Normativa e giurisprudenza ragionata

SOCIETA’ PER AZIONI
ARTICOLO 2325.
Responsabilità.
[I]. Nella società per azioni per le obbligazioni sociali risponde soltanto la società con il suo
patrimonio.
[II]. In caso di insolvenza della società, per le obbligazioni sociali sorte nel periodo in cui le azioni
sono appartenute ad una sola persona, questa risponde illimitatamente quando i conferimenti non
siano stati effettuati secondo quanto previsto dall'articolo 2342 o fin quando non sia stata attuata la
pubblicità prescritta dall'articolo 2362.
Sommario:1.-Personalità giuridica e autonomia patrimoniale. Giurisprudenza di legittimità. 2.-Stato di insolvenza.
Giurisprudenza di legittimità. 3.-Ipotesi patologiche. Giurisprudenza di legittimità
1.Personalità
giuridica
e
autonomia
patrimoniale. Giurisprudenza di legittimità.La circostanza che un socio disponga,
direttamente e/o indirettamente - nella specie
attraverso un'"Anstalt" dal medesimo fondata
dell'intero capitale sociale di una società di
capitale, non comporta la confusione del
patrimonio personale del primo con quello della
seconda, e perciò i creditori dell'uno non possono
aggredire i beni dell'altra, sottraendoli alla loro
primaria funzione di garanzia dell'adempimento
delle obbligazioni sociali. Invece, proprio per
rafforzare questa funzione, a norma dell'art. 2497,
comma 2, c.c., nella formulazione previgente a
quella introdotta dall'art. 7 d.lg. 3 marzo 1993 n.
88, nel caso di insolvenza di una società a
responsabilità limitata, per le obbligazioni sorte
nel periodo in cui le quote sociali siano
appartenute ad un solo socio, questi ne rispondeva
illimitatamente con il suo patrimonio.
Cass.civ., sez.II,16 novembre2000,n. 14870,Giust.
civ. Mass. 2000, 2351
7968/12
Nelle società di capitali, che sono titolari di
distinta personalità giuridica e di un proprio
patrimonio, l'interesse del socio al potenziamento
ed alla conservazione della consistenza economica
dell'ente è tutelabile esclusivamente con strumenti
interni, rappresentati dalla partecipazione alla vita
sociale e dalla possibilità di insorgere contro le
deliberazioni o di far valere la responsabilità degli
organi sociali, mentre non implica la
legittimazione a denunciare in giudizio atti esterni
ed in particolare ad impugnare i negozi giuridici
stipulati dalla società, la cui validità, anche nelle
ipotesi di nullità per illiceità dell'oggetto, della
causa o dei motivi, resta contestabile solo dalla
società stessa, senza che in contrario il socio possa
invocare la norma dell'art. 1421 c.c.
Cass.civ. sez.I,15novembre1999,n.12615,Giust.
civ. Mass. 1999, 2245,
7968/12
La personalità giuridica delle società di capitali (e
la conseguente autonomia patrimoniale perfetta)
comportano l'esclusiva imputabilità all'ente degli
atti compiuti e dell'attività svolta in suo nome,
nonché delle relative conseguenze patrimoniali
sfavorevoli, poiché la norma di cui all'art. 2362
c.c. (che sancisce la responsabilità illimitata
dell'unico azionista per le obbligazioni sociali) ha
carattere derogatorio, in via eccezionale, ai detti
principi, e non è, pertanto, suscettibile di
applicazione analogica ad ipotesi diverse da
quella espressamente prevista. (Nella specie, i
soci di una s.p.a., titolari della quasi totalità del
capitale sociale, avevano costituito in pegno
indivisibile un certo numero di azioni della società
stessa - in veste di terzi datori di garanzia reale - a
garanzia di un fido accordato alla società da una
banca che, all'esito di successive operazioni
societarie di riduzione prima, di azzeramento poi
del capitale sociale, aveva chiesto che i soci stessi
fossero
condannati
alla
ricostituzione
dell'originario valore del pegno azionario ed al
risarcimento del danno, quantificabile nella
perdita del valore delle azioni date in pegno come
conseguenza delle delibere assembleari. Il giudice
di merito, nel respingere la richiesta, ebbe ad
osservare che l'apertura di credito era stata
concessa alla società quale soggetto distinto ed
autonomo dalle persone dei soci - che pure ne
detenevano la quasi totalità delle partecipazioni
azionarie - con sentenza confermata dalla S.C. che
ha, nell'occasione, sancito il principio di diritto di
cui in massima).
Cass.civ.,sez.I,10marzo1999,n.2053,Giust.
civ.
Mass. 1999, 533
7968/12
La responsabilità illimitata del socio unico
azionista, prevista dall'art. 2362 c.c. per il caso
d'insolvenza della società partecipata, sussiste
anche quando detto unico socio sia una persona
giuridica, e, in particolare, una società per azioni,
mentre restano pure in tale ipotesi irrilevanti sia le
ragioni che abbiano determinato la concentrazione
delle azioni (quale la sussistenza o meno di un
intento speculativo), sia la circostanza che il
creditore conosca o meno tale concentrazione; sia
infine il fatto che la insolvenza della predetta
società partecipata ne abbia comportato la
dichiarazione di fallimento.
Cass.civ.,sez.un.,24febbraio1986,n.1088,Giust.
civ. Mass. 1986, fasc. 2.
7968/12
L'art. 2362 c.c. il quale sancisce la responsabilità
illimitata, per le obbligazioni di una
società, a carico della persona nelle cui mani si
concentrano tutte le azioni della società
medesima, trova applicazione tanto con riguardo
alla persona fisica, quanto con riguardo alla
persona giuridica, tenuto conto che entrambe sono
da includersi nella nozione di persona, usata dalla
suddetta norma senza ulteriori specificazioni, e
che, nell'uno che nell'altro, ricorre l'esigenza di
evitare l'utilizzazione della società di capitali, da
parte di un unico soggetto, come mezzo per
sottrarre il proprio patrimonio alla responsabilità
per obbligazioni contratte nel suo interesse.
Cass.civ.,sez.un.,14dicembre1981,n. 6594,Giust.
civ. Mass. 1981, fasc. 12.
7968/12
2.Stato di insolvenza. Giurisprudenza di
legittimità.- La responsabilità sancita dall'art.
2362 c.c. a carico dell'unico azionista, che può
essere anche una persona giuridica, per le
obbligazioni contratte dalla società insolvente responsabilità che non richiede, nè presuppone
l'estinzione di quest'ultima essendo sufficiente una
situazione di insolvenza che non consenta il
soddisfacimento dei creditori - trova applicazione
anche nelle ipotesi in cui vi sia apparentemente un
socio di minoranza, essendo l'intestazione delle
azioni a nome di quest'ultimo fittizia o
fraudolenta.
Cass.civ.,sez.lav.,27agosto1987,n.7064,Giust. civ.
Mass. 1987, fasc. 8-9. Conf.
Cass.civ., sez.I,28aprile1994,n.4111,Giust.
civ.
Mass. 1994, 575;Cass.
civ.,
sez.
un.,
24febbraio1986,n.1088,Giust.civ.,Mass. 1986, fas
c. 2
7968/123
3.Ipotesi patologiche. Giurisprudenza di
legittimità.- Con l'intestazione fiduciaria di titoli
azionari si realizza un fenomeno di interposizione
reale, mediante il quale l'interposto acquista
effettivamente la titolarità delle azioni, ma, in
virtù di un rapporto interno con l'interponente, di
natura obbligatoria, è tenuto ad osservare un certo
comportamento convenuto con il fiduciante ed a
retrocedere i titoli a quest'ultimo in seguito al
verificarsi di una situazione determinante il venir
meno della "causa fiduciae", e siffatto obbligo è
coercibile non solo con l'ordinaria azione
risarcitoria, ma anche con l'azione diretta
all'esecuzione in forma specifica dell'obbligo di
concludere un contratto, assumendo in tal modo
l'interponente una posizione di sostanziale
effettiva disponibilità dei titoli fiduciariamente
trasferiti o intestati all'interposto. Pertanto, se con
l'intestazione fiduciaria si realizzi da parte del
fiduciante la disponibilità dell'intero capitale
azionario, e sia attuata al fine di sottrarre il
medesimo alla responsabilità illimitata per le
obbligazioni sociali, sancita dall'art. 2362 c.c. a
carico dell'unico azionista, si ha un contratto in
frode alla legge, dotato di sufficiente funzionalità
ed efficacia rispetto all'intento voluto dalle parti di
eludere l'applicazione della norma imperativa
dell'art. 2362 c.c., ed esso è, come tale, colpito da
nullità ai sensi dell'art. 1344 c.c., con la
conseguente
applicazione
della
norma
fraudolentemente elusa. (Nella specie, i giudici
del merito, ritenuto che l'azionista di una società
aveva ridotto la sua partecipazione sociale ad una
misura infinitesimale, pur continuando a
mantenere la titolarità delle azioni, a titolo
meramente fiduciario, per assicurare all'altro
socio, che disponeva sostanzialmente dell'intero
capitale azionario, l'esenzione dalla responsabilità
personale per le obbligazioni della società,
avevano dichiarato nulla tale intestazione
fiduciaria, perché in frode alla norma imperativa
dell'art. 2362 c.c., con la conseguente
affermazione di responsabilità del socio fiduciante
verso un creditore sociale. La S.C. ha ritenuto
corretta tale statuizione ed enunciato il principio
di cui in massima.
Cass.civ., sez.I,29novembre1983,n.7152,Giust.
civ. Mass. 1983, fasc. 10.
7968/12
Gli istituti dell'autonomia patrimoniale e della
distinta personalità giuridica della società di
capitali (nella specie, società per azioni) rispetto
ai soci comportano la esclusione della riferibilità a
costoro del patrimonio, (ivi compresi i titoli
azionari di altre società), intestato alla prima,
anche nella ipotesi in cui uno dei soci, possa
essere considerato (eventualmente attraverso
un'anstalt a lui facente capo la quale risulti
intestataria della quasi totalità del capitale della
società) il socio di larga maggioranza. Tali
conclusioni si impongono ancora a più forte
ragione quando manchi la dimostrazione della
sussistenza di comportamenti suscettibili di essere
qualificati come abuso della personalità giuridica
(configurabile con riguardo alla natura fittizia o
fraudolenta delle partecipazioni di minoranza, e
ravvisabile allorché alla forma societaria
corrisponda una gestione individuale, che rende
ipotizzabili la responsabilità illimitata del socio
"tiranno" con il proprio patrimonio, nonché forme
di responsabilità civile e penale), manifestandosi
in tale ipotesi la esigenza di tutela delle
partecipazioni di minoranza non fittizie o
fraudolente.
Cass.civ.,sez.I,25gennaio2000,n.804,Giust. civ.
Mass. 2000, 133
7968/12
L'art. 2362 c.c., il quale prevede la responsabilità
illimitata dell'unico azionista per le obbligazioni
sociali, è qualificabile come norma imperativa,
cioè sottratta ad ogni possibilità di deroga
negoziale, in quanto, con il vietare che detto unico
azionista utilizzi l'ente societario come strumento
per l'esercizio della impresa individuale, senza gli
oneri ad esso conseguenti, è rivolto a tutelare
irrinunciabili interessi di ordine generale. Dal
carattere imperativo della citata norma discende
l'applicabilità degli art. 1343 e 1344 c.c., e,
quindi, oltre la nullità, per illiceità della causa, del
contratto che violi direttamente la norma
medesima, anche la nullità, per frode alla legge,
del contratto che si avvalga di una causa lecita per
eludere la suddetta responsabilità illimitata (quale
la cessione a terzi di un numero esiguo di azioni,
al solo fine dell'esonero dalla responsabilità
stessa).
Cass.civ.,sez.I,17maggio1986,n.3266,Giust. civ.
Mass. 1986, fasc. 5
7968/12
L'art. 2362 c.c. è norma eccezionale e come tale
non suscettibile di applicazione analogica; d'altra
parte con la espressione "appartenenza" il
legislatore ha voluto comprendere accanto alla
ipotesi in cui la concentrazione in unica mano si
realizza attraverso la formale intestazione delle
azioni ad un solo socio, anche quelle in cui,
attraverso intestazioni fittizie o mezzi fraudolenti,
l'appartenenza delle azioni sia mantenuta nelle
mani di un socio in realtà unico.
Cass.civ.,sez.III,09 maggio1985,n. 2879,Riv. dir.
comm. 1986, II,333
7968/12
La responsabilità dell'unico azionista, sia esso
persona fisica o persona giuridica, per le
obbligazioni sociali, prevista dall'art. 2362 c.c.,
integra un'eccezionale deroga al principio della
responsabilità esclusiva della società di capitali
per i propri debiti, la quale postula la mancanza
della pluralità dei soci, non sotto il profilo
economico, quanto sotto quello giuridico. La
suddetta norma, pertanto, non trova applicazione
quando le azioni appartengono a due o più soci,
realmente e non fittiziamente, mentre resta a tal
fine irrilevante l'eventuale posizione dominante di
uno dei soci stessi, ancorché essa derivi, per il
caso in cui i soci siano a loro volta società, dalla
concentrazione in uniche mani delle rispettive
azioni.
Cass.civ.,sez.I,09dicembre1982,Giust.civ.Mass. 1
982, fasc. 12.
7968/12
L'art. 2362 c.c., sancendo la responsabilità
illimitata dell'unico azionista per le obbligazioni
sociali relative al tempo in cui egli è stato titolare
dell'intero pacchetto azionario, deroga al principio
generale della responsabilità limitata previsto
dagli art. 2325 e 2472 c.c. e, quindi, non è
applicabile analogicamente ad ipotesi diverse da
quella prevista, la quale si configura solo quando i
soci sono ridotti ad un solo soggetto (o per le
stesse risultanze formali o per l'accertamento della
presenza meramente fittizia di altri soci), e non
quando uno dei soci si trovi in posizione
dominante riguardo alla volontà gestionale ed agli
effetti patrimoniali della gestione medesima, nè se
il pacchetto azionario di una seconda o di altre
società risultanti tra i soci sia posseduto
totalitariamente dal socio dominante.
Cass.civ.,sez.I,07 ottobre 1982,n. 5143,Giust. civ.
Mass. 1982, fasc. 9,
7968/12
ARTICOLO 2325 BIS
Società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio .
[I]. Ai fini dell'applicazione del presente titolo, sono società che fanno ricorso al mercato del
capitale di rischio le società con azioni quotate in mercati regolamentati o diffuse fra il pubblico in
misura rilevante.
[II]. Le norme di questo titolo si applicano alle società con azioni quotate in mercati regolamentati
in quanto non sia diversamente disposto da altre norme di questo codice o di leggi speciali.
ARTICOLO 2326
Denominazione sociale.
[I]. La denominazione sociale, in qualunque modo formata, deve contenere l'indicazione di società
per azioni.
Sommario:1.-Formazione della denominazione sociale. Giurisprudenza di merito. 2.-Disciplina della denominazione
sociale.
Giurisprudenza
di
merito
.
1.-Formazione della denominazione sociale.
Giurisprudenza di merito.- Il cosiddetto
principio di verità della denominazione sociale, in
base al quale l'autorità giudiziaria potrebbe
rifiutare l'omologazione degli atti sociali che ne
comportino la violazione, impone che la
denominazione non possa apparire ingannevole
per il pubblico, ma non è violato allorché altri
vantino diritti sulla denominazione adottata.
App. L'Aquila,14
dicembre
1983,
Giur. it. 1985, I,2,296.
2.-Disciplina della denominazione sociale.
Giurisprudenza di merito- Non è omologabile lo
statuto di una società il quale contempli una
pluralità di "abbreviazioni" della denominazione
sociale.
Trib.CasaleMonferrato,05 dicembre 1991,Giur.
comm.1992,II,622.
Una sola dovendo essere la denominazione
sociale, non è omologabile lo statuto sociale che
ne contenga più d'una anche in forma abbreviata o
sigla.
Trib.Udine,11febbraio1998,Riv.Not.1999,1018.C
ontra
App.
Trieste,
29
luglio
1998,
Riv.not.,1999,1018.
7968/11162
ARTICOLO 2327
Ammontare minimo del capitale
[I]. La società per azioni deve costituirsi con un capitale non inferiore a centoventimila euro.
Sommario:1.1.-Novità
della
riforma.
1.-
Non
1.Novità della riforma.- La riforma del 2003 ha
elevato la cifra minima del capitale sociale ad
euro centoventimila ed ha anche eliminato la
prescrizione del valore minimo dell’azione.
1.1.Non necessaria congruità. Giurisprudenza
prevalente – Esula al giudice dell'omologazione
il sindacato, che sarebbe di merito, circa
necessaria
congruità.
Giurisprudenza
consolidata.
l'adeguatezza o meno del capitale rispetto
all'oggetto sociale.
App. Milano,13luglio1996,Riv.Not.,1996 ,1524.C
onf. Trib. Cosenza, 21 giugno 1990, Soc.,
1990,1386.Contra Trib. Udine, 12 giugno 1982,
Foro it., I , 2619.
7968/1044
Articolo 2328
Atto costitutivo.
[I]. La società può essere costituita per contratto o per atto unilaterale.
[II]. L'atto costitutivo deve essere redatto per atto pubblico e deve indicare:
1) il cognome e il nome o la denominazione, la data e il luogo di nascita o lo Stato di costituzione, il
domicilio o la sede, la cittadinanza dei soci e degli eventuali promotori, nonché il numero delle
azioni assegnate a ciascuno di essi;
2) la denominazione e il comune ove sono poste la sede della società e le eventuali sedi secondarie;
3) l'attività che costituisce l'oggetto sociale;
4) l'ammontare del capitale sottoscritto e di quello versato;
5) il numero e l'eventuale valore nominale delle azioni, le loro caratteristiche e le modalità di
emissione e circolazione;
6) il valore attribuito ai crediti e beni conferiti in natura;
7) le norme secondo le quali gli utili devono essere ripartiti;
8) i benefici eventualmente accordati ai promotori o ai soci fondatori;
9) il sistema di amministrazione adottato, il numero degli amministratori e i loro poteri, indicando
quali tra essi hanno la rappresentanza della società;
10) il numero dei componenti il collegio sindacale;
11) la nomina dei primi amministratori e sindaci ovvero dei componenti del consiglio di
sorveglianza (3) e, quando previsto, del soggetto al quale è demandato il controllo contabile;
12) l'importo globale, almeno approssimativo, delle spese per la costituzione poste a carico della
società;
13) la durata della società ovvero, se la società è costituita a tempo indeterminato, il periodo di
tempo, comunque non superiore ad un anno, decorso il quale il socio potrà recedere.
[III]. Lo statuto contenente le norme relative al funzionamento della società, anche se forma
oggetto di atto separato, costituisce parte integrante dell'atto costitutivo. In caso di contrasto tra le
clausole dell'atto costitutivo e quelle dello statuto prevalgono le seconde.
Sommario:1. Novità della riforma-1.1Atto costitutivo per persona da nominare. Giurisprudenza di merito 2.Associazioni non riconosciute socie. Giurisprudenza di merito maggioritaria - 2.1.Associazioni non riconosciute
socie. Giurisprudenza di merito minoritaria-3.Sede sociale. Giurisprudenza consolidata –4.Oggetto sociale. Casistica.
Giurisprudenza di legittimità. –4.1. Oggetto sociale. Casistica. Giurisprudenza di merito -5.Omissione lettura statuto.
Giurisprudenza di merito. Primo orientamento. –5.1.Omissione lettura statuto. Giurisprudenza di merito. Secondo
orientamento.-6. Elezione domicilio.-7.Arbitrato societario e arbitrato di diritto comune. Giurisprudenza di merito.
Primo orientamento. – 7.1. Arbitrato societario e arbitrato di diritto comune. Giurisprudenza di merito. Secondo
orientamento.
1.Novità della riforma.- La novità più
significativa introdotta dalla riforma del 2003 è la
possibilità di costituzione per atto unilaterale della
s.p.a.. Altre differenze rispetto alla previgente
disciplina sono l’introduzione del principio
espresso della prevalenza dell’atto costitutivo
sulle norme dello statuto, l’eliminazione della
durata della società dall’elenco delle indicazioni
necessarie nonché la sufficienza dell’indicazione
del solo comune ove è posta la sede sociale.
1.1.Atto costitutivo per persona da nominare.
Giurisprudenza di merito – È applicabile al
contratto costitutivo di società di capitali l'istituto
del contratto per persona da nominare purché
vengano rispettate le norme specificamente dirette
a disciplinare la costituzione di tale tipo di società.
Trib. Milano, 19 giugno 1990, Riv. Not.,1990,
823.
7968/1044
2.Associazioni
non
riconosciute
socie.
Giurisprudenza di merito maggioritaria– Le
associazioni non riconosciute costituiscono un
centro autonomo di imputazione giuridica dotato
di una sua soggettività: pertanto, per tale loro
peculiarità, esse possono rivestire la qualità di
soci fondatori di una società di capitali
Trib.Lucca,02febbraio1994,Soc.,1994, 807.Conf.
Trib.Roma,04luglio1984,Riv. Not., 1985, 974.
7968/1044
2.1.Associazioni non riconosciute socie.
Giurisprudenza di merito minoritaria.- Non è
ammissibile, per mancanza di capacità della
associazione non riconosciuta di essere socia di
una società di capitali, l'omologazione del relativo
atto costitutivo.
Trib.Bologna,29 novembre 1984,Giur. comm.
1985,II,352.
7968/1044
3.Sede sociale. Giurisprudenza consolidata.- la
competenza a dichiarare il fallimento spetta al
tribunale del luogo ove l'impresa ha la sua sede
principale, ove, cioè, promuove sul piano
organizzativo i suoi affari, e tale luogo, di regola,
si deve presumere coincidente con quello della
sede legale, potendo, tuttavia, siffatta presunzione
di coincidenza essere vinta dalla prova del
carattere meramente fittizio o formale della sede
legale. A tal fine resta irrilevante la circostanza
che
l'attività
imprenditoriale
contemplata
nell'oggetto sociale si esplichi in luogo diverso
dalla sede legale, essendo necessario, per superare
l'anzidetta presunzione, dimostrare che in quel
diverso luogo si colloca il centro direttivo della
società, ove operano i suoi dirigenti, viene tenuta
la sua contabilità e normalmente si riuniscono in
assemblea i suoi soci.
Cass.civ.,sez.I,11marzo2005,n.5391,Giust.ciV.,M
ass.2005,3
Conf.
Cass.civ.,sez.I,
28marzo1997,n.2795,Giust. civ. Mass. 1997,
494;Cass.civ.,sez.I,28marzo1997,n.2803;
Cass.civ.,sez.I,30dicembre1981,n.6780,Giust. civ.
Mass. 1981, fasc. 12
7968/1044
Per "sede effettiva", presso la quale effettuare una
notifica ai sensi dell'art. 145, c.p.c., deve
intendersi,
giusta
consolidato
arresto
giurisprudenziale, il luogo in cui hanno concreto
svolgimento le attività amministrative e di
direzione della società e dove operano i suoi
organi amministrativi o i suoi dipendenti, ossia il
luogo deputato o stabilmente utilizzato per
l'accentramento dei rapporti interni e con i terzi
degli organi ed uffici in vista del compimento
degli affari e della propulsione dell'attività della
società stessa, non essendo sufficiente il luogo in
cui essa abbia un proprio stabilimento e vengano
svolte altre attività inerenti l'oggetto sociale.
Cons.Stato,sez.IV,17novembre2004,n.7533,Foroa
mm.,CDS,2004,3192. Conf. Cass. civ., sez. I,
19aprile1995,n. 4399,Giust. civ. Mass. 1995, 862.
Cass.civ.,sez.I,25maggio1982,n.3175,Giust. civ.
Mass.
1982,
fasc.
5.
7968/1044
A norma degli art. 2328 e 2475 c.c., ai fini
dell'iscrizione nel registro delle imprese la sede
della società di capitali è esattamente individuata,
nell'atto costitutivo (o in una sua modifica)
mediante l'indicazione del comune, della via e del
numero civico, senza che sussista alcun onere di
specificare, altresì, se si tratta di sede "propria"
della società o di un recapito, presso un
"domiciliatario" (erroneamente, per l'effetto, il
tribunale non ordina l'iscrizione nel registro delle
imprese di un atto precedente, tra l'altro, il
trasferimento della sede di una società a
responsabilità limitata perché privo della
precisazione se la nuova sede è "propria" o presso
un domiciliatario").
App.Brescia,15maggio1991,Giust. civ. 1991,
I,1811.
7968/1044
4.Oggetto sociale. Casistica. Giurisprudenza di
legittimità - L'oggetto sociale
è costituito
dall’attività fissata e determinata dalla relativa
clausola statutaria, sicchè, ai fini della
individuazione, occorre aver riguardo, quando tale
clausola non presenti oscurità, esclusivamente al
contenuto di questa e non anche ai programmi ed
agli atti elaborati e posti in essere dalla società per
il raggiungimento del suo scopo e che, attenendo
alle modalità di attuzione dell’oggetto sociale,
assumono una propria ed autonoma sfera di
efficacia, contro la quale, ove essa contrasti con
tale oggetto, sono azionabili appositi rimedi, a
tutela dei soci.
Cass.civ., 13 luglio 1972
7968/1044
4.Oggetto sociale. Casistica. Giurisprudenza di
merito - L'oggetto sociale consiste nell'attività
d'impresa esercitata dalla società in relazione a
quanto denunziato nello statuto sociale, senza che
invece possa rilevare l'oggetto "in concreto"
attuato dalla società
App.Milano,07
Giur.
merito
aprile
2005,
4,
2004,
849.
7968/1044
Rispetto all'oggetto della società, il rilascio di
fideiussioni, qualificabili come atti neutri,
costituisce atto estraneo all'oggetto sociale se non
corrisponde all'interesse economico della stessa
garante, secondo una valutazione che tenga conto
di tutti gli elementi sussistenti nel momento in cui
l'atto è stato compiuto, in particolare della sua
incidenza economica, dell'interesse economico
della garante, dell'attività da essa svolta.
Trib.Treviso,20
giugno
2002,
Giur.
it.
2003,
2118
7968/1044
La circostanza che l'oggetto sociale non preveda
espressamente la concessione di garanzie non
preclude, di per sè, la possibilità di concederle:
l'oggetto definisce infatti l'ambito entro il quale la
società deve operare, ed è implicito che
quest'ultima possa far ricorso al credito e dare
altresì le necessarie garanzie per realizzare i
propri scopi; ed anche, sussistendone i
presupposti, in favore di una società collegata.
Trib.
Piacenza,09
luglio
2001,
Giur. it. 2001, 2092
7968/1044
E’ legittima l'omologazione di una società di
capitali che abbia un oggetto sociale eterogeneo,
qualora la pluralità delle attività previste non si
risolva in un'indeterminatezza dell'oggetto tale da
precludere l'operatività delle norme poste a tutela
del socio
App.Catania,23gennaio1987,Vitanot.1987,805.
notaio rogante abbia dato lettura alle parti - ciò
che consente al pubblico ufficiale l'indagine della
volontà delle parti, la direzione personale della
compilazione dell'atto, nonché il controllo della
legittimità delle clausole statutarie.
App.Roma,11febbraio1997,Giur. it. 1997, I, 2,
494. Conf. App. Roma, 24 luglio 1993,
; App. Bologna, 12 gennaio 1993,
7968/1044
5.1.Omissione lettura statuto. Giurisprudenza
di merito. Secondo orientamento. -Poiché,
secondo l'espressa disposizione di cui all'art. 2328
c.c., l'atto costitutivo deve redigersi nella forma
dell'atto pubblico, esso deve contenere tra l'altro
l'indicazione dell'oggetto sociale e delle norme
secondo le quali gli utili debbono essere ripartiti;
in mancanza - poiché lo statuto allegato non è
redatto nelle forme dell'atto pubblico e poiché il
dettato normativo secondo il quale lo statuto è
considerato parte integrante dell'atto costitutivo
deve intendersi riferito alle sole norme relative al
funzionamento della società - l'atto costitutivo non
è omologabile.
App.Roma,09settembre1993,Riv. notariato 1993,
942.Conf. App. Torino, 8 marzo 1982, Giur.
Comm., 1983, II, 288
6.Elezione di domicilio. Giurisprudenza di
merito – È illegittima la clausola statutaria che
elegge come domicilio dei soci, per i loro rapporti
con la società, la sede sociale, in quanto non
idoneo a garantire la effettiva e concreta
conoscibilità della convocazione dell'assemblea
da parte di tutti i soci.
Trib.Udine,15febbraio1994,Soc.,1994,1073
7968/1044
7968/1044
L'indicazione di attività del tutto eterogenee tra
loro, senza la previsione di alcun ordine
prioritario, è inidonea a delimitare con sufficiente
determinatezza o determinabilità l'oggetto sociale
della costituenda società e, ponendosi in palese
contrasto con l'art. 2475 n. 3 c.c., impone il rigetto
dell'istanza di omologa.
Trib.Trani,25maggio1993,Riv. Not.,1993, 934
7968/1044
7.Arbitrato societario e arbitrato di diritto
comune. Giurisprudenza di merito. Primo
orientamento–Con la riforma del diritto
societario (d.lg. n. 5 del 2003) è stato previsto un
nuovo modello di arbitrato rituale, endosocietario
che si è aggiunto, senza sostituirlo, all'arbitrato di
diritto comune disciplinato dal codice di rito.
Pertanto, sono valide le clausole che devolvono le
controversie societarie ad un arbitrato di diritto
comune.
Trib.Genova,07marzo2005,Corr.merito,2005, 759
7968/1044
5.Omissione lettura statuto.Giurisprudenza di
merito. Primo orientamento. -È omologabile
l'atto costitutivo qualora taluno degli "elementi
essenziali" tipici dell'atto costitutivo sia indicato
esclusivamente nello statuto, a condizione che del
medesimo statuto, allegato all'atto costitutivo, il
Le norme richiamate dal comma 2 dell'art. 41 d.lg.
n. 5 del 2003 (oltre all'art. 223 bis, anche l'art. 223
duodecies disp. att. c.c.) possono trovare
applicazione solamente con riguardo alle società
di capitali ed alle società cooperative, ma non
anche alle società di persone, del tutto estranee
alla disciplina del d.lg n. 5 del 2003.
Trib.Udine,04novembre2004,Vita not. 2005, 821
Trib.Trento,08aprile2004,Giur.
it.
2005,
116.Conf.Trib.Latina,22giugno2004,Soc.,2005,93
; Trib. Trento, 8 aprile 2004, Soc., 2004, 998.
7968/1044
7968/1044
7.1.Arbitrato societario e arbitrato di diritto
comune. Giurisprudenza di merito. Secondo
orientamento–L'art. 34 d.lg. n. 5 del 2003
(introduttivo delle nuove clausole compromissorie
in tema di arbitrato endosocietario) si estende a
tutti i rapporti societari, senza alcuna distinzione
tra società di capitali e società di persone
(comprese quelle di fatto) e comporta la
sopravvenuta
nullità
della
clausola
compromissoria contenuta in uno statuto o atto
costitutivo societario definiti prima della sua
entrata in vigore, allorché detta clausola non
preveda che il potere di nomina degli arbitri sia
riservato ad un terzo estraneo.
La disciplina dell'arbitrato societario introdotta dal
d.lg. 17 gennaio 2003 n. 5, si applica anche alle
società di persone, ivi comprese quelle di fatto.
Articolo 2329
Condizioni per la costituzione.
[I]. Per procedere alla costituzione della società è necessario:
1) che sia sottoscritto per intero il capitale sociale;
2) che siano rispettate le previsioni degli articoli 2342, 2343 e 2343-ter relative ai conferimenti;
3) che sussistano le autorizzazioni e le altre condizioni richieste dalle leggi speciali per la
costituzione
della
società,
in
relazione
al
suo
particolare
oggetto.
Sommario:1.Natura del negozio di sottoscrizione. Giurisprudenza di legittimità -2.Versamento del venticinque per
cento
dei
conferimenti
in
denaro
1.Natura del negozio di sottoscrizione.
Giurisprudenza di legittimità – Il negozio di
sottoscrizione dell'aumento di capitale di una
società per azioni ha natura consensuale, e non
reale, essendo il versamento dei tre decimi del
valore nominale delle azioni sottoscritte, previsto
dall'art. 2439 c.c., come quello da effettuare al
momento della costituzione della società (art.
2329 n. 2 c.c.)
Cass.civ.,sez.I,26gennaio1996,n.611,Soc.,1996,89
2
Conf.
Cass.
civ.,sez.trib.,
19aprile2000,n.5190,Societa',2000,1088
7968/1080
2.Versamento del venticinque per cento dei
conferimenti in denaro. Giurisprudenza di
legittimità – Il versamento dei tre decimi dei
conferimenti in denaro configura presupposto
indefettibile per la costituzione di una società per
azioni o di una società a responsabilità limitata
(quale che sia il modo della costituzione,
simultaneo o successivo), e non mero requisito
per la sua omologazione.
Cass.civ.,sez.III,21aprile1983,n.2745,Giust. civ.
Mass.
1983,
fasc.
4.Conf.
Trib.Bologna,18 gennaio 1990,Riv. Not.,1990,
805.
7968/1080
Articolo 2330
Deposito dell'atto costitutivo e iscrizione della società .
[I]. Il notaio che ha ricevuto l'atto costitutivo deve depositarlo entro venti giorni presso l'ufficio del
registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sede sociale, allegando i documenti
comprovanti la sussistenza delle condizioni previste dall'articolo 2329.
[II]. Se il notaio o gli amministratori non provvedono al deposito nel termine indicato nel comma
precedente, ciascun socio può provvedervi a spese della società.
[III]. L'iscrizione della società nel registro delle imprese è richiesta contestualmente al deposito
dell'atto costitutivo. L'ufficio del registro delle imprese, verificata la regolarità formale della
documentazione, iscrive la società nel registro.
[IV]. Se la società istituisce sedi secondarie, si applica l'articolo 2299.
Sommario:1.Ambito del controllo notarile e di quello del registro delle imprese. Vizi rilevabili. Giurisprudenza di
merito.
1.Ambito
del
controllo
notarile.
Giurisprudenza di merito. -La soppressione
dell'omologazione giudiziaria abolisce il controllo
giudiziario sugli atti soggetti ad iscrizione nel
registro delle imprese non li sostituisce con altri
tipi di controllo. Il notaio chiamato a redigere
l'atto, infatti, non esercita un vero controllo, in
senso stretto, in quanto non è soggetto terzo
diverso da quello che lo ha rogato, ma ne
garantisce soltanto la legittimità; mentre all'ufficio
del registro delle imprese è richiesta la sola
verifica
della
regolarità
formale
della
documentazione esibita, all'atto dell'iscrizione
della società nei registri.
App.Palermo,02aprile2001, Not., 2001, 248 Conf.
Trib.Perugia,21giugno2001,Soc., 2002, 219;
Trib. Bologna, 24 gennaio 2002, Not. 2002., 296
7968/1044
I vizi rilevabili nel procedimento di omologazione
investono non solamente quelli determinanti la
nullità dell'atto, bensì anche quelli che ne
comportano la mera annullabilità; condizione
essenziale è che, tuttavia, questi visi emergano
dagli atti sottoposti all'esame del tribunale, sia
dalla società che chiede l'omologazione, che dagli
eventuali controinteressati che vi si oppongano.
Trib.Napoli,28 febbraio 1996,Dir. e giur. 1997,
263 Contra e per la rilevabilità dei soli vizi
comportanti la nullità Trib. Milano, 9 maggio
1991, Foro it., 1992,I,1016.
7968/1044
Articolo 2331
Effetti dell'iscrizione .
[I]. Con l'iscrizione nel registro la società acquista la personalità giuridica.
[II]. Per le operazioni compiute in nome della società prima dell'iscrizione sono illimitatamente e
solidalmente responsabili verso i terzi coloro che hanno agito. Sono altresì solidalmente e
illimitatamente responsabili il socio unico fondatore e quelli tra i soci che nell'atto costitutivo o con
atto separato hanno deciso, autorizzato o consentito il compimento dell'operazione.
[III]. Qualora successivamente all'iscrizione la società abbia approvato un'operazione prevista dal
precedente comma, è responsabile anche la società ed essa è tenuta a rilevare coloro che hanno
agito.
[IV]. Le somme depositate a norma del secondo comma dell'articolo 2342 non possono essere
consegnate agli amministratori se non provano l'avvenuta iscrizione della società nel registro. Se
entro novanta giorni dalla stipulazione dell'atto costitutivo o dal rilascio delle autorizzazioni
previste dal numero 3) dell'articolo 2329 l'iscrizione non ha avuto luogo, esse sono restituite ai
sottoscrittori e l'atto costitutivo perde efficacia.
[V]. Prima dell'iscrizione nel registro è vietata l'emissione delle azioni ed esse, salvo l'offerta
pubblica di sottoscrizione ai sensi dell'articolo 2333, non possono costituire oggetto di una offerta al
pubblico di prodotti finanziari .
Sommario:1. Novità della riforma. -1.1. Derogabilità del secondo comma. Giurisprudenza di legittimità 2.Contemplatio domini. Giurisprudenza di legittimità -3.Operazioni compiute prima della costituzione. Giurisprudenza
di legittimità –4.Natura della rappresentanza e suoi effetti. Giurisprudenza di legittimità. – 5. Responsabilità dei
rappresentanti
successiva
all’approvazione.
Giurisprudenza
di
legittimità-
1. Novità della riforma. Il legislatore delegato
si è preoccupato soprattutto di regolamentare
in manierà particolareggiata la sorte degli atti
posti in essere in nome della società prima
della sua iscrizione nel registro delle imprese.
1.1.Derogabilità
del
secondo
comma.
Giurisprudenza
di
legittimità
–
La
responsabilità di chi agisce in nome della società
per azioni prima dell'iscrizione è esclusa, sia
quando i terzi con apposita convenzione
subordinano l'efficacia degli impegni assunti nei
loro riguardi al sorgere della società, sia quando le
operazioni per loro natura hanno un senso solo se
effettuate nel corso dell'attività sociale.
Cass.civ.,sez.I,07 luglio 1989,n. 3228,Giust. civ.
1990, I,1069
7968/1044
2.Contemplatio domini. Giurisprudenza di
legittimità – Per il disposto dell'art. 2331 c.c. nel
caso di società non ancora iscritta nel registro
delle imprese e quindi non ancora dotata di
personalità giuridica, la illimitata e solidale
responsabilità verso i terzi di coloro che hanno
agito presuppone che si tratti di operazioni
compiute in nome della società stessa prima della
sua iscrizione, onde la norma non può trovare
applicazione in caso di operazioni poste in essere
senza alcun riferimento alla costituenda società.
Cass.civ.,sez.II,15giugno1999,n.5915,Giust. civ.,
Mass.1999,1387.
7968/1044
Cass.civ.,sez.I,15novembre1993,n.11278,Riv.
giur. Sarda 1995, 288 Conf. Cass. civ., sez. II,
05maggio1989,n. 2127,Giust. civ. Mass. 1989,
fasc.5, Riv. notariato 1989, 930;Cass. civ., sez. I,
29marzo1991,n.3435,Giust. civ. Mass. 1991, fasc.
3.
7968/1044
Il contratto concluso dal rappresentante senza
poteri in nome di una costituenda società di
capitali non è nè nullo, nè annullabile, nè esprime
mere proposte contrattuali, ma è solo inefficace
nei confronti della società, fino a che questa non
venga ad esistenza e non lo ratifichi, mediante
volontà manifestata dai suoi organi competenti
(espressamente, od anche tacitamente, come nel
caso di azione promossa per l'esecuzione del
contratto stesso).
Cass.civ.,sez.II,05maggio1989,n.2127,Riv. Not.,
1989, 930
7968/1044
3.Operazioni
compiute
prima
della
costituzione. Giurisprudenza di legittimità La norma dell'art. 2331 comma 2 c.c. che si
riferisce alle operazioni compiute in nome della
società già costituita, è applicabile, in via
analogica, anche al caso di operazioni poste in
essere prima della costituzione della società.
Cass.civ.,sez.I,07luglio1989,n. 3228,Giust. civ.
1990, I,1069
7968/1044
5. Responsabilità dei rappresentanti successiva
alla
approvazione.
Giurisprudenza
di
legittimità- Coloro i quali contraggono
obbligazioni in nome di una costituenda società di
capitali assumono responsabilità personale e
diretta, la quale permane, salvo patto contrario,
anche quando la società abbia conseguito la
personalità giuridica e ratificato le operazioni
compiute anteriormente in suo nome.
Cass.civ.,sez.I,06settembre1996,n.8127,Not.,
1997,
534
Conf.
Cass.civ.,sez.III,
12novembre2004,n. 21520,Giust. civ. Mass. 2004,
11
7968/1044
4.Natura della rappresentanza e suoi effetti.
Giurisprudenza di legittimità - Colui che agisce
in nome di una società di capitali prima
dell'iscrizione di questa nel registro delle società è
qualificabile come "falsus procurator" ed incorre
perciò nella responsabilità prevista dall'art. 1398
c.c. La società di capitali, acquisita la personalità
giuridica per effetto della iscrizione, può ratificare
anche per "facta concludentia" gli atti posti in
essere dal rappresentante senza poteri. Gli effetti
prodotti dalla ratifica di un contratto stipulato dal
rappresentante di una società di capitali non
ancora iscritta retroagiscono sino al momento
della stipulazione del contratto di società ma non
sono riferibili a negozi posti in essere in un
periodo precedente, attesa l'impossibilità, per il
rappresentante senza poteri di spendere il nome di
un soggetto non ancora venuto in esistenza.
6.Ratio del divieto dell’emissione delle azioni
prima dell’iscrizione. Giurisprudenza di
legittimità - È nullo, ai sensi dell'art. 2331,
comma 3, c.c., il trasferimento della
partecipazione societaria relativa ad una società
per azioni non ancora iscritta al Registro delle
imprese, atteso che, sino a quando non esiste la
società persona giuridica, non può neppure
logicamente configurarsi una partecipazione
sociale.
Cass.civ.,sez.I,16giugno1990,n.6080,Giust.civ.Ma
ss.1990,fasc.6
7968/1044
ARTICOLO 2332
Nullità della società.
[I]. Avvenuta l'iscrizione nel registro delle imprese, la nullità della società può
essere pronunciata soltanto nei seguenti casi:
1) mancata stipulazione dell'atto costitutivo nella forma dell'atto pubblico;
2) illiceità dell'oggetto sociale;
3) mancanza nell'atto costitutivo di ogni indicazione riguardante la
denominazione della società, o i conferimenti, o l'ammontare del capitale
sociale o l'oggetto sociale.
[II]. La dichiarazione di nullità non pregiudica l'efficacia degli atti compiuti in
nome della società dopo l'iscrizione nel registro delle imprese.
[III]. I soci non sono liberati dall'obbligo di conferimento fino a quando non
sono soddisfatti i creditori sociali.
[IV]. La sentenza che dichiara la nullità nomina i liquidatori.
[V]. La nullità non può essere dichiarata quando la causa di essa è stata
eliminata e di tale eliminazione è stata data pubblicità con iscrizione nel
registro delle imprese.
[VI]. Il dispositivo della sentenza che dichiara la nullità deve essere iscritto, a
cura degli amministratori o dei liquidatori nominati ai sensi del quarto comma,
nel
registro
delle
imprese.
Sommario:1. Novità della riforma.-1.1.Illiceità dell’oggetto sociale. Giurisprudenza di legittimità -2. Effetti della
nullità. Giurisprudenza di legittimità. -3. Simulazione. Giurisprudenza di legittimità
1.Novità della riforma. La riforma del 2003 ha
ulteriormente ridotto le cause di nullità,
esplicitando, in tal modo, un certo favor per quelle
società che hanno già iniziato a stringere rapporti
contrattuali con i terzi pur presentando atti
costitutivi affetti da vizi.
Contra Cass.civ.,sez.III,01 dicembre
8939,Giur. comm. 1988, II,495
7968/1092
1.1.Illiceità
dell’oggetto
sociale.
Giurisprudenza di legittimità – L'illiceità
dell'oggetto sociale, ai fini della declaratoria di
nullità della società per azioni ai sensi dell'art.
2332 n. 4 comma 1 c.c., va valutata con esclusivo
riferimento al dato formale emergente dallo
statuto e dall'atto costitutivo, potendo risultare
oggetto dell'accertamento giudiziale solo i vizi
genetici dell'ente e non le anomalie che attengono
a scelte successive degli amministratori e che
possono semmai rilevare come fonte di eventuale
responsabilità per costoro.
Con riguardo alla declaratoria di nullità della
società per azioni, la particolare disciplina
prevista
dall'art.
2332
c.c.
non
osta
all'applicazione dei principi di diritto comune in
tema di nullità contrattuale, con la conseguenza
che deve essere considerato legittimato ad
esperire la relativa azione qualsiasi terzo che vi
abbia un concreto interesse secondo il principio
espresso dall'art. 1421 c.c.
App. Milano,15febbraio1994,Soc. 1994, 625.
7968/1092
2.Effetti della nullità. Giurisprudenza di
legittimità – In tema di nullità del contratto di
società, il comma ultimo dell'art. 2332 c.c. in base
al quale la nullità non può essere dichiarata
quando sia stata eliminata per effetto di una
Con riguardo ad una società per azioni nata per
l'acquisto, la vendita, la gestione e la costruzione
di immobili, la semplice inesecuzione dello scopo
sociale indicato nell'atto costitutivo non basta ad
integrare la prova della simulazione di tale atto,
essendo a tal fine necessario dimostrare che
l'inattuazione dello scopo sociale è preordinata da
tutte le parti dell'accordo simulatorio.
modificazione dell'atto costitutivo iscritta nel
registro delle imprese - non osta, ove difetti detta
sanatoria, all'applicabilità, in presenza di una
clausola nulla che non infici l'intero contratto, del
principio di cui all'art. 1419 c.c. per effetto del
quale il negozio rimane valido con l'esclusione
della clausola nulla.
Cass.civ.,sez.II,14maggio1992,n.5735,Giur.comm
.,1993,II,461. Conf. Trib. Monza, 29 gennaio
1982,
Giur.
Comm.,
1983,II,
125
7968/1092
3.Simulazione. Giurisprudenza di legittimità Non è configurabile la simulazione di una società
di capitali iscritta nel registro delle imprese, stante
il carattere tassativo delle cause di nullità previste
dall'art. 2332 c.c.
Cass.civ.,sez.I.28
aprile
1997,n.
3666
Riv.
dir.
comm. 1997, II,
257.
Conf.
Cass.civ.,sez.I,17novembre1992,,n.12302;App.Ge
nova, 13 dicembre 1997, Vita not., 1998, 1655.
Cass.civ., sez.I,09luglio1994,n.6515,Giust.
Mass. 1994, 947.
7968/1092
1987,n.
civ.
ARTICOLO 2333
Programma e sottoscrizione delle azioni .
[I]. La società può essere costituita anche per mezzo di pubblica sottoscrizione sulla base di un
programma che ne indichi l'oggetto e il capitale, le principali disposizioni dell'atto costitutivo e
dello statuto, l'eventuale partecipazione che i promotori si riservano agli utili e il termine entro il
quale deve essere stipulato l'atto costitutivo.
[II]. Il programma con le firme autenticate dei promotori, prima di essere reso pubblico, deve essere
depositato presso un notaio.
[III]. Le sottoscrizioni delle azioni devono risultare da atto pubblico o da scrittura privata
autenticata. L'atto deve indicare il cognome e il nome o la denominazione, il domicilio o la sede del
sottoscrittore, il numero delle azioni sottoscritte e la data della sottoscrizione.
ARTICOLO 2334
Versamenti e convocazione dell'assemblea dei sottoscrittori .
[I]. Raccolte le sottoscrizioni, i promotori, con raccomandata o nella forma prevista nel programma,
devono assegnare ai sottoscrittori un termine non superiore a trenta giorni per fare il versamento
prescritto dal secondo comma dell'articolo 2342.
[II]. Decorso inutilmente questo termine, è in facoltà dei promotori di agire contro i sottoscrittori
morosi o di scioglierli dall'obbligazione assunta. Qualora i promotori si avvalgano di quest'ultima
facoltà, non può procedersi alla costituzione della società prima che siano collocate le azioni che
quelli avevano sottoscritte.
[III]. Salvo che il programma stabilisca un termine diverso, i promotori, nei venti giorni successivi
al termine fissato per il versamento prescritto dal primo comma del presente articolo, devono
convocare l'assemblea dei sottoscrittori mediante raccomandata, da inviarsi a ciascuno di essi
almeno dieci giorni prima di quello fissato per l'assemblea, con l'indicazione delle materie da
trattare.
ARTICOLO 2335
Assemblea dei sottoscrittori.
[I]. L'assemblea dei sottoscrittori:
1) accerta l'esistenza delle condizioni richieste per la costituzione della società;
2) delibera sul contenuto dell'atto costitutivo e dello statuto;
3) delibera sulla riserva di partecipazione agli utili fatta a proprio favore dai promotori;
4) nomina gli amministratori ed i sindaci ovvero i componenti del consiglio di sorveglianza e,
quando previsto, il soggetto cui è demandato il controllo contabile.
[II]. L'assemblea è validamente costituita con la presenza della metà dei sottoscrittori.
[III]. Ciascun sottoscrittore ha diritto a un voto, qualunque sia il numero delle azioni sottoscritte, e
per la validità delle deliberazioni si richiede il voto favorevole della maggioranza dei presenti.
[IV]. Tuttavia per modificare le condizioni stabilite nel programma è necessario il consenso di tutti
i sottoscrittori.
ARTICOLO 2336
Stipulazione e deposito dell'atto costitutivo.
[I]. Eseguito quanto è prescritto nell'articolo precedente, gli intervenuti all'assemblea, in
rappresentanza anche dei sottoscrittori assenti, stipulano l'atto costitutivo, che deve essere
depositato per l'iscrizione nel registro delle imprese a norma dell'articolo 2330.
ARTICOLO 2337
Promotori .
[I]. Sono promotori coloro che nella costituzione per pubblica sottoscrizione hanno firmato il
programma a norma del secondo comma dell'articolo 2333.
ARTICOLO 2338
Obbligazioni dei promotori.
[I]. I promotori sono solidalmente responsabili verso i terzi per le obbligazioni assunte per costituire
la società.
[II]. La società è tenuta a rilevare i promotori dalle obbligazioni assunte e a rimborsare loro le spese
sostenute, sempre che siano state necessarie per la costituzione della società o siano state approvate
dall'assemblea.
[III]. Se per qualsiasi ragione la società non si costituisce, i promotori non possono rivalersi verso i
sottoscrittori delle azioni.
ARTICOLO 2339
Responsabilità dei promotori.
[I]. I promotori sono solidalmente responsabili verso la società e verso i terzi:
1) per l'integrale sottoscrizione del capitale sociale e per i versamenti richiesti per la costituzione
della società;
2) per l'esistenza dei conferimenti in natura in conformità della relazione giurata indicata
nell'articolo 2343;
3) per la veridicità delle comunicazioni da essi fatte al pubblico per la costituzione della società.
[II]. Sono del pari solidalmente responsabili verso la società e verso i terzi coloro per conto dei
quali i promotori hanno agito.
ARTICOLO 2340
Limiti dei benefici riservati ai promotori .
[I]. I promotori possono riservarsi nell'atto costitutivo, indipendentemente dalla loro qualità di soci,
una partecipazione non superiore complessivamente a un decimo degli utili netti risultanti dal
bilancio e per un periodo massimo di cinque anni.
[II]. Essi non possono stipulare a proprio vantaggio altro beneficio
ARTICOLO 2341
Soci fondatori .
[I]. La disposizione del primo comma dell'articolo 2340 si applica anche ai soci che nella
costituzione simultanea o in quella per pubblica sottoscrizione stipulano l'atto costitutivo.
Sezione III bis
DEI PATTI PARASOCIALI
2341 bis. Patti parasociali (1). [I]. I patti, in qualunque forma stipulati, che al fine di
stabilizzare gli assetti proprietari o il governo della società:
a) hanno per oggetto l'esercizio del diritto di voto nelle società per azioni o nelle società che le
controllano;
b) pongono limiti al trasferimento delle relative azioni o delle partecipazioni in società che le
controllano;
c) hanno per oggetto o per effetto l'esercizio anche congiunto di un'influenza dominante su tali
società, non possono avere durata superiore a cinque anni e si intendono stipulati per questa
durata anche se le parti hanno previsto un termine maggiore; i patti sono rinnovabili alla
scadenza.
[II]. Qualora il patto non preveda un termine di durata, ciascun contraente ha diritto di
recedere con un preavviso di centottanta giorni (2).
[III]. Le disposizioni di questo articolo non si applicano ai patti strumentali ad accordi di
collaborazione nella produzione o nello scambio di beni o servizi e relativi a società
interamente possedute dai partecipanti all'accordo.
(1) V. nota al Capo V.
(2) V. Avviso di rettifica in G.U. 4 luglio 2003, n. 153.
Sommario: 1. Introduzione. - 2. La durata dei patti parasociali nell'esperienza ante Riforma. Giurisprudenza
contrastante.- 3. La natura dei patti parasociali. Giurisprudenza consolidata. - 4. L'oggetto dei patti parasociali.
Giurisprudenza consolidata. - 5. La forma delle intese parasociali. Giurisprudenza consolidata.- 6. L'invalidità
dei patti parasociali. Giurisprudenza consolidata.
1. Introduzione. - L'articolo in esame, come
introdotto dalla Riforma, omette di fornire una
compiuta definizione di patto parasociale e si
limita a disciplinare la durata e gli obblighi di
pubblicità imposti ai paciscenti.
2. La durata dei patti
parasociali
nell'esperienza ante Riforma. Giurisprudenza
contrastante.- In tema di contratti cosiddetti
"parasociali", il patto in virtù del quale alcuni soci
di una S.p.A. si vincolino a fare sì che coloro che
detengono le partecipazioni azionarie, in loro
possesso all'atto della conclusione del patto,
abbiano e conservino la possibilità di designare un
certo numero di amministratori e di sindaci della
società, non è nullo, pur essendo a tempo
indeterminato, non implicando una limitazione
alle possibilità del socio di esercitare liberamente
il proprio diritto di voto in assemblea, e potendo,
quanto al rapporto meramente obbligatorio da
esso derivante, essere in ogni tempo oggetto di
recesso unilaterale da parte del socio firmatario.
Cass. civ., 23 novembre 2001, n. 14865, Giust.
civ. Mass. 2001, 2004, Società 2002, 431, Riv.
notariato 2002, 1047, Arch. civ. 2002, 1059, Giur.
comm. 2002, II, 666, Riv. dottori comm. 2003,
111. (8004/18).
L'esigenza di evitare la durata indeterminata o
eccessiva del vincolo parasociale deve essere
soddisfatta
tramite
il
riconoscimento
dell'applicabilità ai patti parasociali a tempo
indeterminato od eccessivo, dell'istituto del
recesso unilaterale ad nutum, con obbligo di
preavviso. App.Milano, 24 luglio 1998, Giur. it.
1998, 2336. (8004/18).
Contrariamente a quanto sopra è stato ritenuto che
i patti parasociali con durata indeterminata non
ragionevolmente contenuta devono considerarsi
invalidi, non potendo essere giudicati meritevoli
di tutela ai sensi dell'art. 1322, comma 2, c.c. App.
Roma, 24 gennaio 1991, Giur. it. 1991, I, 2, 241.
(8004/18).
3. La natura dei patti parasociali.
Giurisprudenza consolidata. - I patti di
sindacato sono accordi atipici volti a disciplinare,
tra i soci contraenti ed in via meramente
obbligatoria, con conseguenze meramente
risarcitorie, i rapporti interni fra di essi. Cass. civ.,
5 marzo 2008, n. 5963, Giust. civ. Mass. 2008, 3,
365, Riv. notariato 2009, 2, 460. (8004/18).
I patti parasociali (e, in particolare, i cosiddetti
sindacati di voto) sono, nella loro composita
tipologia (che non consente, pertanto, la
riconduzione ad uno schema tipico unitario),
accordi atipici, volti a disciplinare, in via
meramente obbligatoria tra i soci contraenti, il
modo in cui dovrà atteggiarsi, su vari oggetti
(nella specie, circa la nomina di amministratori
societari), il loro diritto di voto in assemblea. Il
vincolo che discende da tali patti opera, pertanto,
su di un terreno esterno a quello
dell'organizzazione sociale (dal che, appunto, il
loro carattere "parasociale" e, conseguentemente,
l'esclusione della relativa invalidità "ipso facto"),
sicché non è legittimamente predicabile, al
riguardo, nè la circostanza che al socio stipulante
sia impedito di determinarsi autonomamente
all'esercizio del voto in assemblea, nè quella che il
patto stesso ponga in discussione il corretto
funzionamento dell'organo assembleare (operando
il vincolo obbligatorio così assunto non
dissimilmente da qualsiasi altro possibile motivo
soggettivo che spinga un socio a determinarsi al
voto assembleare in un certo modo), poiché al
socio non è in alcun modo impedito di optare per
il non rispetto del patto di sindacato ogni
qualvolta l'interesse ad un certo esito della
votazione assembleare prevalga sul rischio di
dover rispondere dell'inadempimento del patto.
Cass. civ., 23 novembre 2001, n. 14865, Dir. fall.
2002, 210. (8004/18).
Il patto parasociale ha una efficacia meramente
obbligatoria, come tale non opponibile alla società
nè idoneo ad incidere sulla validità delle delibere
assembleari ma solo ai soci tra i quali è intercorso
e che possono essere chiamati anche a rispondere
dei danni che eventualmente dalla violazione del
patto alcuni di essi assumano aver subito. Trib.
Nocera Inferiore, 19 giugno 2006. (8004/18).
4.
L'oggetto
dei
patti
parasociali.
Giurisprudenza consolidata. – Si deve
riconoscere natura parasociale anche al patto cui
partecipino soggetti non soci ogni qual volta
l'oggetto dell'accordo verta sull'esercizio da parte
dei soci di diritti, facoltà o poteri loro spettanti
nella società. Cass. civ., sez. I, 18 luglio 2007, n.
15963, Giust. civ. Mass. 2007, 9, Giust. civ. 2008,
12, 2918. (8004/18).
Rientrano nella categoria dei patti parasociali
comunemente definiti sindacati di gestione gli
accordi con cui i soci si impegnano a fare in modo
che gli amministratori nominati grazie ai loro voti
si conformino a pattuizioni riguardanti la gestione
societaria, replicandole nelle sedi opportune e
dandovi esecuzione: in tali ipotesi i soci non
svolgono alcuna attività gestoria all'interno della
società e le loro pattuizioni possono essere attuate
soltanto se e quando siano recepite ed attuate
autonomamente dagli organi preposti della
società. Trib. Milano, 2 luglio 2001, Giur. it.
2002, 562. (8004/18).
È da considerarsi valido il sindacato di voto con il
quale il socio si impegna ad esercitare il voto
personalmente o tramite comune mandatario
secondo le indicazioni della maggioranza degli
aderenti al patto, purché simile patto risponda ad
un criterio di meritevolezza sia generale che
speciale (interesse sociale) e sia contenuto in
circoscritti limiti di tempo e oggetto. È invalido il
sindacato di voto (ad efficacia c.d. reale) che
delega, con mandato irrevocabile, l'esercizio del
diritto di voto, secondo le direttive della
maggioranza dei sottoscrittori, alla società
fiduciaria depositaria delle azioni sindacate, in
quanto in contrasto con le norme a tutela del
diritto di voto e del corretto funzionamento
dell'assemblea. Trib. Milano, 28 marzo 1990,
Giur. it. 1990, I, 2, 337. (8004/18).
5. La forma delle intese parasociali.
Giurisprudenza consolidata. – La norma
riformata si è allineata alla giurisprudenza per cui
i patti parasociali possono essere conclusi anche
oralmente o per fatti concludenti, e la cui
esistenza dimostrata anche a mezzo di
presunzioni. App. Milano, 28 febbraio 2003, Giur.
it. 2003, 1875. (8004/18).
6.
L'invalidità
dei
patti
parasociali.
Giurisprudenza consolidata. - Non è
legittimamente predicabile né la circostanza che al
socio stipulante sia impedito di determinarsi
autonomamente all'esercizio del voto in
assemblea, né quella che il patto stesso ponga in
discussione il corretto funzionamento dell'organo
assembleare o la formazione del capitale
(operando il vincolo obbligatorio così assunto non
dissimilmente da qualsiasi altro possibile motivo
soggettivo che spinga un socio a determinarsi al
voto assembleare o alla gestione della
partecipazione in un certo modo), poiché al socio
non è impedito di scegliere il non rispetto del
patto di sindacato ogni qualvolta l'interesse ad un
certo esito della votazione assembleare o proprio
atto negoziale prevalga sul rischio di dover
rispondere dell'inadempimento del patto. Cass.
civ., sez. I, 5 marzo 2008, n. 5963. (8004/18).
È valido l'accordo negoziale stipulato tra soci e
terzi avente ad oggetto la ricapitalizzazione di una
società a responsabilità limitata e la sua
trasformazione in società per azioni anche se la
delibera societaria possa astrattamente ritenersi
viziata perché assunta sulla base di una situazione
patrimoniale non corrispondente a quella reale. I
patti parasociali, in quanto destinati a disciplinare
convenzionalmente l'esercizio di diritti e facoltà
dei soci, non sono vietati e possono essere
stipulati non solo tra soci ma anche tra soci e terzi.
Pur essendo vincolanti esclusivamente tra le parti
contraenti e non potendo incidere direttamente
sull'attività sociale, i patti parasociali devono
ritenersi illegittimi solo quando il contenuto
dell'accordo si ponga in contrasto con norme
imperative o sia idoneo a consentire l'elusione di
norme o principi generali dell'ordinamento
inderogabili ma non quando sia destinato a
realizzare un risultato pienamente consentito
dall'ordinamento. Cass. civ., sez. I, 18 luglio 2007,
n. 15963, Giust. civ. Mass. 2007, 9, Giust. civ.
2008, 12, 2918. (8004/18).
E' correttamente motivata la sentenza con la
quale, pur ravvisandosi un collegamento
negoziale tra il contratto preliminare di cessione
delle quote sociali, concluso tra i soci di
maggioranza di una società ed un terzo, anche per
persona da nominare, ed un patto parasociale con
cui il terzo si era impegnato ad accettare l'opzione
di cessione delle quote di un socio di minoranza,
si è ritenuto che tale obbligo non fosse venuto
meno per il fatto che le quote di maggioranza
erano state intestate ad un soggetto diverso dal
promittente acquirente, in quanto il patto
parasociale costituiva un regolamento contrattuale
autonomo e distinto dal preliminare, che
individuava l'obbligato all'acquisto proprio nella
persona del promittente. Cass. civ., sez. I, 5
giugno 2007, n. 13164, Giust. civ. Mass. 2007, 6.
(8004/18).
Il patto con il quale i soci di una s.r.l. si
impegnano nei confronti di un terzo, socio uscente
ed ex amministratore unico della società, a non
deliberare l'azione sociale di responsabilità nei
confronti dello stesso, abdicando al diritto di voto
pur in presenza dei presupposti dell'indicata
azione, è affetto da nullità, in quanto il contenuto
della pattuizione realizza un conflitto di interessi
tra la società ed i soci fattisi portatori
dell'interesse del terzo ed integra una condotta
contraria alle finalità inderogabilmente imposte
dal modello legale della società, non potendo i
soci non solo esercitare, ma neanche vincolarsi
negozialmente ad esercitare il diritto di voto in
contrasto con l'interesse della società a nulla
rilevando che il patto in questione riguardi tutti i
soci della società nè che la compagine sociale sia
limitata a due soci aventi tra loro convergenti
interessi (nella specie, coniugi). Cass. civ., 27
luglio 1994, n.7030, Giust. civ. Mass. 1994, 1019.
(8004/18).
E' nullo l'accordo intervenuto tra tutti i soci di una
società di capitali per la distribuzione tra loro
dell'intero patrimonio dell'ente (Cass. civ., 22
dicembre 1969, n. 4023 (8004/18)), ovvero del
contratto con cui i soci, in qualità anche di
amministratori e liquidatori, si impegnino
reciprocamente a svendere i beni sociali per un
prezzo irrisorio, in favore di terzi ovvero di loro
stessi, in contrasto con le norme imperative che
disciplinano lo scioglimento e la liquidazione.
Cass. civ., 22 dicembre 1989, n. 5778, Giust. civ.
Mass. 1989, fasc. 12. (8004/18).
La validità dei patti parasociali è subordinata alla
condizione che non risultino pregiudicati gli
interessi della società o vincolata la volontà
dell'assemblea. Cass. civ., 20 ottobre 1969, n.
3423. Sono incontestabilmente e radicalmente
nulli i patti parasociali i quali, nel caso di mancato
accordo tra i partecipanti su decisioni da adottare
in conformità al patto, rimettano la decisione
stessa ad un collegio di esperti: e così a maggior
ragione quelle pattuizioni per cui i soci,
spogliandosi del possesso delle azioni, le
trasferiscano fiduciariamente a un terzo cui, dando
al vincolo i caratteri della realità, sia conferito
mandato irrevocabile di votare in determinate
assemblee secondo le istruzioni congiunte degli
appartenenti al sindacato e, in difetto di accordo,
di astenersi dal voto. App. Roma, 24 gennaio
1991, Giur. it. 1991, I, 2, 241. (8004/18).
È valido il patto parasociale comportante l'obbligo
di votare in assemblea conformemente alle
decisioni prese a maggioranza (per teste) dei
partecipanti all'accordo prima della delibera
assembleare. Trib. Genova, 8 luglio 2004, Società
2004, 1265, Banca borsa tit. cred. 2006, 2, 236.
(8004/18).
Il patto parasociale con il quale il socio
maggioritario di una s.n.c. nel contratto
preliminare di alienazione di una quota della
società promette all'acquirente di conferirgli in
esclusiva l'amministrazione della società non è
efficace nei confronti dei soci che non lo hanno
sottoscritto, nè nei confronti della società,
trattandosi di negozio autonomo rispetto a quello
societario, nè è esperibile un'azione ex art. 2932
c.c., per ottenere una sentenza che produca gli
effetti delle obbligazioni inadempiute. Trib.
Napoli, 18 febbraio 1997, Società 1997, 935, Riv.
notariato 1997, fasc. 6. (8004/18).
La sopraggiunta indisponibilità, conseguente ad
un provvedimento di sequestro giudiziario, di una
delle partecipazioni azionarie aderenti ad un
sindacato di voto, determina la nullità dell'intero
patto parasociale per difetto sopravvenuto di
causa se si dimostra l'essenzialità della
partecipazione medesima. Trib. Milano, 28 marzo
1990, Giur. it. 1990, I, 2, 337. (8004/18).
2341 ter. Pubblicità dei patti parasociali (1). – [I]. Nelle società che fanno ricorso al
mercato del capitale di rischio i patti parasociali devono essere comunicati alla società e
dichiarati in apertura di ogni assemblea. La dichiarazione deve essere trascritta nel verbale e
questo deve essere depositato presso l'ufficio del registro delle imprese.
[II]. In caso di mancanza della dichiarazione prevista dal comma precedente i possessori delle
azioni cui si riferisce il patto parasociale non possono esercitare il diritto di voto e le
deliberazioni assembleari adottate con il loro voto determinante sono impugnabili a norma
dell'articolo 2377.
(1) V. nota al Capo V.
Articolo 2342.Conferimenti . [I]. Se nell'atto costitutivo non è stabilito diversamente, il
conferimento deve farsi in danaro. [II]. Alla sottoscrizione dell'atto costitutivo deve essere versato
presso una banca almeno il venticinque per cento dei conferimenti in danaro o, nel caso di
costituzione con atto unilaterale, il loro intero ammontare. [III]. Per i conferimenti di beni in natura
e di crediti si osservano le disposizioni degli articoli 2254 e 2255. Le azioni corrispondenti a tali
conferimenti devono essere integralmente liberate al momento della sottoscrizione. [IV]. Se viene
meno la pluralità dei soci, i versamenti ancora dovuti devono essere effettuati entro novanta giorni.
[V]. Non possono formare oggetto di conferimento le prestazioni di opera o di servizi.
Sommario:1.Natura del contratto di sottoscrizione. Giurisprudenza consolidata- 2.Non necessaria espropriabilità dei
beni conferiti. Giurisprudenza consolidata.- 3.Conferibilità dei diritti reali di godimento. Giurisprudenza
amministrativa- 4.Conferibilità del know-how. Giurisprudenza maggioritaria.- 5. Conferimento dell’azienda.
Giurisprudenza di legittimità.-5.1….e del suo avviamento. Giurisprudenza di merito.-6. Conferimento di crediti.
Giurisprudenza di merito 7.-Compensazione. Giurisprudenza di legittimità - 8. Titoli di stato.
1.Natura del contratto di sottoscrizione.
Giurisprudenza consolidata.
La
4.Conferibilità
del
know-how.
Giurisprudenza maggioritaria. - Qualora
reintegrazione del capitale di una società in caso
di perdite, postula nuovi conferimenti, che
possono essere effettuati dai vecchi, come da
nuovi soci nel caso in cui i primi abbiano
rinunciato all'esercizio del diritto d'opzione o
siano stati, per altro verso, privati della possibilità
di esercitare tale diritto. L'operazione - che
richiede il concorso della volontà della società
(manifestata attraverso la delibera di emissione
delle nuove azioni) e dei soci (espressa con la
sottoscrizione delle azioni emesse) - si configura
come "contratto consensuale". Deve quindi
ritenersi che essa si perfezioni per effetto del
consenso legittimamente manifestato dalle parti, e
che - conseguentemente - il versamento del prezzo
di emissione rilevi quale adempimento di un
impegno contrattuale già assunto, e non già quale
elemento integrante della fattispecie costitutiva.
Cass.civ.,sez.trib.,19aprile2000,n.5190,Giust. civ.
Mass. 2000, 858.
vengano acquistati da una società per azioni a
titolo oneroso i cosiddetti diritti di Know-how,
essi vanno iscritti nelle poste attive del bilancio, ai
sensi dell'art. 2424 n. 5 c.c., e stimati per un
valore non superiore al prezzo d'acquisto o di
costo, secondo la previsione dell'art. 2425 n. 3 c.c.
(nonché in conformità della quarta direttiva Cee,
art. 9 e 10, punto C), tenuto conto che i diritti
medesimi, nella indicata ipotesi di trasferimento,
si traducono in un distinto bene economico,
relativo ad un'immobilizzazione di tipo
immateriale e derivante da un rapporto
qualificabile come concessione.
Cass.civ.,sez.I,27febbraio1985,n. 1699,Dir. e prat.
trib. 1985, II,1337. Conforme. Cass.civ., sez. I,28
gennaio 1992,n. 659,sez. I, Giur it 92 I ,1021.
7968/984
individuale conferita in società di capitali estraneo
alle ipotesi previste dall'art. 2498 c.c., configura
un conferimento in natura con l'acquisto della
posizione di socio da parte del titolare
dell'azienda. Indefettibile presupposto per
l'operatività di detta norma è infatti l'esistenza di
una società sia pure irregolare, da trasformare in
altra di tipo legale, mentre il conferimento in
società di una azienda equivale ad una cessione di
azienda in favore della società conferitaria con la
conseguenza che quanto ai debiti dell'azienda
medesima anteriori al trasferimento, trova
applicazione l'art. 2560 c.c., secondo cui il
cedente non è liberato se non risulta che i creditori
vi abbiano consentito, onde cedente e cessionario
siano responsabili in via solidale verso i terzi
creditori.
Cass.civ.,sez.I,21dicembre1998,n.12739,Riv.
Not., 1999, 1306.Conforme Cass. 2001,n. 3052,
Soc 01, 802; Cass 1998, n. 12739, riv. Not., 1999,
1306. Cass, 1993, 9802, giust. Civ., 1994, I, 992.
2.Non necessaria espropriabilità dei beni
conferiti. Giurisprudenza consolidata. - In
tema di società di capitali, nella ipotesi di
sottoscrizione di un aumento del capitale sociale,
l'oggetto del conferimento, da parte del socio, non
deve, necessariamente, identificarsi in un bene
suscettibile di espropriazione forzata, bensì in una
res dotata di consistenza economica.
Cass.civ.,sez.I,05febbraio1996,n.738,Riv.
Not.,
1996, 618 anche in Foro it. 1996, I,2490, Soc.
1996,782.Conforme App. Roma, 3 settembre
2002, Soc. 2003, 41; App. Trento, 16 marzo 1999,
Soc. 1999, 1077.
7968/984
3.Conferibilità dei diritti reali di
godimento.
Giurisprudenza
amministrativa- I conferimenti di beni in natura
delle società per azioni hanno ad oggetto sia il
trasferimento della proprietà dei beni, sia il solo
godimento di essi.
Cons.Stato,sez.II,24aprile1997,n.773,ForoAmm.1
998,11-12.
7968/984
7968/984
5.Conferimento d’azienda. Giurisprudenza
di legittimità. - Il fenomeno di una azienda
7968/984
5.1….e
del
suo
.Giurisprudenza di merito.
avviamento
La questione
della conferibilità in una società per azioni (nel
caso una società mista costituita per gestire il
servizio farmaceutico) del diritto di costituibilità e
gestire una sede farmaceutica va risolta
unicamente accertando la iscrivibilità o meno di
tale diritto nell'attivo dello stato patrimoniale della
società stessa. Nel caso di specie, l'iscrivibilità di
tale voce - e così il conferimento del diritto in
questione - deve essere negata sia in astratto, in
quanto tale diritto non potrebbe trovare
collocazione in alcuna delle voci tassativamente
previste nell'art. 2424 c.c., sia in concreto perché
anche volendo assimilare questa voce a quella
dell' avviamento (e ben si potrebbe procedere in
tale modo considerato che nella stima dell'
avviamento può trovare utile valutazione la
circostanza che l'esercizio di azienda farmaceutica
è retto da regime concessorio che impedisce il
sorgere di altre aziende farmaceutiche nel bacino
di utenza dell'esercizio) nel caso di specie il
comune in questione non ha mai costituito, e
dunque gestito, un'azienda farmaceutica che,
pertanto, non può avere un avviamento (e,
dunque, una entità iscrivibile in bilancio).
App.Trento,25marzo1999,Rass. dir. farmaceutico
1999, 912.
7968/984
6.Compensazione.Giurisprudenza
di
legittimità. In tema di società di capitali, nella
ipotesi di sottoscrizione di un aumento del
capitale sociale, l'oggetto del conferimento, da
parte del socio, non deve, necessariamente,
identificarsi in un bene suscettibile di
espropriazione forzata, bensì in una res dotata di
consistenza economica. Ne consegue la legittimità
del conferimento attuato mediante compensazione
tra il debito del socio verso la società ed un
credito vantato dal medesimo nei confronti
dell'ente, atteso che la società stessa, pur perdendo
formalmente il suo credito al conferimento,
acquista concretamente un "valore" economico,
consistente nella liberazione da un corrispondente
debito. Alla funzione essenzialmente "produttiva"
del capitale sociale consegue, difatti, quella di
garanzia meramente indiretta del pagamento dei
debiti sociali, funzione, quest'ultima, assolta
direttamente dal patrimonio sociale, cui non
risultano trasferibili quei vincoli di indisponibilità
e di invariabilità tipici, in via esclusiva, del
capitale. Nessun pregiudizio per i creditori sociali
è, pertanto, ravvisabile (diversamente che nella
ipotesi di conferimenti iniziali, quantomeno per i
tre decimi previsti dall'art. 2329 c.c.) in un
aumento di capitale sottoscritto mercè la
contestuale estinzione per compensazione di un
credito del socio sottoscrittore (scaturendo,
invece, da tale operazione un aumento della
generica garanzia patrimoniale, poiché dalla
trasformazione del credito del socio in capitale di
rischio deriva che detta garanzia non copre più il
credito medesimo), mentre, sul piano economicopatrimoniale, nessun vantaggio deriverebbe ai
creditori stessi dall'imposizione, alla società,
dell'obbligo di pagare il proprio debito nei
confronti del socio sottoscrittore e di incassare,
contestualmente, la stessa somma da lui dovuta.
Cass.civ.,sez.I,24aprile1998,n.4236,Giust.civ.199
8,I,2819.
7968/984
Il credito del socio di una società di capitali nei
confronti della società è compensabile con il
debito relativo alla sottoscrizione di azioni emesse
in sede di aumento del capitale sociale, non
essendo ravvisabile un divieto implicito,
desumibile da principi inderogabili del diritto di
societario, che impedisca in tal caso l'operatività
della compensazione ex art. 1246 n. 5 c.c. Mentre
la compensazione tra debito di conferimento e
credito verso la società non può avvenire in
relazione al capitale originario - nè per il
versamento dei decimi prescritti dall'art. 2329 c.c.,
perché la società ancora non esiste, nè per i
versamenti successivi, perché i conferimenti
iniziali possono essere costituiti solo da beni
idonei a formare oggetto di garanzia patrimoniale
- l'aumento di capitale sottoscritto attraverso
l'estinzione per compensazione di un debito del
socio non è contrario all'interesse della società o
dei terzi, comportando, in concreto, un aumento
della garanzia patrimoniale generica offerta dalla
società ai creditori, in quanto dalla trasformazione
del credito (certo, liquido ed esigibile) del socio in
capitale di rischio deriva che detta garanzia non
copre più il credito del socio.
Cass.civ.,sez.I,1996,n.936
7968/984
7. Titoli di stato. Giurisprudenza
consolidata. - Nell'ipotesi di conferimento di
certificati di credito del tesoro, non è necessario il
deposito dei titoli stessi o delle loro copie
autentiche, essendo sufficiente la loro descrizione
e valutazione, rientrando la fattispecie nella
disciplina dei conferimenti di beni in natura.
App.Bologna,14dicembre1984,Giur. comm.
1985, II,520.Conforme Trib. Udine, 21
giugno 1982, Soc. 1983, 353. Trib. Milano, 4
gennaio 1984, Soc. 1984, 1020. 7968/984
ARTICOLO 2343. Stima dei conferimenti di beni in natura e di crediti.[I]. Chi conferisce beni
in natura o crediti deve presentare la relazione giurata di un esperto designato dal tribunale nel cui
circondario ha sede la società, contenente la descrizione dei beni o dei crediti conferiti,
l'attestazione che il loro valore è almeno pari a quello ad essi attribuito ai fini della determinazione
del capitale sociale e dell'eventuale soprapprezzo e i criteri di valutazione seguiti. La relazione deve
essere allegata all'atto costitutivo.[II]. L'esperto risponde dei danni causati alla società, ai soci e ai
terzi. Si applicano le disposizioni dell'articolo 64 del codice di procedura civile.
[III]. Gli amministratori devono, nel termine di centottanta giorni dalla iscrizione della società,
controllare le valutazioni contenute nella relazione indicata nel primo comma e, se sussistano
fondati motivi, devono procedere alla revisione della stima. Fino a quando le valutazioni non sono
state controllate, le azioni corrispondenti ai conferimenti sono inalienabili e devono restare
depositate presso la società.[IV]. Se risulta che il valore dei beni o dei crediti conferiti era inferiore
di oltre un quinto a quello per cui avvenne il conferimento, la società deve proporzionalmente
ridurre il capitale sociale, annullando le azioni che risultano scoperte. Tuttavia il socio conferente
può versare la differenza in danaro o recedere dalla società; il socio recedente ha diritto alla
restituzione del conferimento, qualora sia possibile in tutto o in parte in natura. L'atto costitutivo
può prevedere, salvo in ogni caso quanto disposto dal quinto comma dell'articolo 2346, che per
effetto dell'annullamento delle azioni disposto nel presente comma si determini una loro diversa
ripartizione
tra
i
soci.
Sommario:1. Interessi tutelati. Giurisprudenza di legittimità- 2. Ipotesi inespresse di necessità della relazione.
Giurisprudenza consolidata.- 3.Natura del controllo esercitato dal Registro delle Imprese sulla relazione.
Giurisprudenza di merito - 4. La nomina dell’esperto. Giurisprudenza di merito.- 5. La relazione dell’esperto.
Giurisprudenza di merito.-6.Gli effetti della revisione della stima. . Giurisprudenza di legittimità..-6.1.Gli effetti della
revisione della stima. . Giurisprudenza di merito- 7. La responsabilità dell’esperto. Giurisprudenza di legittimità
1.Interessi
tutelati.
Giurisprudenza
di
legittimità. - La nomina ad esperto per la
relazione giurata di stima del patrimonio sociale,
previsto nell'interesse generale al corretto
esercizio del diritto d'impresa ed in quello
particolare dei creditori sociali e dei soci futuri, ha
ad oggetto l'attività di stima di un patrimonio
sociale, la quale non è attività negoziale, propria
invece del rapporto di mandato e delle ipotesi di
rappresentanza legale, e si fonda su una
designazione operata ad persona.
Cass.civ.,sez.II,28gennaio2003,n. 1227,Giust. civ.
Mass. 2003, 193. Conf. Cass. civ., sez I, 4
febbraio 2000, n. 1240, Giust. Civ, 200, I, 2680.
7968/996
2.Ipotesi inespresse di necessità della
relazione di
stima.
Giurisprudenza
consolidata. - Nel caso di trasformazione di una
società di persone in una società di capitali, la
relazione di stima del patrimonio della società
trasformanda da parte dell'esperto nominato dal
Presidente del tribunale è imposta dagli art. 2498
e 2343 c.c. nell'interesse dei creditori sociali e dei
soci futuri, i quali sono legittimati ad agire per il
risarcimento dei danni da essi subiti per effetto
della condotta di detto esperto.
Cass. civ., sez I, 4 febbraio 2000, n. 1240, Giust.
Civ,
200,
I,
2680.
Conf.
Cass.civ.,sez.II,28gennaio2003,n. 1227,Giust. civ.
Mass. 2003, 193.
7968/996
3.Natura del controllo esercitato dal
Registro delle Imprese sulla relazione.
Giurisprudenza di merito. -La soppressione
dell'omologazione giudiziaria abolisce il controllo
giudiziario sugli atti soggetti ad iscrizione nel
registro delle imprese non li sostituisce con altri
tipi di controllo. Il notaio chiamato a redigere
l'atto, infatti, non esercita un vero controllo, in
senso stretto, in quanto non è soggetto terzo
diverso da quello che lo ha rogato, ma ne
garantisce soltanto la legittimità; mentre all'ufficio
del registro delle imprese è richiesta la sola
verifica
della
regolarità
formale
della
documentazione esibita, all'atto dell'iscrizione
della società nei registri.
App. Palermo,02 aprile 2001,Notariato 2001, 248
7968/996
4.La nomina dell’esperto. Giurisprudenza
di merito. – La società è legittimata a
domandare, ex art. 2343 c.c., la designazione del
perito che rediga la relazione di stima dei
conferimenti in natura (nella specie, la successiva
sottoscrizione delle obbligazioni, implicando
l'accettazione dei valori della stima, ha assorbito
ogni questione relativa alla validità del
procedimento).
Trib. Milano,15ottobre1987,Foro it. 1988, I,1683.
7968/996
6.Gli effetti della revisione della stima.
Giurisprudenza di legittimità- La delibera di
aumento del capitale sociale adottata nella
consapevolezza della falsità dei presupposti di
fatto della stima del conferimento in natura
realizza un insanabile contrasto con norme di
ordine pubblico ed è, pertanto, nulla ai sensi
dell'art. 2379 c.c.; in tale ipotesi non è util
È legittima la nomina di una società di revisione
quale esperto per la stima dei beni ai sensi dell'art.
2343 c.c.
Trib. Milano,15febbraio1999,Giur. it. 1999, 2348.
7968/996
7968/996
Non può essere nominato sindaco di società non
solo chi abbia svolto le funzioni di esperto
nominato dal presidente del tribunale per la stima
del patrimonio sociale in vista della
trasformazione, ma anche chi svolga la sua
professione in associazione con chi abbia
esercitato le funzioni di esperto o che abbia (o
abbia avuto) rapporti di lavoro con la società
trasformata.
Trib.Treviso,18 maggio 1998,Soc. 1998, 1069.
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La relazione di stima prevista dall'art. 2343 c.c. ha
funzione di garanzia dei creditori e terzi in
generale e costituisce presupposto indispensabile
dell'omologazione della delibera di aumento di
capitale. In considerazione della necessaria
posizione di neutralità e indipendenza dell'esperto
stimatore rispetto ai soci e agli organi sociali e la
sua idoneità a predisporre una valutazione
oggettiva, è da ritenersi invalida la relazione di
stima ex art. 2343 c.c. redatta da colui che
partecipa alla società in veste di presidente del
collegio sindacale, anche perché egli, in forza del
disposto dell'art. 2343 comma 3 c.c. si troverebbe
ad essere controllore di se stesso.
Trib.Udine, 22 febbraio 1994, Soc. 1994, 953.
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5.La
relazione
dell’esperto.
Giurisprudenza di merito.- È viziata la
deliberazione assembleare di aumento del capitale
di una società a responsabilità limitata mediante
conferimento di beni in natura, il cui valore sia
determinato mediante relazione di stima basata su
valori obiettivamente errati.
Trib. Napoli,05ottobre1999,Soc. 2000, 885.
7968/996
izzabile lo strumento di correzione di cui all'art.
2343, ultimo comma c.c., che ha funzione di
rimedio agli errori della stima.
Cass.civ.,sez.I,02marzo2001,n.
3052,
Vita not. 2001, 1342.
6.1.Gli effetti della revisione della stima.
Giurisprudenza di merito- La riduzione della
partecipazione del socio in proporzione alla
minusvalenza del suo conferimento in natura
rispetto al valore dichiarato nella relazione di
stima si produce solo con la deliberazione
dell'assemblea straordinaria che, in mancanza di
versamento della differenza in denaro da parte del
conferente, riduce il capitale ed annulla le azioni
scoperte; pertanto la società non può considerare
tale partecipazione come già ridotta ai fini della
votazione in tale assemblea straordinaria.
Trib. Milano,13marzo2000,Soc. 2001, 337.
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7.La
responsabilità
dell’esperto.
Giurisprudenza di legittimità. Nel caso di
trasformazione di una società di persone in una
società di capitali, la relazione di stima del
patrimonio della società trasformanda da parte
dell'esperto nominato dal Presidente del tribunale
è imposta dagli art. 2498 e 2343 c.c. nell'interesse
dei creditori sociali e dei soci futuri, i quali sono
legittimati ad agire per il risarcimento dei danni
da essi subiti per effetto della condotta di detto
esperto.
Cass.civ., sez.III,04 febbraio 2000,n. 1240,Giust.
civ. 2000, I,2680
7968/996
ARTICOLO 2343 BIS. Acquisto della società da promotori, fondatori, soci e amministratori.
[I]. L'acquisto da parte della società, per un corrispettivo pari o superiore al decimo del capitale
sociale, di beni o di crediti dei promotori, dei fondatori, dei soci o degli amministratori, nei due anni
dalla iscrizione della società nel registro delle imprese, deve essere autorizzato dall'assemblea
ordinaria.[II]. L'alienante deve presentare la relazione giurata di un esperto designato dal tribunale
nel cui circondario ha sede la società contenente la descrizione dei beni o dei crediti, il valore a
ciascuno di essi attribuito, i criteri di valutazione seguiti, nonché l'attestazione che tale valore non è
inferiore al corrispettivo, che deve comunque essere indicato.[III]. La relazione deve essere
depositata nella sede della società durante i quindici giorni che precedono l'assemblea. I soci
possono prenderne visione. Entro trenta giorni dall'autorizzazione il verbale dell'assemblea,
corredato dalla relazione dell'esperto designato dal tribunale, deve essere depositato a cura degli
amministratori presso l'ufficio del registro delle imprese.[IV]. Le disposizioni del presente articolo
non si applicano agli acquisti che siano effettuati a condizioni normali nell'ambito delle operazioni
correnti della società né a quelli che avvengono nei mercati regolamentati o sotto il controllo
dell'autorità giudiziaria o amministrativa.[V]. In caso di violazione delle disposizioni del presente
articolo gli amministratori e l'alienante sono solidalmente responsabili per i danni causati alla
società, ai soci ed ai terzi.
Sommario:1.Ratio. Giurisprudenza di legittimità- 2.”Condizioni normali”. Giurisprudenza di merito.
1.La nomina dell’esperto. Giurisprudenza
di legittimità.- L'art. 1395 c.c. trova
applicazione nel caso di contratto di vendita di
propri beni ad una società per azioni concluso,
alle condizioni da lui ritenute più vantaggiose,
dall'amministratore che rappresenta detta società,
anche dopo che sono trascorsi i due anni dalla
data di iscrizione nel registro delle imprese, ove
sia mancata l'autorizzazione dell'assemblea dei
soci, non essendovi alcun rapporto di specialità tra
il cit. art. 1395 (che, nell'ambito della disciplina
generale dei contratti, sancisce l'annullabilità del
contratto che il rappresentante conclude con sè
stesso senza l'autorizzazione specifica del
rappresentato) e l'art. 2343 bis c.c., che,
nell'ambito della disciplina delle società di
capitali, vietando l'acquisto, senza l'autorizzazione
dell'assemblea ordinaria dei soci, dei beni degli
amministratori, promotori, fondatori o soci della
società per azioni nei due anni successivi
all'iscrizione della società nel registro delle
imprese, persegue la diversa ed autonoma finalità
di prevenire la possibilità di operazioni in frode al
principio del precedente art. 2343 (a norma del
quale il conferimento dei beni all'atto della
costituzione della società deve essere preceduto
da stima giurata).
Cass.civ.,sez.III,10 novembre 1992 n. 12081,
Giust. civ. Mass. 1992, fasc. 11.
2.”Condizioni normali”. Giurisprudenza di
merito.- Costituisce grave irregolarità il fatto che
gli amministratori di una società a responsabilità
limitata, circa un anno dopo la costituzione di
questa; abbiano proceduto ad un unico ingente
acquisto da soci fondatori di azioni da loro
possedute in altra società senza procedere ad una
perizia di stima ai sensi dell'art. 2343 bis c.c.,
perché trattandosi di azioni non quotate in borsa il
riferimento al valore nominale delle azioni non
poteva considerarsi il prezzo "normale" dal
momento che l'eventuale esistenza di perdite
finiva per rendere il valore nominale eccessivo
rispetto al capitale netto.
Trib. Verona,24 gennaio 1994,Soc. 1994, 797.
7968/984
ARTICOLO 2343 TER. Conferimento di beni in natura o crediti senza relazione di stima.[I].
Nel caso di conferimento di valori mobiliari ovvero di strumenti del mercato monetario non è
richiesta la relazione di cui all'articolo 2343, primo comma, se il valore ad essi attribuito ai fini della
determinazione del capitale sociale e dell'eventuale sovrapprezzo è pari o inferiore al prezzo medio
ponderato al quale sono stati negoziati su uno o più mercati regolamentati nei sei mesi precedenti il
conferimento.[II]. Non è altresì richiesta la relazione di cui all'articolo 2343, primo comma, qualora
il valore attribuito, ai fini della determinazione del capitale sociale e dell'eventuale sovrapprezzo, ai
beni in natura o crediti conferiti, diversi da quelli di cui al primo comma, corrisponda:
a) al valore equo ricavato da un bilancio approvato da non oltre un anno, purché sottoposto a
revisione legale e a condizione che la relazione del revisore non esprima rilievi in ordine alla
valutazione dei beni oggetto del conferimento, ovvero
b) al valore equo risultante dalla valutazione, precedente di non oltre sei mesi il conferimento e
conforme ai principi e criteri generalmente riconosciuti per la valutazione dei beni oggetto del
conferimento, effettuata da un esperto indipendente da chi effettua il conferimento e dalla società e
dotato di adeguata e comprovata professionalità.[III]. Chi conferisce beni o crediti ai sensi del
primo e secondo comma presenta la documentazione dalla quale risulta il valore attribuito ai
conferimenti e la sussistenza, per i conferimenti di cui al secondo comma, delle condizioni ivi
indicate. La documentazione è allegata all'atto costitutivo.
[IV]. L'esperto di cui al secondo comma, lettera b), risponde dei danni causati alla società, ai soci e
ai terzi.
Sommario:1.Il “valore equo ricavato da un bilancio approvato”. Massima Consiglio Notarile di Milano- 2.Il “valore
equo ricavato da una precedente valutazione”. Massima Consiglio Notarile di Milano. - Requisiti del verbale della
deliberazione di aumento di capitale in caso di adozione del regime alternativo della valutazione dei conferimenti.
Massima Consiglio Notarile di Milano
1.Il “valore equo ricavato da un bilancio
approvato”. Massima Consiglio Notarile di
Milano.-Il “valore equo ricavato da un bilancio
approvato da non oltre un
anno” di cui all’art. 2343-ter, comma 2, lett. a), c.c.,
consiste nel valore
correttamente iscritto in un bilancio approvato —
nei tempi e con i requisiti
richiesti dalla norma stessa — a prescindere da fatto
che: (i) il bilancio sia
redatto secondo i principi contabili IAS/IFRS o
secondo le norme e i principi
contabili emanati da ogni Stato membro in
ossequio alla quarta direttiva
comunitaria (Direttiva 78/660/CEE); (ii) il bene o
i beni da conferire siano
iscritti in bilancio con il criterio del “valore equo”
o con altro criterio,
purché siano iscritti in conformità ai criteri
stabiliti dalle norme e ai
principi applicabili nel caso concreto.
Affinché il valore risultante dal bilancio possa
costituire il parametro di
riferimento per la valutazione dei beni oggetto di
conferimento in s.p.a.,
occorre:
a) che si tratti del bilancio di esercizio, approvato da
non oltre un anno,
che sia riferito ad una data non anteriore alla
chiusura dell’ultimo esercizio per
il quale sia scaduto il termine legale di
approvazione;
b) che il bilancio sia stato nel caso concreto
sottoposto a controllo o
revisione contabile ai sensi degli artt. 2409-bis e ss.
c.c. o degli artt. 155 e ss.
TUF, sempre che il revisore non abbia espresso
rilievi in ordine alla
valutazione dei beni oggetto del conferimento o non
abbia espresso giudizio
negativo sul bilancio o non abbia rilasciato una
dichiarazione di impossibilità
di esprimere un giudizio (ai sensi dell’art. 2409ter, comma 3, c.c., e
dell’art. 156, comma 3 TUF);
c) che si tratti, in alternativa, di un bilancio
infrannuale (ad esempio il
bilancio di fusione ex art. 2504-quater c.c.) avente le
medesime caratteristiche e
redatto secondo le medesime norme del bilancio
d’esercizio, approvato
dall’assemblea e sottoposto a revisione contabile con
i medesimi esiti di cui
sopra, riferito ad una data non anteriore alla chiusura
dell’ultimo esercizio per
il quale sia scaduto il termine legale di
approvazione.
Massima n. 101 Consiglio Notarile di Milano
2.Il “valore equo risultante da una valutazione
precedente”. Massima Consiglio Notarile di
Milano-La “valutazione precedente di non oltre sei
mesi il conferimento”
prevista dall’art. 2343-ter, comma 2, lett. b), c.c.,
può consistere sia in una
valutazione commissionata ed eseguita al solo fine
di effettuare il conferimento
avvalendosi del regime alternativo di cui agli artt.
2343-ter e seguenti c.c., sia
in una valutazione già eseguita ad altri fini, purché
rispondente ai requisiti
richiesti dalla norma sopra citata.
La perizia di cui ci si avvale ai fini del conferimento
ai sensi dell’art.
2343-ter, comma 2, lett. b), c.c., non deve essere
necessariamente asseverata di
giuramento.
Il termine di sei mesi richiesto dalla norma decorre
dalla data a cui è
riferita la valutazione peritale e deve ritenersi
rispettato: (i) in sede di
costituzione della società, qualora entro i sei mesi
sia sottoscritto l’atto
costitutivo; (ii) in sede di aumento di capitale,
qualora entro i sei mesi sia
eseguito il conferimento in natura.
Massima n. 102 Consiglio Notarile di Milano
3.Requisiti del verbale della deliberazione di
aumento di capitale in caso di adozione del
regime alternativo della valutazione dei
conferimenti. Massima Consiglio Notarile di
Milano -In caso di conferimenti in natura effettuati
in sede di aumento del
capitale sociale, secondo la disciplina “alternativa”
di cui agli artt. 2343-ter e
seguenti c.c., la documentazione richiesta dall’art.
2343-ter, comma 3, c.c., deve
essere allegata al verbale della deliberazione di
aumento. Essa deve altresì
restare depositata nella sede della società durante i
quindici giorni che
precedono l'assemblea e finché questa non abbia
deliberato, a disposizione dei
soci, ai sensi dell’art. 2441, comma 6, c.c.,
unitamente alla relazione
dell’organo amministrativo e al parere di congruità
sul prezzo di emissione
(salva la possibilità che la totalità dei soci rinunci al
preventivo deposito,
nonché, limitatamente alla relazione degli
amministratori e al parere di
congruità, alla redazione stessa dei documenti).
La documentazione richiesta dall’art. 2343-ter,
comma 3, c.c., può
consistere, a seconda dei casi:
a) nella elaborazione o riproduzione scritta del
calcolo della media
ponderata, effettuato dalla stessa società di gestione
del mercato — se in concreto
svolge tale servizio — o da imprese di diffusione ed
elaborazione di dati
dei mercati finanziari, quali ad esempio Bloomberg
o Reuters, se rendono disponibili
le medie ponderate dei valori mobiliari o degli
strumenti del mercato
monetario oggetto di conferimento (nell’ipotesi di
cui all’art. 2343-ter, comma
1, c.c.);
b) nel bilancio d’esercizio (o in un suo estratto,
relativo alle parti da
cui “risulta” il valore dei beni da conferire), nonché,
ove il valore dei beni non
sia “leggibile” dallo stato patrimoniale o dalla nota
integrativa, anche in un
estratto del libro inventari o delle scritture contabili
dalle quali “risulta” il valore
del bene oggetto di conferimento; nonché infine
nella relazione di revisione,
dalla quale non emergano rilievi in ordine alla
valutazione dei beni oggetto
del conferimento (nell’ipotesi di cui all’art. 2343-ter,
comma 2, lett. a, c.c.);
c) nella perizia redatta dall’esperto (non
necessariamente asseverata di
giuramento),
non
ritenendosi
necessaria
l’allegazione di alcuna documentazione
riguardante i requisiti di indipendenza e
professionalità dell’esperto.
Il rispetto dei termini di “obsolescenza” dei sistemi
di valutazione previsti
.
nelle diverse ipotesi dell’art. 2343-ter, commi 1 e 2,
c.c., può tra l’altro essere
garantito, nell’ambito della deliberazione di aumento
di capitale, dalla
previsione di conformi termini finali per la
sottoscrizione, ai sensi dell’art.
2439, comma 2, c.c..
Qualora
l’aumento
di
capitale
venga
contestualmente sottoscritto, mediante
esecuzione del conferimento in natura nell’ambito
del medesimo atto notarile
contenente
il
verbale
della
deliberazione
assembleare, l’attestazione degli
amministratori di avvenuta sottoscrizione ai sensi
dell’art. 2444 c.c. (e il conseguente
deposito dello statuto aggiornato ai sensi dell’art.
2436, comma 6, c.c.) è
subordinata alla contestuale allegazione della
“dichiarazione di conferma” di
cui all’art. 2343-quater, comma 3, c.c., come
prescritto dal nuovo art. 2440,
comma 2, c.c..
Massima n. 103 Consiglio Notarile di Milano
ARTICOLO 2343 QUATER. Fatti eccezionali o rilevanti che incidono sulla valutazione.[I].
Gli amministratori verificano, nel termine di trenta giorni dalla iscrizione della società, se, nel
periodo successivo a quello di cui all'articolo 2343-ter, primo comma, sono intervenuti fatti
eccezionali che hanno inciso sul prezzo dei valori mobiliari o degli strumenti del mercato monetario
conferiti in modo tale da modificare sensibilmente il valore di tali beni alla data effettiva del
conferimento, comprese le situazioni in cui il mercato dei valori o strumenti non è più liquido,
ovvero se, successivamente al termine dell'esercizio cui si riferisce il bilancio di cui alla lettera a)
del secondo comma dell'articolo 2343-ter, o alla data della valutazione di cui alla lettera b) del
medesimo comma si sono verificati fatti nuovi rilevanti tali da modificare sensibilmente il valore
equo dei beni o dei crediti conferiti. Gli amministratori verificano altresì nel medesimo termine i
requisiti di professionalità ed indipendenza dell'esperto che ha reso la valutazione di cui all'articolo
2343-ter, secondo comma, lettera b). [II]. Qualora gli amministratori ritengano che siano
intervenuti i fatti di cui al primo comma ovvero ritengano non idonei i requisiti di professionalità e
indipendenza dell'esperto che ha reso la valutazione di cui all'articolo 2343-ter, secondo comma,
lettera b), procedono ad una nuova valutazione. Si applica in tal caso l'articolo 2343.[III]. Fuori dai
casi di cui al secondo comma, è depositata per l'iscrizione nel registro delle imprese, nel medesimo
termine di cui al primo comma, una dichiarazione degli amministratori contenente le seguenti
informazioni:
a) la descrizione dei beni o dei crediti conferiti per i quali non si è fatto luogo alla relazione di cui
all'articolo 2343, primo comma;
b) il valore ad essi attribuito, la fonte di tale valutazione e, se del caso, il metodo di valutazione;
c) la dichiarazione che tale valore è almeno pari a quello loro attribuito ai fini della determinazione
del capitale sociale e dell'eventuale sovrapprezzo;
d) la dichiarazione che non sono intervenuti fatti eccezionali o rilevanti che incidono sulla
valutazione di cui alla lettera b); e) la dichiarazione di idoneità dei requisiti di professionalità e
indipendenza dell'esperto di cui all'articolo 2343-ter, secondo comma, lettera b).[IV]. Fino
all'iscrizione della dichiarazione le azioni sono inalienabili e devono restare depositate presso la
società
ARTICOLO 2344. Mancato pagamento delle quote.[I]. Se il socio non esegue i pagamenti
dovuti, decorsi quindici giorni dalla pubblicazione di una diffida nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica, gli amministratori, se non ritengono utile promuovere azione per l'esecuzione del
conferimento, offrono le azioni agli altri soci, in proporzione alla loro partecipazione, per un
corrispettivo non inferiore ai conferimenti ancora dovuti. In mancanza di offerte possono far
vendere le azioni a rischio e per conto del socio, a mezzo di una banca o di un intermediario
autorizzato alla negoziazione in mercati regolamentati.[II]. Qualora la vendita non possa aver luogo
per mancanza di compratori, gli amministratori possono dichiarare decaduto il socio, trattenendo le
somme riscosse, salvo il risarcimento dei maggiori danni.[III]. Le azioni non vendute, se non
possono essere rimesse in circolazione entro l'esercizio in cui fu pronunziata la decadenza del socio
moroso, devono essere estinte con la corrispondente riduzione del capitale.
[IV]. Il socio in mora nei versamenti non può esercitare il diritto di voto.
Sommario:1.I limiti di applicazione della norma. . Giurisprudenza di legittimità.-1.1.I limiti di applicazione della
norma. . Giurisprudenza di merito
1.I limiti di applicazione della norma.
Giurisprudenza di legittimità.- La norma di cui
all'ultimo comma dell'art. 2344 c.c., secondo cui i
soci in mora nei versamenti delle quote dovute
non possono esercitare il diritto di voto, si
riferisce esclusivamente ai versamenti iniziali
necessari per la costituzione del capitale sociale e
non a qualsiasi diversa richiesta di pagamento o di
restituzione, o di nuovo versamento in caso di
indebita restituzione, al fine della ricostituzione
del capitale sociale
Cass.civ.,sez.I,29aprile1992,Giust. civ. Mass.
1992,fasc.4.
7968/1008
E’ inammissibile la sospensione in via d'urgenza
del diritto di voto del socio moroso nel pagamento
della quota sociale, quando, posto che non è
ravvisabile alcun pregiudizio nel mero esercizio
del diritto di voto e che sussiste il rimedio
cautelare tipico dell’art. 2378 comma 4 c.c.,
l’istanza cautelare sia proposta dai singoli soci, il
mancato pagamento riguardi la quota sottoscritta
in sede di aumento del capitale sociale ed il socio
non sia stato preventivamente costituito in mora.
Trib. S.MariaCapuaV.,06ottobre1998,Soc. 1999,
601.
7968/1008
1.1.I limiti di applicazione della norma.
Giurisprudenza di legittimità.- Se l'aumento
Nelle società di capitali, in caso di dichiarazione
di decadenza del socio moroso nei versamenti ex
art. 2344 comma 2 c.c. la società non può agire
per la riscossione coattiva di quanto dovutole
bensì per il risarcimento del maggior danno
subito, fatto comunque salvo il diritto di
ritenzione delle somme riscosse.
Trib. Roma,19 aprile 1995,Gius 1995, 1646
7968/1008
di capitale sia scindibile, in presenza di
versamento inferiore a quello corrispondente al
numero delle azioni che il socio dichiara di voler
sottoscrivere, la richiesta di sottoscrizione resta
valida ed efficace ma nei limiti del minor
versamento.
Trib. Genova,17ottobre1990,Riv.Not., 1991, 1047
7968/1008
ARTICOLO 2345.Prestazioni accessorie.[I]. Oltre l'obbligo dei conferimenti, l'atto costitutivo
può stabilire l'obbligo dei soci di eseguire prestazioni accessorie non consistenti in danaro,
determinandone il contenuto, la durata, le modalità e il compenso, e stabilendo particolari sanzioni
per il caso di inadempimento. Nella determinazione del compenso devono essere osservate le norme
applicabili ai rapporti aventi per oggetto le stesse prestazioni.[II]. Le azioni alle quali è connesso
l'obbligo delle prestazioni anzidette devono essere nominative e non sono trasferibili senza il
consenso degli amministratori.[III]. Se non è diversamente disposto dall'atto costitutivo, gli
obblighi previsti in questo articolo non possono essere modificati senza il consenso di tutti i soci.
Sommario:1.Natura del rapporto. Giurisprudenza di legittimità consolidata - 2.Il contenuto delle prestazioni
accessorie. Giurisprudenza di legittimità .- 3.L’inadempimento delle prestazioni accessorie. Giurisprudenza di merito 4. La disciplina. Giurisprudenza di legittimità
1.Natura del rapporto. Giurisprudenza di
legittimità consolidata.- Le prestazioni a
carattere accessorio e non consistenti in
conferimenti in danaro che, a norma dell'art. 2345
c.c., l'atto costitutivo può porre a carico dei soci di
società per azioni, costituiscono adempimento di
obbligazioni sociali e non di obbligazioni inerenti
ad un rapporto contrattuale diverso e distinto da
quello sociale, ancorché ad esso collegato; ne
consegue che, in caso di inadempimento, vanno
irrogate a norma del citato art. 2345, le sanzioni
stabilite, per questa inosservanza, dall'atto
costitutivo, dovendo perciò escludersi che
l'assemblea
dei
soci
possa
irrogare
all'inadempiente una sanzione diversa da quella
prevista.
Cass.civ.,sez.I,8 novembre 2000, n. 12081,
Giust. civ. Mass. 2000, 2282. Conf. Cass.civ.,sez.
lav.,
7
aprile
1987
n.
3402,
Giust. civ. Mass. 1987, fasc. 4. Cass.civ.,sez. lav.,
17
gennaio
1985
n.
123,
Giur. It.,. 1986, I,1,131.
7968/1020
2.Il contenuto delle prestazioni accessorie.
Giurisprudenza di legittimità .- Le
prestazioni del socio di società per azioni di cui
all'art. 2345 c.c., a carattere accessorio e non
rappresentate da conferimenti in danaro, ben
possono consistere in attività personali simili a
quelle di un prestatore d'opera, sicché la concreta
prestazione di attività da parte del socio
costituisce adempimento dell'obbligo sociale,
anziché svolgimento di un rapporto di lavoro
subordinato tra il socio e la società.
