rappresentante comune sussiste anche nel caso di nomina ad opera del tribunale. Trib.Parma,10 gennaio 2005, Soc. 2005, 1423 7968/1464 2.Compenso. Soggetto debitore. Giurisprudenza di legittimità.-Il compenso del rappresentante comune deve ritenersi a carico della stessa organizzazione degli obbligazionisti e non della società. Cass. civ., sez. I, 25 gennaio 1969, n. 69, Foro it., 1970, I, 564. 7968/1464 Articolo 2418. Obblighi e poteri del rappresentante comune.[I]. Il rappresentante comune deve provvedere all'esecuzione delle deliberazioni dell'assemblea degli obbligazionisti, tutelare gli interessi comuni di questi nei rapporti con la società e assistere alle operazioni di sorteggio delle obbligazioni. Egli ha diritto di assistere all'assemblea dei soci.[II]. Per la tutela degli interessi comuni ha la rappresentanza processuale degli obbligazionisti anche nell'amministrazione controllata, nel concordato preventivo, nel fallimento, nella liquidazione coatta amministrativa e nell'amministrazione straordinaria della società debitrice. Sommario:1.Obblighi. Giurisprudenza 1.Obblighi. Giurisprudenza di merito. - Il rappresentante comune degli obbligazionisti è legittimato ad impugnare per conto degli stessi tutti gli atti della società emittente lesivi dei loro interessi. di merito. Trib.Udine,31 ottobre 1992,Foro it. 1994, I, 621. 7968/1464 Articolo 2419.Azione individuale degli obbligazionisti. [I]. Le disposizioni degli articoli precedenti non precludono le azioni individuali degli obbligazionisti, salvo che queste siano incompatibili con le deliberazioni dell'assemblea previste dall'articolo 2415. Articolo 2420.Sorteggio delle obbligazioni. [I]. Le operazioni per l'estrazione a sorte delle obbligazioni devono farsi, a pena di nullità, alla presenza del rappresentante comune o, in mancanza, di un notaio. Articolo 2420 Bis.Obbligazioni convertibili in azioni. [I]. L'assemblea straordinaria può deliberare l'emissione di obbligazioni convertibili in azioni, determinando il rapporto di cambio e il periodo e le modalità della conversione. La deliberazione non può essere adottata se il capitale sociale non sia stato interamente versato. [II]. Contestualmente la società deve deliberare l'aumento del capitale sociale per un ammontare corrispondente alle azioni da attribuire in conversione. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni del secondo, terzo, quarto e quinto comma dell'articolo 2346. [III]. Nel primo mese di ciascun semestre gli amministratori provvedono all'emissione delle azioni spettanti agli obbligazionisti che hanno chiesto la conversione nel semestre precedente. Entro il mese successivo gli amministratori devono depositare per l'iscrizione nel registro delle imprese un'attestazione dell'aumento del capitale sociale in misura corrispondente al valore nominale delle azioni emesse. Si applica la disposizione del secondo comma dell'articolo 2444.[IV]. Fino a quando non siano scaduti i termini fissati per la conversione, la società non può deliberare né la riduzione volontaria del capitale sociale, né la modificazione delle disposizioni dello statuto concernenti la ripartizione degli utili, salvo che ai possessori di obbligazioni convertibili sia stata data la facoltà, mediante avviso depositato presso l'ufficio del registro delle imprese almeno novanta giorni prima della convocazione dell'assemblea, di esercitare il diritto di conversione nel termine di trenta giorni dalla pubblicazione.[V]. Nei casi di aumento del capitale mediante imputazione di riserve e di riduzione del capitale per perdite, il rapporto di cambio è modificato in proporzione alla misura dell'aumento o della riduzione. [VI]. Le obbligazioni convertibili in azioni devono indicare in aggiunta a quanto stabilito nell'articolo 2414, il rapporto di cambio e le modalità della conversione. Sommario:1.Natura. Giurisprudenza di merito- 2.Procedimento indiretto di emissione. Giurisprudenza di merito .- 3. Rinuncia alla convertibilità. Giurisprudenza di merito 1.Natura. Giurisprudenza di merito. - Le obbligazioni sociali incorporano un credito pecuniario, dando il diritto alla percezione degli interessi e al rimborso del valore nominale, cui si associa, nel caso di obbligazioni convertibili, anche il diritto - esercitabile in via alternativa al rimborso - di sottoscrivere azioni, da liberare con la somma già versata all'atto della sottoscrizione delle obbligazioni; il rapporto sottostante si configura, quindi, duplice: contratto di mutuo da un lato e patto d'opzione (avente ad oggetto la novazione del rapporto di mutuo rapporto di società) dall'altro. App.Genova,11luglio1994,Soc. 1995, 796. 7968/1368 2.Procedimento indiretto di emissione. Giurisprudenza di merito. - E’ omologabile la delibera di società per azioni di aumento del capitale finalizzato, ex art. 2420 bis comma 2 c.c., alla conversione di un prestito obbligazionario deliberato da distinta società. Trib.Napoli,05ottobre1989,Vitanot.1989,177. 7968/1368 3.Rinuncia alla convertibilità. Giurisprudenza di merito. - È legittima, e può ordinarsene l'iscrizione nel registro delle imprese, la deliberazione con la quale l'assemblea straordinaria di una società per azioni utilizza per la copertura della perdita integrale del capitale, oltre che l'annullamento del capitale e di una riserva costituita da sopravvenienze attive, anche una parte dell'importo di un prestito obbligazionario convertibile, la cui residua parte viene impiegata per ricostituire il capitale, previa deliberazione di revoca della convertibilità del prestito assunta con il voto totalitario ed unanime dei titolari dello stesso, che sono anche soci ed hanno partecipato all'assemblea che ha assunto la suddetta deliberazione. App.Firenze,13 agosto 1993,Soc.1994, 615. 7968/1368 Articolo 2420 Ter. Delega agli amministratori.[I]. Lo statuto può attribuire agli amministratori la facoltà di emettere in una o più volte obbligazioni convertibili, fino ad un ammontare determinato e per il periodo massimo di cinque anni dalla data di iscrizione della società nel registro delle imprese. In tal caso la delega comprende anche quella relativa al corrispondente aumento del capitale sociale. [II]. Tale facoltà può essere attribuita anche mediante modificazione dello statuto, per il periodo massimo di cinque anni dalla data della deliberazione. [III]. Si applica il secondo comma dell'articolo 2410. SEZIONE VIII Dei libri sociali 2421. Libri sociali obbligatori (1). – [I]. Oltre i libri e le altre scritture contabili prescritti nell'articolo 2214, la società deve tenere: 1) il libro dei soci, nel quale devono essere indicati distintamente per ogni categoria il numero delle azioni, il cognome e il nome dei titolari delle azioni nominative, i trasferimenti e i vincoli ad esse relativi e i versamenti eseguiti; 2) il libro delle obbligazioni, il quale deve indicare l'ammontare delle obbligazioni emesse e di quelle estinte, il cognome e il nome dei titolari delle obbligazioni nominative e i trasferimenti e i vincoli ad esse relativi; 3) il libro delle adunanze e delle deliberazioni delle assemblee, in cui devono essere trascritti anche i verbali redatti per atto pubblico; 4) il libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio di amministrazione o del consiglio di gestione; 5) il libro delle adunanze e delle deliberazioni del collegio sindacale ovvero del consiglio di sorveglianza o del comitato per il controllo sulla gestione; 6) il libro delle adunanze e delle deliberazioni del comitato esecutivo, se questo esiste; 7) il libro delle adunanze e delle deliberazioni delle assemblee degli obbligazionisti, se sono state emesse obbligazioni; 8) il libro degli strumenti finanziari emessi ai sensi dell'articolo 2447-sexies. [II]. I libri indicati nel primo comma, numeri 1), 2), 3), 4) e 8) sono tenuti a cura degli amministratori o dei componenti del consiglio di gestione, il libro indicato nel numero 5) a cura del collegio sindacale ovvero del consiglio di sorveglianza o del comitato per il controllo sulla gestione, il libro indicato nel numero 6) a cura del comitato esecutivo e il libro indicato nel numero 7) a cura del rappresentante comune degli obbligazionisti. [III]. I libri di cui al presente articolo, prima che siano messi in uso, devono essere numerati progressivamente in ogni pagina e bollati in ogni foglio a norma dell'articolo 2215. (1) V. nota al Capo V. Sommario: Introduzione. - 2. Libri sociali obbligatori. - 3. Iscrizione nel libro dei soci. - 4. La regolare tenuta dei libri sociali. Giurisprudenza di legittimità. 1. Introduzione. - La norma in esame è stata modificata dalla Riforma e può definirsi come una norma riguardante le società di capitali, di specificazione rispetto a quanto già previsto dall’art. 2214 per tutte le attività imprenditoriali. Di rilievo è anche l'abolizione del libro soci dalle s.r.l. con legge del 28 gennaio 2009 n. 2. 2. Libri sociali obbligatori. - Ai libri sociali obbligatori, previsti dall’art. 2214 per la generalità degli imprenditori commerciali, vanno aggiunti quelli propri della tipologia di impresa adottata. Per le società per azioni l’art. 2421, sotto la rubrica libri sociali obbligatori, individua il libro dei soci, relativo a tutte le vicende sull’assetto proprietario, il libro delle obbligazioni, il libro delle adunanze e delle deliberazioni dell’assemblea, del consiglio di amministrazione, del collegio sindacale, del comitato esecutivo se esiste e dell’assemblea degli obbligazionisti. I libri indicati nel primo comma, numeri 1), 2), 3), 4) e 8) sono tenuti a cura degli amministratori o da uno di essi a ciò delegato. Deve peraltro ritenersi che, nel caso in cui gli amministratori deleghino le proprie attribuzioni ad un organo collegiale, le iscrizioni sul libro devono essere effettuate a seguito di deliberazioni di tale organo, a meno che uno dei suoi componenti non abbia ricevuto apposita delega. Trib. Napoli, 6 dicembre 2000, Riv. notariato 2002, 210. (7968/1140). 3. Iscrizione nel libro dei soci. - Premesso che il libro dei soci, nelle società di capitali, ha la funzione di documentare il contenuto e le vicende della "partecipazione sociale", l'iscrizione al suo interno in una s.p.a. costituisce condizione necessaria per esercitare alcuni diritti accessori di natura economica, quali il diritto d'opzione, nonché per l'accesso ai fondamentali strumenti di controllo dell'attività sociale, quali il diritto di impugnazione delle delibere assembleari ed il diritto di denuncia ex art. 2409 c.c. Trib. Como, 21 dicembre 1998, Società 1999, 835. (7968/1140). L'acquirente di azioni di una s.p.a. è titolare di un diritto soggettivo perfetto, nei confronti della società, all'iscrizione nel libro dei soci. Pertanto, i poteri di verifica al momento della trascrizione del trasferimento di proprietà sono limitati al controllo formale dell'esistenza e della regolarità del negozio. Ne deriva l'inammissibilità di un rifiuto di tale trascrizione, basato su di una presunta simulazione relativa dell'atto traslativo della proprietà delle azioni (nel caso di specie, compravendita dissimulante una donazione), trattandosi di un'ipotesi di nullità in cui non sussiste un interesse concreto della società a farla valere. Trib. Como, 21 dicembre 1998, Società 1999, 835, Giur. it. 1999, 1449. (7968/1140). Inoltre le iscrizioni in esso contenute, in quanto prive di ogni effetto dispositivo, debbono essere rettificate ove si accerti la non rispondenza alla realtà dei dati e delle situazioni iscritte. (Applicazione fatta al caso in cui la partecipazione di un socio al capitale sociale era stata iscritta per un valore nominale superiore al reale valore del capitale sottoscritto). Cass. Civ., sez. I, 17 dicembre 1997, n. 12752, Giust. civ. 1998, I, 1003, Giur. it. 1998, 1186, Vita not. 1998, 1650. (7968/1140). La qualità di socio, nel rapporto con società per azioni, anche al fine della legittimazione con riguardo alle controversie inerenti al rapporto stesso, va individuata esclusivamente sulla base delle indicazioni del libro dei soci, senza che rilevi l'eventuale vendita dei titoli azionari a terzi, in considerazione dell'inopponibilità del relativo atto alla società medesima, prima del perfezionarsi del cosiddetto transfert con la iscrizione nel suddetto libro. Cass. civ., sez. I, 7 novembre 1989, n. 4647, Giust. civ. Mass. 1989, fasc.11. (7968/1140). In tema di società cooperative, la rivendicazione della qualità di socio non richiede altro che la allegazione della delibera di ammissione adottata, all'uopo, dagli amministratori della società, atto necessario e sufficiente a determinare, in via di accettazione della proposta dell'aspirante, la nascita del rapporto sociale, senza che l'insorgenza della qualità di socio possa, altresì, ritenersi condizionata all'annotazione della delibera "de qua" nel libro soci (art. 2525, comma 2, c.c.) da parte degli stessi amministratori. Cass. civ., sez. I, 28 gennaio 1999, n. 742, Giust. civ. Mass. 1999, 182, Società 1999, 682. (7968/1140). La delibera di ammissione di socio di cooperativa ai sensi dell'art. 2525 c.c. ha valore costitutivo per cui - anche in difetto della correlativa trascrizione nel libro delle deliberazioni e in quello dei soci (di cui agli art. 2421, 2516 c.c.), che ha funzione meramente documentale - la prova della qualità di socio può essere fornita dimostrando altrimenti l'esistenza della suddetta delibera. Cass. civ., sez. I, 2 aprile 1992, n. 4023, Giust. civ. 1993, I, 479, Giur. it. 1993, I, 1, 2010. (7968/1140). 4. La regolare tenuta dei libri sociali. Giurisprudenza di legittimità. - La società, nella tenuta dei libri sociali obbligatori deve rispettare le formalità intrinseche ed estrinseche indicate dalla legge. Per formalità intrinseche si intendono quelle relative al contenuto stesso dei libri e le regole da seguire nella scritturazione, mentre le formalità estrinseche attengono alla esteriretà del libro e alla modalità di rappresentazione dei dati contabili. L'amministratore di una società, che tenga i libri contabili in modo sommario e non intelligibile, pone in essere atti illeciti potenzialmente idonei a produrre pregiudizio alla società, e, quindi, tali da giustificare la condanna al risarcimento del danno, a seguito di azione di responsabilità promossa dalla società stessa, a norma dell'art. 2932 c.c. Cass. civ., sez. I, 19 dicembre 1985, n. 6493, Giur. it. 1986, I, 1, 374. (7968/1140). 2422. Diritto d'ispezione dei libri sociali (1). – [I]. I soci hanno diritto di esaminare i libri indicati nel primo comma, numeri 1) e 3) dell'articolo 2421 e di ottenerne estratti a proprie spese. [II]. Eguale diritto spetta al rappresentante comune degli obbligazionisti per i libri indicati nei numeri 2) e 3) dell'articolo 2421, e al rappresentante comune dei possessori di strumenti finanziari ed ai singoli possessori per il libro indicato al numero 8), ai singoli obbligazionisti per il libro indicato nel numero 7) dell'articolo medesimo. (1) V. nota al Capo V. Sommario: 1. Introduzione. - 2. Diritto di ispezione dei libri sociali.Giurisprudenza consolidata. - 3. Diritto di chiedere estratti a proprie spese. Giurisprudenza consolidata. - 4. Limiti al diritto d'informazione. Giurisprudenza consolidata. 1. Introduzione. - L'articolo in esame prende in considerazione sotto il profilo della legittimazione all'esercizio del diritto d'ispezione esclusivamente i soci e gli obbligazionisti. I soci hanno diritto di esaminare i libri indicati nei numeri I e III dell'articolo precedente, rispettivamente il libro soci ed il libro delle adunanze e delle deliberazioni dell'assemblea, e di ottenerne estratti a proprie; il rappresentante comune degli azionisti, ugualmente, ha diritto di consultare il libro delle obbligazioni oltre il libro delle adunanze e deliberazioni della assemblea sociale. Eguale diritto spetta al rappresentante comune degli obbligazionisti per i libri indicati nei numeri II e III dell'articolo precedente, e ai singoli obbligazionisti per il libro indicato nel numero VII dell'articolo medesimo. 2. Diritto di ispezione dei libri sociali. Giurisprudenza consolidata.– Tra i diritti del socio di una società di capitali vi è quello di informarsi dell'attività sociale, mediante l'ispezione dei libri sociali ex art. 2422, c.c., e l'esame dello stato patrimoniale previsto dall’art. 2424, c.c. Pertanto, nel caso in cui il fidejussore per l’obbligazione futura, cumulando la duplice qualità di socio e di garante della società debitrice principale, chiede di essere liberato dalle sue obbligazioni nei confronti del creditore, ai sensi dell'art. 1956, c.c., deve considerarsi legittima la presunzione operata dal giudice di merito che rigetti tale richiesta, basando il proprio accertamento sulla presunzione che il fidejussore era al corrente della situazione economica della società, ed avrebbe potuto intervenire per impedire eventi pregiudizievoli a sé ed alla stessa società. Trib. Bari, sez. I, 10 maggio 2008, n. 1168, Giurisprudenzabarese.it 2008. (7968/1152). Il diritto del socio di ispezionare i libri sociali si estende agli atti e documenti aventi funzione accessoria. Nella specie, è stato accertato il diritto del socio a ispezionare l'elenco degli intervenuti in assemblea e le relative deleghe. Il diritto di ispezione dei libri sociali, previsto dall'art. 2422 c.c., si estende, dunque, anche alle deleghe rilasciate per l'esercizio del diritto di voto, in funzione della tutela degli interessi del rappresentato. Ed infatti, ove la partecipazione dei soci sia stata indiretta, la verifica della validità delle deliberazioni assembleari, che si attua attraverso l'esame dell'elenco nominativo dei partecipanti, elemento essenziale della verbalizzazione prescritta dall'art. 2375 c.c., in quanto fonte primaria di prova della composizione dell'assemblea, non può prescindere dall'esame delle deleghe di cui si tratta, avuto riguardo al carattere incompleto dell'elenco degli intervenuti, privo di indicazioni circa i contenuti e le modalità di rilascio della procura. Cass. civ., sez. I, 20 giugno 2000, n. 8370, Giust. civ. Mass. 2000, 1345. (7968/1152). Il socio impedito a recarsi personalmente presso la sede sociale può incaricare un procuratore speciale per l'esercizio del diritto di ispezionare il libro soci ed il libro delle adunanze e delle deliberazioni assembleari, non ostando a ciò alcun diritto della società alla riservatezza sul contenuto di tali libri. Trib. Crema, 22 febbraio 1990, Giur. comm. 1990, II, 616. (7968/1152). 3. Diritto di chiedere estratti a proprie spese. Giurisprudenza consolidata. – Il diritto di chiedere estratti del libro dei soci previsto dall'art. 2422 c.c. non è un quid minus rispetto al diritto di ispezionare il libro, previsto dalla stessa disposizione di legge, ma è piuttosto lo strumento pratico di attuazione di un diritto di documentazione che potenzialmente ha lo stesso oggetto e la stessa ampiezza del diritto di ispezione. Conseguentemente tale diritto di chiedere estratti non può ritenersi limitato a posizioni personali del richiedente nè, nella ipotesi di un'azienda di credito, dalla esistenza del segreto di ufficio di cui all'art. 10 del r.d.l. 17 luglio 1937 n. 1400, convertito nella l. 7 marzo SEZIONE IX 1938 n. 141 (cosiddetta legge bancaria), al quale è assoggettata l'attività bancaria o di istituto, ma anche la compagine sociale dell'azienda stessa. Cass. civ., sez. I, 12 ottobre 1994, n. 8332, Giust. civ. Mass. 1994, 1217. (7968/1152). La nozione di "estratto" di cui è menzione nell'art. 2422 c.c. non ha nulla a che vedere con quella contenuta nell'art. 2711 c.c. o nell'art. 212 c.p.c. È piuttosto affine a quella cui si riferisce l'art. 212 c.p.c. ove è previsto che il giudice istruttore possa "disporre che, in sostituzione dell'originale, si esibisca copia anche fotografica o un estratto autentico del documento"; ed anche a quella di cui è menzione nell'art. 2718 c.c. ove le "riproduzioni per estratto" sono poste sullo stesso piano delle "copie parziali". In tali norme "estratto" è pressoché sinonimo o equivalente di "copia", con l'unica differenza che, mentre la copia riproduce per intero l'originale, l'estratto riproduce dell'originale solo le informazioni che interessa rilevare. Lo stesso può dirsi riguardo al termine "estratto" che compare nel testo dell'art. 2422 c.c. Trib. Crema, 22 febbraio 1990, Giur. comm. 1990, II, 616. (7968/1152). 4. Limiti al diritto di informazione. Giurisprudenza consolidata. - Il diritto di informazione che spetta all'azionista sulla vita della società e, in particolare, sul bilancio, trova limiti nel superiore interesse della società a far sì che non vengano divulgate informazioni che potrebbero pregiudicare l'impostazione aziendale o, più in generale, la vita della società, nonché nella necessità di improntare l'attività dell'assemblea ad una visione globale e di sintesi, con la quale sono incompatibili risposte di minuto dettaglio; poiché esso tende a far noti, entro tali limiti, fatti non chiari o non evidenziati dagli amministratori, dal suo ambito esula tutto ciò che attiene ad una critica della politica aziendale della società. Trib. Torino, 23 aprile 1979, Giur. comm. 1980, II, 442. (7968/1152). La limitazione del diritto di documentazione del socio alla richiesta di estratti (nella specie, del libro soci) non è posta a tutela della riservatezza delle operazioni imprenditoriali della società, rappresentando, invece, lo strumento pratico di attuazione di un diritto che potenzialmente ha lo stesso oggetto e la stessa ampiezza del diritto di ispezione. Cass. civ., sez. I, 12 ottobre 1994, n. 8332, Giust. civ. 1995, I, 123, Società 1995, 175, Banca borsa tit. cred. 1995, II, 649, Nuova giur. civ. commentata 1995, I, 1153. (7968/1152). Del bilancio 2423. Redazione del bilancio (1). – [I]. Gli amministratori devono redigere il bilancio di esercizio, costituito dallo stato patrimoniale, dal conto economico e dalla nota integrativa. [II]. Il bilancio deve essere redatto con chiarezza e deve rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società e il risultato economico dell'esercizio. [III]. Se le informazioni richieste da specifiche disposizioni di legge non sono sufficienti a dare una rappresentazione veritiera e corretta, si devono fornire le informazioni complementari necessarie allo scopo. [IV]. Se, in casi eccezionali, l'applicazione di una disposizione degli articoli seguenti è incompatibile con la rappresentazione veritiera e corretta, la disposizione non deve essere applicata. La nota integrativa deve motivare la deroga e deve indicarne l'influenza sulla rappresentazione della situazione patrimoniale, finanziaria e del risultato economico. Gli eventuali utili derivanti dalla deroga devono essere iscritti in una riserva non distribuibile se non in misura corrispondente al valore recuperato. [V]. Il bilancio deve essere redatto in unità di euro, senza cifre decimali, ad eccezione della nota integrativa che può essere redatta in migliaia di euro. (1) V. nota al Capo V. Sommario: 1. Introduzione. - 2. La ratio dell’art. 2423 e la funzione del bilancio. Giurisprudenza consolidata. 3. Completezza dell'informazione. Giurisprudenza consolidata. 1. Introduzione. - La ratio dell’art. 2423 è quella di fornire un’informazione il più possibile chiara, completa e veritiera della situazione patrimoniale della società, nell’interesse dei soci, dei terzi e della stessa società. L’altra funzione del bilancio, strettamente collegata con al prima, è quella di misurazione dell’utile. 2. La ratio dell’art. 2423 e la funzione del bilancio. Giurisprudenza consolidata. – Il bilancio redatto e presentato dagli amministratori di una società di capitali ha natura di mero progetto, che il collegio sindacale ha il potere di rivedere e correggere, e che acquista esistenza giuridica soltanto con l'approvazione dell'assemblea. Ne consegue che la circostanza della sua mancata approvazione, motivata dalla opportunità di una riformulazione dello stesso secondo le osservazioni dell'organo di controllo, non è idonea a realizzare, neppure sul piano potenziale, una situazione pregiudizievole (causa o fonte di danno) per la società. (Nell'affermare il principio di diritto che precede la S.C. ha confermato la sentenza del giudice di merito che aveva escluso la legittimità dell'impugnazione, da parte di un socio, della delibera con la quale l'assemblea aveva deliberato di soprassedere all'approvazione del bilancio sollecitando nel contempo il consiglio di amministrazione a riformularne la relativa proposta sulla base delle osservazioni mosse dal collegio sindacale). Cass. civ., sez. I, 5 giugno 2003, n. 8989. Nell’attuale orientamento giurisprudenziale sul bilancio è stata più volte riconfermata la sua funzione di “oggettiva informazione”. Il precetto di chiarezza e precisione nella redazione del bilancio di esercizio delle società di capitali, come oggi espresso dall'art. 2423 c.c., è sancito a tutela dell'interesse generale all'informazione circa la situazione economica delle società di capitali e quindi presenta autonoma rilevanza, non restando subordinato al c.d. principio di verità del documento contabile. Trib. Milano, 13 maggio 2002, Società 2003, 756. (7968/672). Nella disciplina della formazione del bilancio il principio di chiarezza va correlato con i principi di verità e analiticità dell’esposizione delle poste attive e passive, poiché viene considerato strumentale dall’esigenza di ottenere un bilancio esaustivo ed intelligibile. Cass. civ., 25 maggio 1994, n. 5097. (7968/684). Il bilancio d'esercizio di una società di capitali, che violi i precetti di chiarezza e precisione dettati dall'art. 2423 comma 2 c.c. (anche nel testo anteriore alle modificazioni apportate dal d.lg. n. 127 del 9 aprile 1991), è illecito, ed è quindi nulla la deliberazione assembleare con cui esso sia stato approvato, non soltanto quando la violazione della normativa in materia determini una divaricazione tra il risultato effettivo dell'esercizio (o il dato destinato alla rappresentazione complessiva del valore patrimoniale della società) e quello del quale il bilancio dà invece certezza, ma anche in tutti i casi in cui dal bilancio stesso e dai relativi allegati non sia possibile desumere l'intera gamma delle informazioni che la legge vuole siano fornite per ciascuna delle singole poste iscritte. Cass. civ., sez. un., 21 febbraio 2000, n. 27, Nuova giur. civ. commentata 2001, I, 331. (7968/684). In sede di approvazione del bilancio di una società per azioni, i chiarimenti richiesti e forniti dagli amministratori ai soci, nel corso della seduta assembleare che precede l'approvazione del bilancio, assumono rilievo, non perché divengano parte del documento di bilancio ed essi stessi oggetto della successiva delibera di approvazione, quanto piuttosto perché possono essere in concreto idonei a fugare incertezze generate da poste di bilancio non chiare; conseguentemente, ove ciò si sia verificato, l'originario difetto di chiarezza viene rimosso e con esso l'interesse a far dichiarare la nullità della delibera di approvazione, per violazione delle norme dirette a garantirne la chiarezza, avendo l'attore già conseguito, prima dell'esercizio dell'azione, per effetto dei chiarimenti, il risultato che non potrebbe, quindi, più ottenere giudizialmente. Cass. civ., 9 maggio 2008, n. 11554. (7968/684). Il socio che, avvalendosi del suo diritto d'informazione, richieda chiarimenti in assemblea su poste del bilancio non è tenuto, per ottenerle, ad illustrare agli organi sociali "i dubbi e i sospetti" che egli possa o meno nutrire in proposito. Cass. civ., sez. un., 21 febbraio 2000, n. 27. (7968/684). L'azionista ha interesse ad impugnare la deliberazione assembleare di approvazione del bilancio, per farne dichiarare la nullità, se tale documento è stato redatto violando il principio di chiarezza, anche quando non ne sia derivata un'alterazione del risultato dell'esercizio: infatti la rappresentazione contabile non fornisce ai soci e ai terzi un'esatta informazione della situazione economica e finanziaria della società (nella specie per le rimanenze non figuravano i prodotti finiti, nonostante la società ne avesse trattenuti in quantità cospicua in attesa di spedirli a un cliente; inoltre erano stati modificati, per altri beni rimasti, i criteri di valutazione rispetto a quelli seguiti in precedenti esercizi, senza che ne fosse data un'adeguata spiegazione nella nota integrativa). Trib. Milano, 13 maggio 2002. (7968/684). Se il bilancio di esercizio non elude in modo sostanziale il principio di verità la deliberazione di approvazione dello stesso è semplicemente annullabile. Trib. Bologna, 17 gennaio 1995. (7968/684). 3. Completezza dell'informazione. Giurisprudenza consolidata. - Il principio di chiarezza, che ha autonomia e pari dignità rispetto agli altri principi, implica la necessità di completezza ed esaustività, imponendo l'obbligo di fornire informazioni complementari integrative rispetto agli standard legislativi minimali in relazione alla pluralità di funzioni del bilancio ed al destinatario fruitore. Trib. Milano, 5 novembre 2001. (7968/684). Il bilancio d’esercizio, nel suo complesso, deve fornire tutte le informazioni necessarie a garantire una conoscenza dettagliata della composizione del patrimonio della società e dei singoli elementi che hanno determinato un certo risultato economico di periodo. Cass. civ., 3 settembre 1996, n. 8048. (7968/684). La conoscenza completa ed esatta della realtà i cui versa l’impresa deve essere dedotta dall’insieme dei documenti che compongono il bilancio nonché dalle risultanze del verbale di assemblea. Cass., 16 dicembre 1982, n. 6942. (7968/684). La violazione di cui all'art. 2423 bis c.c. da parte degli amministratori che abbiano rappresentato una situazione patrimoniale della società non rispondente alla situazione effettiva (in base ai criteri legali) di fatto evitando l'immediata adozione dei provvedimenti richiesti dagli art. 2446 e 2447 c.c., non li espone automaticamente alla responsabilità prevista dall'art. 2392 c.c. nè a quella di cui all'art. 2043 c.c. Difatti, in tema di responsabilità degli amministratori di società per azioni, ai sensi del comma 1 art. 2392 c.c., l'eventuale esistenza di una denunciata violazione di legge e la violazione delle prescrizioni stabilite in materia di regolare tenuta della contabilità e di fedele rappresentazione della situazione patrimoniale e finanziaria della società e del suo andamento economico non costituiscono presupposto sufficiente all'accertamento di una responsabilità risarcitoria degli amministratori, se non si accompagna alla prova, - indispensabile in ogni azione di risarcimento del danno - che da tali e siffatte violazioni siano direttamente derivati pregiudizi al patrimonio sociale. App. Milano, 13 febbraio 2004, Giustizia a Milano 2004, 52. (7968/684). Colui che impugna la deliberazione di approvazione del bilancio di una s.p.a., quando la difformità dai criteri e dai principi disposti dagli art. 2423 e 2433 bis e ss. c.c., con violazione dell'art. 2379 c.c., non sia messa in evidenza dagli stessi documenti contabili che compongono il bilancio, non può limitarsi a sollecitare l'assunzione di mezzi come la consulenza tecnico - contabile per approfondire l'operato degli amministratori, ma è tenuto a dedurre i motivi specifici da cui poter desumere la falsità della voce contestata. App. Milano, 19 settembre 2000, Giur. it. 2001, 1202. (7968/684). 2423 bis. Principi di redazione del bilancio (1). – [I]. Nella redazione del bilancio devono essere osservati i seguenti principi: 1) la valutazione delle voci deve essere fatta secondo prudenza e nella prospettiva della continuazione dell'attività, nonché tenendo conto della funzione economica dell'elemento dell'attivo o del passivo considerato; 2) si possono indicare esclusivamente gli utili realizzati alla data di chiusura dell'esercizio; 3) si deve tener conto dei proventi e degli oneri di competenza dell'esercizio, indipendentemente dalla data dell'incasso o del pagamento; 4) si deve tener conto dei rischi e delle perdite di competenza dell'esercizio, anche se conosciuti dopo la chiusura di questo; 5) gli elementi eterogenei ricompresi nelle singole voci devono essere valutati separatamente; 6) i criteri di valutazione non possono essere modificati da un esercizio all'altro. [II]. Deroghe al principio enunciato nel numero 6) del comma precedente sono consentite in casi eccezionali. La nota integrativa deve motivare la deroga e indicarne l'influenza sulla rappresentazione della situazione patrimoniale e finanziaria e del risultato economico. (1) V. nota al Capo V. Sommario: 1. Principi di redazione. - 2. Variazione dei criteri di valutazione. Giurisprudenza consolidata. 