Compendio pratico a uso del traduttore letterario dall’inglese PREMESSA In queste poche pagine ho cercato di riassumere, nel modo più semplice, sintetico e concreto che mi è riuscito, alcune delle cose che ho imparato dalla mia esperienza di lavoro come traduttore letterario dall’inglese. Quando parliamo di “tradurre”, riassumiamo in questo termine quattro operazioni diverse: - capire che cosa significa quel che c’è scritto nel testo originale (è il mestiere del lettore) - scegliere come rendere in italiano quel che si capisce (è il mestiere dell’interprete) - scrivere quel che si sceglie di rendere (è il mestiere dello scrittore) - dare a quel che si scrive una veste redazionale appropriata (è il mestiere del redattore). Poiché molti errori, problemi, incertezze e ansie derivano, secondo la mia esperienza, dal confondere fra loro queste diverse operazioni, da molti anni suddivido il mio lavoro in fasi ben distinte, separando innanzitutto la comprensione dalla resa, articolando poi la resa in una fase di scrittura e una successiva di revisione di quel che ho scritto, e articolando a propria volta la revisione in una fase di controllo incrociato fra originale e testo italiano e in una successiva di rilettura finale della traduzione rivista. Ne deriva la seguente organizzazione concettuale del lavoro: traduzione = comprensione & resa = scrittura & revisione = confronto fra originale e traduzione & rilettura Ognuna di queste fasi presenta problemi specifici e richiede strumenti specifici, che vedremo nelle pagine seguenti, ma tutte pongono il traduttore letterario di fronte a un medesimo problema, quello del senso: che senso ha quel che c’è scritto nel testo originale? che senso ha quel che scrivo nella mia traduzione in italiano? Il testo letterario si distingue da tutti gli altri testi perché trabocca di senso, perché il suo senso non può essere ridotto all’aspetto denotativo, esplicito e superficiale. Perciò il traduttore farebbe bene a non cercare mai di rendere in italiano qualcosa di cui non ha capito il senso, o peggio ancora scrivere qualcosa di cui non capisce il senso (può sembrare strano, ma in realtà abbiamo molto spesso la tentazione di farlo). La qualità della traduzione si valuta infatti innanzitutto con questo criterio: quanta parte della ricchezza di senso dell’originale è passata nel testo tradotto? Presenterò ora, una per una, le diverse fasi del lavoro, illustrando il metodo con cui io le affronto ed evidenziando, a titolo esemplificativo, alcuni problemi specifici di ciascuna fase. COMPRENSIONE Obiettivo: capire quel che c’è scritto nel testo originale nei suoi aspetti: - grammaticali: come sono costruite le frasi? quale funzione svolge ogni singola parola? - denotativi: che cosa significano letteralmente le parole e le locuzioni presenti? - connotativi: quali sono i sottintesi? le allusioni? le risonanze? le accentuazioni? - stilistici: qual è il registro? quale il ritmo? quali le figure retoriche usate? - strutturali: quale funzione svolge ogni parola e frase in rapporto al testo nel suo complesso? - intertestuali: quali eventuali risonanze esterne al testo porta con sé una parola o una frase? - extratestuali: quali riferimenti a luoghi, avvenimenti, personaggi, opere ci sono nel testo? Presupposto: esercitare l’attenzione concentrandosi sulla realtà del testo e non sul nostro immaginario Metodo: - lavorare sull’originale leggendo un paragrafo per volta - fare la “cartografia del testo”, cioè segnare sul testo e ricostruire in schemi adatti allo scopo le coordinate spazio-temporali e il sistema dei personaggi - individuare e approfondire i riferimenti a persone, luoghi, opere, avvenimenti storici, prodotti, cibi, abiti o altri elementi di portata extratestuale citati nel testo - cercare sui dizionari le parole e le locuzioni che non si comprendono - leggere, guardare, ascoltare tutto ciò che può aiutare a entrare in una relazione profonda col testo Strumenti: - dizionari monolingue inglesi (Collins, Merriam-Webster, Oxford o altri) - risorse lessicografiche online (ad esempio: Collins English Dictionary www.collinsdictionary.com Dictionary.com http://dictionary.reference.com/ Omnilexica www.omnilexica.com Onelook www.onelook.com Open Dictionary of English http://www.learnthat.org/dictionary) - enciclopedie (ad esempio quelle raccolte in Encyclopedia.com www.encyclopedia.com) - dizionari idiomatici e glossari (ad esempio quelli raccolti in Biblit http://www.biblit.it/dizionari_glossari.htm) - dizionari di falsi amici (ad esempio Virginia Browne, Elena Mendes e Gabriele Natali, More and More False Friends Bugs & Bugbears, Zanichelli) - atlanti e mappe PROBLEMI DI COMPRENSIONE: LE AMBIGUITÀ Considerata la facilità con cui oggi possiamo reperire le informazioni, gran parte degli errori di comprensione derivano o da una ricerca non sufficientemente attenta e approfondita oppure da ambiguità presenti nel testo originale, di carattere sintattico o lessicale. Fornisco qui di seguito alcuni esempi di ambiguità tipiche dell’inglese (rimandando, per quanto riguarda i false friends, che sono un tipo particolare di ambiguità, al dizionario Zanichelli citato nella pagina precedente). - alcune ambiguità morfologiche: singolare/plurale: news, woods, you ecc. (inoltre in inglese, a differenza che in italiano, anche i nomi propri possono avere una forma plurale, e non vanno confusi con