Cass.civ.,sez. lav., 7 aprile 1987 n. 3402, Soc.
1987, 803.
7968/1020
Le prestazioni espletate dal socio di una
cooperativa di lavoro, che non sono riconducibili
ad un rapporto di lavoro subordinato o
parasubordinato, sicché non trova applicazione la
disciplina delle mansioni dettata dall'art. 2103
c.c., non possono neppure considerarsi accessorie
ai sensi dell'art. 2345 c.c., dettato per le società
per azioni ed applicabile alle cooperative ai sensi
dell'art. 2516 c.c., nei limiti della compatibilità
con la disciplina speciale prevista per queste
ultime, in quanto sono essenziali ed obbligatorie;
conseguentemente non occorre il consenso di tutti
i soci per la modifica delle mansioni assegnate al
socio.
Cass.civ.,sez.I,21 marzo 1997,
n. 2557,
Soc.,. 1997, I,1029.
7968/1020
L’eventuale indeterminatezza dell’oggetto della
prestazione accessoria comporta solo la nullità del
patto che la preveda ma non del contratto di
società.
Trib. Cassino,18
dicembre 1987,Riv. Dir.
comm. 1989,II, 1975 Contra Trib. Vicenza,6
luglio 1989,Soc.,1990, 356.
7968/1020
3.L’inadempimento
delle
prestazioni
accessorie. Giurisprudenza di legittimitàL'art. 2345 c.c., attribuisce all'atto costitutivo della
s.p.a. un'ampia discrezionalità nel determinare le
sanzioni applicabili in caso di inadempimento
degli obblighi connessi ad azioni con prestazioni
accessorie; pertanto, qualora sia stata prevista una
particolare sanzione per l'inadempimento dei
suddetti obblighi, non è possibile applicarne una
diversa.
App.Lecce, 09 settembre 1996, Soc., 1996, 1413.
Conf. Trib. Genova,3 gennaio 1986,Banca Borsa
Tit. cred..,1986,II, 427.
7968/1020
Nel caso siano emesse azioni con prestazioni
accessorie, è legittima la clausola statutaria in cui
si prevede la facoltà per la società di riacquistare
le proprie azioni in caso di interruzione per
qualsiasi causa della prestazione accessoria.
Trib. M ilano,14 luglio 1988,Banca Borsa Tit.
cred..,1991,II, 106.
L’esclusione del socio per mancato pagamento
delle quote prevista dall’art. 2344 c.c. è
applicabile anche alle azioni con prestazioni
accessorie.
Trib. M ilano,17 aprile 1982,Banca Borsa Tit.
cred..,1983,II, 506.
7968/1020
4.La
disciplina.
Giurisprudenza
di
legittimità .- La delibera dell'assemblea di una
società la quale a maggioranza e non all'unanimità
e, quindi, in violazione dell'art. 2345 comma 3
c.c., modifichi le prestazioni accessorie previste
dall'atto costitutivo a carico dei soci, è affetta da
una giuridica inesistenza, ma la invalidità,
deducibile nei modi e nei limiti di cui all'art. 2377
c.c.
Cass.civ.,sez. I., 28 ottobre 1980 n. 5790, Giur.
It.,1981,I,1,32.
7968/1020
Articolo 2346 Emissione delle azioni (1). [I]. La partecipazione sociale è rappresentata da azioni;
salvo diversa disposizione di leggi speciali lo statuto può escludere l'emissione dei relativi titoli o
prevedere l'utilizzazione di diverse tecniche di legittimazione e circolazione. [II]. Se determinato
nello statuto, il valore nominale di ciascuna azione corrisponde ad una frazione del capitale sociale;
tale determinazione deve riferirsi senza eccezioni a tutte le azioni emesse dalla società. [III]. In
mancanza di indicazione del valore nominale delle azioni, le disposizioni che ad esso si riferiscono
si applicano con riguardo al loro numero in rapporto al totale delle azioni emesse. [IV]. A ciascun
socio è assegnato un numero di azioni proporzionale alla parte del capitale sociale sottoscritta e per
un valore non superiore a quello del suo conferimento. Lo statuto (2) può prevedere una diversa
assegnazione delle azioni. [V]. In nessun caso il valore dei conferimenti può essere
complessivamente inferiore all'ammontare globale del capitale sociale. [VI]. Resta salva la
possibilità che la società, a seguito dell'apporto da parte dei soci o di terzi anche di opere o servizi,
emetta strumenti finanziari forniti di diritti patrimoniali o anche (3) di diritti amministrativi, escluso
il voto nell'assemblea generale degli azionisti. In tal caso lo statuto ne disciplina le modalità e
condizioni di emissione, i diritti che conferiscono, le sanzioni in caso di inadempimento delle
prestazioni e, se ammessa, la legge di circolazione.
Sommario:1.Azioni
e
beni
costituenti
il
patrimonio
sociale.
Giurisprudenza
consolidata
-
1.Azioni e beni costituenti il patrimonio
sociale Giurisprudenza consolidata.- La
cessione delle azioni di una società di capitali o di
persone fisiche ha come oggetto immediato la
partecipazione sociale e solo quale oggetto
mediato la quota parte del patrimonio sociale che
tale partecipazione rappresenta. Pertanto, le
carenze o i vizi relativi alle caratteristiche e al
valore dei beni ricompresi nel patrimonio sociale e, di riverbero, alla consistenza economica della
partecipazione
possono
giustificare
l'annullamento del contratto per errore o, ai sensi
dell'art. 1497 c.c., la risoluzione per difetto di
"qualità" della cosa venduta (necessariamente
attinente ai diritti e obblighi che, in concreto, la
partecipazione sociale sia idonea ad attribuire e
non al suo valore economico), solo se il cedente
abbia fornito, a tale riguardo, specifiche garanzie
contrattuali, ovvero nel caso di dolo di un
contraente, quando il mendacio o le omissioni
sulla situazione patrimoniale della società siano
accompagnate da malizie ed astuzie volte a
realizzare l'inganno ed idonee, in concreto, a
sorprendere una persona di normale diligenza.
Cass.civ., sez. I., 16 luglio 2007 n. 16031, Vita
not., 2007,3, 1206. Conf. Trib. Milano, 26
novembre 2001, Soc., 2002, 568; Trib. Catania,
30 aprile 1997, Giur. Comm., 99,II, 681.
7968/408
Articolo 2347 Indivisibilità delle azioni . [I]. Le azioni sono indivisibili. Nel caso di comproprietà
di un'azione, i diritti dei comproprietari devono essere esercitati da un rappresentante comune
nominato secondo le modalità previste dagli articoli 1105 e 1106. [II]. Se il rappresentante comune
non è stato nominato, le comunicazioni e le dichiarazioni fatte dalla società a uno dei
comproprietari sono efficaci nei confronti di tutti. [III]. I comproprietari dell'azione rispondono
solidalmente
delle
obbligazioni
da
essa
derivanti.
Sommario:1.Poteri di competenza esclusiva del rappresentante comune.
1.Poteri di competenza esclusiva del
rappresentante comune. Giurisprudenza di
legittimità.- In caso di comproprietà di
partecipazioni azionarie, l'impugnazione di una
deliberazione assembleare può essere proposta
esclusivamente dal rappresentante comune
indicato nell'art. 2347 c.c. e non dal singolo
comproprietario, carente del potere d'impugnare
così come di quello di esercitare il diritto
d'intervento e di voto in assemblea.
Cass.civ., sez. I., 18 luglio 2007 n. 15962, Riv.
not., 2008,3, 658. Conf. App. Milano, 31 gennaio
2003,Giur. Comm.., 2003, II,612; Trib. Catania,
30 aprile 1997, Giur. Comm., 99,II, 681; .Trib.
Salerno, 16 febbraio2007, Riv.not, 2008,II,191
Contra Trib Milano, 28 giugno 2001, Giur.
It.,2001, 2323.
7968/516
Articolo 2348 Categorie di azioni . [I]. Le azioni devono essere di uguale valore e conferiscono ai
loro possessori uguali diritti. [II]. Si possono tuttavia creare, con lo statuto o con successive
modificazioni di questo, categorie di azioni fornite di diritti diversi anche per quanto concerne la
incidenza delle perdite. In tal caso la società, nei limiti imposti dalla legge, può liberamente
determinare il contenuto delle azioni delle varie categorie. [III]. Tutte le azioni appartenenti ad una
medesima
categoria
conferiscono
uguali
diritti.
Importante novità della riforma, dettata dalla
volontà di rendere più flessibile e dunque più
competitiva la s.p.a. , è quella di aver previsto
espressamente la possibilità
di creare categorie atipiche di azioni oltre ad
un maggior numero di categorie speciali di
azioni
Articolo 2349 Azioni e strumenti finanziari a favore dei prestatori di lavoro . [I]. Se lo statuto
lo prevede, l'assemblea straordinaria può deliberare l'assegnazione di utili ai prestatori di lavoro
dipendenti delle società o di società controllate mediante l'emissione, per un ammontare
corrispondente agli utili stessi, di speciali categorie di azioni da assegnare individualmente ai
prestatori di lavoro, con norme particolari riguardo alla forma, al modo di trasferimento ed ai diritti
spettanti agli azionisti. Il capitale sociale deve essere aumentato in misura corrispondente. [II].
L'assemblea straordinaria può altresì deliberare l'assegnazione ai prestatori di lavoro dipendenti
della società o di società controllate di strumenti finanziari, diversi dalle azioni, forniti di diritti
patrimoniali o anche di diritti amministrativi, escluso il voto nell'assemblea generale degli azionisti.
In tal caso possono essere previste norme particolari riguardo alle condizioni di esercizio dei diritti
attribuiti, alla possibilità di trasferimento ed alle eventuali cause di decadenza o riscatto.
Articolo 2350 Diritto agli utili e alla quota di liquidazione. [I]. Ogni azione attribuisce il
diritto a una parte proporzionale degli utili netti e del patrimonio netto risultante dalla liquidazione,
salvi i diritti stabiliti a favore di speciali categorie di azioni. [II]. Fuori dai casi di cui all'articolo
2447-bis, la società può emettere azioni fornite di diritti patrimoniali correlati ai risultati dell'attività
sociale in un determinato settore. Lo statuto stabilisce i criteri di individuazione dei costi e ricavi
imputabili al settore, le modalità di rendicontazione, i diritti attribuiti a tali azioni, nonché le
eventuali (2) condizioni e modalità di conversione in azioni di altra categoria. [III]. Non possono
essere pagati dividendi ai possessori delle azioni previste dal precedente comma se non nei limiti
degli utili risultanti dal bilancio della società.
Sommario:1.Situazione giuridica soggettiva del socio rispetto alla distribuzione degli utili. Giurisprudenza di
legittimità 2.Clausola di divieto di distribuzione degli utili. Giurisprudenza di legittimità
1.Situazione giuridica soggettiva del socio
rispetto alla distribuzione degli utili
Giurisprudenza di legittimità.- In tema di
società, la costituzione del rapporto societario e
l'originario conferimento, pur rappresentando il
presupposto giuridico del diritto del socio alla
quota di liquidazione, non rilevano come fatto
direttamente genetico di un contestuale credito
restitutorio del conferente, configurandosi la
posizione di quest'ultimo come mera aspettativa o
diritto in attesa di espansione, destinato a divenire
attuale soltanto nel momento in cui si addivenga
alla liquidazione (del patrimonio della società o
della singola quota del socio, al verificarsi dei
presupposti dello scioglimento del rapporto
societario soltanto nei suoi confronti), ed alla
condizione che a tale momento dal bilancio (finale
o di esercizio) risulti una consistenza attiva
sufficiente a giustificare l'attribuzione "pro quota"
al socio stesso di valori proporzionali alla sua
partecipazione. Pertanto, il credito relativo alla
quota di liquidazione vantato dal socio di una
cooperativa escluso dalla società per effetto della
dichiarazione di fallimento (ovvero, ai sensi
dell'art. 2533 n. 5 c.c., nel testo introdotto dal d.lg.
n. 6 del 2003, a seguito della delibera di
esclusione che è in facoltà della società adottare in
caso di fallimento del socio) nasce o comunque
diviene certo esclusivamente nel momento in cui
interviene quella dichiarazione (o quella delibera),
con la conseguenza che, non potendosi
considerare detto credito anteriore al fallimento,
viene a mancare il presupposto necessario, ai
sensi dell'art. 56 l. fall., per la compensabilità
dello stesso con i contrapposti crediti vantati dalla
società nei confronti del socio.
Cass.civ., sez. I., 23 ottobre 2006 n. 22659,Giust.
civ. 2007, 12, 2770.Conf. Cass.civ., sez. I., 11
marzo 1993, n. 2959,Soc., 1993,1202.
7968/636
2.Clausola di divieto di distribuzione degli
utili. Giurisprudenza di legittimità.- Il
prevedere che le società aventi ad oggetto
l'esercizio di attività commerciali devono
costituirsi secondo i tipi di legge, non consente
l'adozione di clausole statutarie incompatibili con
il tipo di società prescelto; ne consegue che,
costituendo lo scopo di lucro un elemento
essenziale e caratterizzante il tipo della società per
azioni, l'assemblea straordinaria della società non
può deliberare la sostituzione dello scopo
lucrativo con uno scopo non lucrativo, mediante
l'introduzione del divieto di distribuzione degli
utili, al di fuori delle tassative ipotesi nelle quali è
espressamente consentita l'utilizzazione del tipo
della s.p.a. per uno scopo non lucrativo e del
procedimento di trasformazione della società in
società cooperativa; peraltro, la delibera
dell'assemblea straordinaria di una s.p.a. che
sostituisca, a livello statutario, allo scopo di lucro
soggettivo uno scopo mutualistico, non incide
sulla causa del contratto di società e neppure dà
vita ad una società di tipo mutualistico e, benché
illegittima, se sia stata adottata con la
maggioranza stabilita per la modifica dello statuto
della società e non sia stata impugnata, comporta
l'utilizzazione della società per uno scopo diverso
da quello inerente alla sua forma giuridica, sicché
la successiva delibera che modifica la precedente,
ripristinando lo scopo di lucro, a sua volta,
neppure incide sulla causa del contratto di società
e, conseguentemente, avendo ad oggetto una
modificazione dello statuto, può validamente
essere adottata con le maggioranze stabilite a
questo fine.
Cass.civ., sez. I., 12 aprile 2005, n.
7536,Giust.civ. mass., 2005,4.
7968/636
principio di autonomia negoziale è applicabile al
contratto di società di capitali, con i limiti
derivanti dalla circostanza che l'art. 2249, c.c., nel
Articolo 2351 Diritto di voto. [I]. Ogni azione attribuisce il diritto di voto. [II]. Salvo quanto
previsto dalle leggi speciali, lo statuto può prevedere la creazione di azioni senza diritto di voto, con
diritto di voto limitato a particolari argomenti, con diritto di voto subordinato al verificarsi di
particolari condizioni non meramente potestative. Il valore di tali azioni non può complessivamente
superare la metà del capitale sociale. [III]. Lo statuto delle società che non fanno ricorso al mercato
del capitale di rischio può prevedere che, in relazione alla quantità di azioni possedute da uno stesso
soggetto, il diritto di voto sia limitato ad una misura massima o disporne scaglionamenti. [IV]. Non
possono emettersi azioni a voto plurimo. [V]. Gli strumenti finanziari di cui agli articoli 2346, sesto
comma, e 2349, secondo comma, possono essere dotati del diritto di voto su argomenti
specificamente indicati e in particolare può essere ad essi riservata, secondo modalità stabilite dallo
statuto, la nomina di un componente indipendente del consiglio di amministrazione o del consiglio
di sorveglianza o di un sindaco. Alle persone così nominate si applicano le medesime norme
previste
per
gli
altri
componenti
dell'organo
cui
partecipano.
Sommario:1.Legittimazione . Giurisprudenza di legttimità 2.-.Voto divergente . Giurisprudenza di merito
1.Legittimazione.Giurisprudenza
di
legittimità.- Effetto naturale del sequestro
penale preventivo - che, a norma dell'art. 321
c.p.p., ha la funzione di prevenire il pericolo che
la disponibilità di cose pertinenti al reato possa
aggravarne o protrarne le conseguenze ovvero
possa agevolare la commissione di ulteriori reati è, nel caso in cui abbia ad oggetto azioni di
società, l'attribuzione al custode giudiziario, in
luogo del socio, del diritto di intervento e di voto
in assemblea.
Cass.civ.,sez.I,18
giugno
2006,
n.13169,Foro
it.
2006,
10,
2864
siano riconducibili al medesimo socio fiduciante), potendosi giustificare un voto
divergente unicamente in presenza di un interesse
meritevole di tutela.
App. Bologna, 10 luglio 1995,Giur. it.., 1996,
I,2,590.
7968/636
E ammissibile il c.d. voto divergente da parte di
un unico procuratore che rappresenti più soci,
senza che in tal caso possa parlarsi di voto
contraddittorio.
Trib Milano, 14 aprile 1989, Giur. comm.,1990,II,
158.
7968/636
7968/636
2.Voto divergente. Giurisprudenza di
merito.- Poiché la partecipazione sociale è
unitaria, il socio che disponga di più azioni non
può votare con alcune di esse ed astenersi o votare
in modo diverso con altre (ancorché queste ultime
vengano intestate ad una società fiduciaria, ma
Articolo 2352 Pegno, usufrutto e sequestro delle azioni. [I]. Nel caso di pegno o usufrutto sulle
azioni, il diritto di voto spetta, salvo convenzione contraria, al creditore pignoratizio o
all'usufruttuario. Nel caso di sequestro delle azioni il diritto di voto è esercitato dal custode. [II]. Se
le azioni attribuiscono un diritto di opzione, questo spetta al socio ed al medesimo sono attribuite le
azioni in base ad esso sottoscritte. Qualora il socio non provveda almeno tre giorni prima della
scadenza al versamento delle somme necessarie per l'esercizio del diritto di opzione e qualora gli
altri soci non si offrano di acquistarlo, questo deve essere alienato per suo conto a mezzo banca od
intermediario autorizzato alla negoziazione nei mercati regolamentati. [III]. Nel caso di aumento
del capitale sociale ai sensi dell'articolo 2442, il pegno, l'usufrutto o il sequestro si estendono alle
azioni di nuova emissione. [IV]. Se sono richiesti versamenti sulle azioni, nel caso di pegno, il
socio deve provvedere al versamento delle somme necessarie almeno tre giorni prima della
scadenza; in mancanza il creditore pignoratizio può vendere le azioni nel modo stabilito dal secondo
comma del presente articolo. Nel caso di usufrutto, l'usufruttuario deve provvedere al versamento,
salvo il suo diritto alla restituzione al termine dell'usufrutto. [V]. Se l'usufrutto spetta a più persone,
si applica il secondo comma dell'articolo 2347. [VI]. Salvo che dal titolo o dal provvedimento del
giudice risulti diversamente, i diritti amministrativi diversi da quelli previsti nel presente articolo
spettano, nel caso di pegno o di usufrutto, sia al socio sia al creditore pignoratizio o
all'usufruttuario;
nel
caso
di
sequestro
sono
esercitati
dal
custode.
Sommario:1.-Costituzione.Giurisprudenza di merito 2.-Diritti reali limitati e clausola di prelazione. Giurisprudenza di
merito 2.-.L’esercizio dei diritti amministrativi. Casisitica. .Giurisprudenza di legittimità.-2.1.L’esercizio dei diritti
amministrativi.Casisitica..Giurisprudenzadimerito
1.Costituzione.
Giurisprudenza
di
legittimità.- Il pegno di azioni si costituisce
mediante annotazione sul titolo e nel libro dei soci
ma si perfeziona solo con la consegna materiale
dei titoli oppignorati; di conseguenza, ai fini della
revoca ex art. 67 comma 1 n. 4 l. fall., è
necessario far riferimento alla data in cui i titoli
azionari sono consegnati al creditore pignoratizio.
Trib Milano, 28 giugno 2001,Banca Borsa Tit.
cred..,1983,II, 506.
7968/564
2.Diritti reali limitati e clausola
prelazione. Giurisprudenza di merito.-
di
Premesso che la clausola di prelazione azionaria,
contenuta nello statuto e riferita genericamente
alle cessioni di azioni, può, in sede di sommaria
delibazione, qual è quella dell'esame del ricorso
per misura cautelare, intendersi come
comprensiva anche della cessione dell'usufrutto
sulle azioni, nella valutazione delle condizioni
necessarie per la concessione di una misura
cautelare, richiesta dai convenuti nel caso di
giudizio promosso per fare accertare la validità
della cessione dell'usufrutto su azioni, compiuta in
violazione della clausola predetta, deve ritenersi
sussistente, oltre che il requisito della
infondatezza della domanda attrice, anche quello
del pericolo di lesione ai diritti dei convenuti, ai
fini di concedere la richiesta misura cautelare che,
nella specie, si identifica, a norma dell'art. 700
c.p.c., nella nomina di un amministratore
giudiziario, la cui gestione consenta il
congelamento dell'assetto azionario fino alla
definizione del giudizio.
Trib.Bologna,03agosto1994,Soc., 1995, 660
7968/564
3.L’esercizio dei diritti amministrativi.
Casistica.Giurisprudenza di legittimità.-La
partecipazione all'assemblea di una società di
capitali da parte di soci titolari della maggioranza
del capitale sociale, ma privi del diritto di voto per
aver costituito in pegno le proprie azioni, non
inficia la validità della costituzione dell'organo
societario, e non impedisce che la delibera
adottata sia, pur sempre, imputabile all'ente tutte
le volte in cui alla stessa assemblea abbiano,
altresì, partecipato soci legittimati, benché
detentori della minoranza del capitale sociale, con
la conseguenza che la delibera adottata con il voto
(eventualmente) determinante dei soci non
legittimati è annullabile, ma non inesistente,
diversamente dalla ipotesi in cui, all'assemblea,
abbiano partecipato, esercitando il diritto di voto,
esclusivamente i soci non legittimati. Il vizio
derivante dall'esercizio del diritto di voto da parte
del socio datore di pegno attiene, difatti, al
rapporto tra il socio stesso ed il creditore
pignoratizio, e non riguardo, per converso,
l'organo assembleare, essendo in facoltà del
creditore pignoratizio di azioni manifestare
tacitamente la volontà di ratificare quel voto
astenendosi dall'impugnare la delibera adottata
con il voto del titolare delle azioni date in pegno.
In tema di delibere dell'assemblea di una s.p.a., il
creditore pignoratizio di azioni dell'ente,
nell'esercizio del diritto di voto (a lui riconosciuto
"ex lege"), deve, comunque, ispirarsi ai principi
della buona amministrazione societaria ed
attenersi al perseguimento dell'interesse sociale,
senza coltivare, pertanto, interessi egoistici ovvero
in contrasto con quelli della società.
Ai fini del raggiungimento del "quorum"
costitutivo dell'assemblea di una società per
azioni, sono legittimamente computabili le azioni
del socio datore di pegno, quand'anche questi
risulti titolare di gran parte del capitale sociale,
considerato che, a differenza di quanto sancito in
tema di esercizio del diritto di voto da parte del
socio in conflitto di interessi con la società, l'art.
2352 c.c. prevede espressamente la possibilità di
stabilire, con apposita convenzione, che il diritto
di voto sia esercitato dal socio datore di pegno,
anziché dal creditore pignoratizio.
Cass.civ.,sez.I,10marzo1999,n.2053,Riv.Not.,199
9,1548.
.
7968/564
Poiché la costituzione del diritto di pegno sulle
azioni non implica il trasferimento della
disponibilità della partecipazione societaria del
debitore in capo al creditore pignoratizio, questi
non è legittimato, neppure in via surrogatoria, ad
esercitare diritto di recesso di cui all'art. 2437 c.c.
Cass.civ.,sez.I,12luglio2002,n.10144,Foroit.,2003,
I,1194.
7968/564
Nel caso di pegno o usufrutto di azioni, la
legittimazione ad impugnare le deliberazioni
assembleari invalide ai sensi dell'art. 2377 c.c.
spetta al creditore pignoratizio o all'usufruttuario,
salva l'azione per il risarcimento dei danni
spettante al socio titolare delle azioni nel caso che
la votazione sia stata compiuta per danneggiarlo e
salva altresì l'azione di nullità ex art. 2379 c.c. per
l'illiceità dell'oggetto della deliberazione
Cass.civ.,sez.I,02agosto1977,n.3422,Banca borsa
tit.cred.,1979,69,II.
7968/564
3.L’esercizio dei diritti amministrativi.
Casistica.Giurisprudenza di merito. .- Il
creditore pignoratizio partecipa all'organizzazione
societaria, spettando ad esso, quale titolare del
diritto di voto in assemblea, tutte le facoltà sociali
correlate e strumentali all'esercizio di quel diritto.
Trib.Monza,10 luglio 2000,Giur. comm. 2002, II,
410
informazioni necessarie per l'esercizio del voto.
Tuttavia, la titolarità del diritto di voto rimane in
capo al socio debitore e il creditore pignoratizio
deve ispirare il suo comportamento assembleare al
principio della buona amministrazione e
conservazione del valore della azione.
Trib.Gorizia,30 ottobre2001,Soc., 2002, 203
7968/564
7968/564
Nel caso in cui si dispone sequestro giudiziario su
azioni soggette a pegno, il diritto di voto relativo è
attribuito al custode giudiziario, anche qualora
detti titoli siano detenuti dal creditore pignoratizio
cui il diritto di voto spetta ex art. 2352, c.c. e di
detta dazione di garanzia sia fatta esplicita
menzione nel ricorso per il sequestro.
Trib.Aosta,19 settembre 1995,Soc.,1996, 201
Qualora il creditore pignoratizio eserciti il diritto
di voto a lui spettante ai sensi dell'art. 2352 in
violazione del dovere di conservare il valore delle
azioni avute in pegno, ciò non si riflette sulla
validità della delibera, ma incide unicamente sul
piano dei rapporti interni tra debitore e creditore,
legittimando una richiesta di risarcimento dei
danni che ne siano eventualmente derivati.
Trib.Milano,11luglio1994,Giur.it., 1995,I,2, 830
7968/564
7968/564
In presenza di azioni sottoposte a sequestro
giudiziario, in relazione alle quali il custode non
abbia esercitato il diritto di opzione per non avere
ricevuto la provvista, il sequestro si estende alle
nuove azioni inoptate sottoscritte da parte di un
socio in forza del diritto di prelazione, ovvero da
parte di un terzo.
Trib.Milano,25novembre2002,Giur. it. 2003, 1885
7968/564
In caso di sequestro giudiziario di titoli azionari,
la legittimazione all'esercizio del diritto di
opzione ad essi relativo spetta a colui che riveste
la formale titolarità di socio - azionista della
società. Gli effetti dell'originario sequestro non si
estendono tuttavia alle azioni pervenute al socio a
seguito dell'opzione, e permane in capo al
sequestrante la facoltà di ottenere un nuovo
sequestro avente ad oggetto queste ultime.
Trib.Monza,11 gennaio 1996,Soc., 1996, 706
7968/564
.- Il creditore pignoratizio è legittimato, ex art.
2352 c.c., all'esercizio del diritto di voto in
assemblea. Tale norma attribuisce a tale soggetto
anche il diritto, di carattere strumentale, di
ispezionare i libri sociali al fine di ottenere le
Articolo 2353 Azioni di godimento.[I]. Salvo diversa disposizione dello statuto, le azioni di
godimento attribuite ai possessori delle azioni rimborsate non danno diritto di voto nell'assemblea.
Esse concorrono nella ripartizione degli utili che residuano dopo il pagamento delle azioni non
rimborsate di un dividendo pari all'interesse legale e, nel caso di liquidazione, nella ripartizione del
patrimonio sociale residuo dopo il rimborso delle altre azioni al loro valore nominale.
Articolo 2354 Titoli azionari . [I]. I titoli possono essere nominativi o al portatore, a scelta del
socio, se lo statuto o le leggi speciali non stabiliscono diversamente. [II]. Finché le azioni non siano
interamente liberate, non possono essere emessi titoli al portatore. [III]. I titoli azionari devono
indicare:
1) la denominazione e la sede della società;
2) la data dell'atto costitutivo e della sua iscrizione e l'ufficio del registro delle imprese dove la
società è iscritta;
3) il loro valore nominale o, se si tratta di azioni senza valore nominale, il numero complessivo
delle azioni emesse, nonché l'ammontare del capitale sociale;
4) l'ammontare dei versamenti parziali sulle azioni non interamente liberate;
5) i diritti e gli obblighi particolari ad essi inerenti. [IV]. I titoli azionari devono essere sottoscritti
da uno degli amministratori. È valida la sottoscrizione mediante riproduzione meccanica della
firma. [V]. Le disposizioni di questo articolo si applicano anche ai certificati provvisori che si
distribuiscono ai soci prima dell'emissione dei titoli definitivi. [VI]. Sono salve le disposizioni delle
leggi speciali in tema di strumenti finanziari negoziati o destinati alla negoziazione nei mercati
regolamentati. [VII]. Lo statuto può assoggettare le azioni alla disciplina prevista dalle leggi
speciali di cui al precedente comma.
Sommario:1.Natura delle cedole per l’esercizio dei diritti sociali . Giurisprudenza di legittimità 2.-.Ricevute di
versamento. Giurisprudenza di merito 3.- Certificato azionario provvisorio. Giurisprudenza di legittimità 4.Dematerializzazione. Giurisprudenza di legittimità
1.Natura delle cedole per l’esercizio dei
diritti
sociali.
Giurisprudenza
di
legittimità.- Qualora, con riguardo al diritto di
opzione spettante al socio sulle azioni di nuova
emissione, ne venga prevista l'incorporazione in
una determinata cedola da staccarsi dal certificato
azionario, deve escludersi che gli organi sociali
possano validamente imporre, per l'esercizio
dell'opzione stessa, la presentazione, oltre che
della cedola, anche del certificato azionario, atteso
che ciò implicherebbe una non consentita lesione
del diritto del socio, con la perdita della facoltà di
alienarlo.
Cass.civ.,sez.I,17marzo1989,n.1319,Foroit.,1989,I
,2196.Conf. App. Genova,31 dicembre 1993,
Giur.
Comm.,
1995,
II,
681
79687408
3.Il certificato azionario provvisorio.
Giurisprudenza di legittimità.- Il certificato
2.Ricevute di versamento. Giurisprudenza
di merito.- I certificati provvisori impropri (cioè
le ricevute rilasciate ai soci all'atto della
sottoscrizione delle azioni allo scopo di attestare
l'avvenuto versamento) non sono assimilabili ai
certificati provvisori di cui all'art. 2354 c.c. Essi
pertanto non legittimano il possessore all'esercizio
dei diritti inerenti allo "status" di socio.
Trib. Milano, 28 gennaio 1982, Giur. Comm.,
1983,II, 438
79687408
provvisorio di titoli azionari, qualora siano in esso
riportate tutte le indicazioni prescritte dall’art.
2354 c.c., costituisce, per tutto quanto attiene alla
disciplina giuridica, un titolo di credito, al pari
delle azioni che sostituisce, essendo disciplinato
in modo del tutto identico a queste ultime dal
decreto n. 239 del 1949, senza alcuna limitazione
temporale per la sua validità e neppure alcun
limite di tempo, dalla costituzione della società
per la sua emissione.
Cass.civ.,sez.I,21febbraio1979,n.1319,Foroit.,198
0,I,346.
79687408
L’emissione ed il rilascio, da parte di una società
per azioni, del titolo azionario definitivo,
ancorchè in favore di chi risulti socio dai registri
della società medesima, impone il preventivo
ritiro ed annullamento dell’eventuale certificato
azionario provvisorio, a tutela dell’inderogabile
esigenza che la stessa partecipazione non venga
contemporaneamente espressa da due titoli,
nonché dei diritti del terzo che sia nel legittimo
possesso o detenzione del certificato provvisorio.
L’inosservanza di tale dovere configura un
illecito, fonte di obbligazione risarcitoria nei
confronti di quel terzo che abbia risentito un
danno.
Cass.civ.,sez.I,2marzo1978,n.1052,Foroit.,1979,I,
865.
79687408
4.Dematerializzazione. Giurisprudenza di
legittimità.- La "dematerializzazione" (o
"decartolarizzazione") dei titoli di credito,
secondo il regime compiutamente attuato dalla l.
n. 231 del 1998, supera la fisicità del titolo,
consentendone forme di consegna e di
trasferimento virtuali (agli effetti, ad esempio,
della costituzione in pegno), senza la
movimentazione o addirittura neppure la
creazione del supporto cartaceo; essa non elimina,
però, anche la necessità dell'individuazione, a
norma dell'art. 1378 c.c., attraverso meccanismi
sia pure alternativi di scritturazione, del titolo
stesso come bene immateriale, configurandosi,
altrimenti, in relazione a questo, un credito e non
più un titolo di credito.
Cass.civ.,sez.I,14giugno2000,n.8107,Giust.civ.,20
00,I,2593.
79687408
Articolo 2355. Circolazione delle azioni. [I]. Nel caso di mancata emissione dei titoli azionari il
trasferimento delle azioni ha effetto nei confronti della società dal momento dell'iscrizione nel libro
dei soci. [II]. Le azioni al portatore si trasferiscono con la consegna del titolo. [III]. Il trasferimento
delle azioni nominative si opera mediante girata autenticata da un notaio o da altro soggetto
secondo quanto previsto dalle leggi speciali. Il giratario che si dimostra possessore in base a una
serie continua di girate ha diritto di ottenere l'annotazione del trasferimento nel libro dei soci, ed è
comunque legittimato ad esercitare i diritti sociali; resta salvo l'obbligo della società, previsto dalle
leggi speciali, di aggiornare il libro dei soci. [IV]. Il trasferimento delle azioni nominative con
mezzo diverso dalla girata si opera a norma dell'articolo 2022. [V]. Nei casi previsti ai commi sesto
e settimo dell'articolo 2354, il trasferimento si opera mediante scritturazione sui conti destinati a
registrare i movimenti degli strumenti finanziari; in tal caso, se le azioni sono nominative, si applica
il terzo comma e la scritturazione sul conto equivale alla girata.
Sommario:1.Usucapione. Giurisprudenza di legittimità
1.Usucapione. Giurisprudenza di legittimitàL'usucapione dei titoli azionari presuppone il
possesso "ad legitimationem" di essi, poiché solo
in tal modo si esteriorizza la situazione
possessoria mentre solo chi è legittimato, pur non
essendo titolare, può esercitare i poteri cartolari
inerenti al possesso. Il possessore acquista la
proprietà dei titoli azionari esercitando i poteri
collegati al possesso del documento (esercizio del
diritto di voto, diritto agli utili, ispezione dei libri
sociali, ecc.), non essendo sufficiente la mera
intestazione formale sul titolo. Per il possesso in
buona fede di un titolo azionario si richiede sin
dall'origine la doppia intestazione formale di cui
all'art. 2022 comma 2 c.c.
Per aversi usucapione abbreviata (decennale) di
un titolo nominativo azionario è necessario: a) un
possesso caratterizzato dalla duplice intestazione
formale sul titolo e nel registro dell'emittente e
consistente nell'esercizio dei diritti inerenti alla
qualità di socio; b) la buona fede, includente il
convincimento dell'esistenza di un titolo idoneo al
trasferimento delle azioni. Tale possesso di buona
fede deve pertanto sussistere sia in ordine alla
idoneità nel negozio traslativo a trasferire il diritto
cartolare, sia relativamente ai requisiti formali che
sono necessari "ad legitimationem".
Cass.civ.,sez.I,06aprile1982,Foro it. 1983, I,1695
7968/408
In tema di effetti del possesso di buona fede di
titoli di credito, l'acquisto di azioni di nuova
emissione non può considerarsi avvenuto "in
conformità delle norme che ne disciplinano la
circolazione", come prescrive l'art. 1994 c.c.,
allorché tali azioni siano state illegittimamente
considerate non optate (nella specie, per la
presunta estraneità alla compagine sociale di
coloro che avevano effettuato richiesta di
sottoscrizione delle azioni di nuova emissione, e
che, invece, all'esercizio di questo diritto erano
legittimati).
Cass.civ.,sez.I,15luglio2004,Banca borsa tit. cred.
2006, 1, 1.
7968/408
Articolo 2355 Bis. Limiti alla circolazione delle azioni. [I]. Nel caso di azioni nominative ed in quello di
mancata emissione dei titoli azionari, lo statuto può sottoporre a particolari condizioni il loro trasferimento e
può, per un periodo non superiore a cinque anni dalla costituzione della società o dal momento in cui il
divieto viene introdotto, vietarne il trasferimento. [II]. Le clausole dello statuto che subordinano il
trasferimento delle azioni al mero gradimento di organi sociali o di altri soci sono inefficaci se non
prevedono, a carico della società o degli altri soci, un obbligo di acquisto oppure il diritto di recesso
dell'alienante; resta ferma l'applicazione dell'articolo 2357. Il corrispettivo dell'acquisto o rispettivamente la
quota di liquidazione sono determinati secondo le modalità e nella misura previste dall'articolo 2437-ter.
[III]. La disposizione del precedente comma si applica in ogni ipotesi di clausole che sottopongono a
particolari condizioni il trasferimento a causa di morte delle azioni, salvo che sia previsto il gradimento e
questo sia concesso. [IV]. Le limitazioni al trasferimento delle azioni devono risultare dal titolo.
Sommario:1.-Il divieto di trasferimento. Massime Consiglio Notarile di Milano. 2.-.La clausola di prelazione e la
costituzione dei diritti reali. Operatività. Sussistenza Giurisprudenza consolidata.2.1.-La clausola di prelazione e la
parità di condizioni. Giurisprudenza consolidata. -2.2.. L’operatività della clausola di prelazione in fattispecie
particolari. Giurisprudenza di legittimità . -2.2.1. L’operatività della clausola di prelazione in fattispecie particolari.
Giurisprudenza di legittimità e Massima Consiglio Notarile di Milano 2.3.. L’efficacia reale della clausola di
prelazione. Giurisprudenza maggioritaria 3.- La clausola di gradimento. Giurisprudenza di legittimità. 3.1- La clausola
di gradimento. Massima Consiglio Notarile di Milano. - 4. Clausole limitative della circolazione azioni, applicabili solo
a determinate categorie di azioni.-5. Violazione: inefficacia o nullità?.- 5.1.Violazione:non spettanza di un diritto di
riscatto
1.Il divieto di trasferimento. Massime Consiglio
Notarile di Milano - Le clausole di mero
gradimento contenute nello statuto di s.p.a. sono
efficaci anche nel caso in cui (pur non
prevedendosi il diritto di recesso ovvero l’obbligo,
per la società o per gli altri soci, di acquistare le
azioni al valore stabilito per il recesso, come prevede l´art. 2355 bis c.c.) contemplino l´obbligo
per la società o per gli altri soci di acquistare "a
parità di condizioni", cioè al prezzo che
l´alienante ha concordato con il terzo non gradito,
ovvero l´obbligo, per la società, di procurare altro
acquirente gradito, che acquisti al valore stabilito
per il recesso o "a parità di condizioni".
Consiglio notarile di Milano, massima n.32,
19.11.2004.
7968/612
Sono legittime, anche in assenza del termine di
efficacia di cinque anni di cui al-l´art. 2355 bis, 1°
comma, c.c., le clausole che vietano la
costituzione di usufrutto o di pegno su azioni.
Sono legittime, ed efficaci anche in assenza della
previsione di un obbligo di ac-quisto a carico
della società o degli altri soci ovvero del diritto di
recesso del costituente, le clausole di mero
gradimento riferite alla costituzione di usufrutto o
di pegno su azioni.
Consiglio notarile di Milano, massima n.34,
19.11.2004
7968/612
Non è sufficiente il consenso dei soci, espresso al
di fuori di un'assemblea straordinaria
(nella s.p.a.) o di un'assemblea che deliberi con le
maggioranze e con le forme
necessarie per modificare l'atto costitutivo (nella
s.r.l.), per trasferire con effetto verso la
società le azioni o le partecipazioni la cui
circolazione è vietata dallo statuto in conformità
al disposto degli articoli 2355 bis, comma 1, o
2469 c.c..
Nella s.p.a. è comunque legittima la clausola che nel limite temporale di cinque
anni previsto dall'art. 2355 bis, comma 1, c.c. preveda il divieto del trasferimento delle
azioni e nel contempo l'ammissibilità del
trasferimento stesso in presenza del consenso
dei soci.
Nella s.r.l. la medesima clausola determina il
diritto di recesso ai sensi
dell’articolo 2469, comma 2, salva la possibilità di
escluderlo limitatamente ad un periodo
massimo di due anni.
Consiglio notarile di Milano, massima n.92,
18.05.2007
7968/612
2.La clausola di prelazione e la costituzione dei
diritti
reali.
Operatività.
Sussistenza.
Giurisprudenza di merito consolidata Premesso che la clausola di prelazione azionaria,
contenuta nello statuto e riferita genericamente
alle cessioni di azioni, può, in sede di sommaria
delibazione, qual è quella dell'esame del ricorso
per
misura
cautelare,
intendersi
come
comprensiva anche della cessione dell'usufrutto
sulle azioni, nella valutazione delle condizioni
necessarie per la concessione di una misura
cautelare, richiesta dai convenuti nel caso di
giudizio promosso per fare accertare la validità
della cessione dell'usufrutto su azioni, compiuta in
violazione della clausola predetta, deve ritenersi
sussistente, oltre che il requisito della
infondatezza della domanda attrice, anche quello
del pericolo di lesione ai diritti dei convenuti, ai
fini di concedere la richiesta misura cautelare che,
nella specie, si identifica, a norma dell'art. 700
c.p.c., nella nomina di un amministratore
giudiziario, la cui gestione consenta il
congelamento dell'assetto azionario fino alla
definizione del giudizio.
Trib. Bologna, 3 agosto 1994, Giur. Comm.,
1994, II, 880 Conf. Trib. Trieste, 14 agosto 1998,
Giur. Comm., 1998, II, 736
7968/612
2.1. La clausola di prelazione e la parità di
condizioni.
Giurisprudenza
consolidata.Presupposto di applicabilità della clausola
statutaria di prelazione, stabilita "a parità di
condizioni" è l'indifferenza della sostituzione del
cessionario rispetto alle altre componenti
negoziali della cessione. Non costituisce quindi
violazione della clausola la cessione delle quote
sociali effettuata mediante loro conferimento in
altra società, poiché essa realizza un negozio di
tipo associativo e non un semplice contratto di
scambio.
Trib. Milano, 6 febbraio 2002, Giur.it.,
2002,1220. Conf. Trib. Foggia, 19 ottobre 1991,
Dir. e giur. 1992, 590
7968/612
La clausola di prelazione prevista genericamente
"in caso di trasferimento per atto tra vivi" delle
quote non si applica anche ai trasferimenti a titolo
gratuito in mancanza di espressa previsione in tal
senso.
Cass. civ., sez. I, 12 gennaio 1989, n. 93,Riv.
Not., 1989, 1244. 7968/612
2.2. L’operatività della clausola di prelazione
in fattispecie particolari. Giurisprudenza di
legittimità. - La clausola di prelazione (…)è
dettata nell'interesse dei soci che intendono
garantirsi contro il rischio di mutamento della
compagine sociale; peraltro, in caso di
retrocessione di partecipazioni oggetto di
intestazione fiduciaria non vi è, dal punto di vista
sostanziale, mutamento nelle persone dei soci,
operando il fiduciante nell'interesse e secondo le
istruzioni del mandante; pertanto, il fiduciante,
che sia titolare di proprie quote, non può invocare
il diritto di prelazione, in quanto il trasferimento
delle quote al mandante fa parte del pactum
fiduciae.
Cass. civ., sez. I, 2 maggio 2007, n. 10121, Giust.
civ.,Mass.2007,5
7968/612
2.2.1. L’operatività della clausola di prelazione
in fattispecie particolari. Giurisprudenza di
merito e Massima Consiglio Notarile di Milano.
- Nel caso di espropriazione forzata (concorsuale
come singolare), le modalità della vendita,
stabilite dalla legge e attuate dal giudice, sono
dirette alla tutela delle ragioni dei creditori, le
quali, per la loro natura pubblicistica, prevalgono
su qualsiasi interesse confliggente, sì da
comportare la inoperatività della clausola di
prelazione eventualmente contenuta nello statuto
di una società per azioni.
Trib Perugia,07 luglio 1989,Banca borsa tit. cred.
1992, II,723
7968/612
La clausola statutaria di prelazione, avendo
efficacia "erga omnes" è opponibile alla società
che voglia acquistare le proprie azioni.
Trib.Verona,25ottobre1986,Riv.Not.1988,1003.
7968/612
Devono ritenersi inefficaci (salvo che sia
espressamente previsto il diritto di recesso) le
clausole di prelazione contenute in statuti di s.p.a.
che attribuiscano il diritto di esercitare la
prelazione, al di là dei limiti temporali di cui
all'art. 2355-bis, comma 1, c.c., per un
corrispettivo, diverso da quello proposto
dall’alienante, determinato con criteri tali da
quantificarlo in un ammontare significativamente
inferiore a quello che risulterebbe applicando i
criteri di calcolo previsti in caso di recesso.
Consiglio notarile di Milano, massima n.85,
15.11.2005
7968/612
2.3. L’efficacia reale della clausola di
gradimento. Giurisprudenza maggioritaria.- In
tema di vendita di azioni di una società, qualora il
diritto di prelazione riconosciuto ai singoli soci da
apposita clausola statutaria riguardi ogni singolo
contratto avente ad oggetto le azioni di ciascun
socio, non è consentita la vendita in modo
congiunto e per un prezzo globale delle azioni
appartenenti a più soci, non operando, in tal caso,
la regola della cosiddetta "inscindibilità della
prelazione". Infatti, detta clausola statutaria, al
pari di qualsiasi altra pattuizione riguardante
posizioni soggettive individuali dei soci che venga
iscritta nello statuto della società, ha efficacia
reale, sicché i suoi effetti sono opponibili anche al
terzo acquirente, e pertanto il patto "parasociale",
col quale alcuni soci si accordino per vendere
congiuntamente le azioni di loro proprietà per un
prezzo globale, intervenuto successivamente alla
stipulazione della clausola di prelazione, non
potrebbe legittimare la violazione del diritto di
prelazione riconosciuto dalla stessa clausola ai
soci che non abbiano aderito a detto patto
parasociale.
Cass.civ.,sez.I,29agosto1998,n.8645,Giust.civ.Ma
ss.,1998,1815. Conf. Trib. Bari,21 ottobre 2008,
Giurisprudenzabarese.it;
Trib.Milano,
22
giugno
2001,
Giur.
it.
2002,
1898;
Trib.
Como,
23 febbraio 1994,Soc.,1994, 678
7968/612
3.La clausola di gradimento. Giurisprudenza
di legittimità- In relazione a una clausola dello
statuto di società per azioni che subordini
l'efficacia del trasferimento delle azioni al
gradimento di organi sociali, è legittimato a
chiedere tale gradimento solo il socio alienante e
non anche l'acquirente delle azioni, ancora
estraneo alla compagine sociale e non destinatario
dell'ordinamento interno della società. L'interesse
dell'acquirente, peraltro, può sorgere in un
momento successivo, qualora l'organo sociale
emetta una delibera di rifiuto viziata da invalidità,
così come lo stesso acquirente deve ritenersi
legittimato nella diversa ipotesi in cui egli faccia
valere l'invalidità della clausola statutaria e la
conseguente
opponibilità
alla
società
dell'alienazione delle ragioni. (Nella specie,
confermata la statuizione di merito dichiarativa
della validità della specifica clausola di
gradimento, la S.C. ha rilevato che non poteva
ritenersi rilevante la richiesta di gradimento in
ipotesi formulata dall'acquirente).
Cass.civ.,sez.I,20luglio1995,n.7890,Giust.
civ.,
Mass.1995,1404
7968/612
La circostanza che l'organo collegiale di
amministrazione di una società di capitali,
nell'ambito del potere statutario di aderire o meno
al proposito del socio di cedere ad altri le sue
azioni, si esprima favorevolmente, senza però
indicare od esigere l'indicazione del promissario
acquirente, non priva la relativa delibera degli
essenziali requisiti di contenuto, atteso che
quell'omissione si traduce in un apprezzamento
negativo, ai fini del gradimento, dell'influenza
dell'identificazione del nuovo socio: la delineata
evenienza non può, pertanto, comportare
inesistenza o nullità assoluta della delibera, ma si
esaurisce in uno scorretto esercizio del suddetto
potere da parte degli amministratori e la tutela
della società resta affidata all'azione di
responsabilità contro gli amministratori, secondo
le previsioni dell'art. 2392 c.c., tenendo anche
conto che l'impugnazione delle delibere del
consiglio di amministrazione - nei casi e nei tempi
contemplati dall'art. 2391 c.c. - è rimedio
accordato solo agli amministratori assenti o
dissenzienti ed ai sindaci ed estensibile solo in
favore dei soci che subiscono diretta lesione dei
propri diritti.
Cass.civ.,sez.I,15
novembre
1993,
n.11278,Giust. civ. 1994, I,1583
7968/612
3.1. La clausola di gradimento. Massima
Consiglio Notarile di Milano.-Le clausole di
mero gradimento contenute nello statuto di s.p.a.
sono efficaci anche nel caso in cui (pur non
prevedendosi il diritto di recesso ovvero l’obbligo,
per la società o per gli altri soci, di acquistare le
azioni al valore stabilito per il recesso, come
prevede l'art. 2355 bis c.c.) contemplino l'obbligo
per la società o per gli altri soci di acquistare "a
parità di condizioni", cioè al prezzo che l'alienante
ha concordato con il terzo non gradito, ovvero
l'obbligo, per la società, di procurare altro
acquirente gradito, che acquisti al valore stabilito
per il recesso o “a parità di condizioni”.
Consiglio notarile di Milano, massima n.32,
19.11.2004
7968/612
4.Clausole limitative della circolazione azioni,
applicabili solo a determinate categorie di
azioni. Massima Consiglio Notarile di Milano.E' legittima la previsione statutaria di diverse
regole di circolazione delle azioni dis.p.a. o delle
partecipazioni di s.r.l., che siano applicabili non
già a tutte le azioni o partecipazioni emesse dalla
società, bensì solo ad alcune di esse. Tale facoltà
– che incontra ovviamente i medesimi vincoli
imposti dalla legge perla generalità delle azioni o
partecipazioni sociali – può riguardare sia le
clausole comportanti limiti alla circolazione in
senso proprio (ad es. prelazione, gradimento, etc.),
sia le altre clausole riguardanti in senso lato il
trasferimento delle azioni (ad es. tecniche di
rappresentazione delle azioni, riscatto, recesso
convenzionale, etc.).In queste circostanze, il
diverso regime di circolazione dà luogo: (i) nella
s.p.a., a diverse categorie di azioni ai sensi dell'art.
2348 c.c., ciascuna delle quali caratterizzata dalle
regole statutarie ad essa applicabili; (ii) nella s.r.l.,
a diritti particolari dei soci ai sensi dell'art. 2468
c.c., spettanti ai singoli soci cui si applica il
diverso regime di circolazione.. .
Consiglio notarile di Milano, massima n.95,
18.05.2007
7968/612
5.Violazione.Giurisprudenza
recenteLa
clausola inserita nello statuto di una società di
capitali che contempli un diritto di prelazione in
capo ai soci per l'evenienza del trasferimento di
partecipazioni sociali è posta a garanzia
dell'interesse del soggetto collettivo, di talché
l'eventuale trasferimento compiuto in spregio
della prelazione non è nullo, ma inopponibile alla
società, la quale può decidere di rifiutare
l'annotazione del trasferimento nel libro soci
ovvero, in alternativa, di proporre una domanda
giudiziale di accertamento dell'inefficacia relativa
della cessione.
Trib.Catania,05maggio2003,Gius 2003, 1778.
Conf.
Trib.Roma,
04maggio1998,Riv. dir. comm. 1999, II,
65;Trib.Catania,06febbraio2003,Giur.
comm.
2003, II, 761.
Contra e nel senso della nullità:Trib. Cagliari, 7
gennaio 2001, Riv. Giur. Sarda, 2002, 125; Trib.
Catania, 5 maggio 2003, Soc., 2004, 69; Cass.
1973 n. 2763; Cass. 1957 n. 3702.
7968/612
5.1.Violazione: non spettanza di un diritto di
riscatto-Giurisprudenza maggioritaria La
domanda del socio pretermesso, fondata sulla
violazione del patto di prelazione, può condurre
alla dichiarazione di inefficacia assoluta del
contratto di vendita all'acquirente; inappropriata è,
invece, la notizia di nullità, in quanto questa non è
sanzione disponibile delle parti ma consegue per
legge alla violazione di norme imperative.
L'esperimento dell'azione non implica anche la
possibilità per il socio pretermesso di esercitare il
diritto di riscatto, il quale costituisce ipotesi
eccezionale limitata ai casi tassativi di legge.
Trib.Roma,04maggio1998,Riv. dir. comm. 1999,
II, 65
7968/612
Articolo 2356 .Responsabilità in caso di trasferimento di azioni non liberate . [I]. Coloro che hanno
trasferito azioni non liberate sono obbligati in solido con gli acquirenti per l'ammontare dei versamenti
ancora dovuti, per il periodo di tre anni dall'annotazione del trasferimento nel libro dei soci. [II]. Il
pagamento non può essere ad essi domandato se non nel caso in cui la richiesta al possessore dell'azione sia
rimasta infruttuosa.
Sommario:1.-Fattispecie.Giurisprudenza
1.Fattispecie. Giurisprudenza di legittimità.- La
compravendita di azioni può trasferire in capo
all'acquirente, indipendentemente da specifico
patto, gli obblighi inerenti alla qualità di socio,
posti dall'atto costitutivo o da deliberazioni
assembleari, non anche quelli che derivino da
impegni personalmente assunti dal venditore
di
legittimità.
verso la società con autonomi contratti (nella
specie, per l'erogazione di mezzi finanziari),
rispetto ai quali, pertanto, un debito
dell'acquirente medesimo, sia pure come dovere di
tenere indenne il venditore di quanto sborsato in
favore della società, può derivare soltanto da
un'espressa clausola della compravendita stessa.
Cass.civ.,sez.I,30 marzo 1987,n. 3052,Giust.
civ.,Mass.,1987,fasc.3
7968/408
Articolo 2357 Acquisto delle proprie azioni. [I]. La società non può acquistare azioni proprie se non nei
limiti degli utili distribuibili e delle riserve disponibili risultanti dall'ultimo bilancio regolarmente approvato.
Possono essere acquistate soltanto azioni interamente liberate. [II]. L'acquisto deve essere autorizzato
dall'assemblea, la quale ne fissa le modalità, indicando in particolare il numero massimo di azioni da
acquistare, la durata, non superiore ai diciotto mesi, per la quale l'autorizzazione è accordata, il corrispettivo
minimo ed il corrispettivo massimo. [III]. Il valore nominale delle azioni acquistate a norma del primo e
secondo comma dalle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio non può eccedere la quinta
parte del capitale sociale, tenendosi conto a tal fine anche delle azioni possedute da società controllate .[IV].
Le azioni acquistate in violazione dei commi precedenti debbono essere alienate secondo modalità da
determinarsi dall'assemblea, entro un anno dal loro acquisto. In mancanza, deve procedersi senza indugio al
loro annullamento e alla corrispondente riduzione del capitale. Qualora l'assemblea non provveda, gli
amministratori e i sindaci devono chiedere che la riduzione sia disposta dal tribunale secondo il
procedimento previsto dall'articolo 2446, secondo comma. [V]. Le disposizioni del presente articolo si
applicano anche agli acquisti fatti per tramite di società fiduciaria o per interposta persona.
Sommario:1.-L’ambito del divieto. Giurisprudenza di legittimità 2.-.I requisiti della delibera di autorizzazione.
Giurisprudenza di legittimità.3.-La sanzione. Giurisprudenza di legittimità
1.L’ambito del divieto. Giurisprudenza di
legittimità.- L'ipotesi dell'acquisto di azioni,
emesse da una società controllante, oltre il limite
del 10% del suo capitale, da parte di altra società
indirettamente controllata, equivale a quella
dell'assunzione del controllo indiretto su una
società, che già detenga più del 10% del capitale
di quella, che ne assume il predetto controllo.
Cass.civ.,sez.I,13 marzo 2003,n. 3722,Soc., 2003,
824
7968/408
12.I requisiti della delibera di autorizzazione.
Giurisprudenza di legittimità.- L'autorizzazione
all'acquisto di azioni proprie, in quanto
espressione di una competenza specifica
dell'assemblea (in aggiunta alla competenza
generale disposta dall'art. 2364 c.c.) e diretta a
dare impulso ad uno specifico programma di
azione della società, non può considerarsi come
situazione meramente accessoria e conseguente
all'esame del bilancio di esercizio. Di
conseguenza deve ritenersi invalida la delibera
dell'assemblea nella parte in cui ha disposto di
destinare parte degli utili realizzati all'acquisto di
azioni proprie, senza che tale oggetto fosse
indicato
espressamente
nell'avviso
di
convocazione dei soci.
Cass.civ.,sez.I,20dicembre1995,n. 13019,Giust.
civ. Mass. 1995, fasc. 12.
7968/408
1.La sanzione. Giurisprudenza di legittimità.L'atto di disposizione delle azioni proprie
compiuto
dagli
amministratori
senza
l'autorizzazione dell'assemblea non è nullo, ma
soltanto annullabile, poiché l'interesse tutelato
dalla disposizione in esame è quello di proteggere
la società dal rischio di abusi da parte degli
amministratori e di garantire ai soci una eventuale
preferenza ai fini del mantenimento degli equilibri
interni in atto, senza che in ciò possa configurarsi
una norma di ordine pubblico.
Cass.civ.,sez.I,01
aprile
1996,
n.3012,Soc. 1996, 1152
7968/408
Articolo 2357 Bis .Casi speciali di acquisto delle proprie azioni. [I]. Le limitazioni contenute nell'articolo
2357 non si applicano quando l'acquisto di azioni proprie avvenga:
1) in esecuzione di una deliberazione dell'assemblea di riduzione del capitale, da attuarsi mediante riscatto e
annullamento di azioni;
2) a titolo gratuito, sempre che si tratti di azioni interamente liberate;
3) per effetto di successione universale o di fusione o scissione;
4) in occasione di esecuzione forzata per il soddisfacimento di un credito della società, sempre che si tratti di
azioni interamente liberate. [II]. Se il valore nominale delle azioni proprie supera il limite della quinta parte
del capitale per effetto di acquisti avvenuti a norma dei numeri 2), 3) e 4) del primo comma del presente
articolo, si applica per l'eccedenza il penultimo comma dell'articolo 2357, ma il termine entro il quale deve
avvenire l'alienazione è di tre anni.
Articolo 2357 Ter Disciplina delle proprie azioni. [I]. Gli amministratori non possono disporre delle azioni
acquistate a norma dei due articoli precedenti se non previa autorizzazione dell'assemblea, la quale deve
stabilire le relative modalità. A tal fine possono essere previste, nei limiti stabiliti dal primo e secondo
comma dell'articolo 2357, operazioni successive di acquisto ed alienazione. [II]. Finché le azioni restano in
proprietà della società, il diritto agli utili e il diritto di opzione sono attribuiti proporzionalmente alle altre
azioni; l'assemblea può tuttavia, alle condizioni previste dal primo e secondo comma dell'articolo 2357,
autorizzare l'esercizio totale o parziale del diritto di opzione. Il diritto di voto è sospeso, ma le azioni proprie
sono tuttavia computate nel capitale ai fini del calcolo delle quote richieste per la costituzione e per le
deliberazioni dell'assemblea. [III]. Una riserva indisponibile pari all'importo delle azioni proprie iscritto
all'attivo del bilancio deve essere costituita e mantenuta finché le azioni non siano trasferite o annullate
Sommario:1.-La natura della riserva azioni proprie. Giurisprudenza di legittimità
1.La natura della riserva azioni proprie. Giurisprudenza di legittimità. La riserva per
azioni proprie in portafoglio non ha funzione
meramente rettificativa dell'attivo, ma costituisce
una vera e propria riserva, destinata ad esprimere
valori facenti parte del patrimonio della società.
Cass.civ.,sez.I,03settembre1996,n.
8048,Giur.
comm. 1997, II, 249
7968/408
Articolo 2357 Quater. Divieto di sottoscrizione delle proprie azioni . [I]. Salvo quanto previsto
dall'articolo 2357-ter, secondo comma (2), la società non può sottoscrivere azioni proprie. [II]. Le
azioni sottoscritte in violazione del divieto stabilito nel precedente comma si intendono sottoscritte
e devono essere liberate dai promotori e dai soci fondatori o, in caso di aumento del capitale sociale,
dagli amministratori. La presente disposizione non si applica a chi dimostri di essere esente da
colpa. [III]. Chiunque abbia sottoscritto in nome proprio, ma per conto della società, azioni di
quest'ultima è considerato a tutti gli effetti sottoscrittore per conto proprio. Della liberazione delle
azioni rispondono solidalmente, a meno che dimostrino di essere esenti da colpa, i promotori, i soci
fondatori e, nel caso di aumento del capitale sociale, gli amministratori.
Articolo 2358 Altre operazioni sulle proprie azioni. [I]. La società non può, direttamente o
indirettamente, accordare prestiti, nè fornire garanzie per l'acquisto o la sottoscrizione delle proprie
azioni, se non alle condizioni previste dal presente articolo. [II]. Tali operazioni sono
preventivamente autorizzate dall'assemblea straordinaria. [III]. Gli amministratori della società
predispongono una relazione che illustri, sotto il profilo giuridico ed economico, l'operazione,
descrivendone le condizioni, evidenziando le ragioni e gli obiettivi imprenditoriali che la
giustificano, lo specifico interesse che l'operazione presenta per la società, i rischi che essa
comporta per la liquidità e la solvibilità della società ed indicando il prezzo al quale il terzo
acquisirà le azioni. Nella relazione gli amministratori attestano altresì che l'operazione ha luogo a
condizioni di mercato, in particolare per quanto riguarda le garanzie prestate e il tasso di interesse
praticato per il rimborso del finanziamento, e che il merito di credito della controparte è stato
debitamente valutato. La relazione è depositata presso la sede della società durante i trenta giorni
che precedono l'assemblea. Il verbale dell'assemblea, corredato dalla relazione degli amministratori,
è depositato entro trenta giorni per l'iscrizione nel registro delle imprese. [IV]. In deroga all'articolo
2357-ter, quando le somme o le garanzie fornite ai sensi del presente articolo sono utilizzate per
l'acquisto di azioni detenute dalla società ai sensi dell'articolo 2357 e 2357-bis l'assemblea
straordinaria autorizza gli amministratori a disporre di tali azioni con la delibera di cui al secondo
comma. Il prezzo di acquisto delle azioni è determinato secondo i criteri di cui all'articolo 2437-ter,
secondo comma. Nel caso di azioni negoziate in un mercato regolamentato il prezzo di acquisto è
pari almeno al prezzo medio ponderato al quale le azioni sono state negoziate nei sei mesi che
precedono la pubblicazione dell'avviso di convocazione dell'assemblea. [V]. Qualora la società
accordi prestiti o fornisca garanzie per l'acquisto o la sottoscrizione delle azioni proprie a singoli
amministratori della società o della controllante o alla stessa controllante ovvero a terzi che
agiscono in nome proprio e per conto dei predetti soggetti, la relazione di cui al terzo comma attesta
altresì che l'operazione realizza al meglio l'interesse della società. [VI]. L'importo complessivo delle
somme impiegate e delle garanzie fornite ai sensi del presente articolo non può eccedere il limite
degli utili distribuibili e delle riserve disponibili risultanti dall'ultimo bilancio regolarmente
approvato, tenuto conto anche dell'eventuale acquisto di proprie azioni ai sensi dell'articolo 2357.
Una riserva indisponibile pari all'importo complessivo delle somme impiegate e delle garanzie
fornite è iscritta al passivo del bilancio. [VII]. La società non può, neppure per tramite di società
fiduciaria, o per interposta persona, accettare azioni proprie in garanzia. [VIII]. Salvo quanto
previsto dal comma sesto, le disposizioni del presente articolo non si applicano alle operazioni
effettuate per favorire l'acquisto di azioni da parte di dipendenti della società o di quelli di società
controllanti o controllate. [IX]. Resta salvo quanto previsto dagli articoli 2391-bis e 2501-bis.
Sommario:1.-La
fattispecie.
Il principio enunciato nell'art. 2358 c.c. con
riferimento alle società per azioni è espressione di
un principio generale applicabile anche nella
ipotesi di fideiussione e anche alle società a
Giurisprudenza
di
legittimità
responsabilità limitata. È nullo per illiceità dei
motivi comuni il negozio giuridico posto in essere
dall'amministratore in violazione dei divieti su di
lui incombenti quando l'altra parte è consapevole
della situazione.
Cass. civ., sez. I, 4 ottobre 1984, n. 4916, Riv.
Dir.Comm., 1985,II,85.
Conf. Cass. civ., sez. I, 21 gennaio 1970, n. 123
7968/408
Articolo 2359 Società controllate e società collegate . [I]. Sono considerate società controllate:
1) le società in cui un'altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea
ordinaria;
2) le società in cui un'altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un'influenza dominante
nell'assemblea ordinaria;
3) le società che sono sotto influenza dominante di un'altra società in virtù di particolari vincoli
contrattuali con essa. [II]. Ai fini dell'applicazione dei numeri 1) e 2) del primo comma si
computano anche i voti spettanti a società controllate, a società fiduciarie e a persona interposta:
non si computano i voti spettanti per conto di terzi. [III]. Sono considerate collegate le società sulle
quali un'altra società esercita un'influenza notevole. L'influenza si presume quando nell'assemblea
ordinaria può essere esercitato almeno un quinto dei voti ovvero un decimo se la società ha azioni
quotate in mercati regolamentati
Sommario:1.-La nozione di controllo esterno. Giurisprudenza consolidata. 2.-L’interessse di gruppo. Giurisprudenza
di legittimità. 3.L’autonomia giuridica. Giurisprudenza di legittimità.4- I c.d. vantaggi compensativi. Giurisprudenza di
legittimità5. Holding. Giurisprudenza di legittimità
1.La
nozione
di
controllo
esterno.
Giurisprudenza consolidata -La configurabilità
del controllo esterno di una società su di un'altra
(quale disciplinata dal comma 1, n. 3, dell'art.
2359 c.c. nella formulazione risultante a seguito
della modifica apportata dal d.lg. n. 127 del 1991
e consistente nella influenza dominante che la
controllante esercita sulla controllata in virtù di
particolari vincoli contrattuali), postula la
esistenza di determinati rapporti contrattuali la cui
costituzione ed il cui perdurare rappresentino la
condizione di esistenza e di sopravvivenza della
capacità di impresa della società controllata;
l'accertamento della esistenza di tali rapporti, così
come
l'accertamento
dell'esistenza
di
comportamenti nei quali possa ravvisarsi un abuso
della posizione di controllo tale da convertire una
situazione di per sè non illecita nel contesto della
vigente disciplina codicistica in una condotta
illecita causativa di danno risarcibile, costituisce
indagine di fatto, rimessa, come tale,
all'apprezzamento del giudice del merito e
sindacabile in sede di legittimità solo per aspetti
di contraddizione interna all'"iter" logico formale
della decisione, ovvero per omissione di esame di
elementi determinanti per la decisione stessa.
Cass.civ.,sez.I,27settembre2001,n.12094,Giust.civ
.Mass.,2001,1696
7968/1896
Il rapporto di controllo ex art. 2359 comma 1
n. 2 c.c., si ha quando tra due o più società
corrono rapporti contrattuali la cui
costituzione ed il cui perdurare rappresentano
la condizione di esistenza e di sopravvivenza
della capacità d'impresa della società c.d.
controllata. Di conseguenza, non sussiste un
rapporto di controllo ex art. 2359, comma 1 n.
2, nel caso in cui gli elementi idonei ad
evidenziare una posizione contrattuale "forte"
di una società, che si presume essere la c.d.
controllante, non son però tali da impedire
alle società, presunte controllate, al termine
della scadenza annuale, di non rinnovare e di
stipularne altri con imprenditori diversi.
Trib.Milano,28
aprile
1994
Soc. 1995, 74.
7968/1896
2.L’interesse di gruppo. Giurisprudenza di
legittimità- . Nei gruppi di società, ferma
restando l'autonomia giuridica delle singole
società controllate, è legittimo l'esercizio di
una direzione unitaria da parte della
capogruppo, che implica necessariamente un
interesse
di
gruppo,
inteso
come
perseguimento di scopi comuni, anche
trascendenti gli obiettivi delle singole società.
Cass.civ.,sez.I,05dicembre1998n.12325,Giur.
it. 1999, 2317
7968/1896
Con riguardo ad un gruppo di società
collegate in senso economico e dirigenziale
(in virtù dell'unione personale costituita dalla
pressoché totale indennità dei titolari dei
pacchetti azionari e dalla comunanza degli
organi direttivi), ma non in senso giuridico,
per l'inconfigurabilità dei presupposti richiesti
dall'art. 2359 c.c., gli organi amministrativi di
una società non possono compiere atti che,
realizzando le direttive del gruppo,
favoriscano altre società collegate, quando tali
atti pregiudichino gli interessi della prima
società (nella specie, trattavasi di una
fideiussione a favore di altra società del
gruppo, senza vantaggi economici per la
fideiubente, che veniva a partecipare solo al
rischio delle perdite).
Cass.civ.,sez.I,13febbraio1992,n.1759,Giust.
civ. Mass. 1992, fasc. 2,
7968/1896
3.L’autonomia giuridica. Giurisprudenza di
legittimità- . Posto che il gruppo di imprese
non costituisce un soggetto giuridico o
comunque un centro di interessi autonomo
rispetto alle società collegate, la nozione di
interesse sociale deve essere valutata tenendo
conto dell'autonomia soggettiva delle singole
società del gruppo (nella specie, ai fini della
responsabilità degli amministratori, è stata
ritenuta l'illegittimità di operazioni di
finanziamento senza corrispettivo e senza
garanzie, e di distacchi di personale a favore
di società diversa da quella a cui carico
gravano gli oneri economici).
Cass.civ.,sez.I,08maggio1991,n. 5123,Foro it.
1992, I,817.,Conf. Cass.civ.,sez.I,21 gennaio
1999,n. 521,Giust. civ. Mass. 1999, 122,
7968/1896
4. I vantaggi compensativi. Giurisprudenza di
legittimità- - È valida l'obbligazione assunta da
una società controllata a favore di altra società del
gruppo o della stessa controllante - capogruppo, a
meno che l'obbligazione non rappresenti per la
società obbligata un vantaggio neppure mediato o
riflesso. Nei gruppi di società, ferma restando
l'autonomia giuridica delle singole società
controllate, è legittimo l'esercizio di una direzione
unitaria da parte della capogruppo, che implica
necessariamente un interesse di gruppo, inteso
come perseguimento di scopi comuni, anche
trascendenti gli obiettivi delle singole società.
La promessa, con la quale una società si impegna
a garantire in futuro tutte le obbligazioni assunte
dalla propria controllante a beneficio del gruppo,
è valida in quanto sorretta da un interesse proprio
anche se non esclusivo della società promittente.
Cass.civ.,sez.I,05 dicembre
Giur. it. 1999, 2317
7968/1896
1998n.12325,
Il gruppo di imprese non costituisce un
soggetto giuridico o comunque un centro di
interessi autonomo rispetto alle società
collegate e, pertanto, anche ai fini della
responsabilità degli amministratori - quando
manchi la prova di un accordo fra le varie
società, diretto a creare un'impresa unica, con
direzione unitaria e patrimoni tutti destinati al
conseguimento di una finalità comune e
ulteriore - va valutato il comportamento che
la legge e l'atto costitutivo impongono rispetto
alla società di appartenenza, talché essi
rispondono verso la medesima società della
inosservanza dei loro doveri, senza che sia
possibile compensare, in una valutazione
globale del loro comportamento, il
pregiudizio cagionato a quest'ultima, per
effetto di mala gestio, col corrispondente
vantaggio di altra società del gruppo.
Cass.civ.,sez.I,08maggio1991,n.5123,Giust.
civ.
Mass.
1991,
fasc.
5
7968/1896
5. Holding. Giurisprudenza di legittimità- In
ipotesi di holding di tipo personale, cioè di
persona fisica che sia a capo di più società di
capitali in veste di titolare di quote o
partecipazioni
azionarie
e
svolga
professionalmente,
con
stabile
organizzazione, l'indirizzo, il controllo e il
coordinamento delle società medesime (non
limitandosi così al mero esercizio dei poteri
inerenti alla qualità di socio), la
configurabilità di un'autonoma impresa, come
tale assoggettabile a fallimento, postula che la
suddetta attività, sia essa di sola gestione del
gruppo (cosiddetta holding pura), ovvero
anche di natura ausiliaria o finanziaria
(cosiddetta holding operativa), si esplichi in
atti, anche negoziali, posti in essere in nome
proprio, quindi fonte di responsabilità diretta
del loro autore, e presenti altresì obiettiva
attitudine a perseguire utili risultati
economici, per il gruppo o le sue componenti,
causalmente
ricollegabili
all'attività
medesima.
Cass.civ.,sez.I,09agosto2002,n.12113,Giust.
civ. Mass. 2002, 1523,
7968/1896
Articolo 2359 Bis. Acquisto di azioni o quote da parte di società controllate. [I]. La società
controllata non può acquistare azioni o quote della società controllante se non nei limiti degli utili
distribuibili e delle riserve disponibili risultanti dall'ultimo bilancio regolarmente approvato.
Possono essere acquistate soltanto azioni interamente liberate. [II]. L'acquisto deve essere
autorizzato dall'assemblea a norma del secondo comma dell'articolo 2357. [III]. In nessun caso il
valore nominale delle azioni o quote acquistate a norma dei commi precedenti può eccedere la
decima parte del capitale della società controllante, tenendosi conto a tal fine delle azioni o quote
possedute dalla medesima società controllante e dalle società da essa controllate. [IV]. Una riserva
indisponibile, pari all'importo delle azioni o quote della società controllante iscritto all'attivo del
bilancio deve essere costituita e mantenuta finché le azioni o quote non siano trasferite. [V]. La
società controllata da altra società non può esercitare il diritto di voto nelle assemblee di questa.
[VI]. Le disposizioni di questo articolo si applicano anche agli acquisti fatti per il tramite di società
fiduciaria o per interposta persona.
Articolo 2359 Ter .Alienazione o annullamento delle azioni o quote della società
controllante.[I]. Le azioni o quote acquistate in violazione dell'articolo 2359-bis devono essere
alienate secondo modalità da determinarsi dall'assemblea entro un anno dal loro acquisto.
[II]. In mancanza, la società controllante deve procedere senza indugio al loro annullamento e alla
corrispondente riduzione del capitale, con rimborso secondo i criteri indicati dagli articoli 2437-ter
e 2437-quater. Qualora l'assemblea non provveda, gli amministratori e i sindaci devono chiedere
che la riduzione sia disposta dal tribunale secondo il procedimento previsto dall'articolo 2446,
secondo comma.
Articolo 2359 Quater Casi speciali di acquisto o di possesso di azioni o quote della società
controllante. [I]. Le limitazioni dell'articolo 2359-bis non si applicano quando l'acquisto avvenga ai
sensi dei numeri 2, 3 e 4 del primo comma dell'articolo 2357-bis.
[II]. Le azioni o quote così acquistate, che superino il limite stabilito dal terzo comma dell'articolo
2359-bis, devono tuttavia essere alienate, secondo modalità da determinarsi dall'assemblea, entro tre
anni dall'acquisto. Si applica il secondo comma dell'articolo 2359-ter.
[III]. Se il limite indicato dal terzo comma dell'articolo 2359-bis è superato per effetto di
circostanze sopravvenute, la società controllante, entro tre anni dal momento in cui si è verificata la
circostanza che ha determinato il superamento del limite, deve procedere all'annullamento delle
azioni o quote in misura proporzionale a quelle possedute da ciascuna società, con conseguente
riduzione del capitale e con rimborso alle società controllate secondo i criteri indicati dagli articoli
2437-ter e 2437-quater. Qualora l'assemblea non provveda, gli amministratori e i sindaci devono
chiedere che la riduzione sia disposta dal tribunale secondo il procedimento previsto dall'articolo
2446, secondo comma
Articolo 2359 Quinquies. Sottoscrizione di azioni o quote della società controllante (1). [I]. La
società controllata non può sottoscrivere azioni o quote della società controllante. [II]. Le azioni o
quote sottoscritte in violazione del comma precedente si intendono sottoscritte e devono essere
liberate dagli amministratori, che non dimostrino di essere esenti da colpa. [III]. Chiunque abbia
sottoscritto in nome proprio, ma per conto della società controllata, azioni o quote della società
controllante è considerato a tutti gli effetti sottoscrittore per conto proprio. Della liberazione delle
azioni o quote rispondono solidalmente gli amministratori della società controllata che non
dimostrino di essere esenti da colpa.
Articolo 2360 Divieto di sottoscrizione reciproca di azioni. [I]. È vietato alle società di costituire
o di aumentare il capitale mediante sottoscrizione reciproca di azioni, anche per tramite di società
fiduciaria o per interposta persona.
Articolo 2361.Partecipazioni . [I]. L'assunzione di partecipazioni in altre imprese, anche se
prevista genericamente nello statuto, non è consentita, se per la misura e per l'oggetto della
partecipazione ne risulta sostanzialmente modificato l'oggetto sociale determinato dallo statuto.
[II]. L'assunzione di partecipazioni in altre imprese comportante una responsabilità illimitata per le
obbligazioni delle medesime deve essere deliberata dall'assemblea; di tali partecipazioni gli
amministratori danno specifica informazione nella nota integrativa del bilancio.
Sommario:1.-La nozione di “modifica sostanziale” dell’oggetto sociale. Giurisprudenza di legittimità.
1.La nozione di “modifica sostanziale”
dell’oggetto
sociale.
Giurisprudenza
di
legittimità. -Non integra una modifica
dell'oggetto sociale preclusa all'organo
amministrativo e non costituisce pertanto
grave irregolarità il fatto che gli
amministratori di una s.p.a. deliberino di
trasferire il complesso aziendale produttivo a
società
(interamente)
controllata
sottoscrivendone il corrispondente aumento di
capitale.
App.Milano,22ottobre2001,Giur. it. 2002,
320
7968/1296
Articolo 2362 .Unico azionista. [I]. Quando le azioni risultano appartenere ad una sola persona o
muta la persona dell'unico socio, gli amministratori devono depositare per l'iscrizione del registro
delle imprese una dichiarazione contenente l'indicazione del cognome e nome o della
denominazione, della data e del luogo di nascita o lo Stato di costituzione, del domicilio o della
sede e cittadinanza dell'unico socio. [II]. Quando si costituisce o ricostituisce la pluralità dei soci,
gli amministratori ne devono depositare apposita dichiarazione per l'iscrizione nel registro delle
imprese. [III]. L'unico socio o colui che cessa di essere tale può provvedere alla pubblicità prevista
nei commi precedenti. [IV]. Le dichiarazioni degli amministratori previste dai precedenti commi
devono essere depositate entro trenta giorni dall'iscrizione nel libro dei soci e devono indicare la
data di iscrizione. [V]. I contratti della società con l'unico socio o le operazioni a favore dell'unico
socio sono opponibili ai creditori della società solo se risultano dal libro delle adunanze e delle
deliberazioni del consiglio di amministrazione o da atto scritto avente data certa anteriore al
pignoramento
Sommario:1.-Intestazione fittizia. Giurisprudenza di legittimità
1.Intestazione
legittimità.
fittizia.
Giurisprudenza
di
La responsabilità sancita dall'art. 2362 c.c. a
carico dell'unico azionista, che può essere
anche una persona giuridica, per le
obbligazioni contratte dalla società insolvente
- responsabilità che non richiede, nè
presuppone l'estinzione di quest'ultima
essendo sufficiente una situazione di
insolvenza
che
non
consenta
il
soddisfacimento dei creditori - trova
applicazione anche nelle ipotesi in cui vi sia
apparentemente un socio di minoranza,
essendo l'intestazione delle azioni a nome di
quest'ultimo fittizia o fraudolenta
Cass.civ.,sez.lav.27agosto1987,n.7064,Giust.
civ.
Mass.
1987,
fasc.
8-9
7968/624
Conf. Cass. 1983 7152
7968/1896
SEZIONE VI
Dell'assemblea
2363. Luogo di convocazione dell'assemblea (1). – [I]. L'assemblea è convocata nel comune
dove ha sede la società, se lo statuto non dispone diversamente.
[II]. L'assemblea è ordinaria o straordinaria.
(1) V. nota al Capo V.
Sommario: 1. Introduzione. - 2. Il luogo di convocazione dell'assemblea ante Riforma. Giurisprudenza
consolidata. - 3. Le conseguenze dell'imprecisa o mancante indicazione del luogo della convocazione.
Giurisprudenza consolidata. - 4. Assemblea ordinaria o straordinaria. Giurisprudenza consolidata.
1. Introduzione. - La norma, come modificata
dalla Riforma, precisa che l'assemblea va
convocata nel comune dove ha sede la società e
non già nella sede della società.
2. Il luogo di convocazione dell'assemblea ante
Riforma. Giurisprudenza consolidata. - Il
riferimento alla sede della società come luogo di
convocazione dell'assemblea di una società a
responsabilità limitata - di cui all'art. 2363 c.c.,
applicabile in forza del rinvio di cui all'art. 2486
c.c. - può essere interpretato nel senso che, salva
diversa
disposizione
dell'atto
costitutivo,
l'assemblea possa essere convocata entro l'ambito
del territorio del comune in cui si trova la sede
della società. Deve invece ritenersi illegittima la
convocazione dell'assemblea in un comune
diverso da quello ove si trova la sede sociale,
benché distante pochi chilometri e facilmente
raggiungibile senza aggravi di costi. Cass. civ., 17
gennaio 2007, n. 1034, Foro it. 2007, 12, 3501.
(7968/264).
Non può essere omologato l'atto costitutivo di una
società a responsabilità limitata che preveda la
possibilità di convocazione dell'assemblea dei soci
da parte degli amministratori in un luogo diverso
dalla sede sociale che non sia specificamente
indicato. App. Napoli, 27 marzo 1996, Gius 1996,
1699. (7968/264).
L'assemblea della società per azioni è validamente
convocata anche in un luogo diverso dalla sede
sociale a condizione che da ciò non derivi ai soci
onere maggiore di quello necessario per accedere
alla sede sociale. Trib. Genova, 11 luglio 1987,
Riv. notariato 1988, 451. (7968/264).
I soci di una società per azioni possono in
assemblea totalitaria validamente deliberare in
deroga allo statuto della società (nella specie è
stata giudicata valida ed omologata una
deliberazione di assemblea straordinaria tenuta
all'estero nonostante la clausola statutaria che
imponeva lo svolgimento dell'assemblea nel
territorio dello Stato italiano). Trib. Bologna, 2
giugno 1992, Vita not. 1992, 1071. (7968/264).
salvi gli effetti sananti dell'assemblea totalitaria.
Trib. Bologna, 2 giugno 1992, Vita not. 1992,
1071. (7968/264).
3. Le conseguenze dell'imprecisa o mancante
indicazione del luogo della convocazione.
Giurisprudenza consolidata. - In caso di
imprecisa o mancante indicazione del luogo
dell'assemblea nell'avviso di convocazione, la
delibera è annullabile per violazione di legge,
4. Assemblea ordinaria o straordinaria.
Giurisprudenza
consolidata
–
L'organo
assembleare è unico; la riunione si tiene in seduta
ordinaria o straordinaria a prescindere dal nomen
iuris. Trib. Torino, 6 ottobre 1980, Giur. comm.
1981,
II,
635.
(7968/264).
2364. Assemblea ordinaria nelle società prive di consiglio di sorveglianza (1). – [I]. Nelle
società prive di consiglio di sorveglianza, l'assemblea ordinaria:
1) approva il bilancio;
2) nomina e revoca gli amministratori; nomina i sindaci e il presidente del collegio sindacale
e, quando previsto, il soggetto al quale è demandato il controllo contabile;
3) determina il compenso degli amministratori e dei sindaci, se non è stabilito dallo statuto;
4) delibera sulla responsabilità degli amministratori e dei sindaci;
5) delibera sugli altri oggetti attribuiti dalla legge alla competenza dell'assemblea, nonché
sulle autorizzazioni eventualmente richieste dallo statuto per il compimento di atti degli
amministratori, ferma in ogni caso la responsabilità di questi per gli atti compiuti;
6) approva l'eventuale regolamento dei lavori assembleari.
[II]. L'assemblea ordinaria deve essere convocata almeno una volta l'anno, entro il termine
stabilito dallo statuto e comunque non superiore a centoventi giorni dalla chiusura
dell'esercizio sociale. Lo statuto può prevedere un maggior termine, comunque non superiore
a centottanta giorni, nel caso di società tenute alla redazione del bilancio consolidato ovvero
(2) quando lo richiedono particolari esigenze relative alla struttura ed all'oggetto della società;
in questi casi gli amministratori segnalano nella relazione prevista dall'articolo 2428 le ragioni
della dilazione.
(1) V. nota al Capo V.
(2) La parola « ovvero » è stata sostituita alla parola « e » dall'art. 9 d.lgs. 28 dicembre 2004, n. 310.
Sommario: 1. Introduzione. - 2. L'inderogabilità delle norme che determinano la competenza assembleare.
Giurisprudenza consolidata. 3. La determinazione del compenso di amministratori e sindaci. La soluzione delle
Sezioni Unite. - 4. La delibera di nomina degli amministratori. Giurisprudenza consolidata.- 5. Il regolamento di
assemblea. Giurisprudenza consolidata. - 6. La delibera che sposta la chiusura dell'esercizio sociale. Giurisprudenza consolidata. 7. La responsabilità degli amministratori che hanno agito in conformità alla volontà
dell'assemblea. Giurisprudenza consolidata. - 8. La proroga del termine per la convocazione e per l'approvazione
del bilancio. – 8.1. La responsabilità derivante dalla proroga. Giurisprudenza consolidata. - 8.2. La previsione
statutaria della proroga. Giurisprudenza contrastante.
1. Introduzione. – La norma ha riguardo ai
compiti dell'assemblea ordinaria nelle società
prive del consiglio di sorveglianza.
La Riforma ha modificato la norma con livelli di
pregnanza più o meno accentuati, come vedremo
nel dettaglio.
2.
L'inderogabilità
delle
norme
che
determinano la competenza assembleare.
Giurisprudenza consolidata. - La competenza
dell' assemblea per la nomina degli amministratori
è di ordine pubblico (perché posta a tutela di
interessi generali della collettività) e quindi
inderogabile. App. Milano, 20 aprile 1993,
Società 1993, 1225. (7968/240).
È nulla la clausola statutaria che sottrae
all'esclusiva competenza dell'assemblea la nomina
degli amministratori. Le norme che determinano
la competenza dell'assemblea non possono essere
derogate in via negoziale, neppure quando la
deroga sia diretta a realizzare un fine meritevole
di tutela da parte dell'ordinamento. Trib. Monza,
29 gennaio 1982, Giur. comm. 1983, II, 125.
(7968/240).
3. La determinazione del compenso di
amministratori e sindaci. La soluzione delle
Sezioni Unite. - L'approvazione del bilancio
contenente la posta relativa ai compensi degli
amministratori non è idonea a configurare la
specifica delibera di determinazione del compenso
richiesta, in caso di omessa previsione statutaria,
dall'art. 2389, comma 1, c.c. Può, tuttavia,
ammettersi che accanto all'approvazione del
bilancio, avente la funzione sua propria di
accertamento
della
regolarità
della
rappresentazione contabile, l'assemblea possa
anche adottare la delibera di determinazione del
compenso degli amministratori, se sussista la
prova che l'assemblea convocata soltanto per
l'esame e l'approvazione del bilancio, essendo
totalitaria, abbia anche espressamente discusso e
approvato
una
specifica
proposta
di
determinazione
dei
compensi
degli
amministratori. Cass. civ., sez. un., 29 agosto
2008, n. 21933, Guida al diritto 2008, 44, 69.
(7968/72).
4.
La
delibera
di
nomina
degli
ammministratori. Giurisprudenza consolidata.
– La competenza per la nomina degli
amministratori
spetta
inderogabilmente
all'assemblea. Le clausole stautarie che prevedono
anche la parziale menomazione di tale potere sono
radicalmente nulle. Trib. Verona, 11 dicembre
1992, Società 1993, 950. (7968/120).
La nomina dei nuovi amministratori che
sostituiscono quelli nominati da atto costitutivo,
spetta all'assemblea ordinaria. Trib. Milano, 4
maggio 1990, Giur. it. 1990, I, 2, 555, Giur.
comm. 1990, II, 458. (7968/120).
Sono ammissibili meccanismi che riservino alla
minoranza la nomina di una parte degli
amministratori. Trib. Roma, 12 marzo 2001,
Società 2001, 1093. (7968/120).
5. Il regolamento di assemblea. Giurisprudenza
consolidata. - Non lede il diritto di intervento del
socio il regolamento dell'assemblea che attribuisca
al presidente della stessa il potere di disciplinare
la discussione, anche attravero la limitazione della
durata degli interventi. Cass. civ., 11 luglio 1975,
n. 7576. (7968/240).
6. La delibera che sposta la chiusura
dell'esercizio
sociale.
Giurisprudenza
consolidata. - Non è legittima, in quanto
contrastante con la disposizione dell'art. 2364 c.c.,
la deliberazione che proroghi la chiusura
dell'esercizio sociale al fine di far decorrere il
termine di durata dell'esercizio da un mese diverso
(dal 30 giugno anziché dal 31 dicembre di ciascun
anno). Trib. Treviso, 9 ottobre 1985, Riv. dir.
comm. 1986, II, 429.
Non
è
omologabile
la
deliberazione
dell'assemblea ordinaria di una società per azioni
che sposta la chiusura dell'esercizio sociale oltre
l'anno previsto dalla legge. Trib. Udine, 13
dicembre 1984, Dir. fall. 1985, II, 503.
7. La responsabilità degli amministratori che
hanno agito in conformità alla volontà
dell'assemblea. Giurisprudenza consolidata. - Il
vecchio orientamento giurisprudenziale sul punto,
è adesso fatto proprio dalla norma in commento.
L'avere l'amministratore agito in conformità alla
volontà unanime dei soci non vale ad escludere
una sua responsabilità verso i creditori sociali e
non è opponibile al curatore. Cass. civ., 25 luglio
1979, n. 4415, Giur. comm. 1980, II, 327.
(7968/144).
La responsabilità dell'amministratore verso la
società è ravvisabile in ogni abuso, arbitrio od
omissione che si traduca in un pregiudizio per il
patrimonio sociale, sia dal punto di vista
economico che da quello della regolarità contabile
e nè il fatto che i soci fossero a conoscenza degli
atti addebitati all'amministratore ed avessero dato
il proprio consenso al suo operato, nè il fatto che
anche successivamente alla revoca di questi i soci
ed il nuovo amministratore avessero compiuto
irregolarità, rappresentano motivi che potrebbero
esonerare dalla responsabilità verso la società per
atti di "mala gestio" e depauperamento illegittimo
del patrimonio sociale. App. Milano, 20 gennaio
1998, Giur. it. 1998, 1431. (7968/144).
8. La proroga del termine per la convocazione
e
per
l'approvazione
del
bilancio
nell'esperienza
ante
Riforma.
Le
sottoinindicate massime si riferiscono ad una
casistica pregressa rispetto alla Riforma che ha
previsto che le particolari esigenze devono essere
riferite alla struttura ed all'oggetto della società e
gli amministratori devono segnalare le ragioni
della dilazione nella relazione ai sensi dell'art.
2428 c.c. L'esperienza ante riforma va valutata,
anche, tenendo in considerazione che i termini
quattro mesi e sei mesi sono stati sostituiti dai
termini centoventi giorni e centottanta giorni.
8.1. La responsabilità derivante dalla proroga.
Giurisprudenza consolidata. - L'approvazione
del bilancio oltre il termine di quattro mesi (ma
entro i sei) dalla chiusura dell'esercizio sociale
esclude la tardività della dichiarazione fiscale solo
se gli amministratori abbiano comunque invocato
l'aderente previsione dell'atto costitutivo per
giustificare la ritardata convocazione, ovverosia
se nell'afferente verbale di assemblea il ritardo
della convocazione risulti giustificato con il
richiamo della previsione dell'atto costitutivo.
Cass. civ., 24 settembre 2008, n. 23983, Diritto &
Giustizia 2008, Riv. dottori comm. 2008, 6, 1236.
(7968/240).
Il ricorso alla proroga del termine per la
convocazione dell'assemblea ordinaria comporta
per gli amministratori l'obbligo di giustificare
l'inosservanza del termine ordinario poiché
l'abuso della facoltà di proroga è fonte di
responsabilità ex art. 2393 c.c. App. Bologna, 14
marzo 1997. (7968/240).
8.2. La previsione statutaria della proroga.
Giurisprudenza contrastante. - La proroga a sei
mesi del termine di legge per approvare il bilancio
può essere prevista nello statuto di una società di
capitali facendo generico riferimento all'esistenza
di particolari esigenze, senza che sia necessario
che dette particolari esigenze vengano specificate
nello statuto stesso e quindi devolvendone
l'accertamento
concreto
all'apprezzamento
(motivato) degli amministratori. App. Milano, 20
ottobre 2001. (7968/240).
La proroga a sei mesi del termine di legge per la
convocazione da parte degli amministratori
dell'assemblea chiamata ad approvare il bilancio
di esercizio può essere prevista dallo statuto di
una società di capitali facendo generico
riferimento all'esistenza in tal senso di particolari
esigenze, non essendo necessario nè che le stesse
siano
predeterminate,
nè
che
l'organo
amministrativo di volta in volta le enunci prima
della scadenza del termine ordinario. App.
Bologna, 8 gennaio 1996, Notariato 1996, 449.
La norma dell'art. 2364 comma 2 c.c. affida allo
statuto non solo la possibilità di prevedere la
deroga al termine quadrimestrale per la
convocazione dell'assemblea che approva il
bilancio, ma anche l'indicazione delle ragioni che
giustificano tale deroga. App. Napoli, 19 maggio
1995. (7968/240).
La possibilità di convocare l'assemblea ordinaria
che approva il bilancio entro un termine maggiore
di quello stabilito dall'art. 2364 c.c. è stata
subordinata dal legislatore a una specifica
previsione statutaria e quindi a una valutazione
preventiva dei soci; pertanto, deve escludersi che
l'apprezzamento della ricorrenza delle "particolari
esigenze" possa essere rimesso, di volta in volta,
all'apprezzamento degli amministratori. App.
Roma, 30 giugno 1993. (7968/240).
In senso parzialmente difforme si è orientata altra
la sottoindicata giurisprudenza.
Non può essere omologata la modifica dello
statuto di una società di assicurazioni, laddove,
recependo quanto previsto dall'art. 2364 comma 2
c.c. (reso applicabile alle imprese di assicurazione
dall'art. 11 comma 3 d.lg. 26 maggio 1997 n.
173), si limita a prevedere, riproducendo
letteralmente la suddetta norma, che il termine per
la convocazione della assemblea dei soci per
l'approvazione del bilancio può essere prorogato,
senza indicare le esigenze in presenza delle quali
è consentita la proroga. App. Roma, 26 gennaio
2000, Giur. Romana 2000, 374. (7968/240).
La clausola statutaria che consente la proroga a
sei mesi dalla chiusura dell'esercizio del termine
per la convocazione dell'assemblea ordinaria di
approvazione del bilancio deve contenere
l'esplicita enunciazione delle particolari esigenze,
di carattere strutturale, legittimanti l'esercizio
della facoltà di differimento, la cui sussistenza
deve essere valutata una volta per tutte al
momento dell'omologazione della clausola stessa.
Trib. Roma, 12 luglio 1999, Giur. it. 2000, 1685.
2364 bis. Assemblea ordinaria nelle società con consiglio di sorveglianza (1). – [I]. Nelle
società ove è previsto il consiglio di sorveglianza, l'assemblea ordinaria:
1) nomina e revoca i consiglieri di sorveglianza;
2) determina il compenso ad essi spettante, se non è stabilito nello statuto;
3) delibera sulla responsabilità dei consiglieri di sorveglianza;
4) delibera sulla distribuzione degli utili;
5) nomina il revisore.
[II]. Si applica il secondo comma dell'articolo 2364.
(1) V. nota al Capo V.
2365. Assemblea straordinaria (1). [I]. L'assemblea straordinaria delibera sulle
modificazioni dello statuto, sulla nomina, sulla sostituzione e sui poteri dei liquidatori e su
ogni altra materia espressamente attribuita dalla legge alla sua competenza.
[II]. Fermo quanto disposto dagli articoli 2420-ter e 2443, lo statuto può attribuire alla
competenza dell'organo amministrativo o del consiglio di sorveglianza o del consiglio di
gestione le deliberazioni concernenti la fusione nei casi previsti dagli articoli 2505 e 2505-bis,
l'istituzione o la soppressione di sedi secondarie, la indicazione di quali tra gli amministratori
hanno la rappresentanza della società, la riduzione del capitale in caso di recesso del socio, gli
adeguamenti dello statuto a disposizioni normative, il trasferimento della sede sociale nel
territorio nazionale. Si applica in ogni caso l'articolo 2436.
(1) V. nota al Capo V.
Sommario: 1. La sostituzione degli amministratori nominati da statuto. Giurisprudenza di merito. - 2. Il verbale
notarile di assemblea straordinaria. Giurisprudenza di legittimità.
1. La sostituzione degli amministratori
nominati da statuto. Giurisprudenza di merito.
- La nomina dei nuovi amministratori che
sostituiscono quelli nominati da atto costitutivo,
spetta all'assemblea ordinaria e non all'assemblea
straordinaria, non integrando i profili di una mera
modifica statutaria. Trib. Milano, 4 maggio 1990,
Giur. it. 1990, I, 2, 555, Giur. comm. 1990, II,
458. (7968/372).
2. Il verbale notarile di assemblea
straordinaria. Giurisprudenza di legittimità. Il verbale notarile di assemblea straordinaria di
società di capitali non rientra nell'ambito del
sottosistema tracciato dalla corte di cassazione per
individuare gli atti non richiedenti la presenza dei
testimoni (atti unilaterali a contenuto patrimoniale
che possono essere ricevuti anche da soggetto
diverso dal notaio) perché il verbale predetto può
essere formato solo dal notaio. Spetta al
presidente dell'assemblea, nell'ambito dei poteri
strumentali inerenti all'organizzazione dei
procedimenti di deliberazione assembleare,
effettuare la rinuncia ai testi. Dei verbali notarili
va data lettura al presidente dell'assemblea. Cass.
civ., 4 novembre 1997, n. 10799, Riv. notariato
1998, 939. (7968/384).
A soddisfare l'esigenza di certezza sulla regolarità
delle operazioni concernenti la costituzione dell'
assemblea dei soci di una società per azioni,
quando essa non risulti tecnicamente possibile per
l'assenza del numero legale, non è necessario un
atto pubblico notarile bensè è sufficiente la
redazione di un normale verbale di adunanza, da
redigere, al di fuori delle regole speciali dettate
dall'art. 2375 c.c., dal presidente o da altro socio
presente, anche quando l'assemblea sia stata
convocata in sede straordinaria (oltre che
ordinaria) per il medesimo giorno. Cass. civ., 7
marzo 1992, n. 2764, Giust. civ. Mass. 1992, fasc.
3.
(7968/384).
2366. Formalità per la convocazione (1). – [I]. L'assemblea è convocata dagli amministratori
o dal consiglio di gestione mediante avviso contenente l'indicazione del giorno, dell'ora e del
lu ogo dell'adunanza e l'elenco delle materie da trattare.
[II]. L'avviso deve essere pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica o in almeno un
quotidiano indicato nello statuto almeno quindici giorni prima di quello fissato per
l'assemblea. Se i quotidiani indicati nello statuto hanno cessato le pubblicazioni, l'avviso deve
essere pubblicato nella Gazzetta Ufficiale (2).
[III]. Lo statuto delle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio può, in
deroga al comma precedente, consentire la convocazione mediante avviso comunicato ai soci
con mezzi che garantiscano la prova dell'avvenuto ricevimento almeno otto giorni prima
dell'assemblea.
[IV]. In mancanza delle formalità suddette, l'assemblea si reputa regolarmente costituita,
quando è rappresentato l'intero capitale sociale e partecipa all'assemblea la maggioranza dei
componenti degli organi amministrativi e di controllo. Tuttavia in tale ipotesi ciascuno dei
partecipanti può opporsi alla discussione degli argomenti sui quali non si ritenga
sufficientemente informato.
[V]. Nell'ipotesi di cui al comma precedente, dovrà essere data tempestiva comunicazione
delle deliberazioni assunte ai componenti degli organi amministrativi e di controllo non
presenti.
(1) V. nota al Capo V.
(2) Periodo aggiunto dall'art. 1 d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, come modificato dall'art. 5-1m)d.lgs. 6 febbraio
2004, n. 37.
Sommario: 1. L'organo legittimato alla convocazione dell'assemblea. Giurisprudenza consolidata. - 2. Le
conseguenze del difetto di regolare convocazione nel sistema ante Riforma. - 3. Le conseguenze del difetto di
regolare convocazione nel sistema post Rifoma. Giurisprudenza di merito. - 4. L'elenco delle materie da trattare.
- 5. L'informativa degli amministratori. Giurisprudenza consolidata. - 6. Assemblea totalitaria. - 6.1. L'onere di
dimostrare il carattare totalitario dell'assemblea. Giurisprudenza contrastante. – 6.2. La casistica. Giurisprudenza
di merito. - 7. Le delibere implicite. Orientamento delle Sezioni Unite.
1. L'organo legittimato alla convocazione
dell'assemblea. Giurisprudenza consolidata. L'organo legittimato a convocare l'assemblea è
l'amministratore o, come nella specie, il consiglio
di amministrazione nella sua collegialità. Cass.
civ., sez. I, 2 Agosto 1977, n. 3422, Banca borsa
tit. cred. 1979, 69, II. (7968/264).
L'organo legittimato a convocare l'assemblea è
l'organo
amministrativo,
e
pertanto
l'amministratore unico o il consiglio di
amministrazione nella sua collegialità. La
deliberazione assunta dall'assemblea convocata
dal presidente del c.d.a., in assenza di previa
deliberazione del c.d.a., è pertanto annullabile.
Cass. civ., sez. I, 22 settembre 2008, n. 23950,
Vita not. 2008, 3, 1484. (7968/264).
La regola secondo cui la convocazione
dell'assemblea
deve
essere
deliberata
collegialmente da parte del consiglio di
amministrazione, a pena di annullabilità della
conseguente deliberazione ai sensi dell'art. 2377
c.c., è rispettata anche quando la fissazione della
data e del luogo di convocazione venga delegata
al presidente. Trib. Trento, 6 luglio 1999.
(7968/264).
2. Le conseguenze del difetto di regolare
convocazione nel sistema ante Riforma. - Con
riferimento ai vizi afferenti la convocazione
dell'assemblea, parte della giurisprudenza aveva
invocato il vizio della inesistenza (Trib. Cagliari,
19 agosto 2002, Riv. Giur. Sarda 2003, 729; Cass.
civ., 24 gennaio 1995, n. 835, Giust. Civ.
Massimario 1995, 156; Cass. civ., 15 marzo 1986,
n. 1768, Giust. Civ. Massimario 1986; Cass. civ.,
28 novembre 1981, n. 6340, Giur. Comm. 1982,
II, 424 (7968/264)), altra parte della
gurisprudenza aveva proteso per l'annullabilità
(Trib. Cassino, 3 febbraio 1986, Dir. Fall. 1987,
II, 543; Trib. Catania, 31 maggio 1983, Dir Fall.
1984, II, 358). (7968/264).
Si è invece deciso per la nullità della delibera per
mancata convocazione di un socio. App. Catania,
28 ottobre 1980, Giur. Comm. 1981, II, 970.
(7968/264).
3. Le conseguenze del difetto di regolare
convocazione nel sistema post Rifoma.
Giurisprudenza di merito. - Con l'attuale art.
2379 comma 3 cod. civ. È stato previsto che la
convocazione non si considera mancante nè in
caso di convocazione agli aventi diritto
(indipendentemente dal lasso temporale intercorso
tra la comunicazione dell'avviso e il giorno della
riunione assembleare), nè per irregolarità
dell'avviso, a patto che la provenienza dello stesso
sia di un componente dell'organo di
amministrazione o di controllo della società e sia
idoneo a consentire a coloro che hanno diritto di
intervenire di essere preventivamente avertiti della
convocazione e della data dell'assemblea.
E' nulla una delibera assembleare nel caso in cui i
soci, pur convocati, non lo siano stati in tempo
utile. Trib. Milano, 3 maggio 2006, Giur. it. 2007,
1, 131. (7968/264).
E' stata, invece, ritenuta annullabile la
deliberazione presa a seguito di convocazione di
soggetto a ciò non legittimato. Trib. Milano, 21
ottobre 2005, Giur. it. 2006, 1208. (7968/264).
4. L'elenco delle materie da trattare. –
Considerando l'urgenza di provvedere ad una
sanatoria nell'interesse della società, gli
amministratori possono mettere all'ordine del
giorno di una medesima adunanza assembleare la
rinnovazione in via sostitutiva, da parte dei vecchi
soci, delle deliberazioni votate nel corso di un
lungo periodo di tempo (nella specie un decennio)
soltanto dagli azionisti che avevano sottoscritto un
aumento del capitale dopo che ne era stato
approvato l'azzeramento per perdite, ma con una
deliberazione successivamente giudicata invalida.
Trib. Milano, 28 giugno 2001. (7968/240).
L'indicazione nell'ordine del giorno delle materie
da trattare può essere anche sintetica purché sia
chiara e non ambigua, tale da non sorprendere la
buona fede degli assenti e consenta la discussione
e l'adozione anche di deliberazioni consequenziali
ed accessorie. Trib. Mantova 16 gennaio 2003,
Società 2003, 1133. (7968/240).
In tema di convocazione dell'assemblea di una
società di capitali (nella specie, una cooperativa a
r.l.), è sufficiente che l'ordine del giorno contenga
un'identificazione degli argomenti da trattare
anche sintetica, purché chiara e non ambigua,
specifica e non generica (nella specie, è stata
ritenuta sufficiente la formula "Adozione del
nuovo statuto sociale", non potendosi pretendere,
in presenza di una serie di modifiche articolate e
relative a vari aspetti dello statuto stesso, una
puntuale indicazione in sede di avviso di
convocazione). App. Milano, 27 marzo 2002,
Società 2002, 1521. (7968/240).
Ai fini del rispetto dell'art. 2366, comma 1, c.c.,
che prescrive l'indicazione nell'avviso di
convocazione dell'elenco delle "materie" su cui
l'assemblea è chiamata a discutere e deliberare,
non è necessaria un'indicazione particolareggiata
di
tali
"materie",
essendo
sufficiente
un'indicazione
sintetica,
purché
chiara.
L'assemblea può sempre deliberare sulle questioni
connesse, consequenziali o accessorie, anche
quando attengano ad argomenti non indicati
specificamente nelle "materie" da trattare (Nel
caso in esame, tuttavia, si è escluso avesse tale
natura il conferimento di mandato agli
amministratori per l'esercizio di azioni risarcitorie
verso terzi, in relazione ad un ordine del giorno
che prevedeva l'"esame della situazione aziendale;
provvedimenti conseguenti"). Cass. civ., 5
novembre 2004, n. 21232, Società 2005, 338.
(7968/240).