1. Principi di redazione. - Pur essendo attività legislativamente regolata, la redazione dei bilanci non sfugge a scelte discrezionali che ne possono variare i risultati; l'apprezzamento del valore delle società partecipate e l'ammontare degli ammortamenti, costituiscono infatti esempi di valutazioni che sono connaturate a tale attività, e sulle quali come su molte altre appostazioni, vi può essere una scelta discrezionale senza che per ciò solo possa parlarsi di violazione del principio di chiarezza e precisione. Nella discrezionalità consentita nello stabilire l'entità delle appostazioni, come di molte altre, deve riconoscersi un merito proprio del governo delle imprese nel perseguire obiettivi di rafforzamento patrimoniale piuttosto che di redistribuzione del capitale. In altri termini, gli organi sociali possono scegliere, entro certi limiti, di perseguire politiche di rafforzamento patrimoniale adottando criteri di valutazione di assoluta prudenza sulla stima dei beni che compongono il patrimonio sociale, e ciò possono fare in considerazione di previsioni economiche o fatti che consiglino queste scelte. Sotto tale aspetto, il principio di chiarezza e precisione non sarà violato per il solo fatto di aver adottato scelte conservative, in vista di obiettivi di solidità patrimoniale, ma potrà esserlo quando tali scelte non siano evidenziate in maniera corretta. Trib. Milano, sez. VIII, 15 maggio 2007, n. 5924, Il merito 2007, 11, 39. (7968/684). Il criterio di valutazione prudenziale da osservarsi, alla stregua dell'art. 2423 bis, n. 1, c.c., nella redazione del bilancio di una società di capitali, vieta di omettere in detto bilancio perdite presunte ricorrendo alla compensazione di dette perdite con utili sperati, ed impedisce altresì l'inserimento nel fondo rischi di una posta contabile del tutto esigua rispetto all'ammontare del contenzioso (tributario ed ordinario) della società. Trib. Napoli, 23 giugno 1995, Foro it. 1995, I, 3324. (7968/684). Assumono rilevanza fiscale quei costi imputati nel conto economico di una società, in applicazione dei principi di prudenza e prevedibilità nella valutazione dei fatti riguardanti la vita societaria, aventi incidenza nel bilancio (art. 2423 bis c.c.), qualora la certezza del loro sostenimento avvenga nell'esercizio successivo, ma entro i termini per l'approvazione del bilancio e per la presentazione della dichiarazione. Comm. trib. prov.le Messina, 19 marzo 2008, n. 110, Riv. dir. trib. 2008, 9, 532. (7968/684). Ai fini della determinazione del reddito d'impresa, il costo per le indennità dovute al personale per ferie non godute è correttamente imputato all'esercizio nel quale il dipendente ha maturato il relativo diritto, a nulla rilevando - in ossequio al principio secondo cui l'iscrizione in bilancio di costi e ricavi deve avvenire per competenza e non per cassa - che le indennità non siano state materialmente erogate. In tale ultimo caso tuttavia, ove nel successivo esercizio il lavoratore recuperi le ferie non godute, perdendo così il diritto all'indennità sostitutiva, l'importo di quest'ultima diviene per l'impresa una sopravvenienza attiva, imponibile ai sensi dell'art. 55 del d.P.R. n. 917 del 1986. Cass. civ., sez. trib., 6 giugno 2007, n. 13224, Giust. civ. Mass. 2007, 10. (7968/684). Il rispetto del precetto di chiarezza e precisione nella redazione del bilancio deve attenersi alla rappresentazione veritiera della situazione contabile societaria, anche se ciò significa violare il principio di competenza. Rientra nell'applicazione di tale principio, il caso di un'immobilizzazione materiale che, in forza di un preliminare di vendita stipulato alla data di chiusura del bilancio e prima della discussione per l'approvazione dello stesso, era stato iscritto in bilancio tenendo conto della sua reale rivalutazione proprio per effetto della situazione intervenuta. Trib. Milano, 13 febbraio 2003, Giustizia a Milano 2003, 55. (7968/684). 2. Variazione dei criteri di valutazione. Giurisprudenza consolidata. – I criteri di valutazione non possono essere modificati da un esercizio all'altro, se non in casi eccezionali e con l'obbligo degli amministratori di motivare la deroga nella nota integrativa e di illustrarne l'influenza, dove tali effetti siano rilevanti o si ripercuotano su una pluralità di voci interessate. I criteri di valutazione delle poste iscritte in bilancio possono essere eccezionalmente modificati solo in un documento contabile avente la struttura giuridica e formale del bilancio. Trib. Verona, 12 novembre 1993, Gius 1994, fasc. 4, 106. (7968/684). Nella redazione del bilancio, di un criterio di valutazione di un cespite patrimoniale diverso da quello utilizzato negli esercizi precedenti senza che la nota integrativa rechi un'adeguata motivazione della deroga consentita dall'art. 2423 bis, comma 6, c.c. in casi eccezionali si traduce in una violazione del principio di continuità dei valori contabili, e comporta pertanto la nullità del bilancio, attesa l'inderogabilità dei criteri di valutazione dettati dall'art. 2426 c.c., la cui funzione consiste nell'assicurare la trasparenza e la leggibilità del bilancio da parte dei soci e dei terzi. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, la quale, in tema di Iva, aveva ritenuto illegittimo il recupero a tassazione della differenza tra le rimanenze iniziali iscritte nel bilancio di un società in liquidazione e le rimanenze finali risultanti alla data di chiusura dell'esercizio precedente, rilevando che le prime erano state iscritte al costo di acquisto e le seconde al valore di realizzazione, ed escludendo quindi la possibilità di desumere da tale variazione l'esistenza di vendite non fatturate). Cass. civ., sez. trib., 7 maggio 2008, n. 11091, Giust. civ. Mass. 2008, 5, 666. (7968/684). 2423 ter. Struttura dello stato patrimoniale e del conto economico (1). – [I]. Salve le disposizioni di leggi speciali per le società che esercitano particolari attività, nello stato patrimoniale e nel conto economico devono essere iscritte separatamente, e nell'ordine indicato, le voci previste negli articoli 2424 e 2425. [II]. Le voci precedute da numeri arabi possono essere ulteriormente suddivise, senza eliminazione della voce complessiva e dell'importo corrispondente; esse possono essere raggruppate soltanto quando il raggruppamento, a causa del loro importo, è irrilevante ai fini indicati nel secondo comma dell'articolo 2423 o quando esso favorisce la chiarezza del bilancio. In questo secondo caso la nota integrativa deve contenere distintamente le voci oggetto di raggruppamento. [III]. Devono essere aggiunte altre voci qualora il loro contenuto non sia compreso in alcuna di quelle previste dagli articoli 2424 e 2425. [IV]. Le voci precedute da numeri arabi devono essere adattate quando lo esige la natura dell'attività esercitata. [V]. Per ogni voce dello stato patrimoniale e del conto economico deve essere indicato l'importo della voce corrispondente dell'esercizio precedente. Se le voci non sono comparabili, quelle relative all'esercizio precedente devono essere adattate; la non comparabilità e l'adattamento o l'impossibilità di questo devono essere segnalati e commentati nella nota integrativa. [VI]. Sono vietati i compensi di partite. (1) V. nota al Capo V. 2424. Contenuto dello stato patrimoniale (1). – [I]. Lo stato patrimoniale deve essere redatto in conformità al seguente schema. ATTIVO: A) Crediti verso soci per versamenti ancora dovuti, con separata indicazione della parte già richiamata. B) Immobilizzazioni, con separata indicazione di quelle concesse in locazione finanziaria: I - Immobilizzazioni immateriali: 1) costi di impianto e di ampliamento; 2) costi di ricerca, di sviluppo e di pubblicità; 3) diritti di brevetto industriale e diritti di utilizzazione delle opere dell'ingegno; 4) concessioni, licenze, marchi e diritti simili; 5) avviamento; 6) immobilizzazioni in corso e acconti; 7) altre. Totale. II - Immobilizzazioni materiali: 1) terreni e fabbricati; 2) impianti e macchinario; 3) attrezzature industriali e commerciali; 4) altri beni; 5) immobilizzazioni in corso e acconti. Totale. III - Immobilizzazioni finanziarie, con separata indicazione, per ciascuna voce dei crediti, degli importi esigibili entro l'esercizio successivo: 1) partecipazioni in: a) imprese controllate; b) imprese collegate; c) imprese controllanti; d) altre imprese; 2) crediti: a) verso imprese controllate; b) verso imprese collegate; c) verso controllanti; d) verso altri; 3) altri titoli; 4) azioni proprie, con indicazione anche del valore nominale complessivo. Totale. Totale immobilizzazioni (B); C) Attivo circolante: I - Rimanenze: 1) materie prime, sussidiarie e di consumo; 2) prodotti in corso di lavorazione e semilavorati; 3) lavori in corso su ordinazione; 4) prodotti finiti e merci; 5) acconti. Totale II - Crediti, con separata indicazione, per ciascuna voce, degli importi esigibili oltre l'esercizio successivo: 1) verso clienti; 2) verso imprese controllate; 3) verso imprese collegate; 4) verso controllanti; 4-bis) crediti tributari; 4-ter) imposte anticipate; 5) verso altri. Totale. III - Attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni: 1) partecipazioni in imprese controllate; 2) partecipazioni in imprese collegate; 3) partecipazioni in imprese controllanti; 4) altre partecipazioni; 5) azioni proprie, con indicazioni anche del valore nominale complessivo; 6) altri titoli. Totale. IV - Disponibilità liquide: 1) depositi bancari e postali; 2) assegni; 3) danaro e valori in cassa. Totale. Totale attivo circolante (C). D) Ratei e risconti, con separata indicazione del disaggio su prestiti. PASSIVO: A) Patrimonio netto: I - Capitale. II - Riserva da soprapprezzo delle azioni. III - Riserve di rivalutazione. IV - Riserva legale. V - Riserve statutarie. VI - Riserva per azioni proprie in portafoglio. VII - Altre riserve, distintamente indicate. VIII - Utili (perdite) portati a nuovo. IX - Utile (perdita) dell'esercizio. Totale. B) Fondi per rischi e oneri: 1) per trattamento di quiescenza e obblighi simili; 2) per imposte, anche differite; 3) altri. Totale. C) Trattamento di fine rapporto di lavoro subordinato. D) Debiti, con separata indicazione, per ciascuna voce, degli importi esigibili oltre l'esercizio successivo: 1) obbligazioni; 2) obbligazioni convertibili; 3) debiti verso soci per finanziamenti; 4) debiti verso banche; 5) debiti verso altri finanziatori; 6) acconti; 7) debiti verso fornitori; 8) debiti rappresentati da titoli di credito; 9) debiti verso imprese controllate; 10) debiti verso imprese collegate; 11) debiti verso controllanti; 12) debiti tributari; 13) debiti verso istituti di previdenza e di sicurezza sociale; 14) altri debiti. Totale. E) Ratei e risconti, con separata indicazione dell'aggio su prestiti. [II]. Se un elemento dell'attivo o del passivo ricade sotto più voci dello schema, nella nota integrativa deve annotarsi, qualora ciò sia necessario ai fini della comprensione del bilancio, la sua appartenenza anche a voci diverse da quella nella quale è iscritto. [III]. In calce allo stato patrimoniale devono risultare le garanzie prestate direttamente o indirettamente, distinguendosi fra fideiussioni (2), avalli, altre garanzie personali e garanzie reali, ed indicando separatamente, per ciascun tipo, le garanzie prestate a favore di imprese controllate e collegate, nonché di controllanti e di imprese sottoposte al controllo di queste ultime; devono inoltre risultare gli altri conti d'ordine. [IV]. È fatto salvo quanto disposto dall'articolo 2447-septies con riferimento ai beni e rapporti giuridici compresi nei patrimoni destinati ad uno specifico affare ai sensi della lettera a) del primo comma dell'articolo 2447-bis. (1) V. nota al Capo V. (2) V. Avviso di rettifica in G.U. 4 luglio 2003, n. 153. Sommario: 1. Patrimonio netto. Giurisprudenza consolidata. – 2. Conti d'ordine. Giurisprudenza di legittimità. – 3. Contratti di leasing. Giurisprudenza di legittimità 1. Patrimonio netto. Giurisprudenza consolidata. - Il fatto che il capitale sociale, non diversamente dalle riserve e da tutte le altre poste che concorrono a formare il patrimonio netto della società, debba essere iscritto al passivo del bilancio (art. 2424 c.c.) non vale a farlo considerare alla stregua di una posta debitoria, il cui annullamento o la cui riduzione comporti un vantaggio patrimoniale della società, giacché quelle poste non costituiscono passività, ma identificano l'eccedenza delle attività rispetto alle vere e proprie passività - rappresentando, quindi, il "valore netto" del patrimonio di cui la società può disporre - e la loro iscrizione nella colonna del passivo risponde unicamente alla finalità contabile di far coincidere il totale del passivo con quello dell'attivo. Ne consegue che gli eventi destinati ad incidere negativamente sul capitale o sulle riserve (quale, nella specie, il rimborso delle azioni a favore di soci che abbiano esercitato il diritto di recesso in difetto dei relativi presupposti) per ciò stesso implicano un decremento di valore della società e, quindi, costituiscono per essa un danno, senza che possa assumere rilievo, in senso contrario, il venir meno dell'obbligo di restituzione dei conferimenti ai soci in sede di futura liquidazione della società, giacché il rapporto che intercorre tra la società ed i propri soci non può essere assimilato ad un rapporto di credito e debito, anche solo potenziale, nè il socio, in quanto tale, è qualificabile come creditore della società, non avendo alcuna pretesa che possa far valere direttamente sul patrimonio sociale e divenendo titolare di un diritto alla quota di liquidazione soltanto allorché si verifica una causa di scioglimento del rapporto di società. Cass. civ., sez. I, 8 novembre 2005, n. 21641, Giust. civ. Mass. 2005, 11. (7968/672). In tema di imposta straordinaria sul patrimonio netto delle imprese, istituita dall'art. 1 d.l. 30 settembre 1992 n. 394, convertito in l. 26 novembre 1992 n. 461, il fondo iscritto in bilancio per specifici oneri o passività, come la copertura di perdite derivanti dalla verifica della polizia tributaria, è un fondo specifico che, ai sensi dell'art. 2, comma 2, d.m. 7 gennaio 1993 adottato in attuazione del d.l. n. 394 citato - non va incluso nel patrimonio netto oggetto dell'imposta in esame. Cass. Civ., sez. trib., 9 aprile 2008, n. 9184, Giust. civ. Mass. 2008, 4, 548. (7968/672). Il capitale sociale viene intaccato dalle perdite solo per quella parte che non è coperta da riserve. App. Perugia, 30 giugno 1992. (7968/672). 2. Conti d'ordine. Giurisprudenza di legittimità. – I conti d'ordine costituiscono un elemento integrante dello stato patrimoniale, quale elemento costitutivo del bilancio, secondo l'art. 2423 comma 1 c.c., nel quale a norma del successivo art. 2424, possono risultare i crediti ceduti pro-solvendo. Conseguentemente, ai fini della concorrenza al fondo rischi su crediti, risulta rispettatala condizione formale richiesta dall'art. 66 comma 1 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597 (poi art. 66 comma 3 del t.u.i.r. nella versione ante i.re.s. e, ora, art. 101) dell'iscrizione dei crediti risultanti dal bilancio anche se non inclusi nella corrispondente voce dell'attivo del bilancio. Cass. civ., sez. trib., 12 maggio 2006, n. 11080, Dir. economia assicur. 2006, 2, 694. (7968/672). 3. Contratti di leasing. Giurisprudenza di legittimità. - La società conduttrice di beni in leasing deve imputare al conto economico i canoni di leasing di competenza dell’esercizio, esporre alla chiusura dell’esercizio, tra i conti d’ordine l’impegno contrattuale assunto, costituito dai canoni di locazione ancora dovuti. Il bene in locazione deve essere iscritto nell’attivo dello stato patrimoniale soltanto dopo aver esercitato il c.d. diritto di riscatto e solo per il valore effettivamente riscattato. Cass. civ., 29 dicembre 1989, n. 5823. (7968/672). 2424 bis. Disposizioni relative a singole voci dello stato patrimoniale (1). – [I]. Gli elementi patrimoniali destinati ad essere utilizzati durevolmente devono essere iscritti tra le immobilizzazioni. [II]. Le partecipazioni in altre imprese in misura non inferiore a quelle stabilite dal terzo comma dell'articolo 2359 si presumono immobilizzazioni. [III]. Gli accantonamenti per rischi ed oneri sono destinati soltanto a coprire perdite o debiti di natura determinata, di esistenza certa o probabile, dei quali tuttavia alla chiusura dell'esercizio sono indeterminati o l'ammontare o la data di sopravvenienza. [IV]. Nella voce: "trattamento di fine rapporto di lavoro subordinato" deve essere indicato l'importo calcolato a norma dell'articolo 2120. [V]. Le attività oggetto di contratti di compravendita con obbligo di retrocessione a termine devono essere iscritte nello stato patrimoniale del venditore. [VI]. Nella voce ratei e risconti attivi devono essere iscritti i proventi di competenza dell'esercizio esigibili in esercizi successivi, e i costi sostenuti entro la chiusura dell'esercizio ma di competenza di esercizi successivi. Nella voce ratei e risconti passivi devono essere iscritti i costi di competenza dell'esercizio esigibili in esercizi successivi e i proventi percepiti entro la chiusura dell'esercizio ma di competenza di esercizi successivi. Possono essere iscritte in tali voci soltanto quote di costi e proventi, comuni a due o più esercizi, l'entità dei quali vari in ragione del tempo. (1) V. nota al Capo V. Sommario: 1. Le immobilizazione finanziarie. Giurisprudenza di legittimità. - 2. Gli accantonamenti per rischi e oneri. Giurisprudenza di merito. 1. Le immobilizazione finanziarie. Giurisprudenza di legittimità. - In tema di redazione del bilancio di una società bancaria, la qualificazione dei titoli rappresentativi delle partecipazioni in altre società come "immobilizzazioni finanziarie", in quanto elementi destinati ad essere utilizzati durevolmente nell'impresa, ovvero come facenti parte del capitale circolante, è frutto di una scelta discrezionale degli amministratori - non censurabile in sede di impugnazione del bilancioma, una volta che essa sia stata operata, gli amministratori sono obbligati ad iscrivere detti titoli nel documento contabile, rispettivamente, secondo il criterio del costo (art. 18, d.lg. n. 87 del 1992), ovvero sulla base dei più elastici parametri espressamente previsti (art. 20, d.lg. n. 87 del 1992), essendo tuttavia ammissibile la successiva modificazione della destinazione e, conseguentemente, del relativo criterio di valutazione. (Principio enunciato in riferimento al bilancio di una società bancaria al quale, "ratione temporis", non erano applicabili le istruzioni emanate dalla Banca d'Italia, ai sensi dell'art. 5, d.lg. n. 87 del 1992 - sostanzialmente coincidenti con la raccomandazione adottata dalla Consob in data 15 febbraio 1995 e rielaborata in data 15 giugno 2001 - nel testo in cui, allo scopo di evitare il rischio di abusi derivanti da un uso strumentale del potere di destinazione dei titoli, hanno fissato le modalità di individuazione preventiva dei parametri di classificazione, disponendo che, nel caso di modificazione della destinazione, i titoli debbano continuare ad essere valutati secondo il criterio previsto per la loro destinazione originaria). Cass. civ., sez. I, 1 aprile 2005, n. 6911, Giust. civ. Mass. 2005, 4. (7968/696). I crediti verso clienti non possono essere ricompresi tra le immobilizzazioni finanziarie ai sensi dell'art. 2424 bis c.c., ma nell'attivo circolante, generando possibili perdite e non minusvalenze. Conseguentemente la cessione "pro soluto" dei crediti - ritenuti inesigibili dall'imprenditore e non rientranti in una procedura concorsuale - risultano deducibili soltanto se risultano da dati di riferimento precisi comprovanti la perdita. Cass. Civ., sez. trib., 11 dicembre 2000, n. 15563, Giur. imp. 2001, 298, Rass. trib. 2001, 1353. (7968/696). 2. Gli accantonamenti per rischi e oneri. Giurisprudenza di merito. – I fondi rischi costituiscono accantonamenti che debbono essere effettuati a fronte di eventi negativi probabili, quando se ne ammette l'accadimento in base a motivi seri o attendibili, ma non certi, laddove, in presenza di eventi possibili (ridotta probabilità di realizzazione), si richiede soltanto un richiamo informativo nella nota integrativa. Trib. Milano, 05 novembre 2001, Giur. it. 2002, 554. (7968/696). In sede di compilazione del bilancio di una società per azioni - successivamente all'entrata in vigore del d.l. n. 127 del 1991 - va iscritta alla voce "fondo per rischi", di cui alla lett. b) dello schema di passivo indicato dall'art. 2424 c.c., la pretesa creditoria avanzata da terzi e assistita da una probabilità di fondamento. Trib. Napoli, 10 giugno 1994, Foro it. 1995, I, 3328. (7968/696). 2425. Contenuto del conto economico (1). – [I]. Il conto economico deve essere redatto in conformità al seguente schema: A) Valore della produzione: 1) ricavi delle vendite e delle prestazioni; 2) variazioni delle rimanenze di prodotti in corso di lavorazione, semilavorati e finiti; 3) variazioni dei lavori in corso su ordinazione; 4) incrementi di immobilizzazioni per lavori interni; 5) altri ricavi e proventi, con separata indicazione dei contributi in conto esercizio. Totale. B) Costi della produzione: 6) per materie prime, sussidiarie, di consumo e di merci; 7) per servizi; 8) per godimento di beni di terzi; 9) per il personale: a) salari e stipendi; b) oneri sociali; c) trattamento di fine rapporto; d) trattamento di quiescenza e simili; e) altri costi; 10) ammortamenti e svalutazioni: a) ammortamento delle immobilizzazioni immateriali; b) ammortamento delle immobilizzazioni materiali; c) altre svalutazioni delle immobilizzazioni; d) svalutazioni dei crediti compresi nell'attivo circolante e delle disponibilità liquide; 11) variazioni delle rimanenze di materie prime, sussidiarie, di consumo e merci; 12) accantonamenti per rischi; 13) altri accantonamenti; 14) oneri diversi di gestione. Totale. Differenza tra valore e costi della produzione (A - B). C) Proventi e oneri finanziari: 15) proventi da partecipazioni, con separata indicazione di quelli relativi ad imprese controllate e collegate; 16) altri proventi finanziari: a) da crediti iscritti nelle immobilizzazioni, con separata indicazione di quelli da imprese controllate e collegate e di quelli da controllanti; b) da titoli iscritti nelle immobilizzazioni che non costituiscono partecipazioni; c) da titoli iscritti nell'attivo circolante che non costituiscono partecipazioni; d) proventi diversi dai precedenti, con separata indicazione di quelli da imprese controllate e collegate e di quelli da controllanti; 17) interessi e altri oneri finanziari, con separata indicazione di quelli verso imprese controllate e collegate e verso controllanti; 17-bis) utili e perdite su cambi. Totale (15 + 16 - 17 + - 17-bis). D) Rettifiche di valore di attività finanziarie: 18) rivalutazioni: a) di partecipazioni; b) di immobilizzazioni finanziarie che non costituiscono partecipazioni; c) di titoli iscritti all'attivo circolante che non costituiscono partecipazioni; 19) svalutazioni: a) di partecipazioni; b) di immobilizzazioni finanziarie che non costituiscono partecipazioni; c) di titoli iscritti nell'attivo circolante che non costituiscono partecipazioni. Totale delle rettifiche (18 - 19). E) Proventi e oneri straordinari: 20) proventi, con separata indicazione delle plusvalenze da alienazioni i cui ricavi non sono iscrivibili al n. 5); 21) oneri, con separata indicazione delle minusvalenze da alienazioni, i cui effetti contabili non sono iscrivibili al n. 14), e delle imposte relative a esercizi precedenti. Totale delle partite straordinarie (20 - 21). Risultato prima delle imposte (A - B + - C + - D + - E); 22) imposte sul reddito dell'esercizio, correnti, differite e anticipate; 23) utile (perdite) dell'esercizio. (1) V. nota al Capo V. Sommario: 1. Introduzione. - 2. Ammortamenti. Giurisprudenza di legittimità. - 3. Canoni di leasing. - 4. Compenso agli amministratori. Giurisprudenza consolidata. - 5. Contributi in conto capitale. Giurisprudenza di merito. - 6. Interessi. Giurisprudenza di merito. - 7. Proventi straordinari. Giurisprudenza di legittimità. - 8. Valutazione dell’attivo. Giurisprudenza di legittimità. - 9. Ricavi e proventi da conferimento. Giurisprudenza di legittimità. 1. Introduzione. – Il conto economico esprime il valore della produzione complessiva realizzata nel periodo, indipendentemente da quanto di questa sia stata venduta nel periodo. 2. Ammortamenti. –In tema di imposte sui redditi, e con riferimento alla determinazione del reddito d'impresa, nel sistema vigente anteriormente alle modifiche introdotte dall'art. 2 d.lg. 9 aprile 1991 n. 127 e dall'art. 2 bis d.l. 29 giugno 1994 n. 416, conv. con modificazioni dalla l. 8 agosto 1994 n. 503, le quote di ammortamento anticipato erano fiscalmente deducibili, ai sensi dell'art. 67, comma 3, d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917, soltanto se iscritte nell'apposito fondo facente parte integrante del fondo ammortamenti previsto dall'art. 2425, comma 1, n. 1, c.c. per i beni dell'impresa: tale adempimento trovava infatti giustificazione nella non corrispondenza tra il piano di ammortamento civilistico e quello fiscale anticipato, e nella conseguente esigenza di consentire all'Amministrazione finanziaria il controllo in ordine all'anticipata consumazione dell'ammortamento agli effetti fiscali, onde evitare una duplice utilizzazione del medesimo ammortamento. Cass. Civ., sez. trib., 21 febbraio 2007, n. 4039, Giust. civ. Mass. 2007, 2. (7968/696). Sono validi gli ammortamenti corrispondenti alle aliquote massime fiscalmente consentite se corrispondono al deperimento e consumo delle immobilizzazioni tecniche. Trib. Milano, 10 ottobre 1991. (7968/696). 3. I canoni di leasing. Giurisprudenza di legittimità. - I canoni di leasing devono essere imputati a conto economico per competenza. Cass. civ., 29 dicembre 1989, n. 5823. (7968/696). 4. Compensi agli amministratori. Giurisprudenza consolidata. - Il compenso agli amministratori deve essere inserito in bilancio solo se deliberato dall’assemblea con un’autonoma decisione diversa da quella di approvazione del bilancio stesso. Cass. civ, 30 marzo 1995, n. 3774. (7968/696). Il bilancio nel quale siano registrati i compensi corrisposti nell’esercizio agli amministratori, cui erano stati attribuiti compiti specifici, non previamente deliberati dall’assemblea non è invalido, poiché con l’approvazione del bilancio quest’ultima ratifica gli stessi. Trib. Milano, 26 aprile 1990. (7968/696). 5. Contributi in conto capitale. Giurisprudenza di merito. - L’iscrizione di un contributo erogato a fondo perduto iscritto nel passivo compromette la chiarezza del bilancio d’esercizio. App. Catania, 27 febbraio 1986. (7968/696). 6. Interessi. Giurisprudenza di merito. Devono essere inseriti in bilancio gli interessi moratori relativi ad un credito d’imposta regolarmente iscritto in bilancio. Trib. Milano, 9 luglio 1987. (7968/696). 7. Proventi straordinari. Giurisprudenza di legittimità. - L’entità della plusvalenza viene determinata dal raffronto tra corrispettivo della vendita e valore netto contabile del bene (costo storico meno ammortamenti effettivamente realizzati). Cass. civ., 1 aprile 1996, n. 2992. (7968/696). 8. Valutazione dell’attivo. Giurisprudenza di legittimità. - In tema di valutazione degli elementi dell'attivo del bilancio di una società per azioni, le «speciali ragioni» di cui all'art. 2425, ultimo comma, c.c. (nel testo antecedente alle modifiche introdotte dal d.lg. n. 127 del 1991), permettono la deroga agli ordinari criteri di cui ai commi precedenti della citata disposizione e non solo ai criteri massimi di valutazione e trovano giustificazione in peculiari esigenze del caso concreto, tali da rendere inadeguato il valore legale del bene; è pertanto corretta la riduzione delle quote di ammortamento dei beni aziendali operata in ragione della contribuzione degli stessi alla gestione delle imprese (nella specie, limitata a soli tre mesi l'anno, in considerazione del carattere stagionale dell'attività imprenditoriale), al fine di tener conto del consumo e del deperimento effettivamente verificatisi a causa di tale limitata utilizzazione. Cass. civ., sez. I, 23 maggio 2008, n. 13413, Giust. civ. Mass. 2008, 5, 799. (7968/696). 9. Ricavi e proventi da conferimento. Giurisprudenza di legittimità. - È illegittima l'iscrizione in bilancio, tra i ricavi della società, di proventi da conferimenti per un ammontare che, alla data di chiusura dell'esercizio di competenza, è incerto ed ipotetico in quanto fondato su una stima suscettibile di essere modificata sulla base di evenienze non dipendenti dalla società. Il rispetto del requisito della chiarezza, riguardante il contenuto informativo del bilancio, mediante la spiegazione, nella relazione degli amministratori, delle ragioni dell'incertezza nella determinazione dei proventi incidenti sui ricavi, non sana il difetto dei requisiti di correttezza e veridicità del bilancio che attengono al risultato economico, ed impongono l'iscrizione di componenti positive del reddito non meramente ipotetiche. Cass. Civ., sez. I, 24 luglio 2007, n. 16388, Giust. civ. Mass. 2007, 7-8, Giust. Civ. 2008, 12, 2899. (7968/696). 2425 bis. Iscrizione dei ricavi, proventi, costi ed oneri (1). – [I]. I ricavi e i proventi, i costi e gli oneri devono essere indicati al netto dei resi, degli sconti, abbuoni e premi, nonché delle imposte direttamente connesse con la vendita dei prodotti e la prestazione dei servizi. [II]. I ricavi e i proventi, i costi e gli oneri relativi ad operazioni in valuta devono essere determinati al cambio corrente alla data nella quale la relativa operazione è compiuta. [III]. I proventi e gli oneri relativi ad operazioni di compravendita con obbligo di retrocessione a termine, ivi compresa la differenza tra prezzo a termine e prezzo a pronti, devono essere iscritti per le quote di competenza dell'esercizio. [IV]. Le plusvalenze derivanti da operazioni di compravendita con locazione finanziaria al venditore sono ripartite in funzione della durata del contratto di locazione (2). (1) V. nota al Capo V. (2) Comma aggiunto dall'art. 16 d.lgs. 28 dicembre 2004, n. 310. 1. Portata della norma. Giurisprudenza di legittimità.- È illegittima l'iscrizione in bilancio, tra i ricavi della società, di proventi da conferimenti per un ammontare che, alla data di chiusura dell'esercizio di competenza, è incerto ed ipotetico in quanto fondato su una stima suscettibile di essere modificata sulla base di evenienze non dipendenti dalla società. Il rispetto del requisito della chiarezza, riguardante il contenuto informativo del bilancio, mediante la spiegazione, nella relazione degli amministratori, delle ragioni dell'incertezza nella determinazione dei proventi incidenti sui ricavi, non sana il difetto dei requisiti di correttezza e veridicità del bilancio che attengono al risultato economico, ed impongono l'iscrizione di componenti positive del reddito non meramente ipotetiche. Cass. Civ., sez. I, 24 luglio 2007, n. 16388, Giust. Civ. 2008, 12, 2899. (7968/696). In tema di determinazione del reddito d'impresa, il corrispettivo della cessione di materie prime, acquistate e rivendute nello stesso atto ed allo stesso prezzo, costituisce - ai sensi dell'art. 53 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597 - ricavo di esercizio, e come tale deve essere appostato nel conto economico, distintamente da eventuali costi ad esso afferenti, al fine di non alterare illegittimamente il risultato del conto ed in conformità al divieto di compensazione di partite sancito dall'art. 2425 bis c.c. (nel testo, applicabile "ratione temporis", introdotto dall'art. 11 del d.l. n. 95 del 1974, convertito nella legge n. 216 del 1974) ed ora dall'art. 2423 ter, ultimo comma, dello stesso codice. Cass.civ., sez. trib., 22 febbraio 2002, n. 2541, Giust. civ. Mass. 2002, 278. (7968/696). In tema di bilancio di una società per azioni, secondo la normativa anteriore alle modifiche introdotte dal d.l. 9 aprile 1991 n. 127, la regola contenuta nel n. 14 dell'art. 2425-bis c.c., per cui il conto profitti e perdite deve indicare nelle perdite "gli accantonamenti per oneri fiscali ed altri oneri specifici", non impone l'accantonamento di importi presuntivamente occorrenti per far fronte ad oneri fiscali non ancora certi, che potrebbero derivare da accertamenti in corso, atteso che soltanto l'iscrizione nei ruoli o gli avvisi di liquidazione di imposte e tasse, variamente qualificabili, determinano l'insorgere - in tempi diversi, connessi alle eventuali contestazioni ed impugnazioni - del definitivo obbligo contributivo e, quindi, l'obbligo per gli amministratori di inserire i tributi in bilancio, a norma del precedente n. 5, e che gli accantonamenti per oneri fiscali previsti dalla voce n. 14 riguardano quei tributi già accertati e liquidati, il cui pagamento deve avvenire, in tutto o in parte, nel corso di successivi esercizi. Cass. Civ., sez. I, 25 maggio 1994, n. 5097, Giust. civ. Mass. 1994, 711. (7968/696). 