nomi con terminazione in -s: es. the Herzes = “gli Herz”) maschile/femminile: baby, cat, child, companion, cousin, dog, friend, kid, lover, mate, nurse, operator, secretary ecc. (in inglese anche il genere dei nomi propri risulta spesso meno esplicito, mentre in italiano ci si trova solitamente costretti a doverlo esplicitare) presente/passato: cut, let, must ecc. pertinenza degli aggettivi: dal momento che di solito in inglese gli aggettivi precedono il sostantivo, quando un aggettivo precede più sostantivi può essere difficile capire se si riferisce a tutti quanti o solo al primo (es. he wore black trousers and boots potrebbe significare sia “indossava pantaloni e stivali neri” sia “indossava pantaloni neri e stivali”) date: va tenuto presente che nell’uso britannico il numero del giorno precede quello del mese, come in italiano, mentre nell’uso americano il numero del mese precede quello del giorno - alcune ambiguità semantiche lessicali: accident (incidente/episodio) child (bambino/ragazzo/figlio) after (con valore temporale / con valore spaziale) cold (freddo/raffreddore) apparently (a quanto pare / solo in apparenza) concrete (concreto / di calcestruzzo) bar (bar/banco/sbarra) consequence (conseguenza/importanza) bathrobe (accappatoio/vestaglia) conviction (condanna/convinzione) bed (letto/aiuola) to cry (piangere/gridare) before (davanti/prima) cuff (polsino / risvolto dei pantaloni) beside (accanto/vicino/oltre) ’d (contrazione di had / did / would / should) bishop (vescovo/alfiere) dear (caro / mio dio!) blue (blu/azzurro) dinner (pranzo/cena) booth (séparé/cabina/guardiola) dirt (terra/sporco) bottle (bottiglia/flacone /biberon) door (porta/portiera/sportello) boy (bambino/ragazzo), girl (bambina/ragazza) dresser (comò/credenza) buck (cervo/daino) drug (medicina/droga) buffalo (bufalo/bisonte) engineer (ingegnere/macchinista) cafeteria (self service / mensa) first floor (primo piano / piano terra) to call (chiamare / passare a trovare) flight (volo/fuga) camera (macchina fotografica / videocamera) frosted (gelato/smerigliato) candy (caramella / zucchero filato) funny (buffo/strano) carpet (tappeto/moquette) gallantry (ardimento/galanteria) cartoon (fumetto / cartone animato) garage (autorimessa / autofficina / stazione di servizio) chair (sedia/poltrona) garden (giardino/orto) to check (controllare/bloccare) gay (allegro/omosessuale) glass (bicchiere/vetro/specchio) plush (felpato/suntuoso) gun (pistola/fucile/cannone) possibly (forse/assolutamente) gymnasium (palestra/ginnasio) present (presente/regalo) habit (abitudine/abbigliamento) public school (uk: scuola privata / usa: scuola pubblica) hopeful (speranzoso/promettente) pupil (pupilla/allievo) hot (caldo/sexy/fervente) quiet (tranquillo/silenzioso) joke (barzelletta/scherzo) resignation (dimissioni/rassegnazione) jumper (scamiciato/maglione) robe (vestaglia/accappatoio) kerchief (foulard/fazzoletto) rock (pietra/masso/sasso/roccia/scoglio) kite (aquilone/nibbio) rug (tappeto/plaid) late (ex/defunto) sage (salvia/artemisia) leggings (fuseaux/ghette) second floor (piano superiore / secondo piano) light (luce/semaforo) school (scuola/università) mad (matto/arrabbiato) sickness (malattia/nausea/vomito) moment (momento/importanza) shorts (calzoncini/mutande) night (sera/notte) sling(shot) (fionda/catapulta) obstetrician (medico ostetrico / levatrice) sly (furtivo/d’intesa) office (ufficio/studio/redazione) stranger (sconosciuto/estraneo/straniero) officer (ufficiale/funzionario/agente) suspicious (sospettoso/sospetto) outrage (sdegno/atrocità) theater, theatre (teatro/cinema) pants (pantaloni/mutande) tracks (tracce/binari) pearl (perla/madreperla) underwear (biancheria intima / mutande) pepper (pepe/peperone) why (avverbio interrogativo / interiezione) picture (quadro/ritratto/fotografia/film) window (finestra/vetrina/finestrino) RESA Obiettivo: scrivere una versione italiana che - abbia lo stesso significato del testo originale - riproduca il più possibile gli aspetti formali dell’originale - sia corretta in italiano Presupposto: ascoltare con pazienza la voce dell’originale, senza aver fretta di far risuonare la nostra Metodo: - leggere dal testo originale una frase per volta, poi renderla in italiano - sforzarsi di prendere coscienza dello stile dell’autore, analizzando come è costruito il testo, annotando i giri di frase ricorrenti e ascoltando con attenzione la voce che parla nel testo - cercare di essere fedeli all’originale, in modo il più possibile letterale ma evitando i calchi (che di fatto sono infedeltà), allo scopo di entrare in un rapporto il più intimo possibile con il testo - a livello sintattico, attenersi alla struttura della frase originale, a meno che ci sia un fondato motivo per non farlo, senza preoccuparsi se i periodi che scriviamo ci sembrano sul momento troppo lunghi o complessi o “strani”, purché in italiano siano corretti - a livello lessicale, rendere ogni parola inglese sempre con la stessa parola italiana, a meno che ci sia un fondato motivo per non farlo, senza pretendere di evitare ripetizioni presenti nel testo originale, e usando senza timore anche termini che non appartengono al nostro idioletto - nel caso in cui non si riesca a rendere una parola o una frase in modo soddisfacente, passare oltre appuntandosi una soluzione provvisoria e segnalandone in qualche modo il carattere temporaneo (grassetto, sottolineatura, colore, punti interrogativi, ecc.) Strumenti: - dizionari inglese-italiano (Hazon Garzanti, Macchi Sansoni, Oxford Paravia, Picchi Hoepli o Ragazzini Zanichelli) - dizionari analogici o combinatori della lingua italiana (ad esempio Donata Feroldi e Elena Dal Pra, Dizionario analogico della lingua italiana, Zanichelli, o Vincenzo Lo Cascio, Dizionario combinatorio compatto italiano, John Benjamins Publishing Company) - dizionari idiomatici inglese-italiano (Monica Harvey Slowikowska e Anna Ravano, Wow. The World on Words. Grande dizionario inglese italiano di parole e di frasi idiomatiche colloquiali e gergali, Zanichelli) - glossari ed enciclopedie inglese-italiano (Wikipedia inglese / Wikipedia italiana e altri siti) - repertori di fraseologia inglese-italiano (ad esempio: Bab.la http://it.bab.la/dizionario/ Linguee http://www.linguee.it/italiano-inglese/search?source=auto&query MyMemory http://mymemory.translated.net/ Reverso Context http://context.reverso.net) PROBLEMI DI RESA: LE DIFFORMITÀ Quando il traduttore si dedica alla resa, la sua preoccupazione principale è quella di mantenersi il più possibile fedele al testo di partenza, evitando di allontanarsi senza motivo dalla lettera dell’originale, ma evitando anche di produrre calchi (che di fatto sono infedeltà). In alcuni casi le frasi inglesi possono essere tradotte alla lettera senza per questo creare dei calchi, tuttavia (considerate le tante difformità fra la lingua inglese e quella italiana) spesso non è così, e a quel punto ci si trova di fronte a un problema. Fornisco qui di seguito alcuni esempi di difformità. - alcune parole o locuzioni che in italiano non trovano esatta corrispondenza: agency (l’esercizio di una facoltà) aisle (lo spazio fra i sedili) back room / front room (stanza degli ospiti / soggiorno, salone) loose (di abito ampio, morbido e fluente) shallow (il contrario di profondo) siblings (fratelli e sorelle) to drive (andare in macchina) to happen to (darsi il caso che) to lock (chiudere a chiave) to pace (camminare avanti e indietro) to stab to death (uccidere a coltellate) to tend to (di solito...) to use to (un tempo...) whereabouts (il dove si trova qualcosa o qualcuno) - alcune parole diverse fra loro che in italiano tendono ad avere un unico traducente: beautiful, handsome, nice, pretty (bello) earth, ground, land, soil (terra) bright, clever, intelligent, smart (intelligente) disease, illness, sickness (malattia) that, which, who (che) can, may, to be able to (potere) must, shall, to have to (dovere) to call, to cry, to shout, to yell (gridare, urlare) to feel, to hear, to smell, to taste (sentire) to glide, to slide, to slip, to skid (scivolare) to say, to tell (dire) - il sistema dei verbi: past simple: può corrispondere a diversi tempi verbali italiani: passato remoto, imperfetto, passato prossimo, trapassato prossimo, trapassato remoto, presente storico progressive: può frequentemente essere reso in italiano con il presente (nel caso del present progressive) o con l’imperfetto (nel caso del past progressive) past perfect progressive: in italiano non ha alcuna corrispondenza, e può essere reso con giri di frase come “aver continuato a” e simili, oppure, in certi casi, con l’imperfetto o il congiuntivo (es. He had been hoping that the child would render him less culpable than he had been feeling since dinner: “Aveva continuato a sperare che la bambina l’avrebbe fatto sentire meno in colpa di quanto si sentisse da dopo la cena”) gerund: la forma in -ing può equivalere in italiano a un gerundio, a un participio presente o a un infinito, a seconda dei casi: quando un verbo in -ing è usato come soggetto può essere reso con un infinito oppure con un gerundio would: questo ausiliario modale può sia conferire al verbo un senso condizionale, e in questo caso va reso in italiano col condizionale, sia esprimere un’azione ricorrente, e in questo caso va reso con l’imperfetto (es. I would come to see you può essere tradotto sia con “Verrei a trovarti” sia con “Venivo a trovarti”) congiuntivo e condizionale: in inglese sono spesso difficilmente distinguibili dall’indicativo, ed è molto meno marcata anche la differenza fra congiuntivo/condizionale presente e congiuntivo/condizionale passato, mentre in italiano l’uso dei modi verbali è disciplinato da norme di consecutio temporum molto più articolate, che si devono rispettare - le indicazioni spaziotemporali e la focalizzazione narrativa: in inglese espressioni deittiche come this, here, next, ago vengono talvolta usate anche quando il punto di vista è esterno alla narrazione e non solo quando è interno, in italiano invece può essere necessario distinguere fra i due diversi regimi narrativi usando a seconda dei casi “questo” o “quello”, “qui” o “lì”, “prossimo” o “successivo”, “fa” o “prima” (es. I’m in Turin now, it’s cold here, and this is my home: “Io ora sono a Torino, e qui fa freddo, e questa è casa mia” / He was in Turin now, it was cold here, and this was his home: “Lui in quel momento era a Torino, e lì faceva freddo, e quella era casa sua”) - gli aggettivi possessivi: in inglese gli aggettivi possessivi si declinano in modo da esplicitare il genere del nome sottinteso dall’aggettivo (es. her book), mentre in italiano si declinano in modo da concordare con il sostantivo cui si accompagnano (es. “il suo libro”), perciò in italiano non si