Nell'avviso di convocazione dell'assemblea,
l'ordine del giorno deve indicare l'argomento da
trattare senza anticipare il contenuto delle
deliberazioni che in quella sede dovranno essere
assunte, in modo da consentire al socio una
consapevole decisione in ordine alla propria
presenza ai lavori. Trib. Monza, 15 gennaio 2004,
Giur. comm. 2004, II, 551. (7968/240).
L'assemblea di società di capitali può liberamente
modificare, attraverso la maggioranza che la
esprime, l'ordine di trattazione degli argomenti
posti all'ordine del giorno, e ciò a prescindere
dalla modalità di convocazione, su impulso degli
amministratori ovvero in caso di convocazione
autoritativa ex art. 2367, comma 2, c.c., non
incidendo ciè nè sulla posizione della società nè
su quella dei singoli soci. Trib. Palermo, 18
maggio 2001. In senso contrario si espressa App.
Brescia 9 febbraio 1977, Giur. comm. 1990, II,
612. (7968/240).
Gli argomenti non espressamente indicate sono
ammessi, ma solo se impliciti, consequenziali o
accessori rispetto a quelli previsti. Trib. Roma, 27
aprile 1998, Società 1998, 1442; Trib. Milano, 29
gennaio 1998, Giur. it. 1998, II, 2114. (7968/240).
L'inversione dell'ordine delle materie da trattare
non rappresenta una violazione. Cass. civ., sez. I,
17 gennaio 2001, n. 560, Giust. civ. Mass. 2001,
96, Giur. it. 2001, 1179, Riv. notariato 2001, 915,
Società 2001, 671, Vita not. 2002, 878; Trib.
Torino, 29 dicembre 1998, Giur. it. 1999, 1668.
(7968/240).
5.
L'informativa
degli
amministratori.
Giurisprudenza consolidata. - Non è necessaria
un'indicazione particolareggiata delle materie da
trattare, ma è sufficiente un'indicazione sintetica,
purchè chiara e non ambigua, specifica e non
generica, la quale consenta la discussione e
l'adozione da parte dell'assemblea dei soci anche
delle eventuali deliberazioni consequenziali ed
accessorie. Cass. civ., 27 giugno 2006, n. 14814,
Giust. civ. Mass. 2006, 6; Cass. civ., 17 novembre
2005, n. 23269, Giust. civ. Mass. 2005, 11; Cass.
civ., 27 aprile 1990, n. 3535, Giust. civ. Mass.
1990, fasc. 4, Giust. civ. 1990, I, 2577, Giur. it.
1990, I, 1, 1394. (7968/240).
L'informativa
degli
amministratori
deve
riguardare l'oggetto della decisione su cui il socio
è chiamato ad esprimere il proprio voto e non
anche le motivazioni ad essa sottostanti (nella
specie, proposta di soppressione del diritto di
prelazione). Trib. Milano, 11 gennaio 2002, Giur.
it. 2002, 1897. (7968/240).
Gli amministratori sono tenuti a mettere a
disposizione dei soci documenti, informazioni e
chiarimenti necessari a consentirgli una
discussione informata ed un'espressione del voto
consapevole e meditate sugli argomenti all'ordine
del giorno. Trib. Milano, 12 settembre 1995, Giur.
comm. 1996, II, 827. (7968/240).
Il deposito del progetto di bilancio presso la sede
sociale è idoneo a rendere edotto qualunque socio
diligente delle risultanze del bilancio e quindi, in
presenza di perdite superiori ad un terzo del
capitale che abbiano ridotto lo stesso sotto il
minimo legale, della necessità di dover procedere
ex art. 2447 c.c. anche senza esplicita indicazione
di tale necessità nell'avviso di convocazione
dell'assemblea per l'approvazione del bilancio di
esercizio. App. Roma, 15 luglio 2002, Società
2003, 199. (7968/240).
6. Assemblea totalitaria. – La norma discpplina
anche le percularietà dell'assemblea totalitaria.
6.1. L'onere di dimostrare il carattare
totalitario dell'assemblea. Giurisprudenza
contrastante. - In difetto di regolare
convocazione, secondo parte della giurisprudenza,
spetta all'attore l'onere probatorio di dimostrare il
carattere totalitario dell'assemblea (Cass. civ., sez.
I, 8 settembre 2005, n. 17950, Giust. civ. Mass.
2005, 6: anche se tale decisione è stata presa in
caso di presenza a mezzo deleghe, laddove la
società, avendo l'obbligo di conservare le deleghe,
ha la facoltà di recuperare queste con estrema
facilità), secondo altra giurisprudenza tale onere
spetta al convenuto (Trib. Milano, 2 maggio 2007,
n. 5190, Società 2008, 749). (7968/240).
6.2. La casistica. Giurisprudenza di merito. La natura totalitaria dell'adunanza non viene meno
per il fatto che un socio si sia allontanato prima
della votazione. Trib. Milano, 11 dicembre 2003,
Giur. it. 2004, 2348. (7968/240).
L'approvazione unanime da parte dell'assemblea
totalitaria non impedisce alla società di opporre al
terzo di mala fede l'estraneità dell'atto deliberato
rispetto al suo oggetto sociale, finché resta
immutato l'atto costitutivo, potendo al più la
volontà dei soci mettere l'amministratore al riparo
da una eventuale azione di responsabilità. Trib.
Roma, 10 gennaio 2001, Giur. it. 2001, 1432.
(7968/240).
7. Le delibere implicite. Orientamento delle
Sezioni Unite. - L'ammissibilità di delibere tacite
e delibere implicite si pone in diretto contrasto
con le regole di formazione della volontà della
società, e in particolare con l'art. 2366 c.c. Cass.
civ., sezioni unite, 29 agosto 2008, n. 21933, Dir.
e prat. soc. 2008, 20, 46. (7968/288).
2367. Convocazione su richiesta di soci (1). – [I]. Gli amministratori o il consiglio di
gestione devono convocare senza ritardo l'assemblea, quando ne è fatta domanda da tanti soci
che rappresentino almeno il decimo del capitale sociale o la minore percentuale prevista nello
statuto, e nella domanda sono indicati gli argomenti da trattare.
[II]. Se gli amministratori o il consiglio di gestione, oppure in loro vece i sindaci o il consiglio
di sorveglianza o il comitato per il controllo sulla gestione, non provvedono, il tribunale,
sentiti i componenti degli organi amministrativi e di controllo, ove il rifiuto di provvedere
risulti ingiustificato, ordina con decreto la convocazione dell'assemblea, designando la
persona che deve presiederla.
[III]. La convocazione su richiesta di soci non è ammessa per argomenti sui quali l'assemblea
delibera, a norma di legge, su proposta degli amministratori o sulla base di un progetto o di
una relazione da essi predisposta.
(1) V. nota al Capo V.
Sommario: 1. La convocazione senza ritardo dell'assemblea. - 2. L'ordine del giorno. Giurisprudenza di merito.
- 3. I provvedimenti in caso di inerzia degli organi sociali. - 4. L'applicabilità della norma alle s.r.l.
Giurisprudenza contrastante.
1.
La
convocazione
senza
ritardo
dell'assemblea. - In materia parte della
giurisprudenza ha statuito che il novellato art.
2367 c.c. prevede che gli amministratori non sono
obbligati automaticamente alla convocazione
dell'assemblea, una volta pervenuta la richiesta da
parte dei soci che rappresentino almeno un
decimo del capitale sociale, ma possono sindacare
la richiesta e rifiutare la convocazione, purché
sulla base di motivi giustificati. Di conseguenza, il
controllo del tribunale nel procedimento camerale
previsto dal comma 2 dell'art. 2367 c.c. è
finalizzato esclusivamente ad accertare se ricorra
o meno una delle ipotesi in cui il rifiuto degli
amministratori possa ritenersi legittimo. Trib.
Verona, sez. IV, 21 novembre 2008. (7968/264).
La giurisprudenza costituitasi prima della Riforma
prevede invece che, ricorrendo le condizioni di
legge, la convocazione dell'assemblea è per gli
organi della società un atto dovuto, la cui
omissione è censurabile quale grave irregolarità
ex art. 2409 c.c. (Trib. Padova, 24 dicembre 1986,
Giur. comm. 88, II, 632, (7968/264)), pur
precisando che a tale dovere bisogna adempiere
non dando seguito a richieste illegittime,
immotivate, illecite o impossibili (App. Bologna,
17 settembre 1985, Giur. comm. 88, II, 910,
(7968/264)) o di abuso del diritto (Trib. Milano,
22 maggio 1990, Società 1990, 775, (7968/264))
ed a istanze pretestuose e che possano dare vita a
situazioni di potenziale danno alla società (Trib.
Milano, 21 novembre 1994, Società 1995, II, 586,
(7968/264)).
2. L'ordine del giorno. Giurisprudenza di
merito. - L'assemblea di società di capitali può
liberamente modificare, attraverso la maggioranza
che la esprime, l'ordine di trattazione degli
argomenti posti all'ordine del giorno, e ciò a
prescindere dalla modalità di convocazione, su
impulso degli amministratori ovvero in caso di
convocazione autoritativa ex art. 2367, comma 2,
c.c., non incidendo ciè nè sulla posizione della
società nè su quella dei singoli soci (Trib.
Palermo, 18 maggio 2001, (7968/240)) mentre
non è previsto in termini generali il potere di
provocare l'integrazione dell'ordine del giorno
(Trib. Napoli, 25 novembre 1996, Società 97, 920,
7968/240)).
3. I provvedimenti in caso di inerzia degli
organi sociali. – In caso di inerzia degli organi
sociali è prevista la convocazione da parte del
tribunale, previa la discrezionale valutazione che
si forma sulla base della valutazione della
audizione degli organi amministrativi e di
controllo. App. Bologna, 4 marzo 1995, Società
1995, 806. (7968/264).
Il decreto di convocazione giudiziaria è revocabile
prima del compimento delle formalità relative alla
convocazione, se siano dedotti fatti nuovi
sopravvenuti. Trib. Napoli, 24 marzo 1991, Vita
Not. 2002, 412. (7968/264).
4. L'applicabilità della norma alle s.r.l.
Giurisprudenza contrastante. - Nella società a
responsabilità limitata in caso di omissione o di
inerzia del o degli amministratori, è possibile
convocare l'assemblea su iniziativa dei soci ex art.
2479 c. c, dovendosi invece escludere il ricorso, in
via analogica, allo strumento previsto dall'art.
2367 c. c. dettato in materia di società per azioni.
Trib. Milano, 18 gennaio 2007, Giur. it. 2007, 7,
1694;
Trib.
Trani,
6
marzo
2007,
Giurisprudenzabarese.it 2007; Trib. Agrigento, 29
dicembre 2005, Vita not. 2006, 1, 315.
(7968/264).
In senso difforme rispetto alle pronunce appena
richiamate si sono espresse: App. Napoli, 20
maggio 2005, Giur. comm. 2006, 4, 646; Trib.
Brescia, 8 marzo 2005, Società 2005, 1254, Giur.
comm. 2006, 2, 328; Trib. Napoli, 10 febbraio
2005, Giur. merito 2005, 12, 2641. (7968/264).
In particolare quest'ultimo organo giudicante ha
statuito che benché, a seguito della Riforma, non
vi sia più alcuna espressa disposizione codicistica
corrispondente a quella del previgente art. 2486
c.c., che, in tema di convocazione dell'assemblea
dei soci di una s.r.l., rinviava alle norme dettate in
tema di s.p.a. dall'art. 2367 c.c., deve ritenersi che,
in applicazione analogica di tale articolo così
come riformato anche nell'attuale regime i soci
della s.r.l. siano legittimati a ricorrere al tribunale
perché ordini con decreto la convocazione
dell'assemblea
se
l'amministratore
abbia
ingiustificatamente rifiutato di provvedere. Trib.
Napoli, 10 febbraio 2005, Giur. merito 2005, 12,
2641. (7968/264).
2368. Costituzione dell'assemblea e validità delle deliberazioni (1). – [I]. L'assemblea
ordinaria è regolarmente costituita con l'intervento di tanti soci che rappresentino almeno la
metà del capitale sociale, escluse dal computo le azioni prive del diritto di voto nell'assemblea
medesima. Essa delibera a maggioranza assoluta, salvo che lo statuto richieda una
maggioranza più elevata. Per la nomina alle cariche sociali lo statuto può stabilire norme
particolari.
[II]. L'assemblea straordinaria delibera con il voto favorevole di tanti soci che rappresentino
più della metà del capitale sociale, se lo statuto non richiede una maggioranza più elevata.
Nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio l'assemblea straordinaria è
regolarmente costituita con la presenza di tanti soci che rappresentino almeno la metà del
capitale sociale o la maggiore percentuale prevista dallo statuto e delibera con il voto
favorevole di almeno i due terzi del capitale rappresentato in assemblea.
[III]. Salvo diversa disposizione di legge le azioni per le quali non può essere esercitato il
diritto di voto sono computate ai fini della regolare costituzione dell'assemblea. Le medesime
azioni e quelle per le quali il diritto di voto non è stato esercitato a seguito della dichiarazione
del socio di astenersi per conflitto di interessi non sono computate ai fini del calcolo della
maggioranza e della quota di capitale richiesta per l'approvazione della deliberazione.
(1) V. nota al Capo V.
Sommario: 1. Quorum costitutivo e deliberativo dell'assemblea ordinaria di prima convocazione. Giurisprudenza
consolidata. - 2. La scelta dei sistemi di votazione. Giurisprudenza consolidata.
1.
Quorum
costitutivo e
deliberativo
dell'assemblea
ordinaria
di
prima
convocazione. Giurisprudenza consolidata. - Le
presenze in assemblea e i voti si calcolano solo
sulla base del capitale sottoscritto e versato. Trib.
Milano, 3 settembre 2003, Società 2004, 1016.
(7968/276).
Il raggiungimento del quorum costitutivo deve
sussistere soltanto all'inizio dei lavori. Trib.
Bologna, 12 ottobre 1984, Giur. It. 1985, I, 91.
(7968/276). (7968/288).
La maggioranza dei voti va computata sui votanti.
Trib. Livorno, 1 febbraio 1957, Giur. It. 1957, I,
2, 986; Trib. Milano, 26 febbraio 1973.
(7968/288).
Secondo la giurisprudenza è possibile innalzare il
quorum deliberativo con apposita clausola
statutaria (Trib. Milano, 6 ottobre 1990,
(7968/288)), ma l'innalzamento non può spingersi
sino alla previsione dell'unanimità, in quanto una
siffatta previsione minerebbbe l'operatività del
principio maggioritario con conseguente nullità
della relative clausola statutaria (Cass. civ., sez. I,
13 aprile 2005, n. 7663, Foro it. 2006, 4, 1170,
Riv. notariato 2006, 2, 535, (7968/288)).
2. La scelta dei sistemi di votazione.
Giurisprudenza consolidata. - In sede di
votazione per il rinnovo delle cariche sociali, è
legittimo l'uso di schede prestampate nelle quali
siano indicati i nominativi proposti dal presidente
dell'assemblea, se il socio è preventivamente
informato, mediante qualsiasi mezzo idoneo allo
scopo, purché chiaro ed inequivoco, della facoltà
di procedere ad autonoma designazione. Cass.
civ., sez. I, 29 novembre 2000, n. 15302, Vita not.
2001, 889, Società 2001, 300. (7968/248).
È legittimo in sede di votazione per il rinnovo
delle cariche sociali (nella specie di società
cooperativa) avvalersi di schede nelle quali siano
prestampati i nomi dei candidati proposti dal
consiglio di amministrazione, se è salvaguardata,
mediante esplicito richiamo nel testo della scheda,
la facoltà di ogni socio di cancellare i nominativi
prestampati e sostituirli con altri di proprio
gradimento. Cass. civ., sez. I, 19 ottobre 1990, n.
10171, Foro it. 1991, I, 2154. (7968/248).
2369. Seconda convocazione e convocazioni successive (1). – [I]. Se i soci partecipanti
all'assemblea non rappresentano complessivamente la parte di capitale richiesta dall'articolo
precedente, l'assemblea deve essere nuovamente convocata.
[II]. Nell'avviso di convocazione dell'assemblea può essere fissato il giorno per la seconda
convocazione. Questa non può aver luogo nello stesso giorno fissato per la prima. Se il giorno
per la seconda convocazione non è indicato nell'avviso, l'assemblea deve essere riconvocata
entro trenta giorni dalla data della prima, e il termine stabilito dal secondo comma dell'articolo
2366 è ridotto ad otto giorni.
[III]. In seconda convocazione l'assemblea ordinaria delibera sugli oggetti che avrebbero
dovuto essere trattati nella prima, qualunque sia la parte di capitale rappresentata dai soci
partecipanti, e l'assemblea straordinaria è regolarmente costituita con la partecipazione di oltre
un terzo del capitale sociale e delibera con il voto favorevole di almeno i due terzi del capitale
rappresentato in assemblea.
[IV]. Lo statuto può richiedere maggioranze più elevate, tranne che per l'approvazione del
bilancio e per la nomina e la revoca delle cariche sociali.
[V]. Nelle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio è necessario, anche
in seconda convocazione, il voto favorevole di tanti soci che rappresentino più di un terzo del
capitale sociale per le deliberazioni concernenti il cambiamento dell'oggetto sociale, la
trasformazione della società, lo scioglimento anticipato, la proroga della società, la revoca
dello stato di liquidazione, il trasferimento della sede sociale all'estero e l'emissione delle
azioni di cui al secondo comma dell'articolo 2351 (2).
[VI]. Lo statuto può prevedere eventuali ulteriori convocazioni dell'assemblea, alle quali si
applicano le disposizioni del terzo, quarto e quinto comma.
[VII]. Nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio l'assemblea
straordinaria è costituita, nelle convocazioni successive alla seconda, con la presenza di tanti
soci che rappresentino almeno un quinto del capitale sociale, salvo che lo statuto richieda una
quota di capitale più elevata.
(1) V. nota al Capo V.
(2) Le parole « e l'emissione delle azioni di cui al secondo comma dell'articolo 2351 » sono state sostituite alle
parole « e l'emissione di azioni privilegiate » dall'art. 1 d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, come modificato dall'art.
51n)d.lgs. 6 febbraio 2004, n. 37.
Sommario: 1. Il verbale di prima convocazione in relazione ai problemi di regolarità delle operazioni. - 2. Il
quorum costitutivo della seconda convocazione.
1. Il verbale di prima convocazione in relazione
ai problemi di regolarità delle operazioni. - A
soddisfare l'esigenza di certezza sulla regolarità
delle operazioni concernenti la costituzione
dell'assemblea dei soci di una società per azioni,
quando essa non risulti tecnicamente possibile per
l'assenza del numero legale, non è necessario un
atto pubblico notarile bensè è sufficiente la
redazione di un normale verbale di adunanza, da
redigere, al di fuori delle regole speciali dettate
dall'art. 2375 c.c., dal presidente o da altro socio
presente, anche quando l'assemblea sia stata
convocata in sede straordinaria (oltre che
ordinaria) per il medesimo giorno. Cass. civ., sez.
I, 7 marzo 1992, n. 2764, Giust. civ. Mass. 1992,
fasc. 3. (7968/240).
Della diserzione della riunione in prima
convocazione, può darsi atto anche nel verbale di
seconda convocazione. Trib. Reggio Emilia, 27
aprile 1994, Giur. comm. 1995, II, 741.
(7968/384).
La deliberazione assembleare societaria assunta,
in seconda convocazione, non preceduta dalla
verbalizzazione del mancato raggiungimento delle
maggioranze richieste per la sua costituzione in
prima convocazione, non può essere considerata
"inesistente", ed infatti essa possiede tutti gli
elementi per essere riconducibile al modello
legale delle deliberazioni assembleari e per essere
imputata alla società nel cui ambito viene assunta,
e pone solo problemi di validità legati
all'accertamento della maggioranza necessaria per
assumere la deliberazione. Cass. civ., sez. I, 26
novembre 1998, n. 12008, Giust. civ. Mass. 1998,
2464, Arch. civ. 1999, 158, Riv. notariato 1999,
743, Foro it. 1999, I, 2289, Notariato 1999, 427,
Giust. civ. 1999, I, 2097. (7968/384).
2. Il quorum costitutivo della seconda
convocazione. - La disposizione di cui al comma
3 dell'art. 2369 c.c. (ante Riforma), nella parte in
cui stabilisce che l'assemblea ordinaria di una
società per azioni, in seconda convocazione,
delibera sugli oggetti che avrebbero dovuto essere
trattati nella prima qualunque sia la parte di
capitale rappresentata dai soci intervenuti, è
inderogabile. Pertanto, è nulla ed inefficace la
modifica dello statuto speciale volta a stabilire
anche per le assemblee ordinarie in seconda
convocazione un quorum di maggioranza
determinato. Cass. civ., sez. I, 16 marzo 1990, n.
2198, Giust. civ. Mass. 1990, fasc. 3, Giust. civ.
1990, I, 2608, Dir. fall. 1990, II, 986. (7968/288).
È nulla la delibera assembleare di società per
azioni che imponga un quorum di maggioranza
determinato anche per le delibere assunte dalle
assemblee ordinarie di seconda convocazione.
Cass. civ., sez. I, 16 marzo 1990, n. 2198, Foro it.
1991, I, 228, Giur. comm. 1991, II, 723.
(7968/288).
È nulla la clausola statutaria di s.p.a. che richiede,
per
l'assemblea
ordinaria
di
seconda
convocazione, un "quorum" costitutivo. Trib.
Bologna, 13 settembre 1984, Giur. comm. 1985,
II,
354.
(7968/276).
2370. Diritto d'intervento all'assemblea ed esercizio del voto (1). – [I]. Possono intervenire
all'assemblea gli azionisti cui spetta il diritto di voto.
[II]. Lo statuto può richiedere il preventivo deposito delle azioni o della relativa certificazione
presso la sede sociale o le banche indicate nell'avviso di convocazione, fissando il termine
entro il quale debbono essere depositate ed eventualmente prevedendo che non possano essere
ritirate prima che l'assemblea abbia avuto luogo. Nelle società che fanno ricorso al mercato
del capitale di rischio il termine non può essere superiore a due giorni non festivi (2) e, nei
casi previsti dai commi sesto e settimo dell'articolo 2354, il deposito è sostituito da una
comunicazione dell'intermediario (3) che tiene i relativi conti.
[III]. Se le azioni sono nominative, la società provvede all'iscrizione nel libro dei soci di
coloro che hanno partecipato all'assemblea o che hanno effettuato il deposito, ovvero che
risultino dalla comunicazione dell'intermediario (3) di cui al comma precedente.
[IV]. Lo statuto può consentire l'intervento all'assemblea mediante mezzi di
telecomunicazione o l'espressione del voto per corrispondenza. Chi esprime il voto per
corrispondenza si considera intervenuto all'assemblea.
(1) V. nota al Capo V.
(2) Le parole « non festivi » sono state inserite dall'art. 10 d.lgs. 28 dicembre 2004, n. 310.
(3) V. Avviso di rettifica in G.U. 4 luglio 2003, n. 153.
Sommario: 1. Le modifiche della Riforma. - 2. Uso di mezzi telematici e del voto per corrispondenza.
1. Le modifiche della Riforma. - Le modifiche
più rilevanti riguardano il diritto di intervento solo
per i soci titolari del diritto di voto e la non
obbligatorietà del preventivo deposito delle azioni
cinque giorni prima dell'assemblea.
stesse condizioni in presenza delle quali tali
modalità di svolgimento delle riunioni
assembleari e di partecipazione alle decisioni dei
soci sono ammesse nella s.p.a. che non fa ricorso
al mercato del capitale di rischio. Consiglio
Notarile Milano, 10 marzo 2004, n. 14.
2. Uso di mezzi telematici e del voto per
corrispondenza. - Devono ritenersi ammissibili
le
assemblee
tenute
con
mezzi
di
telecomunicazione e i voti per corrispondenza alle
2371. Presidenza dell'assemblea (1). – [I]. L'assemblea è presieduta dalla persona indicata
nello statuto o, in mancanza, da quella eletta con il voto della maggioranza dei presenti. Il
presidente è assistito da un segretario designato nello stesso modo. Il presidente
dell'assemblea verifica la regolarità della costituzione, accerta l'identità e la legittimazione dei
presenti, regola il suo svolgimento ed accerta i risultati delle votazioni; degli esiti di tali (2)
accertamenti deve essere dato conto nel verbale.
[II]. L'assistenza del segretario non è necessaria quando il verbale dell'assemblea è redatto da
un notaio.
(1) V. nota al Capo V.
(2) V. Errata-corrige in G.U. 4 luglio 2003, n. 153.
Sommario: 1. Introduzione. - 2. L'individuazione del Presidente. - 3. I doveri e i poteri del Presidente.
Giurisprudenza di merito.
1. Introduzione. - La norma, come modificata
dalla Riforma, si connota solo per maggiore
precisione rispetto alla previgente disciplina,
riferendosi alla persona indicata nello statuto.
2. L'individuazione del Presidente. - In tema di
presidenza dell'assemblea della società per azioni,
è illegittima, per contrarietà alla norma
inderogabile di cui all'art. 2371 c.c., la delibera
che, attribuendo la funzione al presidente del
consiglio di amministrazione, preveda che, in caso
di assenza o impedimento, essa spetti ad un
consigliere scelto dallo stesso collegio, poiché per
tale ipotesi subordinata la norma espressamente
deferisce la scelta alla maggioranza degli
intervenuti. Cass. civ., sez. I, 13 settembre 2007,
n. 19160, Giust. civ. Mass. 2007, 9. (7968/240).
La disposizione dello statuto di una società per
azioni, che preveda che l'assemblea deve essere
presieduta da un azionista, nominato a
maggioranza dagli intervenuti, non è diretta ad
ampliare
i
poteri
dello
stesso,
che,
indipendentemente da tale qualità, nel silenzio
dell'atto costitutivo o dello statuto, potrebbe
ugualmente essere designato a presiedere
l'assemblea, ma a limitare i poteri dell'assemblea
stessa nella scelta del presidente, che,
nell'avvalersi del potere di designarlo, ai sensi
dell'art. 2371 c.c., dovrà farlo scegliendolo
esclusivamente tra gli azionisti. Pertanto, il
mandato conferito dall'azionista ad altro soggetto,
che non rivesta tale qualità, di rappresentarlo
all'assemblea, non è idoneo a conferire a
quest'ultimo anche la legittimazione a presiederla.
(Nel caso di specie, in virtù di tale principio, è
stata ritenuta illegittima la delibera di
un'assemblea svoltasi sotto la presidenza di un
avvocato, non azionista, cui era stato conferito da
un azionista l'incarico di rappresentarlo
all'assemblea sociale). Cass. civ., sez. I, 8 giugno
2001, n. 7770, Giust. civ. Mass. 2001, 1151, Riv.
notariato 2001, 1217, Società 2001, 1343.
(7968/240).
Il consenso tacito dei soci di una s.p.a. nello
svolgimento, da parte di un soggetto, delle
funzioni di presidente dell'assemblea è una forma
di designazione rilevante ai sensi dell'art. 2371
c.c. Trib. Milano, 9 novembre 1987, Giur. comm.
1988, II, 967, Riv. notariato 1989, 239.
(7968/240).
La giurisprudenza ha ritenuto che l'amministratore
unico di una società, ancorché revocato dalla
carica, potesse continuare a presiedere
l'assemblea, qualora vi sia stato un tacito consenso
dei soci intervenuti. Trib. Milano, 16 marzo 1998,
Giur. it. 1998, 1426. (7968/240).
L'assemblea che si svolge a seguito di rinvio è
legittimamente presieduta da persona designata
dagli interventi in assenza dell'amministratore cui
lo statuto attribuisce tale carica e che aveva
presieduto la precedente adunanza. Trib. Roma,
15 gennaio 1988, Foro it. 1989, I, 257.
(7968/240).
3. I doveri e i poteri del Presidente.
Giurisprudenza di merito. - Il rifiuto da parte
del presidente dell'assemblea di accogliere la
richiesta di rinvio proveniente dalla minoranza
qualificata dei soci, ai sensi dell'art. 2374 c.c., non
è causa di invalidità della deliberazione qualora la
richiesta stessa non sia conforme al
comportamento che l'art. 1375 c.c. impone ai
contraenti. Trib. Roma, 14 giugno 2005, Riv.
notariato 2006, 6, 1584. (7968/348).
Il biglietto di ammissione, ove mancante, non
preclude al socio la partecipazione all'assemblea
della s.p.a., il cui diritto dipende dalla titolarità
delle azioni, accertabile "aliunde" dal presidente
della assemblea. Trib. Padova, 11 gennaio 2005,
Giur. merito 2005, 7/8, 1549. (7968/240).
I poteri del presidente dell'assemblea sono
funzionali all'ordinato e regolare svolgimento dei
lavori e possono estendersi sino alla sospensione e
allo scioglimento dell'assemblea. Trib. Nocera
Inferiore, 28 luglio 2003, Giur. it. 2004, 115,
Giur. comm. 2004, II, 443. (7968/240).
Nelle società di capitali, in assenza di specifiche
indicazioni statutarie o regolamentari circa le
modalità di votazione in sede assemblare, la scelta
del sistema di votazione spetta al presidente
dell'assemblea, soggetto competente a regolare lo
svolgimento dei lavori assembleari (nella specie
per la nomina delle cariche sociali era stato
adottato il voto di lista con espressione del voto
per alzata di mano e successiva identificazione
nominativa dei soci contrari o astenuti ai fini della
controprova, mediante raccolta dei relativi
tagliandi di votazione). App. Milano, 11 agosto
2000, Giur. it. 2001, 1906. (7968/240).
Il presidente dell'assemblea di un organo
collegiale, massimamente quando tale carica sia
prevista dallo statuto, possiede tutti i poteri
necessari per il razionale e corretto svolgimento
dell'assemblea, ivi compreso quello della scelta
delle proposte da mettere ai voti. Ne consegue che
la deliberazione assembleare di una persona
giuridica, la quale abbia ottenuto il prescritto
"quorum" deliberativo, non può ritenersi viziata
per il solo fatto che non siano state messe ai voti
altre proposte sullo stesso "thema decidendum".
Trib. Roma, 24 gennaio 2000, Giur. romana 2000,
365. (7968/240).
Il presidente dell'assemblea di una s.p.a., con la
tacita approvazione della maggioranza dei soci
intervenuti, può legittimamente disporre che la
deliberazione assembleare sia votata "per alzata di
mano". Trib. Varese, 1 marzo 1999, Società 1999,
864. (7968/288).
L'identificazione
degli
intervenuti
ad
un'assemblea di società di capitali può essere
effettuata mediante le dichiarazioni rese dal
presidente e come tali verbalizzate dal notaio.
App. Genova, 23 maggio 1998, Giur. comm.
1999, II, 127. (7968/240).
È in contrasto con l'art. 2371 c.c. e deve pertanto
considerarsi illegittima, la clausola statutaria con
la quale si autorizza il presidente dell'assemblea a
nominare il segretario per la redazione del
verbale. Trib. Roma, 11 aprile 1996, Giust. civ.
1996, I, 2706. (7968/384).
È compito del presidente dell'assemblea e non del
segretario o del notaio verbalizzante di verificare
l'esistenza e la regolarità delle deleghe di voto.
App. Genova, 19 luglio 1995, Giur. it. 1995, I, 2,
784. (7968/240).
È illegittima la clausola statutaria, secondo cui "il
presidente dell'assemblea nomina un segretario
anche non socio", spettando la designazione del
segretario ai soci intervenuti all'adunanza
assembleare, in mancanza di specifica indicazione
dell'atto costitutivo (o dell'allegato statuto), ai
sensi degli art. 2371 comma 1 e 2486 comma 2
c.c. Trib. Cassino, 6 aprile 1990, Riv. dir. comm.
1991,
II,
207.
(7968/240).
2372. Rappresentanza nell'assemblea (1). – [I]. Salvo disposizione contraria dello statuto, i
soci possono farsi rappresentare nell'assemblea. La rappresentanza deve essere conferita per
iscritto e i documenti relativi devono essere conservati dalla società.
[II]. Nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio la rappresentanza può
essere conferita solo per singole assemblee, con effetto anche per le successive convocazioni,
salvo che si tratti di procura generale o di procura conferita da una società, associazione,
fondazione o altro ente collettivo o istituzione ad un proprio dipendente.
[III]. La delega non può essere rilasciata con il nome del rappresentante in bianco ed è sempre
revocabile nonostante ogni patto contrario. Il rappresentante può farsi sostituire solo da chi sia
espressamente indicato nella delega.
[IV]. Se la rappresentanza è conferita ad una società, associazione, fondazione od altro ente
collettivo o istituzione, questi possono delegare soltanto un proprio dipendente o
collaboratore.
[V]. La rappresentanza non può essere conferita né ai membri degli organi amministrativi o di
controllo o ai dipendenti della società, né alle società da essa controllate o ai membri degli
organi amministrativi o di controllo o ai dipendenti di queste.
[VI]. La stessa persona non può rappresentare in assemblea più di venti soci o, se si tratta di
società previste nel secondo comma di questo articolo, più di cinquanta soci se la società ha
capitale non superiore a cinque milioni di euro, più di cento soci se la società ha capitale
superiore a cinque milioni di euro e non superiore a venticinque milioni di euro, e più di
duecento soci se la società ha capitale superiore a venticinque milioni di euro.
[VII]. Le disposizioni del quinto e del sesto comma di questo articolo si applicano anche nel
caso di girata delle azioni per procura.
(1) V. nota al Capo V.
Sommario: 1. Introduzione. – 2. Cenni generali sulle deleghe. - 3. Deroga per le deleghe conferite per più
assemblee. - 4. Validità delle delibere adottate con il conteggio di voti espressi in violazione dell'art. 2372.
Giurisprudenza contrastante.
1. Introduzione. – Con la Riforma il legislatore
ha notevolmente differenziato la disciplina in
tema di deleghe per la partecipazione
all’assemblea tra le società per azioni e quella a
responsabilità limitata.
Quanto alle società per azioni, l’art. 2372 c.c.
assoggetta ad un diverso regime la rappresentanza
in relazione ad assemblee di società che fanno
ricorso al mercato del capitale di rischio rispetto a
quelle di società che non vi fanno ricorso.
Quanto alle prime, la delega può essere conferita
unicamente per singole assemblee, per le seconde,
diversamente, non opera il predetto limite.
2. Cenni generali sulle deleghe. - La delega per
partecipare ad una assemblea di società di capitali
deve avere la forma scritta ad substantiam
(Tribunale Milano, 23 aprile 2008, Giur. it 2008,
dicembre, 2743, (7968/336)), quindi il relativo
documento deve contenere l’estrinsecazione
diretta della volontà negoziale della parte, non
essendo sufficiente l’allegazione di un documento
formato da terzi (privati) che si limiti a
riconoscere il fatto storico dell’avvenuto
conferimento del mandato (in analogia con quanto
statuito in materia contrattuale da Cass. civ., sez.
II, 30 agosto 1994, n. 7590, Giust. civ. Mass.
1994, 1117).
L'indicazione, nel verbale di assemblea di società
per azioni, dell'elenco nominativo dei partecipanti
in proprio o per delega è finalizzato alla verifica
del corretto esercizio del diritto di voto da parte
dei rappresentanti, in funzione della tutela degli
interessi dei rappresentati. Cass. civ., sez. I, 17
luglio 2007, n. 15950, Giust. civ. Mass. 2007, 9.
(7968/384).
Non può parlarsi di inesistenza del mandato
qualora si verifichi che sussista divergenza tra il
numero di azioni oggetto di delega e il numero
effettivo di azioni per il quale può essere
esercitato in sede assembleare il relativo diritto di
voto da parte del delegato. Trib. Milano, 3
settembre 2003, Società 2004, 1016. (7968/336).
3. Deroga per le deleghe conferite per più
assemblee. - In tema di società di capitali, il
divieto di conferire la rappresentanza in
assemblea di cui all'art. 2372 c.c. non è
applicabile in caso di rappresentanza organica.
Trib. Milano, sez. VIII, 5 luglio 2006, n. 8197, Il
merito 2006, 12, 40. (7968/336).
Con riguardo alle società per azioni, in ordine alla
rappresentanza del socio nell'assemblea l'art. 8
della l. 7 giugno 1974, n. 216 il quale,
modificando l'art. 2372 c.c., ha inteso imporre
all'azionista
una
maggiore
oculatezza
nell'esercizio del diritto di farsi rappresentare
nell'assemblea, richiedendo (tra l'altro) che la
procura sia conferita per singole assemblee e
quindi con piena contezza della convocazione di
questa e del relativo ordine del giorno, comporta
che il procuratore generale dell'azionista non è in
quanto tale legittimato a rappresentarlo
nell'assemblea, occorrendo invece che, oltre a non
rientrare nel novero delle persone cui la
rappresentanza non può essere conferita per
divieto legale (o statutario), egli sia munito di
procura conferita per la specifica assemblea in cui
il diritto di voto dovrà essere esercitato. Cass. civ.,
sez. I, 20 luglio 1988, n. 4709, Giust. civ. Mass.
1988, fasc. 7, Giur. it. 1988, I, 1, 1714, Giust. civ.
1988, I, 2525. (7968/336).
La delega conferita per la votazione delle cariche
sociali comprende necessariamente anche la
delega
per
le
deliberazioni
accessorie
(propedeutiche, strumentali e consequenziali), tra
le quali rientra quella relativa alla scelta del
sistema di votazione. Le limitazioni di cui all'art.
2372 c.c., ed in particolare quella per cui la
rappresentanza può essere conferita solo per
singole assemblee, non sono applicabili al
procuratore generale ad negotia il quale è
conseguentemente legittimato a chiedere la
convocazione dell'assemblea ai sensi dell'art. 2367
c.c. Trib. Milano, 7 maggio 2002, Giur. it. 2002,
2100. (7968/336).
4. Validità delle delibere adottate con il
conteggio di voti espressi in violazione dell'art.
2372. Giurisprudenza contrastante. - La
presenza, e al limite la partecipazione alla
discussione, di soggetti non legittimati è
circostanza irrilevante ai fini della costituzione
dell'assemblea e ai fini della validità delle
deliberazioni, se il voto degli intervenuti non
legittimati non è determinante per l'approvazione
delle deliberazioni. App. Milano, 14 luglio 1989,
Banca borsa tit. cred. 1990, II,608. (7968/336).
In senso contrario si è espressa App. Napoli, 11
aprile 1984, Società 1984, 1231. (7968/336).
2373. Conflitto d'interessi (1). – [I]. La deliberazione approvata con il voto determinante di
soci che abbiano, per conto proprio o di terzi, un interesse in conflitto con quello della società
è impugnabile a norma dell'articolo 2377 qualora possa recarle danno.
[II]. Gli amministratori non possono votare nelle deliberazioni riguardanti la loro
responsabilità. I componenti del consiglio di gestione non possono votare nelle deliberazioni
riguardanti la nomina, la revoca o la responsabilità dei consiglieri di sorveglianza.
(1) V. nota al Capo V.
Sommario: 1. Introduzione. - 2. Il conflitto di interessi - 3. L'abuso di maggioranza e l'eccesso di potere. - 4. Il
calcolo dei quorum ed annullabilità delle delibere. Giurisprudenza consolidata. - 5. La casistica .
1. Introduzione. - La Riforma non ha previsto un
obbligo di disclosure in capo al socio conflittato,
analogamente a quanto invece previsto dall'art.
2391, comma 2, c.c. (in tema di amministratori)
ovvero dall'art. 2497 ter c.c. (in tema di società
soggette ad attività di direzione e coordinamento).
Permane il divieto assoluto di voto in capo agli
amministratori nelle delibere riguardanti la loro
responsabilità.
2. Il conflitto di interessi - In applicazione del
principio di buona fede in senso oggettivo al quale
deve essere improntata l'esecuzione del contratto
di società, la cosiddetta regola di maggioranza
consente al socio di esercitare liberamente e
legittimamente il diritto di voto per il
perseguimento di un proprio interesse fino al
limite dell'altrui potenziale danno. L'abuso della
regola di maggioranza (altrimenti detto abuso o
eccesso di potere) è, quindi, causa di
annullamento delle deliberazioni assembleari
allorquando la delibera non trovi alcuna
giustificazione nell'interesse della società - per
essere il voto ispirato al perseguimento da parte
dei soci di maggioranza di un interesse personale
antitetico a quello sociale - oppure sia il risultato
di una intenzionale attività fraudolenta dei soci
maggioritari diretta a provocare la lesione dei
diritti di partecipazione e degli altri diritti
patrimoniali spettanti ai soci di minoranza "uti
singuli". L'onere di provare che il socio di
maggioranza abbia abusato del proprio diritto di
voto grava sul socio di minoranza che assume
l'illegittimità della deliberazione; nel concreto suo
atteggiarsi, detta prova non deve ritenersi limitata
ai sintomi dell'abuso della regola di maggioranza
manifestatisi prima dell'adozione della delibera
impugnata, potendo, viceversa, farsi leva su
comportamenti o indizi cronologicamente
successivi, in grado di rivelarne "ex post" la
sussistenza. Non è impugnabile per conflitto di
interessi la delibera di scioglimento anticipato
della società ex art. 2484, n. 5, c.c. testo
previgente (ora art. 2484, n. 6, c.c.) in quanto la
situazione di conflitto rilevante ai fini dell'art.
2373 c.c. testo previgente deve essere valutata con
riferimento non già a confliggenti interessi dei
soci, bensì a un eventuale contrasto tra l'interesse
del socio e l'interesse sociale inteso come
l'insieme degli interessi riconducibili al contratto
di società tra i quali non è ricompreso l'interesse
della società alla prosecuzione della propria
attività, giacché la stessa disciplina legale del
fenomeno societario consente che la maggioranza
dei soci ponga fine all'impresa comune senza
subordinare tale decisione ad alcuna condizione.
Cass. civ., 12 dicembre 2005, n. 27387, Giust. civ.
Mass. 2005, 7/8. (7968/252).
Nelle deliberazioni assembleari di società per
azioni sulla responsabilità degli amministratori e
dei sindaci si pone in conflitto d'interessi con la
società il voto contrario espresso dai soggetti
contro cui l'azione risarcitoria viene proposta,
sebbene abbiano ormai lasciato l'incarico o
agiscano come procuratori di altro socio. Trib.
Ancona, 7 marzo 2006, Giur. it. 2007, 3, 666.
(7968/252).
3. L'abuso di maggioranza e l'eccesso di potere.
L’esistenza, quantomeno in via astratta, della
figura dell’abuso o eccesso di potere, per lo più in
fattispecie nelle quali si trattava del voto
determinante della maggioranza, è stata
riconosciuta dalla giurisprudenza. Cass. civ., 12
dicembre 2005, n. 27387, Foro it. 2006, I, 3455;
Cass. civ., 19 aprile 2003, n. 6361, Società 2004,
I, 1219; Cass. civ., 4 maggio 1994, n. 4323; Cass.
civ., 11 marzo 1993, n. 2958, Società 1993, 1049;
Cass. civ., 29 maggio 1986, n. 3628; Trib. Roma,
11 marzo 2005, Foro it. 2006, I, 293; Trib.
Vigevano, 2 marzo 2005, Società 2006, 626; Trib.
Torino, 26 novembre 2004, Giur. it. 2005, 750;
Trib. Milano, 28 gennaio 1998, Società 1998,
946; Trib. Catania, 12 settembre 1989; Trib.
Genova, 19 gennaio 1988, Società 1988, 273;
Trib. Milano, 8 gennaio 1987, Foro it. 1988, I,
608. (7968/252).
Altra parte della giurisprudenza ha ribadito che ferma l’insindacabilità nel merito, da parte dei
Giudici, delle delibere assembleari - le espressioni
di voto possono essere illegittime se adottate con
un voto di maggioranza espresso al solo fine di
danneggiare la minoranza, anzichè di ottenere un
risultato utile per la società. Cass. civ., 26 ottobre
1995, n. 11151, Società 1996, 295, Giur. comm.
1996, II, 329; Cass. civ., 11 giugno 2003, n. 9353,
Società 2004, 188; App. Milano, 18 aprile 2000,
Società 2000, 958. (7968/252).
4. Il calcolo dei quorum ed annullabilità delle
delibere. Giurisprudenza consolidata.– Nella
vigenza del testo ante Riforma dell'art. 2373, la
giurisprudenza aveva più volte statuito che le
azioni del socio in conflitto dovevano essere
computate ai fini del quorum costitutivo,
lasciando intendere l'esclusione delle stesse azioni
dal computo del quorum deliberativo. App. Roma,
29 maggio 2001, Foro it. 2001, I, 3395; App.
Catania 23 maggio 1952, Foro it. 1952, I, 936;
Trib. Milano 18 maggio 2000, Giur. it. 2001, 98;
Trib,. Milano 21 giugno 1988, Giur. it. 1989, I, 2,
224, Riv. notariato 1989, 444. (7968/252).
La giurisprudenza ha dunque aperto la strada per
il nuovo disposto normativo dell'art. 2368, ultimo
comma, c.c., che prevede l'esclusione dal quorum
deliberativo delle azioni del socio in conflitto, che
va coordinato con quello dell'art. 2373 nella parte
in cui prevede che l'annullamento della delibera
può aversi solo in costanza di determinanza del
voto conflitttato e di un danno potenziale nei
confronti della società.
Ed infatti la giurisprudenza ha statuito che in caso
di conflitto di interssi di socio che scelga di
votare, l'annullamento della relativa delibera non è
automatica, ma collegato alla contemporanea
sussistenza di due ulteriori requisiti: la decisività
del voto ai fini dell'assunzione della decisione
(c.d. prova di resistenza); la delibera sia
potenzialmente dannosa per la società. Cass. civ.,
12 dicembre 2005, n. 27387, Giust. civ. Mass.
2005, 7/8. (7968/252).
Sulla potenzialità del danno si è espressa
giurisprudenza costante: Cass. civ., sez. I, 23
marzo 1996, n. 2562, Giust. civ. Mass. 1996, 417,
Giur. it. 1996, I, 1, 1332, Notariato 1996, 521,
Società 1996, 1146, Vita not. 1996, 1411; Cass.
civ., sez. I, 21 dicembre 1994, n. 11017, Giust.
civ. Mass. 1994, fasc. 12; Cass. civ., sez. I, 11
marzo 1993, n. 2958, Società 1993, 1049.
(7968/252).
I suindicati requisiti devono ricorrere entrambi e,
laddove manchi uno di essi, potremo definire la
delibera come inattaccabile. Cass. civ., sez. I, 21
marzo 2000, n. 3312, Giust. civ. Mass. 2000, 607,
Giust. civ. 2000, I, 1953, Dir. e prat. soc. 2000,
12, 80, Nuova giur. civ. commentata 2001, I, 428.
(7968/252).
5. La casistica - Deve essere annullata la delibera
dell’assemblea quando il compenso degli
amministratori serve, in realtà, a regolare i conti
fra i soci in uscita e quelli che restano nella
compagine. Ricorre, nella specie, il conflitto di
interessi regolato dall’art. 2373 c.c. Cass. civ., sez.
I, 3 dicembre 2008, n. 28748, Diritto & Giustizia
2008. (7968/252).
Anche con riguardo a una deliberazione
dell'assemblea di una società per azioni con la
quale si decida la proposizione dell'azione sociale
di responsabilità nei confronti dell'amministratore
è configurabile un conflitto d'interessi nei sensi
previsti dall'art. 2373 c.c. con la conseguente
possibilità
d'impugnazione
della
delibera
medesima ove si accerti, attraverso obiettive
circostanze di fatto, che l'azione di responsabilità,
prevista in astratto a favore e a tutela della società,
sia stata in concreto deliberata nell'interesse
particolare dei soci che intendono promuoverla e
che questo interesse sia confliggente con quello
sociale. Cass. civ., 12 dicembre 2005, n. 27387,
Giust. civ. Mass. 2005, 7/8. (7968/252).
Il vizio di eccesso o abuso di potere è ravvisabile
allorquando la delibera dell'assemblea di un fondo
previdenziale, anche se adottata nelle forme legali
e con le maggioranze prescritte, risulti arbitraria e
fraudolentemente preordinata al perseguimento,
da parte dei soci di maggioranza, di interessi
diversi da quelli del fondo ovvero volutamente
lesivi degli interessi degli altri soci,
conseguendone pertanto che la relativa tutela è
richiamabile solo qualora la delibera stessa non
abbia una propria autonoma giustificazione sulla
base dei legittimi interessi dei soci di maggioranza
e la finalità fraudolenta in danno della minoranza
costituisca l'unica ragione della delibera. Cass.
civ., sez. lav., 19 aprile 2003, n. 6361, Foro it.
2004, I, 1219. (7968/252).
Il vizio della deliberazione assembleare, costituito
dal cosiddetto eccesso di potere, deve riconoscersi
laddove la delibera sia stata adottata a proprio
esclusivo vantaggio dai soci di maggioranza di
una società di capitali in danno di quelli di
minoranza, essendo applicabile in materia l'art.
1375 c.c., in base al quale il contratto deve essere
eseguito secondo buona fede. Tale vizio non può
invece riconoscersi sulla base della supposta
irrazionalità della determinazione dell'assemblea,
per avere la maggioranza agito per finalità
contrarie a quelle per le quali era stata costituita,
essendo rimesso all'insindacabile apprezzamento
degli organi sociali l'individuazione del modo
migliore per perseguire l'interesse sociale. Cass.
civ., 11 giugno 2003, n. 9353, Dir. e giust. 2003,
26, 95. (7968/252).
Per alcune ipotesi di non annullabilità della
delibera
determinative
del
compenso
dell'amministratore per conflitto di interessi dello
stesso qualora non ne derivi un danno per la
società: Cass. civ., sez. I, 17 luglio 2007, n.
15942, Giust. civ. Mass. 2007, 7-8; Cass. civ., sez.
I, 21 marzo 2000, n. 3312, Giust. civ. 2000, I,
1953. (7968/252).
Le deliberazioni dell'assemblea di una società
aventi ad oggetto l'aumento del capitale, ove siano
frutto di un accordo di maggioranza diretto a
realizzare non l'interesse sociale, ma quello,
personale dei partecipanti all'accordo medesimo,
di accentramento in proprie mani della
disponibilità del capitale azionario, con
conseguente riduzione della partecipazione
percentuale di soci impossibilitati ad esercitare il
diritto di opzione, sono viziate da eccesso di
potere e, pertanto, annullabili ex art. 2377 c.c.,
rimanendo la diversa ipotesi di nullità ex art.
2379, stesso codice, limitata ai casi di
deliberazioni
che
si
caratterizzino
per
impossibilità o illiceità dell'oggetto, identificato
nel contenuto della deliberazione. Cass. civ., sez.
I, 4 maggio 1994, n. 4323, Giust. civ. Mass. 1994,
607. (7968/252). (7968/252).
La fattispecie del conflitto di interessi, come
causa di annullamento di deliberazioni
assembleari, è ancorata alla disciplina dell'art.
2373 c.c., ed è caratterizzata da un contrasto
oggettivo
e
preesistente
tra
l'interesse
concretamente
perseguito
dal
socio
di
maggioranza e quello istituzionale della società,
individuato quest'ultimo in un interesse a
contenuto patrimoniale, e precisamente in quello
che il patrimonio sociale non sia danneggiato
dalla deliberazione, potendosi individuare la
"ratio" dell'articolo richiamato nella necessità di
colpire attentati all'integrità patrimoniale della
società. Cass. civ., sez. I, 11 marzo 1993, n. 2958,
Società 1993, 1049. (7968/252).
La deliberazione di scioglimento di una società,
che sia stata adottata dai soci nelle forme legali e
con le maggioranze all'uopo prescritte, può essere
invalidata, in difetto delle ragioni tipiche all'uopo
previste (art. 2377-2379 c.c.), sotto il profilo
dell'abuso od eccesso di potere, solo quando
risulti arbitrariamente o fraudolentemente
preordinata dai soci maggioritari per perseguire
interessi divergenti da quelli societari (e quindi,
per le società cooperative, dal fine mutualistico),
ovvero per ledere i diritti del singolo partecipante
(come nel caso in cui lo scioglimento sia
indirizzato soltanto all'esclusione del socio),
mentre, all'infuori di tali ipotesi, resta preclusa
ogni possibilità di sindacato in sede giudiziaria sui
motivi che hanno indotto la maggioranza alla
suddetta decisione. Cass. civ., sez. I, 29 maggio
1986, n. 3628, Giust. civ. Mass. 1986, I, 2093.
(7968/252).
La configurabilità dell'abuso di potere, quale
limite al principio maggioritario che regola i
meccanismi di determinazione della volontà della
società, è correlata ad ipotesi in cui l'esercizio del
diritto di voto da parte della maggioranza è
fraudolentemente preordinato ad esclusivo danno
della minoranza. Ne consegue che, al fine di
provocare
l'annullamento
della
delibera
assembleare, devono contestualmente ricorrere
due fondamentali presupposti: da un lato, la
decisione deve essere esclusivamente ispirata da
un interesse personale dei soci di maggioranza
palesemente collidente con lo scopo del contratto
di società e antitetico all'interesse sociale;
dall'altro, tale decisione deve essere conseguente
ad un'attività fraudolenta dei soci di maggioranza
diretta a determinare un danno ai soci di
minoranza. Corollario a tali principi è che, qualora
la delibera abbia comunque una propria e
autonoma giustificazione sulla base di una
valutazione discrezionale dei soci di maggioranza
e la finalità in danno della minoranza non
costituisca, quindi, l'unica ragione della delibera,
non è riscontrabile la predetta causa di
annullabilità. App. Milano, 21 novembre 2003,
Dir. e prat. soc. 2004, 22, 69. (7968/252).
La delibera di una società per azioni, avente ad
oggetto l'attribuzione ai propri amministratori di
un compenso, la cui entità non trova
giustificazione alla luce dell'andamento degli
affari e delle pregresse determinazioni assunte
sull'argomento dalla stessa società, risultando
precipuamente finalizzata alla spoliazione del soci
di minoranza, è viziata da conflitto di interessi ove
sia assunta con il voto determinante di altra s.p.a.
socia, controllata da un consigliere di
amministrazione della prima. Trib. Milano, 1
febbraio 2005, Giur. it. 2005, 2110. (7968/252).
L'eccesso di potere è un abuso che può condurre
all'annullamento della delibera che "risulti
arbitrariamente e fraudolentemente preordinata al
perseguimento, da parte di soci di maggioranza, di
interessi divergenti da quelli societari, ovvero alla
realizzazione di scopi lesivi del singolo
partecipante; mentre, al di fuori di tali ipotesi,
resta preclusa ogni possibilità di sindacato
giurisdizionale in ordine ai motivi che hanno
indotto la maggioranza dei soci ad adottare
deliberazioni siffatte. Tuttavia, in queste ipotesi,
costituisca preciso onere di chi impugna la
deliberazione dimostrare, con idonei mezzi di
prova, la sussistenza dell'abuso o dell'eccesso di
potere denunziato, perché possa dispiegarsi il
predetto sindacato del giudice. Trib. Milano, 5
febbraio 2004.
Una delibera in concreto preordinata ad
avvantaggiare alcuni soci in danno di altri, è
illegittima. Collegio Arbitrale Milano, 11 luglio
2007, Società 2008, 11, 1419. (7968/252).
2374. Rinvio dell'assemblea (1). – [I]. I soci intervenuti che riuniscono un terzo del capitale
rappresentato nell'assemblea, se dichiarano di non essere sufficientemente informati sugli
oggetti posti in deliberazione, possono chiedere che l'assemblea sia rinviata a non oltre cinque
giorni.
[II]. Questo diritto non può esercitarsi che una sola volta per lo stesso oggetto.
(1) V. nota al Capo V.
Sommario: 1. Introduzione. - 2. Portata della norma.- 3. Casi di rinvio senza applicazione della norma.
Giurisprudenza consolidata.
1. Introduzione. – La norma ha riigurado alla
possibilità di rinvio dell'assemblea in costanza di
gap di informazione.
L'unica modifica della Riforma si rinviene nella
circostanza che il rinvio sia esercitato a cinque
giorni e non più a tre giorni.
2. . Portata della norma - La norma in esame
afferma un vero e proprio diritto al rinvio non
essendo sottoponibile la facoltà concessa dalla
norma in esame alla votazione dell'asssemblea.
Trib. Roma, 3 agosto 1998, Società 1999, 455.
(7968/348).
È annullabile la deliberazione che sia stata assunta
nonostante la richiesta di rinvio avanzata dal
singolo socio, in caso di assemblea totalitaria, o
da una parte qualificata del capitate sociale
presente all'assemblea convocata secondo
l'ordinaria procedura. Trib. Catania, 10 gennaio
2002, Società 2002, 879. (7968/348).
La richiesta di differimento dell'adunanza
formulata a norma dell'art. 2374 c.c. dal socio che
si dichiari non sufficientemente informato
prescinde dal riscontro ad opera dell'assemblea o
del suo presidente di una situazione obiettiva di
difetto d'informazione in capo al socio
richiedente, con la conseguenza che il mancato
differimento dell'adunanza rende annullabile la
delibera adottata. Trib. Milano, 25 agosto 2006,
Riv. notariato 2008, 3, 671. (7968/348).
Diversamente, il rifiuto da parte del presidente
dell'assemblea di accogliere la richiesta di rinvio
proveniente dalla minoranza qualificata dei soci,
ai sensi dell'art. 2374 c.c., non è causa di
invalidità della deliberazione qualora la richiesta
stessa non sia conforme al comportamento che
l'art. 1375 c.c. impone ai contraenti. Trib. Roma,
14 giugno 2005, Riv. notariato 2006, 6, 1584.
(7968/348).
Pertiene al potere dell'assemblea di decidere
l'oggetto dei propri lavori, sicché il rinvio ex art.
2374 c.c. deve essere interpretato come decisione
dell'organo deliberativo sul futuro ordine del
giorno. Trib. Milano, 14 febbraio 2005, Giur. it.
2005, 1656. (7968/348).
In caso di rinvio dell'assemblea chiesto dai soci
che si dichiarino insufficientemente informati
sugli oggetti posti in deliberazione ai sensi
dell'art. 2374 c.c., non si configurano due diverse
assemblee, l'adunanza di rinvio costituendo invece
un proseguimento della prima, con la conseguenza
che le decisioni adottate nelle due sedute danno
luogo ad un'unica delibera a contenuto plurimo.
App. Roma, 11 dicembre 2001, Riv. notariato
2003, 787. (7968/348).
Il diritto di chiedere il rinvio dell'assemblea di
società di capitali previsto dall'art. 2374 c.c. deve
essere esercitato nell'ambito della riunione
assembleare e deve essere motivato con la
necessità di assumere maggiori informazioni sugli
argomenti all'ordine del giorno. App. Roma, 21
aprile 1998, Riv. dir. comm. 1998, II, 197.
(7968/348).
Nessuna norma impone all'assemblea dei soci di
società di capitali, convocata per i provvedimenti
di cui all'art. 2447 c.c. e rinviata ex art. 2374 c.c.
su richiesta della maggioranza dei soci
intervenutivi, di deliberare nella nuova seduta
sulla base di una relazione sulla situazione
patrimoniale diversa rispetto a quella presentata
dagli amministratori in vista della precedente
adunanza. Trib. Catania, 12 agosto 1997, Giur.
merito 1998, 4, Società 1998, 188. (7968/348).
3. Casi di rinvio senza applicazione della
norma. Giurisprudenza consolidata. - Qualora
l'assemblea, regolarmente tenutasi, decida con
l'accordo di tutti i soci la prosecuzione della
seduta ad altra data, in cui, sempre con
l'intervento di tutti i soci, sia disposto a
maggioranza e senza alcuna deliberazione
l'ulteriore differimento ad altro giorno, è valida la
deliberazione adottata in questa sede, giacché essendo stati i presenti edotti del prosieguo della
assemblea regolarmente tenutasi - non è
necessario, in assenza di variazioni dell'ordine del
giorno originario - un nuovo avviso di
convocazione, mentre, d'altra parte, non ricorrono
i presupposti stabiliti dall'art. 2374 c.c. per il
rinvio dell'adunanza. Cass. civ., sez. II, 30 ottobre
2006, n. 23329, Giust. civ. Mass. 2006, 10.
(7968/348).
L'art. 2374 c.c. non esaurisce la disciplina delle
ipotesi di rinvio della riunione assembleare,
tuttavia, si può parlare di mero rinvio (cd.
aggiornamento) dell'adunanza solo nel caso in cui
non sia esaurita la discussione sopra tutti gli
argomenti posti nell'ordine del giorno e venga
determinata una data fissa per la prosecuzione
della riunione. Pertanto, solo in questo caso,
essendo la nuova assemblea una semplice
prosecuzione della precedente, gli amministratori
sono esonerati dal compiere nuove formalità di
convocazione. Trib. Milano, 23 maggio 1996,
Giur. it. 1996, I, 2, 808. (7968/348).
2375. Verbale delle deliberazioni dell'assemblea (1). – [I]. Le deliberazioni dell'assemblea
devono constare da verbale sottoscritto dal presidente e dal segretario o dal notaio. Il verbale
deve indicare la data dell'assemblea e, anche in allegato, l'identità dei partecipanti e il capitale
rappresentato da ciascuno; deve altresì indicare le modalità e il risultato delle votazioni e deve
consentire, anche per allegato, l'identificazione dei soci favorevoli, astenuti o dissenzienti. Nel
verbale devono essere riassunte, su richiesta dei soci, le loro dichiarazioni pertinenti all'ordine
del giorno.
[II]. Il verbale dell'assemblea straordinaria deve essere redatto da un notaio.
[III]. Il verbale deve essere redatto senza ritardo, nei tempi necessari per la tempestiva
esecuzione degli obblighi di deposito o di pubblicazione.
(1) V. nota al Capo V.
Sommario: 1. Analiticità o sinteticità del verbale. Giurisprudenza contrastante. - 2. Gli allegati al verbale.
Giurisprudenza consolidata. - 3. Il verbale di assemblea straordinaria. - 4. Il verbale non contestuale.
1. Analiticità o sinteticità del verbale.
Giurisprudenza contrastante. - Prima della
Riforma vi erano tre line di pensiero in merito alle
modalità di verbalizzazione.
Sul carattere analitico si erano, tra le tantissime,
espresse: Cass. civ., 20 giugno 2000, n. 8370,
Giust. civ. Mass. 2000, 1345, Società 2000, 1191,
Foro it. 2000, I, 3506, Dir. e prat. soc. 2000, 23,
99, Giust. civ. 2001, I, 1045, Riv. notariato 2001,
507, Dir. e prat. soc. 2000, 24, 65, Vita not. 2001,
374. (7968/384).
Sul carattere sintetico della verbalizzazione si
erano espresse: Cass. civ., 20 giugno 1997, n.
5542; App. Roma, 18 maggio 1998, Società 1998,
1307; App. Roma, 30 agosto 1996, Giur. it. 1997,
I, 218; App. Roma, 18 aprile 1995, Riv. not. 1995,
1541; App. Roma, 4 dicembre 1993, Riv. not.
1994, 866; App. Torino, 22 novembre 1989, Riv.
not. 1990, 209; App. Roma, 26 luglio 1985, Vita
not. 1986, 831; App. Milano, 30 maggio 1984,
Vita not. 1985, 350; App. Milano, 27 settembre
1983, Giust. civ. 1984, I, 1273; App. Firenze, 8
ottobre 1982, Riv. not. 1983, 235; Trib. Lecce, 21
marzo 1992, Giur. comm. 1993, 126; Trib. Busto
Arsizio, 21 marzo 1984, Foro it. 1986, I, 1049.
(7968/384).
Si era, infine, posto in luce un indirizzo di tipo
intermedio che aveva sostanzialmente statuito che
se da un lato il verbale delle deliberazioni
assembleari non ha carattere analitico, dall'altro,
la società è tenuta a conservare non solo la
documentazione relativa alle deleghe di
rappresentanza, ma anche quella concernente la
verifica del diritto dell'intervento dei soci. App.
Firenze, 12 settembre 1962, Riv. Not. 1962, 776;
Trib. Trento, 6 luglio 1999, Giur. Comm. 2001, II,
84. (7968/384).
Con la Riforma, e la nuova formulazione dell'art.
2375 comma 1, sembra che il legislatore abbia
preferito la soluzione dell'analiticità del verbale.
2. Gli allegati al verbale. Giurisprudenza
consolidata.- La giurisprudenza ha ritenuto che
gli allegati al verbale (riguardanti soci ammessi,
partecipanti,
deleghe
ecc.)
non
fanno
necessariamente parte del verbale di assemblea
(Cass. civ., 20 giugno 1997, n. 5542, Giust. civ.
1997, I, 2747; Trib. Milano, 28 maggio 1968,
Foro it. 1968, I, 2004 (7968/384)), e che
l’attestazione fidefacente riguarda solamente il
fatto che l’allegato in questione sia stato redatto e
consegnato
al
notaio
dal
presidente
dell’assemblea, ma non il suo contenuto
sostanziale di qualificazione delle presenze o di
conformità delle deleghe (App. Bologna, 25 luglio
1951, Riv. not. 1951, 527 (7968/384).
E stato, inoltre, ritenuto che nei verbali di
assemblea redatti da notaio, questi non e` tenuto
ad identificare, oltre al presidente, gli altri
intervenuti, nè a verificare il libro soci o la
regolarità delle deleghe; Trib. Milano, 17 gennaio
2004, Società 2004, 1147 (7968/384).).
Altra giurisprudenza segnala, inoltre, come nella
prassi, determinate allegazioni a verbale non
rientrino nelle specifiche attribuzioni del notaio.
App. Genova, 23 maggio 1998, Giur. comm.
1999, II, 127. (7968/384).
3. Il verbale di assemblea straordinaria. - Il
verbale notarile di assemblea straordinaria di
società di capitali non rientra nell'ambito del
sottosistema tracciato dalla corte di cassazione per
individuare gli atti non richiedenti la presenza dei
testimoni (atti unilaterali a contenuto patrimoniale
che possono essere ricevuti anche da soggetto
diverso dal notaio) perché il verbale predetto può
essere formato solo dal notaio. Spetta al
presidente dell'assemblea, nell'ambito dei poteri
strumentali inerenti all'organizzazione dei
procedimenti di deliberazione assembleare,
effettuare la rinuncia ai testi. Cass. civ., 4
novembre 1997, n. 10799, Giust. civ. Mass. 1997,
2070. (7968/384).
A soddisfare l'esigenza di certezza sulla regolarità
delle operazioni concernenti la costituzione
dell'assemblea dei soci di una società per azioni,
quando essa non risulti tecnicamente possibile per
l'assenza del numero legale, non è necessario un
atto pubblico notarile, bensì è sufficiente la
redazione di un normale verbale di adunanza, da
redigere, al di fuori delle regole speciali dettate
dall'art. 2375 c.c., dal presidente o da altro socio
presente, anche quando l'assemblea sia stata
convocata in sede straordinaria (oltre che
ordinaria) per il medesimo giorno. Cass. civ., 7
marzo 1992, n. 276, Giust. civ. Mass. 1992, fasc.
3. (7968/384).
Un verbale di assemblea straordinaria di società di
capitali, redatto (secondo l'espressa previsione
dell'art. 2375 c.c.) da notaio, come atto tipico
rientrante nelle sue attribuzioni d'ufficio, ha le
caratteristiche dell'atto pubblico, giusta disposto
dell'art. 2421. Il verbale fa pertanto piena prova,
fino a querela di falso, delle modalità di
svolgimento delle operazioni assembleari che il
notaio attesta avvenuti in sua presenza o da lui
compiuti, anche quanto alla espressione di voto
unanime da parte dei rappresentanti dei soci, alla
sottoscrizione del capitale ddaumento ed al
versamento dei tre decimi da parte dei soci stessi.
Trib. Salerno, 16 aprile 2007, Società 2008, 1263.
(7968/384).
4. Il verbale non contestuale. – La Riforma ha
riconosciuto l'ammissibilità del verbale non
contestualmente
redatto,
ma
predisposto
posteriormente all'assemblea, seppur senza
ritardo.
Il verbale postumo deve essere iscritto nel
repertorio del notaio verbalizzante il giorno della
sua redazione, e non in quello in cui si è tenuta
l'assemblea. Consiglio Notarile di Milano,
massima n. 45 del 19 novembre 2004. (7968/384).
Pur in assenza di un espresso richiamo legislativo
si applicano alla verbalizzazione per atto notarile
dell’adunanza e delle deliberazioni di organi
collegiali diversi dall’assemblea le regole dettate
per la redazione del verbale delle deliberazioni
assem-bleari e quindi:
a) il verbale potrà essere redatto anche in un
giorno successivo a quello della riu-nione purché
nei tempi necessari per la tempestiva esecuzione
degli obblighi di deposito o di pubblicazione delle
deliberazioni ivi documentate;
b) il verbale può essere sottoscritto dal solo notaio
senza che sia richiesta a pena di invalidità la
sottoscrizione del presidente del collegio;
c) il verbale deve essere iscritto nel repertorio del
notaio verbalizzante nel giorno della sua
redazione e non in quello in cui si è tenuta la
riunione;
d) non sono applicabili le disposizioni della legge
notarile relative sia alla necessità dell’assistenza
dei testimoni o della rinunzia agli stessi sia alla
necessità della let-tura del documento al
presidente del collegio;
e) nel caso in cui uno o più intervenuti abbiano
compiuto interventi in lingua non compresa dal
verbalizzante, tali interventi dovranno essere
tradotti in modo da assicurarne al soggetto
verbalizzante la comprensione senza però vincoli
formali, non risultan-do applicabili gli artt. 55, 56
e 57 della legge notarile. Consiglio Notarile di
Milano, massima n. 46 del 19 novembre 2004.
(7968/384).
2376. Assemblee speciali (1). – [I]. Se esistono diverse categorie di azioni o strumenti
finanziari che conferiscono diritti amministrativi, le deliberazioni dell'assemblea, che
pregiudicano i diritti di una di esse, devono essere approvate anche dall'assemblea speciale
degli appartenenti alla categoria interessata.
[II]. Alle assemblee speciali si applicano le disposizioni relative alle assemblee straordinarie.
[III]. Con il decreto previsto dall'articolo 163 o con successivo decreto, il tribunale può
stabilire un limite di valore al di sotto del quale non è dovuta l'autorizzazione di cui al secondo
comma.
(1) V. nota al Capo V.
Sommario: 1. Introduzione. - 2. Configurabilità della norma. - 3. La casistica.
1. Introduzione. – La norma ha riguardo a
particolari categorie di assemblee, esistenti
nell'ambito di società che hanno più categorie di
azioni o strumenti finanziari.
2. Configurabilità della norma. - Perchè sia
configurabile la norma, vi deve essere un
pregiudizio non di mero fatto, bensì di diritto,
riscontrabile quando la delibera dell'assemblea
generale, avendo ad oggetto un diritto speciale fra
quelli che sono propri delle singole categorie, ne
determini una compressione o una limitazione,
alterando il rapporto esistente tra le diverse
categorie, e menomando la posizione di vantaggio
precedentemente attribuita collettivamente alla
singola categoria interessata. Trib. Milano, 26
maggio 1990, Giur. it. 1991, I, 2, 590. (7968/360).
3. La casistica. - Non soddisfa il presupposto del
"pregiudizio rilevante", richiesto dagli art. 2376
c.c. e 146 T.u.f. per la convocazione
dell'assemblea speciale, la deliberazione con la
quale venga approvato il progetto di fusione che
assicuri, da punto di vista formale, la parità di
trattamento degli azionisti. Trib. Milano, 9 ottobre
2002, Riv. dottori comm. 2004, 1111. (7968/360).
Il pregiudizio rilevante può configurarsi quando le
decisioni assembleari configurino modifiche alla
struttura dell'azionariato tali da alterare in maniera
qualitative o quantitative il rapporto tra le
categorie esistenti. Trib. Roma, 20 marzo 1995, D.
Fall. 1995, II, 910. (7968/360).
Non è stato ritenuto sussitente il pregiudizio in
caso di delibera di approvazione del progetto di
fusione nella quale sia formalmente assicurata
parità di trattamento agli azionisti di risparmio.
Trib. Milano, 9 ottobre 2002, Società 2003, 863.
(7968/360).
Come pure è stato stauito che non pregiudica i
diritti della categoria e non rileva pertanto la
mancata convocazione dell'assemblea degli
azionisti di risparmio la delibera dell'assemblea
straordinaria di società per azioni quotata in borsa
che consideri la conversione volontaria delle
azioni di risparmio in azioni ordinarie, ove la
conversione non sia imposta, ma si realizzi solo
quale (eventuale) effetto di una apposita
manifestazione di volontà degli azionisti di
risparmio interessati a divenire azionisti ordinari.
Non può infatti ravvisarsi un pregiudizio nel fatto
in sè della conversione di azioni di risparmio in
azioni ordinarie: eventuali conseguenze di
carattere pregiudizievole della conversione
saranno imputabili esclusivamente alla libera ed
autonoma determinazione degli azionisti di
risparmio che decideranno di avvalersi del diritto
loro concesso dalla delibera degli azionisti
ordinari. Trib. Torino, 24 novembre 2000, Società
2001, 991. (7968/360).
Analogamente, è stata ritenuta legittima
l'emissione di azioni di risparmio con
sopraprezzo, in occasione di aumenti del capitale
sociale, anche nel caso in cui tali azioni siano
offerte in opzione ai soci. Trib. Milano, 26
settembre 1991, Giur. comm. 1992, II, 492.
(7968/360).
Come pure è stato ritenuto che la deduzione
secondo cui - in caso di conversione di azioni
ordinarie in azioni di risparmio - l'aumento di
queste ultime determina il rischio di futura
insufficienza dell'utile, per la distribuzione del
dividendo privilegiato ai soci di risparmio,
configura un argomento metagiuridico e del tutto
eventuale, come tale irrilevante al fine
dell'attribuzione della competenza dell'assemblea
speciale di categoria ex art. 146 comma 1 lett. b),
t.u.f. Trib. Vicenza, 10 febbraio 2003, Banca
borsa tit. cred. 2004, II, 574. (7968/360).
È stata ritenuta legittima anche la riduzione di
capitale di una S.p.a. per esuberanza mediante
annullamento di azioni privilegiate proprie
(acquisite dalla società a seguito di conversione
volontaria di azioni privilegiate in ordinarie con
contestuale rinuncia da parte degli azionisti
privilegiati a parte delle loro azioni) ed
accantonamento di una riserva di corrispondente
importo. L'esuberanza può legittimamente essere
giustificata da ragioni dirette ad una migliore
organizzazione dell'impresa sociale e quindi ad un
miglior conseguimento dell'oggetto ai sensi
dell'art. 2445 c.c. Trib. Milano, 9 marzo 2000,
Giur.
it.
2000,
1879.
(7968/360).
2377. Annullabilità delle deliberazioni (1). – [I]. Le deliberazioni dell'assemblea, prese in
conformità della legge e dell'atto costitutivo, vincolano tutti i soci, ancorché non intervenuti o
dissenzienti (2).
[II]. Le deliberazioni che non sono prese in conformità della legge o dello statuto possono
essere impugnate dai soci assenti, dissenzienti od astenuti, dagli amministratori, dal consiglio
di sorveglianza e dal collegio sindacale.
[III]. L'impugnazione può essere proposta dai soci quando possiedono tante azioni aventi
diritto di voto con riferimento alla deliberazione che rappresentino, anche congiuntamente,
l'uno per mille del capitale sociale nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di
rischio e il cinque per cento nelle altre; lo statuto può ridurre o escludere questo requisito. Per
l'impugnazione delle deliberazioni delle assemblee speciali queste percentuali sono riferite al
capitale rappresentato dalle azioni della categoria.
[IV]. I soci che non rappresentano la parte di capitale indicata nel comma precedente e quelli
che, in quanto privi di voto, non sono legittimati a proporre l'impugnativa hanno diritto al
risarcimento del danno loro cagionato dalla non conformità della deliberazione alla legge o
allo statuto.
[V]. La deliberazione non può essere annullata:
1) per la partecipazione all'assemblea di persone non legittimate, salvo che tale partecipazione
sia stata determinante ai fini della regolare costituzione dell'assemblea a norma degli articoli
2368 e 2369;
2) per l'invalidità di singoli voti o per il loro errato conteggio, salvo che il voto invalido o
l'errore di conteggio siano stati determinanti ai fini del raggiungimento della maggioranza
richiesta;
3) per l'incompletezza o l'inesattezza del verbale, salvo che impediscano l'accertamento del
contenuto, degli effetti e della validità della deliberazione.
[VI]. L'impugnazione o la domanda di risarcimento del danno sono proposte nel termine di
novanta giorni dalla data della deliberazione, ovvero, se questa è soggetta ad iscrizione nel
registro delle imprese, entro novanta giorni dall'iscrizione o, se è soggetta solo a deposito
presso l'ufficio del registro delle imprese, entro novanta giorni dalla data di questo (3).
[VII]. L'annullamento della deliberazione ha effetto rispetto a tutti i soci ed obbliga gli
amministratori, il consiglio di sorveglianza e il consiglio di gestione a prendere i conseguenti
provvedimenti sotto la propria responsabilità. In ogni caso sono salvi i diritti acquistati in
buona fede dai terzi in base ad atti compiuti in esecuzione della deliberazione.
[VIII]. L'annullamento della deliberazione non può aver luogo, se la deliberazione impugnata
è sostituita con altra presa in conformità della legge e dello statuto. In tal caso il giudice
provvede sulle spese di lite, ponendole di norma a carico della società, e sul risarcimento
dell'eventuale danno.
[IX]. Restano salvi i diritti acquisiti dai terzi sulla base della deliberazione sostituita.
(1) V. nota al Capo V.
(2) Comma inserito dall'art. 1 d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, come modificato dall'art. 51o)d.lgs. 6 febbraio 2004,
n. 37.
(3) V. Avviso di rettifica in G.U. 4 luglio 2003, n. 153.
Sommario: 1. Introduzione. - 2. Applicabilità della norma. - 3. Differenze con la nullità. Giurisprudenza di
legittimità. - 4. La casistica. - 5. Legittimazione all'impugnazione. - 5.1. Legittimazione del collegio sindacale e
degli amministratori. Giurisprudenza contrastante. - 5.2. Legittimazione dei soci ed interesse ad agire.
Giurisprudenza di legittimità. - 5.3. Legittimazione del socio dissenziente. Giurisprudenza consolidata. - 6. I
termini per l'impugnazione e per la richiesta risarcitoria. Giurisprudenza consolidata. - 7. Limiti
all'annullamento. – 7.1. La partecipazione all'assemblea di persone non legittimate. - 7.2. Invalidità di singoli voti
o errato conteggio. - 7.3. Incompletezza o inesattezza del verbale. - 8. Effetti della delibera invalida e della
pronuncia di annullamento. Giurisprudenza contrastante. – 9. L'inesistenza. – 9.1. La casistica dell'inesistenza
prima della Riforma. – 9.2. L'inesistenza dopo la Riforma. Giurisprudenza contrastante. - 10. L'inefficacia.
1. Introduzione. – Con la Riforma si è avuta una
sostanziale
revisione del
sistema
delle
impugnazioni, che verrà esaminato in relazione ai
singoli argomenti.
2. Applicabilità della norma.- Si è discusso in
giurisprudenza se l'art. 2377 possa trovare
applicazione anche per le delibere di organi
collegiali di società di persone (in senso negativo:
Cass. civ., sez. I, 7 giugno 2002, n. 8276, Giust.
civ. Mass. 2002, 990, Giur. it. 2002, 2323; Cass.
civ., sez. I, 10 aprile 1999, n. 3514, Società 1999,
1195; Trib. Napoli, 16 luglio 2003, Dir. e giur.
2005, 316 (7968/300)). In tema, invece, di
applicabilità della norma per enti non societari, si
è espressa in contrasto la giurisprudenza (in senso
affermativo: Cass. civ., sez. I, 21 ottobre 1987, n.
7754, Dir. fall. 1988, II, 24; Trib. Napoli, 16
luglio 2003, Dir. e giur. 2005, 316; in senso
contrario: Cass. civ., sez. I, 27 luglio 1990, n.
7599, Giust. civ. Mass. 1990, fasc. 7; (7968/300)).
3. Differenze con la nullità. Giurisprudenza di
legittimità.– Con la Riforma la distanza tra nullità
e annullabilità si è sensibilmente ridotta.
Passiamo in rassegna alcune massime relative
all'esperienza pre-Riforma, che hanno posto in
luce caratteri differenziali dei due istituti.
Nell'ambito
dell'autonoma
disciplina
dell'invalidità delle deliberazioni dell'assemblea
delle società per azioni - nella quale, con
inversione dei principi comuni (art. 1418, 1441
c.c.), la regola generale è quella dell'annullabilità
(art. 2377 c.c.) - la previsione della nullità è
limitata ai soli casi, disciplinati dall'art. 2379 c.c.,
di impossibilità o illiceità dell'oggetto, che
ricorrono quando il contenuto della deliberazione
contrasta con norme dettate a tutela degli interessi
generali, che trascendono l'interesse del singolo
socio, risultando dirette ad impedire deviazioni
dallo scopo economico-pratico del rapporto di
società. Deve pertanto escludersi che - operando
una scissione tra "oggetto" e "contenuto" della
delibera (il primo sottoposto alla disciplina di cui
all'art. 2379 c.c., il secondo alle regole generali in
tema di invalidità dei negozi giuridici) - possa
dichiararsi la nullità di una deliberazione
assembleare ai sensi degli art. 1324 e 1345 c.c., in
quanto determinata da motivo illecito: rientrando
tale ipotesi nella categoria dell'annullabilità di cui
all'art. 2377 c.c. (con conseguente applicabilità del
relativo regime in tema di legittimazione attiva e
del termine di decadenza per l'esperimento
dell'azione), la quale comprende qualunque altra
inosservanza di norme inderogabili attinenti al
procedimento di formazione della volontà
dell'assemblea. Cass. civ., 27 luglio 2005, n. 1572,
Giust. civ. Mass. 2005, 6. (7968/300).
La nullità delle delibere dell'assemblea delle
società per azioni, prevista dall'art. 2379 c.c. nelle
ipotesi di impossibilità ed illiceità dell'oggetto,
ricorre solo in caso di contrasto con norme dettate
a tutela dell'interesse generale, trascendente quello
del singolo socio, e dirette ad impedire una
deviazione dallo scopo essenziale economico pratico del rapporto societario, mentre la
violazione di norme poste a tutela di soci o gruppi
di soci è ridotta alla ipotesi di annullabilità.
Pertanto, ove la delibera di azzeramento e
ricostituzione del capitale sociale di una società
per azioni sia adottata dall'assemblea in sede
ordinaria
anziché
straordinaria,
con
la
partecipazione in composizione non integrale del
collegio sindacale, il quale abbia, inoltre, espresso
il prescritto parere in modo irrituale, i riscontrati
vizi del procedimento formativo della volontà
assembleare non integrano una nullità della
delibera, non essendo riconducibili ad illiceità
dell'oggetto della stessa, e costituiscono, invece,
una ipotesi di annullabilità. Cass. civ., 15
novembre 2000, n. 14799, Giust. civ. Mass. 2000,
2332. (7968/300).
4. La casistica. - L'omessa convocazione di alcuni
soci, comportando la mancanza, in concreto, di un
elemento essenziale dello schema legale della
deliberazione assembleare, determina l'inesistenza
giuridica di quest'ultima, per contro, l'irregolarità
che infici la convocazione non provoca lo stesso
effetto radicale, bensì la mera annullabilità della
deliberazione, ai sensi dell'art. 2377 cod. civ.,
giacchè, per quanto viziato, quell'elemento
essenziale comunque sussiste. Cass. civ., sez. I, 11
Giugno 2003, n. 9364, Società 2003, 1354.
(7968/300).
L'irregolare composizione dell'organo non
determina un'ipotesi di nullità, ma solo di
annullabilità. Cass. civ., 14 dicembre 2000, n.
15786, Giust. civ. Mass. 2000, 2599; Cass. civ.,
15 novembre 2000, n. 14799, Giust. civ. Mass.
2000, 2332. (7968/300).
E' annullabile la delibera la cui votazione sia
avvenuta prima della chiusura della discussione,
non rilevando la decisività o meno dell'intervento
dei soci non ammessi alla discussione al fine di
influire concretamente sulla formazione della
volontà degli altri soci a votare in un determinato
modo. Ai fini del rispetto del metodo assembleare,
previsto dalla legge a tutela della minoranza,
rileva solo che il socio abbia la possibilità di
influire sull'orientamento dell'assemblea e non
che egli sia in grado concretamente di farlo. Cass.
civ., 30 maggio 2008, n. 14554, Diritto &
Giustizia 2008. (7968/300).
Con riguardo alla deliberazione di assemblea di
società per azioni, la doglianza che la
maggioranza dei soci non abbia consentito alla
minoranza ampia informazione e discussione su
un argomento all'ordine del giorno attiene a
disciplina etica e di merito e non a questione di
legittimità sindacabile da parte del giudice e non
può di per sè costituire ragione di invalidità della
delibera, denunciabile con l'impugnazione
prevista dall'art. 2377 c.c., a meno che non si
deduca e dimostri che proprio l'indicato
comportamento prevaricatore, frutto di un disegno
della maggioranza di realizzare propri interessi
particolari oggettivamente in conflitto con quello
sociale, abbia determinato in concreto scelte
contrastanti con tale ultimo interesse. Cass. civ.,
12 dicembre 2005, n. 27387, Giust. civ. Mass.
2005, 7/8. (7968/300).
L'omessa verbalizzazione e la convocazione da
parte di un solo consigliere non integrerebbero
profili di nullità, nè, men che meno, d'inesistenza
dei deliberati, ma potrebbero caso mai condurre
alla loro annullabilità. Ai sensi degli art. 2379 e
1421 c.c., infatti, la nullità può essere fatta valere,
sia pure senza i limiti temporali appena
menzionati, da chiunque, ma sempreché ricorra un
interesse ad agire giuridicamente rilevante:
interesse che non è ravvisabile in base al solo
diritto del socio al corretto svolgimento
dell'attività sociale (diversamente da quanto si
verifica per l'azione di annullamento: Cass. civ.,
sez. I, 4 dicembre 1996, n. 10814, Giust. civ.
Mass. 1996, 1670), e che invece postula un
pregiudizio concreto ed attuale (od almeno un
apprezzabile pericolo di danno) sulla sua sfera
patrimoniale, per effetto dell'incidenza delle
denunciate irregolarità. Trib. Milano, 5 febbraio
2004 (7968/300).
5. Legittimazione all'impugnazione. – La norma
prevede un'elencazione dei soggetti legittimati
all'impugnazione, con l'aggiunta in tale elenco, da
parte della Riforma, dei soci astenuti.
5.1. Legittimazione del collegio sindacale e
degli
amministratori.
Giurisprudenza
contrastante. - La Riforma ha mutuato la parola
sindaci in collegio sindacale, lasciando però
intatta la parola amministratori.
Pertanto, da un lato si è pensato ad un riferimento
all'organo di controllo collegialmente considerato,
dall'altro la giurisprudenza si è chiesta se tale
assunto valga anche per l'organo di
amministrazione (in senso affermativo: Trib.
Milano, 12 ottobre 2005, Giur. it. 2006, 1208;
contra (ante Riforma) Trib. Udine 26 marzo 1982,
Giur. it. 1982, I, 2, 662 (7968/300)).
In ogni caso l'impugnazione sia dell'uno che
dell'altro organo è recepita dalla giurisprudenza
come un vero e proprio obbligo in presenza di vizi
delle delibere (Trib. Napoli, 16 aprile 1999, Foro
nap. 1999, 257(7968/300)), anche in costanza di
delibere prese all'unanimità (App. Milano, 3
novembre 1987, Giur. it. 1988, I, 2 815
(7968/300)).
5.2. Legittimazione dei soci ed interesse ad
agire. Giurisprudenza di legittimità. - La
legittimazione del socio all’impugnazione della
delibera assembleare, ai sensi dell'art. 2377 c.c.,
discende dalla sua assenza alla relativa adunanza,
ovvero dalla partecipazione ad essa con voto
opposto a quello espresso dalla maggioranza,
mentre non esige, quale ulteriore requisito, la
dimostrazione di uno specifico interesse ad agire,
essendo tale requisito già insito nell’interesse del
socio alla legittimità delle deliberazioni
dell’assemblea anche indipendentemente dal fatto
che la denunziata inosservanza della legge o
dell’atto costitutivo si sia tradotta in effettivo
pregiudizio per il socio medesimo Cass. civ., sez.
I, 16 ottobre 2007, n. 21730, Società 2009, 175;
Cass. civ., 4 dicembre 1996, n. 10814; Cass. civ.,
15 marzo 1995, n. 2968. (7968/300).
5.3. Legittimazione del socio dissenziente.
Giurisprudenza consolidata.– Il dissenso può
essere manifestato dal socio in qualunque modo
senza necessità di dichiarazioni formali e
predeterminate, intendendosi per dissenzienti i
soci che abbiano negato, in qualsiasi forma
manifestata in assemblea, il proprio contributo
alla approvazione dell'assemblea. Cass. civ., sez.
I, 30 maggio 2008, n. 14554, Società 2008, 1093.
(7968/300).
6. I termini per l'impugnazione e per la
richiesta
risarcitoria.
Giurisprudenza
consolidata. – Sia la domanda di annullamento
che la domanda risarcitoria possono essere
proposte nel termine di novanta giorni dalla data
della delibera o di deposito e/o iscrizione presso il
registro delle imprese.
La data di proposizione dell'azione decorre dal
momente della consegna dell'atto all'ufficiale
giudiziario. Cass. civ., sez. un., 4 maggio 2006
2006, n. 10216, Giust. civ. Mass. 2006, 5; Cass.
civ., sez. trib., 4 maggio 2004, n. 8447, Giust. civ.
Mass. 2004, 5. (7968/300).
7. Limiti all'annullamento. – L'art. 2377
individua specifici casi in cui la delibera pur
essendo astrattamente annullabilt, non potrà
esserlo in concreto.
7.1. La partecipazione all'assemblea di persone
non legittimate.- La norma chiarisce che si può
avere annullamento solo in caso in cui la
partecipazione
in
oggetto
sia
risultata
determinante ai fini del raggiungemento dei
quorum costitutivi di cui all'art. 2368 e 2369.
7.2. Invalidità di singoli voti o errato conteggio.
– In tal caso la normativa recepisce l'orientamento
giurisprudenziale per cui le circostanze debbano
essere determinanti per il raggiungimento delle
maggioranze richieste. Trib. Udine, 8 ottobre
2001, Società 2002, 364. (7968/300).
7.3. Incompletezza o inesattezza del verbale. –
La norma va letta alla luce anche dell'art. 2379
riguardante la nulllità nei casi di mancanza del
verbale.
8. Effetti della delibera invalida e della
pronuncia di annullamento. Giurisprudenza
contrastante. – In giurisprudenza si è discusso se
annullando una delibera negativa, adottata con il
voto determinante di un socio in conflitto di
interessi, il giudice possa dichiarare approvato il
punto all'ordine del giorno (in senso positivo App.
Roma, 29 maggio 2001, Società 2001, 1487;
contra: Trib. Palermo, 18 maggio 2001, Giur.
comm. 2001, II, 835; Trib. Roma, 24 settembre
2001, Corr. Giur. 2002, 949; Trib. Milano, 2
giugno 2000, Foro it. 2000, I, 3638 (7968/300)).
Parte della giuriprudenza ha attribuito efficacia
retroattiva della pronuncia di annullamento della
delibera, in caso di delibera di trasformazione
(Cass. civ., sez. I, 2 dicembre 2005, n. 26258,
Giust. civ. Mass. 2005, 12 (7968/300)) e di
esclusione del socio (Cass. civ., sez. I, 9 agosto
1983, n. 5321, Giust. civ. Mass. 1983, fasc. 8
(7968/300)).
9. L'inesistenza. – Oltre alla annullabilità ed alla
nullità delle delibere (e fin dai tempi di Cass. civ.,
13 agosto, 1951, n. 2513, Giur. it., 1952, I, 1, 174
(7968/300)) si è ritenuto sussistere l'inesistenza
delle delibere.
9.1. – La casistica dell'inesistenza prima della
Riforma. – È inesistente la delibera di modifica
delle condizioni del prestito obbligazionario
adottata dall'assemblea degli obbligazionisti col
voto di obbligazionisti estranei al prestito da
modificare ed in assenza degli obbligazionisti
legittimati. Cass. civ., sez. I, 31 marzo 2006, n.
7693, Giur. comm. 2007, 3, 555. (7968/300).
In tema di validità delle deliberazioni assembleari
delle società di capitali, la omessa convocazione
(di tutti o di alcuni) dei soci, comportando la
mancanza, in concreto, di un elemento essenziale
dello schema legale della deliberazione
assembleare, determina l'inesistenza giuridica di
quest'ultima; invece la irregolarità, o il vizio, che
infici la convocazione non determina la stessa
conseguenza, ma la mera annullabilità della
deliberazione ai sensi dell'art. 2377 c.c., giacché,
per quanto viziato, quell'elemento essenziale
comunque sussiste. Nè comporta inesistenza della
convocazione (e della conseguente deliberazione,
che sarà quindi solo annullabile) l'assoluta carenza
di legittimazione dell'autore di essa (nella specie il
curatore del fallimento del socio amministratore
di s.r.l., decaduto dalla carica), essendo in tal caso
configurabile una convocazione nel suo essenziale
schema giuridico (atto recettizio con cui il socio è
avvisato della data e del luogo della riunione) e
dovendosi, d'altro canto, considerare che, mentre è
giustificabile una reazione radicale (quale
l'inesistenza giuridica) dell'ordinamento avverso
una delibera assembleare in cui ai soci (che
"sono" l'assemblea) non sia stata data neppure
l'opportunità di partecipare alla deliberazione, sì
che quest'ultima non può essere in alcun modo
ricondotta alla loro volontà, diversamente deve,
invece, argomentarsi allorché tale opportunità sia
stata in concreto offerta, giacché in tale ultimo
caso appare certamente più adeguata una reazione
più misurata, in equilibrio con le contrapposte
esigenze di certezza e stabilità dei deliberati
societari, sottostanti alla particolare disciplina
delle loro patologie prevista dagli art. 2377 e 2378
c.c. Cass. civ., 11 giugno 2003, n. 9364.
(7968/300).
La deliberazione assembleare societaria assunta,
in seconda convocazione, non preceduta dalla
verbalizzazione del mancato raggiungimento delle
maggioranze richieste per la sua costituzione in
prima convocazione, non può essere considerata
"inesistente", ed infatti essa possiede tutti gli
elementi per essere riconducibile al modello
legale delle deliberazioni assembleari e per essere
imputata alla società nel cui ambito viene assunta,
e pone solo problemi di validità legati
all'accertamento della maggioranza necessaria per
assumere la deliberazione. Cass. civ., sez. I, 26
novembre 1998, n. 12008, Giust. civ. Mass. 1998,
2464. (7968/300).
Ricorre l'ipotesi di inesistenza della deliberazione
assembleare di una società di capitali (non
suscettibile di ratifica successiva) quando manchi
alcuno dei requisiti procedimentali indispensabili
per la formazione di una delibera imputabile alla
società, con il risultato di determinare una
fattispecie apparente, non sussumibile nella
categoria giuridica delle deliberazioni assembleari
per inadeguatezza strutturale o funzionale rispetto
al modello normativo (nella specie, omessa
convocazione e mancata adunanza dei soci). Cass.
civ., sez. I, 24 gennaio 1995, n. 835, Giust. civ.
Mass. 1995, 156. (7968/300).
La delibera assembleare, non totalitaria, di una
società (nella specie, cooperativa), che venga
adottata in un luogo diverso da quello indicato
nell'avviso di convocazione, di modo che non vi
sia certezza che tutti i soci siano stati messi in
grado di parteciparvi, è affetta da inesistenza (non
nullità od annullabilità), vertendosi in tema di
radicale carenza di uno dei requisiti
procedimentali indispensabili per la formazione di
una volontà imputabile alla società medesima.
Cass. civ., 14 gennaio 1993, n. 403. (7968/300).
Ricorre l'ipotesi di inesistenza della deliberazione
assembleare di una società quando manchi un
elemento
costitutivo
della
fattispecie
procedimentale di formazione della deliberazione,
tale da non consentire l'inizio o da provocare
l'interruzione dell'iter legale necessario alla
formazione di una deliberazione assembleare
imputabile alla società. Tale inesistenza si realizza
anche nella ipotesi di mancata verbalizzazione
delle operazioni assembleari, che rende
impossibile la individuazione di una deliberazione
dei soci partecipanti all'assemblea, con la
conseguenza che nel caso in cui la mancata
verbalizzazione
riguardi
la
riunione
dell'assemblea in prima convocazione, anche se
andata deserta, ne resta impedita la costituzione e
formazione della relativa deliberazione della
assemblea in seconda convocazione, avendo
questa per presupposto inderogabile la riunione
della stessa assemblea in prima convocazione
(con un "quorum" insufficiente). Cass. civ., 4
dicembre 1990, n. 11601; Cass. civ., 28 novembre
1981, n. 6340. (7968/300).
9.2. – L'inesistenza dopo la Riforma.
Giurisprudenza contrastante. – Con la Riforma
molti dei casi che la giurispudenza riconduceva ad
ipotesi di inesistenza sono stati ricollegati ad
ipotesi disciplinate secondo lo schema
dell'annullabilità e nullità.
Così ad esempio la delibera presa in un’assemblea
irregolarmente costituita, costituisce oggi causa di
annullabilità della delibera, ex art. 2377, comma
5, n. 1, c.c.
Analogamente, in tema di delibera presa in difetto
del quorum deliberativo (n. 2 dell'articolo in
esame), o irregolarmente verbalizzata (n. 3
dell'articolo in esame), è oggi prevista
l'annullabilità.
Invece, è fonte di nullità (e non piu` di
inesistenza) la delibera presa senza convocazione
dell’assemblea o senza verbalizzazione (cfr. art.
2379 c.c.).
Sulla scorta di quanto detto la giurisprudenza ha
ritenuto che il legislatore ha espunto dal sistema la
categoria dell'inesistenza. Trib. Milano, 21 ottobre
2005, Giur. it. 2006, 1208. (7968/300).
In ogni caso, anche nel sistema post Riforma non
mancano le pronunce di declaratoria di inesistenza
di delibera, come in caso di revoca di un
amministratore da parte del c.d.a. (Trib. Ferrara,
22 dic. 2006, Riv. Dir. soc. 2008, 3, 598
(7968/300)) o in caso di delibera adottata da
soggetto che si è autoattribuito la qualità di socio
(Trib. Milano, 1 aprile 2008, Società 2008, 1130
(7968/300)).
In questa ultima pronuncia il tribunale osservava
quanto segue:
Ora, è noto che nella relazione accompagnatrice
al D.Lgs. n. 6/2003 il legislatore esplicita di avere
bandito ogni ipotesi di invalidità atipiche, come
l’inesistenza di deliberazioni assembleari,
sussistendo una piena riserva di legge con
riguardo ai casi d’invalidità delle deliberazioni
assembleari. Ma è anche vero che le ipotesi di
nullità considerate dall’art. 2379 c.c. si
riferiscono ai casi in cui ci si trovi in presenza di
un atto formale comunque imputabile alla società
(mancata
convocazione
dell’assemblea,
mancanza di verbale, impossibilità o illiceità
dell’oggetto). Il tutto presuppone, dunque, che si
sia tenuta un’assemblea della società che,
sebbene non convocata, sia qualificabile come
tale. Il caso di specie, invece, rappresenta
un’ipotesi estrema - per quanto accaduta - di
inesistenza materiale della delibera che risulta
addirittura estranea alla categoria di cui agli artt.
2377 ss. c.c., non sussistendo un atto imputabile
in via astratta alla società. Trib. Milano, 1 aprile
2008, Società 2008, 1130. (7968/300).
10. L'inefficacia. – Sono state ritenute inefficaci
le delibere sottoposte a termine o a condizione
volontaria o legale. Cass. civ., sez. I, 28 novembre
1991, n. 12795, Foro it. 1992, I, 699; Cass. civ.,
sez. I, 25 novembre 1980, n. 6260, Giur. imp.
1982, 237; Trib. Cassino, 18 maggio 1994, Riv.
Not. 1995, 706. (7968/300).
Ipotesi di inefficacia sono ravvisabili nelle
delibere di revoca dei sindaci senza
l'approvazione del tribunale (Trib. Bologna, 25
luglio 1997, Società 1998, 185) o di nomina di
organi la cui designazione è riservata a un enete
pubblico (App. Milano, 18 maggio 2001, Giur. it.
2002, 123 (7968/300)).
I terzi ed i soci quando agiscono uti tertii possono
fare accertare l'inefficacia di una delibera anche in
assenza di impugnazione. Cass. civ., sez. I, 16
aprile 2003, n. 6016, Giur. comm. 2004, II, 384;
Cass. civ., sez. I, 5 giugno 2003, n. 8992, Foro it.
2003, I, 3007. (7968/300).
2378. Procedimento d'impugnazione. (1). – [I]. L'impugnazione è proposta con atto di
citazione davanti al tribunale del luogo dove la società ha sede.
[II]. Il socio o i soci opponenti devono dimostrarsi possessori al tempo dell'impugnazione del
numero delle azioni previsto dal terzo comma (2) dell'articolo 2377. Fermo restando quanto
disposto dall'articolo 111 del codice di procedura civile, qualora nel corso del processo venga
meno a seguito di trasferimenti per atto tra vivi il richiesto numero delle azioni, il giudice,
previa se del caso revoca del provvedimento di sospensione dell'esecuzione della
deliberazione, non può pronunciare l'annullamento e provvede sul risarcimento dell'eventuale
danno, ove richiesto.
[III]. Con ricorso depositato contestualmente al deposito, anche in copia, della citazione,
l'impugnante può chiedere la sospensione dell'esecuzione della deliberazione. In caso di
eccezionale e motivata urgenza, il presidente del tribunale, omessa la convocazione della
società convenuta, provvede sull'istanza con decreto motivato, che deve altresì contenere la
designazione del giudice per la trattazione della causa di merito e la fissazione, davanti al
giudice designato, entro quindici giorni, dell'udienza per la conferma, modifica o revoca dei
provvedimenti emanati con il decreto, nonché la fissazione del termine per la notificazione
alla controparte del ricorso e del decreto.
[IV]. Il giudice designato per la trattazione della causa di merito, sentiti gli amministratori e
sindaci, provvede valutando comparativamente il pregiudizio che subirebbe il ricorrente dalla
esecuzione e quello che subirebbe la società dalla sospensione dell'esecuzione della
deliberazione; può disporre in ogni momento che i soci opponenti prestino idonea garanzia per
l'eventuale risarcimento dei danni. All'udienza, il giudice, ove lo ritenga utile, esperisce il
tentativo di conciliazione eventualmente suggerendo le modificazioni da apportare alla
deliberazione impugnata e, ove la soluzione appaia realizzabile, rinvia adeguatamente
l'udienza.
[V]. Tutte le impugnazioni relative alla medesima deliberazione, anche se separatamente
proposte ed ivi comprese le domande proposte ai sensi del quarto comma (3) dell'articolo
2377, devono essere istruite congiuntamente e decise con unica sentenza. Salvo quanto
disposto dal quarto comma del presente articolo, la trattazione della causa di merito ha inizio
trascorso il termine stabilito nel sesto comma (4) dell'articolo 2377.
[VI]. I dispositivi del provvedimento di sospensione e della sentenza che decide
sull'impugnazione devono essere iscritti, a cura degli amministratori, nel registro delle
imprese (5).
(1) V. nota al Capo V.
(2) Le parole « terzo comma » sono state sostituite alle parole « secondo comma » dall'art. 1 d.lgs. 17 gennaio
2003, n. 6, come modificato dall'art. 51p) n. 1d.lgs. 6 febbraio 2004, n. 37.
(3) Le parole « quarto comma » sono state sostituite alle parole « terzo comma » dall'art. 1 d.lgs. n. 6, cit., come
modificato dall'art. 51p) n. 2 d.lgs. n. 37, cit.
(4) Le parole « sesto comma » sono state sostituite alle parole « quinto comma » dall'art. 1 d.lgs. n. 6, cit., come
modificato dall'art. 51p) n. 2 d.lgs. n. 37, cit.
(5) Comma aggiunto dall'art. 1 d.lgs. n. 6, cit., come modificato dall'art. 51p) n. 3 d.lgs. n. 37, cit.
Sommario: 1. Introduzione. - 2. Il diritto di impugnativa di cui al comma 2. – 2.1. Il diritto di impugnativa
dell'ex socio. - 3. La sospensione cautelare dell'efficacia della delibera. - 3.1. La casistica post Riforma. – 3.2.
Profili processuali nell'esperienza post Riforma.
1. Introduzione. – La norma regola la disciplina
procedurale dell'impugnazione.
Di particolare interesse è la parte sulla
sospensione dell'efficacia della delibera.
2. Il diritto di impugnativa di cui al comma 2. –
Il sistema previgente, imponeva al socio
opponente il deposito presso la cancelleria del
giudice di almeno un’azione, negando, in buona
sostanza, la legittimazione all'impugnativa a colui
che, rivestita la qualità di socio al momento della
delibera, l’avesse successivamente perduta.
Il deposito dell’azione, è stato dapprima
interpretato
dalla
giurisprudenza
come
presupposto processuale attinente alla regolare
instaurazione del processo e, come tale,
necessario sin dalla proposizione della domanda
(Trib. Roma 25 maggio 1998, Società 1998, 1448
(7968/300)), per poi essere considerato come
unico mezzo di prova legale circa la sussistenza
dello status di socio in capo al soggetto che agisce
(Cass. civ., 25 marzo 2003, n. 4372; Cass. civ., 8
giugno 1988, n. 3881; App. Milano, 13 febbraio
1998, Giur. it. 1998, 2113; Trib. Napoli, 29
giugno 1998, Società 1999, 714 (7968/300)).
Con l'avvento della Riforma e la conseguente
rimodulazione dell'art. 2378 comma 2, la
giurisprudenza ha ritenuto che il legislatore abbia
reso esplicito il principio per cui lo status di socio
sia condizione dell'azione. App. Torino, sez. I, 8
agosto 2007, Società 2008, 869. (7968/300).
2.1. Il diritto di impugnativa dell'ex socio. Secondo consolidata giurisprudenza (Cass. civ.,
sez. un., 18 aprile 1961, n. 853, Foro it. 1961, I,
572 (7968/300)), la qualità di socio, attributiva
della legittimazione ad agire nell’impugnazione di
delibera societaria, costituisce condizione
dell’azione (Trib. Catania, 10 gennaio 2002,
Società 2002, 879), che deve permanere pertanto
per tutto il giudizio, fino alla sua decisione (Cass.
civ., 8 giugno 1988, n. 3881, Foro it. 1989, I,
2925; Cass. civ., 25 marzo 2003, n. 4372, Società
2003, I, 2741; App. Milano, 10 ottobre 2006,
Corr. mer. 2007, 301 (7968/300)).
Tale
principio,
secondo
giurisprudenza
consolidata, non è contraddetto in costanza di un
interesse ad agire da parte di un ex socio che
voglia vedere accertato, in forza di un diritto
ancora attuale, l'annullamento di una delibera
assembleare assunta quando egli ancora era socio:
come ad esempio in caso di diritto alla
liquidazione della quota o di rimborso delle
azioni, sulla base di bilancio di esercizio
approvato dopo lo scioglimento del rapporto
sociale; ovvero di impugnazione, da parte dell’ex
socio, della delibera di sua esclusione (App.
Torino, sez. I, 8 agosto 2007, Società 2008, 869;
Cass. civ., 13 gennaio 1988, n. 181, Foro it. 1989,
I, 2929 (7968/300)).
