n. 36 - settembre-dicembre 2011 n. 36 - settembre-dicembre 2011 Rivista quadrimestrale della FENIARCO Poste Italiane SpA – Spedizione in Abbonamento Postale – DL 353/2003 (conv. In L. 27/02/04 n. 46) art. 1, comma 1 NE/PN Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali ARTE, MUSICA E FEDE VALENTINO MISERACHS GOFFREDO PETRASSI NOVA ET VETERA ATTIVITà DELL’ASSOCIAZIONE VITALITà E PROGETTUALITà UN ARCOBALENO DI SUONI E COLORI Feniarco REPORTAGE DAI CONCORSI Il canto degli italiani la musica dell’italia unita Associazione Cori della Toscana Anno XII n. 36 - settembre-dicembre 2011 Rivista quadrimestrale della Fe.N.I.A.R.Co. Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali Presidente: Sante Fornasier Direttore responsabile: Sandro Bergamo Comitato di redazione: Efisio Blanc, Walter Marzilli, Giorgio Morandi, Puccio Pucci, Mauro Zuccante Segretario di redazione: Pier Filippo Rendina Hanno collaborato: Piero Monti, Patrizia Cuzzani, Andrea Natale, Maurizio Benedetti, Josep Solé Coll, Luca Bonavia, Franca Floris, Alvaro Vatri, Pierfranco Semeraro, Amedeo Finizio, Fabrizio Vestri, Giorgia Loreto, Carlo Pavese, Daniele Proni, Rossana Paliaga Redazione: via Altan 39 33078 San Vito al Tagliamento Pn tel. 0434 876724 - fax 0434 877554 [email protected] In copertina: Salerno Festival 2011 (foto 3D Foto Video) Progetto grafico e impaginazione: Interattiva, Spilimbergo Pn Stampa: Tipografia Menini, Spilimbergo Pn Associato all’Uspi Unione Stampa Periodica Italiana ISSN 2035-4851 Poste Italiane SpA – Spedizione in Abbonamento Postale – DL 353/2003 (conv. In L. 27/02/04 n. 46) art. 1, comma 1 NE/PN Abbonamento annuale: 25 € 5 abbonamenti: 100 € c.c.p. 11139599 Feniarco - Via Altan 39 33078 San Vito al Tagliamento Pn Editoriale L’anno appena trascorso ha visto celebrare, con una partecipazione sentita e, in queste dimensioni, inattesa, il 150° anniversario dell’Unità del nostro Paese. Anche la coralità è stata presente attivamente, con innumerevoli iniziative basate sul repertorio, ricco ma non abbastanza esplorato, delle musiche che hanno accompagnato il processo unitario. Choraliter non poteva mancare di offrire il proprio contributo e lo fa in quest’ultimo numero dell’anno, dedicando il proprio dossier alle musiche che hanno caratterizzato non solo il Risorgimento, ma anche altri momenti unificanti della nostra storia: la Grande Guerra, che completò il processo unitario e che ci ha lasciato un ricco patrimonio di canti entrati nel repertorio popolare, e la Resistenza, momento fondatore della storia repubblicana, anch’esso ricco di lasciti musicali. Sullo stesso tema anche l’allegato, che questa volta non è un cd, ma un dvd, selezionato dalla commissione di ascolto tra quanti pervenuti in risposta al bando. Questo 150° anniversario dell’Unità d’Italia vede il nostro paese in una grave crisi economica e politica. La convinzione che gli italiani possano farcela, trovando in se stessi le necessarie risorse, morali prima ancora che economiche, si accompagna anche alla consapevolezza che non potrà tornare tutto come prima. Nel grande, come nel piccolo, molte cose, date per scontate, si rivelano insostenibili. La nostra Federazione si è fin qui mantenuta agli stessi livelli degli anni precedenti, nonostante il triennio di restrizioni che abbiamo alle spalle: frutto di una attenta amministrazione delle risorse e di una credibilità presso le Istituzioni e gli Enti acquisita nel corso di anni di lavoro guidati da una chiara progettualità. Tuttavia, per non disperdere i risultati raggiunti, è necessario anche per il nostro mondo corale commisurare gli sforzi alle risorse disponibili, sia pure al prezzo di rinunce. In questo numero ne abbiamo un esempio: il dvd o il cd da allegare, ogni anno, alla rivista di dicembre verrà, d’ora in poi, inviato esclusivamente agli abbonati, mentre la copia omaggio ne sarà sprovvista. Non solo spero che i nostri lettori capiranno le ragioni di questa scelta, ma confido che sia uno stimolo a sottoscrivere l’abbonamento, la sola risorsa che può consentirci di mantenere il livello raggiunto. Tre anni fa, progettando di arricchire Choraliter nella forma come nei contenuti e di affiancarvi Italiacori.it, ci ponevamo l’obiettivo di cinquemila abbonamenti: ne siamo lontanissimi e vengono meno non solo le risorse, ma anche gli stimoli a continuare a offrire un servizio in mancanza di un riscontro che ne certifichi il gradimento. Nonostante le difficoltà economiche che colpiscono anche i coristi, le loro famiglie, le aziende in cui lavorano, in questi anni abbiamo visto costante la partecipazione ad appuntamenti come Alpe Adria Cantat, crescere quella al Festival di Primavera e nascere un evento come Salerno Festival, capace di mobilitare migliaia di persone: quasi che, di fronte alla crisi, sapessimo recuperare il valore autentico delle cose e investire sulla nostra formazione e sulla nostra cultura, più che sugli oggetti. Se i nostri lettori sapranno considerare sotto questa luce la loro rivista, sono convinto che potremo ancora, per molte altre volte, rinnovare gli auguri che, all’inizio del nuovo anno 2012, inviamo loro da queste pagine. Sandro Bergamo direttore responsabile 012 ebbraio 2 f 5 1 il o tr n e i n io iscriz ) t P ( e m r e T i n i t a c e t Mon Regione Toscana 18/21 aprile 2012 scuole medie Provincia di Pistoia Comune di Montecatini Terme 25/28 aprile 2012 scuole superiori Italiafestival www.feniarco.it n. 36 - settembre-dicembre 2011 Rivista quadrimestrale della FENIARCO Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali DossieR Il canto degli Italiani 2 Viva V.e.r.d.i. Viva Vittorio Emanuele Re Di Italia 7 Piero Monti IL MITO DELLA NAZIONE NEI CANTI ALPINI DELLA GRANDE GUERRA 40 alpe adria cantat Mauro Zuccante 11 MUSICA E RESISTENZA Patrizia Cuzzani 16 IL CANTO DEGLI ITALIANI Maurizio Benedetti Dossier compositore Valentino Miserachs Intervista a Valentino Miserachs Walter Marzilli 25 Un ponte tra il vecchio e il nuovo 2011 francese e inglese per i giovani direttori di coro Pierfranco Semeraro 43 IL PIù GRANDE CORO D’ITALIA 21 la felice fusione tra arte e fede Alvaro Vatri 42 Il repertorio contemporaneo Josep Solé Coll alla seconda edizione del Salerno Festival Amedeo Finizio 45 VITALITÀ E PROGETTUALITÀ DELLA FEDERAZIONE Attività dell’Associazione NAZIONALE Assemblea Feniarco in Valle d’Aosta Efisio Blanc 47 un altro passo importante verso Europa Cantat Torino 2012 Fabrizio Vestri 50 Cantare in un coro? Indubbiamente uno stile di vita! Giorgia Loreto 51 Il festival si avvicina… iscriviti anche tu! Nova et veterA 27 goffredo petrassi: Coro di morti Mauro Zuccante Carlo Pavese cronacA 52 Polifonico Daniele Proni 2011 57 UNA COLORATISSIMA SERIE MONDIALE DI CANTORI canto popolarE Giorgio Morandi 59 Lettera da Tallin Alvaro Vatri 60 UNA ITALIA IN VENTI MODI Sandro Bergamo 32 Arcaico e Archeologia musicale 61 PASSIONE BASCA 63 UN INVESTIMENTO SULLA CORALITÀ La vicenda di Annamarii, donna Walser Luca Bonavia portrait Intervista ad Antonio Sanna Franca Floris Rossana Paliaga INDICE 36 AFFASCINATO DALLA VOCE UMANA Rossana Paliaga 66 Notizie dalle regioni Rubriche 70 Discografia&Scaffale 73 Lettera al Direttore 74 Mondocoro dossIER VIVA V.E.R.D.I. Viva Vittorio Emanuele Re Di Italia italiana anche assistendo alle recite delle opere dei suoi connazionali. Convinto come era che in Italia «la musica ha patria, e la natura è un concerto, e l’armonia si insinua nell’anima colla prima canzone che le madri cantano nella culla dei figli»*, cercava di incitare i giovani compositori ad «adorare l’Arte siccome cosa santa, prefiggendole un alto intento sociale, ponendola a sacerdote di morale rigenerazione»*. Il compito sociale che egli auspicava per la musica, soddisfare e nutrire i nuovi sentimenti di libertà e unità nazionale che cominciavano a suggestionare gli italiani, era basato sulla convinzione che il melodramma era il dato identificativo del carattere degli italiani e quindi possibile collante di quella comunità che lui chiamava “patria” e stimolo alla costruzione di un processo unitario anche dal punto di vista politico. Non mancavano nemmeno esempi internazionali di valenza politica dell’evento operistico. Un ruolo preminente nella formazione del Regno del Belgio ad esempio è stato quello giocato dall’opera La Muette de Portici di Daniel Auber, programmata al Teatro La Monnaie di Bruxelles nell’agosto 1830, dapprima vietata dal re per il suo contenuto incitante alla rivolta (l’ambientazione è a Napoli al tempo dell’insurrezione di Masaniello contro gli spagnoli). Alla fine della rappresentazione di quest’opera, la sera del 25 agosto, infiammati dai versi del duetto del secondo atto: «Amour sacré de la patrie, / rends-nous l’audace et la fierté; / a mon pays je dois la vie; / il me devra sa liberté!» (Amore sacro della patria, / rendici l’audacia e la fierezza; / al mio paese devo la vita; / lui mi dovrà la sua libertà!) e del coro del finale terzo: «Courons à la vengeance! / Des armes, des flambeaux! / Et que notre vaillance / mette un terme à nos maux!» (Corriamo alla vendetta! / Delle armi, delle fiaccol! / E che il nostro coraggio / ponga fine ai nostri mali!) gli spettatori si riversarono in strada scatenando una rivolta che costituì la scintilla della rivoluzione che condusse poi all’indipendenza del Belgio. Mazzini vide per primo in Donizetti il potenziale musicista “progressista” capace con la sua musica eccitata e vibrante di seguire l’incalzare della storia. Di un’opera in particolare apprezzava la presenza di temi sociali, caratteristica alquanto inusuale per i libretti del tempo, la massiccia presenza del coro come popolo protagonista e non più come semplice spettatore, l’intreccio tra l’istanza sociale e l’orgoglio patriottico: Marin Faliero, del 1835, che narra del conflitto tra patrizi, che avevano portato Venezia alla rovina, e plebei, dipinti come gli unici in grado di risollevare le sorti della Repubblica. La prima scena si chiude col coro degli operai dell’Arsenale che, guidati da Isarele Bertucci, canta: «Son crudeli, son tiranni, / tigri nate ai nostri danni. / Quest’ingiuria è iniqua, atroce... / Vien, contiamla alla città. / Vieni, parla: alla tua voce / tutto il popol sorgerà». Al terzo atto Israele, condannato a morte, declamerà: «Siamo vili e fummo prodi / quando in Zara e quando in Rodi / sulle torri e sulle porte / del Leone i rei stendardi / …La vittoria 3 VIVA VITTORI di Piero Monti direttore del coro del maggio musicale fiorentino e commissario artistico feniarco Che questo famoso acrostico sia stato lo slogan delle insurrezioni popolari anti-austriache nel nord Italia durante il ’48, anno della prima guerra d’indipendenza, è solamente una bella leggenda. Certamente il grido risuonato alla Scala di Milano il 24 gennaio 1859 alla rappresentazione del Simon Boccanegra celava la convinzione diffusa che sia il monarca sabaudo che il musicista erano i catalizzatori dell’idea di unità nazionale. Pochi giorni prima (il 10 gennaio) nello stesso teatro il pubblico aveva provocato un terribile putiferio quando il coro di Druidi dell’opera Norma di Bellini intonò: «Guerra, guerra! Le galliche selve / Quante han quercie producon guerrier / …Sangue, sangue! Le galliche scuri / fino al tronco bagnate ne son! / …Strage, strage, sterminio, vendetta! / Già comincia, si compie, s’affretta. / …Tronchi i vanni, recisi gli artigli, / abbattuta ecco l’aquila al suol!». Tre mesi dopo questi due episodi, e precisamente il 26 aprile, ebbe inizio la seconda guerra d’indipendenza che permise il ricongiungimento della Lombardia al Regno di Sardegna e pose le basi per la costituzione del Regno d’Italia. Possono gli eventi teatrali aver alimentato il fermento, la voglia di riscossa, di libertà che covavano nell’animo della popolazione? Durante l’Ottocento in Italia la passione per il melodramma dominò incontrastata nel gusto del pubblico e nelle attività dei compositori, tanto che essi coltivarono quasi unicamente questo genere musicale. Per rendere un’idea di questo fenomeno si pensi che tra il 1821 e il 1847 furono eretti nella penisola novantasette nuovi teatri, sparsi in tutti gli Stati, in città grandi e piccole. Nel corso dell’anno 1846 gli allestimenti di otto opere di Verdi furono 152, 76 quelli di Bellini, 41 di Ricci e Pacini, 36 di Mercadante, 29 di Rossi e mi fermo a citare solo quelle più numerose: numeri impressionanti che rendono l’idea di quanto l’opera fosse un fenomeno culturale e sociale diffuso capillarmente in tutta Italia. Mazzini era consapevole della portata di questo fenomeno e dal suo esilio seguiva la vicenda illuminò! / …Sì alla morte ed alla gloria! / Un addio, e a morte andrò. / …Non tremate in faccia a morte, / disfidate i rei tiranni / e il furor d’avversa sorte», frase che fece scrivere a Mazzini «che dovrebbe fare arrossire chi l’ode»*. La scena si chiude poi con il coro che, seguendo a morte il proprio capo, intona «Il palco è a noi trionfo, / or v’ascendiam ridenti, / ma il sangue dei valenti / perduto non sarà». Son versi che si sedimentano nelle coscienze di chi le ascolta, vengono attualizzati, fatti propri e diventano quasi il motto di un fanatico credo: non stupisce perciò che questa frase sia stato l’ultimo canto dei Martiri di Belfiore giustiziati dagli austriaci nel 1852, o che i fratelli Bandiera, nel ’44 abbiano affrontato il plotone d’esecuzione citando – sostituendo con “patria” la parola “gloria” – i versi del coro dei guastatori della Donna Caritea di Mercadante: «Chi per la patria muor, / vissuto è assai»! Mazzini nel 1836 dedicò a un Ignoto Numini il trattato Filosofia della Musica, in cui auspicava l’avvento di un giovane musicista capace di rinnovare la musica italiana, caratterizzandola con un robusto senso della storia, la centralità del coro, individualità potenti, vocalità incandescente. Pochi anni dopo, nel 1842, venne rappresentata alla Scala il Nabucco che rappresentò l’inizio del grande successo di dossIER 4 Verdi; tutte le recite sollevarono un delirio di ovazioni e un entusiasmo a livello popolare anche per la lettura in chiave politica che fu data di molti passi del libretto. Il coro degli schiavi ebrei “Va’ pensiero” divenne famoso all’istante per la sua immediatezza musicale (melodia quasi sempre all’unisono, estensione contenuta in una decima) ma anche per la valenza risorgimentale che assunse. Allo stesso modo l’anno successivo Verdi ripeté il successo con I Lombardi alla prima Crociata; il coro “O Signore dal tetto natio” che intonano i guerrieri lombardi e i pellegrini assetati, che come una poesia di Giuseppe Giusti recita «tanti petti ha scossi e inebriati», era volutamente costruito sul modello musicale di “Va’ pensiero” e divenne un altro punto di riferimento del sentire risorgimentale. (I casi della vita: queste due opere, le prime a divenire emblemi di opere risorgimentali, erano state dedicate dall’autore alla figlia del viceré austriaco una e a Maria Luigia duchessa di Parma l’altra!) In quel periodo il mercato operistico continuò ad accentuare il tema patriottico perché gli editori lo richiedevano e, collaborando con i librettisti, veri segugi capaci di fiutare i gusti e le tendenze del pubblico e di adeguarvisi, riuscivano spesso a forzare o a dribblare la censura. Ecco allora che Verdi scuote ancora gli animi con il famoso coro di congiurati dell’Ernani: «Si ridesti il Leon di Castiglia / e d’Iberia ogni monte, ogni lito / eco formi al tremendo ruggito, / come un dì contro i Mori oppressor. / Siamo tutti una sola famiglia, / pugnerem colle braccia, co’ petti; / schiavi inulti più a lungo e negletti / non sarem finché vita abbia il cor. / …Sorga alfine radiante di gloria, / sorga un giorno a brillare su noi… / Sarà Iberia feconda d’eroi, / dal servaggio redenta sarà!»; alla Fenice di Venezia nel ’44 chi non avrà pensato agli austriaci come mori oppressori o di sostituire Italia a Iberia? E alle recite il pubblico cantava con il coro, aiutato anche in questo caso dalla immediatezza della linea melodica, tutta all’unisono. A Torino e Genova invece mutarono la frase «A Carlo Magno sia gloria e onor» in «A Carlo Alberto sia gloria e onor». Il movimento risorgimentale coinvolse donne di varia estrazione sociale e culturale nelle attività più disparate, da quelle assistenziali, sociali ed educative, a quelle dei salotti culturali, in militanza politica. Lo stesso Gioberti ammetteva che «la partecipazione delle donne alla causa nazionale è un fatto quasi nuovo in Italia» e riteneva questo un segno di raggiunta “maturità civile”. Ecco allora che nell’opera appaiono le donne guerriere che con passione e vigore incitano i propri uomini, figli, popolo a ribellarsi contro le ingiustizie, ma sempre animate da femminili sentimenti di passione e pietà. Nell’Attila verdiana del ’46 ritroviamo Odabella che già nella cavatina del prologo “Santo di Patria, indefinito amor!” seguita dall’aggressiva cabaletta “Da te questo or m’è concesso” si presenta in modo inequivocabile come eroina femminile animata sia dall’amore di patria che da quello familiare, esemplare illustrazione del canone di donna risorgimentale. Poco avanti il generale romano Ezio tenta un accordo con Attila dicendogli «Avrai tu l’universo, / resti l’Italia a me»; alla prima veneziana del 1846 il pubblico reagì Il melodramma era il dato identificativo del carattere degli italiani. immediatamente replicando «Resti l’Italia a noi!». Il 1847 ebbe la prima al teatro alla Pergola di Firenze il Macbeth su soggetto shakespeariano. Anche se il tema non è politico non mancano però le pagine apprezzate dai patrioti, come il famoso coro: «Patria oppressa! Il dolce nome / no, di madre aver non puoi…» o il finale della stessa scena: «La patria tradita / piangendo ne invita! / Fratelli! gli oppressi / corriamo a salvar» che fece scattare il pubblico in grida di consenso. Il 1848 fu anno in cui i compositori, sia perché coinvolti nell’entusiasmo generale sia perché i teatri erano chiusi a causa della guerra, composero numerosi inni popolari, marce per banda, canzoni tutte a sfondo patriottico; poco prima, nell’autunno ’47, Michele Novaro aveva musicato Il Canto degli Italiani del poeta ventenne Goffredo Mameli, quello che noi conosciamo come Fratelli d’Italia. Anche Verdi, su richiesta di Mazzini, compose un Inno militare di esplicito contenuto patriottico, per coro maschile a cappella, su versi sempre di Mameli: «Suona la tromba, ondeggiano / le insegne gialle e nere; / fuoco! per Dio sui barbari, / sulle vendute schiere. / Già ferve la battaglia, / al dio de’ forti osanna, / le bajonette in canna, / è l’ora del pugnar». Nelle lettera con cui mandava a Mazzini la composizione, Verdi scrisse: «Possa quest’inno fra la musica del cannone, essere presto cantato nelle pianure lombarde!» a testimonianza del suo impegno patriottico. Nel ’49 vide la luce La battaglia di Legnano, la più risorgimentale delle opere verdiane che l’editore Ricordi voleva piazzare in tutti i teatri della penisola; ma il lavoro ebbe facile successo solo nel libero clima della Repubblica romana dove debuttò al teatro Argentina sotto il triumvirato Mazzini, Armellini e Saffi, poiché quando gli austriaci ripresero possesso di Milano portarono al macero e distrussero numerose edizioni “sovversive” tra cui anche il materiale dell’opera che, per essere riproposto con l’approvazione della censura, dovette cambiare il titolo in La battaglia di Arlem e spostare l’ambientazione nelle Fiandre col Duca d’Alba al posto di Federico Barbarossa. Dopo gli echi significativi della Marsigliese nell’ouverture, il coro iniziale definisce immediatamente lo sfondo nazionale ed epico dell’opera: «Viva Italia! un sacro patto / tutti stringe i figli suoi: / esso alfin di tanti ha fatto / un sol popolo d’Eroi! / …Viva Italia forte ed una / colla spada e col pensier! / Questo suol che a noi fu cuna, / tomba sia dello stranier!» Mazzini che si augurava un ampliamento della funzione del 5 coro come «individualità collettiva»* non avrebbe potuto chiedere di più: almeno quattordici interventi corali costruiscono una prospettiva sociale, politica e familiare intersecata continuamente con i sentimenti individuali. Dimensione collettiva che Mazzini auspicava da più di un decennio, mettendo in rilievo come l’eccesso di individualità fosse la cifra identificativa del carattere italiano, e quindi anche della sua musica: «L’io v’è re, re despota e solo… La melodia italiana è lirica fino al delirio, appassionata fino all’ebbrezza, vulcanica come il terreno ove nacque, scintillante come il sole che splende su quel terreno»*. Una musica rigenerata per una nazione rigenerata avrebbe avuto quindi nel coro «la rappresentazione solenne ed intera dell’elemento popolare»*, un modo per correggere un difetto morale ed estetico della musica italiana «in sommo grado melodica»* e quindi individuale, frutto di una società incapace di un progetto comune. Il librettista dell’opera, Salvatore Cammarano, patriota, mosso dalla convinzione di dover avvicinarsi all’attualità, scrisse volutamente un libretto che, come disse a Verdi in una lettera, «dovrà scuotere ogni uomo che ha nel petto anima italiana»; e anche nelle scene intime, familiari, non rinunciò a inserire i credo della pedagogia patriottica. Quando Rolando partendo per la battaglia affida a Lida di vegliare sul figlioletto: «Digli ch’è sangue italico, / digli ch’è sangue mio, / che dei mortali è giudice / la terra no, ma Dio! / E dopo Dio la Patria / gli apprendi a rispettar» aveva ben presenti i valori di nazionalità attraverso il sangue, della religione come garante dell’amor di patria, la funzione della donna-madre-educatrice che trasmette i valori nazionali ai figli e rimane custode della stirpe. La sconfitta dei moti del ’48 ebbe purtroppo ripercussioni anche nel mondo dell’opera: la crisi economica e la guerra avevano provocato una forte riduzione delle sovvenzioni ai Il mercato operistico continuò ad accentuare il tema patriottico. teatri, con la conseguenza di ridurre il numero delle stagioni e degli spettacoli e di far fallire impresari piccoli e grandi. Crollò quindi il numero delle nuove opere perché non ci si potevano permettere fiaschi, la repressione e la censura divennero soffocanti, imponendo quindi la realizzazione di opere già esistenti e di carattere non rivoluzionario e selezionando gli autori e libretti. Una delle poche opere del periodo a carattere storiconazionale fu, sempre di Verdi, I Vespri siciliani o meglio Les Vespres siciliennes, scritta nel 1855 per l’Opéra di Parigi; qui però l’insurrezione viene dipinta non più come rivolta popolare ma come frutto della congiura di Giovanni da Procida, la cui figura fu interpretata come allusione a Mazzini: «O patria, o cara patria, alfin ti veggo! / L’esule ti saluta / dossIER 6 dopo sì lunga assenza; / […] O tu, Palermo, terra adorata, / …Alza la fronte tanto oltraggiata, / il tuo ripiglia - primier splendor! / Chiesi aita a straniere nazioni, / ramingai per castella e città: / …siciliani! ov’è il prisco valor? / Su, sorgete a vittoria, all’onor! / …Salvo sia l’amato suolo, poi contento io morirò!» Lo stile verdiano, cambiato in questa opera per accondiscendere il gusto francese del grand opéra, rispecchia il clima politico del momento che vede i piemontesi combattere in Crimea a fianco dei francesi e le simpatie di Napoleone III per le aspirazioni del Risorgimento italiano. Il programma del concerto alla Scala del 1859, alla presenza di Vittorio Emanuele II e Napoleone III, commemorativo della vittoria a Solferino e San Martino, a parte un inno composto appositamente da Paolo Giorza (rimasto famoso per essere l’autore del popolare La bella Gigogin) conteneva tutti brani di autori e da opere di successo consolidato ma composti al minimo dieci anni prima, segno evidente di quella scarsità di produzione musicale. Rimasero attivi invece i compositori di canzoni popolari e inni, in questo periodo impegnati soprattutto a celebrare le imprese garibaldine (il famoso Inno di Garibaldi «Si scopron le tombe, si levano i morti» è proprio del ’59). Le caratteristiche che il melodramma patriottico aveva esaltato, nel corso degli anni cinquanta si affievolirono: i cori ritornarono a muoversi nello sfondo, i soggetti ritornarono a trattare temi intimi, la storia era solo la cornice in cui si svolge la vicenda-tragedia privata, tornò in auge il genere di evasione per non provocare la reazione della censura. Nel 1861 era fatta l’Italia, ma restavano da fare gli italiani, come disse Massimo D’Azeglio! Il conte di Cavour era talmente convinto dell’importanza politica del teatro musicale da invitare Verdi al parlamento neounitario, affermando che la sua presenza avrebbe giovato alla costruzione dell’identità nazionale sotto gli auspici dell’opera. Scriveva infatti così al compositore il 10 gennaio 1861: «Ella contribuirà al decoro del parlamento dentro e fuori d’Italia, darà credito al gran partito nazionale che vuole costruire la nazione sulle solide basi della libertà e dell’ordine, ne imporrà ai nostri immaginosi colleghi della parte meridionale d’Italia, suscettibili di subire l’influenza del genio artistico più assai di noi abitatori della fredda valle del Po». Pensava dunque il Cavour che per mezzo dell’arte la difficile convivenza tra Nord e Sud avrebbe potuto divenire vera unione. Purtroppo la morte precoce dello statista aggravò le difficoltà della gestione politica, la lacerazione tra Nord e Sud divenne drammatica, la riduzione dei finanziamenti ai teatri da parte del nuovo Stato contribuì al declino del genere che più di tutti aveva costituito un patrimonio culturale unitario e unificante. Il melodramma, che in maniera così significativa aveva accompagnato, sostenuto e alimentato il movimento per l’unità nazionale, non riuscì a essere la colonna sonora anche della fase della costruzione post-unitaria. Resterà comunque un fenomeno che tanto ha influenzato la civiltà e la cultura italiana; ancora nel 1930 Antonio Gramsci scriveva nei Quaderni dal carcere: «La musica verdiana, o meglio i libretti e l’intreccio dei drammi musicati da Verdi, sono responsabili di tutta una serie di atteggiamenti di vita popolare, di modi di pensare, di uno “stile”». Nel 1861 era fatta l’Italia, ma restavano da fare gli italiani. * Giuseppe Mazzini, Filosofia della Musica, 1836 Bibliografia: A. Basso, Storia della musica, UTET S. Chiappini, O Patria mia, Le Lettere 7 IL MITO DELLA NAZIONE NEI CANTI ALPINI DELLA GRANDE GUERRA di Mauro Zuccante Si dice che il progetto storico dell’Unità d’Italia, formalmente compiutosi con la proclamazione dello Stato unitario nel 1861, si realizzò di fatto a posteriori, con gli avvenimenti legati al primo conflitto mondiale. Ciò non tanto perché vennero acquisiti territori considerati italiani («Trento e Trieste italiana sarà, e per terra e per mare Cecco Peppe ci puoi salutare»), ma piuttosto perché durante la campagna preparatoria, i tre anni e mezzo di azioni belliche e i decenni successivi, venne elaborato e condiviso un sistema di valori socio-culturali che sta alla base dell’idea di nazione italiana. «Abbiamo fatto l’Italia, ora dobbiamo fare gli italiani», pare fosse il motto di Massimo d’Azeglio. Ebbene, la Grande guerra ha iniziato a colmare la lacuna. Fascismo e civiltà dei consumi hanno poi definitivamente assimilato a un modello centralista l’intero paese, «che era così storicamente differenziato e ricco di culture originali» (P.P. Pasolini, Scritti corsari, Milano, 1975). L’enorme massa di giovani cantadini-soldati trasferita sul fronte del 1915-18 fu sottoposta a una cura di omologazione e asservimento al progetto dello Stato unitario, totale e incondizionata. Prendiamo ad esempio il fattore della lingua. Scrive Tullio De Mauro: «Attraverso l’incontro di popolazioni di vario dialetto, durante la guerra si profilò per la prima volta un livello linguistico popolare e unitario, ricco di regionalismi, ma non regionale: neologismi come cecchino e imboscato sono le tracce restate nel parlato corrente di tutte le classi; i canti di protesta, i diari di popolani, le lettere […], i frammenti di discorsi e le lettere di condannati al plotone di esecuzione che i tribunali speciali hanno salvato alla nostra memoria documentano il primo costituirsi dell’italiano popolare unitario» (T. De Mauro, Storia linguistica dell’Italia unita, Bari, 1963). Insomma, durante la Grande guerra si sperimentò con successo un piano pedagogico di larga scala, finalizzato a inculcare nelle ignare e inconsapevoli menti dei contadini-soldati, nuovi valori, nuovi modelli di vita sociale, ispirati all’idea di Stato unitario. Un programma che fu attuato attraverso forme di disciplina coercitiva, in un contesto già di per sé alienante, repressivo, traumatizzante e sanguinoso, quale fu quello di una guerra di massa infernale. Furono soprattutto le truppe coinvolte sul fronte del Carso a subire trattamenti forzati di indottrinamento patriottico, nelle forme più martellanti e autoritarie. Questo programma era giustificato dalla composizione stessa dei reparti di fanteria, i quali erano formati da soldati-contadini provenienti da aree geografiche lontane e diverse tra loro, per lo più analfabeti, che si esprimevano attraverso idiomi dialettali differenti, ma soprattutto scarsamente motivati alla causa della guerra e, pertanto, recalcitranti alla chiamata alle armi. Per amalgamare, sottomettere e governare questa immane Durante la guerra si profilò per la prima volta un livello linguistico popolare e unitario. massa di combattenti, che aveva un’idea molto vaga di cosa fossero la patria e l’Italia, si preferì, pertanto, la coercizione, alla persuasione. Diverso, invece, il discorso per le truppe di montagna, gli alpini, impegnati soprattutto sul fronte trentino e veneto. Va detto, infatti, che gli alpini, essendo un corpo a reclutamento territoriale, omogeneo per estrazione linguistica e socio-culturale, nutrivano un’idea di patria molto più concreta rispetto a quella scarsamente definita delle truppe di fanteria. Molti alpini combattevano per difendere i territori che loro stessi abitavano, dal momento che un gran numero di effettivi proveniva dalle dossIER 8 stesse aree alpine e prealpine del Veneto e del Friuli. A proposito dei reggimenti e battaglioni alpini, ha scritto Mario Isnenghi: «Essi sorgono su un fondo di tradizioni e sentimenti comuni, relazioni di parentela e di conoscenza – ovvero anche di utile conflittualità settoriale, in forma di antagonismo campanilistico tra battaglioni di diverse vallate e nei confronti delle altre armi – sopra cui matura uno spirito di corpo robusto e durevole come in nessun’altra arma di fanteria, capace di far sopravvivere come gruppo gli alpini anche nei momenti di dissoluzione generale dell’esercito, o dopo la conclusione dell’esperienza militare. Una rete di valori umani – come non si stanca di ripetere soprattutto il difensore dei valori Jahier, ma che trova riscontro anche da parte austriaca – che umanizzano e rendono ancora in qualche modo cavalleresca la guerra tra alpini e Kaiser-jäger, alpini e chassuers des Alpes: poiché il fondo umano comune, la struttura militare e il tipo di guerra si estendono e sono comuni ai momentanei nemici, e la guerra – destoricizzata e apolitica dall’una e dall’altra parte – si combatte senza odio e senza speranza, come mestiere, prosecuzione della vita, che è per tutti fatica e soggezione alla sorte» (M. Isnenghi, Il mito della Grande guerra, Bologna, 1989). Pertanto, l’alpino risponde alla chiamata alle armi come a una missione doverosa, seppur rischiosa, a cui non è dato sottrarsi. Il soldato-montanaro avverte che il conflitto mette in pericolo il proprio mondo di valori (lavoro, famiglia, proprietà, tradizione, dovere, fedeltà); mondo per cui egli è disposto ad accettare anche i sacrifici più duri, se non addirittura estremi. L’adesione morale alla causa della guerra acquista un valore eroico se si considerano le particolari situazioni ambientali in cui gli alpini hanno combattuto. Sulle alte cime montuose «fin oltre i tremila metri, lo scontro poté assumere i tratti dell’impresa epica, la sfida con la natura e addirittura del cimento sportivo. Per certi aspetti apparve come una guerra pre-moderna, più affidata ai muli che agli autocarri, più alle slitte trainate da cani e da asinelli o alle teleferiche che alle autoblindo, più agli impervi sentieri che alle strade e alle linee ferroviarie. […] L’eroismo, le imprese individuali e le costruzioni audaci sembrarono mantenere un’importanza maggiore che gli urti di masse anonime. Il rapporto con l’ambiente naturale ebbe un rilievo assai più forte che altrove, e lo stesso carattere della morte ne ricevette l’impronta. Solo i soldati più robusti e temprati erano in grado di resistere alle condizioni proibitive delle alte quote» (A. Gibelli, La Grande guerra degli italiani, Milano, 1998). Insomma, si sono incrociati, nelle vicende belliche che hanno coinvolto gli alpini, elementi etici, ideali e ambientali, che hanno alimentato il racconto di un’epopea in chiave mitologica. Là dove per mito intendiamo una narrazione che ha fondamento storico, ma che è anche circondata da un’aura di sacralità e leggenda, in quanto suffragata dal culto di eroi, di luoghi epici, e di virtù su cui si fondano i principi ideali condivisi da un popolo e da un’intera nazione. Ma c’è un ulteriore specificità che contrassegna la partecipazione degli alpini alle imprese militari della prima guerra mondiale. Una specificità che accresce ulteriormente i sentimenti comuni dei soldati-montanari pieni di intraprendenza, che sanno arrangiarsi in qualunque circostanza, rispettosi dell’ordine e delle gerarchie umane e naturali, che sanno osservare una disciplina sociale senza che venga loro imposta d’autorità, che preservano il culto della L’alpino risponde alla chiamata alle armi come a una missione doverosa. memoria, degli affetti e della giovinezza. Questa nota distintiva consiste in un’adesione di tipo corale agli eventi bellici. Corale nel senso letterale del termine, cioè partecipata attraverso il canto collettivo. Così come le antiche saghe epiche furono narrate per mezzo della poesia e del canto, la guerra degli alpini è rievocata dalle loro canzoni. Quelle canzoni che sono state elaborate o ricreate a partire da un repertorio di fondo, fatto di canti popolari e popolarizzanti di stampo risorgimentale (canzonette, strofette e inni, largamente diffusi tra le popolazioni dell’arco alpino). In primis, ecco il canto che meglio riassume quanto ho fin qui esposto. Si tratta dell’apologia di un eroe, una figura di stampo omerico, celebrata nell’ora del suo sacrificio estremo. Al suo cospetto sono elencati, in un climax soppesato, i valori della patria, degli alpini, dell’affetto materno, dell’amore e della natura. «E io comando che il mio corpo in cinque pezzi sia taglià: il primo pezzo al Re d’Italia che si ricordi dei suoi alpin. Secondo pezzo al Battaglione che si ricordi del suo Capitan! Il terzo pezzo alla mia mamma che si ricordi del suo figliol. Il quarto pezzo alla mia bella che si ricordi del suo primo amor. L’ultimo pezzo alle montagne che lo fioriscano di rose e fior.» (Il testamento del Capitano) La canzone del Capitano morente può essere assunta come guida di riferimento, da cui derivare tutta una serie di altre citazioni, che spiegano quale fosse la vera funzione dei canti presso le truppe alpine. Una funzione che andava ben oltre l’usanza a scopo consolatorio del «canta che ti passa», che pure veniva praticato «durante le allucinanti attese in trincea, ma anche e spesso sugli stessi campi di battaglia prima, durante o dopo un combattimento, per vincere la paura o distogliere il pensiero dalle immagini delle orrende carneficine che stagnavano nella loro mente» (A.V. Savona - M.L. Straniero, Canti della Grande guerra, Milano, 1981). I canti alpini assolvono anche a un ufficio di tipo civile, ossia quello di fornire alla comunità gli esempi giusti da seguire, allo scopo di realizzare il bene della propria patria. È per questo che i temi ricorrenti sono simili a quelli dei poemi epici, cioè quelli delle gesta degli eroi in guerra, gesta che esaltano il coraggio, la lealtà, la forza d’animo, lo spirito di sacrificio; virtù indispensabili per forgiare un popolo coeso e con un forte senso dello stato. Ecco l’accettazione della morte («toca a chi toca quando la vien»), sacrificio supremo a difesa del patrimonio di valori della nazione. A proposito, riporto dall’aneddotica alpina, l’emblematico scambio di battute tra un alpino e il generale Cantore (leggendaria figura di condottiero alpino). Cantore «Quanto tempo è che sei qui?» Alpino «Signor Generale, son quattro mesi …» Cantore «E sei ancora vivo? Vuol dire che non sei un buon soldato!» 