capisce se il nome sotteso dall’aggettivo è maschile o femminile, di conseguenza: talvolta può essere necessario esplicitare sostituendo l’aggettivo possessivo con un complemento di specificazione composto dalla preposizione “di” + pronome (es. her father/mother: suo padre / sua madre –> il padre di lei / la madre di lei) (es. she talked him about her father: lei gli parlò di suo padre (di lei o di lui?) –> lei gli parlò del proprio padre) talvolta l’aggettivo possessivo risulta superfluo e si può sostituire con un articolo determinativo (es. Mark broke his elbow: Mark si ruppe il gomito; Sara drives her car: Sara guida la macchina) - le descrizioni fisiche: in inglese spesso per descrivere una parte del corpo si usa il verbo to be retto dalla parte del corpo che si intende descrivere, mentre in italiano di solito si una il verbo avere e la parte del corpo funge da complemento oggetto (es. Martha’s hair was long: Martha aveva i capelli lunghi; Paul’s eyes were blue: Paul aveva gli occhi azzurri) - le indicazioni spaziali e i verbi di movimento: in inglese i verbi di movimento sono spesso seguiti da una proposizione e da un sostantivo che indica il luogo relativamente al quale il movimento viene compiuto, mentre in italiano talvolta queste indicazioni possono essere date per scontate e omesse (es. he looked round the kitchen = si guardò intorno; she got up from the chair = si alzò) - l’avverbio e la congiunzione interrogativa: in inglese l’avverbio interrogativo (why) e la congiunzione interrogativa (because) sono due parole diverse, mentre in italiano sono la stessa parola (“perché”), che serve a entrambi gli scopi (fare la domanda e dare la risposta), e questo a volte costringe, soprattutto nei costrutti indiretti, a prendere qualche provvedimento per evitare fraintendimenti (es. “mi chiedevo se ero ubriaco perché avevo bevuto troppo” può tradurre due frasi dal significato diverso: I wondered if I was drunk because I drank too much oppure I wondered if I was drunk why I drank too much: nel primo caso “avevo bevuto troppo” è il motivo per cui mi chiedevo “se ero ubriaco”, nel secondo caso “se ero ubriaco perché avevo bevuto troppo” è l’oggetto della mia domanda) - i pronomi di cortesia: in inglese non si usano forme allocutorie di cortesia (si usa sempre you), in italiano invece quando due personaggi si parlano fra loro bisogna scegliere fra tre possibili forme (“tu”, “lei” o “voi”) a seconda del tipo di rapporto che intercorre fra i personaggi, dell’età, del contesto sociale, del periodo storico e di altre considerazioni (è importante tenere traccia delle decisioni prese in merito per poi attenervisi in modo coerente e consapevole, fatta salva la possibilità di modificarle nel momento in cui si modificano le relazioni fra i personaggi) - i didascalici: in inglese i didascalici (–) sono più usati che in italiano, e talvolta, a seconda della funzione che svolgono, possono essere sostituiti da altri segni di punteggiatura (due punti, puntini di sospensione, punto e virgola, virgola, punto, parentesi), ma talvolta possono anche essere mantenuti, soprattutto quando servono a isolare degli incisi lunghi (per cui delle semplici virgole rischierebbero di creare confusione) oppure a marcare una pausa meno marcata dei puntini di sospensione ma più marcata di una virgola - il punto interrogativo: in inglese, quando una proposizione ha valore interrogativo, il verbo precede il soggetto, e questo può in certi casi rendere superfluo l’uso del punto interrogativo, mentre in italiano, se il punto interrogativo viene omesso, si rischia di creare un’ambiguità semantica, rendendo difficile capire che la proposizione va intesa come interrogativa (es. Is your wife home – may I speak – = “Sua moglie è in casa? Posso parlarle?”) - tradurre o non tradurre? spesso ci si trova in dubbio sulla necessità o meno di: tradurre determinate parole (esistono però alcuni casi in cui non sussistono dubbi, ad esempio i nomi geografici o di personaggi storici o di fantasia di cui esiste un equivalente in italiano (es. London: Londra; Christopher Colombus: Cristofero Colombo), oppure i nomi di luoghi, istituzioni o altro che nel testo originale sono in inglese ma che originariamente non lo sono (es. Place Babar in Andijian: piazza Babar ad Andijan; the Chinese People’s Liberation Army: l’Esercito Popolare di Liberazione cinese)) trasformare le misure in uso in Gran Bretagna o negli Stati Uniti (inch, foot, yard, mile; acre; ounce, pound; pint, quart, gallon; Fahrenheit, ecc., ma anche le taglie del vestiario o le espressioni come a dozen) con le misure in uso in Italia sostituire gli appellativi di cortesia inglesi (Mr, Mrs, Miss, Ms) con gli equivalenti italiani (signore, signora, signorina) adattare immagini o modi di dire cercando immagini o modi di dire più tipicamente italiani (talvolta può essere opportuno farlo, bisogna però tenere presente che un modo di dire ha sempre, oltre al senso denotativo (il significato che vuole trasmettere: es. the elephant in the living room indica un argomento che tutti cercano di ignorare, ma la cui presenza si fa sentire lo stesso), anche un senso connotativo (il sapore dell’immagine: es. the elephant in the living room ha un sapore ben diverso da “l’argomento che ci si sforza inutilmente di ignorare”)) INTERVENTI NELLA FASE DELLA RESA Le difformità fra le due lingue costringono il