3. – La sospensione cautelare dell'efficacia
della delibera. – Parte della giurisprudenza
consolidatasi prima della Riforma riteneva che la
sospensione della deliberazione impugnata poteva
essere richiesta solo in presenza di gravi motivi,
che nella maggior parte dei casi vennero
identificati nel danno o altro effetto negativo che
sarebbe derivato dalla sua immediata esecuzione
al socio impugnante o anche alla società, nel caso
di azione proposta dai sindaci o dagli
amministratori. Trib. Roma, 9 ottobre 1989,
Società 1990, 323. (7968/300).
Chiamata a giudicare su altri casi, invece, la
giurisprudenza ha ritenuto di comparare
l’interesse del socio ad impedire l’efficacia della
deliberazione all'interesse della società ad attuare
la deliberazione stessa. Trib. Milano, 21 giugno
1988, Società 1988, 1052; Trib.Genova, 15
gennaio 1994, Società 1994, 527; Trib. Catania,
12 agosto 1997, Società 1998, 188; Trib. Napoli,
29 giugno 1998, Società 1999, 714. (7968/300).
Tale ultimo indirizzo giurisprudenziale è poi stato
fatto proprio dalla norma, come riformata.
3.1. La casistica post Riforma. – È ammissibile
il provvedimento di urgenza di sospensione degli
effetti della delibera di approvazione del bilancio
d'esercizio, poiché tale provvedimento benché non
abbia di per sé bisogno di atti di esecuzione in
senso stretto, non esaurisce i propri effetti nel
momento stesso in cui viene adottata, ma, al
contrario, è destinata ad esplicare un'efficacia
fondamentale per la vita della società, costituendo
la premessa di gran parte delle sue successive
decisioni e non sussistono ragioni logiche e/o
giuridiche per escludere che tali effetti non
possano, anche se solo provvisoriamente e non
retroattivamente, essere cautelativamente impediti
da un provvedimento giurisdizionale. Trib.
Nocera Inferiore, 1 luglio 2008, Giur. merito
2008, 10, 2550. (7968/300).
Sebbene la deliberazione di fusione, assunta
dall’assemblea di una società quotata per la sua
incorporazione in altra società non quotata,
presenti vari aspetti di criticità, la sua
sospensione, richiesta dai soci che l’hanno
impugnata, non può essere concessa, perche´,
nella valutazione comparativa del loro interesse e
di quello della società, mentre il pregiudizio, che i
primi vogliono evitare, si è già verificato a causa
del già avvenuto ribasso del valore di borsa, che
ha colpito le loro azioni, per effetto delle
operazioni compiute dal socio di maggioranza,
l’interesse della società convenuta, anche se non
chiaramente rappresentato, deve prevalere, atteso
che l’interesse dei soci impugnanti risulta avere
carattere patrimoniale e, pertanto, tutelabile con il
risarcimento del danno. Trib. Milano, 10
dicembre 2007, Società 2008, 875. (7968/300).
Deve ritenersi l'ammissibilità della sospensione
delle delibere di approvazione del bilancio, che,
pur avendo valore dichiarativo e non richiedendo
atti di esecuzione in senso proprio, costituiscono il
presupposto di tutte le deliberazioni successive
della società e incidono, sotto il profilo
dell'efficacia, sulle stesse. Trib. Verona, 24
settembre 2007, Guida al diritto 2007, 43, 50.
(7968/300).
Non può essere chiesta ex art. 700 c.p.c.,
nemmeno da parte del socio privo della
legittimazione ad impugnare la delibera, la
sospensione della convocazione dell'assemblea,
poiché l'art. 2378 c.c. prevede un apposito rimedio
cautelare per la sospensione dell'efficacia della
delibera assembleare. Trib. Santa Maria Capua
Vetere, 16 marzo 2004, Giur. merito 2004, 2490.
(7968/300).
3.2. Profili processuali nell'esperienza post
Riforma. - In materia di società, la sospensione
della delibera assembleare può essere disposta
soltanto con istanza incidentale, nell'ambito cioè
di un procedimento di impugnazione della
delibera medesima, e quindi con riferimento ad
una delibera tempestivamente impugnata rispetto
alla quale l'istanza ha la funzione strumentale di
garantire gli effetti della domanda di merito. Trib.
Salerno, 11 aprile 2008. (7968/300).
La sospensione della esecutività della delibera
assembleare proposta ex art. 2378 c.c. va decisa
dal giudice monocratico e non dal collegio. Trib.
Rimini, 27 ottobre 2004, Giur. merito 2005, 3,
573. (7968/300).
A norma delle nuove disposizioni in materia di
procedimento societario, nei ricorsi in materia di
sospensione delle deliberazioni assembleari di cui
all'art. 2378 c.c. il presidente del tribunale può
designare un magistrato per la trattazione della
fase cautelare, ivi compresa quella inerente i
provvedimenti d'urgenza invocati dal ricorrente
inaudita altera parte e delegando a questo giudice
anche il potere previsto dall'art. 2378 comma 3
c.c. Trib. Rimini, 27 ottobre 2004, Giur. merito
2005, 3, 573. (7968/300).
2379. Nullità delle deliberazioni (1). – [I]. Nei casi di mancata convocazione dell'assemblea,
di mancanza del verbale e di impossibilità o illiceità dell'oggetto la deliberazione può essere
impugnata da chiunque vi abbia interesse entro tre anni dalla sua iscrizione o deposito nel
registro delle imprese, se la deliberazione vi è soggetta, o dalla trascrizione nel libro delle
adunanze dell'assemblea, se la deliberazione non è soggetta né a iscrizione né a deposito.
Possono essere impugnate senza limiti di tempo le deliberazioni che modificano l'oggetto
sociale prevedendo attività illecite o impossibili.
[II]. Nei casi e nei termini previsti dal precedente comma l'invalidità può essere rilevata
d'ufficio dal giudice.
[III]. Ai fini di quanto previsto dal primo comma la convocazione non si considera mancante
nel caso d'irregolarità dell'avviso, se questo proviene da un componente dell'organo di
amministrazione o di controllo della società ed è idoneo a consentire a coloro che hanno
diritto di intervenire di essere preventivamente (2) avvertiti della convocazione e della data
dell'assemblea. Il verbale non si considera mancante se contiene la data della deliberazione e il
suo oggetto ed è sottoscritto dal presidente dell'assemblea, o dal presidente del consiglio
d'amministrazione o del consiglio di sorveglianza e dal segretario o dal notaio.
[IV]. Si applicano, in quanto compatibili, il settimo e ottavo comma (3) dell'articolo 2377.
(1) V. nota al Capo V.
(2) La parola « preventivamente » è stata sostituita alla parola « tempestivamente » dall'art. 1 d.lgs. 17 gennaio
2003, n. 6, come modificato dall'art. 51q) n. 1d.lgs. 6 febbraio 2004, n. 37.
(3) Le parole « settimo e ottavo comma » sono state sostituite alle parole « sesto e settimo comma » dall'art. 1
d.lgs. n. 6, cit., come modificato dall'art. 51q) n. 2 d.lgs. n. 37, cit.
Sommario: 1. Introduzione. - 2. I casi di nullità. - 2.1. Impossibilità o illiceità dell'oggetto. Giurisprudenza
consolidata. – 2.2. Mancata convocazione dell'assemblea. Giurisprudenza di merito. – 2.3. Mancata
verbalizzazione della delibera. Giurisprudenza di merito. - 3. Effetti della nullità. Giurisprudenza consolidata. 4. Legittimazione ed interesse all'impugnativa. Giurisprudenza consolidata.
1. Introduzione. – Le fattispecie di nullità
previste nell'articolo in commento, costituiscono
elenco tassativo di nullità per delibere
assembleari.
La Riforma ha accentuato il carattere di specialità
della disciplina.
2. I casi di nullità. – La Riforma ha esteso le
ipotesi di nullità. Infatti all'ipotesi classica di
impossibilità o illiceità dell'oggetto, sono state
affiancati i casi di omessa convocazione o
mancante verbalizzazione che nell'esperienza preRiforma erano visti come motivi di inesistenza.
2.1. Impossibilità o illiceità dell'oggetto.
Giurisprudenza consolidata. - Con riguardo alla
deliberazione di assemblea di società per azioni,
la dedotta carenza di informazione e discussione
sull'argomento all'ordine del giorno - nella specie,
l'autorizzazione all'esercizio dell'azione di
responsabilità contro gli amministratori costituisce, ove sia frutto di comportamento
prevaricatore della maggioranza volto a realizzare
il perseguimento di propri interessi particolari
oggettivamente in conflitto con quello sociale,
ragione di mera annullabilità ex art. 2377 c.c., in
quanto per le predette delibere si applica il
principio per cui la previsione della nullità, ex art.
2379 c.c., è limitata ai soli casi di impossibilità o
illiceità dell'oggetto, ricorrenti allorché il
contenuto dell'atto contrasta con norme dettate a
tutela degli interessi generali e dirette ad impedire
deviazioni dallo scopo economico-pratico del
rapporto di società. Cass. civ., sez. I, 11 luglio
2008, n. 19235, Giust. civ. Mass. 2008, 7-8, 1129.
(7968/300).
La nullità delle delibere dell'assemblea delle
società per azioni, prevista dall'art. 2379 c.c. nelle
ipotesi di impossibilità ed illiceità dell'oggetto,
ricorre solo in caso di contrasto con norme dettate
a tutela dell'interesse generale, trascendente quello
del singolo socio, e dirette ad impedire una
deviazione dallo scopo essenziale economico pratico del rapporto societario, mentre la
violazione di norme poste a tutela di soci o gruppi
di soci è ridotta alla ipotesi di annullabilità.
Pertanto, ove la delibera di azzeramento e
ricostituzione del capitale sociale di una società
per azioni sia adottata dall'assemblea in sede
ordinaria
anziché
straordinaria,
con
la
partecipazione in composizione non integrale del
collegio sindacale, il quale abbia, inoltre, espresso
il prescritto parere in modo irrituale, i riscontrati
vizi del procedimento formativo della volontà
assembleare non integrano una nullità della
delibera, non essendo riconducibili ad illiceità
dell'oggetto della stessa, e costituiscono, invece,
una ipotesi di annullabilità. Cass. civ., sez. I, 15
novembre 2000, n. 14799, Giust. civ. Mass. 2000,
2332. (7968/300).
La delibera assembleare di una società di capitali
è nulla per illecità dell'oggetto, a norma dell'art.
2379 c.c., quando è contraria a norme dettate a
tutela dell'interesse generale, che trascende quello
dei singoli soci, e che siano dirette a impedire una
deviazione dallo scopo essenziale economico pratico del contratto e del rapporto di società.
Pertanto, qualora, in relazione alla deliberazione
del bilancio sociale, siano dedotte violazioni del
principio di chiarezza e precisione del bilancio, la
nullità della deliberazione ben può concretamente
configurarsi se i fatti asseritamente contrari a quel
principio si rivelino idonei ad ingenerare, per tutti
gli interessati, incertezze ovvero erronee
convinzioni circa la situazione economico patrimoniale, in modo da tradursi in un effettivo
pregiudizio per l'interesse generale alla verità del
bilancio sociale, essendo posta la verità e la
chiarezza di questo a tutela non soltanto del o dei
singoli soci, bensì di tutti i terzi e dei creditori in
particolare. Cass. civ., sez. I, 22 gennaio 2003, n.
928, Giust. civ. Mass. 2003, 149. (7968/300).
2.2. Mancata convocazione dell'assemblea.
Giurisprudenza di merito. – La previsione
normativa in oggetto va letta anche sulla base
delle cause di esclusione della nullità previste
dall'art. 2379, comma 3, c.c. per cui non si
considererà mancante la convocazione per
irregolarità dell'avviso in costanza di (i)
provenienza dell'avviso da organo amministrativo
o di controllo; (ii) idoneità dell'avviso a consentire
a coloro che hanno diritto di intervento ad essere
preventivamente edotti sia della convocazione che
della data dell'assemblea.
La delibera del consiglio di amministrazione di
una società cooperativa è invalida in caso di
violazione delle regole relative al procedimento di
convocazione
dell'assemblea
quando
la
convocazione è stata effettuata da un soggetto
diverso da quello indicato nello statuto e
nell'avviso è mancato l'oggetto della decisione.
Trib. Verona, 15 febbraio 2005, Giur. merito
2005, 12, 2653. (7968/300).
È annullabile la delibera dell'assemblea di s.p.a.
convocata dal solo presidente dell'organo
amministrativo, non munito di tutti i poteri di
ordinaria amministrazione. Trib. Milano, 25
febbraio 2004, Società 2004, 1290. (7968/300).
2.3. Mancata verbalizzazione della delibera.
Giurisprudenza di merito. – Anche il vizio della
mancata verbalizzazione va letto alla luce del
comma 3 della norma in commento. Laddove non
potrà dichiarasi nullità della delibera, in costanza
di data ed oggetto di deliberazione nonché di
sottoscrizione
da
parte
del
presidente
dell'assemblea, o del presidente del consiglio
d'amministrazione o del consiglio di sorveglianza
e del segretario o del notaio.
È annullabile, e non nulla, la delibera di
scioglimento e messa in liquidazione di una
società di capitali il cui verbale non è stato redatto
da notaio non essendo il vizio della delibera
riconducibile ad alcuno dei casi specifici e
tassativi previsti dall'art. 2379 c. c. (men che mai
al caso di verbale mancante giacché nella
fattispecie il verbale esiste ancorché andasse
redatto da notaio). Trib. Vallo Lucania, 21
dicembre 2005, Giur. it. 2006, 7, 1433.
(7968/300).
3. Effetti della nullità. Giurisprudenza
consolidata. - La giurisprudenza ha consolidato il
princiopio per cui la nullità di una delibera
travolge anche tutte le delibere ad essa
conseguenti. Cass. civ., sez. I, 23 marzo 2004, n.
5740; Cass. civ., sez. I, 6 novembre 1999, n.
12347; Cass. civ., sez. I, 13 gennaio 1987, n. 133;
App. Milano, 31 gennaio 2003, Giur. it. 2003,
1178; App. Milano, 18 maggio 1996, Società
1997, 49; Trib. Milano, 26 luglio 1997, Giur. it.,
1998, 93; Trib. Napoli, 20 novembre 1996,
Società 1997, 439; Trib. Milano, 16 giugno 1988,
Società 1988, 1144. (7968/300).
4. Legittimazione ed interesse all'impugnativa.
Giurisprudenza consolidata. – L'azione di
accertamento della nullità di delibere assembleari
può essere esercitata da chiunque vi abbia un
interesse concreto ed attuale, oltre che
specificamente riferito all'azione di nullità
medesima: l'interesse ad agire per evitare la
lesione attuale di un proprio diritto e per
conseguire con il giudizio un risultato pratico
giuridicamente apprezzabile deve, infatti, per
definizione, riferirsi all'azione in concreto
esercitata. L'esistenza di tale interesse concreto ed
attuale deve essere allegata anche da parte di colui
che rivesta la qualità di socio, non essendo
necessariamente
sufficiente,
ai
fini
dell'impugnativa, il fatto che egli abbia tale
qualità e che non abbia concorso con il proprio
voto alla formazione della decisione assembleare
nulla. Lo "status" di socio, quando ad esso è
collegato l'interesse ad agire, oltre a sussistere al
momento della proposizione della domanda, deve
permanere per tutto il giudizio sino alla decisione
della controversia. Cass. civ., sez. I, 25 marzo
2003, n. 4372, Società 2003, 1109. (7968/300).
2379 bis. Sanatoria della nullità (1). – [I]. L'impugnazione della deliberazione invalida per
mancata convocazione non può essere esercitata da chi anche successivamente abbia
dichiarato il suo assenso allo svolgimento dell'assemblea.
[II]. L'invalidità della deliberazione per mancanza del verbale può essere sanata mediante
verbalizzazione eseguita prima dell'assemblea successiva. La deliberazione ha effetto dalla
data in cui è stata presa, salvi i diritti dei terzi che in buona fede ignoravano la deliberazione.
(1) V. nota al Capo V.
2379 ter. Invalidità delle deliberazioni di aumento o di riduzione del capitale e della
emissione di obbligazioni (1). – [I]. Nei casi previsti dall'articolo 2379 l'impugnativa
dell'aumento di capitale, della riduzione del capitale ai sensi dell'articolo 2445 o della
emissione di obbligazioni non può essere proposta dopo che siano trascorsi centottanta giorni
dall'iscrizione della deliberazione nel registro delle imprese o, nel caso di mancata
convocazione, novanta giorni dall'approvazione del bilancio dell'esercizio nel corso del quale
la deliberazione è stata anche parzialmente eseguita.
[II]. Nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio l'invalidità della
deliberazione di aumento del capitale non può essere pronunciata dopo che a norma
dell'articolo 2444 sia stata iscritta nel registro delle imprese l'attestazione che l'aumento è stato
anche parzialmente eseguito; l'invalidità della deliberazione di riduzione del capitale ai sensi
dell'articolo 2445 o della deliberazione di emissione delle obbligazioni non può essere
pronunciata dopo che la deliberazione sia stata anche parzialmente eseguita.
[III]. Resta salvo il diritto al risarcimento del danno eventualmente spettante ai soci e ai terzi.
(1) V. nota al Capo V.
SEZIONE VI BIS- DELL'AMMINISTRAZIONE E DEL CONTROLLO
1. DISPOSIZIONI GENERALI
2380. Sistemi di amministrazione e di controllo (1). – [I]. Se lo statuto non dispone
diversamente, l'amministrazione e il controllo della società sono regolati dai successivi
paragrafi 2, 3 e 4.
[II]. Lo statuto può adottare per l'amministrazione e per il controllo della società il sistema di
cui al paragrafo 5, oppure quello di cui al paragrafo 6; salvo che la deliberazione disponga
altrimenti, la variazione di sistema ha effetto alla data dell'assemblea convocata per
l'approvazione del bilancio relativo all'esercizio successivo.
[III]. Salvo che sia diversamente stabilito, le disposizioni che fanno riferimento agli
amministratori si applicano a seconda dei casi al consiglio di amministrazione o al consiglio di
gestione.
(1) V. nota al Capo V.
1. La massima del Consiglio Notarile di
Milano. Si reputa non conforme alla legge la
previsione, nello statuto di una s.p.a., di più
sistemi di amministrazione e controllo
(tradizionale, dualistico, monistico) con scelta
rimessa all’assemblea ordinaria: il cambiamento
di sistema richiede, in ogni caso, una
deliberazione modificativa dello statuto con i
quorum minimi, il controllo di legalità e la
pubblicità a tal fine richiesti dalla legge. Consiglio
Notarile di Milano, 18 marzo 2004, n. 17.
2. DEGLI AMMINISTRATORI
2380 bis. Amministrazione della società (1). – [I]. La gestione dell'impresa spetta
esclusivamente agli amministratori, i quali compiono le operazioni necessarie per l'attuazione
dell'oggetto sociale.
[II]. L'amministrazione della società può essere affidata anche a non soci.
[III]. Quando l'amministrazione è affidata a più persone, queste costituiscono il consiglio di
amministrazione.
[IV]. Se lo statuto non stabilisce il numero degli amministratori, ma ne indica solamente un
numero massimo e minimo, la determinazione spetta all'assemblea.
[V]. Il consiglio di amministrazione sceglie tra i suoi componenti il presidente, se questi non è
nominato dall'assemblea.
(1) V. nota al Capo V.
Sommario: 1. Massime giurisprudenziali di carattere generale. - 2. Amministratore di fatto. – 2.1. La nomina
dell'amministratore di fatto. – 2.2. Gli indici identificativi dell'amministratore di fatto. –3. Natura del rapporto
amministratori-società. Giurisprudenza contrastante. - 4. Inderogabilità del metodo collegiale. Giurisprudenza
consolidata. - 5. Il numero di amministratori. Giurisprudenza contrastante. - 6. La prevalenza del voto del
presidente in caso di parità. Giurisprudenza di merito.
1. Massime giurisprudenziali di carattere
generale. - È legittima la clausola dell'atto
costitutivo e dello statuto la quale - ferma la
necessità di indicare nell'atto costitutivo coloro
che, per primi, vengono designati quali
amministratori - preveda che la società possa
essere amministrata da un amministratore unico,
ovvero da un consiglio di amministrazione,
rimettendo all'assemblea ordinaria la scelta in
ordine alla concreta configurazione dell'organo ed
al numero degli amministratori, in quanto questa
previsione non vulnera gli interessi dei soci e dei
terzi, tutelati dalla disciplina in materia di
pubblicità, prevista anche in riferimento alle
delibere dell'assemblea ordinaria (art. 2383,
comma 3, c.c., richiamato dall'art. 2487 c.c.), non
rilevando, in contrario, che l'art. 2487 c.c. non
richiama l'art. 2380, comma 3, c.c., concernente la
s.p.a., sia perché questa norma stabilisce
esclusivamente che la fissazione del numero degli
amministratori spetta all'assemblea ordinaria,
qualora il numero non sia indicato nell'atto
costitutivo, in virtù di una facoltà non prevista
direttamente da detta disposizione, ma insita nel
sistema, sia perché il mancato richiamo espresso
nell'art. 2487 c.c., di una norma relativa alla s.p.a.
non giustifica, da sola, l'inapplicabilità alla s.r.l.,
se l'estensione della disposizione non risulti in
contrasto con le caratteristiche peculiari di questo
tipo societario. Cass. civ., sez. I, 4 novembre
2003, n. 16496, Dir. e giust. 2003, 44, 25.
(7968/36).
La nomina, in seno ad una società di capitali, di
un consiglio di amministrazione, del quale venga
chiamato a far parte chi fino ad allora abbia
espletato le funzioni di amministratore unico,
comporta la revoca implicita di quest'ultimo da
tale carica in quanto incompatibile con la
successiva, non essendo ipotizzabile - dato il
diverso contenuto di poteri esercitabili nell'uno e
nell'altro caso - una continuità soggettiva
nell'attività
gestoria
qualora
all'organo
monocratico si sostituisca l'organo collegiale, a
nulla rilevando che al precedente amministratore
unico siano attribuite le funzioni di
amministratore delegato; ne consegue che, ove
detta revoca implicita sia avvenuta senza giusta
causa, all'amministratore spetta il diritto al
risarcimento dei danni ai sensi dell'art. 2383,
comma 3, c.c. Cass. civ., sez. I, 7 maggio 2002, n.
6526, Giust. civ. Mass. 2002, 780. (7968/36).
2.1 La nomina dell'amministratore di fatto. – L'
orientamento giurisprudenziale che per anni si è
affermato è che per accertarsi la natura di
amministratore di fatto fosse necessario un
qualsiasi atto della società o dei soci, ancorché
implicito, riconducibile ad una attribuzione o ad
un riconoscimento delle funzioni svolte dalla
persona di fatto ingeritasi nella gestione della
società. Cass. civ., sez. I, 12 gennaio 1984, n. 234,
Giur. Comm. 1985, II, 182; Cass. civ. sez. I, 19
dicembre 1985, n. 6493, Giur. It. 1986, I, 1, 3749.
(7968/144).
La rigida impostazione di cui sopra fu smussata
dal corollario per cui si presumeva un tacito atto
di nomina qualora fosse stata accertata una
concreta volontà della società (espressa dagli
organi a ciò deputati) di ritenere un soggetto, che
di fatto già svolgeva attività gestoria, come
regolarmente
inserito
nell’attività
di
organizzazione societaria. Cass. civ., sez. I, 6
marzo 1999, n. 1925, Giust. civ. Mass. 1999, 511.
(7968/144).
L'inversione di tendenza si ebbe con due decisioni
della Suprema Corte che ha ritenuto
pacificamente applicabile la disciplina della
responsabilità degli amministratori a coloro che si
siano concretamente ingeriti nella gestione della
società, anche in assenza di una preposizione
institoria più o meno implicita e valida. Cass. civ.,
sez. I, 6 marzo 1999, n. 1925, Giur. It., 2000, 770;
Cass. civ., sez. I, 14 settembre 1999, n. 9795,
Giust. civ. Mass. 1999, 1970 (7968/144).
La giurisprudenza di merito si è poi uniformata al
principio espresso dalla Cassazione: Trib. Milano,
18 ottobre 2007, Giur. it. 2008, 1161; Trib.
Milano, 8 marzo 2007, Giur. it. 2008, 1441; Trib.
Milano, 21 maggio 2008, Giur. it. 2008, 2740.
(7968/144).
2. Amministratore di fatto. – Passiamo in
rassegna gli orientamenti giurisprudenziali
inerenti la figura dell'amministratore di fatto
ovvero la figura del soggetto che di fatto si è
occupato
della
gestione
della
società.
L'importanza di tale istituto va ricercata in termini
di allargamento delle responsabilità anche ai
soggetti che formalmente non hanno una loro
posizione nell'organigramma societario.
Come vedremo, però, in mancanza di una
normativa, la difficoltà della giurisprudenza sta
proprio nel trovare quegli elementi che
individuino le circostanze idonee all'accertamento
della natura di amministratore di fatto in capo ad
un dato soggetto.
2.2. Gli indici identificativi dell'amministratore
di fatto. – La giurisprudenza ha statuito che la
qualifica di amministratore di fatto può essere
riferita soltanto al soggetto che abbia svolto vera e
propria attività di amministrazione in modo
stabile, non subordinato, per un rilevante arco di
tempo,
potendosi
dunque
considerare
amministratore a pieno titolo solo chi in modo
sistematico abbia compiuto gli atti tipici della
gestione sociale. Cass. 14 settembre 1999, n.
9795, Giust. civ. 2000, I, 79; Trib. Milano, 21
maggio 2008, Giur. it. 2008, 2740; Trib. Milano,
18 ottobre 2007, Giur. it. 2008, 1161; Trib.
Milano, 11 dicembre 1997, Società 1998, 802;
App. Milano, 9 dicembre 1994, Vita not. 1996,
315. (7968/144).
E' stato inoltre ritenuto che per dimostrare la
natura di amministratore di fatto è necessario
provare
l’esercizio
di
un’attività
di
amministrazione intesa come un insieme di atti
coordinati sul piano funzionale della unicita` dello
scopo, e che si tratti comunque di atti “tipici”,
ovvero di atti giustificati dal potere di iniziativa
proprio di chi governa una societa` in vista del suo
funzionamento (es. convocazione assemblea), di
atti diretti a conseguire l’oggetto sociale (le
iniziative
assimilabili
alla
funzione
imprenditoriale di indirizzo e di coordinamento
dei fattori della produzione), o ancora di atti di
esecuzione delle delibere assembleari. Inoltre
appare necessario che detta attività sia svolta
senza subordinazione, e quantomeno sul piano di
un rapporto paritario di cooperazione - se non di
superiorità - con il soggetto investito formalmente
dei poteri amministrativi. Uff. Indagini
preliminari Milano, 12 giugno 2001, Foro
ambrosiano 2002, 240. (7968/144).
Sul piano degli atti concretamente posti in essere
dagli amministratori, recenti decisioni di merito
hanno precisato che è amministratore di fatto il
soggetto che abbia assunto debiti, compiuto
operazioni
attraverso
l’emissione
e
la
sottoscrizione di assegni e cambiali per conto
della società o negoziato con le banche i rapporti
di finanziamento. Trib. Roma, 27 gennaio 2006,
Dir. Fall. 2007, 465. (7968/144).
La giurisprudenza ha individuato indici per
definire quale comportamento possa integrare, in
concreto, a prescindere da investiture formali,
l’esercizio dei poteri tipici dell’amministrazione:
escluso che un singolo atto possa essere
sufficiente, o che possa bastare la considerazioni
di alcuni atti eterogenei, si ritiene che sia
necessario
l’esercizio
di
un’attività
di
amministrazione intesa come un insieme di atti
coordinati sul piano funzionale dalla unicità dello
scopo, e che si tratti comunque di atti «tipici»,
ovvero di atti giustificati dal potere di iniziativa
proprio di chi governa una società in vista del suo
funzionamento (es. convocazione assemblea), di
atti diretti a conseguire l’oggetto sociale (le
iniziative
assimilabili
alla
funzione
imprenditoriale di indirizzo e di coordinamento
dei fattori della produzione), o ancora di atti di
esecuzione delle delibere assembleari. Inoltre,
appare necessario che detta attività sia svolta
senza subordinazione, e quantomeno sul piano di
un rapporto paritario di cooperazione - se non di
superiorità - con il soggetto investito formalmente
dei poteri amministrativi, la cui inerzia, per
converso, può rappresentare obbiettivo riscontro
dell’effettività della titolarità di un potere
gestionale di fatto. Trib. Milano, 18 ottobre 2007.
(7968/144).
3. Natura del rapporto amministratori-società.
Giurisprudenza
contrastante.
La
giurisprudenza si è affermata nel senso di non
escludere aprioristicamente la natura di rapporto
di lavoro subordinato tra Presidente del c.d.a. e la
società. A tal uopo sarà demandato al Giudice del
merito valutare le risultanze processuali che lo
inducono ad escludere la sussistenza del rapporto
di lavoro stesso, il cui onere probatorio verte sul
Presidente. Cass. civ., sez. lav., 19 maggio 2008,
n. 12630, Società 2008, 11, 1358. (7968/36).
Infatti, la Cassazione aveva già statuito che la
qualifica di amministratore di una società
commerciale non è di per sè incompatibile con la
condizione di lavoratore subordinato alle
dipendenze della stessa società, ma, perchè sia
configurabile tale rapporto di lavoro subordinato,
è necessario che colui che intenda farlo valere non
sia amministratore unico della società e provi in
modo certo il requisito della subordinazione,
elemento tipico qualificante del rapporto, che
deve consistere nel suo effettivo assoggettamento,
nonostante egli rivesta la carica di amministratore,
al potere direttivo di controllo e disciplinare
dell’organo di amministrazione della società nel
suo complesso. Cass. civ., sez. lav. 24 maggio
2000, n. 6819. (7968/36).
In linea parzialmente differente si è espressa altra
parte della giurisprudenza la quale ha avuto modo
di rilevare che l'amministratore della società,
essendo un organo cui è commessa la gestione
sociale, è a questa legato da un rapporto interno di
immedesimazione organica che non può essere
qualificato nè come rapporto di lavoro
subordinato, nè come rapporto di collaborazione
continuata e coordinata (Cass. civ., sez. lav., 26
febbraio 2002, n. 2861, Giust. civ. Mass. 2002,
327, Società 2002, 1371; Cass. civ., sez. lav., 3
aprile 1991, n. 3980, Giust. civ. Mass. 1991, fasc.
4, Mass. giur. lav. 1991, 576, Orient. giur. lav.
1992, I, 241; Cass. civ., sez. lav., 23 agosto 1991,
n. 9076, Giust. civ. Mass. 1991, fasc. 8
(7968/36).); le prestazioni dell'amministratore in
favore della società rientrano piuttosto nell'area
del lavoro professionale autonomo, come è dato
desumere dall'art. 2392 c.c. che richiama le norme
sul mandato (nella sua concezione ante Riforma
(Cass. civ., sez. lav., 26 luglio 1990, n. 7543,
Giust. civ. Mass. 1990, fasc. 7; Cass. civ., sez.
lav., 19 marzo 1991, n. 2895, Giust. civ. Mass.
1991, fasc. 3 (7968/36)).
4. Inderogabilità del metodo collegiale.
Giurisprudenza consolidata. – Il metodo
collegiale è inderogabile stante il carattere
imperative della norma dal quale deriva. Trib.
Novara, 7 novembre 2000, Not. 2001, 371; Trib.
Parma, 16 giugno 2000, Società 2000, 1216; Trib.
Foggia, 27 aprile 1999, Giur. comm. 2000, II, 32.
(7968/36).
5.
Il
numero
di
amministratori.
Giurisprudenza contrastante. - E' stato ritenuto
che non vi siano limiti al numero di
amministratori e che il c.d.a. possa essere
composto anche da soli due membri, non
implicandosi in tal caso violazione del principio di
collegialità (Trib. Napoli, 21 giugno 1996, Società
1997, 71; in senso contrario: Trib. Novara, 7
novembre 2000, Not. 2001, 371 (7968/36)).
6. La prevalenza del voto del presidente in caso di
parità. Giurisprudenza di merito. Nel caso di
due amministratori si è statuito che si possa dare
prevalenza al voto del Presidente. Trib. Cassino,
26 giugno 1992, Riv. Not. 1992, 572 (anche se in
tema di assemblea); Trib. Napoli, 30 marzo 1988,
Dir. fall. 1989, II, 490. (7968/36).
2381. Presidente, comitato esecutivo e amministratori delegati (1). – [I]. Salvo diversa
previsione dello statuto, il presidente convoca il consiglio di amministrazione, ne fissa l'ordine
del giorno, ne coordina i lavori e provvede affinché adeguate informazioni sulle materie
iscritte all'ordine del giorno vengano fornite a tutti i consiglieri.
[II]. Se lo statuto o l'assemblea lo consentono, il consiglio di amministrazione può delegare
proprie attribuzioni ad un comitato esecutivo composto da alcuni dei suoi componenti, o ad
uno o più dei suoi componenti.
[III]. Il consiglio di amministrazione determina il contenuto, i limiti e le eventuali modalità di
esercizio della delega; può sempre impartire direttive agli organi delegati e avocare a sé
operazioni rientranti nella delega. Sulla base delle informazioni ricevute valuta l'adeguatezza
dell'assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società; quando elaborati, esamina
i piani strategici, industriali e finanziari della società; valuta, sulla base della relazione degli
organi delegati, il generale andamento della gestione.
[IV]. Non possono essere delegate le attribuzioni indicate negli articoli 2420-ter, 2423, 2443,
2446, 2447, 2501-ter e 2506-bis.
[V]. Gli organi delegati curano che l'assetto organizzativo, amministrativo e contabile sia
adeguato alla natura e alle dimensioni dell'impresa e riferiscono al consiglio di
amministrazione e al collegio sindacale, con la periodicità fissata dallo statuto e in ogni caso
almeno ogni sei mesi (2), sul generale andamento della gestione e sulla sua prevedibile
evoluzione nonché sulle operazioni di maggior rilievo, per le loro dimensioni o caratteristiche,
effettuate dalla società e dalle sue controllate.
[VI]. Gli amministratori sono tenuti ad agire in modo informato; ciascun amministratore può
chiedere agli organi delegati che in consiglio siano fornite informazioni relative alla gestione
della società.
(1) V. nota al Capo V.
(2) Le parole « sei mesi » sono state sostituite alle parole « centottanta giorni » dall'art. 1 d.lgs. 17 gennaio 2003,
n. 6, come modificato dall'art. 51r)d.lgs. 6 febbraio 2004, n. 37.
Sommario: 1. Introduzione. - 2. La convocazione del c.d.a. Giurisprudenza consolidata.– 2.1. I soggetti a cui
deve essere inviata la comunicazione. Giurisprudenza consolidata. – 2.2. Le modalità di convocazione. – 2.3. Il
luogo di convocazione. - 3. Natura e revoca delle deleghe. Giurisprudenza consolidata. - 4. L'impatto della
Riforma in sede penale. Giurisprudenza di legittimità.
1. Introduzione. – La norma ha riguardo ai poteri
del Presidente ed alla disciplina degli organi
delegati.
A proposito di delegati, la Riforma ha espunto dal
testo dell'art. 2392 cod. civ. il riferimento alla
vigilanza sul generale andamento della gestione,
sostituito dal richiamo al comma terzo dell’art.
2381.
L’aspetto forse più rilevante sembrerebbe essere
quello per cui il consiglio è chiamato ad
esaminare i piani strategici, industriali e finanziari
dell’impresa, la cui elaborazione si presume sia
opera degli amministratori delegati, ed a valutare
tanto l’adeguatezza dell’assetto amministrativo,
organizzativo e contabile della società quanto il
generale andamento della gestione, ma sempre e
solo sulla base delle relazioni e delle informazioni
che gli organi delegati sono tenuti a fornire.
2. La convocazione del c.d.a. Giurisprudenza
consolidata.– Il primo comma della norma in
commento ha riguardo alla convocazione del
c.d.a. da parte del Presidente.
A tal proposito, è stato statuito (in epoca ante
Riforma) che i singoli amministratori debbono
ritenersi dotati del potere di pretendere che il
Presidente provveda a tale convocazione e con
uno specifico ordine del giorno. Cass. civ., sez. I,
23 giugno 1998, n. 6238, Giust. civ. Mass. 1998,
1382, Società 1998, 1168. (7968/108).
Il surriferito potere, sempre secondo la richiamata
pronuncia, scaturirebbe dai rilievi: a) che ogni
singolo amministratore è responsabile del
controllo sulla gestione societaria e pertanto egli
deve ritenersi abilitato a mettere in moto
qualunque meccanismo necessario che gli
consenta di provvedere appieno al controllo stesso
e di porre in essere gli adempimenti che questo
richieda pronta; b) che i singoli amministratori
sono solidamente responsabili e tale solidarietà
non può non importare che il singolo
amministratore abbia anche il potere di controllare
l'operato degli altri amministratori. Cass. civ., sez.
I, 23 giugno 1998, n. 6238, Giust. civ. Mass.
1998, 1382, Società 1998, 1168. (7968/108).
2.1. I soggetti a cui deve essere inviata la
convocazione. Giurisprudenza consolidata. - In
giurisprudenza si è consolidato il principio per
cui, in mancanza di disposizioni dettagliate la
convocazione del c.d.a. deve essere inviata a tutti i
componenti dello stesso organo (Cass. civ., sez. I,
5 settembre 1995, n. 9314, Giur. comm. 1997, II,
145 (7968/108)), questo perchè la convocazione
assolve, negli organi collegiali, alla fondamentale
funzione di rendere edotti tutti i membri circa gli
argomenti sui quali il collegio potrà discutere e
deliberare, al duplice fine di consentire la
necessaria partecipazione ed informazione di tutti
e di evitare, al contempo, che sia sorpresa la
buona fede degli assenti (Cass. civ., 16 marzo
1990, n. 2198, Foro it. 1991, I, 228, Dir. fall.
1990, I, 986, Giust. civ. 1990, I, 2608, Società
1990, 1044 (7968/108)).
2.2. Le modalità di convocazione. - -Quanto alle
modalità di comunicazione è consentita
l'utilizzazione di qualsiasi mezzo. Trib. Sassari,
19 maggio 2000, Vita not. 2001, 883. (7968/108).
2.3. Il luogo di convocazione. - Sul luogo di
convocazione, la giurisprudenza si è espressa con
una certa incertezza circa la legittimità di clausole
stautarie che prevedano la riunione in un luogo
diverso rispetto alla sede sociale (App. Genova, 23
aprile 1987, N.G.C.C. 1987, I, 633; Trib. Torino,
6 agosto 1988, Vita not. 1988, 1249 (7968/108)),
ma il problema sembra superato dall'introduzione
del riformato art. 2388, comma 3, c.c.
3.
Natura
e
revoca
delle
deleghe.
Giurisprudenza consolidata. – La delega non ha
effetti traslativi, in quanto il consiglio non si
spoglia dei suoi poteri e conserva una competenza
concorrente ad amministrare, che rimane integra
ed anzi sovraordinata a quella degli organi
delegati, ai quali può pertanto sostituirsi nel
compimento di atti inerenti alle funzioni delegate.
Cass. civ., sez. I, 4 marzo 2005, n. 4787, Giust.
civ. Mass. 2005, 4. (7968/108).
Il consiglio di amministrazione nel suo complesso
(e, quindi, anche agli amministratori non
esecutivi, che ne fanno parte) resta ovviamente
titolare del potere che è stato delegato agli
amministratori esecutivi, sicché - come
specificato nel citato terzo comma dell’articolo in
commento- non solo determina il contenuto, i
limiti e le modalità di esercizio della delega, ma
conserva la possibilità d’impartire direttive ai
delegati e di avocare a sé il compimento di
specifiche operazioni, nonché - parrebbe logico
aggiungere - di revocare in ogni tempo la stessa
delega. Cass. civ., 17 luglio 1979, n. 4191; Cass.
civ., 21 ottobre 1974, n. 2985; Trib. Milano, sez.
VIII, 26 ottobre 2006, n. 11631, Il merito 2007, 6,
41; Trib. Napoli 9 gennaio 2002. (7968/108).
Il consiglio di amministrazione è legittimato a
revocare le deleghe operative già conferite al
proprio amministratore, allorquando venga a
mancare il presupposto requisito della fiducia
degli altri consiglieri circa la conduzione
amministrativa della società, essendo indifferente
anche sotto il profilo dell'eventuale risarcimento
del danno, la presenza o meno di una giusta causa.
Trib. Milano, 16 ottobre 2006, Giur. it. 2007, 12,
2788.
4. L'impatto della Riforma in sede penale.
Giurisprudenza di legittimità.- Per quanto la
previsione di cui all'art. 2381 c.c. - introdotta con
la Riforma che ha modificato l'art. 2392 c.c. riduca gli oneri e le responsabilità degli
amministratori privi di delega, tuttavia,
l'amministratore (con o senza delega) è
penalmente responsabile, ex art. 40, comma 2,
c.p., per la commissione dell'evento che viene a
conoscere (anche al di fuori dei prestabiliti mezzi
informativi) e che, pur potendo, non provvede ad
impedire, posto che a tal riguardo l'art. 2932 c.c.,
nei limiti della nuova disciplina dell'art. 2381 c.c.,
risulta immutato. Ne deriva, altresì, che detta
responsabilità richiede la dimostrazione, da parte
dell'accusa, della presenza (e della percezione da
parte degli imputati) di segnali perspicui e
peculiari in relazione all'evento illecito nonché
l'accertamento del grado di anormalità di questi
sintomi, onere che qualora non sia assolto dal
ricorrente, nel silenzio della sentenza impugnata,
si converte nella richiesta di una ricostruzione
storica del fatto, improponibile in sede di
legittimità. Cass. pen., sez. V, 28 aprile 2009, n.
21581, Diritto & Giustizia 2009. (7968/108).
2382. Cause di ineleggibilità e di decadenza (1). – [I]. Non può essere nominato
amministratore, e se nominato decade dal suo ufficio, l'interdetto, l'inabilitato, il fallito, o chi è
stato condannato ad una pena che importa l'interdizione, anche temporanea, dai pubblici uffici
o l'incapacità ad esercitare uffici direttivi.
(1) V. nota al Capo V.
Sommario: 1. Ineleggibilità. Giurisprudenza consolidata. - 2. Decadenza. Giurisprudenza consolidata.
1. Ineleggibilità. Giurisprudenza consolidata. Il potere di rappresentanza della società non è
riconoscibile in capo a soggetto interdetto, nel
periodo che rileva, dai pubblici uffici, poiché, ai
sensi dell'art. 2382 c.c., la condanna a tale
interdizione costituisce causa di decadenza dalla
carica d'amministratore delle società di capitali, e
comporta l'immediata ed automatica cessazione
del rapporto organico tra questo e la società. Cass.
civ., sez. I, 17 maggio 2005, n. 10355, Giust. civ.
Mass. 2005, 5. (7968/386).
2. Decadenza. Giurisprudenza consolidata. - Il
rapporto organico concerne soltanto i terzi, verso i
quali gli atti giuridici compiuti dall'organo
vengono direttamente imputati alla società, con la
conseguenza che, sempre verso i terzi, assume
rilevanza solo la persona giuridica rappresentata e
non anche la persona fisica. Nulla esclude però
che, nei rapporti interni, sussistano rapporti
obbligatori tra le due persone e, in particolare il
rapporto di lavoro subordinato. Si è, peraltro,
anche affermato, dalla Suprema Corte che,
stabilita la compatibilità giuridica, astratta tra le
funzioni del lavoratore dipendente, anche
dirigenziali, e quelle di amministratore di una
società, la sussistenza di un simile rapporto deve
essere
verificata
in
concreto,
essendo
indispensabile, da una parte, accertare l'oggettivo
svolgimento di attività estranee alle funzioni
inerenti al rapporto organico; dall'altra, la
ricorrenza della subordinazione, sia pure nelle
forme peculiari compatibili con la prestazione
lavorativa dirigenziale. Cass. civ., sez. lav., 12
gennaio 2002, n. 329, Giust. civ. Mass. 2002, 52,
Società 2002, 690, Notiziario giur. lav. 2002, 298;
Cass. 7 marzo 1996, n. 1793; Cass. civ., sez.
unite, 14 dicembre 1994, n. 10680; Cass. civ., 21
gennaio 1993, n. 706; Cass .civ., 25 maggio 1991,
n. 5944; Cass. civ., 13 novembre 1989, n. 4781.
(7968/386).
2383. Nomina e revoca degli amministratori (1). – [I]. La nomina degli amministratori
spetta all'assemblea, fatta eccezione per i primi amministratori, che sono nominati nell'atto
costitutivo, e salvo il disposto degli articoli 2351, 2449 e 2450.
[II]. Gli amministratori non possono essere nominati per un periodo superiore a tre esercizi, e
scadono alla data dell'assemblea convocata per l'approvazione del bilancio relativo all'ultimo
esercizio della loro carica.
[III]. Gli amministratori sono rieleggibili, salvo diversa disposizione dello statuto, e sono
revocabili dall'assemblea in qualunque tempo, anche se nominati nell'atto costitutivo, salvo il
diritto dell'amministratore al risarcimento dei danni, se la revoca avviene senza giusta causa.
[IV]. Entro trenta giorni dalla notizia della loro nomina gli amministratori devono chiederne
l'iscrizione nel registro delle imprese indicando per ciascuno di essi il cognome e il nome, il
luogo e la data di nascita, il domicilio e la cittadinanza, nonché a quali tra essi è attribuita la
rappresentanza della società, precisando se disgiuntamente o congiuntamente.
[V]. Le cause di nullità o di annullabilità della nomina degli amministratori che hanno la
rappresentanza della società non sono opponibili ai terzi dopo l'adempimento della pubblicità
di cui al quarto comma, salvo che la società provi che i terzi ne erano a conoscenza.
(1) V. nota al Capo V.
Sommario: 1. La nomina degli amministratori. Giurisprudenza consolidata. - 2. Revoca dell'amministratore.
Giurisprudenza consolidata. - 3. Revoca implicita. Giurisprudenza di legittimità. - 4. Revoca automatica. – 5.
Esplicitazione delle motivazioni della revoca nell'ambito dell'assemblea di riferimento. Giurisprudenza di merito.
- 6. Il risarcimento del danno in assenza di giusta causa di revoca. Giurisprudenza di merito.
1.
La
nomina
degli
amministratori.
Giurisprudenza consolidata. - La competenza
per la nomina degli amministratori spetta
inderogabilmente all'assemblea. Le clausole
stautarie che prevedono anche la parziale
menomazione di tale potere sono radicalmente
nulle. Trib. Verona, 11 dicembre 1992, Società
1993, 950. (7968/120).
La nomina dei nuovi amministratori che
sostituiscono quelli nominati da atto costitutivo,
spetta all'assemblea ordinaria. Trib. Milano, 4
maggio 1990, Giur. it. 1990, I, 2, 555, Giur.
comm. 1990, II, 458. (7968/120).
Sono ammissibili meccanismi che riservino alla
minoranza la nomina di una parte degli
amministratori. Trib. Roma, 12 marzo 2001,
Società 2001, 1093. (7968/120).
L'accettazione della nomina ad amministratore di
una società - necessaria, avendo i poteri degli
amministratori, fonte contrattuale - non richiede
l'osservanza di specifiche formalità e può essere
anche tacita, prescindendo dall'adempimento degli
oneri pubblicitari di cui all'art. 2383, comma 4,
c.c. Cass. civ., sez. I, 22 maggio 2001, n. 6928,
Giust. civ. Mass. 2001, 1023, Società 2001, 1350.
(7968/120).
2. Revoca dell'amministratore. Giurisprudenza
consolidata.
Secondo
il
consolidato
orientamento della Suprema Corte, la giusta causa
che giustifica la revoca dell'amministratore può
essere sia soggettiva, sia oggettiva, e cioè
consistere anche in situazioni estranee alla
persona dell'amministratore, non riconducibili a
condotte di quest'ultimo, che siano tali da
impedire la prosecuzione del rapporto.
Nell'identificazione della seconda, è stato altresì
precisato che, sebbene la giusta causa possa
derivare anche da fatti non integranti
inadempimento, occorre tuttavia "pur sempre un
quid pluris", nel senso che è necessaria l'esistenza
di "situazioni sopravvenute (provocate o meno
dall'amministratore stesso), che minino il pactum
fiduciae, elidendo l'affidamento inizialmente
riposto sulle attitudini e le capacità dell'organo di
gestione". Cass. civ., sez. I, 12 settembre 2008, n.
23557, Giust. civ. Mass. 2008; Cass. civ., sez. I, 5
agosto 2005, n. 16526, Giust. civ. Mass. 2005,
7/8; Cass. civ. sez. I, 21 novembre 1998, n.
11801; Cass. civ., sez. lavoro, 7 agosto 2004, n.
15322, Giust. civ. Mass. 2004, 7-8. (7968/120).
Le circostanze di fatto integranti la revoca
dell'amministratore sono di regola sopravvenute
alla costituzione del rapporto di amministrazione,
operano dall'esterno sulle vicende negoziali dello
stesso incidendo sul rapporto fiduciario che deve
sussistere tra le parti. Occorre peraltro che gli
elementi intrinseci sopravvenuti incidano
sull'apporto effettivo che il socio può
concretamente attendersi dall'amministratore, in
modo tale da poter fondatamente ritenere che
siano venuti meno in capo allo stesso quei
requisiti di avvedutezza, capacità e diligenza di
tipo professionale che dovrebbero sempre
contraddistinguere l'amministratore di una società
di capitali. Cass. civ., sez. I, 5 agosto 2005, n.
16526, Giust. civ. Mass. 2005, 7/8; Cass. civ. sez.
I, 21 novembre 1998, n. 11801. (7968/120).
Sussiste
una
giusta causa
di revoca
dell'amministratore di società di capitali non solo
qualora quest'ultimo violi i doveri impostigli dalla
legge o dall'atto costitutivo, ma ogni volta che
sopravvengano alla nomina circostanze, anche
non ascrivibili alle parti, idonee a minare il
rapporto fiduciario che caratterizza l'incarico in
questione. Trib. Arezzo, 6 luglio 2006.
(7968/120).
La partecipazione di un amministratore come
azionista ad un patto parasociale, che vincola ad
eseguire le decisioni prese a maggioranza anche
su atti di gestione quali l'assunzione e il
licenziamento di dirigenti e quadri, pregiudica il
rapporto fiduciario che deve esistere tra società e
amministratori e costituisce conseguentemente
giusta causa di revoca. App. Torino, 31 maggio
2006, Giur. it. 2007, 3, 665. (7968/120).
Di fronte all'inerzia dell'amministratore delegato
rispetto alle direttive, da lui conosciute, essenziali
al proficuo ed efficace svolgimento del ruolo di
direzione unitaria da parte della società
capogruppo, il rapporto tra quest'ultima e il primo
può incrinarsi, fino a condurre alla revoca
dell'amministratore stesso fatta secondo criteri di
giusta causa. Trib. Firenze, 15 febbraio 2005,
Giur. merito 2007, 2, 397. (7968/120).
E' escluso che costituisca giusta causa di revoca la
mera convenienza economica conseguente alla
diminuzione di spesa resa possibile dalla
riduzione del numero degli amministratori. Cass.
civ., n. 4240 del 1957. (7968/120).
3. Revoca implicita. Giurisprudenza di
legittimità. - La revoca non deve essere
necessariamente formalizzata con una esplicita
manifestazione di volontà, ma può viceversa
avvenire anche in modo implicito (rilievo peraltro
condiviso in linea di principio dalla stessa
ricorrente), e segnatamente con delibera di
riduzione dei membri del consiglio di
amministrazione. Cass. civ., sez. I, 19 novembre
2008, n. 27512, Società 2009, 25. (7968/120).
La nomina, in seno a una s.p.a., di un consiglio di
amministrazione del quale venga chiamato a far
parte la persona che sino ad allora rivestiva la
carica di amministratore unico, comporta la
revoca di quest'ultimo da tale carica, non essendo
ipotizzabile una continuità soggettiva nell'attività
gestoria
qualora
si sostituisca
l'organo
monocratico con un organo collegiale. Cass. civ.,
sez. I, 7 maggio 2002, n. 6526, Giur. it. 2003, 115.
(7968/120).
4. Revoca automatica. – La revoca automatica è
disciplinata dall'art. 2393, comma 4, c.c.
5. Esplicitazione delle motivazioni della revoca
nell'ambito dell'assemblea di riferimento.
Giurisprudenza di merito. - Le motivazioni
integranti
la
giusta
causa
di
revoca
dell'amministratore di società capitalistica devono
essere chiarite in sede assembleare, quanto meno
nei loro connotati essenziali, posto che si chiede il
riferimento ad elementi sia di natura soggettiva sia
oggettiva, comunque un quid pluris rispetto al
mero dissenso, esigendosi pregiudizio tale per gli
interessi della società da elidere l'affidamento
riposto nell'amministratore. Trib. Milano, 22
marzo 2007, Giur. merito 2008, 12, 3177.
(7968/120).
Le motivazioni, integranti la giusta causa di
revoca dell'amministratore, devono essere
esplicitate, quantomeno nei loro connotati
essenziali, in sede assembleare. Trib. Milano, 14
febbraio 2004, Giur. it. 2004, 1209. (7968/120).
6. Il risarcimento del danno in assenza di giusta
causa di revoca. Giurisprudenza di merito. - Il
potere di revoca dell'amministratore è un potere di
recesso ex lege, rilevando la giusta causa solo ai
fini risarcitori. Trib. Roma, 7 marzo 2001, Dir fall.
2001, II, 795. (7968/120).
Il risarcimento del danno per la revoca senza
giusta causa si parametra normalmente in via
equitativa con l'emolumento che la parte avrebbe
conseguito dalla prestazione gestoria nell'arco di
sei mesi, quale lasso di tempo ragionevolmente
idoneo a consentire all'amministratore revocato di
trovare nuovi incarichi od analoghe prestazioni e
compensi, salvo che il mandato scada in epoca
anteriore. Trib. Milano, 22 marzo 2007, Giur.
merito 2008, 12, 3177. (7968/120).
Il diritto dell'amministratore al risarcimento del
danno per essere stato revocato senza giusta causa
sussiste se la revoca sia stata comunicata senza
congruo preavviso e solo in presenza della prova
di un danno risarcibile. Trib. Cagliari, 12 maggio
2006, n. 1262, Riv. giur. Sarda 2007, 1, 171.
(7968/120).
La revoca dell'amministratore senza giusta causa
comporta soltanto l'obbligo di risarcire i relativi
danni e non già il diritto alla ricostituzione del
rapporto. Trib. Verona, sez. IV, 1 ottobre 2005
(7968/120).
2384. Poteri di rappresentanza (1). – [I]. Il potere di rappresentanza attribuito agli
amministratori dallo statuto o dalla deliberazione di nomina è generale.
[II]. Le limitazioni ai poteri degli amministratori che risultano dallo statuto o da una decisione
degli organi competenti non sono opponibili ai terzi, anche se pubblicate, salvo che si provi
che questi abbiano intenzionalmente agito a danno della società.
(1) V. nota al Capo V.
Sommario: 1. Introduzione. - 2. Il compimento di atti ultra vires prima della Riforma. Giurisprudenza
consolidata. - 3. Il compimento di atti ultra vires dopo la Riforma.
1. Introduzione. - La Riforma è intervenuta
attraverso l’abrogazione della norma relativa agli
atti ultra vires; nonché mediante la rimodulazione
dei rapporti tra assemblea e organo
amministrativo.
Il nuovo art. 2384, comma 1, cod. civ., stabilisce
che "Il potere di rappresentanza attribuito agli
amministratori dallo statuto o dalla deliberazione
di nomina è generale".
Sulla base di questa norma taluno si è spinto ad
affermare che non sarebbero più consentite
limitazioni statutarie al potere di rappresentanza e
la maggioranza degli interpreti si esprime nel
senso che tali limitazioni avrebbero oggi una
rilevanza meramente interna .
La tesi del rilievo interno delle limitazioni ai
poteri degli amministratori sembra, in effetti,
avvalorata dal comma 2 dell’art. 2384 cod. civ.
che estende a tutte le limitazioni "che risultano
dallo statuto o da una decisione degli organi
competenti" la regola, prima riservata alle sole
limitazioni statutarie, dell’inopponibilità ai terzi
salvo
la
prova
che
questi
"abbiano
intenzionalmente agito a danno della società".
2. Il compimento di atti ultra vires prima della
Riforma. Giurisprudenza consolidata. - In tema
di società di capitali, l'eccedenza dell'atto rispetto
ai limiti dell'oggetto sociale, ovvero il suo
compimento al di fuori dei poteri conferiti, non
integra un'ipotesi di nullità dell'atto, ma, al più, di
inefficacia e di opponibilità nei rapporti con i
terzi; e posto che è rimesso alla società, e solo ad
essa, di respingere gli effetti dell'atto, deve
correlativamente essere riconosciuto alla società il
potere di assumere ex tunc quegli effetti,
attraverso la ratifica, ovvero di farli
preventivamente propri, attraverso una delibera
autorizzativa, capace di rimuovere i limiti del
potere rappresentativo dell'amministratore. Ne
deriva che ogni questione relativa alla estraneità
dell'atto compiuto dall'amministratore rispetto
all'oggetto sociale è da ritenersi irrilevante a
seguito e per effetto dell'adozione di una delibera
di autorizzazione preventiva adottata dalla società,
posto che tale delibera impegna la società
medesima alla condotta di essa esecutiva e ad essa
conforme posta in essere dall'organo di gestione,
idonea o meno che sia rispetto al perseguimento
dell'oggetto sociale. Cass. civ., 2 settembre 2004,
n. 17678, Giust. civ. Mass. 2004, 9.
L'oggetto sociale non limita la capacità giuridica e
di agire della società, ma i poteri di
rappresentanza degli amministratori e pertanto un
atto ad esso estraneo, come può essere ratificato,
così
a
maggior
ragione
può
essere
preventivamente autorizzato dalla società
rappresentata mediante una deliberazione
dell'assemblea ordinaria (nella specie l'iscrizione
di un'ipoteca sugli immobili appartenenti ad una
società per azioni, a favore di una banca creditrice
di una terza società, era stata autorizzata da
un'assemblea totalitaria). App. Milano, 20
febbraio 2001.
3. Il compimento di atti ultra vires dopo la
Riforma. - Una significativa novità della Riforma
riguarda invece da vicino il limite dell’oggetto
sociale, al quale non è più dedicata una norma ad
hoc in tema di limitazioni al potere di
rappresentanza (l’art. 2384 bis cod. civ. è stato
infatti abrogato) ed essendo dalla legge previsto
unicamente come obiettivo della gestione degli
amministratori, i quali compiono le operazioni
necessarie per la sua attuazione (così dispone
l’art. 2380 bis, comma 1, cod. civ.).
2385. Cessazione degli amministratori (1). – [I]. L'amministratore che rinunzia all'ufficio
deve darne comunicazione scritta al consiglio d'amministrazione e al presidente del collegio
sindacale. La rinunzia ha effetto immediato, se rimane in carica la maggioranza del consiglio
di amministrazione, o, in caso contrario, dal momento in cui la maggioranza del consiglio si è
ricostituita in seguito all'accettazione dei nuovi amministratori.
[II]. La cessazione degli amministratori per scadenza del termine ha effetto dal momento in
cui il consiglio di amministrazione è stato ricostituito.
[III]. La cessazione degli amministratori dall'ufficio per qualsiasi causa deve essere iscritta
entro trenta giorni nel registro delle imprese a cura del collegio sindacale.
(1) V. nota al Capo V.
Sommario: 1. Introduzione. - 2. La rinunzia. Giurisprudenza consolidata. - La prorogatio. Giurisprudenza di
legittimità.
1. Introduzione. – Il primo comma della norma
disciplina la rinunzia e gli effetti della rinunzia
degli amministratori. Come esplicita la norma, la
rinunzia può avere una efficacia immediata o
differita.
Il secondo comma disciplina la mera scadenza
naturale dell'incarico degli amministratori.
L'ultimo comma ha riguardo ai soli adempimenti
pubblicitari.
2. La rinunzia. Giurisprudenza consolidata. - I
poteri di rappresentanza dell'amministratore di
società di capitali cessano per effetto di un valido
atto di rinuncia, senza che si renda a tale fine
necessaria, salvo specifico patto, la sussistenza di
una giusta causa o l'accettazione di quell'atto da
parte dei soci. (Nella specie il ricorrente deduceva
che anche in applicazione delle norme in tema di
mandato, la rinuncia alla carica di amministratore,
così come avviene per la revoca da parte della
assemblea, deve essere subordinata alla presenza
di una giusta causa, la cui mancanza, oltre a
escludere il diritto al compenso da parte di chi
recede dal rapporto, fa sorgere in capo alla società
il diritto al risarcimento dei danni derivanti dal
recesso anticipato. In applicazione del principio
esposto sopra la S.C. ha rigettato tale motivo di
ricorso, attesa la stessa formulazione dell'art. 2385
c.c.). Cass. civ., sez. I, 13 agosto 2008, n. 21563,
Guida al diritto 2008, 42, 84. (7968/216).
Le dimissioni o la rinuncia dell'amministratore
possono essere efficaci anche in assenza di una
particolare forma scritta, purché lo strumento di
comunicazione prescelto sia congruo, in concreto,
a farne apprendere compiutamente e nel suo
giusto significato il contenuto. Trib. Nocera
Inferiore, 28 luglio 2003, Giur. it. 2004, 115.
(7968/216).
3. La prorogatio. Giurisprudenza di legittimità.
- La proroga disposta dall'ultimo comma dell'art.
2385 c.c., a differenza di quella contemplata
dall'art. 2386, non ha una durata predeterminata
ed è stata prevista dal legislatore proprio al fine di
assicurare la continuità della gestione della
società, evitando che in occasione del ricambio
delle cariche sociali, ogni rischio di paralisi
dell'organo di amministrazione. E questo spiega
perché il secondo comma dell'art. 2385 c.c. non
limiti in alcun modo le attribuzioni degli
amministratori nel periodo di proroga, lasciando
così intendere che essi rimangano immutati fino
alla nomina del nuovo amministratore o, a
seconda dei casi, fino a quando il consiglio non
sia stato ricostituito. Cass. civ., sez. I, 4 giugno
2003, n. 8912, Giust. civ. Mass. 2003, 6, D&G Dir. e giust. 2003, 26, 98, Giur. it. 2004, 791;
Cass. 28 aprile 1997, n. 3652, Giust. civ. Mass.
1997, 649, Società 1997, 1389. (7968/36).
2386. Sostituzione degli amministratori (1). – [I]. Se nel corso dell'esercizio vengono a
mancare uno o più amministratori, gli altri provvedono a sostituirli con deliberazione
approvata dal collegio sindacale, purché la maggioranza sia sempre costituita da
amministratori nominati dall'assemblea. Gli amministratori così nominati restano in carica
fino alla prossima assemblea.
[II]. Se viene meno la maggioranza degli amministratori nominati dall'assemblea, quelli
rimasti in carica devono convocare l'assemblea perché provveda alla sostituzione dei
mancanti.
[III]. Salvo diversa disposizione dello statuto o dell'assemblea, gli amministratori nominati ai
sensi del comma precedente scadono insieme con quelli in carica all'atto della loro nomina.
[IV]. Se particolari disposizioni dello statuto prevedono che a seguito della cessazione di
taluni amministratori cessi l'intero consiglio, l'assemblea per la nomina del nuovo consiglio è
convocata d'urgenza dagli amministratori rimasti in carica; lo statuto può tuttavia prevedere
l'applicazione in tal caso di quanto disposto nel successivo comma.
[V]. Se vengono a cessare l'amministratore unico o tutti gli amministratori, l'assemblea per la
nomina dell'amministratore o dell'intero consiglio deve essere convocata d'urgenza dal
collegio sindacale, il quale può compiere nel frattempo gli atti di ordinaria amministrazione.
(1) V. nota al Capo V.
Sommario: 1. Introduzione. - 2. La cooptazione. Giurisprudenza consolidata. - 3. La clausola simul stabunt
simul cadent. – 3.1. Portata della norma. – 3.2. La giurisprudenza affermatasi prima della Riforma. – 3.3.
L'orientamento post Riforma. Giurisprudenza di merito.
1. Introduzione. – La norma, sostanzialmente
modificata dalla Riforma, disciplina i vari casi di
sostituzione degli amministratori.
Di particolare interesse sono la disciplina della
cooptazione e della possibilità di inserimento
della clausola simul stabunt simul cadent.
In particolare, quanto alla disciplina sulla
cooptazione, si noti come questa costituisca una
vera e propria eccezione al principio della
competenza assembleare rispetto alla nomina
degli amministratori.
Si noti, infine, la natura non inderogabile delle
disposizioni dei commi tre e quattro.
2. La cooptazione. Giurisprudenza consolidata.
– La norma dell'art. 2386 c.c. riguarda la
sostituzione degli amministratori venuti a mancare
"nel corso dell'esercizio": ciò significa che la
cessazione deve avvenire non per scadenza
naturale del mandato, ma "nel corso" del mandato
stesso, anteriormente alla scadenza, per dimissioni
o per altra causa. Cass. civ., sez. I, 4 marzo 1994,
n. 2144, Giust. civ. Mass. 1994, 263, Società
1994, 915 osser., Giur. it. 1994, I, 1, 1118, Foro
it. 1994, I, 3460, Giur. comm. 1994, II, 639, Dir.
fall. 1994, II, 1074. (7968/120).
3. La clausola simul stabunt simul cadent. – La
disciplina della clausola in esame trova con la
Riforma una propria collocazione nell'articolo in
commento.
Si tratta di una clausola statutaria che crea un
collegamento tra i vari componenti del consiglio
di amministrazione, in modo che se taluno di essi
decada, o dia le dimissioni o comunque cessi dalla
carica, poichè il consiglio perde la sua
composizione originaria, vi è la necessità di
costituzione del nuovo organo amministrativo.
3.1. Portata della norma. - La clausola simul
stabunt simul cadent e` applicabile anche ai
modelli di amministrazione delle s.p.a. alternativi
a quello tradizionale.
3.2. La giurisprudenza affermatasi prima della
Riforma. – La clausola può essere articolata in
maniera differente stabilendo che a seguito del
venir meno di uno o più amministratori l’intero
consiglio di amministrazione (i) si consideri
decaduto ovvero (ii) si consideri dimissionario.
Nel primo caso la giurisprudenza ha ritenuto che
venisse meno l'intero consiglio, ergo solo il
collegio
sindacale
era
legittimato
alla
convocazione dell'assemblea per la nomina dei
nuovi
amministratori.
Pertanto,
laddove
convocazione fosse stata effettuata da parte del
consiglio decaduto, la conseguente delibera
sarebbe stata annullabile. Trib. Milano, 5 ottobre
2000, Giur. It. 2001, 327. (7968/120).
Nel secondo caso, invece, la giurisprudenza ha
ritenuto che l’organo amministrativo rimane in
carica fino alla nomina dei nuovi amministratori
da parte dell’assemblea convocata dallo stesso
consiglio dimissionario, garantendo cosı` anche la
continuitò di funzionamento alla gestione della
società. Trib. Milano, 6 aprile 1995, Giur. Comm.
1996, II, 233; Trib. Milano, 11 settembre 1995,
Giur. It. 1996, I, 2, 51; Trib. Torino, 1 ottobre
1997, Giur. piemontese 1998, 128. (7968/120).
3.3.
L'orientamento
post
Riforma.
Giurisprudenza di merito. –
La clausola
statutaria di specie dispone, di fatto,
semplicemente un meccanismo di scadenza
anticipata dei poteri di tutti, collegato ad una
causa di cessazione di alcuni, la quale opera come
condizione risolutiva del rapporto; per tale via il
suo operare porta al medesimo risultato che si
produce in caso di naturale scadenza del mandato,
regolato nell'art. 2385, comma 2, c.c. ove si
prevede una specifica ipotesi di " prorogatio " dei
poteri. Agli effetti della norma in esame, che si
preoccupa solamente di indicare che gli
amministratori mantengono il potere di convocare
l'assemblea, gli amministratori rimasti in carica
dopo la causa di cessazione coincidono con quelli
che ricadono nel regime di " prorogatio " per i
quali la scadenza del termine convenzionale del
mandato può avere effetto solo dal momento in
cui il consiglio di amministrazione è stato
ricostituito. Tribunale Milano, VIII Sezione, 10
giugno 2008, Giurisprudenza it. 2009, 2, 377.
(7968/120).
Se per effetto della clausola simul stabunt simul
cadent sia prevista la decadenza dell’intero
consiglio di amministrazione in conseguenza della
cassazione di uno o più amministratori, esso
mantiene i suoi poteri alla nomina dei nuovi
amministratori; sicché, anche nel caso in cui si
dimetta la maggioranza degli stessi, l’intero
consiglio di amministrazione resterà in carica fino
alla sua ricostituzione e sarà legittimato a
procedere alla convocazione dell’assemblea
affinché vi provveda. Tribunale Milano, VIII
Sezione, 10 giugno 2008, Giurisprudenza it. 2009,
2, 377. (7968/120).
.
2387. Requisiti di onorabilità, professionalità e indipendenza (1). – [I]. Lo statuto può
subordinare l'assunzione della carica di amministratore al possesso di speciali requisiti di
onorabilità, professionalità ed indipendenza, anche con riferimento ai requisiti al riguardo
previsti da codici di comportamento redatti da associazioni di categoria o da società di
gestione di mercati regolamentati. Si applica in tal caso l'articolo 2382.
[II]. Resta salvo quanto previsto da leggi speciali in relazione all'esercizio di particolari
attività.
(1) V. nota al Capo V.
1. L'esperienza ante Riforma. - In assenza di
pronounce giurisprudenziale circa i requisiti di cui
al nuovo art. 2387 c.c., è bene comunque tener
presente il principio per cui, sebbene con
riferimento all'art. 2382 c.c., i soci sono soggetti
muniti del potere di stabilire requisiti di
eleggibilità. Cass. civ., sez. I, 14 dicembre 1995,
n. 12820, Giust. civ. Mass. 1995, fasc. 12.
(7986/36).
2388. Validità delle deliberazioni del consiglio (1). – [I]. Per la validità delle deliberazioni
del consiglio di amministrazione è necessaria la presenza della maggioranza degli
amministratori in carica, quando lo statuto non richiede un maggior numero di presenti. Lo
statuto può prevedere che la presenza alle riunioni del consiglio avvenga anche mediante
mezzi di telecomunicazione.
[II]. Le deliberazioni del consiglio di amministrazione sono prese a maggioranza assoluta dei
presenti, salvo diversa disposizione dello statuto.
[III]. Il voto non può essere dato per rappresentanza.
[IV]. Le deliberazioni che non sono prese in conformità della legge o dello statuto possono
essere impugnate solo dal collegio sindacale e dagli amministratori assenti o dissenzienti entro
novanta giorni dalla data della deliberazione; si applica in quanto compatibile l'articolo 2378.
Possono essere altresì impugnate dai soci le deliberazioni lesive dei loro diritti; si applicano in
tal caso, in quanto compatibili, gli articoli 2377 e 2378.
[V]. In ogni caso sono salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi in base ad atti compiuti
in esecuzione delle deliberazioni.
(1) V. nota al Capo V.
Sommario: 1. Introduzione. - 2. Quorum deliberativo. - 3. L'invalidità delle delibere del c.d.a.. - 4. La presenza
mediante mezzi di telecomunicazione.
1. Introduzione. - La Riforma ha introdotto la
possibilità di presenziare alle riunioni del c.d.a.
attraverso mezzi di telecomunicazione. Di nuova
formulazione, invece, gli ultimi due commi della
norma.
2. Quorum deliberativo. - In mancanza di diversa
disposizione dell'atto costitutivo il c.d.a. delibera a
maggioranza assoluta, da calcolare per teste sul
numero degli amministratori presenti.
In merito agli astenuti è stato ritenuto che la
delibera del consiglio di amministrazione di una
società per azioni che sia stata adottata con il voto
di uno solo degli amministratori, a seguito
dell'astensione da parte degli altri due componenti
partecipanti alla riunione del consiglio stesso, per
conflitto di interessi con la società, non può
considerarsi inesistente nè invalida per difetto
della consistenza numerica idonea a costituire un
"collegio", atteso che, in base ad un principio
generale della società per azioni enunciato nell'art.
2373 c.c., con riferimento all'assemblea dei soci,
ma applicabile analogicamente anche alle
deliberazioni del Consiglio di amministrazione
(art. 2388, 2391 c.c.) - nel quorum costitutivo del
collegio, a differenza che nel quorum deliberativo,
vanno computati anche i soggetti che si trovino in
conflitto di interessi con la società. Cass. civ., sez.
I, 15 ottobre 1991, n. 10864, Dir. fall. 1992, II,
766; Cass. civ., sez. I, 21 agosto 1991, n. 8976,
Giust. civ. Mass. 1991, fasc. 8. (7968/288).
Quanto alla illegittimità del casting vote ovvero
del valore determinante, in caso di parità, al voto
del presidente dell'assemblea, si è espresso
giurisprudenza di merito, perchè una clausola
statutaria con tale previsione integrerebbe
fattispecie analoga a quella dell'emissione di
quote e/o azioni a voto plurimo Trib. Cassino, 26
giugno 1992, Foro it. 1992, I, 3198; Trib. Napoli,
28 settembre 1988, Giur. comm. 1991, II, 327.
(7968/108).
3. L'invalidità delle delibere del c.d.a. - Il
contrasto
giurisprudenziale
ante
Riforma
riguardava
l'applicazione
analogica
della
disciplina delle impugnazione delle delibere
assembleari.
In
senso
sostanzialmente
contrario
all'applicazione analogica si era ripetutamente
espressa la Cassazione.
Tale giurisprudenza aveva convenuto che l'art.
2391 consentisse l'impugnazione solo agli
amministratori assenti o dissenzienti ed ai sindaci;
e unicamente nel caso di delibere assunte con la
partecipazione di un amministratore in conflitto
d'interessi con la società. Cass. civ., 10 aprile
1973, n. 1016; Cass. civ., 20 aprile 1961, n. 883.
(7968/108).
La stessa giurisprudenza ha anche sottolineato che
contro le deliberazioni degli amministratori non
sussiste, per il socio, possibilità alcuna di ricorso
all'autorità giudiziaria, mancando una norma che
l'autorizzi e non potendo applicarsi in via
analogica il sistema eccezionale d'impugnazione
previsto per le deliberazioni dell'assemblea.
Conseguentemente, al socio sarebbe assegnata
una tutela soltanto indiretta, realizzabile attraverso
le iniziative volte a promuovere la revoca degli
amministratori
(art.
2383),
l'azione
di
responsabilità di cui all'art. 2393, la denuncia al
Collegio sindacale (art. 1408) e al tribunale (art.
1409), l'azione risarcitoria a norma dell'art. 2395
oppure, infine, la facoltà d'impugnare l'atto
esterno, di cui la delibera è presupposto, o di
sottoporre la delibera stessa all'assemblea dei soci.
Tale sistema - si dice - sarebbe improntato
all'esigenza di potenziare l'efficienza dell'attività
amministrativa e di sottrarla agli intralci che ad
essa deriverebbero dall'esercizio di azioni
giudiziarie avventate o capziose, e questa esigenza
- si è pure osservato - troverebbe un limite, oltre
che nel potere d'impugnazione dei (soli)
amministratori nell'ambito dell'art. 2391, anche
nella previsione dell'art. 2527, che contempla
l'impugnazione da parte del socio della delibera di
esclusione presa dall'assemblea o, di secondo
l'atto costitutivo, dagli amministratori, nei casi
d'inesistenza e di nullità per impossibilità o illecità
dell'oggetto. Cass. civ., sez. III, 11 marzo 1980, n.
1625, Giust. civ. Mass. 1980, fasc. 3, Riv.
notariato 1980, 911. (7968/108).
Il problema è stato poi riesaminato dalla
Cassazione la quale ha osservato che la questione
può ritenersi esattamente posta, nei termini
suddetti, quando si tratti di delibere che gli
amministratori abbiano adottato in violazione o
delle disposizioni sulle modalità di formazione
delle stesse o dei doveri assunti nei confronti della
società oppure delle regole di buona
amministrazione; cioè di delibere che ledano solo
indirettamente gli interessi del socio e violino
immediatamente l'interesse sociale. Cass. civ., sez.
I, 21 maggio 1988, n. 3544, Giust. civ. Mass.
1988, fasc. 5, Giust. civ. 1988, I, 1979.
(7968/108).
Deve ritenersi
che i limiti soggettivi alla
impugnazione delle delibere, posti sulla normativa
in materia di società, riguardano esclusivamente
l'ipotesi che le delibere adottare contrastino con
l'interesse sociale (siano state esse assunte con o
senza violazione delle regole generali fissate
nell'atto costitutivo o nello statuto della società).
Quando, invece, si sia in presenza di atti del
consiglio d'amministrazione vincolati (ossia non
discrezionali) e direttamente lesivi del diritto del
socio, si deve escludere l'operatività di quei limiti,
non essendo ragionevole ritenere che la legge
abbia inteso, anche in tale caso, affidare a terzi la
tutela del singolo socio (evidentemente
appartenente alla minoranza), precludendogli
l'esercizio diretto, limitandolo alla utilizzazione di
meccanismi d'intervento già in astratto inidonei a
garantire una difesa piena. Cass. civ., sez. I, 24
gennaio 1990, n. 420, Giust. civ. Mass. 1990,
fasc. 1, Giust. civ. 1990, I, 325, 2634, Foro it.
1990, I, 1551. (7968/108).
Per l'applicazione analogica della diciplina in
materia di impugnazione delle delibere
assembleari si sono invece espressi: Trib. Milano,
16 luglio 1999, Giur. it. 2000, 1886; Trib. Roma,
18 marzo 1982, Riv. Dir. Comm. 1983, II, 167;
Trib. Milano, 5 novembre 1987, Giur. Comm.
1988, II, 775; Trib. Milano, 20 dicembre 1996,
Giur. Comm. 1998, II, 79.
4. La presenza mediante mezzi di
telecomunicazione. – La Riforma sul punto ha
colto il suggerimento della giurisprudenza
secondo la quale è omologabile l'atto costitutivo
di una società che preveda la possibilità di
convocare l'assemblea dei soci mediante posta
elettronica e che ne consenta poi lo svolgimento
in videoconferenza. Trib. Sassari, 19 maggio
2000, Società 2001, 209; Trib. Roma, 24 febbraio
1997,
Società
1997,
695.
2389. Compensi degli amministratori (1). – [I]. I compensi spettanti ai membri del consiglio
di amministrazione e del comitato esecutivo sono stabiliti all'atto della nomina o
dall'assemblea.
[II]. Essi possono essere costituiti in tutto o in parte da partecipazioni agli utili o
dall'attribuzione del diritto di sottoscrivere a prezzo predeterminato azioni di futura emissione.
[III]. La rimunerazione degli amministratori investiti di particolari cariche in conformità dello
statuto è stabilita dal consiglio di amministrazione, sentito il parere del collegio sindacale. Se
lo statuto lo prevede, l'assemblea può determinare un importo complessivo per la
remunerazione di tutti gli amministratori, inclusi quelli investiti di particolari cariche.
(1) V. nota al Capo V.
Sommario: 1. Introduzione. - 2. . Il diritto al compenso, nozioni generali. - 3. Il compenso mediante
partecipazione agli utili. - 4. La determinazione giudiziale del compenso. Giurisprudenza consolidata. - 5. La
rinuncia al compenso. Giurisprudenza consolidata. - 6. L'impugnazione della delibera di determinazione del
compenso.
1. Introduzione. – La norma regola un vero e
proprio diritto al compenso degli amministratori,
essendo stata da sempre minoritaria l'idea di
gratuità dell'incarico.
2. Il diritto al compenso, nozioni generali. - Il
rapporto di immedesimazione organica tra
amministratore e società di capitali non giustifica
l'esclusione
del
compenso
a
favore
dell'amministratore, dovendo verificarsi, ai fini di
tale esclusione, la sussistenza o meno di una
rinuncia, espressa o tacita. Cass. civ., sez. lav., 20
febbraio 2009, n. 4261, Guida al diritto 2009, 12,
54. (7968/72).
In base al combinato disposto degli art. 2364,
comma 1, n. 3, e 2389, comma 1, c.c. (nel testo
anteriore alla riforma attuata dal d.lg. 17 gennaio
2003 n. 6), la determinazione del compenso degli
amministratori di società per azioni è rimessa in
primo luogo all'atto costitutivo e, solo ove esso
non provveda, all'assemblea ordinaria. Resta di
conseguenza escluso che l'assemblea possa
accordare agli amministratori un compenso
ulteriore rispetto a quello già previsto dallo statuto
sociale, a nulla rilevando che quest'ultimo sia
eventualmente stabilito nella forma aleatoria della
partecipazione agli utili. Cass. civ., sez. I, 7 aprile
2006, n. 8230, Giur. it. 2006, 8-9, 1625, Giust.
civ. Mass. 2006, 4. (7968/72).
In mancanza di statuizioni nell'atto costitutivo,
ben può il consiglio di amministrazione
determinare il compenso degli amministratori
esercitando i poteri di cui all'art. 2389, comma 1,
c.c., a ciò non ostando il combinato disposto di
cui al suindicato articolo e all'art. 2384 bis c.c.,
scopo di quest'ultimo essendo quello di garantire
la certezza e la speditezza degli affari, tutelando
l'affidamento dei terzi. Cass. civ., sez. I, 15
novembre 2004, n. 21628, Giust. civ. Mass. 2004,
11. (7968/72).
L'amministratore vanta nei confronti della società
un diritto soggettivo perfetto al compenso per
l'incarico ricoperto, non comprimibile neppure per
il caso di revoca dall'incarico, salvo che si accerti
una responsabilità per danni dell'amministratore
da cui derivi il diritto della società al risarcimento
del danno. Trib. Roma, 25 settembre 2007, Riv.
dir. comm. 2008, 1-2-3, 1. (7968/72).
Il diritto al compenso per l'amministratore di
società per azioni è irrinunciabile ed il suo
contenuto economico non può essere modificato
se non con espressa manifestazione di volontà
dell'amministratore. Trib. L'Aquila, 14 aprile
2006, Giur. merito 2006, 11, 2415. (7968/72).
Il compenso degli amministratori (cfr. art. 2389
c.c. nel testo all'epoca vigente) può essere
calcolato sia autonomamente sia in rapporto agli
utili (in tal caso non costituendo un impiego degli
utili di bilancio, ma soltanto un criterio di
commisurazione del compenso) e può essere
fissato fin dal sorgere della società oppure
successivamente dall'assemblea, la quale può
modificare il compenso stabilito dall'atto
costitutivo.
L'aumento
del
compenso
all'amministratore
può non corrispondere
necessariamente ad un aumento delle mansioni
ovvero ad un miglioramento della situazione
aziendale (cfr. App. Milano 29 marzo 1991, Foro
It. 1991, I, 3214), e ciò in quanto la prestazione
dell'amministratore è prestazione di mezzi e non
di risultato, sicché la congruità del compenso, in
relazione alla prestazione dovuta, va valutata "ex
ante" e non "ex post". La quantificazione del
compenso in quanto tale non è censurabile nel
merito, salva peraltro la dimostrazione del vizio di
eccesso di potere della delibera attributiva di
compenso , laddove si riscontri in concreto un
emolumento manifestamente sproporzionato
rispetto alle mansioni di fatto svolte, ovvero una
irragionevole sproporzione del compenso
attribuito,
in
rapporto
all'attività
dell'amministratore
ed
al
perseguimento
dell'oggetto sociale. Il riscontro obiettivo di una
irragionevole sproporzione costituisce di per sè un
vizio invalidante della delibera per eccesso di
potere, indipendentemente dalla dimostrazione del
perseguimento da parte della maggioranza di
finalità extrasociali. Trib. Milano, 13 aprile 2005,
Giustizia a Milano 2005, 62. (7968/72).
3. Il compenso mediante partecipazione agli
utili. - Il compenso degli amministratori con
«partecipazioni agli utili» deve inderogabilmente
calcolarsi «sugli utili netti risultanti dal bilancio,
fatta deduzione della quota di riserva legale»; ne
consegue che tale compenso costituisce una spesa
da cui gli utili vanno depurati prima di essere
distribuiti come dividendi sulle azioni ai soci.
Collegio arbitrale, 8 settembre 2005, Giur. it.
2006, 8-9, 1651. (7968/72).
Il compenso degli amministratori (cfr. art. 2389
c.c. nel testo all'epoca vigente) può essere
calcolato sia autonomamente sia in rapporto agli
utili (in tal caso non costituendo un impiego degli
utili di bilancio, ma soltanto un criterio di
commisurazione del compenso) e può essere
fissato fin dal sorgere della società oppure
successivamente dall'assemblea, la quale può
modificare il compenso stabilito dall'atto
costitutivo
L'aumento
del
compenso
all'amministratore
può non corrispondere
necessariamente ad un aumento delle mansioni
ovvero ad un miglioramento della situazione
aziendale (cfr. App. Milano 29.3.1991, in Foro It.
1991, I, 3214), e ciò in quanto la prestazione
dell'amministratore è prestazione di mezzi e non
di risultato, sicché la congruità del compenso, in
relazione alla prestazione dovuta, va valutata "ex
ante" e non " "ex post"". La quantificazione del
compenso in quanto tale non è censurabile nel
merito, salva peraltro la dimostrazione del vizio di
eccesso di potere della delibera attributiva di
compenso, laddove si riscontri in concreto un
emolumento manifestamente sproporzionato
rispetto alle mansioni di fatto svolte, ovvero una
irragionevole sproporzione del compenso
attribuito,
in
rapporto
all'attività
dell'amministratore
ed
al
perseguimento
dell'oggetto sociale. Il riscontro obiettivo di una
irragionevole sproporzione costituisce di per sè un
vizio invalidante della delibera per eccesso di
potere, indipendentemente dalla dimostrazione del
perseguimento da parte della maggioranza di
finalità extrasociali. Trib. Milano, 13 aprile 2005,
Giustizia a Milano 2005, 62. (7968/72).
È nulla la clausola con la quale si dispone che
l'assemblea
può
destinare
all'organo
amministrativo tutti gli utili netti di bilancio
previa deduzione della quota di riserva legale,
perché contraria agli art. 2389 e 2432 (già 2431)
c.c. che comportano un limite all'attribuzione di
utili a favore degli amministratori, limite non
derogabile dall'autonomia statutaria giacché si
riconnette alla causa del contratto di società. Trib.
Cassino, 20 marzo 1992, Riv. notariato 1992,
1283. (7968/72).
4. La determinazione giudiziale del compenso.
Giurisprudenza consolidata. - La pretesa di un
amministratore di società di capitali al compenso
per l'opera prestata ha natura di diritto soggettivo
perfetto sicchè ove la misura di tale compenso
non sia stata stabilita dall'atto costitutivo o
dall'assemblea, può esserne chiesta al giudice la
determinazione equitativa. Cass. civ., sez. lav., 9
agosto 2005, n. 16764, Giur. it. 2006, 2, 295;
Giustizia a Milano, 2008, 7-8, 53. (7968/72).
Il tribunale può, se richiesto, determinare il
compenso dovuto all'amministratore, dovendosi
concordare
con
quell'orientamento
della
giurisprudenza di legittimità secondo il quale la
pretesa di un amministratore di società di capitali
al compenso per l'opera prestata ha natura di
diritto soggettivo perfetto sicché, ove la misura di
tale compenso non sia stata stabilita nell'atto
costitutivo o dall'assemblea all'atto della nomina
(o successivamente) ben può esserne chiesta al
giudice la determinazione. Non v'è dubbio che, a
tal proposito, soccorrano una pluralità di
parametri. Fra questi, ben più che le dimensioni
del volume d'affari della società, le attività
concretamente e specificamente svolte in
assolvimento dell'incarico, la durata dello stesso,
ed il compenso riconosciuto per analoghe
prestazioni ad altri amministratori. Trib. Milano,
sez. VIII, 30 giugno 2008, n. 8611,Giustizia a
Milano 2008, 7-8, 53. (7968/72).
In tema di determinazione del compenso
dell'amministratore
(cui
è
pacificamente
equiparato il liquidatore), la competenza
assembleare è esclusiva e inderogabile. In
alternativa alla competenza assembleare, pertanto,
vi è solo la possibilità di richiedere la
determinazione del compenso in sede giudiziale.
Trib. Milano, 13 maggio 2004, Giustizia a Milano
2004, 54. (7968/72).
5. La rinuncia al compenso. Giurisprudenza
consolidata. - Deve considerarsi sussistere la
rinuncia dell'amministratore a percepire il
compenso per le prestazioni effettuate allorquando
l'assemblea non ha deliberato di remunerare
l'attività amministrativa dell'amministratore, non
risultano a bilancio (redatto anche dal reclamante)
le voci per i compensi agli amministratori e non
siano mai state rivolte pretese per tutta la durata
dell'incarico e per ampio tempo successivo. Trib.
Milano, sez. VIII, 15 ottobre 2008, n. 12072,
Giustizia a Milano 2008, 10, 71. (7968/72).
Quando l'organo assembleare omette di
determinare il compenso spettante agli
amministratori non si ravvisa alcuna rinuncia
preventiva da parte dell'avente diritto, manifestata
attraverso l'accettazione della nomina nella
consapevolezza della gratuità del mandato, o
alcuna deroga bilaterale al diritto al compenso
nascente dalla legge e non escluso dallo statuto.
Trib. Pescara, 19 maggio 2004. (7968/72).
6.
L'impugnazione
della
delibera
di
determinazione del compenso. - A fronte
dell'attribuzione all'amministratore di compensi
sproporzionati o in misura eccedente i limiti della
discrezionalità imprenditoriale, è possibile
impugnare la delibera dell'assemblea della società
di capitali per abuso o eccesso di potere, sotto il
profilo della violazione del dovere di buona fede
in senso oggettivo o di correttezza, giacché una
tale deliberazione si dimostra intesa al
perseguimento della prevalenza di interessi
personali estranei al rapporto sociale, con ciò
danneggiando gli altri partecipi al rapporto stesso.
In tal caso al giudice è affidata una valutazione
che è diretta non ad accertare, in sostituzione delle
scelte istituzionalmente spettanti all'assemblea dei
soci, la convenienza o l'opportunità della delibera
per l'interesse della società, bensì ad identificare,
nell'ambito di un giudizio di carattere relazionale,
teso a verificare la pertinenza, la proporzionalità e
la congruenza della scelta, un vizio di illegittimità
desumibile dalla irragionevolezza della misura del
compenso stabilita in favore dell'amministratore,
occorrendo a tal fine avere riguardo, in primo
luogo, alla natura e alla ampiezza dei compiti
dell'amministratore ed al compenso corrente nel
mercato per analoghe prestazioni, in relazione a
società di analoghe dimensioni, e, ma in funzione
complementare, alla situazione patrimoniale e
all'andamento economico della società. Cass. civ.,
sez. I, 17 luglio 2007, n. 15942, Giust. civ. Mass.
2007, 7-8. (7968/72).
La delibera di una società per azioni, avente ad
oggetto l'attribuzione ai propri amministratori di
un compenso, la cui entità non trova
giustificazione alla luce dell'andamento degli
affari e delle pregresse determinazioni assunte
sull'argomento dalla stessa società, risultando
precipuamente finalizzata alla spoliazione del soci
di minoranza, è viziata da conflitto di interessi ove
sia assunta con il voto determinante di altra s.p.a.
socia, controllata da un consigliere di
amministrazione della prima. Trib. Milano, 1
febbraio 2005, Giur. it. 2005, 2110. (7968/72).
È annullabile per abuso di potere la deliberazione
assembleare in cui l'assemblea deliberi un
compenso
eccessivo
ed
irragionevole
all'amministratore. Trib. Milano, 19 novembre
2001, Giur. it. 2002, 1438. (7968/72).
2390. Divieto di concorrenza (1). – [I]. Gli amministratori non possono assumere la qualità
di soci illimitatamente responsabili in società concorrenti, né esercitare un'attività concorrente
per conto proprio o di terzi, né essere amministratori o direttori generali in società concorrenti,
salvo autorizzazione dell'assemblea.
[II]. Per l'inosservanza di tale divieto l'amministratore può essere revocato dall'ufficio e
risponde dei danni.
(1) V. nota al Capo V.
Sommario: 1. Introduzione. - 2. La casistica.
1. Introduzione. – La norma è posta a tutela del
rapporto fiduciario che deve intercorrere tra
amministratore-società.
2. La casistica. - La ricorrenza del conflitto
d'interessi va riconosciuta in esito ad una
valutazione sostanziale che esamini il profilo
fattuale del rapporto fra società e socio, in
direzione della tutela da atti arbitrari e dotati di
finalità "oblique", richiedendosi comunque
l'accertamento di un conflitto attuale e concreto, a
differenza dell'art. 2390 c.c., che si arresta invece
alla evidenza della potenzialità pura del conflitto
(nella specie, il decreto è stato emesso nel
procedimento ex art. 2378 in relazione all'art.
2373 c.c.). Trib. Monza, 15 novembre 2002, Giur.
merito 2003, 462. (7968/84).
L'amministratore unico di una società a
responsabilità limitata viola il divieto di non
concorrenza se assume la qualità di socio
illimitatamente responsabile di una società
concorrente, indipendentemente dal concreto
esercizio da parte di quest'ultima di attività
imprenditoriale. Trib. Napoli, 19 gennaio 1999,
Foro napoletano 1999, 54. (7968/84).
Deve considerarsi inammissibile un intervento
esterno ex art. 2409 c.c. nei confronti
dell'amministratore che abbia violato l'obbligo di
non concorrenza. Trib. Catania, 2 febbraio 1991,
Giur. comm. 1992, II, 1029.
L'art. 2390 c.c. che prevede il divieto per
l'amministratore di assumere la qualità di socio
illimitatamente
responsabile
in
società
concorrente o di esercitare comunque attività
concorrente, può essere utilizzato al fine della
configurazione di quel fondato sospetto di grave
irregolarità che giustifica ai sensi dell'art. 2409
c.c., l'adozione di provvedimenti cautelari. Trib.
Napoli, 9 ottobre 1986, Giur. merito 1987, 1197,
Dir. e giur. 1986, 819. (7968/84).
L'effettivo ambito del patto di non concorrenza è
quello significato nel testo della lettera agli atti,
che contiene la diretta enunciazione alla società
attrice degli impegni non concorrenziali assunti
dai convenuti verso l'attrice stessa, mentre
l'attività vietata, oggetto del predetto patto, risulta
consistere sia nella "promozione/sollecitazione"
sia nella "fornitura" del servizio in concorrenza.
Manca, innanzitutto, la prova della sussistenza di
un'attività di promozione - sollecitazione presso i
clienti che l'attrice pretende stornati. Parte attrice,
poi, ai fini del riconoscimento del danno
conseguente al preteso storno di quattro
dipendenti, non ha, altresì, dimostrato nè
descritto, quanto meno, quale fosse il complesso
della propria organizzazione aziendale e come il
predetto preteso storno abbia creato problemi di
disgregazione e disorganizzazione. Inoltre, nella
fattispecie parte attrice non è stata neppure in
grado di evidenziare il benché minimo concreto
indice di un subito danno, tanto da richiedere la
liquidazione "equitativa" in una misura del tutto
apodittica. Infine, manca la prova della violazione
del divieto di concorrenza di cui all'art 2390 c.c.
Difatti, risulta pacifico che il convenuto abbia
collaborato con altra società nel tempo in cui egli
era ancora amministratore della società attrice e
che essa esercitava attività rientranti tra quelle
esercitabili anche dall'attrice medesima. Trib.
Milano, 17 marzo 2005, Giustizia a Milano 2005,
55. (7968/84).
È illecita la concorrenza attuata da una società
composta
da
soggetti
che
siano
contemporaneamente soci ed ex-amministratori di
altra impresa concorrente, quando detta
concorrenza sia stata già programmata dai
medesimi soci all'epoca in cui detenevano ancora
cariche amministrative, sia proseguita sfruttando
una situazione di ambiguità derivante dalla
identificazione abituale dei soci stessi presso
clienti o fornitori con la società di provenienza e
sia stata, infine, attuata con modalità denigratorie
della concorrente. Trib. Monza, 14 marzo 2005,
Giur. comm. 2007, 3, 669. (7968/84).
L'obbligo di non concorrenza imposto dall'art.
2390 c.c. è violato dagli amministratori di una
società bolding che ricoprano analoga carica in
altra società concorrente con società operativa
controllata dalla bolding. Trib. Mantova, 26
novembre 1992, Foro padano 1993, I, 101.
(7968/84).
Non si pone in concorrenza con la società
l'amministratore che diventa amministratore unico
di un'altra società con diverso oggetto sociale.
App. Milano, 10 giugno 1991, Giur. it. 1992, I, 2,
235. (7968/84).
2391. Interessi degli amministratori (1). – [I]. L'amministratore deve dare notizia agli altri
amministratori e al collegio sindacale di ogni interesse che, per conto proprio o di terzi, abbia
in una determinata operazione della società, precisandone la natura, i termini, l'origine e la
portata; se si tratta di amministratore delegato, deve altresì astenersi dal compiere
l'operazione, investendo della stessa l'organo collegiale; se si tratta di amministratore unico,
deve darne notizia anche alla prima assemblea utile (2).
[II]. Nei casi previsti dal precedente comma la deliberazione del consiglio di amministrazione
deve adeguatamente motivare le ragioni e la convenienza per la società dell'operazione.
[III]. Nei casi di inosservanza a quanto disposto nei due precedenti commi del presente
articolo ovvero nel caso di deliberazioni del consiglio o del comitato esecutivo adottate con il
voto determinante dell'amministratore interessato, le deliberazioni medesime, qualora possano
recare danno alla società, possono essere impugnate dagli amministratori e dal collegio
sindacale entro novanta giorni dalla loro data; l'impugnazione non può essere proposta da chi
ha consentito con il proprio voto alla deliberazione se sono stati adempiuti gli obblighi di
informazione previsti dal primo comma. In ogni caso sono salvi i diritti acquistati in buona
fede dai terzi in base ad atti compiuti in esecuzione della deliberazione.
[IV]. L'amministratore risponde dei danni derivati alla società dalla sua azione od omissione.
[V]. L'amministratore risponde altresì dei danni che siano derivati alla società dalla
utilizzazione a vantaggio proprio o di terzi di dati, notizie o opportunità di affari appresi
nell'esercizio del suo incarico.
(1) V. nota al Capo V.
(2) Le parole da « , se si tratta » alla fine del comma sono state aggiunte dall'art. 11 d.lgs. 28 dicembre 2004, n.
310.
Sommario: 1. Introduzione. - 2. Portata della norma. - 3. La differenza con la disciplina in ambito di s.r.l.
Giurisprudenza di merito. - 4. Effetti della norma sulle delibere. - 5. La responsabilità per la mancata astensione
dell'amministratore conflittato. Giurisprudenza di legittimità. - 6. Rapporto con l'art. 1394 c.c.
1. Introduzione. – La norma prevede un obbligo
di disclousure in capo agli amministratori
conflittati, differentemente da quanto previsto per
i soci.
La Riforma ha profondamente mutuato la norma.
2. Portata della norma. - L'amministratore di una
società facente parte di un gruppo deve perseguire
prioritariamente l'interesse di questa, tenendo però
conto di valutazioni afferenti alla conduzione del
gruppo nel suo insieme, sempre che non vengano
ingiustificatamente pregiudicati gli interessi della
società, cioè valutando non soltanto l'effetto
patrimoniale immediatamente negativo di un
determinato atto di gestione, ma altresì gli
eventuali riflessi positivi che ne possono derivare
in conseguenza della partecipazione della singola
società ai vantaggi che quell'atto abbia arrecato al
gruppo di appartenenza. Cass. civ., sez. I, 24
agosto 2004, n. 16707, Giur. comm. 2005, II, 246.
(7968/96).
La violazione del dovere di non agire in conflitto
di interessi con la società amministrata,
indipendentemente dall'esistenza di un danno,
costituisce grave irregolarità denunziabile al
tribunale (nella specie: a) gli amministratori
avevano favorito con il loro comportamento
omissivo una società concorrente; b) avevano
consentito il depauperamento del patrimonio
sociale sovrastimando un conferimento in natura
effettuato in sede di aumento di capitale; c)
avevano proposto all'assemblea una transazione
della società con un ex amministratore a
condizioni notevolmente sfavorevoli per la
società. Trib. Roma, 13 luglio 2000, Giur. it.
2000, 2103. (7968/96).
Non costituisce grave irregolarità sotto il profilo
della violazione del principio generale sancito
dall'art. 2391 comma 1 c.c. norma applicabile
anche all'amministratore unico, la stipulazione da
parte dello stesso di un contratto che miri al
soddisfacimento di un interesse comune alla
totalità dei soci. Trib. Como, 30 ottobre 1998,
Giur. it. 1999, 1890. (7968/96).
3. La differenza con la disciplina in ambito di
s.r.l. Giurisprudenza di merito. - L'art. 2475 ter
c.c. a differenza del vigente art. 2391 c.c. che, per
le società per azioni, si limita a chiedere il
riscontro
di
un
interesse
personale
dell'amministratore (anche non confliggente) e la
prospettiva
meramente
"potenziale"
del
correlativo danno alla società - sanziona le
fattispecie ove siano preliminarmente dimostrate
tre
condizioni:
esse sono
date
dalla
contemporanea esistenza di un conflitto di
interessi "effettivo" in capo all'amministratore; di
un
suo
voto
"determinante"
ai
fini
dell'approvazione della contestata delibera
consiliare; di un danno "reale" cagionato alla
società con tale decisione. Tale norma si occupa
del pregiudizio subito dalla società anziché dai
suoi soci donde la legittimazione attiva prevista
dall'art. 2475 ter comma 2 c.c., risulta
testualmente affidata ai soli amministratori ed ai
sindaci, sempreché quest'ultimi vi siano. In altri
termini, per le società a responsabilità limitata
manca una disposizione esplicita corrispondente a
quella viceversa prevista dall'art. 2388 comma 4
c.c. che, nelle società per azioni autorizza altresì i
soci ad impugnare "in proprio" le delibere dei
c.d.a., ove riconosciute "lesive dei loro diritti",
applicandosi, in tal caso, in quanto compatibili, gli
art. 2377 e 2378 c.c. Trib. Bologna, sez. IV, 20
ottobre 2006, n. 2412, Il merito 2007, 5, 39.
(7968/96).
4. Effetti della norma sulle delibere. - La
delibera del consiglio di amministrazione di
società di capitali, impugnata dai componenti del
consiglio assenti o dissenzienti, per conflitto di
interessi tra la maggioranza degli amministratori e
la società è invalida sempre che sussista, in
concreto, il conflitto di interessi, nonché se
dall'esecuzione della delibera stessa possa
derivare in concreto un danno per la società o per
i soci (nella specie la domanda di annullamento è
stata rigettata in quanto la delibera aveva ad
oggetto la sorte dei diritti edificatori di una
cooperativa edilizia, ed era stata successivamente
modificata dal consiglio medesimo). Trib. Napoli,
26 aprile 2006, Corriere del merito 2006, 8-9,
988. (7968/96).
Ai fini dell'impugnazione della delibera del
consiglio di amministrazione a norma dell'art.
2391 c.c., testo previgente, è necessario non solo
che la stessa sia stata adottata con il voto
determinante di un amministratore in conflitto di
interessi ma sia in grado anche, di per sé, di
arrecare danno alla società. Trib. Roma, 11 marzo
2005, Foro it. 2006, 1, 293. (7968/96).
Le deliberazioni del consiglio di amministrazione
di una s.p.a. sono atti negoziali e pertanto, se sono
viziate nel procedimento o nel contenuto, sono
impugnabili, oltre che nell'ipotesi di conflitto di
interessi, anche per analogia con quanto le norme
dispongono relativamente alle deliberazioni
assembleari. Trib. Milano, 23 dicembre 1996,
Giur. it. 1997, I,2, 684. (7968/96).
È ammissibile l'impugnazione per conflitto di
interessi della delibera con cui un Consiglio
d'amministrazione di una società per azioni abbia
nominato e/o sostituito il presidente e/o
l'amministrazione delegato (e modificato le
attribuzioni e le modalità d'esercizio della delega
ad amministrare): tanto in quanto il carattere c.d.
neutro delle delibere concernenti gli organi
societari non osta - in via di principio - alla
impugnabilità ex art. 2391 c.c. delle stesse,
poiché, anche in assenza della diretta riferibilità a
determinate operazioni, ben può il giudice - ove
ne ricorrano i presupposti - individuare il reale
carattere operativo (e non quello apparentemente
neutro) effettivamente perseguito dalle medesime
delibere per ciò stesso impugnabili (ed, anche,
eventualmente sospendibili). Trib. Roma, 25
gennaio 1995, Riv. dir. comm. 1995, II, 455.
(7968/96).
Non può ipotizzarsi il conflitto di interessi di cui
all'art. 2391 c.c. fra l'amministratore e la società
quando lo stesso amministratore partecipi alla
deliberazione quale rappresentante di un socio,
ove non si dimostri in concreto che senza il suo
voto si sarebbe potuto trovare una soluzione più
conveniente. App. Roma, 7 dicembre 1994, Dir.
fall. 1995, II, 267. (7968/96).
La circostanza che l'organo collegiale di
amministrazione di una società di capitali,
nell'ambito del potere statutario di aderire o meno
al proposito del socio di cedere ad altri le sue
azioni, si esprima favorevolmente, senza però
indicare od esigere l'indicazione del promissario
acquirente, non priva la relativa delibera degli
essenziali requisiti di contenuto, atteso che
quell'omissione si traduce in un apprezzamento
negativo, ai fini del gradimento, dell'influenza
dell'identificazione del nuovo socio: la delineata
evenienza non può, pertanto, comportare
inesistenza o nullità assoluta della delibera, ma si
esaurisce in uno scorretto esercizio del suddetto
potere da parte degli amministratori e la tutela
della società resta affidata all'azione di
responsabilità contro gli amministratori, secondo
le previsioni dell'art. 2392 c.c., tenendo anche
conto che l'impugnazione delle delibere del
consiglio di amministrazione - nei casi e nei tempi
contemplati dall'art. 2391 c.c. - è rimedio
accordato solo agli amministratori assenti o
dissenzienti ed ai sindaci ed estensibile solo in
favore dei soci che subiscono diretta lesione dei
propri diritti. Cass. civ., sez. I, 15 novembre 1993,
n. 11278, Giust. civ. 1994, I, 1583. (7968/96).
Il potere dei sindaci di impugnare le deliberazioni
dell'assemblea e del consiglio di amministrazione,
previsto dagli art. 2377 e 2391 c.c. è espressione
del più ampio dovere di vigilanza riconosciuto al
collegio sindacale dall'art. 2403 c.c. e non cessa
con l'apertura della fase di liquidazione;
conseguentemente, tenuto conto dell'interesse
pubblicistico che circonda le norme sul bilancio,
non sembrano sussistere ragioni per negare al
collegio sindacale il potere di impugnare il
bilancio finale di liquidazione. Trib. Verona, 8
giugno 1993, Società 1994. (7968/96).
5. La responsabilità per la mancata astensione
dell'amministratore
conflittato.
Giurisprudenza di legittimità. - Ai fini della
responsabilità dell'amministratore di una società
ex art. 2391 comma 2 c.c., per non essersi
astenuto dal voto sulla deliberazione con cui gli
vengono affidati lavori in appalto, non basta che
le opere siano state realizzate dall'appaltatore - per
personali attitudini o per il concorso di particolari
circostanze a lui favorevoli - con costi minori di
quelli contabilizzati, ma deve fornirsi la prova del
danno "ingiusto" cagionato alla società, e cioè
dell'eccessività del corrispettivo pattuito rispetto a
quello di norma effettivamente praticato per opere
del medesimo tipo o, comunque, della concreta
possibilità di realizzare tali opere mediante altre
imprese a condizioni più vantaggiose per la
committente. Cass. civ., sez. I, 22 dicembre 1993,
n. 12700, Giust. civ. Mass. 1993, fasc. 12.