9 «Se l’alpin da rupe cade non piangete nei vostri cuori, perché se cade, va in mezzo ai fiori, non gl’importa di morir.» (Bersaglier ha cento penne) Doverti abbandonare, volerti tanto bene, rompere ’ste catene che m’incatena il cor.» (Sul ponte di Bassano) «Il colonnello che piangeva a veder tanto macello: – Fatti coraggio Alpino bello che l’onore sarà per te! –» (Monte Nero) « – Se te toco le to tetine in t’un canton lo diresti al to papà… incantonà? – – Sito mato che mi gh’el diga al mio papà che contenta mi son restà… incantonà! – » (Se te toco le to manine) Ecco la mamma (i legami familiari) e la Patria, un connubio di ideali che s’intrecciano di continuo. «Appena giunto sotto la tenda sognavo d’esser con la mia bella e invece ero di sentinella fare la guardia allo stranier!» (Era una notte che pioveva) «Care mamme che tanto tremate, non disperate pei vostri figlioli che qui sull’Alpe non siamo noi soli, c’è tutta Italia che a fianco ci sta.» (Al comando dei nostri ufficiali) Ecco la fierezza e l’orgoglio di appartenere a un corpo militare scelto, destinato a compiere una missione speciale. «E Cadorna manda a dire che si trova là sui confini e ha bisogno degli alpini per potersi avanzà. La fanteria è troppo debole, i bersaglieri sono mafiosi, ma gli alpini son valorosi su pei monti a guerreggià.» (E Cadorna manda a dire) «Tu nemico che sei tanto forte fatti più avanti, se hai del coraggio, e se qualcuno ti lascia il passaggio noialtri alpini fermarti saprem.» (Al comando dei nostri ufficiali) Ecco i tormenti della passione sentimentale e le smanie dell’amore fisico, che infiammano l’età della vita più carica di vitalità, la gioventù. Quella gioventù destinata invece a consumarsi negli gli orrori dei combattimenti («La meio zoventù che va soto tera»). «Per un bacin d’amore successer tanti guai, non lo credevo mai doverti abbandonar. «O Dio del cielo, se fossi una rondinella vorrei volare in braccio alla mia bella. […] Prendi il fucile e vattene alla frontiera là c’è il nemico che alla frontiera aspetta.» (O Dio del cielo) «Noi siam giovani, forti e robusti, sopportiamo fatiche e sventure. Cara Italia, tranquilla sta pure, che gli Alpini salvar ti sapran.» (E tu Austria…) Ecco la meraviglia e il rispetto per la natura, anche quando si manifesta ostile. Un omaggio deferente nei confronti di una presenza superiore ingovernabile, testimone impassibile e scenario grandioso delle gesta umane. «Varda la luna come la camina e la scavalca i monti come noialtri alpin. […] Varda le stelle come sono belle e sono le sorelle di noialtri alpin.» (I baldi alpin van via) «Era una notte che pioveva e che tirava un forte vento, immaginatevi che grande tormento per un alpino che deve vegliar.» (Era una notte che pioveva) dossIER 10 MUSICA E RESISTENZA «Su pei monti vien giù la neve, la tormenta dell’inverno, ma se venisse anche l’inferno sol l’alpin può star lassù.» (Bersaglier ha cento penne) di Patrizia Cuzzani responsabile del museo della resistenza di bologna Ma ecco che nel racconto degli alpini non vengono tralasciati altri motivi tipici della narrativa epica. Il tema del viaggio, del trasferimento dal mondo ordinario a quello dell’ignoto. «Non ti ricordi quel mese d’aprile, un lungo treno varcava i confini che trasportavano migliaia degli alpini: – Su, su, correte, è l’ora di partir! –» (Monte Canino) Ecco il culto dei vessilli, degli elementi rappresentativi e simbolici, attraverso i quali si ostenta la differenza. «Sul cappello, sul cappello che noi portiamo c’è una lunga, c’è una lunga penna nera che a noi serve, che a noi serve da bandiera su pei monti, su pei monti a guerreggiar. Oilalà» (Sul cappello) «Bersaglier ha cento penne, ma l’alpin ne ha una sola, un po’ più lunga, un po’ più mora, sol l’alpin la può portar.» (Bersaglier ha cento penne) Ecco la presenza di suggestive leggende, come quella di misteriose amazzoni, infilatesi segretamente tra la truppa. «E l’an taglia i suoi biondi capelli, la si veste da militar, lé la monta sul cavallo, verso il Piave se ne va.» (E l’an taglia i suoi biondi capelli) Infine, ecco i campi delle epiche battaglie, i luoghi sacrosanti, elevati e lontani, quasi extra-terreni: il Monte Nero, il Monte Canino, il Monte Grappa, il Monte Pasubio, l’Adamello e l’Ortigara, quest’ultimo evocato nella canzone che suona come un sacro requiem degli alpini. «Nella valle c’è un cimitero cimitero di noi soldà Ta-pum ta-pum Cimitero di noi soldati forse un giorno ti vengo a trovà Ta-pum ta-pum (Ta-pum) 11 E per concludere, lasciate che dica quanto segue. Quando sui banchi del liceo manifestai al professore di filosofia la mia passione per la montagna e per i canti degli alpini, la sua reazione fu alquanto tiepida. Mi consigliò di mantenere vivo lo spirito critico, perché quello della montagna e degli alpini è un terreno ove facilmente attecchiscono retorica e mistificazione. Aveva ben ragione. Le decine di cori alpini che hanno ereditato il patrimonio corale dei soldati-montanari, hanno ammansito ed edulcorato la classicità dei canti della Grande guerra. I repertori sono stati farciti con adulterate creazioni e ridondanti arrangiamenti. I benestanti figli e nipoti di coloro che hanno combattuto, hanno tradito, con i loro affettati effetti vocali, la I canti alpini assolvono anche a un ufficio di tipo civile. sostanza epica dei canti alpini. Sviolinate di «valli d’or» e «rivi d’argento», sono state smerciate quali elisir contro la nevrosi della modernità; hanno concorso alla realizzazione di un’immagine turistica ed affaristica della montagna, che non ha nulla a che fare con il racconto epico e tragico tramandatoci dall’autentica tradizione corale della civiltà alpina. Dice Andrea Zanzotto: «La mia non è una battaglia antimoderna ma un fatto di identità e civiltà. La marcia di autodistruzione del nostro favoloso mondo veneto ricco di arte e di memorie è arrivata ad alterare la consistenza stessa della terra che ci sta sotto i piedi. I boschi, i cieli, la campagna sono stati la mia ispirazione poetica fin dall’infanzia. Ne ho sempre ricevuto una forza di bellezza e tranquillità. Ecco perché la distruzione del paesaggio è per me un lutto terribile» (A. Zanzotto, Intervista, Torino, 2011). La Resistenza italiana nasce da un moto spontaneo di ribellione in difesa della libertà e della dignità umana, nasce dal popolo, un popolo che resiste al fascismo e che è uno schieramento spontaneo di operai, di contadini, di borghesi, che cerca e crea da sola sua organizzazione, i suoi quadri di lotta, le sue forme di autogoverno, la sua educazione politica. La realtà che si fa avanti con la Resistenza è una realtà sensibile e attiva, produttrice delle sue forme di vita e artefice dei suoi destini. Anche la musica avverte la Resistenza, comprende che l’espressione musicale partita e adottata dal popolo, cioè dalla gente comune, non è semplicemente sfogo sentimentale, ma è veicolo d’azione in difesa della vita; di protesta se la si nega, di stimolo se la si trasforma, di adesione se la si possiede, quindi canto come coscienza. Il canto, nella Resistenza, diviene parte dell’edificazione della società umana, ed è intervento fattivo nel processo di trasformazione e di costruzione in atto nella società. Dalla fine della guerra a oggi la memoria e l’immaginario resistenziale hanno spesso incontrato e segnato significativamente le forme diverse della canzone e della musica, esprimendo attraverso di esse il senso profondo dell’esperienza individuale e collettiva del partigianato, seguendo, dal dopoguerra a oggi, il cammino complesso dell’idea stessa di Resistenza. In questo articolo vorrei mettere dapprima in evidenza le diverse matrici e radici della canzone resistenziale durante la guerra e, successivamente, il suo esistere e resistere, come luogo della memoria e come radice e riferimento ideale e progettuale, nella storia del dopoguerra. Il focus sulla parte “storica” sarà rivolto con particolare riguardo all’Emilia-Romagna, con brevi accenni anche a importanti realtà extraregionali che hanno provocato nuove istanze nell’ambito tematico della musica per (e della) la Resistenza, come ad esempio l’Istituto Ernesto de Martino. I prodotti musicali che la canzone d’uso partigiana ha modificato sono i più disparati: canzoni narrative popolari o popolaresche, canti risorgimentali o quarantotteschi, repertori della prima e seconda guerra mondiale, canti sociali legati al movimento operaio e alle organizzazioni rivoluzionarie del periodo prefascista, motivi in voga e canzonette di consumo, canzoni assunte da repertori rivoluzionari di altri paesi (in particolare la Russia), canzoni goliardiche, dannunziane e molto spesso fasciste, poche canzoni d’autore sia per testo che per musica Le canzoni partigiane sono canzoni nate per l’uso, non per il consumo o lo spettacolo e tutte vogliono esprimere quanto Italo Calvino, parlando della letteratura partigiana, ha così sintetizzato: «Noi stessi, il sapore aspro della vita che avevamo appreso allora, tante cose che si credeva di sapere o di essere, e forse veramente in quel momento sapevamo ed eravamo». Ritengo giusto, in un quadro che richiede completezza anche storica, riportare di seguito alcuni dei brani che hanno accompagnato e accompagnano i racconti storici, sia orali che filmici che riecheggiano sempre durante le commemorazioni e che mi auguro, continuano a essere cantati da italiani di tutte le età e tutte le estrazioni sociali. La realtà che si fa avanti con la Resistenza è una realtà sensibile e attiva. dossIER 12 Per ognuno ho tracciato una piccola descrizione della sua genesi. A morte la Casa Savoia: cantata in Romagna nel 1944 dai soldati della Divisione Friuli di Badoglio, tutti ex partigiani della Brigata Bianconcini delle Marche; le parole sono composte sull’aria della canzone Noi siam la canaglia pezzente. Pietà l’è morta: il testo è di Nuto Revelli, adattato su un’aria intonata dai soldati della prima e della seconda guerra mondiale, cantata soprattutto dai partigiani cuneensi, provenienti per lo più dagli alpini, la cui canzone Sul ponte di Perati, costituisce il diretto antecedente di questa famosa canzone della Resistenza. Bella ciao: la canzone partigiana più conosciuta nel mondo; è la trasformazione di una versione di Fior di tomba, canzone narrativa entrata a far parte del repertorio degli alpini nella prima guerra mondiale. Il canto ha una particolare diffusione in Emilia (ma anche nel Lazio e in Abruzzo), nell’estate del 1944 durante l’esperienza della Repubblica partigiana di Montefiorino. Il successo che ha ancora oggi, è iniziato nell’immediato dopoguerra, quando viene cantato come il vero e proprio inno dei partigiani. Compagni fratelli Cervi: le parole sono state composte dai partigiani del Distaccamento “Fratelli Cervi”, operante nel reggiano al comando di Sintoni, appartenente alla 144ª Brigata garibaldina “Antonio Gramsci”. Molto nota in provincia di Reggio Emilia, fa parte delle numerose canzoni che hanno adottato la medesima melodia, il più delle volte conservando anche nel testo più di una traccia del modello da cui discendono in questo caso, quello della vecchia canzone irredentista Dalmazia (cantata prima dagli arditi e poi dai dannunziani). I sette fratelli Cervi vengono arrestati nel novembre 1943 a Campegine e fucilati per rappresaglia al poligono di tiro di Reggio Emilia il 28 dicembre dello stesso anno. Cosa rimiri mio bel partigiano: versione partigiana della canzone narrativa Cosa rimiri mio bell’alpino, a sua volta trasformazione della canzone detta “del marinaio” (O marinaio che vai per mare). Diffusa nel piacentino e nel parmense. La guardia rossa: canto del 1919 su testo di Raffaele Offidani, dedicato dall’autore a Lenin sull’aria della Valse Brune, poi sostituita con una nuova melodia, con la quale, nel 1933 diviene dapprima l’inno ufficiale del Partito comunista d’Italia, e poi il canto del Battaglione Garibaldi in Spagna. Assai cantato nelle Divisioni Garibaldi durante la Resistenza. La Brigata Garibaldi: le parole partigiane nascono tra la fine di marzo e i primi d’aprile del 1944 a Castagneto di Ramiseto (Reggio Emilia), opera comune di più partigiani della Divisione “Aristide”. Il testo è adattato alla musica di una vecchia marcia militare, forse di discendenza risorgimentale ancora oggi nel repertorio dei bersaglieri. Lasciando la sua casa e la sua mamma: adattamento partigiano della canzonetta Bel soldatin che passi per la via. Il testo è stato scritto dal partigiano Principe nel marzo 1944 sulle alture del Reggiano e ha avuto vasta diffusione anche tra i partigiani del Modenese perché tra essi, nella vallata di Nolo, operavano formazioni provenienti dalla provincia di Reggio Emilia. Addio Bologna bella: si tratta di un adattamento partigiano del 1944 di Addio a Lugano, dell’anarchico Pietro Gori. Su e giù per le montagne: la melodia è quella della notissima Canzone dello spazzacamino, adattata dai membri della Il canto, nella Resistenza, diviene parte dell’edificazione della società umana. Brigata garibaldina “Costrignano”, comandata da “Filippo” e operante nell’Appennino modenese. Fischia il vento: l’inno più popolare non solo fra le Brigate garibaldine. Si diffonde con versioni omogenee, sulla melodia della canzonetta sovietica Katiuscia, scritta nel 1938. L’inno è stato composto all’inizio di dicembre 1943 in un casone dell’alta Valle di Andora, all’interno del gruppo comandato dal dottor Felice Cascione “U megu” costituitosi a Magaietto (Diano Castello, Imperia). Il partigiano Giacomo Sibilla, reduce dalla Russia, propose di comporre una canzone dei garibaldini, prendendo come basa l’aria di Katiuscia. Cascione e lo studente Felice Alderisio “Vassili” compongono la prima strofa della canzone. La brigata, a metà dicembre, si trasferisce precipitosamente nei boschi dell’alta Valle di Albenga, sospende la scrittura che viene poi terminata nel Natale dello stesso anno. La canzone di Marzabotto: riadattamento per il massacro di Monte Sole di un noto canto da cantastorie su una disgrazia avvenuta durante i lavori per la costruzione della galleria del Gottardo (Alle sei e mezza). Son proletari i partigiani: Le parole sono state scritte nel luglio 1944 da Ernesto Venzi, vicecomandante della 36ª Brigata Bianconcini operante sull’Appennino tosco-romagnolo, nella sede del comando di Cà di Vestro, adattandole sull’aria di un canto militare sovietico spesso zufolato dai partigiani russi che combattevano nelle formazioni partigiane italiane. La melodia viene utilizzata anche per la canzone Armata Rossa, assai diffusa tra i partigiani del Nord Italia. Non ti ricordi la notte fatale: cantato a Bologna, nelle prigioni di San Giovanni in Monte, ove l’autore, Leoni, fu rinchiuso dal 3 febbraio al 21 aprile 1945. Creato collettivamente da alcuni partigiani della Brigata garibaldina “Irma Bandiera”, è sull’aria di Monte Canino, una delle più intense canzoni della prima guerra mondiale, rimasta nell’uso militare anche nella seconda guerra mondiali. Mi preme ora, particolarmente, scandagliare quanto, nella contemporaneità musicale, la Resistenza ha sollecitato e consolidato. Sul finire degli anni Cinquanta nasce a Torino il gruppo dei Cantacronache. Si tratta di musicisti, ricercatori, scrittori le cui radici musicali si rifanno inizialmente al teatro musicale brechtiano e ai cantautori francesi (Brel e Brassens), mentre le radici ideali affondano nell’antifascismo e nella Resistenza. 13 Il gruppo scrive canzoni, mette in scena spettacoli, sviluppa un personale metodo di ricerca, di cui Fausto Amodei è il principale fautore. Sua è Per i morti di Reggio Emilia, a cui si affianca Contessa di Paolo Pietrangeli, entrambe nate negli anni Sessanta, contengono riferimenti espliciti all’esperienza partigiana, e lo fanno citando o evocando Fischia il vento di Felice Cascione. Negli stessi anni inizia l’attività il gruppo del Nuovo Canzoniere Italiano, che darà poi vita al succitato Istituto Ernesto de Martino, e che offre un contributo fondamentale al rinnovarsi degli studi sulla canzone popolare e sulla storia e la cultura delle “classi subalterne” in Italia. Alla Resistenza il gruppo milanese ha dedicato spettacoli importanti come Pietà l’è morta e Bella ciao (presentato al Festival dei Due Mondi di Spoleto). Nel 1962 Michele Straniero e Sergio Liberovici pubblicano presso l’editore Einaudi i Canti della Resistenza spagnola (e subirono un processo per vilipendio nei confronti di un capo estero e della religione cattolica) e l’antologia su disco I canti della Resistenza europea. Negli anni Sessanta I dischi del Sole pubblicano I canti della Resistenza Italiana e, raccolti in dieci album, i libretti del Canzoniere della protesta. Nel 1966 Enzo Jannacci incide una canzone di Dario Fo Sei minuti all’alba, nella quale si narrano gli ultimi attimi di un condannato a morte per diserzione all’indomani dell’8 settembre 1943. All’armistizio e alle sue conseguenze è dedicata una ballata degli Stormy Six, gruppo che ha esplorato anche gli scioperi del marzo 1943. Sul finire degli anni Settanta, e ancor più negli anni Ottanta, La memoria e l’immaginario resistenziale hanno spesso segnato le forme della canzone e della musica. la canzone partigiana resta al margine degli studi sulla memoria orale e non trova spazi significativi nella produzione musicale giovanile. Occorre giungere negli anni Novanta per ritrovare nella complessa produzione del movimento della Pantera, delle Posse, dei centri sociali, il riaffacciarsi di un linguaggio che si richiama all’antifascismo e alla Resistenza: percorso testimoniato in particolare dall’esperienza che condusse il Comune di Correggio alla realizzazione del cd Materiale resistente (prodotto dal Consorzio Produttori Indipendenti facenti capo a Giovanni Lindo Ferretti, leader dei Csi, ex Cccp). Fra gli anni Sessanta e gli anni Novanta c’è una produzione vasta ed eterogenea che, pur “citando” la lotta partigiana, non ne fa la protagonista dell’intero canto: così è per Lugano addio di Ivan Graziani. dossIER 14 La canzone italiana si è soffermata anche sugli esiti posteriori: Sergio Endrigo ha scritto La ballata dell’ex (storia nella quale il partigiano si trova alla fine della guerra sul banco degli imputati) negli anni in cui si aprì il dibattito storiografico sulla “resistenza tradita”, e la fa diventare un inno contro il trasformismo e il rovesciamento degli ideali. Pierangelo Bertoli, con la sua Niccolò, pone l’attenzione sui pericoli della rinascita di un neofascismo italiano. Ma la parte del leone, ovviamente, la fa la resistenza combattuta: sempre degli anni Sessanta è Joe mitraglia dei Nomadi, in cui si ripercorrono le motivazioni della lotta partigiana, i suoi protagonisti e le sue negatività sociali. Recentemente il gruppo modenese dei Modena City Ramblers si è posto come obiettivo il rilancio di miti, storie e leggende della Resistenza, e lo fa rievocando in musica il retroterra dell’Appennino e della campagna del reggiano: esemplare è la storia di Lilli che rievoca la rappresaglia compiuta dai nazifascisti che portò, nel 1944, all’uccisione di 32 persone. I MCR avviano una rilettura tesa a presentare la Resistenza italiana come modello di una rivoluzione universale e sempre attuale. Sulla stessa cifra stilistica è il lavoro di The Gang, che dapprima con Eurialo e Niso (scritta da Massimo Bubola) e poi con La ballata dei sette fratelli (dedicata ai sette fratelli Cervi), ripropongono in tempi recentissimi l’attualità del messaggio della Resistenza italiana. E si tace, ma solo per la vastità, dell’opera del già menzionato Giovanni Lindo Ferretti, culminata negli album del suo gruppo “Per grazia ricevuta”. Si citano, non per scarsa importanza, ma perché si ritengono solo di carattere evocativo e non rappresentativo, canzoni come Auschwitz di Francesco Guccini, Nove maggio di Ivan Della Mea, 40 giorni di libertà di Anna Identici, Concerto per la libertà di Giorgio Gaslini, ma tant’è, la scelta doveva essere fatta, Il passaggio dei partigiani di Ivano Fossati, Jimmy di Guccini-Fornili-Curreri, incisa dagli Stadio. Francesco de Gregori ha scritto una canzone in cui racconta gli ultimi istanti del fascismo visti dagli occhi di un cuoco (il cuoco di Salò); la canzone ha provocato, alla sua uscita, diverse polemiche, sia per la particolare visuale da cui parte de Gregori, sia, soprattutto, la rivisitazione di un momento storico particolarmente dibattuto. Si ricorda anche la canzone Le storie di ieri in cui il cantautore romano ha rievocato il medesimo periodo. Penso che sarebbe necessario, oggi, riprendere il tema dell’uso pubblico della storia, facendo il punto sulla capacità della musica e delle canzoni di suscitare ancora impegno civile. Bibliografia: S. Pivato, La storia leggera, Bologna, il Mulino, 2002 G. Bosio, L’intellettuale rovesciato, Ed. Bella Ciao, 1975 L. Bergonzini, La svastica a Bologna, il Mulino, 1998 Fischia il vento Analisi di Andrea Natale segretario dell’usci lombardia Senz’altro Fischia il vento (insieme a Bella ciao naturalmente) è il canto più celebre e simbolico della Resistenza italiana e pienamente “popolare” in quanto prodotto dal popolo (come già scritto da Patrizia Cuzzani il testo nacque in un preciso contesto crono-topico della lotta per la Resistenza e adattato sull’aria della già famosa canzonetta sovietica Katiuscia, memorizzata e importata dal reduce Giacomo Sibilla). Fischia il vento è stata riproposta in varie salse dagli anni Sessanta a oggi: da I Gufi, da Milva nel disco Canti della libertà pubblicato dalla Fonit Cetra nel 1965, dal gruppo folk dei Modena City Ramblers e pure in versione ska punk dalla Banda Bassotti e rock demenziale dagli Skiantos. Se ne può ascoltare un breve frammento originale in canto spontaneo nel bel film-documentario Pasta nera di Alessandro Piva, presentato quest’anno in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia nella sezione Controcampo italiano. Pertanto il repertorio corale non poteva privarsi di un canto popolare come questo (stavolta perché scritto anche per il popolo e – alla luce di quanto detto sopra – entrato senza dubbio nelle logiche di mercato tramite gli artisti che l’hanno reinterpretato). Un’interessante elaborazione corale per voci miste di questo canto pubblicata dalla rivista «La Cartellina» sul numero 116 di luglio-agosto 1998 è quella realizzata dal noto compositore e didatta Bruno Zanolini. Come tutti i lavori del compositore milanese, l’abile e intricata struttura arrangiamentale si accosta a una non semplice esecuzione del pezzo. Tuttavia, considerando la celebrità della melodia e la normale e intuitiva semplicità della tabula armonica, questa versione corale merita particolare attenzione per le soluzioni ricercate in essa inserite che promuovono a pieno titolo il brano di derivazione popolare nel panorama della musica colta contemporanea, come un perfetto prodotto da sala da concerto a uso e consumo di compagini artistiche anche professionali e non un semplice e nostalgico evergreen della memoria storico-sociale italiana. La tonalità scelta è il mi minore con il quale sono i tenori a partire alternandosi con i bassi nell’esposizione nuda non armonizzata del motivo conduttore nelle prime 10 battute (v. esempio 1). In battuta 11 viene introdotto il primo impatto armonico del brano sulla sillaba “a” con il motivo conduttore passato ai soprani e con un accordo inatteso, ovvero il primo rivolto di si minore. Poco più avanti troviamo un’altra soluzione armonica interessante che è la presenza del mi maggiore al posto del minore sulla sillaba “-ra”, che prepara il successivo la minore; il mi minore è evitato anche sulla sillaba “-ge’l” e rimpiazzato col do maggiore. In battuta 30 viene costruito intorno alla tonalità del brano una sorta di madrigalismo dopo che i bassi hanno ripreso l’esposizione del tema della prima strofa; esso viene dunque passato ai tenori, ma è un pretesto sillabico per introdurre la nuova strofa il cui tema (sempre in mi minore) è affidato ai contralti, proseguito brevemente dai soprani e ripreso nuovamente dai contralti. Le voci si muovono su piste ritmiche differenti dando luogo a non scontati appuntamenti armonici per esempio in battuta 41 con un fa diesis minore e una stretta successione cromatica di matrice liberododecafonica in battuta 45. L’autonomia delle singole voci, che spaziano nel proprio range timbrico con disinvoltura quasi disinteressandosi se non per fugaci meeting di ciò che sta succedendo sopra o sotto di loro, produce un elegante contrappunto vocale che al rigore stilistico aggiunge le novità del linguaggio pantatonale (sembra che ci sia un’effettiva volontà di citare il totale cromatico, come si vedrà in seguito). A un’analisi più certosina si può notare infatti che, salvo i soprani per ovvie ragioni legate al possesso più frequente del conductus (passato comunque agilmente di voce in voce, anche per una nota sola, come avviene in battuta 73), le altre tre sezioni toccano il totale cromatico nel corso delle 114 battute che compongono il pezzo; il lavoro può dunque essere considerato una libera elaborazione in cui le tre voci inferiori espongono una linea con l’utilizzo di tutti i 12 toni. Così la dilatazione del testo e la piena autonomia nell’andamento delle linee e della sillabazione ha ormai raggiunto una connotazione strumentale. Tutti i tempi ma anche le suddivisioni delle battute vengono occupati con accenti sillabici cosicché si crei un’idea di riempimento totale della partitura e di perpetua discorsività. In battuta 66 c’è un rapido richiamo all’armonizzazione pur non raggiungendo comunque la totale omoritmia delle quattro sezioni. Sulla parola “colpir” viene costruita una breve e funzionale cellula ritmico-visiva per i soprani e a seguire per i contralti e i tenori (v. esempio 2). La terza strofa si apre con una preparazione vocalizzata al testo “Cessa il vento…” e un progressivo sviluppo cromatico che ci fa conoscere nuove possibilità e sfuggenti incontri-scontri di note ora di semplice passaggio ora in fusione armonica nei momenti di ri-attacco di altre sezioni, come in battuta 96 con l’immediata variazione dal mi maggiore al mi minore, da una parte incastro armonico ma dall’altra naturale continuità nella lunghissima progressione semitonale discendente dei bassi iniziata nell’anacrusi di battuta 90 e che si concluderà col do di battuta 102 (v. esempio 3). Qui il compositore ha toccato con una sola voce e in maniera consequenziale il totale cromatico. Ma siamo quasi giunti al termine del pezzo; i bassi raddoppiano in battuta 105 con pedale in mi (non viene mai tradita la tonalità originale del brano), cui farà eco più avanti, da battuta 111, il mi acuto dei soprani, mentre le voci interne vanno man mano acquietandosi come il vento della canzone e un solare mi maggiore conclusivo su 6 voci traduce la speranza della libertà e di un futuro più sereno e dignitoso per tutti. Esempio 1 Esempio 2 Esempio 3 15 dossIER 16 IL CANTO DEGLI ITALIANI Note di Maurizio Benedetti 1. A. Baricco, L’anima di Hegel e le mucche del Wisconsin - Una riflessione su musica colta e modernità, Garzanti, 1992, p. 26 2. Inni Nazionali di tutto il mondo, Orchestra Internazionale dell’ONU, International Joker SAAR, 1985 3. Indirizzi dei siti internet: http:// freeweb.aspide.it/freeweb/algo e http://www.zyworld.com/giura60/ fratelli.mid 4. Abbiamo ritenuto più valido per la correttezza della nostra analisi riferirci a questo autografo e non a quello della prima stesura custodito dall’Istituto Mazziniano di Genova. direttore del coro michele novaro e revisore de il canto degli italiani per la presidenza della repubblica Premessa Quando mi hanno proposto di lavorare come consulente musicale a una ricerca sull’Inno di Mameli, credo si sia dipinta sul mio viso la stessa espressione che ho ritrovato in seguito sul volto dei colleghi coinvolti nell’impresa: un misto di sufficienza e rassegnazione che chiedeva «com’è possibile che noi italiani, con il nostro patrimonio musicale universalmente apprezzato, si debba avere per inno nazionale una marcetta banale con un testo indecifrabile? Insomma basta, meglio Va’ pensiero, l’inno del Piave o perché no? Volare». Ben altra reazione ha suscitato tanto in me quanto nei miei collaboratori, avere di fronte la partitura autografa di Michele Novaro: al primo sguardo appariva evidente che quell’inno noi non l’avevamo mai ascoltato in un’esecuzione fedele all’originale, che ne esprimesse lo spirito aderendo alle indicazioni scritte dall’autore della musica. Il rovesciamento di atteggiamento è stato totale. Da quel momento il programma di ricerca ha acquistato la profonda motivazione di ristabilire il rispetto dovuto a una creazione degna e forte. Degna nella forma, perfettamente funzionale allo scopo espressivo, e forte nei contenuti e nello spirito che l’ha generata. Credo che per Il Canto degli Italiani sia giunto il momento di quella «piccola, salvifica apocalisse» per usare le parole di Baricco «che ha un nome: interpretazione». 1 Agli interpreti è indirizzata questa ricerca, per fornire loro una via che li conduca a valicare il tempo per riportare dal passato nel nostro mondo un’opera di cui rischiamo di perdere il senso profondo e l’avvincente bellezza. A chi non condivida la necessità e l’urgenza di intervenire decisamente sul nostro inno nazionale, propongo l’ascolto, tra le diverse versioni discografiche in circolazione e raramente di buon livello, di quella realizzata dall’Orchestra delle Nazioni Unite e pubblicata in un’ampia compilation di inni nazionali2. L’inno italiano è terzo nell’ordine di esecuzione, dopo l’americano e l’austriaco, ma mentre i primi due sono interpretati magistralmente, soprattutto lo Star-Spangled Banner dove soprano e coro danno ottima prova di sé, l’italiano è ridotto in un arrangiamento minimo con tromba sola e accompagnamento semplificato. Dall’orchestra del massimo organismo internazionale ci saremmo aspettati di meglio, ma è evidente che l’origine di un tale scadimento musicale del nostro inno va ricercata a monte e diventa un problema di comunicazione e informazione corretta e coerente su uno dei nostri più importanti simboli nazionali. 17 Per finire non poteva mancare una fonte internet come pietra di paragone telematica per valutare lo stato di malessere dell’inno di Mameli anche nel villaggio globale: le versione che si possono scaricare dalla rete in formato midi 3 non sfigurerebbero come colonna sonora di una festa della birra… Le fonti La raccolta dei testi manoscritti e delle edizioni per realizzare una collazione sufficientemente documentata del Canto Nazionale, poesia di Goffredo Mameli musicata da Michele Novaro col titolo Il canto degli Italiani e oggi più conosciuto come Inno di Mameli, si è avvalsa della collaborazione di archivisti e bibliotecari a cui va innanzitutto un sentito ringraziamento per aver risposto alle nostre richieste con efficienza e sollecitudine, che hanno testimoniato il coinvolgimento più che professionale delle persone interpellate. Il loro contributo è stato particolarmente prezioso in considerazione della scarsa presenza nelle biblioteche musicali di esemplari della partitura, che è stato possibile reperire soprattutto in fondi particolari o in archivi specializzati appartenenti a musei o istituti storici. Questo fatto ci induce a ritenere che l’inno non abbia avuto un grande successo editoriale nel recente passato ed è noto quanto l’editoria italiana eviti la pubblicazione di opere non remunerative. Con nostro grande rammarico, abbiamo dovuto constatare che non esiste un editore in questo secolo che si sia preoccupato di pubblicare l’Inno di Mameli in edizione originale, la cosiddetta Urtext, come avviene normalmente per le opere di un certo interesse. Pur esulando dall’indirizzo specifico di questa ricerca, abbiamo avuto la curiosità di valutare le edizioni moderne dell’inno. Nei negozi musicali, confinate nelle raccolte di musica etnica, è stato possibile reperire, escludendo le versioni per banda o orchestra che meritano un discorso a parte, solo due edizioni recenti: Inno di Mameli (Il canto degli Italiani), Pizzicato, Udine, 1996, che tra l’altro altera la tonalità originale da si bemolle a sol, e Inno di Mameli, in I più celebri inni nazionali, armonia e trascrizione di Giovanni Salvatore Astorino, Intras, Milano, 1997, questa volta in do maggiore e ancora più distante dall’originale. Orbene, sarà meglio chiarire subito che ogni musicista ha perfettamente diritto di manipolare qualunque tema musicale, non tutelato da diritti d’autore, come proprio atto creativo: chi non ammira un genio del rock come Jimi Hendrix quando interpreta con il suono lancinante della sua chitarra elettrica il tema dell’inno statunitense o l’affettuosa citazione dei Beatles del God save the Queen nella canzone All we need is love? Quando l’elaborazione è apertamente dichiarata e riconoscibile è un atto legittimo e apprezzabile, soprattutto quando rimane chiara la conoscenza dell’opera originale. Nel caso dell’Inno di Mameli, le elaborazioni hanno finito col mascherare l’originale con caratteri impropri e fuorvianti, come se della Gioconda di Leonardo da Vinci noi conoscessimo solo la versione baffuta di Salvador Dalì. Sulle edizioni dell’inno ha influito purtroppo il pernicioso meccanismo del diritto del revisore di un’opera di pubblico dominio, meccanismo per cui solo a fronte di un suo evidente intervento sull’opera, il revisore si vede riconosciuti i diritti su esecuzioni e pubblicazioni. Ritorna quindi l’urgenza di un’edizione rispettosa dell’originale, che potrebbe essere anzi in facsimile dell’autografo di Novaro, con tutto il fascino che la grafia dell’autore porta con sé. Gli autografi della musica di Novaro oggi reperibili presso enti pubblici sono due: uno, custodito presso l’Istituto Mazziniano di Genova, reca sul frontespizio la dicitura «Il Canto degli Italiani / Inno di Goffredo Mamelli (sic) (ucciso dai Francesi combattendo per la libertà Italiana a Roma) / Musica di M. Novaro», e in calce «M. Novaro / Torino 5 X bre 1847 / Quando la mia Patria dopo tanti / anni d’infame servaggio, respirava / la prima aura di Libertà», l’altro, del Museo Nazionale del Risorgimento Italiano di Torino, presenta sul frontespizio «Alla mia diletta città di Torino / inno Nazionale / Il canto degli Italiani / Poesia di Goffredo Mameli / Musica di Michele Novaro / Quest’inno fu da me composto verso la / fine dell’anno 1847, in Torino dove avevo / stabile dimora. / Novaro Michele». Prima di iniziare l’analisi delle partiture di Novaro, è opportuno uno sguardo all’autografo della poesia di Goffredo Mameli per notare le differenze tra i testi dell’inno. Il documento, conservato anch’esso presso il Museo del Risorgimento di Torino, reca il titolo di Canto Nazionale, il luogo e la data, con il mese di novembre abbreviato, Genova 10 9 bre 1847, la firma del poeta. La strofa destinata a diventare in seguito la quinta strofa dell’inno, “Son giunchi che piegano…”, appare posizionata dopo la firma ed è stata quindi aggiunta in seguito.4 Fra le differenze più significative per una revisione del testo riportato da Novaro, Apparve evidente che quell’inno noi non l’avevamo mai ascoltato in un’esecuzione fedele all’originale. dossIER 18 riteniamo vadano prese in considerazione per avvicinarci maggiormente allo spirito della poesia di Mameli, l’uso dell’iniziale maiuscola per il termine “Popolo” e delle virgole intorno a “per Dio” che lo pone su un piano diverso del discorso, più interno e riflessivo rispetto all’esclamazione suggerita dal punto esclamativo novariano. Alcuni suggeriscono di interpretarlo come un francesismo: par Dieu, ovvero da Dio. I due autografi della partitura di Novaro presentano significative differenze soprattutto nelle indicazioni di andamento e dinamica. Il documento dell’Istituto Mazziniano (d’ora in avanti A) ha la precedenza temporale recando la data del 5 dicembre 1847, mentre la partitura del Museo Nazionale del Risorgimento (d’ora in avanti B) non ha una datazione certa, ma l’annotazione sulla prima pagina, «Quest’inno fu da me composto verso la / fine dell’anno 1847», la pone in un momento decisamente posteriore.5 Le differenze tra i due autografi sono molte e spesso inducono a interpretazioni diverse del carattere del brano a partire dall’andamento iniziale che in A è indicato come Moderato mentre in B è Allegro Marziale. In linea generale possiamo ragionevolmente ipotizzare che la versione B sia un perfezionamento della scrittura rispetto al pensiero dell’autore e che le modifiche apportate alla versione A si siano rese necessarie, come spesso avviene, per chiarire il significato della partitura agli esecutori. Le indicazioni di andamento e dinamica di B trovano conferma in una pubblicazione realizzata dal Ministero della Pubblica Istruzione Per la Gara Nazionale di canto “Fratelli d’Italia” fra gli alunni delle Scuole Elementari Italiane, con cui si celebravano nel 1924 l’inno e i suoi autori e dove viene riportata la testimonianza della figlia stessa di Novaro, Giuseppina, relativa alla copia dell’inno da lei inviata per l’occasione: «Pur non essendo questa copia tratta dall’autografo, che fu smarrito alla morte di mio Padre, posso assicurare che è conforme all’originale, perché fin da bambina così lo udii suonare, cantare e insegnare da mio Padre ai suoi allievi della Scuola popolare gratuita di canto in Genova». 6 Purtroppo la pubblicazione non riporta questo manoscritto, ma quello realizzato dal curatore, Domenico Alaleona, che tuttavia sostiene di essersi basato sulle annotazioni presenti nel manoscritto inviato da Giuseppina Novaro e che così le documenta: «La figlia di lui (…) ha cortesemente inviato al Ministero una trascrizione della melodia da lei compiuta a memoria, in base ai ricordi paterni. Tale trascrizione conferma la autorevolezza della edizione sincrona, che evidentemente fu condotta sull’originale, e approvata dall’Autore. Quale commovente documento e affettuoso eco vivente del sentimento dell’autore, è prezioso conoscere alcune indicazioni di andamento e di colorito apposte dalla Novaro – che fin da bimba ascoltò il canto dalla bocca paterna – alla sua trascrizione. In testa alla composizione ella ha segnato: Allegro marziale; all’attacco del canto, sulle parole “Fratelli d’Italia”: con energia; alle parole “Dov’è la vittoria” (9 a e 10a battuta): dolcemente. Alla seconda parte è apposta la formula Allegro mosso, rispondente a quella dell’edizione sincrona: Molto mosso. Sull’apostrofe finale “sì”, segnata senza altezza di suono, si trova l’indicazione: parlato, a viva voce. Vi appare fedelmente il caratteristico ff alla 7a battuta della seconda parte (parole “che schiava di Roma”). Di tali indicazioni tenga scrupolosamente conto l’intelligente interprete».7 Accanto alla conferma delle indicazioni osservate nel manoscritto B, dobbiamo segnalare in particolare due indicazioni che non si trovano nei manoscritti: il dolcemente al verso “Dov’è la vittoria” e soprattutto quel “sì” Credo che per Il Canto degli Italiani sia giunto il momento di una «piccola, salvifica apocalisse». finale parlato anziché cantato, entrato nella prassi esecutiva novariana col carattere di un forte accento ritmico-percussivo che conclude il crescendo e accelerando finale, e che non è stato annotato come tale né nei manoscritti, né tantomeno nelle prime edizioni che esamineremo. A questo punto, nella trascrizione presentata da Alaleona ci saremmo aspettati la fedele adozione delle indicazioni fornite con tanta precisione dalla figlia di Novaro e scrupolosamente riportate nella pubblicazione, e invece la Trascrizione per voci di fanciulli del Maestro Domenico Alaleona esordisce con Allegro Moderato invece di Marziale, omette le indicazioni con energia e dolcemente, muta in Molto Mosso l’Allegro mosso della seconda parte, annota come cantato il “sì” finale, ovvero ignora completamente una fonte fondamentale come la testimonianza della figlia di Novaro, per adottare scelte personali, alle quali si aggiungono la trasposizione nella tonalità da si bemolle maggiore a sol maggiore, l’omissione della sesta strofa del testo, una serie di piccole varianti che il trascrittore giustifica come «qualche opportuna facilitazione». 