2426. Criteri di valutazioni (1). – [I]. Nelle valutazioni devono essere osservati i seguenti criteri: 1) le immobilizzazioni sono iscritte al costo di acquisto o di produzione. Nel costo di acquisto si computano anche i costi accessori. Il costo di produzione comprende tutti i costi direttamente imputabili al prodotto. Può comprendere anche altri costi, per la quota ragionevolmente imputabile al prodotto, relativi al periodo di fabbricazione e fino al momento dal quale il bene può essere utilizzato; con gli stessi criteri possono essere aggiunti gli oneri relativi al finanziamento della fabbricazione, interna o presso terzi; 2) il costo delle immobilizzazioni, materiali e immateriali, la cui utilizzazione è limitata nel tempo deve essere sistematicamente ammortizzato in ogni esercizio in relazione con la loro residua possibilità di utilizzazione. Eventuali modifiche dei criteri di ammortamento e dei coefficienti applicati devono essere motivate nella nota integrativa; 3) l'immobilizzazione che, alla data della chiusura dell'esercizio, risulti durevolmente di valore inferiore a quello determinato secondo i numeri 1) e 2) deve essere iscritta a tale minore valore; questo non può essere mantenuto nei successivi bilanci se sono venuti meno i motivi della rettifica effettuata. Per le immobilizzazioni consistenti in partecipazioni in imprese controllate o collegate che risultino iscritte per un valore superiore a quello derivante dall'applicazione del criterio di valutazione previsto dal successivo numero 4) o, se non vi sia obbligo di redigere il bilancio consolidato, al valore corrispondente alla frazione di patrimonio netto risultante dall'ultimo bilancio dell'impresa partecipata, la differenza dovrà essere motivata nella nota integrativa; 4) le immobilizzazioni consistenti in partecipazioni in imprese controllate o collegate possono essere valutate, con riferimento ad una o più tra dette imprese, anziché secondo il criterio indicato al numero 1), per un importo pari alla corrispondente frazione del patrimonio netto risultante dall'ultimo bilancio delle imprese medesime, detratti i dividendi ed operate le rettifiche richieste dai principi di redazione del bilancio consolidato nonché quelle necessarie per il rispetto dei principi indicati negli articoli 2423 e 2423-bis. Quando la partecipazione è iscritta per la prima volta in base al metodo del patrimonio netto, il costo di acquisto superiore al valore corrispondente del patrimonio netto risultante dall'ultimo bilancio dell'impresa controllata o collegata può essere iscritto nell'attivo, purché ne siano indicate le ragioni nella nota integrativa. La differenza, per la parte attribuibile a beni ammortizzabili o all'avviamento, deve essere ammortizzata. Negli esercizi successivi le plusvalenze, derivanti dall'applicazione del metodo del patrimonio netto, rispetto al valore indicato nel bilancio dell'esercizio precedente sono iscritte in una riserva non distribuibile; 5) i costi di impianto e di ampliamento, i costi di ricerca, di sviluppo e di pubblicità aventi utilità pluriennale possono essere iscritti nell'attivo con il consenso, ove esistente, del collegio sindacale e devono essere ammortizzati entro un periodo non superiore a cinque anni. Fino a che l'ammortamento non è completato possono essere distribuiti dividendi solo se residuano riserve disponibili sufficienti a coprire l'ammontare dei costi non ammortizzati; 6) l'avviamento può essere iscritto nell'attivo con il consenso, ove esistente, del collegio sindacale, se acquisito a titolo oneroso, nei limiti del costo per esso sostenuto e deve essere ammortizzato entro un periodo di cinque anni. È tuttavia consentito ammortizzare sistematicamente l'avviamento in un periodo limitato di durata superiore, purché esso non superi la durata per l'utilizzazione di questo attivo e ne sia data adeguata motivazione nella nota integrativa; 7) il disaggio su prestiti deve essere iscritto nell'attivo e ammortizzato in ogni esercizio per il periodo di durata del prestito; 8) i crediti devono essere iscritti secondo il valore presumibile di realizzazione; 8-bis) le attività e le passività in valuta, ad eccezione delle immobilizzazioni, devono essere iscritte al tasso di cambio a pronti alla data di chiusura dell'esercizio ed i relativi utili e perdite su cambi devono essere imputati al conto economico e l'eventuale utile netto deve essere accantonato in apposita riserva non distribuibile fino al realizzo. Le immobilizzazioni materiali, immateriali e quelle finanziarie, costituite da partecipazioni, rilevate al costo (2) in valuta devono essere iscritte al tasso di cambio al momento del loro acquisto o a quello inferiore alla data di chiusura dell'esercizio se la riduzione debba giudicarsi durevole; 9) le rimanenze, i titoli e le attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni sono iscritti al costo di acquisto o di produzione, calcolato secondo il numero 1), ovvero al valore di realizzazione desumibile dall'andamento del mercato, se minore; tale minor valore non può essere mantenuto nei successivi bilanci se ne sono venuti meno i motivi. I costi di distribuzione non possono essere computati nel costo di produzione; 10) il costo dei beni fungibili può essere calcolato col metodo della media ponderata o con quelli: "primo entrato, primo uscito" o: "ultimo entrato, primo uscito"; se il valore così ottenuto differisce in misura apprezzabile dai costi correnti alla chiusura dell'esercizio, la differenza deve essere indicata, per categoria di beni, nella nota integrativa; 11) i lavori in corso su ordinazione possono essere iscritti sulla base dei corrispettivi contrattuali maturati con ragionevole certezza; 12) le attrezzature industriali e commerciali, le materie prime, sussidiarie e di consumo, possono essere iscritte nell'attivo ad un valore costante qualora siano costantemente rinnovate, e complessivamente di scarsa importanza in rapporto all'attivo di bilancio, sempreché non si abbiano variazioni sensibili nella loro entità, valore e composizione. (1) V. nota al Capo V. (2) Le parole da « materiali, » fino a « costo » sono state inserite dall'art. 17 d.lgs. 28 dicembre 2004, n. 310. Sommario: 1. Introduzione. - 2. Ammortamento. Giurisprudenza di merito. - 3. Azioni proprie. - 4. Iscrizione nell’attivo e del passivo dello stato patrimoniale. Giurisprudenza di merito. - 5. Valutazione delle rimanenze. Giurisprudenza consolidata. - 6. Plusvalenze su immobilizzazioni finanziarie. Giurisprudenza di legittimità. - 7. Spese di pubblicità. Giurisprudenza di legittimità. - 8. Valutazione dell’avviamento. - 9. Valutazione dei crediti. Giurisprudenza di merito. - 10. Onere della prova in merito alla legittimità dei criteri di valutazione applicati. Giurisprudenza di merito. 1. Introduzione. – Il conto economico esprime il valore della produzione complessiva realizzata nel periodo, indipendentemente da quanto di questa sia stata venduta nel periodo. 2. Ammortamento. Giurisprudenza di merito. E’ possibile variare i criteri di determinazione delle quote di ammortamento se ciò dipende effettivamente dal deperimento o dal consumo dei beni strumentali. App. Brescia, 12 ottobre 1983. È legittimo ammortizzare le immobilizzazioni in misura conforme alle aliquote massime fiscalmente consentite, se nella realtà tali valori corrispondono alla "residua possibilità di utilizzazione" del bene di cui all'art. 2426 n. 2 c.c. e di tale corrispondenza si fornisce adeguata e chiara illustrazione nella nota integrativa. Trib. Como, 26 marzo 1997, Società 1997, 1074. (7968/696). 3. Azioni proprie. - Le azioni proprie che si configurino come immobilizzazioni finanziarie possono essere iscritte in bilancio al costo. Trib. Milano, 10 ottobre 1991. (7968/696). Le azioni proprie in portafoglio, poiché rappresentano un valore che esiste nel patrimonio della società emittente ed è suscettibile di essere monetizzato, debbono essere iscritte in bilancio secondo i criteri di valutazione e, in genere, secondo le regole stabilite dalla legge per qualsiasi altro titolo azionario. Cass. civ., sez. I, 03 settembre 1996, n. 8048, Giur. comm. 1997, II, 249, Nuova giur. civ. commentata 1997, I, 844. (7968/696). 4. Iscrizione nell’attivo e del passivo dello stato patrimoniale. Giurisprudenza di merito. - Nel bilancio dell’impresa commerciale i beni rilevano non per la loro tipologia giuridica ma per la destinazione funzionale che ricevono nell’azienda. App. Milano, 22 ottobre 1993. (7968/696). È illegittima l'iscrizione tra le poste passive delle spese sostenute per l'ammodernamento e le trasformazioni di beni aziendali, il cui valore patrimoniale risulti incrementato, senza alcuna contropartita nell'attivo e senza attuare alcun meccanismo contabile idoneo a ripartire tali costi tra i diversi esercizi ad essi interessati. Trib. Milano, 13 gennaio 1983, Banca borsa tit. cred. 1983, II, 328. (7968/696). Le spese di ricerca e studi di mercato, in quanto destinate ad un ampliamento dell'attività imprenditoriale, con effetto positivo che non si esaurisce in un esercizio, possono essere iscritte all'attivo ed ammortizzate ai sensi dell'art. 2426 c.c. App. Bologna, 21 dicembre 1979, Giur. comm. 1980, II, 736. (7968/696). 5. Valutazione delle rimanenze. Giurisprudenza consolidata. - E’ legittimo l’uso del criterio di valutazione LIFO a scatti o scaglioni annuali per la valutazione delle rimanenze di magazzino. Cass. civ., 27 febbraio 1985, n. 1699. (7968/696). L'utilizzo per la valutazione delle rimanenze di criteri diversi da quelli ammessi dall'art. 2426 c.c. può essere consentito se l'applicazione del diverso criterio conduce nella realtà a risultati non dissimili da quelli che si otterrebbero applicando i criteri di cui all'art. 2426 n. 10 c.c. Il criterio di valutazione previsto dal n. 11 dell'art. 2426 c.c. per i lavori in corso su ordinazione è applicabile anche alle commesse a breve termine, purché sul punto si dia chiara e dettagliata informazione nella nota integrativa. Trib. Como, 26 marzo 1997, Società 1997, 1074. (7968/696). 6. Plusvalenze su immobilizzazioni finanziarie. Giurisprudenza di legittimità. - Nella valutazione delle immobilizzazioni finanziarie gli amministratori devono astenersi dal considerare eventuali plusvalenze derivanti da semplici lievitazioni delle quotazioni dei titoli. Cass. civ., 4 febbraio 1992, n. 1211. (7968/696). 7. Spese di pubblicità. Giurisprudenza di legittimità.- Le spese di pubblicità in ragione dell’idoneità, astrattamente considerata, a produrre effetti positivi anche in esercizi successivi, vanno iscritte in bilancio secondo il criterio di competenza. Cass. civ., 8 agosto 1997, n. 7398. (7968/696). Il criterio della patrimonializzazione delle spese di pubblicitàè in sè valido, a condizione che sia correttamente utilizzato, anche con riferimento all'art. 2426 c.c., come sostituito dall'art. 9 d.l. 9 aprile 1991 n. 127. Cass. pen., sez. V, 23 febbraio 1993, Riv. pen. Economia 1995, 94. (7968/696). 8. Valutazione dell’avviamento. - La disposizione, di chiara ispirazione prudenziale, per la quale nella redazione del bilancio di una società per azioni non è consentito iscrivere all'attivo un valore di avviamento se non lo si sia acquistato a titolo oneroso (art. 2426 n. 6, c.c.), trova applicazione anche nella redazione della situazione patrimoniale richiesta dall'art. 2446 c.c. in tema di riduzione del capitale per perdite. Cass. civ., 17 novembre 2005, n. 23269. (7968/696). In tema di rettifica, da parte dell'amministrazione finanziaria ed ai sensi dell'art. 39, comma 1, lett. d, del d.P.R. n. 600 del 1973, del valore dei cespiti costituenti oggetto del ramo d'azienda acquistato dalla società incorporata ed indicati nel bilancio della incorporante, l'Amministrazione finanziaria può procedere ad accertamento induttivo, rettificando il valore dell'avviamento indicato in bilancio, in misura tale da renderlo compatibile, nell'ambito del prezzo corrisposto per la cessione, con il valore di altri cespiti aziendali oggetto di accertamento di valore effettuato ai fini di altra imposta, mentre resta onere del contribuente, che deduca l'inesattezza di tale correzione, contrastare probatoriamente l'accertamento, anche con il ricorso ad elementi indiziari. Cass. civ., sez. trib., 16 aprile 2008, n. 9950, Giust. civ. Mass. 2008, 4, 582, Diritto & Giustizia 2008. (7968/696). In tema di bilancio, l'art. 2427 c.c. (applicabile ratione temporis nella formulazione anteriore alla novella del d.lg. n. 127 del 1991) e l'attuale art. 2426, comma 1, n. 6, c.c., consentendo l'iscrizione dell'avviamento derivato, cioè conseguito in caso di acquisto a titolo oneroso e nei limiti del costo per esso sostenuto, non escludono che, se anche il prezzo di cessione di azienda resta il frutto della libera contrattazione delle parti, la sua successiva ripartizione a fini contabili, tra le singole componenti, del corrispettivo unitario versato possa essere sindacata dall'amministrazione finanziaria secondo il criterio della correttezza e veridicità del bilancio; ne consegue che, pur riferendosi l'art. 68, comma 3, del d.P.R. n. 917 del 1986, nella versione temporalmente vigente, all'ammortamento dell'avviamento al relativo valore di libro e non al relativo costo, l'imprenditore cessionario di ramo d'azienda comprensivo di avviamento deve iscrivere quest'ultimo in bilancio al suo valore reale, non potendo inserire poste inesistenti o sopravalutate. (Fattispecie relativa all'acquisto di ramo d'azienda da parte di società incorporata). Cass. civ., sez. trib., 16 aprile 2008, n. 9950, Giust. civ. Mass. 2008, 4, 582, Diritto & Giustizia 2008. (7968/696). In tema di valutazione delle aziende ai fini dell'imposta sulle successioni, ai sensi dell'art. 21 del d.P.R n. 637 del 1972, il valore di avviamento di un'impresa familiare deve essere incluso nel valore venale imponibile, anche se non iscritto in bilancio in base ai diversi criteri legali di relativa redazione (nella specie ex art. 2426, n. 6, c.c., in quanto acquisito dal dante causa non a titolo oneroso ma per successione ereditaria). Cass. civ., sez. trib., 27 novembre 2006, n. 25089, Giust. civ. Mass. 2006, 11. (7968/696). Poiché l'art. 2426 n. 6 c.c., consente l'iscrizione all'attivo dell'avviamento solo "se acquisito a titolo oneroso, nei limiti del costo per esso sostenuto", ne consegue che esso può costituire oggetto di valutazione nella relazione di stima solo se ricorre la suindicata condizione e con l'osservanza delle limitazioni stabilite dalla norma. Trib. Napoli, 12 gennaio 1995, Società 1995, 955. (7968/696). 9. Valutazione dei crediti. Giurisprudenza di merito. - Il parametro di valutazione e stima dei crediti (al fine della corretta iscrizione in bilancio al valore di presumibile realizzo, come dispone l'art. 2426 n. 8 c.c.) impone all'amministratore di formulare un giudizio di probabilità quanto alla condotta futura del debitore, tenuto conto della sua solvibilità apparente ed autorizza il giudice (in sede di impugnativa della delibera che approva il bilancio) a ripetere questo giudizio per accertare se, secondo l'id quod plerumque accidit, i presupposti di fatto esattamente individuati potevano o meno fondare le conseguenze ipotizzate dall'amministratore, senza possibilità di valorizzare le circostanze sopravvenute non conosciute o conoscibili "ex ante" . Trib. Napoli, 28 dicembre 2004, Giur. comm. 2005, 6, 796. (7968/696). Dalla natura contenziosa di un credito non può derivarsi la sua inesigibilità ai fini della sua valutazione nel bilancio di esercizio. Trib. Milano, 3 settembre 2003, Società 2004, 1016. (7968/696). Poiché, in virtù del principio di prudenza, devono essere iscritti in bilancio solo quei crediti che rivestano i requisiti della certezza, liquidità ed esigibilità, non è legittimo iscrivere all'attivo della società un credito da risarcimento danni extracontrattuale che, proprio perché tale, manca dei primi due requisiti. Trib. Piacenza, 19 ottobre 1995, Società 1996, 451. (7968/696). Il credito vantato nei confronti di un cliente sottoposto alla procedura di amministrazione controllata non si deve svalutare. Cass. civ., 29 aprile 1994, n. 4177. (7968/696). 10. Onere della prova in merito alla legittimità dei criteri di valutazione applicati. Giurisprudenza di merito. - Spetta agli amministratori e ai sindaci provare la conformità dei criteri di valutazione applicati alle norme che disciplinano il bilancio. App. Catania, 27 febbraio 1986. (7968/696). 2427. Contenuto della nota integrativa (1). – [I]. La nota integrativa deve indicare, oltre a quanto stabilito da altre disposizioni: 1) i criteri applicati nella valutazione delle voci del bilancio, nelle rettifiche di valore e nella conversione dei valori non espressi all'origine in moneta avente corso legale nello Stato; 2) i movimenti delle immobilizzazioni, specificando per ciascuna voce: il costo; le precedenti rivalutazioni, ammortamenti e svalutazioni; le acquisizioni, gli spostamenti da una ad altra voce, le alienazioni avvenuti nell'esercizio; le rivalutazioni, gli ammortamenti e le svalutazioni effettuati nell'esercizio; il totale delle rivalutazioni riguardanti le immobilizzazioni esistenti alla chiusura dell'esercizio; 3) la composizione delle voci: "costi di impianto e di ampliamento" e: "costi di ricerca, di sviluppo e di pubblicità", nonché le ragioni della iscrizione ed i rispettivi criteri di ammortamento; 3-bis) la misura e le motivazioni delle riduzioni di valore applicate alle immobilizzazioni materiali e (2) immateriali (3), facendo a tal fine esplicito riferimento al loro concorso alla futura produzione di risultati economici, alla loro prevedibile durata utile e, per quanto rilevante (4), al loro valore di mercato, segnalando altresì le differenze rispetto a quelle operate negli esercizi precedenti ed evidenziando la loro influenza sui risultati economici dell'esercizio (5); 4) le variazioni intervenute nella consistenza delle altre voci dell'attivo e del passivo; in particolare, per le voci del patrimonio netto, per i fondi e per il trattamento di fine rapporto, la formazione e le utilizzazioni; 5) l'elenco delle partecipazioni, possedute direttamente o per tramite di società fiduciaria o per interposta persona, in imprese controllate e collegate, indicando per ciascuna la denominazione, la sede, il capitale, l'importo del patrimonio netto, l'utile o la perdita dell'ultimo esercizio, la quota posseduta e il valore attribuito in bilancio o il corrispondente credito; 6) distintamente per ciascuna voce, l'ammontare dei crediti e dei debiti di durata residua superiore a cinque anni, e dei debiti assistiti da garanzie reali su beni sociali, con specifica indicazione della natura delle garanzie e con specifica ripartizione secondo le aree geografiche; 6-bis) eventuali effetti significativi delle variazioni nei cambi valutari verificatesi successivamente alla chiusura dell'esercizio; 6-ter) distintamente per ciascuna voce, l'ammontare dei crediti e dei debiti relativi ad operazioni che prevedono l'obbligo per l'acquirente di retrocessione a termine; 7) la composizione delle voci "ratei e risconti attivi" e "ratei e risconti passivi" e della voce "altri fondi" dello stato patrimoniale, quando il loro ammontare sia apprezzabile, nonché la composizione della voce "altre riserve"; 7-bis) le voci di patrimonio netto devono essere analiticamente indicate, con specificazione in appositi prospetti della loro origine, possibilità di utilizzazione e distribuibilità, nonché della loro avvenuta utilizzazione nei precedenti esercizi; 8) l'ammontare degli oneri finanziari imputati nell'esercizio ai valori iscritti nell'attivo dello stato patrimoniale, distintamente per ogni voce; 9) gli impegni non risultanti dallo stato patrimoniale; le notizie sulla composizione e natura di tali impegni e dei conti d'ordine, la cui conoscenza sia utile per valutare la situazione patrimoniale e finanziaria della società, specificando quelli relativi a imprese controllate, collegate, controllanti e a imprese sottoposte al controllo di queste ultime; 10) se significativa, la ripartizione dei ricavi delle vendite e delle prestazioni secondo categorie di attività e secondo aree geografiche; 11) l'ammontare dei proventi da partecipazioni, indicati nell'articolo 2425, numero 15), diversi dai dividendi; 12) la suddivisione degli interessi ed altri oneri finanziari, indicati nell'articolo 2425, n. 17), relativi a prestiti obbligazionari, a debiti verso banche, e altri; 13) la composizione delle voci: "proventi straordinari" e: "oneri straordinari" del conto economico, quando il loro ammontare sia apprezzabile; 14) un apposito prospetto contenente: a) la descrizione delle differenze temporanee che hanno comportato la rilevazione di imposte differite e anticipate, specificando l'aliquota applicata e le variazioni rispetto all'esercizio precedente, gli importi accreditati o addebitati a conto economico oppure a patrimonio netto, le voci escluse dal computo e le relative motivazioni; b) l'ammontare delle imposte anticipate contabilizzato in bilancio attinenti a perdite dell'esercizio o di esercizi precedenti e le motivazioni dell'iscrizione, l'ammontare non ancora contabilizzato e le motivazioni della mancata iscrizione; 15) il numero medio dei dipendenti, ripartito per categoria; 16) l'ammontare dei compensi spettanti agli amministratori ed ai sindaci, cumulativamente per ciascuna categoria; 17) il numero e il valore nominale di ciascuna categoria di azioni della società e il numero e il valore nominale delle nuove azioni della società sottoscritte durante l'esercizio; 18) le azioni di godimento, le obbligazioni convertibili in azioni e i titoli o valori simili emessi dalla società, specificando il loro numero e i diritti che essi attribuiscono; 19) il numero e le caratteristiche degli altri strumenti finanziari emessi dalla società, con l'indicazione dei diritti patrimoniali e partecipativi che conferiscono e delle principali caratteristiche delle operazioni relative; 19-bis) i finanziamenti effettuati dai soci alla società, ripartiti per scadenze e con la separata indicazione di quelli con clausola di postergazione rispetto agli altri creditori; 20) i dati richiesti dal terzo comma dell'articolo 2447-septies con riferimento ai patrimoni destinati ad uno specifico affare ai sensi della lettera a) del primo comma dell'articolo 2447bis; 21) i dati richiesti dall'articolo 2447-decies, ottavo comma; 22) le operazioni di locazione finanziaria che comportano il trasferimento al locatario della parte prevalente dei rischi e dei benefici inerenti ai beni che ne costituiscono oggetto, sulla base di un apposito prospetto dal quale risulti il valore attuale delle rate di canone non scadute quale determinato utilizzando tassi di interesse pari all'onere finanziario effettivo inerenti i singoli contratti, l'onere finanziario effettivo attribuibile ad essi e riferibile all'esercizio, l'ammontare complessivo al quale i beni oggetto di locazione sarebbero stati iscritti alla data di chiusura dell'esercizio qualora fossero stati considerati immobilizzazioni, con separata indicazione di ammortamenti, rettifiche e riprese di valore che sarebbero stati inerenti all'esercizio. 22-bis) le operazioni realizzate con parti correlate, precisando l'importo, la natura del rapporto e ogni altra informazione necessaria per la comprensione del bilancio relativa a tali operazioni, qualora le stesse siano rilevanti e non siano state concluse a normali condizioni di mercato. Le informazioni relative alle singole operazioni possono essere aggregate secondo la loro natura, salvo quando la loro separata evidenziazione sia necessaria per comprendere gli effetti delle operazioni medesime sulla situazione patrimoniale e finanziaria e sul risultato economico della società (6). 22-ter) la natura e l'obiettivo economico di accordi non risultanti dallo stato patrimoniale, con indicazione del loro effetto patrimoniale, finanziario ed economico, a condizione che i rischi e i benefici da essi derivanti siano significativi e l'indicazione degli stessi sia necessaria per valutare la situazione patrimoniale e finanziaria e il risultato economico della società (6). [II]. Ai fini dell'applicazione del primo comma, numeri 22-bis) e 22-ter), e degli articoli 2427bis e 2428, terzo comma, numero 6-bis), per le definizioni di "strumento finanziario", "strumento finanziario derivato", "fair value", "parte correlata" e "modello e tecnica di valutazione generalmente accettato" si fa riferimento ai principi contabili internazionali adottati dall'Unione europea (7). (1) V. nota al Capo V. (2) Le parole « materiali e » sono state inserite dall'art. 181a)d.lgs. 28 dicembre 2004, n. 310. (3) Le parole « di durata indeterminata » che figuravano dopo la parola « immateriali » sono state soppresse dall'art. 181b) d.lgs. n. 310, cit. (4) La parola « rilevante » è stata sostituita alla parola « determinabile » dall'art. 181c) d.lgs. n. 310, cit. (5) Le parole « e sugli indicatori di redditività di cui sia stata data comunicazione » che figuravano dopo la parola « esercizio » sono state soppresse dall'art. 181d) d.lgs. n. 310, cit. (6) Numero aggiunto dall'art. 1 d.lgs. 3 novembre 2008 n. 173. (7) Comma aggiunto dall'art. 1 d.lgs. 3 novembre 2008 n. 173. Sommario: 1. Profili generali della nota integrativa. - 2. Profili di invalidità derivanti da vizi attinenti la nota integrativa. Giurisprudenza consolidata. - 3. I fondi rischi. Giurisprudenza di merito. – 4. Le plusvalenze. Giurisprudenza di merito. – 5. I ratei ed i risconti. Giurisprudenza di merito. - 6. Gli ammortamenti. Giurisprudenza di merito. - 7. I ricavi. Giurisprudenza di merito. - 8. I crediti. Giurisprudenza di merito. 1. Profili generali della nota integrativa. – Il bilancio di una società di capitali deve essere redatto, ai sensi degli art. 2423 ss. c.c., a pena di nullità della deliberazione assembleare di approvazione, secondo principi di chiarezza e determinatezza, e la possibilità di derogare ai criteri di valutazione seguiti precedentemente esige la redazione di apposita nota integrativa motivata, costituente parte inscindibile del bilancio stesso. Cass. civ., sez. trib., 12 maggio 2004, n. 8989, Giust. civ. Mass. 2004, 5, Corriere trib. 2004, 2617. (7968/780). I principi generali della chiarezza e della verità, cui deve ispirarsi l'organo preposto alla redazione del bilancio di esercizio, sono i principi cardine che lo stesso legislatore eleva a norme di diritto pubblico, statuendo che la loro non corretta applicazione comporta la nullità della delibera assembleare, avente ad oggetto l'approvazione di un documento contabile non chiaro e non veritiero. Tuttavia, la necessità di una sempre maggiore chiarezza viene ancor di più messa in risalto con la nota integrativa : documento di tipo descrittivo a corredo dello stato patrimoniale e conto economico, avente lo scopo di fornire al lettore del bilancio ulteriori informazioni tali da far comprendere l'iter logico di formazione delle singole poste di bilancio. Allo stesso tempo però lo stesso legislatore se da un lato tutela il diritto dei soci e dei terzi ad essere informati in modo chiaro e veritiero, dall'altro ha ritenuto opportuno introdurre un limite temporale, con apposita norma giuridica (art. 2434 bis c.c.) applicabile per espresso rinvio anche alle s.r.l., secondo cui non è possibile impugnare la delibera di approvazione del bilancio una volta che il bilancio dell'esercizio successivo sia stato già approvato, con l'evidente scopo di garantire il principio generale della continuità aziendale, nonché della certezza e stabilità agli atti societari. Trib. Milano, sez. VIII, 5 giugno 2006, n. 6632, Dir. e prat. soc. 2007, 1, 81. (7968/780). L'art. 2427, comma 1, n. 16, c.c. - il quale, in tema di contenuto della nota integrativa , prevede che essa deve indicare l'ammontare dei compensi spettanti agli amministratori - è applicabile anche in tema di rappresentazione in bilancio dei compensi spettanti agli organi di una procedura commissariale disposta dall'Isvap nei confronti di una società assicurativa, a nulla rilevando che i relativi compensi siano stati precedentemente decisi dai soci in assemblea, o derivino da una fonte diversa, giacché tale circostanza non fa venir meno in alcun modo l'esigenza informativa che la citata disposizione di legge intende salvaguardare. Cass. civ., sez. I, 29 aprile 2004, n. 8204, Giust. civ. Mass. 2004, 4, Assicurazioni 2004, II, 190. (7968/780). Difetto di chiarezza è riscontrabile in un bilancio di esercizio, se degli oneri diversi di gestione, quale categoria residuale e quindi a contenuto eterogeneo, dovendovi essere allocati tutti i costi di produzione non altrimenti classificabili, non viene data adeguata informazione nella nota integrativa in considerazione della obiettiva rilevanza del loro valore, del rapporto con la stessa voce del precedente bilancio, della loro notevole incidenza nella formazione del costo di produzione, specialmente in un contesto caratterizzato da perdite di esercizio. Trib. Milano, 5 novembre 2001, Società 2002, 722. (7968/780). 2. Profili di invalidità derivanti da vizi attinenti la nota integrativa. Giurisprudenza consolidata. - È nulla la delibera di approvazione del bilancio nell'ipotesi in cui la mancata integrazione nella nota integrativa della differenza tra il costo di acquisto delle partecipazioni delle società controllate e la loro corrispondente frazione del rispettivo patrimonio netto comportano l'impossibilità di conoscere con esattezza la reale situazione patrimoniale della società. Trib. Milano, sez. VIII, 5 giugno 2006, n. 6632, Dir. e prat. soc. 2007, 6, 77. (7968/780). La mancanza, nella nota integrativa , di specificazioni sulla composizione di costi per materie prime e di consumo, degli oneri finanziari su strumenti derivati e delle sopravvenienze passive, ove si tratti dì voci esigue rispetto al complesso del bilancio, sulle quali gli impugnanti non hanno chiesto dettagli in assemblea, non dà luogo ad invalidità dell'approvazione. Trib. Milano, 5 aprile 2006, Banca borsa tit. cred. 2008, 2, 201. (7968/780). È nullo il bilancio di una società per azioni quando venga modificata la classificazione contabile di riserve di titoli a reddito fisso, trasferendoli da "immobilizzazioni" ad "attivo circolante", senza esplicita ed adeguata motivazione nella nota integrativa , in violazione di quanto dispone l'art. 2427 n. 2, c.c. Cass. civ., sez. I, 29 aprile 2004, n. 8204, Giust. civ. 2005, 12, I, 3111. (7968/780). Ai fini dell'applicazione dell'art. 2622 c.c., è da considerarsi rilevante anche l'omessa indicazione nel bilancio di un debito soggetto a contenzioso, che all'epoca dei fatti era liquido ed esigibile (stante la esecutività della sentenza di primo grado), seppure non definitivamente certo, attesa la pendenza del giudizio di appello; lo stesso avrebbe dovuto essere quanto meno inserito in un apposito fondo rischi e comunque indicato nella nota integrativa . Trib. Milano, 22 febbraio 2005, Giur. comm. 2007, 3, 622. (7968/780). È nullo per violazione del principio di chiarezza il bilancio di un'impresa di assicurazione qualora la nota integrativa non indichi la composizione dei ratei e dei risconti come previsto dall'art. 2427 n. 7, c.c. testo previgente. Cass. civ., sez. I, 29 aprile 2004, n. 8204, Foro it. 2005, I, 2120. (7968/780). È nullo il bilancio di una società per azioni ove venga omessa nella nota integrativa l'indicazione della composizione dei ratei e dei risconti, come richiesto dall'art. 2427 n. 7, c.c. quando il relativo ammontare risulta apprezzabile; tale valutazione deve tener conto anche dei valori assoluti che i dati contabili esprimono, poiché appare intuitivo che anche poste rappresentative di una percentuale relativamente esigua dell'intero bilancio possono, nondimeno, avere una dimensione economica rilevante ai fini di una corretta informazione dei soci e dei terzi. Cass. civ., sez. I, 29 aprile 2004, n. 8204, Foro it. 2005, I, 2120. (7968/780). È nullo il bilancio di una società per azioni quando venga omessa nella nota integrativa l'indicazione dei compensi corrisposti agli organi di gestione e di controllo, a nulla rilevando la circostanza che la società sia sottoposta a commissariamento straordinario e che i relativi compensi siano stabiliti da un organo pubblico (nella specie, l'Isvap). Cass. civ., sez. I, 29 aprile 2004, n. 8204, Foro it. 2005, I, 2120. (7968/780). In tema di società, l'adozione, nella redazione del bilancio, di un criterio di valutazione di un cespite patrimoniale diverso da quello utilizzato negli esercizi precedenti senza che la nota integrativa rechi un'adeguata motivazione della deroga consentita dall'art. 2423 bis, comma 6, c.c. in casi eccezionali si traduce in una violazione del principio di continuità dei valori contabili, e comporta pertanto la nullità del bilancio, attesa l'inderogabilità dei criteri di valutazione dettati dall'art. 2426 c.c., la cui funzione consiste nell'assicurare la trasparenza e la leggibilità del bilancio da parte dei soci e dei terzi. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, la quale, in tema di Iva, aveva ritenuto illegittimo il recupero a tassazione della differenza tra le rimanenze iniziali iscritte nel bilancio di un società in liquidazione e le rimanenze finali risultanti alla data di chiusura dell'esercizio precedente, rilevando che le prime erano state iscritte al costo di acquisto e le seconde al valore di realizzazione, ed escludendo quindi la possibilità di desumere da tale variazione l'esistenza di vendite non fatturate). Cass. civ., sez. trib., 7 maggio 2008, n. 11091, Giust. civ. Mass. 2008, 5, 666. (7968/780). 3. I fondi rischi. Giurisprudenza di merito. - I fondi rischi costituiscono accantonamenti che debbono essere effettuati a fronte di eventi negativi probabili, quando se ne ammette l'accadimento in base a motivi seri o attendibili, ma non certi, laddove, in presenza di eventi possibili (ridotta probabilità di realizzazione), si richiede soltanto un richiamo informativo nella nota integrativa. Trib. Milano, 5 novembre 2001, Giur. it. 2002, 554. (7968/780). 4. Le plusvalenze. Giurisprudenza di merito.La plusvalenza, realizzata per effetto della cessione delle quote rappresentative del 50 per cento del capitale di una s.r.l., è adeguatamente illustrata nella nota integrativa mediante indicazione del prezzo di acquisto e rivendita delle quote predette e della correlazione del prezzo di rivendita con il valore del patrimonio netto della società, alla quale le quote cedute si riferiscono. Trib. Milano, 5 novembre 2001, Società 2002, 722. (7968/780). 5. I ratei ed i risconti. Giurisprudenza di merito. - I ratei ed i risconti devono essere illustrati nella nota integrativa dei bilancio di esercizio solo se hanno un apprezzabile valore, laddove nessuna informazione al riguardo è necessaria nel bilancio in forma abbreviata. Trib. Milano, 5 novembre 2001, Società 2002, 722. (7968/780). 