(7968/96).
Ai fini della sussistenza della responsabilità degli
amministratori per la loro partecipazione ad una
delibera riguardante un'operazione in conflitto di
interessi con la società, è sufficiente che tale
operazione presenti una utilità per la controparte
nella quale i suddetti amministratori abbiano un
interesse, risultando ininfluente, a tal fine, la
valutazione delle scelte gestionali e delle ragioni
che hanno indotto gli amministratori a compierle,
posto che, in presenza di un conflitto di interessi,
la fonte della responsabilità è costituita dal
compimento dell'azione in sè e per sè considerata,
dalla sua illegittimità conseguente all'essere stata
compiuta in violazione di precisi canoni generali e
specifici di comportamento, e dalla dannosità
della scelta gestionale, senza che, peraltro, possa
rilevare il merito di tale scelta. Cass. civ., sez. I, 4
aprile 1998, n. 3483, Giust. civ. Mass. 1998, 727.
(7968/96).
6. Rapporto con l'art. 1394 c.c. – L'incidenza del
conflitto di interessi ai fini dell'annullabilità del
contratto stipulato dal rappresentante organico,
senza previa delibera del Consiglio, non deve
essere regolata sulla base dell'art. 2391 c.c. che,
riferendosi al conflitto in sede deliberativa,
concerne l'esercizio del potere di gestione in un
momento anteriore rispetto a quello in cui l'atto è
posto in essere, bensì della disciplina generale di
cui all'art. 1394 c.c. Al riguardo, costituendo il
divieto per gli amministratori di agire in conflitto
d'interessi un limite derivante da una norma di
legge, la sua rilevanza esterna non è subordinata
ai presupposti stabiliti dal comma 2 art. 2384 c.c.,
il cui ambito di applicazione deve essere ristretto
alle sole limitazioni del potere di rappresentanza
che hanno la propria fonte nell'autonomia privata.
Cass. civ., sez. I, 26 gennaio 2006, n. 1525, Riv.
notariato 2006, 4, 1077. (7968/96).
La specialità dell'art. 2391 c.c. rispetto alla
normativa dettata dall'art. 1394 c.c. non riguarda
l'intera disciplina dell'esercizio dell'azione di
annullamento del contratto concluso in conflitto di
interessi, limitandosi il comma 3 dell'art. 2391 c.c.
ad aggiungere (e non sostituire) all'ordinario
termine quinquennale di prescrizione un termine
preliminare di decadenza di tre mesi per
l'impugnazione della delibera viziata da parte
degli amministratori assenti o dissenzienti, ovvero
da parte dei sindaci. Infatti, la norma sul conflitto
di interessi nell'amministrazione pluripersonale
non è articolata in funzione del regime giuridico
del contratto concluso in tali condizioni, ma è
incentrata sul profilo della responsabilità degli
amministratori che hanno agito in conflitto di
interessi, di tal che per la disciplina del negozio
concluso in conflitto di interessi devono
richiamarsi i principi generali di cui all'art. 1394
c.c. (conflitto di interessi e mancanza di buona
fede dei terzi contraenti). Trib. Foggia, 14
gennaio 2003, Giur. merito 2003, 1736.
(7968/96).
La
disciplina
dell'atto
compiuto
dall'amministratore unico in nome della società ed
in conflitto d'interessi con la stessa si rinviene
nell'art. 1394 c.c., e non nel successivo art. 2391,
che presuppone, per la sua applicabilità,
l'esistenza di una delibera consiliare. Cass. civ.,
sez. I., 10 aprile 2000, n. 4505, Giust. civ. Mass.
2000, 764. (7968/96).
La norma dell'art. 1394 c.c. rappresenta un
principio generale applicabile anche quando il
conflitto sorga fra società ed amministratore
unico, mentre non trova applicazione in presenza
di una deliberazione del consiglio di
amministrazione, ricadendo tale fattispecie nella
previsione dell'art. 2391 c.c. Trib. Catania, 9
settembre 1999, Riv. dir. comm. 2001, II, 37.
(7968/96).
In tema di conflitto di interessi per amministratori
e società di capitali (o cooperative), le norme di
cui agli art. 1394 e 2391 c.c. si pongono in una
relazione di reciproca esclusione, ciascuna avendo
un proprio ambito di applicazione. L'art. 2391 c.c.
copre ogni ipotesi in cui sussista un consiglio di
amministrazione
della
società,
mirando
all'annullamento della delibera e del contratto
concluso in esecuzione di essa, laddove l'art. 1394
c.c. può trovare applicazione nei rapporti fra
società di capitali ed amministratori nei casi in cui
non vi sia scissione tra potere rappresentativo
della volontà della società e potere deliberativo
(vale a dire nei casi di amministratore unico o di
amministratore delegato, allorché il negozio da
quest'ultimo posto in essere rientri nell'ambito dei
limiti di competenza previsti dalla delega). Trib.
Napoli, 1 luglio 1996, Società 1997, 291.
(7968/96).
L'art. 1394 c.c., relativo al conflitto di interessi fra
rappresentante e rappresentato, è applicabile in
caso di conflitto d'interessi tra amministratore e
società, per lo meno quando non sia applicabile
l'art. 2391, il che appunto si verifica quando si
debba decidere in ordine ad una società di
persone. Cass. civ., sez. I, 24 giugno 1995, n.
7166, Giur. it. 1996, I, 1, 788. (7968/96).
Nell'ipotesi di amministrazione collegiale, la
specialità dell'art. 2391 c.c., rispetto alla disciplina
generale delineata dall'art. 1394 c.c., non riguarda
l'intera disciplina dell'esercizio dell'azione di
annullamento del contratto concluso in conflitto di
interessi con la società rappresentata, limitandosi
il comma 3 dell'art. 2391 ad aggiungere (e non
sostituire) all'ordinario termine quinquennale di
prescrizione un termine preliminare di decadenza
di tre mesi dalla delibera. Trib. Roma, 25 febbraio
1995, Società 1995, 1339. (7968/96).
2391 bis. Operazioni con parti correlate (1). – [I]. Gli organi di amministrazione delle
società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio adottano, secondo principi generali
indicati dalla CONSOB, regole che assicurano la trasparenza e la correttezza sostanziale e
procedurale delle operazioni con parti correlate e li rendono noti nella relazione sulla gestione;
a tali fini possono farsi assistere da esperti indipendenti, in ragione della natura, del valore o
delle caratteristiche dell'operazione.
[II]. I principi di cui al primo comma si applicano alle operazioni realizzate direttamente o per
il tramite di società controllate e disciplinano le operazioni stesse in termini di competenza
decisionale, di motivazione e di documentazione. L'organo di controllo vigila sull'osservanza
delle regole adottate ai sensi del primo comma e ne riferisce nella relazione all'assemblea.
(1) Articolo inserito dall'art. 12 d.lgs. 28 dicembre 2004, n. 310
1. L'indirizzo della Consob. La Consob ha
individuato, inter alia, i criteri di individuzione
delle operazioni rilevanti e il ruolo degli
amministratori indipendenti. Consob, 9 aprile
2008.
2392. Responsabilità verso la società (1). – [I]. Gli amministratori devono adempiere i
doveri ad essi imposti dalla legge e dallo statuto con la diligenza richiesta dalla natura
dell'incarico e dalle loro specifiche competenze. Essi sono solidalmente responsabili verso la
società dei danni derivanti dall'inosservanza di tali doveri, a meno che si tratti di attribuzioni
proprie del comitato esecutivo o di funzioni in concreto attribuite ad uno o più amministratori.
[II]. In ogni caso gli amministratori, fermo quanto disposto dal comma terzo dell'articolo
2381, sono solidalmente responsabili se, essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli, non
hanno fatto quanto potevano per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le
conseguenze dannose.
[III]. La responsabilità per gli atti o le omissioni degli amministratori non si estende a quello
tra essi che, essendo immune da colpa, abbia fatto annotare senza ritardo il suo dissenso nel
libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio, dandone immediata notizia per iscritto
al presidente del collegio sindacale.
(1) V. nota al Capo V.
Sommario: 1. Introduzione. - 2. Sulla natura del rapporto amministratori – società. Giurisprudenza consolidata.
- 3. Criteri di identificazione della responsabilità e del danno risarcibile. - 3.1. La verifica del grado di diligenza
in genarale. Giurisprudenza consolidata. – 3.2. la natura dell'incarico. – 3.3. Le specifiche competenze. – 3.4. La
responsabilità foriera (o meno) di danni nella casistica giurisprudenziale. Giurisprudenza consolidata. – 4.
L'onere della prova della responsabilità. Giurisprudenza consolidata. - 5. Le esenzioni di responsabilità di cui al
comma 3. Giurisprudenza consolidata.- 6. Il carattere solidale della responsabilità. Giurisprudenza consolidata.
1. Introduzione. – La Riforma, con il nuovo testo
dell'art. 2392 c.c., ha eliminato ogni obsoleto
rinvio alla disciplina del mandato, chiarendo che
gli amministratori di una s.p.a. sono tenuti, sotto
pena di responsabilità civile, ad agire secondo la
diligenza richiesta dalla natura dell'incarico e
dalle loro specifiche competenze.
Le modifiche della Riforma traggono spunto
dall'orientamento giurisprudenziale per cui si era
criticato il riferimento alla diligenza del buon
padre di famiglia prevista per il mandatario, in
particolare per la posizione non meramente
occasionale, come può essere quella di un
mandatario, seppure generale, bensì di
inserimento stabile ed istituzionale all'interno di
un'organizzazione imprenditoriale, il tutto con un
forte carattere di professionalità e di perizia
tecnica specifica (come accade normalmente nel
caso dei manager delle grandi società di capitali.
Cass. civ., sez. I, 4 aprile 1998, n. 3483, Giur. it.
1999, 324; Trib. Milano 2 marzo 1995, Società
1996, 57; Trib. Milano, 14 settembre 1992,
Società 1993, 511. (7968/12).
2. Sulla natura del rapporto amministratori –
società. Giurisprudenza consolidata. – La
giurisprudenza aderisce alla concezione della
responsabilità contrattuale degli amministratori,
ritenendo che essa possa discendere anche dalla
violazione di obblighi nascenti da situazioni (non
già di contratto, bensì) di semplice contatto
sociale, ogni qual volta l’ordinamento imponga ad
un soggetto di tenere, in tali situazioni, un
determinato comportamento. Cass. civ., sez. III,
19 aprile 2006, n. 9085, Giust. civ. Mass. 2006, 4;
Cass. civ., sez. III, 24 maggio 2006, n. 12362,
Giust. civ. Mass. 2006, 5; Cass. civ., sez. III, 28
maggio 2004, n. 10297, Giust. civ. Mass. 2004, 5,
Foro it. 2005, I, 2479, Giust. civ. 2005, 6, I, 1601;
Cass. civ., sez. III, 28 maggio 2004, n. 10297,
Giust. civ. Mass. 2004, 5. (7968/12).
3. Criteri di identificazione della responsabilità
e del danno risarcibile. – Ai fini della
valutazione
della
responsabilità
dell'amministratore bisogna commisurare il
comportamento dello stesso ai parametri stabiliti
dalla norma in commento.
Altra cosa è, invece, la valutazione di produttività
di danno di un determinato comportamento
colposo dell'amministratore. Come spesso accade,
infatti, pur in presenza di un comportamento non
in linea con i parametri di diligenzi richiesti
dall'incarico,
l'amministratore
non
sarà
condannabile per danni arrecati alla società, ai
creditori, ai soci o ai terzi, mancando, appunto, il
danno risarcibile.
3.1. La verifica del grado di diligenza in
generale. Giurisprudenza consolidata. - Che la
diligenza costituisca propriamente l’oggetto
dell’obbligazione gravante sugli amministratori,
piuttosto che il metro per valutare il corretto
adempimento del loro obbligo gestorio, è stato in
verità messo in dubbio, giacché il primo comma
dell’art. 2392 cod. civ. sembra riferirsi alla
diligenza come alla modalità con cui gli
amministratori devono adempiere i loro doveri e
non al contenuto di questi.
La giurisprudenza ha però osservato che il tema
della diligenza resti centrale, proprio perchè è
evidente che l’obbligo di amministrare in via
continuativa una società di capitali, ossia
un’impresa creata a fini di lucro, difficilmente si
presta ad esser totalmente inadempiuto, ma
piuttosto è suscettibile di dar luogo a difformi
valutazioni quanto al modo del suo adempimento:
cioè, appunto, al grado di diligenza con cui
l’amministratore vi ha atteso Cass. civ., sez. I, 24
agosto 2004, n. 16707, Giur. comm. 2005, II, 246.
(7968/12).
La verifica del grado di diligenza con cui
l’amministratore ha adempiuto i propri compiti
non può, né deve, sconfinare in un sindacato di
merito sull’opportunità delle scelte gestionali (cd.
Business judgement rule), che al giudice non è
consentito svolgere. Il principio è assolutamente
consolidato come, tra le tantissime, statuito da:
Cass. Civ. 27 luglio 1978, n. 3768; Cass. Civ. 6
marzo 1970, n. 558. (7968/12).
Né, in alcun modo, potrebbe essere censurato
l'operato dell’amministratore, per il semplice
motivo che la società da egli gestita avrebbe
registrato delle perdite, ma sono la mancata
adozione di quelle cautele o il mancato rispetto di
quei canoni che divengono perciò apprezzabili in
termini di inesatto adempimento dell’obbligazione
gravante sul gestore. Cass. civ., sez. I, 24 agosto
2004, n. 16707, Giur. comm. 2005, II, 246; Cass.
civ., sez. I, 28 aprile 1997, n. 3652, Società, 1997,
1389; Trib. Milano, 14 aprile 2004, Giur. it. 2004,
1897; Trib. Milano, 10 febbraio 2000, Giur.
comm. 2001, II, 326; Trib. Milano, 20 marzo
2003, Società 2003, 1268. (7968/12).
In altre parole, la pretesa violazione del dovere di
amministrare con diligenza non può essere
semplicemente desunta dai risultati negativi di
gestione, giacché per quanto penetrante possa
essere il controllo giurisdizionale è indubbio che
trovi
un
limite
nella
discrezionalità
imprenditoriale. È solo l'eventuale omissione, da
parte dell'amministratore, di quelle cautele, di
quelle verifiche o di quelle informazioni
preventive normalmente richieste per una scelta di
quel genere che può configurare la violazione
dell'obbligo di adempiere con diligenza il
mandato di amministrazione e può quindi
generare
una
responsabilità
contrattuale
dell'amministratore verso la società. Trib. Milano,
2 maggio 2007, n. 5181, Corriere del merito 2007,
10, 1116. (7968/12).
3.2. La natura dell'incarico. – Sulla natura
dell'incarico, pur non rinvenendosi specifici
precedenti giurisprudenziali, sembra sostenibile il
rifierimento alla natura dell'incarico ex art. 1176
c.c.
3.3. Le specifiche competenze. – Il Legislatore
della Riforma ha inserito anche questo ulteriore
elemento di valutazione del comportamento degli
amministratori, che attiene al gradio di
professionalità dell'amministratore.
3.4. La responsabilità foriera (o meno) di danni
nella
casistica
giurisprudenziale.
Giurisprudenza consolidata. – L'acclarato
inadempimento dell'amministratore può anche
non essere foriero di danni per la società, ragion
per cui in un eventuale giudizio di responsabilità
l'Organo Giudicante potrebbe trovarsi in una
situazione in cui, preso atto dell'inadempimento,
non può statuire la relativa sentenza di condanna.
L'eventuale esistenza di una denunciata violazione
di legge può costituire presupposto idoneo
all'accertamento di una responsabilità risarcitoria
degli amministratori solo se si accompagna alla
prova, indispensabile in ogni azione di
risarcimento del danno, che da tali e siffatte
violazioni siano direttamente derivati pregiudizi al
patrimonio sociale Cass. Civ,. 22 ottobre 1998, n.
10488, Giust. civ. Mass. 1998, 2151. (7968/12).
Illuminante sull'argomento è stata la sentenza con
la quale la Corte d'Appello di Genova, pur
esordendo affermando che "non può dubitarsi che
l'occultamento di una massa così ingente di beni
(omissis) sia di per sé fonte specifica ed autonoma
di danno per la società" scende poi ad un'analisi in
concreto dell'utilizzo che l'amministratore aveva
fatto di tali "fondi neri", ha affermato la
responsabilità perché i fondi risultarono essere
stati impiegati a favore di terzi diversi dalla
società amministrata e, quindi, risultarono
impiegati in conflitto di interessi (si trattava di
compensi ad amministratori e contributi a fondi di
solidarietà; di pagamenti a sé stesso; di esborsi a
favore di società controllate; di pagamenti senza
indicazione di causale; di integrazioni di stipendi,
gratifiche e liquidazioni di dipendenti; del
trasferimento ad altre società del residuo di tali
"fondi neri"). Anche in questo caso, dunque,
sebbene si trattasse di un giudizio per la condanna
generica ai danni, i giudici non hanno fatto
derivare la responsabilità degli amministratori dal
semplice accertamento delle irregolarità contabili
(che, malgrado l'esordio della sentenza non
costituiscono un depauperamento del patrimonio
sociale), ma dall'utilizzo dei "fondi neri" posto in
essere in conflitto di interessi. App. Genova, 5
luglio 1986, Giur. comm. 1988, II, 730.
(7968/12).
La circostanza, dunque, che la documentazione
conservata agli atti di una società non sia
conforme alle prescrizioni di legge può costituire
motivo di responsabilità per gli amministratori a
carico dei quali sono posti gli obblighi legali di
tenuta di dette scritture, solo e soltanto laddove ne
sia derivato un danno per la società medesima, per
i creditori sociali o per i terzi. Trib. Ivrea, 10
maggio 2006, Giur. it. 2006, 12, 2313. (7968/12).
Va da sé che le sopravvalutazioni possono
danneggiare la società, i soci o terzi indotti da
bilanci falsamente ottimistici a sottoscrivere o ad
acquistare azioni (o diritti di opzione) a prezzo
insostenibile.
Classico esempio di danno alla società per una
siffatta violazione, è l'esposizione della società a
tassazione per utili mai conseguiti. In tal caso agli
amministratori potrebbe essere imputabile la
responsabilità delle sanzioni amministrative
irrogate per l’omesso versamento degli oneri
contributivi ed assistenziali, ma per fare ciò
occorre dimostrare le ragioni per le quali la
società non è stata in grado di versare detti
contributi ed ha subito le conseguenti sanzioni.
Trib. Milano 12 ottobre 2005, Giur. it. 2006, 303.
(7968/12).
In costanza di una perdita che riduce il capitale al
di sotto del minimo legale il danno non è
costituito
dalla
mancata
convocazione
dell’assemblea in sé considerata, ma dalle ulteriori
perdite in cui la società sia incorsa per aver
proseguito la gestione pur dopo che gli
amministratori sapevano, o dovevano sapere, che
si era verificata una perdita di oltre un terzo del
capitale sociale. Invero, anche se gli
amministratori
avessero
tempestivamente
convocato l’assemblea, non è detto che
quest’ultima avrebbe preso dei provvedimenti che
avrebbero evitato perdite ulteriori. Trib. Milano, 3
marzo 1999, Società 1988, 618. (7968/12).
Tale argomento si ricollega al divieto di nuove
operazioni dell'art. 2449 c.c. ante Riforma,
mutuato nella nuova disciplina dell'art. 2485 c.c.
In tal modo, il legislatore ha esplicato un concetto
già enunciato dalla giurisprudenza, che aveva
ripetutamente chiarito che non integravano nuove
operazioni vietate gli atti di impresa strumentali
alla conservazione del patrimonio ed alle
necessità inerenti alla liquidazione delle attività
sociali. Cass. civ., 12 giugno 1997, n. 5275, Foro
it. 1997, I, 2907; Cass. civ., 19 settembre 1995, n.
9887, Società 1996, I, 2873. (7968/12).
4. L'onere della prova della responsabilità.
Giurisprudenza consolidata. - Costituisce
orientamento risalente e costante della
giurisprudenza quello per cui nei casi in cui si
invochi la responsabilità degli amministratori per
violazione di uno specifico obbligo, l'attore dovrà
provare solo l'inadempimento dell'organo gestorio
e che da tale inadempimento sia derivato un
danno, senza che sia necessario accertare o
provare la colpa degli amministratori (Trib.
Milano, 22 dicembre 1983; Trib. Milano, 16
marzo 1972 (7968/12)) spettando invece a costoro
l'onere di provare i fatti che valgono ad escludere
o ad attenuare la loro responsabilità. (Cass. civ., 9
luglio 1979, n. 3925; Cass. civ., 22 novembre
1971, n. 3371; Trib. Pisa, 9 aprile 1980
(7968/12)).
5. Le esenzioni di responsabilità di cui al
comma 3. Giurisprudenza consolidata. – Il
terzo comma dell'articolo in commento continua a
prevedere che, per sottrarsi a responsabilità
derivanti
da
deliberazioni
consiliari,
l’amministratore deve fare annotare il suo
dissenso nel libro delle adunanze e deliberazioni
del consiglio d’amministrazione e darne avviso al
presidente del collegio sindacale.
Non è quindi sufficiente che egli si astenga dal
voto inerente alla deliberazione pregiudizievole,
ma occorre che, al momento della deliberazione
stessa, esprima il proprio dissenso, lo faccia
annotare a verbale e lo comunichi per iscritto al
presidente del collegio sindacale; ed occorre
inoltre che, nella fase di attuazione, egli vigili ed
intervenga per eliminare o, quantomeno attenuare,
le
conseguenze
dannose
dell’operazione
precedentemente deliberata App. Milano, 6
febbraio 1998, Giur. it. 1998, 2350. (7968/12).
Se però, per giustificati motivi, l’amministratore
non partecipa alla riunione del consiglio in cui la
deliberazione pregiudizievole viene presa e ne ha
notizia quando è troppo tardi per evitare il danno,
per restare immune da responsabilità non ha
bisogno di seguire il procedimento descritto dalla
norma citata Cass. civ., 21 ottobre 1961, n. 2266,
Foro it. 1961, I, 1830. (7968/12).
6. Il carattere solidale della responsabilità.
Giurisprudenza consolidata. - E' ben noto come
la formulazione del secondo comma dell’art. 2392
cod. civ., nella sua versione originaria, prevedesse
- in ogni caso, e quindi indipendentemente
dall’eventuale attribuzione di funzioni specifiche la corresponsabilità solidale degli amministratori
che non avessero vigilato sul generale andamento
della società, o che, essendo a conoscenza di atti
pregiudizievoli compiuti da altri, non si fossero
adoperati per impedire il compimento di tali atti o
almeno per eliminarne o attenuarne le
conseguenze dannose.
Quest’ultima ipotesi di responsabilità, derivante
dal non avere consapevolmente impedito altrui
comportamenti illegittimi o nel non averne
disinnescato gli effetti, non ha mai dato origine a
gravi dubbi interpretativi, ed è rimasta
sostanzialmente immutata anche nel nuovo testo
del citato art. 2392.
Nella giurisprudenza anteriore alla Riforma è,
dunque, ricorrente l'espressione per cui secondo
cui la responsabilità di tutti gli amministratori per
omessa vigilanza sul generale andamento della
società non restava esclusa dal fatto che l’attività
gestoria illegittima ricadesse nella sfera di
attribuzione di specifiche competenze del
comitato esecutivo o di uno o più amministratori,
a meno che gli altri componenti del consiglio non
avessero fornito la prova che, pur essendosi
diligentemente attivati a tal fine, la loro vigilanza
era stata vanificata dal comportamento ostativo
degli amministratori esecutivi. Cass. civ., sez. I,
15 febbraio 2005, n. 3032, Giust. civ. 2006, 4-5,
967; Cass. civ., sez. lav., 24 giugno 2004, n.
11751, Giust. civ. Mass. 2004, 6; Cass. civ., sez. I,
29 agosto 2003, n. 12696, Giust. civ. Mass. 2003,
7-8.
(7968/12).
2393. Azione sociale di responsabilità (1). – [I]. L'azione di responsabilità contro gli
amministratori è promossa in seguito a deliberazione dell'assemblea, anche se la società è in
liquidazione.
[II]. La deliberazione concernente la responsabilità degli amministratori può essere presa in
occasione della discussione del bilancio, anche se non è indicata nell'elenco delle materie (2)
da trattare, quando si tratta di fatti di competenza dell'esercizio cui si riferisce il bilancio.
[III]. L'azione di responsabilità può anche essere promossa a seguito di deliberazione del
collegio sindacale, assunta con la maggioranza dei due terzi dei suoi componenti (3).
[IV]. L'azione può essere esercitata entro cinque anni dalla cessazione dell'amministratore
dalla carica.
[V]. La deliberazione dell'azione di responsabilità importa la revoca dall'ufficio degli
amministratori contro cui è proposta, purché sia presa con il voto favorevole di almeno un
quinto del capitale sociale. In questo caso, l'assemblea provvede alla sostituzione degli
amministratori (4).
[VI]. La società può rinunziare all'esercizio dell'azione di responsabilità e può transigere,
purché la rinunzia e la transazione siano approvate con espressa deliberazione dell'assemblea,
e purché non vi sia il voto contrario di una minoranza di soci che rappresenti almeno il quinto
del capitale sociale o, nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, almeno
un ventesimo del capitale sociale, ovvero la misura prevista nello statuto per l'esercizio
dell'azione sociale di responsabilità ai sensi dei commi primo e secondo dell'articolo 2393-bis.
(1) V. nota al Capo V.
(2) V. Avviso di rettifica in G.U. 4 luglio 2003, n. 153.
(3) Comma inserito dall'art. 31 lett. a) n. 1l. 28 dicembre 2005, n. 262.
(4) Comma così sostituito dall'art. 31 lett. a) n. 2 l. n. 262, cit. Il testo del comma era il seguente: « La
deliberazione dell'azione di responsabilità importa la revoca dall'ufficio degli amministratori contro cui è
proposta, purché sia presa col voto favorevole di almeno un quinto del capitale sociale. In questo caso
l'assemblea stessa provvede alla loro sostituzione ».
Sommario: 1. Introduzione. - 2. La deliberazione autorizzativa. Giurisprudenza consolidata. - 3. Impugnazione
della deliberazione. - 4. La legittimazione passiva. Giurisprudenza di legittimità. - 5. La rinuncia e la transazione.
- 6. Il termine prescrizionale dell'azione. –
1. Introduzione. - L'azione sociale di
responsabilità, ai sensi dell'art. 2393 cod. civ., è
un'azione di natura contrattuale, la cui
legittimazione deriva direttamente dalla volontà
assembleare espressa nelle forme ordinarie.
2.
La
deliberazione
autorizzativa.
Giurisprudenza consolidata. – La deliberazione
è stata ritenuta come condizione per
l'accoglimento della domanda, con la conseguenza
che tale delibera può anche venire in essere
successivamente alla proposizione della domanda
giudiziale, purché prima della rimessione in
decisione della causa. Cass. civ., sez. I, 11
novembre 1996 n. 9849, Società 1997, 641, Giust.
civ. Mass. 1996, 1502. (7968/156).
La deliberazione ai sensi dell'art. 2393 è stata
ritenuta indispensabile per integrare la
legittimazione ad agire del rappresentante legale
della società, il quale si limita a rendersi esecutore
di una decisione manifestata dalla stessa società in
conformità ai suoi procedimenti deliberativi
interni. Cass. civ., 28 luglio 2000, n. 9904, Giur.
comm. 2001, II, 221. (7968/156).
Tale impostazione è parsa corretta sulla base della
circostanza che, quand’anche in concreto la
decisione dei soci faccia menzione di precise
circostanze, queste non vincolano in alcun modo
lo spettro del successivo giudizio, il cui oggetto
rimane liberamente determinabile nell’atto
introduttivo. App. Milano, 12 luglio 1968, Foro
Pad. 1970, I, 498; Trib. Milano, 20 ottobre 1969,
Foro It. 1970, I, 1825; Trib. Milano, 9 novembre
1987, Giur. Comm. 1988, II, 96. (7968/156).
3. Impugnazione della deliberazione. – La
deliberazione e` suscettibile di essere sindacata sia
sotto il profilo della regolarità del procedimento
sia per quanto concerne il contenuto, con
particolare riguardo vuoi all’ipotetica situazione
di conflitto d’interessi in cui versi il socio che
abbia espresso un voto determinante, vuoi
all’eventuale
abuso
della
regola
della
maggioranza. Trib. Milano, 1 febbraio 1999, Giur.
It. 1999, 1981. (7968/156).
L'impugnazione della deliberazione può dipendere
anche da un asserito conflitto d’interessi (o da un
preteso eccesso di potere) da cui sia
eventualmente inficiato il voto determinante
espresso dai soci favorevoli all’esperimento
dell’azione di responsabilità. Cass. civ. ,sez. I, 12
dicembre 2005, n. 27387, Foro it. 2006, I, 3455.
(7968/156).
Perchè si possa pervenire all’annullamento
occorre che risulti accertato, attraverso obiettive
circostanze di fatto, che l’azione di responsabilità,
prevista in astratto a favore ed a tutela della
società, sia stata in concreto deliberata
nell’interesse particolare dei soci che intendono
promuoverla. Cass. civ., 19 agosto 1983, n. 5410,
Giur. comm. 1985, II, 336. (7968/156).
E' stato invece negato che determini l’invalidità
della deliberazione la circostanza che essa sia
stata adottata con il consenso dei medesimi
soggetti che, in precedenza, avevano rilevato la
quota dell’amministratore stesso, in quanto la loro
partecipazione alla formazione di tali atti si
realizza, nelle due ipotesi, in ruoli diversi ed a
tutela di interessi del tutto distinti (Cass.civ., 2
maggio 1997, n. 3805, Giur. it. 1998, 727
(7968/156)), o che possa essere invocata come
ragione di nullità di detta deliberazione
assembleare la circostanza che, attraverso di essa,
un socio persegua lo scopo di liberarsi di una
propria obbligazione verso l’amministratore,
perchè tale situazione non è riconducibile alle
ipotesi di nullita` contemplate dall’art. 2379 c.c.
(Cass. civ., 12 novembre 1987, n. 8337, Foro it.
1988, I, 3378, Società 1988, 32 (7968/156)).
È stata ritenuta legittima la deliberazione con la
quale l'assemblea dei soci decide di promuovere
l'azione
di
responsabilità
contro
gli
amministratori, in occasione della discussione del
bilancio di esercizio ed indipendentemente dalla
sua approvazione e dalla sua validità, anche se il
relativo argomento non sia stato indicato
nell'avviso di convocazione e la responsabilità si
riferisca a fatti non rappresentati nel predetto
documento contabile. Trib. Milano, 3 settembre
2003, Giur. it. 2003, 2325. (7968/156).
4. La legittimazione passiva. Giurisprudenza di
legittimità. - La legittimazione
passiva, con riguardo all’azione di responsabilità,
compete a ciascun amministratore, giacchè detta
azione ben può essere esercitata anche contro uno
solo di piu` amministratori solidalmente
responsabili, senza che gli altri assumano la veste
di litisconsorzi necessari. Trib. Milano, 11 maggio
1992, Giur. it. 1992, I, 2, 641. (7968/156).
L'azione
promossa
nei
confronti
degli
amministratori di una società, per far valere la
responsabilità dei medesimi a norma dell'art. 2392
c.c., introduce cause scindibili ed indipendenti, in
quanto investe obbligazioni solidali, cioè rapporti
autonomi, pur nella identità della prestazione
gravante su ciascun debitore. Pertanto, la mancata
impugnazione della sentenza che provvede su
detta domanda, nei confronti di alcuno dei predetti
condebitori, non comporta la necessità di
integrazione del contraddittorio ai sensi dell'art.
331 comma 1 c.p.c. Cass. civ., sez. I, 26 marzo
1981, n. 1760, Foro it. 1981, I, 1931. (7968/156).
E' stato ritenuto che, in caso di azione proposta
congiuntamente contro amministratori e sindaci,
quando la condotta addebitata a ciascuno sia
definibile come illecita solo in stretto
collegamento con la valutazione della condotta
degli altri, tra le diverse cause derivanti dai
differenti titoli dedotti in giudizio sussista una
relazione d’inscindibilità. Cass. civ., sez. I, 7
maggio 1993, n. 5263, Foro it. 1994, I, 130; Cass.
civ., sez. I, 22 giugno 1990, n. 6278, Giust. civ.
1990, I, 2265. (7968/156).
5. La rinuncia e la transazione. – La possibilita`
di rinuncia all’azione da parte della societa`,
anche
in
caso
di
azione
esercitata
dall’amministratore giudiziario, era già stata
riconosciuta, prima della Riforma. Trib. Milano,
11 giugno 1998, Giur. it. 1998, 2344. (7968/156).
In tema di società, l'amministratore convenuto in
giudizio, unitamente ad altri soggetti, con l'azione
sociale di responsabilità, non può giovarsi, ai
sensi dell'art. 1304 c.c., della transazione
intervenuta tra la società ed i coobbligati solidali,
qualora la transazione non sia stata autorizzata
dall'assemblea con deliberazione adottata senza il
voto contrario della minoranza qualificata prevista
dall'art. 2393 c.c.: tale delibera costituisce infatti
una forma tipica ed inderogabile di espressione
della volontà sociale, il cui difetto è causa di
nullità assoluta ed insanabile della transazione
stipulata con l'amministratore, trattandosi di un
requisito prescritto a garanzia dei soci di
minoranza, la cui tutela risulterebbe pertanto
svuotata di ogni contenuto qualora, essendo
convenuti anche soggetti che non rivestono la
predetta qualità, l'atto in questione potesse
perfezionarsi senza l'espressa autorizzazione
richiesta da tale disposizione. Cass. civ., sez. I, 24
aprile 2007, n. 9901, Giur. it. 2007, 2757.
(7968/156).
6. Il termine prescrizionale dell'azione. –
Nell'esperienza ante Riforma non è mai stata posta
in discussione la circostanza che l’azione sociale
di responsabilità rientrasse tra quelle che derivano
dai rapporti sociali, alle quali si riferisce il primo
comma dell’art. 2949 c.c., e che, di conseguenza,
fosse ad essa applicabile il termine di prescrizione
quinquennale in detta norma indicato. Cass. civ.,
10 aprile 1965, n. 634, Riv. dir. comm. 1967, II,
241. (7968/156).
Come pure non è stata posta in discussione
l’applicabilità della causa di sospensione
enunciata dal precedente art. 2941, n. 7, per tutto
il tempo in cui perduri il rapporto gestorio tra la
società e l’amministratore. Cass. civ., sez. I, 12
giugno 2007, n. 13765, Giust. civ. Mass. 2007,
10; Cass. civ., 5 dicembre 1969, n. 3887, Foro it.
1970, I, 1171. (7968/156).
Le disposizione in esame non sembrano essere
state intaccate dalla Riforma, la quale ha però
introdotto un termine di cinque anni, a decorrere
dalla cessazione dell’amministratore dalla carica,
per l’esercizio dell’azione sociale di responsabilità
nei confronti dell’amministratore medesimo.
Il condizionale è d'obbligo visto che alcuni autori
hanno
individuato
tale
termine
come
decadenziale.
2393 bis. Azione sociale di responsabilità esercitata dai soci (1). – [I]. L'azione sociale di
responsabilità può essere esercitata anche dai soci che rappresentino almeno un quinto del
capitale sociale o la diversa misura prevista nello statuto, comunque non superiore al terzo.
[II]. Nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, l'azione di cui al comma
precedente può essere esercitata dai soci che rappresentino un quarantesimo (2) del capitale
sociale o la minore misura prevista nello statuto.
[III]. La società deve essere chiamata in giudizio e l'atto di citazione è ad essa notificato anche
in persona del presidente del collegio sindacale.
[IV]. I soci che intendono promuovere l'azione nominano, a maggioranza del capitale
posseduto, uno o più rappresentanti comuni per l'esercizio dell'azione e per il compimento
degli atti conseguenti.
[V]. In caso di accoglimento della domanda, la società rimborsa agli attori le spese del
giudizio e quelle sopportate nell'accertamento dei fatti che il giudice non abbia posto a carico
dei soccombenti o che non sia possibile recuperare a seguito della loro escussione.
[VI]. I soci che hanno agito possono rinunciare all'azione o transigerla; ogni corrispettivo per
la rinuncia o transazione deve andare a vantaggio della società.
[VII]. Si applica all'azione prevista dal presente articolo l'ultimo comma dell'articolo
precedente.
(1) V. nota al Capo V.
(2) Le parole « un quarantesimo » sono state sostituite alle parole « un ventesimo » dall'art. 31 lett. b)l. 28
dicembre 2005, n. 262.
Sommario: 1. Introduzione. - 2. La casistica della nuova azione.
1. Introduzione. - L’azione della minoranza è
stata introdotta dalla Riforma sulla base
dell'impostazione dell'art. 129 T.u.f.
L'azione in oggetto, disciplinata dall'art. 2393 bis
cod. civ., rappresenta il mezzo di tutela della
minoranze azionarie.
Il nuovo istituto rappresenta un caso di
legittimazione
straordinaria
all'esercizio
dell'azione ai sensi dell'art. 81 c.p.c., in cui una
parte qualificata degli azionisti si sostituisce alla
società nel perseguire giudizialmente gli
amministratori.
La natura straordinaria dell'azione risiede anche
nell'allocazione in favore della società degli
eventuali vantaggi economici che deriverebbero
dalla proposizione dell'azione.
Rispetto alla legittimazione ad agire, la differenza
fondamentale di tale azione rispetto all'actio di cui
all'art. 2393 cod. civ., è costituita dalla non
necessarietà della delibera autorizzativa.
Sembrerebbe, che solo e soltanto nelle società
chiuse lo statuto possa prevedere che l'azione
possa essere esercitata anche dal titolare di una
sola azione, ossia fino a riconoscerlo in presenza
del mero status socii.
L'art. 2393 bis cod. civ. prevede, inoltre, che gli
azionisti debbano nominare a maggioranza un
rappresentante comune per esercitare l'azione.
Tale norma non appare inderogabile posto che
l'azione potrebbe essere esercitata anche da un
singolo socio. In ogni caso, la norma presuppone
che già esista un gruppo di soci interessati ad
attivare un'azione di responsabilità e che siano
legati da patto parasociale avente tale oggetto.
Un problema può emergere qualora vi fossero più
minoranze che esercitino separatamente l'azione
di responsabilità.
A tal proposito, per motivi di semplificazione
processuale, appare preferibile la nomina di un
unico rappresentante comune che rappresenti le
diverse minoranze.
Cenno finale meritano la rinuncia all'azione e la
transazione, disciplinati dagli ultimi due commi
dell'art. 2393 bis cod. civ.
Rinuncia all'azione e transazione che possono
essere attuati, secondo effetti diversi, sia dai soci
agenti (ma la possibilità non è prevista dall'art.
129 T.u.f.), sia dalla stessa società.
I soci agenti potranno, dunque, rinunciare agli atti
del processo estinguendo il processo, ma non
l'azione né il diritto sostanziale.
L'art. 2393 bis, comma 6, cod. civ., infatti,
impiega l'espressione rinuncia all'azione.
A tal proposito bisogna tenere ben presente che i
soci di minoranza sono titolari di una
legittimazione processuale autonoma di cui
possono, quindi, liberamente disporre.
Diversamente, però, non potranno disporre del
diritto di credito nei confronti degli
amministratori, che resta avocato solo e soltanto
alla società.
Analogamente può argomentarsi riguardo alla
transazione.
Quanto alla delibera di rinuncia e di transazione
della società, vi sono maggiori aspetti di criticità.
In tal caso l'art. 2393 bis ultimo comma cod. civ.
rinvia alla normativa prevista per l'azione sociale
di responsabilità, in base alla quale la delibera
assembleare non può essere adottata con il voto
contrario di una minoranza pari o superiore al
quinto del capitale sociale, nelle società chiuse, o
al ventesimo del capitale sociale, nelle società
aperte.
2. La casistica della nuova azione. - -Deve
ritenersi inammissibile la domanda proposta ex
art. 700 c.p.c. volta ad ottenere la revoca in via
cautelare del consigliere delegato di società per
azioni proposta dai soci di minoranza benché
titolari di oltre il 20% del capitale sociale sia
perché tale rimedio non è previsto in loro favore
dal vigente sistema normativo, sia perché difetta il
presupposto della strumentalità e del necessario
collegamento della misura cautelare richiesta con
le domande oggetto della causa di merito (azione
di responsabilità e richiesta di condanna
dell'amministratore al risarcimento dei danni).
Trib. Mantova, 10 luglio 2008, Giur. merito 2009,
3, 716. (7968/156).
Nell'azione di responsabilità sociale proposta dal
socio ex art. 2476 c.c., a differenza di quanto
accade per le società per azioni in conseguenza
dell'esplicita previsione contenuta nell'art. 2393
bis, comma 3, c.c., la società non deve essere
evocata in giudizio e non ricorre una ipotesi di
litisconsorzio necessario in quanto l'art. 2476,
comma 3, c.c. attribuisce al socio un potere
autonomo di proposizione della domanda di
responsabilità sociale. Trib. Marsala, 15 marzo
2005.
(7968/156).
2394. Responsabilità verso i creditori sociali (1). – [I]. Gli amministratori rispondono verso
i creditori sociali per l'inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell'integrità del
patrimonio sociale.
[II]. L'azione può essere proposta dai creditori quando il patrimonio sociale risulta
insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti.
[III]. La rinunzia all'azione da parte della società non impedisce l'esercizio dell'azione da parte
dei creditori sociali. La transazione può essere impugnata dai creditori sociali soltanto con
l'azione revocatoria quando ne ricorrono gli estremi.
(1) V. nota al Capo V.
Sommario: 1. Introduzione. - 2. Natura dell'azione. - 3. Legittimazione ad agire. Giurisprudenza consolidata. 4. Presupposti dell'azione. Giurisprudenza consolidata. - 5. Il termine prescrizionale. - 6. Il problema
dell'esistenza dell'azione in ambito di s.r.l. Giurisprudenza contrastante.
1. Introduzione. – La norma disciplina l'azione di
responsabilità nei confronti degli amministratori
da parte dei creditori sociali.
Azioni che si differenzia sostanzialmente
dall'azione sociale.
2. Natura dell’azione. – L’orientamento
giurisprudenziale che si era maggiormente
consolidato in in passato, era incline a configurare
siffatta azione come surrogatoria, sul modello
delineato in via generale dall’art. 2900 c.c. Cass.
civ., 14 dicembre 1991, n. 13498, Foro it. 1992, I,
1803; Cass. civ., 28 novembre 1984, n. 6187,
Società 1985, I, 3179; Cass. civ., 27 novembre
1982, n. 6431, Fall. 1983, 810; Cass. 9 agosto
1977, n. 3652, Dir. fall. 1978, II, 90; Trib.
Palermo 11 settembre 1992, Società 1993, 788;
Trib. Torino, 13 dicembre 1989, Giur. it. 1990, I,
2, 145; Trib. Milano, 13 novembre 1989, Dir. fall.
1990. (7968/12).
L'orientamento
giurisprudenziale
oggi
consolidato, invece, è quello per cui l’azione dei
creditori abbia natura autonoma rispetto all’azione
sociale. Cass. civ., sez. I, 22 ottobre 1998, n.
10488, Foro it. 1999, I, 1967, Giust. civ. 1999, I,
75; App. Milano, 14 gennaio 1992, Fall. 1992,
1146; Trib. Milano, 2 ottobre 2006, Giur. it. 2007,
382; Trib. Bologna 8 agosto 2002, Giur. it. 2003,
1649; Trib. Milano, 6 febbraio 1989, Società
1989, 703. (7968/12).
3. Legittimazione ad agire. Giurisprudenza
consolidata. - Per la legittimazione dei creditori
sociali all'azione ex art. 2394 c. c. non è
necessario che chi agisce sia già titolare di un
credito certo, liquido ed esigibile, essendo
sufficiente che esso prospetti la sua posizione di
creditore, anche se soggetta ad eventuale ulteriore
accertamento o sottoposta a termine o condizione.
Trib. Milano, 2 ottobre 2006, Giur. it. 2007, 2,
382. (7968/12).
4. Presupposti dell'azione. Giurisprudenza
consolidata. – In tema di società, presupposti
necessari e sufficienti per l'esperimento
dell'azione
di
responsabilità
verso
gli
amministratori, ex art. 2394 c.c., devono ritenersi
l'esistenza di un pregiudizio patrimoniale per i
creditori
(costituito
dall'insufficienza
del
patrimonio sociale a soddisfarne le rispettive
ragioni di credito), la condotta illegittima degli
amministratori, nonché un rapporto di causalità tra
pregiudizio e condotta, dovendosi, peraltro,
commisurare l'entità del danno alla corrispondente
riduzione della massa attiva disponibile in favore
dei creditori stessi. Cass. civ., sez. I, 6 dicembre
2000, n. 15487, Giust. civ. Mass. 2000, 2552,
Società 2001, 591. (7968/12).
5. Il termine prescrizionale. – Il dies a quo per il
decorso del termine prescrizionale decorre non
dal momento della commissione dei fatti
integrativi di responsabilità, bensì da quello in cui
la situazione di insufficienza patrimoniale e`
divenuta oggettivamente conoscibile da parte di
tutti i creditori. Cass. civ., sez. I, 22 ottobre 2004,
n. 20637, Giust. civ. Mass. 2004, 10; Cass. civ.,
sez. I, 5 luglio 2002, n. 9815, Giust. civ. Mass.
2002, 1172; Trib. Marsala 23 maggio 2005,
Società 2007, 83; Trib. Ivrea 29 gennaio 2004.
(7968/12).
Tale momento non coincide necessariamente con
il determinarsi dello stato d’insolvenza, potendo
essere anteriore o posteriore alla dichiarazione di
fallimento. Cass. civ., sez. I, 18 gennaio 2005, n.
941, Giur. it. 2005, 971; Cass. civ., sez. I, 7
novembre 1997, n. 10937, Fall. 1998, 697; Cass.
civ., sez. I, 6 ottobre 1981, n. 5241, Foro it. 1982,
I, 94; Cass. civ., sez. I, 25 settembre 1980, n.
5327; Cass. 25 luglio 1979, n. 4415, Giur. it.
1980, I, 1, 55; Cass. 23 giugno 1977, n. 2671, Dir.
fall. 1977, II, 620; App. Torino 23 gennaio 2003,
Giur. comm. 2004, II, 149. (7968/12).
L’onere della prova della preesistenza al
fallimento dello stato d’insufficienza patrimoniale
della società spetta al soggetto (amministratore o
sindaco) nei confronti del quale è stata esperita
l’azione di responsabilità e che ne eccepisca
l’avvenuta prescrizione; e questo onere non è
assolto con la sola deduzione che la società era già
stata posta in liquidazione prima del fallimento,
perchè il procedimento di liquidazione non è
necessariamente determinato dall’eccedenza delle
passività sulle attività patrimoniali e neppure la
perdita integrale del capitale sociale implica
sempre la perdita di ogni valore attivo del
patrimonio sociale. Cass. civ., sez. I, 18 gennaio
2005, n. 941, Giur. comm. 2005, 6, 729.
(7968/12).
Il dies a quo non coincide necessariamente
neppure con la pubblicazione del primo bilancio
di segno negativo, giacchè potrebbe accadere che,
per valutare lo squilibrio tra attivo e passivo
riportato in bilancio, siano necessarie nozioni
tecniche o la conoscenza di altri elementi non alla
portata dei creditori sociali. Trib. Milano 19
settembre 2003, Giur. it. 2004, 1015. (7968/12).
6. Il problema dell'esistenza dell'azione in
ambito di s.r.l. Giurisprudenza contrastante. –
In ragione del mancato richiamo dell'art. 2394 c.c.
da parte della normativa in materia di s.r.l. ed in
assenza di una specifica disciplina, la
giurisprudenza è oggi divisa nel ritenere
l'applicabilità o meno della norma in commento
alle s.r.l.
I problema si è posto sia in riferimento
all'applicabilità diretta dell'azione ai sensi dell'art.
2394 c.c., sia in riferimento all'aplicabilità
dell'azione, come richiamata dall'art. 146 legge
fallimentare.
Nel caso di società a responsabilità limitata, la
normativa che attualmente disciplina in tale
ambito la legittimazione attiva all'esercizio
dell'azione di responsabilità nei confronti
dell'amministratore sociale, in ragione della
mancata salvaguardia dell'integrità del patrimonio
sociale non si colloca negli art. 2393 e 2394 c.c. che si applicano solo alle società per azioni - e la
cui disciplina non è più richiamata, come fatto dal
previgente art. 2487 c.c. (superandosi con ciò
anche l'argomento fondato su una certa
interpretazione dell'art. 146 l. fall.) ma si colloca
nell'art. 2476 comma 3 c.c. che, tuttavia,
attribuisce la legittimazione all'esercizio di tale
azione solo ai singoli soci della società stessa.
Trib. Milano, sez. VIII, 27 febbraio 2008, n. 2589,
Giustizia a Milano 2008, 2, 13. (7968/12).
Anche dopo la riforma il curatore del fallimento
di una s.r.l può esercitare l'azione dei creditori
sociali. Trib. Milano, 16 maggio 2008, Riv. Dir.
soc. 2009, 1, 182. (7968/12).
Dopo l'entrata in vigore del d.lg. n. 6 del 2003,
pur in difetto di un'esplicita disposizione
normativa, gli amministratori continuano a
rispondere dei danni subiti dai creditori associati
per l'inosservanza degli obblighi inerenti alla
conservazione del patrimonio della società ai
sensi dell'art. 2043 c.c., ma, in caso di fallimento
della società, il curatore non è più legittimato ad
esercitare l'azione, che spetta invece ai singoli
creditori. Trib. Napoli 11 novembre 2004, Societa'
2005, 1007. (7968/12).
L'art. 146 r.d. n. 267 del 1942 è norma speciale
che, attraverso un rinvio "per relationem",
attribuisce al curatore del fallimento di una società
di capitali la legittimazione esclusiva ad esercitare
tutte le azioni di responsabilità nei confronti degli
amministratori e dei sindaci disciplinate dal
codice civile, fatta eccezione per le azioni
individuali dei terzi per i cd. danni diretti. Ne
consegue che anche dopo l'entrata in vigore del
d.lg. 17 gennaio 2003 n. 6 non è venuta meno la
legittimazione del curatore all'esercizio in via
esclusiva dell'azione dei creditori sociali della
Trib. Napoli, 12 maggio 2004, Società 2005,
1013. (7968/12).
2394 bis. Azioni di responsabilità nelle procedure concorsuali (1). – [I]. In caso di
fallimento, liquidazione coatta amministrativa e amministrazione straordinaria le azioni di
responsabilità previste dai precedenti articoli spettano al curatore del fallimento, al
commissario liquidatore e al commissario straordinario.
(1) V. nota al Capo V.
Sommario: 1. Introduzione. - 2. Natura dell'azione. Giurisprudenza consolidata. - 3. Criteri di quantificazione
del danno. Giurisprudenza consolidata.- 4. La prescrizione dell'azione.
1. Introduzione. - L’articolo in commento pone il
collegamento tra le azioni di responsabilità di cui
al codice civile e quelle che possono
intraprendersi in sede concorsuale.
2.
Natura
dell'azione.
Giurisprudenza
consolidata. - Costituisce ormai ius receptum
l’affermazione giurisprudenziale secondo la quale,
per effetto del fallimento, le azioni di
responsabilità di cui agli art. 2392-2393 e 2394
C.C. confluiscono in una unica azione avente
carattere unitario e inscindibile: con il corollario
che la domanda risarcitoria contro gli
amministratori può essere formulata così con
riferimento ai presupposti della responsabilità
verso la società come sulla base dei presupposti
della responsabilità verso i creditori sociali. Cass.
civ., sez. I, 22 ottobre 1998 n. 10488, Giust. civ.
Mass. 2003, 12. (7968/144).
L'azione, dunque, cumula i presupposti di
entrambe le azioni: “la responsabilità degli
amministratori può essere dedotta dal curatore
tanto con riferimento ai presupposti dell’azione
dei creditori sociali, quanto con riferimento ai
presupposti dell’azione sociale di responsabilità”.
In altri termini ciò significa che i presupposti
dell’una possono diventare presupposti dell’altra e
viceversa. Cass. civ., sez. I, 28 febbraio 1998, n.
2251, Giur. it. 1998, 1639; Cass. civ., sez. I, 28
novembre 1984, n. 6187, Giust. civ. Mass. 1984,
fasc. 11. (7968/144).
Il curatore, pertanto è legittimato, ai sensi dell’art.
2393 c.c. a chiedere il risarcimento dei danni
subiti dalla società per effetto degli
inadempimenti dell’organo amministrativo, anche
se i danni si siano determinati prima che il
patrimonio sociale sia risultato insufficiente a
soddisfare i creditori sociali. Nello stesso tempo il
curatore è legittimato ad esercitare ex art. 2394
c.c. l’azione risarcitoria dei danni causati dagli
amministratori per inosservanza degli obblighi
inerenti alla conservazione ed integrità del
patrimonio sociale. Trib. Genova, 24 gennaio
2000, Fall. 2000, 813. (7968/144).
3. Criteri di quantificazione del danno.
Giurisprudenza consolidata. – L'orientamento
giurisprudenziale che era andato affermandosi era
quello secondo il quale nel caso di omessa o
irregolare tenuta della contabilità sociale, gli
amministratori rispondono dei danni, la cui entità
si presume consistere, fino a prova contraria, nella
differenza tra il passivo e l’attivo fallimentare.
Trib. Roma, 9 luglio 2001, Dir. e prat. Soc. 2002,
11, 87; Trib. Catania, 1 settembre 2000, Fall.
2001, 112; Trib. Milano, 15 luglio 1991, Fall.
1991, 1286. (7968/144).
L'orientamento, invece, che in epoca recente si è
andato consolidando è quello secondo il quale non
può farsi automaticamente discendere da atti di
mala gestio degli amministrari, un danno
risarcibile pari alla mera differenza contabile tra
passivo ed attivo patrimoniale così come accertati
nell'ambito
della
procedura
concorsuale,
ribadendo invece la necessità di valutare le
specifiche conseguenze dannose che sono
causalmente riconducibili ai singoli atti gestori
lesivi. Cass. civ., sez. I, 22 ottobre 1998 n. 10488,
Giust. civ. Mass. 2003, 12.; Cass. 17 settembre
1997 n. 9252, Società 1998, 1025, Giust. civ.
Mass. 1997, 1735. (7968/144).
Ad un siffatto criterio di quantificazione è stato
sostenuto si possa addivenire qualora sia
oggettivamente impossibile valutare l’esatto
disavanzo della società al momento della
dichiarazione di insolvenza a causa di carenze
gestionali
imputabili agli
stessi
organi
responsabili, è legittimo il ricorso al criterio
equitativo di cui all’art. 1226 c.c. e,
nell’applicazione di tale criterio, la considerazione
del parametro rappresentato dalla differenza tra
attivo e passivo della procedura concorsuale”.
App. Roma, 14 marzo 2000, Gius. 2000, 1879.
(7968/144).
4. La prescrizione dell'azione. - L'azione di
responsabilità contro amministratori e sindaci,
esercitata dal curatore del fallimento, ex art. 146 l.
fall., compendia in sè le azioni ex art. 2393 e 2394
c.c., ed è diretta alla reintegrazione del patrimonio
della società fallita, visto unitariamente come
garanzia e dei soci e dei creditori sociali; essa
sorge, ai sensi dell'art. 2394, comma 2, c.c., nel
momento in cui il patrimonio sociale risulti
insufficiente al soddisfacimento dei creditori della
società e si trasmette al curatore nel caso di
fallimento sopravvenuto. Ne consegue che la
prescrizione quinquennale, di cui all'art. 2949,
comma 2, c.c., decorre dal momento in cui si
verifica l'insufficienza del patrimonio sociale:
momento che, non coincidendo con il
determinarsi dello stato di insolvenza, può essere
anteriore o posteriore alla dichiarazione di
fallimento. Cass. civ., sez. I, 7 novembre 1997, n.
10937, Giust. civ. Mass. 1997, 2098, Fallimento
1998, 697. (7968/144).
Il termine quinquennale di prescrizione, a fronte
dell'unica azione in cui, a seguito delle procedure
concorsuali, confluiscono le due azioni di
responsabilità ex art. 2393 e 2394 c.c., decorre
dall'ultimo dei termini previsti per ciascuna di
esse, ossia, ex art. 2394 comma 2 c.c., dal
momento in cui si è manifestato l'evento dannoso
costituito dalla insufficienza patrimoniale al
soddisfacimento dei crediti, il quale non coincide
necessariamente con lo stato di insolvenza o la
messa in liquidazione della società; l'insufficienza
indicata, infatti, si rivela all'esterno allorquando
l'attivo sociale, raffrontato ai debiti della società,
non risulta sufficiente al loro soddisfacimento,
diventando oggettiva in quel momento, per i terzi,
la possibilità di conoscere la situazione descritta,
con l'uso della diligenza comune dell'uomo
medio. App. Napoli, 23 ottobre 2003, Giur.
napoletana 2004, 168. (7968/144).
2395. Azione individuale del socio e del terzo (1). – [I]. Le disposizioni dei precedenti
articoli non pregiudicano il diritto al risarcimento del danno spettante al singolo socio o al
terzo che sono stati direttamente danneggiati da atti colposi o dolosi degli amministratori.
[II]. L'azione può essere esercitata entro cinque anni dal compimento dell'atto che ha
pregiudicato il socio o il terzo.
(1) V. nota al Capo V.
Sommario: 1. Introduzione. - 2. Limiti dell'azione inerenti il danno diretto. Giurisprudenza consolidata. - 3.
Limiti inerenti l'applicabilità degli altri strumenti di reazione nei confronti degli amministratori. Giurisprudenza
di legittimità. - 4. Applicabilità dell'istituto nel caso di mancata distribuzione degli utili. Giurisprudenza
consolidata. - 5. Il danno risarcibile. Giurisprudenza consolidata. - 6. Prescrizione. Giurisprudenza di merito.
1. - L’art. 167 disciplina la gestione dei beni
appartenenti all’imprenditore durante la procedura
di concordato, specificando che gli atti di
ordinaria amministrazione sono normalmente
liberi, mentre quelli di amministrazione
straordinaria (e, comunque, quelli espressamente
elencati) possono essere compiuti solo con
l’autorizzazione del giudice delegato. Ciò perché
la procedura di concordato attua uno
spossessamento, sebbene attenuato, del debitore.
2. Limiti dell'azione inerenti il danno diretto.
Giurisprudenza consolidata. – L'elemento
peculiare dell'azione in commento è rappresentata
dall'incidenza diretta del danno nella sfera
patrimoniale del socio o del terzo.
L'avverbio direttamente delimita l'ambito di
esperibilità dell'azione ex art. 2395 c.c. rispetto
alle fattispecie disciplinate dagli artt. 2393 e 2394
c.c. rendendo palese che il discrimine tra le stesse
non va individuato nei presupposti stabiliti dalla
legge per il sorgere di tali forme di responsabilità
(che consistono pur sempre nella violazione,
dolosa o colposa, dei doveri ad essi imposti dalla
legge o dall'atto costitutivo), bensì nelle
conseguenze che il comportamento illegittimo
degli amministratori ha determinato nel
patrimonio del socio o del terzo. Se il danno
allegato costituisce solo il riflesso di quello
cagionato al patrimonio sociale, si è al di fuori
dell'ambito di applicazione dell'art. 2395 c.c., in
quanto tale norma richiede che il danno abbia
investito direttamente il patrimonio del socio o del
terzo. Cass. civ., sez. I, 3 aprile 2007, n. 8359,
Giust. civ. Mass. 2007, 4; Cass. civ., sez. I, 13
gennaio 2004, n. 269, Società 2004, 1114; Cass.
civ., sez. I, 27 giugno 1998, n. 6364, Giust. civ.
Mass. 1998, 1410. (7968/180).
Pertanto,
secondo
l'orientamento
ormai
consolidato, neppure rileva che il danno sia stato
arrecato dagli amministratori nell'esercizio del
loro ufficio o al di fuori di tali incombenze,
ovvero che tale danno sia (o meno) ricollegabile
ad un inadempimento della società, nè infine che
l'atto lesivo sia stato eventualmente compiuto
dagli amministratori nell'interesse della società e a
suo vantaggio, dato che la formulazione dell'art.
2395 c.c. pone in evidenza che l'unico dato
significativo ai fini della sua applicazione è
costituito appunto dall'incidenza del danno. Cass.
civ., sez. I, 3 aprile 2007, n. 8359, Giust. civ.
Mass. 2007, 4. (7968/180).
3. Limiti inerenti l'applicabilità degli altri
strumenti di reazione nei confronti degli
amministratori. Giurisprudenza di legittimità.
– L'azione concessa individualmente dall'art. 2395
c.c. ai soci o ai terzi per il risarcimento dei danni
ad essi derivati come conseguenza di atti dolosi o
colposi degli amministratori di società per azioni,
rientra nello schema della responsabilità aquiliana
e presuppone che i danni stessi non siano solo il
riflesso di quelli arrecati eventualmente al
patrimonio sociale, ma siano direttamente
cagionati ai soci o ai terzi come conseguenza
immediata
del
comportamento
degli
amministratori medesimi, essa trova perciò
applicazione solo quando la violazione del diritto
individuale del socio o del terzo sia in rapporto
causale diretto con l'azione degli amministratori, a
nulla rilevando che il socio o il terzo possano
avere anche azione contro la società. Cass. civ.,
sez. I, 3 agosto 1988, n. 4817, Dir. fall. 1989, II,
381. (7968/180).
4. Applicabilità dell'istituto nel caso di mancata
distribuzione degli utili. Giurisprudenza
consolidata. - In riferimento al diritto agli utili la
Corte di Cassazione ha affermato che, essendo
questi parte del patrimonio sociale fin quando
l'assemblea, eventualmente, non ne disponga la
distribuzione in favore dei soci, la loro sottrazione
indebita ad opera dell'amministratore lede il
patrimonio sociale e solo indirettamente si
ripercuote sulla posizione giuridica e sull'interesse
economico del singolo socio, compromettendo la
sua aspettativa di reddito e comprimendo il valore
della sua quota. Analogamente, il danno diretto
non può consistere nella mancata distribuzione
degli utili, appunto in quanto questi, prima della
distribuzione, appartengono alla società. Pertanto,
neppure in detta ipotesi al singolo socio compete
l'azione di responsabilità disciplinata dall'art. 2395
c.c. Cass. civ., sez. I, 3 aprile 2007, n. 8359,
Giust. civ. Mass. 2007, 4; Cass. civ., sez. I, 27
giugno 1998, n. 6364, Giust. civ. Mass. 1998,
1410. (7968/180).
5. Il danno risarcibile. Giurisprudenza
consolidata.- Il danno risarcibile a norma dell'art.
2395 c.c. è quello al cui verificarsi il patrimonio
della società resta indifferente, giacché quel danno
si produce immediatamente (direttamente) a
carico del patrimonio personale del socio o del
terzo (il quale non necessariamente s’identifica
con un creditore sociale). Cass. civ., sez. I, 12
giugno 2007, n. 13766, Giur. it. 2007, 2761; Cass.
civ., sez. I, 28 maggio 2004, n. 10271, Foro it.
2005, I, 816; Cass. civ., sez. I, 1 aprile 1994, n.
3216, Società 1995, I, 1302; Cass. civ., sez. I, 7
settembre 1993, n. 9385, Fallimento 1994, 44;
Cass. civ., sez. I, 3 agosto 1988, n. 4817, Dir. fall.
1989, II, 381. (7968/180).
6. Prescrizione. Giurisprudenza di merito. Con riguardo al termine prescrizionale dell'azione
la giurisprudenza ha sempre reputato applicabili le
regole
proprie
della
responsabilità
extracontrattuale e ne ha tratto la conseguenza che
l’azione in esame è soggetta alla prescrizione
breve, sancita dall’art. 2947 c.c. per le pretese
nascenti da fatti illeciti. Trib. Milano, 16 ottobre
1989, Società 1990, 902. (7968/180).
Il dies a quo decorre dal momento in cui l’evento
dannoso si e` verificato o, se successivo, da quello
in cui il pregiudizio si e` reso conoscibile al
titolare della pretesa risarcitoria. Trib. Milano 30
aprile 2001, Società 2002, 616. (7968/180).
2396. Direttori generali (1). – [I]. Le disposizioni che regolano la responsabilità degli
amministratori si applicano anche ai direttori generali nominati dall'assemblea o per
disposizione dello statuto, in relazione ai compiti loro affidati, salve le azioni esercitabili in
base al rapporto di lavoro con la società.
(1) V. nota al Capo V.
Sommario: 1. Introduzione. - 2. Portata della norma. Giurisprudenza consolidata. – 3. Le mansioni del direttore
generale. Giurisprudenza contrastante.
1. Introduzione. – La norma prevede solo
un'estensione della disciplina della responsabilità
degli amministratori ai direttori generali qualora
nominati da assemblea o da statuto.
Nulla dispone in merito alle mansioni svolte dai
direttori generali.
2. Portata della norma. Giurisprudenza
consolidata. - . La giurisprudenza ha affermato
che “al direttore generale puo` essere estesa la
stessa disciplina prevista per la responsabilita`
degli amministratori qualora la sua nomina sia
stata prevista nell’atto costitutivo o sia stata
deliberata dall’assemblea, entrando in questi casi
la sua figura a far parte della struttura tipica della
società. Cass. civ., sez. I, 5 dicembre 2008, n.
28819, Giur. it. 2009, 871; Cass. civ. , sez. lav., 12
dicembre 2003, n. 18995, Giust. civ. Mass. 2003,
12.
3. Le mansioni del direttore generale.
Giurisprudenza contrastante. - Non esiste
accordo giurisprudenziale sull'ampiezza delle
funzioni decisionali che valgono a qualificare un
soggetto quale direttore generale, infatti, se
tradizionalmente il direttore generale è stato
inquadrato nell'ambito dei lavoratori dipendenti
dell'impresa,
ancorchè
il
vincolo
di
subordinazione, pur sussistente, risulti affievolito
dall'ampiezza e discrezionalità dei poteri attribuiti
(Cass. civ., sez. lav., 10 novembre 1987, n. 8279,
Giust. civ. Mass. 1987, fasc. 11; Cass. civ., sez.
lav., 16 giugno 1979, n. 3400, Giust. civ. Mass.
1979, fasc. 6), non sono mancate affermazioni
contrarie, essendo stato sostenuto che il direttore
generale può anche essere un soggetto esterno alla
società, non legato da un vincolo di
subordinazione (Cass. civ., sez. lav., 14 luglio
1993, n. 7796, Giust. civ. Mass. 1993, 1179; Cass.
civ., sez. I, 4 giugno 1981, n. 3614, Giust. civ.
Mass. 1981, fasc. 6), ancorchè la prestazione per
le caratteristiche che la contraddistinguono rientri
ragionevolmente nella previsione dell'attività
coordinata e continuativa. Cass. civ., sez. I, 5
dicembre 2008, n. 28819, Giur. it. 2009, 871.
3 – DEL COLLEGIO SINDACALE
2397. Composizione del collegio (1). – [I]. Il collegio sindacale si compone di tre o cinque
membri effettivi, soci o non soci. Devono inoltre essere nominati due sindaci supplenti.
[II]. Almeno un membro effettivo ed uno supplente devono essere scelti tra gli iscritti nel
registro dei revisori contabili istituito presso il Ministero della giustizia. I restanti membri, se
non iscritti in tale registro, devono essere scelti fra gli iscritti negli albi professionali
individuati con decreto del Ministro della giustizia (2), o fra i professori universitari di ruolo,
in materie economiche o giuridiche.
(1) V. nota al Capo V.
(2) V. l'art. 1 d.m. 29 dicembre 2004, n. 320 (G.U. 18 gennaio 2005, n. 13), che individua i seguenti albi
professionali: avvocati, dottori commercialisti, ragionieri e periti commerciali, consulenti del lavoro.
1. Il numero dei sindaci. Giurisprudenza di
merito. – Il numero dei sindaci è fissato dallo
statuto ed una variazione può aversi solo con
delibera dell'assemblea straordinaria. Trib. Napoli,
31 gennaio 1997, Società 1997, 823. (7956/12).
2398. Presidenza del collegio (1). – [I]. Il presidente del collegio sindacale è nominato
dall'assemblea.
(1) V. nota al Capo V.
Sommario: 1.La clausola statutaria con indicazioni sulla nomina. - 2. La nomina di provenienza non
assembleare.
1. La clausola statutaria con indicazioni sulla
nomina. Giurisprudenza di merito. – E'
ammissibile la clausola statutaria con indicazioni
sulla nomina di presidente del collegio sindacale.
Trib. Udine, 7 luglio 1989, Società 1989, 1317.
(7956/12).
2. La nomina di provenienza non assembleare
Giurisprudenza di merito. - Quando un sindaco,
ancorché subentrato come supplente ad altro
sindaco dimissionario, è l'unico membro del
collegio sindacale ad essere iscritto nell'albo dei
revisori ufficiali dei conti, può assumere
legittimamente la funzione di presidente del
collegio anche in assenza di nomina assembleare.
Trib. Monza, 14 febbraio 1983, Giur. comm.
1983,
II,
937.
(7956/12).
2399. Cause di ineleggibilità e decadenza (1). – [I]. Non possono essere eletti alla carica di
sindaco e, se eletti, decadono dall'ufficio:
a) coloro che si trovano nelle condizioni previste dall'articolo 2382;
b) il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado degli amministratori della società, gli
amministratori, il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado degli amministratori delle
società da questa controllate, delle società che la controllano e di quelle sottoposte a comune
controllo;
c) coloro che sono legati alla società o alle società da questa controllate o alle società che la
controllano o a quelle sottoposte a comune controllo da un rapporto di lavoro o da un rapporto
continuativo di consulenza o di prestazione d'opera retribuita, ovvero da altri rapporti di natura
patrimoniale che ne compromettano l'indipendenza.
[II]. La cancellazione o la sospensione dal registro dei revisori contabili e la perdita dei
requisiti previsti dall'ultimo comma dell'articolo 2397 sono causa di decadenza dall'ufficio di
sindaco.
[III]. Lo statuto può prevedere altre cause di ineleggibilità o decadenza, nonché cause di
incompatibilità e limiti e criteri per il cumulo degli incarichi.
(1) V. nota al Capo V.
Sommario: 1. Introduzione. - 2. Le cause di ineleggibilità e decadenza. – 2.1. Le cause di ineleggibilità di cui al
comma 1, lett. a). – 2.2. Le cause di ineleggibilità di cui al comma 1, lett. b). - 2.3. Le cause di ineleggibilità di
cui al comma 1, lett. c). – 2.4. Le cause di decadenza di cui al comma 2. – 3. Il sindaco associato del consulente. 4. La responsabilità. Giurisprudenza di merito. - 5. Operatività della decadenza. Giurisprudenza consolidata.
1. Introduzione. – La norma, come modificata
dalla Riforma, disciplina in maniera più compiuta
le cause di ineleggibilità e decadenza dei sindaci.
2. Le singole cause di ineleggibilità e
decadenza. - La disciplina è prevista al comma 1
dell'articolo in commento.
2.1. Le cause di ineleggibilità di cui al comma
1, lett. a). – La norma fa riferimento ai casi di
ineleggibilità degli amministratori previsti
dall.'art. 2382 c.c.
L'art. 2399 c.c. (che prevede che non possono
essere eletti alla carica di Sindaco e, se eletti,
decadono dall'ufficio, il coniuge, i parenti e gli
affini entro il quarto grado degli amministratori
della società, gli amministratori, il coniuge, i
parenti e gli affini entro il quarto grado degli
amministratori di società da questa controllate,
delle società che la controllano e di quelle
sottoposte a comune controllo) è espressione di un
principio generale, volto a tutelare il delicato
incarico
in
questione
da
potenziali
condizionamenti da parte dei familiari più stretti,
che esercitino la carica di amministratore. Tale
principio generale dell'ordinamento trova,
senz'altro, applicazione anche nel settore delle
autonomie locali, relativamente al funzionamento
del corrispondente organo di vigilanza,
rappresentato dal collegio dei revisori. T.A.R.
Campania, sez. I, 10 maggio 2006, n. 4053, Foro
amm. TAR 2006, 5, 1803. (7956/12).
2.2. Le cause di ineleggibilità di cui al comma
1, lett. b). – La norma fa riferimento
all'ineleggibilità a sindaco di parenti ed affini
degli amministratori sia della stessa società, che
delle società dell'eventuale gruppo cui
appartengono.
2.3. Le cause di ineleggibilità di cui al comma
1, lett. c). – La norma fa riferimento in primis a
legami con società controllate o controllanti.
La causa di ineleggibilità e di decadenza alla
carica di sindaco, di cui all'art. 2399 comma 1
c.c., opera anche nei confronti degli
amministratori di una società controllata dalla
nominante, in quanto gli amministratori rientrano
fra i soggetti legati alla società da un rapporto
continuativo di prestazione d'opera retribuita.
Trib. Matera, 14 luglio 1994, Giur. it. 1995, I, 2,
420. (7956/12).
La norma fa poi riferimento all'incompatibilità
con l'ufficio sindacale di qualsiasi prestazione
d'opera continuativa e retribuita, anche se non
caratterizzata da un vero e proprio vincolo di
subordinazione. Cass. civ., sez. I, 11 luglio 2008,
n. 19235, Diritto & Giustizia 2008; Cass. civ., sez.
I, 9 maggio 2008, n. 11554, Giust. civ. Mass.
2008, 5, 691. (7956/12).
Ai sensi dell'art. 2399 c.c. deve considerarsi
incompatibile con la carica di sindaco di una
società di capitali l'esercizio di attività
continuativa di consulenza e assistenza in favore
della società, tale dovendosi intendere anche
un'attività professionale in materia contabile,
tributaria e contrattuale che, pur non avendo
assunto carattere di rapporto a tempo
indeterminato, qualificato da una formalizzazione
per
iscritto
dell'incarico
e
da
una
predeterminazione del compenso, si sia protratta
per svariati anni dell'attività della società ed abbia
riguardato in modo penetrante non già singole
questioni o affari della medesima, bensì
propriamente la redazione del bilancio, degli
allegati esplicativi e della relazione degli
amministratori ad esso, atti questi che
costituiscono oggetto specifico dell'attività di
controllo affidata al collegio sindacale. App.
Bologna, 9 marzo 1995, Vita not. 1996, 326.
(7956/12).
È incompatibile, a pena di decadenza, con la
funzione di controllo che la legge assegna al
sindaco, l'attribuzione a quest'ultimo di una
consulenza generale in materia contabile,
amministrativa e fiscale che si concreti in una
prestazione
d'opera
retribuita
resa
non
saltuariamente. Trib. Milano, 28 maggio 1990,
Giur. it. 1990, I, 2,809. (7956/12).
Non può essere eletto sindaco e, in caso di
nomina, decade dalla carica colui che abbia
ricevuto dalla società un incarico professionale
che non debba essere affidato di volta in volta, ma
risulti da un vincolo precostituito tra la società e il
professionista, come per esempio nell'ipotesi di
consulenza tributaria e societaria Trib. Torino, 7
settembre 1988, Dir. fall. 1989, II, 682. (7956/12).
2.4. Le cause di decadenza di cui al comma 2. –
Il comma 2 disciplina solo la decadenza in caso di
cancellazione o sopsensione dal registro dei
revisori contabili e la n caso di perdita di requisiti
di eleggibilità ex art. 2397 c.c.
3. Il sindaco associato del consulente.
Giurisprudenza di merito. - Le prestazioni
professionali svolte a favore di una società da un
collaboratore di studio del presidente del collegio
sindacale della stessa non originano una causa di
ineleggibilità e decadenza ex art. 2399 c.c. Il
riferimento a tale articolo deve misurarsi anzitutto
con i dati della fattispecie e con l'onere probatorio
incombente sull'attore impugnante in relazione al
dedotto vizio della deliberazione assembleare ed
alla effettiva situazione di incompatibilità del
sindaco nominato che ne costituisce il
presupposto. Trib. Milano, sez. VIII, 22 novembre
2006, n. 12753, Dir. e prat. soc. 2007, 16, 76.
(7956/12).
Il provvedimento di sospensione dal registro dei
revisori è legittimamente assunto nei confronti dei
sindaci di una s.r.l. facenti parte di uno studio
associato in cui un professionista, in rapporto di
parasubordinazione con lo studio, abbia svolto in
via continuativa, in favore del società stessa,
un'attività retribuita di consulenza generale in
materia fiscale, contabile, societaria e di bilancio.
Trib. Trento, 30 maggio 2003, Giur. comm. 2004,
II, 158. (7956/12).
4. La responsabilità. Giurisprudenza di merito.
- La ricorrenza di una delle cause di ineleggibilità
previste dall'art. 2399 c.c. non esonera da
responsabilità i sindaci che, senza dichiarare tale
causa, abbiano accettato la carica e l'abbiano
mantenuta per la durata dell'incarico. Trib.
Catania, 5 novembre 1999, Giur. comm. 2001, II,
510. (7956/12).
5. Operatività della decadenza. Giurisprudenza
consolidata. – In presenza di una delle situazioni
ipotizzate dall'art. 2399 c.c., la decadenza del
sindaco opera in modo automatico, non essendo
previsto al riguardo un procedimento accertativo e
deponendo l'art. 2401 c.c. a favore dell'immediato
subentro del sindaco supplente. Cass. civ., sez. I, 9
maggio 2008, n. 11554, Dir. e prat. soc. 2008, 17,
58.
(7956/12).
2400. Nomina e cessazione dall'ufficio (1). – [I]. I sindaci sono nominati per la prima volta
nell'atto costitutivo e successivamente dall'assemblea, salvo il disposto degli articoli 2351,
2449 e 2450. Essi restano in carica per tre esercizi, e scadono alla data dell'assemblea
convocata per l'approvazione del bilancio relativo al terzo esercizio della carica. La cessazione
dei sindaci per scadenza del termine ha effetto dal momento in cui il collegio è stato
ricostituito.
[II]. I sindaci possono essere revocati solo per giusta causa. La deliberazione di revoca deve
essere approvata con decreto dal tribunale, sentito l'interessato.
[III]. La nomina dei sindaci, con l'indicazione per ciascuno di essi del cognome e del nome,
del luogo e della data di nascita e del domicilio, e la cessazione dall'ufficio devono essere
iscritte, a cura degli amministratori, nel registro delle imprese nel termine di trenta giorni.
[IV]. Al momento della nomina dei sindaci e prima dell'accettazione dell'incarico, sono resi
noti all'assemblea gli incarichi di amministrazione e di controllo da essi ricoperti presso altre
società (2).
(1) V. nota al Capo V.
(2) Comma aggiunto dall'art. 22 lett. a)l. 28 dicembre 2005, n. 262.
Sommario: 1. Introduzione. - 2. L'assemblea di nomina dei sindaci. Giurisprudenza di merito.- 3. La delibera di
revoca dei sindaci. Giurisprudenza contrastante.- 4. La giusta causa di revoca dei sindaci. Giurisprudenza di
merito.
1. Introduzione. - La Riforma non ha comportato
particolari stravolgimenti della disciplina.
Di rilievo è il riconoscimento della prorogatio nel
caso di scadenza naturale dell'incarico.
2. L'assemblea di nomina dei sindaci.
Giurisprudenza di merito. - È illegittima la
delibera assembleare di nomina dei sindaci in cui
non venga specificato nè il compenso annuo dei
medesimi nè se le persone nominate sindaci siano
in possesso dei requisiti previsti dall'art. 2397
comma 2 c.c. Trib. Cosenza, 8 febbraio 1994,
Società 1994, 1071. (7968/912).
3. La delibera di revoca dei sindaci.
Giurisprudenza
contrastante.
–
La
giurisprudenza ha statuito che mentre gli
amministratori possono essere sempre revocati
dall'assemblea e l'eventuale mancanza di giusta
causa determina il loro diritto al risarcimento dei
danni, ma non condiziona l'operatività della
revoca, l'art. 2400 detta per i sindaci una regola
diversa. La loro revoca da parte dell'assemblea
deve essere approvata infatti dal tribunale, e tale
approvazione non rappresenta una semplice
verifica formale della regolarità della delibera, ma
un atto (di volontaria giurisdizione) con il quale
viene esercitato un controllo sull'esistenza della
giusta causa, ponendosi come fase necessaria e
terminale di una vera e propria sequenza
procedimentale preordinata alla produzione
dell'effetto della revoca. Cass. civ., sez. I, 12
dicembre 2005, n. 27389, Foro it. 2006, 9, 2369;
Cass. civ., 10 luglio 1999, n. 7264. (7968/912).
Diverso è l'orietnamento espresso dalla
giurisprudenza di merito, secondo la quale il
rinvio disposto dall'articolo 2407 all'art. 2393,
anche con riferimento alla specifica previsione di
cui al terzo comma, che prevede la revoca
automatica degli amministratori in costanza di
delibera approvata da un quinto dei voti
favorevoli, rende automatica la revoca anche dei
sindaci senza bisogno dell'approvazione del
tribunale. Trib. Rimini, 24 settembre 2002, Giur.
it. 2003, 302; Trib. Roma, 8 aprile 1997, Giur.
comm. 1998, II, 73; Trib. Roma, 17 gennaio
1997, Società 1997, 453. . (7968/912).
4. La giusta causa di revoca dei sindaci.
Giurisprudenza di merito.- I soci che vogliano
anticipare la cessazione del rapporto di controllo
con i sindaci debbono contestare ad essi precisi
fatti di violazione dei doveri cedenti a carico di
ognuno, sottoponendo poi, in stretto collegamento
di razionalità e proporzionalità dei motivi della
delibera, il vaglio del loro assunto all'autorità
giudiziaria perché su quegli stessi fatti sia
osservato l'atto volitivo di censura, sino ad allora
improduttivo di effetti. Trib. Bologna, 25 luglio
1997, Società 1998, 185. (7968/912).
2401. Sostituzione (1). – [I]. In caso di morte, di rinunzia o di decadenza di un sindaco,
subentrano i supplenti in ordine di età, nel rispetto dell'articolo 2397, secondo comma. I nuovi
sindaci restano in carica fino alla prossima assemblea, la quale deve provvedere alla nomina
dei sindaci effettivi e supplenti necessari per l'integrazione del collegio, nel rispetto
dell'articolo 2397, secondo comma. I nuovi nominati scadono insieme con quelli in carica.
[II]. In caso di sostituzione del presidente, la presidenza è assunta fino alla prossima
assemblea dal sindaco più anziano.
[III]. Se con i sindaci supplenti non si completa il collegio sindacale, deve essere convocata
l'assemblea perché provveda all'integrazione del collegio medesimo.
(1) V. nota al Capo V.
Sommario: 1. Introduzione. - 2. La prorogatio dei sindaci in caso di rinuncia. Giurisprudenza contrastante.- 3.
Effetti della rinuncia. Giurisprudenza consolidata.
1. Introduzione. - La Riforma ha espressamente
risolto in senso positivo l'applicazione della
prorogatio ai sindaci nel solo caso di scadenza
naturale del termine, nulla disponendo in merito
alla decorrenza immediata o differita nel caso
della rinuncia volontaria.
2. La prorogatio dei sindaci in caso di rinuncia.
Giurisprudenza contrastante. – Parte della
giurisprudenza
ha
ritenuto
applicabile
analogicamente per i sindaci l'istituto della
prorogatio a seguito della rinuncia da parte degli
stessi. Trib. Roma, 27 aprile 1998, Società 1998,
1442. (7968/912).
La giurisprudenza contraria, invece, si connota
per sfumature diverse.
Vi è giurisprudenza che nega tout court
l'applicabilità dell'istituto (App. Bologna, 18
maggio 1988, Giur. comm. 1990, II, 454
(7968/912)), che nega l'applicabilità dell'istituto
per i sindaci dimissionari per giusta causa (Trib.
Milano 26 aprile 1983, Società 1983, 1157
(7968/912)) ed altra giurisprudenza che esclude
l'applicazione analogica sulla base della
sostanziale differenze tra organo amministrativo e
di controllo (Trib. Monza, 26 aprile 2001, Società
2001, 1229 (7968/912)).
3. Effetti della rinuncia. Giurisprudenza
consolidata.- La rinuncia all'incarico da parte di
un sindaco di una società di capitali ha effetto
immediato,
indipendentemente
dalla
sua
accettazione da parte dell'assemblea, soltanto
quando sia possibile l'automatica sostituzione del
dimissionario con un sindaco supplente e non
quando, invece, le dimissioni coinvolgano un
numero di sindaci effettivi superiore a quello dei
membri supplenti a disposizione. Cass. civ., sez. I,
18 gennaio 2005, n. 941, Giust. civ. 2006, 2, 445.
(7968/912).
In tema di funzionamento del collegio sindacale di
una società di capitali, la rinunzia di un sindaco
effettivo - a meno che non sia diversamente
disposto dallo statuto sociale - ha effetto
immediato,
indipendentemente
dalla
sua
accettazione da parte dell'assemblea, quando sia
possibile
l'automatica
sostituzione
del
dimissionario con un sindaco supplente con la
conseguenza che quest'ultimo, istituzionalmente
obbligato, in ragione della sua carica a sostituire il
sindaco effettivo che non possa o che comunque
non voglia esercitare l'ufficio, incorre nella
responsabilità prevista dall'art. 2407 c.c. per
l'esercizio di funzioni (nella specie: sottoscrizione
di un bilancio poi risultato falso) in sostituzione
del componente effettivo, dimissionario. Cass.
civ., sez. I, 9 ottobre 1986, n. 5928, Giust. civ.
Mass. 1986, fasc. 10. (7968/912).
A seguito delle dimissioni di un membro del
collegio sindacale di una s.p.a., subentra al suo
posto, ai sensi dell'art. 2401 c.c., il sindaco
supplente più anziano e, conseguentemente,
l'organo amministrativo ha l'obbligo di
provvedere, entro 15 giorni, all'iscrizione delle
dimissioni stesse nel registro delle imprese. In
caso di omissione, trattandosi di iscrizione
obbligatoria, essa va disposta d'ufficio dal
tribunale. Trib. Roma, 24 maggio 2000, Nuova
giur. civ. commentata 2001, I, 241. (7968/912).
Le dimissioni rassegnate da un sindaco hanno
effetto immediato solo quando ne sia possibile la
sostituzione automatica con un supplente. App.
Bologna, 15 aprile 1988, Giur. comm. 1990, II,
454.
(7968/912).
2402. Retribuzione (1). – [I]. La retribuzione annuale dei sindaci, se non è stabilita nello
statuto, deve essere determinata dalla assemblea all'atto della nomina per l'intero periodo di
durata del loro ufficio.
(1) V. nota al Capo V.
Sommario: 1. Introduzione. - 2. Il rapporto determinazione compenso / natura dell'incarico. Giurisprudenza di
legittimità.- 3. La determinazione del compenso. Giurisprudenza consolidata. – 4. La mancata determinazione
del compenso. Giurisprudenza contrastante.
1. Introduzione. - L’art. 2402 c.c., attraverso la
regola dell’onerosità della carica di sindaco
nonché la previsione della predeterminazione e
dell’invariabilità del compenso, è espressione
della volontà del legislatore di munire l’attività
dei sindaci di particolari presidi di indipendenza.
determinazione del compenso la giurisprudenza
ritiene applicabile l'art. 2233 c.c. Cass. civ., sez.
II, 16 dicembre 1983, n. 7424, Giust. civ. Mass.
1983, fasc. 11; App. Napoli, 10 giugno 1992,
Società 1992, 1377. (7968/960).
2. Il rapporto determinazione compenso /
natura dell'incarico. Giurisprudenza di
legittimità. - In ragione della finalità della norma,
deve ritenersi che l’incarico di sindaco sia
essenzialmente oneroso, con conseguente
invalidità delle clausole statutarie che ne
prevedono la gratuità. Cass. civ., sez. I, 31 maggio
2008, n. 14640, Guida al diritto 2008, 41, 57.
(7968/960).
4. La mancata determinazione del compenso.
Giurisprudenza contrastante.- Qualora non sia
deliberato il compenso dei sindaci, secondo parte
della giurisprudenza non è invalida la delibera di
nomina (Cass. civ., sez. II, 16 dicembre 1983, n.
7424, Giust. civ. Mass. 1983, fasc. 11; App.
Napoli, 10 giugno 1992, Società 1992, 1377
(7968/960)), altra parte della giurisprudenza
propende, invece, per l'invalidità (Trib. Cosenza,
10 luglio 1985, Società 1985, 1200; Trib. Napoli,
7
aprile
1972
(7968/960)).
3. La determinazione del compenso.
Giurisprudenza consolidata. – Per la
2403. Doveri del collegio sindacale (1). – [I]. Il collegio sindacale vigila sull'osservanza della
legge e dello statuto, sul rispetto dei principi di corretta amministrazione ed in particolare
sull'adeguatezza dell'assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla società e
sul suo concreto funzionamento.
[II]. Esercita inoltre il controllo contabile nel caso previsto dall'articolo 2409-bis, terzo
comma.
(1) V. nota al Capo V.
Sommario: 1. Introduzione. - 2. Il dovere di vigilanza e controllo. Giurisprudenza consolidata. - 3. Il dissenso
come causa di esonero da responsabilità. Giurisprudenza di merito. - 4. La non sindacabilità da parte dei sindaci
nel merito delle scelte gestorie degli amministratori. Giurisprudenza consolidata.
1. Introduzione. – Con la Riforma è stato
sostanzialmente riqualificata la portata dell'art.
2403.
Molti dei doveri del collegio sindacale sono stati
sotanzialmente rivisti.
Mentre i poteri del collegio sindacale trovano
sistemazione nel nuovo art. 2403 bis.
2. Il dovere di vigilanza e controllo.
Giurisprudenza consolidata. - Il controllo del
collegio sindacale di una società per azioni non è
circoscritto all'operato degli amministratori, ma si
estende a tutta l'attività sociale (come è lecito
desumere dal disposto di cui agli art. 2403, 2405,
2377, comma 2, c.c.), con funzione di tutela non
solo dell'interesse dei soci, ma anche di quello,
concorrente, dei creditori sociali. Il diverso rilievo
causale di quanti (sindaci ed amministratori)
abbiano concorso alla causazione del danno,
inteso come insufficienza patrimoniale della
società, assume, poi, rilievo nei soli rapporti
interni tra coobbligati (ai fini dell'eventuale
esercizio dell'azione di regresso), e non anche nei
rapporti esterni che legano gli autori dell'illecito al
danneggiato (società, creditori sociali, singoli soci
e terzi), giusto il principio generale di solidarietà
tra coobbligati di cui all'art. 2055, comma 1, c.c.
(sancito
espressamente
in
materia
di
responsabilità extracontrattuale, ma applicabile,
altresì, in tema di responsabilità contrattuale,
quand'anche il danno derivi dall'inadempimento di
contratti diversi, quand'anche la responsabilità
abbia, per alcuni dei danneggianti, natura
contrattuale, e, per altri, natura extracontrattuale),
ribadito, con specifico riguardo ai sindaci della
società, dall'art. 2407, comma 2, c.c., che esclude
la legittimità di una commisurazione percentuale
della responsabilità dei sindaci all'entità del loro
concorso nella causazione dell'evento dannoso.
Cass. civ., sez. I, 28 maggio 1998, n. 5287,
Fallimento 1999, 397. (7968/924).
Il dovere di vigilanza e di controllo imposto ai
sindaci delle societa` per azioni dall’art. 2403 cod.
civ. concerne l’operato degli amministratori e
tutta l’attivita` sociale, al fine di assicurare che la
stessa venga svolta nel rispetto della legge e
dell’atto costitutivo. Cass. civ., sez. I, 6 settembre
2007, n. 18728; Cass. civ., sez. I, 24 marzo 1999,
n. 2772. (7968/924).
Quanto all'annotazione del dissenso quale causa di
esonero da responsabilità, la giurisprudenza di
merito ha ritenuto applicarsi la stessa dicsciplina
prevista per gli amministratori. App. Torino, 9
luglio 1975, Giur. comm. 1976, II, 871.
(7968/924).
4. La non sindacabilità da parte dei sindaci nel
merito
delle
scelte
gestorie
degli
amministratori. Giurisprudenza consolidata. –
Resta tuttavia fermo che esso è finalizzato alla
verifica dell'osservanza della legge e dell'atto
costitutivo (art. 2403, primo comma, c.c.) e non
può
quindi
estendersi
anche
all'esame
dell'opportunità e della convenienza delle scelte
gestionali, il cui apprezzamento è riservato alla
competenza esclusiva degli amministratori e dei
soci. Cass. civ., sez. I, 28 maggio 1998, n. 5287,
Fallimento 1999, 397. (7968/924).
3. Il dissenso come causa di esonero da
responsabilità. Giurisprudenza di merito. -
2403 bis. Poteri del collegio sindacale (1). – [I]. I sindaci possono in qualsiasi momento
procedere, anche individualmente, ad atti di ispezione e di controllo.
[II]. Il collegio sindacale può chiedere agli amministratori notizie, anche con riferimento a
società controllate, sull'andamento delle operazioni sociali o su determinati affari. Può altresì
scambiare informazioni con i corrispondenti organi delle società controllate in merito ai
sistemi di amministrazione e controllo ed all'andamento generale dell'attività sociale.
[III]. Gli accertamenti eseguiti devono risultare dal libro previsto dall'articolo 2421, primo
comma, n. 5).
[IV]. Nell'espletamento di specifiche operazioni di ispezione e di controllo i sindaci sotto la
propria responsabilità ed a proprie spese possono avvalersi di propri dipendenti ed ausiliari
che non si trovino in una delle condizioni previste dall'articolo 2399.
[V]. L'organo amministrativo può rifiutare agli ausiliari e ai dipendenti dei sindaci l'accesso a
informazioni riservate.
(1) V. nota al Capo V.
2404. Riunioni e deliberazioni del collegio (1). – [I]. Il collegio sindacale deve riunirsi
almeno ogni novanta giorni. La riunione può svolgersi, se lo statuto lo consente indicandone
le modalità, anche con mezzi di telecomunicazione (2).
[II]. Il sindaco che, senza giustificato motivo, non partecipa durante un esercizio sociale a due
riunioni del collegio decade dall'ufficio.
[III]. Delle riunioni del collegio deve redigersi verbale, che viene trascritto nel libro previsto
dall'articolo 2421, primo comma, n. 5), e sottoscritto dagli intervenuti.
[IV]. Il collegio sindacale è regolarmente costituito con la presenza della maggioranza dei
sindaci e delibera a maggioranza assoluta dei presenti. Il sindaco dissenziente ha diritto di fare
iscrivere a verbale i motivi del proprio dissenso.
(1) V. nota al Capo V.
(2) V. Avviso di rettifica in G.U. 4 luglio 2003, n. 153.
Sommario: 1. L'uso dei mezzi di telecomunicazione. - 2. Il verbale di riunione. - 3. La decadenza per
assenteismo.
1. L'uso dei mezzi di telecomunicazione. – La
clausola statutaria che consente lo svolgimento
delle riunioni con mezzi di telecomunicazione,
deve assicurare che tutti i partecipanti possano
prendere parte attivamente ed intempo reale alla
discussione e votare simultaneamente. Trib.
Roma, 24 febbraio 1997, Società 1997, 695.
(7968/876).
2. Il verbale di riunione. – La giurisprudenza di
merito ha ritenuto che la verbalizzazione debba
avvenire contestualmente o immediatamente dopo
la riunione, la sua trascrizione, invece, anche in un
momento successivo. Trib. Milano, 15 luglio
1982, Riv. Dott. Comm. 1983, 1010. (7968/876).
La giurisprudenza di legittimità ha ritenuto
legittima la trascrizione nel libro dei verbali
successivamnete alla vidimazione di verbali di
riunioni redatti originariamente su fogli separati.
Cass. civ., sez. I, 7 maggio 1992, n. 5422, Giust.
civ. Mass. 1992, fasc. 5, Giur. it. 1993, I, 1, 366,
Foro it. 1993, I, 2922. (7968/876).
Il
verbale
assume
rilevanza
ai
fini
dell'accertamento della responsabilità dei sindaci.
Trib. Napoli, 7 aprile 1992, Società 1992, 1107.
Quanto invece all'annotazione del dissenso quale
causa di esonero di responsabilità, analogamente a
quanto avviene per gli amministratori, si è
espressa in senso affermativo la giurisprudenza di
merito. App. Torino, 9 luglio 1975, Giur. comm.
1976, II, 871. (7968/900).
e 2405 c.c., applicabili anche alla società
cooperative per il richiamo disposto dall'art. 2516
c.c., si verifica in modo automatico, come
conseguenza dell'assenza ingiustificata del
sindaco dalle riunioni del collegio sindacale, dalle
adunanze del consiglio di amministrazione o dalle
assemblee, senza che a tal fine sia necessaria
alcuna deliberazione assembleare che, se
intervenuta, assume valore di accertamento
dichiarativo, e non costitutivo, della avvenuta
decadenza. Cass. civ., sez. I, 1 aprile 1982, n.
2009, Giust. civ. Mass. 1982, fasc. 4, Foro it.
1982, I, 1276, Giur. comm. 1982, II, 570.
(7968/900).
L'onere di giustificare l'assenza grava sul sindaco.
Trib. Genova, 27 aprile 1995, Società 1995, 1605.
Secondo la giurisprudenza non costituiscono
assenze rilevanti ai fini dell'applicazione
dell'istituto, quelle relative alle ispezioni effettuate
da uno o più sindaci. Trib. Genova, 19 luglio
1993, Giur. it. 1994, I, 2, 569. (7968/900).
Secondo parte della giurisprudenza non
costituisce causa di decadenza del collegio
sindacale la mancata riunione periodica o la
circostanza che il collegio sindacale non si sia
riunito due volte nel corso dell'esercizio. Trib.
Napoli, 16 marzo 1989, Società 1989, 1041; App.
Milano, 23 marzo 1954, Giur. it. 1954, I, 2, 569.
(7968/900).
Altra giurisprudenza ha conseguito una
determinazione di segno opposto. Trib. Milano, 9
giugno 1975, Giur. comm. 1976, II, 551.
(7968/900)
3. La decadenza per assenteismo. - La
decadenza dall'ufficio di sindaco di società per
azioni per una delle cause previste dagli art. 2404
2405. Intervento alle adunanze del consiglio di amministrazione e alle assemblee (1). –
[I]. I sindaci devono assistere alle adunanze del consiglio di amministrazione, alle assemblee e
alle riunioni del comitato esecutivo.
[II]. I sindaci, che non assistono senza giustificato motivo alle assemblee o, durante un
esercizio sociale, a due adunanze consecutive del consiglio d'amministrazione o del comitato
esecutivo, decadono dall'ufficio.
(1) V. nota al Capo V.
Sommario: 1. Differenza tra assenza ad assemblee ed adunanze del c.d.a. - 2. Esclusione della decadenza.
Giurisprudenza di legittimità. - 3. Effetti dell'assenza della maggioranza dei sindaci nelle riunioni ex art. 2366
comma 4. Giurisprudenza contrastante
1. Differenza tra assenza ad assemblee ed
adunanze del c.d.a.. – La disposizione
differenzia l'assenza dei sindaci nel caso di
assemblea e nel caso di adunanza del c.d.a.
Nel primo caso, infatti, una sola assenza comporta
la decadenza di cui all'art. 2406 c.c.
2. Esclusione della decadenza. Giurisprudenza
di legittimità. - La decadenza dalla carica dei
sindaci che non sono intervenuti alle assemblee
sociali a norma dell'art. 2405 c.c. non opera
quando, come nel caso delle assemblee (ordinarie
o straordinarie) di prima convocazione andate
deserte, un'adunanza dei soci della società per
azioni sia, in effetti, mancata. Cass. civ., sez. I, 7
marzo 1992, n. 2764, Giust. civ. Mass. 1992, fasc.
3. (7968/900).
3. Effetti dell'assenza della maggioranza dei
sindaci nelle riunioni ex art. 2366 comma 4.
Giurisprudenza contrastante. - Il quarto comma
dell'art. 2366 prevede che la riunione posssa
tenersi senza formalità per la convocazione
quando
sono
presenti
gli
organi
di
amministrazione e di controllo. Gli effetti
dell'assenza della maggiornaza dei sindaci in tali
casi sono dibattuti.
Secondo parte della giurisprudenza si tratterebbe
di delibere nulle (Cass. civ., sez. I, 15 marzo 1986,
n. 1768, Giur. comm. 1987, II, 83; Trib. Torino,
15 giugno 1964, Giust. Civ. 1964, I, 1874
(7968/900)),
secondo
altra
parte
della
giurisprudenza annullabili (Cass. civ., sez. I, 8
marzo 2000 n. 2624, Giur. it. 2000, 2089; App.
Milano, 22 dicembre 1978, F. pad. 1978, I, 377
(7968/900)).
2406. Omissioni degli amministratori (1). – [I]. In caso di omissione o di ingiustificato
ritardo da parte degli amministratori, il collegio sindacale deve convocare l'assemblea ed
eseguire le pubblicazioni prescritte dalla legge.
[II]. Il collegio sindacale può altresì, previa comunicazione al presidente del consiglio di
amministrazione, convocare l'assemblea qualora nell'espletamento del suo incarico ravvisi
fatti censurabili di rilevante gravità e vi sia urgente necessità di provvedere.
(1) V. nota al Capo V.
Sommario: 1. L'obbligo di convocare l'assemblea e di effettuare le iscrizioni in caso di omissione o ingiustificato
ritardo degli amministratori. - 2. Potere di convocare l'assemblea in costanza di fatti censurabili di rilevante
gravità.
1. L'obbligo di convocare l'assemblea e di
effettuare le iscrizioni in caso di omissione o
ingiustificato ritardo degli amministratori. –Il
primo comma della norma in esame può operare
solo in presenza di una omissione da parte degli
amministratori. Trib. Napoli, 24 gennaio 1996,
Società 1996, 817. (7968/840).
In mancanza di un termine fissato dalla legge,
l'obbligo per i sindaci inizia a decorrere dal
momento in cui è scaduto il termine per
adempiere per gli amministratori. Trib. Milano, 6
febbraio 1988, Giur. comm. 1989, II, 107.
(7968/840).
L'ingiustificato ritardo degli amministratori deve
essere valutato secondo criteri di diligenza. App.
Milano, 30 aprile 1991, Società 1991, 1366.
(7968/840).
Le deliberazioni dell'assemblea convocata dai
sindaci sull'erroneo presupposto che non avessero
provveduto gli amministratori, sono annullabili.
App. Bologna, 4 marzo 1995, Società 1995, 806;
Trib. Monza, 14 febbraio 1983, Giur. comm.
1983, II, 940. (7968/840).
2. Potere di convocare l'assemblea in costanza
di fatti censurabili di rilevante gravità. – Il
secondo comma della norma in esame prevede un
vero e proprio potere in capo ai sindaci da
esercitarsi solo secondo il dettato della norma.
Il requisito dei fatti censurabili rilevanti gravità, è
stato ritenuto soddisfatto da violazioni di legge e
dello statuto (App. Cagliari, 31 marzo 1965, Foro
pad. 1965, I, 738 (7968/840)) o dall'inosservanza
di regole riguardanti l'opportunità economica e
dall'inosservanza delle regole della tecnica (Trib.
Roma, 17 marzo 2003, Foro it. 2004, I, 939
(7968/840)).
2407. Responsabilità (1). – [I]. I sindaci devono adempiere i loro doveri con la
professionalità e la diligenza richieste dalla natura dell'incarico; sono responsabili della verità
delle loro attestazioni e devono conservare il segreto sui fatti e sui documenti di cui hanno
conoscenza per ragione del loro ufficio.
[II]. Essi sono responsabili solidalmente con gli amministratori per i fatti o le omissioni di
questi, quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità degli
obblighi della loro carica.
[III]. All'azione di responsabilità contro i sindaci si applicano, in quanto compatibili, le
disposizioni degli articoli 2393, 2393-bis, 2394, 2394-bis e 2395.
(1) V. nota al Capo V.
Sommario: 1. Introduzione. - 2. Sospensione del termine prescrizionale dell'azione di responsabilità nei
confronti dei sindaci. Giurisprudenza consolidata. - 3. Sulla responsabilità solidale sindaci/amministratori.
Giurisprudenza di legittimità.
1. Introduzione. – La norma, da un lato, va ad
integrarsi con l'art. 2403 in tema di doveri dei
sindaci, dall'altro, disciplina le azioni di
responsabilità nei confronti degli stessi.
solido non ha effetto riguardo agli altri. Trib.
Milano, 16 luglio 2008, Riv. Dir. soc. 2009, 1,
188; Trib. Lodi, 23 giugno 2006, n. 422, Dir. e
prat. soc. 2007, 7, 81. (7968/936).
2. Sospensione del termine prescrizionale
dell'azione di responsabilità nei confronti dei
sindaci. Giurisprudenza consolidata. - La
disciplina del decorso del termine di prescrizione
dell'azione di responsabilità verso i membri del
collegio sindacale è differente rispetto a quella
applicabile agli amministratori. Infatti, mentre per
questi ultimi il decorrere della prescrizione rimane
sospeso fino a quando gli organi amministrativi
rimangono in carica e ciò in forza dell'art. 2941,
comma 7, c.c., ai sindaci (e ai direttori della
società) non si applica tale norma, che va
considerata tassativamente delimitata agli
amministratori. Ciò è vero anche se si pensa al
fatto che i sindaci sono solidalmente responsabili
con gli organi amministrativi, ai sensi dell'art.
2407, comma 2, c.c., posto che l'art. 1310, comma
2, c.c. statuisce che la sospensione della
prescrizione nei rapporti di uno dei debitori in
3.
Sulla
responsabilità
solidale
sindaci/amministratori. Giurisprudenza di
legittimità. - Secondo l'orientamento della
Suprema Corte qualora, unitamente all'azione di
responsabilità contro gli amministratori di una
società, venga proposta azione di responsabilità
contro i componenti del collegio sindacale, per
non aver vigilato sul loro operato, le cause
promosse contro i sindaci, tra di loro scindibili ed
indipendenti, assumono carattere di dipendenza
nel rapporto con quelle proposte nei confronti
degli amministratori, l'accertamento della cui
responsabilità viene quindi, a configurarsi come
presupposto necessario per l'affermazione della
responsabilità dei sindaci. Cass. 9 marzo 1988, n.
2355; 22 giugno 1990, n. 6278; 7 maggio 1993, n.
5263. Cass. civ., sez. I, 28 maggio 1998, n. 5287;
Fallimento 1999, 397. (7968/936).
2408. Denunzia al collegio sindacale (1). – [I]. Ogni socio può denunziare i fatti che ritiene
censurabili al collegio sindacale, il quale deve tener conto della denunzia nella relazione
all'assemblea.
[II]. Se la denunzia è fatta da tanti soci che rappresentino un ventesimo del capitale sociale o
un cinquantesimo nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, il collegio
sindacale deve indagare senza ritardo sui fatti denunziati e presentare le sue conclusioni ed
eventuali proposte all'assemblea; deve altresì, nelle ipotesi previste dal secondo comma
dell'articolo 2406, convocare l'assemblea. Lo statuto può prevedere per la denunzia
percentuali minori di partecipazione.
(1) V. nota al Capo V.
Sommario: 1. Il richiamo dell'art. 2406 comma 2. - 2. Il raggiungimento delle soglie di capitale di cui al comma
2. - 3. Menzione della denunzia nella relazione. - 4. Convocazione dell'assemblea.
1. Il richiamo dell'art. 2406 comma 2. - L’art. in
esame richiama i fatti censurabili di rilevante
gravità previsti dall'art. 2406, comma 2, c.c.