8 Una motivazione per le discrepanze tra la versione di Alaleona e le indicazioni di Giuseppina Novaro emerge dalle parole dello stesso Alaleona che dichiara di essersi basato sull’edizione sincrona alludendo alla pubblicazione dell’inno dell’editore Magrini di Torino datata 1848 e infatti in quell’edizione troviamo confermate la maggior parte delle sue scelte. Sul caso della trascrizione di Alaleona vale la pena di soffermarsi poiché molte versioni e orchestrazioni dell’inno realizzate da fine Ottocento a oggi, sembrano avere attinto dall’edizione Magrini, ignorando non solo i manoscritti di difficile accesso e consultazione, ma ignorando soprattutto l’edizione Ricordi del 1859, presentata dall’editore come edizione originale poiché basata su un terzo manoscritto autografo di Novaro custodito nell’archivio dell’editore, che per gentile concessione abbiamo potuto esaminare. A questo punto, sgombrato il campo dalle ambiguità e dagli errori di edizioni fuorvianti, si apre il capitolo dell’interpretazione musicale di un brano paradossalmente eseguito tanto frequentemente, quanto superficialmente. I musicisti, si sa, hanno l’assurda pretesa che la loro musica dica da sola i suoi significati e raramente spiegano le loro intenzioni compositive. Anche Novaro non ha lasciato suoi scritti che guidassero l’interprete nell’esecuzione del suo “Canto degli Italiani”, ma per nostra fortuna un testimone d’eccezione della prima presentazione dell’inno, lo scrittore e patriota Vittorio Bersezio, ha documentato con arguzia e precisione le parole con cui Novaro introduce presso un ristretto gruppo di amici la sua presentazione del brano appena composto. Eccone il racconto nella vivace prosa di Bersezio: «Fu proprio in quelle dimostrazioni, in quell’autunno del 1847, che s’intese per la prima volta in Italia quell’inno del Mameli, musicato dal Novaro, che doveva diventare il canto nazionale italiano. Ed ecco il come. Una sera, nel caffè Calosso, nel primo tratto a sinistra della Via Garibaldi per chi viene da piazza Castello, entrò con passo risoluto ed affrettato un uomo sui trent’anni, di mediocre statura, con una bella testa piuttosto grossetta, un naso risentito, due baffetti neri, capelli alla raffaellesca, occhi vivacissimi. In quel momento, la sua fisionomia, abitualmente animata, aveva un’animazione maggiore, e gli occhi sfolgoravano sotto l’ampia fronte lasciata scoperta dal cappello rigettato indietro. “Amici!” gridò con voce alquanto concitata “ho scritto la musica dell’Inno di Mameli. L’ho finita adesso. Voglio che la sentiate… Venite!” Un’irruzione di applausi salutò quell’annuncio, e subito seguimmo Novaro in dieci o dodici fino alla sua dimora, al terzo piano del secondo casamento di Via Roma, a sinistra di chi viene da Piazza Castello, una stanza non tanto vasta perché l’invasione d’una dozzina di uomini non vi facesse ingombro. Sedette al piano. D’improvviso, si gira. “Bisogna ch’io vi dica l’idea che mi fece nascere il motivo e l’andamento di questo canto. Dico idea; dovrei dire sogno, 19 5. Sulla questione dell’autenticità degli autografi del Museo del Risorgimento di Torino e della datazione di B, abbiamo interpellato il dottor Alessandro Vivanti, collaboratore del Museo, che ci ha comunicato quanto segue: «In un grande volume, denominato Inventario Generale del Museo Nazionale del Risorgimento Italiano di Torino, con la sistemazione delle sale alla Mole Antonelliana e che può essere datato fra le due guerre mondiali, poiché nelle ultime sale esiste già una parte della collezione del primo conflitto mondiale, sono segnalati gli originali dell’Inno di Mameli rispettivamente con i numeri: - 974 Autografo dell’Inno di Mameli (sistemato in sala 4 (Giostra (?)) - 975 Autografo dell’Inno di Mameli auotografo musicale del Maestro Michele Novaro (sistemato anch’esso in sala 4 (Giostra (?)) Nel Registro d’Ingresso-Inventario (1947-1966) è stata riportata, con il n. 340 (del 29 maggio 1964), l’esecuzione da parte del fotografo A. Cordani della «copia anastatica dell’Inno di Mameli il cui originale è conservato al Museo del Risorgimento di Torino». Nel Deposito Cavour, che sto controllando e inventariando, ho trovato una fotografia in b/n con didascalia della Mostra Storica della Gazzetta del Popolo che spiega: «Autografo (fac-simile dell’originale) dell’inno come fu steso da Goffredo Mameli e da lui firmato. Esso fu dal maestro Michele Novaro musicato nel novembre 1847 in Torino. / Nota: l’autografo originale si conserva nel Museo del Risorgimento di Torino; venne fotografato dalla Mostra Storica della Gazzetta del Popolo per dimostrare che l’autografo posseduto dagli eredi Pilotti non è che una copia». 6. D. Alaleona, a cura di, Il canto degli Italiani / di Goffredo Mameli e Michele Novaro, Tipografia Operaia Romana Cooperativa, Roma, 1924. p. 9 7. D. Alaleona, op. cit. p. 24 8. D. Alaleona, op. cit. p. 24 9. Ad Alessandro Manzoni è attribuita la frase «Pio IX prima benedisse l’Italia, poi la mandò a farsi benedire». 20 21 fantasticheria, visione. La troverete bizzarra, e per tale anche a me; ma in ogni modo mi ha dominato e ispirato. Mi parve di essere in una grande pianura il cui confine si perdeva dietro l’estrema linea dell’orizzonte; a capo di essa, un rialzo, su cui un trono… una cattedra… sì, la cattedra di bronzo in San Pietro del Vaticano; e in essa solennemente assettato in solenni paludamenti Pio IX… Intorno e sotto a quel trono un innumerevole corteo di re, di principi, di guerrieri, di prelati, di magistrati: in faccia una immensa moltitudine che fittamente riempiva tutto quello spazio immenso, le popolazioni di tutta la penisola là convocate ad una dieta universale delle genti italiche. Tutti avevano viso e occhi intenti nel Pontefice, e un gran silenzio incombeva su quella folla immobile e aspettante. Pio IX si alza, tende le braccia verso quella moltitudine, e con voce grave, solenne, lenta annunzia ai popoli la buona novella: Italia essersi desta, riprendere la gloriosa sua strada, doversi fare a lei schiava la vittoria! Un sussurro si leva da quella folla: si guardano attoniti, s’interrogano, si ripetono a mezza voce, agitati, frementi, le parole del Pontefice. Se ne persuadono. Ma allora bisogna combattere e vincere; si combatta: Stringiamci in coorte, siam pronti alla morte, l’Italia chiamò. Se lo ripetono esaltandosi, l’entusiasmo li manda ad un crescendo incalzante che si conchiude in un grido supremo, il quale è un giuramento e un grido di guerra. E il poeta mi perdonerà se, per mandare questo grido, ho aggiunto all’ultimo verso una sillaba: L’Italia chiamò: Sì”. La sua voce, che pel teatro era poca, per quella camera riusciva piena e sonora; e l’interno affetto e il sentimento onde era stato ispirato davano al canto un’efficacia di espressione che nulla più. Quando ebbe gettato quell’ultimo grido, quel “Sì!” finale che ha tanta forza e fierezza, scoppiò un vero entusiasmo; tutti ci si strinse intorno al maestro, lo si abbracciò, si baciò, si plaudì, si gridò, si pianse. Si proclamò, è vero, che l’Italia aveva il suo canto. Quel canto bisognava farlo conoscere, diffonderlo. Lo fece l’Accademia Filodrammatica, che aprì le sue porte ai cantori dell’inno del Novaro e al pubblico che doveva giudicarlo. L’effetto fu enorme. Pochi giorni dopo tutta Torino sapeva quel canto, poi tutto il Piemonte, poi tutta l’Italia». La testimonianza di Bersezio dell’idea compositiva che ispirò Novaro, ci rivela finalmente il perché della ripetizione dello stesso testo su due andamenti così diversi nello svolgersi dell’inno, ci pone di fronte a una scena teatrale su cui agiscono due diversi soggetti. Non stupisca il riferimento a Pio IX, che per un breve periodo tra il 1847 e il ’48 fu al cento delle aspettative dei patrioti italiani. 9 Al suo posto oggi possiamo comunque immaginare una figura simbolica, una personificazione della Patria che annuncia al Popolo il risveglio della coscienza nazionale e l’inizio della lotta per l’indipendenza, l’unione e la libertà. E il Popolo risponde nella seconda parte con un andamento in forte e rapida evoluzione da quel pianissimo e molto concitato al finale crescendo e accelerando fino alla fine. C’è da augurarsi che finalmente vengano superate le esecuzioni a marcetta del nostro inno nazionale e che questa musica così profondamente impregnata della nostra storia migliore e degli ideali che hanno fondato la nostra nazione, si veda riconosciuta anche grazie a esecuzioni attente e curate la dignità che possiede. Per concludere un’altra citazione delle parole con cui Bersezio conclude il capitolo dedicato a Novaro; sono come un Le elaborazioni hanno finito col mascherare l’originale con caratteri impropri e fuorvianti. messaggio nella bottiglia affidato al mare del tempo che noi oggi ripeschiamo e che ci sembra indirizzato proprio a noi: «C’è nello svolgersi della tua melodia, o sacro inno, un non so quale misterioso incanto, che ci penetra, che ci fa scorrere per le membra un brivido soave e potente, che ne innalza lo spirito a più sereni cieli, che ci fa capaci di comprendere e di compiere le gesta degli eroi. Anche oggidì, nell’attuale intorpidimento della coscienza pubblica, nell’offuscarsi di quelle idealità a cui s’è ispirato quel canto della lotta, anche per le giovani generazioni che non assistettero alle meraviglie dell’epoca nazionale, quando per le piazze d’Italia vibrano quei magici suoni, la corrente elettrica degli entusiasmi percorre le epidermidi della folla, il calore d’una fede par che vi sollevi il petto. Oh! caduti all’ombra del vessillo tricolore gridate coll’autorità del vero eterno che splende ai vostri occhi “Siate concordi, siate provvidi al sollievo delle sociali miserie, siate nostri degni figli, siate liberi, siate italiani!”». la felice fusione tra arte e fede Intervista a Valentino Miserachs a cura di Walter Marzilli Maestro Miserachs, lei è preside del Pontificio Istituto di Musica Sacra dal 1995. Come si pone l’istituto all’interno del panorama della musica sacra nel mondo? Gli studenti provengono da tutto il mondo, quindi l’azione didattica dell’istituto ha automaticamente una rispondenza globale e un risultato che si estende dappertutto. Molti studenti sono sorretti da borse di studio provenienti dai loro paesi, i quali investono sul loro futuro. Negli ultimi anni, seguendo il volere della Chiesa, abbiamo istituito un corso per operatori liturgico-musicali (denominato OLM) dedicato espressamente agli studenti provenienti dai paesi dove non esistono molte possibilità di studi musicali. In questo modo anche questi studenti possono apportare il loro contributo ai loro paesi. Sono inoltre numerosi i patrocinii e le affiliazioni che abbiamo concesso nel corso degli anni a importanti istituzioni musicali e culturali all’estero, come del resto anche in Italia. Per quanto riguarda l’universalità dell’istituto dobbiamo necessariamente ricordare come il canto gregoriano sia tuttora la “lingua musicale universale” nel mondo cattolico. Anche in Africa lo si canta. Per questo il messaggio che si espande nel mondo partendo dal Pims è tuttora valido e universale. Inoltre accogliamo candidati al dottorato anche da paesi stranieri con ottimi risultati. Esistono sbocchi professionali per uno studente che termina il percorso di studi al Pims? L’insegnamento e la professione specifica di organista, direttore di coro, musicologo, compositore e gregorianista sono gli sbocchi principali che attendono i nostri studenti al termine degli studi. Dobbiamo ammettere che una volta il passaggio era più facile, ma non mancano tuttavia nemmeno ora molte occasioni di impiego. Gli studenti stranieri soprattutto, ma anche gli italiani, sono destinati a ricoprire importanti incarichi nelle cappelle musicali, nelle istituzioni artistiche e nelle università dei loro paesi. Come dicevo prima i loro paesi di provenienza investono molto su di loro in termini economici e di fiducia, quindi si aspettano un riscontro positivo, che puntualmente avviene. Il Pims ha inoltre aderito alcuni anni fa al cosiddetto “processo di Bologna”, che prevede la suddivisione dei corsi in trienni e bienni di specializzazione: il riconoscimento dei relativi crediti ECTS è una garanzia per gli studenti. Abbiamo anche posto in essere alcuni protocolli di intesa con alcuni conservatori italiani e stranieri, che garantiscono un proficuo scambio intellettuale, culturale e didattico. valentiono compositorE 22 ante litteram. L’oratorio prevede quattro solisti (mezzosoprano, tenore, baritono e basso cantabile), coro e grande orchestra sinfonica. La tematica gregoriana (e testuale) della liturgia del Corpus Domini, unitamente a inni popolari catalani, riveste di note il bel poema catalano di Climent Corner e i testi stupendi di S. Tommaso d’Aquino. Il Pims ha da poco festeggiato il centenario della sua fondazione (1911-2011) con un grande congresso internazionale, del quale abbiamo parlato in un precedente numero di Choraliter. Quali sono stati i riscontri dalla comunità accademica e musicale? Al congresso sono intervenuti come relatori grandi personalità del mondo musicale e accademico provenienti da tutto il mondo. L’elenco sarebbe troppo lungo, cito per tutti Dom Philippe Dupont osb, Abate di Solesmes. Da tutti abbiamo ricevuto parole di grande apprezzamento. Posso anche dire che c’è grande attesa nei confronti della prossima pubblicazione degli atti. I temi trattati sono stati molti e molto vari, dal canto gregoriano alle questioni legate al processo di inculturazione, dal mondo della didattica a quello della liturgia, e tutti hanno suscitato un vivo dibattito tra i presenti, e molte aspettative. Ritiene che l’oratorio oggi costituisca una forma di espressione artistica ancora valida? Parliamo prima della fuga. Essa contiene in sé elementi costitutivi insostituibili per la formazione compositiva dello studente, tanto da porla tra le attività didattiche imprescindibili per chi voglia formare la propria sensibilità basandosi sui canoni estetici dell’armonia, del buon movimento delle parti, della perfezione dell’intreccio polifonico ecc. Nonostante questo, difficilmente una fuga può trovare spazio in un programma da concerto. Tantomeno in una liturgia. In questo senso l’oratorio, oltre a contenere elementi importantissimi della composizione quali l’orchestrazione, la cantabilità, l’intervento di solisti, del coro ecc. mantiene in se una eseguibilità e una fruibilità che gli permettono di entrare di diritto nei programmi da concerto. Non solo, aggiungerei quanto sia facile estrapolare un brano dall’oratorio per inserirlo nelle celebrazioni liturgiche, in quanto composto su testi sacri e appropriati. Inoltre vorrei aggiungere che ogni compositore si sente portato per un dato genere musicale. Ritengo valida la forma dell’oratorio innanzi tutto per me stesso, poiché esso riassume come dicevo il canto solistico, il coro, le pagine sinfoniche e, diciamolo pure, il “teatro”, il costrutto di un’azione. Se il libretto non contiene un’azione, allora me la Il canto gregoriano è la “lingua musicale universale” nel mondo cattolico. Guardiamo alla sua attività di compositore. Lei ha scritto molti oratori, e anche quest’anno la stagione dei concerti del Pims si chiuderà con il suo ultimo lavoro. Ce ne può parlare? Innanzitutto con la presentazione di quest’oratorio dal titolo Noces de Sang intendo dare un “saluto” musicale alla scadenza del mio lungo mandato come preside del Pims (17 anni!). È un lavoro che amo moltissimo, non solo perché l’ultimo, ma perché ritengo che sia un lavoro ben equilibrato sotto ogni punto di vista, in cui arte e fede felicemente si fondono, costituendo un sincero ritratto di me stesso e di una trilogia di valori che è la struttura portante della mia vita: fede, patria, amore. Non ritengo il testo (catalano e latino) traducibile in altre lingue; verrà fatta una traduzione ad sensum in italiano, indispensabile per seguire l’argomento. L’oratorio è stato composto per commemorare il millenario di un prodigio eucaristico avvenuto nel 1011 in un piccolo centro della Catalogna, del tutto simile al prodigio di Bolsena, avvenuto però più di due secoli prima. È quindi un cantico all’Eucaristia nella cornice della festa di un “Corpus Domini” invento. Non per nulla sono e mi sento successore di Licinio Refice, autore di “azioni sacre” (per non chiamarle “opere”), quali Cecilia e Margherita da Cortona. Alle volte l’azione è addirittura metafisica, teologica, come nell’oratorio Beata Virgo Maria, che presenta la Madonna in tutto l’arco della storia della salvezza. Altre volte è frutto della mia fantasia, come nell’oratorio Noces de Sang secondo quanto ho già accennato. Qui si potrebbe parlare di un’azione di cui sono protagonisti il tempo (il succederci delle “ore canoniche”, dall’alba al tramonto) e la natura, di cui si avverte la progressiva mistica trasformazione in virtù del prodigio eucaristico. Posso constatare che l’ascolto di questi oratori coinvolge enormemente il pubblico e non dubito della loro forza catartica e spiritualmente costruttiva. Una persona mi disse dopo l’ascolto del Beata Virgo Maria: «è stata la più 23 Valentino Miserachs_______ Valentino Miserachs Grau è nato a Sant Marti Sesgueioles (Barcellona) nel 1943 e ha affiancato per tutta la giovinezza gli studi musicali a quelli teologici, filosofici e umanistici. Nel 1963 si è trasferito a Roma, presso il Pontificio Collegio Spagnolo, per compiere gli studi di teologia alla Pontificia Università Gregoriana, dove nel 1967, dopo essere stato ordinato sacerdote, ha ottenuto la licenza in Sacra teologia. Nel campo musicale ha conseguito la licenza in Canto gregoriano e il magistero in Composizione sacra al Pontificio Istituto di Musica Sacra (con il maestro Domenico Bartolucci) e i diplomi in Composizione e in Organo e composizione organistica, con il massimo dei voti, presso il Conservatorio N. Piccinni di Bari, dopo aver frequentato il Conservatorio A. Casella de L’Aquila (con i maestri Armando Renzi e Anna Maria Polcaro) e quello di Santa Cecilia in Roma (con il maestro Fernando Germani). È stato organista della Cappella Giulia in San Pietro e, dal 1973, è Maestro della Ven. Cappella Musicale Liberiana della Basilica di Santa Maria Maggiore, per la quale ha composto numerosi lavori destinati al solenne servizio liturgico. È Canonico della Patriarcale Basilica di Santa Maria Maggiore, Prelato d’Onore di Sua Santità e Protonotario Apostolico. È stato docente di Composizione presso il Conservatorio E.R. Duni di Matera e, dal 1995, è Preside del Pontificio Istituto di Musica Sacra, dove è professore ordinario di Composizione e di Direzione polifonica. Ha tenuto numerosi concerti, in Italia e all’estero, nella veste di organista e di direttore di cori e orchestre. È collaboratore abituale della Radio Vaticana. Tra le sue composizioni figurano gli Oratori Beata Virgo Maria, Ecclesiae Christi typus et mater, Stephanus, Isaia, Mil anys, Pau i Fructuós e Noces de Sang per soli, coro e orchestra; i poemi sinfonico-corali Nadal ed Esclat berguedà; la Suite manresana e Pucciniana per grande orchestra; un’infinità di musica liturgica in latino e nelle lingue vive… Le sue composizioni sono pubblicate dalla Cappella Liberiana e dal Pims, dalle Edizioni Carrara, Paoline ed LDC di Torino. Di parte di quest’ultime è stata effettuata anche la registrazione su cd. Tra le onorificenze conferitegli figurano il titolo di Officier de l’Ordre des Arts et des Lettres e di Chevalier de la Légion d’Honneur della Repubblica francese, la Encomienda de Alfonso X el Sabio dello Stato spagnolo e la Creu de Sant Jordi della Generalitat della Catalogna. È canonico onorario della Cattedrale metropolitana e primaziale di Tarragona. È Accademico pontificio. bella lezione di catechesi della mia vita». Peccato che sia così difficile allestire le esecuzioni, anche se per fortuna c’è il sussidio dei cd o dei dvd. Lei compone e insegna da una vita. Che cosa cerca quando legge una partitura di musica sacra contemporanea? E c’è qualcosa che preferirebbe non trovarci? Vi cerco la coerenza, la solidità della costruzione architettonica. E vorrei anche che la musica non rinunciasse agli elementi costitutivi di sempre: melodia, armonia, contrappunto, bella orchestrazione o sapiente trattamento dell’organo, del pianoforte o del coro. Cosa preferirei non trovarci? Lo sperimentalismo fine a se stesso. Dubito della sincerità di certi linguaggi ermetici e contorti… Dopo tanti anni di attività, dove trova l’ispirazione per scrivere ancora con tanta fluidità? Sarà come il vino che, invecchiando, diventa più buono… Mi è difficile mettermi al lavoro, ma quando riesco a superare questo primo ostacolo, si apre il rubinetto, e ne cola sempre un filino d’acqua zampillante, che indubbiamente mi viene concesso dall’alto. È la famosa “scintilla”, che a nulla varrebbe se non ci fosse la preparazione tecnica e l’esperienza di tanti anni di lavoro. Lei dirige la Venerabile Cappella di Santa Maria Maggiore in Roma dal 1973. Si tratta di una istituzione antichissima, e tra i suoi predecessori ci sono stati insigni musicisti, dei quali lei ha proseguito le gesta. Ci può dire come è organizzata la Cappella Musicale Liberiana e come si svolge la vostra attività musicale? La Cappella Liberiana svolge ovviamente una continua attività liturgica, ma accanto a essa è impegnata in numerosi concerti. I servizi capitolari raggiungono il centinaio ogni compositorE 24 anno. Durante le liturgie usiamo spesso l’organo concertante e gli ottoni, che danno ampiezza e solennità alle parole pronunciate dal coro. Il canto gregoriano, la polifonia e l’organo sono i punti fermi della nostra attività liturgica, secondo i dettami del Concilio Vaticano II. L’organico base della Cappella è costituito dalle voci virili, cui si aggiunge nelle solennità un gruppo femminile (vista la difficoltà di avere i “pueri”). Ho garantito quarant’anni di magistero, cercando di essere fedele alla grande tradizione dei miei illustri predecessori (fra i recenti il già nominato Refice e Bartolucci, fra gli antichi Palestrina, Scarlatti, e via dicendo), potendo affermare con sano orgoglio che l’attività prestigiosa della Cappella Liberiana non è stata mai interrotta sin dalla sua fondazione, avvenuta nel XVI secolo. Lei è chiamato spesso a presiedere giurie di concorsi di canto corale in Italia e all’estero. Come giudica lo stato dell’arte dei cori italiani e dei loro direttori? Una volta il direttore, nella migliore delle ipotesi, era uno strumentista prestato alla direzione. Adesso la figura del direttore di coro è in continua caratterizzazione e in costante crescita artistica, di contenuti e di approfondimenti musicologici. Quindi i cori risentono positivamente di questa maturazione. I cori italiani hanno perseguito e finalmente raggiunto una loro espressività e cantabilità specifiche, seguendo gli stilemi della tradizione mediterranea, e hanno smesso di imitare i cori stranieri. Questa presa di coscienza è relativamente recente. Se ne vedranno ancora maggiori risultati positivi nel futuro. Vorrei che la musica non rinunciasse agli elementi costitutivi di sempre. Da più parti viene invocato il ritorno a una musica di qualità nelle chiese italiane. Recentemente anche Riccardo Muti si è espresso in tal senso. Lei ha una formula magica? L’impegno dei singoli dovrebbe essere sostenuto da una chiara e ferma volontà da parte delle Autorità della Chiesa. Ma l’autorità è un concetto in crisi, come tanti altri, e più passa il tempo più è grave il problema e più difficile diviene affrontarlo e tentare di risolverlo. Noi possiamo solo tentare di agire con autorevolezza, e sperare che il buon esempio dia qualche frutto, il che di sicuro avviene, come da più parti ho potuto costatare. Principali composizioni di Valentino Miserachs Mottetti e inni per il tempo per annum e ricorrenze varie, Cappella Musicale Liberiana, Roma, 2007 Mottetti Eucaristici e di Comunione, Cappella Musicale Liberiana, Roma, 2007 Mottetti e inni per i tempi forti dell’anno liturgico, Cappella Musicale Liberiana, Roma Antifone, mottetti e inni mariani, Cappella Musicale Liberiana, Roma Liber Missarum I, Ven. Musicorum Liberianum Collegium, 2010 Liber Missarum II, Ven. Musicorum Liberianum Collegium, 2010 Cantus inter lectiones solennità, domeniche e feste anno A Cantus inter lectiones solennità, domeniche e feste anno B Cantus inter lectiones solennità, domeniche e feste anno C Composizioni organistiche, Ed. Carrara, Bergamo, 2005 Obra vocal catalana, vol. I Obra vocal catalana, vol. II Suite Manresana, per orchestra Paolo e Fruttuoso, oratorio per soli, coro e orchestra Nadal, poema sinfonico-corale in due parti Pucciniana, fantasia sinfonica su temi del maestro Beata Virgo Maria, Ecclesiae Christi typus et mater, oratorio in un prologo e tre atti per soli, cori e orchestra Stephanus, oratorio per soli, coro e orchestra Els pastorets de Calaf, musique d’escena de l’espectacle nadalenc per Cobla i veus Noces de sang, oratori del millenari del Sant Dubte d’Ivorra, per a veus solistes, cor i orquestra L’elenco completo delle composizioni di Valentino Miserachs è disponibile sul sito www.feniarco.it 25 Un ponte tra il vecchio e il nuovo di Josep Solé Coll organista presso la basilica di santa maria maggiore e san lorenzo fuori le mura a roma Il compositore di Adoramus te, Christe Catalano di nascita, romano di adozione, Valentino Miserachs è un punto di riferimento ineludibile nell’ambito della musica liturgica e religiosa della Chiesa cattolica e romana. Nella sua vita possiamo parlare di tre persone che ne hanno determinato la personalità: P. Lluis Farràs riguardo alla sua vocazione sacerdotale e i maestri Francesc Vives e Armando Renzi riguardo a quella musicale. Due vocazioni che ne fanno una sola: «La musica è stata per me il percorso provvidenziale con il quale ho potuto sviluppare il mio sacerdozio». In Catalogna, insieme al maestro Vives, oltre a imparare le basi della musica, la teoria, il solfeggio, il pianoforte e la composizione («Il musicista deve sapere fare tutto»), ebbe la possibilità di impregnarsi di tutto il contesto musicale e religioso dell’epoca: le più belle melodie sacre catalane composte da Nicolau, Millet e Romeu, dallo stesso Vives, insieme alle più note composizioni dei più famosi compositori. Da Bach, «stella polare della mia vita», al colorismo francese di Debussy, Ravel e Poulenc fino al clima sempre francese che respirano molte composizioni di Puccini, «autore per il quale sentivo una poderosa attrazione». A Roma, sotto la guida del maestro Renzi, che fu per lui «maestro, padre, e amico», poté penetrare nel profondo quella musica particolare, diatonica, grandiosa, proporzionata alla grandezza degli spazi architettonici della Chiesa Cattolica, che lo predispose a maturare la sua natura artistica. Ci troviamo quindi davanti a una grande personalità dai contorni eclettici, che spaziano dal canto gregoriano alla polifonia, da Bach e dalla musica di chiesa fino all’opera lirica, con un telaio fondamentalmente “classico”, arricchito dai preziosismi della musica moderna francese. Il brano Il brano oggetto di analisi è il mottetto Adoramus Te, Christe per 4 voci dispari, scritto nel 1999 per il tempo di Quaresima. È stato pubblicato nel volume Mottetti e Inni per i tempi forti dell’Anno Liturgico, Edizioni Cappella Liberiana, Roma, 2007. Il testo, in latino, recita così: R. Adoramus Te, Christe, et benedicimus tibi. V. Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum. Ecco la traduzione in italiano: R. Ti adoriamo, Cristo, e ti benediciamo. V. Perché con la tua santa croce hai redento il mondo. Ci troviamo davanti una breve ma intensa preghiera in forma di responsorio, che può essere recitata o cantata (normalmente in tono di do) e che si ripete alla fine di ogni stazione della Via Crucis. Tanti compositori (Palestrina, Aichinger, Brahms…), hanno musicato questa piccola formula responsoriale che, attraverso l’unificazione della domanda e della risposta, è diventata un’unica composizione. Di stile contemplativo, essa può essere eseguita durante l’offertorio o la comunione delle messe del Tempo di Quaresima, in particolare durante la Settimana Santa, nonché il 14 settembre, festa dell’Esaltazione della Santa Croce, oppure il 3 maggio, festa dell’Invenzione della Santa Croce. Da un punto di vista formale, vogliamo definire questo brano come mottetto, ma solo nella sua eccezione contemporanea di “breve componimento”. Sappiamo infatti che oggi il termine mottetto privato di ogni riferimento formale originario, indica qualsiasi composizione sacra non appartenente al ciclo dell’ordinario della messa (Kyrie, Gloria…). Ma proviamo a entrare all’interno del brano, dentro la musica. La tonalità di impianto è sol maggiore, a tratti elegantemente influenzato dal modo tetrardus. Globalmente possiamo dire che è diviso in due parti separate, nel rispetto appunto della citata forma responsoriale: la domanda del celebrante, in tempo ternario (batt. 1-32): e la risposta dell’assemblea, in tempo binario (batt. 33-73): Dentro la prima parte troviamo la prima idea: “Adoramus te, Christe” proposta dal soprano e imitata dal tenore; segue la sua risposta musicale “et benedicimus tibi”, proposta ancora dal soprano e imitata dalle altre voci. Il compositore, mutando lievemente qualche nota, sfrutta tali imitazioni per proporre due cadenze: la prima a metà della sezione e l’altra alla fine. Le due cadenze sono apparentemente simili ma sostanzialmente diverse. Alle battute 14-15 troviamo quindi la prima cadenza, basata su una struttura armonica di tipo modale, e alle battute 30-31 la seconda, di tipo tonale. Entrambe usano il do diesis, ma la 26 2727 prima come nota di passaggio, giacché l’armonia è mi/si (quinto grado del relativo senza sensibile, come prevede il modo tetrardus) e la seconda come quinto grado del quinto (la7/re), addirittura con la settima, per finire la prima parte sul tono della dominante della tonalità di impianto (come succede – tra l’altro – in quasi tutte le composizioni classiche tonali). La seconda idea finisce, come accennato in precedenza, con la cadenza IV/I, che stando sopra la dominate ci fa sentire un intervallo di nona, molto ricorrente nelle opere dell’autore. Con la terza e ultima idea (batt. 66-73), dopo lo scandalo della croce e la tragedia della morte resi con un’armonia alquanto trasgressiva, arriva la redenzione e la salvezza del popolo cristiano: alle parole “hai redento il mondo”, un lontano scampanio proposto dai bassi, l’armonia si fa serena e limpida; tutto concorre a innalzare il cuore e la mente. Il mottetto si conclude con semplicità, speranza e gratitudine. goffredo petrassi: Coro di morti di Mauro Zuccante L’aggancio con la seconda parte (batt. 32-33) è del tutto modale re/la (con il do naturale), sempre in stile tetrardus. L’ascoltatore è condotto con naturalezza alla seconda parte del brano. Infatti, dopo una cadenza fortemente tonale, l’autore prosegue con il tono della dominante in minore. Considerando che ci sono tre cadenze (una perfetta V/I grado, una plagale IV/I grado sopra la dominante e l’ultima di nuovo plagale sopra la tonica) e stando anche alla descrizione del testo, possiamo suddividere questa seconda parte in tre idee. La prima (batt. 33-55): Essa viene sviluppata a modo di progressione modulante irregolare. L’autore la trasporta in diverse tonalità, facendola passare attraverso varie voci, senza seguire un ordine preciso, secondo il seguente schema: soprani (la) - contralti (si) - soprani (mi) - tenori (la) - soprani (fa) - bassi (re) - soprani (sol), per poi concludere attraverso la successione di VI-II-V-I grado. Per concatenazione, arriva la seconda idea (batt. 55-65). Certamente la più intensa. Per sottolineare la drammaticità di questo momento della vita di Cristo, l’autore usa la scala esacordale discendente. Si tratta di una tecnica usata da Debussy e dai suoi contemporanei che deriva direttamente dalla modalità, e che prevede l’uso della vecchia “falsa relazione di tritono” – ma per Palestrina, ad esempio, non era né vecchia né falsa. Con l’avvento della tonalità questa affascinante relazione armonica fu progressivamente accantonata, per essere riscoperta solo dopo la crisi del sistema tonale, alla fine dell’Ottocento. Conclusione Potremmo terminare dicendo che questo mottetto esprime in poche pagine tutta la personalità del compositore. Usando ancora le parole della presentazione dell’autore, proferite da lui stesso in una conferenza al Conservatorio A. Casella de L’Aquila in occasione del quarto Corso per Organisti e Maestri di Cappella nel 2004, ci troviamo veramente davanti a una «personalità eclettica che spazia dal canto gregoriano alla polifonia», non solo per il modo elegante in cui combina tonalità e modalità, ma anche per la sua capacità di rivisitare, riscoprire e attualizzare in maniera del tutto personale formule e stilemi propri del passato. Riconosciamo anche Bach nel suo dominio del contrappunto, nella proporzione della forma, nella descrizione del testo, il che trasfigura la sua “musica” in “musica sacra”, che fa cantare la Parola di Dio. Non possiamo dimenticare la propensione al lirismo, al senso teatrale: la cantabilità delle frasi, i punti culminanti posti in modo strategico per creare quel susseguirsi di tensione e distensione che tiene l’ascoltatore sempre in bilico. Infine i momenti drammatici, quelli di elevazione spirituale… Al termine di questo scritto sembra opportuno parlare dei «preziosismi della musica moderna francese» cui facevamo riferimento all’inizio. Tutto il mottetto (e una grande parte della sua musica) respira questo clima. La prima frase ci fa sentire subito l’accordo di sesta laterale, introdotto da Rameau e usato frequentemente dagli impressionisti. Globalmente notiamo che come Debussy, Ravel e Poulenc, l’autore usa la modalità come base armonica, e ancora come loro e i loro contemporanei dosa con abilità e delicatezza alterazioni, dissonanze, appoggiature. Con tutto ciò Miserachs fa in modo che nella sua musica sia sempre presente un ponte tra il vecchio e il nuovo. Questo è il principale motivo per cui la sua musica è e rimarrà sempre unica nell’incarnazione del principio fondamentale del rinnovamento voluto dal Concilio Vaticano II: Nova et Vetera, Conservare et Promovere. La rubrica Nova et Vetera si presta a ospitare il commento di un’opera, in cui il corto circuito tra antico e moderno sta all’origine di un risultato artistico di assoluto valore. Il Coro di morti di Goffredo Petrassi (1904-2003) si colloca in questa prospettiva. Coro di morti è una composizione su testo della canzonetta che introduce al Dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie, nelle Operette morali di Giacomo Leopardi. La concezione del lavoro risale al giugno del 1940, all’indomani della dichiarazione di guerra da parte dell’Italia a Francia e Gran Bretagna. La partitura è stata portata a termine un anno più tardi ed eseguita per la prima volta il 28 settembre 1941 alla Fenice di Venezia, sotto la direzione dello stesso autore (maestro del coro Sante Zanon). Quali sono le ragioni per cui si ritiene che quest’opera sia un esempio appropriato di ponte gettato tra antico e moderno? Per rispondere a questa domanda dobbiamo considerare i due livelli sui quali Petrassi imposta il discorso musicale. Su un piano il coro di voci maschili, sull’altro il complesso strumentale (tre pianoforti, ottoni, contrabbassi e percussione). Due corpi sonori che fanno riferimento a maniere espressive diversificate. Le voci tendono a un modalismo diatonico, che richiama lo stile della polifonia antica, mentre gli strumenti esplorano una scrittura più libera e moderna, proiettata nella sfera del cromatismo integrale e dell’atonalità. Anche dal punto di vista ritmico c’è un’evidente differenziazione tra le due sezioni. Le voci procedono secondo frasi curvilinee, nel rispetto della naturale accentuazione declamatoria del testo: «Il respiro della musica e quello della poesia concordano. […] Una patina di antica nobiltà che si accorda ottimamente con la nobiltà dell’endecasillabo: sono due classicità, l’una letteraria e l’altra musicale, che si fanno buona compagnia» (M. Mila, Introduzione analitica alla partitura del Coro di morti, Milano, 1953). Gli strumenti, al contrario, presentano figurazioni dai tratti spezzati, dagli scatti bruschi e dalle misteriose accentuazioni, irregolari e asimmetriche. Alcune brevi esemplificazioni per chiarire queste affermazioni. Partiamo dalle voci, la cui conduzione segue principi di antica impostazione. C’è un morbido motivo (una specie di idée fixe ricorrente), così ben delineato, che s’imprime nella memoria fin dal primo ascolto. coro di Es. n. 1 nova et vetera 28 L’analogia di questa apertura vocale con l’incipit dello Stabat Mater di Palestrina è evidente. Es. n. 5 Es. n. 6c 29 Es. n. 7b Es. n. 2 Il coro procede spesso in omoritmìa, o addirittura in omofonia. In questo episodio si distende in una melodia di corale di intensa cantabilità. Dissonanti e spettrali accordi di nona, per quinte e quarte, e cluster di terze, nelle zone estreme delle tessiture strumentali. Es. n. 6a Es. n. 6d Es. n. 3 Es. n. 7c I passaggi polifonici sono concisi, regolari e quasi statici nella loro prevedibile simmetria. Es. n. 4 Es. n. 6b Colpi duri, secchi e metallici, lampi di luce improvvisi, bagliori che accecano nell’atmosfera allucinata e pesante di oscurità prevalente. Es. n. 7a Spirali di grandi intervalli che, avvitandosi su se stesse come enigmatici arabeschi, coprono pressoché interamente la gamma cromatica. Es. n. 8 Passiamo agli strumenti. Le loro parti sono caratterizzate da gesti e cellule sonore estremamente mobili; brevi e scheletrici motivi dal profilo moderno e dissonante, che agiscono in un contesto di costante mutazione e instabilità. Oscuri e profondi ostinati, somiglianti a indistinti e deformi agglomerati materici magmatici. nova et vetera 30 Allucinati motivi di nenia che emergono come «confusa ricordanza» del vivere. Es. n. 9 Da queste osservazioni emerge un quadro di dicotomia stilistica, difficilmente sintetizzabile. Eppure il compositore mantiene dei nessi di raccordo tra la dimensione vocale e quella strumentale, in apparenza così lontane e antitetiche nella scrittura. Quali sono questi punti di contatto? Quali sono le corrispondenze che pongono i due piani sonori su un ordine di contiguità? Innanzitutto la qualità timbrica. Da un lato Petrassi opta per la colorazione scura del coro maschile, escludendo dalla compagine le voci femminili. Dall’altro niente strumenti “ruffiani”. Al bando violini, viole e legni; rimane un singolare organico scarno e duro: l’incorporeo agglomerato delle percussioni (al cui gruppo ascriviamo anche i tre pianoforti), il metallico drappello degli ottoni e la massa scura dei contrabbassi. Un impasto sonoro adatto a disegnare l’ambiente arcano e atemporale, dal quale emergono le voci cavernose delle anime morte. Insomma, gli strumenti circoscrivono quello spazio scenografico fantomatico, nel quale peregrinano gli «aridi spirti», nel quale prendono corpo le gravi voci di quelle «ignude nature». Alla continuità timbrica tra coro e strumenti si aggiunge una corrispondenza concettuale. Un’interazione dialettica tra uomo e ambiente. «L’uomo (si badi non la sua ombra, il suo riflesso, ma l’uomo reale, il coro d’uomini carico di storia, di echi anche musicali semanticamente definiti nelle stratificazioni stilistiche) che procede in mezzo a un paesaggio stravolto, irreale crudele. Da qui, dal contrappunto di questi due elementi, il dramma prende forma perfettamente omogenea, e la divaricazione del materiale si dimostra perfettamente idonea a esprimere l’annientamento leopardiano» (A. Gentilucci, Guida all’ascolto della musica contemporanea, Milano, 1969). Ha ragione Gentilucci quando parla di effetto drammatico. In vero, egli non fa che esplicitare l’autentico significato del sottotitolo dell’opera: madrigale drammatico. Un significato che va oltre il riferimento storicostilistico dell’antica prassi monteverdiana, che pur si denota. Un significato che approda alle soglie della rappresentazione sonora di un dramma filosofico-morale, evocato nelle profonde meditazioni del testo poetico. Un compito temerario quello di tradurre in musica i versi del grande poeta di Recanati, traboccanti di divagazioni metafisiche. Ma l’ardua prova è ben superata da Petrassi, grazie all’impostazione in questione del discorso musicale su due livelli opposti, eppur comunicanti: antico e moderno, trapassato e vivente, classico e contemporaneo. Vien da ipotizzare che la dedica «a G. P.» (cioè a se stesso) si possa intendere sia come il turbamento dell’artista di fronte allo scoppio degli eventi bellici, sia come una sua necessità di indagare il senso della vita e della morte, ma anche come il compiacimento per aver trovato la giusta chiave espressiva, per parafrasare musicalmente un testo poetico-filosofico di contenuto assoluto e trascendente. A conferma di questa proiezione estetica nel regno della metafisica, rappresentata dalla composizione del Coro di morti, merita ricordare che Petrassi (cattolico, poco praticante) si curava di stabilire una differenza tra fede e religione. Per cui egli affermava di aver maturato nell’arco della sua esistenza una «religiosità del pensiero e religiosità in senso metafisico», a scapito della mera pratica religiosa. Questa asserzione può spiegare le motivazioni che stanno alla base della scelta di mettere in musica il testo leopardiano. Dice Petrassi: «Ho ritenuto che si trattasse di un testo fornito di una mistica laica non troppo distante dagli interrogativi che ci può porre la religione» (Autori vari, Petrassi, a cura di E. Restagno, Torino, 1986). È impossibile non riconoscere che Coro di morti ha come modello ispiratore la Sinfonia dei salmi di Stravinsky. Lo confermano le parole del compositore: «Fu proprio la folgorazione della Sinfonia dei salmi a determinare la mia devozione per Stravinsky, una devozione che devo dire, ahimè, Il respiro della musica e quello della poesia concordano. mi ha segnato non dirò per sempre, ma certo per molti anni. […] La Sinfonia dei salmi con la sua tenuta musicale, con il timbro con cui venivano sollecitate le parole, con il finale laudatorio del tutto opposto alle laudazioni del periodo barocco, oppure alle laudazioni che avevo in mente come reminiscenze infantili, costituiva qualcosa di completamente nuovo e diverso, qualcosa capace di smuovere la mia esperienza più profonda degli archetipi antichi e di trasformarla in qualcosa di attuale che improvvisamente scoprivo presente in me» (Autori vari, op. cit.). Ma se da un lato la Sinfonia dei salmi rappresenta una luminosa apertura e una celebrazione positiva dei valori trascendenti della fede cristiana; Coro di morti, dall’altro, commemora, nella dimensione di una sacralità del tutto terrena, la solitudine e l’annientamento della natura umana. In conclusione, ecco un sintetico schema formale dell’opera, utile come guida all’ascolto. «Il testo leopardiano, costituito da trentadue endecasillabi e settenari, è diviso in cinque periodi, con quattro punti fermi, ma con i due ultimi periodi legati strettamente tra loro. Da questa strutturazione deriva quella petrassiana, che allinea quattro episodi corali e che possiamo così illustrare:» (R. Zanetti, La musica italiana nel Novecento, Busto Arsizio, 1985) SEZIONI I. Riposo nella morte II. Vuotezza della nuova situazione III. Confusa memoria della vita IV. Concezione atona e privata di emozioni dopo la morte 31 TESTO BATTUTE Andante lento Introduzione strumentale 1-11 vv. 1-6 Sola nel mondo eterna, a cui si volve Ogni creata cosa, In te, morte, si posa Nostra ignuda natura; Lieta no, ma sicura Dall’antico dolor. 