6. Gli ammortamenti. Giurisprudenza di merito. - Le informazioni sugli ammortamenti delle immobilizzazioni materiali in un bilancio in forma ordinaria devono essere contenute nel conto economico e nella nota integrativa, dove ai sensi dell'art. 2427 n. 2 c.c. è prescritto che debbano essere localizzate: risulta così soddisfatto il principio della chiarezza del bilancio. Trib. Napoli, 10 novembre 1997, Società 1998, 791. (7968/780). L'adozione dei coefficienti fiscali di ammortamento, in sede di redazione del bilancio, non costituisce violazione del principio di rappresentazione veritiera e corretta solo se i valori così calcolati non si discostano in modo rilevante da quelli ottenuti dall'applicazione delle aliquote civilistiche e se tale corrispondenza viene adeguatamente illustrata nella nota integrativa con riferimento alle singole categorie di cespiti. Trib. Milano, 17 novembre 2003, Riv. dottori comm. 2004, 6, 1368. (7968/780). 7. I ricavi. Giurisprudenza di merito. - La norma di cui all'art. 2427 comma 1, n. 10, c.c. impone che nella nota integrativa sia indicata, se significativa, la ripartizione dei ricavi secondo categorie di attività e secondo aree geografiche. Questa ripartizione deve essere fatta in modo da informare correttamente e con riferimento alla fattispecie concreta sul concorso dei diversi settori produttivi alla formazione dei ricavi complessivi. Trib. Como, 26 marzo 1997, Società 1997, 1074. (7968/780). 8. I crediti. Giurisprudenza di merito. - La mancata indicazione nella nota integrativa delle variazioni e, quindi, anche dell'estinzione dei crediti verso consociate costituisce violazione del principio di chiarezza del bilancio Trib. Milano, 17 novembre 2003, Riv. dottori comm. 2004, 6, 1368. (7968/780). Non contrasta con norme inderogabili l'esposizione, fra le poste attive dello stato patrimoniale del bilancio di esercizio, di un rilevante credito per il quale in nota integrativa non siano contenute specifiche informazioni. Sostanzialmente corretta deve ritenersi anche la rappresentazione contabile in bilancio di una rata di debito mediante iscrizione di una posta compensatoria della rata stessa all'attivo. Trib. Milano, 3 settembre 2003, Società 2004, 890. (7968/780). 2427 bis. Informazioni relative al valore equo "fair value" degli strumenti finanziari (1). – [I]. Nella nota integrativa sono indicati: 1) per ciascuna categoria di strumenti finanziari derivati: a) il loro fair value; b) informazioni sulla loro entità e sulla loro natura; 2) per le immobilizzazioni finanziarie iscritte a un valore superiore al loro fair value, con esclusione delle partecipazioni in società controllate e collegate ai sensi dell'articolo 2359 e delle partecipazioni in joint venture: a) il valore contabile e il fair value delle singole attività, o di appropriati raggruppamenti di tali attività; b) i motivi per i quali il valore contabile non è stato ridotto, inclusa la natura degli elementi sostanziali sui quali si basa il convincimento che tale valore possa essere recuperato. [II]. Ai fini dell'applicazione delle disposizioni del comma 1, sono considerati strumenti finanziari derivati anche quelli collegati a merci che conferiscono all'una o all'altra parte contraente il diritto di procedere alla liquidazione del contratto per contanti o mediante altri strumenti finanziari, ad eccezione del caso in cui si verifichino contemporaneamente le seguenti condizioni: a) il contratto sia stato concluso e sia mantenuto per soddisfare le esigenze previste dalla società che redige il bilancio di acquisto, di vendita o di utilizzo delle merci; b) il contratto sia stato destinato a tale scopo fin dalla sua conclusione; c) si prevede che il contratto sia eseguito mediante consegna della merce. 3. Il fair value è determinato con riferimento: a) al valore di mercato, per gli strumenti finanziari per i quali è possibile individuare facilmente un mercato attivo; qualora il valore di mercato non sia facilmente individuabile per uno strumento, ma possa essere individuato per i suoi componenti o per uno strumento analogo, il valore di mercato può essere derivato da quello dei componenti o dello strumento analogo; b) al valore che risulta da modelli e tecniche di valutazione generalmente accettati, per gli strumenti per i quali non sia possibile individuare facilmente un mercato attivo; tali modelli e tecniche di valutazione devono assicurare una ragionevole approssimazione al valore di mercato. 4. Il fair value non è determinato se l'applicazione dei criteri indicati al comma precedente non dà un risultato attendibile. 5. (2). (1) Articolo inserito dall'art. 1 d.lgs. 30 dicembre 2003, n. 394, con decorrenza dal 1° gennaio 2005. (2) Comma abrogato dall'art. 1 d.lgs. 3 novembre 2008 n. 173. Il testo precedente recitava: «Ai fini dell'applicazione del presente articolo e dell'articolo 2428, comma 2, numero 6-bis) per la definizione di strumento finanziario, di strumento finanziario derivato, di fair value e di modello e tecnica di valutazione generalmente accettato, si fa riferimento ai principi contabili riconosciuti in ambito internazionale e compatibili con la disciplina in materia dell'Unione europea». 2428. Relazione sulla gestione (1). – [I]. Il bilancio deve essere corredato da una relazione degli amministratori contenente un'analisi fedele, equilibrata ed esauriente della situazione della società e dell'andamento e del risultato della gestione (2), nel suo complesso e nei vari settori in cui essa ha operato, anche attraverso imprese controllate, con particolare riguardo ai costi, ai ricavi e agli investimenti, nonché una descrizione dei principali rischi e incertezze cui la società è esposta (3). [II]. L'analisi di cui al primo comma è coerente con l'entità e la complessità degli affari della società e contiene, nella misura necessaria alla comprensione della situazione della società e dell'andamento e del risultato della sua gestione, gli indicatori di risultato finanziari e, se del caso, quelli non finanziari pertinenti all'attività specifica della società, comprese le informazioni attinenti all'ambiente e al personale. L'analisi contiene, ove opportuno, riferimenti agli importi riportati nel bilancio e chiarimenti aggiuntivi su di essi (4). [III]. Dalla relazione devono in ogni caso risultare: 1) le attività di ricerca e di sviluppo; 2) i rapporti con imprese controllate, collegate, controllanti e imprese sottoposte al controllo di queste ultime; 3) il numero e il valore nominale sia delle azioni proprie sia delle azioni o quote di società controllanti possedute dalla società, anche per tramite di società fiduciaria o per interposta persona, con l'indicazione della parte di capitale corrispondente; 4) il numero e il valore nominale sia delle azioni proprie sia delle azioni o quote di società controllanti acquistate o alienate dalla società, nel corso dell'esercizio, anche per tramite di società fiduciaria o per interposta persona, con l'indicazione della corrispondente parte di capitale, dei corrispettivi e dei motivi degli acquisti e delle alienazioni; 5) i fatti di rilievo avvenuti dopo la chiusura dell'esercizio; 6) l'evoluzione prevedibile della gestione; 6-bis) in relazione all'uso da parte della società di strumenti finanziari e se rilevanti per la valutazione della situazione patrimoniale e finanziaria e del risultato economico dell'esercizio: a) gli obiettivi e le politiche della società in materia di gestione del rischio finanziario, compresa la politica di copertura per ciascuna principale categoria di operazioni previste; b) l'esposizione della società al rischio di prezzo, al rischio di credito, al rischio di liquidità e al rischio di variazione dei flussi finanziari (5) (6). [IV]. Dalla relazione deve inoltre risultare l'elenco delle sedi secondarie della società. (1) V. nota al Capo V. (2) Le parole « contenente un'analisi fedele, equilibrata ed esauriente della situazione della società e dell'andamento e del risultato della gestione » sono state sostituite alle parole « sulla situazione della società e sull'andamento della gestione » dall'art. 11 lett a)d.lgs. 2 febbraio 2007, n. 32. Ai sensi dell'art. 5 del medesimo decreto le presenti disposizioni si applicano ai bilanci relativi agli esercizi aventi inizio dalla data successiva a quella della sua entrata in vigore [12 aprile 2007]. (3) Le parole « , nonché una descrizione dei principali rischi e incertezze cui la società è esposta » sono state aggiunte dall'art. 11 lett. b) d.lgs. n. 32, cit., con decorrenza indicata sub nt. 2. (4) Comma inserito dall'art. 11 lett. c) d.lgs. n. 32, cit., con decorrenza indicata sub nt. 2. (5) Numero aggiunto dall'art. 3 d.lgs. 30 dicembre 2003, n. 394, con decorrenza dal 1° gennaio 2005. (6) Seguiva un comma abrogato dall'art. 21d.lgs. 6 novembre 2007, n. 195. Il testo del comma, come sostituito dall'art. 1 d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 e rettificato con Errata-corrige in G.U. 4 luglio 2003, n. 153, era il seguente: «Entro tre mesi dalla fine del primo semestre dell'esercizio gli amministratori delle società con azioni quotate in mercati regolamentati devono trasmettere al collegio sindacale una relazione sull'andamento della gestione, redatta secondo i criteri stabiliti dalla Commissione nazionale per le società e la borsa con regolamento pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. La relazione deve essere pubblicata nei modi e nei termini stabiliti dalla Commissione stessa con il regolamento anzidetto». 1. Efficacia sanante della relazione sulla gestione. Giurisprudenza consolidata. – La giuripsrudenza ha ritenuto che la relkazione sulla gestione riveste funzione integratrice e di completamento di quanto contenuto nel documento contabile, sanandone, dunque, eventuali carenze o deficienze. Cass. civ., sez. II, 11 ottobre 1993, n. 2959, Riv. dir. comm. 1994, II, 243; Trib. Napoli, 24 febbraio 2000, Società 2000, 1474. (7968/792). 2429. Relazione dei sindaci e deposito del bilancio (1). – [I]. Il bilancio deve essere comunicato dagli amministratori al collegio sindacale, con la relazione, almeno trenta giorni prima di quello fissato per l'assemblea che deve discuterlo. [II]. Il collegio sindacale deve riferire all'assemblea sui risultati dell'esercizio sociale e sull'attività svolta nell'adempimento dei propri doveri, e fare le osservazioni e le proposte in ordine al bilancio e alla sua approvazione, con particolare riferimento all'esercizio della deroga di cui all'articolo 2423, quarto comma. Il collegio sindacale, se esercita il controllo contabile, redige anche la relazione prevista dall'articolo 2409-ter (2). [III]. Il bilancio, con le copie integrali dell'ultimo bilancio delle società controllate e un prospetto riepilogativo dei dati essenziali dell'ultimo bilancio delle società collegate, deve restare depositato in copia nella sede della società, insieme con le relazioni degli amministratori, dei sindaci e del soggetto incaricato del controllo contabile, durante i quindici giorni che precedono l'assemblea, e finché sia approvato. I soci possono prenderne visione. [IV]. Il deposito delle copie dell'ultimo bilancio delle società controllate prescritto dal comma precedente può essere sostituito, per quelle incluse nel consolidamento, dal deposito di un prospetto riepilogativo dei dati essenziali dell'ultimo bilancio delle medesime. (1) V. nota al Capo V. (2) Periodo così sostituito dall'art. 2 d.lgs. 2 febbraio 2007, n. 32, come rettificato con Errata corrige in G.U. 30 marzo 2007, n. 75. Ai sensi dell'art. 5 del medesimo decreto le presenti disposizioni si applicano ai bilanci relativi agli esercizi aventi inizio dalla data successiva a quella della sua entrata in vigore [12 aprile 2007]. Il testo del periodo era il seguente: « Analoga relazione è predisposta dal soggetto incaricato del controllo contabile». Sommario: 1. Introduzione. - 2. Deposito di bilancio. Giurisprudenza consolidata. - 3. Poteri di controllo del collegio sindacale. Giurisprudenza di merito. 1. Introduzione. - La relazione dei sindaci è il documento che riassume lì'attività di controllo svolta dai sindaci durante l'esercizio. La norma disciplina altresì il deposito del bilancio. 2. Deposito del bilancio. Giurisprudenza consolidata. - L'obbligo gravante sugli amministratori di una società di capitali di depositare il bilancio nei quindici giorni antecedenti l'assemblea di approvazione, di cui al vecchio testo dell'art. 2432 c.c. (oggi art. 2429, comma 3, stesso codice), deve ritenersi correttamente adempiuto anche se i relativi documenti risultino a disposizione dei soci nei soli orari di ufficio e nei giorni non festivi. Se la preposizione (impropriamente) impiegata dalla norma in parola ("durante") postula, difatti, la continuità dell'atto del deposito, non perciò può dirsi imposta agli amministratori l'adozione di misure straordinarie nell'organizzazione degli uffici della sede sociale, laddove l'esigenza di consultazione e di adeguata informazione dei soci risulta legittimamente soddisfatta con il consentirne l'accesso e la relativa consultazione durante i normali orari di apertura degli uffici privati, potendo ipotizzarsi un dovere di assicurare l'accessibilità ai documenti oltre tali, ordinari limiti di tempo soltanto per corrispondere ad una specifica e motivata richiesta del socio interessato. (Nella specie, il socio di una s.p.a. lamentava di non aver potuto prendere visione del bilancio nel giorno antecedente l'assemblea di approvazione perché festivo: la S.C., nel rigettarne il ricorso, ha enunciato il principio di diritto di cui in massima). Cass. civ., sez. I, 17 gennaio 2001, n. 560, Giust. civ. Mass. 2001, 96, Giur. it. 2001, 1179, Riv. notariato 2001, 915, Società 2001, 671, Vita not. 2002, 878. (7968732). L'obbligo di deposito del progetto di bilancio presso la sede socialedeve ritenersi soddisfatto nel caso in cui i documenti richiesti dalla legge siano stati trasmessi alla società tramite posta elettronica e resi disponibili ai soci. Trib. Milano, 10 marzo 2005, Giur. it. 2005, 1864. (7968732). Il deposito del bilancio presso la sede sociale esaurisce il dovere di pubblicità e di informazione dei soci. Cass. civ., 4 febbraio 1992, n. 1211. (7968732). L'incompletezza del procedimento informativo consistente nel mancato deposito della bozza di bilancio e dei documenti integrativi costituisce un vizio che rende annullabile la delibera di approvazione del bilancio. Il mancato deposito della bozza di bilancio e dei documenti integrativi presso la sede sociale durante i 15 giorni precedenti l'assemblea, ai sensi dell'art. 2491 c.c., priva i singoli soci della possibilità di conoscere preventivamente l'oggetto su cui sono chiamati a deliberare ed impedisce che essi abbiano piena informazione della situazione patrimoniale della società secondo i criteri legali prescritti in materia di bilancio. A tal fine non basta che il socio abbia potuto preventivamente esercitare il diritto di controllo individuale ex art. 2489 c.c., perché l'informazione dovuta non riguarda semplicemente le risultanze contabili e lo stato degli affari sociali, ma ha ad oggetto più specifico la conoscenza della situazione patrimoniale ed economica della società risultante dall'applicazione concorrenziale dei criteri legali e delle valutazioni prudenziali degli amministratori. Le norme in proposito (art. 2491 c.c. e art. 2429 c.c. richiamato per le s.r.l.) prefigurano un procedimento formale non surrogabile mediante trasmissione e depositi di "bozze" di documenti che finirebbero per rendere solo virtuale il procedimento voluto dalla legge. Trib. Milano, 15 marzo 2005, Giustizia a Milano 2005, 28. (7968732). 3. Poteri di controllo del collegio sindacale. Giurisprudenza di merito. - La redazione e la sottoscrizione del bilancio delle società di capitali spettano esclusivamente agli amministratori; il collegio sindacale svolge, in tale fase, la funzione di controllo e quella consultiva, funzioni che si concretano nella relazione di cui all'art. 2429 c.c. Trib. Sondrio, 20 maggio 1994, Riv. Notariato 1995, 1028. (7968732). Il controllo della regolare tenuta della contabilità sociale e la corrispondenza del bilancio alle risultanze dei libri e delle scritture contabili da parte dei sindaci non può intendersi in senso puramente formale. Trib. Napoli, 18 marzo 1995. (7968732). Per i sindaci non costituisce irregolarità grave il non menzionare nella relazione annuale una denunzia ricevuta, se il collegio ha provveduto tempestivamente ad investigare con esito negativo sui fatti censurabili e ne ha riferito oralmente in assemblea. App. Milano, 10 giugno 1991, Giur. it. 1992, I, 2, 235. (7968732). La relazione dei sindaci al progetto di bilancio è un atto collegiale, anche se sottoscritto dal solo presidente del collegio. Trib. Milano, 20 marzo 1989. (7968732). 2430. Riserva legale (1). – [I]. Dagli utili netti annuali deve essere dedotta una somma corrispondente almeno alla ventesima parte di essi per costituire una riserva, fino a che questa non abbia raggiunto il quinto del capitale sociale. [II]. La riserva deve essere reintegrata a norma del comma precedente se viene diminuita per qualsiasi ragione. [III]. Sono salve le disposizioni delle leggi speciali. (1) V. nota al Capo V. Sommario: 1. Introduzione. - 2. Portata della norma. - 3. Rilievi fiscali. Giurisprudenza consolidata. 1. Introduzione. – La riserva legale è un accantonamento contabili di utili disposto per plegge a salvaguardia del capitale sociale. Anche se la Riforma non ha apportato alcuna modifica alla norma in commento, la stessa Riforma, con l'art. 2412 c.c., ha attribuito alla riserva una funzione di garanzia. 2. Portata della norma. – Nel caso in cui le nuove azioni emesse da una società, in sede di aumento del capitale, vengano collocate presso terzi per un importo superiore al valore nominale, ed al fine di stabilire se l'amministratore, in tale rapporto con i terzi acquirenti, abbia agito solo in rappresentanza della società, riscuotendo un " sopraprezzo " di pertinenza della società medesima (come tale da iscriversi in bilancio ai sensi ed agli effetti dell'art. 2430 c.c.), in esecuzione di deliberazione esclusiva o limitativa del diritto d'opzione dei soci, ovvero abbia agito anche in qualità di mandatario dei soci stessi, percependo quel maggior importo a titolo di compenso loro dovuto per la rinuncia all'esercizio del diritto d'opzione, occorre tenere presente che la prima delle indicate ipotesi postula che la suddetta deliberazione sia adottata contestualmente all'aumento di capitale, nonché per uno specifico ed evidenziato interesse della società giustificativo del sacrificio del diritto dei soci (art. 2441, comma 5 e 6, c.c., modificato con d.P.R. 10 febbraio 1986 n. 30), mentre la seconda richiede una convenzione, alla quale abbiano partecipato i titolari del diritto d'opzione per il conferimento di quel mandato. Cass. Civ., sez. I, 14 gennaio 1987, n. 174, Giust. civ. Mass. 1987, fasc. 1, Dir. fall. 1987, II, 327. (7968/744). La riserva costituita presso la società con il maggior prezzo realizzato, in occasione di aumenti di capitale, rispetto al valore nominale delle azioni e non distribuito ai soci, può, oltre i limiti della riserva legale (o, eventualmente, statutaria) essere legittimamente impiegato per l'acquisto di azioni proprie). Corte App. Milano, 18 settembre 1986, Giur. comm. 1987, II,461. (7968/744). 3. Rilievi fiscali. Giurisprudenza consolidata. La ripartizione fra gli azionisti di una società del fondo sopraprezzo delle azioni, che sia effettuata in collocamento con la mancata distribuzione di utili esercizio ed il loro passaggio a riserva in misura eccedente quella legale, è assoggettata a ritenuta d'acconto, per l'imposta cedolare, secondo la previsione della l. 29 dicembre 1962 n. 1745, qualora, ancorché alla stregua di elementi presuntivi, come quelli evincibili dalla mancanza di giustificazioni per il suddetto aumento della riserva, risulti che la ripartizione medesima integri mezzo al fine di mascherare la distribuzione di utili di esercizio. Cass. civ., sez. I, 7 ottobre 1981, n. 5264, Giust. civ. Mass. 1981, fasc. 10. (7968/744). 2431. Sovraprezzo delle azioni (1). – [I]. Le somme percepite dalla società per l'emissione di azioni ad un prezzo superiore al loro valore nominale, ivi comprese quelle derivate dalla conversione di obbligazioni, non possono essere distribuite fino a che la riserva legale non abbia raggiunto il limite stabilito dall'articolo 2430. (1) V. nota al Capo V. Sommario: 1. Introduzione. - 2. Portata della norma. –3. Rilievi fiscali. 1. Introduzione. – Il sovraprezzo non è altro che la differenza tra valore di emissione e valore nominale delle azioni. Pertanto le somme percepite sono gli importi di denaro eccedenti il valore nominale del titolo, o in caso di azioni senza valore nominale, l'importo complessivo dei conferimenti destinati in capitale sociale. Non è consentita una remunerazione legata al fatturato dell'esercizio, perché si tratta di un parametro che non scontando i costi dell'esercizio è idoneo a superare, in concreto, il limite fissato cogentemente dall'art. 2431 c.c. a tutela del patrimonio sociale. Trib. Milano, 1 settembre 1987, Riv. dir. comm. 1988, II, 281. (7968/72). 2. Portata della norma. – È nulla la clausola con la quale si dispone che l'assemblea può destinare all'organo amministrativo tutti gli utili netti di bilancio previa deduzione della quota di riserva legale, perché contraria agli art. 2389 e 2432 (già 2431) c.c. che comportano un limite all'attribuzione di utili a favore degli amministratori, limite non derogabile dall'autonomia statutaria giacché si riconnette alla causa del contratto di società. Trib. Cassino, 20 marzo 1992, Riv. Notariato 1992, 1283. (7968/1068). 3. Rilievi fiscali. – In tema d'imposta di registro, la distribuzione ai soci del fondo sovrapprezzo azioni, in quanto si esaurisca in un mero rimborso di capitale, già assoggettato ad imposta all'atto del conferimento, non costituisce un trasferimento di ricchezza, ma solo una restituzione di capitale esuberante - ossia in eccesso rispetto ai mezzi necessari per il conseguimento dello scopo sociale - e non è quindi qualificabile come assegnazione, soggetta ad imposta proporzionale ai sensi dell'art. 4, lett. d, della parte I della tariffa allegata al d.P.R. 26 aprile 1986 n. 131. Cass. Civ., sez. trib., 23 giugno 2006, n. 14676, Giust. civ. Mass. 2006, 6. (798/744). 2432. Partecipazione agli utili (1). – [I]. Le partecipazioni agli utili eventualmente spettanti ai promotori, ai soci fondatori e agli amministratori sono computate sugli utili netti risultanti dal bilancio, fatta deduzione della quota di riserva legale. (1) V. nota al Capo V. Sommario: 1. Introduzione. - 2. L'utile netto. Giurisprudenza di merito. 1. Introduzione. – La norma, non modficata dalla Riforma, stabilisce parametri per la distribuzione agli utili agli amministratori, soci fondatori e promotori. riferimento corrisponde alll utile accertato e distribuibile ai soci e, quindi, all'utile calcolato non solo al netto delle perdite ma anche al netto delle imposte della società. Trib. Roma, 11 marzo 2005, Foro it. 2006, 1, 293. (7968/744). 2.L'utile netto. Giurisprudenza di merito. – L'utile netto cui l'art. 2432 c.c. testo previgente fa 2433. Distribuzione degli utili ai soci (1). – [I]. La deliberazione sulla distribuzione degli utili è adottata dall'assemblea che approva il bilancio ovvero, qualora il bilancio sia approvato dal consiglio di sorveglianza, dall'assemblea convocata a norma dell'articolo 2364-bis, secondo comma. [II]. Non possono essere pagati dividendi sulle azioni, se non per utili realmente conseguiti e risultanti dal bilancio regolarmente approvato. [III]. Se si verifica una perdita del capitale sociale, non può farsi luogo a ripartizione di utili fino a che il capitale non sia reintegrato o ridotto in misura corrispondente. [IV]. I dividendi erogati in violazione delle disposizioni del presente articolo non sono ripetibili, se i soci li hanno riscossi in buona fede in base a bilancio regolarmente approvato, da cui risultano utili netti corrispondenti. (1) V. nota al Capo V. Sommario: 1. Introduzione. - 2. La distribuzione degli utili tra diritto e aspettativa del socio. Giurisprudenza consolidata. – 3. L'accertamento degli utili. Giurisprudenza di legittimità. – 4. La non sussistenza del danno diretto al socio per effetto della mancata distribuzione degli utili. Giurisprudenza consolidata. 1. Introduzione. – La norma in commento disciplina le modalità di divisione degli utili trai soci. 2. La distribuzione degli utili tra diritto e aspettativa del socio. Giurisprudenza consolidata. - Anche nelle società a responsabilità limitata (nel vigore della disciplina dettata dal codice civile del 1942, anteriormente alla riforma di cui al d.lg. 17 gennaio 2003 n. 6) non è configurabile un diritto del socio agli utili senza una preventiva deliberazione assembleare in tal senso, rientrando nei poteri dell'assemblea - in sede approvativa del bilancio - la facoltà di disporne l'accantonamento o il reimpiego nell'interesse della stessa società, sulla base di una decisione censurabile solo se propria di iniziative della maggioranza volte ad acquisire posizioni di indebito vantaggio a danno degli altri soci cui sia resa più onerosa la partecipazione. Cass. civ., sez. I, 29 gennaio 2008, n. 2020, Giust. civ. Mass. 2008, 1, 112; Cass. civ., sez. I, 28 maggio 2004, n. 10271, Giust. civ. Mass. 2004, 5 (7968/744). Sin quando non sopravvenga una delibera di distribuzione dei dividendi, il socio di società di capitali è titolare di una semplice aspettativa al conseguimento dell'utile, a meno che lo statuto stabilisca la regola della distribuzione, nel qual caso l'aspettativa assurge a vero e proprio diritto. Trib. Milano, 28 settembre 2006, Giur. it. 2007, 2, 387 (7968/744). Il diritto dei soci di una società di capitali alla percezione degli utili, e quello alla ripartizione, in proporzione alla quota di capitale posseduta, dell'eventuale attivo patrimoniale residuo, al termine della liquidazione, non sono assimilabili: ne consegue che la sopravvenuta liquidazione della società non fa venir meno l'interesse del socio a coltivare la domanda di nullità della delibera di non distribuire gli utili di esercizio. La clausola statutaria la quale demandi all'assemblea il potere di decidere, a maggioranza qualificata, la destinazione degli utili realizzati, costituisce una deroga al principio generale per cui gli utili vanno distribuiti ai soci. Ne consegne che, se manca o è nulla la deliberazione assembleare che decida di non distribuire gli utili, i soci vantano un diritto immediato e perfetto alla distribuzione di questi ultimi. Trib. Cassino, 25 gennaio 2002, Giur. romana 2002, 390 (7968/744). Il diritto agli utili sorge per i soci esclusivamente a seguito di una specifica delibera assembleare e non in dipendenza della mera approvazione del bilancio. Tuttavia, è da considerarsi legittima una clausola statutaria che prevede, in esecuzione dell'art. 2328 n. 7, l'immediata esigibilità, da parte dei soci, degli utili, salvo diverse disposizioni che possono essere prese dall'assemblea. Trib. Trani, 19 settembre 2000, Società 2001, 481. (7968/744). 3. L'accertamento degli utili. Giurisprudenza di legittimità. - Al fine di accertare la produzione di utili di una società commerciale possono essere utilizzate le risultanze del solo bilancio redatto a fini fiscali e non può esserne genericamente eccepita l'inutilizzabilità senza svolgere specifiche e pertinenti deduzioni in ordine ai concreti effetti che le divergenze tra normativa fiscale e civilistica possano produrre. Cass. civ., sez. I, 6 luglio 2007, n. 15304, Giust. civ. Mass. 2007, 9. (7968/744). 4. La non sussistenza del danno diretto al socio per effetto della mancata distribuzione degli utili. Giurisprudenza consolidata. - Il diritto alla conservazione del patrimonio sociale spetta alla società e non al socio come tale, il quale ha in materia un interesse, la cui eventuale lesione non può concretare quel danno diretto necessario per potersi esperire l'azione individuale di responsabilità contro gli amministratori. Tale danno diretto, peraltro, non sussiste neppure per il solo fatto che nel comportamento degli amministratori possa configurarsi un illecito penale, nè può consistere nella mancata distribuzione degli utili, perché questi, prima della distribuzione, appartengono alla società, si che il danno derivante dalla loro distrazione ad opera degli amministratori è della società e non dei soci, che ne vengono pregiudicati solo di riflesso, tanto da non essere neppure abilitati a proporre azione di indebito arricchimento per conseguire la quota di utili occultata nel bilancio di esercizio. Cass. civ., sez. I, 7 settembre 1993, n. 9385, Giust. civ. Mass. 1993, 1371. (7968/744). 2433 bis. Acconti sui dividendi (1). – [I]. La distribuzione di acconti sui dividendi è consentita solo alle società il cui bilancio è assoggettato per legge al controllo da parte di società di revisione iscritte all'albo speciale. [II]. La distribuzione di acconti sui dividendi deve essere prevista dallo statuto ed è deliberata dagli amministratori dopo il rilascio da parte della società di revisione di un giudizio positivo sul bilancio dell'esercizio precedente e la sua approvazione. [III]. Non è consentita la distribuzione di acconti sui dividendi quando dall'ultimo bilancio approvato risultino perdite relative all'esercizio o a esercizi precedenti. [IV]. L'ammontare degli acconti sui dividendi non può superare la minor somma tra l'importo degli utili conseguiti dalla chiusura dell'esercizio precedente, diminuito delle quote che dovranno essere destinate a riserva per obbligo legale o statutario, e quello delle riserve disponibili. [V]. Gli amministratori deliberano la distribuzione di acconti sui dividendi sulla base di un prospetto contabile e di una relazione, dai quali risulti che la situazione patrimoniale, economica e finanziaria della società consente la distribuzione stessa. Su tali documenti deve essere acquisito il parere del soggetto incaricato del controllo contabile. [VI]. Il prospetto contabile, la relazione degli amministratori e il parere del soggetto incaricato del controllo contabile debbono restare depositati in copia nella sede della società fino all'approvazione del bilancio dell'esercizio in corso. I soci possono prenderne visione. [VII]. Ancorché sia successivamente accertata l'inesistenza degli utili di periodo risultanti dal prospetto, gli acconti sui dividendi erogati in conformità con le altre disposizioni del presente articolo non sono ripetibili se i soci li hanno riscossi in buona fede. (1) V. nota al Capo V. 2434. Azione di responsabilità (1). – [I]. L'approvazione del bilancio non implica liberazione degli amministratori, dei direttori generali, dei dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari (2) e dei sindaci per le responsabilità incorse nella gestione sociale. (1) V. nota al Capo V. (2) Le parole « , dei dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari » sono state inserite dall'art. 151 lett. a)l. 28 dicembre 2005, n. 262 Sommario: 1. Introduzione. - 2. La rinuncia all'azione. Giurisprudnza consolidata. 1. Introduzione. – La norma non è stata praticamente mutata dalla Riforma e dispone che l'approvazione del bilancio non postula la rinuncia della società a far valere la responsabilità di tutti gli organi della società stessa. 2. La rinuncia all'azione. Giurisprudenza consolidata. – È ammissibile la preventiva rinuncia all'azione di responsabilità contro gli amministratori purché la relativa delibera assembleare si riferisca a specifiche vicende gestionali dettagliatamente descritte nel contesto dell'atto. Trib. Milano, 16 gennaio 1995, Gius 1995, 3752. (7968/816). La rinuncia all'esercizio dell'azione sociale di responsabilità non può essere desunta da una generica ratifica dell'operato dell'amministratore deliberata in sede di approvazione del bilancio, ma deve formare oggetto di espressa deliberazione assembleare. Trib. Termini Imerese, 28 gennaio 1993, Banca borsa tit. cred. 1993, II, 571.(7968/816). 2434 bis. Invalidità della deliberazione di approvazione del bilancio (1). – [I]. Le azioni previste dagli articoli 2377 e 2379 non possono essere proposte nei confronti delle deliberazioni di approvazione del bilancio dopo che è avvenuta l'approvazione del bilancio dell'esercizio successivo. [II]. La legittimazione ad impugnare la deliberazione di approvazione del bilancio su cui il revisore non ha formulato rilievi spetta a tanti soci che rappresentino almeno il cinque per cento del capitale sociale. [III]. Il bilancio dell'esercizio nel corso del quale viene dichiarata l'invalidità di cui al comma precedente tiene conto delle ragioni di questa. (1) V. nota al Capo V. Sommario: 1. Introduzione. - 2. Interesse e legitimazione all'impugnazione. Giurisprudenza consolidata.- 3. Limite temporale all'impugnazione. - 4. La mancanza di rilievi del revisore. Giurisprudenza di merito. - 5. Invalidità della deliberazione. - 5.1. L'annullabilità della delibera pre Riforma. - 5.2. La nullità della delibera pre Riforma. – 6. Impugnabilità della delibera negativa di approvazione del bilancio. Giurisprudenza di merito. 1. Introduzione. – La norma sancisce il perimetro di applicabilità delle impugnazioni avverso la delibera di approvazione del bilancio. 