Rischi Economici e Strategia Aziendale Come investire in tempi di crisi ? Nell’attuale periodo di profonda crisi dell’economia italiana ed europea, sicuramente la piu’ profonda ed estesa dalla fine della seconda guerra mondiale, si sta assistendo a un fenomeno contraddittorio. Da un lato c’e’ una profonda delusione nei confronti dell’ ”economia” in quanto scienza sociale e delle sue capacita’ di analizzare e anticipare gli eventi, dall’altro si fa sempre piu’ profonda la necessita’ e la volonta’ delle aziende di “leggere” gli andamenti dei mercati anche da un punto di vista “economico”. Le aziende hanno infatti dovuto fare i conti con l’impetuosita’ con cui la recessione ha influito sui livelli di domanda in pressoche’ tutti i settori e percepiscono come piu’ necessario anticiparne gli andamenti. Inoltre, con l’irrompere irruento sui mercati occidentali delle merci prodotte nei paesi emergenti, la fortissima concorrenza sui mercati nazionali obbliga inevitabilmente un numero sempre maggiore di aziende (soprattutto di dimensione media e medio-grande, ma anche relativamente piccole) ad esplorare nuovi mercati fuori dai confini nazionali. La prima domanda che numerose aziende si pongono non puo’ che essere ovvia: su quali mercati stranieri orientare gli investimenti ? Evidentemente, questa e’ una domanda che le imprese si fanno da sempre, anche se in questa fase con crescente ansia. Ma oggi a questa domanda si accompagna anche una sempre maggiore attenzione ad altre questioni: a quali rischi sistemici e quali rischi specifici e’ esposto un eventuale investimento? e quanto peseranno i rischi sistemici sui paesi di destinazione dell’investimento? E’ ancora fresco nella memoria il forte rallentamento delle prospettive economiche nel Nord-Africa. Per le aziende straniere che in quei paesi avevano investito, sia per produrre che per vendere le proprie merci, la “primavera araba” ha finito per rappresentare un boccone difficile da digerire in tempi brevi – pur presentando evidenti risvolti di crescita democratica e ritorni economici positivi nel medio-lungo termine. Molte di quelle aziende erano e sono italiane. Che fare ? rimanere o spostarsi in qualche altra parte del globo, magari un po’ meno turbolenta ? e quanto puo’ essere esposto questo mercato a eventi quali una crisi petrolifera, o il collasso dell’eurozona, o un forte rallentamento dell’economia cinese, il possibile crollo del dollaro, ecc.... ? Un approccio consolidato per rispondere a queste domande, utilizzato da decenni da molte grandi imprese e che si sta facendo sempre piu’ strada anche tra quelle di dimensione inferiore, e’ quello della valutazione di scenari alternativi (“what if ...? ”) ai fini della esplorazione dei rischi presenti nell’evoluzione recente dello scenario economico – in altre parole, questo approccio consente di valutare cosa succederebbe al sistema economico del paese dove si vuole investire o a un particolare mercato se si verificassero specifici eventi di rischio. Vediamo quindi (sia a titolo di esempio che per dare qualche piccolo contributo di riflessione ai nostri lettori) quali possono essere i rischi “economici” principali connessi alla attuale situazione economico/finanziaria, limitandoci per motivi di spazio ai principali rischi sistemici e ai paesi ed aree principali. In particolare, analizzeremo brevemente l’impatto sul PIL di tre dei rischi principali che possono alterare la previsione di base: a) un aumento significativo del prezzo del petrolio, associato ad un eventuale conflitto in Iran, b) il collasso dell’Euro, determinato da insufficiente coesione politica nel risolvere il problema dei deficit sovrani e dal conseguente crollo della fiducia degli investitori, c) un’ipotesi benigna di ripresa degli investimenti privati a livello globale, collegata all’attuale buon andamento dei profitti delle aziende, soprattutto, ma non solo, statunitensi. Per poter quantificare scenari del tipo “what if ? “ occorre avere a disposizione modelli econometrici (matematico-probabilistici). Gli scenari e le previsioni riportate qui sotto si basano su quelle di Oxford Economics, una delle maggiori societa’ di analisi e previsioni economiche globali. La sintesi numerica dell’impatto di questi eventi sul PIL delle principali aree (USA, Eurozona, Cina) e a livello globale, e’ riportata in tabella. Il primo passo e’ ovviamente quello di definire uno scenario di “base”, ossia la previsione con la piu’ alta probabilita’ di accadimento, che serva di “benchmark” per il confronto con gli scenari alternativi. Previsioni per l’economia globale (scenario di base) Mentre l’economia europea e soprattutto quella dei paesi periferici dell’area Euro arrancano, stiamo assistendo a trend di crescita globale decisamente incoraggianti in un buon numero di paesi, tra cui Stati Uniti, Regno Unito, Brasile e larga parte dell'Asia. Inoltre, le tensioni finanziarie si sono allentate in modo significativo dall'inizio dell'anno, in particolare nella zona euro. Questi miglioramenti possono essere ricondotti principalmente ai due round di ampia fornitura di liquidità da parte della BCE (operazioni di rifinanziamento del sistema bancario), che hanno ridotto significativamente il rischio di credit crunch (accesso al credito). Tuttavia, le prospettive economiche dell’intera Eurozona restano depresse. Il Pil dell'Eurozona si contrarrà dello 0,5% quest’anno per aumentare solo dello 0,9% nel 2013, con i paesi periferici (Italia inclusa) in recessione in entrambi gli anni. Fuori dalla zona euro, i trend di crescita sono stati moderatamente positivi nel primo trimestre 2012. Negli Stati Uniti, i dati sul mercato del lavoro hanno continuato a migliorare e il PIL si espandera’ del 2,3% nel 2012 e del 2,7% nel 2013. L’attivita’ economica e’ migliorata anche nel Regno Unito, nel Giappone e in alcuni paesi emergenti. Nel complesso, il PIL mondiale nel 2012 mostrera’ una crescita media del 2,4% quest'anno e del 3,3% nel 2013 (a tassi di cambio di mercato). Impennata del prezzo del petrolio Dall'inizio dell'anno il prezzo del petrolio è passato da 108 dollari a barile a 124 dollari e ancora una volta ha il potenziale di far deragliare l'economia globale. La previsione di base e’ basata su un prezzo del petrolio che scivoli verso medie intorno ai 112 dollari nel 2012 e ai 105 dollari nel 2013, in linea con la moderazione attesa della crescita dell’attivita’ economica. Esiste tuttavia una probabilita’ non insignificante che le tensioni con l'Iran degenerino, portando ad un conflitto militare. E’ molto probabile che l’amministrazione degli Stati Uniti si impegni a ritardare eventuali attacchi fino a dopo le elezioni presidenziali di novembre. Il nostro scenario alternativo presuppone che le tensioni si accumulino gia’ nella seconda metà dell'anno in corso, con i prezzi del petrolio in forte crescita fino a 200 dollari a barile. La fiducia degli investitori, delle imprese e dei consumatori ne risentirebbe negativamente, trascinando in basso i mercati azionari e ostacolando investimenti e consumi in misura molto superiore all’impatto diretto dell'aumento dei costi dovuto al piu’ alto prezzo del petrolio. Inoltre, mentre nella previsione di base un calo dell'inflazione nella maggior parte dei paesi contribuisce al recupero della crescita economica (tramite tassi di interesse piu’ bassi), in questo scenario l'inflazione salirebbe a livelli elevati e ridurrebbe significativamente la capacita’ di sostegno da parte della politica monetaria. Come si vede dalla tabella, tutti i paesi ne verrebbero influenzati negativamente, con un calo del PIL tra il 2% e il 3% tra il 2012 e il 2013 rispetto ai livelli dello scenario di base, variabile a seconda del fabbisogno di energia e della dipendenza di ciascun paese dalla piu’ debole domanda globale. E’ interessante notare che l’impatto piu’ rilevante nei due anni si avrebbe proprio negli USA, anche se di soli pochi punti percentuali rispetto alle altre aree. Collasso dell’Euro I miglioramenti registrati nell’andamento dei mercati finanziari dall'inizio dell'anno riducono la probabilità di uno scenario di frammentazione dell'Eurozona. Ad ogni modo, la ristrutturazione del debito greco potrebbe non essere sufficiente a stabilizzare la zona euro e rimane ipotizzabile uno scenario negativo che coinvolga, con effetto domino, più paesi inadempienti. In questo scenario estremo (di probabilita’ inferiore al 10%), la crisi del debito sovrano giunge al punto di rompere la zona euro, con Grecia, Portogallo, Irlanda, Italia e Spagna che lasciano la moneta comune e ri-creano nuove valute nazionali. Vari fattori potrebbero scatenare un tale scenario. In particolare, gli esami trimestrali da parte dell'UE e del FMI del progresso della Grecia nei confronti degli obiettivi di riforma e stabilizzazione fiscale potrebbero giungere alla conclusione che tali obiettivi non sono stati raggiunti, impedendo il rilascio della successiva tranche del piano di salvataggio - il che implicherebbe la bancarotta dello stato greco. Con la Grecia che esce dall’euro e in assenza di un rafforzamento del debole firewall FMI/ESM attualmente in essere, il contagio farebbe probabilmente