12-25 Transizione strumentale 24-31 vv. 6-13 Profonda notte Nella confusa mente Il pensier grave oscura; Alla speme, al desio, l’arido spirto Lena mancar si sente: Così d’affanno e di temenza è sciolto, E l’età vote e lente Senza tedio consuma. 32-71 Moderato Scherzo strumentale 72-124 Andante lento vv. 14-20 Vivemmo: e qual di paurosa larva, E di sudato sogno, A lattante fanciullo erra nell’alma Confusa ricordanza: Tal memoria n’avanza Del viver nostro: ma da tema è lunge Il rimembrar. 125-152 Tempo dello scherzo (Sostenuto, da batt. 181) Transizione strumentale 159-204 Moderatissimo vv.20-22 Che fummo? Che fu quel punto acerbo Che di vita ebbe nome? 205-218 Transizione strumentale 219-225 Cosa arcana e stupenda Oggi è la vita al pensier nostro, e tale Qual de’ vivi al pensiero L’ignota morte appar. 226-238 Transizione strumentale 238-244 Come da morte Vivendo rifuggia, così rifugge Dalla fiamma vitale Nostra ignuda natura; Lieta no ma sicura, Però ch’esser beato Nega ai mortali e nega a’ morti il fato. 244-264 Conclusione strumentale 265-277 vv. 23-26 vv. 26-32 canto popolare 32 Arcaico e Archeologia musicale La vicenda di Annamarii, donna Walser di Luca Bonavia etnomusicologo e direttore del laboratorio corale cantar storie Notizie dagli scavi Il ritrovamento avviene, come spesso accade, senza alcun preavviso. L’ascolto di una saltellante e provvisoria musicassetta, proveniente dal piccolo borgo di Macugnaga, in Valle Anzasca,1 anima in un nulla lo spirito dei ricercatori, che avviano quel lento e guardingo cammino d’avvicinamento ben noto a tutti gli etnomusicologi attivi sul campo, vagabondi e raminghi tra chiese, villaggi e osterie. Un corteggiamento invisibile che sfiora rapporti di parentela e amicizia sottili come ragnatele, così facili a spezzarsi. Ma finalmente, la rivelazione è raggiunta: quelle voci in canto, uomini all’inizio, donne in risposta, distese su un tappeto d’antiche fisarmoniche, hanno ora un nome, si conosce dove sta la loro casa, e la “campagna di scavi” può veramente cominciare. O Annamarii - Il reperto Voci di donne, altre voci di uomini. Un brandello di tempo, inconsistente, sembra sia fatto di nulla, eppure esce dagli autoparlanti in cuffia e seduce il ricercatore seduto al suo tavolo, con matita e fogli bianchi. Comincia la fase dell’analisi, dell’approfondimento silenzioso: luogo di raccolta, un paese, una valle. E una lingua, sconosciuta ai più: è quella del popolo Walser, gli “Uomini della Montagna”, 2 che con le loro tribù alemanne – a partire dagli ultimi secoli del Medioevo – abbandonarono le proprie terre d’origine, cercando nuovi avventurosi insediamenti lungo le più alte valli delle Alpi centrali e occidentali. A partire dalla Savoia e Valle d’Aosta, lungo Piemonte, Lombardia, Liechtenstein, Svizzera, e sino a Voralberg e Tirolo in territorio austriaco: un arco di usanze e tradizioni, alimentari, giuridiche, architettoniche, religiose, morali… la cosiddetta “Questione Walser”. È alquanto estesa la bibliografia di studi, saggi e ricerche dedicate ai molteplici aspetti che connotano tale cultura, ulteriormente arricchita in tempi recenti da nuovi e interessanti contributi.3 Appare ancora scarsa, però, la parte d’analisi dedicata alla dimensione musicale, e nello specifico ai canti della tradizione orale, quelli che, impropriamente e superficialmente, siamo soliti chiamare popolari. Non mancano, nel corso degli ultimi decenni, esempi di ricerche apparentemente rivolte allo studio di canti e ballate, 4 ma guidate in realtà da approcci “parziali”, limitati cioè al mero aspetto lirico-letterario, alle tematiche affrontate, alle occasioni e modalità d’esecuzione. Con un’unica eccezione5 Il ricercatore-etnomusicologo segue due direzioni, quella della trascrizione musicale e quella della trascrizione letteraria. Ricognizione archeologica È la fase del contatto, i ricercatori s’avviano in direzione di quella grande casa sotto a un monte ancor più grande, in compagnia di un evoluto magnetofono, ed è così che prende vita un nuovo, ulteriore corteggiamento, l’approccio di volti sconosciuti che accedono a un mondo che ha precisi confini, e vere e proprie regole per l’avvicinamento. Temi e tempi suggestivi e affascinanti, ma non è questo il luogo per parlarne: li ritroviamo così, allora, al ritorno a casa, qualche traccia acquisita da un microfono discreto, molte notizie, echi di voci a viaggiare. risulta assente una vera e propria trascrizione melodica, ed è ovunque impossibile risalire al materiale sonoro oggetto dell’acquisizione sul campo, rendendo vano qualsiasi tentativo di approfondimento.6 L’analisi del nostro “reperto” richiede dunque grande accuratezza, e un rigoroso senso di cura: il ricercatoreetnomusicologo (non è detto che le due figure coincidano, com’è infatti nel caso in questione) segue due distinte direzioni, quella della trascrizione musicale e quella della trascrizione letteraria. Entrambe fondamentali, e fondamentale è che vengano svolte con assoluta professionalità: non sono rari, ahimè, casi di trascrizioni approssimative, improbabili dal punto di vista metrico e musicalmente imprecise, così come testi e versi riportati sul foglio con dissennata trascuratezza. O Annamarii viene dunque accuratamente indagata: la melodia verrà ascoltata, pensata e decifrata con precisa sensibilità, distinguendo la libertà stilistica degli esecutori da ciò che contraddistingue l’essenza del canto (vedi, nell’esempio, la nota del trascrittore a calce della melodia), riproducendo sul rigo musicale tutto ciò che quell’esecuzione descrive, nella sua accezione melodica, armonica e ritmica. Nel contempo, il testo non verrà ricalcato alla cieca, ma sulla base di confronti e letture, non senz’aver consultato veri e indiscussi esperti della lingua utilizzata dai cantori.7 Una “scelta di campo” Ecco il risultato della prima fase del nostro lavoro d’indagine: è la scheda filologica,8 dove troviamo, nell’ordine, titolo dell’esito (e sua traduzione), trascrizione melodicoritmica, con indicazioni utili all’analisi, trascrizione del testo (la traduzione la troveremo in calce all’elaborazione), e altre notizie utili a ogni approfondimento: luogo e data di raccolta, informatore, esecutori, tonalità alla fonte, estremi d’archivio, trascrittori e note bibliografiche. Ora l’esito è in tutto e per tutto censito, e il nostro lavoro d’archeologi musicali potrebbe fermarsi qui. In molti casi, soprattutto nel recente passato, questo era l’unico obiettivo: decifrare l’esperienza orale e viverla come un “punto d’arrivo” per la ricerca etnomusicologica ed espressiva, là dove si cercava mediante “nuove” esecuzioni di riprodurre calligraficamente l’effetto dell’esito acquisito alla fonte.9 Pur nella libertà che tutti hanno di attuare le proprie “scelte di campo”, possiamo delineare una strada alternativa, quella che da anni anima il Progetto di Ricerca “Cantar Storie”, intrapreso dall’omonima Associazione in territorio ossolano.10 Là dove O Annamarii non costituisce un punto d’arrivo, bensì un vero e proprio “momento d’avvio”, per un nuovo e affascinante percorso di studio che ancor più somiglia all’archeologia, coinvolge nuovi attori e scopre inediti orizzonti. Giganti di pietra o vascelli d’arcaico? Esiti in lingua Walser, acquisiti tra gli orridi angusti di millenarie montagne: facile sarebbe definirli “giganti”, là da sempre e per sempre, custodi di pietra destinati a un’immortale immobilità. Ma lo sguardo dell’archeologo sa vagare lontano, e di fronte al relitto di una nave scovato tra le sabbie di un deserto, prova a lasciar libera la mente e i pensieri, per inseguire le rotte invisibili che la nave ha percorso, quando quel deserto era un mare, e quel mare un esteso ramo d’oceano. E raggiungere, allora, le terre ancora sconosciute dove quel navigare ha trovato i suoi momenti d’approdo. Così per O Annamarii, così per tutti quegli esiti di tradizione orale acquisiti dalle nostre ricerche in Piemonte, in Toscana, Veneto, Lazio e altrove, che pervicacemente ci s’ostina a chiamare “locali”, serrandoli a tripla mandata in polverosi forzieri, riducendoli a solitari e desolati giganti di pietra. Ma quando di un canto scovato tra le piccole case d’un paese in Val d’Ossola si vogliono inseguire le radici, è facile imbattersi in un autentico labirinto di versioni del medesimo esito, che ci sanno condurre lontano, sino a Trentino, Emilia e Abruzzo, e oltre, tra fiordi norvegesi, brughiere scozzesi e nomadi deserti. 11 È un vero e proprio viaggio nel tempo e oltre il tempo, che non conosce confini o barriere di lingua, religione o geografia: canti come vascelli, dalla prua esile e 33 Note 1. Macugnaga – situata all’estremità settentrionale del Piemonte, alle pendici del Monte Rosa – costituisce assieme a quella di Formazza una delle colonie Walser del territorio ossolano. 2. Si vedano come riferimento essenziale i volumi di Enrico Rizzi (I Walser, Fondazione Enrico Monti, Ornavasso, 2003) e Renzo Mortarotti (I Walser, Edizioni Giovannacci, Domodossola, 1979). 3. È stata recentemente compilata, e in costante aggiornamento, una bibliografia generale relativa alle colonie Walser alpine, riportata nell’ambito del sito web http:// www.walser-alps.eu 4. In particolare, si vedano i volumi di Emil Balmer (Die Walser in Piemont, Verlag. A. Francke AG, Bern, 1949), Aristide Baragiola (Folklore di Formazza, Arnaldo Forni Editore, 1981; Folklore di Val Formazza e Bosco Gurin, Fondazione Enrico Monti, Ornavasso, 2003), Emily Gerstner-Hirzel (Reime Gebete Lieder und Spiele aus Bosco Gurin, Schweizerische Gesellschaft für Volkskunde, Basel, 1985) e Max Waibel (Die volkstümliche Überlieferung in der Walserkolonie Macugnaga, Schweizerische Gesellschaft für Volkskunde, Basel, 1985). 5. Si fa riferimento al Canzoniere di Gressoney e di Issime, edito dal Centro Studi e Cultura Walser di Gressoney, Milano, 1991. 6. A tale scopo è stato intrapreso il progetto Walser Lied, a cura dell’Associazione Culturale Cantar Storie di Domodossola (www.cantarstorie.com, e-mail [email protected]), che ha sinora censito e archiviato oltre 100 esiti in lingua Walser, acquisiti nelle colonie piemontesi di Macugnaga, Formazza, Rima, Rimella, Alagna Valsesia, e nella colonia elvetica di Bosco Gurin. 7. Nel caso specifico l’esperto di riferimento è lo studioso elvetico Max Waibel. 8. La scheda filologica è pubblicata in Cantar Storie - volume 3, a cura di Luca e Loris Bonavia, ed. Grossi, Domodossola, 2003, pag. 50 [ndr]. 9. Il riferimento è al fenomeno del Folk Revival, diffuso in Italia negli anni ’60 e ’70. 10. Il progetto, oltre alla creazione di un archivio sonoro comprendente oltre 1.000 esiti acquisiti alla fonte, è confluito nella pubblicazione di un’opera in tre volumi (il quarto è attualmente in lavorazione), pubblicata dall’Editore Grossi di Domodossola negli anni 1999, 2001 e 2004, realizzati secondo una logica di “doppio binario”, affiancando dunque per ognuno degli esiti alla scheda filologica una elaborazione corale rivolta a organici a voci virili e a voci miste. 11. Naturalmente le considerazioni appena esposte si riferiscono a esiti di natura canto popolare 34 allungata, destinati a percorrere rotte pigre e raminghe, tra le insondabili nebbie dell’Arcaico.12 Il “musicista archeologo” Se O Annamarii è un punto d’avvio, da qui comincia la seconda fase del nostro viaggio di ricerca. A svolgerla è una nuova figura, che solo in rari casi coincide con il ricercatoreetnomusicologo: potremmo dire, semplicemente, il musicista, ma qui non ci si trova di fronte solamente a un rigo musicale, con note, pause e indicazioni di tempo. E nemmeno siamo di fronte a versi “d’autore”, composti ieri o chissà quando da un anonimo o ben noto poeta. Qui, dove ora siamo, non esiste “autore”, così come è vana ogni presunta “datazione” del nostro reperto. Testo e melodia coesistono, e forse un tempo non era così, come entità distinte e ora abbracciate in un’unica espressione. In più, come s’è detto, sotto al livello di superficie, quello dell’esito acquisito alla fonte, s’estende tutto un mondo di ramificazioni, biforcazioni e rimandi, tutto un magma di ricordi umani e (lo si può presumere) preumani,13 un percorso che non si limita al semplice trascorrere dei secoli, ma estende il proprio respiro ai millenni, e alle ere. Dunque, chi a quell’esito s’accosta, non lo fa con la “semplice” etichetta d’armonizzatore, ma è insieme un sensibile uditore, un sagace e paziente archeologo, un aspirante sciamano: saprà allora scostare con estrema cura la sabbia del tempo, intravedere forme accennate nella nebbia, rinunciare alla propria personalità per far spazio a quella, appunto, impersonale, dell’Arcaico. Sarà l’arché a muover le sue mani, dipingendo colori e sfumature sul pentagramma, con silenzi, note e altri silenzi. E a ritrovare la voce di Annamarii, così lontana, eppur, così vicina.14 La voce di Annamarii Là c’è Annamarii, e – lontano – il suo compagno, impegnato a combattere una guerra di cui nessuno sa qualcosa, nei meandri di una terra solcata dai passi di oscuri cacciatori. Là lui s’ammala, ed è dapprima sul punto di morte, poi defunto, e la tragica nuova a lei giunge. Nessuno s’aspetterebbe di sentirla rispondere così: «Malato ch’egli è, malato resti… un altro ch’è con me ne prese il posto». E poi, ancora «Farò quel che vorrò, se è morto resti!», fino a quel tremendo «In sepoltura giace? E ben vi resti!».15 Come leggere, e insieme accettare, l’ostinato intercalare della protagonista? È forse un malcelato tentativo d’esorcizzare il dolore, volendo aggirare ogni umana convenzione e dileggiando il senso oscuro della morte? No, signori. Semplicemente, e drammaticamente, dentro a Annamarii scorre il lampo sanguigno della cattiveria, quella che pervade nel profondo ciascuno di noi, e che spesso sappiamo controllare, pur volendola ostinatamente nascondere. È una sorta di sotterraneo tremore, quello che ci sfiora ascoltando la famiglia Bettoli cantare, qualcosa che va oltre l’apparente ottimismo della linea melodica, che si snoda al di là del ritmo a fisarmoniche e del gaio dialogo tra le voci. senza alcun intento consolatorio, dove agli ostinati “lamm” degli uomini (da battuta 39) le voci femminili riconducono alla tonalità originaria, dando il via a un finale lancinante e fragoroso, simile a un unico urlo di rabbia malvagia. Questo, anche questo, è l’Arcaico, capace di sconvolgerci e annebbiarci, facendo vibrare corde lontane, che vivono nell’autentica essenza del nostro profondo. Questa è la vera voce, lo spirito oscuro, di una donna walser chiamata Annamarii. Ùn ts Annamarii, nel profondo Ecco ciò che il musicista archeologo, nello specifico Paolo Bon, ha saputo ritrovare e far rivivere, scegliendo tonalità di rosso purpureo dalla sua tavolozza d’espressioni, senza spazio per la luce. L’elaborazione esiste in due versioni, ma quella che presentiamo è dedicata a un coro a voci miste,16 e chiunque la potrà analizzare con la dovuta calma e nel dettaglio. Ciò che preme ora è evidenziarne la valenza “architettonica”, e l’assoluto senso di attenzione rivolta alla tematica arcaica – letteraria e musicale – oggetto dell’intervento elaborativo. Nulla, nessuna scelta, nessun colore o frammento armonico, sembra essere ideato per caso, e nemmeno – persino nei L’archeologia musicale è una sfida e assieme una conquista. punti più intensi, e drammatici – la personalità artistica dell’autore prevalica la potenza espressiva degli archaiòi tipòi di cui poc’anzi abbiamo parlato. Si veda – a mero titolo di esempio – la struttura delle prime due strofe, dove al richiamo delle voci virili (dapprima i bassi, quindi i tenori) risponde il coro, gradualmente o in modo simultaneo. Con le modulazioni tonali che innestano sfumature d’energia, e i movimenti delle parti, dapprima più semplici, quindi complessi, il “solo doloroso” della battuta 25, in improvviso “modo minore”, con le voci a far mesto eco di campane sopra alla linea melodica del basso. Quindi il finale, Dall’Arcaico all’Arcaico Il percorso si concluderà, poi, con l’impegno del coro che decide d’affrontare Ùn ts Annamarii, un rilevante impegno tecnico e insieme espressivo, da parte dei cantori e del loro direttore, che avrà come obiettivo quello di raggiungere e coinvolgere il pubblico degli ascoltatori. Ma di questo si parlerà in altre occasioni, discorrendo di Coralità dell’Arcaico:17 preme ora evidenziare come ciò che s’è sinora delineato è un vero e proprio viaggio, di ricerca e approfondimento, che affinché raggiunga i suoi intenti richiederà un assoluto senso di cura, e – a ogni passo – di rigorosa attenzione, da parte di tutti gli attori coinvolti: ricercatori sul campo, etnomusicologi, musicisti, direttori di coro e cantori. Il risultato sarà, alla fine, un appassionante percorso ad anello che comincia molto vicino a noi, tra le case di un villaggio alpino, poi d’improvviso ci conduce lontano, nello spazio e nel tempo, finché ci s’avvede che quel che abbiamo sfiorato è l’Arcaico, e quell’Arcaico vive dentro di noi, nuovamente e innegabilmente molto vicino. Per far questo, per comprendere ed evocare questa mirabile dicotomia, e una ferma diffidenza nei confronti di quelle semplificazioni, affettive e consolatorie, che sovente pervadono lo studio e la riproposizione del patrimonio tradizionale orale. L’archeologia musicale è una sfida e assieme una conquista, e numerosi sono ancora gli scogli e gli obiettivi da raggiungere, a partire dall’acquisizione e sperimentazione di una vera e propria “linguistica musicale”, che solamente in tempi recenti ha visto la luce. 18 Starà a noi, ricercatori, direttori di coro, musicisti e didatti, delinearne il cammino e, con umiltà scevra da pregiudizi, saperne svelare ed esplorare gli sconfinati orizzonti. 35 arcaica, e non ai cosiddetti “canti d’autore”, che seppur a volte ispirati a tematiche orali restano a tutti gli effetti “composizioni”. 12. Per un’esplorazione della tematica in esame si veda il saggio elaborato da Paolo Bon, Musica popolare: teoria dell’arcaico in contrapposizione alla teoria del sociale specifico, apparso sul n. 52 di «Diapason», periodico dell’Associazione Cori della Toscana. 13. Si veda a tal proposito l’illuminante opera di Carl Gustav Jung, Psicologia dell’inconscio, ed. Universale Bollati Boringhieri, Torino, 1968. 14. Un utile e illuminante riferimento è il saggio di Paolo Bon, Poetica e tecnica dell’intervento espressivo sulle fonti orali, apparso su «La Cartellina», nn. 155, 156 e 158. 15. Si è qui scelto di riportare la traduzione “libera” del testo, a cura di Paolo Bon. 16. Le elaborazioni sono pubblicate in Cantar Storie - volume 2, a cura di Luca e Loris Bonavia, ed. Grossi, Domodossola, 2001 (versione per coro a voci virili), e Cantar Storie - volume 3, medesimi autori ed editore, 2003. 17. Si vedano sul tema i numerosi saggi scritti dall’Autore, e pubblicati sulla rivista «La Cartellina», Edizioni Musicali Europee, nel periodo 2006/2010. 18. Il riferimento è a La Teoria Evolutiva del Diatonismo e le sue applicazioni di Paolo Bon, Editore Giardini, Pisa, 1995. portraiT 36 AFFASCINATO DALLA VOCE UMANA Intervista ad Antonio Sanna a cura di Franca Floris direttore del complesso vocale di nuoro Con piacere ho accolto l’invito rivoltomi da Feniarco a intervistare Don Antonio Sanna pur conoscendone la naturale riservatezza e il sincero “fastidio” a ritrovarsi al centro dell’attenzione. Caro Don Sanna, grazie per aver accettato di rispondere ad alcune domande sulla sua esperienza di direttore di coro maturata nel corso di più di 50 anni di attività. La domanda più ovvia: come si è avvicinato alla musica e quanto è stato determinante il luogo di nascita? Ci sono delle figure di riferimento o delle situazioni che sono state importanti per lo sbocciare della sua predisposizione musicale? Sono nato a Bottida, piccolo centro montano del Goceano (regione della Sardegna) e ho iniziato lo studio della musica sin dalla prima infanzia sotto la guida di mio padre, organista della parrocchia del paese. Sono dunque entrato in contatto precocemente con quei generi di musica vocale più praticati nel mio paese: il canto gregoriano, quello dei Tenores e del Cuncordu. Mio padre mi portava sempre in chiesa. Questo mi fece capire che si potevano conciliare due cose: il credere e il fare musica. Impazzivo per le moto e dicevo sempre che da grande avrei voluto fare il motociclista. Quando però vedevo il parroco della mia Chiesa capivo che mi sarebbe piaciuto diventare prete. Un giorno vidi il parroco di un paese vicino in moto, capii che il problema poteva essere risolto. La frequenza del Seminario immagino abbia avuto molta importanza nella sua formazione, oltre che di uomo di Chiesa, anche di musicista. Quando e perché ha deciso che si sarebbe occupato del coro piuttosto che dell’organo, strumento che lei suona con disinvoltura? Entrato nel seminario vescovile di Ozieri prima e in quello di Sassari dopo la terza media, ho avuto la fortuna di avere dei bravi insegnanti che mi hanno ben guidato tanto da diventare, a soli quindici anni, l’organista dell’istituto accompagnando all’organo i canti della comunità allora fiorente e il coro nell’esecuzione di mottetti e messe (Perosi, Vittadini, Oltrasi, Campodonico ecc.). Frequentando il liceo e gli studi teologici nel seminario regionale (circa 300 seminaristi) a Cuglieri ho proseguito gli studi con la guida del maestro Egidio Boschi che mi ha “fornito” del corredo necessario per un musicista: l’armonia e il contrappunto. Quando il maestro Boschi mancava per me era una gioia: infatti le sue assenze spesso avvenivano nei tempi più interessanti della liturgia e cioè a Natale e Pasqua e così avevo mano libera nella scelta dei brani e dei coristi (riducendone il numero da cento a trentacinque per migliorare la qualità dell’esecuzione). Quanto il suo essere uomo di chiesa influisce sul direttore di coro e quanto il direttore di coro influisce sull’uomo di chiesa? Ancora: crede che l’essere direttore di coro sia stato utile per il parroco e che essere parroco sia servito al musicista? Ci sono stati dei momenti in cui mi sono chiesto quale strada dovessi seguire. Mi rendevo conto però che senza l’esperienza del presbiterato non avrei mai sviluppato alcune qualità di musicista. Del resto, se mi fossi dedicato solo all’impegno sacerdotale mi sarebbe mancato qualcosa sul piano spirituale. Anzitutto sarebbe venuto meno il contatto con i giovani che mi permette di non essere fuori dalla vita, ma dentro. Quando faccio il musicista e il direttore di coro sembra quasi che io sia ateo e assumo questo atteggiamento per il rispetto che nutro per la sensibilità di ciascuno. Sono certo però che quando faccio musica, ai coristi e al pubblico passa la spiritualità che mi guida. Dico sottovoce (per pudore), che le prove e l’esecuzione del coro sono la mia “preghiera”. E aggiungo per l’ascoltatore silenzioso: “Tibi silentium laus”, per te (Signore) il silenzio è lode (salmo 61). È quanto non hanno capito molti preti e qualche vescovo che vedono il coro come un ostacolo alla preghiera liturgica. Tutta la musica sacra, per essere ben eseguita, ha bisogno di un minimo di spiritualità che anche il cosiddetto “ateo” può avere. La mistica è di ogni uomo. Come nel canto gregoriano c’è simbiosi assoluta tra il canto corale e la mia attività pastorale che è la più aperta possibile all’umanità intera. Ecco l’importanza dell’ascolto di tante voci diverse che solo un bravo direttore di coro (un uomo spirituale) sa unificare fino a farne sentire una sola. Caro maestro, tra i vari generi musicali affrontati mi par di capire che il canto gregoriano occupi un posto privilegiato e non solo come strumento utile alla liturgia ma anche per l’educazione vocale del coro: può spiegare secondo lei perché avvicinarsi al canto gregoriano sia così importante per la formazione del direttore di coro e del coro stesso? Ogni volta che devo costruire o ricostruire il coro perché sono state immesse voci nuove, ricorro al gregoriano. Unisono di voci, vocalizzo, morbidezza del suono, fraseggio, respirazione, simbiosi fra testo e musica, tutto questo è il canto gregoriano oltre che pura preghiera cantata. Come ricorda il Coro Polifonico Turritano nei suoi primi passi, i concerti, i concorsi, le difficoltà affrontate, i primi successi fino alle affermazioni internazionali e ai numerosi premi anche discografici? Nel 1958 trasferito a Porto Torres ho pensato subito di creare un coro e questo mi ha salvato dalla tristezza che ho provato entrando nella comunità cristiana di Porto Torres dove i preti erano molto distaccati dal popolo. La parrocchia di Sassari, dove stavo precedentemente, era vicina alla gente. Quando sono arrivato a Porto Torres ho sentito il freddo del passaggio da una parrocchia popolare, viva, pregnante a una in cui si rispettava l’ufficialità del prete. Il coro mi ha dato un forte calore umano. Nel 1963 la prima esperienza di Arezzo. È stato un disastro. Il coro aveva sprecato durante il viaggio tutte le energie che doveva manifestare nel concorso: cantate a squarciagola in nave e in treno. La pioggia che ci accolse al nostro arrivo completò l’opera. La maggioranza dei cantori non aveva più voce. Ma fu egualmente positivo perché il coro ebbe la possibilità, su mio preciso ordine, di ascoltare tutti cori partecipanti. Fu il primo passo verso la crescita. Ecco come iniziò la storia del Turritano che nel corso degli anni ha conquistato oltre 40 premi in concorsi internazionali. Come è nata l’idea di fondare i Cantori della Resurrezione? Ho fondato nel 1971 i Piccoli Cantori della Resurrezione come attività parrocchiale ed eventualmente preparare i nuovi coristi del Turritano. Nel 1986 i Cantori della Resurrezione sono diventati un gruppo autonomo. Cominciavo a sentire che l’esperienza precedente stava per finire. Il coro giovanile era cresciuto e maturato con me e la sintonia umana, spirituale e artistica con loro era totalmente “altra”. Ho studiato con loro il canto gregoriano ed eseguito numerosi concerti in Sardegna, in Italia e all’estero col Canto delle Pietre e sacre rappresentazioni. 37 Dal settembre 1996 ho deciso di lasciare il Coro Polifonico Turritano e di dedicarmi esclusivamente ai Cantori della Resurrezione. In quel momento mi sono sentito nuovamente giovane. Ho ripreso con l’ardore di un neofita. Ne ha guadagnato la salute e la gioia di vivere. Sono stati questi ultimi anni veramente felici. I Cantori sono stati invitati al Festival dei due Mondi di Spoleto (conserviamo nella sede le foto e l’abbraccio di Giancarlo Menotti). La Fondazione G.P. da Palestrina ci ha invitato quattro volte insieme a gruppi di altissimo livello: Pro Cantione Antiqua, The Hilliard Ensemble, The Tallis Scholars e i Cantori a concludere. Un grandissimo onore. Ho potuto realizzare molti sogni tenuti per anni nel cassetto: La rappresentazione di Anima et di Corpo di E. De’ Cavalieri, L’Ordo Virtutum di Hildegarda von Bingen rappresentata scenicamente, diciassette messe a cappella e con strumenti, ma sopratutto gli oratori di Natale e di Pasqua, il Magnificat (con strumenti antichi), e tutti i Mottetti di J.S. Bach. Antonio Sanna____ Nato a Bottida (SS) il 15 maggio 1932, ha iniziato lo studio della musica in tenera età sotto la guida del padre, organista. È stato ordinato presbitero a Sassari nel 1956 da Mons. A. Mazzotti. Nel 1959 ha fondato il Coro Polifonico Turritano con il quale ha vinto numerosi primi premi in concorsi internazionali (Premi Fides a Pescara, Gorizia, Arezzo, Tolosa) e nazionali. Nel 1986 fonda i Cantori della Resurrezione con il quale svolge intensa attività concertistica. Ha registrato con il coro Polifonico Turritano per la Fonè due cd di composizioni di G.P. da Palestrina premiati con “Choc de la Musique”; cinque cd con i Cantori della Resurrezione: due di canto gregoriano, uno di musiche polifoniche (Palestrina, Lasso, Purcell, Pärt) e un cd per la Bongiovanni di musiche di G.B. Platti. Nel 2007 è stato insignito del Premio “Una vita per la direzione corale” istituito dal Concorso Internazionale Seghizzi di Gorizia. portraiT 38 tradurre il segno neumatico in canto. Le sue lezioni mi sono servite per tutta la musica vocale diretta in seguito. Mi hanno permesso di migliorare anche il modo di fraseggiare nella polifonia. Prima di morire mi ha fatto spedire da Solesmes l’omaggio dell’Antifonale Manoscritto di S. Gallo che conservo come una reliquia. Immagino che ci siano stati tanti incontri con musicisti; può dirci se qualcuno di loro si è rivelato particolarmente importante nella sua formazione di direttore di coro e perché? Ho avuto la fortuna di non aver avuto un solo maestro, ma tanti lungo tutta la vita. Mi sono ispirato a loro e continuo ancora a farlo. Quando posso non manco ai concerti corali anche di cori di modesta levatura. C’è sempre da imparare. Ma sento il dovere di fare due nomi: il maestro Piero Guarino e il maestro Luigi Agustoni. Il primo: grande e completo musicista, pianista e direttore d’orchestra, raffinato e colto. C’è stato con lui un sodalizio umano e artistico durato diversi anni. Primo direttore e fondatore del Conservatorio Luigi Canepa di Sassari, ha voluto conoscermi convocandomi nel suo ufficio e chiedendomi la collaborazione per le attività che richiedevano un coro. Alla mia sorpresa espressa con «come mai senza averci sentito?», rispose «ho capito chi eravate dalla stesura dei programmi». Ci ha presentato alla città di Sassari non benevola per chi veniva dalla periferia. Con lui sono stati realizzate opere sconosciute al mondo musicale sassarese: il Vespro della Beata Vergine di Monteverdi, il Christus di Liszt (anche a Parma), l’Ode a S. Cecilia di Händel, l’Orfeo e Euridice di Gluck, il Magnificat e la Messa in si minore di Bach, per dire le opere più importanti. Ma a me personalmente rimangono le lunghe conversazioni dove ho conosciuto le sue esperienze parigine col gruppo dei “sei”. Aveva una cultura filosofica e umanistica incredibile. Nella direzione orchestrale era raffinatissimo: nessun gesto che non fosse al servizio della musica. Gli piaceva tanto fare “musica con” non “sugli altri”: una lezione di vita. Luigi Agustoni venne a sue spese a Porto Torres, rifiutando qualsiasi compenso. Rimase con me per diversi giorni aggiornandomi sugli ultimi studi e soprattutto su come Mi pare di aver capito che la sua formazione musicale sia stata, almeno per la direzione di coro, quella di un “autodidatta”: conosco la sua passione, l’impegno, la determinazione (da sardo!) e la naturale predisposizione alla musica tout court, ma c’è senz’altro dell’altro… Ci può passare la ricetta? Come didatta di canto corale curo particolarmente il testo, dal quale ricavo, come era in uso presso gli antichi musici, il timbro, la variazione dinamica del suono, l’articolazione, a respirazione e il fraseggio. Si deve comunque avere una buona cultura e non solo musicale. Il mio insegnamento corale è fatto di comparazione continua con le arti letterarie e figurative. Spesso mi faccio aiutare da letterati, artisti e per la musica sacra da biblisti. È necessario far conoscere ai cantanti molta letteratura musicale dell’autore che si intende eseguire. Difficilmente con i miei cori eseguo un solo brano per autore. Ci sono gli anni Come per il gregoriano la polifonia non ammette mediocrità. di Palestrina, quelli di Lasso, quelli di De Victoria, di Monteverdi, di Mozart, di Bach, di Pärt ecc. Il compositore deve diventare uno di famiglia, deve essere frequentato. L’insegnamento di Guarino: frequentare l’autore. E poi… la capacità di trasmettere all’ascoltatore le emozioni che il corista sente mentre canta. Il direttore di un coro amatoriale deve costruirsi lo strumento. La mia felicità è vedere e sentire coristi “presi dalla strada”, cantare a volte anche meglio di professionisti, Palestrina o Bach. Ho sentito cori professionali (con tanto di diploma in canto) calare paurosamente o cantare senza far musica. Come parlare per delle ore senza dire niente. G.P. da Palestrina, C. Monteverdi, J.S. Bach sono alcuni fra gli autori che lei ha maggiormente “frequentato” con i suoi cori e che anche lo hanno fatto conoscere al mondo della coralità: le Messe, i Mottetti e i Madrigali, i Salmi, gli Oratori, musica che non si sente tanto facilmente soprattutto da cori di “dilettanti” e che ha bisogno di un’attenzione e di una preparazione particolare e accurata. 