traduttore a eseguire una molteplicità di interventi, che possono essere grossolanamente raggruppati in quattro categorie: - aggiunte: poiché l’inglese tende a essere molto più sintetico dell’italiano, spesso risulta necessario aggiungere qualche parola (ad esempio gli articoli determinativi, che in italiano si usano anche per i nomi di regioni, nazioni, lingue, laghi ecc.) - eliminazioni: in inglese alcune parti del discorso sono indispensabili o comunque molto più usate, mentre in italiano bisogna valutarne volta per volta la necessità o meno (ad esempio il soggetto spesso si può omettere; l’aggettivo possessivo spesso può essere sottinteso oppure trasformato in una particella pronominale: es. I shook his hand: “gli ho stretto la mano”); inoltre in inglese si usano molto di più i verbi servili (to believe, to begin to, to can, to have to, to seem, to think, to want ecc.), i verbi di stato (to lie, to sit, to stand e altri) e anche alcuni aggettivi (ad esempio all), avverbi (ad esempio almost) e sostantivi (ad esempio man) che talvolta in italiano si possono omettere - sostituzioni: spesso il giro di frase più naturale per dire una determinata cosa in inglese è diverso da quello che si userebbe in italiano, e questo porta a modificare la struttura sintattica trasformando una parte del discorso in un’altra (ad esempio sostantivi in aggettivi, aggettivi in avverbi, verbi in sostantivi ecc.), oppure, ad esempio nel caso delle frasi fatte, a intervenire anche sull’aspetto semantico, sostituendo una parola con un’altra (es. to touch wood: “toccare ferro”) - spostamenti: l’ordine delle parole può essere modificato per diversi motivi: per ragioni di naturalezza, poiché, a differenza che in inglese, in italiano: i complementi di tempo e di luogo spesso compaiono al principio della frase (es. Henry suddenly drew his sword: “A un tratto Henry sguainò la sua spada”) gli aggettivi in funzione di attributo spesso seguono il sostantivo a cui si riferiscono (es. I wore my black coat: “Indossavo il mio cappotto nero”) i pronomi in funzione di complemento precedono il verbo in posizione proclitica (es. I watched her move off: “La guardai mentre si allontanava”) il soggetto talvolta può seguire il verbo (es. My blood jumped: “Mi si rimescolò il sangue”) per maggiore chiarezza: avvicinando fra loro un sostantivo e il pronome o l’avverbio che a esso si riferisce (es. He had stopped in Kashgar for a few days, where...: “Si era fermato per qualche giorno a Kashgar, dove...”) posticipando il soggetto dalla proposizione secondaria alla principale (es. When Sissy returned, she was alone: “Quando tornò, Sissy era sola”) anticipando il pronome come complemento oggetto e posticipando il sostantivo come soggetto: (es. When I met Sue she asked me to hold her glasses: “Quando la incontrai, Sue mi chiese di tenerle gli occhiali”) per questioni di connotazione, per far capire meglio il tono con cui la frase andrebbe pronunciata: (es. Who performs the operation, the surgeon or the student?: “L’operazione che la fa, il chirurgo o lo studente?”) REVISIONE Obiettivi: - rimediare alle sviste e alle dimenticanze - correggere gli errori di comprensione - correggere gli errori di resa, cioè i calchi e le infedeltà - intervenire sulla scrittura per calibrare il ritmo, rendere meno macchinosa la sintassi, trovare parole più appropriate, aggiustare il registro, verificare che l’uso dei tempi verbali funzioni - controllare la coerenza delle scelte compiute nella resa lessicale e sintattica - assicurarsi che il testo (soprattutto nei dialoghi) non presenti anacronismi (cioè parole che all’epoca in cui si svolge la storia non esistevano) Presupposto: avere l’umiltà di riconoscere i propri errori e saperne fare tesoro Metodo: - riprendere da capo la traduzione (una volta terminata, o anche, nel caso se ne senta il bisogno, una volta tradotte le prime pagine) - lavorare sia sul testo tradotto sia sul testo originale leggendo una frase per volta, prima in traduzione, poi in originale, poi di nuovo in traduzione, apportando le modifiche necessarie - verificare di conoscere con esattezza il significato di tutte le parole italiane usate, e che esse equivalgano davvero alle parole dell’originale - preparare un repertorio lessicale in cui riportare le parole più importanti e/o ricorrenti usate nel testo e segnare in quale modo si è scelto di tradurle - soffermarsi sugli errori compiuti e annotarseli, così da farne esperienza ed evitarli in futuro - decidere come comportarsi in caso di incongruenze o brutture presenti nel testo originale Strumenti: - dizionari monolingue italiani (ad esempio Tullio De Mauro, Grande dizionario italiano dell’uso, Utet) - dizionari italiano-inglese (la seconda parte dei dizionari bilingue Hazon Garzanti, Macchi Sansoni, Oxford Paravia, Picchi Hoepli o Ragazzini Zanichelli) - risorse lessicografiche italiane in rete (ad esempio il sito della Treccani www.treccani.it) - l’archivio delle proprie traduzioni (e dei propri errori) PROBLEMI DI SCRITTURA: I RUMORI Una traduzione letteraria è un testo letterario essa stessa. Non basta che riproduca in modo il più possibile fedele contenuto e forma del testo originario, deve anche poter essere letto con piacere. Da ciò derivano una serie di problemi che riguardano la scrittura italiana in sé, indipendentemente dal rapporto che essa intrattiene col testo originale. Nella fase