in fretta a estendersi ad altri paesi periferici, che finirebbero per non avere altra scelta che lasciare la zona euro. In una optesi di questo tipo, anche ove l’esito finale di uscita dall’euro dovesse avvenire a inizio 2013, le tensioni sui mercati finanziari, ovviamente, inizierebbero ad accumularsi gia’ nella seconda metà di quest'anno, abbattendo la fiducia di investitori e imprese. Le nuove valute nazionali avrebbero un deprezzamento notevole, mentre il residuo di euro si apprezzerebbe notevolmente. Le banche subirebbero perdite pesanti nei loro bilanci (a causa del deprezzamento dei titoli sovrani e di quelli delle imprese nei paesi perifierici), causando una grave crisi del credito. Nei paesi in uscita dall’euro il PIL scenderebbe bruscamente, di circa il 7-8% al di sotto dello scenario di base nel 2012 e del 12-19% nel 2013 – dati impressionanti e che dovrebbero far seriamente riflettere anche sulle implicazioni di politica economica di casa nostra. Guardando i dati previsivi riportati in tabella, la zona euro rimarrebbe immersa in una profonda recessione nel 2012-13, con la caduta cumulata del PIL di oltre il 7% rispetto alla previsione di base. Anche in altre grandi economie sviluppate la crescita del Pil ne risentirebbe in maniera fortemente negativa, e la crescita rallenterebbe in modo significativo nei mercati emergenti. Di conseguenza, la crescita del PIL mondiale scenderebbe ad appena 0,1% nel 2013 rispetto al 4,2% nello scenario di riferimento, con drammatiche ricadute in termini di reddito pro-capite nelle vaste zone piu’ povere del pianeta. Risveglio delle imprese e degli investimenti Come anticipato, anche in questa situazione cosi’ complessa per l’economia europea e globale, esistono pero’ spiragli di ottimismo. Guardando infatti alle potenzialita’ di crescita, e’ importante sottolineare che i governi europei e piu’ in generale delle economie avanzate, stanno approntando, seppur con ritardo e poca coordinazione tra loro, dei piani credibili per far fronte alle problematiche fiscali e dell’indebitamento privato e bancario. Inoltre, un allentamento delle tensioni nei paesi produttori di petrolio permetterebbe di avere prezzi del greggio in calo. Questa combinazione puo’ incoraggiare le imprese ad investire e a potenziare la loro forza lavoro, attenuando così la pressione sul potere d'acquisto delle famiglie (sta gia’ avvenendo in Germania e parzialmente negli USA e nel Regno Unito). I paesi industrializzati si stanno quindi concretamente attrezzando per uscire dalla crisi, con ricadute benefiche sui mercati emergenti. Nei paesi sviluppati, il settore delle imprese ha costituito negli ultimi anni disponibilita’ finanziarie di grandi dimensioni (grazie ai profitti derivanti anche dalla loro diversificazione geografica in aree ad alta crescita). La ristrutturazione del sistema finanziario globale e la prospettiva di stabilita’ insita nelle recenti politiche di consolidamento fiscale possono indurre le imprese a spendere questi fondi più rapidamente rispetto alla previsione di base, oltre che a ridurre l’ammontare dei debiti (come sembra essere il caso attualmente). Questo puo’ aumentare la fiducia delle imprese residenti nelle economie industrializzate, portando ad una rapida ripresa della domanda. In questo scenario, Il PIL degli Stati Uniti crescerebbe di 2,8% nel 2012 per poi accelerare al 4,0-4,5% nel 2013 e nel 2014. La zona euro non riuscirebbe a evitare del tutto la recessione con -0,1% di crescita nel 2012, ma recupererebbe molto più rapidamente che nella previsione di base con una crescita dell’ 1,9% e 2,2% nel 2013 e 2014 rispettivamente. In conclusione, possiamo dire che, anche alla luce di considerazioni cosi’ semplificate come quelle riportate sopra, e allo stato attuale della situazione economica e dei potenziali rischi ad essa associati, non esiste una strategia di collocazione geografica preferenziale per le aziende (come invece poteva essere considerato il mercato europeo fino a pochi anni fa) – con l’avvento dei paesi emergenti, la scomparsa della sicurezza della solvibilita’ dei paesi avanzati e la globalizzazione dei mercati, la strategia aziendale degli investimenti si e’ fatta decisamente piu’ complessa. Sara’ importante che le istituzioni preposte a supportare le piccole e medie imprese (come ad esempio, Ministero Sviluppo Economico, ICE, SACE, ecc.) prendano coscienza della accresciuta importanza della loro missione. Emilio Rossi CEO, EconPartners srl Strategie di internazionalizzazione, dimensionamento dei mercati, analisi e previsioni economiche www.econpartners.it