39 Sarà per questo che oggi i nostri cori eseguono sempre meno musica antica e sempre di più programmi dei concerti sono incentrati su gospel, spiritual, elaborazioni di canti popolari, di musica leggera, pop ecc. Brani più facili per il cantore e per l’ascoltatore come anche una certa letteratura corale contemporanea non sempre di qualità? Faccio eseguire molta musica rinascimentale. Ritengo sia la più difficile. Quella contemporanea lo è solo apparentemente. Una volta “letta” bene dà un prodotto finito, mentre non si finisce mai di studiare una messa e un mottetto di Palestrina o di autori del suo tempo. Ecco la ragione della scarsa presenza di autori rinascimentali nei programmi. Questo vale anche per l’ascoltatore. Come per il gregoriano la polifonia non ammette mediocrità. Allora si va sul sicuro: applausi per il contemporaneo e disinteresse per l’antico. Io resisto! Non mi interessano gli applausi. I miei giovani coristi quando hanno appreso che nell’immediato futuro ci sarebbe stato “Palestrina”, hanno sobbalzato di gioia. Mi sono commosso. Nonostante ciò lei esegue tanta musica contemporanea, ha inciso Pärt, Merkù… quindi pensa che sia utile avvicinarsi ai vari periodi e generi della letteratura corale. Senz’altro avvicinarsi a tutti i generi e i periodi è non solo importante e utile ma anche doveroso per un buon direttore di coro. Certo ho eseguito tanta musica contemporanea anche come prime esecuzioni assolute di autori quali Pezzati, Semini, Merkù ed altri (Merkù e Bettinelli ci hanno dedicato delle composizioni). La sua attività di musicista non si limita alla direzione di coro ma lei è anche organista e soprattutto compositore; ha scritto tanti brani di polifonia “classica” in particolare sacra, ma vorrei che parlasse delle sue elaborazioni di musica popolare sarda destinata a varie formazioni corali che sono state raccolte in tre volumi. Certo ho eseguito anche concerti d’organo, ma la mia attività pastorale non mi ha permesso di continuare in questa direzione. Mi sono dedicato allora solo al coro. Sono affascinato dalla voce umana. È lo strumento che mi piace di più specialmente senza accompagnamento strumentale, perché se usato a dovere è un tutt’uno con l’esecutore. Compositore lo sono diventato per esigenze pratiche. Ho quasi sempre scritto i miei brani con l’urgenza di realizzarli per una determinata occasione concertistica, piuttosto che per seguire il mio libero estro. Forse è per questo che non mi sono mai sentito un vero e proprio compositore. Non trovavo interessanti le composizioni ispirate alla tradizione orale sarda, tolto forse il grande Porrino, allora ho fatto dei tentativi ma solo per i miei cori. Poi mi sono accorto che i miei brani giravano per l’Europa a mia insaputa. A questo punto mi sono deciso a curarne la pubblicazione (Pizzicato). Da tanti anni lei è presente nelle giurie di concorsi corali nazionali e internazionali spesso in veste di presidente. Se fa un raffronto con quando lei incominciò a muovere i primi passi sui vari palcoscenici di Arezzo, Gorizia, Tours e via di seguito, cosa può osservare in merito alla partecipazione dei cori non professionali italiani e alle loro esecuzioni? E infine: ritiene sempre utile per la crescita del coro e del direttore la partecipazione a un concorso? Ho visto crescere la qualità dei cori italiani a vista d’occhio, specie in questi ultimi anni. A volte ho trovato cori italiani migliori di molti stranieri. Aggiungo che è notevolmente cresciuto il numero dei bravi, perché alcuni davvero buoni c’erano anche prima; penso per esempio al coro Corradini di Arezzo diretto da Fosco Corti e ai Cantori di Santomio di Malo diretti da Piergiorgio Righele. Quali sono i suoi programmi attuali e futuri con i Cantori della Resurrezione? Nell’immediato futuro: gregoriano, Palestrina e Pärt. ASSOCIAZIONE 41 INTERVISTE AI DOCENTI a cura di Sandro Bergamo LUIGI LEO alpe adria cantat 2011 di Alvaro Vatri Con il concerto tenuto dalla Familienmusik Wilhelmer (Carinzia) seguita dal Coro Montecimon di Miane (Treviso) diretto da Paolo Vian, ha preso il via, sabato 27 agosto, la settimana cantante Alpe Adria Cantat presso il Villaggio Ge.Tur. a Lignano Sabbiadoro. Vediamo subito i numeri dell’edizione 2011: oltre 400 partecipanti, provenienti da 15 paesi (Belgio, Brasile, Francia, Germania, Italia, Portogallo, Norvegia, Regno Unito, Russia, Slovenia, Spagna, Stati Uniti, Svezia, Svizzera, Venezuela), che hanno frequentato i cinque atelier attivati. Il più affollato è risultato quello di Musica per cori di bambini (con 118 presenze), tenuto da Luigi Leo, seguito dagli 81 partecipanti all’atelier di Spiritual & Gospel (docente Walt Whitman), e poi i 66 di Musica Sudamericana (docente Ana María Raga), i 44 di Vocal pop jazz (con Stephanie Miceli) e i 40 di Musica Romantica con Jan Schumacher. Sono numeri di tutto rispetto che riportiamo non per autocompiacimento o per dare importanza solo alla “quantità”, ma per sottolineare come Alpe Adria Cantat si conferma, anno dopo anno, come un appuntamento importante e gratificante sia per la qualità delle proposte musicali e dei docenti invitati a realizzarle, sia per l’impeccabile organizzazione che rende gradevole e stimolante trascorrere una settimana immersi nella musica e in un clima ancora stupendamente estivo quale quello di quest’anno. Nella cornice della settimana cantante si sono inserite due importanti presenze: uno stage del Coro Giovanile Italiano, diretto da Dario Tabbia e Lorenzo Donati, con relativo concerto in villaggio lunedì 29 agosto, riproposto martedì 30 nella suggestiva Basilica di S. Eufemia a Grado, e un meeting della Commissione Giovanile di Feniarco che ha saputo trarre dall’atmosfera generale linfe progettuali molto interessanti. I cori partecipanti hanno inoltre tenuto concerti nel territorio friulano (a Trieste, Sacile e a Palazzolo della Stella) accolti con cordialità e spirito di amicizia dai cori locali. La settimana si è conclusa con il gran concerto di gala dei partecipanti agli atelier nel Palazzetto dello Sport del Villaggio, al quale hanno presenziato il presidente di ECA-Europa Cantat e di Feniarco Sante Fornasier, Nando Catacchini e Cristina Redi dell’Act Toscana, Federico Driussi dell’Usci Friuli Venezia Giulia, Luigi D’Orazi dell’Arcl Lazio e Andrea Venturini della Commissione Artistica Usci Friuli Venezia Giulia. Non è mancata la presenza del direttore di Choraliter Sandro Bergamo che ha redatto i comunicati stampa e ha realizzato interviste per l’ormai immancabile notiziario Flash, curato da Pier Filippo Rendina. Lo staff (Sabrina Pellarin, Marco Fornasier, Annarita Rigo, Michela Francescutto, Elisa Olivier, Matteo Donda, Paul Mariuz, Claudio Cordelli, Giampiero Celotti e Denis Monte) ha operato con la consueta professionalità, molto apprezzata da tutti gli ospiti che l’hanno manifestata con calore, e infine mi sia concesso esprimere il piacere di esser stato ancora una volta il conduttore del concerto di gala. Ora ci aspetta Torino 2012! Anche quest’anno l’atelier di voci bianche è il più frequentato ad Alpe Adria. La coralità è dunque sempre più presente tra i bambini e i giovani italiani? Sembrerebbe proprio così. Finalmente l’attività corale comincia a essere considerata un percorso importante per la formazione del bambino, e non solo; se non si coltiva l’amore per la coralità da piccoli non potrà esserci futuro per i cori. Si è compreso che la coralità infantile dovrebbe essere alla base della formazione non solo del cantore ma anche del futuro fruitore di musica, di colui che ascolta con capacità critica senza lasciarsi travolgere da quello che il business “impone”. Feniarco, ECA - Europa Cantat, Ifcm, molto stanno investendo nel dedicare interi eventi alla coralità infantile e giovanile. Come vedi la situazione del coro nella scuola italiana di oggi? C’è consapevolezza del valore formativo del canto corale? Non abbastanza. A parte poche e isolate iniziative questa consapevolezza è assente, a partire da chi dovrebbe dare le “indicazioni nazionali”. Spesso si limita la bontà delle attività corali scolastiche all’aspetto esteriore e all’impatto emotivo nel vedere tanti “piccoli cantori”, a prescindere dal risultato sonoro e in alcuni casi il coro è solo un mezzo per promuovere la propria scuola, quindi, più si è, meglio è. Studi recenti hanno dimostrato invece che fare musica, e fare musica corale, “dona” stimoli celebrali, cognitivi, creativi, sociali e contribuisce in maniera sostanziale allo sviluppo armonico e globale del bambino. Basti leggere l’articolo pubblicato sul Corriere della Sera del 23 febbraio 2010 scritto da Adriana Bazzi: «L’ora di musica a scuola è una “vitamina” per il cervello». Il tuo ruolo di direttore e docente alla Scuola Superiore Biennale per Direttori di coro di voci bianche nella scuola primaria ti consente di conoscere molti futuri direttori di coro. Con che spirito si accostano a questo mondo? L’approccio iniziale, nella maggior parte dei casi, è abbastanza superficiale. Poco si considerano le competenze necessarie per affrontare le dinamiche insite nella gestione di un coro di voci bianche, ancor più per un coro scolastico, e per questo restano abbastanza disorientati quando si ritrovano a dover affrontare una serie di materie (anche poco comuni!). Per contro, incoraggiante è l’entusiasmo con il quale questi futuri direttori, man mano, si dedicano al mondo delle voci bianche. ALPE ADRIA Tra poco usciranno due nuovi volumi di Giro Giro Canto. Come ha inciso il lavoro editoriale di Feniarco sul rinnovamento del repertorio per i cori di voci bianche? Ha inciso molto. Come ho detto precedentemente le grandi federazioni corali hanno inteso che bisogna investire in questa fascia d’età. Il comporre per cori di voci bianche viaggia su un binario parallelo a quello della crescita e diffusione (consapevole) degli stessi in Italia. Fino a qualche anno fa non c’era probabilmente consapevolezza o volontà da parte dei compositori di scrivere per questa formazione. Le edizioni di Feniarco hanno dato quell’input per far avanzare il treno della coralità su questi due binari così meravigliosi. WALT WITHMAN In che direzione si sta evolvendo il gospel in America? La musica gospel si sta incamminando sempre di più sulla strada della musica commerciale; ha come obiettivo quello di rivolgersi a un pubblico sempre più largo e sempre più eterogeneo comprendendo, da qualche anno a questa parte, anche le persone nate e vissute nel mondo della musica classica. Quanto è legato il gospel alle sue origini afroamericane e cosa cambia nel trasferirlo a un pubblico e a degli esecutori europei? Sì e no! Il gospel è strettamente legato alle sue origini afro-americane in quanto è qualcosa che nasce dalla profonda coscienza spirituale, qualcosa che è racchiuso fortemente nello spirito di ognuno; d’altra parte no perché cantare il gospel è estremamente semplice, facile, spontaneo e immediato. Ci sono tantissimi nuovi cori gospel in Europa, in particolare in Svezia e Germania, e la gente è attratta da questo genere perché le persone amano quelle canzoni che conquistano il pubblico molto velocemente. Che cosa pensa del gospel cantato dagli europei? Il gospel in Europa si sta evolvendo molto rapidamente e anche in Europa sta diventando sempre più di pubblica conoscenza. La differenza con gli Stati Uniti sta nel fatto che nei paesi europei si canta quel genere di gospel tradizionale, il negro-spiritual, che negli Usa ormai è parte di una lunga tradizione, ma non più tanto eseguito. Il pubblico europeo è alla ricerca di quei brani famosi ormai da tutti conosciuti. In America il gospel viene eseguito solo in ambito liturgico o viene proposto anche in forma di concerto e per questo non necessariamente con valenza religiosa? Assolutamente no! Come detto sopra, il gospel in America è sempre più commerciale, rivolto a un pubblico che ha nuove esigenze e nuove domande, perciò il gospel non solo non è più legato esclusivamente alle funzioni religiose e quindi eseguito anche in luoghi profani, ma è anche sbarcato sul piccolo e grande schermo. 42 Il repertorio contemporaneo francese e inglese per i giovani direttori di coro di Pierfranco Semeraro French and English repertoire of the 20th Century: questo è il titolo della sesta edizione dell’Accademia europea per direttori di coro e cantori che Feniarco ha realizzato a Fano dal 4 all’11 settembre 2011 in collaborazione con European Choral Association - Europa Cantat. Docente la francese Nicole Corti, già direttore di coro, responsabile pedagogico a Notre Dame di Parigi e attualmente docente di direzione corale presso l’Accademia Nazionale di Musica e Danza di Lione (uno dei due conservatori superiore del sistema musicale francese). A prendere parte all’esperienza formativa ventitre musicisti provenienti dalla Bielorussia, Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi, Serbia, e dalla Turchia. I giovani allievi, in un percorso quotidiano con la docente, hanno affrontato l’analisi delle composizioni oggetto di studio lavorando poi sulla tecnica della direzione, della concertazione oltre che sulla vocalità e sulle problematiche vocali avendo a disposizione un coro laboratorio ben assemblato e preparato dal maestro Lorenzo Donati, il quale ha anche ricoperto il ruolo di direttore artistico della 38 a edizione dell’Incontro Internazionale Polifonico “Città di Fano”. Infatti l’Accademia si interseca da tempo oramai con gli eventi artistici della kermesse fanese che propone nel corso della settimana interessantissimi eventi concertistici. A collaborare al riuscito svolgimento dell’Accademia per direttori sono tra l’altro il Comune di Fano e il Coro Polifonico Malatestiano. Per gli allievi dell’Accademia le proposte musicali dell’Incontro Polifonico hanno certamente rappresentato un valore aggiunto di indubbio interesse avendo in serata la possibilità di assistere a eventi corali estremamente interessanti: dal Requiem di Duruflè eseguito dal sempre puntuale Vox Cordis di Arezzo al Coro Malatestiano che ha proposto un interessante esecuzione del Requiem di Faurè; dal Coro Dnipro di Kiev al Coro Città di Roma sino ad arrivare al Coro Giovanile Italiano con una proposta repertoriale partita dal lontano ’500 per arrivare al Contemporaneo Italiano. E proprio il repertorio corale contemporaneo, anche se di matrice inglese e francese, è stato attore principale della sesta edizione dell’Accademia. Sotto la guida attenta e raffinata della Corti si è affrontata la Messe à double choeur di Frank Martin, lavoro poliedrico e complesso, composto tra il 1922 e il 1929 e articolato nel Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus e Agnus Dei che il musicista svizzero lascia però nel “dimenticatoio” per oltre 40 anni considerandola una “questione” personale tra lui e Dio, sino alla prima esecuzione del 1963. Le Trois chansons di Maurice Ravel hanno permesso ai giovani direttori di confrontarsi con alcune pagine di raffinata elaborazione appartenenti al contemporaneo francese: la prima, Nicolette, è la rivisitazione in chiave ironica della favola di Cappuccetto Rosso che nel bosco incontrerà un bel giovane a cui preferirà però un vecchio lupo con le tasche piene di soldi; la seconda, Trois beaux oiseaux du paradis, è un testo contro la guerra; la terza, Ronde, è una chiara allegoria in cui gli anziani cercano di tenere lontane le fanciulle e i giovinetti dal bosco perché infestato di pericolosi satiri, stregoni, diavoli demoni, lupi mannari, incantatori, fantasmi, megere, ciclopi. L’Hymn to St. Cecilia di Benjomin Britten poi, tratto da una poesia di W.H. Auden scritta tra il 1940 e il 1942, segue la tradizione compositiva delle odi e permette ai giovani direttori partecipanti di dirigere una pagina raccolta e tenera che il coro laboratorio ha permesso essere eseguita con estrema cura. Ultimo capolavoro a essere affrontato nel corso dell’Accademia è Il Coro dei Malammogliati, composto da Luigi Dallapiccola, su testi di Michelangelo Buonarroti il Giovane (nipote del grande Michelangelo) tra il 1933 ed il 1936. È tratto da Sei cori di Michelangelo Buonarroti, lavoro corale concepito organicamente ma suddiviso in tre parti indipendenti e distinte per carattere e forma, ciascuna comprendente due cori in netto contrasto tra di loro. Il Coro dei Malammogliati è del 1933, è per voci miste senza accompagnamento e ha permesso ai direttori di cimentarsi alla direzione di una pagina dalla struttura strofica estremamente chiusa e difinita. Il concerto conclusivo ha chiuso l’Accademia permettendo al pubblico di assistere a un concerto elegante attraverso il quale ci si è congedati dall’Accademia dandosi appuntamento a settembre 2013 per la settima edizione dell’Accademia europea per direttori di coro. IL PIù GRANDE CORO D’ITALIA alla seconda edizione del Salerno Festival salerno di Amedeo Finizio Il Salerno Festival è ormai un’acclarata realtà! Una seconda edizione che prelude già a una terza ha il giusto significato programmatico e non estemporaneo di una manifestazione che rappresenta per la coralità nazionale la possibilità di contare su un appuntamento annuale, e per la città di Salerno e la sua suggestiva Costiera Amalfitana un evento che ha in sé le caratteristiche di arte, cultura e turismo. Il fatto che oltre duemila coristi siano arrivati da ogni parte d’Italia, con la gioia di vivere attraverso il canto corale, rappresenta, senza ombra di dubbio, “un beneficio sociale” per il territorio. È proprio in questa caratteristica di larghissima partecipazione che l’aspetto artistico del festival assume validità se essa è vista nell’ottica dello spirito di apertura, di arricchimento, di confronto e di interscambio umano e musicale. Inoltre il valore aggiunto lo ha dato il vivere stili musicali differenti, sia negli atelier di studio, sia nella tre giorni di concerti, in cui tutti i partecipanti hanno potuto sperimentare un confronto emozionale, con la giusta tensione che si respirava durante l’avvicendarsi dei cori, a dimostrazione di quanta voglia di fare bene anima, comunemente, lo spirito di ogni corista e direttore. Gli atelier hanno rappresentato momenti di vera condivisione, in cui coristi di varie estrazioni artistiche si sono impegnati a “fare coro” insieme, sotto la guida di nuovi direttori. Dunque un’offerta culturale che ha soddisfatto ogni aspettativa artistica, e che fa, comunque, intuire un suo maggiore incremento, dato il progressivo aumento dei cori partecipanti, in controtendenza a una crisi generale che caratterizza questi tempi. Queste le considerazioni che ci sentiamo di condividere con il maestro Roberto Maggio, direttore di coro, docente presso il Conservatorio Cimarosa di Avellino, componente della Commissione Artistica regionale dell’Arcc e ASSOCIAZIONE 44 componente della Commissione Artistica nazionale di Feniarco. Dunque una conclusione di successo, che ha raddoppiato quello dello scorso anno, al Salerno Festival – secondo Festival Corale Nazionale – che Salerno e la Costiera Amalfitana hanno ospitato dal 3 al 6 novembre scorso. La perfetta organizzazione – curata da Feniarco in collaborazione con l’Arcc Associazione Regionale Cori Campani – ha completato il successo della manifestazione. Un ringraziamento anche al Comune di Salerno e al suo sindaco Vincenzo De Luca, presente, nell’arco dell’evento, con Ermanno Guerra, Enzo Maraio e Alfonso Bonaiuto, rispettivamente assessori comunali alla cultura, turismo e bilancio, amministratori attenti e sensibili, da sempre vicini al festival. Che dire, poi, dell’accogliente e ospitale città di Salerno, trasformata in un fantasmagorico universo, con pianeti e costellazioni, ricostruite da artistiche luminarie – le cosiddette Luci d’Artista – voluto dall’amministrazione comunale della città, lungo un percorso magico di 27 chilometri all’interno della città. Una mostra luminosa che richiama, cosa che avviene già da qualche anno, moltissimi visitatori da tutta Italia e da tutto il mondo. Ricordiamo, come riferito dal sindaco Vincenzo De Luca, che l’iniziativa del festival corale ha trovata la sua giusta accoglienza in una città che da sempre ama l’arte, la cultura, la musica, i musicisti. Lo dimostra l’attività del conservatorio di musica, quella, inoltre, dei molti artisti nati in una provincia dove la creatività è di casa, e la stagione lirica e sinfonica, diretta dal grande Daniel Oren, presente nel cartellone del Teatro Verdi. Istituzioni a parte, anche se questa edizione del festival ha dovuto fare i conti con il difficile momento che la politica italiana continua a vivere, l’Associazione Regionale Cori Campani si è stretta intorno al suo presidente Vicente Pepe, collaborando attivamente con Feniarco per la buona riuscita dell’avvenimento il quale, ormai, è entrato a fare parte degli appuntamenti fissi del calendario della Federazione nazionale. Ampia la soddisfazione del presidente Pepe, pur nella speranza che qualcosa cambi in Italia e tra le istituzioni della nostra regione, soprattutto a favore di chi è impegnato, da sempre, nel mondo della cultura, dell’arte, della musica, del canto. Ed eccoci, finalmente, ai protagonisti della tre giorni della grande coralità: 70 cori e oltre 2000 coristi provenienti da tutta Italia. Un grande evento musicale a significare incontro e confronto con l’Italia del bel canto. Musica sacra, popolare, pop, jazz, gospel nei suggestivi programmi delle irripetibili serate. Il Teatro Augusteo di Salerno ha inaugurato e chiuso il festival, con la partecipazione nelle rispettive serate di quasi tutti i cori, ciascuno a regalare un brano del loro programma. I concerti aperitivo e i concerti pomeridiani hanno offerto all’intera città un’altra originale giornata di canto e musica che, difficilmente, si dimenticherà. Chiese e monumenti di Salerno le sedi dove si è cantato, con l’attenta partecipazione di un pubblico sempre numeroso che ha applaudito divertito. Il centro storico con la Chiesa di San Giorgio, la Chiesa del SS. Crocifisso, la Chiesa di San Pietro a Corte (Sala Palatina), la Chiesa di S. Anna al Porto, il Chiostro Ave Gratia Plena, il Largo Tempio di Pomona, l’ex chiesa di Sant’Apollonia, Piazza Portanova, la sede del CAI Salerno, la Pinacoteca Provinciale, la Camera di Commercio, il Museo Diocesano, il Circolo dell’Esercito, la Scalinata Palazzo di Città. L’attesa maggiore è Il canto corale rappresenta un beneficio sociale per il territorio. quella che è arrivata dalla serata dei concerti sul territorio che costituisce il vero momento di incontro non soltanto musicale ma anche di realtà di vita. Protagoniste non solo la città di Salerno, le suggestive località della Costiera Amalfitana e quelle dell’entroterra, delle quali ricordiamo Cava de’ Tirreni, Cetara, Atrani, Amalfi, Vietri sul Mare, Fisciano, Pompei, Portici, Vallo della Lucania, dove nel programma dei concerti, iniziati tutti in contemporanea alle 19, la musica sacra è stata quella maggiormente presente. A chiudere la magica tre giorni, la Solenne Messa di ringraziamento, officiata nella Cattedrale di Salerno da Monsignor Luigi Moretti, animata dalle Corali Hirpini Cantores e Pina Elefante Atrani, dirette dal maestro Carmine D’Ambola. Il clima, con giornate tutte inondate dal sole, con piacevole temperatura, eccezione fatta per la giornata di domenica, quando la pioggia è arrivata durante la S. Messa in Cattedrale, ha aiutato il successo della manifestazione. Intanto Salerno, nel dare il suo arrivederci all’Italia del bel canto, è già al lavoro per il terzo Salerno Festival. 45 VITALITÀ E PROGETTUALITÀ DELLA FEDERAZIONE NAZIONALE Assemblea Feniarco in Valle d’Aosta di Efisio Blanc Venerdì 11 novembre i presidenti delle Associazioni Regionali Corali si sono ritrovati a Bard, nel suggestivo complesso monumentale del suo Forte, per un’assemblea di un solo pomeriggio, contrariamente alla giornata intera che in genere viene dedicata all’incontro delle realtà regionali. La “brevità” della riunione era dettata dalla concomitanza con l’Assemblea Generale Annuale di European Choral Association - Europa Cantat, che si è tenuta nelle giornate di sabato 12 e domenica 13 novembre a Torino e ai cui lavori si sono aggiunti i vari delegati regionali dopo aver partecipato all’assemblea al Forte di Bard. Altra piccola novità di questa assemblea è stata la mancanza del presidente Sante Fornasier a presiedere la seduta (poiché impegnato per l’Assemblea di ECA - Europa Cantat), egregiamente supplito dai vicepresidenti Pierfranco Semeraro e Alvaro Vatri. Assemblea più breve, dicevamo, ma non meno densa di argomenti da discutere. La seduta autunnale di Feniarco rappresenta sempre un momento che fotografa la salute, la vitalità e la progettualità della federazione attraverso la valutazione delle iniziative concluse nell’anno in corso e la proposta di programma per l’anno seguente. A queste riunioni dovrebbero partecipare anche delle personalità politico-amministrative: se concedere o meno sostegni finanziari da parte delle istituzioni pubbliche dipende (o dovrebbe dipendere) da una valutazione sulla qualità e la quantità delle azioni che una associazione intraprende, sarebbe impossibile a questo punto negare il livello di impegno delle associazioni regionali e dello staff nazionale rispetto a un lavoro cospicuo e puntuale “con” e “sulla” coralità. La discussione sulle iniziative che si concluderanno nel 2011 e il programma per il 2012 ha messo in evidenza la vitalità dell’attività associativa: dagli appuntamenti per le Assemblee Nazionali alle riunioni della Commissione Artistica, dalle riunioni e gli incontri per Torino 2012 ai lavori del Comitato di redazione di Choraliter. Notevole poi la “visibilità” di Feniarco attraverso la partecipazione a manifestazioni musicali e corali sia nazionali che internazionali: dalla partecipazione alla XIII Settimana della Cultura, con una rete di concerti corali promossi in collaborazione con il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, alla partecipazione alla Giornata Nazionale della Musica Popolare e Amatoriale, con la presenza di quattro cori Feniarco al concerto di Roma, in Piazza di Spagna; dalla presenza alla Mostra dell’editoria corale in occasione dei concorsi di Gorizia e Arezzo alla partecipazione al World Forum organizzato dall’International Music Council (IMC) e dall’European Music Council (EMC). L’impegno delle realtà regionali non poteva poi prescindere da un’attenzione privilegiata al mondo corale infantile e giovanile, consapevole che la formazione delle nuove generazioni è condizione imprescindibile per la sopravvivenza e per la qualità della coralità di domani. Ecco quindi le motivazioni per organizzare il Festival di Primavera che, nell’edizione 2011, ha richiamato a Montecatini Terme quasi 500 studenti di scuola media e oltre 600 ragazzi di scuola superiore. Alle stesse finalità mirava il progetto APS Cantare L’assemblea di Feniarco fotografa la salute, la vitalità e la progettualità della federazione. è giovane!, articolato in tre direzioni: un concorso per le scuole volto alla rappresentazione del coro attraverso diverse espressioni artistiche; un festival per cori di voci bianche e cori giovanili provenienti da diverse regioni d’Italia (tenutosi a Torino, con la partecipazione di otto cori di qualità); una iniziativa editoriale che mira a pubblicare nuova musica ASSOCIAZIONE 46 corale per cori di bambini (Giro Giro Canto) e per cori giovanili (Teenc@nta). E parlando di giovani non si può tacere il sostegno all’attività del Coro Giovanile Italiano, quest’anno diretto dai maestri Lorenzo Donati e Dario Tabbia, che ha rappresentato la coralità italiana in importanti appuntamenti in diverse regioni d’Italia. L’attenzione allo sviluppare professionalità nell’ambito del mondo corale e a trovare nuove risorse porta la Feniarco a presentare e a ottenere l’approvazione da parte del Ministero del Lavoro e delle politiche Sociali di altri progetti APS: Lavori in Cor(s)o e CMT - Choral Managenent. Il primo si riferisce alla redazione del Bilancio Sociale 2011 e prevede un corso formativo su amministrazione, contabilità e fiscalità degli enti non profit; il secondo, conclusosi nel 2011, riguardava l’attività di formazione in materia di organizzazione e di gestione delle Associazioni Corali e si è articolato in due moduli: uno dedicato alle Associazioni Corali Regionali e un altro destinato a 25 giovani sotto i 30 anni, incentrato in particolare sulla gestione e l’organizzazione di eventi, anche in vista di Torino 2012. Riguardo ai progetti APS non è però tutto e già si guarda avanti. Altri due progetti sono stati proposti all’approvazione del Ministero del Lavoro: Choral Network, dedicato in particolare all’informatizzazione dei programmi di contabilità dei cori (e alla formazione di personale sulle stesse problematiche), e Teenc@nta, rivolto all’organizzazione del Festival di Primavera 2012. Dopo questa analisi dettagliata e puntuale i delegati regionali, parlando del successo del Salerno Festival, che per i secondo anno consecutivo ha riscosso un grandissimo successo (anche per la capacità organizzativa dell’Associazione Regionale Cori Campani), hanno poi preso atto che la federazione corale nazionale, con le attività messe in campo, copre ormai l’intero territorio nazionale: da Aosta a Fano, da Alpe Adria o Torino a Salerno, solo per volere citare i luoghi principali. Una considerazione emersa in assemblea è anche l’importanza di mantenere quella sinergia fra le strutture nazionali e le singole Associazioni regionali che in questi anni ha permesso di realizzare iniziative di ampio respiro. Nonostante le difficoltà di comunicazione che possono nascere da una organizzazione così ampia e così complessa, si è dimostrato vincente il mettere in campo, da una parte, la capacità organizzativa della struttura nazionale, e dall’altra la disponibilità delle strutture e delle risorse di cui le singole realtà territoriali dispongono. L’intervento del direttore della rivista Choraliter, Sandro Bergamo, ha evidenziato come sia particolarmente urgente che i delegati regionali si facciano parte attiva nel promuovere la diffusione della rivista corale presso le rispettive regioni e i relativi cori associati. Egli ha sottolineato come l’unanime giudizio positivo sulla rivista non sia sufficiente e adeguato a fornire i mezzi economici per continuarne la pubblicazione. Si tratta di agire sulla mentalità ancora poco aperta culturalmente dei nostri coristi, per convincerli che, per chi ama e frequenta il canto corale, la lettura di una rivista specializzata è un elemento quanto mai formativo ed essenziale. L’Assemblea ha poi discusso la concessione di premi e di patrocini da concedere a varie manifestazioni corali nazionali La sinergia fra le strutture nazionali e le Associazioni regionali ha permesso di realizzare iniziative di ampio respiro. e internazionali. Anche in questo caso si è voluto sottolineare come le manifestazioni che portano “il marchio” Feniarco debbano rispondere a quelle linee guida a suo tempo condivise e decise dall’assemblea, linee che determinano e sanciscono la serietà organizzativa e artistica di una iniziativa. L’assemblea è poi terminata con un cordiale saluto e un piccolo ringraziamento floreale alla collaboratrice Sabrina Pellarin, che lascia la Feniarco per assumere altri impegni, e un plauso all’organizzazione dell’Arcova e del suo presidente Marinella Viola per la calorosa e suggestiva accoglienza al Forte di Bard. 47 un altro passo importante verso Europa Cantat Torino 2012 di Fabrizio Vestri Un evento di avvicinamento al festival L’atteso appuntamento con la prossima edizione di Europa Cantat si avvicina a grandi passi. Il calendario dei preparativi che ci condurrà verso uno degli eventi più importanti della coralità internazionale è stato arricchito dall’Assemblea Generale di European Choral Association - Europa Cantat (ECA-EC). Tra il 9 e il 13 novembre il capoluogo piemontese è divenuto il punto d’incontro dei vertici delle organizzazioni impegnate nella realizzazione del festival europeo previsto a luglio 2012. All’assemblea, tenutasi il 12 e 13 e presieduta dal presidente Sante Fornasier, hanno partecipato i membri del Board di ECA-EC, i rappresentanti delle federazioni corali europee, il consiglio di presidenza di Feniarco e gran parte dei rappresentanti delle associazioni regionali della nostra federazione reduci dall’assemblea nazionale di Bard, tenutasi il giorno precedente. Un’assemblea articolata e stimolante La “due giorni” di lavoro si è svolta in un clima sereno e vivace, dal quale sono nati diversi spunti di confronto e collaborazione. Questo è stato possibile poiché l’assemblea ECA-EC non è stata un classico meeting fatto di soli interventi istituzionali e bilanci da approvare, ma un incontro più articolato e stimolante. Alle sessioni di lavoro formali si sono aggiunte attività altrettanto importanti e formative, come i workshops tenuti da relatori autorevoli, che tra il pomeriggio di sabato 12 e la mattina di domenica 13 hanno dato l’opportunità ai partecipanti di proporre e scoprire tematiche legate al mondo della coralità attorno alle quali discutere. Parallelamente, nelle altre sale del Circolo dei Lettori di Torino, che ha ospitato gran parte dei lavori, si riunivano anche le commissioni giovanili di Feniarco e di ECA-EC coadiuvate dal direttore artistico del Festival Europa Cantat Carlo Pavese, con lo scopo di elaborare e sviluppare idee creative per il festival. Per accogliere al meglio i numerosi partecipanti all’assemblea, Feniarco ha organizzato due splendidi concerti serali. Il primo nella sfarzosa Real Chiesa di San Lorenzo, dove il Coro La Rupe di Quincinetto e i Piccoli Musici di Casazza hanno offerto due performances di altissimo livello; il secondo nel teatro Piccolo Regio in cui La Compagnia del Madrigale e il Coro Accademia Feniarco hanno dato un’altra dimostrazione di qualità e offerto un’immagine di coralità italiana capace di saper eccellere nel repertorio antico, così come in quello pop-contemporaneo. L’armonia, in un’esperienza personale di grande valore Ho avuto l’opportunità di vivere questo appuntamento sotto molteplici vesti, quella di commissario giovanile, di direttore appassionato, di volontario a disposizione dello staff Feniarco. Ho potuto quindi contribuire (anche se in minima parte!) all’ottima riuscita della manifestazione, curata nei dettagli dalla sempre più efficiente macchina organizzativa della nostra federazione, ascoltare formazioni corali eccezionali e scambiare idee con musicisti e personaggi di grande levatura del panorama della musica corale internazionale. In questo mix di esperienze concentrate in poche ore, ho riscontrato un filo conduttore, un elemento caratterizzante che mi ha assolutamente colpito e che secondo me ha contraddistinto l’intera assemblea: l’armonia. L’armonia si è manifestata in tutte le sue forme, quella strettamente musicale, espressa attraverso i concerti, i workshop, ma anche nei canti comuni (open singing) che hanno preceduto ogni fase dell’incontro (anche quelle formali!); l’armonia dei luoghi e dei sapori della città di Torino, che si sposano alla perfezione con lo spirito di condivisione di un progetto musicale e culturale come Europa Cantat; ma soprattutto era palpabile l’armonia degli intenti, che ha unito le diverse organizzazioni e ha contribuito a fortificare le basi di ciò che sarà una grande festa della musica e un evento di grande importanza per la coralità europea e nazionale. Ci vediamo a Torino! L’assemblea di ECA-EC è stata una fondamentale tappa di un percorso che porterà il festival Europa Cantat a Torino. Vivremo con trepidazione i giorni che ci separano da questo grande appuntamento, certi del fatto che Feniarco continuerà a tenere fede all’impegno di responsabilità che la nostra realtà associativa prese più di due anni fa assieme al testimone di questo prestigioso festival, che saremo orgogliosi di ospitare per la prima volta in una città italiana. ASSOCIAZIONE 48 ASSEMBLEA GENERALE di ECA-EC Torino, 12/13 novembre 2011 di Giorgio Morandi Sette anni fa, nel novembre 2004, Feniarco organizzò un’Assemblea Generale annuale della federazione europea dei cori Europa Cantat nella nostra bellissima Venezia. Grande fu la partecipazione degli associati da ogni parte d’Europa. Nei mesi scorsi la generosa e competente disponibilità della Federazione Nazionale Italiana delle Associazioni Regionali Corali si è ripetuta nell’organizzazione perfetta dell’Assemblea Generale annuale di ECA - Europa Cantat in un’altra città italiana. La bella, classica, regale Torino il 12 e 13 novembre scorso è stata la sede della prima assemblea di European Choral Association - Europa Cantat, la nuova grande organizzazione scaturita dalla fusione (a Namur/Belgio nel 2010) fra Europa Cantat e AGEC (Arbeitsgemeinschaft Europäischer Chorverbände - Associazione delle Società Corali Europee). Le due più grandi associazioni corali europee, con la supervisione dei rispettivi presidenti Michael Scheck (presidente AGEC) e Jeroen Schrijner (presidente uscente di Europa Cantat) si sono unificate sotto la presidenza di Sante Fornasier. ECA-EC raccoglie ora 49 federazioni, rappresenta 29 paesi europei e si presenta come unico interlocutore della coralità europea capace di coniugare conservazione delle tradizioni e visione prospettica nel futuro, esperienze, tradizioni e repertori diversi uniti da una sola grande passione: il canto corale. L’assemblea di Torino – nella relazione del presidente Fornasier – è stata l’occasione, a distanza di un anno dalla sua costituzione ufficiale, per «sottolineare con grande piacere che l’integrazione delle due istituzioni è stata eccellente, all’insegna di un grande spirito di collaborazione e di condivisione delle idee. Questo può fieramente essere considerato segno evidente di quella generosa e reciproca volontà di collaborazione che era fondamentale per il processo di fusione che non avrebbe mai potuto realizzarsi in un clima più sereno». Dopo queste importanti e confortanti sottolineature, la relazione del presidente ha dato giusto rilievo ai progetti realizzati ma soprattutto ai nuovi progetti per il futuro anche se oggi più che mai essi sono sempre legati alle risorse e alla capacità di fundraising. In questo campo delle risorse e del fundraising l’iniziativa più importante nell’anno corrente è stata la creazione della Förderverein Freunde der europäischen Chormusik (Associazione Europea degli Amici della Musica Corale), che, strumento necessario per sostenere ECA-EC, è fatto da amici, sostenitori ed estimatori della nostra federazione ed è già operativo nello sforzo di fornire al mondo corale europeo le necessarie risorse per attività programmate e future. Un’attenta analisi del presidente Fornasier ha ricordato agli associati, convenuti in gran numero, l’intensa attività della federazione, provando ancora una volta il concetto orma universalmente riconosciuto che «il canto corale è un bene per la società». Tra le principali attività svolte ricordate in modo specifico dal presidente enumeriamo senz’altro Europa Cantat junior, festival per i cori di giovani e ragazzi tenutosi con grande successo a Pärnu in Estonia, e EuroChoir, un progetto annuale itinerante – nell’ambito dei paesi europei di cui gli associati ECA-EC sono espressione e rappresentanza – ereditato da AGEC che lo ha proposto ogni anno a partire dal 1982. Quest’anno il progetto è stato realizzato in Trentino. Esso prevede la formazione di un coro giovanile misto con quartetti di coristi di età compresa tra i 18 e i 30 anni, provenienti da differenti paesi europei. Obiettivo di EuroChoir è quello di promuovere la musica corale favorendo opportunità di scambio di esperienze tra i giovani. «Il canto corale giovanile – ha sottolineato nella sua relazione assembleare il presidente – è sicuramente uno degli obiettivi principali della federazione che è cosciente del suo dovere di investire nel futuro attraverso progetti educativi e artistici per giovani cantori e giovani direttori di coro». Tra le attività in programma per il futuro prossimo occupa certamente il primo posto il grande festival triennale Europa Cantat che avrà luogo proprio a Torino tra il 27 luglio e il 5 agosto 2012. «Mentre siamo riuniti in questa assemblea a Torino, non possiamo evitare di far volare la nostra fantasia immaginando che le vie, le piazze, le chiese, i portici e i teatri di questa città fra otto mesi risuoneranno della voce di migliaia di cantori… Ringrazio il Board del festival, la Commissione Musicale guidata da Carlo Pavese, l’Associazione Europa Cantat Torino 2012 nata esplicitamente per gestire tutti gli aspetti del festival, e lo staff di Feniarco. Tutti stanno lavorando alacremente con dedizione e professionalità per la realizzazione dell’evento Europa Cantat 2012…» L’argomento delle attività musicali è stato successivamente dettagliato opportunamente nella relazione del presidente della Commissione Artistica Fred Sjöberg. Momento un po’ più burocratico, ma non meno importante dell’assemblea, è stata la presentazione e successivamente l’approvazione di tutti i bilanci dell’associazione dopo l’attenta e dettagliata relazione dei Revisori dei Conti. Momento particolarmente importante è stato anche quello della presentazione della relazione sull’attività del Comitato Giovanile di ECA-EC. La responsabile Vittoria Liedbergius ha sottolineato l’ottima collaborazione con altri gruppi giovanili in funzione della realizzazione del progetto Access! a Torino, in funzione della preparazione del Festival Europa Cantat XVIII della prossima estate, e della nuova iniziativa denominata ECA Video Awards che permetterà a cantori e cori di tutta Europa di mandare video musicali autoprodotti partecipando a un concorso e vincendo un premio. Non potendo per ragioni di spazio citare in dettaglio anche i molti altri argomenti che erano all’ordine del giorno e sono stati regolarmente discussi e deliberati, si conclude ricordando le attività collaterali che hanno arricchito l’assemblea di ECA-EC: le tre sedute di open singing dirette rispettivamente da Paolo Zaltron, Jan Schumacher e Lorenzo Donati; il concerto con i Cori La Rupe (diretto da Domenico Monetta) e i Piccoli Musici (diretto da Mario Mora) nella Real Chiesa di San Lorenzo, il concerto con la Compagnia del Madrigale (diretto da Giuseppe Maletto) e il Coro Accademia Feniarco (diretto da Alessandro Cadario) realizzato nel Teatro Piccolo Regio; i gruppi di discussione sul Youth Manifesto da parte del Comitato Giovanile ECA-EC, la conferenza “Phonosurgery in singers” (Microchirurgia sulle corde vocali), presentata dal prof. Andrea Ricci Maccarini del Voice Center di Cesena, l’atelier corale “Il cantare insieme di generazioni diverse” condotto da Marleen Annemans e l’incontro con Jonathan Rathbone su “Cori di cantori anziani - Le gioie e le stonature”. I ringraziamenti alla Segreteria Generale dell’associazione guidata da Sonja Greiner e allo staff di Feniarco che insieme hanno preparato egregiamente con passione questa prima assemblea ECA-EC e le parole beneauguranti del presidente della federazione Sante Fornasier hanno concluso con soddisfazione di tutti i partecipanti questa maratona corale di due giorni nella regale accogliente città di Torino che dovrà attendere soltanto otto mesi per rivivere alla grande l’esuberanza, l’entusiasmo, la solidarietà umana, l’arte musicale che la coralità europea sa esprimere. 