della revisione si tratta dunque non solo di risolvere eventuali problemi residui legati alla comprensione e alla resa, ma anche di affrontare gli specifici problemi legati alla scrittura italiana. Fornisco qui di seguito alcuni esempi di ambiguità della lingua italiana che possono creare problemi di scrittura, cioè “rumori” che rischiano di rendere il nostro testo poco chiaro o cacofonico. - un’ambiguità morfologica: l’imperativo e l’indicativo: nei verbi regolari la forma dell’imperativo e quella della terza (nel caso della prima coniugazione) o seconda (nel caso delle altre) persona dell’indicativo presente sono identiche, e questo può creare ambiguità nella comprensione della frase che scriviamo (es. se traduco Mother, he’s eating his oat flakes con “Mamma, mangia i fiocchi d’avena”, questa frase può avere due significati diversi: “Mamma, devi mangiare i fiocchi d’avena” oppure “Mamma, lui (o lei) mangia i fiocchi d’avena”) (i verbi irregolari della prima coniugazione permettono di distinguere l’imperativo aggiungendo un apostrofo: da’, fa’, sta’, va’) - alcune ambiguità semantiche lessicali: “affettare” (fingere / fare a fette) “intrigante” (maneggione/interessante) “affezione” (affetto/patologia) “lessi” (ho letto / bolliti) “albero” (pianta / palo che sostiene una vela) “locali” (bar/indigeni) “aspirazione” (ambizione/inspirazione) “loro” (pronome personale / aggettivo possessivo) “assicurare” (garantire / stipulare un’assicurazione) “membro” (esponente/pene) “bacheca” (mobile espositivo / riquadro appeso) “modesto” (non ricco / non superbo) “bacino” (fianchi / conca / piccolo bacio) “motivo” (disegno/melodia/ragione) “base” (fondamento / quartier generale) “ometto” (piccolo uomo / tralascio) “bucato” (panni lavati / perforato) “pasticcio” (guaio / pietanza cotta al forno) “bufala” (femmina del bufalo / panzana) “pene” (sofferenze / membro maschile) “camino” (focolare / canna fumaria / comignolo) “perito” (esperto/morto) “capo” (testa/boss) “piantarla” (conficcarla/smetterla/abbandonarla) “cesso” (smetto/gabinetto) “piumino” (coperta imbottita / arnese per spolverare) “compressa” (schiacciata/pastiglia/garza) “rimpiangere” (ricordare con nostalgia / rammaricarsi) “condiscendente” (remissivo/altezzoso) “scartare” (togliere la carta / eliminare) “credenza” (convinzione/mobile) “scontato” (in saldo / appurato) “cucina” (stanza/fornello) “seccato” (stizzito/inaridito) “degli”, “dei”, “delle” (art. partitivo / prep. articolata) “seggio” (carica per cui si vota / luogo in cui si vota) “diligenza” (laboriosità/carrozza) “sette” (numero / plurale di setta) “feci” (ho fatto / escrementi) “sito” (luogo fisico / pagina internet) “gabinetto” (toilette/ufficio) “spiegare” (illustrare/distendere) “gentile” (cortese / non ebreo) “successo” (accaduto / buon risultato) “georgiano” (dell’epoca georgiana / della Georgia) “supposta” (presunta / medicina ad assunzione rettale) “impazienza” (desiderio/irritazione) “venti” (il doppio di dieci / il plurale di vento) “influenza” (potere / malattia delle vie respiratorie) “volto” (faccia / 1a p. indicativo presente di voltare) Quando si scrive in italiano è molto frequente che si creino assonanze o rime interne involontarie che rischiano di disturbare il lettore nella sua fruizione del testo. È dunque necessario tenere presenti possibili alternative che permettono di sostituire parole molto comuni e quindi facilmente inflazionate (ad esempio “altro”, “anche”, “che”, “come”, “di”, “fare”, “solo”, “tutto”) oppure parole che terminano con suffissi come “-zione” o “-mente”. Fornisco qui di seguito alcuni esempi. - alcune alternative all’uso di “fare”: - alcune altre alternative: fare attenzione –> stare attenti fare da mangiare –> preparare da mangiare fare fatica –> faticare fare il proprio dovere –> compiere il proprio dovere fare una domanda –> porre una domanda fare un errore –> commettere un errore fare un passo decisivo –> compiere un passo decisivo fare un sorriso –> rivolgere un sorriso altezza –> statura aspettando –> in attesa attimo –> momento –> istante attirare l’attenzione –> richiamare l’attenzione classe –> aula chiedere –> domandare davanti –> di fronte di legno, ferro, plastica ecc. –> in legno, ferro, plastica ecc. e poi –> poi faccia –> viso –> volto fare spallucce –> scrollare le spalle girarsi –> voltarsi macchina –> auto muro –> parete ora era –> adesso era passare –> trascorrere portacenere –> posacenere posto –> luogo quello –> ciò, tale reggiseno –> reggipetto restato –> rimasto rimanere –> restare scalino –> gradino scuotere la testa –> scrollare il capo sia... che... –> sia... sia... solo –> unico stesso –> medesimo succedere –> accadere tra –> fra vicino –> presso - alcune alternative agli avverbi in -mente: alternativamente –> a fasi alterne amichevolmente –> da amici apparentemente –> all’apparenza / a quanto pare casualmente –> guarda caso doppiamente –> due volte eccessivamente –> troppo emotivamente –> sul piano emotivo fortunatamente –> per fortuna gentilmente –> con delicatezza incessantemente –> senza sosta intenzionalmente –> a bella posta interamente –> per intero inutilmente –> senza esito lentamente –> piano naturalmente –> certo nuovamente –> di nuovo ovviamente –> certo precedentemente –> in precedenza raramente –> di rado relativamente –> abbastanza seriamente –> sul serio sicuramente –> di sicuro silenziosamente –> in