2. Interesse e legitimazione all'impugnazione. Giurisprudenza consolidata. – Affinché sussista l'interesse del socio (o, come nella specie, del legatario avente causa dal socio) alla impugnazione della deliberazione dell'assemblea di approvazione del bilancio ex art. 2379 c.c., occorre l'allegazione di una incidenza negativa nella di lui sfera giuridica delle irregolarità denunciate riguardo al risultato economico della gestione sociale, sia pure in termini di una possibilità di danno correlata alla sua partecipazione societaria. Tale situazione ricorre allorché la falsa rappresentazione della situazione patrimoniale sia destinata ad incidere sul valore della partecipazione ai fini del calcolo dell'indennizzo dovuto, nella riforma del sistema radiotelevisivo dettata dalla legge 14 maggio 1975 n. 103, al soggetto privato "ex" azionista per il forzoso trasferimento all'IRI della partecipazione alla società concessionaria dei pubblici servizi di radiodiffusione circolare, indennizzo commisurato, ai sensi dell'art. 47 della citata legge, al valore delle azioni risultante dal bilancio di esercizio del 31 dicembre 1973. Cass. civ., sez. I, 2 maggio 2007, n. 10139, Società 2008, 53. (7968/300). L'interesse del socio ad impugnare il bilancio non è menomato dalla circostanza che siano impugnati solo alcuni bilanci intercalati ad altri non impugnati, o che non siano stati impugnati i bilanci degli anni precedenti, pur nel caso in cui una ragione di nullità del bilancio impugnato si ricolleghi alla nullità di un bilancio precedente non impugnato, perché la mancata impugnazione di un bilancio non preclude alla parte di far accertare la nullità della posta relativa alle giacenze iniziali senza che ciò debba ripercuotersi su quello precedente. Cass. civ., 24 dicembre 2004, n. 23976, Foro it. 2005, I, 3384. (7968/300). La legittimazione del socio assente o dissenziente a impugnare la delibera di approvazione del bilancio non è pregiudicata dal fatto che egli non abbia impugnato i bilanci di esercizi precedenti redatti con gli stessi criteri. Tribunale Milano, 5 aprile 2006, Banca borsa tit. cred. 2008, 2, 201. (7968/300). Il socio possiede un interesse concreto ed attuale ad impugnare un bilancio per vizi derivati da un precedente bilancio già impugnato, al quale il primo è legato dal principio di continuità, fintanto che tali vizi non siano stati effettivamente rimossi con la compilazione ed approvazione di un nuovo bilancio . Trib. Napoli, 5 aprile 2004, Società 2004, 1418. (7968/300). 3. Limite temporale all'impugnazione. - I principi generali della chiarezza e della verità, cui deve ispirarsi l'organo preposto alla redazione del bilancio di esercizio, sono i principi cardine che lo stesso legislatore eleva a norme di diritto pubblico, statuendo che la loro non corretta applicazione comporta la nullità della delibera assembleare, avente ad oggetto l'approvazione di un documento contabile non chiaro e non veritiero. Tuttavia, la necessità di una sempre maggiore chiarezza viene ancor di più messa in risalto con la nota integrativa: documento di tipo descrittivo a corredo dello stato patrimoniale e conto economico, avente lo scopo di fornire al lettore del bilancio ulteriori informazioni tali da far comprendere l'iter logico di formazione delle singole poste di bilancio. Allo stesso tempo però lo stesso legislatore se da un lato tutela il diritto dei soci e dei terzi ad essere informati in modo chiaro e veritiero, dall'altro ha ritenuto opportuno introdurre un limite temporale, con apposita norma giuridica (art. 2434 bis c.c.) applicabile per espresso rinvio anche alle s.r.l., secondo cui non è possibile impugnare la delibera di approvazione del bilancio una volta che il bilancio dell'esercizio successivo sia stato già approvato, con l'evidente scopo di garantire il principio generale della continuità aziendale, nonché della certezza e stabilità agli atti societari. Trib. Milano, sez. VIII, 5 giugno 2006, n. 6632, Dir. e prat. soc. 2007, 1, 81. (7968/300). 4. La mancanza di rilievi del revisore. Giurisprudenza di merito. – Per revisore si intnde non solo il revisore esterno, cui di regola compete l'esercizio del controllo contabile, ma anche il collegio sindacale. Trib. Rimini, 6 idicembre 2005, Foro it. 2005, I, 822. (7968/300). 5. Invalidità della deliberazione. – La norma richiama le disposizioni in tema di nullità ed annullabilità della delibera. 5.1. L'annullabilità della delibera pre Riforma. - L'obbligo fissato dall'art. 2432, comma 3, c.c. (nel testo anteriore alla modifica introdotta dal d.lg. 9 aprile 1991 n. 127 di attuazione delle direttive Cee n. 78/660 e n. 83/349, ed applicabile anche in tema di società a responsabilità limitata, in virtù del richiamo contenuto nell'art. 2491 c.c.) avente ad oggetto il deposito del progetto di bilancio nei quindici giorni antecedenti all'assemblea fissata per l'approvazione del bilancio stesso, si rende strumentale rispetto alla finalità di assicurare il soddisfacimento del diritto dei soci ad essere informati. Un tal diritto - che rappresenta il bene giuridico tutelato dalla norma postula non solo che il progetto di bilancio resti depositato per l'indicato periodo, ma anche e soprattutto che sia effettivamente consentito ai soci di esaminarlo, dal che consegue che ogni impedimento frapposto al socio (o ad un suo delegato) il quale precluda allo stesso di prendere visione del (progetto di) bilancio comporti di per sè stesso la violazione del diritto all'informazione tutelato dalla norma suddetta, e possa giustificare (rendendosi irrilevante, ad un tal punto, ogni accertamento in ordine alla regolarità - in sè - del deposito) l'annullamento della successiva delibera di approvazione del bilancio medesimo. Cass. civ., sez. I, 11 maggio 1998, n. 4734, Giust. civ. Mass. 1998, 994, Società 1998, 1291. (7968/300). 5.2. La nullità della delibera pre Riforma. – Nella disciplina legale del bilancio d'esercizio delle società, il principio di chiarezza non è affatto subordinato a quello di correttezza e veridicità del bilancio medesimo, ma è dotato di autonoma valenza, essendo obiettivo fondamentale del legislatore quello di garantire non solo la veridicità e correttezza dei risultati contabili, ma anche la più ampia trasparenza dei dati di bilancio che a quei risultati conducono. Conseguentemente, il bilancio d'esercizio di una società di capitali che violi i precetti di chiarezza e precisione dettati dall'art. 2423 c.c., comma 2 (anche nel testo anteriore alle modificazioni apportate dal d. lgs. 9 aprile 1991 n. 127), è illecito, ed è quindi nulla la deliberazione assembleare con cui esso è stato approvato. Cass. civ., sez. I, 7 marzo 2006, n. 4874, Giust. civ. Mass. 2006, 3. (7968/300). Al principio di chiarezza deve essere riconosciuta, sia anteriormente che posteriormente alle innovazioni legislative del 1991, rilevanza autonoma, non sottoordinata a quella del principio di verità. La sua violazione pregiudica gli interessi generali tutelati dalla disciplina della redazione del bilancio, con conseguente nullità della delibera assembleare che lo approva. Cass. civ., sez. I, 2 maggio 2007, n. 10139, Giust. civ. 2008, 2, 441; Cass. civ., sez. un., 21 febbraio 2000, n. 27, Giur. it. 2000, 1209. (7968/300). La delibera di approvazione del bilancio di una società di capitali, resa dall'assemblea ordinaria con le prescritte maggioranze, ha efficacia vincolante nei confronti di tutti i soci, anche con riguardo ai crediti della società verso i medesimi che risultino indicati con chiarezza in detto bilancio . Se è vero, infatti, che a norma dell'art. 2709 c.c. i libri e le scritture contabili - e quindi anche il bilancio - dell'impresa soggetta a registrazione fanno prova contro l'imprenditore e non a suo favore, tale regola non è invocabile nei rapporti fra società e socio, che sono retti dal principio della vincolatività delle deliberazioni assembleari. Tale principio, valevole anche con riguardo ai soci dissenzienti che non abbiano provveduto ad impugnare la deliberazione nei modi e nei termini prescritti, a maggior ragione è destinata a valere nei confronti del socio che abbia concorso con il proprio voto favorevole all'approvazione di quella deliberazione: sicché soltanto facendone pronunciare l'annullamento o facendone accertare la nullità detto socio può sottrarsi al vincolo da essa derivante, fermo restando che l'onere di provare il vizio da cui deriva l'invalidità di una deliberazione giudizialmente impugnata grava su chi la impugna. (Fattispecie relativa all'impugnazione della deliberazione dell'assemblea di una società a responsabilità limitata di approvazione di una situazione patrimoniale, prodromica alla messa in liquidazione della società e qualificabile come bilancio straordinario, da cui emergeva un debito per sottoscrizione di un precedente aumento di capitale del socio impugnante, che aveva concorso con il proprio voto favorevole all'approvazione della delibera. Enunciando il principio in massima, la S.C. ha affermato che gravava su detto socio l'onere - nella specie non assolto - di provare l'eccepita nullità della deliberazione per difetto di veridicità della situazione patrimoniale approvata, con particolare riferimento al debito in questione). Cass. civ., sez. I, 10 novembre 2005, n. 21831, Giust. civ. Mass. 2005, 11. (7968/300). Il bilancio redatto dal commissario nominato in sostituzione degli organi ordinari di una società di assicurazioni a norma dell'art. 7 l. 12 agosto 1982 n. 576 (riforma della vigilanza sulle assicurazioni), come sostituito dall'art. 2 l. 9 gennaio 1991 n. 20, è comunque da considerare alla stregua di un atto societario, soggetto alle regole dettate dal legislatore per tal genere di rappresentazione contabile della realtà patrimoniale, economica e finanziaria dell'impresa, con la conseguenza che esso è soggetto al corrispondente regime di impugnazione, pur con gli adattamenti necessariamente dovuti al fatto che detto bilancio non passa attraverso l'approvazione dell'assemblea dei soci. Da tanto deriva che il socio è legittimato a far accertare direttamente la nullità del bilancio per contrasto con le norme imperative destinate a disciplinarne la redazione, a tal fine promuovendo un'azione retta dai principi generali desumibili dal combinato disposto degli art. 1324 e 1418 c.c. Cass. civ., sez. I, 29 aprile 2004, n. 8204, Giust. civ. Mass. 2004, 4. (7968/300). La deliberazione assembleare di una società di capitali, con la quale sia stato approvato un bilancio non conforme ai precetti dell'art. 2423 c.c., deve ritenersi affetta da nullità per illiceità dell'oggetto, quando comporti la violazione dei principi di chiarezza, veridicità e correttezza, così da cagionare una netta cesura tra il dato rappresentato e l'effettivo risultato dell'esercizio, restando in tale modo compromessa quella funzione informativa, interna ed esterna alla società, che è lo scopo fondamentale perseguito dal legislatore. In un caso siffatto, l'azione di nullità delle deliberazioni dell'assemblea è svincolata dai presupposti e dalle condizioni temporali e di legittimazione stabilite dall'art. 2377 c.c. per l'azione di annullamento: potendo la nullità essere fatta valere da chiunque vi ha interesse (art. 1421 c.c.), anche la società e i suoi amministratori hanno la legittimazione a fare valere in via incidentale tale nullità al fine di superare l'efficacia formale, altrimenti vincolante per tutti i soci, dell'approvazione del bilancio . App. Milano, 20 dicembre 2002, Giur. milanese 2004, 124. (7968/300). 6. Impugnabilità della delibera negativa di approvazione del bilancio. Giurisprudenza di merito. - Il comportamento diretto ad ottenere lo scioglimento della società mediante il reiterato e immotivato rifiuto di approvare il bilancio di esercizio costituisce violazione dei canoni di correttezza e buona fede che a sua volta legittima l'annullabilità della delibera, seppur negativa, in quanto violazione di legge rilevante ai sensi dell'art. 2377 c.c. L'azione risarcitoria, a causa della pregiudizialità dell'azione volta ad invalidare la delibera è inammissibile in mancanza dell'esperimento del rimedio invalidatorio. Trib. Catania, sez. IV, 10 agosto 2007, Giur. comm. 2009, 1, 197. (7968/300). 2435. Pubblicazione del bilancio e dell'elenco dei soci e dei titolari di diritti su azioni (1). – [I]. Entro trenta giorni dall'approvazione una copia del bilancio, corredata dalle relazioni previste dagli articoli 2428 e 2429 e dal verbale di approvazione dell'assemblea o del consiglio di sorveglianza, deve essere, a cura degli amministratori, depositata presso l'ufficio del registro delle imprese o spedita al medesimo ufficio a mezzo di lettera raccomandata. [II]. Entro trenta giorni dall'approvazione del bilancio le società non aventi azioni quotate in mercati regolamentati (2) sono tenute altresì a depositare per l'iscrizione nel registro delle imprese l'elenco dei soci riferito alla data di approvazione del bilancio, con l'indicazione del numero delle azioni possedute, nonché dei soggetti diversi dai soci che sono titolari di diritti o beneficiari di vincoli sulle azioni medesime. L'elenco deve essere corredato dall'indicazione analitica delle annotazioni effettuate nel libro dei soci a partire dalla data di approvazione del bilancio dell'esercizio precedente. (1) V. nota al Capo V. (2) V. Avviso di rettifica in G.U. 4 luglio 2003, n. 153. 1. Principi genrali. Giurisprudenza di merito. – Nelle società di capitali il legislatore ha previsto l'obbligo di redazione di un formale bilancio ex art. 2423 c.c., stabilendo in modo preciso anche i criteri di redazione ex art. 2423 bis c.c., il quale bilancio, proprio perché destinato, per sua natura, alla tutela di soggetti terzi che vengono in contatto con la società, deve essere non solo depositato presso la società prima dell'approvazione ex art. 2429 c.c. (a tutela evidentemente degli stessi soci), ma anche depositato presso l'ufficio def registro delle imprese ex art. 2435 e 2478 bis c.c., a tutela evidentemente dei terzi; invece nelle società di persone è previsto solo un rendiconto annuale, del quale non è richiesto né il deposito né tanto meno la pubblicazione, proprio perché la sua redazione non risponde a un'esigenza di tutela dei terzi e della collettività, bensì a un'esigenza e a una tutela individuale del singolo socio. Sicché, ogni relativa questione è non solo transigibile, ma anche compromettibile in arbitri, non andando a incidere su norme di carattere imperativo. Trib. Bari, sez. IV, 7 febbraio 2007, Guida al diritto 2007, 32, 67. (7968/804). Non sono sanzionabili in via amministrativa, ex art. 2626 c.c. (vecchio testo) in relazione agli art. 2435 e 2364 c.c., gli amministratori di società di capitati i quali provvedano al deposito del bilancio entro trenta giorni dall'approvazione, quand'anche il bilancio sia stato approvato oltre il termine all'uopo stabilito dalla legge. Trib. Brescia, 13 maggio 2002, Società 2002, 1412. (7968/804). 2435 bis. Bilancio in forma abbreviata (1). – [I]. Le società, che non abbiano emesso titoli negoziati in mercati regolamentati (2), possono redigere il bilancio in forma abbreviata quando, nel primo esercizio o, successivamente, per due esercizi consecutivi, non abbiano superato due dei seguenti limiti: 1) totale dell'attivo dello stato patrimoniale: 4.400.000 euro (3); 2) ricavi delle vendite e delle prestazioni: 8.800.000 euro (3); 3) dipendenti occupati in media durante l'esercizio: 50 unità. [II]. Nel bilancio in forma abbreviata lo stato patrimoniale comprende solo le voci contrassegnate nell'articolo 2424 con lettere maiuscole e con numeri romani; le voci A e D dell'attivo possono essere comprese nella voce CII; dalle voci BI e BII dell'attivo devono essere detratti in forma esplicita gli ammortamenti e le svalutazioni; la voce E del passivo può essere compresa nella voce D; nelle voci CII dell'attivo e D del passivo devono essere separatamente indicati i crediti e i debiti esigibili oltre l'esercizio successivo. [III]. Nel conto economico del bilancio in forma abbreviata le seguenti voci previste dall'articolo 2425 possono essere tra loro raggruppate: voci A2 e A3 voci B9(c), B9(d), B9(e) voci B10(a), B10(b), B10(c) voci C16(b) e C16(c) voci D18(a), D18(b), D18(c) voci D19(a), D19(b), D19(c) [IV]. Nel conto economico del bilancio in forma abbreviata nella voce E20 non è richiesta la separata indicazione delle plusvalenze e nella voce E21 non è richiesta la separata indicazione delle minusvalenze e delle imposte relative a esercizi precedenti. [V]. Nella nota integrativa sono omesse le indicazioni richieste dal numero 10 dell'articolo 2426 e dai numeri 2), 3), 7), 9), 10), 12), 13), 14), 15), 16) e 17) dell'articolo 2427 e dal numero 1) del comma 1 dell'articolo 2427-bis (4); le indicazioni richieste dal numero 6) dell'articolo 2427 sono riferite all'importo globale dei debiti iscritti in bilancio. [V]. Le società possono limitare l'informativa richiesta ai sensi dell'articolo 2427, primo comma, numero 22-bis, alle operazioni realizzate direttamente o indirettamente con i loro maggiori azionisti ed a quelle con i membri degli organi di amministrazione e controllo, nonché limitare alla natura e all'obiettivo economico le informazioni richieste ai sensi dell'articolo 2427, primo comma, numero 22-ter (5). [VII]. Qualora le società indicate nel primo comma forniscano nella nota integrativa le informazioni richieste dai numeri 3) e 4) dell'articolo 2428, esse sono esonerate dalla redazione della relazione sulla gestione. [VIII]. Le società che a norma del presente articolo redigono il bilancio in forma abbreviata devono redigerlo in forma ordinaria quando per il secondo esercizio consecutivo abbiano superato due dei limiti indicati nel primo comma. (1) V. nota al Capo V. (2) V. Avviso di rettifica in G.U. 4 luglio 2003, n. 153. (3) Le parole «3.650.000 euro» sono state sostituite alle parole «3.125.000 euro» e le parole «7.300.000 euro» sono state sostituite alle parole «6.250.000 euro» dall'art. 11d.lgs. 7 novembre 2006, n. 285. Successivamente l'art. 1 d.lgs. 3 novembre 2008 n. 173 ha sostituito le parole «4.400.000 euro » alle parole «6.250.000 euro» e le parole «8.800.000 euro» alle parole «7.300.000 euro». (4) Le parole: « e dal numero 1) del comma 1 dell'articolo 2427-bis » sono state inserite dall'art. 2 d.lgs. 30 dicembre 2003, n. 394, con decorrenza dal 1° gennaio 2005. (5) Comma aggiunto dall'art. 1 d.lgs. 3 novembre 2008 n. 173. Sommario: 1. Introduzione. - 2. Principio di chiarezza del bilancio. Giurisprudenza di legittimità. 1. Introduzione. – Con la Riforma sono state ampliate le semplificazioni che differenziano il bilancio ordinario dal bilancio in forma abbreviata. 2. Principio di chiarezza del bilancio. Giurisprudenza di legittimità. – Il principio della rilevanza autonoma, ai fini della dichiarazione di nullità, della chiarezza analitica del bilancio deve essere applicato tenendo conto del fatto che, in ipotesi di bilancio redatto in forma abbreviata, il dovere di fornire le informazioni complementari necessarie allo scopo non deve essere tale da svuotare di significato l’art. 2435 bis cod. civ. che consente appunto di redigere il bilancio con tale modalità. In ogni caso, in presenza di violazioni al principio di chiarezza, occorre tener conto che le modifiche apportate dalla Riforma hanno chiaramente privilegiato la stabilità delle deliberazioni assembleari, con la conseguenza che delle violazioni in parola deve essere valutata l’effettiva incidenza sull’intelligibilità della situazione economico-patrimoniale della società. (Fattispecie in tema di informazioni relative ai rapporti tra controllante e controllata e di errata qualificazione di voce del patrimonio netto). Trib. Treviso, 14 novembre 2008. (7968/768). Deve essere respinta la censura di oscurità e genericità della voce “fatture da ricevere” contenuta in un bilancio redatto in forma abbreviata, qualora il socio ricorrente, pur avendo votato contro l’approvazione del bilancio, abbia assistito in assemblea alla lettura del dettaglio delle voci di spesa e non abbia, con riferimento al punto in questione, fatto annotare il proprio dissenso. Trib. Salerno, 12 maggio 2008. (7968/768). 1. LE MODIFICAZIONI DELLO STATUTO CODICE CIVILE Titolo V DELLE SOCIETA’ Capo V – Società per azioni 2436. Deposito, iscrizione e pubblicazione delle modificazioni. - [I]. Il notaio che ha verbalizzato la deliberazione di modifica dello statuto, entro trenta giorni, verificato l'adempimento delle condizioni stabilite dalla legge, ne richiede l'iscrizione nel registro delle imprese contestualmente al deposito e allega le eventuali autorizzazioni richieste. [II]. L'ufficio del registro delle imprese, verificata la regolarità formale della documentazione, iscrive la delibera nel registro. [III]. Se il notaio ritiene non adempiute le condizioni stabilite dalla legge, ne dà comunicazione tempestivamente, e comunque non oltre il termine previsto dal primo comma del presente articolo, agli amministratori. Gli amministratori, nei trenta giorni successivi, possono convocare l'assemblea per gli opportuni provvedimenti oppure ricorrere al tribunale per il provvedimento di cui ai successivi commi; in mancanza la deliberazione è definitivamente inefficace. [IV]. Il tribunale, verificato l'adempimento delle condizioni richieste dalla legge e sentito il pubblico ministero, ordina l'iscrizione nel registro delle imprese con decreto soggetto a reclamo. [V]. La deliberazione non produce effetti se non dopo l'iscrizione. [VI]. Dopo ogni modifica dello statuto deve esserne depositato nel registro delle imprese il testo integrale nella sua redazione aggiornata. Sommario: 1. Introduzione. Adeguamento alla riforma. Giurisprudenza di merito - 2. Il controllo del notaio. Giurisprudenza di merito. - 3.Le modificazioni dello statuto. – 3.1.Modificazioni una tantum. Giurisprudenza di merito. – 4. Caratteri del giudizio di omologazione. Giurisprudenza maggioritaria. - 4.1. Tribunale competente per l’omologazione. Giurisprudenza costante. – 4.2. Revocabilità del decreto di omologa successivamente all’iscrizione. Giurisprudenza di merito. – 4.3. Omologa parziale. Giurisprudenza di merito – 5. Controllo dell’ufficio del registro delle imprese. – 6. Efficacia dell’iscrizione. 1. Introduzione. Adeguamento alla riforma. Giurisprudenza di merito. – Con la Riforma il procedimento di modifica statutaria, in precedenza espressamente disciplinato dall’art. 2411 c.c. e solo per rinvio nell’art. 2436, è stato collocato nella sua sedes materiae naturale, vale a dire nell’art. che apre la Sez. dedicata alle modificazioni statutarie. Nel caso in cui i soci non abbiano provveduto ad adeguare l'atto costitutivo della società nel termine del 30 settembre 2004, fissato a tal fine dall'art. 223 bis disp. att. c.c., qualora non vi sia una manifestazione di volontà di segno contrario dei soci, sulle clausole statutarie difformi dalle nuove disposizioni normative devono prevalere queste ultime e ciò a prescindere dalla natura inderogabile o derogabile delle stesse. (Nel caso di specie si è ritenuta iscrivibile nel registro delle imprese la delibera di scioglimento anticipato di una società a responsabilità limitata il cui statuto, non adeguato alla disciplina introdotta dal d.lg. 6/2003, disponeva che alle deliberazioni dell'assemblea si applicassero le norme, e quindi le maggioranze, dell'art. 2486 c.c. nel testo previgente). Trib.Verona,07 dicembre 2007, Vita not. merito 2008, 1, 281 7968/1320 2. Il controllo del notaio. Giurisprudenza di merito. - In tema di modificazioni statutarie di s.p.a., qualora il controllo del notaio di cui al comma 1 art. 2436 c.c. si concluda con esito negativo, quest'ultimo ne dà comunicazione tempestiva non oltre il termine di trenta giorni agli amministratori, ai quali è attribuita l'opzione tra una nuova convocazione dell'assemblea per l'adozione delle decisioni che, sulla scorta dei rilievi formulati dal notaio, consentano l'iscrizione della deliberazione, oppure il ricorso al tribunale affinché ordini l'iscrizione nel registro delle imprese, disattendendo in tal modo i rilievi notarili. Ne consegue che, in assenza di un conflitto - ovviamente relativo a motivi chiaramente evidenziati - tra notaio, da un lato, ed amministratori che non intendano ottemperare ai suoi rilievi, dall'altro, non vi è spazio per l'intervento giurisdizionale di controllo del citato art. 2436 c.c.. Trib.Bologna,02 marzo 2007, Il merito 2007, 9, 40 7968/1320 3.Le modificazioni dello statuto. – Secondo la dottrina prevalente, integrano modificazioni dello statuto tutte le variazioni dell’atto costitutivo e dello statuto originari. I cambiamenti possono esplicarsi in introduzione di nuove clausole o in modificazioni o soppressioni di clausole preesistenti. 3.1.Modificazioni una tantum. Giurisprudenza di merito. – E’ possibile che l’assemblea straordinaria possa derogare occasionalmente allo statuto. App. Milano, 20 febbraio 2001, Giur. it. 2001, 1431. 7968/1320 4. Caratteri del giudizio di omologazione. Giurisprudenza maggioritaria. – Il giudizio di omologazione delle delibere modificative dell’atto costitutivo presenta gli stessi caratteri di quello esercitato in passato in sede di costituzione della società e solleva problemi analoghi a quest’ultimo. In particolare la giurisprudenza maggioritaria ritiene che siano rilevabili in sede di omologa non solo le cause di nullità ma anche quelle di annullabilità delle delibere. Trib.Napoli, Dir. Fall., 1993, II, 240. Contra nel senso della rilevabilità delle sole cause di nullità: App. Milano, 9 maggio 1991,Foro. it. 1992,I, 1085. 7968/1470 4.1. Tribunale competente per l’omologazione. Giurisprudenza consolidata. – E’ orientamento ormai consolidato che il tribunale competente per l’omologazione sia quello del luogo in cui ha sede l’ufficio del registro delle imprese presso il quale l’atto costitutivo è stato iscritto anche se diverso dal tribunale della sede sociale. Cass.Civ., sez. I, 11 settembre 1999, n. 9210, Riv. Not., 2000, 467. 7968/1320 4.2. Revocabilità del decreto di omologa successivamente all’iscrizione. Giurisprudenza di merito. – È esclusa la generale revocabilità dei decreti di omologazione in materia societaria, in quanto la previsione dell'art. 742 bis c.p.c. deve ritenersi superata dalla disciplina di cui all'art. 2332 c.c. Non è, pertanto, revocabile il decreto di omologa di atto costitutivo, una volta avvenuta l'iscrizione. Trib.Milano,1 dicembre 1988, Vita not., 1990, 200. Contra: App.Roma, 18 settembre 1998, Giur. it. 1999, 570. 7968/1470 4.3. Omologa parziale. Giurisprudenza di merito. – La c.d. “omologazione parziale” non è consentita quando le diverse clausole modificative vengono tutte incluse in una delibera unitaria e non risulta affatto la volontà dell’assemblea di accertare una omologazione limitatamente ad alcune di esse. Trib.Verona,11 dicembre 1992, Società, 1993, 950. Trib.Bologna,02 marzo 2007, Il merito 2007, 9, 40 . 7968/1470 5.Controllo dell’ufficio del registro delle imprese. Giurisprudenza di merito. – (…) All’ufficio del registro delle imprese è richiesta la sola verifica della regolarità formale della documentazione esibita all’atto di iscrizione della società nei registri. App.Palermo,2 aprile2001,Notariato,2001,02,248. Trib.Bologna,24 gennaio 2002, Notariato,2002, 02, 296. 7968/1320 6.Efficacia dell’iscrizione. Giurisprudenza di merito. – Le delibere di modificazione dello statuto, a norma dell'art. 2436 c.c., comma 5, producono effetti solo dopo l'iscrizione presso il Registro delle imprese e tale iscrizione rappresenta il momento iniziale di efficacia della delibera. Essa non produce i propri effetti nei confronti dei soci che ne siano a conoscenza anche prima dell'iscrizione del Registro delle imprese, posto che tale deroga al principio generale suindicato non è espressamente prevista e non è desumibile dall'art. 2448 c.c., che si limita a disciplinare il diverso profilo della tutela dell'affidamento dei terzi in relazione ad una delibera conosciuta ancor prima del momento iniziale della sua efficacia. Trib.Verona,08 aprile 2005, Società, 2006, 3, 335. 7968/1320 2437. Diritto di recesso. –[I].Hanno diritto di recedere, per tutte o parte delle loro azioni, i soci che non hanno concorso alle deliberazioni riguardanti: a) la modifica della clausola dell'oggetto sociale, quando consente un cambiamento significativo dell'attività della società; b) la trasformazione della società; c) il trasferimento della sede sociale all'estero; d) la revoca dello stato di liquidazione; e) l'eliminazione di una o più cause di recesso previste dal successivo comma ovvero dallo statuto; f) la modifica dei criteri di determinazione del valore dell'azione in caso di recesso; g) le modificazioni dello statuto concernenti i diritti di voto o di partecipazione. [II]. Salvo che lo statuto disponga diversamente, hanno diritto di recedere i soci che non hanno concorso all'approvazione delle deliberazioni riguardanti: a) la proroga del termine; b) l'introduzione o la rimozione di vincoli alla circolazione dei titoli azionari. [III]. Se la società è costituita a tempo indeterminato e le azioni non sono quotate in un mercato regolamentato il socio può recedere con il preavviso di almeno centottanta giorni; lo statuto può prevedere un termine maggiore, non superiore ad un anno. [IV]. Lo statuto delle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio può prevedere ulteriori cause di recesso. [V]. Restano salve le disposizioni dettate in tema di recesso per le società soggette ad attività di direzione e coordinamento. [VI]. È nullo ogni patto volto ad escludere o rendere più gravoso l'esercizio del diritto di recesso nelle ipotesi previste dal primo comma del presente articolo. 2437 BIS. Termini e modalità di esercizio. - [I]. Il diritto di recesso è esercitato mediante lettera raccomandata che deve essere spedita entro quindici giorni dall'iscrizione nel registro delle imprese della delibera che lo legittima, con l'indicazione delle generalità del socio recedente, del domicilio per le comunicazioni inerenti al procedimento, del numero e della categoria delle azioni per le quali il diritto di recesso viene esercitato. Se il fatto che legittima il recesso è diverso da una deliberazione, esso è esercitato entro trenta giorni dalla sua conoscenza da parte del socio. [II]. Le azioni per le quali è esercitato il diritto di recesso non possono essere cedute e devono essere depositate presso la sede sociale. [III]. Il recesso non può essere esercitato e, se già esercitato, è privo di efficacia, se, entro novanta giorni, la società revoca la delibera che lo legittima ovvero se è deliberato lo scioglimento della società. 2437 TER. Criteri di determinazione del valore delle azioni . - [I]. Il socio ha diritto alla liquidazione delle azioni per le quali esercita il recesso. [II]. Il valore di liquidazione delle azioni (2) è determinato dagli amministratori, sentito il parere del collegio sindacale e del soggetto incaricato della revisione contabile, tenuto conto della consistenza patrimoniale della società e delle sue prospettive reddituali, nonché dell'eventuale valore di mercato delle azioni. [III]. Il valore di liquidazione delle azioni quotate in mercati regolamentati (2) è determinato facendo esclusivo riferimento alla media aritmetica dei prezzi di chiusura nei sei mesi che precedono la pubblicazione ovvero ricezione dell'avviso di convocazione dell'assemblea le cui deliberazioni legittimano il recesso. [IV]. Lo statuto può stabilire criteri diversi di determinazione del valore di liquidazione, indicando gli elementi dell'attivo e del passivo del bilancio che possono essere rettificati rispetto ai valori risultanti dal bilancio, unitamente ai criteri di rettifica, nonché altri elementi suscettibili di valutazione patrimoniale da tenere in considerazione. [V]. I soci hanno diritto di conoscere (2) la determinazione del valore di cui al secondo comma del presente articolo nei quindici giorni precedenti alla data fissata per l'assemblea; ciascun socio ha diritto di prenderne visione e di ottenerne copia a proprie spese. [VI]. In caso di contestazione da proporre contestualmente alla dichiarazione di recesso il valore di liquidazione è determinato entro novanta giorni dall'esercizio del diritto di recesso tramite relazione giurata di un esperto nominato dal tribunale, che provvede anche sulle spese, su istanza della parte più diligente; si applica in tal caso il primo comma dell'articolo 1349. 2437QUATER. Procedimento di liquidazione. –[I]. Gli amministratori offrono in opzione le azioni del socio recedente agli altri soci in proporzione al numero delle azioni possedute. Se vi sono obbligazioni convertibili, il diritto di opzione spetta anche ai possessori di queste, in concorso con i soci, sulla base del rapporto di cambio. [II]. L'offerta di opzione è depositata presso il registro delle imprese entro quindici giorni dalla determinazione definitiva del valore di liquidazione. Per l'esercizio del diritto di opzione deve essere concesso un termine non inferiore a trenta giorni dal deposito dell'offerta. [III]. Coloro che esercitano il diritto di opzione, purché ne facciano contestuale richiesta, hanno diritto di prelazione nell'acquisto delle azioni che siano rimaste non optate. [IV]. Qualora i soci non acquistino in tutto o in parte le azioni del recedente, gli amministratori possono collocarle presso terzi; nel caso di azioni quotate in mercati regolamentati, il loro collocamento avviene mediante offerta nei mercati medesimi. [V]. In caso di mancato collocamento ai sensi delle disposizioni dei commi precedenti entro centottanta giorni dalla comunicazione del recesso (2), le azioni del recedente (3) vengono rimborsate mediante acquisto da parte della società utilizzando riserve disponibili anche in deroga a quanto previsto dal terzo comma dell'articolo 2357. [VI]. In assenza di utili e riserve disponibili, deve essere convocata l'assemblea straordinaria per deliberare la riduzione del capitale sociale, ovvero lo scioglimento della società. [VII]. Alla deliberazione di riduzione del capitale sociale si applicano le disposizioni del comma secondo, terzo e quarto dell'articolo 2445; ove l'opposizione sia accolta la società si scioglie Sommario: 1. Introduzione. Irrilevanza delle motivazioni. Giurisprudenza di legittimità. - 2.Legittimazione. Giurisprudenza di legittimità - 3.Natura ed efficacia atto di recesso. Giurisprudenza prevalente. - 4. Comunicazione del recesso. Giurisprudenza di merito -5.Termine. Giurisprudenza consolidata - 6.Revoca. – 7. Quota di recesso. Giurisprudenza di legittimità. 