2. Il raggiungimento delle soglie di capitale di
cui al comma 2. – La diligenza che deve
contraddistinguere l'attività dei sindaci impone a
questi di esaminare ogni denunzia anche se non si
raggiungessero le soglie di capitale indicate dalla
norma. Trib. Torino, 6 ottobre 1980, Giur. comm.
1981, II, 635. (7968/888).
Al raggiungimento, invece, delle aliquote di
capitale previste dalla norma, scatta l'obbligo di
indagare senza ritardo , anche se da un primo
esame emergesse che la denunzia era infondata e
darne riscontro nella relazione al bilancio. Trib.
Roma, 10 febbraio 1987, Dir fall. 1988, II, 338.
(7968/888).
3. Menzione della denunzia nella relazione. –
La mancata menzione della denunzia nella
relazione costituisce causa di responsabilità dei
sindaci ai sensi dell'art. 2407 c.c. Trib. Torino, 6
ottobre 1980, Giur. comm. 1981, II, 635; Trib.
Roma, 10 febbraio 1987, Dir fall. 1988, II, 338.
(7968/888).
4. Convocazione dell'assemblea. – Non è
necessaria la convocazione dell'assemblea qualora
non risulti fondata la denunzia. App. Milano, 27
febbraio 1992, Società 1992, 1078. (7968/888).
2409. Denunzia al tribunale (1). – [I]. Se vi è fondato sospetto che gli amministratori, in
violazione dei loro doveri, abbiano compiuto gravi irregolarità nella gestione che possono
arrecare danno alla società o a una o più società controllate, i soci che rappresentano il decimo
del capitale sociale o, nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, il
ventesimo del capitale sociale possono denunziare i fatti al tribunale con ricorso notificato
anche alla società. Lo statuto può prevedere percentuali minori di partecipazione.
[II]. Il tribunale, sentiti in camera di consiglio gli amministratori e i sindaci, può ordinare
l'ispezione dell'amministrazione della società a spese dei soci richiedenti, subordinandola, se
del caso, alla prestazione di una cauzione. Il provvedimento è reclamabile.
[III]. Il tribunale non ordina l'ispezione e sospende per un periodo determinato il procedimento
se l'assemblea sostituisce gli amministratori e i sindaci con soggetti di adeguata
professionalità, che si attivano senza indugio per accertare se le violazioni sussistono e, in
caso positivo, per eliminarle, riferendo al tribunale sugli accertamenti e le attività compiute.
[IV]. Se le violazioni denunziate sussistono ovvero se gli accertamenti e le attività compiute ai
sensi del terzo comma risultano insufficienti alla loro eliminazione, il tribunale può disporre
gli opportuni provvedimenti provvisori e convocare l'assemblea per le conseguenti
deliberazioni. Nei casi più gravi può revocare gli amministratori ed eventualmente anche i
sindaci e nominare un amministratore giudiziario, determinandone i poteri e la durata.
[V]. L'amministratore giudiziario può proporre l'azione di responsabilità contro gli
amministratori e i sindaci. Si applica l'ultimo comma dell'articolo 2393.
[VI]. Prima della scadenza del suo incarico l'amministratore giudiziario rende conto al
tribunale che lo ha nominato; convoca e presiede l'assemblea per la nomina dei nuovi
amministratori e sindaci o per proporre, se del caso, la messa in liquidazione della società o la
sua ammissione ad una procedura concorsuale.
[VII]. I provvedimenti previsti da questo articolo possono essere adottati anche su richiesta del
collegio sindacale, del consiglio di sorveglianza o del comitato per il controllo sulla (2)
gestione, nonché, nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, del
pubblico ministero; in questi casi le spese per l'ispezione sono a carico della società.
(1) V. nota al Capo V.
(2) V. Avviso di rettifica in G.U. 4 luglio 2003, n. 153.
Sommario: 1. Introduzione. - 2. Ambito di apllicazione della norma. – 2.1. La ricorribilità in costanza di
liquidazione. Giurisprudenza contrastante. – 2.2. Applicabilità della norma alle s.r.l. Giurisprudenza
contrastante .- 3. Le gravi irregolarità. - 3.1. Le gravi irregolarità nella gestione. Giurisprudenza contrastante.
– 3.2. La dannosità delle gravi irregolarità. Giurisprudenza consolidata. - 3.3 L'attualità delle gravi irregolarità.
Giurisprudenza consolidata. – 3.4. La casistica delle gravi irregolarità. - 4. I soggetti legittimati a proporre la
denuncia. - 5. I provvedimenti del Tribunale. - 6. L'azione di responsabilità dell'amministratore giudiziario. - 7.
Rapporti tra procedimento ex art. 2409 e gli altri strumenti di tutela. – 8. La casistica.
1. Introduzione. - L’art. 2409 c.c. si sostanzia in
uno strumento di reazione che i soci (ovvero i
soggetti individuati nell'ultimo comma) possono
adottare per tutelare quello che la giurisprudenza
ha definito, talora, come un interesse generale
all’ordinato svolgimento dell’attività economica
(App. Milano, 14 febbraio 1994, Società 1994,
622; Trib. Cassino, 20 febbraio 1997, Società,
1997, 832; Trib. Como, 30 gennaio 1997, Società,
1997, 821; Trib. Milano, 7 luglio 1995; Trib.
Napoli, 14 luglio 1993, Società 1993, 1499
(7968/948)), altre volte, come interesse ad ad una
ordinata e regolare amministrazione (Cass. civ.,
27 marzo 1992, n. 3799, Società 1992, 942;
Cass.civ., 15 gennaio 1985, n. 60, Società 1985,
488; App. Lecce, 9 luglio 1990, Giur. merito
1990, 927; App. Milano, 18 aprile 1989, Società
1989, II, 826; Trib. Napoli, 29 marzo 1991,
Società 1991, 994; Trib. Udine, 22 giugno 1989,
Giur. comm. 1991, II, 323 (7968/948)).
2. Ambito di applicazione della norma. – Quello
dell'ambito dell'applicazione dell'art. 2409 è
sempre stato un problema che la giurisprudenza è
stata più volte chiamata a risolvere.
2.1. La ricorribilità in costanza di liquidazione.
Giurisprudenza contrastante. - Lo strumento
giuridico in esame è attuabile secondo parte
giurisprudenza anche in costanza di liquidazione
della società. Trib. Roma, 3 ottobre 1985, Giur.
comm. 1986, II, 609; Trib. Bergamo, 3 aprile
2001, Società 2001, 1224; Trib. Santa Maria
Capua Vetere, 19 luglio 2000, Giur. nap. 2000,
390; Trib. Napoli, 4 dicembre 1998, Dir. e giur.
1998, 508; Trib. Roma, 17 luglio 1998, Giur. it.
1999, 1458; Trib. Como, 7 novembre 1997, Giur.
it. 1999, 1459; Trib. Genova, 10 gennaio 1996.
(7968/948).
In senso contrario si sono invece espressi: Trib.
Pisa, 23 maggio 2001, Società 2001, 1223; App.
Venezia, 17 novembre 1998, Società 1999, 701;
Trib. Genova, 30 aprile 1991, Società 1991, 1523.
(7968/948).
2.2. Applicabilità della norma alle s.r.l.
Giurisprudenza contrastante. – L'applicabilità
della norma alle s.r.l. è stata oggetto di
valutazione anche della Corte Costituzionale, la
quale ne ha escluso l'illegittimità. Corte Cost., n.
481/05, Giur. comm. 2006, II, 799. (7968/948).
La giurisprudenza si è orientata verso la non
estendibilità della norma alle s.r.l. anche in
presenza di collegio sindacale. Trib. Palermo, 16
aprile 2004, Società 2005, 70; Trib. Terni, 9
aprile 2004, Foro it. 2005, I, 868; Trib. Pescara, 4
ottobre 2007. (7968/948).
Per l'estendibilità della norma alle s.r.l. con
collegio sindacale si è invece espresso: Trib.
Roma, 6 luglio 2004, Società 2004, 1385.
(7968/948).
3. Le gravi irregolarità. – La portata di tale
requisito ha sempre diviso la giurisprudenza,
come vedremo in relazione ai diversi profili.
3.1. Le gravi irregolarità nella gestione.
Giurisprudenza
contrastante.
–
La
giurisprudenza ha escluso che le irregolarità in
commento possano essere ricondotte al merito
dell’attività di gestione, ovvero all’opportunità o
meno della convenienza delle scelte adottate
dall’organo amministrativo. App. Roma, 3 aprile
2002, Gius. 2002, 1304; Trib. Venezia, 30
novembre 2001, Società 2002, 346; App. Brescia,
8 febbraio 2001, Foro it. 2001, I, 3383; Trib.
Brescia, 17 luglio 2000, Foro it. 2001, I, 3384;
Trib. Como, 30 ottobre 1998, Giur. it. 1999, 1980;
Trib. Como, 6 luglio 1998, Giur. it. 1999, 1458;
Trib. Milano, 26 novembre 1993, Società 1994,
1215; Trib. Milano, 9 aprile 1990, Foro it. 1991,
I, 1262; App. Torino, 7 novembre 1989, Società
1990, 778. (7968/948).
L'applicabilità della norma, invece, per parte della
giurisprudenza, si avrebbe in presenza di
irregolarità idonee a violare specifiche
disposizioni di legge o statutarie, ad esclusione di
tutte le violazioni di obblighi di natura generale.
Cass. civ., 12 novembre 1965, n. 2359, Giust. civ.
1966, I, 1149; Cass. civ., 6 marzo 1970, n. 558,
Foro it. 1970, I, 1728. (7968/948).
Per altra parte della giurisprudenza le irregolarità
si perfezionerebbero non solo in costanza di
violazioni di specifici doveri degli amministratori,
ma anche con la violazione dei più generali doveri
di agire in maniera informata, di agire con
diligenza (App. Roma, 3 aprile 2002, Gius. 2002,
1304 (7968/948)) e di agire senza conflitti di
interesse (Trib. Brescia, 17 luglio 2000, Foro it.
2001, I, 3384; Trib. Napoli, 23 marzo 1992,
Società 1992, 1097).
3.2. La dannosità delle gravi irregolarità.
Giurisprudenza consolidata. – La Riforma,
recependo
il
pregresso
orientamento
giurisprudenziale, ha introdotto l'elemento della
dannosità delle gravi irregolarità. Trib. Trapani,
10 agosto 2001, Società 2002, 868; Trib. Como,
19 marzo 1999, Iur. it. 2000, I, 2, 125; App.
Milano, 7 luglio 1995, Giur. it. 1995, I, 2, 593;
App. Milano, 27 febbraio 1992, Società 1992,
1078. (7968/948).
3.3 L'attualità delle gravi irregolarità.
Giurisprudenza consolidata. – Nonostante non
espressamente
previsto dalla
norma
la
giurisprudenza ha ritenuto che le gravi irregolarità
debbano essere attuali. App. Torino, 29 maggio
2007, Società 2008, 1245; Tribunale Tivoli, 6
marzo 2007; Trib. Santa Maria Capua Vetere, 4
maggio 2001, Società 2002, 69; Trib. Roma, 13
luglio 2000, Giur. it. 2000, 2103; Trib. Lecco, 19
febbraio 1999, Società 1999, 859; Trib. Como, 10
giugno 1998, Società 1999, 1459; Trib. Roma, 17
luglio 1998, Società 1999, 1458; Trib. Como, 7
novembre 1997, Società 1999, 1459; App. Milano,
27 febbraio 1992, Società 2002, 1078; Trib.
Napoli, 23 marzo 1992, Società 1992, 1097.
(7968/948).
Il Tribunale, dunque, non potrà intervenire se le
irregolarità sono sanate a seguito di apposito
intervento posto in essere dai medesimi
amministratori autori delle irregolarità stesse.
App. Bologna, 19 marzo 1982, Società 1987, 742;
Trib. Milano, 13 luglio 1984, Società 1984, 1357;
Trib. Milano, 10 ottobre 1985, Giur. comm. 1985,
II, 459. (7968/948).
Diversamente, nel caso in cui le irregolarità
persistano, la semplice sostituzione degli organi di
amministrazione e controllo non inibirà
l'instaurazione
o
la
prosecuzione
del
procedimento. Trib. Santa Maria Capua Vetere, 4
maggio 2001, Società 2002, 69; Trib. Roma, 13
luglio 2000, Giur. it. 2000, 2103; Trib. Lecco, 19
febbraio 1999, Società 1999, 859; Trib. Roma, 17
luglio 1998, Società 1999, 1458; Trib. Napoli, 23
marzo 1992, Società 1992, 1097. (7968/948).
3.4. La casistica delle gravi irregolarità. - La
casisitica delle gravi irregolarità vede il
riconoscimento delle stesse da parte dei Tribunali,
in caso di: omessa annotazione nel libro soci del
sequestro di quote sociali (Trib. Padova, 26 aprile
2004, Società 2005, 200 (7968/948)); mancata
approvazione o mancata redazione o tardivo
deposito di uno o più bilanci di esercizio (App.
Venezia, 14 settembre 1987 (7968/948)); mancata
convocazione dell'assemblea per l'approvazione
del bilancio (App. Milano, 15 luglio 1997
(7968/948));
mancata
convocazione
dell'assemblea per la nomina del collegio
sindacale o dei liquidatori (Trib. Como, 19 marzo
1999, Giur. it. 2000, 125; Trib. Bologna, 28
dicembre 1998, Giur. comm. 2001, II, 430
(7968/948)).
4. I soggetti legittimati a proporre la denuncia.
- Il custode nominato dal giudice con il
provvedimento di sequestro giudiziario delle
quote sociali è legittimato a proporre il ricorso ex
art. 2409 c.c. Trib. Milano 19 febbraio 1999,
Società 1999, 972. (7968/948).
I soci di maggioranza di una società di capitali
sono legittimati a promuovere il procedimento
previsto dall'art. 2409 c.c. Trib. Genova, 24 marzo
1989, Giur. comm. 1990, II, 670. (7968/948).
Anche il socio sovrano è stato ritenuto legittimato
ad attivare l'azione in oggetto. App. Roma, 15
gennaio 2003, Società 2003, 587. (7968/948).
Sono denunciabili anche irregolarità che possono
arrecare danno alle società controllate. In tale
ipotesi i soggetti legittimati a proporre la denuncia
sono sia i soci della controllante che i soci della
controllata cui si riferisce l'attività dannosa degli
amministratori della controllante, mentre i
provvedimenti del Tribunale possono essere
adottati soltanto nei confronti dellla controllante,
essendo questa ultima il soggetto passivo della
procedura. App. Milano, 10 marzo 2004, Giur.
merito 2004, I, 1632. (7968/948).
Sulla legittimazione della maggioranza sociale
alla proposizione del reclamo ex art. 2409 c.c.;
Trib. Milano, 30 ottobre 1986, Riv. dir. comm.
1987, II, 375; Trib. Milano, 15 ottobre 1985,
Giur. comm. 1986, II, 459; Trib. Roma, 9 gennaio
1970, Dir. fall. 1970, II, 216; Trib. Milano, 20
novembre1968, Riv. dir. comm. 1969, II, 221;
App. Bologna, 18 luglio 1957, Banca borsa e tit.
cred 1957, 595; App. Catania, 7 febbraio 1955,
Foro it. 1956, I, 113. (7968/948).
5. I provvedimenti del Tribunale. - Il
procedimento ex art. 2409 c.c. è finalizzato al
riassetto economico e contabile della società nel
caso in cui vengano denunziate gravi irregolarità
di gestione, per l'accertamento delle quali il
Tribunale può disporre ispezione giudiziale,
all'esito della quale il Tribunale medesimo adotta i
provvedimenti necessari per detto riassetto, a
meno che le irregolarità riscontrate siano di tale
gravità da imporre la revoca degli amministratori
e la nomina di un amministratore giudiziario,
potendo, solo in quest'ultimo caso, incidere sulle
prerogative dell'assemblea circa la nomina degli
amministratori (in forza di tale principio, la S.C.
ha confermato la decisione di merito che aveva
riconosciuto legittima la disapplicazione, da parte
dell'assemblea di una S.p.a., di un provvedimento
del Tribunale che, pur avendo escluso la
sussistenza di gravi irregolarità aveva imposto
all'assemblea la nomina di un consiglio
d'amministrazione di tre membri, in luogo
dell'amministratore unico esistente, trattandosi di
provvedimento illegittimo, sia per la carenza dei
presupposti, sia per l'assunzione di un contenuto
non previsto dall'art. 2409 c.c.). Cass. civ., sez. I,
9 aprile 1994, n. 3341, Giust. civ. Mass. 1994,
459. (7968/948).
I provvedimenti emessi dall'autorità giudiziaria a
norma dell'art. 2409 c.c. per il riassetto
amministrativo e contabile delle società per
azioni, sono atti di volontaria giurisdizione e non
assumono carattere contenzioso neppure quando
contengono, nei casi più gravi, la revoca degli
amministratori e dei sindaci, essendo questa
disposta nell'interesse della società ad una corretta
amministrazione, non in quanto nei confronti
degli amministratori vengano fatti valere dei
diritti soggettivi da parte di altri soggetti. Tali
provvedimenti, quindi, in quanto solo strumentali
e cautelari sono inidonei anche sotto tale profilo,
ad incidere su posizioni di diritto soggettivo, e
sono pertanto insuscettibili di ricorso per
cassazione ex art. 111 cost. Cass. civ., sez. I, 5
agosto 1987, n. 6720, Giust. civ. Mass. 1987,
fasc. 8-9. (7968/948).
Il decreto con cui la corte di appello in sede di
reclamo avverso un provvedimento del giudice
istruttore del tribunale, che a norma dell'art. 2409
c.c. abbia proceduto alla nomina di un
amministratore giudiziario di una società per
azioni, ne dichiari d'ufficio la nullità, perché
emesso da un organo interno non investito del
relativo potere spettante esclusivamente al
tribunale, non è ricorribile in cassazione ex art.
111 Cost., nè è impugnabile con regolamento di
competenza, non comportando alcuna decisione in
ordine alla competenza bensì configurando un
provvedimento di volontaria giurisdizione in
ragione della natura meramente strumentale e
cautelare, non contenziosa, dei provvedimenti
adottati dall'autorità giudiziaria, a norma dell'art.
2409 c.c., in materia di riassetto amministrativo e
contabile delle società per azioni. Cass. civ., sez.
I, 9 marzo 1990, n. 1927, Giust. civ. Mass. 1990,
fasc. 3. (7968/948).
I provvedimenti emanati dal tribunale ex art. 2409
c.c. sono per legge immediatamente esecutivi
nonostante reclamo. App. Torino, 25 ottobre
1988, Giur. it. 1988, II, 713. (7968/948).
Le spese del procedimento ex art. 2409 c.c.
possono essere compensate, in quanto sono
applicabili gli art. 91 ss. c.p.c. allorquando nel
medesimo procedimento confluiscano posizioni
giuridiche contrapposte. Trib. Napoli, 20 aprile
1999, Foro napoletano 1999, 144. (7968/948).
6.
L'azione
di
responsabiltià
dell'amministratore giudiziario. – L’esercizio
dell’azione di responsabilità è rimessa alla
valutazione discrezionale dell’amministratore
giudiziario. App. Milano, 1 giugno 1994, Giur. it.
1995, I, 2, 750; App. Milano, 27 febbraio 1992,
Società 1992, 1078. (7968/948).
7. Rapporti tra procedimento ex art. 2409 e gli
altri strumenti di tutela. - La denunzia al
tribunale ha funzione autonoma rispetto all’azione
di responsabilità promossa dall'amministratore
giudiziario mei confronti degli amministratori,
alla loro revoca per giusta causa, all’impugnativa
della deliberazione consiliare ed agli altri rimedi
previsti a favore dei soci nei confronti dell’organo
amministrativo.
Conseguentemente, il rimedio giuridico previsto
dalla norma in esame non può essere essere
considerato come residuale - nel senso di rimedio
attuabile soloquando non ve ne siano altri
disponibili. Il ricorso ex art. 2409 c.c., al
contrario, ha natura indipendente dagli altri rimedi
ed è concesso anche se le conseguenze delle gravi
irregolarita possono essere rimosse mediante
differenti strumenti giudiziari. Trib. Milano, 10
ottobre 1985, Giur. comm. 1986, II, 459; Trib.
Milano, 30 ottobre 1986, Società 1987, 185; Trib.
Milano, 21 dicembre 1987, Società 1988, 410;
Trib.Venezia, 11 dicembre 1987, Società 1988,
284; App. Cagliari, 13 febbraio 2004, Società
2004, 978. (7968/948).
8. La casistica. Giurisprudenza recente. - La
mancata adozione dei provvedimenti necessari per
far fronte alla diminuzione per perdite di oltre un
terzo del capitale sociale costituisce potenziale
fonte di danno per la società ed i terzi e giustifica
l’adozione dei provvedimenti di cui all’art. 2409
codice civile di revoca degli amministratori e di
nomina di un amministratore giudiziario. Trib.
Ancona, 13 gennaio 2009. (7968/948).
I componenti del collegio sindacale di una società
a responsabilità limitata sono legittimati ad
esperire il rimedio di cui alllart. 2409 c.c. nei casi
in cui la loro nomina sia obbligatoria per legge ex
art. 2477, commi 2 e 3, c.c. Trib. Napoli, 14
maggio 2008. (7968/948).
Non può essere proposta denuncia al tribunale ai
sensi dell'art. 2409 c.c. in caso di lamentata
invalidità della delibera assembleare, essendo
diversamente il suddetto strumento utilizzabile in
caso di gravi irregolarità nella gestione da parte
degli amministratori. Queste ultime, infatti,
attengono alla gestione della società e mai a
profili amministrativi ed organizzativi. Trib.
Salerno, 26 febbraio 2008. (7968/948).
Articolo 2410.Emissione.[I]. Se la legge o lo statuto non dispongono diversamente, l'emissione di
obbligazioni è deliberata dagli amministratori.
[II]. In ogni caso la deliberazione di emissione deve risultare da verbale redatto da notaio ed è
depositata ed iscritta a norma dell'articolo 2436.
La riforma del 2003 è intervenutata sulla disciplina delle obbligazioni sostanzialmente in tre
direzioni.Anzitutto ha attribuito agli amministratori e non all’assemblea, salvo diversa disposizione
statutaria, la competenza all’emissione delle obbligazioni ordinarie. Inoltre ha statuito la legittimità di tipi di
obbligazioni speciali (indicizzate e subordinate).Infine ha rivisto in aumento i limiti di emissione delle
obbligazioni.
Articolo 2411.Diritti degli obbligazionisti.[I]. Il diritto degli obbligazionisti alla restituzione del
capitale ed agli interessi può essere, in tutto o in parte, subordinato alla soddisfazione dei diritti di
altri creditori della società. [II]. I tempi e l'entità del pagamento degli interessi possono variare in
dipendenza di parametri oggettivi anche relativi all'andamento economico della società.
[III]. La disciplina della presente sezione (2) si applica inoltre agli strumenti finanziari, comunque
denominati, che condizionano i tempi e l'entità del rimborso del capitale all'andamento economico
della società.
Articolo 2412 .Limiti all'emissione. [I]. La società può emettere obbligazioni al portatore o
nominative per somma complessivamente non eccedente il doppio del capitale sociale, della riserva
legale e delle riserve disponibili risultanti dall'ultimo bilancio approvato. I sindaci attestano il
rispetto del suddetto limite. [II]. Il limite di cui al primo comma può essere superato se le
obbligazioni emesse in eccedenza sono destinate alla sottoscrizione da parte di investitori
professionali soggetti a vigilanza prudenziale a norma delle leggi speciali. In caso di successiva
circolazione delle obbligazioni, chi le trasferisce risponde della solvenza della società nei confronti
degli acquirenti che non siano investitori professionali. III]. Non è soggetta al limite di cui al primo
comma, e non rientra nel calcolo al fine del medesimo, l'emissione di obbligazioni garantite da
ipoteca di primo grado su immobili di proprietà della società, sino a due terzi del valore degli
immobili medesimi. [IV]. Al computo del limite di cui al primo comma concorrono gli importi
relativi a garanzie comunque prestate dalla società per obbligazioni emesse da altre società, anche
estere. [V]. Il primo e il secondo comma non si applicano all'emissione di obbligazioni effettuata da
società con azioni quotate in mercati regolamentati, limitatamente alle obbligazioni destinate ad
essere quotate negli stessi o in altri mercati regolamentati. [VI].Quando ricorrono particolari ragioni
che interessano l'economia nazionale, la società può essere autorizzata con provvedimento
dell'autorità governativa, ad emettere obbligazioni per somma superiore a quanto previsto nel
presente articolo, con l'osservanza dei limiti, delle modalità e delle cautele stabilite nel
provvedimento stesso. [VII]. Restano salve le disposizioni di leggi speciali relative a particolari
categorie
di
società
e
alle
riserve
di
attività
.
Sommario:1.Valore da assegnare agli immobili. Valore d’iscrizione in bilancio o valore di mercato? Giurisprudenza di
merito.
1.Valore da assegnare agli immobili.
Valore d’iscrizione in bilancio o valore di
mercato? Giurisprudenza di merito.
Rientra nei poteri di controllo di legalità
sostanziale del giudice dell'omologazione, la
valutazione della congruità e dell'attendibilità
della stima presentata dal perito sul valore
degli immobili di proprietà della società
offerti in garanzia in occasione dell'emissione
di un prestito obbligazionario eccedente il
limite del capitale sociale versato ed esistente
Trib.Roma,15gennaio1996,Giur. it. 1998, 95.
7968/1452
Articolo 2413.Riduzione del capitale. [I]. Salvo i casi previsti dal terzo, quarto e quinto comma
dell'articolo 2412, la società che ha emesso obbligazioni non può ridurre volontariamente il capitale
sociale o distribuire riserve se rispetto all'ammontare delle obbligazioni ancora in circolazione il
limite di cui al primo comma dell'articolo medesimo non risulta più rispettato. [II]. Se la riduzione
del capitale sociale è obbligatoria, o le riserve diminuiscono in conseguenza di perdite, non possono
distribuirsi utili sinché l'ammontare del capitale sociale, della riserva legale e delle riserve
disponibili non eguagli la metà dell'ammontare delle obbligazioni in circolazione.
Articolo 2414.Contenuto delle obbligazioni.[I]. I titoli obbligazionari devono indicare:
1) la denominazione, l'oggetto e la sede della società, con l'indicazione dell'ufficio del registro delle
imprese presso il quale la società è iscritta;
2) il capitale sociale e le riserve esistenti al momento dell'emissione;
3) la data della deliberazione di emissione e della sua iscrizione nel registro;
4) l'ammontare complessivo dell'emissione, il valore nominale di ciascun titolo, i diritti con essi
attribuiti, il rendimento o i criteri per la sua determinazione e il modo di pagamento e di rimborso,
l'eventuale subordinazione dei diritti degli obbligazionisti a quelli di altri creditori della società;
5) le eventuali garanzie da cui sono assistiti;
6) la data di rimborso del prestito e gli estremi dell'eventuale prospetto informativo.
Sommario:1.Opponibilità clausola rimborso anticipato. Giurisprudenza di merito.
1.Opponibilità
clausola
rimborso
anticipato. Giurisprudenza di merito. - La
clausola di rimborso anticipato, contenuta nel
regolamento di un prestito obbligazionario
emesso da una banca, è da intendersi alla
stregua di elemento letterale del titolo, ed in
quanto tale è opponibile a tutti i possessori
delle obbligazioni.
TribunaleSaluzzo,05dicembre2000,Giur.
2001, II, 710
comm.
Articolo 2414 Bis. Costituzione delle garanzie. [I]. La deliberazione di emissione di obbligazioni
che preveda la costituzione di garanzie reali a favore dei sottoscrittori deve designare un notaio che,
per conto dei sottoscrittori, compia le formalità necessarie per la costituzione delle garanzie
medesime. [II]. Qualora un azionista pubblico garantisca i titoli obbligazionari si applica il numero
5) dell'articolo 2414.
Sommario:1.Garanzie atipiche? Giurisprudenza di merito..- 2. Termine di costituzione delle garanzie. Giurisprudenza
di merito.
1.Garanzie atipiche? Giurisprudenza di
merito. - È legittima la delibera di assemblea di
società per azioni recante l'emissione di un
prestito obbligazionario garantito per mezzo di un
"trust".
Trib.Milano,27 dicembre 1996, Soc. 1997, 585.
7968/1404
2.Termine
di
costituzione
delle
garanzie.Giurisprudenza di merito. -
designazione del notaio, che dovrà compiere le
formalità necessarie per la costituzione delle
garanzie, potendo l'ipoteca essere costituita anche
in epoca successiva all'iscrizione, purché prima
della creazione dei titoli.
TribunaleRoma,13 dicembre 1988,Riv. Not. 1990,
520.
7968/1404
Ai fini dell'omologazione della deliberazione di
emissione di obbligazioni per un ammontare
eccedente il capitale sociale è sufficiente la
Articolo 2415.Assemblea degli obbligazionisti. [I]. L'assemblea degli obbligazionisti delibera:
1) sulla nomina e sulla revoca del rappresentante comune;
2) sulle modificazioni delle condizioni del prestito;
3) sulla proposta di amministrazione controllata e di concordato;
4) sulla costituzione di un fondo per le spese necessarie alla tutela dei comuni interessi e sul
rendiconto relativo;
5) sugli altri oggetti d'interesse comune degli obbligazionisti.
[II]. L'assemblea è convocata dagli amministratori o dal rappresentante degli obbligazionisti,
quando lo ritengono necessario, o quando ne è fatta richiesta da tanti obbligazionisti che
rappresentino il ventesimo dei titoli emessi e non estinti. [III]. Si applicano all'assemblea degli
obbligazionisti le disposizioni relative all'assemblea straordinaria dei soci e le sue deliberazioni
sono iscritte, a cura del notaio che ha redatto il verbale, nel registro delle imprese. Per la validità
delle deliberazioni sull'oggetto indicato nel primo comma, numero 2, è necessario anche in seconda
convocazione il voto favorevole degli obbligazionisti che rappresentino la metà delle obbligazioni
emesse e non estinte. [IV]. La società, per le obbligazioni da essa eventualmente possedute, non
può partecipare alle deliberazioni. [V]. All'assemblea degli obbligazionisti possono assistere gli
amministratori ed i sindaci.
Sommario:1.Pluralità di emissioni obbligazionarie. Giurisprudenza di legittimità..- 2. Inapplicabilità del divieto di cui
al IV comma. Giurisprudenza di merito.3.Modificazioni delle condizioni del prestito.Giurisprudenza di merito
1.Pluralità di emissioni obbligazionarie.
Giurisprudenza legittimità. - Nel caso in cui
una società abbia posto in essere una pluralità di
emissioni obbligazionarie, aventi caratteristiche
diverse, non vi è alcun interesse comune che leghi
tra loro i sottoscrittori dei singoli prestiti, ciascuno
dei quali è dotato di un proprio specifico
regolamento negoziale, al quale risultano estranei
i sottoscrittori degli altri prestiti. Ciò determina la
necessità di dar vita ad altrettante organizzazioni
degli obbligazionisti, con distinte assemblee (ed
eventualmente distinti rappresentanti comuni),
ciascuna delle quali è chiamata a deliberare su
materie di interesse comune dei sottoscrittori del
prestito al quale afferisce l'organizzazione.
L'eventuale modificazione delle condizioni di
ogni prestito richiede, pertanto, unicamente il
consenso dei sottoscrittori di quella particolare
emissione, nella peculiare forma assembleare
indicata dall'art. 2415 c.c., poiché soltanto ad essi
fa capo il relativo rapporto obbligatorio con la
società emittente; ne consegue che l'approvazione
della modifica con il concorso determinante dei
sottoscrittori di obbligazioni rivenienti da
un'emissione diversa comporta non già la mera
annullabilità, ma l'inesistenza della relativa
delibera, la cui impugnazione è sottratta al
termine di decadenza previsto dall'art. 2377,
comma 2, richiamato dall'art. 2416, comma 2,
c.c..
Cass.civ.,sez.I,n.7693,31marzo2006,Giust.
civ.
Mass. 2006, 3, Giur. comm. 2007, 3, 555.
7968/1380
2.Inapplicabilità del divieto di cui al IV
comma. Giurisprudenza di merito. - L'art.
2415 c.c. fa divieto alla società emittente di
partecipare alle deliberazioni dell'assemblea degli
obbligazionisti per le obbligazioni da essa
possedute, mentre è irrilevante la partecipazione
di soci della società emittente del prestito
obbligazionario ovvero di soci di una società
controllante l'emittente.
Trib.Milano,18settembre1989,Giur. comm. 1991,
II,507.
7968/1380
3.Modificazioni alle condizioni del prestito.
Giurisprudenza di merito. - L'emissione di
un prestito obbligazionario è regolata dalla legge
appunto nella struttura del mutuo, mentre gli
interessi comuni, che delineano i confini oltre lo
scopo delle delibere dell'assemblea degli
obbligazionisti, vengono espressamente definiti
come propri degli obbligazionisti medesimi e non
della società. Deve quindi aversi riguardo al
fondamentale aspetto degli interessi che
provengono da un gruppo organizzato di creditori
sociali. Da questo punto di vista, deve concludersi
che la rinuncia agli interessi del mutuo, pur
riguardata sotto il profilo del futuro svolgimento
del rapporto, omettendo di considerare la rinuncia
agli interessi pregressi, comporta una modifica
sostanziale del rapporto trasformandolo da
contratto a prestazioni corrispettive a contratto a
titolo gratuito o, comunque in un mutuo oneroso
per via della svalutazione monetaria. Tale
rinuncia, presa dalla maggioranza di un'assemblea
di obbligazionisti di una società, ben può,
pertanto, essere impugnata ex art. 2416 c.c.
La rinuncia, per il futuro, agli interessi derivanti
dal possesso di obbligazioni costituisce modifica
sostanziale delle condizioni del prestito, che può
essere legittimamente deliberata dall'assemblea
degli obbligazionisti a maggioranza solo se
sorretta da congrua motivazione del concreto
interesse
del
gruppo.
La
competenza
dell'assemblea degli obbligazionisti a modificare
le condizioni del prestito non può riguardare
situazioni pregresse, quali gli interessi già
maturati, che essendo ormai entrate a far parte del
patrimonio del singolo creditore devono essere
approvate con il consenso di ogni interessato.
Trib.Milano,18settembre1989,Giur. comm. 1991,
II,507
7968/1380
La trasformazione di obbligazioni non convertibili
in obbligazioni convertibili non appare
compatibile con la disciplina normativa sia perché
implica non una modifica ma una trasformazione
sostanziale del rapporto, sia perché determina una
lesione del diritto di opzione dei soci.
Trib.Saluzzo,10 aprile 2001,Giur. comm. 2001, II,
623, Soc. 2001, 1367.
7968/1380
Articolo 2416.Impugnazione delle deliberazioni dell'assemblea.[I].Le deliberazioni prese
dall'assemblea degli obbligazionisti sono impugnabili a norma degli articoli 2377 e 2379. Le
percentuali previste dall'articolo 2377 sono calcolate con riferimento all'ammontare del prestito
obbligazionario e alla circostanza che le obbligazioni siano quotate in mercati regolamentati. [II].
L'impugnazione è proposta innanzi al tribunale, nella cui giurisdizione la società ha sede, in
contraddittorio del rappresentante degli obbligazionisti.
Sommario:1.Ipotesi di inesistenza della delibera. Giurisprudenza di legittimità..- 2.Legittimato passivo.
Giurisprudenza di merito.
1.Ipotesi di inesistenza della delibera.
Giurisprudenza legittimità. - Nel caso in cui
una società abbia posto in essere una pluralità di
emissioni obbligazionarie, aventi caratteristiche
diverse, non vi è alcun interesse comune che leghi
tra loro i sottoscrittori dei singoli prestiti, ciascuno
dei quali è dotato di un proprio specifico
regolamento negoziale, al quale risultano estranei
i sottoscrittori degli altri prestiti. Ciò determina la
necessità di dar vita ad altrettante organizzazioni
degli obbligazionisti, con distinte assemblee (ed
eventualmente distinti rappresentanti comuni),
ciascuna delle quali è chiamata a deliberare su
materie di interesse comune dei sottoscrittori del
prestito al quale afferisce l'organizzazione.
L'eventuale modificazione delle condizioni di
ogni prestito richiede, pertanto, unicamente il
consenso dei sottoscrittori di quella particolare
emissione, nella peculiare forma assembleare
indicata dall'art. 2415 c.c., poiché soltanto ad essi
fa capo il relativo rapporto obbligatorio con la
società emittente; ne consegue che l'approvazione
della modifica con il concorso determinante dei
sottoscrittori di obbligazioni rivenienti da
un'emissione diversa comporta non già la mera
annullabilità, ma l'inesistenza della relativa
delibera, la cui impugnazione è sottratta al
termine di decadenza previsto dall'art. 2377,
comma 2, richiamato dall'art. 2416, comma 2,
c.c..
Cass.civ.,sez.I,n.7693,31marzo2006,Giur. comm.
2007, 3, 555.
7968/1380
2.Legittimato passivo. Giurisprudenza di
merito. - Il rappresentante degli obbligazionisti è
organo che la legge impone di istituire, ma non è
essenziale, in generale e sempre, per il
funzionamento
dell'assemblea
degli
obbligazionisti; nè in particolare la mancanza del
rappresentante vizia di per sè ogni e qualsiasi
decisione dell'assemblea sul versante deliberativo
o su quello esecutivo; può solo produrre
l'annullamento di specifiche deliberazioni assunte
a causa del mancato apporto informativo,
connaturato
alla
funzione
del
predetto
rappresentante
nell'assemblea
degli
obbligazionisti e non espletato in contrasto con
l'interesse collettivo degli obbligazionisti. Nel
caso in cui la nomina del rappresentante comune
degli obbligazionisti venga fatta dopo l'assunzione
di una deliberazione da parte dell'assemblea di
questi ultimi, il termine per impugnarla decorre
dalla data della sua assunzione e non da quella
della nomina del rappresentante predetto.
Il rappresentante comune è il soggetto passivo
delle impugnazioni delle delibere dell'assemblea
degli obbligazionisti; se il rappresentante non è
stato nominato al tempo della delibera può essere
nominato successivamente ad opera di chi intende
promuovere l'impugnazione.
App.Milano,17novembre1998,Soc. 1999, 194.
7968/1380
Articolo 2417.Rappresentante comune.[I]. Il rappresentante comune può essere scelto al di fuori
degli obbligazionisti e possono essere nominate anche le persone giuridiche autorizzate all'esercizio
dei servizi di investimento nonché le società fiduciarie. Non possono essere nominati rappresentanti
comuni degli obbligazionisti e, se nominati, decadono dall'ufficio, gli amministratori, i sindaci, i
dipendenti della società debitrice e coloro che si trovano nelle condizioni indicate nell'articolo 2399.
[II]. Se non è nominato dall'assemblea a norma dell'articolo 2415, il rappresentante comune è
nominato con decreto dal tribunale su domanda di uno o più obbligazionisti o degli amministratori
della società. [III]. Il rappresentante comune dura in carica per un periodo non superiore a tre
esercizi sociali (2) e può essere rieletto. L'assemblea degli obbligazionisti ne fissa il compenso.
Entro trenta giorni dalla notizia della sua nomina il rappresentante comune deve richiederne
l'iscrizione
nel
registro
delle
imprese.
Sommario:1.Nomina. Giurisprudenza di merito..- 2.Compenso. Determinazione. Giurisprudenza
2.1.Compenso.Soggetto
debitore.
Giurisprudenza
di
1.Nomina. Giurisprudenza di merito. - La
nomina di un rappresentante comune degli
obbligazionisti, come può arguirsi dalla lettura
dell'art. 2419 c.c., non è automatica "ex lege", nè
necessaria, ma rimessa alla valutazione
discrezionale degli obbligazionisti stessi, con la
conseguenza che, là dove tale figura non esista, le
determinazioni dell'assemblea speciale assunte
senza la sua partecipazione non solo presentano
tutti i requisiti strutturali tipici per essere
qualificate alla stregua di deliberazioni
assembleari, ma devono essere considerate valide.
Trib.Monza,13 giugno 1997,Soc. 1998, 175.
7968/1464
di merito.
legittimità
Il rappresentante degli obbligazionisti è organo
che la legge impone di istituire, ma non è
essenziale, in generale e sempre, per il
funzionamento
dell'assemblea
degli
obbligazionisti; nè in particolare la mancanza del
rappresentante vizia di per sè ogni e qualsiasi
decisione dell'assemblea sul versante deliberativo
o su quello esecutivo.
App.Milano,17novembre1998,Soc. 1999, 194.
7968/1464
2.Compenso.
Determinazione.
Giurisprudenza di merito - La competenza
dell'assemblea degli obbligazionisti a determinare
il compenso del rappresentante comune sussiste
anche nel caso di nomina ad opera del tribunale.
Trib.Parma,10 gennaio 2005, Soc. 2005, 1423
7968/1464
2.Compenso.
Soggetto
debitore.
Giurisprudenza di legittimità.-Il compenso del
rappresentante comune deve ritenersi a carico
della stessa organizzazione degli obbligazionisti e
non della società.
Cass. civ., sez. I, 25 gennaio 1969, n. 69, Foro it.,
1970, I, 564.
7968/1464
Articolo 2418. Obblighi e poteri del rappresentante comune.[I]. Il rappresentante comune deve
provvedere all'esecuzione delle deliberazioni dell'assemblea degli obbligazionisti, tutelare gli
interessi comuni di questi nei rapporti con la società e assistere alle operazioni di sorteggio delle
obbligazioni. Egli ha diritto di assistere all'assemblea dei soci.[II]. Per la tutela degli interessi
comuni ha la rappresentanza processuale degli obbligazionisti anche nell'amministrazione
controllata, nel concordato preventivo, nel fallimento, nella liquidazione coatta amministrativa e
nell'amministrazione
straordinaria
della
società
debitrice.
Sommario:1.Obblighi.
Giurisprudenza
1.Obblighi. Giurisprudenza di merito. - Il
rappresentante comune degli obbligazionisti è
legittimato ad impugnare per conto degli stessi
tutti gli atti della società emittente lesivi dei loro
interessi.
di
merito.
Trib.Udine,31 ottobre 1992,Foro it. 1994, I, 621.
7968/1464
Articolo 2419.Azione individuale degli obbligazionisti. [I]. Le disposizioni degli articoli
precedenti non precludono le azioni individuali degli obbligazionisti, salvo che queste siano
incompatibili
con
le
deliberazioni
dell'assemblea
previste
dall'articolo
2415.
Articolo 2420.Sorteggio delle obbligazioni. [I]. Le operazioni per l'estrazione a sorte delle
obbligazioni devono farsi, a pena di nullità, alla presenza del rappresentante comune o, in
mancanza,
di
un
notaio.
Articolo 2420 Bis.Obbligazioni convertibili in azioni. [I]. L'assemblea straordinaria può
deliberare l'emissione di obbligazioni convertibili in azioni, determinando il rapporto di cambio e il
periodo e le modalità della conversione. La deliberazione non può essere adottata se il capitale
sociale non sia stato interamente versato. [II]. Contestualmente la società deve deliberare l'aumento
del capitale sociale per un ammontare corrispondente alle azioni da attribuire in conversione. Si
applicano, in quanto compatibili, le disposizioni del secondo, terzo, quarto e quinto comma
dell'articolo 2346. [III]. Nel primo mese di ciascun semestre gli amministratori provvedono
all'emissione delle azioni spettanti agli obbligazionisti che hanno chiesto la conversione nel
semestre precedente. Entro il mese successivo gli amministratori devono depositare per l'iscrizione
nel registro delle imprese un'attestazione dell'aumento del capitale sociale in misura corrispondente
al valore nominale delle azioni emesse. Si applica la disposizione del secondo comma dell'articolo
2444.[IV]. Fino a quando non siano scaduti i termini fissati per la conversione, la società non può
deliberare né la riduzione volontaria del capitale sociale, né la modificazione delle disposizioni
dello statuto concernenti la ripartizione degli utili, salvo che ai possessori di obbligazioni
convertibili sia stata data la facoltà, mediante avviso depositato presso l'ufficio del registro delle
imprese almeno novanta giorni prima della convocazione dell'assemblea, di esercitare il diritto di
conversione nel termine di trenta giorni dalla pubblicazione.[V]. Nei casi di aumento del capitale
mediante imputazione di riserve e di riduzione del capitale per perdite, il rapporto di cambio è
modificato in proporzione alla misura dell'aumento o della riduzione. [VI]. Le obbligazioni
convertibili in azioni devono indicare in aggiunta a quanto stabilito nell'articolo 2414, il rapporto di
cambio e le modalità della conversione.
Sommario:1.Natura. Giurisprudenza di merito- 2.Procedimento indiretto di emissione. Giurisprudenza di merito .- 3.
Rinuncia alla convertibilità. Giurisprudenza di merito
1.Natura. Giurisprudenza di merito. - Le
obbligazioni sociali incorporano un credito
pecuniario, dando il diritto alla percezione degli
interessi e al rimborso del valore nominale, cui si
associa, nel caso di obbligazioni convertibili,
anche il diritto - esercitabile in via alternativa al
rimborso - di sottoscrivere azioni, da liberare con
la somma già versata all'atto della sottoscrizione
delle obbligazioni; il rapporto sottostante si
configura, quindi, duplice: contratto di mutuo da
un lato e patto d'opzione (avente ad oggetto la
novazione del rapporto di mutuo rapporto di
società) dall'altro.
App.Genova,11luglio1994,Soc. 1995, 796.
7968/1368
2.Procedimento indiretto di emissione.
Giurisprudenza di merito. - E’ omologabile
la delibera di società per azioni di aumento del
capitale finalizzato, ex art. 2420 bis comma 2 c.c.,
alla conversione di un prestito obbligazionario
deliberato da distinta società.
Trib.Napoli,05ottobre1989,Vitanot.1989,177.
7968/1368
3.Rinuncia
alla
convertibilità.
Giurisprudenza di merito. - È legittima, e
può ordinarsene l'iscrizione nel registro delle
imprese, la deliberazione con la quale l'assemblea
straordinaria di una società per azioni utilizza per
la copertura della perdita integrale del capitale,
oltre che l'annullamento del capitale e di una
riserva costituita da sopravvenienze attive, anche
una parte dell'importo di un prestito
obbligazionario convertibile, la cui residua parte
viene impiegata per ricostituire il capitale, previa
deliberazione di revoca della convertibilità del
prestito assunta con il voto totalitario ed unanime
dei titolari dello stesso, che sono anche soci ed
hanno partecipato all'assemblea che ha assunto la
suddetta deliberazione.
App.Firenze,13 agosto 1993,Soc.1994, 615.
7968/1368
Articolo 2420 Ter. Delega agli amministratori.[I]. Lo statuto può attribuire agli amministratori la
facoltà di emettere in una o più volte obbligazioni convertibili, fino ad un ammontare determinato e
per il periodo massimo di cinque anni dalla data di iscrizione della società nel registro delle
imprese. In tal caso la delega comprende anche quella relativa al corrispondente aumento del
capitale sociale. [II]. Tale facoltà può essere attribuita anche mediante modificazione dello statuto,
per il periodo massimo di cinque anni dalla data della deliberazione. [III]. Si applica il secondo
comma
dell'articolo
2410.
SEZIONE VIII
Dei libri sociali
2421. Libri sociali obbligatori (1). – [I]. Oltre i libri e le altre scritture contabili prescritti
nell'articolo 2214, la società deve tenere:
1) il libro dei soci, nel quale devono essere indicati distintamente per ogni categoria il numero
delle azioni, il cognome e il nome dei titolari delle azioni nominative, i trasferimenti e i
vincoli ad esse relativi e i versamenti eseguiti;
2) il libro delle obbligazioni, il quale deve indicare l'ammontare delle obbligazioni emesse e di
quelle estinte, il cognome e il nome dei titolari delle obbligazioni nominative e i trasferimenti
e i vincoli ad esse relativi;
3) il libro delle adunanze e delle deliberazioni delle assemblee, in cui devono essere trascritti
anche i verbali redatti per atto pubblico;
4) il libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio di amministrazione o del consiglio
di gestione;
5) il libro delle adunanze e delle deliberazioni del collegio sindacale ovvero del consiglio di
sorveglianza o del comitato per il controllo sulla gestione;
6) il libro delle adunanze e delle deliberazioni del comitato esecutivo, se questo esiste;
7) il libro delle adunanze e delle deliberazioni delle assemblee degli obbligazionisti, se sono
state emesse obbligazioni;
8) il libro degli strumenti finanziari emessi ai sensi dell'articolo 2447-sexies.
[II]. I libri indicati nel primo comma, numeri 1), 2), 3), 4) e 8) sono tenuti a cura degli
amministratori o dei componenti del consiglio di gestione, il libro indicato nel numero 5) a
cura del collegio sindacale ovvero del consiglio di sorveglianza o del comitato per il controllo
sulla gestione, il libro indicato nel numero 6) a cura del comitato esecutivo e il libro indicato
nel numero 7) a cura del rappresentante comune degli obbligazionisti.
[III]. I libri di cui al presente articolo, prima che siano messi in uso, devono essere numerati
progressivamente in ogni pagina e bollati in ogni foglio a norma dell'articolo 2215.
(1) V. nota al Capo V.
Sommario: Introduzione. - 2. Libri sociali obbligatori. - 3. Iscrizione nel libro dei soci. - 4. La regolare tenuta
dei libri sociali. Giurisprudenza di legittimità.
1. Introduzione. - La norma in esame è stata
modificata dalla Riforma e può definirsi come una
norma riguardante le società di capitali, di
specificazione rispetto a quanto già previsto
dall’art. 2214 per tutte le attività imprenditoriali.
Di rilievo è anche l'abolizione del libro soci dalle
s.r.l. con legge del 28 gennaio 2009 n. 2.
2. Libri sociali obbligatori. - Ai libri sociali
obbligatori, previsti dall’art. 2214 per la generalità
degli imprenditori commerciali, vanno aggiunti
quelli propri della tipologia di impresa adottata.
Per le società per azioni l’art. 2421, sotto la
rubrica libri sociali obbligatori, individua il libro
dei soci, relativo a tutte le vicende sull’assetto
proprietario, il libro delle obbligazioni, il libro
delle
adunanze
e
delle
deliberazioni
dell’assemblea, del consiglio di amministrazione,
del collegio sindacale, del comitato esecutivo se
esiste e dell’assemblea degli obbligazionisti.
I libri indicati nel primo comma, numeri 1), 2), 3),
4) e 8) sono tenuti a cura degli amministratori o
da uno di essi a ciò delegato. Deve peraltro
ritenersi che, nel caso in cui gli amministratori
deleghino le proprie attribuzioni ad un organo
collegiale, le iscrizioni sul libro devono essere
effettuate a seguito di deliberazioni di tale organo,
a meno che uno dei suoi componenti non abbia
ricevuto apposita delega. Trib. Napoli, 6 dicembre
2000, Riv. notariato 2002, 210. (7968/1140).
3. Iscrizione nel libro dei soci. - Premesso che il
libro dei soci, nelle società di capitali, ha la
funzione di documentare il contenuto e le vicende
della "partecipazione sociale", l'iscrizione al suo
interno in una s.p.a. costituisce condizione
necessaria per esercitare alcuni diritti accessori di
natura economica, quali il diritto d'opzione,
nonché per l'accesso ai fondamentali strumenti di
controllo dell'attività sociale, quali il diritto di
impugnazione delle delibere assembleari ed il
diritto di denuncia ex art. 2409 c.c. Trib. Como,
21 dicembre 1998, Società 1999, 835.
(7968/1140).
L'acquirente di azioni di una s.p.a. è titolare di un
diritto soggettivo perfetto, nei confronti della
società, all'iscrizione nel libro dei soci. Pertanto, i
poteri di verifica al momento della trascrizione del
trasferimento di proprietà sono limitati al
controllo formale dell'esistenza e della regolarità
del negozio. Ne deriva l'inammissibilità di un
rifiuto di tale trascrizione, basato su di una
presunta simulazione relativa dell'atto traslativo
della proprietà delle azioni (nel caso di specie,
compravendita dissimulante una donazione),
trattandosi di un'ipotesi di nullità in cui non
sussiste un interesse concreto della società a farla
valere. Trib. Como, 21 dicembre 1998, Società
1999, 835, Giur. it. 1999, 1449. (7968/1140).
Inoltre le iscrizioni in esso contenute, in quanto
prive di ogni effetto dispositivo, debbono essere
rettificate ove si accerti la non rispondenza alla
realtà dei dati e delle situazioni iscritte.
(Applicazione fatta al caso in cui la partecipazione
di un socio al capitale sociale era stata iscritta per
un valore nominale superiore al reale valore del
capitale sottoscritto). Cass. Civ., sez. I, 17
dicembre 1997, n. 12752, Giust. civ. 1998, I,
1003, Giur. it. 1998, 1186, Vita not. 1998, 1650.
(7968/1140).
La qualità di socio, nel rapporto con società per
azioni, anche al fine della legittimazione con
riguardo alle controversie inerenti al rapporto
stesso, va individuata esclusivamente sulla base
delle indicazioni del libro dei soci, senza che
rilevi l'eventuale vendita dei titoli azionari a terzi,
in considerazione dell'inopponibilità del relativo
atto alla società medesima, prima del
perfezionarsi del cosiddetto transfert con la
iscrizione nel suddetto libro. Cass. civ., sez. I, 7
novembre 1989, n. 4647, Giust. civ. Mass. 1989,
fasc.11. (7968/1140).
In tema di società cooperative, la rivendicazione
della qualità di socio non richiede altro che la
allegazione della delibera di ammissione adottata,
all'uopo, dagli amministratori della società, atto
necessario e sufficiente a determinare, in via di
accettazione della proposta dell'aspirante, la
nascita del rapporto sociale, senza che
l'insorgenza della qualità di socio possa, altresì,
ritenersi condizionata all'annotazione della
delibera "de qua" nel libro soci (art. 2525, comma
2, c.c.) da parte degli stessi amministratori. Cass.
civ., sez. I, 28 gennaio 1999, n. 742, Giust. civ.
Mass. 1999, 182, Società 1999, 682. (7968/1140).
La delibera di ammissione di socio di cooperativa
ai sensi dell'art. 2525 c.c. ha valore costitutivo per
cui - anche in difetto della correlativa trascrizione
nel libro delle deliberazioni e in quello dei soci (di
cui agli art. 2421, 2516 c.c.), che ha funzione
meramente documentale - la prova della qualità di
socio può essere fornita dimostrando altrimenti
l'esistenza della suddetta delibera. Cass. civ., sez.
I, 2 aprile 1992, n. 4023, Giust. civ. 1993, I, 479,
Giur. it. 1993, I, 1, 2010. (7968/1140).
4. La regolare tenuta dei libri sociali.
Giurisprudenza di legittimità. - La società, nella
tenuta dei libri sociali obbligatori deve rispettare
le formalità intrinseche ed estrinseche indicate
dalla legge. Per formalità intrinseche si intendono
quelle relative al contenuto stesso dei libri e le
regole da seguire nella scritturazione, mentre le
formalità estrinseche attengono alla esteriretà del
libro e alla modalità di rappresentazione dei dati
contabili.
L'amministratore di una società, che tenga i libri
contabili in modo sommario e non intelligibile,
pone in essere atti illeciti potenzialmente idonei a
produrre pregiudizio alla società, e, quindi, tali da
giustificare la condanna al risarcimento del danno,
a seguito di azione di responsabilità promossa
dalla società stessa, a norma dell'art. 2932 c.c.
Cass. civ., sez. I, 19 dicembre 1985, n. 6493, Giur.
it.
1986,
I,
1,
374.
(7968/1140).
2422. Diritto d'ispezione dei libri sociali (1). – [I]. I soci hanno diritto di esaminare i libri
indicati nel primo comma, numeri 1) e 3) dell'articolo 2421 e di ottenerne estratti a proprie
spese.
[II]. Eguale diritto spetta al rappresentante comune degli obbligazionisti per i libri indicati nei
numeri 2) e 3) dell'articolo 2421, e al rappresentante comune dei possessori di strumenti
finanziari ed ai singoli possessori per il libro indicato al numero 8), ai singoli obbligazionisti
per il libro indicato nel numero 7) dell'articolo medesimo.
(1) V. nota al Capo V.
Sommario: 1. Introduzione. - 2. Diritto di ispezione dei libri sociali.Giurisprudenza consolidata. - 3. Diritto di
chiedere estratti a proprie spese. Giurisprudenza consolidata. - 4. Limiti al diritto d'informazione.
Giurisprudenza consolidata.
1. Introduzione. - L'articolo in esame prende in
considerazione sotto il profilo della legittimazione
all'esercizio del diritto d'ispezione esclusivamente
i soci e gli obbligazionisti. I soci hanno diritto di
esaminare i libri indicati nei numeri I e III
dell'articolo precedente, rispettivamente il libro
soci ed il libro delle adunanze e delle
deliberazioni dell'assemblea, e di ottenerne estratti
a proprie; il rappresentante comune degli
azionisti, ugualmente, ha diritto di consultare il
libro delle obbligazioni oltre il libro delle
adunanze e deliberazioni della assemblea sociale.
Eguale diritto spetta al rappresentante comune
degli obbligazionisti per i libri indicati nei numeri
II e III dell'articolo precedente, e ai singoli
obbligazionisti per il libro indicato nel numero
VII dell'articolo medesimo.
2. Diritto di ispezione dei libri sociali.
Giurisprudenza consolidata.– Tra i diritti del
socio di una società di capitali vi è quello di
informarsi
dell'attività
sociale,
mediante
l'ispezione dei libri sociali ex art. 2422, c.c., e
l'esame dello stato patrimoniale previsto dall’art.
2424, c.c. Pertanto, nel caso in cui il fidejussore
per l’obbligazione futura, cumulando la duplice
qualità di socio e di garante della società debitrice
principale, chiede di essere liberato dalle sue
obbligazioni nei confronti del creditore, ai sensi
dell'art. 1956, c.c., deve considerarsi legittima la
presunzione operata dal giudice di merito che
rigetti tale richiesta, basando il proprio
accertamento sulla presunzione che il fidejussore
era al corrente della situazione economica della
società, ed avrebbe potuto intervenire per
impedire eventi pregiudizievoli a sé ed alla stessa
società. Trib. Bari, sez. I, 10 maggio 2008, n.
1168, Giurisprudenzabarese.it 2008. (7968/1152).
Il diritto del socio di ispezionare i libri sociali si
estende agli atti e documenti aventi funzione
accessoria. Nella specie, è stato accertato il diritto
del socio a ispezionare l'elenco degli intervenuti in
assemblea e le relative deleghe. Il diritto di
ispezione dei libri sociali, previsto dall'art. 2422
c.c., si estende, dunque, anche alle deleghe
rilasciate per l'esercizio del diritto di voto, in
funzione della tutela degli interessi del
rappresentato. Ed infatti, ove la partecipazione dei
soci sia stata indiretta, la verifica della validità
delle deliberazioni assembleari, che si attua
attraverso l'esame dell'elenco nominativo dei
partecipanti,
elemento
essenziale
della
verbalizzazione prescritta dall'art. 2375 c.c., in
quanto fonte primaria di prova della composizione
dell'assemblea, non può prescindere dall'esame
delle deleghe di cui si tratta, avuto riguardo al
carattere incompleto dell'elenco degli intervenuti,
privo di indicazioni circa i contenuti e le modalità
di rilascio della procura. Cass. civ., sez. I, 20
giugno 2000, n. 8370, Giust. civ. Mass. 2000,
1345. (7968/1152).
Il socio impedito a recarsi personalmente presso la
sede sociale può incaricare un procuratore
speciale per l'esercizio del diritto di ispezionare il
libro soci ed il libro delle adunanze e delle
deliberazioni assembleari, non ostando a ciò alcun
diritto della società alla riservatezza sul contenuto
di tali libri. Trib. Crema, 22 febbraio 1990, Giur.
comm. 1990, II, 616. (7968/1152).
3. Diritto di chiedere estratti a proprie spese.
Giurisprudenza consolidata. – Il diritto di
chiedere estratti del libro dei soci previsto dall'art.
2422 c.c. non è un quid minus rispetto al diritto di
ispezionare il libro, previsto dalla stessa
disposizione di legge, ma è piuttosto lo strumento
pratico di attuazione di un diritto di
documentazione che potenzialmente ha lo stesso
oggetto e la stessa ampiezza del diritto di
ispezione. Conseguentemente tale diritto di
chiedere estratti non può ritenersi limitato a
posizioni personali del richiedente nè, nella
ipotesi di un'azienda di credito, dalla esistenza del
segreto di ufficio di cui all'art. 10 del r.d.l. 17
luglio 1937 n. 1400, convertito nella l. 7 marzo
SEZIONE IX
1938 n. 141 (cosiddetta legge bancaria), al quale è
assoggettata l'attività bancaria o di istituto, ma
anche la compagine sociale dell'azienda stessa.
Cass. civ., sez. I, 12 ottobre 1994, n. 8332, Giust.
civ. Mass. 1994, 1217. (7968/1152).
La nozione di "estratto" di cui è menzione nell'art.
2422 c.c. non ha nulla a che vedere con quella
contenuta nell'art. 2711 c.c. o nell'art. 212 c.p.c. È
piuttosto affine a quella cui si riferisce l'art. 212
c.p.c. ove è previsto che il giudice istruttore possa
"disporre che, in sostituzione dell'originale, si
esibisca copia anche fotografica o un estratto
autentico del documento"; ed anche a quella di cui
è menzione nell'art. 2718 c.c. ove le "riproduzioni
per estratto" sono poste sullo stesso piano delle
"copie parziali". In tali norme "estratto" è
pressoché sinonimo o equivalente di "copia", con
l'unica differenza che, mentre la copia riproduce
per intero l'originale, l'estratto riproduce
dell'originale solo le informazioni che interessa
rilevare. Lo stesso può dirsi riguardo al termine
"estratto" che compare nel testo dell'art. 2422 c.c.
Trib. Crema, 22 febbraio 1990, Giur. comm.
1990, II, 616. (7968/1152).
4. Limiti al diritto di informazione.
Giurisprudenza consolidata. - Il diritto di
informazione che spetta all'azionista sulla vita
della società e, in particolare, sul bilancio, trova
limiti nel superiore interesse della società a far sì
che non vengano divulgate informazioni che
potrebbero pregiudicare l'impostazione aziendale
o, più in generale, la vita della società, nonché
nella
necessità
di
improntare
l'attività
dell'assemblea ad una visione globale e di sintesi,
con la quale sono incompatibili risposte di minuto
dettaglio; poiché esso tende a far noti, entro tali
limiti, fatti non chiari o non evidenziati dagli
amministratori, dal suo ambito esula tutto ciò che
attiene ad una critica della politica aziendale della
società. Trib. Torino, 23 aprile 1979, Giur. comm.
1980, II, 442. (7968/1152).
La limitazione del diritto di documentazione del
socio alla richiesta di estratti (nella specie, del
libro soci) non è posta a tutela della riservatezza
delle operazioni imprenditoriali della società,
rappresentando, invece, lo strumento pratico di
attuazione di un diritto che potenzialmente ha lo
stesso oggetto e la stessa ampiezza del diritto di
ispezione. Cass. civ., sez. I, 12 ottobre 1994, n.
8332, Giust. civ. 1995, I, 123, Società 1995, 175,
Banca borsa tit. cred. 1995, II, 649, Nuova giur.
civ. commentata 1995, I, 1153. (7968/1152).
Del bilancio
2423. Redazione del bilancio (1). – [I]. Gli amministratori devono redigere il bilancio di
esercizio, costituito dallo stato patrimoniale, dal conto economico e dalla nota integrativa.
[II]. Il bilancio deve essere redatto con chiarezza e deve rappresentare in modo veritiero e
corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società e il risultato economico
dell'esercizio.
[III]. Se le informazioni richieste da specifiche disposizioni di legge non sono sufficienti a
dare una rappresentazione veritiera e corretta, si devono fornire le informazioni
complementari necessarie allo scopo.
[IV]. Se, in casi eccezionali, l'applicazione di una disposizione degli articoli seguenti è
incompatibile con la rappresentazione veritiera e corretta, la disposizione non deve essere
applicata. La nota integrativa deve motivare la deroga e deve indicarne l'influenza sulla
rappresentazione della situazione patrimoniale, finanziaria e del risultato economico. Gli
eventuali utili derivanti dalla deroga devono essere iscritti in una riserva non distribuibile se
non in misura corrispondente al valore recuperato.
[V]. Il bilancio deve essere redatto in unità di euro, senza cifre decimali, ad eccezione della
nota integrativa che può essere redatta in migliaia di euro.
(1) V. nota al Capo V.
Sommario: 1. Introduzione. - 2. La ratio dell’art. 2423 e la funzione del bilancio. Giurisprudenza consolidata. 3. Completezza dell'informazione. Giurisprudenza consolidata.
1. Introduzione. - La ratio dell’art. 2423 è quella
di fornire un’informazione il più possibile chiara,
completa e veritiera della situazione patrimoniale
della società, nell’interesse dei soci, dei terzi e
della stessa società. L’altra funzione del bilancio,
strettamente collegata con al prima, è quella di
misurazione dell’utile.
2. La ratio dell’art. 2423 e la funzione del
bilancio. Giurisprudenza consolidata. – Il
bilancio redatto e presentato dagli amministratori
di una società di capitali ha natura di mero
progetto, che il collegio sindacale ha il potere di
rivedere e correggere, e che acquista esistenza
giuridica
soltanto
con
l'approvazione
dell'assemblea. Ne consegue che la circostanza
della sua mancata approvazione, motivata dalla
opportunità di una riformulazione dello stesso
secondo le osservazioni dell'organo di controllo,
non è idonea a realizzare, neppure sul piano
potenziale, una situazione pregiudizievole (causa
o fonte di danno) per la società. (Nell'affermare il
principio di diritto che precede la S.C. ha
confermato la sentenza del giudice di merito che
aveva escluso la legittimità dell'impugnazione, da
parte di un socio, della delibera con la quale
l'assemblea aveva deliberato di soprassedere
all'approvazione del bilancio sollecitando nel
contempo il consiglio di amministrazione a
riformularne la relativa proposta sulla base delle
osservazioni mosse dal collegio sindacale). Cass.
civ., sez. I, 5 giugno 2003, n. 8989.
Nell’attuale orientamento giurisprudenziale sul
bilancio è stata più volte riconfermata la sua
funzione di “oggettiva informazione”. Il precetto
di chiarezza e precisione nella redazione del
bilancio di esercizio delle società di capitali, come
oggi espresso dall'art. 2423 c.c., è sancito a tutela
dell'interesse generale all'informazione circa la
situazione economica delle società di capitali e
quindi presenta autonoma rilevanza, non restando
subordinato al c.d. principio di verità del
documento contabile. Trib. Milano, 13 maggio
2002, Società 2003, 756. (7968/672).
Nella disciplina della formazione del bilancio il
principio di chiarezza va correlato con i principi
di verità e analiticità dell’esposizione delle poste
attive e passive, poiché viene considerato
strumentale dall’esigenza di ottenere un bilancio
esaustivo ed intelligibile. Cass. civ., 25 maggio
1994, n. 5097. (7968/684).
Il bilancio d'esercizio di una società di capitali,
che violi i precetti di chiarezza e precisione dettati
dall'art. 2423 comma 2 c.c. (anche nel testo
anteriore alle modificazioni apportate dal d.lg. n.
127 del 9 aprile 1991), è illecito, ed è quindi nulla
la deliberazione assembleare con cui esso sia stato
approvato, non soltanto quando la violazione della
normativa in materia determini una divaricazione
tra il risultato effettivo dell'esercizio (o il dato
destinato alla rappresentazione complessiva del
valore patrimoniale della società) e quello del
quale il bilancio dà invece certezza, ma anche in
tutti i casi in cui dal bilancio stesso e dai relativi
allegati non sia possibile desumere l'intera gamma
delle informazioni che la legge vuole siano fornite
per ciascuna delle singole poste iscritte. Cass. civ.,
sez. un., 21 febbraio 2000, n. 27, Nuova giur. civ.
commentata 2001, I, 331. (7968/684).
In sede di approvazione del bilancio di una società
per azioni, i chiarimenti richiesti e forniti dagli
amministratori ai soci, nel corso della seduta
assembleare che precede l'approvazione del
bilancio, assumono rilievo, non perché divengano
parte del documento di bilancio ed essi stessi
oggetto della successiva delibera di approvazione,
quanto piuttosto perché possono essere in
concreto idonei a fugare incertezze generate da
poste di bilancio non chiare; conseguentemente,
ove ciò si sia verificato, l'originario difetto di
chiarezza viene rimosso e con esso l'interesse a far
dichiarare la nullità della delibera di
approvazione, per violazione delle norme dirette a
garantirne la chiarezza, avendo l'attore già
conseguito, prima dell'esercizio dell'azione, per
effetto dei chiarimenti, il risultato che non
potrebbe, quindi, più ottenere giudizialmente.
Cass. civ., 9 maggio 2008, n. 11554. (7968/684).
Il socio che, avvalendosi del suo diritto
d'informazione, richieda chiarimenti in assemblea
su poste del bilancio non è tenuto, per ottenerle,
ad illustrare agli organi sociali "i dubbi e i
sospetti" che egli possa o meno nutrire in
proposito. Cass. civ., sez. un., 21 febbraio 2000, n.
27. (7968/684).
L'azionista ha interesse ad impugnare la
deliberazione assembleare di approvazione del
bilancio, per farne dichiarare la nullità, se tale
documento è stato redatto violando il principio di
chiarezza, anche quando non ne sia derivata
un'alterazione del risultato dell'esercizio: infatti la
rappresentazione contabile non fornisce ai soci e
ai terzi un'esatta informazione della situazione
economica e finanziaria della società (nella specie
per le rimanenze non figuravano i prodotti finiti,
nonostante la società ne avesse trattenuti in
quantità cospicua in attesa di spedirli a un cliente;
inoltre erano stati modificati, per altri beni rimasti,
i criteri di valutazione rispetto a quelli seguiti in
precedenti esercizi, senza che ne fosse data
un'adeguata spiegazione nella nota integrativa).
Trib. Milano, 13 maggio 2002. (7968/684).
Se il bilancio di esercizio non elude in modo
sostanziale il principio di verità la deliberazione di
approvazione dello stesso è semplicemente
annullabile. Trib. Bologna, 17 gennaio 1995.
(7968/684).
3.
Completezza
dell'informazione.
Giurisprudenza consolidata. - Il principio di
chiarezza, che ha autonomia e pari dignità rispetto
agli altri principi, implica la necessità di
completezza ed esaustività, imponendo l'obbligo
di fornire informazioni complementari integrative
rispetto agli standard legislativi minimali in
relazione alla pluralità di funzioni del bilancio ed
al destinatario fruitore. Trib. Milano, 5 novembre
2001. (7968/684).
Il bilancio d’esercizio, nel suo complesso, deve
fornire tutte le informazioni necessarie a garantire
una conoscenza dettagliata della composizione del
patrimonio della società e dei singoli elementi che
hanno determinato un certo risultato economico di
periodo. Cass. civ., 3 settembre 1996, n. 8048.
(7968/684).
La conoscenza completa ed esatta della realtà i cui
versa l’impresa deve essere dedotta dall’insieme
dei documenti che compongono il bilancio nonché
dalle risultanze del verbale di assemblea. Cass.,
16 dicembre 1982, n. 6942. (7968/684).
La violazione di cui all'art. 2423 bis c.c. da parte
degli amministratori che abbiano rappresentato
una situazione patrimoniale della società non
rispondente alla situazione effettiva (in base ai
criteri legali) di fatto evitando l'immediata
adozione dei provvedimenti richiesti dagli art.
2446 e 2447 c.c., non li espone automaticamente
alla responsabilità prevista dall'art. 2392 c.c. nè a
quella di cui all'art. 2043 c.c. Difatti, in tema di
responsabilità degli amministratori di società per
azioni, ai sensi del comma 1 art. 2392 c.c.,
l'eventuale esistenza di una denunciata violazione
di legge e la violazione delle prescrizioni stabilite
in materia di regolare tenuta della contabilità e di
fedele
rappresentazione
della
situazione
patrimoniale e finanziaria della società e del suo
andamento
economico
non
costituiscono
presupposto sufficiente all'accertamento di una
responsabilità risarcitoria degli amministratori, se
non si accompagna alla prova, - indispensabile in
ogni azione di risarcimento del danno - che da tali
e siffatte violazioni siano direttamente derivati
pregiudizi al patrimonio sociale. App. Milano, 13
febbraio 2004, Giustizia a Milano 2004, 52.
(7968/684).
Colui che impugna la deliberazione di
approvazione del bilancio di una s.p.a., quando la
difformità dai criteri e dai principi disposti dagli
art. 2423 e 2433 bis e ss. c.c., con violazione
dell'art. 2379 c.c., non sia messa in evidenza dagli
stessi documenti contabili che compongono il
bilancio, non può limitarsi a sollecitare
l'assunzione di mezzi come la consulenza tecnico
- contabile per approfondire l'operato degli
amministratori, ma è tenuto a dedurre i motivi
specifici da cui poter desumere la falsità della
voce contestata. App. Milano, 19 settembre 2000,
Giur. it. 2001, 1202. (7968/684).
2423 bis. Principi di redazione del bilancio (1). – [I]. Nella redazione del bilancio devono
essere osservati i seguenti principi:
1) la valutazione delle voci deve essere fatta secondo prudenza e nella prospettiva della
continuazione dell'attività, nonché tenendo conto della funzione economica dell'elemento
dell'attivo o del passivo considerato;
2) si possono indicare esclusivamente gli utili realizzati alla data di chiusura dell'esercizio;
3) si deve tener conto dei proventi e degli oneri di competenza dell'esercizio,
indipendentemente dalla data dell'incasso o del pagamento;
4) si deve tener conto dei rischi e delle perdite di competenza dell'esercizio, anche se
conosciuti dopo la chiusura di questo;
5) gli elementi eterogenei ricompresi nelle singole voci devono essere valutati separatamente;
6) i criteri di valutazione non possono essere modificati da un esercizio all'altro.
[II]. Deroghe al principio enunciato nel numero 6) del comma precedente sono consentite in
casi eccezionali. La nota integrativa deve motivare la deroga e indicarne l'influenza sulla
rappresentazione della situazione patrimoniale e finanziaria e del risultato economico.
(1) V. nota al Capo V.
Sommario: 1. Principi di redazione. - 2. Variazione dei criteri di valutazione. Giurisprudenza consolidata.
1. Principi di redazione. - Pur essendo attività
legislativamente regolata, la redazione dei bilanci
non sfugge a scelte discrezionali che ne possono
variare i risultati; l'apprezzamento del valore delle
società partecipate e l'ammontare degli
ammortamenti, costituiscono infatti esempi di
valutazioni che sono connaturate a tale attività, e
sulle quali come su molte altre appostazioni, vi
può essere una scelta discrezionale senza che per
ciò solo possa parlarsi di violazione del principio
di chiarezza e precisione. Nella discrezionalità
consentita
nello
stabilire
l'entità
delle
appostazioni, come di molte altre, deve
riconoscersi un merito proprio del governo delle
imprese nel perseguire obiettivi di rafforzamento
patrimoniale piuttosto che di redistribuzione del
capitale. In altri termini, gli organi sociali possono
scegliere, entro certi limiti, di perseguire politiche
di rafforzamento patrimoniale adottando criteri di
valutazione di assoluta prudenza sulla stima dei
beni che compongono il patrimonio sociale, e ciò
possono fare in considerazione di previsioni
economiche o fatti che consiglino queste scelte.
Sotto tale aspetto, il principio di chiarezza e
precisione non sarà violato per il solo fatto di aver
adottato scelte conservative, in vista di obiettivi di
solidità patrimoniale, ma potrà esserlo quando tali
scelte non siano evidenziate in maniera corretta.
Trib. Milano, sez. VIII, 15 maggio 2007, n. 5924,
Il merito 2007, 11, 39. (7968/684).
Il criterio di valutazione prudenziale da osservarsi,
alla stregua dell'art. 2423 bis, n. 1, c.c., nella
redazione del bilancio di una società di capitali,
vieta di omettere in detto bilancio perdite presunte
ricorrendo alla compensazione di dette perdite con
utili sperati, ed impedisce altresì l'inserimento nel
fondo rischi di una posta contabile del tutto esigua
rispetto all'ammontare del contenzioso (tributario
ed ordinario) della società. Trib. Napoli, 23
giugno 1995, Foro it. 1995, I, 3324. (7968/684).
Assumono rilevanza fiscale quei costi imputati nel
conto economico di una società, in applicazione
dei principi di prudenza e prevedibilità nella
valutazione dei fatti riguardanti la vita societaria,
aventi incidenza nel bilancio (art. 2423 bis c.c.),
qualora la certezza del loro sostenimento avvenga
nell'esercizio successivo, ma entro i termini per
l'approvazione del bilancio e per la presentazione
della dichiarazione. Comm. trib. prov.le Messina,
19 marzo 2008, n. 110, Riv. dir. trib. 2008, 9, 532.
(7968/684).
Ai fini della determinazione del reddito d'impresa,
il costo per le indennità dovute al personale per
ferie non godute è correttamente imputato
all'esercizio nel quale il dipendente ha maturato il
relativo diritto, a nulla rilevando - in ossequio al
principio secondo cui l'iscrizione in bilancio di
costi e ricavi deve avvenire per competenza e non
per cassa - che le indennità non siano state
materialmente erogate. In tale ultimo caso
tuttavia, ove nel successivo esercizio il lavoratore
recuperi le ferie non godute, perdendo così il
diritto all'indennità sostitutiva, l'importo di
quest'ultima
diviene
per
l'impresa
una
sopravvenienza attiva, imponibile ai sensi dell'art.
55 del d.P.R. n. 917 del 1986. Cass. civ., sez. trib.,
6 giugno 2007, n. 13224, Giust. civ. Mass. 2007,
10. (7968/684).
Il rispetto del precetto di chiarezza e precisione
nella redazione del bilancio deve attenersi alla
rappresentazione veritiera della situazione
contabile societaria, anche se ciò significa violare
il
principio
di
competenza.
Rientra
nell'applicazione di tale principio, il caso di
un'immobilizzazione materiale che, in forza di un
preliminare di vendita stipulato alla data di
chiusura del bilancio e prima della discussione per
l'approvazione dello stesso, era stato iscritto in
bilancio tenendo conto della sua reale
rivalutazione proprio per effetto della situazione
intervenuta. Trib. Milano, 13 febbraio 2003,
Giustizia a Milano 2003, 55. (7968/684).
2. Variazione dei criteri di valutazione.
Giurisprudenza consolidata. – I criteri di
valutazione non possono essere modificati da un
esercizio all'altro, se non in casi eccezionali e con
l'obbligo degli amministratori di motivare la
deroga nella nota integrativa e di illustrarne
l'influenza, dove tali effetti siano rilevanti o si
ripercuotano su una pluralità di voci interessate.
I criteri di valutazione delle poste iscritte in
bilancio
possono
essere
eccezionalmente
modificati solo in un documento contabile avente
la struttura giuridica e formale del bilancio. Trib.
Verona, 12 novembre 1993, Gius 1994, fasc. 4,
106. (7968/684).
Nella redazione del bilancio, di un criterio di
valutazione di un cespite patrimoniale diverso da
quello utilizzato negli esercizi precedenti senza
che la nota integrativa rechi un'adeguata
motivazione della deroga consentita dall'art. 2423
bis, comma 6, c.c. in casi eccezionali si traduce in
una violazione del principio di continuità dei
valori contabili, e comporta pertanto la nullità del
bilancio, attesa l'inderogabilità dei criteri di
valutazione dettati dall'art. 2426 c.c., la cui
funzione consiste nell'assicurare la trasparenza e
la leggibilità del bilancio da parte dei soci e dei
terzi. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha
cassato la sentenza impugnata, la quale, in tema di
Iva, aveva ritenuto illegittimo il recupero a
tassazione della differenza tra le rimanenze
iniziali iscritte nel bilancio di un società in
liquidazione e le rimanenze finali risultanti alla
data di chiusura dell'esercizio precedente,
rilevando che le prime erano state iscritte al costo
di acquisto e le seconde al valore di realizzazione,
ed escludendo quindi la possibilità di desumere da
tale variazione l'esistenza di vendite non
fatturate). Cass. civ., sez. trib., 7 maggio 2008, n.
11091, Giust. civ. Mass. 2008, 5, 666. (7968/684).
2423 ter. Struttura dello stato patrimoniale e del conto economico (1). – [I]. Salve le
disposizioni di leggi speciali per le società che esercitano particolari attività, nello stato
patrimoniale e nel conto economico devono essere iscritte separatamente, e nell'ordine
indicato, le voci previste negli articoli 2424 e 2425.
[II]. Le voci precedute da numeri arabi possono essere ulteriormente suddivise, senza
eliminazione della voce complessiva e dell'importo corrispondente; esse possono essere
raggruppate soltanto quando il raggruppamento, a causa del loro importo, è irrilevante ai fini
indicati nel secondo comma dell'articolo 2423 o quando esso favorisce la chiarezza del
bilancio. In questo secondo caso la nota integrativa deve contenere distintamente le voci
oggetto di raggruppamento.
[III]. Devono essere aggiunte altre voci qualora il loro contenuto non sia compreso in alcuna
di quelle previste dagli articoli 2424 e 2425.
[IV]. Le voci precedute da numeri arabi devono essere adattate quando lo esige la natura
dell'attività esercitata.
[V]. Per ogni voce dello stato patrimoniale e del conto economico deve essere indicato
l'importo della voce corrispondente dell'esercizio precedente. Se le voci non sono comparabili,
quelle relative all'esercizio precedente devono essere adattate; la non comparabilità e
l'adattamento o l'impossibilità di questo devono essere segnalati e commentati nella nota
integrativa.
[VI]. Sono vietati i compensi di partite.
(1) V. nota al Capo V.
2424. Contenuto dello stato patrimoniale (1). – [I]. Lo stato patrimoniale deve essere
redatto in conformità al seguente schema.
ATTIVO:
A) Crediti verso soci per versamenti ancora dovuti, con separata indicazione della parte già
richiamata.
B) Immobilizzazioni, con separata indicazione di quelle concesse in locazione finanziaria:
I - Immobilizzazioni immateriali:
1) costi di impianto e di ampliamento;
2) costi di ricerca, di sviluppo e di pubblicità;
3) diritti di brevetto industriale e diritti di utilizzazione delle opere dell'ingegno;
4) concessioni, licenze, marchi e diritti simili;
5) avviamento;
6) immobilizzazioni in corso e acconti;
7) altre.
Totale.
II - Immobilizzazioni materiali:
1) terreni e fabbricati;
2) impianti e macchinario;
3) attrezzature industriali e commerciali;
4) altri beni;
5) immobilizzazioni in corso e acconti.
Totale.
III - Immobilizzazioni finanziarie, con separata indicazione, per ciascuna voce dei crediti,
degli importi esigibili entro l'esercizio successivo:
1) partecipazioni in:
a) imprese controllate;
b) imprese collegate;
c) imprese controllanti;
d) altre imprese;
2) crediti:
a) verso imprese controllate;
b) verso imprese collegate;
c) verso controllanti;
d) verso altri;
3) altri titoli;
4) azioni proprie, con indicazione anche del valore nominale complessivo.
Totale.
Totale immobilizzazioni (B);
C) Attivo circolante:
I - Rimanenze:
1) materie prime, sussidiarie e di consumo;
2) prodotti in corso di lavorazione e semilavorati;
3) lavori in corso su ordinazione;
4) prodotti finiti e merci;
5) acconti.
Totale
II - Crediti, con separata indicazione, per ciascuna voce, degli importi esigibili oltre l'esercizio
successivo:
1) verso clienti;
2) verso imprese controllate;
3) verso imprese collegate;
4) verso controllanti;
4-bis) crediti tributari;
4-ter) imposte anticipate;
5) verso altri.
Totale.
III - Attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni:
1) partecipazioni in imprese controllate;
2) partecipazioni in imprese collegate;
3) partecipazioni in imprese controllanti;
4) altre partecipazioni;
5) azioni proprie, con indicazioni anche del valore nominale complessivo;
6) altri titoli.
Totale.
IV - Disponibilità liquide:
1) depositi bancari e postali;
2) assegni;
3) danaro e valori in cassa.
Totale.
Totale attivo circolante (C).
D) Ratei e risconti, con separata indicazione del disaggio su prestiti.
PASSIVO:
A) Patrimonio netto:
I - Capitale.
II - Riserva da soprapprezzo delle azioni.
III - Riserve di rivalutazione.
IV - Riserva legale.
V - Riserve statutarie.
VI - Riserva per azioni proprie in portafoglio.
VII - Altre riserve, distintamente indicate.
VIII - Utili (perdite) portati a nuovo.
IX - Utile (perdita) dell'esercizio.
Totale.
B) Fondi per rischi e oneri:
1) per trattamento di quiescenza e obblighi simili;
2) per imposte, anche differite;
3) altri.
Totale.
C) Trattamento di fine rapporto di lavoro subordinato.
D) Debiti, con separata indicazione, per ciascuna voce, degli importi esigibili oltre l'esercizio
successivo:
1) obbligazioni;
2) obbligazioni convertibili;
3) debiti verso soci per finanziamenti;
4) debiti verso banche;
5) debiti verso altri finanziatori;
6) acconti;
7) debiti verso fornitori;
8) debiti rappresentati da titoli di credito;
9) debiti verso imprese controllate;
10) debiti verso imprese collegate;
11) debiti verso controllanti;
12) debiti tributari;
13) debiti verso istituti di previdenza e di sicurezza sociale;
14) altri debiti.
Totale.
E) Ratei e risconti, con separata indicazione dell'aggio su prestiti.
[II]. Se un elemento dell'attivo o del passivo ricade sotto più voci dello schema, nella nota
integrativa deve annotarsi, qualora ciò sia necessario ai fini della comprensione del bilancio, la
sua appartenenza anche a voci diverse da quella nella quale è iscritto.
[III]. In calce allo stato patrimoniale devono risultare le garanzie prestate direttamente o
indirettamente, distinguendosi fra fideiussioni (2), avalli, altre garanzie personali e garanzie
reali, ed indicando separatamente, per ciascun tipo, le garanzie prestate a favore di imprese
controllate e collegate, nonché di controllanti e di imprese sottoposte al controllo di queste
ultime; devono inoltre risultare gli altri conti d'ordine.
[IV]. È fatto salvo quanto disposto dall'articolo 2447-septies con riferimento ai beni e rapporti
giuridici compresi nei patrimoni destinati ad uno specifico affare ai sensi della lettera a) del
primo comma dell'articolo 2447-bis.
(1) V. nota al Capo V.
(2) V. Avviso di rettifica in G.U. 4 luglio 2003, n. 153.
Sommario: 1. Patrimonio netto. Giurisprudenza consolidata. – 2. Conti d'ordine. Giurisprudenza di legittimità. –
3. Contratti di leasing. Giurisprudenza di legittimità
1.
Patrimonio
netto.
Giurisprudenza
consolidata. - Il fatto che il capitale sociale, non
diversamente dalle riserve e da tutte le altre poste
che concorrono a formare il patrimonio netto della
società, debba essere iscritto al passivo del
bilancio (art. 2424 c.c.) non vale a farlo
considerare alla stregua di una posta debitoria, il
cui annullamento o la cui riduzione comporti un
vantaggio patrimoniale della società, giacché
quelle poste non costituiscono passività, ma
identificano l'eccedenza delle attività rispetto alle
vere e proprie passività - rappresentando, quindi,
il "valore netto" del patrimonio di cui la società
può disporre - e la loro iscrizione nella colonna
del passivo risponde unicamente alla finalità
contabile di far coincidere il totale del passivo con
quello dell'attivo. Ne consegue che gli eventi
destinati ad incidere negativamente sul capitale o
sulle riserve (quale, nella specie, il rimborso delle
azioni a favore di soci che abbiano esercitato il
diritto di recesso in difetto dei relativi
presupposti) per ciò stesso implicano un
decremento di valore della società e, quindi,
costituiscono per essa un danno, senza che possa
assumere rilievo, in senso contrario, il venir meno
dell'obbligo di restituzione dei conferimenti ai
soci in sede di futura liquidazione della società,
giacché il rapporto che intercorre tra la società ed
i propri soci non può essere assimilato ad un
rapporto di credito e debito, anche solo potenziale,
nè il socio, in quanto tale, è qualificabile come
creditore della società, non avendo alcuna pretesa
che possa far valere direttamente sul patrimonio
sociale e divenendo titolare di un diritto alla quota
di liquidazione soltanto allorché si verifica una
causa di scioglimento del rapporto di società.
Cass. civ., sez. I, 8 novembre 2005, n. 21641,
Giust. civ. Mass. 2005, 11. (7968/672).
In tema di imposta straordinaria sul patrimonio
netto delle imprese, istituita dall'art. 1 d.l. 30
settembre 1992 n. 394, convertito in l. 26
novembre 1992 n. 461, il fondo iscritto in bilancio
per specifici oneri o passività, come la copertura
di perdite derivanti dalla verifica della polizia
tributaria, è un fondo specifico che, ai sensi
dell'art. 2, comma 2, d.m. 7 gennaio 1993 adottato in attuazione del d.l. n. 394 citato - non
va incluso nel patrimonio netto oggetto
dell'imposta in esame. Cass. Civ., sez. trib., 9
aprile 2008, n. 9184, Giust. civ. Mass. 2008, 4,
548. (7968/672).
Il capitale sociale viene intaccato dalle perdite
solo per quella parte che non è coperta da riserve.
App. Perugia, 30 giugno 1992. (7968/672).
2. Conti d'ordine. Giurisprudenza di
legittimità. – I conti d'ordine costituiscono un
elemento integrante dello stato patrimoniale,
quale elemento costitutivo del bilancio, secondo
l'art. 2423 comma 1 c.c., nel quale a norma del
successivo art. 2424, possono risultare i crediti
ceduti pro-solvendo. Conseguentemente, ai fini
della concorrenza al fondo rischi su crediti, risulta
rispettatala condizione formale richiesta dall'art.
66 comma 1 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597 (poi
art. 66 comma 3 del t.u.i.r. nella versione ante
i.re.s. e, ora, art. 101) dell'iscrizione dei crediti
risultanti dal bilancio anche se non inclusi nella
corrispondente voce dell'attivo del bilancio. Cass.
civ., sez. trib., 12 maggio 2006, n. 11080, Dir.
economia assicur. 2006, 2, 694. (7968/672).
3. Contratti di leasing. Giurisprudenza di
legittimità. - La società conduttrice di beni in
leasing deve imputare al conto economico i
canoni di leasing di competenza dell’esercizio,
esporre alla chiusura dell’esercizio, tra i conti
d’ordine l’impegno contrattuale assunto, costituito
dai canoni di locazione ancora dovuti. Il bene in
locazione deve essere iscritto nell’attivo dello
stato patrimoniale soltanto dopo aver esercitato il
c.d. diritto di riscatto e solo per il valore
effettivamente riscattato. Cass. civ., 29 dicembre
1989,
n.
5823.
(7968/672).
2424 bis. Disposizioni relative a singole voci dello stato patrimoniale (1). – [I]. Gli
elementi patrimoniali destinati ad essere utilizzati durevolmente devono essere iscritti tra le
immobilizzazioni.
[II]. Le partecipazioni in altre imprese in misura non inferiore a quelle stabilite dal terzo
comma dell'articolo 2359 si presumono immobilizzazioni.
[III]. Gli accantonamenti per rischi ed oneri sono destinati soltanto a coprire perdite o debiti di
natura determinata, di esistenza certa o probabile, dei quali tuttavia alla chiusura dell'esercizio
sono indeterminati o l'ammontare o la data di sopravvenienza.
[IV]. Nella voce: "trattamento di fine rapporto di lavoro subordinato" deve essere indicato
l'importo calcolato a norma dell'articolo 2120.
[V]. Le attività oggetto di contratti di compravendita con obbligo di retrocessione a termine
devono essere iscritte nello stato patrimoniale del venditore.
[VI]. Nella voce ratei e risconti attivi devono essere iscritti i proventi di competenza
dell'esercizio esigibili in esercizi successivi, e i costi sostenuti entro la chiusura dell'esercizio
ma di competenza di esercizi successivi. Nella voce ratei e risconti passivi devono essere
iscritti i costi di competenza dell'esercizio esigibili in esercizi successivi e i proventi percepiti
entro la chiusura dell'esercizio ma di competenza di esercizi successivi. Possono essere iscritte
in tali voci soltanto quote di costi e proventi, comuni a due o più esercizi, l'entità dei quali vari
in ragione del tempo.
(1) V. nota al Capo V.
Sommario: 1. Le immobilizazione finanziarie. Giurisprudenza di legittimità. - 2. Gli accantonamenti per rischi e
oneri. Giurisprudenza di merito.
1.
Le
immobilizazione
finanziarie.
Giurisprudenza di legittimità. - In tema di
redazione del bilancio di una società bancaria, la
qualificazione dei titoli rappresentativi delle
partecipazioni
in
altre
società
come
"immobilizzazioni finanziarie", in quanto
elementi
destinati
ad
essere
utilizzati
durevolmente nell'impresa, ovvero come facenti
parte del capitale circolante, è frutto di una scelta
discrezionale degli amministratori - non
censurabile in sede di impugnazione del bilancioma, una volta che essa sia stata operata, gli
amministratori sono obbligati ad iscrivere detti
titoli nel documento contabile, rispettivamente,
secondo il criterio del costo (art. 18, d.lg. n. 87 del
1992), ovvero sulla base dei più elastici parametri
espressamente previsti (art. 20, d.lg. n. 87 del
1992), essendo tuttavia ammissibile la successiva
modificazione
della
destinazione
e,
conseguentemente, del relativo criterio di
valutazione. (Principio enunciato in riferimento al
bilancio di una società bancaria al quale, "ratione
temporis", non erano applicabili le istruzioni
emanate dalla Banca d'Italia, ai sensi dell'art. 5,
d.lg. n. 87 del 1992 - sostanzialmente coincidenti
con la raccomandazione adottata dalla Consob in
data 15 febbraio 1995 e rielaborata in data 15
giugno 2001 - nel testo in cui, allo scopo di
evitare il rischio di abusi derivanti da un uso
strumentale del potere di destinazione dei titoli,
hanno fissato le modalità di individuazione
preventiva dei parametri di classificazione,
disponendo che, nel caso di modificazione della
destinazione, i titoli debbano continuare ad essere
valutati secondo il criterio previsto per la loro
destinazione originaria). Cass. civ., sez. I, 1 aprile
2005, n. 6911, Giust. civ. Mass. 2005, 4.
(7968/696).
I crediti verso clienti non possono essere
ricompresi tra le immobilizzazioni finanziarie ai
sensi dell'art. 2424 bis c.c., ma nell'attivo
circolante, generando possibili perdite e non
minusvalenze. Conseguentemente la cessione "pro
soluto" dei crediti - ritenuti inesigibili
dall'imprenditore e non rientranti in una procedura
concorsuale - risultano deducibili soltanto se
risultano da dati di riferimento precisi
comprovanti la perdita. Cass. Civ., sez. trib., 11
dicembre 2000, n. 15563, Giur. imp. 2001, 298,
Rass. trib. 2001, 1353. (7968/696).
2. Gli accantonamenti per rischi e oneri.
Giurisprudenza di merito. – I fondi rischi
costituiscono accantonamenti che debbono essere
effettuati a fronte di eventi negativi probabili,
quando se ne ammette l'accadimento in base a
motivi seri o attendibili, ma non certi, laddove, in
presenza di eventi possibili (ridotta probabilità di
realizzazione), si richiede soltanto un richiamo
informativo nella nota integrativa. Trib. Milano,
05 novembre 2001, Giur. it. 2002, 554.
(7968/696).
In sede di compilazione del bilancio di una società
per azioni - successivamente all'entrata in vigore
del d.l. n. 127 del 1991 - va iscritta alla voce
"fondo per rischi", di cui alla lett. b) dello schema
di passivo indicato dall'art. 2424 c.c., la pretesa
creditoria avanzata da terzi e assistita da una
probabilità di fondamento. Trib. Napoli, 10
giugno 1994, Foro it. 1995, I, 3328. (7968/696).
2425. Contenuto del conto economico (1). – [I]. Il conto economico deve essere redatto in
conformità al seguente schema:
A) Valore della produzione:
1) ricavi delle vendite e delle prestazioni;
2) variazioni delle rimanenze di prodotti in corso di lavorazione, semilavorati e finiti;
3) variazioni dei lavori in corso su ordinazione;
4) incrementi di immobilizzazioni per lavori interni;
5) altri ricavi e proventi, con separata indicazione dei contributi in conto esercizio.
Totale.
B) Costi della produzione:
6) per materie prime, sussidiarie, di consumo e di merci;
7) per servizi;
8) per godimento di beni di terzi;
9) per il personale:
a) salari e stipendi;
b) oneri sociali;
c) trattamento di fine rapporto;
d) trattamento di quiescenza e simili;
e) altri costi;
10) ammortamenti e svalutazioni:
a) ammortamento delle immobilizzazioni immateriali;
b) ammortamento delle immobilizzazioni materiali;
c) altre svalutazioni delle immobilizzazioni;
d) svalutazioni dei crediti compresi nell'attivo circolante e delle disponibilità liquide;
11) variazioni delle rimanenze di materie prime, sussidiarie, di consumo e merci;
12) accantonamenti per rischi;
13) altri accantonamenti;
14) oneri diversi di gestione.
Totale.
Differenza tra valore e costi della produzione (A - B).
C) Proventi e oneri finanziari:
15) proventi da partecipazioni, con separata indicazione di quelli relativi ad imprese
controllate e collegate;
16) altri proventi finanziari:
a) da crediti iscritti nelle immobilizzazioni, con separata indicazione di quelli da imprese
controllate e collegate e di quelli da controllanti;
b) da titoli iscritti nelle immobilizzazioni che non costituiscono partecipazioni;
c) da titoli iscritti nell'attivo circolante che non costituiscono partecipazioni;
d) proventi diversi dai precedenti, con separata indicazione di quelli da imprese controllate e
collegate e di quelli da controllanti;
17) interessi e altri oneri finanziari, con separata indicazione di quelli verso imprese
controllate e collegate e verso controllanti;
17-bis) utili e perdite su cambi.
Totale (15 + 16 - 17 + - 17-bis).
D) Rettifiche di valore di attività finanziarie:
18) rivalutazioni:
a) di partecipazioni;
b) di immobilizzazioni finanziarie che non costituiscono partecipazioni;
c) di titoli iscritti all'attivo circolante che non costituiscono partecipazioni;
19) svalutazioni:
a) di partecipazioni;
b) di immobilizzazioni finanziarie che non costituiscono partecipazioni;
c) di titoli iscritti nell'attivo circolante che non costituiscono partecipazioni.
Totale delle rettifiche (18 - 19).
E) Proventi e oneri straordinari:
20) proventi, con separata indicazione delle plusvalenze da alienazioni i cui ricavi non sono
iscrivibili al n. 5);
21) oneri, con separata indicazione delle minusvalenze da alienazioni, i cui effetti contabili
non sono iscrivibili al n. 14), e delle imposte relative a esercizi precedenti.
Totale delle partite straordinarie (20 - 21).
Risultato prima delle imposte (A - B + - C + - D + - E);
22) imposte sul reddito dell'esercizio, correnti, differite e anticipate;
23) utile (perdite) dell'esercizio.
(1) V. nota al Capo V.
Sommario: 1. Introduzione. - 2. Ammortamenti. Giurisprudenza di legittimità. - 3. Canoni di leasing. - 4.
Compenso agli amministratori. Giurisprudenza consolidata. - 5. Contributi in conto capitale. Giurisprudenza di
merito. - 6. Interessi. Giurisprudenza di merito. - 7. Proventi straordinari. Giurisprudenza di legittimità. - 8.
Valutazione dell’attivo. Giurisprudenza di legittimità. - 9. Ricavi e proventi da conferimento. Giurisprudenza di
legittimità.
1. Introduzione. – Il conto economico esprime il
valore della produzione complessiva realizzata nel
periodo, indipendentemente da quanto di questa
sia stata venduta nel periodo.
2. Ammortamenti. –In tema di imposte sui
redditi, e con riferimento alla determinazione del
reddito
d'impresa,
nel
sistema
vigente
anteriormente alle modifiche introdotte dall'art. 2
d.lg. 9 aprile 1991 n. 127 e dall'art. 2 bis d.l. 29
giugno 1994 n. 416, conv. con modificazioni dalla
l. 8 agosto 1994 n. 503, le quote di ammortamento
anticipato erano fiscalmente deducibili, ai sensi
dell'art. 67, comma 3, d.P.R. 22 dicembre 1986 n.
917, soltanto se iscritte nell'apposito fondo facente
parte integrante del fondo ammortamenti previsto
dall'art. 2425, comma 1, n. 1, c.c. per i beni
dell'impresa: tale adempimento trovava infatti
giustificazione nella non corrispondenza tra il
piano di ammortamento civilistico e quello fiscale
anticipato, e nella conseguente esigenza di
consentire all'Amministrazione finanziaria il
controllo in ordine all'anticipata consumazione
dell'ammortamento agli effetti fiscali, onde evitare
una duplice utilizzazione del medesimo
ammortamento. Cass. Civ., sez. trib., 21 febbraio
2007, n. 4039, Giust. civ. Mass. 2007, 2.
(7968/696).
Sono validi gli ammortamenti corrispondenti alle
aliquote massime fiscalmente consentite se
corrispondono al deperimento e consumo delle
immobilizzazioni tecniche. Trib. Milano, 10
ottobre 1991. (7968/696).
3. I canoni di leasing. Giurisprudenza di
legittimità. - I canoni di leasing devono essere
imputati a conto economico per competenza.
Cass. civ., 29 dicembre 1989, n. 5823.
(7968/696).
4.
Compensi
agli
amministratori.
Giurisprudenza consolidata. - Il compenso agli
amministratori deve essere inserito in bilancio
solo
se
deliberato
dall’assemblea
con
un’autonoma decisione diversa da quella di
approvazione del bilancio stesso. Cass. civ, 30
marzo 1995, n. 3774. (7968/696).
Il bilancio nel quale siano registrati i compensi
corrisposti nell’esercizio agli amministratori, cui
erano stati attribuiti compiti specifici, non
previamente deliberati dall’assemblea non è
invalido, poiché con l’approvazione del bilancio
quest’ultima ratifica gli stessi. Trib. Milano, 26
aprile 1990. (7968/696).
5. Contributi in conto capitale. Giurisprudenza
di merito. - L’iscrizione di un contributo erogato
a fondo perduto iscritto nel passivo compromette
la chiarezza del bilancio d’esercizio. App.
Catania, 27 febbraio 1986. (7968/696).
6. Interessi. Giurisprudenza di merito. Devono essere inseriti in bilancio gli interessi
moratori relativi ad un credito d’imposta
regolarmente iscritto in bilancio. Trib. Milano, 9
luglio 1987. (7968/696).
7. Proventi straordinari. Giurisprudenza di
legittimità. - L’entità della plusvalenza viene
determinata dal raffronto tra corrispettivo della
vendita e valore netto contabile del bene (costo
storico meno ammortamenti effettivamente
realizzati). Cass. civ., 1 aprile 1996, n. 2992.
(7968/696).
8. Valutazione dell’attivo. Giurisprudenza di
legittimità. - In tema di valutazione degli
elementi dell'attivo del bilancio di una società per
azioni, le «speciali ragioni» di cui all'art. 2425,
ultimo comma, c.c. (nel testo antecedente alle
modifiche introdotte dal d.lg. n. 127 del 1991),
permettono la deroga agli ordinari criteri di cui ai
commi precedenti della citata disposizione e non
solo ai criteri massimi di valutazione e trovano
giustificazione in peculiari esigenze del caso
concreto, tali da rendere inadeguato il valore
legale del bene; è pertanto corretta la riduzione
delle quote di ammortamento dei beni aziendali
operata in ragione della contribuzione degli stessi
alla gestione delle imprese (nella specie, limitata a
soli tre mesi l'anno, in considerazione del carattere
stagionale dell'attività imprenditoriale), al fine di
tener conto del consumo e del deperimento
effettivamente verificatisi a causa di tale limitata
utilizzazione. Cass. civ., sez. I, 23 maggio 2008,
n. 13413, Giust. civ. Mass. 2008, 5, 799.
(7968/696).
9. Ricavi e proventi da conferimento.
Giurisprudenza di legittimità. - È illegittima
l'iscrizione in bilancio, tra i ricavi della società, di
proventi da conferimenti per un ammontare che,
alla data di chiusura dell'esercizio di competenza,
è incerto ed ipotetico in quanto fondato su una
stima suscettibile di essere modificata sulla base
di evenienze non dipendenti dalla società. Il
rispetto del requisito della chiarezza, riguardante
il contenuto informativo del bilancio, mediante la
spiegazione, nella relazione degli amministratori,
delle ragioni dell'incertezza nella determinazione
dei proventi incidenti sui ricavi, non sana il difetto
dei requisiti di correttezza e veridicità del bilancio
che attengono al risultato economico, ed
impongono l'iscrizione di componenti positive del
reddito non meramente ipotetiche. Cass. Civ., sez.
I, 24 luglio 2007, n. 16388, Giust. civ. Mass.
2007, 7-8, Giust. Civ. 2008, 12, 2899. (7968/696).
2425 bis. Iscrizione dei ricavi, proventi, costi ed oneri (1). – [I]. I ricavi e i proventi, i costi
e gli oneri devono essere indicati al netto dei resi, degli sconti, abbuoni e premi, nonché delle
imposte direttamente connesse con la vendita dei prodotti e la prestazione dei servizi.
[II]. I ricavi e i proventi, i costi e gli oneri relativi ad operazioni in valuta devono essere
determinati al cambio corrente alla data nella quale la relativa operazione è compiuta.
[III]. I proventi e gli oneri relativi ad operazioni di compravendita con obbligo di retrocessione
a termine, ivi compresa la differenza tra prezzo a termine e prezzo a pronti, devono essere
iscritti per le quote di competenza dell'esercizio.
[IV]. Le plusvalenze derivanti da operazioni di compravendita con locazione finanziaria al
venditore sono ripartite in funzione della durata del contratto di locazione (2).
(1) V. nota al Capo V.
(2) Comma aggiunto dall'art. 16 d.lgs. 28 dicembre 2004, n. 310.
1. Portata della norma. Giurisprudenza di
legittimità.- È illegittima l'iscrizione in bilancio,
tra i ricavi della società, di proventi da
conferimenti per un ammontare che, alla data di
chiusura dell'esercizio di competenza, è incerto ed
ipotetico in quanto fondato su una stima
suscettibile di essere modificata sulla base di
evenienze non dipendenti dalla società. Il rispetto
del requisito della chiarezza, riguardante il
contenuto informativo del bilancio, mediante la
spiegazione, nella relazione degli amministratori,
delle ragioni dell'incertezza nella determinazione
dei proventi incidenti sui ricavi, non sana il difetto
dei requisiti di correttezza e veridicità del bilancio
che attengono al risultato economico, ed
impongono l'iscrizione di componenti positive del
reddito non meramente ipotetiche. Cass. Civ., sez.
I, 24 luglio 2007, n. 16388, Giust. Civ. 2008, 12,
2899. (7968/696).
In tema di determinazione del reddito d'impresa, il
corrispettivo della cessione di materie prime,
acquistate e rivendute nello stesso atto ed allo
stesso prezzo, costituisce - ai sensi dell'art. 53
d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597 - ricavo di
esercizio, e come tale deve essere appostato nel
conto economico, distintamente da eventuali costi
ad esso afferenti, al fine di non alterare
illegittimamente il risultato del conto ed in
conformità al divieto di compensazione di partite
sancito dall'art. 2425 bis c.c. (nel testo, applicabile
"ratione temporis", introdotto dall'art. 11 del d.l.
n. 95 del 1974, convertito nella legge n. 216 del
1974) ed ora dall'art. 2423 ter, ultimo comma,
dello stesso codice. Cass.civ., sez. trib., 22
febbraio 2002, n. 2541, Giust. civ. Mass. 2002,
278. (7968/696).