silenzio solitamente –> di norma teoricamente –> in teoria ulteriormente –> ancor più ultimamente –> di recente velocemente –> in fretta PROBLEMI DI SCRITTURA: LE REGOLE GRAMMATICALI Fornisco qui alcuni esempi di regole che talvolta possono creare incertezze. - le concordanze: i sostantivi che in italiano dipendono da espressioni come “la maggior parte di”, “un centinaio di”, “una moltitudine di” ecc. vanno concordati al singolare, nonostante il senso sia plurale. - l’uso della congiunzione “finché”: a seconda che sia o meno seguito da “non”, “finché” significa due cose opposte (es. “resterò al mare finché farà freddo” significa che resterò al mare per tutto il tempo in cui farà freddo e me ne andrò quando comincerà a far caldo, mentre “resterò al mare finché non farà freddo” significa che resterò al mare per tutto il tempo in cui farà caldo e me ne andrò quando comincerà a far freddo) - l’uso della virgola: la virgola equivale a una pausa breve nella lettura (per questo può essere utile leggere la frase ad alta voce) e serve a rendere più chiara la struttura sintattica, ad esempio creando degli incisi (in questo caso la virgola deve precedere e seguire l’inciso) o allontanando elementi che non vanno collegati fra loro (es. in “La settimana dopo, Natale era ormai alle porte”, “dopo” è un aggettivo legato a “settimana”, e il soggetto di “era” è “Natale”; in “La settimana dopo Natale era ormai alle porte”, “dopo” è una preposizione legata a “Natale”, e il soggetto è “la settimana dopo Natale”) è invece necessario evitare di inserire virgole che allontanino fra loro elementi sintattici che vanno collegati fra loro (ad esempio fra il soggetto e il verbo, o fra i complementi e la proposizione a cui essi si riferiscono) per non ostacolare la comprensione della frase (es. nel periodo “Sebbene gli uiguri fossero orgogliosi del proprio retaggio turco, per il commercio, qualche compromesso andava fatto” l’ultima virgola rende difficile capire che “per il commercio” è un complemento di limitazione o di vantaggio legato alla proposizione principale “qualche compromesso andava fatto”) La sintassi italiana è dotata di una certa elasticità, che offre possibili alternative utili per rendere meno macchinose frasi che nuocciono al ritmo della scrittura, rendere più chiare frasi che rischiano di essere fraintese oppure evitare particelle che rischiano facilmente di inflazionarsi (ad esempio “che” o “come”). Ne fornisco due esempi. - la costruzione esplicita o implicita: molte proposizioni subordinate possono essere costruite in modo esplicito oppure implicito, senza che il significato cambi: nel caso della costruzione esplicita si usa un verbo al modo finito (e quindi si rende più facile individuarne il soggetto) retto da una congiunzione (spesso “che”), nel caso della costruzione implicita si usa un verbo al modo infinito (e quindi risulta più difficile individuare il soggetto, che deve perciò essere lo stesso della proposizione principale) ma non c’è bisogno di usare una congiunzione (es. “gli fecero sapere di dover partire l’indomani” (costruzione implicita) significa “gli fecero sapere che sarebbero dovuti partire l’indomani” (costruzione esplicita) e non “gli fecero sapere che sarebbe dovuto partire l’indomani”) - la posizione delle particelle pronominali: nel caso in cui un verbo con particella enclitica sia preceduto da un verbo servile, la particella enclitica può essere spostata sul verbo servile (es. “sapeva di dover averlo” –> “sapeva di doverlo avere”) oppure trasformata in una particella che preceda entrambi i verbi (es. “non posso crederci” –> “non ci posso credere”) RILETTURA Obiettivi: - correggere gli errori di scrittura: refusi, ripetizioni superflue (non quelle che servono alla comprensione del senso strutturale), ridondanze, cacofonie - migliorare lo stile modificando le frasi che risultano di difficile o sgradevole lettura - perfezionare l’uso della punteggiatura - uniformare le scelte redazionali compiute (grafie, corsivi, maiuscole, uso di virgolette e punteggiatura nei dialoghi, misure, sigle, parole lasciate in originale, ecc.) - ripulire il testo da scorrettezze grafiche (spazi superflui, virgolette girate al contrario, accenti sbagliati, imperativi senza troncamento e apostrofo, d eufoniche superflue, trattini brevi al posto dei didascalici e viceversa, a capi ignorati o inseriti arbitrariamente ecc.) Presupposto: avere l’“orecchio”, il sesto senso che ogni bravo traduttore possiede, e farne uso Metodo: - rileggere da capo la traduzione, un paragrafo alla volta, meglio se ad alta voce, procedendo con circospezione ma anche piuttosto spediti, a un ritmo di lettura simile a quello di chi leggerà il libro - controllare l’originale quando è necessario verificare qualcosa - tenere a disposizione il file dell’originale in modo da poter rintracciare rapidamente le diverse occorrenze di vocaboli e strutture sintattiche - usare il controllore ortografico del proprio programma di scrittura, aggiungendo via via al dizionario del computer le parole di cui si è verificata la correttezza ma che non vi sono presenti (compresi i nomi dei personaggi, dei luoghi ecc.) e disattivando la funzione di correzione automatica, che inevitabilmente finisce per produrre ulteriori refusi poi difficilmente intercettabili - cercare di cogliere stonature, campanelli d’allarme, segnali di quel che “ancora non va” - una