8. Esclusione diritto di recesso. Giurisprudenza di legittimità. 1. Introduzione. Irrilevanza delle motivazioni. Giurisprudenza di legittimità. – La Riforma ha profondamente inciso sulla disciplina del diritto di recesso nella direzione di garantire una tutela più efficace dei soci di minoranza. Sono stati anzitutto notevolmente ampliati le ipotesi nelle quali ai soci assenti o dissenzienti spetta il diritto di recesso. Inoltre sono stati radicalmente variati i criteri di determinazione del valore delle azioni del socio recedente ed il procedimento di liquidazione del relativo importo in maniera tale da contemperare l’interesse dei soci di minoranza con quello dei creditori sociali. Qualora a seguito della trasformazione della società il socio dissenziente abbia, a norma dell’art. 2437 c.c. esercitato il proprio diritto di recedere dalla società, tale recesso è valido ed efficace, senza che possa rilevare ed incidere il reale motivo che abbia determinato il recesso stesso. Cass., sez I, 2 giugno 1983, n. 3770, Giur. Comm., 1985, II, 39. 2.Legittimazione.Giurisprudenza di legittimità.– Poiché la costituzione del diritto di pegno sulle azioni non implica il trasferimento della disponibilità della partecipazione societaria del debitore in capo al creditore pignoratizio, questi non è legittimato, neppure in via surrogatoria, ad esercitare il diritto di recesso di cui all'art. 2437 c.c. Cass. civ. Sez. I, 12/07/2002, n. 10144, Foro It., 2003, 1, 1194. 7968/1332 Nel caso di vendita a termine di titoli azionari, il diritto di recesso contemplato dall'art. 2437 c.c. (nel testo anteriore alle modifiche introdotte dal D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, applicabile alla specie "ratione temporis") - a differenza del diritto di opzione e degli altri diritti presi in considerazione dagli artt. 1531 c.c. ss. - non passa immediatamente in capo al compratore, ma resta di spettanza del venditore sino al momento in cui, con il maturare del termine, questi non abbia perso la titolarità delle azioni. Dai citati artt. 1531 ss. c.c. destinati a risolvere specifiche situazioni di contrapposizione d'interesse tra controparte e venditore in ipotesi di vendita a termine di titoli di credito - non può infatti dedursi l'esistenza di una regola generale, in forza della quale in caso di vendita a termine di titoli azionari, tutti i diritti sociali si trasmettono al compratore, con la sola eccezione del diritto di voto menzionato dal secondo comma dell'art. 1531 c.c.. Né, d'altra parte, è ipotizzabile l'applicazione analogica al diritto di recesso della disciplina prevista per il diritto di opzione - che in pendenza del termine compete al compratore, ai sensi dell'art. 1532 c.c. - trattandosi di istituti di fondamento logico ben diverso: giacché l'uno - il diritto di opzione - è destinato ad assicurare a ciascun socio la possibilità di mantenere la preesistente percentuale di partecipazione in caso di aumento del capitale, e dunque esprime una esigenza di stabilità nel rapporto reciproco tra soci; mentre l'altro - il diritto di recesso - è finalizzato a porre termine alla partecipazione sociale, consentendo al socio che dissente da determinate decisioni della maggioranza, modificative dell'assetto della società, di fuoriuscire dalla compagine societaria. Cass. civ. Sez. I Sent., 18/07/2007, n. 15957,Società, 2008, 8, 980. 7968/1332 3. Natura ed efficacia atto di recesso. Giurisprudenza prevalente – Il recesso di un socio da una società è un negozio unilaterale recettizio e, come tale, si perfeziona e produce i propri effetti sin dal momento in cui la dichiarazione che lo esprime è pervenuta nella sfera di conoscenza della società destinataria. Il recesso da una società per azioni non può essere subordinato a condizioni che ne rendano incerti nel tempo gli effetti e, almeno a partire dal momento in cui sono scaduti i termini per eventuali analoghe dichiarazioni di altri soci, non è suscettibile di revoca. Cass. civ. Sez. I, 19/03/2004, n. 5548, Società, 2004, 1364. Giurisprudenza conforme: Trib.Roma ,2005, n. 10720. 7968/1332 4. Comunicazione del recesso. Giurisprudenza di merito. – Il diritto di recesso può essere esercitato, oltre che tramite lettera raccomandata, anche tramite altre forme(telegrafo, telex, notificazione a mezzo di ufficiale giudiziario) che presentino le medesime(o maggiori) caratteristiche di certezza della raccomandata; non può invece essere esercitato mediante comportamenti concludenti del recedente. App. Milano, 13 maggio 2003,Giur. it. 2004, 122. 7968/1332 5. Termine. – Giurisprudenza consolidata. I termini stabiliti dalla legge per l'esercizio del recesso sono fissati a pena di decadenza. Pertanto, in caso di recesso esercitato da un soggetto non legittimato, l'eventuale ratifica del titolare del diritto deve avvenire entro i suddetti termini. Cass. civ. Sez. I, 12/07/2002, n. 10144 Giur. It., 2003, 110 7968/1332 6. Revoca. Giurisprudenza di legittimità. – L’esigenza di certezza e di rapida definizione degli assetti societari interessati dal recesso di uno o più soci è inconciliabile con l’attribuzione al socio recedente della facoltà di revocare la dichiarazione di recesso, già comunicata alla società, o di modificarne la portata subordinandola a condizioni. Cass. civ. Sez. I, 19/03/2004, n. 5548, Società, 2004, 1364. 7968/1332 Contra: il recesso può essere revocato purchè ciò avvenga entro i novanta giorni stabiliti dall’art. 2437 c.c.. Trib.Roma,1 dicembre 2005,10720, non presente in dejure rinvenuto in c.c. annotato di caringella 7968/1332 7. Quota di recesso. Giurisprudenza di legittimità.– Il credito relativo alla liquidazione della quota del socio receduto è determinato sulla base di un mero calcolo proporzionale dei valori risultanti dall'ultimo bilancio della società, per cui, in mancanza di una specifica previsione di un termine, nulla osta all'applicabilità della regola della sua immediata esigibilità; inoltre, benché non immediatamente traducibile in una cifra numerica precisa, si tratta di credito di facile e pronta liquidazione. Il credito relativo alla liquidazione della quota del socio receduto ha natura pecuniaria e costituisce un credito di valuta, che, essendo liquido ed esigibile, è idoneo per ciò solo a produrre interessi di pieno diritto, a norma dell'art. 1282, comma 1, del codice civile senza necessità di alcun atto di messa in mora. Cass. civ. Sez. I, 19/03/2004, n. 5548, Società, 2004, 1364. 7968/1332 Il diritto di rimborso delle azioni spettante al socio che recede, ai sensi dell'art. 2437 c.c., è rigorosamente ancorato (nel vigore della norma nel testo anteriore alla novella introdotta dal d.lg. 17 gennaio 2003 n. 6) alle quotazioni di mercato registrate nel semestre anteriore al giorno in cui è stata assunta la deliberazione assembleare che legittima il recesso, con la conseguenza che pretese variazioni di misura del possesso azionario del socio receduto, asseritamente verificatesi in un momento successivo al periodo compreso in quel semestre, non possono entrare nel calcolo del rimborso spettante, e ciò tanto più quando le ulteriori azioni delle quali il socio sarebbe divenuto titolare in un momento successivo siano di nuova emissione, derivando da un'operazione di aumento del capitale sociale. (Nella fattispecie si trattava di deliberazione di aumento gratuito del capitale seguita a deliberazione di modifica dell'oggetto sociale). intervenente o meno alla delibera modificativa della clausola societaria. Cass. civ. Sez. I Sent., 02/07/2007, n. 14963, Società, 2008, 11, 1368 7968/1332 Cass. civ. Sez. I, 26 agosto 2004, n.17012, Giust. civ. Mass. 2004, 7-8 7968/1332 Nelle società per azioni, il credito relativo ala liquidazione della quota del socio receduto, essendo liquido ed esigibile, è per ciò solo idoneo a produrre interessi di pieno diritto, a norma dell’art. 1282, primo comma, c.c., senza necessità di alcun atto di messa in mora. Cass. civ. Sez. I, 19/03/2004, n. 5548, Società, 2004, 1364. 7968/1332 Costituisce un vizio del procedimento, che determina l'annullabilità della delibera, la mancata determinazione del valore di liquidazione delle azioni nei quindici giorni che precedono l'assemblea chiamata a decidere in ordine a materie che legittimano l'esercizio del diritto di recesso. Trib. Milano Sez. VIII, 30/04/2008, Giur. It., 2008, 8-9, 1944. 7968/1332 8.Esclusione diritto di recesso. Giurisprudenza di legittimità. – L'assunzione in una società per azioni di un'attività economicamente collegata a quella prevista nell'atto costitutivo non integra il "cambiamento significativo" dell'oggetto sociale richiesto dall'art. 2437, comma 1, lett. a), c.c., quale presupposto all'esercizio del diritto di recesso da parte del socio dissenziente, 2437QUINQUIES. Disposizioni speciali per le società con azioni quotate in mercati regolamentati.-Se le azioni sono quotate in mercati regolamentati hanno diritto di recedere i soci che non hanno concorso alla deliberazione che comporta l'esclusione dalla quotazione. 2437SEXIES. Azioni riscattabili.- Le disposizioni degli articoli 2437-ter e 2437-quater si applicano, in quanto compatibili, alle azioni o categorie di azioni per le quali lo statuto prevede un potere di riscatto da parte della società o dei soci. Resta salva in tal caso l'applicazione della disciplina degli articoli 2357 e 2357-bis 2438. Aumento di capitale. - Un aumento di capitale non può essere eseguito fino a che le azioni precedentemente emesse non siano interamente liberate. In caso di violazione del precedente comma, gli amministratori sono solidalmente responsabili per i danni arrecati ai soci ed ai terzi. Restano in ogni caso salvi gli obblighi assunti con la sottoscrizione delle azioni emesse in violazione del precedente comma. Sommario: 1. Introduzione. Giurisprudenza di merito – 1.1. Contra. Giurisprudenza di merito. - 2.Ambito di applicazione. Giurisprudenza prevalente - 3. Liberazione delle azioni precedentemente emesse. Giurisprudenza di legittimità. - 3.1.Pluralità di aumenti Giurisprudenza di legittimità - 4. Perdite pregresse. Giurisprudenza di merito 1. Introduzione.Giurisprudenza di merito. – Con la nuova formulazione dell’articolo in esame il legislatore del 2003 sembra aver sposato la tesi, già proposta prima della riforma, che individua nell’integrale liberazione delle azioni una mera condizione di eseguibilità della delibera di aumento. In giurisprudenza si veda: App. Perugia, 31 luglio 1990, Vita not., 1990, 1088. 7968/1308 1.1. Contra. Giurisprudenza di merito. L’integrale liberazione di tutte le azioni sottoscritte in sede di costituzione o in occasione di un precedente aumento di capitale di una s.p.a. è condizione di validità della delibera che disponga un nuovo aumento di capitale sociale. Trib.Napoli, 14 ottobre 1993, Giust., 1994, 3, 125 7968/1308 2. Ambito di applicazione. Giurisprudenza di merito. – E’ legittimo l’aumento di capitale in via gratuita in presenza di un aumento a pagamento non ancora sottoscritto o anche sottoscritto ma non integralmente versato. Trib.Milano, 27 marzo 1996, Not., 1997, 191. 7968/1308 3. Liberazione delle azioni precedentemente emesse. Giurisprudenza di merito. – È legittima la deliberazione assembleare avente ad oggetto l'aumento del capitale sociale e la contestuale modificazione dello statuto societario, anche qualora l'avvenuto versamento del capitale originario risulti attestato nella fase di costituzione del presidente, non essendo necessario l'uso di formule sacramentali. Il versamento dei tre decimi previsto dall'art. 2439 c.c. non condiziona l'efficacia e la validità della deliberazione di aumento del capitale; pertanto quest'ultima può essere omologata anche se il citato versamento non è effettuato contestualmente alla sottoscrizione delle nuove partecipazioni sociali, sempreché sia effettuato nei termini previsti per l'esercizio del diritto d'opzione. App. Napoli, 25 comm. 1997, II, 753. 7968/1308 giugno 1996, Giur. 3.1. Pluralità di aumenti. Giurisprudenza di merito. – L’emissione di obbligazioni convertibili con contestuale aumento del capitale sociale è possibile anche se non sia stto ancora sottoscritto l’aumento di capitale deliberato in precedenza per la conversione di altre obbligazioni convertibili. App. Firenze , 25 giugno 1996, Vita not., 1979, 1000. 7968/1308 4. Perdite pregresse. Giurisprudenza di merito. – E’ inammissibile procedere ad un aumento del capitale senza averlo preventivamente ridotto in misura corrispondente alle perdite: ciò a salvaguardia delle esigenze di informazione sottese alla disciplina di cui agli art. 2446 e 2447 c.c. e nell'interesse stesso dei soci ai fini della futura determinazione dell'utile disponibile. App. Trieste , 13 maggio 1993,Soc., 1993, 1075 . 7968/1308 2439. Sottoscrizione e versamenti. -[I] Salvo quanto previsto nel quarto comma dell'articolo 2342, i sottoscrittori delle azioni di nuova emissione devono, all'atto della sottoscrizione, versare alla società almeno il venticinque per cento del valore nominale delle azioni sottoscritte. Se è previsto un soprapprezzo, questo deve essere interamente versato all'atto della sottoscrizione. [II] Se l'aumento di capitale non è integralmente sottoscritto entro il termine che, nell'osservanza di quelli stabiliti dall'articolo 2441, secondo e terzo comma, deve risultare dalla deliberazione, il capitale è aumentato di un importo pari alle sottoscrizioni raccolte soltanto se la deliberazione medesima lo abbia espressamente previsto. Sommario: 1.Natura del negozio di sottoscrizione. Giurisprudenza consolidata – 1.1. Termine per il versamento. Giurisprudenza di merito – 2. Legittimazione al versamento. Giurisprudenza di legittimità - 3.Soprapprezzo. Giurisprudenza di legittimità. 4. Aumento inscindibile o scindibile e “aumento progressivo”.Efficacia.Giurisprudenza di legittimità -4.1. Aumento inscindibile o scindibile e “aumento progressivo”.Efficacia. Giurisprudenza di merito- 5. Insussistenza dell’obbligo di dimostrare in sede di aumento di capitale che il capitale originario è integralmente versato ed esistente. Giurisprudenza consolidata. 1. Natura del negozio di sottoscrizione. Giurisprudenza consolidata. – Il negozio di sottoscrizione dell’aumento di capitale di una società per azioni ha natura consensuale e non reale, essendo il versamento dei tre decimi del valore nominale delle azioni sottoscritte, previste dall’art, 2439 c.c., come quello da effettuare al momento della costituzione della società un’obbligazione derivante dal contratto e non elemento costitutivo dello stesso. Cass. civ. Sez. I, 26 gennaio 1996, n. 611, Giur. Comm., 1996, 1408; App.Milano, 27 gennaio 2004, Giur. Merito 4, 2004; App. Trento, 13 dicembre 2001, Società, 2002, 442; App. Trieste, 7968/1308 13 ottobre 1981, Vita Not., 1982, 823 1.1 Termine per il versamento. - Non è omologabile la delibera di aumento di capitale che non preveda il termine per la sottoscrizione. il termine per la sottoscrizione, ma conferendo agli amministratori il mandato per indicare tempi e modalità per l'esecuzione. App. Catania, 17/03/1989,Società, 1989, 845 e Dir. Fall., 1989, II, 619. 7968/1308 Non è legittima, e non può quindi ordinarsene l'iscrizione nel registro delle imprese, la deliberazione con cui l'assemblea straordinaria di una società per azioni, dopo l'avvenuta scadenza del termine per le sottoscrizioni, previsto in una precedente deliberazione di aumento del capitale e dopo la raccolta di sottoscrizioni relative ad una parte dell'aumento, dispone la proroga del termine. Trib. Genova, 16/01/1990,Società, 1990, 946. 7968/1308 Trib. Udine, 22/09/1993, Gius, 1994, fasc.4, 104. 7968/1308 Contra.App. Milano, 27 gennaio 2004, Giur.merito, 2004, 2004: non occorre che la delibera di aumento del capitale sociale indichi anche il termine utile per la sottoscrizione delle nuove azioni, in quanto essendo destinata ai soli azionisti, contempla il richiamo implicito ai trenta giorni previsti dall’art. 2441 comma 1 c.c.. 7968/1308 E’ valida la deliberazione con cui l'assemblea straordinaria di una società a responsabilità limitata aumentata il capitale sociale senza fissare 2. Legittimazione al versamento. Giurisprudenza di legittimità. – La riferibilità unicamente al socio dell’obbligo di versamento della quota di capitale sociale da lui sottoscritta non esclude che la relativa obbligazione possa essere adempiuta, con effetto solutorio, da un terzo, ai sensi dell’art. 1180 c.c., salva restando l’eventuale rivalsa del solvens nei riguardi dell’effettivo obbligato; tuttavia, perché l’effetto solutorio si verifichi, è necessario che la prestazione sia effettuata dal terzo in modo conforme all’obbligazione del del debitore. Ne consegue che, in presenza di un obbligo conseguente alla sottoscrizione di una quota di aumento del capitale sociale, da attuarsi mediante versamento in denaro, una diversa prestazione del terzo – quale, nella specie, la consegna di beni in natura o la compensazione con crediti di regreso derivanri dall’estinzione di debiti della società verso terzi – non produce alcun effetto liberatorio nei confronti del socio obbligato, essendo del tutto differenti la tipologia e la disciplina dell’aumento del capitale sociale mediante conferimento di eni in natura o di crediti rispetto all’aumento di capitale con conferimento in denaro. Cass. civ. Sez. I, 22 febbraio 2005, n. 3577,Riv. Not., 2006, 215. Conforme: Cass. civ. Sez. I, 26/08/1998, n. 8474,Mass. Giur. It., 1998 7968/1308 3. Soprapprezzo.Giurisprudenza di legittimità. – In materia di valutazione di quote o azioni societarie, il sovrapprezzo imposto in sede di aumento di capitale trova giustificazione nella differenza tra consistenza patrimoniale e capitale della società; il relativo bilanciamento riguarda fatti compiuti e non anche il risultato finale di tutta l'operazione, di modo che non può tenersi conto, nel determinare il valore delle azioni, dei conferimenti poiché l'incremento del patrimonio che ne deriva potrà avere riflessi su eventuali future emissioni, ma non ha effetti su quelle deliberate anteriormente. (Sulla base di tale principio, la S.C. ha confermato la decisione di merito che, in sede di revocatoria fallimentare ai sensi dell'art. 67, comma 1, l. fall., aveva ritenuto sussistere la sproporzione tra prestazioni nel caso di conferimento di un bene immobile in cambio di azioni con sovrapprezzo determinato tenendo conto del valore del conferimento, necessariamente successivo all'emissione delle azioni). Cass. civ. Sez. I, 13 luglio 2001, n. 9523, Soc. 2002, 186 anche in Giust. civ. Mass. 2001, 1387. 7968/1308 4. Aumento inscindibile o scindibile e “aumento progressivo”. Efficacia. Giurisprudenza di legittimità- Nel caso di aumento inscindibile del capitale sociale, la sottoscrizione parziale dell'aumento non basta a far acquistare la qualità di socio, all'uopo occorrendo che l'assemblea, a modifica della originaria deliberazione di aumento, decida di aumentare il capitale nella misura parziale sottoscritta. Cass. civ., 18/10/1982, n. 5407,Foro It., 1983, I, 385 e anche in: Riv. Not., 1983, 220;Vita Not., 1983, 193;Dir. Fall., 1983, II, 98. 4. Aumento inscindibile o scindibile e “aumento progressivo”. Efficacia. Giurisprudenza di merito- La deliberazione di aumento di capitale ex art. 2439, comma 2, c.c. può disporre, accanto alla "scindibilità" rappresentata dalla limitazione dell'entità dell'aumento alla misura delle sottoscrizioni effettivamente raccolte alla scadenza del termine finale, una "scindibilità" ulteriore dell'aumento, attribuendo efficacia alle sottoscrizioni dal momento stesso in cui vengono effettuate. Trib. Cagliari, 19/03/1998,Giust. Civ., 1999, I, 1517. Conforme: App.Firenze, 18 ottobre 1996, Soc., 1997, 675. 7968/1308 Dal momento della sottoscrizione dell’aumento di capitale scindibile, il socio può esercitare tutti i diritti derivanti dalla sottoscrizione già effettuata. App.Trento, 13 dicembre 2001, Società, 2002, 442. 7968/1308 Può essere omologata la deliberazione dell’assemblea straordinaria di una società per azioni quotata che, escludendo il diritto d’opzione, delega agli amministratori la facoltà di aumentare il capitale sociale fino ad una cifra massima determinata, offrendo nuove azioni ordinarie in sottoscrizione a dirigenti individuati dagli amministratori e dipendenti dalla società emittente, o da sue controllate o controllanti, ad un prezzo volta per volta determinato dagli amministratori per ciascuna “tranche” di aumento del capitale nel rispetto dei limiti di legge. Trib. Torino, 29 settembre 2000, Giur. It., 2000, 2317. 7968/1308 5. Insussistenza dell’obbligo di dimostrare in sede di aumento di capitale che il capitale originario è integralmente versato ed esistente. Giurisprudenza consolidata.Nel nostro sistema normativo non esiste un principio generale che imponga, per ogni intervento sul capitale, la redazione di una situazione patrimoniale o di un bilancio straordinario, richiesti solo nei casi in cui il legislatore li ha ritenuti necessari. Trib. Vicenza, 23 marzo 1999, Dir. Fall., 2000, II, 566. Conforme: App. Salerno, 9 maggio 1999, Dir. Fall., 2000, 1053. 7968/1308 2440. Conferimenti di beni in natura e di crediti. –[I] Se l'aumento di capitale avviene mediante conferimento di beni in natura o di crediti si applicano le disposizioni degli articoli 2342, terzo e quinto comma, 2343, 2343-ter e 2343-quater . [II]La dichiarazione di cui all'articolo 2343-quater è allegata all'attestazione di cui all'articolo 2444. Sommario: 1. Perfezionamento dell’aumento. Modifica statuto. Giurisprudenza pacifica.- 2. Compensazione. Giurisprudenza maggioritaria –3.Stima.Giurisprudenza di legittimità 4. Conferimento in natura e rescissione. 5Versamenti in conto futuro aumento capitale . 1. Perfezionamento dell’aumento. Modifica statuto. Giurisprudenza consolidata.- Ai fini dell'omologa della delibera dell'assemblea di società di capitali con la quale si aumenta il capitale sociale non è necessario il deposito dello statuto nella sua versione aggiornata, poiché tale delibera non comporta la modifica immediata dello statuto per quanto attiene l'ammontare del capitale sociale indipendentemente dalla sua sottoscrizione, dovendosi, al contrario, ritenere che la modifica statutaria abbia il suo presupposto proprio nella sottoscrizione del capitale deliberato. App. Genova, dicembre 1999,Soc.,2000, 578. Conformi: Trib. Sulmona, 4 febbraio 2000, Giur.merito, 2001, 375; App. Bari, 10 ottobre 1996, Giur. It., 1997, I, 2, 360; Trib. Vicenza, 7 luglio 1994, Riv. Not., 195, 1034. 7968/1308 2.Compensazione.Giurisprudenza maggioritaria – In tema di società di capitali, nella ipotesi di sottoscrizione di un aumento del capitale sociale, l'oggetto del conferimento, da parte del socio, non deve, necessariamente, identificarsi in un bene suscettibile di espropriazione forzata, bensì in una res dotata di consistenza economica. Ne consegue la legittimità del conferimento attuato mediante compensazione tra il debito del socio verso la società ed un credito vantato dal medesimo nei confronti dell'ente, atteso che la società stessa, pur perdendo formalmente il suo credito al conferimento, acquista concretamente un "valore" economico, consistente nella liberazione da un corrispondente debito. Alla funzione essenzialmente "produttiva" del capitale sociale consegue, difatti, quella di garanzia meramente indiretta del pagamento dei debiti sociali, funzione, quest'ultima, assolta direttamente dal patrimonio sociale, cui non risultano trasferibili quei vincoli di indisponibilità e di invariabilità tipici, in via esclusiva, del capitale. Nessun pregiudizio per i creditori sociali è, pertanto, ravvisabile (diversamente che nella ipotesi di conferimenti iniziali, quantomeno per i tre decimi previsti dall'art. 2329 c.c.) in un aumento di capitale sottoscritto mercè la contestuale estinzione per compensazione di un credito del socio sottoscrittore (scaturendo, invece, da tale operazione un aumento della generica garanzia patrimoniale, poichè dalla trasformazione del credito del socio in capitale di rischio deriva che detta garanzia non copre più il credito medesimo), mentre, sul piano economicopatrimoniale, nessun vantaggio deriverebbe ai creditori stessi dall'imposizione, alla società, dell'obbligo di pagare il proprio debito nei confronti del socio sottoscrittore e di incassare, contestualmente, la stessa somma da lui dovuta. Cass. civ. Sez. I, 24/04/1998, n. 4236,Giust. Civ., 1998, 2819. Conforme: Cass. Civ., sez. I, 5 febbraio 1996, n. 936, Giust. Civ., 1996, I, 1647. 7968/984 Contra: Trib. Genova, 14 giugno 2005, Soc., 2005, 1000. 7968/984 3. Stima. Giurisprudenza di legittimità. – E’ nulla la deliberazione assembleare di aumento del capitale sociale di una s.p.a. mediante conferimento in natura, assunta nella consapevolezza della falsità della valutazione di stima del bene conferito, dovendosi escludere ogni interferenza tra la rilevata nullità ed il procedimento di revisione della stima esperibile da amministratori e sindaci nei sei mesi successivi al conferimento. Cass., sez. I, 2 marzo 2001, n. 3052, Foro it., 2002,I, 211. 7968/984 4. Conferimento in natura e rescissione. Giurisprudenza di legittimità. – Il contratto con il quale, ai sensi dell’art. 2440 c.c., il socio di una società per azioni effettua conferimenti in natura in favore della società medesima, per la sottoscrizione di nuove azioni in de di aumento del capitale, ha natura commutativa, in quanto i conferimenti costituiscono corrispettivo delle nuove azioni di cui il socio diventa titolare, Ne consegue che, qualora fra il valore dei conferimenti e quello nominale delle azioni si verifichi sproporzione ultra dimidium, va riconosciuta in favore del socio, nel concorso delle altre condizioni di cui all’art. 1448 c.c., l’azione generale di rescissione del contratto per lesione. L’accoglimento di detta azione peraltro, non è tale da incidere sulla esistenza della società e quindi non può configurare violazione del principio della tassatività delle ipotesi di nullità dell’atto costitutivo della società dopo l’iscrizione nel registro delle imprese, ma comporta soltanto l’obbligo della società stessa di restituire i beni conferitile, con una parallela riduzione del capitale sociale, nei limiti del valore delle azioni assegnate in corrispettivo e salva la facoltà di ridurre ad equità il rapporto, attraverso un conguaglio pecuniario, o l’assegnazione gratuita di altre azioni, previo corrispondente aumento del capitale. Cass. civ., sez. I, 27 febbraio 1976, n. 639, sito Cassazione www.cortedicassazione.it. 7968/984 5.Versamenti in conto futuro aumento di capitale. Giurisprudenza consolidata. – Il versamento effettuato dai soci della società in conto di futuro aumento di capitale, pur non determinando un incremento del capitale sociale e pur non attribuendo alle relative somme la condizione giuridica propria del capitale, ha una causa, che, di norma, è diversa da quella del mutuo ed è simile invece a quel del conferimento in conto capitale che è un conferimento a rischio. Ne deriva che all’autonomia privata sono consentiti, nelle società di capitali, conferimenti atipici e ciò sia nel senso che si tratta di conferimenti eseguiti al di fuori degli schemi giuridici formali previsti per la costituzione delle società e per l’aumento del capitale sociale, perché sono conferimenti destinati ad incrementare il patrimonio della società fuori del capitale. Cass. civ., sez. I, 13 dicembre 1998, n. 12539, Mass. Giur. It., 1998, anche in Notariato, 1999, 6, 538. 7968/984 Poiché i versamenti effettuati dai soci in conto di futuro aumento di capitale non danno luogo, in mancanza di specifiche pattuizioni in contrario, a crediti esigibili a richiesta dei singoli soci durante la vita della società, l'eccedenza del passivo sull'attivo determinata dalla loro esposizione in bilancio non è idonea a manifestare uno stato di insolvenza della medesima società. Cass. civ., 03/12/1980, n. 6315,Foro It., 1981, I, 26, anche in Giur. Comm., 1981, II, 895, Dir. Fall., 1981, II, 121 e Vita not., 1982, p. 317. Conforme: App. Torino, 21 luglio 1995, Giur. It., 1996,I,2,364, anche in Vita not., 1996, 947 e Società, 1996, 52; App. Napoli Sez. III, 11/07/2008;App. Napoli Sez. III, 11/07/2008 7968/984 2440-bis. Aumento di capitale delegato liberato mediante conferimenti di beni in natura e di crediti senza relazione di stima. –[I].Nel caso sia attribuita agli amministratori la facoltà di cui all'articolo 2443, secondo comma, e sia deliberato il conferimento di beni in natura o crediti valutati in conformità dell'articolo 2343-ter, gli amministratori, espletata la verifica di cui all'articolo 2343quater, primo comma, depositano per l'iscrizione nel registro delle imprese, in allegato al verbale della deliberazione di aumento del capitale, una dichiarazione con i contenuti di cui all'articolo 2343-quater, terzo comma, dalla quale risulti la data della delibera di aumento del capitale. [II].Entro trenta giorni dall'iscrizione della dichiarazione di cui al primo comma i soci che rappresentano, e che rappresentavano alla data della delibera di aumento del capitale, almeno il ventesimo del capitale sociale, nell'ammontare precedente l'aumento medesimo, possono richiedere la presentazione di una nuova valutazione. Si applica in tal caso l'articolo 2343. Il conferimento non può essere eseguito fino al decorso del predetto termine e, se del caso, alla presentazione della nuova valutazione. [III].Qualora non sia richiesta la nuova valutazione, gli amministratori depositano per l'iscrizione nel registro delle imprese congiuntamente all'attestazione di cui all'articolo 2444 la dichiarazione che non sono intervenuti, successivamente alla data della dichiarazione di cui al secondo comma, i fatti o le circostanze di cui all'articolo 2343-quater, primo comma Sommario: 1. L’applicazione del regime alternativo della valutazione dei conferimenti in natura, in caso di aumento di capitale delegato agli amministratori.Massima Consiglio Notarile di Milano 1.L’applicazione del regime alternativo della valutazione dei conferimenti in natura. Massima del Consiglio Notarile di Milano. L’organo amministrativo al quale è stata attribuita la delega di cui all’art. 2443 c.c. anche per aumenti di capitale con conferimenti in natura può avvalersi della disciplina alternativa di cui all’art. 2440-bis c.c. pur in mancanza di un’espressa previsione in tal senso. Qualora l’organo amministrativo decida di applicare tale disciplina, l’aumento delegato si svolge secondo la seguente procedura: a) l’organo amministrativo delibera l’aumento di capitale con conferimento in natura, adottando uno dei sistemi di valutazione previsti nell’ambito del regime alternativo di cui all’art. 2343-ter c.c. e contestualmente approva una “prima” dichiarazione di conferma, ai sensi dell’art. 2343-quater, comma 3, c.c., necessariamente parziale (in quanto priva della verifica dei fatti successivi al conferimento); b) il conferimento non può in ogni caso essere eseguito contestualmente alla deliberazione di aumento, in virtù dell’espresso divieto contenuto nella seconda frase del secondo comma dell’art. 2440-bis c.c.; c) la deliberazione di aumento viene iscritta nel registro delle imprese, unitamente alla “prima” dichiarazione di conferma degli amministratori; dalla data di tale iscrizione decorre il termine di trenta giorni entro il quale i soci che detengono almeno il 5 per cento del capitale sottoscritto possono chiedere la nuova valutazione; d) se entro il termine di trenta giorni viene chiesta la nuova valutazione, l’aumento non può essere eseguito e gli amministratori devono presentare istanza al tribunale per la nomina dell’esperto ai sensi dell’art. 2343 c.c.; una volta acquisita la perizia giurata, gli amministratori possono perfezionare e ricevere il conferimento e successivamente, entro centottanta giorni da quest’ultimo, effettuare la verifica della stima ai sensi dell’art. 2343, comma 3, c.c.; e) se invece i soci non chiedono la nuova valutazione ex art. 2343 c.c., gli amministratori possono perfezionare e ricevere il conferimento dopo lo scadere del trentesimo giorno dall’iscrizione della deliberazione di aumento; entro trenta giorni dal conferimento, essi devono poi completare la verifica prevista dall’art. 2343-quater, comma 1, c.c., senza nel frattempo poter depositare l’attestazione di avvenuta sottoscrizione ex art. 2444 c.c.; in tale periodo, le azioni emesse sono depositate presso la sede sociale e sono inalienabili; f) se gli amministratori, nel corso di questi trenta giorni, rilevano fatti nuovi, tali da modificare sensibilmente il valore equo dei beni o dei crediti conferiti, essi non possono depositare l’attestazione di avvenuta sottoscrizione ex art. 2444 c.c., bensì devono avviare una nuova valutazione secondo la disciplina di cui all’art. 2343 c.c; g) se invece gli amministratori non rilevano fatti nuovi, tali da modificare sensibilmente il valore equo dei beni o dei crediti conferiti, essi devono depositare, entro trenta giorni