49 ASSOCIAZIONE 50 Cantare in un coro? 51 Il festival si avvicina… iscriviti anche tu! Indubbiamente uno stile di vita! di Carlo Pavese di Giorgia Loreto «Brava! Che bello! Cantare in un coro è decisamente un bellissimo hobby!». Questa una delle tante espressioni che da ragazzina venivano usate nei miei confronti da amici e conoscenti. E io inconsapevolmente ne ero convinta, anche se al sentire le diverse e contrastanti melodie intrecciarsi, non riuscivo a rimanere impassibile, non riuscivo a non perdermi nella musica, non riuscivo a non riflettere sul perché io provassi un fremito nel momento in cui il suono emesso dalla bocca del mio vicino era differente dal mio e non riuscivo a comprendere il motivo per il quale ogni volta mi sorprendessi della vibrazione che l’incontro di questi diversi suoni creava e mi trasmetteva. Non riuscivo a capire come tre o quattro note potessero farmi venire brividi lungo la schiena e mettermi tanta malinconia oppure gioia e allegria. Non riuscivo a spiegarlo ma crescendo ho scoperto quanto fosse vitale per me incontrare persone che condividessero questo mio stato d’animo e soprattutto quanto fosse necessario almeno quattro ore alla settimana poter cantare, esprimermi, non pensare alla quotidianità e assaporare i suoni che la combinazione di sette semplici note può creare. La vera svolta però arriva piano piano e un passo alla volta. Come per tanti cantori arriva il momento della prima audizione. Completamente nuova al mondo del conservatorio, come una piccola bimbetta ingenua, incredula ma ben pensante, varcata la soglia d’ingresso del Santa Cecilia a Roma non sapevo dove posare prima il mio sguardo. Non sapevo a cosa andavo incontro, ma volevo semplicemente vivere. Vivere e non perdermi nemmeno un singolo istante di quello che stavo per affrontare. Quello che poi avrebbe cambiato il mio stile di vita. Cantare, provare, vivere, mangiare, ridere, dormire, scherzare, piangere e ancora cantare! Condividere il tuo interesse più grande con persone come te, provenienti da tutta Italia, ognuna diversa dall’altra, con un vissuto singolare, con età differenti, ma con le stesse aspettative, uno stesso obiettivo e soprattutto anime con lo stesso colore intenso: quello della passione per la musica. Sentirsi liberi, essere fino in fondo se stessi usando sempre cuore, coraggio e cervello. Poter far parte del Coro Giovanile Italiano è un’opportunità che aiuta a crescere e che sicuramente ti arricchisce dentro. Un modo per confrontarsi, per mettersi alla prova, per incontrare direttori importantissimi che prima non conoscevi, ma il loro scalfire, plasmare, incitare, rimproverare ti lascerà indelebile il loro insegnamento. Avere la fortuna e l’onore di essere diretti da maestri del calibro di Stojan Kuret, (CGI 2007-2008), Lorenzo Donati e Dario Tabbia (CGI 2011-2012). Inutile mentire, senza pensarci troppo posso con il cuore in mano affermare che il Coro Giovanile Italiano è stato come un uragano che ha preso una parte di me e l’ha portata via. È stato anche come il mare, che ha trascinato a riva le conchiglie più belle ma che si è tenuto per se negli abissi quelle più speciali. Un’esperienza indescrivibile. Costruire legami con persone assolutamente sconosciute, ma che dopo anche solo mezz’ora di vocalizzi sai che diventeranno tue amiche e condivideranno con te tutto! Ti rendi conto che Far parte del Coro Giovanile Italiano è un’opportunità che aiuta a crescere. svegliarsi e fare le prove, pranzare e poi fare le prove, cenare e ancora fare le prove non è poi così noioso come sembra! Anzi diventa talmente interessante, coinvolgente, ma soprattutto naturale, che tornando a casa ne senti voracemente la mancanza perché ti rendi conto che cantare in un coro diventa per te uno stile di vita. Attraverso il coro vivi inconsapevolmente sensazioni positive incredibili, emozioni che ti fanno stare bene e quando le hai provate non riesci a non volerne riprovare per sentirti più forte e appagato. E così, dopo intensissimi stage di canto col Coro Giovanile Italiano, torni a casa nella tua realtà corale e vuoi solamente donare, ai tuoi amici coristi che non hanno avuto la fortuna di vivere quest’esperienza, tutto ciò che hai assorbito in quei giorni. Vorresti soltanto prendere quella energia che hai in corpo, tirarla fuori ed essere migliore! 30 novembre 2011: si chiude la prima tranche di iscrizioni al Festival Europa Cantat XVIII Torino 2012! A questa data, infatti, chi voleva avere la certezza di partecipare a uno degli atelier preferiti ha fatto la sua scelta… molti, moltissimi sono i cantori da tutto il mondo e parecchi anche gli italiani che hanno il posto garantito al festival. Ma chi non si è ancora iscritto, non si scoraggi! La prossima estate tutti sono benvenuti a Torino… fatevi sotto, gli atelier sono interessanti e ce n’è per tutti i gusti! Tra i 50 atelier proposti, qui di seguito trovate solo alcuni spunti e alcune particolarità… magari scoprirete quella fatta su misura per voi! Per tutte le altre proposte: www.ectorino2012.it Cori maschili Cinque atelier in cantiere, almeno due cori ospiti di livello internazionale, proposte antiche e moderne, repertorio romantico, musica popolare dalle Alpi alla Scandinavia… Al Festival Europa Cantat Torino 2012 vogliamo davvero mostrare lo straordinario mondo delle voci maschili, proponendo il festival come luogo di incontro, di scambio, di arricchimento e di vetrina. Ci sarà spazio per un atelier dedicato ai canti “delle Alpi”, dal versante italiano dirige Maria dal Bianco, da quello svizzero Oliver Rudin. Hirvo Surva esplorerà invece la grande tradizione dei cori maschili estoni, mentre Jürgen Faßbender accompagnerà i partecipanti alla scoperta di alcuni lavori del compositore viennese Franz Schubert. E ancora, Sofia Söderberg Eberhard condurrà un atelier dedicato alla musica folk di provenienza nord-europea ma con influenze internazionali e Stojan Kuret guiderà le voci maschili, accompagnate da due strumenti ad arco, nell’incontro tra Felix Mendelssohn e Giovanni Bonato. Scaldate le ugole… Gruppi vocali Il festival offre possibilità assai variegate ai gruppi vocali. La masterclass con il Real Group, celeberrima formazione svedese, permette a gruppi solidi, di buona qualità, di svolgere un lavoro di perfezionamento, specialmente indirizzato a chi canta coi microfoni. VOCES8, giovane formazione britannica, coniuga qualità ed entusiasmo, miscela ideale per aiutare un ensemble vocale a crescere e sviluppare le necessarie capacità di ascolto, di assieme, di dimestichezza col palco; il tutto senza utilizzare microfoni. I due atelier sono inoltre complementari, occupando rispettivamente la seconda e la prima parte del festival. Inoltre, siamo in Italia e per questo non poteva mancare un laboratorio dedicato a Monteverdi, protagonista dell’omonimo atelier della Compagnia del Madrigale, gruppo esperto e affermato del panorama internazionale. Caratteristica interessante di quest’ultimo percorso è la possibilità di iscriversi come singolo cantore e andare a formare degli ensemble ad hoc per il lavoro della settimana. Beat Boxers & Body Percussionists e chi vuole provare il Live Electronics Una risorsa in più: per dare un’intelaiatura ritmica a una canzone, per accostarsi al vocal pop avendo nel proprio coro l’elemento chiave della percussione, per offrire performance che sfruttino le potenzialità del nostro corpo per la produzione di ritmo ma anche di movimento. Un atelier che riunisce singoli partecipanti interessati ad approfondire discipline integrative dell’esperienza corale. Potranno essere appassionati del genere Beat Box, attratti dalla “stella” internazionale RoxorLoops, fanatici di Body and Vocal Percussion, desiderosi di incontrare l’espertissimo Richard Filz, ma anche elementi di un coro che vogliono specializzarsi in questo ruolo, per affrontare con maggiore consapevolezza ed esperienza una pratica così importante e peculiare del panorama corale d’oggi. Inoltre il festival vi propone un’esperienza di suoni e possibilità inesplorate per la vostra voce: nell’atelier Live Electronics, diretto da Alessandro Cadario, l’improvvisazione con supporti elettronici e l’incontro tra uomo e tecnologia faranno scoprire le nuove frontiere della musica vocale. Una proposta per voci curiose e intraprendenti! Cosa aspettate?! Iscrivetevi anche voi al Festival Europa Cantat XVIII Torino 2012! Tutte le informazioni sul sito www.ectorino2012.it E tu, sei pronTO a cantare? CRONACA 52 Polifonico 2011 visto da dentro di Daniele Proni L’arrivo ad Arezzo ci sorprende per il caldo estivo. Sotto una canicola agostana l’antica città appoggiata sulle rive dell’Arno si muove lentamente nell’attesa dell’arrivo di voci lontane. Tra qualche ora e per giorni sarà l’arte nell’arte ad accompagnarci. Risalgo via del Corso per raggiungere la sede della Fondazione dove fervono i lavori di questa cinquantanovesima edizione. L’atmosfera è sempre quella, confusa tra il ritmo frenetico dell’inizio della competizione e la voglia di ritrovarsi di coloro che aspettano un anno per rivivere l’emozione dell’incontro con la coralità più bella. Nelle premesse è un’edizione diversa dalle altre. Da poco più di un mese Francesco Luisi ha ceduto la guida della Fondazione lasciando un’eredità ponderosa: la creazione di un sistema corale, il Guidoneum Festival, che si aggiunge al concorso, alla Scuola per direttori (affiancata al Centro Studi Guidoniani) e l’istituzione degli Awards, sono un impegno che in anni difficili come questi il suo successore troverà probabilmente più come una pesante eredità che come un’opportunità. Ma Carlo Pedini palesa fin da subito, grazie alla sua lunga esperienza e competenza, di non sentirne troppo il carico. Coglie al balzo l’opportunità di collaborazione con Feniarco per inserire, nel già programmato, un concerto del Coro Giovanile Italiano di ritorno dal Festival MiTo. Non c’è timore di rilanciare, tutt’altro. L’introduzione che scrive sul pamphlet di presentazione è molto chiara: l’edizione è già definita al suo arrivo, ma fin da subito egli vuole dare segni chiari e visibili di incremento dell’attività, pur citando le difficoltà economiche che attanagliano l’intero apparato artisticoculturale del Paese, in forte crisi soprattutto nel riconoscere alla cultura un valore primario per la crescita e l’educazione dei suoi cittadini. Promette un impegno ricco di entusiasmo e responsabilità consapevole della potenzialità del concorso e del suo ruolo di ambasciatore privilegiato della città di Arezzo nel mondo. Si inizia con i diplomi del Corso superiore per direttori di coro. Altri quattro studenti hanno raggiunto dopo tre anni di duro lavoro il compimento della loro fatica con l’esame finale. Ma come consuetudine la prima giornata di concorso è dedicata al canto monodico cristiano. Sono tre i cori che si cimentano nella prova eliminatoria: la Schola Gregoriana Piergiorgio Righele di Pescara e due gruppi polacchi, la Mulierum Schola Gregoriana Clamaverunt Iusti di Varsavia e il Cathedral Boy’s Choir Pueri Cantores di Tarnów. Accedono alla prova finale i primi due con i polacchi che distaccano di una quindicina di punti gli italiani (in giuria Giovanni Conti, Marco Gozzi, Lanfranco Menga, Alexander Schweitzer e Peter Weincke). Divario che si riduce notevolmente nella prova finale ma che lascia comunque il primo premio nelle mani della Mulierum Schola Gregoriana che il giorno successivo si aggiudica, anche se per poco, la rassegna a premi, grazie alla cura del gesto musicale dell’antico repertorio. Mercoledì, ore 14: è l’ora del 28° concorso nazionale polifonico. In giuria ho il piacere di condividere l’ascolto con Paola Farsetti (presidente), Aldo Cicconofri, Walter Marzilli e Mauro Zuccante. I sei cori presenti promettono di farci ascoltare un repertorio vario e gradevole, reso tale anche dalla diversa composizione di ciascuno dei gruppi. L’esordio è affidato all’Ensemble Palazzo Incantato di Bari diretto da Sergio Lella. Bella vocalità, buoni i piani dinamici ed efficace la direzione in particolare sul repertorio modernocontemporaneo. A seguire il Coro Polifonico Maria SS. De’ Pitternis di Cervaro (FR) diretto da Giovanni Battista De Simone e il Coro Vivaldi di Roma diretto da Amedeo Scudiero che non arriveranno in zona premi nonostante programmi certamente impegnativi. Tra i due si esibisce il Coro della Virgola di Pescara diretto da Pasquale Veleno che dimostra una vocalità eccellente con una ricerca del fraseggio molto curata tanto da risultare, al termine della competizione, secondo classificato. Chiudono le esibizioni il Coro Clara Schumann di Trieste diretto da Chiara Moro che malgrado il bell’impasto sonoro si classifica terzo, forse anche a causa del repertorio molto concentrato nel periodo ottocentesco che dà del coro un’impressione parziale, e il Coro da Camera di Varese. Per ascoltarlo occorrono però cinque minuti di pausa: arriva trafelato dopo un viaggio complicato a causa di un incidente che lo ha tenuto fermo in autostrada, motivo che impedisce ai coristi di prepararsi e scaldarsi, cosa che avviene in diretta. L’esordio è con Tomas Luis de Victoria e già si intuisce che la strada è notevole. A seguire un’ottima esecuzione del bachiano Lobet den Herrn, alle Heiden che denota compattezza del gruppo, buon fraseggio e direzione precisa da parte di Gabriele Conti (l’esecuzione del brano vale al gruppo anche il premio Feniarco di 700 euro per l’acquisto di musica). La chiusura del programma è affidata a due autori contemporanei, Emanuele Vianelli e Urmas Sisask, nei quali il coro cresce ulteriormente rivelando ottime capacità dinamiche unite a un’intonazione precisa e una notevole interpretazione. Il risultato li premierà particolarmente per queste belle caratteristiche, facendoli salire sul gradino più alto. La serata è dedicata a Maurice Duruflé, al quale l’Insieme Vocale Vox Cordis diretto da Lorenzo Donati dona un suono eccellente. Nonostante un cambio di programma all’ultimo momento a causa di un infortunio che impedisce all’organista di essere presente, l’atmosfera è magica. La direzione di Donati è fluida e le note del francese risuonano morbidamente in Sant’Ignazio: per il coro e il suo direttore lunghi applausi ai quali seguono quelli per la proclamazione dei vincitori del Nazionale. Il giovedì è da sempre la giornata più intensa e ci aspettano molte ore di musica. Le premesse dicono che sarà una giornata da ricordare e, tornando all’albergo a notte inoltrata, possiamo constatare che il risultato ha superato di gran lunga le aspettative, che già erano alte. Si inizia subito con l’Internazionale. A uno a uno gli otto cori provenienti da tre continenti diversi si alternano facendo capire che non sarà facile decidere per la giuria composta da alcune tra le personalità più importanti del panorama internazionale: Peter Broadbent, Bernd Englbrecht, Maria Gamborg Helbekkmo, Carl Høgset, Bo Holten, Mario Mora, Gianni Tangucci. Le prime impressioni sono di grande qualità e compattezza di tutte le compagini, se si esclude qualche piccola flessione fisiologica dovuta alla stanchezza del viaggio, tipica della prima prova. Il repertorio più ostico risulta essere come consuetudine il Cinquecento, così lontano nel tempo e forse anche dagli abituali repertori di alcune dei complessi presenti. Per loro infatti l’Otto e Novecento sono più alla portata e i risultati in alcuni casi eccellono, come quando sale in cattedra Ko Matsushita che interpreta se stesso con il Vox Gaudiosa o il Salt Lake Vocal Artists che esegue Cloudburst di Whitacre. 53 59º CONCORSO POLIFONICO INTERNAZIONALE GUIDO D’AREZZO Gran Premio Città di Arezzo Chamber Choir Vox Gaudiosa - Tokyo (Giappone) Categoria B - Polifonia Sez. 3 - Gruppi Vocali 1° premio: Salt Lake Vocal Artists - Salt Lake City (Stati Uniti) 2° premio: William Byrd Consort - Riga (Lettonia) Sez. 4 - Cori 1° premio: ex aequo Salt Lake Vocal Artists - Salt Lake City (Stati Uniti) e Chamber Choir Collegium Musicale - Tallin (Estonia) 2° premio: Chamber Choir Vox Gaudiosa - Tokyo (Giappone) 3° premio: Mannheim Chamber Choir - Mannheim (Germania) Sez. 5 - Voci Bianche 1° premio: non assegnato Sez. 6 - Rassegna per periodi storici Premio speciale periodo B: Chamber Choir Vox Gaudiosa - Tokyo (Giappone) Premio speciale periodo C: William Byrd Consort - Riga (Lettonia) Premio speciale periodo D: ex aequo Salt Lake Vocal Artists - Salt Lake City (Stati Uniti) e Chamber Choir Collegium Musicale - Tallin (Estonia) Premio speciale periodo E: Chamber Choir Vox Gaudiosa - Tokyo (Giappone) e Salt Lake Vocal Artists - Salt Lake City (Stati Uniti) Sez. 7 - Rassegna di musica corale contemporanea Premio speciale: Chamber Choir Collegium Musicale - Tallin (Estonia) Sez. 8 - Canto Popolare Premio commissione d’ascolto: ex aequo Cathedral Boy’s Choir Pueri Cantores Tarnovienses - Tarnów (Polonia) e Coro Tonos Humanos Medellin (Colombia) Premio del pubblico: Institut Teknologi Bandung Choir - Bandung (Indonesia) Categoria A - Canto monodico Sezione 1 Premio speciale: Mulierum Schola Gregoriana Clamaverunt Iusti - Varsavia (Polonia) Sezione 2 Premio speciale: ex aequo Mulierum Schola Gregoriana Clamaverunt Iusti - Varsavia (Polonia) e Schola Gregoriana Piergiorgio Righele - Pescara 28º CONCORSO POLIFONICO NAZIONALE 1° premio: Coro da Camera di Varese 2° premio: Coro della Virgola - Pescara 3° premio: Coro Clara Schumann - Trieste Seguono in ordine di punteggio: 4. Ensemble Palazzo Incantato - Bari 5. Coro Vivaldi - Roma 6. Coro polifonico Maria SS. De’ Piternis – Cervaro (Fr) Premio Feniarco: Coro da Camera di Varese CRONACA 54 55 L’ITALIA S’È DESTA… NEL CORO GIOVANILE ITALIANO Come dicevamo il Polifonico non è solo un concorso ma anche un festival, occasione quindi per poter ascoltare alcuni dei cori più interessanti del panorama internazionale. Il primo a salire sul palcoscenico è il Vokalna Akademjia Ljubljana diretto da Stojan Kuret. Tutti lo ricordiamo stravincere il Polifonico del 2009: in verità nei suoi tre anni di vita ha mietuto successi straordinari ovunque, vincendo tra l’altro il Gran Premio Europeo di canto corale di Varna del 2010. La guida di Kuret è una certezza, è infatti l’unico direttore che è stato capace di vincere ben due volte questa competizione e con due compagini corali diverse. Il programma del coro maschile, arricchito dalle voci di Barbara Sorc̆, mezzosoprano e Martina Burger, soprano, accompagnato al pianoforte da Mojca Prus ha offerto una lunga carrellata che da Jacobus Gallus arriva a Giovanni Bonato. Il brano del compositore veneto è risultato il più apprezzato dal pubblico. O lilium convallium in Assumptione Gloriose Virginis Mariae con il testo tratto dall’antica liturgia aquileiese e greco-ortodossa ha condotto i presenti in una sonorità nuova rispetto al resto del programma. L’effetto stereofonico, quasi di live electronics, ottenuto con il posizionamento agli estremi del coro di due violoncelli, ha consentito di gustare una rotondità armonica di pregiatissima fattura che il coro ha reso nei chiaroscuri decisamente affascinante. Applausi a scena aperta. L’attesa non scema, anzi si concentra sul Coro Giovanile Italiano che alle 21 si esibisce nella splendida Basilica di S. Francesco. Dopo i riti introduttivi ai quali hanno partecipato anche Katia Ricciarelli e Carla Fracci (che riceve la medaglia del Presidente della Repubblica) si è passati alla musica. Un repertorio ad arco con inizio e fine cinquecenteschi e il nucleo centrale dedicato alla contemporaneità. I direttori Lorenzo Donati e Dario Tabbia, che in questo biennio traghetteranno il coro verso il grande evento di Europa Cantat di Torino 2012, si sono alternati nell’interpretazione di alcuni grandi della storia musicale: Gabrieli, Schütz, Palestrina, de Victoria, Pizzetti, Stravinsky, Barber Penderecki. Nonostante il grande caldo e il lungo e impegnativo programma il coro ha sviluppato sonorità eccellente, fluidità e grande fraseggio. Lo stesso dicasi per due prime assolute che Feniarco ha commissionato a Carlo Pedini e Nicola Campogrande e che il coro ha interpretato con consapevolezza e naturalezza, nonostante la sua formazione risalga solo ad aprile scorso. Davvero un risultato eccellente e si leggeva chiaramente molta soddisfazione negli occhi di Sante Fornasier che tanto ha lavorato per poter riprendere questa meravigliosa esperienza ferma da qualche anno, per portarla a essere un fiore all’occhiello della coralità giovanile europea. Lunga maratona venerdì con i cori impegnati nei vari periodi storici. Restano solo pochi minuti di prova al secondo coro invitato per gli Awards: El León de Oro, proveniente dalle Asturie e guidato da Marco Antonio García de Paz. Ho scambiato alcune parole con lui, che avevo conosciuto alcuni anni fa in occasione del Concorso Internazionale per Direttori di Coro “M. Ventre” al quale era arrivato come finalista, e traspariva l’emozione per l’ambito premio che, mi ha confessato, serberà per sempre come uno dei riconoscimenti più importanti della sua carriera. Il concerto copriva oltre 400 anni di repertorio e la capacità della compagine di interpretare le esigenze dettate dalla prassi è stata eccellente. Abbiamo potuto ascoltare polifonia antica, brani per cori pari, musica sacra e profana anche di giovani compositori come Ola Gjelo (1978) e Michael Ostrzyga (1975). Su tutti comunque uno dei cavalli di battaglia del coro: Leonardo dreams oh his flying Machine di Eric Whitacre, brano che molto contribuì alla vittoria aretina nel 2008. E a seguire, presso l’Anfiteatro Romano, grande successo di pubblico (oltre mille persone) a tributare il consueto omaggio al Festival di Canto popolare, nel quale i cori hanno donato un po’ della loro terra attraverso la voce di chi ha messo in musica le emozioni di Paesi tanto lontani e diversi. Infine il sabato, nel quale l’attenzione si concentra sull’evento clou dell’intera manifestazione: il Gran Premio Città di Arezzo. A contenderselo il Chamber Choir Collegium Musicale di Tallin (Estonia), il Chamber Choir Vox Gaudiosa di Tokyo (Giappone) e il Salt Lake Vocal Artists di Salt Lake City (USA). Il livello è altissimo e la vittoria si gioca sul filo di lana. L’esordio degli estoni è mirabolante con un Bach strepitoso. Singen bem Herrn ein neues Lied è un rincorrersi di lunghe e impegnative linee nelle quali il compositore tedesco contrappunta in modo efficace rendendo difficile l’esecuzione che in questo caso è ottima. A seguire il coro giapponese che sorprende sin dal primo brano: Knowee di Stephen Leek è una sorta di Walhalla nel quale alcune coriste turbinano intorno al pubblico con suoni fermi e taglienti, impugnando lanterne accese. L’esecuzione è di altissimo livello, la capacità tecnica si evidenzia fortemente nel repertorio che più si addice al coro, che, per spezzare la sonorità contemporanea del programma, esegue con precisione e intensità Dolcissima mia vita di Carlo Gesualdo. Chiude il Salt Lake Vocal Artists anche se sarà difficile riuscire a raggiungere la perfezione del Vox Gaudiosa. Il coro è affaticato per la lunga competizione ma il risultato vocale è ancora eccellente. La loro prova si chiude con il miglior omaggio possibile al coro nipponico: l’interpretazione di Usquequo Domine di Matsushita si conclude con il giusto tributo del pubblico al quale si aggiunge l’applauso convinto e sincero dei colleghi giapponesi presenti in sala. La premiazione finale, nella quale possiamo riascoltare con piacere i tre cori finalisti, termina con l’assegnazione del Gran Premio ai giapponesi che, ricevuta la medaglia d’oro, cantano commossi il loro inno e regalano l’ultimo momento di musica a questo Polifonico, che il prossimo anno compirà 60 anni ma non andrà certamente in pensione! di Rossana Paliaga Come accade per molte altre realtà culturali italiane di grande tradizione, anche il Polifonico di Arezzo si trova alla soglia dei sessant’anni a dover fronteggiare le conseguenze di una crisi generale alla quale ha cercato recentemente di trovare una soluzione in un rapporto più stretto con le istituzioni. La ricerca di una nuova immagine adeguata ai tempi e alle necessità contingenti continua, dimostrando quest’anno un reindirizzamento apprezzabile verso le priorità della musica con un allontanamento dall’immagine piuttosto ingessata della precedente edizione. Se tuttavia il tocco di mondanità e l’affettazione della solennità istituzionale, nonostante la grande distanza dallo spirito autentico della coralità amatoriale, possono servire a sostenere e far crescere la manifestazione, non sarebbe saggio biasimare la scelta di mantenere questo equilibrio nella cerimonia di apertura. La serata inaugurale di quest’anno, accanto all’omaggio all’anniversario dell’Unità e a ospiti di grande prestigio, ha voluto oltretutto valorizzare adeguatamente il lavoro di Feniarco attraverso il concerto del Coro Giovanile Italiano, quale simbolo di prospettive future e di simbolica unità nazionale. Peccato soltanto che i veri appassionati di musica corale siano risultati essere gli ultimi destinatari di questa manifestazione, relegati a posti in piedi dietro le transenne che delimitavano lo spazio dei posti a sedere destinati alla parata di autorità e ospiti illustri e costretti ad attendere per quasi un’ora l’inizio del concerto, ritardato dalla serie di discorsi del protocollo istituzionale. L’incomodo, che ha costretto molti ad andarsene durante l’intervallo, sarà stato senza dubbio vincolato a imprescindibili obblighi logistici per l’utilizzo dello spazio della preziosa Basilica di san Francesco, ma rimane invece discutibile nella lunga introduzione la volontà di uscire dal contesto corale per dargli maggiore visibilità. Madrina del polifonico è stata anche quest’anno la cantante Katia Ricciarelli, affiancata dalla leggendaria étoile Carla Fracci, alla quale è stata consegnata la medaglia del presidente della Repubblica per la 59 a edizione del Polifonico. Le due prestigiose ospiti si sono rivelate madrine affettuose e partecipi per i giovani del progetto corale che hanno applaudito e incitato dalle prime file, premiando meritatamente il pregevole risultato dell’ottimo lavoro dei due direttori Lorenzo Donati e Dario Tabbia, uno per il repertorio antico, l’altro per quello contemporaneo, sotto il comune denominatore di una sfida impegnativa dal punto di vista interpretativo come è quella della musica sacra. I giovani coristi hanno dimostrato di trovarsi a proprio agio nei diversi stili di un programma adeguatamente impegnativo e formativo, pronti a sperimentare armonie inconsuete, brani a tre cori o per otto voci che probabilmente non rientrano nel repertorio abituale dei loro cori di provenienza. La Fracci ha sottolineato nel suo discorso di ringraziamento l’importanza della progettualità, della disciplina e dell’entusiasmo per la buona riuscita di ogni attività artistica e i ragazzi del Coro Giovanile Italiano hanno dimostrato di aver fondato il proprio impegno su questi valori con un concerto di ottimo livello, un buon controllo del suono sufficientemente amalgamato e un sincero coinvolgimento. Ha impreziosito il concerto uno sfondo unico, la maestosa bellezza della Leggenda della Vera Croce di Piero della Francesca, uno dei più grandi tesori del nostro patrimonio artistico, illuminata nell’introduzione al concerto con i colori della bandiera durante l’esecuzione dell’inno di Mameli arrangiato per l’occasione da Donati e trasformato in una ninna nanna che invita per contrasto a prendere posizione rispetto a un pericoloso assopimento culturale. Si è “destata” invece la voglia di stare assieme nei giovani coristi che hanno creato una rete nazionale di rapporti nel nome dell’arte corale. Francesco, Luca e Adalgisa hanno prestato la loro voce a Nord, Centro e Sud nell’esprimere il proprio entusiasmo per questo progetto. Francesco (Torino): «La cosa più sorprendente è che si sia creato un gruppo bellissimo con legami così forti in un tempo brevissimo. Tanti singoli sono diventati una cosa sola e di questo testimonia il suono del coro. Il risultato ottenuto non è un caso, ma il grande merito dei due direttori che hanno saputo condividere e suddividere il lavoro tra di loro, creando inoltre un rapporto di grande collaborazione con i coristi. Solitamente è difficile raggiungere una tale sinergia in così breve tempo, ma qui tutti danno il massimo; ci si mette in gioco completamente, perché in questo progetto importa anche “come sei”, non soltanto “come canti”.» Luca (Roma): «Il lavoro con il Coro Giovanile Italiano è un’esperienza incredibilmente formativa dal punto di vista musicale e personale. Sono grato in maniera particolare per l’approfondimento del repertorio di musica antica, un mondo che si scopre meno frequentemente in confronto con il Novecento. Incontrare realtà vocali che rappresentano tutta l’Italia, persone diverse con i loro trascorsi musicali, mi ha fatto crescere individualmente in modo eccezionale e ringrazio il cielo per la fortuna di aver superato l’audizione e la possibilità di condividere la gioia di questa esperienza.» Adalgisa (Reggio Calabria): «Il gruppo affiatato di coristi e direttori che si è formato ha la capacità di coinvolgere e amplificare l’energia che mettiamo in questa esperienza corale. Apprezzo in particolar modo la possibilità di lavorare con due maestri così diversi tra di loro, che derivano da scuole ed esperienze differenti e mettono tutto il loro impegno per trasmetterci queste conoscenze. Visto il tipo di progetto le prove non sono frequenti, ma sono sempre finalizzate alla realizzazione a breve termine di concerti, per questo la nostra adrenalina è sempre molto alta e i direttori hanno il difficile compito di convogliarla nella giusta direzione.» CRONACA 56 57 UNA COLORATISSIMA SERIE MONDIALE DI CANTORI LA NOTA ITALIANA Il Concorso Corale Internazionale Città di Rimini di Giorgio Morandi di Rossana Paliaga I tredici cori del concorso internazionale di Arezzo hanno offerto quest’anno una gara entusiasmante e ricca di emozioni, con un confronto all’ultimo punto tra i Salt Lake Vocal Artists diretti da Brady Allred, forti della sua grande esperienza e dell’equilibrio nel dosare gli ingredienti necessari a un buon risultato, e i vincitori del coro giapponese Vox Gaudiosa di Ko Matsushita, armoniosi ed espressivi nel loro affascinante mix di rigore e spontaneità, seguiti a breve distanza dal Collegium musicale estone diretto da Endrik Üskvärav, che si è distinto in particolar modo nel repertorio antico. Gli addetti ai lavori sono stati tuttavia unanimi nell’esprimere l’apprezzamento anche per il buon livello dei cori che hanno partecipato al XXVIII concorso nazionale, sette gruppi provenienti da altrettante regioni della penisola e tra i quali il Vivaldi di Roma si è cimentato addirittura in una doppia prova, partecipando anche al concorso internazionale, peso eccessivo per le giovani coriste ma che conferma l’opinione molto positiva del nuovo presidente del Polifonico Carlo Pedini, musicista, compositore ed ex direttore della Sagra Musicale Umbra, sulla crescita di qualità e ambizioni della coralità italiana: «La mia opinione deriva dall’origine stessa del concorso nazionale, che era stato creato per la mancanza di cori italiani in grado di partecipare al concorso internazionale. La coralità mondiale stava crescendo, noi in Italia siamo cresciuti più tardi. Oggi possiamo però affermare di aver colmato quella lacuna e quindi la categoria nazionale serve semplicemente a far sì che i nostri cori abbiano a disposizione una sorta di esperienza di “rodaggio”. Sono molti i cori italiani che potrebbero partecipare al concorso internazionale e la funzione del nazionale è in fondo quella di banco di prova per chi non si sente ancora abbastanza sicuro per una prova così impegnativa, considerando il livello straordinario dei cori che partecipano all’internazionale. La necessità dalla quale è nato non ha più ragione di esistere, quindi portiamo avanti entrambi i concorsi, ma senza considerarli la serie A e la serie B.» In cosa consiste il miglioramento che ha permesso di ripensare la differenza tra i due concorsi con una funzione diversa? «Il miglioramento consiste in tre fattori fondamentali. Innanzitutto la preparazione dei maestri che non è confrontabile con quella dei maestri di trent’anni fa. Possiamo dire che oggi non ci sia coro che non sia diretto da un musicista professionista, mentre cinquant’anni fa era difficile trovare veri professionisti. In secondo luogo si è sviluppato negli ultimi vent’anni un lavoro sulla vocalità che ha portato a raggiungere la consapevolezza della vocalità giusta per il tipo di repertorio affrontato. Oggi la presenza di un preparatore vocale – quando non sia già il direttore del coro – è un fatto piuttosto comune. Il terzo fattore è il repertorio, che in tempi relativamente recenti si è sviluppato per ampiezza e qualità, con un cospicuo aumento di autori italiani esperti di vocalità che scrivono pensando alle esigenze specifiche dei cori. L’interesse primario di un tempo per la polifonia rinascimentale ha ceduto il passo a una prevalenza di musica contemporanea.» «L’arte presenta [rende presente] la bellezza, lo splendore, la gloria, la maestà, il plus che è nelle cose e che si ritira quando dite che la luna è solo terra e le nuvole sono solo acqua». Queste parole di Padre Bernard Lonergan (ricordate recentemente dal Card. Scola di Milano) identificano con chiarezza l’esperienza dell’incontro con l’opera d’arte. Ciò avviene anche nel campo della musica e in particolare della musica corale; è avvenuto, in effetti, anche al Concorso Corale Internazionale Città di Rimini lo scorso mese di ottobre. Si discute spesso e da più parti sul valore del cantare insieme come sforzo di collaborazione in cui diversi gruppi di persone cantano insieme per produrre qualcosa che per un individuo sarebbe impossibile ottenere. L’insieme dei cantori – professionisti o dilettanti [nel vero senso etimologico che il grande amico dei cori Mino Bordignon ricordava sempre «che traggono diletto da ciò che fanno in musica»] – comprende una coloratissima serie di partecipanti che riflettono perfettamente il nostro mondo: neri, bianchi, latini, asiatici, cattolici, protestanti, mussulmani ed ebrei; bambini, giovani, adulti e anziani; conservatori, liberali, indipendenti e… fans del tè delle cinque. Qualcosa di veramente unico e caratteristico del mondo dei cori; esattamente quello che si è visto a Rimini quando – dal 6 al 9 ottobre 2011 – si è realizzata la quinta edizione del Concorso Corale Internazionale Città di Rimini, una manifestazione corale di tutto rispetto patrocinata dal Parlamento Europeo, dalla Presidenza della Repubblica Italiana, dalla Regione Emilia Romagna, dalla Provincia di Rimini, dal Comune di Rimini, dall’Istituzione Musica Teatro Eventi, da Feniarco, dall’Associazione Emiliano-Romagnola Cori e dalla Fondazione Carim. Erano stati ammessi al concorso 29 cori (ma i richiedenti erano stati molti di più) provenienti per la maggior parte da paesi europei (18 cori), ma anche dalla Russia (4 cori), dal Sudamerica (Argentina e Messico, 2 cori) e un coro dal Sudafrica, il paese dove è finito – grazie al Ekurhuleni Children’s Choir (di Ekurhuleni, Gauteng, Sud Africa) il Gran Premio Città di Rimini dopo che il coro si era già classificato al primo posto nella Categoria C - Cori giovanili e di bambini e al secondo posto nella Categoria D - Cori popolari e gospel. Il Concorso Internazionale di Rimini è stato organizzato e realizzato dall’Associazione Musicale Musica Ficta di Rimini sotto la direzione artistica di Andrea Angelini per il quale «il concorso non vuole soltanto mettere in competizione le formazioni corali, ma intende presentare al pubblico le caratteristiche e le diversità di ogni gruppo e repertorio. Il