volta terminata la rilettura, se necessario (cioè se si sono ancora introdotti molti cambiamenti) farne un’altra prima di consegnare la traduzione al committente Strumenti: - dizionari dei sinonimi e dei contrari (ad esempio Aldo Gabrielli, Dizionario dei sinonimi e dei contrari analogico e nomenclatore, Loescher, o Giuseppe Pittanò, Dizionario fraseologico delle parole equivalenti, analoghe e contrarie, Zanichelli) - grammatiche italiane (ad esempio Salvatore Battaglia e Vincenzo Pernicone, Grammatica italiana, Loescher, o Lorenzo Renzi, Grande grammatica italiana di consultazione, il Mulino, o Luca Serianni, Grammatica italiana, Garzanti) - guide all’uso della lingua italiana (ad esempio Aldo Gabrielli, Si dice o non si dice?, Hoepli, o Giuseppe Pittanò, Così si scrive (e si dice), Zanichelli) PROBLEMI DI REDAZIONE: LE NORME EDITORIALI Se un traduttore si attiene alle norme editoriale del committente risparmia al redattore un lavoro superfluo, cosa di cui il redattore gli sarà grato. Le norme editoriali possono variare, ma esistono alcune convenzioni largamente diffuse a cui può essere utile attenersi in ogni caso. Ne fornisco qualche esempio. - i corsivi: possono svolgere diverse funzioni: enfatizzare una parola, una locuzione o una frase su cui si desidera far cadere l’accento; indicare che una frase va considerata come il pensiero di un personaggio, o un ricordo, o una citazione, o un suono; indicare che una parola va considerata in quanto significante (ad esempio: “desinare significa mangiare”); indicare che un’espressione è utilizzata in quanto titolo di un’opera (o nome proprio di un’imbarcazione o simili); indicare che una parola non appartiene alla lingua italiana (in questo caso seguirà la morfologia della lingua d’origine) - le d eufoniche: tranne eccezioni, vanno usate fra vocali identiche (es. “ha tardato ad andare a scuola”, ma “ha tardato a uscire di casa”) - le maiuscole: in italiano vengono usate molto meno che in inglese, ad esempio in italiano, a differenza che in inglese, non si usano per i nomi di lingue (es. “l’uzbeco”) o di popoli (es. “gli han”), per i gradi militari (es. “il tenente Wilson”), per i titoli professionali o politici (es. “il presidente Obama”), per i nomi generici che accompagnano nomi propri (es. “il fiume Oxus”, “il lago Tanganika”, “piazza Babar”) - i trattini e le lineette: i trattini brevi (-) si usano solo per unire fra loro singole parole a formare una parola composta, e sono una cosa diversa dalle lineette o didascalici (–), che invece si usano come segno di punteggiatura (e in talune case editrici anche come equivalente delle virgolette nei dialoghi) - le virgolette: possono essere alte (“”) o basse («», anche dette caporali) e vanno usate secondo le norme in uso presso il committente (prestando attenzione al verso in cui sono girate) - tradurre o non tradurre: qualunque decisione si prenda in merito alla necessità o meno di tradurre o adattare gli appellativi (Mr., Mrs., Miss, Ms), le misure (di lunghezza, superficie, volume, peso, capacità, temperatura, taglia ecc.), i nomi propri, i soprannomi, i voti scolastici o altro, la decisione va mantenuta in modo coerente per tutto il testo CONCLUSIONI Quanto detto in queste pagine, a titolo puramente esemplificativo e in modo assolutamente non esaustivo, non va considerato come un ricettario di formule da applicare in modo meccanico, ma come un repertorio di problemi concreti in cui mi sono imbattuto nella mia esperienza di traduttore letterario e che mi hanno portato a escogitare determinate soluzioni valide in determinati casi. Per realizzare una buona traduzione non basta applicare delle formule, ma bisogna essere in grado di percepirne il ritmo, l’intonazione, la fluidità, trovando una voce che echeggi quella dell’originale e che nello stesso tempo sia in grado di parlare in modo autonomo al lettore italiano, e per far questo non esistono formule, ognuno deve affidarsi al proprio orecchio, al proprio gusto e alla propria sensibilità. Sarà bene coltivare le virtù della pazienza, dell’umiltà e dell’attenzione, poiché la maggior parte degli errori che commettiamo sono dovuti alla fretta, alla presunzione e alla distrazione. Spesso ci illudiamo di aver capito tutto quando non è così, e siamo troppo sicuri di conoscere alla perfezione il significato delle parole che troviamo nell’originale o che usiamo nella traduzione. È buona norma partire sempre dal presupposto che ci sia ancora qualcosa da capire, e quindi consultare i dizionari (sia quelli monolingue inglesi e italiani sia quelli inglese-italiano) il più spesso possibile. Sarà anche bene cercare di compiere ognuna delle innumerevoli operazioni mentali richieste dalla traduzione nel modo il più possibile consapevole, così da affrontare il disagio prodotto da una difficoltà (di comprensione, resa, scrittura o scelta redazionale) esplicitando a noi stessi il problema da cui tale disagio nasce, in modo da poter poi trovare una soluzione. Quasi sempre capire qual è il problema significa già essere in procinto di risolverlo. Per concludere, il gusto, la sensibilità, il talento forse non si possono insegnare, ma si possono coltivare, leggendo molto e riflettendo sul proprio lavoro e sui propri errori. A tal scopo può essere utile che ognuno vada aggiornando questo compendio in base all’esperienza che personalmente accumulerà nel corso del tempo.