In tema di bilancio di una società per azioni,
secondo la normativa anteriore alle modifiche
introdotte dal d.l. 9 aprile 1991 n. 127, la regola
contenuta nel n. 14 dell'art. 2425-bis c.c., per cui
il conto profitti e perdite deve indicare nelle
perdite "gli accantonamenti per oneri fiscali ed
altri
oneri
specifici",
non
impone
l'accantonamento di importi presuntivamente
occorrenti per far fronte ad oneri fiscali non
ancora certi, che potrebbero derivare da
accertamenti in corso, atteso che soltanto
l'iscrizione nei ruoli o gli avvisi di liquidazione di
imposte e tasse, variamente qualificabili,
determinano l'insorgere - in tempi diversi,
connessi alle eventuali contestazioni ed
impugnazioni - del definitivo obbligo contributivo
e, quindi, l'obbligo per gli amministratori di
inserire i tributi in bilancio, a norma del
precedente n. 5, e che gli accantonamenti per
oneri fiscali previsti dalla voce n. 14 riguardano
quei tributi già accertati e liquidati, il cui
pagamento deve avvenire, in tutto o in parte, nel
corso di successivi esercizi. Cass. Civ., sez. I, 25
maggio 1994, n. 5097, Giust. civ. Mass. 1994,
711.
(7968/696).
2426. Criteri di valutazioni (1). – [I]. Nelle valutazioni devono essere osservati i seguenti
criteri:
1) le immobilizzazioni sono iscritte al costo di acquisto o di produzione. Nel costo di acquisto
si computano anche i costi accessori. Il costo di produzione comprende tutti i costi
direttamente imputabili al prodotto. Può comprendere anche altri costi, per la quota
ragionevolmente imputabile al prodotto, relativi al periodo di fabbricazione e fino al momento
dal quale il bene può essere utilizzato; con gli stessi criteri possono essere aggiunti gli oneri
relativi al finanziamento della fabbricazione, interna o presso terzi;
2) il costo delle immobilizzazioni, materiali e immateriali, la cui utilizzazione è limitata nel
tempo deve essere sistematicamente ammortizzato in ogni esercizio in relazione con la loro
residua possibilità di utilizzazione. Eventuali modifiche dei criteri di ammortamento e dei
coefficienti applicati devono essere motivate nella nota integrativa;
3) l'immobilizzazione che, alla data della chiusura dell'esercizio, risulti durevolmente di valore
inferiore a quello determinato secondo i numeri 1) e 2) deve essere iscritta a tale minore
valore; questo non può essere mantenuto nei successivi bilanci se sono venuti meno i motivi
della rettifica effettuata.
Per le immobilizzazioni consistenti in partecipazioni in imprese controllate o collegate che
risultino iscritte per un valore superiore a quello derivante dall'applicazione del criterio di
valutazione previsto dal successivo numero 4) o, se non vi sia obbligo di redigere il bilancio
consolidato, al valore corrispondente alla frazione di patrimonio netto risultante dall'ultimo
bilancio dell'impresa partecipata, la differenza dovrà essere motivata nella nota integrativa;
4) le immobilizzazioni consistenti in partecipazioni in imprese controllate o collegate possono
essere valutate, con riferimento ad una o più tra dette imprese, anziché secondo il criterio
indicato al numero 1), per un importo pari alla corrispondente frazione del patrimonio netto
risultante dall'ultimo bilancio delle imprese medesime, detratti i dividendi ed operate le
rettifiche richieste dai principi di redazione del bilancio consolidato nonché quelle necessarie
per il rispetto dei principi indicati negli articoli 2423 e 2423-bis.
Quando la partecipazione è iscritta per la prima volta in base al metodo del patrimonio netto, il
costo di acquisto superiore al valore corrispondente del patrimonio netto risultante dall'ultimo
bilancio dell'impresa controllata o collegata può essere iscritto nell'attivo, purché ne siano
indicate le ragioni nella nota integrativa. La differenza, per la parte attribuibile a beni
ammortizzabili o all'avviamento, deve essere ammortizzata.
Negli esercizi successivi le plusvalenze, derivanti dall'applicazione del metodo del patrimonio
netto, rispetto al valore indicato nel bilancio dell'esercizio precedente sono iscritte in una
riserva non distribuibile;
5) i costi di impianto e di ampliamento, i costi di ricerca, di sviluppo e di pubblicità aventi
utilità pluriennale possono essere iscritti nell'attivo con il consenso, ove esistente, del collegio
sindacale e devono essere ammortizzati entro un periodo non superiore a cinque anni. Fino a
che l'ammortamento non è completato possono essere distribuiti dividendi solo se residuano
riserve disponibili sufficienti a coprire l'ammontare dei costi non ammortizzati;
6) l'avviamento può essere iscritto nell'attivo con il consenso, ove esistente, del collegio
sindacale, se acquisito a titolo oneroso, nei limiti del costo per esso sostenuto e deve essere
ammortizzato entro un periodo di cinque anni.
È tuttavia consentito ammortizzare sistematicamente l'avviamento in un periodo limitato di
durata superiore, purché esso non superi la durata per l'utilizzazione di questo attivo e ne sia
data adeguata motivazione nella nota integrativa;
7) il disaggio su prestiti deve essere iscritto nell'attivo e ammortizzato in ogni esercizio per il
periodo di durata del prestito;
8) i crediti devono essere iscritti secondo il valore presumibile di realizzazione;
8-bis) le attività e le passività in valuta, ad eccezione delle immobilizzazioni, devono essere
iscritte al tasso di cambio a pronti alla data di chiusura dell'esercizio ed i relativi utili e perdite
su cambi devono essere imputati al conto economico e l'eventuale utile netto deve essere
accantonato in apposita riserva non distribuibile fino al realizzo. Le immobilizzazioni
materiali, immateriali e quelle finanziarie, costituite da partecipazioni, rilevate al costo (2) in
valuta devono essere iscritte al tasso di cambio al momento del loro acquisto o a quello
inferiore alla data di chiusura dell'esercizio se la riduzione debba giudicarsi durevole;
9) le rimanenze, i titoli e le attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni sono
iscritti al costo di acquisto o di produzione, calcolato secondo il numero 1), ovvero al valore di
realizzazione desumibile dall'andamento del mercato, se minore; tale minor valore non può
essere mantenuto nei successivi bilanci se ne sono venuti meno i motivi. I costi di
distribuzione non possono essere computati nel costo di produzione;
10) il costo dei beni fungibili può essere calcolato col metodo della media ponderata o con
quelli: "primo entrato, primo uscito" o: "ultimo entrato, primo uscito"; se il valore così
ottenuto differisce in misura apprezzabile dai costi correnti alla chiusura dell'esercizio, la
differenza deve essere indicata, per categoria di beni, nella nota integrativa;
11) i lavori in corso su ordinazione possono essere iscritti sulla base dei corrispettivi
contrattuali maturati con ragionevole certezza;
12) le attrezzature industriali e commerciali, le materie prime, sussidiarie e di consumo,
possono essere iscritte nell'attivo ad un valore costante qualora siano costantemente rinnovate,
e complessivamente di scarsa importanza in rapporto all'attivo di bilancio, sempreché non si
abbiano variazioni sensibili nella loro entità, valore e composizione.
(1) V. nota al Capo V.
(2) Le parole da « materiali, » fino a « costo » sono state inserite dall'art. 17 d.lgs. 28 dicembre 2004, n. 310.
Sommario: 1. Introduzione. - 2. Ammortamento. Giurisprudenza di merito. - 3. Azioni proprie. - 4. Iscrizione
nell’attivo e del passivo dello stato patrimoniale. Giurisprudenza di merito. - 5. Valutazione delle rimanenze.
Giurisprudenza consolidata. - 6. Plusvalenze su immobilizzazioni finanziarie. Giurisprudenza di legittimità. - 7.
Spese di pubblicità. Giurisprudenza di legittimità. - 8. Valutazione dell’avviamento. - 9. Valutazione dei crediti.
Giurisprudenza di merito. - 10. Onere della prova in merito alla legittimità dei criteri di valutazione applicati.
Giurisprudenza di merito.
1. Introduzione. – Il conto economico esprime il
valore della produzione complessiva realizzata nel
periodo, indipendentemente da quanto di questa
sia stata venduta nel periodo.
2. Ammortamento. Giurisprudenza di merito. E’ possibile variare i criteri di determinazione
delle quote di ammortamento se ciò dipende
effettivamente dal deperimento o dal consumo dei
beni strumentali. App. Brescia, 12 ottobre 1983.
È legittimo ammortizzare le immobilizzazioni in
misura conforme alle aliquote massime
fiscalmente consentite, se nella realtà tali valori
corrispondono alla "residua possibilità di
utilizzazione" del bene di cui all'art. 2426 n. 2 c.c.
e di tale corrispondenza si fornisce adeguata e
chiara illustrazione nella nota integrativa. Trib.
Como, 26 marzo 1997, Società 1997, 1074.
(7968/696).
3. Azioni proprie. - Le azioni proprie che si
configurino come immobilizzazioni finanziarie
possono essere iscritte in bilancio al costo. Trib.
Milano, 10 ottobre 1991. (7968/696).
Le azioni proprie in portafoglio, poiché
rappresentano un valore che esiste nel patrimonio
della società emittente ed è suscettibile di essere
monetizzato, debbono essere iscritte in bilancio
secondo i criteri di valutazione e, in genere,
secondo le regole stabilite dalla legge per
qualsiasi altro titolo azionario. Cass. civ., sez. I,
03 settembre 1996, n. 8048, Giur. comm. 1997,
II, 249, Nuova giur. civ. commentata 1997, I, 844.
(7968/696).
4. Iscrizione nell’attivo e del passivo dello stato
patrimoniale. Giurisprudenza di merito. - Nel
bilancio dell’impresa commerciale i beni rilevano
non per la loro tipologia giuridica ma per la
destinazione funzionale che ricevono nell’azienda.
App. Milano, 22 ottobre 1993. (7968/696).
È illegittima l'iscrizione tra le poste passive delle
spese sostenute per l'ammodernamento e le
trasformazioni di beni aziendali, il cui valore
patrimoniale risulti incrementato, senza alcuna
contropartita nell'attivo e senza attuare alcun
meccanismo contabile idoneo a ripartire tali costi
tra i diversi esercizi ad essi interessati. Trib.
Milano, 13 gennaio 1983, Banca borsa tit. cred.
1983, II, 328. (7968/696).
Le spese di ricerca e studi di mercato, in quanto
destinate ad un ampliamento dell'attività
imprenditoriale, con effetto positivo che non si
esaurisce in un esercizio, possono essere iscritte
all'attivo ed ammortizzate ai sensi dell'art. 2426
c.c. App. Bologna, 21 dicembre 1979, Giur.
comm. 1980, II, 736. (7968/696).
5.
Valutazione
delle
rimanenze.
Giurisprudenza consolidata. - E’ legittimo l’uso
del criterio di valutazione LIFO a scatti o
scaglioni annuali per la valutazione delle
rimanenze di magazzino. Cass. civ., 27 febbraio
1985, n. 1699. (7968/696).
L'utilizzo per la valutazione delle rimanenze di
criteri diversi da quelli ammessi dall'art. 2426 c.c.
può essere consentito se l'applicazione del diverso
criterio conduce nella realtà a risultati non
dissimili da quelli che si otterrebbero applicando i
criteri di cui all'art. 2426 n. 10 c.c. Il criterio di
valutazione previsto dal n. 11 dell'art. 2426 c.c.
per i lavori in corso su ordinazione è applicabile
anche alle commesse a breve termine, purché sul
punto si dia chiara e dettagliata informazione nella
nota integrativa. Trib. Como, 26 marzo 1997,
Società 1997, 1074. (7968/696).
6. Plusvalenze su immobilizzazioni finanziarie.
Giurisprudenza di legittimità. - Nella
valutazione delle immobilizzazioni finanziarie gli
amministratori devono astenersi dal considerare
eventuali plusvalenze derivanti da semplici
lievitazioni delle quotazioni dei titoli. Cass. civ., 4
febbraio 1992, n. 1211. (7968/696).
7. Spese di pubblicità. Giurisprudenza di
legittimità.- Le spese di pubblicità in ragione
dell’idoneità, astrattamente considerata, a
produrre effetti positivi anche in esercizi
successivi, vanno iscritte in bilancio secondo il
criterio di competenza. Cass. civ., 8 agosto 1997,
n. 7398. (7968/696).
Il criterio della patrimonializzazione delle spese di
pubblicitàè in sè valido, a condizione che sia
correttamente utilizzato, anche con riferimento
all'art. 2426 c.c., come sostituito dall'art. 9 d.l. 9
aprile 1991 n. 127. Cass. pen., sez. V, 23 febbraio
1993, Riv. pen. Economia 1995, 94. (7968/696).
8. Valutazione dell’avviamento. - La
disposizione, di chiara ispirazione prudenziale,
per la quale nella redazione del bilancio di una
società per azioni non è consentito iscrivere
all'attivo un valore di avviamento se non lo si sia
acquistato a titolo oneroso (art. 2426 n. 6, c.c.),
trova applicazione anche nella redazione della
situazione patrimoniale richiesta dall'art. 2446 c.c.
in tema di riduzione del capitale per perdite. Cass.
civ., 17 novembre 2005, n. 23269. (7968/696).
In tema di rettifica, da parte dell'amministrazione
finanziaria ed ai sensi dell'art. 39, comma 1, lett.
d, del d.P.R. n. 600 del 1973, del valore dei cespiti
costituenti oggetto del ramo d'azienda acquistato
dalla società incorporata ed indicati nel bilancio
della incorporante, l'Amministrazione finanziaria
può procedere ad accertamento induttivo,
rettificando il valore dell'avviamento indicato in
bilancio, in misura tale da renderlo compatibile,
nell'ambito del prezzo corrisposto per la cessione,
con il valore di altri cespiti aziendali oggetto di
accertamento di valore effettuato ai fini di altra
imposta, mentre resta onere del contribuente, che
deduca l'inesattezza di tale correzione, contrastare
probatoriamente l'accertamento, anche con il
ricorso ad elementi indiziari. Cass. civ., sez. trib.,
16 aprile 2008, n. 9950, Giust. civ. Mass. 2008, 4,
582, Diritto & Giustizia 2008. (7968/696).
In tema di bilancio, l'art. 2427 c.c. (applicabile
ratione temporis nella formulazione anteriore alla
novella del d.lg. n. 127 del 1991) e l'attuale art.
2426, comma 1, n. 6, c.c., consentendo l'iscrizione
dell'avviamento derivato, cioè conseguito in caso
di acquisto a titolo oneroso e nei limiti del costo
per esso sostenuto, non escludono che, se anche il
prezzo di cessione di azienda resta il frutto della
libera contrattazione delle parti, la sua successiva
ripartizione a fini contabili, tra le singole
componenti, del corrispettivo unitario versato
possa essere sindacata dall'amministrazione
finanziaria secondo il criterio della correttezza e
veridicità del bilancio; ne consegue che, pur
riferendosi l'art. 68, comma 3, del d.P.R. n. 917
del 1986, nella versione temporalmente vigente,
all'ammortamento dell'avviamento al relativo
valore di libro e non al relativo costo,
l'imprenditore cessionario di ramo d'azienda
comprensivo di avviamento deve iscrivere
quest'ultimo in bilancio al suo valore reale, non
potendo inserire poste inesistenti o sopravalutate.
(Fattispecie relativa all'acquisto di ramo d'azienda
da parte di società incorporata). Cass. civ., sez.
trib., 16 aprile 2008, n. 9950, Giust. civ. Mass.
2008, 4, 582,
Diritto & Giustizia 2008.
(7968/696).
In tema di valutazione delle aziende ai fini
dell'imposta sulle successioni, ai sensi dell'art. 21
del d.P.R n. 637 del 1972, il valore di avviamento
di un'impresa familiare deve essere incluso nel
valore venale imponibile, anche se non iscritto in
bilancio in base ai diversi criteri legali di relativa
redazione (nella specie ex art. 2426, n. 6, c.c., in
quanto acquisito dal dante causa non a titolo
oneroso ma per successione ereditaria). Cass. civ.,
sez. trib., 27 novembre 2006, n. 25089, Giust. civ.
Mass. 2006, 11. (7968/696).
Poiché l'art. 2426 n. 6 c.c., consente l'iscrizione
all'attivo dell'avviamento solo "se acquisito a
titolo oneroso, nei limiti del costo per esso
sostenuto", ne consegue che esso può costituire
oggetto di valutazione nella relazione di stima
solo se ricorre la suindicata condizione e con
l'osservanza delle limitazioni stabilite dalla
norma. Trib. Napoli, 12 gennaio 1995, Società
1995, 955. (7968/696).
9. Valutazione dei crediti. Giurisprudenza di
merito. - Il parametro di valutazione e stima dei
crediti (al fine della corretta iscrizione in bilancio
al valore di presumibile realizzo, come dispone
l'art. 2426 n. 8 c.c.) impone all'amministratore di
formulare un giudizio di probabilità quanto alla
condotta futura del debitore, tenuto conto della
sua solvibilità apparente ed autorizza il giudice (in
sede di impugnativa della delibera che approva il
bilancio) a ripetere questo giudizio per accertare
se, secondo l'id quod plerumque accidit, i
presupposti di fatto esattamente individuati
potevano o meno fondare le conseguenze
ipotizzate dall'amministratore, senza possibilità di
valorizzare le circostanze sopravvenute non
conosciute o conoscibili "ex ante" . Trib. Napoli,
28 dicembre 2004, Giur. comm. 2005, 6, 796.
(7968/696).
Dalla natura contenziosa di un credito non può
derivarsi la sua inesigibilità ai fini della sua
valutazione nel bilancio di esercizio. Trib. Milano,
3 settembre 2003, Società 2004, 1016.
(7968/696).
Poiché, in virtù del principio di prudenza, devono
essere iscritti in bilancio solo quei crediti che
rivestano i requisiti della certezza, liquidità ed
esigibilità, non è legittimo iscrivere all'attivo della
società un credito da risarcimento danni
extracontrattuale che, proprio perché tale, manca
dei primi due requisiti. Trib. Piacenza, 19 ottobre
1995, Società 1996, 451. (7968/696).
Il credito vantato nei confronti di un cliente
sottoposto alla procedura di amministrazione
controllata non si deve svalutare. Cass. civ., 29
aprile 1994, n. 4177. (7968/696).
10. Onere della prova in merito alla legittimità
dei
criteri
di
valutazione
applicati.
Giurisprudenza di merito. - Spetta agli
amministratori e ai sindaci provare la conformità
dei criteri di valutazione applicati alle norme che
disciplinano il bilancio. App. Catania, 27 febbraio
1986. (7968/696).
2427. Contenuto della nota integrativa (1). – [I]. La nota integrativa deve indicare, oltre a
quanto stabilito da altre disposizioni:
1) i criteri applicati nella valutazione delle voci del bilancio, nelle rettifiche di valore e nella
conversione dei valori non espressi all'origine in moneta avente corso legale nello Stato;
2) i movimenti delle immobilizzazioni, specificando per ciascuna voce: il costo; le precedenti
rivalutazioni, ammortamenti e svalutazioni; le acquisizioni, gli spostamenti da una ad altra
voce, le alienazioni avvenuti nell'esercizio; le rivalutazioni, gli ammortamenti e le svalutazioni
effettuati nell'esercizio; il totale delle rivalutazioni riguardanti le immobilizzazioni esistenti
alla chiusura dell'esercizio;
3) la composizione delle voci: "costi di impianto e di ampliamento" e: "costi di ricerca, di
sviluppo e di pubblicità", nonché le ragioni della iscrizione ed i rispettivi criteri di
ammortamento;
3-bis) la misura e le motivazioni delle riduzioni di valore applicate alle immobilizzazioni
materiali e (2) immateriali (3), facendo a tal fine esplicito riferimento al loro concorso alla
futura produzione di risultati economici, alla loro prevedibile durata utile e, per quanto
rilevante (4), al loro valore di mercato, segnalando altresì le differenze rispetto a quelle
operate negli esercizi precedenti ed evidenziando la loro influenza sui risultati economici
dell'esercizio (5);
4) le variazioni intervenute nella consistenza delle altre voci dell'attivo e del passivo; in
particolare, per le voci del patrimonio netto, per i fondi e per il trattamento di fine rapporto, la
formazione e le utilizzazioni;
5) l'elenco delle partecipazioni, possedute direttamente o per tramite di società fiduciaria o per
interposta persona, in imprese controllate e collegate, indicando per ciascuna la
denominazione, la sede, il capitale, l'importo del patrimonio netto, l'utile o la perdita
dell'ultimo esercizio, la quota posseduta e il valore attribuito in bilancio o il corrispondente
credito;
6) distintamente per ciascuna voce, l'ammontare dei crediti e dei debiti di durata residua
superiore a cinque anni, e dei debiti assistiti da garanzie reali su beni sociali, con specifica
indicazione della natura delle garanzie e con specifica ripartizione secondo le aree
geografiche;
6-bis) eventuali effetti significativi delle variazioni nei cambi valutari verificatesi
successivamente alla chiusura dell'esercizio;
6-ter) distintamente per ciascuna voce, l'ammontare dei crediti e dei debiti relativi ad
operazioni che prevedono l'obbligo per l'acquirente di retrocessione a termine;
7) la composizione delle voci "ratei e risconti attivi" e "ratei e risconti passivi" e della voce
"altri fondi" dello stato patrimoniale, quando il loro ammontare sia apprezzabile, nonché la
composizione della voce "altre riserve";
7-bis) le voci di patrimonio netto devono essere analiticamente indicate, con specificazione in
appositi prospetti della loro origine, possibilità di utilizzazione e distribuibilità, nonché della
loro avvenuta utilizzazione nei precedenti esercizi;
8) l'ammontare degli oneri finanziari imputati nell'esercizio ai valori iscritti nell'attivo dello
stato patrimoniale, distintamente per ogni voce;
9) gli impegni non risultanti dallo stato patrimoniale; le notizie sulla composizione e natura di
tali impegni e dei conti d'ordine, la cui conoscenza sia utile per valutare la situazione
patrimoniale e finanziaria della società, specificando quelli relativi a imprese controllate,
collegate, controllanti e a imprese sottoposte al controllo di queste ultime;
10) se significativa, la ripartizione dei ricavi delle vendite e delle prestazioni secondo
categorie di attività e secondo aree geografiche;
11) l'ammontare dei proventi da partecipazioni, indicati nell'articolo 2425, numero 15), diversi
dai dividendi;
12) la suddivisione degli interessi ed altri oneri finanziari, indicati nell'articolo 2425, n. 17),
relativi a prestiti obbligazionari, a debiti verso banche, e altri;
13) la composizione delle voci: "proventi straordinari" e: "oneri straordinari" del conto
economico, quando il loro ammontare sia apprezzabile;
14) un apposito prospetto contenente:
a) la descrizione delle differenze temporanee che hanno comportato la rilevazione di imposte
differite e anticipate, specificando l'aliquota applicata e le variazioni rispetto all'esercizio
precedente, gli importi accreditati o addebitati a conto economico oppure a patrimonio netto,
le voci escluse dal computo e le relative motivazioni;
b) l'ammontare delle imposte anticipate contabilizzato in bilancio attinenti a perdite
dell'esercizio o di esercizi precedenti e le motivazioni dell'iscrizione, l'ammontare non ancora
contabilizzato e le motivazioni della mancata iscrizione;
15) il numero medio dei dipendenti, ripartito per categoria;
16) l'ammontare dei compensi spettanti agli amministratori ed ai sindaci, cumulativamente per
ciascuna categoria;
17) il numero e il valore nominale di ciascuna categoria di azioni della società e il numero e il
valore nominale delle nuove azioni della società sottoscritte durante l'esercizio;
18) le azioni di godimento, le obbligazioni convertibili in azioni e i titoli o valori simili emessi
dalla società, specificando il loro numero e i diritti che essi attribuiscono;
19) il numero e le caratteristiche degli altri strumenti finanziari emessi dalla società, con
l'indicazione dei diritti patrimoniali e partecipativi che conferiscono e delle principali
caratteristiche delle operazioni relative;
19-bis) i finanziamenti effettuati dai soci alla società, ripartiti per scadenze e con la separata
indicazione di quelli con clausola di postergazione rispetto agli altri creditori;
20) i dati richiesti dal terzo comma dell'articolo 2447-septies con riferimento ai patrimoni
destinati ad uno specifico affare ai sensi della lettera a) del primo comma dell'articolo 2447bis;
21) i dati richiesti dall'articolo 2447-decies, ottavo comma;
22) le operazioni di locazione finanziaria che comportano il trasferimento al locatario della
parte prevalente dei rischi e dei benefici inerenti ai beni che ne costituiscono oggetto, sulla
base di un apposito prospetto dal quale risulti il valore attuale delle rate di canone non scadute
quale determinato utilizzando tassi di interesse pari all'onere finanziario effettivo inerenti i
singoli contratti, l'onere finanziario effettivo attribuibile ad essi e riferibile all'esercizio,
l'ammontare complessivo al quale i beni oggetto di locazione sarebbero stati iscritti alla data
di chiusura dell'esercizio qualora fossero stati considerati immobilizzazioni, con separata
indicazione di ammortamenti, rettifiche e riprese di valore che sarebbero stati inerenti
all'esercizio.
22-bis) le operazioni realizzate con parti correlate, precisando l'importo, la natura del rapporto
e ogni altra informazione necessaria per la comprensione del bilancio relativa a tali
operazioni, qualora le stesse siano rilevanti e non siano state concluse a normali condizioni di
mercato. Le informazioni relative alle singole operazioni possono essere aggregate secondo la
loro natura, salvo quando la loro separata evidenziazione sia necessaria per comprendere gli
effetti delle operazioni medesime sulla situazione patrimoniale e finanziaria e sul risultato
economico della società (6).
22-ter) la natura e l'obiettivo economico di accordi non risultanti dallo stato patrimoniale, con
indicazione del loro effetto patrimoniale, finanziario ed economico, a condizione che i rischi e
i benefici da essi derivanti siano significativi e l'indicazione degli stessi sia necessaria per
valutare la situazione patrimoniale e finanziaria e il risultato economico della società (6).
[II]. Ai fini dell'applicazione del primo comma, numeri 22-bis) e 22-ter), e degli articoli 2427bis e 2428, terzo comma, numero 6-bis), per le definizioni di "strumento finanziario",
"strumento finanziario derivato", "fair value", "parte correlata" e "modello e tecnica di
valutazione generalmente accettato" si fa riferimento ai principi contabili internazionali
adottati dall'Unione europea (7).
(1) V. nota al Capo V.
(2) Le parole « materiali e » sono state inserite dall'art. 181a)d.lgs. 28 dicembre 2004, n. 310.
(3) Le parole « di durata indeterminata » che figuravano dopo la parola « immateriali » sono state soppresse
dall'art. 181b) d.lgs. n. 310, cit.
(4) La parola « rilevante » è stata sostituita alla parola « determinabile » dall'art. 181c) d.lgs. n. 310, cit.
(5) Le parole « e sugli indicatori di redditività di cui sia stata data comunicazione » che figuravano dopo la parola
« esercizio » sono state soppresse dall'art. 181d) d.lgs. n. 310, cit.
(6) Numero aggiunto dall'art. 1 d.lgs. 3 novembre 2008 n. 173.
(7) Comma aggiunto dall'art. 1 d.lgs. 3 novembre 2008 n. 173.
Sommario: 1. Profili generali della nota integrativa. - 2. Profili di invalidità derivanti da vizi attinenti la nota
integrativa. Giurisprudenza consolidata. - 3. I fondi rischi. Giurisprudenza di merito. – 4. Le plusvalenze.
Giurisprudenza di merito. – 5. I ratei ed i risconti. Giurisprudenza di merito. - 6. Gli ammortamenti.
Giurisprudenza di merito. - 7. I ricavi. Giurisprudenza di merito. - 8. I crediti. Giurisprudenza di merito.
1. Profili generali della nota integrativa. – Il
bilancio di una società di capitali deve essere
redatto, ai sensi degli art. 2423 ss. c.c., a pena di
nullità della deliberazione assembleare di
approvazione, secondo principi di chiarezza e
determinatezza, e la possibilità di derogare ai
criteri di valutazione seguiti precedentemente
esige la redazione di apposita nota integrativa
motivata, costituente parte inscindibile del
bilancio stesso. Cass. civ., sez. trib., 12 maggio
2004, n. 8989, Giust. civ. Mass. 2004, 5, Corriere
trib. 2004, 2617. (7968/780).
I principi generali della chiarezza e della verità,
cui deve ispirarsi l'organo preposto alla redazione
del bilancio di esercizio, sono i principi cardine
che lo stesso legislatore eleva a norme di diritto
pubblico, statuendo che la loro non corretta
applicazione comporta la nullità della delibera
assembleare, avente ad oggetto l'approvazione di
un documento contabile non chiaro e non
veritiero. Tuttavia, la necessità di una sempre
maggiore chiarezza viene ancor di più messa in
risalto con la nota integrativa : documento di tipo
descrittivo a corredo dello stato patrimoniale e
conto economico, avente lo scopo di fornire al
lettore del bilancio ulteriori informazioni tali da
far comprendere l'iter logico di formazione delle
singole poste di bilancio. Allo stesso tempo però
lo stesso legislatore se da un lato tutela il diritto
dei soci e dei terzi ad essere informati in modo
chiaro e veritiero, dall'altro ha ritenuto opportuno
introdurre un limite temporale, con apposita
norma giuridica (art. 2434 bis c.c.) applicabile per
espresso rinvio anche alle s.r.l., secondo cui non è
possibile impugnare la delibera di approvazione
del bilancio una volta che il bilancio dell'esercizio
successivo sia stato già approvato, con l'evidente
scopo di garantire il principio generale della
continuità aziendale, nonché della certezza e
stabilità agli atti societari. Trib. Milano, sez. VIII,
5 giugno 2006, n. 6632, Dir. e prat. soc. 2007, 1,
81. (7968/780).
L'art. 2427, comma 1, n. 16, c.c. - il quale, in tema
di contenuto della nota integrativa , prevede che
essa deve indicare l'ammontare dei compensi
spettanti agli amministratori - è applicabile anche
in tema di rappresentazione in bilancio dei
compensi spettanti agli organi di una procedura
commissariale disposta dall'Isvap nei confronti di
una società assicurativa, a nulla rilevando che i
relativi compensi siano stati precedentemente
decisi dai soci in assemblea, o derivino da una
fonte diversa, giacché tale circostanza non fa
venir meno in alcun modo l'esigenza informativa
che la citata disposizione di legge intende
salvaguardare. Cass. civ., sez. I, 29 aprile 2004,
n. 8204, Giust. civ. Mass. 2004, 4, Assicurazioni
2004, II, 190. (7968/780).
Difetto di chiarezza è riscontrabile in un bilancio
di esercizio, se degli oneri diversi di gestione,
quale categoria residuale e quindi a contenuto
eterogeneo, dovendovi essere allocati tutti i costi
di produzione non altrimenti classificabili, non
viene data adeguata informazione nella nota
integrativa in considerazione della obiettiva
rilevanza del loro valore, del rapporto con la
stessa voce del precedente bilancio, della loro
notevole incidenza nella formazione del costo di
produzione, specialmente in un contesto
caratterizzato da perdite di esercizio. Trib.
Milano, 5 novembre 2001, Società 2002, 722.
(7968/780).
2. Profili di invalidità derivanti da vizi attinenti
la
nota
integrativa.
Giurisprudenza
consolidata. - È nulla la delibera di approvazione
del bilancio nell'ipotesi in cui la mancata
integrazione nella nota integrativa della differenza
tra il costo di acquisto delle partecipazioni delle
società controllate e la loro corrispondente
frazione del rispettivo patrimonio netto
comportano l'impossibilità di conoscere con
esattezza la reale situazione patrimoniale della
società. Trib. Milano, sez. VIII, 5 giugno 2006, n.
6632, Dir. e prat. soc. 2007, 6, 77. (7968/780).
La mancanza, nella nota integrativa , di
specificazioni sulla composizione di costi per
materie prime e di consumo, degli oneri finanziari
su strumenti derivati e delle sopravvenienze
passive, ove si tratti dì voci esigue rispetto al
complesso del bilancio, sulle quali gli impugnanti
non hanno chiesto dettagli in assemblea, non dà
luogo ad invalidità dell'approvazione. Trib.
Milano, 5 aprile 2006, Banca borsa tit. cred. 2008,
2, 201. (7968/780).
È nullo il bilancio di una società per azioni
quando venga modificata la classificazione
contabile di riserve di titoli a reddito fisso,
trasferendoli da "immobilizzazioni" ad "attivo
circolante", senza esplicita ed adeguata
motivazione nella nota integrativa , in violazione
di quanto dispone l'art. 2427 n. 2, c.c. Cass. civ.,
sez. I, 29 aprile 2004, n. 8204, Giust. civ. 2005,
12, I, 3111. (7968/780).
Ai fini dell'applicazione dell'art. 2622 c.c., è da
considerarsi rilevante anche l'omessa indicazione
nel bilancio di un debito soggetto a contenzioso,
che all'epoca dei fatti era liquido ed esigibile
(stante la esecutività della sentenza di primo
grado), seppure non definitivamente certo, attesa
la pendenza del giudizio di appello; lo stesso
avrebbe dovuto essere quanto meno inserito in un
apposito fondo rischi e comunque indicato nella
nota integrativa . Trib. Milano, 22 febbraio 2005,
Giur. comm. 2007, 3, 622. (7968/780).
È nullo per violazione del principio di chiarezza il
bilancio di un'impresa di assicurazione qualora la
nota integrativa non indichi la composizione dei
ratei e dei risconti come previsto dall'art. 2427 n.
7, c.c. testo previgente. Cass. civ., sez. I, 29 aprile
2004, n. 8204, Foro it. 2005, I, 2120. (7968/780).
È nullo il bilancio di una società per azioni ove
venga omessa nella nota integrativa l'indicazione
della composizione dei ratei e dei risconti, come
richiesto dall'art. 2427 n. 7, c.c. quando il relativo
ammontare risulta apprezzabile; tale valutazione
deve tener conto anche dei valori assoluti che i
dati contabili esprimono, poiché appare intuitivo
che anche poste rappresentative di una
percentuale relativamente esigua dell'intero
bilancio possono, nondimeno, avere una
dimensione economica rilevante ai fini di una
corretta informazione dei soci e dei terzi. Cass.
civ., sez. I, 29 aprile 2004, n. 8204, Foro it. 2005,
I, 2120. (7968/780).
È nullo il bilancio di una società per azioni
quando venga omessa nella nota integrativa
l'indicazione dei compensi corrisposti agli organi
di gestione e di controllo, a nulla rilevando la
circostanza che la società sia sottoposta a
commissariamento straordinario e che i relativi
compensi siano stabiliti da un organo pubblico
(nella specie, l'Isvap). Cass. civ., sez. I, 29 aprile
2004, n. 8204, Foro it. 2005, I, 2120. (7968/780).
In tema di società, l'adozione, nella redazione del
bilancio, di un criterio di valutazione di un cespite
patrimoniale diverso da quello utilizzato negli
esercizi precedenti senza che la nota integrativa
rechi un'adeguata motivazione della deroga
consentita dall'art. 2423 bis, comma 6, c.c. in casi
eccezionali si traduce in una violazione del
principio di continuità dei valori contabili, e
comporta pertanto la nullità del bilancio, attesa
l'inderogabilità dei criteri di valutazione dettati
dall'art. 2426 c.c., la cui funzione consiste
nell'assicurare la trasparenza e la leggibilità del
bilancio da parte dei soci e dei terzi. (In
applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la
sentenza impugnata, la quale, in tema di Iva,
aveva ritenuto illegittimo il recupero a tassazione
della differenza tra le rimanenze iniziali iscritte
nel bilancio di un società in liquidazione e le
rimanenze finali risultanti alla data di chiusura
dell'esercizio precedente, rilevando che le prime
erano state iscritte al costo di acquisto e le
seconde al valore di realizzazione, ed escludendo
quindi la possibilità di desumere da tale
variazione l'esistenza di vendite non fatturate).
Cass. civ., sez. trib., 7 maggio 2008, n. 11091,
Giust. civ. Mass. 2008, 5, 666. (7968/780).
3. I fondi rischi. Giurisprudenza di merito. - I
fondi rischi costituiscono accantonamenti che
debbono essere effettuati a fronte di eventi
negativi probabili, quando se ne ammette
l'accadimento in base a motivi seri o attendibili,
ma non certi, laddove, in presenza di eventi
possibili (ridotta probabilità di realizzazione), si
richiede soltanto un richiamo informativo nella
nota integrativa. Trib. Milano, 5 novembre 2001,
Giur. it. 2002, 554. (7968/780).
4. Le plusvalenze. Giurisprudenza di merito.La plusvalenza, realizzata per effetto della
cessione delle quote rappresentative del 50 per
cento del capitale di una s.r.l., è adeguatamente
illustrata nella nota integrativa mediante
indicazione del prezzo di acquisto e rivendita
delle quote predette e della correlazione del
prezzo di rivendita con il valore del patrimonio
netto della società, alla quale le quote cedute si
riferiscono. Trib. Milano, 5 novembre 2001,
Società 2002, 722. (7968/780).
5. I ratei ed i risconti. Giurisprudenza di
merito. - I ratei ed i risconti devono essere
illustrati nella nota integrativa dei bilancio di
esercizio solo se hanno un apprezzabile valore,
laddove nessuna informazione al riguardo è
necessaria nel bilancio in forma abbreviata. Trib.
Milano, 5 novembre 2001, Società 2002, 722.
(7968/780).
6. Gli ammortamenti. Giurisprudenza di
merito. - Le informazioni sugli ammortamenti
delle immobilizzazioni materiali in un bilancio in
forma ordinaria devono essere contenute nel conto
economico e nella nota integrativa, dove ai sensi
dell'art. 2427 n. 2 c.c. è prescritto che debbano
essere localizzate: risulta così soddisfatto il
principio della chiarezza del bilancio. Trib.
Napoli, 10 novembre 1997, Società 1998, 791.
(7968/780).
L'adozione
dei
coefficienti
fiscali
di
ammortamento, in sede di redazione del bilancio,
non costituisce violazione del principio di
rappresentazione veritiera e corretta solo se i
valori così calcolati non si discostano in modo
rilevante da quelli ottenuti dall'applicazione delle
aliquote civilistiche e se tale corrispondenza viene
adeguatamente illustrata nella nota integrativa con
riferimento alle singole categorie di cespiti. Trib.
Milano, 17 novembre 2003, Riv. dottori comm.
2004, 6, 1368. (7968/780).
7. I ricavi. Giurisprudenza di merito. - La
norma di cui all'art. 2427 comma 1, n. 10, c.c.
impone che nella nota integrativa sia indicata, se
significativa, la ripartizione dei ricavi secondo
categorie di attività e secondo aree geografiche.
Questa ripartizione deve essere fatta in modo da
informare correttamente e con riferimento alla
fattispecie concreta sul concorso dei diversi settori
produttivi alla formazione dei ricavi complessivi.
Trib. Como, 26 marzo 1997, Società 1997, 1074.
(7968/780).
8. I crediti. Giurisprudenza di merito. - La
mancata indicazione nella nota integrativa delle
variazioni e, quindi, anche dell'estinzione dei
crediti verso consociate costituisce violazione del
principio di chiarezza del bilancio Trib. Milano,
17 novembre 2003, Riv. dottori comm. 2004, 6,
1368. (7968/780).
Non
contrasta
con
norme
inderogabili
l'esposizione, fra le poste attive dello stato
patrimoniale del bilancio di esercizio, di un
rilevante credito per il quale in nota integrativa
non siano contenute specifiche informazioni.
Sostanzialmente corretta deve ritenersi anche la
rappresentazione contabile in bilancio di una rata
di debito mediante iscrizione di una posta
compensatoria della rata stessa all'attivo. Trib.
Milano, 3 settembre 2003, Società 2004, 890.
(7968/780).
2427 bis. Informazioni relative al valore equo "fair value" degli strumenti finanziari (1).
– [I]. Nella nota integrativa sono indicati:
1) per ciascuna categoria di strumenti finanziari derivati:
a) il loro fair value;
b) informazioni sulla loro entità e sulla loro natura;
2) per le immobilizzazioni finanziarie iscritte a un valore superiore al loro fair value, con
esclusione delle partecipazioni in società controllate e collegate ai sensi dell'articolo 2359 e
delle partecipazioni in joint venture:
a) il valore contabile e il fair value delle singole attività, o di appropriati raggruppamenti di
tali attività;
b) i motivi per i quali il valore contabile non è stato ridotto, inclusa la natura degli elementi
sostanziali sui quali si basa il convincimento che tale valore possa essere recuperato.
[II]. Ai fini dell'applicazione delle disposizioni del comma 1, sono considerati strumenti
finanziari derivati anche quelli collegati a merci che conferiscono all'una o all'altra parte
contraente il diritto di procedere alla liquidazione del contratto per contanti o mediante altri
strumenti finanziari, ad eccezione del caso in cui si verifichino contemporaneamente le
seguenti condizioni:
a) il contratto sia stato concluso e sia mantenuto per soddisfare le esigenze previste dalla
società che redige il bilancio di acquisto, di vendita o di utilizzo delle merci;
b) il contratto sia stato destinato a tale scopo fin dalla sua conclusione;
c) si prevede che il contratto sia eseguito mediante consegna della merce.
3. Il fair value è determinato con riferimento:
a) al valore di mercato, per gli strumenti finanziari per i quali è possibile individuare
facilmente un mercato attivo; qualora il valore di mercato non sia facilmente individuabile per
uno strumento, ma possa essere individuato per i suoi componenti o per uno strumento
analogo, il valore di mercato può essere derivato da quello dei componenti o dello strumento
analogo;
b) al valore che risulta da modelli e tecniche di valutazione generalmente accettati, per gli
strumenti per i quali non sia possibile individuare facilmente un mercato attivo; tali modelli e
tecniche di valutazione devono assicurare una ragionevole approssimazione al valore di
mercato.
4. Il fair value non è determinato se l'applicazione dei criteri indicati al comma precedente non
dà un risultato attendibile.
5. (2).
(1) Articolo inserito dall'art. 1 d.lgs. 30 dicembre 2003, n. 394, con decorrenza dal 1° gennaio 2005.
(2) Comma abrogato dall'art. 1 d.lgs. 3 novembre 2008 n. 173. Il testo precedente recitava: «Ai fini
dell'applicazione del presente articolo e dell'articolo 2428, comma 2, numero 6-bis) per la definizione di
strumento finanziario, di strumento finanziario derivato, di fair value e di modello e tecnica di valutazione
generalmente accettato, si fa riferimento ai principi contabili riconosciuti in ambito internazionale e compatibili
con la disciplina in materia dell'Unione europea».
2428. Relazione sulla gestione (1). – [I]. Il bilancio deve essere corredato da una relazione
degli amministratori contenente un'analisi fedele, equilibrata ed esauriente della situazione
della società e dell'andamento e del risultato della gestione (2), nel suo complesso e nei vari
settori in cui essa ha operato, anche attraverso imprese controllate, con particolare riguardo ai
costi, ai ricavi e agli investimenti, nonché una descrizione dei principali rischi e incertezze cui
la società è esposta (3).
[II]. L'analisi di cui al primo comma è coerente con l'entità e la complessità degli affari della
società e contiene, nella misura necessaria alla comprensione della situazione della società e
dell'andamento e del risultato della sua gestione, gli indicatori di risultato finanziari e, se del
caso, quelli non finanziari pertinenti all'attività specifica della società, comprese le
informazioni attinenti all'ambiente e al personale. L'analisi contiene, ove opportuno,
riferimenti agli importi riportati nel bilancio e chiarimenti aggiuntivi su di essi (4).
[III]. Dalla relazione devono in ogni caso risultare:
1) le attività di ricerca e di sviluppo;
2) i rapporti con imprese controllate, collegate, controllanti e imprese sottoposte al controllo
di queste ultime;
3) il numero e il valore nominale sia delle azioni proprie sia delle azioni o quote di società
controllanti possedute dalla società, anche per tramite di società fiduciaria o per interposta
persona, con l'indicazione della parte di capitale corrispondente;
4) il numero e il valore nominale sia delle azioni proprie sia delle azioni o quote di società
controllanti acquistate o alienate dalla società, nel corso dell'esercizio, anche per tramite di
società fiduciaria o per interposta persona, con l'indicazione della corrispondente parte di
capitale, dei corrispettivi e dei motivi degli acquisti e delle alienazioni;
5) i fatti di rilievo avvenuti dopo la chiusura dell'esercizio;
6) l'evoluzione prevedibile della gestione;
6-bis) in relazione all'uso da parte della società di strumenti finanziari e se rilevanti per la
valutazione della situazione patrimoniale e finanziaria e del risultato economico dell'esercizio:
a) gli obiettivi e le politiche della società in materia di gestione del rischio finanziario,
compresa la politica di copertura per ciascuna principale categoria di operazioni previste;
b) l'esposizione della società al rischio di prezzo, al rischio di credito, al rischio di liquidità e
al rischio di variazione dei flussi finanziari (5) (6).
[IV]. Dalla relazione deve inoltre risultare l'elenco delle sedi secondarie della società.
(1) V. nota al Capo V.
(2) Le parole « contenente un'analisi fedele, equilibrata ed esauriente della situazione della società e
dell'andamento e del risultato della gestione » sono state sostituite alle parole « sulla situazione della società e
sull'andamento della gestione » dall'art. 11 lett a)d.lgs. 2 febbraio 2007, n. 32. Ai sensi dell'art. 5 del medesimo
decreto le presenti disposizioni si applicano ai bilanci relativi agli esercizi aventi inizio dalla data successiva a
quella della sua entrata in vigore [12 aprile 2007].
(3) Le parole « , nonché una descrizione dei principali rischi e incertezze cui la società è esposta » sono state
aggiunte dall'art. 11 lett. b) d.lgs. n. 32, cit., con decorrenza indicata sub nt. 2.
(4) Comma inserito dall'art. 11 lett. c) d.lgs. n. 32, cit., con decorrenza indicata sub nt. 2.
(5) Numero aggiunto dall'art. 3 d.lgs. 30 dicembre 2003, n. 394, con decorrenza dal 1° gennaio 2005.
(6) Seguiva un comma abrogato dall'art. 21d.lgs. 6 novembre 2007, n. 195. Il testo del comma, come sostituito
dall'art. 1 d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 e rettificato con Errata-corrige in G.U. 4 luglio 2003, n. 153, era il
seguente: «Entro tre mesi dalla fine del primo semestre dell'esercizio gli amministratori delle società con azioni
quotate in mercati regolamentati devono trasmettere al collegio sindacale una relazione sull'andamento della
gestione, redatta secondo i criteri stabiliti dalla Commissione nazionale per le società e la borsa con regolamento
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. La relazione deve essere pubblicata nei modi e nei
termini stabiliti dalla Commissione stessa con il regolamento anzidetto».
1. Efficacia sanante della relazione sulla
gestione. Giurisprudenza consolidata. – La
giuripsrudenza ha ritenuto che la relkazione sulla
gestione riveste funzione integratrice
e di
completamento di quanto contenuto nel
documento contabile, sanandone, dunque,
eventuali carenze o deficienze. Cass. civ., sez. II,
11 ottobre 1993, n. 2959, Riv. dir. comm. 1994,
II, 243; Trib. Napoli, 24 febbraio 2000, Società
2000,
1474.
(7968/792).
2429. Relazione dei sindaci e deposito del bilancio (1). – [I]. Il bilancio deve essere
comunicato dagli amministratori al collegio sindacale, con la relazione, almeno trenta giorni
prima di quello fissato per l'assemblea che deve discuterlo.
[II]. Il collegio sindacale deve riferire all'assemblea sui risultati dell'esercizio sociale e
sull'attività svolta nell'adempimento dei propri doveri, e fare le osservazioni e le proposte in
ordine al bilancio e alla sua approvazione, con particolare riferimento all'esercizio della
deroga di cui all'articolo 2423, quarto comma. Il collegio sindacale, se esercita il controllo
contabile, redige anche la relazione prevista dall'articolo 2409-ter (2).
[III]. Il bilancio, con le copie integrali dell'ultimo bilancio delle società controllate e un
prospetto riepilogativo dei dati essenziali dell'ultimo bilancio delle società collegate, deve
restare depositato in copia nella sede della società, insieme con le relazioni degli
amministratori, dei sindaci e del soggetto incaricato del controllo contabile, durante i quindici
giorni che precedono l'assemblea, e finché sia approvato. I soci possono prenderne visione.
[IV]. Il deposito delle copie dell'ultimo bilancio delle società controllate prescritto dal comma
precedente può essere sostituito, per quelle incluse nel consolidamento, dal deposito di un
prospetto riepilogativo dei dati essenziali dell'ultimo bilancio delle medesime.
(1) V. nota al Capo V.
(2) Periodo così sostituito dall'art. 2 d.lgs. 2 febbraio 2007, n. 32, come rettificato con Errata corrige in G.U. 30
marzo 2007, n. 75. Ai sensi dell'art. 5 del medesimo decreto le presenti disposizioni si applicano ai bilanci
relativi agli esercizi aventi inizio dalla data successiva a quella della sua entrata in vigore [12 aprile 2007]. Il
testo del periodo era il seguente: « Analoga relazione è predisposta dal soggetto incaricato del controllo
contabile».
Sommario: 1. Introduzione. - 2. Deposito di bilancio. Giurisprudenza consolidata. - 3. Poteri di controllo del
collegio sindacale. Giurisprudenza di merito.
1. Introduzione. - La relazione dei sindaci è il
documento che riassume lì'attività di controllo
svolta dai sindaci durante l'esercizio.
La norma disciplina altresì il deposito del
bilancio.
2. Deposito del bilancio. Giurisprudenza
consolidata. - L'obbligo gravante sugli
amministratori di una società di capitali di
depositare il bilancio nei quindici giorni
antecedenti l'assemblea di approvazione, di cui al
vecchio testo dell'art. 2432 c.c. (oggi art. 2429,
comma 3, stesso codice), deve ritenersi
correttamente adempiuto anche se i relativi
documenti risultino a disposizione dei soci nei soli
orari di ufficio e nei giorni non festivi. Se la
preposizione (impropriamente) impiegata dalla
norma in parola ("durante") postula, difatti, la
continuità dell'atto del deposito, non perciò può
dirsi imposta agli amministratori l'adozione di
misure straordinarie nell'organizzazione degli
uffici della sede sociale, laddove l'esigenza di
consultazione e di adeguata informazione dei soci
risulta legittimamente soddisfatta con il
consentirne l'accesso e la relativa consultazione
durante i normali orari di apertura degli uffici
privati, potendo ipotizzarsi un dovere di assicurare
l'accessibilità ai documenti oltre tali, ordinari
limiti di tempo soltanto per corrispondere ad una
specifica e motivata richiesta del socio interessato.
(Nella specie, il socio di una s.p.a. lamentava di
non aver potuto prendere visione del bilancio nel
giorno antecedente l'assemblea di approvazione
perché festivo: la S.C., nel rigettarne il ricorso, ha
enunciato il principio di diritto di cui in massima).
Cass. civ., sez. I, 17 gennaio 2001, n. 560, Giust.
civ. Mass. 2001, 96, Giur. it. 2001, 1179, Riv.
notariato 2001, 915, Società 2001, 671, Vita not.
2002, 878. (7968732).
L'obbligo di deposito del progetto di bilancio
presso la sede socialedeve ritenersi soddisfatto nel
caso in cui i documenti richiesti dalla legge siano
stati trasmessi alla società tramite posta
elettronica e resi disponibili ai soci. Trib. Milano,
10 marzo 2005, Giur. it. 2005, 1864. (7968732).
Il deposito del bilancio presso la sede sociale
esaurisce il dovere di pubblicità e di informazione
dei soci. Cass. civ., 4 febbraio 1992, n. 1211.
(7968732).
L'incompletezza del procedimento informativo
consistente nel mancato deposito della bozza di
bilancio e dei documenti integrativi costituisce un
vizio che rende annullabile la delibera di
approvazione del bilancio. Il mancato deposito
della bozza di bilancio e dei documenti integrativi
presso la sede sociale durante i 15 giorni
precedenti l'assemblea, ai sensi dell'art. 2491 c.c.,
priva i singoli soci della possibilità di conoscere
preventivamente l'oggetto su cui sono chiamati a
deliberare ed impedisce che essi abbiano piena
informazione della situazione patrimoniale della
società secondo i criteri legali prescritti in materia
di bilancio. A tal fine non basta che il socio abbia
potuto preventivamente esercitare il diritto di
controllo individuale ex art. 2489 c.c., perché
l'informazione
dovuta
non
riguarda
semplicemente le risultanze contabili e lo stato
degli affari sociali, ma ha ad oggetto più specifico
la conoscenza della situazione patrimoniale ed
economica
della
società
risultante
dall'applicazione concorrenziale dei criteri legali e
delle valutazioni prudenziali degli amministratori.
Le norme in proposito (art. 2491 c.c. e art. 2429
c.c. richiamato per le s.r.l.) prefigurano un
procedimento formale non surrogabile mediante
trasmissione e depositi di "bozze" di documenti
che finirebbero per rendere solo virtuale il
procedimento voluto dalla legge. Trib. Milano, 15
marzo 2005, Giustizia a Milano 2005, 28.
(7968732).
3. Poteri di controllo del collegio sindacale.
Giurisprudenza di merito. - La redazione e la
sottoscrizione del bilancio delle società di capitali
spettano esclusivamente agli amministratori; il
collegio sindacale svolge, in tale fase, la funzione
di controllo e quella consultiva, funzioni che si
concretano nella relazione di cui all'art. 2429 c.c.
Trib. Sondrio, 20 maggio 1994, Riv. Notariato
1995, 1028. (7968732).
Il controllo della regolare tenuta della contabilità
sociale e la corrispondenza del bilancio alle
risultanze dei libri e delle scritture contabili da
parte dei sindaci non può intendersi in senso
puramente formale. Trib. Napoli, 18 marzo 1995.
(7968732).
Per i sindaci non costituisce irregolarità grave il
non menzionare nella relazione annuale una
denunzia ricevuta, se il collegio ha provveduto
tempestivamente ad investigare con esito negativo
sui fatti censurabili e ne ha riferito oralmente in
assemblea. App. Milano, 10 giugno 1991, Giur. it.
1992, I, 2, 235. (7968732).
La relazione dei sindaci al progetto di bilancio è
un atto collegiale, anche se sottoscritto dal solo
presidente del collegio. Trib. Milano, 20 marzo
1989.
(7968732).
2430. Riserva legale (1). – [I]. Dagli utili netti annuali deve essere dedotta una somma
corrispondente almeno alla ventesima parte di essi per costituire una riserva, fino a che questa
non abbia raggiunto il quinto del capitale sociale.
[II]. La riserva deve essere reintegrata a norma del comma precedente se viene diminuita per
qualsiasi ragione.
[III]. Sono salve le disposizioni delle leggi speciali.
(1) V. nota al Capo V.
Sommario: 1. Introduzione. - 2. Portata della norma. - 3. Rilievi fiscali. Giurisprudenza consolidata.
1. Introduzione. – La riserva legale è un
accantonamento contabili di utili disposto per
plegge a salvaguardia del capitale sociale.
Anche se la Riforma non ha apportato alcuna
modifica alla norma in commento, la stessa
Riforma, con l'art. 2412 c.c., ha attribuito alla
riserva una funzione di garanzia.
2. Portata della norma. – Nel caso in cui le
nuove azioni emesse da una società, in sede di
aumento del capitale, vengano collocate presso
terzi per un importo superiore al valore nominale,
ed al fine di stabilire se l'amministratore, in tale
rapporto con i terzi acquirenti, abbia agito solo in
rappresentanza della società, riscuotendo un "
sopraprezzo " di pertinenza della società
medesima (come tale da iscriversi in bilancio ai
sensi ed agli effetti dell'art. 2430 c.c.), in
esecuzione di deliberazione esclusiva o limitativa
del diritto d'opzione dei soci, ovvero abbia agito
anche in qualità di mandatario dei soci stessi,
percependo quel maggior importo a titolo di
compenso loro dovuto per la rinuncia all'esercizio
del diritto d'opzione, occorre tenere presente che
la prima delle indicate ipotesi postula che la
suddetta
deliberazione
sia
adottata
contestualmente all'aumento di capitale, nonché
per uno specifico ed evidenziato interesse della
società giustificativo del sacrificio del diritto dei
soci (art. 2441, comma 5 e 6, c.c., modificato con
d.P.R. 10 febbraio 1986 n. 30), mentre la seconda
richiede una convenzione, alla quale abbiano
partecipato i titolari del diritto d'opzione per il
conferimento di quel mandato. Cass. Civ., sez. I,
14 gennaio 1987, n. 174, Giust. civ. Mass. 1987,
fasc. 1, Dir. fall. 1987, II, 327. (7968/744).
La riserva costituita presso la società con il
maggior prezzo realizzato, in occasione di
aumenti di capitale, rispetto al valore nominale
delle azioni e non distribuito ai soci, può, oltre i
limiti della riserva legale (o, eventualmente,
statutaria) essere legittimamente impiegato per
l'acquisto di azioni proprie). Corte App. Milano,
18 settembre 1986, Giur. comm. 1987, II,461.
(7968/744).
3. Rilievi fiscali. Giurisprudenza consolidata. La ripartizione fra gli azionisti di una società del
fondo sopraprezzo delle azioni, che sia effettuata
in collocamento con la mancata distribuzione di
utili esercizio ed il loro passaggio a riserva in
misura eccedente quella legale, è assoggettata a
ritenuta d'acconto, per l'imposta cedolare, secondo
la previsione della l. 29 dicembre 1962 n. 1745,
qualora, ancorché alla stregua di elementi
presuntivi, come quelli evincibili dalla mancanza
di giustificazioni per il suddetto aumento della
riserva, risulti che la ripartizione medesima integri
mezzo al fine di mascherare la distribuzione di
utili di esercizio. Cass. civ., sez. I, 7 ottobre 1981,
n. 5264, Giust. civ. Mass. 1981, fasc. 10.
(7968/744).
2431. Sovraprezzo delle azioni (1). – [I]. Le somme percepite dalla società per l'emissione di
azioni ad un prezzo superiore al loro valore nominale, ivi comprese quelle derivate dalla
conversione di obbligazioni, non possono essere distribuite fino a che la riserva legale non
abbia raggiunto il limite stabilito dall'articolo 2430.
(1) V. nota al Capo V.
Sommario: 1. Introduzione. - 2. Portata della norma. –3. Rilievi fiscali.
1. Introduzione. – Il sovraprezzo non è altro che
la differenza tra valore di emissione e valore
nominale delle azioni.
Pertanto le somme percepite sono gli importi di
denaro eccedenti il valore nominale del titolo, o in
caso di azioni senza valore nominale, l'importo
complessivo dei conferimenti destinati in capitale
sociale.
Non è consentita una remunerazione legata al
fatturato dell'esercizio, perché si tratta di un
parametro che non scontando i costi dell'esercizio
è idoneo a superare, in concreto, il limite fissato
cogentemente dall'art. 2431 c.c. a tutela del
patrimonio sociale. Trib. Milano, 1 settembre
1987, Riv. dir. comm. 1988, II, 281. (7968/72).
2. Portata della norma. – È nulla la clausola con
la quale si dispone che l'assemblea può destinare
all'organo amministrativo tutti gli utili netti di
bilancio previa deduzione della quota di riserva
legale, perché contraria agli art. 2389 e 2432 (già
2431) c.c. che comportano un limite
all'attribuzione di utili a favore degli
amministratori,
limite
non
derogabile
dall'autonomia statutaria giacché si riconnette alla
causa del contratto di società. Trib. Cassino, 20
marzo 1992, Riv. Notariato 1992, 1283.
(7968/1068).
3. Rilievi fiscali. – In tema d'imposta di registro,
la distribuzione ai soci del fondo sovrapprezzo
azioni, in quanto si esaurisca in un mero rimborso
di capitale, già assoggettato ad imposta all'atto del
conferimento, non costituisce un trasferimento di
ricchezza, ma solo una restituzione di capitale
esuberante - ossia in eccesso rispetto ai mezzi
necessari per il conseguimento dello scopo sociale
- e non è quindi qualificabile come assegnazione,
soggetta ad imposta proporzionale ai sensi dell'art.
4, lett. d, della parte I della tariffa allegata al
d.P.R. 26 aprile 1986 n. 131. Cass. Civ., sez. trib.,
23 giugno 2006, n. 14676, Giust. civ. Mass. 2006,
6.
(798/744).
2432. Partecipazione agli utili (1). – [I]. Le partecipazioni agli utili eventualmente spettanti
ai promotori, ai soci fondatori e agli amministratori sono computate sugli utili netti risultanti
dal bilancio, fatta deduzione della quota di riserva legale.
(1) V. nota al Capo V.
Sommario: 1. Introduzione. - 2. L'utile netto. Giurisprudenza di merito.
1. Introduzione. – La norma, non modficata dalla
Riforma, stabilisce parametri per la distribuzione
agli utili agli amministratori, soci fondatori e
promotori.
riferimento corrisponde alll utile accertato e
distribuibile ai soci e, quindi, all'utile calcolato
non solo al netto delle perdite ma anche al netto
delle imposte della società. Trib. Roma, 11 marzo
2005, Foro it. 2006, 1, 293. (7968/744).
2.L'utile netto. Giurisprudenza di merito. –
L'utile netto cui l'art. 2432 c.c. testo previgente fa
2433. Distribuzione degli utili ai soci (1). – [I]. La deliberazione sulla distribuzione degli
utili è adottata dall'assemblea che approva il bilancio ovvero, qualora il bilancio sia approvato
dal consiglio di sorveglianza, dall'assemblea convocata a norma dell'articolo 2364-bis,
secondo comma.
[II]. Non possono essere pagati dividendi sulle azioni, se non per utili realmente conseguiti e
risultanti dal bilancio regolarmente approvato.
[III]. Se si verifica una perdita del capitale sociale, non può farsi luogo a ripartizione di utili
fino a che il capitale non sia reintegrato o ridotto in misura corrispondente.
[IV]. I dividendi erogati in violazione delle disposizioni del presente articolo non sono
ripetibili, se i soci li hanno riscossi in buona fede in base a bilancio regolarmente approvato,
da cui risultano utili netti corrispondenti.
(1) V. nota al Capo V.
Sommario: 1. Introduzione. - 2. La distribuzione degli utili tra diritto e aspettativa del socio. Giurisprudenza
consolidata. – 3. L'accertamento degli utili. Giurisprudenza di legittimità. – 4. La non sussistenza del danno
diretto al socio per effetto della mancata distribuzione degli utili. Giurisprudenza consolidata.
1. Introduzione. – La norma in commento
disciplina le modalità di divisione degli utili trai
soci.
2. La distribuzione degli utili tra diritto e
aspettativa
del
socio.
Giurisprudenza
consolidata. - Anche nelle società a responsabilità
limitata (nel vigore della disciplina dettata dal
codice civile del 1942, anteriormente alla riforma
di cui al d.lg. 17 gennaio 2003 n. 6) non è
configurabile un diritto del socio agli utili senza
una preventiva deliberazione assembleare in tal
senso, rientrando nei poteri dell'assemblea - in
sede approvativa del bilancio - la facoltà di
disporne l'accantonamento o il reimpiego
nell'interesse della stessa società, sulla base di una
decisione censurabile solo se propria di iniziative
della maggioranza volte ad acquisire posizioni di
indebito vantaggio a danno degli altri soci cui sia
resa più onerosa la partecipazione. Cass. civ., sez.
I, 29 gennaio 2008, n. 2020, Giust. civ. Mass.
2008, 1, 112; Cass. civ., sez. I, 28 maggio 2004, n.
10271, Giust. civ. Mass. 2004, 5 (7968/744).
Sin quando non sopravvenga una delibera di
distribuzione dei dividendi, il socio di società di
capitali è titolare di una semplice aspettativa al
conseguimento dell'utile, a meno che lo statuto
stabilisca la regola della distribuzione, nel qual
caso l'aspettativa assurge a vero e proprio diritto.
Trib. Milano, 28 settembre 2006, Giur. it. 2007, 2,
387 (7968/744).
Il diritto dei soci di una società di capitali alla
percezione degli utili, e quello alla ripartizione, in
proporzione alla quota di capitale posseduta,
dell'eventuale attivo patrimoniale residuo, al
termine della liquidazione, non sono assimilabili:
ne consegue che la sopravvenuta liquidazione
della società non fa venir meno l'interesse del
socio a coltivare la domanda di nullità della
delibera di non distribuire gli utili di esercizio. La
clausola statutaria la quale demandi all'assemblea
il potere di decidere, a maggioranza qualificata, la
destinazione degli utili realizzati, costituisce una
deroga al principio generale per cui gli utili vanno
distribuiti ai soci. Ne consegne che, se manca o è
nulla la deliberazione assembleare che decida di
non distribuire gli utili, i soci vantano un diritto
immediato e perfetto alla distribuzione di questi
ultimi. Trib. Cassino, 25 gennaio 2002, Giur.
romana 2002, 390 (7968/744).
Il diritto agli utili sorge per i soci esclusivamente
a seguito di una specifica delibera assembleare e
non in dipendenza della mera approvazione del
bilancio. Tuttavia, è da considerarsi legittima una
clausola statutaria che prevede, in esecuzione
dell'art. 2328 n. 7, l'immediata esigibilità, da parte
dei soci, degli utili, salvo diverse disposizioni che
possono essere prese dall'assemblea. Trib. Trani,
19 settembre 2000, Società 2001, 481.
(7968/744).
3. L'accertamento degli utili. Giurisprudenza
di legittimità. - Al fine di accertare la produzione
di utili di una società commerciale possono essere
utilizzate le risultanze del solo bilancio redatto a
fini fiscali e non può esserne genericamente
eccepita l'inutilizzabilità senza svolgere specifiche
e pertinenti deduzioni in ordine ai concreti effetti
che le divergenze tra normativa fiscale e
civilistica possano produrre. Cass. civ., sez. I, 6
luglio 2007, n. 15304, Giust. civ. Mass. 2007, 9.
(7968/744).
4. La non sussistenza del danno diretto al socio
per effetto della mancata distribuzione degli
utili. Giurisprudenza consolidata. - Il diritto alla
conservazione del patrimonio sociale spetta alla
società e non al socio come tale, il quale ha in
materia un interesse, la cui eventuale lesione non
può concretare quel danno diretto necessario per
potersi esperire
l'azione
individuale
di
responsabilità contro gli amministratori. Tale
danno diretto, peraltro, non sussiste neppure per il
solo fatto che nel comportamento degli
amministratori possa configurarsi un illecito
penale, nè può consistere nella mancata
distribuzione degli utili, perché questi, prima della
distribuzione, appartengono alla società, si che il
danno derivante dalla loro distrazione ad opera
degli amministratori è della società e non dei soci,
che ne vengono pregiudicati solo di riflesso, tanto
da non essere neppure abilitati a proporre azione
di indebito arricchimento per conseguire la quota
di utili occultata nel bilancio di esercizio. Cass.
civ., sez. I, 7 settembre 1993, n. 9385, Giust. civ.
Mass. 1993, 1371. (7968/744).
2433 bis. Acconti sui dividendi (1). – [I]. La distribuzione di acconti sui dividendi è
consentita solo alle società il cui bilancio è assoggettato per legge al controllo da parte di
società di revisione iscritte all'albo speciale.
[II]. La distribuzione di acconti sui dividendi deve essere prevista dallo statuto ed è deliberata
dagli amministratori dopo il rilascio da parte della società di revisione di un giudizio positivo
sul bilancio dell'esercizio precedente e la sua approvazione.
[III]. Non è consentita la distribuzione di acconti sui dividendi quando dall'ultimo bilancio
approvato risultino perdite relative all'esercizio o a esercizi precedenti.
[IV]. L'ammontare degli acconti sui dividendi non può superare la minor somma tra l'importo
degli utili conseguiti dalla chiusura dell'esercizio precedente, diminuito delle quote che
dovranno essere destinate a riserva per obbligo legale o statutario, e quello delle riserve
disponibili.
[V]. Gli amministratori deliberano la distribuzione di acconti sui dividendi sulla base di un
prospetto contabile e di una relazione, dai quali risulti che la situazione patrimoniale,
economica e finanziaria della società consente la distribuzione stessa. Su tali documenti deve
essere acquisito il parere del soggetto incaricato del controllo contabile.
[VI]. Il prospetto contabile, la relazione degli amministratori e il parere del soggetto incaricato
del controllo contabile debbono restare depositati in copia nella sede della società fino
all'approvazione del bilancio dell'esercizio in corso. I soci possono prenderne visione.
[VII]. Ancorché sia successivamente accertata l'inesistenza degli utili di periodo risultanti dal
prospetto, gli acconti sui dividendi erogati in conformità con le altre disposizioni del presente
articolo non sono ripetibili se i soci li hanno riscossi in buona fede.
(1) V. nota al Capo V.
2434. Azione di responsabilità (1). – [I]. L'approvazione del bilancio non implica liberazione
degli amministratori, dei direttori generali, dei dirigenti preposti alla redazione dei documenti
contabili societari (2) e dei sindaci per le responsabilità incorse nella gestione sociale.
(1) V. nota al Capo V.
(2) Le parole « , dei dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari » sono state inserite
dall'art. 151 lett. a)l. 28 dicembre 2005, n. 262
Sommario: 1. Introduzione. - 2. La rinuncia all'azione. Giurisprudnza consolidata.
1. Introduzione. – La norma non è stata
praticamente mutata dalla Riforma e dispone che
l'approvazione del bilancio non postula la rinuncia
della società a far valere la responsabilità di tutti
gli organi della società stessa.
2. La rinuncia all'azione. Giurisprudenza
consolidata. – È ammissibile la preventiva
rinuncia all'azione di responsabilità contro gli
amministratori purché la relativa delibera
assembleare si riferisca a specifiche vicende
gestionali dettagliatamente descritte nel contesto
dell'atto. Trib. Milano, 16 gennaio 1995, Gius
1995, 3752. (7968/816).
La rinuncia all'esercizio dell'azione sociale di
responsabilità non può essere desunta da una
generica ratifica dell'operato dell'amministratore
deliberata in sede di approvazione del bilancio,
ma deve formare oggetto di espressa
deliberazione assembleare. Trib. Termini Imerese,
28 gennaio 1993, Banca borsa tit. cred. 1993, II,
571.(7968/816).
2434 bis. Invalidità della deliberazione di approvazione del bilancio (1). – [I]. Le azioni
previste dagli articoli 2377 e 2379 non possono essere proposte nei confronti delle
deliberazioni di approvazione del bilancio dopo che è avvenuta l'approvazione del bilancio
dell'esercizio successivo.
[II]. La legittimazione ad impugnare la deliberazione di approvazione del bilancio su cui il
revisore non ha formulato rilievi spetta a tanti soci che rappresentino almeno il cinque per
cento del capitale sociale.
[III]. Il bilancio dell'esercizio nel corso del quale viene dichiarata l'invalidità di cui al comma
precedente tiene conto delle ragioni di questa.
(1) V. nota al Capo V.
Sommario: 1. Introduzione. - 2. Interesse e legitimazione all'impugnazione. Giurisprudenza consolidata.- 3.
Limite temporale all'impugnazione. - 4. La mancanza di rilievi del revisore. Giurisprudenza di merito. - 5.
Invalidità della deliberazione. - 5.1. L'annullabilità della delibera pre Riforma. - 5.2. La nullità della delibera pre
Riforma. – 6. Impugnabilità della delibera negativa di approvazione del bilancio. Giurisprudenza di merito.
1. Introduzione. – La norma sancisce il perimetro
di applicabilità delle impugnazioni avverso la
delibera di approvazione del bilancio.
2. Interesse e legitimazione all'impugnazione.
Giurisprudenza consolidata. – Affinché sussista
l'interesse del socio (o, come nella specie, del
legatario avente causa dal socio) alla
impugnazione della deliberazione dell'assemblea
di approvazione del bilancio ex art. 2379 c.c.,
occorre l'allegazione di una incidenza negativa
nella di lui sfera giuridica delle irregolarità
denunciate riguardo al risultato economico della
gestione sociale, sia pure in termini di una
possibilità di danno correlata alla sua
partecipazione societaria. Tale situazione ricorre
allorché la falsa rappresentazione della situazione
patrimoniale sia destinata ad incidere sul valore
della partecipazione ai fini del calcolo
dell'indennizzo dovuto, nella riforma del sistema
radiotelevisivo dettata dalla legge 14 maggio 1975
n. 103, al soggetto privato "ex" azionista per il
forzoso trasferimento all'IRI della partecipazione
alla società concessionaria dei pubblici servizi di
radiodiffusione
circolare,
indennizzo
commisurato, ai sensi dell'art. 47 della citata
legge, al valore delle azioni risultante dal bilancio
di esercizio del 31 dicembre 1973. Cass. civ., sez.
I, 2 maggio 2007, n. 10139, Società 2008, 53.
(7968/300).
L'interesse del socio ad impugnare il bilancio non
è menomato dalla circostanza che siano impugnati
solo alcuni bilanci intercalati ad altri non
impugnati, o che non siano stati impugnati i
bilanci degli anni precedenti, pur nel caso in cui
una ragione di nullità del bilancio impugnato si
ricolleghi alla nullità di un bilancio precedente
non impugnato, perché la mancata impugnazione
di un bilancio non preclude alla parte di far
accertare la nullità della posta relativa alle
giacenze iniziali senza che ciò debba ripercuotersi
su quello precedente. Cass. civ., 24 dicembre
2004, n. 23976, Foro it. 2005, I, 3384. (7968/300).
La legittimazione del socio assente o dissenziente
a impugnare la delibera di approvazione del
bilancio non è pregiudicata dal fatto che egli non
abbia impugnato i bilanci di esercizi precedenti
redatti con gli stessi criteri. Tribunale Milano, 5
aprile 2006, Banca borsa tit. cred. 2008, 2, 201.
(7968/300).
Il socio possiede un interesse concreto ed attuale
ad impugnare un bilancio per vizi derivati da un
precedente bilancio già impugnato, al quale il
primo è legato dal principio di continuità, fintanto
che tali vizi non siano stati effettivamente rimossi
con la compilazione ed approvazione di un nuovo
bilancio . Trib. Napoli, 5 aprile 2004, Società
2004, 1418. (7968/300).
3. Limite temporale all'impugnazione. - I
principi generali della chiarezza e della verità, cui
deve ispirarsi l'organo preposto alla redazione del
bilancio di esercizio, sono i principi cardine che lo
stesso legislatore eleva a norme di diritto
pubblico, statuendo che la loro non corretta
applicazione comporta la nullità della delibera
assembleare, avente ad oggetto l'approvazione di
un documento contabile non chiaro e non
veritiero. Tuttavia, la necessità di una sempre
maggiore chiarezza viene ancor di più messa in
risalto con la nota integrativa: documento di tipo
descrittivo a corredo dello stato patrimoniale e
conto economico, avente lo scopo di fornire al
lettore del bilancio ulteriori informazioni tali da
far comprendere l'iter logico di formazione delle
singole poste di bilancio. Allo stesso tempo però
lo stesso legislatore se da un lato tutela il diritto
dei soci e dei terzi ad essere informati in modo
chiaro e veritiero, dall'altro ha ritenuto opportuno
introdurre un limite temporale, con apposita
norma giuridica (art. 2434 bis c.c.) applicabile per
espresso rinvio anche alle s.r.l., secondo cui non è
possibile impugnare la delibera di approvazione
del bilancio una volta che il bilancio dell'esercizio
successivo sia stato già approvato, con l'evidente
scopo di garantire il principio generale della
continuità aziendale, nonché della certezza e
stabilità agli atti societari. Trib. Milano, sez. VIII,
5 giugno 2006, n. 6632, Dir. e prat. soc. 2007, 1,
81. (7968/300).
4. La mancanza di rilievi del revisore.
Giurisprudenza di merito. – Per revisore si
intnde non solo il revisore esterno, cui di regola
compete l'esercizio del controllo contabile, ma
anche il collegio sindacale. Trib. Rimini, 6
idicembre 2005, Foro it. 2005, I, 822. (7968/300).
5. Invalidità della deliberazione. – La norma
richiama le disposizioni in tema di nullità ed
annullabilità della delibera.
5.1. L'annullabilità della delibera pre Riforma.
- L'obbligo fissato dall'art. 2432, comma 3, c.c.
(nel testo anteriore alla modifica introdotta dal
d.lg. 9 aprile 1991 n. 127 di attuazione delle
direttive Cee n. 78/660 e n. 83/349, ed applicabile
anche in tema di società a responsabilità limitata,
in virtù del richiamo contenuto nell'art. 2491 c.c.)
avente ad oggetto il deposito del progetto di
bilancio nei quindici giorni antecedenti
all'assemblea fissata per l'approvazione del
bilancio stesso, si rende strumentale rispetto alla
finalità di assicurare il soddisfacimento del diritto
dei soci ad essere informati. Un tal diritto - che
rappresenta il bene giuridico tutelato dalla norma postula non solo che il progetto di bilancio resti
depositato per l'indicato periodo, ma anche e
soprattutto che sia effettivamente consentito ai
soci di esaminarlo, dal che consegue che ogni
impedimento frapposto al socio (o ad un suo
delegato) il quale precluda allo stesso di prendere
visione del (progetto di) bilancio comporti di per
sè stesso la violazione del diritto all'informazione
tutelato dalla norma suddetta, e possa giustificare
(rendendosi irrilevante, ad un tal punto, ogni
accertamento in ordine alla regolarità - in sè - del
deposito) l'annullamento della successiva delibera
di approvazione del bilancio medesimo. Cass.
civ., sez. I, 11 maggio 1998, n. 4734, Giust. civ.
Mass. 1998, 994, Società 1998, 1291. (7968/300).
5.2. La nullità della delibera pre Riforma. –
Nella disciplina legale del bilancio d'esercizio
delle società, il principio di chiarezza non è affatto
subordinato a quello di correttezza e veridicità del
bilancio medesimo, ma è dotato di autonoma
valenza, essendo obiettivo fondamentale del
legislatore quello di garantire non solo la
veridicità e correttezza dei risultati contabili, ma
anche la più ampia trasparenza dei dati di bilancio
che
a
quei
risultati
conducono.
Conseguentemente, il bilancio d'esercizio di una
società di capitali che violi i precetti di chiarezza e
precisione dettati dall'art. 2423 c.c., comma 2
(anche nel testo anteriore alle modificazioni
apportate dal d. lgs. 9 aprile 1991 n. 127), è
illecito, ed è quindi nulla la deliberazione
assembleare con cui esso è stato approvato. Cass.
civ., sez. I, 7 marzo 2006, n. 4874, Giust. civ.
Mass. 2006, 3. (7968/300).
Al principio di chiarezza deve essere riconosciuta,
sia anteriormente che posteriormente alle
innovazioni legislative del 1991, rilevanza
autonoma, non sottoordinata a quella del principio
di verità. La sua violazione pregiudica gli interessi
generali tutelati dalla disciplina della redazione
del bilancio, con conseguente nullità della
delibera assembleare che lo approva. Cass. civ.,
sez. I, 2 maggio 2007, n. 10139, Giust. civ. 2008,
2, 441; Cass. civ., sez. un., 21 febbraio 2000, n.
27, Giur. it. 2000, 1209. (7968/300).
La delibera di approvazione del bilancio di una
società di capitali, resa dall'assemblea ordinaria
con le prescritte maggioranze, ha efficacia
vincolante nei confronti di tutti i soci, anche con
riguardo ai crediti della società verso i medesimi
che risultino indicati con chiarezza in detto
bilancio . Se è vero, infatti, che a norma dell'art.
2709 c.c. i libri e le scritture contabili - e quindi
anche il bilancio - dell'impresa soggetta a
registrazione fanno prova contro l'imprenditore e
non a suo favore, tale regola non è invocabile nei
rapporti fra società e socio, che sono retti dal
principio della vincolatività delle deliberazioni
assembleari. Tale principio, valevole anche con
riguardo ai soci dissenzienti che non abbiano
provveduto ad impugnare la deliberazione nei
modi e nei termini prescritti, a maggior ragione è
destinata a valere nei confronti del socio che abbia
concorso con il proprio voto favorevole
all'approvazione di quella deliberazione: sicché
soltanto facendone pronunciare l'annullamento o
facendone accertare la nullità detto socio può
sottrarsi al vincolo da essa derivante, fermo
restando che l'onere di provare il vizio da cui
deriva l'invalidità di una deliberazione
giudizialmente impugnata grava su chi la
impugna. (Fattispecie relativa all'impugnazione
della deliberazione dell'assemblea di una società a
responsabilità limitata di approvazione di una
situazione patrimoniale, prodromica alla messa in
liquidazione della società e qualificabile come
bilancio straordinario, da cui emergeva un debito
per sottoscrizione di un precedente aumento di
capitale del socio impugnante, che aveva concorso
con il proprio voto favorevole all'approvazione
della delibera. Enunciando il principio in
massima, la S.C. ha affermato che gravava su
detto socio l'onere - nella specie non assolto - di
provare l'eccepita nullità della deliberazione per
difetto di veridicità della situazione patrimoniale
approvata, con particolare riferimento al debito in
questione). Cass. civ., sez. I, 10 novembre 2005,
n. 21831, Giust. civ. Mass. 2005, 11. (7968/300).
Il bilancio redatto dal commissario nominato in
sostituzione degli organi ordinari di una società di
assicurazioni a norma dell'art. 7 l. 12 agosto 1982
n. 576 (riforma della vigilanza sulle
assicurazioni), come sostituito dall'art. 2 l. 9
gennaio 1991 n. 20, è comunque da considerare
alla stregua di un atto societario, soggetto alle
regole dettate dal legislatore per tal genere di
rappresentazione
contabile
della
realtà
patrimoniale,
economica
e
finanziaria
dell'impresa, con la conseguenza che esso è
soggetto
al
corrispondente
regime
di
impugnazione, pur con gli adattamenti
necessariamente dovuti al fatto che detto bilancio
non passa attraverso l'approvazione dell'assemblea
dei soci. Da tanto deriva che il socio è legittimato
a far accertare direttamente la nullità del bilancio
per contrasto con le norme imperative destinate a
disciplinarne la redazione, a tal fine promuovendo
un'azione retta dai principi generali desumibili dal
combinato disposto degli art. 1324 e 1418 c.c.
Cass. civ., sez. I, 29 aprile 2004, n. 8204, Giust.
civ. Mass. 2004, 4. (7968/300).
La deliberazione assembleare di una società di
capitali, con la quale sia stato approvato un
bilancio non conforme ai precetti dell'art. 2423
c.c., deve ritenersi affetta da nullità per illiceità
dell'oggetto, quando comporti la violazione dei
principi di chiarezza, veridicità e correttezza, così
da cagionare una netta cesura tra il dato
rappresentato e l'effettivo risultato dell'esercizio,
restando in tale modo compromessa quella
funzione informativa, interna ed esterna alla
società, che è lo scopo fondamentale perseguito
dal legislatore. In un caso siffatto, l'azione di
nullità delle deliberazioni dell'assemblea è
svincolata dai presupposti e dalle condizioni
temporali e di legittimazione stabilite dall'art.
2377 c.c. per l'azione di annullamento: potendo la
nullità essere fatta valere da chiunque vi ha
interesse (art. 1421 c.c.), anche la società e i suoi
amministratori hanno la legittimazione a fare
valere in via incidentale tale nullità al fine di
superare l'efficacia formale, altrimenti vincolante
per tutti i soci, dell'approvazione del bilancio .
App. Milano, 20 dicembre 2002, Giur. milanese
2004, 124. (7968/300).
6. Impugnabilità della delibera negativa di
approvazione del bilancio. Giurisprudenza di
merito. - Il comportamento diretto ad ottenere lo
scioglimento della società mediante il reiterato e
immotivato rifiuto di approvare il bilancio di
esercizio costituisce violazione dei canoni di
correttezza e buona fede che a sua volta legittima
l'annullabilità della delibera, seppur negativa, in
quanto violazione di legge rilevante ai sensi
dell'art. 2377 c.c. L'azione risarcitoria, a causa
della pregiudizialità dell'azione volta ad invalidare
la delibera è inammissibile in mancanza
dell'esperimento del rimedio invalidatorio. Trib.
Catania, sez. IV, 10 agosto 2007, Giur. comm.
2009,
1,
197.
(7968/300).
2435. Pubblicazione del bilancio e dell'elenco dei soci e dei titolari di diritti su azioni (1).
– [I]. Entro trenta giorni dall'approvazione una copia del bilancio, corredata dalle relazioni
previste dagli articoli 2428 e 2429 e dal verbale di approvazione dell'assemblea o del consiglio
di sorveglianza, deve essere, a cura degli amministratori, depositata presso l'ufficio del
registro delle imprese o spedita al medesimo ufficio a mezzo di lettera raccomandata.
[II]. Entro trenta giorni dall'approvazione del bilancio le società non aventi azioni quotate in
mercati regolamentati (2) sono tenute altresì a depositare per l'iscrizione nel registro delle
imprese l'elenco dei soci riferito alla data di approvazione del bilancio, con l'indicazione del
numero delle azioni possedute, nonché dei soggetti diversi dai soci che sono titolari di diritti o
beneficiari di vincoli sulle azioni medesime. L'elenco deve essere corredato dall'indicazione
analitica delle annotazioni effettuate nel libro dei soci a partire dalla data di approvazione del
bilancio dell'esercizio precedente.
(1) V. nota al Capo V.
(2) V. Avviso di rettifica in G.U. 4 luglio 2003, n. 153.
1. Principi genrali. Giurisprudenza di merito. –
Nelle società di capitali il legislatore ha previsto
l'obbligo di redazione di un formale bilancio ex
art. 2423 c.c., stabilendo in modo preciso anche i
criteri di redazione ex art. 2423 bis c.c., il quale
bilancio, proprio perché destinato, per sua natura,
alla tutela di soggetti terzi che vengono in contatto
con la società, deve essere non solo depositato
presso la società prima dell'approvazione ex art.
2429 c.c. (a tutela evidentemente degli stessi
soci), ma anche depositato presso l'ufficio def
registro delle imprese ex art. 2435 e 2478 bis c.c.,
a tutela evidentemente dei terzi; invece nelle
società di persone è previsto solo un rendiconto
annuale, del quale non è richiesto né il deposito né
tanto meno la pubblicazione, proprio perché la sua
redazione non risponde a un'esigenza di tutela dei
terzi e della collettività, bensì a un'esigenza e a
una tutela individuale del singolo socio. Sicché,
ogni relativa questione è non solo transigibile, ma
anche compromettibile in arbitri, non andando a
incidere su norme di carattere imperativo. Trib.
Bari, sez. IV, 7 febbraio 2007, Guida al diritto
2007, 32, 67. (7968/804).
Non sono sanzionabili in via amministrativa, ex
art. 2626 c.c. (vecchio testo) in relazione agli art.
2435 e 2364 c.c., gli amministratori di società di
capitati i quali provvedano al deposito del bilancio
entro trenta giorni dall'approvazione, quand'anche
il bilancio sia stato approvato oltre il termine
all'uopo stabilito dalla legge. Trib. Brescia, 13
maggio 2002, Società 2002, 1412. (7968/804).
2435 bis. Bilancio in forma abbreviata (1). – [I]. Le società, che non abbiano emesso titoli
negoziati in mercati regolamentati (2), possono redigere il bilancio in forma abbreviata
quando, nel primo esercizio o, successivamente, per due esercizi consecutivi, non abbiano
superato due dei seguenti limiti:
1) totale dell'attivo dello stato patrimoniale: 4.400.000 euro (3);
2) ricavi delle vendite e delle prestazioni: 8.800.000 euro (3);
3) dipendenti occupati in media durante l'esercizio: 50 unità.
[II]. Nel bilancio in forma abbreviata lo stato patrimoniale comprende solo le voci
contrassegnate nell'articolo 2424 con lettere maiuscole e con numeri romani; le voci A e D
dell'attivo possono essere comprese nella voce CII; dalle voci BI e BII dell'attivo devono
essere detratti in forma esplicita gli ammortamenti e le svalutazioni; la voce E del passivo può
essere compresa nella voce D; nelle voci CII dell'attivo e D del passivo devono essere
separatamente indicati i crediti e i debiti esigibili oltre l'esercizio successivo.
[III]. Nel conto economico del bilancio in forma abbreviata le seguenti voci previste
dall'articolo 2425 possono essere tra loro raggruppate:
voci A2 e A3
voci B9(c), B9(d), B9(e)
voci B10(a), B10(b), B10(c)
voci C16(b) e C16(c)
voci D18(a), D18(b), D18(c)
voci D19(a), D19(b), D19(c)
[IV]. Nel conto economico del bilancio in forma abbreviata nella voce E20 non è richiesta la
separata indicazione delle plusvalenze e nella voce E21 non è richiesta la separata indicazione
delle minusvalenze e delle imposte relative a esercizi precedenti.
[V]. Nella nota integrativa sono omesse le indicazioni richieste dal numero 10 dell'articolo
2426 e dai numeri 2), 3), 7), 9), 10), 12), 13), 14), 15), 16) e 17) dell'articolo 2427 e dal
numero 1) del comma 1 dell'articolo 2427-bis (4); le indicazioni richieste dal numero 6)
dell'articolo 2427 sono riferite all'importo globale dei debiti iscritti in bilancio.
[V]. Le società possono limitare l'informativa richiesta ai sensi dell'articolo 2427, primo
comma, numero 22-bis, alle operazioni realizzate direttamente o indirettamente con i loro
maggiori azionisti ed a quelle con i membri degli organi di amministrazione e controllo,
nonché limitare alla natura e all'obiettivo economico le informazioni richieste ai sensi
dell'articolo 2427, primo comma, numero 22-ter (5).
[VII]. Qualora le società indicate nel primo comma forniscano nella nota integrativa le
informazioni richieste dai numeri 3) e 4) dell'articolo 2428, esse sono esonerate dalla
redazione della relazione sulla gestione.
[VIII]. Le società che a norma del presente articolo redigono il bilancio in forma abbreviata
devono redigerlo in forma ordinaria quando per il secondo esercizio consecutivo abbiano
superato due dei limiti indicati nel primo comma.
(1) V. nota al Capo V.
(2) V. Avviso di rettifica in G.U. 4 luglio 2003, n. 153.
(3) Le parole «3.650.000 euro» sono state sostituite alle parole «3.125.000 euro» e le parole «7.300.000 euro»
sono state sostituite alle parole «6.250.000 euro» dall'art. 11d.lgs. 7 novembre 2006, n. 285. Successivamente
l'art. 1 d.lgs. 3 novembre 2008 n. 173 ha sostituito le parole «4.400.000 euro » alle parole «6.250.000 euro» e le
parole «8.800.000 euro» alle parole «7.300.000 euro».
(4) Le parole: « e dal numero 1) del comma 1 dell'articolo 2427-bis » sono state inserite dall'art. 2 d.lgs. 30
dicembre 2003, n. 394, con decorrenza dal 1° gennaio 2005.
(5) Comma aggiunto dall'art. 1 d.lgs. 3 novembre 2008 n. 173.
Sommario: 1. Introduzione. - 2. Principio di chiarezza del bilancio. Giurisprudenza di legittimità.
1. Introduzione. – Con la Riforma sono state
ampliate le semplificazioni che differenziano il
bilancio ordinario dal bilancio in forma
abbreviata.
2. Principio di chiarezza del bilancio.
Giurisprudenza di legittimità. – Il principio
della rilevanza autonoma, ai fini della
dichiarazione di nullità, della chiarezza analitica
del bilancio deve essere applicato tenendo conto
del fatto che, in ipotesi di bilancio redatto in
forma abbreviata, il dovere di fornire le
informazioni complementari necessarie allo scopo
non deve essere tale da svuotare di significato
l’art. 2435 bis cod. civ. che consente appunto di
redigere il bilancio con tale modalità. In ogni
caso, in presenza di violazioni al principio di
chiarezza, occorre tener conto che le modifiche
apportate dalla Riforma hanno chiaramente
privilegiato la stabilità delle deliberazioni
assembleari, con la conseguenza che delle
violazioni in parola deve essere valutata l’effettiva
incidenza sull’intelligibilità della situazione
economico-patrimoniale della società. (Fattispecie
in tema di informazioni relative ai rapporti tra
controllante e controllata e di errata qualificazione
di voce del patrimonio netto). Trib. Treviso, 14
novembre 2008. (7968/768).
Deve essere respinta la censura di oscurità e
genericità della voce “fatture da ricevere”
contenuta in un bilancio redatto in forma
abbreviata, qualora il socio ricorrente, pur avendo
votato contro l’approvazione del bilancio, abbia
assistito in assemblea alla lettura del dettaglio
delle voci di spesa e non abbia, con riferimento al
punto in questione, fatto annotare il proprio
dissenso. Trib. Salerno, 12 maggio 2008.
(7968/768).
1. LE MODIFICAZIONI DELLO STATUTO
CODICE CIVILE
Titolo V
DELLE SOCIETA’
Capo V – Società per azioni
2436. Deposito, iscrizione e pubblicazione delle modificazioni. - [I]. Il notaio che ha verbalizzato
la deliberazione di modifica dello statuto, entro trenta giorni, verificato l'adempimento delle
condizioni stabilite dalla legge, ne richiede l'iscrizione nel registro delle imprese contestualmente al
deposito e allega le eventuali autorizzazioni richieste.
[II]. L'ufficio del registro delle imprese, verificata la regolarità formale della documentazione,
iscrive la delibera nel registro.
[III]. Se il notaio ritiene non adempiute le condizioni stabilite dalla legge, ne dà comunicazione
tempestivamente, e comunque non oltre il termine previsto dal primo comma del presente articolo,
agli amministratori. Gli amministratori, nei trenta giorni successivi, possono convocare l'assemblea
per gli opportuni provvedimenti oppure ricorrere al tribunale per il provvedimento di cui ai
successivi commi; in mancanza la deliberazione è definitivamente inefficace.
[IV]. Il tribunale, verificato l'adempimento delle condizioni richieste dalla legge e sentito il
pubblico ministero, ordina l'iscrizione nel registro delle imprese con decreto soggetto a reclamo.
[V]. La deliberazione non produce effetti se non dopo l'iscrizione.
[VI]. Dopo ogni modifica dello statuto deve esserne depositato nel registro delle imprese il testo
integrale nella sua redazione aggiornata.
Sommario: 1. Introduzione. Adeguamento alla riforma. Giurisprudenza di merito - 2. Il controllo del notaio.
Giurisprudenza di merito. - 3.Le modificazioni dello statuto. – 3.1.Modificazioni una tantum. Giurisprudenza di
merito. – 4. Caratteri del giudizio di omologazione. Giurisprudenza maggioritaria. - 4.1. Tribunale competente
per l’omologazione. Giurisprudenza costante. – 4.2. Revocabilità del decreto di omologa successivamente
all’iscrizione. Giurisprudenza di merito. – 4.3. Omologa parziale. Giurisprudenza di merito – 5. Controllo
dell’ufficio del registro delle imprese. – 6. Efficacia dell’iscrizione.
1. Introduzione. Adeguamento alla riforma.
Giurisprudenza di merito. – Con la Riforma il
procedimento di modifica statutaria, in
precedenza espressamente disciplinato dall’art.
2411 c.c. e solo per rinvio nell’art. 2436, è stato
collocato nella sua sedes materiae naturale, vale a
dire nell’art. che apre la Sez. dedicata alle
modificazioni statutarie.
Nel caso in cui i soci non abbiano provveduto ad
adeguare l'atto costitutivo della società nel
termine del 30 settembre 2004, fissato a tal fine
dall'art. 223 bis disp. att. c.c., qualora non vi sia
una manifestazione di volontà di segno contrario
dei soci, sulle clausole statutarie difformi dalle
nuove disposizioni normative devono prevalere
queste ultime e ciò a prescindere dalla natura
inderogabile o derogabile delle stesse. (Nel caso
di specie si è ritenuta iscrivibile nel registro delle
imprese la delibera di scioglimento anticipato di
una società a responsabilità limitata il cui statuto,
non adeguato alla disciplina introdotta dal d.lg.
6/2003, disponeva che alle deliberazioni
dell'assemblea si applicassero le norme, e quindi
le maggioranze, dell'art. 2486 c.c. nel testo
previgente).
Trib.Verona,07 dicembre 2007, Vita not.
merito 2008, 1, 281
7968/1320
2. Il controllo del notaio. Giurisprudenza di
merito. - In tema di modificazioni statutarie di
s.p.a., qualora il controllo del notaio di cui al
comma 1 art. 2436 c.c. si concluda con esito
negativo, quest'ultimo ne dà comunicazione
tempestiva non oltre il termine di trenta giorni agli
amministratori, ai quali è attribuita l'opzione tra
una nuova convocazione dell'assemblea per
l'adozione delle decisioni che, sulla scorta dei
rilievi formulati dal notaio, consentano l'iscrizione
della deliberazione, oppure il ricorso al tribunale
affinché ordini l'iscrizione nel registro delle
imprese, disattendendo in tal modo i rilievi
notarili. Ne consegue che, in assenza di un
conflitto - ovviamente relativo a motivi
chiaramente evidenziati - tra notaio, da un lato, ed
amministratori che non intendano ottemperare ai
suoi rilievi, dall'altro, non vi è spazio per
l'intervento giurisdizionale di controllo del citato
art. 2436 c.c..
Trib.Bologna,02 marzo 2007, Il merito 2007, 9,
40
7968/1320
3.Le modificazioni dello statuto. – Secondo la
dottrina prevalente, integrano modificazioni dello
statuto tutte le variazioni dell’atto costitutivo e
dello statuto originari. I cambiamenti possono
esplicarsi in introduzione di nuove clausole o in
modificazioni o soppressioni di clausole
preesistenti.
3.1.Modificazioni una tantum. Giurisprudenza
di merito. – E’ possibile che l’assemblea
straordinaria possa derogare occasionalmente allo
statuto.
App. Milano, 20 febbraio 2001, Giur. it. 2001,
1431.
7968/1320
4. Caratteri del giudizio di omologazione.
Giurisprudenza maggioritaria. – Il giudizio di
omologazione delle delibere modificative dell’atto
costitutivo presenta gli stessi caratteri di quello
esercitato in passato in sede di costituzione della
società e solleva problemi analoghi a
quest’ultimo. In particolare la giurisprudenza
maggioritaria ritiene che siano rilevabili in sede di
omologa non solo le cause di nullità ma anche
quelle di annullabilità delle delibere.
Trib.Napoli, Dir. Fall., 1993, II, 240.
Contra nel senso della rilevabilità delle sole cause
di nullità: App. Milano, 9 maggio 1991,Foro. it.
1992,I, 1085.
7968/1470
4.1. Tribunale competente per l’omologazione.
Giurisprudenza consolidata. – E’ orientamento
ormai consolidato che il tribunale competente per
l’omologazione sia quello del luogo in cui ha sede
l’ufficio del registro delle imprese presso il quale
l’atto costitutivo è stato iscritto anche se diverso
dal tribunale della sede sociale.
Cass.Civ., sez. I, 11 settembre 1999, n. 9210, Riv.
Not., 2000, 467.
7968/1320
4.2. Revocabilità del decreto di omologa
successivamente all’iscrizione. Giurisprudenza
di merito. – È esclusa la generale revocabilità dei
decreti di omologazione in materia societaria, in
quanto la previsione dell'art. 742 bis c.p.c. deve
ritenersi superata dalla disciplina di cui all'art.
2332 c.c. Non è, pertanto, revocabile il decreto di
omologa di atto costitutivo, una volta avvenuta
l'iscrizione.
Trib.Milano,1 dicembre 1988, Vita not., 1990,
200. Contra: App.Roma, 18 settembre 1998, Giur.
it. 1999, 570.
7968/1470
4.3. Omologa parziale. Giurisprudenza di
merito. – La c.d. “omologazione parziale” non è
consentita quando le diverse clausole modificative
vengono tutte incluse in una delibera unitaria e
non risulta affatto la volontà dell’assemblea di
accertare una omologazione limitatamente ad
alcune di esse.
Trib.Verona,11 dicembre 1992, Società, 1993,
950. Trib.Bologna,02 marzo 2007, Il
merito 2007, 9, 40
. 7968/1470
5.Controllo dell’ufficio del registro delle
imprese. Giurisprudenza di merito. – (…)
All’ufficio del registro delle imprese è richiesta la
sola verifica della regolarità formale della
documentazione esibita all’atto di iscrizione della
società nei registri.
App.Palermo,2 aprile2001,Notariato,2001,02,248.
Trib.Bologna,24 gennaio 2002, Notariato,2002,
02, 296.
7968/1320
6.Efficacia dell’iscrizione. Giurisprudenza di
merito. – Le delibere di modificazione dello
statuto, a norma dell'art. 2436 c.c., comma 5,
producono effetti solo dopo l'iscrizione presso il
Registro delle imprese e tale iscrizione
rappresenta il momento iniziale di efficacia della
delibera. Essa non produce i propri effetti nei
confronti dei soci che ne siano a conoscenza anche
prima dell'iscrizione del Registro delle imprese,
posto che tale deroga al principio generale
suindicato non è espressamente prevista e non è
desumibile dall'art. 2448 c.c., che si limita a
disciplinare il diverso profilo della tutela
dell'affidamento dei terzi in relazione ad una
delibera conosciuta ancor prima del momento
iniziale della sua efficacia.
Trib.Verona,08 aprile 2005, Società, 2006, 3, 335.
7968/1320
2437. Diritto di recesso. –[I].Hanno diritto di recedere, per tutte o parte delle loro azioni, i soci che non
hanno concorso alle deliberazioni riguardanti:
a) la modifica della clausola dell'oggetto sociale, quando consente un cambiamento significativo dell'attività
della società;
b) la trasformazione della società;
c) il trasferimento della sede sociale all'estero;
d) la revoca dello stato di liquidazione;
e) l'eliminazione di una o più cause di recesso previste dal successivo comma ovvero dallo statuto;
f) la modifica dei criteri di determinazione del valore dell'azione in caso di recesso;
g) le modificazioni dello statuto concernenti i diritti di voto o di partecipazione.
[II]. Salvo che lo statuto disponga diversamente, hanno diritto di recedere i soci che non hanno concorso
all'approvazione delle deliberazioni riguardanti:
a) la proroga del termine;
b) l'introduzione o la rimozione di vincoli alla circolazione dei titoli azionari.
[III]. Se la società è costituita a tempo indeterminato e le azioni non sono quotate in un mercato
regolamentato il socio può recedere con il preavviso di almeno centottanta giorni; lo statuto può prevedere
un termine maggiore, non superiore ad un anno.
[IV]. Lo statuto delle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio può prevedere ulteriori
cause di recesso.
[V]. Restano salve le disposizioni dettate in tema di recesso per le società soggette ad attività di direzione e
coordinamento.
[VI]. È nullo ogni patto volto ad escludere o rendere più gravoso l'esercizio del diritto di recesso nelle ipotesi
previste dal primo comma del presente articolo.
2437 BIS. Termini e modalità di esercizio. - [I]. Il diritto di recesso è esercitato mediante lettera
raccomandata che deve essere spedita entro quindici giorni dall'iscrizione nel registro delle imprese della
delibera che lo legittima, con l'indicazione delle generalità del socio recedente, del domicilio per le
comunicazioni inerenti al procedimento, del numero e della categoria delle azioni per le quali il diritto di
recesso viene esercitato. Se il fatto che legittima il recesso è diverso da una deliberazione, esso è esercitato
entro trenta giorni dalla sua conoscenza da parte del socio.
[II]. Le azioni per le quali è esercitato il diritto di recesso non possono essere cedute e devono essere
depositate presso la sede sociale.
[III]. Il recesso non può essere esercitato e, se già esercitato, è privo di efficacia, se, entro novanta giorni, la
società revoca la delibera che lo legittima ovvero se è deliberato lo scioglimento della società.
2437 TER. Criteri di determinazione del valore delle azioni . - [I]. Il socio ha diritto alla liquidazione
delle azioni per le quali esercita il recesso.
[II]. Il valore di liquidazione delle azioni (2) è determinato dagli amministratori, sentito il parere del collegio
sindacale e del soggetto incaricato della revisione contabile, tenuto conto della consistenza patrimoniale della
società e delle sue prospettive reddituali, nonché dell'eventuale valore di mercato delle azioni.
[III]. Il valore di liquidazione delle azioni quotate in mercati regolamentati (2) è determinato facendo
esclusivo riferimento alla media aritmetica dei prezzi di chiusura nei sei mesi che precedono la pubblicazione
ovvero ricezione dell'avviso di convocazione dell'assemblea le cui deliberazioni legittimano il recesso.
[IV]. Lo statuto può stabilire criteri diversi di determinazione del valore di liquidazione, indicando gli
elementi dell'attivo e del passivo del bilancio che possono essere rettificati rispetto ai valori risultanti dal
bilancio, unitamente ai criteri di rettifica, nonché altri elementi suscettibili di valutazione patrimoniale da
tenere in considerazione.
[V]. I soci hanno diritto di conoscere (2) la determinazione del valore di cui al secondo comma del presente
articolo nei quindici giorni precedenti alla data fissata per l'assemblea; ciascun socio ha diritto di prenderne
visione e di ottenerne copia a proprie spese.
[VI]. In caso di contestazione da proporre contestualmente alla dichiarazione di recesso il valore di
liquidazione è determinato entro novanta giorni dall'esercizio del diritto di recesso tramite relazione giurata
di un esperto nominato dal tribunale, che provvede anche sulle spese, su istanza della parte più diligente; si
applica
in
tal
caso
il
primo
comma
dell'articolo
1349.
2437QUATER. Procedimento di liquidazione. –[I]. Gli amministratori offrono in opzione le azioni del
socio recedente agli altri soci in proporzione al numero delle azioni possedute. Se vi sono obbligazioni
convertibili, il diritto di opzione spetta anche ai possessori di queste, in concorso con i soci, sulla base del
rapporto di cambio.
[II]. L'offerta di opzione è depositata presso il registro delle imprese entro quindici giorni dalla
determinazione definitiva del valore di liquidazione. Per l'esercizio del diritto di opzione deve essere
concesso un termine non inferiore a trenta giorni dal deposito dell'offerta.
[III]. Coloro che esercitano il diritto di opzione, purché ne facciano contestuale richiesta, hanno diritto di
prelazione nell'acquisto delle azioni che siano rimaste non optate.
[IV]. Qualora i soci non acquistino in tutto o in parte le azioni del recedente, gli amministratori possono
collocarle presso terzi; nel caso di azioni quotate in mercati regolamentati, il loro collocamento avviene
mediante offerta nei mercati medesimi.
[V]. In caso di mancato collocamento ai sensi delle disposizioni dei commi precedenti entro centottanta
giorni dalla comunicazione del recesso (2), le azioni del recedente (3) vengono rimborsate mediante acquisto
da parte della società utilizzando riserve disponibili anche in deroga a quanto previsto dal terzo comma
dell'articolo 2357.
[VI]. In assenza di utili e riserve disponibili, deve essere convocata l'assemblea straordinaria per deliberare la
riduzione del capitale sociale, ovvero lo scioglimento della società.
[VII]. Alla deliberazione di riduzione del capitale sociale si applicano le disposizioni del comma
secondo, terzo e quarto dell'articolo 2445; ove l'opposizione sia accolta la società si scioglie
Sommario: 1. Introduzione. Irrilevanza delle motivazioni. Giurisprudenza di legittimità. - 2.Legittimazione.