tutto nella splendida cornice di questa antica città romana, conosciuta per la bellezza delle sue spiagge ma soprattutto piena di vestigia di un glorioso passato». È sicuramente notevole lo sforzo richiesto da una organizzazione come questa, ma non deve essere stato un lavoro troppo pesante per il direttore artistico essendo egli stato capace di crearsi una squadra di lavoro volontario come quella guidata dalla segretaria Annamaria Fonti ed essendo stato abile nell’affiancarsi una Commissione Artistica formata dai musicisti Milan Kolena (slovacco, Presidente della Giuria), Lorenzo Donati, Matteo Unich, Stojan Kuret, Ilario Muro e Fabio Pecci. Per la fruizione e il godimento completo dell’informazione da parte dei lettori (cantori e addetti alla musica corale a qualsiasi titolo) restano da ricordare con precisione le categorie corali che il Concorso Corale Internazionale Città di Rimini prevedeva e i parametri di giudizio tenuti in considerazione dai giurati. Le categorie previste e attivate sono le seguenti: A - Cori a voci pari (maschili o femminili); B - Cori a voci miste; C - Cori di bambini e giovanili (maschili, femminili, misti); D - Cori con repertorio popolare e o spiritual/gospel (maschili, femminili, misti); X - Concorso “Gran Premio Corale Internazionale Città di Rimini” (a cui hanno partecipato i cori classificatisi primi e secondi nelle categorie A, B e C). I criteri di giudizio adottati dai giurati sono i seguenti: intonazione, fedeltà d’esecuzione allo spartito, qualità del suono, scelta di programma, impressione artistica generale. Troppo importante per poterla dimenticare è stata l’attività musicale collaterale che ha sicuramente contribuito a rendere ancor più ricca e interessante la partecipazione dei cori al concorso riminese. Nel pomeriggio di sabato 8 ottobre i cori hanno realizzato il CRONACA 58 59 Lettera da Tallin Risultati del concorso di Alvaro Vatri Cat. A - Cori a voci pari (maschili o femminili) 1. Chamber Choir Ozarenie - Mosca (Russia) 2. Vokalna Skupina Solzice Gs Brez̆ice - Brez̆ice (Slovenia) 3. Jugendchor Konservatorium Winterthur Winterthur (Switzerland) Dal 26 settembre al 1 ottobre si è tenuto a Tallin in Estonia (capitale europea della cultura per il 2011) il 4° Forum Mondiale dell’International Music Council (IMC). Tema del forum: “Musica e cambiamento sociale”, un tema quanto mai attuale in tempi in cui la cultura in generale sembra essere relegata a un ruolo assolutamente marginale, se non addirittura inutile, nella nostra società in affanno. Sono emersi e ribaditi concetti “forti”, quali il riconoscimento della Cat. B - Cori a voci miste 1. Mixed Choir Odmev - Kamnik (Slovenia) 2. Perbanas Institute Choir - Jakarta (Indonesia) 3. Its Student Choir - Surabaya (Indonesia) Cat. C - Cori di bambini e giovanili (maschili, femminili, misti) 1. Ekurhuleni Children’s Choir - Ekurhuleni Gauteng (South Africa) 2. Rodnik Chamber Choir - Mosca (Russia) 3. Children’s Choir Consonance - Mosca (Russia) Cat. D - Cori con repertorio popolare e o spiritual/gospel (maschili, femminili, misti) 1. Its Student Choir - Surabaya (Indonesia) 2. Ekurhuleni Children’s Choir - Ekurhuleni Gauteng (South Africa) 3. Perbanas Institute Choir - Jakarta (Indonesia) Gran Premio Città di Rimini Ekurhuleni Children’s Choir - Ekurhuleni Gauteng (South Africa), diretto da Christine Dercksen Altri premi Miglior direttore: Budi Susanto Yohanes, Choir Its - Surabaya (Indonesia) Miglior gruppo da camera fino a 12 cantori: Vocal Group Octachord - Rijeka (Croatia) servizio musicale liturgico, sotto la direzione del maestro Andrea Angelini, durante la S. Messa vespertina nella Chiesa di S. Agostino di Rimini. Nelle serate di giovedì 6, venerdì 7 e sabato 8 ottobre tutti i cori hanno avuto la possibilità di realizzare parte di un concerto non competitivo nello stesso Teatro Novelli sede del concorso. In questa occasione i cori hanno dovuto presentare un repertorio di quattro brani, diverso da quello previsto per la competizione vera e propria. Inoltre alcuni dei cori il sabato sera hanno realizzato un’interessante rassegna corale nella città di Riccione. Il grande concerto per l’assegnazione del “Gran Premio Città di Rimini” è stato onorato dalla presenza del presidente di European Choral Association - Europa Cantat e presidente di Feniarco Sante Fornasier, del presidente dell’Aerco Fedele Fantuzzi e da Monique Lesenne, presidente dell’Associazione dei Cori Fiamminghi (Belgio). Che dire ancora, vista la tirannia dello spazio a disposizione? Come esprimere in poche righe un fiume di informazioni, di immagini, di emozioni, di sensazioni che scorrono nel cuore e nella mente… una mente attonita di fronte a una miriade di persone venute da ogni parte della terra… di fronte a uno spettacolo, una meraviglia musicale, e in particolare corale, indescrivibile il cui ricordo emoziona ancora e a cui nessuno può restare indifferente? Non resta che fare gli auguri di lunga vita e costante crescita a un concorso giovane di storia ma già ricco di valore, un concorso che sicuramente merita un ulteriore sforzo per guadagnarsi – anche verso l’esterno, anche nella città e in tutto il mondo corale – una più decisa immagine internazionale e quel più vasto pubblico che esso si merita e che una prestigiosa città come Rimini può offrire. cultura come un diritto fondamentale dell’umanità, al pari dei diritti civili, politici ed economici, e anche che la cultura è da considerarsi un indicatore del progresso sociale al pari del PIL e del welfare. Sono diritti centrali per l’identità, la coesione, l’autodeterminazione e il rispetto di una nazione. Molti relatori, di ogni continente, hanno portato esperienze concrete di come la musica possa essere uno strumento di cambiamento sociale, di come l’investimento in progetti culturali e musicali si riveli produttivo (è stato calcolato che un dollaro investito in progetti musicali in 10 anni ha un ritorno di 600 volte). È stato un confronto importante che ci ha permesso di constatare come, sul piano pratico, molte iniziative nelle più diverse latitudini rispondono alle stesse esigenze di inclusione di sviluppo nel rispetto e nell’armonizzazione delle diversità. Presente ECA - Europa Cantat, con il presidente Sante Fornasier, la segretaria Sonja Greiner e altri dirigenti; presente l’Italia, rappresentata al forum da Feniarco, con lo stesso presidente Fornasier, il presidente dell’Arca Gianni Vecchiati e il sottoscritto. Siamo stati invitati a presentare il Bilancio Sociale, valutato strumento di grande utilità e un modello che, si spera, possa “ispirare” molte altre organizzazioni. I contenuti del Bilancio Sociale, vale a dire il resoconto dell’impatto sociale dell’attività della coralità amatoriale italiana rappresentata da Feniarco, la sinergia con l’istituzione pubblica che ha finanziato il progetto e il metodo per la sua realizzazione che ha visto interagire le federazione nazionale con le associazioni regionali, rappresentano un processo particolarmente incisivo per individuare, affermare e consolidare il ruolo delle organizzazioni culturali nel raccogliere e saper dare risposte adeguate alle richieste che i rapidi cambiamenti della società fanno continuamente emergere. La cultura in generale e la musica in particolare svolgono un ruolo a volte decisivo, soprattutto in situazioni di disagio ambientale e sociale, ma tanto più la loro azione sarà efficace quanto più sapranno presentarsi con strumenti efficaci e innovativi. Il nostro Bilancio Sociale è stato ritenuto tale. Sicuramente un importante riconoscimento per il nostro mondo corale amatoriale (e un grande onore per il sottoscritto che ha svolto la relazione), ma al tempo stesso la constatazione che, come spesso accade, «nemo propheta in patria». Comunque… noi c’eravamo, e abbiamo potuto così constatare anche l’interesse e l’attesa per il grande evento che ci riguarda: il Festival Europa Cantat XVIII Torino 2012! International Music Council L’International Music Council (IMC) fondato dall’UNESCO nel 1949, è il più grande network mondiale di istituzioni e di singoli operatori attivi in campo musicale, che promuove le diversità musicali, l’accesso alla cultura per tutti e unisce organizzazioni in circa 150 paesi nel mondo nel costruire la pace e la comprensione reciproca tra popoli di ogni cultura. IMC sostiene l’accesso alla musica attraverso l’affermazione dei “5 diritti musicali”. Il diritto per tutti i bambini e gli adulti di: – esprimersi attraverso la musica in totale libertà; – imparare i linguaggi e le tecniche musicali; – esprimere le proprie opinioni musicali attraverso la partecipazione, l’ascolto, la creatività e l’informazione. Il diritto per tutti i musicisti di: – sviluppare il loro talento artistico e comunicare con tutti i mezzi, con adeguati servizi a disposizione; – ottenere il giusto riconoscimento e compenso per il proprio lavoro. CRONACA 60 61 UNA ITALIA IN VENTI MODI PASSIONE BASCA L’Italia del 150º raccontata in coro al Concorso di Fiuggi IL 43º Certamen Coral de Tolosa e il 23º Grand Prix Europeo di Sandro Bergamo di Rossana Paliaga Hanno risposto in ventidue, dei quali diciotto iscritti a Feniarco, al bando di concorso indetto dal Tavolo Nazionale per la Musica Popolare e Amatoriale per la proclamazione del Coro del Centocinquantenario. Nonostante qualche defezione dell’ultima ora, è stata una folta rappresentanza della coralità italiana quella che per due giorni, il 19 e 20 novembre, ha occupato non solo le scene del teatro comunale di Fiuggi, ma anche la platea: come avviene raramente, i cori presenti a questo concorso si sono caratterizzati oltre che per l’impegno profuso nel presentare il proprio progetto musicale, anche per l’attenzione con la quale hanno ascoltato i colleghi-rivali: un piccolo segno di civiltà che merita i essere sottolineato. Non tutto è andato per il meglio, in un contesto in cui la logistica è apparsa piuttosto carente, anche per una inadeguata conoscenza del mondo corale da parte degli organizzatori. Ma l’impegno dei cori ha dato comunque dignità all’appuntamento. Ai cori partecipanti la commissione artistica aveva dato due indicazioni programmatiche: anzitutto, trattandosi di un concorso indetto per celebrare i centocinquant’anni dell’Unità d’Italia, che si trattasse di composizioni, originali o elaborazioni di temi popolari o altro materiale musicale, dovute a musicisti italiani e composte o elaborate dal 1861 a oggi; secondariamente, che i brani scelti in base a questo primo parametro fossero strutturati in un progetto. A questo invito i cori hanno risposto nei modi più diversi: chi raccontando la propria regione attraverso le sue tradizioni musicali popolari, chi approfondendo un autore, chi raccontando l’Italia attraverso le canzoni che hanno unito il Paese nella memoria collettiva, chi ripercorrendo i cori d’opera che maggiormente si sono impressi nella memoria popolare e hanno contribuito a costruire una cultura comune a tutti gli italiani. Non è mancato chi ha approfittato del filo conduttore per costruire un vero e proprio spettacolo, intercalando i brani musicali con letture o addirittura con dialoghi che hanno creato quasi una scena teatrale, per la quale magari abbandonare il tradizionale abito scuro da concerto e indossare un costume che calasse la scena nell’epoca ottocentesca rappresentata. Elemento, questo, particolarmente apprezzato dalla commissione nello stilare la graduatoria: tra i parametri di giudizio, infatti, c’era anche quello della capacità comunicativa del coro, un parametro introdotto dalla commissione artistica del concorso allo scopo di valutare la presenza “in scena”, non essendo più pensabile che al giorno d’oggi un coro si limiti a disporsi impettito sul palco a eseguire sull’attenti i propri brani. Da come si sono presentati i cori in concorso, si può ritenere che l’invito a studiare anche questo aspetto della propria performance sia stato capito e Il Coro Armonia di Salerno accolto dalla maggior parte dei cori partecipanti. Non è stata tuttavia una celebrazione retorica, anzi: del processo storico che ha portato all’Unità sono stati rappresentati anche gli aspetti controversi e si sono potuti sentire perfino i canti di quei “banditi” che combattevano l’invasione piemontese, come taluni consideravano l’unificazione. È stata l’esposizione di tutto ciò che gli italiani amano della loro patria e della loro storia, così come si trova nella musica sviluppata in questi centocinquant’anni, e in particolare nella musica corale, il cui grado di sviluppo va di pari passo con quello di coesione di un popolo e del senso di appartenenza dei cittadini. Da sottolineare il lavoro egregio della Giuria, presieduta da Cinzia Zanon, affiancata da Paola Versetti e Fabio Ciulla. I tre giurati hanno ben interpretato lo spirito con cui il concorso era stato bandito e hanno valutato non solo le qualità tecniche dei cori e delle loro interpretazioni, ma anche la proposta che ciascuno ha presentato e l’aderenza al bando. Alla fine sono risultati vincitori tre cori del centro e del sud d’Italia: segno di come la coralità di queste regioni sia cresciuta negli ultimi anni. Al terzo posto si è classificato infatti un coro del Lazio, il coro In Maschera di Ariccia diretto da Marta Zanazzi, e al secondo il salernitano Numeri Primi diretto da Alessandro Cadario. Della stessa città campana il vincitore, proclamato Coro del Centocinquantesimo: il coro Armonia, diretto da Vicente Pepe. Da due anni, con enorme successo, si tiene a Salerno, nel mese di novembre, un grande festival corale che porta sessanta cori e duemila coristi: con questi risultati, possiamo dire che le ricadute benefiche sulla coralità della città, gli stimoli che essa ne riceve, portano anche a una crescita musicale dei suoi complessi. L’atmosfera che si respira al Certamen coral de Tolosa ha un carattere peculiare, perfettamente riconoscibile, un misto di sensazioni e situazioni all’interno delle quali la coraltà trova una cornice ideale. In mezzo al paesaggio aspro e frastagliato della regione basca che tanto assomiglia a una certa ruvidezza di facciata dei suoi orgogliosi abitanti, si apre da 43 anni il grande sorriso di un incontro corale internazionale di primaria importanza. In questa piccola cittadina la manifestazione assume un ruolo e un valore che si avverte in modo tangibile: la sua vitalità in tutte le fasi del programma incoraggia e facilita l’incontro di coristi, direttori e operatori del settore, il coinvolgimento premuroso di collaboratori e volontari dell’organizzazione esprime il senso dell’ospitalità tra i profumi della rinomata cucina locale e la voglia di far conoscere il patrimonio tradizionale basco, il giovanissimo sindaco conferma con la propria presenza costante ed entusiasta il sostegno concreto delle istituzioni, il pubblico risponde con sorprendenti, lunghe code all’ingresso del teatro Leidor, dove si svolge la maggior parte delle selezioni. Proprio questa attesa festosa di un pubblico di tutte le età e sempre numerosissimo testimonia nel modo più eloquente il successo di un concetto e di un progetto. Al sabato mattina sono i bambini ad attendere l’apertura delle porte per ascoltare i cori di voci bianche, la domenica non c’è un posto libero nella suggestiva chiesa barocca di Santa Chiara per ascoltare i programmi sacri dei gruppi vocali che in questo spazio trovano la loro migliore espressione dal punto di vista acustico, nella grande sala del cinema-teatro in centro l’attenzione e l’interesse rivolti a tutte le esibizioni sfociano dopo ogni brano negli applausi e incoraggiamenti di chi comprende e sa vivere la coralità con autenticità e sensibilità. L’abbraccio del pubblico coinvolge tutti i partecipanti, sincero e incontenibile nonostante il contesto competitivo ed è la cifra mediterranea più forte in un concorso che, con buona pace di tutti gli stereotipi sui popoli latini, testimonia della particolarità del carattere basco con una precisione “nordica” del meccanismo organizzativo. Questo invidiabile mix di rigore e passione è frutto di una tradizione e il conseguente, ampio riscontro presso pubblico e istituzioni amplifica il senso di appartenenza, come conferma il direttore artistico del concorso Luis Miguel Espinosa: «L’amore per la coralità nei Paesi baschi viene da lontano, è un legame che conosco da sempre, una vera passione. Siamo la provincia più piccola della Spagna e tuttavia vantiamo il movimento corale più importante del paese. Lo dimostra ad esempio il fatto che il coro di San Sebastian, l’Orfeon Donostiarra, sia stato diretto dai migliori maestri del mondo. Vogliamo occuparci di coralità amatoriale in maniera professionale. L’impegno dei baschi nella coralità è molto vivace in rapporto al numero di abitanti. I nostri compositori sono molto apprezzati perché vivendo in questo ambiente hanno cantato e ascoltato musica corale fin da piccoli, quindi conoscono lo strumento e sentono la passione del canto. Noi vogliamo sostenere questo entusiasmo, per questo ci adoperiamo affinchè la musica dei nostri compositori viventi, soprattutto giovani, si possa ascoltare ed eseguire. In questo senso scegliamo anche i pezzi d’obbligo, che quest’anno hanno unito compositori baschi e catalani. L’atmosfera del concorso è unica perché coinvolge tutti: cori partecipanti, direttori, compositori, ospiti da tutto il mondo e il pubblico di cantori e direttori che arrivano a Tolosa da tutto il nord della Spagna, da Galizia, Castiglia, Andalusia e Aragona. Nell’organizzazione del concorso abbiamo potuto contare finora su un grande supporto delle istituzioni. Probabilmente il sostegno economico diminuirà a causa della crisi generale, ma sono convinto che questo non ridimensionerà l’attenzione per una manifestazione corale che rende Tolosa famosa nel mondo.» Questa volta il mondo si è incontrato a Tolosa per una settimana intera, dato che al concorso internazionale si è aggiunta la tappa annuale itinerante del Grand Prix Europeo. Il CIT, centro iniziative locale che tiene saldamente le fila dell’organizzazione, ha raddoppiato il suo impegno per portare al suo grato pubblico le voci dell’olimpo corale attuale, nel quale si è fatto onore ricevendo consensi assolutamente lusinghieri il coro Città di Roma diretto da Mauro Marchetti, vincitore del gran premio a Varna e degno rappresentante di un’Italia che non sta più a guardare, ma si mette in gioco con consapevolezza e capacità. Il primo premio nel GPE ha confermato la solidità della grande tradizione scandinava con la vittoria del coro che si è distinto l’anno scorso ad Arezzo, lo Svenska Kammarkören di Göteborg. Nella sua marcia verso il podio gli svedesi hanno incontrato la concorrenza dell’ottimo coro basco Kup Taldea che ha fatto incetta di premi al concorso di Tours nel 2010, del coro tedesco Consono proveniente dal concorso di Debrecen e del coro giovanile ungherese Cantemus, laureato alla precedente edizione del concorso di Tolosa. Sarà invece protagonista del prossimo Grand Prix a Maribor il coro vincitore del concorso internazionale basco, il gruppo misto ucraino Oreya, prodotto delle capacità del direttore Alexander Vatsek e che ha il suo punto di forza nella ricerca del suono. In questo coro anche la teatralità di alcune esibizioni spazializzate è funzionale alla differenziazione della resa sonora con coristi che danno le spalle al pubblico per far risaltare il solista, gruppi che assumono posizioni diverse per amplificare il contrasto tra sezioni e timbri. I maestri del CRONACA 62 63 UN INVESTIMENTO SULLA CORALITÀ La prima edizione del Grand Prix de la Vallée d’Aoste di Rossana Paliaga suono dalle mille sfumature non hanno lasciato dubbi alla giuria che li ha premiati sia nella polifonia che nel folclore, sebbene quest’ultimo premio sarebbe stato altrettanto meritato dal coro asturiano El Leon de Oro, perenne secondo in questa edizione del concorso, probabilmente a causa della forza e solidità autenticamente “leonine” di esecuzioni che troppo spesso trascurano le sfumature interpretative. Tra i 19 cori provenienti da 11 paesi, l’Euskadi (nome dei paesi baschi spagnoli) ha avuto il suo rappresentante nell’affiatato Landarbaso Abesbatza di Iñaki Tolaretxipi, accanto al quale merita di essere citato il coro lettone Baltsis, una formazione di giovani dal grandissimo potenziale che farà parlare di sé dopo essere maturata nelle interpretazioni. Il concorso ha soddisfatto anche gli appassionati delle espressioni cameristiche con autentici gruppi da camera (solitamente piuttosto rari), tra i quali si è piazzato al primo posto il gruppo maschile ceco The Gentlemen singers con il suo amalgama di voci ben controllate, seguito a breve distanza sia nel repertorio sacro che in quello profano dalla grande tradizione vocale inglese con i Songman, giocosi e virtuosistici interpreti che hanno conquistato il pubblico tra polifonia rinascimentale e spiritual. Il primo premio nei cori di voci bianche è andato ai bambini del coro cinese di Guangzhou, che secondo la proverbiale disciplina orientale si danno l’intonazione da soli, sono vocalmente preparatissimi e quasi impeccabili nella coordinazione delle coreografie di gruppo. Non ha convinto invece la giuria il coro giovanile tedesco di Wolfratshauser che ha invece attirato l’interesse del pubblico per un programma particolarmente articolato e differenziato negli stili e approcci con una significativa e originale panoramica sul repertorio contemporaneo. I secondi classificati, il giovane vivaio del Leon de Oro, si sono invece distinti come rappresentanti del diffuso indirizzo spettacolare che lega all’esecuzione vocale un’interpretazione coreografica. Dalla vivace platea hanno sostenuto i cori anche gli autori dei brani d’obbligo, gli stimati compositori Xabier Sarasola e Junkal Guerrero (autore dell’adeguatissimo, vivace pezzo d’obbligo per bambini che senza dubbio supererà l’ambito dell’esecuzione in concorso per entrare nei repertori abituali) e il catalano Josep Vila, ai quali si è aggiunto un ospite d’eccezione come Javier Busto. Per tutti i cori l’omaggio alla letteratura basca nei programmi è andato ben al di là dei pezzi d’obbligo, a riprova del fatto che la tradizione locale produce autori capaci di scrivere musica corale con particolare competenza e proprietà. Il rapporto con un illustre passato viene evidenziato invece dall’obbligo di esecuzione di un brano di Tomás Luis de Victoria. L’andamento scorrevole dell’intera manifestazione che nelle singole categorie non conosce momenti di stallo, si riflette anche nell’immediatezza delle valutazioni con la creazione di una classifica generale finale che decreta il vincitore assoluto senza bisogno di ulteriori verifiche, semplicemente sulla base del punteggio più alto in tutte le categorie. La giuria di esperti, della quale ha fatto parte anche Francesco Luisi, ha confermato l’alto livello del concorso con votazioni che non sono state inferiori a 77 punti. Il concorso di Tolosa ha una sua specificità anche nella gestione delle premiazioni, che si sono svolte in mattinata con una cerimonia-concerto dove la consegna di ogni premio era seguita direttamente dall’esibizione del coro, quasi a esemplificare la motivazione. Tutti i primi classificati sono stati “incoronati” con la chapela basca, il tipico berretto maschile che è diventato un segno distintivo di questa regione. Il concorso internazionale di Tolosa ha dimostrato nuovamente che sotto quei berretti ci sono un grande orgoglio e un grande amore per la musica corale che ha unito con raro entusiasmo i coristi e il loro uditorio del quale gli organizzatori hanno voluto premiare anche la voglia di ulterori esperienze musicali attraverso la votazione per il premio del pubblico che ha dato a tutti la possibilità di partecipare all’estrazione di un viaggio premio a Madrid per assistere alla rappresentazione dell’opera L’incoronazione di Poppea di Monteverdi. Rinomata per le bellezze naturali della catena del Monte Bianco, per un patrimonio storico e artistico inestimabile che dalle maestose vestigia di Augusta Praetoria e passando attraverso una rete di preziosi castelli e manieri medievali arriva fino all’eredità di casa Savoia, la Valle d’Aosta vuole legare la propria riconoscibilità a livello internazionale a un’ulteriore attrattiva: la coralità. L’assessorato all’istruzione e cultura della Regione autonoma e la Fondazione istituto musicale della Valle d’Aosta in collaborazione con l’Arcova hanno voluto fare un gesto importante in un periodo di scarsa attenzione al valore della cultura con la creazione di un nuovo concorso internazionale che si è svolto a Saint-Vincent dal 22 al 24 settembre. Il concorso si caratterizza per una selezione di principio dei cori che devono aver conquistato un primo premio a concorsi nazionali o internazionali e si svolge nelle due fasi di prova eliminatoria e finale, seguita da premiazioni e concerto di gala che si svolgono al Palais di Saint Vincent. Cospicui i premi assegnati attraverso la valutazione della giuria internazionale che è stata chiamata anche a evidenziare le migliori esecuzioni di elaborazioni corali di brani valdostani; era comune a tutti il brano Le prisonnier, commissionato al noto compositore belga Vic Nees, mentre variavano le elaborazioni create da autori scelti da ogni singolo coro su melodie popolari proposte dagli organizzatori che si sono fatti così promotori di cultura corale anche sul piano della composizione e della diffusione del patrimonio locale. L’edizione di rodaggio del Grand Prix de la Vallée d’Aoste ha attirato i primi pionieri di una manifestazione che attraverso la loro esperienza inizia a far parlare di sé e a costruire la propria specifica identità all’interno del ricco panorama delle competizioni europee. L’incognita della novità non ha incoraggiato a intraprendere lunghi viaggi; il test di apertura è stato infatti affrontato prevalentemente da cori italiani, creando all’interno del contesto internazionale una vetrina ulteriore di interessante confronto nazionale. Pietro Ferrario e i suoi appassionati coristi dell’Ensemble vocale Calycanthus hanno spaziato da Whitacre a Mis̆kinis senza trascurare la propria inclinazione jazz, ma dosando con troppa parsimonia colori e “spezie” anche a causa del palcoscenico acusticamente piuttosto inadeguato e dispersivo che certamente non ha facilitato i gruppi meno numerosi. L’eccellenza locale si è fatta valere con la bella esibizione del coro giovanile Les notes fleuries du Grand Paradis, gruppo numeroso di coristi vivaci e ben preparati per il quale la direttrice Ornella Manella ha scelto un felicissimo compromesso di brani “orecchiabili” ma non scontati che i giovani possono fare propri e interpretare con convinzione, soddisfacendo al tempo stesso il pubblico più esigente che ha assegnato loro il premio speciale. Per il Genova Vocal Ensemble di Roberta Paraninfo il consueto, sistematico utilizzo delle soliste e le relative scelte di repertorio non sempre strettamente corale sono stati al tempo stesso prerogativa tecnica e stilistica e elemento di penalizzazione in questo specifico contesto. Il Gruppo corale Licabella diretto da Flora Anna Spreafico è salito per ultimo sul palcoscenico della prima serata, dove è stato vittima a livello di punteggio di un suono piuttosto disomogeneo e imprecisioni nella pronuncia dei testi in lingua straniera. Per pochissimo non è entrato nella rosa dei finalisti il Vocalia Consort di Marco Berrini, coro di carattere ma che non trova il giusto amalgama tra la predominanza delle voci maschili e la maggiore fragilità vocale della sezione femminile. Il coro ha conquistato il premio per l’esecuzione del brano d’obbligo e per l’elaborazione corale originale. La serie di cori italiani ha avuto anche la sua caratteristica nota alpina con il coro virile Voci del Pasubio di Isola Vicentina che sotto la direzione di Alessandro Costa ha espresso un suono gentile, levigato ma in un programma di scarsa difficoltà in un contesto competitivo. Si è fermato alla fase eliminatoria insieme ai complessi citati anche il coro romeno Preludiu diretto da Voicu Enachescu. Sono arrivati invece in finale il Complesso vocale di Nuoro diretto da Franca Floris, il coro Città di Piazzola sul Brenta e la Vokalna Akademija Ljubljana di Stojan Kuret, ognuno di loro portando in campo una strategia diversa. Vincitore prevedibile del concorso è stato il coro virile sloveno 64 + notizie> + approfondimenti> LA PAROLA ALL’ASSESSORE LAURENT VIÉRIN La possibilità data ai cori di prendere parte a gite organizzate e lo svolgimento delle selezioni in forma di concerti serali rivela la doppia valenza complementare del Grand Prix come strumento di promozione del territorio e stimolo nuovo anche per la coralità regionale. Attraverso questo concorso abbiamo voluto valorizzare il panorama culturale della Valle d’Aosta che presenta una connotazione corale molto forte; su circa 120.000 abitanti circa abbiamo infatti più di 1000 coristi, una realtà molto variegata, in salute, composta da molti giovani. Con questo concorso ci proponiamo come punto di riferimento nel panorama internazionale accanto alla valorizzazione locale delle nostre prerogative, creando un punto d’incontro tra i cori valdostani e le realtà esterne alla nostra regione, lanciando un messaggio molto forte e convinti che attraverso lo scambio e il confronto di esperienze si possa crescere. Durante tre giorni la Valle d’Aosta è stata protagonista in una rassegna internazionale che rende onore e merito alla nostra regione per la sua tradizione corale ed esprime l’orgoglio di pensare a una programmazione culturale. In un momento difficile in cui si parla di razionalizzazione noi crediamo infatti che investire nella cultura e nei giovani, in questo caso nel mondo corale, significhi far crescere una comunità. Attraverso i brani d’obbligo su motivi popolari valdostani, il concorso vuole inoltre produrre musica con un laboratorio di composizione che arricchisce il patrimonio corale in generale e diffonde la tradizione locale. Come accade per molte minoranze linguistiche, la Valle d’Aosta ha la prerogativa di essere una comunità di persone con un forte senso di appartenenza. Il valdostano d’origine o di adozione sente di appartenere a questo territorio e ne è fiero; in questo orgoglio si esprimono i caratteri che contraddistinguono la nostra comunità, soprattutto quelli intangibili, il patrimonio immateriale, quello più difficile da difendere; il canto popolare diventa attraverso un coro patrimonio e momento materiale. Il fatto di imporre un brano d’obbligo significa far sì che a concorso finito un pezzo di Valle d’Aosta vada nel mondo attraverso i cori partecipanti. Questo per noi è importante, significa che la nostra regione è e sarà presente al di fuori dei propri confini tra i popoli amici con la varietà che contraddistingue la nostra comunità. + curiosità> + rubriche> + + VAL, fenomeno corale di alto rango che fin dalla recente fondazione miete meritati successi ai concorsi internazionali e vanta già alcuni importanti record in questo senso. L’equilibrio delle voci, l’armonia d’insieme, la grande musicalità sono stati dispiegati in un programma che ha messo in evidenza molte e diverse capacità a livello vocale e stilistico. Kuret si è concesso anche di rischiare con la scelta di un programma per la finale confezionato in maniera concertistica più che competitiva, assecondando la natura dei più recenti progetti del coro con l’utilizzo di solista esterna al coro e strumenti, non essendo specificato nel regolamento alcun divieto in proposito. Con esecuzioni curate e attenzione al dettaglio si è distinto il coro sardo, diretto con amore e modellato con sensibilità in un potenziale che rivela margini più ampi di sfruttamento. Il suono morbido e omogeneo del coro veneto avrebbe dovuto essere supportato da una maggiore intensità nelle interpretazioni, arginate entro toni pastello dal direttore Paolo Piana, dettaglio tuttavia puntiglioso rispetto alla soddisfazione di essere stati premiati come coro italiano detentore del punteggio più alto: «Per noi è stata un’esperienza grandiosa perché non ci aspettavamo il risultato finale, sapendo che dovevamo confrontarci con gruppi di altissimo livello. Siamo molto soddisfatti della nostra prestazione nella consapevolezza di aver reso al massimo della nostre possibilità. La giuria ci ha gratificati con il suo apprezzamento, al quale dobbiamo aggiungere la bellissima atmosfera trovata in Valle d’Aosta.» Come ha sottolineato il presidente di giuria Filippo Maria Bressan, la prima edizione di un concorso deve dare un segno e accanto alla sodisfazione dei cori italiani il primo posto di un coro di indiscutibile valore come il VAL è stato certamente di buon augurio per la competizione che in questo modo indica ai partecipanti futuri i propri parametri. L’appuntamento per il prossimo Grand Prix della Vallée d’Aoste è tra due anni, il tempo necessario a far diffondere la conoscenza di questa manifestazione perché una rilevante iniziativa diventi tradizione. musica> servizi sui principali> avvenimenti corali LA RIVISTA DEL CORISTA abbonati a aiutaci a sostenere la cultura corale CHORALITER e avrai in omaggio ITALIACORI.IT un magazine dedicato agli eventi corali e alle iniziative dell’associazione. abbonamento annuo: 25 euro / 5 abbonamenti: 100 euro abbonati on-line: www.feniarco.it Rivista quadrimestrale della FENIARCO Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali Via Altan, 39 - 33078 S. Vito al Tagliamento (Pn) Italia - Tel. +39 0434 876724 - Fax +39 0434 877554 - www.feniarco.it - [email protected] REGIONI 66 Notizie dalle regioni A.R.C.C. Campania Associazione Regionale Cori Campani Via Trento, 170 - 84131 Salerno Presidente: Vicente Pepe Vitalità e vivacità corale in Campania La Schola Cantorum “San Pantaleone” di Vallo della Lucania organizza un corso biennale per Direttori di coro in collaborazione con Arcc: il corso, tenuto da Luigi Leo, si è avviato il 30 ottobre e si concluderà nel marzo 2012. Tra i molti temi affrontati, la padronanza del gesto, la tecnica di direzione, la concertazione, l’emissione vocale e le tecniche esecutive. Dal 9 al 25 settembre a Cava de Tirreni si è svolta la IV Rassegna Gospel Collection “Musica sacra… dal Gregoriano al Gospel”, con la partecipazione di dieci cori della regione. Il 26 novembre Somma Vesuviana ha ospitato la prima Rassegna “Anema e… Cori”, importante occasione di incontro per le corali campane, organizzata dagli Aedi del Borgo con la collaborazione dell’Arcc. L’indomani, il 27 novembre, si è invece tenuto a Lancusi il VII Raduno Regionale “Natal Cantando”, organizzato dal Coro Polifonico S. Martino in collaborazione con l’Arcc. Segnaliamo, infine, la pubblicazione nel mese di novembre del secondo cd targato Arcc, che raccoglie il lavoro di quattordici cori: un prodotto che vuole rappresentare la realtà musicale dell’associazione attraverso un repertorio ricco e variegato, segno di vitalità e vivacità. A.E.R.CO. Emilia Romagna Associazione Emiliano Romagnola Cori Via S. Carlo, 25/F - 40121 Bologna Presidente: Fedele Fantuzzi Itinerari di Musica Corale a Bologna Nell’ambito delle attività promosse dall’Aerco nel 2011, ricordiamo la tradizionale rassegna Itinerari di Musica Corale, giunta alla XXII edizione. Proseguendo la collaborazione con l’Università di Bologna, l’Aerco ha partecipato alle iniziative autunnali della Festa della Storia: tale manifestazione mette in campo sinergie del mondo culturale, accademico e artistico con un calendario di eventi che sviluppano il tema scelto. La rassegna Aerco è stata inserita nel cartellone delle manifestazioni acquistando così un ancor maggiore prestigio e una capillare diffusione presso il pubblico e la cittadinanza di Bologna. Per l’Aerco l’anno 2011 ha rappresentato un momento molto importante: il 16 maggio 1971 Giorgio Vacchi assieme ad altri cinque rappresentanti di cori emiliano-romagnoli, dettero vita all’Aerco – prima associazione regionale sorta in Italia – che oggi conta 185 cori in attività, distribuiti su tutto il territorio regionale. Nell’anno del quarantennale, la rassegna Itinerari di Musica Corale si è articolata in due concerti tenutisi nell’Aula Absidale di Santa Lucia nelle serate del 9 e 15 ottobre. I sei cori intervenuti hanno presentato un programma di canti legati al 150° dell’Unità d’Italia e alla storia del nostro paese, con ampio apprezzamento da parte del numeroso pubblico. U.S.C.I. Friuli Venezia Giulia Unione Società Corali del Friuli Venezia Giulia Via Altan, 49 - 33078 San Vito al Tagliamento (Pn) Presidente: Franco Colussi Confronti corali in Friuli Venezia Giulia Si è tenuta domenica 23 ottobre a Gorizia la tredicesima edizione di Corovivo, rassegna corale di carattere competitivo che ha visto 17 cori esibirsi nei rispettivi progetti, classificandosi secondo le tre fasce di eccellenza, merito e distinzione e competendo inoltre per il Gran Premio, assegnato dalla giuria al Piccolo Coro Artemìa di Torviscosa. Giornata molto apprezzata sia per la qualità e varietà dei progetti presentati, sia per il buon livello dei cori. Positivo e importante anche il seminario CMT - Choral Management Today organizzato il 17 settembre a Palmanova. Dall’omonimo progetto Feniarco, l’Usci Fvg ha voluto offrire ai propri cori un’interessante occasione per approfondire gli aspetti organizzativi, normativi, fiscali, di marketing ecc. legati alla gestione di un’associazione corale. L’interesse che questi temi suscitano nei cori è stato confermato da un’ampia presenza di pubblico e da numerosi apprezzamenti. Da sottolineare, infine, il significativo cartellone dell’undicesima edizione di Nativitas, il progetto di rete con cui l’Usci Friuli Venezia Giulia chiude il vecchio anno e apre quello nuovo: oltre 90 appuntamenti corali articolati tra il 26 novembre e il 14 gennaio; un’adesione che conferma l’importanza di questa iniziativa che racconta un Natale radicato nella storia e nelle tradizioni. Federazione Cori del Trentino Passaggio Zippel, 2 - 38122 Trento Presidente: Sergio Franceschinelli EuroChoir 2011: per la prima volta in Italia Consensi unanimi per EuroChoir 2011, il progetto di European Choral Association - Europa Cantat, ereditato da Agec, che – ospitato ogni anno in una diversa nazione – si propone di promuovere la musica corale e le opportunità di scambio tra giovani coristi. L’edizione 2011 è stata affidata, per la prima volta, all’organizzazione della Federazione Cori del Trentino: un importante riconoscimento per la coralità trentina e italiana che anche in questa occasione ha avuto modo di dimostrare impegno, serietà e capacità di prospettiva. EuroChoir è un progetto internazionale nato nel 1982 e segnato da crescente successo. Ogni