dal conferimento, l’attestazione di avvenuta sottoscrizione ai sensi dell’art. 2444 c.c. congiuntamente alla “seconda” dichiarazione di conferma ai sensi dell’art. 2343-quater, comma 3, c.c., nella quale dichiarano che non sono intervenuti fatti rilevanti ai sensi dell’art. 2343-quater, comma 1, c.c.. Massima n. 104 del Consiglio Notarile di Milano 2441. Diritto di opzione. –[I] Le azioni di nuova emissione e le obbligazioni convertibili in azioni devono essere offerte in opzione ai soci in proporzione al numero delle azioni possedute. Se vi sono obbligazioni convertibili il diritto di opzione spetta anche ai possessori di queste, in concorso con i soci, sulla base del rapporto di cambio. [II] L'offerta di opzione deve essere depositata presso l'ufficio del registro delle imprese. Salvo quanto previsto dalle leggi speciali per le società con azioni quotate in mercati regolamentati, per l'esercizio del diritto di opzione deve essere concesso un termine non inferiore a trenta giorni dalla pubblicazione dell'offerta. [III] Coloro che esercitano il diritto di opzione, purché ne facciano contestuale richiesta, hanno diritto di prelazione nell'acquisto delle azioni e delle obbligazioni convertibili in azioni che siano rimaste non optate. Se le azioni sono quotate in mercati regolamentati, i diritti di opzione non esercitati devono essere offerti nel mercato regolamentato dagli amministratori, per conto della società, per almeno cinque riunioni, entro il mese successivo alla scadenza del termine stabilito a norma del secondo comma. [IV] Il diritto di opzione non spetta per le azioni di nuova emissione che, secondo la deliberazione di aumento del capitale, devono essere liberate mediante conferimenti in natura. Nelle società con azioni quotate in mercati regolamentati lo statuto può altresì escludere il diritto di opzione nei limiti del dieci per cento del capitale sociale preesistente, a condizione che il prezzo di emissione corrisponda al valore di mercato delle azioni e ciò sia confermato in apposita relazione dalla società incaricata della revisione contabile. [V] Quando l'interesse della società lo esige, il diritto di opzione può essere escluso o limitato con la deliberazione di aumento di capitale, approvata da tanti soci che rappresentino oltre la metà del capitale sociale, anche se la deliberazione è presa in assemblea di convocazione successiva alla prima. [VI] Le proposte di aumento di capitale sociale con esclusione o limitazione del diritto di opzione, ai sensi del primo periodo del quarto comma o del quinto comma del presente articolo, devono essere illustrate dagli amministratori con apposita relazione, dalla quale devono risultare le ragioni dell'esclusione o della limitazione, ovvero, qualora l'esclusione derivi da un conferimento in natura, le ragioni di questo e in ogni caso i criteri adottati per la determinazione del prezzo di emissione. La relazione deve essere comunicata dagli amministratori al collegio sindacale o al consiglio di sorveglianza e al soggetto incaricato del controllo contabile almeno trenta giorni prima di quello fissato per l'assemblea. Entro quindici giorni il collegio sindacale deve esprimere il proprio parere sulla congruità del prezzo di emissione delle azioni. Il parere del collegio sindacale e la relazione giurata dell'esperto designato dal tribunale nell'ipotesi prevista dal quarto comma devono restare depositati nella sede della società durante i quindici giorni che precedono l'assemblea e finché questa non abbia deliberato; i soci possono prenderne visione. La deliberazione determina il prezzo di emissione delle azioni in base al valore del patrimonio netto, tenendo conto, per le azioni quotate in mercati regolamentati, anche dell'andamento delle quotazioni nell'ultimo semestre. [VII] Non si considera escluso né limitato il diritto di opzione qualora la deliberazione di aumento di capitale preveda che le azioni di nuova emissione siano sottoscritte da banche, da enti o società finanziarie soggetti al controllo della Commissione nazionale per le società e la borsa ovvero da altri soggetti autorizzati all'esercizio dell'attività di collocamento di strumenti finanziari, con obbligo di offrirle agli azionisti della società, con operazioni di qualsiasi tipo, in conformità con i primi tre commi del presente articolo. Nel periodo di detenzione delle azioni offerte agli azionisti e comunque fino a quando non sia stato esercitato il diritto di opzione, i medesimi soggetti non possono esercitare il diritto di voto. Le spese dell'operazione sono a carico della società e la deliberazione di aumento del capitale deve indicarne l'ammontare. [VIII] Con deliberazione dell'assemblea presa con la maggioranza richiesta per le assemblee straordinarie può essere escluso il diritto di opzione limitatamente a un quarto delle azioni di nuova emissione, se queste sono offerte in sottoscrizione ai dipendenti della società o di società che la controllano o che sono da essa controllate. L'esclusione dell'opzione in misura superiore al quarto deve essere approvata con la maggioranza prescritta nel quinto comma. Sommario: 1.Funzione, fattispecie ed oggetto del diritto. Giurisprudenza consolidata – 2.Trasferibilità.Giurisprudenza di legittimità. – 3. Modalità.Casistica Giurisprudenza di legittimità..– 3. 1.Modalità.Casistica Giurisprudenza di merito.. – 3.2.Termine.Giurisprudenza consolidata Soprapprezzo.- 4. Soprapprezzo. Casistica.Giurisprudenza di legittimità. – 4.1.Soprapprezzo. Casistica.Giurisprudenza di merito– 5. Prelazione e prezzo delle azioni non optate. Casistica.Giurisprudenza di legittimità–. 5.1. Prelazione e prezzo delle azioni non optate. Casistica.Giurisprudenza di merito 1.Funzione, fattispecie ed oggetto del diritto. Giurisprudenza consolidata -La violazione di norme in tema di diritto di opzione provoca l'annullabilità (e non la nullità) del deliberato assembleare, non avendo il diritto di opzione alcuna valenza di ordine generale, ma essendo invece esclusivamente funzionale all'interesse del singolo socio a mantenere inalterata la sua partecipazione al capitale sociale anche in caso di aumento del capitale medesimo. Cass. civ. Sez. I, 07 novembre 2008, n. 26842 Soc., 2009, 1, 26. 79968/540 La deliberazione di aumento di capitale esprime la volontà sociale di acquisire nuovo capitale di rischio, ma non implica che tale capitale sia effettivamente acquisito (neppure sotto la forma di credito per la riscossione dei relativi versamenti) fin quando la deliberazione stessa abbia avuto effettiva esecuzione, ossia fino al momento in cui i soci titolari del diritto di opzione (o eventualmente i terzi, se il diritto di opzione non venga esercitato) abbiano sottoscritto l'aumento di capitale deliberato. Dal punto di vista del socio, ciò sta a significare che, indipendentemente dall'avere egli concorso o meno col proprio voto alla deliberazione di aumento del capitale, è solo per effetto di una successiva e ben distinta manifestazione di volontà - consistente appunto nella sottoscrizione della quota parte del nuovo capitale offertagli in opzione - che egli assume verso la società il relativo obbligo di versamento, ove non vi abbia già provveduto per intero contestualmente alla sottoscrizione stessa. Ne discende che la società ha l'onere di provare non solo l'esistenza della deliberazione assembleare di aumento del capitale, ma anche la successiva sottoscrizione della quota di spettanza dell'aumento medesimo ad opera di detto socio. Cass. civ. sez. I, 19 ottobre 2007, n. 22016, Soc., 2008, 2, 171 79968/540 La comunicazione relativa all’esercizio del diritto di opzione, ha carattere ricettizio. Ai fini del computo del termine decadenziale per l’esercizio dello stesso, si deve aver riguardo all’iscrizione, nel registro delle imprese, della delibera assembleare con cui viene concesso ai soci il diritto di opzione e non invece alla comunicazione aggiuntiva inviata dall’amministratore ai soci. App. Napoli Sez. I, 28/05/2008 79968/540 La dichiarazione di sottoscrizione dell'aumento di capitale non ha bisogno di alcuna forma particolare per spiegare efficacia e può risultare anche dal verbale di una assemblea ordinaria. Tribunale Torino,19 giugno 1981,Riv. notariato 1982,1154. 79968/540 La nullità delle deliberazioni dell'assemblea delle società per azioni (art. 2379 c.c.) è prevista nelle ipotesi di impossibilità ed illiceità dell'oggetto, sicchè ricorre solo in caso di contratto con norme dettate a tutela dell'interesse generale, che trascende quello del singolo socio, dirette ad impedire una deviazione dallo scopo essenziale economico-pratico del rapporto di società; mentre il contrasto con norme, anche cogenti, rivolte alla tutela dell'interesse dei singoli soci o di gruppi di essi determina un'ipotesi di semplice annullabilità della delibera; pertanto, dato che il diritto di opzione è tutelato dalla legge solo in funzione dell'interesse individuale dei soci (a mantenere inalterata la propria partecipazione percentuale nella società), è annullabile - e non affetta da nullità - la deliberazione che, senza specificarne espressamente le ragioni (rappresentate, nell'ipotesi, dalla necessità di disporre la riduzione del capitale per perdite e il contestuale aumento dello stesso per riadeguarlo al minimo legale, a norma dell'art. 2447 c.c.), revochi, anche implicitamente, il diritto di opzione, concesso ai soci con precedenti delibere di aumento del capitale, prima che sia scaduto il termine per esercitare il diritto stesso. Cass. civ., Sez. I, 23 marzo 1993, n. 3458,Giur. It., 1994, I,1, 10. 79968/540 L'art. 2441 c.c., nello stabilire che le azioni ordinarie di nuova emissione debbono essere offerte in opzione agli azionisti in proporzione al numero delle azioni da loro già possedute, estende al rapporto societario, adattandolo alle particolari caratteristiche di questo, l'istituto generale dell'opzione regolato dall'art. 1331 c.c., inteso quale promessa unilaterale irrevocabile di una delle parti con facoltà, per l'altra, di accettarla o meno. Ne consegue che nella delibera di nuova emissione di certificati azionari non può ravvisarsi sempre e necessariamente un impegno dei soci al loro acquisto, tassabile come tale a norma dell'art. 28 della tariffa all. A della L. 30 dicembre 1923, n. 3269, essendo, invece, indispensabile che tale impegno sia stato assunto in modo esplicito nel verbale dell'assemblea o che nel medesimo sia, comunque, enunziato, con la conseguente applicazione dell'art. 62 della citata legge. Cass. civ., sez. I, 29 novembre 1976, n. 4494, Mass. Giur. It., 1976. 79968/540 2.Trasferibilità. Giurisprudenza di legittimitàLe cedole che incorporano il diritto di opzione hanno natura di titoli al portatore e legittimano i loro possessori ad esercitare, con la semplice esibizione, il diritto medesimo. Cass.Civile,sez.I,23marzo1989,n.1464,Nuova giur. civ. commentata 1990, I,560 anche in Giur. comm. 1990, II,734 (nota). 79968/540 Le azioni di società per azioni sono titoli nominativi, sicché il possessore del titolo è legittimato all'esercizio del diritto in esso menzionato per effetto dell'intestazione a suo favore contenuta nel titolo e nel registro dell'emittente (cosiddetto transfert). Tuttavia, se la società rifiuti illegittimamente di eseguire il transfert non può addurre tale rifiuto e la mancanza dell'avvenuta intestazione nel registro non può paralizzare i diritti dei soci. Cass. civ. Sez. I, 15/07/2004, n. 13 gennaio 2006, Contr. e Impr., 2007, 2, 308 79968/540 Il fatto che l'esercizio del diritto di opzione sia stato subordinato dalla società alla presentazione del titolo alla cassa incaricata per la stampigliatura ed il distacco di una determinata cedola, non esclude la natura di titolo di credito della cedola medesima, che può essere separatamente ceduta dall'azionista attribuendo al portatore il diritto di esercitare, limitatamente ad essa, l'opzione. Cass. civ. Sez. I, 17 marzo1989, n. 1319,Foro It., 1989, I, 2195 anche in Giust. Civ., 1989, I, 1646. 79968/540 3. Modalità. Casistica.Giurisprudenza di legittimità. - È valida la delibera, che a seguito di riduzione integrale del capitale sociale per perdite, decida l'azzeramento ed il contemporaneo aumento, anche ad una cifra superiore al minimo, del capitale sociale, mediante la sottoscrizione immediata e per intero del socio presente, purchè sia consentito, ai soci assenti o impossibilitati alla sottoscrizione immediata, l'esercizio del diritto di opzione nel termine di trenta giorni stabilito nell'art. 2441 secondo comma cod. civ. previgente per l'acquisto delle partecipazioni sottoscritte in misura eccedente la quota di spettanza dell'originario sottoscrittore, dal momento che l'esercizio postumo del diritto di opzione opera come condizione risolutiva e rimuove "pro quota" e retroattivamente gli effetti dell'originaria sottoscrizione Cass. civ., sez. I ,12 luglio 2007, n. 15614, Not., 2008, 2, 128 e Not., 2008, 6, 640. 79968/540 previsione (integrante una condizione risolutiva) che l'esercizio del diritto rimuova l'acquisto da parte del socio originariamente sottoscrittore dell'intero capitale sociale. Cass. civ. Sez. I, 17 novembre 2005, n. 23262, Società, 2006, 4, 448 79968/540 Nelle società per azioni, il socio può validamente obbligarsi nei confronti della società a sottoscrivere un determinato aumento di capitale prima che lo stesso sia formalmente deliberato dall'assemblea, dovendosi ritenere siffatto obbligo, in assenza di diverse pattuizioni, subordinato alla condizione sospensiva che la deliberazione di aumento del capitale intervenga nel termine stabilito o in quello desumibile dalle circostanze, e - per la parte in cui l'impegno investa anche le azioni di nuova emissione sulle quali il socio non vanta il diritto di opzione - alla ulteriore condizione che tali azioni non vengano sottoscritte dai soci titolari del predetto diritto nel termine assegnato ai fini dell'esercizio del medesimo. Cass. civ. Sez. I, 14 aprile 2006, n. 8876,Mass. Giur. It., 2006.Conforme: Cass. civ. Sez. I, 10 novembre 2005, n. 21831 79968/540 3.1. Modalità. Casistica.Giurisprudenza di merito. - La norma dell'art. 14 legge n. 216 del 1974 va interpretata nel senso che, in occasione di aumenti del capitale sociale, la società, pur non essendo obbligata ad emettere azioni di risparmio in proporzione alla quota di capitale da esse rappresentata, può legittimamente offrire in opzione agli azionisti di risparmio esclusivamente azioni di risparmio , senza che questi possano pretendere di esercitare il proprio diritto di opzione sulle azioni ordinarie di nuova emissione. È, d'altra parte, manifestamente infondata la questione di costituzionalità della norma, così interpretata, in relazione agli art. 3 e 47 cost. Tribunale Milano,26 settembre 1991, Giur. comm. 1992, II,492. È valida e legittima la delibera assembleare che, avvenuta in assemblea la sottoscrizione del capitale ricostituito sino alla misura del minimo legale ad opera dei soci presenti, assegni egualmente ai soci che ne abbiano diritto un termine per l'esercizio del diritto di opzione quando tale assegnazione sia accompagnata dalla 79968/540 Ai fini del computo del termine decadenziale per l' esercizio dello stesso, si deve aver riguardo all'iscrizione, nel registro delle imprese, della delibera assembleare con cui viene concesso ai soci il diritto di opzione e non invece alla comunicazione aggiuntiva inviata dall'amministratore ai soci. inoptati, un sovrapprezzo diverso e maggiore rispetto a quello fissato per l'opzione. App. Napoli, sez. I,28 maggio 2008, Vita not. 2008, 3, 1478. 79968/540 Cass. civ. Sez. I, 28/03/1996, n. 2850,Giur. Comm., 1998, II, 343. 79968/540 3.2.Termine. Giurisprudenza consolidata - In difetto di indicazione, il termine per l' esercizio del diritto di opzione deve ritenersi determinato in 30 giorni, ossia coincidente con quello previsto dall'art. 2441 c.c. Cass. civ. Sez. I, 17/11/2005, n. 23262,Società, 2006, 4, 448 4.1. Sovrapprezzo. Casistica. Giurisprudenza di merito-E’ facoltativa la previsione del soprapprezzo delle azioni quando l'aumento del capitale sociale sia destinato ai vecchi soci. Corte appello Milano,10 febbraio 2004,Giur. comm. 2006, 1, 108. 79968/540 79968/540 L'indicazione del termine entro il quale l'aumento di capitale delle società di capitali deve essere sottoscritto è dettato nell'interesse generale, mentre il termine per l'esercizio del diritto di opzione sulle nuove azioni è previsto nell'interesse dei singoli soci. Si è pertanto in presenza di due termini distinti anche se nulla impedisce che l'uno coincida con l'altro. (La sottoscrizione delle azioni è un negozio avente natura consensuale e non reale che quindi si perfeziona con la semplice dichiarazione di voler esercitare il diritto e non anche con il materiale versamento dei tre decimi, conseguendone che l'espressione della volontà di esercitare la prelazione con riferimento alle azioni inoptate è valida a determinare l'immediato perfezionarsi del negozio non appena giunto a conoscenza della società). Corte appello Milano, 27 gennaio 2004,Foro padano 2005, 3-4, 674. 79968/540 4. Sovrapprezzo. Casistica. Giurisprudenza di legittimità-In sede di aumento di capitale il consiglio di amministrazione di società per azioni può legittimamente fissare, per i soci che hanno esercitato la richiesta di prelazione sui titoli 5.Prelazione e inoptato. Casistica Giurisprudenza di legittimità - La prelazione disciplinata dall'art. 2441 comma 3, c.c., configura una fattispecie di prelazione "in senso proprio", caratterizzata dal diritto dei soci ad essere preferiti ai terzi nella sottoscrizione delle azioni rimaste inoptate, solo in caso di parità di condizioni. Cass. Civ., sez. I, 28 marzo 1996, n. 2850,Vita not. 1997, 330. 79968/540 Con riguardo ad aumento di capitale di una s.p.a. mediante emissione di nuove azioni, è legittima la deliberazione con la quale il Consiglio di amministrazione fissi, per l'assegnazione delle azioni rimaste non optate, un prezzo diverso (e maggiore) rispetto a quello stabilito per l'opzione, in quanto l'art. 2441 c.c., mentre al comma 1, attraverso l'obbligo di offerta in opzione dei nuovi titoli, tutela in maniera incondizionata (anche rispetto ad offerte più vantaggiose per la società) l'interesse del socio a conservare inalterata la proporzione in cui egli partecipa al capitale sociale, al comma 3 si limita a stabilire un semplice diritto di prelazione, nell'assegnazione delle azioni rimaste non optate, per coloro che abbiano esercitato l'opzione, accordando a questi ultimi pur sempre una preferenza, condizionata, però, alla ricorrenza della parità di trattamento rispetto ad altri soggetti. L'indicata deliberazione può essere validamente adottata dal Consiglio d'amministrazione, non assumendo rilievo, nell'ipotesi, la disposizione di cui al comma 6 del citato art. 2441 c.c., che riserva all'assemblea dei soci il potere di stabilire il prezzo di emissione delle nuove azioni nel diverso caso in cui l'aumento del capitale sociale avvenga con esclusione o limitazione del diritto di opzione. legali sul procedimento da seguirsi natura dispositiva da parte dell' assemblea. Tribunale Torino,23 marzo 2004,Giur. it. 2004, 2120. 79968/540 Cass. civ. Sez. I, 28/03/1996, n. 2850 Giust.. 79968/540 Atteso che l'interesse tutelato dall'art. 2441, comma 3, c.c., è quello concernente esclusivamente l'accrescimento della quota di partecipazione da parte di coloro che hanno già esercitato il diritto d'opzione, la società può legittimamente fissare per il collocamento delle azioni rimaste inoptate un prezzo diverso (e maggiore) di quello stabilito per l'opzione. Cass. civ., sez.I, 28 marzo 1996, Vita not. 1997, 330 79968/540 Quando l'interesse della società esige che il diritto di opzione derivante da un aumento di capitale a pagamento sia riconosciuto soltanto a taluni azionisti (nella specie, in una società autostradale, era necessario ripristinare il controllo, da parte dei soci classificati come enti pubblici, della maggioranza del capitale sociale come condizione per ottenere la garanzia dello Stato sui mutui occorrenti per finanziare l'opera) anche il diritto di prelazione sulle azioni rimaste inoptate può essere riservato soltanto ai beneficiari del diritto di opzione. App. Torino, 01 giugno 2006,Giur. It., 2007, 3, 659. 79968/540 5.1.Prelazione e inoptato. Casistica Giurisprudenza di merito In caso di aumento, anche inscindibile, a pagamento del capitale di una società per azioni la richiesta di prelazione sulle azioni inoptate da parte dei sottoscrittori può esser fatta anche non contestualmente all'esercizio del diritto di opzione sui titoli di propria spettanza, avendo le norme 2442. Passaggio di riserve a capitale. - [I] L'assemblea può aumentare il capitale, imputando a capitale le riserve e gli altri fondi iscritti in bilancio in quanto disponibili. [II] In questo caso le azioni di nuova emissione devono avere le stesse caratteristiche di quelle in circolazione, e devono essere assegnate gratuitamente agli azionisti in proporzione di quelle da essi già possedute. [III] L'aumento di capitale può attuarsi anche mediante aumento del valore nominale delle azioni in circolazione. Sommario: 1.Riserve e fondi disponibili.Giurisprudenza di merito. -1.1.-Utilizzo riserva legale. Inammissibilità. Giurisprudenza maggioritaria .-1.1.2. Utilizzabilità per la parte eccedente il quinto del capitale sociale. Giurisprudenza minoritaria. – 2.Modalità di attuazione dell’aumento. 3. – Esclusione della necessità di una situazione patrimoniale straordinaria. Giurisprudenza consolidata. 1.Riserve e fondi disponibili. Giurisprudenza di merito-E' legittima la delibera che dispone l'esecuzione di un aumento di capitale mediante l'utilizzo di versamenti precedentemente effettuati dai soci in conto aumento di capitale; tale fattispecie non integra un aumento di capitale per compensazione in quanto i versamenti impiegati non danno luogo a crediti esigibili a richiesta dei singoli durante la vita della società e non configurano quindi una posta soggetta a compensazione. App. Torino, 21 luglio 1995,Società, 1996, 1, 52. 7968/1308 L'imputazione a capitale di parte disponibile dei fondi speciali iscritti in bilancio - tra i quali non può non rientrare per sua natura, finalità e collocazione, il c.d. conto finanziamento soci - è contemplata espressamente dall' art . 2442 c.c. App. Trieste,21novembre1981,Riv.Not. 1981, 119 7. 7968/1308 1.1. Utilizzo riserva legale.- Inammissibilità. . Giurisprudenza maggioritaria.-In caso di aumento gratuito del capitale sociale, non è imputabile a capitale la riserva legale. Trib. Cassino, 01 febbraio 1991, Riv. dir. comm. 1992, II,339. 7968/1308 Non è possibile l' aumento ( gratuito ) del capitale sociale mediante parziale utilizzo della riserva legale , vista l'indisponibilità assoluta di questa. Trib. Bologna,06dicembre1995,Not. 1996, 255 anche in Soc. 1996, 688. Conformi: Trib. Trieste, 15 luglio 1981, Società, 1982, 18; Trib.Vicenza, 10 giugno 1961, Società, 1987, 171; App. Brescia, 18 marzo 1963, Foro pad., I, c. 710. 7968/1308 1.1.2 Utilizzo riserva legale.- Ammissibilità per la parte che eccede il quinto del capitale sociale. Giurisprudenza minoritaria.-Ogni 3.Esclusione della necessità di una situazione patrimoniale straordinaria. - Giurisprudenza consolidata. Nel nostro sistema normativo non esiste un principio generale che imponga, per ogni intervento sul capitale, la redazione di una situazione patrimoniale o di un bilancio straordinario, richiesti solo nei casi in cui il legislatore li ha ritenuti necessari. Trib. Vicenza, 23 marzo 1999, Dir. Fall., II, 566. 7968/1308 accantonamento a riserva legale in eccedenza rispetto al quinto del capitale sociale si sottrae al regime di indisponibilità proprio della riserva legale, e può, pertanto, venire successivamente imputato a capitale. Trib. Cassino, 07febbraio1992,Vita not. 1992, 677. 7968/1308 2.Modalità di attuazione dell’aumento.-Non è in contrasto con la disciplina di cui agli art. 2357 e seguenti c.c., l' aumento gratuito del capitale sociale, con il quale si attribuiscono nuove azioni gratuite anche alle azioni proprie possedute dalla società. Trib. Milano,05novembre1987,Nuova giur. civ. comm. 1988, I,352. 7968/1308 In caso di aumento gratuito del capitale sociale, è legittima l'attribuzione delle azioni di nuova emissione alla società che possieda azioni proprie qualora non risultino alterati nè il rapporto di partecipazione dei soci al capitale nè l'integrità di questo nè il rapporto di cui all'art. 2357 comma 2 c.c. Trib.Roma,27dicembre1989,Riv.Not. 1990, 215. 7968/1308 L' aumento del capitale di una società per azioni, in rispondenza del passaggio al capitale medesimo di un fondo di riserva straordinario, è "a titolo gratuito ", e, quindi, può essere attuato mediante incremento del valore nominale delle azioni in circolazione, non anche mediante emissione di nuove azioni da offrire in opzione ai soci. Cass. civ., sez. I, n. 2958, 11 marzo 1993, Giust. civ. Mass. 1993, 480 . 2443. Delega agli amministratori. - [I]Lo statuto può attribuire agli amministratori la facoltà di aumentare in una o più volte il capitale fino ad un ammontare determinato e per il periodo massimo di cinque anni dalla data dell'iscrizione della società nel registro delle imprese. Tale facoltà può prevedere anche l'adozione delle deliberazioni di cui al quarto e quinto comma dell'articolo 2441; in questo caso si applica in quanto compatibile il sesto comma dell'articolo 2441 e lo statuto determina i criteri cui gli amministratori devono attenersi. [II] La facoltà di cui al secondo periodo del precedente comma può essere attribuita anche mediante modificazione dello statuto, approvata con la maggioranza prevista dal quinto comma dell'articolo 2441, per il periodo massimo di cinque anni dalla data della deliberazione. [III] Il verbale della deliberazione degli amministratori di aumentare il capitale deve essere redatto da un notaio e deve essere depositato e iscritto a norma dall'articolo 2436. Sommario: 1.Modalità. Giurisprudenza consolidata.-2. Fissazione sovrapprezzo. Giurisprudenza di merito. – 3.Casistica.Giurisprudenza di merito 1.Modalità. - Giurisprudenza consolidata. -Per il conferimento agli amministratori della delega ad aumentare il capitale sociale, l'art. 2443 comma 2 c.c., esige una deliberazione espressa di modifica dell'atto costitutivo da parte dell'assemblea straordinaria che introduca nello statuto l'attribuzione della facoltà delegata agli amministratori. La facoltà (statutaria) di cui all'art. 2443 c.c. non può quindi conferirsi implicitamente mediante una deliberazione assembleare con la quale si attribuisca direttamente agli amministratori la facoltà di aumentare il capitale sociale. Trib. Verona,22luglio1993,Soc., 1994, 350 anche in Vita not. 1994, I, 319. Conf.: Trib. Aosta, 21 ottobre 1989, G.it., 1990, I,2, 790; App. Milano, 23 luglio 1988, G.it. 1990, I,2,790; Trib. Vicenza, 23 marzo 1999, Dir. Fall., II, 566. 7968/36 2.Fissazione sovrapprezzo. - Giurisprudenza dimerito.- In sede di deliberazione di aumento del capitale sociale adottata dal consiglio di amministrazione su delega dell'assemblea straordinaria, è legittima la fissazione da parte dell'organo di gestione di un sovrapprezzo sulle azioni di nuova emissione offerte in opzione ai soci, in assenza, nella deliberazione di delega, di una espressa previsione al riguardo. Trib. Trieste,8 aprile 1997,Soc., 1997, 1166 350 anche in Vita not. 1997, III, 1504. 7968/36 3.Casistica. Giurisprudenza di merito. - In Nell'aumento di capitale scindibile, l'incarico agli amministratori di determinare l'aumento nella misura delle sottoscrizioni raccolte nei termini previsti dalla deliberazione, non costituisce delega all'aumento del capitale sociale. App. Cagliari, 26 aprile 2000, Giust. civ., 2001, I, 3077. 7968/36 2444. Iscrizione nel registro delle imprese. - [I] Nei trenta giorni dall'avvenuta sottoscrizione delle azioni di nuova emissione gli amministratori devono depositare per l'iscrizione nel registro delle imprese un'attestazione che l'aumento del capitale è stato eseguito. [II] Fino a che l'iscrizione nel registro non sia avvenuta, l'aumento del capitale non può essere menzionato negli atti della società. Sommario: 1.Modifica dello statuto. Giurisprudenza consolidata. 1.Modifica dello statuto. Giurisprudenzadimerito.- La delibera di aumento di capitale sociale non comporta la contestuale modifica dello statuto, alla quale non si può procedere fino a quando il capitale deliberato non sia stato sottoscritto interamente. Il nuovo limite del capitale può tuttavia essere menzionato nello statuto aggiornato, contestualmente alla deliberazione, solo nel caso in cui nel testo dello stesso venga precisato che nella riunione assembleare non è avvenuta la sottoscrizione e vengano trascritti esclusivamente i dati della deliberazione di aumento, con l'indicazione del termine entro cui il capitale dovrà essere sottoscritto, secondo quanto previsto dall'art. 2439 comma 2 c.c. Trib. Sulmona, 4 febbraio 2000, Giur. Merito, 2001, 375 Conf.: App. Napoli 25 giungo 1996, Riv. Not., 1996, 1518; Trib. Cassino, 18 maggio 1994, Soc. 1994, 1079; App. Genova, 15/12/1999, Soc., 2000, 578. 7968/1320 La delibera di aumento del capitale deve essere depositata e iscritta, in adempimento di quanto previsto dall'art. 2436 c.c.: il suddetto atto costituisce un momento autonomo rispetto a quello della menzione dell'avvenuta sottoscrizione del capitale di cui all'art. 2444 c.c., conseguente al deposito dell'attestazione che l'aumento del capitale è stato eseguito. Trib. Torino, 29/04/1993,Soc., 1993, 989. 7968/1320 2445. Riduzione del capitale sociale. - [I] La riduzione del capitale sociale può aver luogo sia mediante liberazione dei soci dall'obbligo dei versamenti ancora dovuti, sia mediante rimborso del capitale ai soci, nei limiti ammessi dagli articoli 2327 e 2413. L'avviso di convocazione dell'assemblea deve indicare le ragioni e le modalità della riduzione. [II] Nel caso di società cui si applichi l'articolo 2357, terzo comma, la riduzione deve comunque effettuarsi con modalità tali che le azioni proprie eventualmente possedute dopo la riduzione non eccedano la quinta parte del capitale sociale. [III] La deliberazione può essere eseguita soltanto dopo novanta giorni dal giorno dell'iscrizione nel registro delle imprese, purché entro questo termine nessun creditore sociale anteriore all'iscrizione abbia fatto opposizione.[IV] Il tribunale, quando ritenga infondato il pericolo di pregiudizio per i creditori oppure la società abbia prestato idonea garanzia, dispone che l'operazione abbia luogo nonostante l'opposizione. Sommario:1. Interesse tutelato. Giurisprudenza di merito ante riforma-2. Avviso di convocazione. Primo orientamento.-2.1. Avviso di convocazione. Secondo orientamento.- 2.2.Motivazione della delibera. Giurisprudenza consolidata.- 3. Società in liquidazione.– 4.Società in perdita.Giurisprudenza consolidata 5.Modalità.Giurisprudenza.Primo orientamento-5.1Modalità.Giurisprudenza.Secondo orientamento5.2. Modalità. Parità di trattamento tra i soci.Giurisprudenza di merito-6. Azioni proprie.Giurisprudenza di merito7.Opposizione. Giurisprudenza di merito 1.Interesse tutelato. Giurisprudenza di merito ante riforma.- La natura del giudizio su cui si fonda la riduzione e la considerazione che l'art. 2445 c.c., concorre a tutelare un interesse di carattere generale qual è quello dell'intangibilità del capitale sociale al di fuori delle ipotesi espressamente previste dalla legge, consentono di ritenere che, in sede di omologazione, il sindacato del tribunale debba avere ad oggetto, nei limiti del controllo di legittimità sostanziale, il riscontro della esistenza della motivazione e della corretta individuazione dei presupposti legittimanti l'operazione, nonché la coerenza e congruenza logica del giudizio. Trib. Napoli, 15 gennaio 1996, Soc., 1996, 577. 7968/1344 2.Avviso di convocazione. Primo orientamento.- La delibera di riduzione del capitale per esuberanza esige il rispetto sia dei requisiti sostanziali, ossia l'esistenza di un giudizio di ordine tecnico e oggettivo di adeguatezza tra entità del capitale e conseguimento dell'oggetto sociale, sia dei requisiti formali, quali la motivazione sufficiente e congrua, peraltro da enunciarsi già nell'avviso di convocazione dell'assemblea. Trib. Roma, 16 dicembre 1996 ,Foro It., 1997, I, 3036. 7968/1344 2.1.Avviso di convocazione. Secondo orientamento. Nonostante l'espressa menzione dell'avviso di convocazione richiesto dal comma 2 dell'art. 2445 c.c., è legittima la deliberazione di riduzione del capitale per esuberanza presa in sede di assemblea totalitaria, validamente costituita, pur in mancanza dell'avviso di convocazione, a condizione che in seno alla deliberazione stessa siano indicate in modo esauriente le ragioni e le modalità della riduzione. Tribunale Cassino, 21 aprile 1989, Riv. Not. ,1990, 508. 7968/1344 2.2.Motivazione della delibera. Giurisprudenza consolidata.- La mancata indicazione delle ragioni economiche che hanno indotto la società a deliberare la riduzione del capitale per esuberanza non consente la omologazione della delibera. La motivazione della delibera di riduzione del capitale non è surrogabile con dichiarazioni successive rese dall'amministratore unico e prodotte in sede di reclamo. L'obbligo di indicare nel verbale assembleare i motivi della riduzione non viene meno neppure nelle ipotesi di assemblea totalitaria. App. Palermo,15 marzo 1990, Riv. dir. comm., 1991,II,335; Conf.: Trib. Torino, 17 dicembre 1999, Giur.it., 2000, I, 1879; Trib. Cassino, 6 maggio 1997, Soc., 1997, 1176; Trib. Roma, 19 dicembre 1995, Riv. Not., 1996, 923; Trib. Roma, 19 gennaio 1989, Soc., 1990, 582; Trib. Lucca, 25 ottobre 1994, Riv. Dir. Comm., 1996, 531. 