Giurisprudenza di legittimità - 3.Natura ed efficacia atto di recesso. Giurisprudenza prevalente. - 4.
Comunicazione del recesso. Giurisprudenza di merito -5.Termine. Giurisprudenza consolidata - 6.Revoca. – 7.
Quota di recesso. Giurisprudenza di legittimità. 8. Esclusione diritto di recesso. Giurisprudenza di legittimità.
1. Introduzione. Irrilevanza delle motivazioni.
Giurisprudenza di legittimità. – La Riforma ha
profondamente inciso sulla disciplina del diritto di
recesso nella direzione di garantire una tutela più
efficace dei soci di minoranza. Sono stati anzitutto
notevolmente ampliati le ipotesi nelle quali ai soci
assenti o dissenzienti spetta il diritto di recesso.
Inoltre sono stati radicalmente variati i criteri di
determinazione del valore delle azioni del socio
recedente ed il procedimento di liquidazione del
relativo importo in maniera tale da contemperare
l’interesse dei soci di minoranza con quello dei
creditori sociali.
Qualora a seguito della trasformazione della
società il socio dissenziente abbia, a norma
dell’art. 2437 c.c. esercitato il proprio diritto di
recedere dalla società, tale recesso è valido ed
efficace, senza che possa rilevare ed incidere il
reale motivo che abbia determinato il recesso
stesso.
Cass., sez I, 2 giugno 1983, n. 3770, Giur.
Comm., 1985, II, 39.
2.Legittimazione.Giurisprudenza
di
legittimità.– Poiché la costituzione del diritto di
pegno sulle azioni non implica il trasferimento
della disponibilità della partecipazione societaria
del debitore in capo al creditore pignoratizio,
questi non è legittimato, neppure in via
surrogatoria, ad esercitare il diritto di recesso di
cui all'art. 2437 c.c.
Cass. civ. Sez. I, 12/07/2002, n. 10144, Foro It.,
2003, 1, 1194.
7968/1332
Nel caso di vendita a termine di titoli azionari,
il diritto di recesso contemplato dall'art. 2437
c.c. (nel testo anteriore alle modifiche
introdotte dal D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6,
applicabile alla specie "ratione temporis") - a
differenza del diritto di opzione e degli altri
diritti presi in considerazione dagli artt. 1531
c.c. ss. - non passa immediatamente in capo al
compratore, ma resta di spettanza del
venditore sino al momento in cui, con il
maturare del termine, questi non abbia perso
la titolarità delle azioni. Dai citati artt. 1531
ss. c.c. destinati a risolvere specifiche
situazioni di contrapposizione d'interesse tra
controparte e venditore in ipotesi di vendita a
termine di titoli di credito - non può infatti
dedursi l'esistenza di una regola generale, in
forza della quale in caso di vendita a termine
di titoli azionari, tutti i diritti sociali si
trasmettono al compratore, con la sola
eccezione del diritto di voto menzionato dal
secondo comma dell'art. 1531 c.c.. Né, d'altra
parte, è ipotizzabile l'applicazione analogica
al diritto di recesso della disciplina prevista
per il diritto di opzione - che in pendenza del
termine compete al compratore, ai sensi
dell'art. 1532 c.c. - trattandosi di istituti di
fondamento logico ben diverso: giacché l'uno
- il diritto di opzione - è destinato ad
assicurare a ciascun socio la possibilità di
mantenere la preesistente percentuale di
partecipazione in caso di aumento del
capitale, e dunque esprime una esigenza di
stabilità nel rapporto reciproco tra soci;
mentre l'altro - il diritto di recesso - è
finalizzato a porre termine alla partecipazione
sociale, consentendo al socio che dissente da
determinate decisioni della maggioranza,
modificative dell'assetto della società, di
fuoriuscire dalla compagine societaria.
Cass. civ. Sez. I Sent., 18/07/2007, n.
15957,Società, 2008, 8, 980.
7968/1332
3. Natura ed efficacia atto di recesso.
Giurisprudenza prevalente – Il recesso di un
socio da una società è un negozio unilaterale
recettizio e, come tale, si perfeziona e produce i
propri effetti sin dal momento in cui la
dichiarazione che lo esprime è pervenuta nella
sfera di conoscenza della società destinataria. Il
recesso da una società per azioni non può essere
subordinato a condizioni che ne rendano incerti
nel tempo gli effetti e, almeno a partire dal
momento in cui sono scaduti i termini per
eventuali analoghe dichiarazioni di altri soci, non
è suscettibile di revoca.
Cass. civ. Sez. I, 19/03/2004, n. 5548, Società,
2004, 1364. Giurisprudenza conforme: Trib.Roma
,2005, n. 10720. 7968/1332
4. Comunicazione del recesso. Giurisprudenza
di merito. – Il diritto di recesso può essere
esercitato, oltre che tramite lettera raccomandata,
anche tramite altre forme(telegrafo, telex,
notificazione a mezzo di ufficiale giudiziario) che
presentino
le
medesime(o
maggiori)
caratteristiche di certezza della raccomandata; non
può
invece
essere
esercitato
mediante
comportamenti concludenti del recedente.
App. Milano, 13 maggio 2003,Giur. it. 2004, 122.
7968/1332
5. Termine. – Giurisprudenza consolidata.
I termini stabiliti dalla legge per l'esercizio del
recesso sono fissati a pena di decadenza.
Pertanto, in caso di recesso esercitato da un
soggetto non legittimato, l'eventuale ratifica
del titolare del diritto deve avvenire entro i
suddetti termini.
Cass. civ. Sez. I, 12/07/2002, n. 10144
Giur. It., 2003, 110
7968/1332
6. Revoca. Giurisprudenza di legittimità. –
L’esigenza di certezza e di rapida definizione
degli assetti societari interessati dal recesso di uno
o più soci è inconciliabile con l’attribuzione al
socio recedente della facoltà di revocare la
dichiarazione di recesso, già comunicata alla
società,
o
di
modificarne
la
portata
subordinandola a condizioni.
Cass. civ. Sez. I, 19/03/2004, n. 5548, Società,
2004, 1364.
7968/1332
Contra: il recesso può essere revocato purchè ciò
avvenga entro i novanta giorni stabiliti dall’art.
2437 c.c..
Trib.Roma,1 dicembre 2005,10720, non presente
in dejure rinvenuto in c.c. annotato di caringella
7968/1332
7. Quota di recesso. Giurisprudenza di
legittimità.– Il credito relativo alla liquidazione
della quota del socio receduto è determinato sulla
base di un mero calcolo proporzionale dei valori
risultanti dall'ultimo bilancio della società, per cui,
in mancanza di una specifica previsione di un
termine, nulla osta all'applicabilità della regola
della sua immediata esigibilità; inoltre, benché
non immediatamente traducibile in una cifra
numerica precisa, si tratta di credito di facile e
pronta liquidazione. Il credito relativo alla
liquidazione della quota del socio receduto ha
natura pecuniaria e costituisce un credito di
valuta, che, essendo liquido ed esigibile, è idoneo
per ciò solo a produrre interessi di pieno diritto, a
norma dell'art. 1282, comma 1, del codice civile
senza necessità di alcun atto di messa in mora.
Cass. civ. Sez. I, 19/03/2004, n. 5548, Società,
2004, 1364.
7968/1332
Il diritto di rimborso delle azioni spettante al socio
che recede, ai sensi dell'art. 2437 c.c., è
rigorosamente ancorato (nel vigore della norma
nel testo anteriore alla novella introdotta dal d.lg.
17 gennaio 2003 n. 6) alle quotazioni di mercato
registrate nel semestre anteriore al giorno in cui è
stata assunta la deliberazione assembleare che
legittima il recesso, con la conseguenza che
pretese variazioni di misura del possesso azionario
del socio receduto, asseritamente verificatesi in un
momento successivo al periodo compreso in quel
semestre, non possono entrare nel calcolo del
rimborso spettante, e ciò tanto più quando le
ulteriori azioni delle quali il socio sarebbe
divenuto titolare in un momento successivo siano
di nuova emissione, derivando da un'operazione di
aumento del capitale sociale. (Nella fattispecie si
trattava di deliberazione di aumento gratuito del
capitale seguita a deliberazione di modifica
dell'oggetto sociale).
intervenente o meno alla delibera modificativa
della clausola societaria.
Cass. civ. Sez. I Sent., 02/07/2007, n. 14963,
Società, 2008, 11, 1368
7968/1332
Cass. civ. Sez. I, 26 agosto 2004, n.17012,
Giust. civ. Mass. 2004, 7-8
7968/1332
Nelle società per azioni, il credito relativo ala
liquidazione della quota del socio receduto,
essendo liquido ed esigibile, è per ciò solo idoneo
a produrre interessi di pieno diritto, a norma
dell’art. 1282, primo comma, c.c., senza necessità
di alcun atto di messa in mora.
Cass. civ. Sez. I, 19/03/2004, n. 5548, Società,
2004, 1364.
7968/1332
Costituisce un vizio del procedimento, che
determina l'annullabilità della delibera, la mancata
determinazione del valore di liquidazione delle
azioni nei quindici giorni che precedono
l'assemblea chiamata a decidere in ordine a
materie che legittimano l'esercizio del diritto di
recesso.
Trib. Milano Sez. VIII, 30/04/2008, Giur. It.,
2008, 8-9, 1944.
7968/1332
8.Esclusione diritto di recesso. Giurisprudenza
di legittimità. – L'assunzione in una società per
azioni di un'attività economicamente collegata a
quella prevista nell'atto costitutivo non integra il
"cambiamento significativo" dell'oggetto sociale
richiesto dall'art. 2437, comma 1, lett. a), c.c.,
quale presupposto all'esercizio del diritto di
recesso da parte del socio dissenziente,
2437QUINQUIES. Disposizioni speciali per le società con azioni quotate in mercati
regolamentati.-Se le azioni sono quotate in mercati regolamentati hanno diritto di recedere i soci
che non hanno concorso alla deliberazione che comporta l'esclusione dalla quotazione.
2437SEXIES. Azioni riscattabili.- Le disposizioni degli articoli 2437-ter e 2437-quater si applicano,
in quanto compatibili, alle azioni o categorie di azioni per le quali lo statuto prevede un potere di
riscatto da parte della società o dei soci. Resta salva in tal caso l'applicazione della disciplina degli
articoli
2357
e
2357-bis
2438. Aumento di capitale. - Un aumento di capitale non può essere eseguito fino a che le azioni
precedentemente emesse non siano interamente liberate. In caso di violazione del precedente
comma, gli amministratori sono solidalmente responsabili per i danni arrecati ai soci ed ai terzi.
Restano in ogni caso salvi gli obblighi assunti con la sottoscrizione delle azioni emesse in
violazione
del
precedente
comma.
Sommario: 1. Introduzione. Giurisprudenza di merito – 1.1. Contra. Giurisprudenza di merito. - 2.Ambito di
applicazione. Giurisprudenza prevalente - 3. Liberazione delle azioni precedentemente emesse. Giurisprudenza
di legittimità. - 3.1.Pluralità di aumenti Giurisprudenza di legittimità - 4. Perdite pregresse. Giurisprudenza di
merito
1. Introduzione.Giurisprudenza di merito. –
Con la nuova formulazione dell’articolo in esame
il legislatore del 2003 sembra aver sposato la tesi,
già proposta prima della riforma, che individua
nell’integrale liberazione delle azioni una mera
condizione di eseguibilità della delibera di
aumento. In giurisprudenza si veda:
App. Perugia, 31 luglio 1990, Vita not., 1990,
1088.
7968/1308
1.1. Contra. Giurisprudenza di merito. L’integrale liberazione di tutte le azioni
sottoscritte in sede di costituzione o in occasione
di un precedente aumento di capitale
di una s.p.a. è condizione di validità della delibera
che disponga un nuovo aumento di capitale
sociale.
Trib.Napoli, 14 ottobre 1993, Giust., 1994, 3, 125
7968/1308
2. Ambito di applicazione. Giurisprudenza di
merito. – E’ legittimo l’aumento di capitale in via
gratuita in presenza di un aumento a pagamento
non ancora sottoscritto o anche sottoscritto ma
non integralmente versato.
Trib.Milano, 27 marzo 1996, Not., 1997, 191.
7968/1308
3. Liberazione delle azioni precedentemente
emesse. Giurisprudenza di merito. – È legittima
la deliberazione assembleare avente ad oggetto
l'aumento del capitale sociale e la contestuale
modificazione dello statuto societario, anche
qualora l'avvenuto versamento del capitale
originario risulti attestato nella fase di costituzione
del presidente, non essendo necessario l'uso di
formule sacramentali. Il versamento dei tre decimi
previsto dall'art. 2439 c.c. non condiziona
l'efficacia e la validità della deliberazione di
aumento del capitale; pertanto quest'ultima può
essere omologata anche se il citato versamento
non
è
effettuato
contestualmente
alla
sottoscrizione delle nuove partecipazioni sociali,
sempreché sia effettuato nei termini previsti per
l'esercizio del diritto d'opzione.
App.
Napoli, 25
comm. 1997, II, 753.
7968/1308
giugno
1996,
Giur.
3.1. Pluralità di aumenti. Giurisprudenza di
merito. – L’emissione di obbligazioni convertibili
con contestuale aumento del capitale sociale è
possibile anche se non sia stto ancora sottoscritto
l’aumento di capitale deliberato in precedenza per
la conversione di altre obbligazioni convertibili.
App. Firenze , 25 giugno 1996, Vita not.,
1979, 1000.
7968/1308
4. Perdite pregresse. Giurisprudenza di merito.
– E’ inammissibile procedere ad un aumento del
capitale senza averlo preventivamente ridotto in
misura corrispondente alle perdite: ciò a
salvaguardia delle esigenze di informazione
sottese alla disciplina di cui agli art. 2446 e 2447
c.c. e nell'interesse stesso dei soci ai fini della
futura determinazione dell'utile disponibile.
App. Trieste , 13 maggio 1993,Soc., 1993, 1075 .
7968/1308
2439. Sottoscrizione e versamenti. -[I] Salvo quanto previsto nel quarto comma dell'articolo 2342,
i sottoscrittori delle azioni di nuova emissione devono, all'atto della sottoscrizione, versare alla
società almeno il venticinque per cento del valore nominale delle azioni sottoscritte. Se è previsto
un soprapprezzo, questo deve essere interamente versato all'atto della sottoscrizione.
[II] Se l'aumento di capitale non è integralmente sottoscritto entro il termine che, nell'osservanza di
quelli stabiliti dall'articolo 2441, secondo e terzo comma, deve risultare dalla deliberazione, il
capitale è aumentato di un importo pari alle sottoscrizioni raccolte soltanto se la deliberazione
medesima lo abbia espressamente previsto.
Sommario: 1.Natura del negozio di sottoscrizione. Giurisprudenza consolidata – 1.1. Termine per il versamento.
Giurisprudenza di merito – 2. Legittimazione al versamento. Giurisprudenza di legittimità - 3.Soprapprezzo.
Giurisprudenza
di
legittimità.
4.
Aumento
inscindibile
o
scindibile
e
“aumento
progressivo”.Efficacia.Giurisprudenza di legittimità -4.1. Aumento inscindibile o scindibile e “aumento
progressivo”.Efficacia. Giurisprudenza di merito- 5. Insussistenza dell’obbligo di dimostrare in sede di aumento
di capitale che il capitale originario è integralmente versato ed esistente. Giurisprudenza consolidata.
1. Natura del negozio di sottoscrizione.
Giurisprudenza consolidata. – Il negozio di
sottoscrizione dell’aumento di capitale di una
società per azioni ha natura consensuale e non
reale, essendo il versamento dei tre decimi del
valore nominale delle azioni sottoscritte, previste
dall’art, 2439 c.c., come quello da effettuare al
momento della costituzione della società
un’obbligazione derivante dal contratto e non
elemento costitutivo dello stesso.
Cass. civ. Sez. I, 26 gennaio 1996, n. 611, Giur.
Comm., 1996, 1408; App.Milano, 27 gennaio
2004, Giur. Merito 4, 2004; App. Trento, 13
dicembre 2001, Società, 2002, 442; App. Trieste,
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13 ottobre 1981, Vita Not., 1982, 823
1.1 Termine per il versamento. - Non è
omologabile la delibera di aumento di capitale che
non preveda il termine per la sottoscrizione.
il termine per la sottoscrizione, ma conferendo
agli amministratori il mandato per indicare tempi
e modalità per l'esecuzione.
App. Catania, 17/03/1989,Società, 1989, 845
e Dir. Fall., 1989, II, 619. 7968/1308
Non è legittima, e non può quindi
ordinarsene l'iscrizione nel registro delle
imprese, la deliberazione con cui l'assemblea
straordinaria di una società per azioni, dopo
l'avvenuta scadenza del termine per le
sottoscrizioni, previsto in una precedente
deliberazione di aumento del capitale e dopo
la raccolta di sottoscrizioni relative ad una
parte dell'aumento, dispone la proroga del
termine.
Trib. Genova, 16/01/1990,Società, 1990, 946.
7968/1308
Trib. Udine, 22/09/1993, Gius, 1994, fasc.4, 104.
7968/1308
Contra.App. Milano, 27 gennaio 2004,
Giur.merito, 2004, 2004: non occorre che la
delibera di aumento del capitale sociale indichi
anche il termine utile per la sottoscrizione delle
nuove azioni, in quanto essendo destinata ai soli
azionisti, contempla il richiamo implicito ai trenta
giorni previsti dall’art. 2441 comma 1 c.c..
7968/1308
E’ valida la deliberazione con cui l'assemblea
straordinaria di una società a responsabilità
limitata aumentata il capitale sociale senza fissare
2.
Legittimazione
al
versamento.
Giurisprudenza di legittimità. – La riferibilità
unicamente al socio dell’obbligo di versamento
della quota di capitale sociale da lui sottoscritta
non esclude che la relativa obbligazione possa
essere adempiuta, con effetto solutorio, da un
terzo, ai sensi dell’art. 1180 c.c., salva restando
l’eventuale rivalsa del solvens nei riguardi
dell’effettivo obbligato; tuttavia, perché l’effetto
solutorio si verifichi, è necessario che la
prestazione sia effettuata dal terzo in modo
conforme all’obbligazione del del debitore. Ne
consegue che, in presenza di un obbligo
conseguente alla sottoscrizione di una quota di
aumento del capitale sociale, da attuarsi mediante
versamento in denaro, una diversa prestazione del
terzo – quale, nella specie, la consegna di beni in
natura o la compensazione con crediti di regreso
derivanri dall’estinzione di debiti della società
verso terzi – non produce alcun effetto liberatorio
nei confronti del socio obbligato, essendo del tutto
differenti la tipologia e la disciplina dell’aumento
del capitale sociale mediante conferimento di eni
in natura o di crediti rispetto all’aumento di
capitale con conferimento in denaro.
Cass. civ. Sez. I, 22 febbraio 2005, n. 3577,Riv.
Not., 2006, 215. Conforme: Cass. civ. Sez. I,
26/08/1998, n. 8474,Mass. Giur. It., 1998
7968/1308
3.
Soprapprezzo.Giurisprudenza
di
legittimità. – In materia di valutazione di quote o
azioni societarie, il sovrapprezzo imposto in sede
di aumento di capitale trova giustificazione nella
differenza tra consistenza patrimoniale e capitale
della società; il relativo bilanciamento riguarda
fatti compiuti e non anche il risultato finale di
tutta l'operazione, di modo che non può tenersi
conto, nel determinare il valore delle azioni, dei
conferimenti poiché l'incremento del patrimonio
che ne deriva potrà avere riflessi su eventuali
future emissioni, ma non ha effetti su quelle
deliberate anteriormente. (Sulla base di tale
principio, la S.C. ha confermato la decisione di
merito che, in sede di revocatoria fallimentare ai
sensi dell'art. 67, comma 1, l. fall., aveva ritenuto
sussistere la sproporzione tra prestazioni nel caso
di conferimento di un bene immobile in cambio di
azioni con sovrapprezzo determinato tenendo
conto
del
valore
del
conferimento,
necessariamente successivo all'emissione delle
azioni).
Cass. civ. Sez. I, 13 luglio 2001, n. 9523,
Soc. 2002, 186
anche
in
Giust.
civ.
Mass. 2001, 1387.
7968/1308
4. Aumento inscindibile o scindibile e
“aumento
progressivo”.
Efficacia.
Giurisprudenza di legittimità- Nel caso di
aumento inscindibile del capitale sociale, la
sottoscrizione parziale dell'aumento non basta a
far acquistare la qualità di socio, all'uopo
occorrendo che l'assemblea, a modifica della
originaria deliberazione di aumento, decida di
aumentare il capitale nella misura parziale
sottoscritta.
Cass. civ., 18/10/1982, n. 5407,Foro It., 1983, I,
385 e anche in: Riv. Not., 1983, 220;Vita Not.,
1983, 193;Dir. Fall., 1983, II, 98.
4. Aumento inscindibile o scindibile e
“aumento
progressivo”.
Efficacia.
Giurisprudenza di merito- La deliberazione di
aumento di capitale ex art. 2439, comma 2, c.c.
può disporre, accanto alla "scindibilità"
rappresentata
dalla
limitazione
dell'entità
dell'aumento alla misura delle sottoscrizioni
effettivamente raccolte alla scadenza del termine
finale, una "scindibilità" ulteriore dell'aumento,
attribuendo efficacia alle sottoscrizioni dal
momento stesso in cui vengono effettuate.
Trib. Cagliari, 19/03/1998,Giust. Civ., 1999, I,
1517. Conforme: App.Firenze, 18 ottobre 1996,
Soc., 1997, 675.
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Dal momento della sottoscrizione dell’aumento di
capitale scindibile, il socio può esercitare tutti i
diritti derivanti dalla sottoscrizione già effettuata.
App.Trento, 13 dicembre 2001, Società, 2002,
442. 7968/1308
Può essere omologata la deliberazione
dell’assemblea straordinaria di una società per
azioni quotata che, escludendo il diritto d’opzione,
delega agli amministratori la facoltà di aumentare
il capitale sociale fino ad una cifra massima
determinata, offrendo nuove azioni ordinarie in
sottoscrizione a dirigenti individuati dagli
amministratori e dipendenti dalla società
emittente, o da sue controllate o controllanti, ad
un prezzo volta per volta determinato dagli
amministratori per ciascuna “tranche” di aumento
del capitale nel rispetto dei limiti di legge.
Trib. Torino, 29 settembre 2000, Giur. It., 2000,
2317.
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5. Insussistenza dell’obbligo di dimostrare
in sede di aumento di capitale che il
capitale originario è integralmente versato
ed esistente. Giurisprudenza consolidata.Nel nostro sistema normativo non esiste un
principio generale che imponga, per ogni
intervento sul capitale, la redazione di una
situazione patrimoniale o di un bilancio
straordinario, richiesti solo nei casi in cui il
legislatore li ha ritenuti necessari.
Trib. Vicenza, 23 marzo 1999, Dir. Fall.,
2000, II, 566. Conforme: App. Salerno, 9
maggio 1999, Dir. Fall., 2000, 1053.
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2440. Conferimenti di beni in natura e di crediti. –[I] Se l'aumento di capitale avviene mediante
conferimento di beni in natura o di crediti si applicano le disposizioni degli articoli 2342, terzo e
quinto comma, 2343, 2343-ter e 2343-quater . [II]La dichiarazione di cui all'articolo 2343-quater è
allegata all'attestazione di cui all'articolo 2444.
Sommario: 1. Perfezionamento dell’aumento. Modifica statuto. Giurisprudenza pacifica.- 2. Compensazione.
Giurisprudenza maggioritaria –3.Stima.Giurisprudenza di legittimità 4. Conferimento in natura e rescissione. 5Versamenti
in
conto
futuro
aumento
capitale
.
1. Perfezionamento dell’aumento. Modifica
statuto. Giurisprudenza consolidata.- Ai fini
dell'omologa della delibera dell'assemblea di
società di capitali con la quale si aumenta il
capitale sociale non è necessario il deposito dello
statuto nella sua versione aggiornata, poiché tale
delibera non comporta la modifica immediata
dello statuto per quanto attiene l'ammontare del
capitale sociale indipendentemente dalla sua
sottoscrizione, dovendosi, al contrario, ritenere
che la modifica statutaria abbia il suo presupposto
proprio nella sottoscrizione del capitale deliberato.
App. Genova, dicembre 1999,Soc.,2000, 578.
Conformi: Trib. Sulmona, 4 febbraio 2000,
Giur.merito, 2001, 375; App. Bari, 10 ottobre
1996, Giur. It., 1997, I, 2, 360; Trib. Vicenza, 7
luglio 1994, Riv. Not., 195, 1034.
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2.Compensazione.Giurisprudenza
maggioritaria – In tema di società di capitali,
nella ipotesi di sottoscrizione di un aumento del
capitale sociale, l'oggetto del conferimento, da
parte del socio, non deve, necessariamente,
identificarsi in un bene suscettibile di
espropriazione forzata, bensì in una res dotata di
consistenza economica. Ne consegue la legittimità
del conferimento attuato mediante compensazione
tra il debito del socio verso la società ed un
credito vantato dal medesimo nei confronti
dell'ente, atteso che la società stessa, pur perdendo
formalmente il suo credito al conferimento,
acquista concretamente un "valore" economico,
consistente nella liberazione da un corrispondente
debito. Alla funzione essenzialmente "produttiva"
del capitale sociale consegue, difatti, quella di
garanzia meramente indiretta del pagamento dei
debiti sociali, funzione, quest'ultima, assolta
direttamente dal patrimonio sociale, cui non
risultano trasferibili quei vincoli di indisponibilità
e di invariabilità tipici, in via esclusiva, del
capitale. Nessun pregiudizio per i creditori sociali
è, pertanto, ravvisabile (diversamente che nella
ipotesi di conferimenti iniziali, quantomeno per i
tre decimi previsti dall'art. 2329 c.c.) in un
aumento di capitale sottoscritto mercè la
contestuale estinzione per compensazione di un
credito del socio sottoscrittore (scaturendo,
invece, da tale operazione un aumento della
generica garanzia patrimoniale, poichè dalla
trasformazione del credito del socio in capitale di
rischio deriva che detta garanzia non copre più il
credito medesimo), mentre, sul piano economicopatrimoniale, nessun vantaggio deriverebbe ai
creditori stessi dall'imposizione, alla società,
dell'obbligo di pagare il proprio debito nei
confronti del socio sottoscrittore e di incassare,
contestualmente, la stessa somma da lui dovuta.
Cass. civ. Sez. I, 24/04/1998, n. 4236,Giust. Civ.,
1998, 2819. Conforme: Cass. Civ., sez. I, 5
febbraio 1996, n. 936, Giust. Civ., 1996, I, 1647.
7968/984
Contra: Trib. Genova, 14 giugno 2005, Soc.,
2005, 1000.
7968/984
3. Stima. Giurisprudenza di legittimità. –
E’ nulla la deliberazione assembleare di aumento
del capitale sociale di una s.p.a. mediante
conferimento
in
natura,
assunta
nella
consapevolezza della falsità della valutazione di
stima del bene conferito, dovendosi escludere
ogni interferenza tra la rilevata nullità ed il
procedimento di revisione della stima esperibile
da amministratori e sindaci nei sei mesi successivi
al conferimento.
Cass., sez. I, 2 marzo 2001, n. 3052, Foro it.,
2002,I, 211.
7968/984
4. Conferimento in natura e rescissione.
Giurisprudenza di legittimità. – Il contratto
con il quale, ai sensi dell’art. 2440 c.c., il socio di
una società per azioni effettua conferimenti in
natura in favore della società medesima, per la
sottoscrizione di nuove azioni in de di aumento
del capitale, ha natura commutativa, in quanto i
conferimenti costituiscono corrispettivo delle
nuove azioni di cui il socio diventa titolare, Ne
consegue che, qualora fra il valore dei
conferimenti e quello nominale delle azioni si
verifichi sproporzione ultra dimidium, va
riconosciuta in favore del socio, nel concorso
delle altre condizioni di cui all’art. 1448 c.c.,
l’azione generale di rescissione del contratto per
lesione. L’accoglimento di detta azione peraltro,
non è tale da incidere sulla esistenza della società
e quindi non può configurare violazione del
principio della tassatività delle ipotesi di nullità
dell’atto costitutivo della società dopo l’iscrizione
nel registro delle imprese, ma comporta soltanto
l’obbligo della società stessa di restituire i beni
conferitile, con una parallela riduzione del
capitale sociale, nei limiti del valore delle azioni
assegnate in corrispettivo e salva la facoltà di
ridurre ad equità il rapporto, attraverso un
conguaglio pecuniario, o l’assegnazione gratuita
di altre azioni, previo corrispondente aumento del
capitale.
Cass. civ., sez. I, 27 febbraio 1976, n. 639, sito
Cassazione www.cortedicassazione.it.
7968/984
5.Versamenti in conto futuro aumento di
capitale. Giurisprudenza consolidata. – Il
versamento effettuato dai soci della società in
conto di futuro aumento di capitale, pur non
determinando un incremento del capitale sociale e
pur non attribuendo alle relative somme la
condizione giuridica propria del capitale, ha una
causa, che, di norma, è diversa da quella del
mutuo ed è simile invece a quel del conferimento
in conto capitale che è un conferimento a rischio.
Ne deriva che all’autonomia privata sono
consentiti, nelle società di capitali, conferimenti
atipici e ciò sia nel senso che si tratta di
conferimenti eseguiti al di fuori degli schemi
giuridici formali previsti per la costituzione delle
società e per l’aumento del capitale sociale,
perché
sono
conferimenti
destinati
ad
incrementare il patrimonio della società fuori del
capitale.
Cass. civ., sez. I, 13 dicembre 1998, n. 12539,
Mass. Giur. It., 1998, anche in Notariato,
1999, 6, 538. 7968/984
Poiché i versamenti effettuati dai soci in conto di
futuro aumento di capitale non danno luogo, in
mancanza di specifiche pattuizioni in contrario, a
crediti esigibili a richiesta dei singoli soci durante
la vita della società, l'eccedenza del passivo
sull'attivo determinata dalla loro esposizione in
bilancio non è idonea a manifestare uno stato di
insolvenza della medesima società.
Cass. civ., 03/12/1980, n. 6315,Foro It., 1981, I,
26, anche in Giur. Comm., 1981, II, 895,
Dir. Fall., 1981, II, 121 e Vita not., 1982, p. 317.
Conforme: App. Torino, 21 luglio 1995, Giur. It.,
1996,I,2,364, anche in Vita not., 1996, 947 e
Società, 1996, 52; App. Napoli Sez. III,
11/07/2008;App. Napoli Sez. III, 11/07/2008
7968/984
2440-bis. Aumento di capitale delegato liberato mediante conferimenti di beni in natura e di
crediti senza relazione di stima. –[I].Nel caso sia attribuita agli amministratori la facoltà di cui
all'articolo 2443, secondo comma, e sia deliberato il conferimento di beni in natura o crediti valutati
in conformità dell'articolo 2343-ter, gli amministratori, espletata la verifica di cui all'articolo 2343quater, primo comma, depositano per l'iscrizione nel registro delle imprese, in allegato al verbale
della deliberazione di aumento del capitale, una dichiarazione con i contenuti di cui all'articolo
2343-quater, terzo comma, dalla quale risulti la data della delibera di aumento del capitale.
[II].Entro trenta giorni dall'iscrizione della dichiarazione di cui al primo comma i soci che
rappresentano, e che rappresentavano alla data della delibera di aumento del capitale, almeno il
ventesimo del capitale sociale, nell'ammontare precedente l'aumento medesimo, possono richiedere
la presentazione di una nuova valutazione. Si applica in tal caso l'articolo 2343. Il conferimento non
può essere eseguito fino al decorso del predetto termine e, se del caso, alla presentazione della
nuova valutazione. [III].Qualora non sia richiesta la nuova valutazione, gli amministratori
depositano per l'iscrizione nel registro delle imprese congiuntamente all'attestazione di cui
all'articolo 2444 la dichiarazione che non sono intervenuti, successivamente alla data della
dichiarazione di cui al secondo comma, i fatti o le circostanze di cui all'articolo 2343-quater, primo
comma
Sommario: 1. L’applicazione del regime alternativo della valutazione dei conferimenti in natura, in caso di aumento di
capitale
delegato
agli
amministratori.Massima
Consiglio
Notarile
di
Milano
1.L’applicazione del regime alternativo
della valutazione dei conferimenti in
natura. Massima del Consiglio Notarile di
Milano. L’organo amministrativo al quale è stata
attribuita la delega di cui
all’art. 2443 c.c. anche per aumenti di capitale con
conferimenti in natura può
avvalersi della disciplina alternativa di cui all’art.
2440-bis c.c. pur in
mancanza di un’espressa previsione in tal senso.
Qualora l’organo
amministrativo decida di applicare tale disciplina,
l’aumento delegato si svolge
secondo la seguente procedura:
a) l’organo amministrativo delibera l’aumento di
capitale con conferimento
in natura, adottando uno dei sistemi di valutazione
previsti nell’ambito
del regime alternativo di cui all’art. 2343-ter c.c. e
contestualmente approva
una “prima” dichiarazione di conferma, ai sensi
dell’art. 2343-quater, comma
3, c.c., necessariamente parziale (in quanto priva
della verifica dei fatti successivi
al conferimento);
b) il conferimento non può in ogni caso essere
eseguito contestualmente
alla deliberazione di aumento, in virtù dell’espresso
divieto contenuto nella seconda
frase del secondo comma dell’art. 2440-bis c.c.;
c) la deliberazione di aumento viene iscritta nel
registro delle imprese,
unitamente alla “prima” dichiarazione di conferma
degli amministratori; dalla
data di tale iscrizione decorre il termine di trenta
giorni entro il quale i soci che
detengono almeno il 5 per cento del capitale
sottoscritto possono chiedere la
nuova valutazione;
d) se entro il termine di trenta giorni viene chiesta la
nuova valutazione,
l’aumento non può essere eseguito e gli
amministratori devono presentare
istanza al tribunale per la nomina dell’esperto ai
sensi dell’art. 2343 c.c.; una
volta acquisita la perizia giurata, gli amministratori
possono perfezionare e ricevere
il conferimento e successivamente, entro centottanta
giorni da
quest’ultimo, effettuare la verifica della stima ai
sensi dell’art. 2343, comma 3,
c.c.;
e) se invece i soci non chiedono la nuova
valutazione ex art. 2343 c.c.,
gli amministratori possono perfezionare e ricevere il
conferimento dopo lo scadere
del trentesimo giorno dall’iscrizione della
deliberazione di aumento; entro
trenta giorni dal conferimento, essi devono poi
completare la verifica prevista
dall’art. 2343-quater, comma 1, c.c., senza nel
frattempo poter depositare
l’attestazione di avvenuta sottoscrizione ex art. 2444
c.c.; in tale periodo, le azioni
emesse sono depositate presso la sede sociale e sono
inalienabili;
f) se gli amministratori, nel corso di questi trenta
giorni, rilevano fatti
nuovi, tali da modificare sensibilmente il valore
equo dei beni o dei crediti conferiti,
essi non possono depositare l’attestazione di
avvenuta sottoscrizione ex
art. 2444 c.c., bensì devono avviare una nuova
valutazione secondo la disciplina
di cui all’art. 2343 c.c;
g) se invece gli amministratori non rilevano fatti
nuovi, tali da modificare
sensibilmente il valore equo dei beni o dei crediti
conferiti, essi devono depositare,
entro trenta giorni dal conferimento, l’attestazione di
avvenuta sottoscrizione
ai sensi dell’art. 2444 c.c. congiuntamente alla
“seconda” dichiarazione
di conferma ai sensi dell’art. 2343-quater, comma 3,
c.c., nella quale dichiarano
che non sono intervenuti fatti rilevanti ai sensi
dell’art. 2343-quater,
comma 1, c.c..
Massima n. 104 del Consiglio Notarile di
Milano
2441. Diritto di opzione. –[I] Le azioni di nuova emissione e le obbligazioni convertibili in azioni
devono essere offerte in opzione ai soci in proporzione al numero delle azioni possedute. Se vi sono
obbligazioni convertibili il diritto di opzione spetta anche ai possessori di queste, in concorso con i
soci, sulla base del rapporto di cambio. [II] L'offerta di opzione deve essere depositata presso
l'ufficio del registro delle imprese. Salvo quanto previsto dalle leggi speciali per le società con
azioni quotate in mercati regolamentati, per l'esercizio del diritto di opzione deve essere concesso
un termine non inferiore a trenta giorni dalla pubblicazione dell'offerta. [III] Coloro che esercitano
il diritto di opzione, purché ne facciano contestuale richiesta, hanno diritto di prelazione
nell'acquisto delle azioni e delle obbligazioni convertibili in azioni che siano rimaste non optate. Se
le azioni sono quotate in mercati regolamentati, i diritti di opzione non esercitati devono essere
offerti nel mercato regolamentato dagli amministratori, per conto della società, per almeno cinque
riunioni, entro il mese successivo alla scadenza del termine stabilito a norma del secondo comma.
[IV] Il diritto di opzione non spetta per le azioni di nuova emissione che, secondo la deliberazione di
aumento del capitale, devono essere liberate mediante conferimenti in natura. Nelle società con
azioni quotate in mercati regolamentati lo statuto può altresì escludere il diritto di opzione nei limiti
del dieci per cento del capitale sociale preesistente, a condizione che il prezzo di emissione
corrisponda al valore di mercato delle azioni e ciò sia confermato in apposita relazione dalla società
incaricata della revisione contabile. [V] Quando l'interesse della società lo esige, il diritto di opzione
può essere escluso o limitato con la deliberazione di aumento di capitale, approvata da tanti soci che
rappresentino oltre la metà del capitale sociale, anche se la deliberazione è presa in assemblea di
convocazione successiva alla prima. [VI] Le proposte di aumento di capitale sociale con esclusione
o limitazione del diritto di opzione, ai sensi del primo periodo del quarto comma o del quinto
comma del presente articolo, devono essere illustrate dagli amministratori con apposita relazione,
dalla quale devono risultare le ragioni dell'esclusione o della limitazione, ovvero, qualora
l'esclusione derivi da un conferimento in natura, le ragioni di questo e in ogni caso i criteri adottati
per la determinazione del prezzo di emissione. La relazione deve essere comunicata dagli
amministratori al collegio sindacale o al consiglio di sorveglianza e al soggetto incaricato del
controllo contabile almeno trenta giorni prima di quello fissato per l'assemblea. Entro quindici
giorni il collegio sindacale deve esprimere il proprio parere sulla congruità del prezzo di emissione
delle azioni. Il parere del collegio sindacale e la relazione giurata dell'esperto designato dal
tribunale nell'ipotesi prevista dal quarto comma devono restare depositati nella sede della società
durante i quindici giorni che precedono l'assemblea e finché questa non abbia deliberato; i soci
possono prenderne visione. La deliberazione determina il prezzo di emissione delle azioni in base al
valore del patrimonio netto, tenendo conto, per le azioni quotate in mercati regolamentati, anche
dell'andamento delle quotazioni nell'ultimo semestre. [VII] Non si considera escluso né limitato il
diritto di opzione qualora la deliberazione di aumento di capitale preveda che le azioni di nuova
emissione siano sottoscritte da banche, da enti o società finanziarie soggetti al controllo della
Commissione nazionale per le società e la borsa ovvero da altri soggetti autorizzati all'esercizio
dell'attività di collocamento di strumenti finanziari, con obbligo di offrirle agli azionisti della
società, con operazioni di qualsiasi tipo, in conformità con i primi tre commi del presente articolo.
Nel periodo di detenzione delle azioni offerte agli azionisti e comunque fino a quando non sia stato
esercitato il diritto di opzione, i medesimi soggetti non possono esercitare il diritto di voto. Le spese
dell'operazione sono a carico della società e la deliberazione di aumento del capitale deve indicarne
l'ammontare. [VIII] Con deliberazione dell'assemblea presa con la maggioranza richiesta per le
assemblee straordinarie può essere escluso il diritto di opzione limitatamente a un quarto delle
azioni di nuova emissione, se queste sono offerte in sottoscrizione ai dipendenti della società o di
società che la controllano o che sono da essa controllate. L'esclusione dell'opzione in misura
superiore al quarto deve essere approvata con la maggioranza prescritta nel quinto comma.
Sommario: 1.Funzione, fattispecie ed oggetto del diritto. Giurisprudenza consolidata
–
2.Trasferibilità.Giurisprudenza di legittimità. – 3. Modalità.Casistica Giurisprudenza di legittimità..– 3.
1.Modalità.Casistica Giurisprudenza di merito.. – 3.2.Termine.Giurisprudenza consolidata Soprapprezzo.- 4.
Soprapprezzo. Casistica.Giurisprudenza di legittimità. – 4.1.Soprapprezzo. Casistica.Giurisprudenza di merito–
5. Prelazione e prezzo delle azioni non optate. Casistica.Giurisprudenza di legittimità–. 5.1. Prelazione e prezzo
delle azioni non optate. Casistica.Giurisprudenza di merito
1.Funzione, fattispecie ed oggetto del diritto.
Giurisprudenza consolidata -La violazione di
norme in tema di diritto di opzione provoca
l'annullabilità (e non la nullità) del deliberato
assembleare, non avendo il diritto di opzione
alcuna valenza di ordine generale, ma essendo
invece esclusivamente funzionale all'interesse del
singolo socio a mantenere inalterata la sua
partecipazione al capitale sociale anche in caso di
aumento del capitale medesimo.
Cass. civ. Sez. I, 07 novembre 2008, n. 26842
Soc., 2009, 1, 26.
79968/540
La deliberazione di aumento di capitale esprime la
volontà sociale di acquisire nuovo capitale di
rischio, ma non implica che tale capitale sia
effettivamente acquisito (neppure sotto la forma
di credito per la riscossione dei relativi
versamenti) fin quando la deliberazione stessa
abbia avuto effettiva esecuzione, ossia fino al
momento in cui i soci titolari del diritto di opzione
(o eventualmente i terzi, se il diritto di opzione
non venga esercitato) abbiano sottoscritto
l'aumento di capitale deliberato. Dal punto di vista
del socio, ciò sta a significare che,
indipendentemente dall'avere egli concorso o
meno col proprio voto alla deliberazione di
aumento del capitale, è solo
per effetto di una successiva e ben distinta
manifestazione di volontà - consistente appunto
nella sottoscrizione della quota parte del nuovo
capitale offertagli in opzione - che egli assume
verso la società il relativo obbligo di versamento,
ove non vi abbia già provveduto per intero
contestualmente alla sottoscrizione stessa. Ne
discende che la società ha l'onere di provare non
solo l'esistenza della deliberazione assembleare di
aumento del capitale, ma anche la successiva
sottoscrizione
della
quota
di
spettanza
dell'aumento medesimo ad opera di detto socio.
Cass. civ. sez. I, 19 ottobre 2007, n. 22016,
Soc., 2008, 2, 171
79968/540
La comunicazione relativa all’esercizio del diritto
di opzione, ha carattere ricettizio. Ai fini del
computo del termine decadenziale per l’esercizio
dello stesso, si deve aver riguardo all’iscrizione,
nel registro delle imprese, della delibera
assembleare con cui viene concesso ai soci il
diritto di opzione e non invece alla comunicazione
aggiuntiva inviata dall’amministratore ai soci.
App. Napoli Sez. I, 28/05/2008
79968/540
La dichiarazione di sottoscrizione dell'aumento di
capitale non ha bisogno di alcuna forma
particolare per spiegare efficacia e può risultare
anche dal verbale di una assemblea ordinaria.
Tribunale Torino,19 giugno 1981,Riv. notariato
1982,1154.
79968/540
La nullità delle deliberazioni dell'assemblea delle
società per azioni (art. 2379 c.c.) è prevista nelle
ipotesi di impossibilità ed illiceità dell'oggetto,
sicchè ricorre solo in caso di contratto con norme
dettate a tutela dell'interesse generale, che
trascende quello del singolo socio, dirette ad
impedire una deviazione dallo scopo essenziale
economico-pratico del rapporto di società; mentre
il contrasto con norme, anche cogenti, rivolte alla
tutela dell'interesse dei singoli soci o di gruppi di
essi determina un'ipotesi di semplice annullabilità
della delibera; pertanto, dato che il diritto di
opzione è tutelato dalla legge solo in funzione
dell'interesse individuale dei soci (a mantenere
inalterata la propria partecipazione percentuale
nella società), è annullabile - e non affetta da
nullità - la deliberazione che, senza specificarne
espressamente
le
ragioni
(rappresentate,
nell'ipotesi, dalla necessità di disporre la riduzione
del capitale per perdite e il contestuale aumento
dello stesso per riadeguarlo al minimo legale, a
norma dell'art. 2447 c.c.), revochi, anche
implicitamente, il diritto di opzione, concesso ai
soci con precedenti delibere di aumento del
capitale, prima che sia scaduto il termine per
esercitare il diritto stesso.
Cass. civ., Sez. I, 23 marzo 1993, n. 3458,Giur. It.,
1994, I,1, 10.
79968/540
L'art. 2441 c.c., nello stabilire che le azioni
ordinarie di nuova emissione debbono essere
offerte in opzione agli azionisti in proporzione al
numero delle azioni da loro già possedute, estende
al rapporto societario, adattandolo alle particolari
caratteristiche di questo, l'istituto generale
dell'opzione regolato dall'art. 1331 c.c., inteso
quale promessa unilaterale irrevocabile di una
delle parti con facoltà, per l'altra, di accettarla o
meno. Ne consegue che nella delibera di nuova
emissione di certificati azionari non può ravvisarsi
sempre e necessariamente un impegno dei soci al
loro acquisto, tassabile come tale a norma dell'art.
28 della tariffa all. A della L. 30 dicembre 1923,
n. 3269, essendo, invece, indispensabile che tale
impegno sia stato assunto in modo esplicito nel
verbale dell'assemblea o che nel medesimo sia,
comunque, enunziato, con la conseguente
applicazione dell'art. 62 della citata legge. Cass.
civ., sez. I, 29 novembre 1976, n. 4494,
Mass. Giur. It., 1976.
79968/540
2.Trasferibilità. Giurisprudenza di legittimitàLe cedole che incorporano il diritto di opzione
hanno natura di titoli al portatore e legittimano i
loro possessori ad esercitare, con la semplice
esibizione, il diritto medesimo.
Cass.Civile,sez.I,23marzo1989,n.1464,Nuova
giur. civ. commentata 1990, I,560 anche in
Giur.
comm.
1990,
II,734
(nota).
79968/540
Le azioni di società per azioni sono titoli
nominativi, sicché il possessore del titolo è
legittimato all'esercizio del diritto in esso
menzionato per effetto dell'intestazione a suo
favore contenuta nel titolo e nel registro
dell'emittente (cosiddetto transfert). Tuttavia, se la
società rifiuti illegittimamente di eseguire il
transfert non può addurre tale rifiuto e la
mancanza dell'avvenuta intestazione nel registro
non può paralizzare i diritti dei soci.
Cass. civ. Sez. I, 15/07/2004, n. 13 gennaio 2006,
Contr. e Impr., 2007, 2, 308
79968/540
Il fatto che l'esercizio del diritto di opzione sia
stato subordinato dalla società alla presentazione
del titolo alla cassa incaricata per la stampigliatura
ed il distacco di una determinata cedola, non
esclude la natura di titolo di credito della cedola
medesima, che può essere separatamente ceduta
dall'azionista attribuendo al portatore il diritto di
esercitare, limitatamente ad essa, l'opzione.
Cass. civ. Sez. I, 17 marzo1989, n. 1319,Foro It.,
1989, I, 2195 anche in Giust. Civ., 1989, I, 1646.
79968/540
3. Modalità. Casistica.Giurisprudenza di
legittimità. - È valida la delibera, che a seguito di
riduzione integrale del capitale sociale per perdite,
decida l'azzeramento ed il contemporaneo
aumento, anche ad una cifra superiore al minimo,
del capitale sociale, mediante la sottoscrizione
immediata e per intero del socio presente, purchè
sia consentito, ai soci assenti o impossibilitati alla
sottoscrizione immediata, l'esercizio del diritto di
opzione nel termine di trenta giorni stabilito
nell'art. 2441 secondo comma cod. civ.
previgente per l'acquisto delle partecipazioni
sottoscritte in misura eccedente la quota di
spettanza dell'originario sottoscrittore, dal
momento che l'esercizio postumo del diritto di
opzione opera come condizione risolutiva e
rimuove "pro quota" e retroattivamente gli effetti
dell'originaria sottoscrizione
Cass. civ., sez. I ,12 luglio 2007, n. 15614,
Not., 2008, 2, 128 e Not., 2008, 6, 640.
79968/540
previsione (integrante una condizione risolutiva)
che l'esercizio del diritto rimuova l'acquisto da
parte del socio originariamente sottoscrittore
dell'intero capitale sociale.
Cass. civ. Sez. I, 17 novembre 2005, n. 23262,
Società, 2006, 4, 448
79968/540
Nelle società per azioni, il socio può validamente
obbligarsi nei confronti della società a
sottoscrivere un determinato aumento di capitale
prima che lo stesso sia formalmente deliberato
dall'assemblea, dovendosi ritenere siffatto
obbligo, in assenza di diverse pattuizioni,
subordinato alla condizione sospensiva che la
deliberazione di aumento del capitale intervenga
nel termine stabilito o in quello desumibile dalle
circostanze, e - per la parte in cui l'impegno
investa anche le azioni di nuova emissione sulle
quali il socio non vanta il diritto di opzione - alla
ulteriore condizione che tali azioni non vengano
sottoscritte dai soci titolari del predetto diritto nel
termine assegnato ai fini dell'esercizio del
medesimo.
Cass. civ. Sez. I, 14 aprile 2006, n. 8876,Mass.
Giur. It., 2006.Conforme: Cass. civ. Sez. I, 10
novembre 2005, n. 21831
79968/540
3.1. Modalità. Casistica.Giurisprudenza di
merito. - La norma dell'art. 14 legge n. 216 del
1974 va interpretata nel senso che, in occasione di
aumenti del capitale sociale, la società, pur non
essendo obbligata ad emettere azioni di risparmio
in proporzione alla quota di capitale da esse
rappresentata, può legittimamente offrire in
opzione agli azionisti di risparmio esclusivamente
azioni di risparmio , senza che questi possano
pretendere di esercitare il proprio diritto di
opzione sulle azioni ordinarie di nuova emissione.
È, d'altra parte, manifestamente infondata la
questione di costituzionalità della norma, così
interpretata, in relazione agli art. 3 e 47 cost.
Tribunale Milano,26 settembre 1991, Giur.
comm.
1992,
II,492.
È valida e legittima la delibera assembleare che,
avvenuta in assemblea la sottoscrizione del
capitale ricostituito sino alla misura del minimo
legale ad opera dei soci presenti, assegni
egualmente ai soci che ne abbiano diritto un
termine per l'esercizio del diritto di opzione
quando tale assegnazione sia accompagnata dalla
79968/540
Ai fini del computo del termine decadenziale per
l' esercizio dello stesso, si deve aver riguardo
all'iscrizione, nel registro delle imprese, della
delibera assembleare con cui viene concesso ai
soci il diritto di opzione e non invece alla
comunicazione
aggiuntiva
inviata
dall'amministratore ai soci.
inoptati, un sovrapprezzo diverso e maggiore
rispetto a quello fissato per l'opzione.
App. Napoli, sez. I,28 maggio 2008, Vita not.
2008,
3,
1478.
79968/540
Cass. civ. Sez. I, 28/03/1996, n. 2850,Giur.
Comm., 1998, II, 343.
79968/540
3.2.Termine. Giurisprudenza consolidata - In
difetto di indicazione, il termine per l' esercizio
del diritto di opzione deve ritenersi determinato in
30 giorni, ossia coincidente con quello previsto
dall'art. 2441 c.c.
Cass. civ. Sez. I, 17/11/2005, n. 23262,Società,
2006, 4, 448
4.1. Sovrapprezzo. Casistica. Giurisprudenza
di merito-E’ facoltativa la previsione del
soprapprezzo delle azioni quando l'aumento del
capitale sociale sia destinato ai vecchi soci.
Corte appello Milano,10 febbraio 2004,Giur.
comm. 2006, 1, 108.
79968/540
79968/540
L'indicazione del termine entro il quale l'aumento
di capitale delle società di capitali deve essere
sottoscritto è dettato nell'interesse generale,
mentre il termine per l'esercizio del diritto di
opzione sulle nuove azioni è previsto
nell'interesse dei singoli soci. Si è pertanto in
presenza di due termini distinti anche se nulla
impedisce che l'uno coincida con l'altro. (La
sottoscrizione delle azioni è un negozio avente
natura consensuale e non reale che quindi si
perfeziona con la semplice dichiarazione di voler
esercitare il diritto e non anche con il materiale
versamento dei tre decimi, conseguendone che
l'espressione della volontà di esercitare la
prelazione con riferimento alle azioni inoptate è
valida a determinare l'immediato perfezionarsi del
negozio non appena giunto a conoscenza della
società).
Corte appello Milano, 27 gennaio 2004,Foro
padano
2005,
3-4,
674.
79968/540
4. Sovrapprezzo. Casistica. Giurisprudenza di
legittimità-In sede di aumento di capitale il
consiglio di amministrazione di società per azioni
può legittimamente fissare, per i soci che hanno
esercitato la richiesta di prelazione sui titoli
5.Prelazione
e
inoptato.
Casistica
Giurisprudenza di legittimità - La prelazione
disciplinata dall'art. 2441 comma 3, c.c., configura
una fattispecie di prelazione "in senso proprio",
caratterizzata dal diritto dei soci ad essere preferiti
ai terzi nella sottoscrizione delle azioni rimaste
inoptate, solo in caso di parità di condizioni.
Cass. Civ., sez. I, 28 marzo 1996, n. 2850,Vita
not. 1997, 330.
79968/540
Con riguardo ad aumento di capitale di una s.p.a.
mediante emissione di nuove azioni, è legittima la
deliberazione con la quale il Consiglio di
amministrazione fissi, per l'assegnazione delle
azioni rimaste non optate, un prezzo diverso (e
maggiore) rispetto a quello stabilito per l'opzione,
in quanto l'art. 2441 c.c., mentre al comma 1,
attraverso l'obbligo di offerta in opzione dei nuovi
titoli, tutela in maniera incondizionata (anche
rispetto ad offerte più vantaggiose per la società)
l'interesse del socio a conservare inalterata la
proporzione in cui egli partecipa al capitale
sociale, al comma 3 si limita a stabilire un
semplice diritto di prelazione, nell'assegnazione
delle azioni rimaste non optate, per coloro che
abbiano esercitato l'opzione, accordando a questi
ultimi pur sempre una preferenza, condizionata,
però, alla ricorrenza della parità di trattamento
rispetto ad altri soggetti. L'indicata deliberazione
può essere validamente adottata dal Consiglio
d'amministrazione, non assumendo rilievo,
nell'ipotesi, la disposizione di cui al comma 6 del
citato art. 2441 c.c., che riserva all'assemblea dei
soci il potere di stabilire il prezzo di emissione
delle nuove azioni nel diverso caso in cui
l'aumento del capitale sociale avvenga con
esclusione o limitazione del diritto di opzione.
legali sul procedimento da seguirsi natura
dispositiva da parte dell' assemblea.
Tribunale Torino,23 marzo 2004,Giur. it. 2004,
2120.
79968/540
Cass. civ. Sez. I, 28/03/1996, n. 2850
Giust..
79968/540
Atteso che l'interesse tutelato dall'art. 2441,
comma 3, c.c., è quello concernente
esclusivamente l'accrescimento della quota di
partecipazione da parte di coloro che hanno già
esercitato il diritto d'opzione, la società può
legittimamente fissare per il collocamento delle
azioni rimaste inoptate un prezzo diverso (e
maggiore) di quello stabilito per l'opzione.
Cass.
civ.,
sez.I,
28 marzo 1996, Vita not. 1997, 330
79968/540
Quando l'interesse della società esige che il diritto
di opzione derivante da un aumento di capitale a
pagamento sia riconosciuto soltanto a taluni
azionisti (nella specie, in una società autostradale,
era necessario ripristinare il controllo, da parte dei
soci classificati come enti pubblici, della
maggioranza del capitale sociale come condizione
per ottenere la garanzia dello Stato sui mutui
occorrenti per finanziare l'opera) anche il diritto di
prelazione sulle azioni rimaste inoptate può essere
riservato soltanto ai beneficiari del diritto di
opzione.
App. Torino, 01 giugno 2006,Giur. It., 2007, 3,
659.
79968/540
5.1.Prelazione
e
inoptato.
Casistica
Giurisprudenza
di
merito
In caso di aumento, anche inscindibile, a
pagamento del capitale di una società per azioni la
richiesta di prelazione sulle azioni inoptate da
parte dei sottoscrittori può esser fatta anche non
contestualmente all'esercizio del diritto di opzione
sui titoli di propria spettanza, avendo le norme
2442. Passaggio di riserve a capitale. - [I] L'assemblea può aumentare il capitale, imputando a
capitale le riserve e gli altri fondi iscritti in bilancio in quanto disponibili. [II] In questo caso le
azioni di nuova emissione devono avere le stesse caratteristiche di quelle in circolazione, e devono
essere assegnate gratuitamente agli azionisti in proporzione di quelle da essi già possedute. [III]
L'aumento di capitale può attuarsi anche mediante aumento del valore nominale delle azioni in
circolazione.
Sommario: 1.Riserve e fondi disponibili.Giurisprudenza di merito. -1.1.-Utilizzo riserva legale. Inammissibilità.
Giurisprudenza maggioritaria .-1.1.2. Utilizzabilità per la parte eccedente il quinto del capitale sociale.
Giurisprudenza minoritaria. – 2.Modalità di attuazione dell’aumento. 3. – Esclusione della necessità di una
situazione patrimoniale straordinaria. Giurisprudenza consolidata.
1.Riserve e fondi disponibili. Giurisprudenza di
merito-E' legittima la delibera che dispone
l'esecuzione di un aumento di capitale mediante
l'utilizzo di versamenti precedentemente effettuati
dai soci in conto aumento di capitale; tale
fattispecie non integra un aumento di capitale per
compensazione in quanto i versamenti impiegati
non danno luogo a crediti esigibili a richiesta dei
singoli durante la vita della società e non
configurano quindi una posta soggetta a
compensazione.
App. Torino, 21 luglio 1995,Società, 1996, 1, 52.
7968/1308
L'imputazione a capitale di parte disponibile dei
fondi speciali iscritti in bilancio - tra i quali non
può non rientrare per sua natura, finalità e
collocazione, il c.d. conto finanziamento soci - è
contemplata espressamente dall' art . 2442 c.c.
App. Trieste,21novembre1981,Riv.Not. 1981, 119
7.
7968/1308
1.1. Utilizzo riserva legale.- Inammissibilità. .
Giurisprudenza maggioritaria.-In caso di
aumento gratuito del capitale sociale, non è
imputabile a capitale la riserva legale.
Trib. Cassino,
01
febbraio
1991,
Riv. dir. comm. 1992, II,339.
7968/1308
Non è possibile l' aumento ( gratuito ) del capitale
sociale mediante parziale utilizzo della riserva
legale , vista l'indisponibilità assoluta di questa.
Trib. Bologna,06dicembre1995,Not. 1996, 255
anche in Soc. 1996, 688. Conformi: Trib. Trieste,
15 luglio 1981, Società, 1982, 18; Trib.Vicenza,
10 giugno 1961, Società, 1987, 171; App. Brescia,
18 marzo 1963, Foro pad., I, c. 710.
7968/1308
1.1.2 Utilizzo riserva legale.- Ammissibilità per
la parte che eccede il quinto del capitale
sociale. Giurisprudenza minoritaria.-Ogni
3.Esclusione della necessità di una situazione
patrimoniale straordinaria. - Giurisprudenza
consolidata. Nel nostro sistema normativo non
esiste un principio generale che imponga, per ogni
intervento sul capitale, la redazione di una
situazione patrimoniale o di un bilancio
straordinario, richiesti solo nei casi in cui il
legislatore li ha ritenuti necessari.
Trib. Vicenza, 23 marzo 1999, Dir. Fall., II, 566.
7968/1308
accantonamento a riserva legale in eccedenza
rispetto al quinto del capitale sociale si sottrae al
regime di indisponibilità proprio della riserva
legale, e può, pertanto, venire successivamente
imputato a capitale.
Trib.
Cassino,
07febbraio1992,Vita not. 1992, 677.
7968/1308
2.Modalità di attuazione dell’aumento.-Non è
in contrasto con la disciplina di cui agli art. 2357 e
seguenti c.c., l' aumento gratuito del capitale
sociale, con il quale si attribuiscono nuove azioni
gratuite anche alle azioni proprie possedute dalla
società.
Trib. Milano,05novembre1987,Nuova giur. civ.
comm. 1988, I,352.
7968/1308
In caso di aumento gratuito del capitale sociale, è
legittima l'attribuzione delle azioni di nuova
emissione alla società che possieda azioni proprie
qualora non risultino alterati nè il rapporto di
partecipazione dei soci al capitale nè l'integrità di
questo nè il rapporto di cui all'art. 2357 comma 2
c.c.
Trib.Roma,27dicembre1989,Riv.Not. 1990, 215.
7968/1308
L' aumento del capitale di una società per azioni,
in rispondenza del passaggio al capitale medesimo
di un fondo di riserva straordinario, è "a titolo
gratuito ", e, quindi, può essere attuato mediante
incremento del valore nominale delle azioni in
circolazione, non anche mediante emissione di
nuove azioni da offrire in opzione ai soci.
Cass.
civ.,
sez.
I,
n.
2958,
11 marzo 1993, Giust. civ. Mass. 1993, 480 .
2443. Delega agli amministratori. - [I]Lo statuto può attribuire agli amministratori la facoltà di
aumentare in una o più volte il capitale fino ad un ammontare determinato e per il periodo massimo
di cinque anni dalla data dell'iscrizione della società nel registro delle imprese. Tale facoltà può
prevedere anche l'adozione delle deliberazioni di cui al quarto e quinto comma dell'articolo 2441; in
questo caso si applica in quanto compatibile il sesto comma dell'articolo 2441 e lo statuto determina
i criteri cui gli amministratori devono attenersi.
[II] La facoltà di cui al secondo periodo del precedente comma può essere attribuita anche mediante
modificazione dello statuto, approvata con la maggioranza prevista dal quinto comma dell'articolo
2441, per il periodo massimo di cinque anni dalla data della deliberazione.
[III] Il verbale della deliberazione degli amministratori di aumentare il capitale deve essere redatto
da
un
notaio
e
deve
essere
depositato
e
iscritto
a
norma
dall'articolo
2436.
Sommario: 1.Modalità. Giurisprudenza consolidata.-2. Fissazione sovrapprezzo. Giurisprudenza di merito. –
3.Casistica.Giurisprudenza di merito
1.Modalità. - Giurisprudenza consolidata. -Per
il conferimento agli amministratori della delega ad
aumentare il capitale sociale, l'art. 2443 comma 2
c.c., esige una deliberazione espressa di modifica
dell'atto costitutivo da parte dell'assemblea
straordinaria che introduca nello statuto
l'attribuzione della facoltà delegata agli
amministratori. La facoltà (statutaria) di cui all'art.
2443 c.c. non può quindi conferirsi implicitamente
mediante una deliberazione assembleare con la
quale
si
attribuisca
direttamente
agli
amministratori la facoltà di aumentare il capitale
sociale.
Trib. Verona,22luglio1993,Soc., 1994, 350 anche
in Vita not. 1994, I, 319. Conf.: Trib. Aosta, 21
ottobre 1989, G.it., 1990, I,2, 790; App. Milano,
23 luglio 1988, G.it. 1990, I,2,790; Trib. Vicenza,
23 marzo 1999, Dir. Fall., II, 566.
7968/36
2.Fissazione sovrapprezzo. - Giurisprudenza
dimerito.- In sede di deliberazione di aumento del
capitale sociale adottata dal consiglio di
amministrazione su delega dell'assemblea
straordinaria, è legittima la fissazione da parte
dell'organo di gestione di un sovrapprezzo sulle
azioni di nuova emissione offerte in opzione ai
soci, in assenza, nella deliberazione di delega, di
una espressa previsione al riguardo.
Trib. Trieste,8 aprile 1997,Soc., 1997, 1166 350
anche in Vita not. 1997, III, 1504.
7968/36
3.Casistica. Giurisprudenza di merito. - In
Nell'aumento di capitale scindibile, l'incarico agli
amministratori di determinare l'aumento nella
misura delle sottoscrizioni raccolte nei termini
previsti dalla deliberazione, non costituisce delega
all'aumento del capitale sociale.
App. Cagliari, 26 aprile 2000, Giust. civ., 2001, I,
3077.
7968/36
2444. Iscrizione nel registro delle imprese. - [I] Nei trenta giorni dall'avvenuta sottoscrizione
delle azioni di nuova emissione gli amministratori devono depositare per l'iscrizione nel registro
delle imprese un'attestazione che l'aumento del capitale è stato eseguito. [II] Fino a che l'iscrizione
nel registro non sia avvenuta, l'aumento del capitale non può essere menzionato negli atti della
società.
Sommario:
1.Modifica
dello
statuto.
Giurisprudenza
consolidata.
1.Modifica
dello
statuto.
Giurisprudenzadimerito.- La delibera di
aumento di capitale sociale non comporta la
contestuale modifica dello statuto, alla quale non
si può procedere fino a quando il capitale
deliberato non sia stato sottoscritto interamente. Il
nuovo limite del capitale può tuttavia essere
menzionato
nello
statuto
aggiornato,
contestualmente alla deliberazione, solo nel caso
in cui nel testo dello stesso venga precisato che
nella riunione assembleare non è avvenuta la
sottoscrizione e vengano trascritti esclusivamente
i dati della deliberazione di aumento, con
l'indicazione del termine entro cui il capitale
dovrà essere sottoscritto, secondo quanto previsto
dall'art. 2439 comma 2 c.c.
Trib. Sulmona, 4 febbraio 2000, Giur. Merito,
2001, 375 Conf.: App. Napoli 25 giungo 1996,
Riv. Not., 1996, 1518; Trib. Cassino, 18 maggio
1994, Soc. 1994, 1079; App. Genova, 15/12/1999,
Soc., 2000, 578.
7968/1320
La delibera di aumento del capitale deve
essere depositata e iscritta, in adempimento di
quanto previsto dall'art. 2436 c.c.: il suddetto
atto costituisce un momento autonomo
rispetto a quello della menzione dell'avvenuta
sottoscrizione del capitale di cui all'art. 2444
c.c., conseguente al deposito dell'attestazione
che l'aumento del capitale è stato eseguito.
Trib. Torino, 29/04/1993,Soc., 1993, 989.
7968/1320
2445. Riduzione del capitale sociale. - [I] La riduzione del capitale sociale può aver luogo sia
mediante liberazione dei soci dall'obbligo dei versamenti ancora dovuti, sia mediante rimborso del
capitale ai soci, nei limiti ammessi dagli articoli 2327 e 2413. L'avviso di convocazione
dell'assemblea deve indicare le ragioni e le modalità della riduzione. [II] Nel caso di società cui si
applichi l'articolo 2357, terzo comma, la riduzione deve comunque effettuarsi con modalità tali che
le azioni proprie eventualmente possedute dopo la riduzione non eccedano la quinta parte del
capitale sociale. [III] La deliberazione può essere eseguita soltanto dopo novanta giorni dal giorno
dell'iscrizione nel registro delle imprese, purché entro questo termine nessun creditore sociale
anteriore all'iscrizione abbia fatto opposizione.[IV] Il tribunale, quando ritenga infondato il pericolo
di pregiudizio per i creditori oppure la società abbia prestato idonea garanzia, dispone che
l'operazione
abbia
luogo
nonostante
l'opposizione.
Sommario:1. Interesse tutelato. Giurisprudenza di merito ante riforma-2. Avviso di convocazione. Primo
orientamento.-2.1. Avviso di convocazione. Secondo orientamento.- 2.2.Motivazione della delibera.
Giurisprudenza consolidata.- 3. Società in liquidazione.– 4.Società in perdita.Giurisprudenza consolidata 5.Modalità.Giurisprudenza.Primo orientamento-5.1Modalità.Giurisprudenza.Secondo orientamento5.2.
Modalità. Parità di trattamento tra i soci.Giurisprudenza di merito-6. Azioni proprie.Giurisprudenza di merito7.Opposizione. Giurisprudenza di merito
1.Interesse tutelato. Giurisprudenza di merito
ante riforma.- La natura del giudizio su cui si
fonda la riduzione e la considerazione che l'art.
2445 c.c., concorre a tutelare un interesse di
carattere generale qual è quello dell'intangibilità
del capitale sociale al di fuori delle ipotesi
espressamente previste dalla legge, consentono di
ritenere che, in sede di omologazione, il sindacato
del tribunale debba avere ad oggetto, nei limiti del
controllo di legittimità sostanziale, il riscontro
della esistenza della motivazione e della corretta
individuazione dei presupposti legittimanti
l'operazione, nonché la coerenza e congruenza
logica del giudizio.
Trib. Napoli, 15 gennaio 1996, Soc., 1996, 577.
7968/1344
2.Avviso
di
convocazione.
Primo
orientamento.- La delibera di riduzione del
capitale per esuberanza esige il rispetto sia dei
requisiti sostanziali, ossia l'esistenza di un
giudizio di ordine tecnico e oggettivo di
adeguatezza tra entità del capitale e
conseguimento dell'oggetto sociale, sia dei
requisiti formali, quali la motivazione sufficiente
e congrua, peraltro da enunciarsi già nell'avviso di
convocazione dell'assemblea.
Trib. Roma, 16 dicembre 1996 ,Foro It., 1997, I,
3036.
7968/1344
2.1.Avviso
di convocazione. Secondo
orientamento. Nonostante l'espressa menzione
dell'avviso di convocazione richiesto dal comma 2
dell'art. 2445 c.c., è legittima la deliberazione di
riduzione del capitale per esuberanza presa in sede
di assemblea totalitaria, validamente costituita,
pur in mancanza dell'avviso di convocazione, a
condizione che in seno alla deliberazione stessa
siano indicate in modo esauriente le ragioni e le
modalità della riduzione.
Tribunale Cassino, 21 aprile 1989, Riv.
Not. ,1990, 508.
7968/1344
2.2.Motivazione
della
delibera.
Giurisprudenza consolidata.- La mancata
indicazione delle ragioni economiche che hanno
indotto la società a deliberare la riduzione del
capitale per esuberanza non consente la
omologazione della delibera. La motivazione della
delibera di riduzione del capitale non è
surrogabile con dichiarazioni successive rese
dall'amministratore unico e prodotte in sede di
reclamo. L'obbligo di indicare nel verbale
assembleare i motivi della riduzione non viene
meno neppure nelle ipotesi di assemblea
totalitaria.
App. Palermo,15 marzo 1990, Riv. dir.
comm., 1991,II,335; Conf.: Trib. Torino, 17
dicembre 1999, Giur.it., 2000, I, 1879; Trib.
Cassino, 6 maggio 1997, Soc., 1997, 1176; Trib.
Roma, 19 dicembre 1995, Riv. Not., 1996, 923;
Trib. Roma, 19 gennaio 1989, Soc., 1990, 582;
Trib. Lucca, 25 ottobre 1994, Riv. Dir. Comm.,
1996, 531.
7968/1344
3.Società in liquidazione. Giurisprudenza
consolidata.- È da ritenersi legittima la delibera di
assemblea straordinaria di una società di capitali
in liquidazione o in concordato preventivo che
riduce il proprio capitale sociale al minimo di
legge per consentire che la società non si oneri di
spese per il compenso del collegio sindacale.
Trib. Milano, 28 febbraio 2000, Giur. Comm.,
2000, II, 371. Conf.: Trib. Napoli, 6 dicembre
1985, Soc., 1986, 407; Trib. Verona, 17 novembre
1988, Soc., 1989, 185; Trib. Milano, 26 settembre
1994, Soc., 1995, 223; Trib. Roma, 3 novembre
1986, Soc. 1987, 631.
7968/1344
4.Società
in perdita. Giurisprudenza
consolidata.- Non può ritenersi legittima la
deliberazione di riduzione del capitale per
esuberanza e quella, contestuale, di scioglimento
volontario della società in quanto il negozio
complesso così composto tende all'aggiramento
della regola, inderogabile, che in sede di
liquidazione impone di distribuire il patrimonio
sociale ai soci solo dopo il soddisfacimento dei
creditori della società.
Trib. Roma, 12 novembre 1999,Giur. It., 2000,
1241.
Il tribunale, in sede di sindacato omologatorio,
rilevando una causa di scioglimento di una società
di capitali come il conseguimento dell'oggetto
sociale (art. 2448 n. 2 c.c.), non può omologare la
deliberazione con la quale la società proceda alla
riduzione del capitale, ai sensi dell'art. 2445 c.c.,
in quanto, in tale contesto, è necessaria l'adozione
di provvedimenti liquidatori e la riduzione per
esubero,
presupponendo
la
prosecuzione
dell'attività sociale, è incompatibile con situazioni
liquidatorie.
Trib. Milano, 24 settembre 1994,Giur. Comm.,
1996, II.
Non è omologabile la delibera di riduzione del
capitale per esuberanza di cui all'art. 2445 c.c., in
presenza ad perdite d'esercizio che rendono
carente la deliberazione sotto il profilo della
congruità logica della motivazione della
sussistenza di una esuberanza del capitale, in
quanto il divieto di ripartizione degli utili in
costanza delle perdite, implica "a fortiori" il
divieto di rimborso del capitale.
Trib. Roma, 07 luglio 1997, Riv. Not., 1997,
1732.
7968/1344
Non può ritenersi legittima la deliberazione di
riduzione del capitale per esuberanza e quella,
contestuale, di scioglimento volontario della
società in quanto il negozio complesso così
composto tende all'aggiramento della regola,
inderogabile, che in sede di liquidazione impone
di distribuire il patrimonio sociale ai soci solo
dopo il soddisfacimento dei creditori della società.
Trib. Roma, 12 novembre 1999,Giur. It., 2000,
1241.
7968/1344
5.Modalità. Passaggio a riserva. Primo
orientamento.- Non è omologabile la delibera di
riduzione del capitale per esuberanza attuata
mediante il passaggio a riserva della quota di
riduzione, poichè si traduce in un mero
spostamento di valori nell'ambito del patrimonio
netto che contraddice l'asserita sproporzione del
capitale sociale rispetto alle esigenze operative
della società.
Trib. Ravenna, 26 settembre 2000,Società, 2001,
202.
7968/1344
5.1.1.Modalità.
Passaggio a riserva.
Secondo orientamento - Non è legittima la
delibera con la quale l'assemblea dei soci delibera
la riduzione del capitale sociale per esuberanza
ma al contempo destina a riserva l'importo
corrispondente alla parte di capitale ridotto.
Tribunale Milano,11 giugno 1984, Giur. comm.
1985, II,659.
7968/1344
E' legittimo ridurre il capitale di una S.p.a. per
esuberanza mediante annullamento di azioni
privilegiate proprie (acquisite dalla società a
seguito di conversione volontaria di azioni
privilegiate in ordinarie con contestuale rinuncia
da parte degli azionisti privilegiati a parte delle
loro azioni) ed accantonamento di una riserva di
corrispondente importo. L'esuberanza può
legittimamente essere giustificata da ragioni
dirette ad una migliore organizzazione
dell'impresa sociale e quindi ad un miglior
conseguimento dell'oggetto ai sensi dell'art. 2445
c.c.
Trib. Milano, 09 marzo 2000,Giur. It., 2000, 1879
7968/1344
5.2.Modalità. Parità di trattamento fra i
soci. Giurisprudenza di merito.- E'
illegittima la delibera di riduzione del capitale
sociale, o, più esattamente, di revoca di pregressa
deliberazione di aumento del capitale già
sottoscritto, ottenuta mercè la liberazione di un
socio dal versamento ancora dovuto sulla quota di
aumento di sua pertinenza, non potendosi
ricondurre ad alcuna delle ipotesi tassativamente
previste
dall'ordinamento
e
violandosi
indubitabilmente il principio della parità di
trattamento dei soci nella liberazione dall'obbligo
dei versamenti ancora dovuti o nel rimborso del
capitale, che devono avvenire a vantaggio di tutti
in proporzione alla partecipazione di ciascuno al
capitale sociale.
Trib.
Napoli,
10
ottobre
1996,
Società,
1997,
3,
310
anche
in
Riv. Not., 1997, 506.
degli estremi e nell'osservanza del procedimento
previsti e disciplinati dall'art. 2445 c.c.
Tribunale Torino, 17 dicembre 1999,Giur. it.
2000, 1879, Vita not. 2000, 939; Tribunale
Milano,09 marzo 2000,Giur. it. 2000, 1879.
7968/1344
7.Opposizione. Giurisprudenza di merito -
E’ legittima, e può quindi ordinarsene l'iscrizione
nel registro delle società, la deliberazione con cui
l'assemblea straordinaria di una società di capitali
riduce il capitale procedendo al rimborso dei soci
mediante assegnazione di beni in natura.
Trib. Udine, 28 novembre 1988,Giur. It., 1990,
I,2, 848 contra Trib. Napoli 21 aprile 1983.
7968/1344
6.Azioni
proprie.
Giurisprudenza
di
merito. - La riduzione del capitale eseguita
tramite l'annullamento di azioni proprie di cui è
titolare la società è consentita nella ricorrenza
7968/1344
L'opposizione del creditore sociale alla
delibera di riduzione volontaria del capitale
sociale deve essere proposta con atto di
citazione, e non con ricorso al tribunale in
camera di consiglio, ex art. 25 e 33 d.l. n. 5
del 2003. Tale ricorso è proponibile solo dalla
società opposta per ottenere l'autorizzazione
all'esecuzione della delibera, pendente
l'opposizione.
Tribunale Bergamo,08
2005, 645
7968/1344
ottobre
2004,Societa'
2446. Riduzione del capitale per perdite. [I]. Quando risulta che il capitale è diminuito di oltre un
terzo in conseguenza di perdite, gli amministratori o il consiglio di gestione, e nel caso di loro
inerzia il collegio sindacale ovvero il consiglio di sorveglianza, devono senza indugio convocare
l'assemblea per gli opportuni provvedimenti. All'assemblea deve essere sottoposta una relazione
sulla situazione patrimoniale della società, con le osservazioni del collegio sindacale o del comitato
per il controllo sulla gestione. La relazione e le osservazioni devono restare depositate in copia nella
sede della società durante gli otto giorni che precedono l'assemblea, perché i soci possano prenderne
visione. Nell'assemblea gli amministratori devono dare conto dei fatti di rilievo avvenuti dopo la
redazione della relazione.[II].Se entro l'esercizio successivo la perdita non risulta diminuita a meno
di un terzo, l'assemblea ordinaria o il consiglio di sorveglianza che approva il bilancio di tale
esercizio deve ridurre il capitale in proporzione delle perdite accertate. In mancanza gli
amministratori e i sindaci o il consiglio di sorveglianza devono chiedere al tribunale che venga
disposta la riduzione del capitale in ragione delle perdite risultanti dal bilancio. Il tribunale
provvede, sentito il pubblico ministero, con decreto soggetto a reclamo, che deve essere iscritto nel
registro delle imprese a cura degli amministratori.[III].Nel caso in cui le azioni emesse dalla società
siano senza valore nominale, lo statuto, una sua modificazione ovvero una deliberazione adottata
con le maggioranze previste per l'assemblea straordinaria possono prevedere che la riduzione del
capitale di cui al precedente comma sia deliberata dal consiglio di amministrazione. Si applica in tal
caso l'articolo 2436.
Sommario:1. Riduzione facoltativa. Giurisprudenza consolidata- 2.Perdita rilevante. Giurisprudenza di
legittimità consolidata.- 3.Conteggio utili di periodo. Giurisprudenza di legittimità e maggioritaria. –4.
Relazione sulla situazione patrimoniale. Natura. Giurisprudenza di legittimità maggioritaria.- –4.1. Relazione
sulla situazione patrimoniale. Natura. Giurisprudenza di legittimità minoritaria.- 5. Relazione sulla situazione
patrimoniale.
Stato
di
aggiornamento.
Giurisprudenza
di
legittimità.-6.
Convocazione
dell’assemblea.Giurisprudenza di legittimità-7.Opportuni provvedimenti.Giurisprudenza di merito – 8. Resti e
arrotondamenti in misura inferiore alle perdite con rinvio a nuovo della parte residua. Giurisprudenza di
legittimità.-8.1. Resti e arrotondamenti in misura superiore alle perdite senza applicazione dell’art. 2445 c.c..
Giurisprudenza di merito prevalente.
1.Riduzione
facoltativa.
Giurisprudenza
consolidata.- La riduzione facoltativa del capitale
sociale per perdite inferiori al terzo è
un'operazione destinata per sua stessa natura ad
incidere sull'assetto sociale, e quindi ad interferire
nella sfera soggettiva dei soci, in particolare sul
loro diritto alla distribuzione degli utili, nonché a
spiegare influenza sui diritti dei terzi, e
segnatamente dei creditori sociali, le cui ragioni
sono garantite proprio dal capitale sociale; essa
non è contemplata specificamente nè dall'art. 2445
c.c., che si riferisce alla diversa ipotesi di
esuberanza del capitale, nè dagli art. 2446 e 2447,
che prevedono la riduzione obbligatoria per
perdite, ma deve ugualmente attuarsi secondo un
modello predefinito che offra adeguate garanzie di
protezione ad entrambe le predette categorie di
soggetti; nel silenzio del legislatore, la sua
disciplina dev'essere ricavata, ai sensi dell'art. 12,
comma 2, disp. prel. c.c., dai principi generali
desumibili dall'art. 2446, con gli adattamenti resi
necessari dalla discrezionalità dell'operazione,
connessa alla minore entità della perdita: ne
consegue che l'amministratore, mentre non è
tenuto a convocare senza indugio l'assemblea,
deve rendere edotti i soci dell'effettivo stato
patrimoniale della società, mediante una
situazione patrimoniale riferita ad una data
prossima a quella dell'adunanza; tale situazione
patrimoniale può essere surrogata anche
dall'ultimo bilancio di esercizio, purché sia
rispettata quell'esigenza di continuità temporale,
rispetto alla data di convocazione dell'assemblea,
che garantisce un'idonea informazione dei soci, e
non siano nel frattempo sopravvenuti fatti
significativi.
Cass.civ.,sez.I,12febbraio2006,Riv.Not. 2006, 4, 1
071, anche in Giur. comm. 2008, 5, 963.
7968/1344
È consentita una riduzione di capitale in presenza
di differenze negative di esercizio inferiori al
terzo del capitale nominale soltanto limitatamente
all'ammontare che nell'ultimo bilancio approvato
(o nella situazione patrimoniale approvata allo
scopo) non risulti assorbito da altre voci del
patrimonio netto.
Trib milano,27 marzo 1996,Not., 1997, 215.
7968/1344
2.Perdita
rilevante.
Giurisprudenza
di
legittimità consolidata. La disponibilità delle
società in caso di perdite devono essere intaccate
secondo un ordine che tenga conto del grado di
facilità con cui la società potrebbe deliberarne la
destinazione ai soci; pertanto devono essere
utilizzate, nell’ordine, prima le riserve facoltative,
poi quelle statutarie, indi quella legale e da ultimo
il capitale. Si tratta di una modalità inderogabile,
tant’è che non si potrebbe neppure parlare
correttamente di perdite se non nella misura in cui
queste ultime eccedano l’ammontare delle riserve.
La violazione di tale modalità, strumentale alla
tutela, non solo dell’interesse dei soci ma anche
dei terzi, comporta la nullità della delibera di
riduzione del capitale sociale assunta sulla base di
una determinazione delle perdite al lordo delle
riserve.
Cass. civ., sez. I, 2 aprile 2007, n. 8221, Vita not.,
1, 2008, 135 conforme Cass. civ., sez. I, 6
novembre 1999, n. 12347, Not., 1, 2001, 22.
3.Conteggio utili di periodo. Giurisprudenza di
legittimità
e
maggioritaria.Nella
determinazione dell'entità complessiva delle
perdite sulla quale l'assemblea è chiamata a
provvedere, si deve tener conto anche degli
eventuali risultati positivi di periodo (cd. utili di
periodo) manifestatisi nella frazione di esercizio
successiva all'ultimo bilancio.
Cassazione
civ.,
sez.
I,
23marzo2004,Riv. Not., 2004, 1254. Conformi:
App. Milano, 6 febbraio 1996, Soc., 1997, 663;
Trib. Napoli, 27 aprile 2000, Not., 2000, 560;
contra App. Napoli, 13 giugno 2000, Not., 2000,
561.
7968/1344
4.Relazione sulla situazione patrimoniale.
Natura.
Giurisprudenza
di
legittimità
maggioritaria.
La
relazione
degli
amministratori sulla situazione patrimoniale della
società prevista dagli art. 2446 e 2447 c.c., avendo
lo scopo di informare dettagliatamente i soci sulla
reale situazione patrimoniale, in modo tale da
consentire
all'assemblea
di
deliberare
consapevolmente, ove ne ricorrano i presupposti, i
provvedimenti
previsti
nelle
richiamate
disposizioni, deve essere redatta con i criteri
sostanzialmente uguali a quelli prescritti per il
bilancio di esercizio.
Cassazione
civile,
sez.
I,
05maggio1995,n. 4923,Giust. civ. 1995, I,2038.
Conformi: Cass. civ., sez. I, 2 aprile 2007, n.
8221, Vita not., 1, 2008, 135; Cass. civ., sez. I, 17
novembre 2005, n. 23269, Giust. civ.
Mass. 2005, 11; Cass. civ., sez. I 07 marzo 1992,
n. 2764, Vita not., 1993, 344.
7968/1344
4.1.Relazione sulla situazione patrimoniale.
Natura.
Giurisprudenza
di
legittimità
minoritaria.- In caso di riduzione per perdite del
capitale di una società per azioni, gli
amministratori devono sottoporre all'assemblea di
cui agli art. 2446 e 2447 c.c. la sola relazione
patrimoniale - sia pure avente i requisiti di
dettaglio, chiarezza e precisione necessari per
informare i soci sulla reale situazione patrimoniale
e porre l'assemblea in grado di deliberare i
provvedimenti opportuni per evitare lo
scioglimento della società (art. 2448 c.c.) - e non
in bilancio in senso tecnico, nè il conto dei profitti
e delle perdite, richiesto dall'art. 2423 c.c. (nel
testo precedente al decreto legislativo del 9 aprile
1991 n. 127) in relazione all'intero esercizio
annuale. Il giudizio sull'adeguatezza, in concreto,
della relazione patrimoniale con riferimento ai
suddetti requisiti costituisce un apprezzamento di
fatto, rimesso al giudice di merito.
Cass. civ.,
sez. I,
04 maggio 1994,
n. 4326, Soc. 1994, 1355.
7968/1344
5.Relazione sulla situazione patrimoniale. Stato
di
aggiornamento.
Giurisprudenza
di
legittimità.- In tema di società, le regole dettate
dagli art. 2446 e 2447 c.c., prevedenti, ai fini della
riduzione del capitale sociale, le modalità con cui
le disponibilità della società possono essere
intaccate e la necessità del previo deposito della
situazione
patrimoniale
aggiornata,
sono
strumentali alla tutela, non solo dell'interesse dei
soci, ma anche dei terzi; è pertanto nulla la
delibera di azzeramento e di reintegrazione del
capitale sociale che sia stata adottata in base ad
una situazione patrimoniale della società non
aggiornata, e assunta sulla base di una
determinazione delle perdite al lordo delle riserve.
(Enunciando il principio di cui in massima, in un
caso nel quale la delibera era stata adottata in base
all'ultimo bilancio, redatto un anno prima, senza
che risultasse se fosse stata o meno depositata la
relazione sulla situazione patrimoniale, la Corte,
cassando con rinvio la sentenza impugnata, ha
precisato che il grado di aggiornamento della
situazione va valutato in relazione a ciascun caso
concreto, e che detta situazione patrimoniale può,
eventualmente, essere anche surrogata dall'ultimo
bilancio di esercizio, purché questo sia riferibile
ad una data recente rispetto a quella di
convocazione dell'assemblea, sempre che "medio
tempore"
non
siano
sopravvenuti
fatti
significativi).
Cass.civ.,sez.I,02aprile2007,n. 8221, Giust. civ.
Mass. 2007, 4. Conforme: Cass. civ., sez. I
17
novembre
2005, n.
23269 ,Giust.civ.,Mass. 2005, 11
7968/1344
In tema di riduzione del capitale sociale per
perdite, la norma dell'art. 2446 c.c. - che prevede
l'obbligo per gli amministratori di sottoporre senza
indugio all'assemblea una relazione sulla
situazione patrimoniale della società, con le
osservazioni del collegio sindacale, nonché il
deposito di tali atti nella sede della società per gli
otto giorni antecedenti l'assemblea - trova la sua
"ratio" nel principio secondo cui l'assemblea, ai
fini di una regolare formazione della volontà
sociale, in una materia che attiene alla vita stessa
della società, deve essere dettagliatamente ed
adeguatamente informata sulla reale situazione
patrimoniale della società. Discende da ciò che la
relazione - in cui va esposta la situazione
patrimoniale della società con i crismi di
chiarezza, correttezza e veridicità imposti per il
bilancio di esercizio dagli art. 2423 ss. c.c. - deve
essere il più possibile aggiornata; e, non avendo il
legislatore inteso fissare uno specifico termine al
riguardo, il grado di aggiornamento richiesto deve
di volta in volta essere valutato in relazione a
ciascun caso concreto, tenendo conto almeno di
due possibili varianti: la dimensione della società
e la conseguente complessità dei rilevamenti
contabili che la riguardano, da un lato; l'esistenza
di eventuali fatti sopravvenuti idonei a far
fondatamente supporre che la situazione
patrimoniale, rispetto alla data di riferimento della
relazione degli amministratori, possa essere
mutata nel frattempo in modo significativo,
dall'altro. Siffatte valutazioni sono rimesse al
giudice di merito, e sono suscettibili di sindacato
in sede di legittimità solo per vizio di
motivazione, ai sensi dell'art. 360, comma 1 n. 5,
c.p.c.
Cass.Civ,sez.I,17novembre2005,Giust.
civ.
Mass2005,11.
7968/1344
6.Convocazione
dell’assemblea.
Giurisprudenza di legittimità. Non sussiste un
termine decadenziale oltre il quale all'assemblea, a
ciò convocata, sia precluso di deliberare a norma
dell'art. 2447 c.c. Il mancato rispetto della
sollecitudine che l'art. 2447 c.c. impone agli
amministratori per la convocazione dell'assemblea
(senza indugio), potrà essere causa di loro
responsabilità, ma non preclude all'assemblea, che
non può autonomamente convocarsi in mancanza
di iniziativa degli organi a ciò deputati, di
emettere, con effetto ex tunc, le delibere di
ripianamento delle perdite in modo da ricostituire
il capitale quanto meno al limite legale, come
nella
specie
è
avvenuto.
Cass.civ., sez.I,29ottobre1994,n.8928,Soc. 1995,
359 anche in Giust. civ. 1995, I,1895; in Vita
not., 1995, 333, 869 e in Riv. dir. comm. 1995, II,
109. 7968/1344
7.Opportuni provvedimenti. Giurisprudenza di
merito-Non è omologabile la
delibera
assembleare di riduzione del capitale per perdite
adottata sulla base di un bilancio di esercizio - pur
riferito a data ragionevolmente prossima a quella
dell'assemblea - che non risulta essere stato
previamente approvato dall'assemblea ordinaria.
TribunaleCassino,16luglio1993, Soc. 1994, 125
conforme
App.
Milano,
2
febbraio
1999,Giur.it.1999,1667.
7968/1344
In ogni caso la riduzione del capitale sociale per
perdite è necessario che le stesse siano
integralmente ed effettivamente ripianate, sicché il
rinvio della copertura di parte di esse non può
ritenersi ammissibile.
TribunaleNapoli,10
dicembre
1998,
Foro napoletano 1999, 50 conforme: Tribunale
Cassino, 9 giugno 1993, Soc. 1993, 1375.
7968/1344
È inammissibile procedere ad un aumento del
capitale senza averlo preventivamente ridotto in
misura corrispondente alle perdite: ciò a
salvaguardia delle esigenze di informazione
sottese alla disciplina di cui agli art. 2446 e 2447
c.c. e nell'interesse stesso dei soci ai fini della
futura determinazione dell'utile disponibile.
Cort appello Trieste,13 maggio 1993,Soc.
1993, 1075 conforme Trib. Verona, 22 novembre
1988, Soc. 1989, 288 contra Trib. Roma, 10
settembre 1984, Soc. 1985, 606.
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8.Resti e arrotondamenti in misura
inferiore alle perdite con rinvio a nuovo
della parte residua. Giurisprudenza di
legittimità. - Ai sensi dell'art. 2446 c.c.,
l'assemblea è tenuta a deliberare la riduzione del
capitale per perdite in proporzione delle perdite
accertate: e ciò sia nel senso che non può ritenersi
consentita una riduzione che superi l'ammontare
di queste, potendosi altrimenti risolvere la
riduzione in un'indebita espropriazione dei soci,
privati del valore delle azioni corrispondenti al
capitale residuo; sia nel senso che la riduzione non
può essere commisurata soltanto ad una frazione
delle perdite, giacché ciò ne consentirebbe il
trascinamento nel tempo ben oltre il limite
temporale dell'esercizio successivo, espressamente
indicato dalla menzionata disposizione del codice.
Tale principio, peraltro, è suscettibile di limitata
deroga nel caso in cui, occorrendo anche
procedere al raggruppamento o al frazionamento
di azioni, l'applicazione rigorosa della regola di
riduzione del capitale in proporzione delle perdite
farebbe emergere resti non suscettibili di
attribuzione. Pertanto, deve ritenersi consentito il
riporto a nuovo delle azioni, nei limiti in cui sia
imposto dall'esigenza contabile di assicurare la
parità di valore nominale delle azioni medesime, e
purché sia circoscritto a quanto indispensabile per
il soddisfacimento di tale esigenza.
Cass.Civ,sez.I,17novembre2005,Giust.
Mass2005,11.
7968/1344
civ.
8.1.Resti e arrotondamenti in misura superiore
alle perdite senza applicazione dell’art. 2445
c.c.. Giurisprudenza di merito prevalente. Non può essere omologata la deliberazione di
riduzione del capitale per un ammontare
eccedente l'importo delle perdite accertate, anche
se il maggior importo risponde all'esigenza di
procedere ad arrotondamenti.
Trib.Catania,2 dicembre 1993, Soc. 1994, 661
conforme Trib. Cassino , 9 giugno 1993, Soc.
1994, 1374. Contra Trib. Alba, 23 luglio 1997,
Giur. Comm., 98, II, 235.
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2447. Riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale.[I]. Se, per la perdita di oltre un
terzo del capitale, questo si riduce al disotto del minimo stabilito dall'articolo 2327, gli
amministratori o il consiglio di gestione e, in caso di loro inerzia, il consiglio di sorveglianza
devono senza indugio convocare l'assemblea per deliberare la riduzione del capitale ed il
contemporaneo aumento del medesimo ad una cifra non inferiore al detto minimo, o la
trasformazione della società
Sommario:1.Disciplina applicabile. Giurisprudenza consolidata- 2.Ripianamento delle perdite senza operare sul
capitale. Giurisprudenza maggioritaria.- 2.1. Altre modalità per ripianare le perdite.Giurisprudenza di legittimità3.Rapporti con lo scioglimento della società. Giurisprudenza maggioritaria. –3.1.-Rapporti con lo scioglimento della
società. Giurisprudenza minoritaria- 4.Perdita integrale del capitale. Giurisprudenza maggioritaria.- 5. Aumento del
capitale sociale a una cifra non inferiore al minimo legale. Non essenzialità della sottoscrizione in sede assembleare.
Giurisprudenza di legittimità.-5.1.Aumento del capitale sociale a una cifra non inferiore al minimo legale. Essenzialità
della sottoscrizione in sede assembleare.Giurisprudenzadimerito.-6. Esclusione o limitazione del diritto d’opzione con
delibera a maggioranza. Inammissibilità.Primoorientamento.-6.1. Esclusione o limitazione del diritto d’opzione con
delibera
a
maggioranza.
Inammissibilità.Secondoorientamento7.-Trasformazione.
1.Disciplina
applicabile.
Giurisprudenza
consolidata.- Essendo la situazione di cui all'art.
2447 nient'altro che un'ipotesi qualificata di
riduzione del capitale per perdite rispetto a quella
di cui all'art. 2446, la violazione degli obblighi di
attivazione degli amministratori ex art. 2447. (è)
anch'essa ricompresa nell'ambito della norma
incriminatrice, da leggersi (senza fare ricorso ad
estensioni analogiche, non consentite in materia
penale) come riferita, per necessità logiche e
sistematiche, tanto all'art. 2446 quanto all'art.
2447.
Trib. Pinerolo,04 febbraio 1999,Giur. comm.
1999, II, 401. Conforme Trib. Udine, 5 febbraio
1996, Dir. Fall., 1996, II, 761.
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2.Ripianamento delle perdite senza operare sul
capitale.Giurisprudenza maggioritaria.- È
legittimo provvedere alla copertura delle perdite
mediante versamento diretto dei soci nelle casse
sociali.
App.Roma,21gennaio1999,Giur.it.1999,1239.Con
forme Trib. Genova, 12 febbraio 2002, Soc.,
2003, 616; Trib. Genova, 18 marzo 1991, Soc.,
1991, 1384. Contra Trib. Roma, 14 luglio 1998,
Soc., 1999, 338.
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2.1. Altre modalità di ripianare le perdite.
Giurisprudenza di legittimità - In caso di
azzeramento del capitale sociale per perdite e di
sua ricostituzione, è da ritenersi legittima la
fissazione per le azioni di nuova emissione,
offerte in opzione ai soci, di un sovrapprezzo
destinato a coprire le perdite per la parte
eccedente il capitale interamente distrutto, in
quanto corrispondente all'interesse sociale (il cui
apprezzamento spetta all'assemblea dei soci) e non
tale da comportare una limitazione vietata del
diritto diopzione.
Cass.civ.,sez.I,07marzo1992,n.2764,Giur. comm.
1994, II, 588.
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La deliberazione di azzerare il capitale a parziale
copertura perdite; aumentarlo in misura pari alla
residua perdita con obblighi di versare i 3/10 alla
sottoscrizione (e versamento del residuo nei
termini
e
modalità
a
stabilirsi
dall'amministratore); nuovamente azzerarlo a
definitiva copertura perdite e ricostituirlo
all'originaria misura con obbligo di versarne i 3/10
alla sottoscrizione; costituisce soluzione tecnica
per il ripianamento di perdite superiori al capitale
che non viola il disposto dell'art. 2447 c.c. ed è
pertanto omologabile.
App.Potenza,03febbraio1998,Riv. Not. 1998,
322.Conf. App. Trieste, 27 aprile 1993,
Soc.,1993,
1351.
3.1.Rapporti con lo scioglimento della società.
Giurisprudenza di merito .- In tema di
scioglimento delle società di capitali la nuova
articolata disciplina regola puntualmente la
fattispecie nel rispetto dell'autonomia della
società, riservando all'assemblea dei soci ogni
determinazione in ordine alla prosecuzione, anche
ed eventualmente sotto altra forma, dell'attività
sociale, o al l'estinzione della società, che
comunque, non consegue ipso iure al riscontro di
una causa di scioglimento, avendo l'assemblea
straordinaria il potere di rimuoverla.
App.Bari,sez.fer.,06 settembre 2006,Giur. merito
2007,4,1016.Conf. Trib. Napoli, 1 ottobre 1998,
Soc., 1999, 346; Trib. Cassino, 4 novembre 1991,
Giur. It., 1993, I,2,154; Trib. Milano, 3 marzo
1988,Soc.,1988,618.
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3.Rapporti con lo scioglimento della società.
Giurisprudenza di legittimità ante riforma.- In
presenza di perdita del capitale sociale si deve
ritenere già verificato lo scioglimento della società
- ed il conseguente divieto per gli amministratori
di compiere nuove operazioni - salva l'adozione
da parte dell'assemblea di una delle deliberazioni
consentite dal codice civile come alternative alla
liquidazione.
Cass.civ.,sez.I,17settembre1997,n.9252,Nuova
giur. civ. comm. 1998, I, 915.
Nell'ipotesi prevista dall'art. 2448 n. 4 c.c.
(riduzione del capitale al di sotto del minimo
legale), lo scioglimento della società si produce
automaticamente ed immediatamente, salvo il
verificarsi della condizione risolutiva costituita
dalla reintegrazione del capitale o della
trasformazione della società ai sensi dell'art. 2447
c.c., da deliberarsi, peraltro, con le maggioranze
richieste dagli art. 2368 e 2369 c.c. per le
modificazioni dell'atto costitutivo, cui detti
provvedimenti danno sostanzialmente luogo e non
già all'unanimità, come necessario per la
deliberazione di revoca dello scioglimento, in
quanto, con il verificarsi dell'anzidetta condizione,
risolutiva, vengono meno ex tunc lo scioglimento
della società e il diritto del socio alla liquidazione
della quota.
Cass.civ.,sez.I,29
ottobre
1994,n.
8928,
,Giust. civ. Mass. 1994, 1309.
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4.Perdita integrale del capitale. Disciplina
applicabile.Giurisprudenza maggioritaria. - È
legittima e rientra nell'ipotesi prevista dall’art.
2447 c.c. la deliberazione di riduzione a zero e
contestuale aumento del capitale che era sceso al
di sotto del limite legale.
Trib.Bologna,22 giugno 1999, Giur. comm. 2001,
II, 99. Conformi Trib. Grosseto, 13 ottobre 2001,
Soc., 2002, 482; Trib. Bologna, 22 giugno 1999,
Giur.Comm.,2001,II,99.;App.Roma,21gennaio199
9,Giur.it.1999,1239.
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L'art. 2447 c.c. è applicabile anche quando le
perdite siano tali da ridurre a zero o, addirittura, a
cifra negativa il capitale sociale; in ipotesi siffatta,
ai fini della riduzione a zero del capitale e della
sua contestuale reintegrazione, non è necessaria
una delibera dell'assemblea adottata con il
consenso unanime di tutti i soci, essendo
sufficiente la maggioranza prevista per le
deliberazioni dell'assemblea straordinaria.
TribunaleNapoli,10dicembre1998,Foro nap. 1999,
50.
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5. Aumento del capitale sociale a una cifra non
inferiore al minimo legale. Non essenzialità
della sottoscrizione in sede assembleare.
Giurisprudenza di legittimità .- È valida la
delibera, che a seguito di riduzione integrale del
capitale sociale per perdite, decida l'azzeramento
ed il contemporaneo aumento, anche ad una cifra
superiore al minimo, del capitale sociale,
mediante la sottoscrizione immediata e per intero
del socio presente, purché sia consentito, ai soci
assenti o impossibilitati alla sottoscrizione
immediata, l'esercizio del diritto di opzione nel
termine di trenta giorni stabilito nell'art. 2441,
comma 2, c.c. previgente per l'acquisto delle
partecipazioni sottoscritte in misura eccedente la
quota di spettanza dell'originario sottoscrittore, dal
momento che l'esercizio postumo del diritto di
opzione opera come condizione risolutiva e
rimuove "pro quota" e retroattivamente gli effetti
dell'originaria sottoscrizione.
Cass.civ.,sez.I,12luglio2007,n.15614,Foroit. 2008,
5, 1569.Conforme Cass.civ., sez. I, 17 novembre
2005, n. 23262, Riv. not. 2007, 402; Cass. civ.,
sez. I, 17 novembre 2005, n. 23262, Riv. not.,
2007,402.
nuova emissione, il diritto d'opzione dei soci, la
relativa decisione non può ritenersi inscindibile e
così interamente nulla per illiceità dell'oggetto,
sotto il profilo che essa si tradurrebbe in una
soppressione od espropriazione dello status dei
soci, atteso che la deliberazione attinente
all'annullamento ed al ripristino del capitale
sociale, integrando un atto necessitato per evitare
lo scioglimento della società e tutelare gli interessi
dei terzi (art. 2327, 2447 e 2448 c.c.), deve essere
autonomamente considerata, e quindi riconosciuta
valida in presenza delle prescritte maggioranze,
mentre la contestuale ma distinta deliberazione
negativa o limitativa del diritto d'opzione in
mancanza dei requisiti fissati dall'art. 2441,
comma 5, c.c., ivi inclusa la ricorrenza di un
interesse della società che la giustifichi, nonché
l'approvazione con la maggioranza fissata dalla
norma medesima o dall'atto costitutivo va ritenuta
giuridicamente inesistente.
Cass.civ.,sez.I,13 gennaio 1987,n. 133,Giur. it.
1987, I,1,1764.Conforme Trib. Como, 5 febbraio
1992, Soc., 1992,697.
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5.1. Aumento del capitale sociale a una cifra
non inferiore al minimo legale. Non essenzialità
della sottoscrizione in sede assembleare.
Giurisprudenza di merito. - La riduzione del
capitale sociale al di sotto del minimo legale ed il
suo azzeramento non danno luogo allo
scioglimento della società qualora l'assemblea dei
soci, preso atto dell'integrale erosione del capitale,
abbia provveduto all'immediato versamento delle
somme occorrenti ad eliminare le perdite ed a
ricostruire al contempo il capitale sociale,
sottoscrivendo l'aumento ed eseguendo il
versamento di almeno i tre decimi.
6.1.Esclusione o limitazione del diritto
d’opzione con delibera a maggioranza.
Inammissibilità.
Secondo
orientamento.Affinché, ai sensi dell'art. 2441 c.c., sia consentito
sacrificare il diritto di opzione attribuito al socio,
non è necessario che tale sacrificio costituisca
l'unico inderogabile mezzo per realizzare
l'interesse della società, ma è sufficiente che, in
presenza di un interesse di particolare natura ed
intensità, nella scelta del modo di realizzare
l'aumento di capitale la predetta soluzione appaia
preferibile e ragionevolmente più conveniente.
L'accertamento circa la sussistenza dell'interesse
anzidetto e l'opportunità della soluzione adottata è
rimesso al giudice del merito ed è incensurabile in
sede di legittimità, se sorretto da motivazione
adeguata ed immune da vizi logici ed errori
giuridici.
Cass.civ.,sez.I,28giugno1980,n. 4089,Banca borsa
tit. cred. 1982, II,38.
Trib.Napoli,1ottobre1998,Soc.,1999,346; anche in
Riv. dir. Comm,. 1999, II, 129 e in
Riv.Not.,1999,1295.Conforme Trib. Rimini, 14
ottobre 2002, Giur. It., 2003, 1647; Trib. Roma 16
giugno 1998, Foro it., 199, I,3040; Trib. Udine, 25
gennaio
1994,
Soc.,
1994,
531.
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6.Esclusione o limitazione del diritto d’opzione
con delibera a maggioranza. Inammissibilità.
Primo orientamento.-Qualora l'assemblea di una
società per azioni, verificatasi l'integrale perdita
del capitale, ne stabilisca l'azzeramento, con
annullamento delle azioni in circolazione ed
estinzione delle riserve, e la contestuale
ricostituzione, escludendo altresì, per le azioni di
7.Trasformazione.- E’ omologabile la delibera di
trasformazione in società di persone adottata da
società di capitali nel caso di riduzione a zero del
capitale per perdite, poiché nella vita delle società
di persone non ha alcun rilievo la perdita totale
del capitale.
Trib.Verona,11marzo1999,Soc., 1999, 1102.
Conforme Trib. Alba, 22 aprile 1998, Soc., 1998,
948.
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