7968/1344 3.Società in liquidazione. Giurisprudenza consolidata.- È da ritenersi legittima la delibera di assemblea straordinaria di una società di capitali in liquidazione o in concordato preventivo che riduce il proprio capitale sociale al minimo di legge per consentire che la società non si oneri di spese per il compenso del collegio sindacale. Trib. Milano, 28 febbraio 2000, Giur. Comm., 2000, II, 371. Conf.: Trib. Napoli, 6 dicembre 1985, Soc., 1986, 407; Trib. Verona, 17 novembre 1988, Soc., 1989, 185; Trib. Milano, 26 settembre 1994, Soc., 1995, 223; Trib. Roma, 3 novembre 1986, Soc. 1987, 631. 7968/1344 4.Società in perdita. Giurisprudenza consolidata.- Non può ritenersi legittima la deliberazione di riduzione del capitale per esuberanza e quella, contestuale, di scioglimento volontario della società in quanto il negozio complesso così composto tende all'aggiramento della regola, inderogabile, che in sede di liquidazione impone di distribuire il patrimonio sociale ai soci solo dopo il soddisfacimento dei creditori della società. Trib. Roma, 12 novembre 1999,Giur. It., 2000, 1241. Il tribunale, in sede di sindacato omologatorio, rilevando una causa di scioglimento di una società di capitali come il conseguimento dell'oggetto sociale (art. 2448 n. 2 c.c.), non può omologare la deliberazione con la quale la società proceda alla riduzione del capitale, ai sensi dell'art. 2445 c.c., in quanto, in tale contesto, è necessaria l'adozione di provvedimenti liquidatori e la riduzione per esubero, presupponendo la prosecuzione dell'attività sociale, è incompatibile con situazioni liquidatorie. Trib. Milano, 24 settembre 1994,Giur. Comm., 1996, II. Non è omologabile la delibera di riduzione del capitale per esuberanza di cui all'art. 2445 c.c., in presenza ad perdite d'esercizio che rendono carente la deliberazione sotto il profilo della congruità logica della motivazione della sussistenza di una esuberanza del capitale, in quanto il divieto di ripartizione degli utili in costanza delle perdite, implica "a fortiori" il divieto di rimborso del capitale. Trib. Roma, 07 luglio 1997, Riv. Not., 1997, 1732. 7968/1344 Non può ritenersi legittima la deliberazione di riduzione del capitale per esuberanza e quella, contestuale, di scioglimento volontario della società in quanto il negozio complesso così composto tende all'aggiramento della regola, inderogabile, che in sede di liquidazione impone di distribuire il patrimonio sociale ai soci solo dopo il soddisfacimento dei creditori della società. Trib. Roma, 12 novembre 1999,Giur. It., 2000, 1241. 7968/1344 5.Modalità. Passaggio a riserva. Primo orientamento.- Non è omologabile la delibera di riduzione del capitale per esuberanza attuata mediante il passaggio a riserva della quota di riduzione, poichè si traduce in un mero spostamento di valori nell'ambito del patrimonio netto che contraddice l'asserita sproporzione del capitale sociale rispetto alle esigenze operative della società. Trib. Ravenna, 26 settembre 2000,Società, 2001, 202. 7968/1344 5.1.1.Modalità. Passaggio a riserva. Secondo orientamento - Non è legittima la delibera con la quale l'assemblea dei soci delibera la riduzione del capitale sociale per esuberanza ma al contempo destina a riserva l'importo corrispondente alla parte di capitale ridotto. Tribunale Milano,11 giugno 1984, Giur. comm. 1985, II,659. 7968/1344 E' legittimo ridurre il capitale di una S.p.a. per esuberanza mediante annullamento di azioni privilegiate proprie (acquisite dalla società a seguito di conversione volontaria di azioni privilegiate in ordinarie con contestuale rinuncia da parte degli azionisti privilegiati a parte delle loro azioni) ed accantonamento di una riserva di corrispondente importo. L'esuberanza può legittimamente essere giustificata da ragioni dirette ad una migliore organizzazione dell'impresa sociale e quindi ad un miglior conseguimento dell'oggetto ai sensi dell'art. 2445 c.c. Trib. Milano, 09 marzo 2000,Giur. It., 2000, 1879 7968/1344 5.2.Modalità. Parità di trattamento fra i soci. Giurisprudenza di merito.- E' illegittima la delibera di riduzione del capitale sociale, o, più esattamente, di revoca di pregressa deliberazione di aumento del capitale già sottoscritto, ottenuta mercè la liberazione di un socio dal versamento ancora dovuto sulla quota di aumento di sua pertinenza, non potendosi ricondurre ad alcuna delle ipotesi tassativamente previste dall'ordinamento e violandosi indubitabilmente il principio della parità di trattamento dei soci nella liberazione dall'obbligo dei versamenti ancora dovuti o nel rimborso del capitale, che devono avvenire a vantaggio di tutti in proporzione alla partecipazione di ciascuno al capitale sociale. Trib. Napoli, 10 ottobre 1996, Società, 1997, 3, 310 anche in Riv. Not., 1997, 506. degli estremi e nell'osservanza del procedimento previsti e disciplinati dall'art. 2445 c.c. Tribunale Torino, 17 dicembre 1999,Giur. it. 2000, 1879, Vita not. 2000, 939; Tribunale Milano,09 marzo 2000,Giur. it. 2000, 1879. 7968/1344 7.Opposizione. Giurisprudenza di merito - E’ legittima, e può quindi ordinarsene l'iscrizione nel registro delle società, la deliberazione con cui l'assemblea straordinaria di una società di capitali riduce il capitale procedendo al rimborso dei soci mediante assegnazione di beni in natura. Trib. Udine, 28 novembre 1988,Giur. It., 1990, I,2, 848 contra Trib. Napoli 21 aprile 1983. 7968/1344 6.Azioni proprie. Giurisprudenza di merito. - La riduzione del capitale eseguita tramite l'annullamento di azioni proprie di cui è titolare la società è consentita nella ricorrenza 7968/1344 L'opposizione del creditore sociale alla delibera di riduzione volontaria del capitale sociale deve essere proposta con atto di citazione, e non con ricorso al tribunale in camera di consiglio, ex art. 25 e 33 d.l. n. 5 del 2003. Tale ricorso è proponibile solo dalla società opposta per ottenere l'autorizzazione all'esecuzione della delibera, pendente l'opposizione. Tribunale Bergamo,08 2005, 645 7968/1344 ottobre 2004,Societa' 2446. Riduzione del capitale per perdite. [I]. Quando risulta che il capitale è diminuito di oltre un terzo in conseguenza di perdite, gli amministratori o il consiglio di gestione, e nel caso di loro inerzia il collegio sindacale ovvero il consiglio di sorveglianza, devono senza indugio convocare l'assemblea per gli opportuni provvedimenti. All'assemblea deve essere sottoposta una relazione sulla situazione patrimoniale della società, con le osservazioni del collegio sindacale o del comitato per il controllo sulla gestione. La relazione e le osservazioni devono restare depositate in copia nella sede della società durante gli otto giorni che precedono l'assemblea, perché i soci possano prenderne visione. Nell'assemblea gli amministratori devono dare conto dei fatti di rilievo avvenuti dopo la redazione della relazione.[II].Se entro l'esercizio successivo la perdita non risulta diminuita a meno di un terzo, l'assemblea ordinaria o il consiglio di sorveglianza che approva il bilancio di tale esercizio deve ridurre il capitale in proporzione delle perdite accertate. In mancanza gli amministratori e i sindaci o il consiglio di sorveglianza devono chiedere al tribunale che venga disposta la riduzione del capitale in ragione delle perdite risultanti dal bilancio. Il tribunale provvede, sentito il pubblico ministero, con decreto soggetto a reclamo, che deve essere iscritto nel registro delle imprese a cura degli amministratori.[III].Nel caso in cui le azioni emesse dalla società siano senza valore nominale, lo statuto, una sua modificazione ovvero una deliberazione adottata con le maggioranze previste per l'assemblea straordinaria possono prevedere che la riduzione del capitale di cui al precedente comma sia deliberata dal consiglio di amministrazione. Si applica in tal caso l'articolo 2436. Sommario:1. Riduzione facoltativa. Giurisprudenza consolidata- 2.Perdita rilevante. Giurisprudenza di legittimità consolidata.- 3.Conteggio utili di periodo. Giurisprudenza di legittimità e maggioritaria. –4. Relazione sulla situazione patrimoniale. Natura. Giurisprudenza di legittimità maggioritaria.- –4.1. Relazione sulla situazione patrimoniale. Natura. Giurisprudenza di legittimità minoritaria.- 5. Relazione sulla situazione patrimoniale. Stato di aggiornamento. Giurisprudenza di legittimità.-6. Convocazione dell’assemblea.Giurisprudenza di legittimità-7.Opportuni provvedimenti.Giurisprudenza di merito – 8. Resti e arrotondamenti in misura inferiore alle perdite con rinvio a nuovo della parte residua. Giurisprudenza di legittimità.-8.1. Resti e arrotondamenti in misura superiore alle perdite senza applicazione dell’art. 2445 c.c.. Giurisprudenza di merito prevalente. 1.Riduzione facoltativa. Giurisprudenza consolidata.- La riduzione facoltativa del capitale sociale per perdite inferiori al terzo è un'operazione destinata per sua stessa natura ad incidere sull'assetto sociale, e quindi ad interferire nella sfera soggettiva dei soci, in particolare sul loro diritto alla distribuzione degli utili, nonché a spiegare influenza sui diritti dei terzi, e segnatamente dei creditori sociali, le cui ragioni sono garantite proprio dal capitale sociale; essa non è contemplata specificamente nè dall'art. 2445 c.c., che si riferisce alla diversa ipotesi di esuberanza del capitale, nè dagli art. 2446 e 2447, che prevedono la riduzione obbligatoria per perdite, ma deve ugualmente attuarsi secondo un modello predefinito che offra adeguate garanzie di protezione ad entrambe le predette categorie di soggetti; nel silenzio del legislatore, la sua disciplina dev'essere ricavata, ai sensi dell'art. 12, comma 2, disp. prel. c.c., dai principi generali desumibili dall'art. 2446, con gli adattamenti resi necessari dalla discrezionalità dell'operazione, connessa alla minore entità della perdita: ne consegue che l'amministratore, mentre non è tenuto a convocare senza indugio l'assemblea, deve rendere edotti i soci dell'effettivo stato patrimoniale della società, mediante una situazione patrimoniale riferita ad una data prossima a quella dell'adunanza; tale situazione patrimoniale può essere surrogata anche dall'ultimo bilancio di esercizio, purché sia rispettata quell'esigenza di continuità temporale, rispetto alla data di convocazione dell'assemblea, che garantisce un'idonea informazione dei soci, e non siano nel frattempo sopravvenuti fatti significativi. Cass.civ.,sez.I,12febbraio2006,Riv.Not. 2006, 4, 1 071, anche in Giur. comm. 2008, 5, 963. 7968/1344 È consentita una riduzione di capitale in presenza di differenze negative di esercizio inferiori al terzo del capitale nominale soltanto limitatamente all'ammontare che nell'ultimo bilancio approvato (o nella situazione patrimoniale approvata allo scopo) non risulti assorbito da altre voci del patrimonio netto. Trib milano,27 marzo 1996,Not., 1997, 215. 7968/1344 2.Perdita rilevante. Giurisprudenza di legittimità consolidata. La disponibilità delle società in caso di perdite devono essere intaccate secondo un ordine che tenga conto del grado di facilità con cui la società potrebbe deliberarne la destinazione ai soci; pertanto devono essere utilizzate, nell’ordine, prima le riserve facoltative, poi quelle statutarie, indi quella legale e da ultimo il capitale. Si tratta di una modalità inderogabile, tant’è che non si potrebbe neppure parlare correttamente di perdite se non nella misura in cui queste ultime eccedano l’ammontare delle riserve. La violazione di tale modalità, strumentale alla tutela, non solo dell’interesse dei soci ma anche dei terzi, comporta la nullità della delibera di riduzione del capitale sociale assunta sulla base di una determinazione delle perdite al lordo delle riserve. Cass. civ., sez. I, 2 aprile 2007, n. 8221, Vita not., 1, 2008, 135 conforme Cass. civ., sez. I, 6 novembre 1999, n. 12347, Not., 1, 2001, 22. 3.Conteggio utili di periodo. Giurisprudenza di legittimità e maggioritaria.Nella determinazione dell'entità complessiva delle perdite sulla quale l'assemblea è chiamata a provvedere, si deve tener conto anche degli eventuali risultati positivi di periodo (cd. utili di periodo) manifestatisi nella frazione di esercizio successiva all'ultimo bilancio. Cassazione civ., sez. I, 23marzo2004,Riv. Not., 2004, 1254. Conformi: App. Milano, 6 febbraio 1996, Soc., 1997, 663; Trib. Napoli, 27 aprile 2000, Not., 2000, 560; contra App. Napoli, 13 giugno 2000, Not., 2000, 561. 7968/1344 4.Relazione sulla situazione patrimoniale. Natura. Giurisprudenza di legittimità maggioritaria. La relazione degli amministratori sulla situazione patrimoniale della società prevista dagli art. 2446 e 2447 c.c., avendo lo scopo di informare dettagliatamente i soci sulla reale situazione patrimoniale, in modo tale da consentire all'assemblea di deliberare consapevolmente, ove ne ricorrano i presupposti, i provvedimenti previsti nelle richiamate disposizioni, deve essere redatta con i criteri sostanzialmente uguali a quelli prescritti per il bilancio di esercizio. Cassazione civile, sez. I, 05maggio1995,n. 4923,Giust. civ. 1995, I,2038. Conformi: Cass. civ., sez. I, 2 aprile 2007, n. 8221, Vita not., 1, 2008, 135; Cass. civ., sez. I, 17 novembre 2005, n. 23269, Giust. civ. Mass. 2005, 11; Cass. civ., sez. I 07 marzo 1992, n. 2764, Vita not., 1993, 344. 7968/1344 4.1.Relazione sulla situazione patrimoniale. Natura. Giurisprudenza di legittimità minoritaria.- In caso di riduzione per perdite del capitale di una società per azioni, gli amministratori devono sottoporre all'assemblea di cui agli art. 2446 e 2447 c.c. la sola relazione patrimoniale - sia pure avente i requisiti di dettaglio, chiarezza e precisione necessari per informare i soci sulla reale situazione patrimoniale e porre l'assemblea in grado di deliberare i provvedimenti opportuni per evitare lo scioglimento della società (art. 2448 c.c.) - e non in bilancio in senso tecnico, nè il conto dei profitti e delle perdite, richiesto dall'art. 2423 c.c. (nel testo precedente al decreto legislativo del 9 aprile 1991 n. 127) in relazione all'intero esercizio annuale. Il giudizio sull'adeguatezza, in concreto, della relazione patrimoniale con riferimento ai suddetti requisiti costituisce un apprezzamento di fatto, rimesso al giudice di merito. Cass. civ., sez. I, 04 maggio 1994, n. 4326, Soc. 1994, 1355. 7968/1344 5.Relazione sulla situazione patrimoniale. Stato di aggiornamento. Giurisprudenza di legittimità.- In tema di società, le regole dettate dagli art. 2446 e 2447 c.c., prevedenti, ai fini della riduzione del capitale sociale, le modalità con cui le disponibilità della società possono essere intaccate e la necessità del previo deposito della situazione patrimoniale aggiornata, sono strumentali alla tutela, non solo dell'interesse dei soci, ma anche dei terzi; è pertanto nulla la delibera di azzeramento e di reintegrazione del capitale sociale che sia stata adottata in base ad una situazione patrimoniale della società non aggiornata, e assunta sulla base di una determinazione delle perdite al lordo delle riserve. (Enunciando il principio di cui in massima, in un caso nel quale la delibera era stata adottata in base all'ultimo bilancio, redatto un anno prima, senza che risultasse se fosse stata o meno depositata la relazione sulla situazione patrimoniale, la Corte, cassando con rinvio la sentenza impugnata, ha precisato che il grado di aggiornamento della situazione va valutato in relazione a ciascun caso concreto, e che detta situazione patrimoniale può, eventualmente, essere anche surrogata dall'ultimo bilancio di esercizio, purché questo sia riferibile ad una data recente rispetto a quella di convocazione dell'assemblea, sempre che "medio tempore" non siano sopravvenuti fatti significativi). Cass.civ.,sez.I,02aprile2007,n. 8221, Giust. civ. Mass. 2007, 4. Conforme: Cass. civ., sez. I 17 novembre 2005, n. 23269 ,Giust.civ.,Mass. 2005, 11 7968/1344 In tema di riduzione del capitale sociale per perdite, la norma dell'art. 2446 c.c. - che prevede l'obbligo per gli amministratori di sottoporre senza indugio all'assemblea una relazione sulla situazione patrimoniale della società, con le osservazioni del collegio sindacale, nonché il deposito di tali atti nella sede della società per gli otto giorni antecedenti l'assemblea - trova la sua "ratio" nel principio secondo cui l'assemblea, ai fini di una regolare formazione della volontà sociale, in una materia che attiene alla vita stessa della società, deve essere dettagliatamente ed adeguatamente informata sulla reale situazione patrimoniale della società. Discende da ciò che la relazione - in cui va esposta la situazione patrimoniale della società con i crismi di chiarezza, correttezza e veridicità imposti per il bilancio di esercizio dagli art. 2423 ss. c.c. - deve essere il più possibile aggiornata; e, non avendo il legislatore inteso fissare uno specifico termine al riguardo, il grado di aggiornamento richiesto deve di volta in volta essere valutato in relazione a ciascun caso concreto, tenendo conto almeno di due possibili varianti: la dimensione della società e la conseguente complessità dei rilevamenti contabili che la riguardano, da un lato; l'esistenza di eventuali fatti sopravvenuti idonei a far fondatamente supporre che la situazione patrimoniale, rispetto alla data di riferimento della relazione degli amministratori, possa essere mutata nel frattempo in modo significativo, dall'altro. Siffatte valutazioni sono rimesse al giudice di merito, e sono suscettibili di sindacato in sede di legittimità solo per vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 360, comma 1 n. 5, c.p.c. Cass.Civ,sez.I,17novembre2005,Giust. civ. Mass2005,11. 7968/1344 6.Convocazione dell’assemblea. Giurisprudenza di legittimità. Non sussiste un termine decadenziale oltre il quale all'assemblea, a ciò convocata, sia precluso di deliberare a norma dell'art. 2447 c.c. Il mancato rispetto della sollecitudine che l'art. 2447 c.c. impone agli amministratori per la convocazione dell'assemblea (senza indugio), potrà essere causa di loro responsabilità, ma non preclude all'assemblea, che non può autonomamente convocarsi in mancanza di iniziativa degli organi a ciò deputati, di emettere, con effetto ex tunc, le delibere di ripianamento delle perdite in modo da ricostituire il capitale quanto meno al limite legale, come nella specie è avvenuto. Cass.civ., sez.I,29ottobre1994,n.8928,Soc. 1995, 359 anche in Giust. civ. 1995, I,1895; in Vita not., 1995, 333, 869 e in Riv. dir. comm. 1995, II, 109. 7968/1344 7.Opportuni provvedimenti. Giurisprudenza di merito-Non è omologabile la delibera assembleare di riduzione del capitale per perdite adottata sulla base di un bilancio di esercizio - pur riferito a data ragionevolmente prossima a quella dell'assemblea - che non risulta essere stato previamente approvato dall'assemblea ordinaria. TribunaleCassino,16luglio1993, Soc. 1994, 125 conforme App. Milano, 2 febbraio 1999,Giur.it.1999,1667. 7968/1344 In ogni caso la riduzione del capitale sociale per perdite è necessario che le stesse siano integralmente ed effettivamente ripianate, sicché il rinvio della copertura di parte di esse non può ritenersi ammissibile. TribunaleNapoli,10 dicembre 1998, Foro napoletano 1999, 50 conforme: Tribunale Cassino, 9 giugno 1993, Soc. 1993, 1375. 7968/1344 È inammissibile procedere ad un aumento del capitale senza averlo preventivamente ridotto in misura corrispondente alle perdite: ciò a salvaguardia delle esigenze di informazione sottese alla disciplina di cui agli art. 2446 e 2447 c.c. e nell'interesse stesso dei soci ai fini della futura determinazione dell'utile disponibile. Cort appello Trieste,13 maggio 1993,Soc. 1993, 1075 conforme Trib. Verona, 22 novembre 1988, Soc. 1989, 288 contra Trib. Roma, 10 settembre 1984, Soc. 1985, 606. 7968/1344 8.Resti e arrotondamenti in misura inferiore alle perdite con rinvio a nuovo della parte residua. Giurisprudenza di legittimità. - Ai sensi dell'art. 2446 c.c., l'assemblea è tenuta a deliberare la riduzione del capitale per perdite in proporzione delle perdite accertate: e ciò sia nel senso che non può ritenersi consentita una riduzione che superi l'ammontare di queste, potendosi altrimenti risolvere la riduzione in un'indebita espropriazione dei soci, privati del valore delle azioni corrispondenti al capitale residuo; sia nel senso che la riduzione non può essere commisurata soltanto ad una frazione delle perdite, giacché ciò ne consentirebbe il trascinamento nel tempo ben oltre il limite temporale dell'esercizio successivo, espressamente indicato dalla menzionata disposizione del codice. Tale principio, peraltro, è suscettibile di limitata deroga nel caso in cui, occorrendo anche procedere al raggruppamento o al frazionamento di azioni, l'applicazione rigorosa della regola di riduzione del capitale in proporzione delle perdite farebbe emergere resti non suscettibili di attribuzione. Pertanto, deve ritenersi consentito il riporto a nuovo delle azioni, nei limiti in cui sia imposto dall'esigenza contabile di assicurare la parità di valore nominale delle azioni medesime, e purché sia circoscritto a quanto indispensabile per il soddisfacimento di tale esigenza. Cass.Civ,sez.I,17novembre2005,Giust. Mass2005,11. 7968/1344 civ. 8.1.Resti e arrotondamenti in misura superiore alle perdite senza applicazione dell’art. 2445 c.c.. Giurisprudenza di merito prevalente. Non può essere omologata la deliberazione di riduzione del capitale per un ammontare eccedente l'importo delle perdite accertate, anche se il maggior importo risponde all'esigenza di procedere ad arrotondamenti. Trib.Catania,2 dicembre 1993, Soc. 1994, 661 conforme Trib. Cassino , 9 giugno 1993, Soc. 1994, 1374. Contra Trib. Alba, 23 luglio 1997, Giur. Comm., 98, II, 235. 7968/1344 2447. Riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale.[I]. Se, per la perdita di oltre un terzo del capitale, questo si riduce al disotto del minimo stabilito dall'articolo 2327, gli amministratori o il consiglio di gestione e, in caso di loro inerzia, il consiglio di sorveglianza devono senza indugio convocare l'assemblea per deliberare la riduzione del capitale ed il contemporaneo aumento del medesimo ad una cifra non inferiore al detto minimo, o la trasformazione della società Sommario:1.Disciplina applicabile. Giurisprudenza consolidata- 2.Ripianamento delle perdite senza operare sul capitale. Giurisprudenza maggioritaria.- 2.1. Altre modalità per ripianare le perdite.Giurisprudenza di legittimità3.Rapporti con lo scioglimento della società. Giurisprudenza maggioritaria. –3.1.-Rapporti con lo scioglimento della società. Giurisprudenza minoritaria- 4.Perdita integrale del capitale. Giurisprudenza maggioritaria.- 5. Aumento del capitale sociale a una cifra non inferiore al minimo legale. Non essenzialità della sottoscrizione in sede assembleare. Giurisprudenza di legittimità.-5.1.Aumento del capitale sociale a una cifra non inferiore al minimo legale. Essenzialità della sottoscrizione in sede assembleare.Giurisprudenzadimerito.-6. Esclusione o limitazione del diritto d’opzione con delibera a maggioranza. Inammissibilità.Primoorientamento.-6.1. Esclusione o limitazione del diritto d’opzione con delibera a maggioranza. Inammissibilità.Secondoorientamento7.-Trasformazione. 1.Disciplina applicabile. Giurisprudenza consolidata.- Essendo la situazione di cui all'art. 2447 nient'altro che un'ipotesi qualificata di riduzione del capitale per perdite rispetto a quella di cui all'art. 2446, la violazione degli obblighi di attivazione degli amministratori ex art. 2447. (è) anch'essa ricompresa nell'ambito della norma incriminatrice, da leggersi (senza fare ricorso ad estensioni analogiche, non consentite in materia penale) come riferita, per necessità logiche e sistematiche, tanto all'art. 2446 quanto all'art. 2447. Trib. Pinerolo,04 febbraio 1999,Giur. comm. 1999, II, 401. Conforme Trib. Udine, 5 febbraio 1996, Dir. Fall., 1996, II, 761. 7968/1344 2.Ripianamento delle perdite senza operare sul capitale.Giurisprudenza maggioritaria.- È legittimo provvedere alla copertura delle perdite mediante versamento diretto dei soci nelle casse sociali. App.Roma,21gennaio1999,Giur.it.1999,1239.Con forme Trib. Genova, 12 febbraio 2002, Soc., 2003, 616; Trib. Genova, 18 marzo 1991, Soc., 1991, 1384. Contra Trib. Roma, 14 luglio 1998, Soc., 1999, 338. 7968/1344 2.1. Altre modalità di ripianare le perdite. Giurisprudenza di legittimità - In caso di azzeramento del capitale sociale per perdite e di sua ricostituzione, è da ritenersi legittima la fissazione per le azioni di nuova emissione, offerte in opzione ai soci, di un sovrapprezzo destinato a coprire le perdite per la parte eccedente il capitale interamente distrutto, in quanto corrispondente all'interesse sociale (il cui apprezzamento spetta all'assemblea dei soci) e non tale da comportare una limitazione vietata del diritto diopzione. Cass.civ.,sez.I,07marzo1992,n.2764,Giur. comm. 1994, II, 588. 7968/1344 La deliberazione di azzerare il capitale a parziale copertura perdite; aumentarlo in misura pari alla residua perdita con obblighi di versare i 3/10 alla sottoscrizione (e versamento del residuo nei termini e modalità a stabilirsi dall'amministratore); nuovamente azzerarlo a definitiva copertura perdite e ricostituirlo all'originaria misura con obbligo di versarne i 3/10 alla sottoscrizione; costituisce soluzione tecnica per il ripianamento di perdite superiori al capitale che non viola il disposto dell'art. 2447 c.c. ed è pertanto omologabile. App.Potenza,03febbraio1998,Riv. Not. 1998, 322.Conf. App. Trieste, 27 aprile 1993, Soc.,1993, 1351. 3.1.Rapporti con lo scioglimento della società. Giurisprudenza di merito .- In tema di scioglimento delle società di capitali la nuova articolata disciplina regola puntualmente la fattispecie nel rispetto dell'autonomia della società, riservando all'assemblea dei soci ogni determinazione in ordine alla prosecuzione, anche ed eventualmente sotto altra forma, dell'attività sociale, o al l'estinzione della società, che comunque, non consegue ipso iure al riscontro di una causa di scioglimento, avendo l'assemblea straordinaria il potere di rimuoverla. App.Bari,sez.fer.,06 settembre 2006,Giur. merito 2007,4,1016.Conf. Trib. Napoli, 1 ottobre 1998, Soc., 1999, 346; Trib. Cassino, 4 novembre 1991, Giur. It., 1993, I,2,154; Trib. Milano, 3 marzo 1988,Soc.,1988,618. 7968/1344 7968/1344 3.Rapporti con lo scioglimento della società. Giurisprudenza di legittimità ante riforma.- In presenza di perdita del capitale sociale si deve ritenere già verificato lo scioglimento della società - ed il conseguente divieto per gli amministratori di compiere nuove operazioni - salva l'adozione da parte dell'assemblea di una delle deliberazioni consentite dal codice civile come alternative alla liquidazione. Cass.civ.,sez.I,17settembre1997,n.9252,Nuova giur. civ. comm. 1998, I, 915. Nell'ipotesi prevista dall'art. 2448 n. 4 c.c. (riduzione del capitale al di sotto del minimo legale), lo scioglimento della società si produce automaticamente ed immediatamente, salvo il verificarsi della condizione risolutiva costituita dalla reintegrazione del capitale o della trasformazione della società ai sensi dell'art. 2447 c.c., da deliberarsi, peraltro, con le maggioranze richieste dagli art. 2368 e 2369 c.c. per le modificazioni dell'atto costitutivo, cui detti provvedimenti danno sostanzialmente luogo e non già all'unanimità, come necessario per la deliberazione di revoca dello scioglimento, in quanto, con il verificarsi dell'anzidetta condizione, risolutiva, vengono meno ex tunc lo scioglimento della società e il diritto del socio alla liquidazione della quota. Cass.civ.,sez.I,29 ottobre 1994,n. 8928, ,Giust. civ. Mass. 1994, 1309. 7968/1344 4.Perdita integrale del capitale. Disciplina applicabile.Giurisprudenza maggioritaria. - È legittima e rientra nell'ipotesi prevista dall’art. 2447 c.c. la deliberazione di riduzione a zero e contestuale aumento del capitale che era sceso al di sotto del limite legale. Trib.Bologna,22 giugno 1999, Giur. comm. 2001, II, 99. Conformi Trib. Grosseto, 13 ottobre 2001, Soc., 2002, 482; Trib. Bologna, 22 giugno 1999, Giur.Comm.,2001,II,99.;App.Roma,21gennaio199 9,Giur.it.1999,1239. 7968/1344 L'art. 2447 c.c. è applicabile anche quando le perdite siano tali da ridurre a zero o, addirittura, a cifra negativa il capitale sociale; in ipotesi siffatta, ai fini della riduzione a zero del capitale e della sua contestuale reintegrazione, non è necessaria una delibera dell'assemblea adottata con il consenso unanime di tutti i soci, essendo sufficiente la maggioranza prevista per le deliberazioni dell'assemblea straordinaria. TribunaleNapoli,10dicembre1998,Foro nap. 1999, 50. 7968/1344 5. Aumento del capitale sociale a una cifra non inferiore al minimo legale. Non essenzialità della sottoscrizione in sede assembleare. Giurisprudenza di legittimità .- È valida la delibera, che a seguito di riduzione integrale del capitale sociale per perdite, decida l'azzeramento ed il contemporaneo aumento, anche ad una cifra superiore al minimo, del capitale sociale, mediante la sottoscrizione immediata e per intero del socio presente, purché sia consentito, ai soci assenti o impossibilitati alla sottoscrizione immediata, l'esercizio del diritto di opzione nel termine di trenta giorni stabilito nell'art. 2441, comma 2, c.c. previgente per l'acquisto delle partecipazioni sottoscritte in misura eccedente la quota di spettanza dell'originario sottoscrittore, dal momento che l'esercizio postumo del diritto di opzione opera come condizione risolutiva e rimuove "pro quota" e retroattivamente gli effetti dell'originaria sottoscrizione. Cass.civ.,sez.I,12luglio2007,n.15614,Foroit. 2008, 5, 1569.Conforme Cass.civ., sez. I, 17 novembre 2005, n. 23262, Riv. not. 2007, 402; Cass. civ., sez. I, 17 novembre 2005, n. 23262, Riv. not., 2007,402. nuova emissione, il diritto d'opzione dei soci, la relativa decisione non può ritenersi inscindibile e così interamente nulla per illiceità dell'oggetto, sotto il profilo che essa si tradurrebbe in una soppressione od espropriazione dello status dei soci, atteso che la deliberazione attinente all'annullamento ed al ripristino del capitale sociale, integrando un atto necessitato per evitare lo scioglimento della società e tutelare gli interessi dei terzi (art. 2327, 2447 e 2448 c.c.), deve essere autonomamente considerata, e quindi riconosciuta valida in presenza delle prescritte maggioranze, mentre la contestuale ma distinta deliberazione negativa o limitativa del diritto d'opzione in mancanza dei requisiti fissati dall'art. 2441, comma 5, c.c., ivi inclusa la ricorrenza di un interesse della società che la giustifichi, nonché l'approvazione con la maggioranza fissata dalla norma medesima o dall'atto costitutivo va ritenuta giuridicamente inesistente. Cass.civ.,sez.I,13 gennaio 1987,n. 133,Giur. it. 1987, I,1,1764.Conforme Trib. Como, 5 febbraio 1992, Soc., 1992,697. 7968/1344 7968/1344 5.1. Aumento del capitale sociale a una cifra non inferiore al minimo legale. Non essenzialità della sottoscrizione in sede assembleare. Giurisprudenza di merito. - La riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale ed il suo azzeramento non danno luogo allo scioglimento della società qualora l'assemblea dei soci, preso atto dell'integrale erosione del capitale, abbia provveduto all'immediato versamento delle somme occorrenti ad eliminare le perdite ed a ricostruire al contempo il capitale sociale, sottoscrivendo l'aumento ed eseguendo il versamento di almeno i tre decimi. 6.1.Esclusione o limitazione del diritto d’opzione con delibera a maggioranza. Inammissibilità. Secondo orientamento.Affinché, ai sensi dell'art. 2441 c.c., sia consentito sacrificare il diritto di opzione attribuito al socio, non è necessario che tale sacrificio costituisca l'unico inderogabile mezzo per realizzare l'interesse della società, ma è sufficiente che, in presenza di un interesse di particolare natura ed intensità, nella scelta del modo di realizzare l'aumento di capitale la predetta soluzione appaia preferibile e ragionevolmente più conveniente. L'accertamento circa la sussistenza dell'interesse anzidetto e l'opportunità della soluzione adottata è rimesso al giudice del merito ed è incensurabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione adeguata ed immune da vizi logici ed errori giuridici. Cass.civ.,sez.I,28giugno1980,n. 4089,Banca borsa tit. cred. 1982, II,38. Trib.Napoli,1ottobre1998,Soc.,1999,346; anche in Riv. dir. Comm,. 1999, II, 129 e in Riv.Not.,1999,1295.Conforme Trib. Rimini, 14 ottobre 2002, Giur. It., 2003, 1647; Trib. Roma 16 giugno 1998, Foro it., 199, I,3040; Trib. Udine, 25 gennaio 1994, Soc., 1994, 531. 7968/1344 7968/1344 6.Esclusione o limitazione del diritto d’opzione con delibera a maggioranza. Inammissibilità. Primo orientamento.-Qualora l'assemblea di una società per azioni, verificatasi l'integrale perdita del capitale, ne stabilisca l'azzeramento, con annullamento delle azioni in circolazione ed estinzione delle riserve, e la contestuale ricostituzione, escludendo altresì, per le azioni di 7.Trasformazione.- E’ omologabile la delibera di trasformazione in società di persone adottata da società di capitali nel caso di riduzione a zero del capitale per perdite, poiché nella vita delle società di persone non ha alcun rilievo la perdita totale del capitale. Trib.Verona,11marzo1999,Soc., 1999, 1102. Conforme Trib. Alba, 22 aprile 1998, Soc., 1998, 948. 7968/1344