anno viene organizzata una “settimana residenziale” nel corso della quale viene studiato uno specifico programma artistico: un importante momento di formazione e aggiornamento per giovani di varie Paesi europei sotto la guida di docenti di fama internazionale. Per dieci giorni, dal 5 al 14 agosto 2011, il Trentino e l’Italia hanno ospitato 45 coristi inviati dalle federazioni corali nazionali di nove Paesi europei. I giovani cantori hanno soggiornato ad Arco e hanno preparato il programma artistico sotto la guida del maestro svedese Gary Graden, affiancato da Enrico Miaroma e da Sara Webber. Il repertorio ha spaziato da melodie gregoriane e spiritual a canti contemporanei svedesi, tedeschi e italiani, senza trascurare il canto popolare trentino. Molto apprezzati anche gli incontri con gli autori di alcuni brani musicali in 67 programma (Miaroma, De Francesco, Filippi, Dipiazza), che hanno fornito il loro contributo analitico e interpretativo. Al termine dello stage, il programma è stato presentato in concerti pubblici il 12, 13 e 14 agosto: i tre appuntamenti hanno riscosso apprezzamenti davvero speciali per il livello delle esecuzioni che hanno appassionato il numeroso pubblico. A.C.P. Piemonte Associazione Cori Piemontesi Via Monte Mucrone, 3 - 13900 Biella Presidente: Sandro Coda Luchina Percorsi corali in Piemonte Tra agosto e dicembre si sono articolati i “Percorsi popolari tra sacro e profano”, dieci appuntamenti con formazioni corali della provincia di Verbano Cusio Ossola; in particolare, si segnalano due concerti a tema: il primo incentrato su lettere di soldati verbanesi accompagnate dai canti degli alpini; il secondo dedicato alla figura di Maria, con letture di poesie di Alda Merini. Con il mese di settembre si è concluso il festival Piemonte In…Canto, avviatosi nel mese di giugno, con numerose adesioni di cori e successo di pubblico. L’Acp, in collaborazione con il coro White Spirit, ha inoltre portato la prima rassegna gospel Piemonte In…Gospel sul territorio ossolano: il 10 settembre, i cori partecipanti si sono prima esibiti a Croveo, Premia e Terme di Crodo, per poi convergere nel grande concerto finale nella chiesa monumentale di San Gaudenzio. Ricordiamo infine che il 15 ottobre a Stresa si è svolto il IV Concorso Nazionale di cori. Al termine della competizione, la Giuria ha assegnato il terzo posto al Coro Polifonico Voci Roveretane, il secondo posto al Coro Polifonico Sant’Antonio Abate di Cordenons e il primo posto al Coro da Camera di Varese. A.R.S. Cori Associazione Regionale Cori Siciliani Largo Celso, 4 - 95043 Militello in Val di Catania (Ct) Presidente: Alfio Penna Un anno intenso per la polifonia siciliana Ampia è stata l’offerta formativa dell’Ars Cori nel 2011; tra i vari corsi ricordiamo: il 3° Corso Regionale di aggiornamento e approfondimento per direttori di coro di voci bianche e giovanili “Il bambino e il suo canto” organizzato insieme al coro polifonico Ad Dei Laudem e tenutosi a Lentini (Sr) il 25-27 marzo, docente Nicola Conci; il 3° Corso di direzione e prassi esecutiva tenuto da Filippo Maria Bressan a Barcellona P.G. (Me). Tra gli eventi si segnalano: l’esecuzione – il 23, 24 e 25 giugno – del Requiem di Mozart con il coro polifonico Ad Dei Laudem di Lentini (Sr) e il coro americano Smith College Alumnae Chorus (Massachusetts); il 12° Raduno Ars Cori, tenutosi a Trecastagni (Ct) e organizzato dalla Schola Cantorum Don S. Romeo; il Festival Internazionale di Cori “In... Canto sull’Etna”, organizzato dal 7 al 11 settembre a Belpasso dalla Schola Cantorum Maria SS. Immacolata; la Rassegna Mariana organizzata dalla corale Mater Divinae Gratiae a Nicolosi l’8 settembre; la Interattiva, Spilimbergo 68 REGIONI in collaborazione con XIV rassegna Militello Chori Cantantes - tenutasi a Militello in Val di Catania il 15 settembre - organizzata dal Coro Polifonico Maris Stella; il Raduno Diocesano delle Corali, organizzato dal Coro Maris Stella e dall’Ars Cori; il Raduno Nazionale di Voci Bianche – tenutosi a Naro e Agrigento, il 30 ottobre e il 1° novembre – organizzato dai Pueri Cantores di Naro con il patrocinio della Federazione italiana Pueri Cantores e di Ars Cori. U.S.C.I. Lombardia FENIARCO Via Altan, 39 S.Vito al Tagliamento (Pn) 69 - Italy Tel +39 0434 876724 Fax +39 0434 877554 www.feniarco.it [email protected] REGIONE AUTONOMA DELLA VALLE D’AOSTA Assessorato all’Istruzione e Cultura COMUNE DI AOSTA FONDAZIONE ISTITUTO MUSICALE DELLA VALLE D’AOSTA Unione Società Corali della Lombardia Via S. Marta, 5 - 23807 Merate (Lc) Presidente: Franco Monego La gestione delle dinamiche interpersonali di un coro Arrivano dall’Usci Delegazione di Brescia le segnalazioni di alcune interessanti iniziative: il 25 settembre e 1 ottobre, a Torbiato di Adro, si è svolto un incontro sul tema InDirection - La gestione delle dinamiche interpersonali di un coro. Riprendendo l’omonimo progetto Feniarco, il relatore Simone Scerri ha affrontato le competenze di natura non-musicale richieste ai direttori di coro, con lezioni frontali, esercitazioni pratiche, momenti di scambio e di confronto; venerdì 28 ottobre a Montichiari si è tenuta la Rassegna corale “Il canto dell’anima”, con la partecipazione di quattro cori che hanno eseguito brani della tradizione popolare italiana; sempre in tema di canto popolare, venerdì 4 novembre è stato presentato al pubblico il primo volume di Canti popolari bresciani, realizzato dall’Usci Brescia e curato da E. Bertolotti e T. Ziliani, opera che raccoglie 40 canti in dialetto bresciano armonizzati e volta a recuperare i canti della tradizione popolare e valorizzare tale ricca produzione; domenica 27 novembre, infine, quattro chiese della provincia di Brescia hanno ospitato altrettanti concerti inseriti nella manifestazione “Musica divina in provincia… Aspettando Natale”. O.C.C. Calabria Organizzazione Cori Calabria Piazza San Leoluca - 89900 Vibo Valentia Presidente: Mons. Giorgio Costantino Stage del Coro Regionale della Calabria A Gornelle (RC) si è svolto uno stage del Coro Regionale della Calabria, sotto la guida del suo direttore, Walter Marzilli, volto anche a preparare i cantori in vista della XVI Rassegna Internazionale “Madonna della Consolazione” di Reggio Calabria. Il Coro Regionale della Calabria, nato alcuni anni fa per volere di Mons. Giorgio Costantino, è stato il primo coro regionale a essere istituito. La “scintilla iniziale” del coro risale ai primi anni di insegnamento del direttore Marzilli al conservatorio F. Cilea di Reggio Calabria: al termine di uno stage, un gruppo iniziale registrò per Rai 3 alcuni madrigali e mottetti antichi. Attualmente il coro è formato da venti coristi provenienti da tutta la regione Calabria, scelti attraverso una selezione atta a verificarne la qualità vocale, le capacità musicali e la lettura a prima vista. Pur non caratterizzandosi come un vero e proprio coro giovanile, la grande maggioranza dei suoi cantori è molto giovane; quasi tutti i cantori del Coro Regionale studiano o hanno studiato canto. Una componente importante del repertorio del Coro Regionale della Calabria è rappresentata dalla musica dei compositori moderni e contemporanei, affiancata da un settore altrettanto importante dedicato alla musica antica, eseguita anche a parti reali. E R O R I R O P A COM SEMIN O O R E O P C O R R E U P E I N A V O I G OGGI PER I R O T I S O COMP DOCENTI Mia Makaroff • Pierangelo Valtinoni • Thierry Lalo • Matteo Valbusa e Luigi Leo • Una selezione della musica prodotta durante il Seminario per Compositori, oltre ad Aosta, sarà eseguita anche al Festival Europa Cantat XVIII Torino 2012! Per ulteriori info sul seminario visita www.feniarco.it e sul festival guarda www.ectorino2012.it AOSTA 21-27 luglio 2012 RUBRICHE 70 71 discografia&SCAFFALE Gli Alpini cantano 150 anni d’Italia Coro ANA di Milano, dir. Massimo Marchesotti 103 Edizioni Musicali, Milano, 2011 Sabato 8 ottobre, presso lo Spazio Eventi del Multicenter Mondadori di Via Marghera a Milano, è stato presentato il cofanetto Gli Alpini cantano 150 anni d’Italia, contenente 5 cd con 90 brani live eseguiti dal Coro ANA di Milano diretto da Massimo Marchesotti. Il disco è stato prodotto da Luigi Barion, pubblicato da 103 Edizioni Musicali di Milano e distribuito da Edel Italia Srl. Il prodotto discografico è interessante innanzitutto per la sua mole e per essere la più grande raccolta di canti della tradizione alpina e popolare mai pubblicata in Italia, e non solo in ambito corale. Nella compilation sono state inserite registrazioni dal vivo degli ultimi vent’anni di attività del Coro ANA di Milano ma completamente ripulite dai rumori di sottofondo grazie a un mirabile lavoro tecnico di montaggio audio e restauro di alto livello professionale operato dal pianista e produttore milanese Stefano Barzan. Ognuno dei 5 cd che compongono la raccolta ha un suo titolo esemplificativo dei contenuti musicali: Leggende e storie vere cantate attorno al fuoco / Gli alpini, la montagna, gli affetti / Il lavoro, l’emigrazione, l’amore / Storie di donne / Don Gnocchi, il prete che cercò Dio tra gli uomini. Un altro aspetto importante di questo prodotto è la cura con la quale sono stati scelti i canti da pubblicare, alcuni tratti da edizioni del Coro della SAT o di Paolo Bon, altri elaborati apposta per il Coro ANA dal direttore Marchesotti o da altri musicisti da lui incaricati (Piero Soffici, Giovanni Veneri), altri ancora raccolti sul campo da Marchesotti e quindi inediti. Oltre al percorso nella tradizione orale, ci sono dei canti di “autori colti popolarizzati”. In particolare è senz’altro degna di nota la collaborazione del sodalizio milanese con due giganti della musica leggera italiana degli anni d’oro, Vito Pallavicini (autore dei testi di immortali successi artistici e commerciali come Io che non vivo – su musica di Pino Donaggio – e Azzurro – su musica di Paolo Conte) e Piero Soffici (musicista e arrangiatore molto prolifico negli anni Sessanta e Settanta con brani come Stessa spiaggia stesso mare – su testo di Mogol e titolo dell’omonimo disco di Mina del 1963 – oppure Perdono, sempre su testo di Mogol). In questo senso avviene un processo inverso rispetto alla coralità che reinterpreta i successi della musica leggera italiana (tipico dei gruppi vocal pop ma anche di alcuni cori popolari): non sono gli arrangiatori che adattano per il coro motivi già noti e di stampo solistico appartenenti alla musica leggera ma stavolta, caso unico, sono gli autori di musica leggera (e autori di rango!) che scrivono per il coro, trasferendo gli elementi caratteristici di quel genere (l’immediatezza e orecchiabilità melodica e l’essenzialità accordale) al canto popolare in formato corale. Nel brano a due cervelli Centomila gavette di ghiaccio (cd 5, traccia 11), Soffici e Pallavicini hanno tradotto la loro professionalità e la loro lunga esperienza (il brano è stato scritto quando entrambi – ora scomparsi – erano pressoché ottantenni) nella poeticità delle liriche (ispirate al best seller di Giulio Bedeschi) e nella linea melodica di ispirazione cosacca. Nell’ultimo cd al coro si è unito il gioiellino meneghino di Vladimir Delman, La Verdi, arrangiata e diretta per l’occasione dal maestro parmense Giovanni Veneri. L’autorevole perizia tecnica e la creatività arrangiamentale nelle orchestrazioni di Veneri hanno dovuto confrontarsi con le elaborazioni già in formato coro degli storici autori satini come Antonio Pedrotti e Renato Dionisi, ristrumentandoli senza snaturarne l’idea compositiva originale (e anche l’elaborazione imparata e conosciuta dal coro), ma pur sempre affidando alla compagine orchestrale un’autonomia espressiva e descrittiva, a tratti operistico-sinfonica e legittimata dalla caratura del prezioso strumento a disposizione e del suo livello tecnico (per esempio Il testamento del Capitano ha un incipit musicale volutamente evocativo e visivo con le note del “Silenzio”). Veneri, già noto negli ambienti satini, ha firmato anche (in testo e musica) La Preghiera degli Alpini (cd 5, traccia 17). Un prodotto dunque affascinante ed emozionante, autorevole a livello etnomusicale e artistico, di semplice ascolto e a suo modo innovativo anche nel contesto di un repertorio che sembrerebbe non avere più strade da percorrere. Questo invece è un percorso vero attraverso la musica popolare e la sua riproposta a volte più scarna, essenziale (e, direbbe Roberto Leydi, incontaminata) nei lavori di Soffici, più armonicamente gustosa nei contributi di Flaminio Gervasi (ex direttore del Coro ANA di Milano), Paolo Bon e dell’attuale direttore Marchesotti, più colta, raffinata e “pop-lifonica” nei contributi di autori di estrazione accademica come Dionisi, Bettinelli e Zanolini. Da ascoltare e far ascoltare. Andrea Natale Liszt: Via Crucis Ars Cantica Choir; A. Marangoni, pianoforte M. Berrini, direttore L’occasione per rinnovare l’ascolto dell’originale rappresentazione sonora lisztiana delle 14 stazioni della via dolorosa di Cristo, ci è offerta da Marco Berrini, alla guida dell’Ars Cantica Choir, coadiuvato dal pianista Alessandro Marangoni. Una produzione uscita di fresco, nell’occorrenza del bicentenario della nascita del compositore (1811-2011). Ci stupisce ancora apprezzare un’opera così audace, che sembra essere costruita con le macerie di un linguaggio un tempo sfarzoso; macerie rimaste dal crollo di un eloquio pomposo, e che ora giacciono disseminate in ordine sparso; materiali dissimili slegati e apparentemente buttati qua e là. In concreto si tratta di nudi frammenti melodici abbandonati a mezz’aria; dolorosi lamenti il cui profilo richiama insistentemente l’intervallo di tritono; arditi profili lineari e sculture accordali che esplorano i territori della modalità, dell’esatonalità, fino agli sconfinamenti negli ambiti avveniristici della politonalità e dell’atonalità; laconiche ed ermetiche meditazioni strumentali; apparizioni di rovine del passato musicale (citazioni del canto monodico cristiano, del mottetto polifonico, del madrigalismo, dell’oratorio barocco, del corale luterano, del nome B-A-C-H); e, soprattutto, l’elemento più inquietante, la rarefazione. Un diradamento che produce la sensazione di materiali che sembrano galleggiare in una dimensione spazio-temporale dilatata, sospesa, circondati come sono da prolungati e profondi silenzi. Questa commistione di oggetti sonori eterogenei, è in realtà informata da sottili collegamenti e da sotterranee relazioni. Tra le altre citiamo una cellula melodica di tre suoni (intervallo ascendente di seconda, al quale segue un altro di terza, nella stessa direzione – è il balzo melodico tipico di tanti incipit delle monodie gregoriane), che apre e chiude l’intera opera e si comporta come una specie di metamorfico leit-motiv ricorrente (variato nella composizione, ribaltato nella successione, ma pur sempre riconoscibile). Il compositore utilizza questa unità melodica, come fosse un seme uniformante, evocandolo ogniqualvolta vi è un richiamo al simbolo della croce. Insomma, possiamo affermare che Liszt conferma la propensione a ricostruire l’unità dell’opera attraverso una forma ciclica. In sostanza egli non si discosta, nella concezione dell’impianto formale, dalle sue opere maggiori (Sonata in si min., Les Préludes, Faust Symphonie). Ahimè molti sprovveduti si avventurano nell’esecuzione della Via Crucis di Liszt, considerandola abbordabile. Parti vocali agevoli e risorse strumentali facilmente reperibili ingannano. In realtà, è una partitura assai insidiosa, come lo è in genere qualsiasi altra partitura di grande autore, povera di note e abbondante di pause. L’intensità della lettura di Marco Berrini ci richiama invece al discografia& Naxos, 2011 L’esercizio spirituale del rito popolare della Via Crucis è stato tradotto da Franz Liszt in esercizio musicale con esiti sorprendenti. Composta nel 1879, la Via Crucis fa parte di un insieme di opere che testimoniano il radicale cambiamento a cui Liszt ha sottoposto il suo stile nell’ultimo ventennio di vita. Anni caratterizzati da un graduale distacco dalle cure mondane; anni spesi alla ricerca della consolazione nella fede, del conforto nell’ascesi mistica. L’abbondanza sonora delle precedenti composizioni, attraverso cui il musicista magiaro ostentava il suo funambolico virtuosismo, viene sottoposta a un estremo processo di decostruzione. Ne rimane una sostanza fatta di scarti, vuoti, fratture, discontinuità, aporie sonore. Musica scarnificata, insomma, quella della Via Crucis di Liszt. Scarnificata come il corpo martoriato di Cristo, costretto a percorrere, sotto il peso della croce, la via che conduce al Golgota. RUBRICHE 72 73 lettera al direttore compito arduo di affrontare un’opera siffatta, tutta da interpretare, soprattutto nei minimi dettagli e nei collegamenti. Un’opera densa, concentrata, enigmatica, difficile da sostenere. In particolare, vorrei sottolineare come il direttore milanese concentri la sua cura nell’infondere a ogni singola minuzia tematica una tensione dinamico-timbrica avvalorante; nell’imprimere a ogni singola unità verbale un’articolazione espressiva appropriata ed emotivamente convincente. A corredo della Via Crucis il cd della Naxos propone due brani pianistici tratti dalla raccolta Harmonie poétiques et religieuses, il Pater noster e l’Ave Maria. Mauro Zuccante Choraliter 9 Antologia corale Feniarco, San Vito al Tagliamento, 2011 Prosegue con questo nono volume delle antologie di Choraliter l’impegno editoriale di Feniarco, un impegno mirato all’ampliamento dei repertori dei cori italiani tramite una proposta di composizioni antiche e moderne, italiane e straniere, appositamente selezionate dalla Commissione Artistica Nazionale secondo il duplice criterio della qualità artistica e dell’accessibilità e realizzabilità dei brani proposti. Sulla scia dei precedenti volumi, anche questa antologia è costruita attorno a un fil rouge, un tema riccorrente nei compositori di ogni epoca: l’acqua. Questo perché la musica, linguaggio dell’ineffabile, potente mezzo di comunicazione in grado di suscitare immagini ed emozioni, ci parla spesso per metafore e per similitudini: essa si manifesta sovente come una fonte viva, dalla quale i suoni sgorgano e fluiscono seguendo il letto del fiume tracciato dal compositore; come un corso d’acqua, la musica scorre e attraversa il tempo e lo spazio, si arresta e riprende il suo decorso fino a perdersi nella grande quiete finale (sia essa l’immensità del mare o il silenzio che segue l’esecuzione). Un augurio a tutti coloro che vorranno accostarsi a queste pagine è quello di trovare in esse una sorgente fresca e zampillante alla quale attingere e alleviare così la sete di nuove esperienze musicali. «Spett.le Redazione, desidero innanzitutto complimentarmi con voi sia per i contenuti che per la veste grafica della vostra rivista nella quale i temi della coralità sono affrontati con precisione, realismo e competenza. Mi sono però soffermato in particolare sull’intervista a Gianni Malatesta in quanto maestro del coro in cui canto da quasi trent’anni; sono quindi in “conflitto di interessi” ma spero capirete il mio intento. È stata certo una bella cosa sia il fatto di dedicargli un premio sia di dargli uno spazio così ampio nella rivista. Una cosa che mi ha colpito però è che non si è accennato al Malatesta come musicista quanto a una persona che ha dedicato molto della sua vita al mondo corale. Ora credo che Malatesta valga molto proprio come musicista e lo confermano le lettere di stima di illustri colleghi che riconoscono l’originalità e la genialità della sua opera sia come armonizzatore che come compositore. Ho letto molte delle sue composizioni o armonizzazioni e il modo in cui le parti vengono sviluppate, il modo in cui le dissonanze vengono poste per creare la “tensione” e risolversi nell’accordo successivo, sono qualcosa che rende i lavori di Malatesta assolutamente unici e, consentitemelo, inarrivati. Gianni ha sempre percoso una strada “diversa” nel mondo della coralità italiana e per questo ha pagato molto […] Credo che oramai però sia il tempo che qualcuno, parlando di lui, prenda la sua musica, la suoni, la intenda… e poi esprima un giudizio, un commento… ma sulla musica… Vale un po’ per tutte le cose di questo mondo dove purtroppo non si entra più nel merito ma si sta alla superficie seguendo le correnti e dove spira il vento cercando il maggior consenso possibile. Malatesta non ha mai fatto così, ha sempre fatto quello in cui crede e nel modo in cui lo riteneva giusto… provando, sperimentando, sbagliando magari ma con una cosa che altri (non tutti per fortuna) purtroppo non hanno: la genialità. Ecco qui… vi ringrazio per l’attenzione che leggendomi mi avete dedicato e spero che queste poche righe possano un giorno essere smentite da un mondo corale che riconosce in Malatesta un maestro della coralità e della musica italiana.» Daniele Quaggiotto discografia& Composizioni Agua de beber, A.C. Jobim, elab. J. Kreffter; Babylon, D. McLean, L. Hayes; Cantan fra’ rami gli augelletti vaghi, G.M. Asola; Dormendo un giorno, J. Arcadelt; Go crystal tears, J. Dowland; I pescatori bretoni, Blemant, trascr. E. Piglia; I’ve got peace like a river, spiritual, elab. H.O. Millsby; La neve, P. Rossi; La sirena, G. G. Gastoldi; Lacrimoso son’io, W. A. Mozart; Madonna ma pietà, O. di Lasso; Moon River, H. Mancini, arr. T. Chinn; Non val acqua al mio gran fuoco, B. Trom­boncino; O vilanella, H. Waelrant; Pasa el agoa, ma Julieta, anonimo XVI sec.; Quante son stelle in ciel, C. Monteverdi; Sicut cervus, T. Tallis; Super flumina Babylonis, O. di Lasso; Torna a Surriento, E. e G. De Curtis, elab. E. Buondonno; Un cygne, Paul Hindemith. Il volume è a disposizione dei cori associati su ordinazione presso la segreteria Feniarco. Gentile lettore, nell’articolo a lui dedicato, non abbiamo fatto altro che riportare quanto ci ha raccontato Gianni Malatesta nel corso del nostro incontro, al quale sono voluto andare senza predisporre delle domande, proprio perché parlasse a ruota libera di se stesso, della sua formazione, di come nascono le sue musiche. Certo, l’intervista si colloca in una sezione che dedichiamo ai direttori, e per felice coincidenza cade in occasione del conferimento del premio Seghizzi, assegnato a chi ha dedicato una vita alla coralità a qualsiasi titolo, non solo come compositore. Ma di che altro ha parlato Gianni, se non della sua musica, di come nasce, di come, per usare una sua felice espressione, gli cade addosso? E di che altro si può parlare con lui, che trabocca di musica? Se poi lei ci chiede di analizzare composizioni di Malatesta, non solo dico che non mancheranno occasioni, ma che ci sono già state: durante il colloquio Gianni teneva in mano, e mi ha più volte ringraziato dello spazio dedicatogli, il n. 34 di Choraliter, dove Sergio Bianchi analizza la sua elaborazione del canto friulano A planc cale il soreli. RUBRICHE 74 75 MONDOCORO a cura di Giorgio Morandi «Che il cantare continui a non far venir meno la speranza del vivere domani. Che il vivere di domani sia pieno del cantare di sempre» (Coro Valpellice, 2009) «Se potrò far sorridere qualcuno con una canzone, la mia vita non sarà stata vissuta invano» (Martin Luther King) Frutti e colori abbondanti dell’Estate di San Martino ci aiutano a dimenticare i disastri causati pochi giorni prima dalle piogge autunnali che tanti problemi hanno portato in Italia e in altre parti del mondo. Le frequentatissima assemblea annuale di Feniarco (organizzata presso la Fortezza di Bard, Valle d’Aosta, con l’encomiabile collaborazione dell’Arcova) e la ricca assemblea generale di European Choral Association - Europa Cantat (tenutasi con la generosa e competente collaborazione di Feniarco a Torino, sede – tra il 27 luglio e il 5 agosto 2012 – del grande Festival Europa Cantat XVIII) sono i colorati frutti abbondanti dell’autunno corale 2012, stagione di inizio di tutte le attività di organizzazione, studio preparatorio e proposta al pubblico fatto dai nostri cori che hanno ripreso la propria attività. È facile vedere in questi frutti la premessa di un’annata corale 2011-2012 altrettanto ricca e colorata che Mondocoro augura ai suoi 24 lettori e in generale a tutta la coralità italiana. ifcm: il nuovo direttivo Lo scorso 6 agosto 2011, in occasione del IX Symposium Mondiale della Musica Corale a Puerto Madryn in Argentina, Ifcm ha svolto la sua assemblea generale annuale e ha provveduto al rinnovo del suo consiglio direttivo e alla nomina del consiglio esecutivo. Per la prima volta nella storia di Ifcm il presidente è stato votato direttamente dall’assemblea che con l’88% dei voti ha eletto Michael J. Anderson (Usa) già presidente ad interim dell’associazione dall’aprile 2010. La nomina del consiglio esecutivo, invece, è stata compito del neoeletto consiglio direttivo. L’elenco dettagliato degli eletti e dei relativi incarichi è disponibile in www.ifcm.net ma piace ricordare qui esplicitamente che il rappresentante di ECA - Europa Cantat è il belga Jan Smeets e che un italiano, Francesco Lombardi, di Legnano, classe 1979, è stato nominato project manager di Ifcm e come tale è a capo del progetto World Choral Day che si celebra ogni anno, in tutto il mondo, la seconda domenica del mese di dicembre. Ifcm – è sempre opportuno ricordarlo – è un’organizzazione globale che rappresenta cori, direttori, compositori ed editori in più di 80 paesi di tutto il mondo. La mission principale della federazione è centrata sullo scambio internazionale e la promozione della musica corale garantendo così il suo contributo alla buona volontà, alla pace e all’armonia dei popoli in tutto il mondo. Eventi corali World Choral Summit and China International Choral Festival Dal 15 al 22 luglio 2012 a Pechino avrà luogo un importante evento corale. È un evento che chiunque sia impegnato in campo corale dovrebbe davvero prendere in considerazione per se stesso e/o per il proprio coro, valutando attentamente la possibilità e l’opportunità di una effettiva partecipazione. Ifcm sta collaborando con l’organizzazione dell’XI Festival Corale Internazionale di Pechino affinché esso ospiti, per la prima volta in Cina, il prossimo World Choral Summit. Il festival riunirà cori da tutto il mondo, invitati a partecipare al concorso. L’importanza dell’evento sarà sottolineata anche dalla partecipazione di cinque cori di levatura mondiale provenienti da Europa, Africa, Australia, Sud America e Stati Uniti. Naturalmente saranno presenti anche i migliori cori cinesi. Molti paesi di tutto il mondo a Pechino saranno già rappresentanti e protagonisti del festival, ma il Summit vedrà riunite insieme altre trenta organizzazioni nazionali e internazionali invitate a condividere le loro idee secondo la propria tradizione corale. Per maggiori informazioni www.ifcm.net Il coro e come dirigerlo The Choir and How to Direct it, Pavel Chesnokov, traduzione dal russo di John C. Rommereim, Musica Russica 2010, 259 pagine (www.musicarussica.com) «È un libro molto importante che dovrebbe essere letto da ogni direttore di coro.» Ad affermarlo è Tim Sharp (Executive Director di Acda, l’Associazione dei Direttori di Coro Americani). È un libro importante a molti livelli, ma innanzitutto e soprattutto è importante perché offre un rilevante approccio sistematico e scientifico alla pedagogia corale. Esso rappresenta una tassonomia unica di metodi corali ed è una delle opere migliori in questo campo. È importante, inoltre, per il sistematico avvicinamento all’analisi che esso presenta, perché Chesnokov concepì il libro nel 1910, lo scrisse nel 1930 e lo pubblicò nel 1940 cioè decine e decine di anni prima che un simile approccio fosse fatto da altri importanti e seri centri corali. In terzo luogo è un libro importante perché l’autore offre suggerimenti dettagliati e solidi sulla tecnica fondamentale della direzione di coro unitamente ad altro materiale pratico rilevante ancora oggi in riferimento alla sala prove. E per ultimo è importante perché offre un punto di vista dall’interno sulle tradizioni esecutive in Russia, tradizioni che si erano quasi perse a causa della rivoluzione bolscevica. È sorprendente che il libro sia disponibile ora per la prima volta, anche se pubblicato sessanta anni fa e soprattutto concepito un secolo fa. «È un libro che la maggior parte di noi direttori di coro dovrebbe possedere e dovrebbe aver letto durante i nostri primi corsi di direzione corale se appena fosse stato disponibile.» Se qualcuno fosse interessato a saperne di più, Choral Journal (Sept. 2011) fornisce in lingua inglese un’interessante doppia recensione del libro di Chesnokov. Una copia di dette recensioni/ presentazioni è disponibile anche presso il redattore di Mondocoro: [email protected] Music and The Wesleys Music and The Wesleys, Temperley Nicholas and Stephen Banfield, Urbana, Chicago and Springfield, IL. University of Illinois Press, 2010 È un libro che trova la sua genesi in un meeting scientifico dal titolo “Musica, Storia culturale e gli Wesley” tenuto nel 2007 sotto gli auspici del Chombec Centro per la Storia della Musica in Gran Bretagna, Impero e Commonwealth presso l’Università di Bristol in occasione del trecentesimo anniversario della nascita di Charles Wesley. Il libro porta luce sulla famiglia Wesley, sulla musica dai suoi membri e sul come essa veniva presentata in concerto e nelle chiese. La famiglia Wesley di cui si parla era composta da John (1703-91) e Charles (1707-88), fondatori del movimento Metodista. Essi pensavano che la musica è parte integrale della RUBRICHE 76 religione e dello sviluppo del Metodismo. La famiglia continuò con i figli di Charles, Charles il giovane (1757-1834) e Samuel (1766-1837), e ancora, con il pronipote Samuel Sebastian (1810-1876). Tutti costoro furono degli importanti compositori. «Non c’è alcun dubbio che la musica fu una forza dominante nella vita di tutti e cinque gli Wesley», scrive Temperley nell’introduzione. «Il suo ruolo fu molto diverso a seconda delle generazioni, ma il peso dell’influenza degli Wesley sulla storia della musica specialmente nel Regno Unito e in tutto il mondo parlante la lingua inglese è inestimabile.» Questo libro dà un’idea dell’influenza degli Wesley sugli ultimi 300 anni di storia. Consiste di sedici capitoli divisi in due parti: Music and Methodism e I Musicisti Wesley. Ogni capitolo è affidato alla cura di uno studioso illustre, è eloquente e presenta informazioni davvero intriganti. La voce dei bambini La “voce” l’unico strumento musicale ricevuto gratuitamente in dono e incomprensibilmente trascurato dalla maggioranza dei genitori. È possibile che un genitore, dopo aver insegnato al proprio figlio a muovere i suoi primi, incerti passi dalla culla alle sue braccia, poi dal suo lettino alla sala, alla cucina, al bagno, lo doti di un’automobile per andare a scuola, spostarsi dappertutto e sempre con questo mezzo gli faccia usare le gambe solo per entrare negli edifici, salire le scale, andare al bagno o a letto? E se poi, a quel ragazzo, qualcuno dovesse chiedere: «Vieni a fare due passi, una corsa nel parco, una gita in montagna, un giro per il centro, o entrare a far parte di un team di atletica?» Si sentirebbe rispondere: «No, no, mi vergogno, sono negato, non l’ho mai fatto, che lo facciano quelli che vogliono fare sport, a me non piace!» Sarebbe la follia, l’idiozia che nessun genitore mai farebbe. E nel canto? Nel canto, invece, succede proprio così. A che serve la voce? A comunicare col proprio simile, a dire «per favore, mi passi il sale?», a telefonare, a rispondere a una interrogazione, a sciorinare la quotidiana dose di «ma vaffa…» e oltre. E a cantare? No! È naturale, poi, che quando si propone a un bambino o ragazzo di cantare, magari di entrare in un coro, risponda: «Ma dai, io mi vergogno, sono negato, non l’ho mai fatto, e poi a che serve cantare?» Perché qui la follia, l’idiozia sono giustificate? (Parole sante di Nicola Conci. Grazie, Maestro) vocali corrette”. Un probabile vantaggio aggiunto è che potresti imparare di più sul cantare e ti divertiresti anche di più. Il mio secondo suggerimento, che va pari pari con il primo, è quello di trovare un laringologo molto conosciuto e rispettato che ti dia la sua opinione sulla tua salute vocale. Da cantante professionista e preparatore di voci io metto sempre in guardia i miei studenti e membri del coro da decisioni affrettate circa l’intervento chirurgico… Talvolta perfino un semplice raffreddore può far nascere dei noduli alle corde vocali. Può succedere, in situazioni di rischio, anche a persone altamente preparate. È successo a un mio amico che interpretava la parte di Tevye nel musical Il violinista sul tetto. Pressato da tempi ristrettissimi, continuò a cantare pur avendo il raffreddore. Dovette rivolgersi a dei laringologi. I primi due interpellati gli proposero un intervento chirurgico. Il terzo gli raccomandò alcune settimane di riposo. Il musical fu rimandato ma il cantante riacquistò la sua perfetta salute vocale (senza alcun intervento chirurgico) e continuò la sua carriera cantando capolavori, opere liriche importanti, preparando voci e dirigendo, ma non cantò mai più mentre aveva un raffreddore in corso. Spero (continua Lucy Hudson S. rispondendo al lettore) che lei sarà in grado di trovare un modo per continuare a godere dello sport e mantenere la voce sana. (Per quel che può valere, mio marito giocava a calcio nella squadra di una importante università. Ha detto che mentre si concentra sul gioco, raramente, forse mai si rende conto del tifo che proviene dagli spalti). È possibile che, come tifosi di una squadra, usiamo questo cantare/vociare come terapia personale per tutta quella varietà di problemi che ci portiamo appresso? Ma… Non ci sarebbero modi migliori e diversi? Auguri per tutti i suoi sforzi vocali e sportivi. E fra l’altro, può anche non essere necessario – nella situazione di fracasso descritta – che lei senta la propria voce. Lei sai cosa pensa e cosa sente. Per il resto, nella situazione data… lei crede che, comunque, i giocatori o gli altri fan la sentano?» Lucy non può avere torto! La voce del cantore (e del cantante) La voce del tifoso Un lettore ha posto alla community del forum ChoralNet una domanda banalissima ma interessante: «Is singing at sports events ok?» Nella bellissima lingua “ove il dolce sì suona”: «è bene (corretto, opportuno, igienico…) cantare durante gli eventi sportivi?» Lucy Hudson Stembridge, secondo me persona di grande esperienza e buon senso e quindi grande direttore di coro, ha proposto il suo commento/risposta: «È un rischio, anche se i risultati di quest’azione possono essere misti, diversi per persone diverse. Il mio primo suggerimento è “Vai da un esperto preparatore della voce di livello universitario o equivalente e accresci la tua consapevolezza e conoscenza delle abitudini Noi cantori siamo il nostro strumento; per questo dobbiamo essere molto diligenti e attenti a ciò che questo strumento ci dice e rispondere conseguentemente con il comportamento più corretto, ricorrendo senza indugi all’aiuto di laringologi, foniatri di chiara fama e di altri esperti della voce. Vista l’importanza e l’ampiezza di aspetti e sfaccettature che esso presenta, Mondocoro propone l’argomento della salute della voce anche se deve averlo già fatto in passato. Per una nuova sottolineatura, prende lo spunto dal newsgroup ChoralNet che sta portando avanti una discussione in merito. Lo 77 spunto di partenza è la notizia di cronaca secondo la quale la cantante britannica Adele (in questi ultimi tempi famosa come esponente della nuova generazione del “soul bianco”) è al momento bloccata da gravi problemi con le sue corde vocali: «Il più venduto artista pop dell’anno è stato… zittito. La cantante soul inglese Adele è stata costretta a cancellare il resto del suo tour 2011. All’inizio di quest’anno, ha sofferto due emorragie vocali e prossimamente dovrà subire un intervento chirurgico.» Coloro che cantano sono in una situazione ad alto rischio. Molti cantanti famosi hanno bisogno di un trattamento analogo. «Essenzialmente, le persone che cantano sono atleti vocali», dice il dott. Steven Zeitels, direttore del Centro Voce del Massachusetts General Hospital. «Così si può guardare a questo come a uno scenario non insolito, come a un atleta che si è ferito proprio in quella parte del corpo che per lui è importante per lo svolgimento della sua attività». Il dottor Zeitels sta lavorando con Adele. Egli dice che dopo l’intervento chirurgico, molto probabilmente la cantante avrà bisogno di «un certo numero di mesi» per recuperare la sua funzionalità vocale. La lista dei pazienti del dott. Zeitels è zeppa di nomi di grandi cantanti fra cui Julie Andrews, Roger Daltrey e la cantante d’opera Denyce Graves (mezzo soprano che nel 1995 cantò Carmen a fianco di Placido Domingo sotto la regia di Zeffirelli). Graves ha affermato: «Ho starnutito. È stato così semplice. Ho starnutito e ho avuto un’emorragia… Ho perso la voce immediatamente ed è stato spaventoso, una delle esperienze più terribili». Subì un intervento chirurgico, ma lo tenne segreto per paura che la notizia potesse danneggiare la sua carriera. «Quello che le persone non sembrano capire è che la voce – le corde vocali – sono incredibilmente fragili», dice Roger Love, un preparatore della voce che ha lavorato con numerose celebrità: Maroon 5, John Mayer e Gwen Stefani, tra gli altri. Denyce Graves ritiene che il dott. Zeitels praticamente le abbia salvato la carriera e sottolinea che lei e altri cantanti devono sempre fare molta attenzione a quello che fanno con la loro voce. Adele lo sta imparando nel modo più duro. Questo è stato il suo anno di breakout. Ha scritto sul suo blog che ha «il cuore spezzato» ed è frustrata di non poter cantare. In un suo notevole intervento nell’ambito delle attività collaterali dell’Assemblea Generale annuale di ECA - Europa Cantat dello scorso 13 novembre 2011, a Torino abbiamo conosciuto il dott. Andrea Ricci Maccarini del Voice Center Cesena (www.voicecentercesena.it). Questa segnalazione viene ritenuta opportuna, ma è data con l’augurio che i lettori di Mondocoro non debbano mai ricorrere, se non in via preventiva, all’alta professionalità del Dott. Maccarini e del suo Centro allocato presso l’ospedale Maurizio Bufalini di Cesena. RUBRICHE 78 Il coro eco al primo concorso mondiale Nei tempi molto antichi, quando gli uomini se ne andavano da soli per la foresta, nessuno cantava. Un giorno un cacciatore che stava sul bordo di una valle batté il ginocchio contro una pietra e lanciò un grido. Subito udì una voce che gli rispondeva dalla vallata. Lanciò un altro grido. Subito un grido gli rispose. Allora rifece la prova. Sentì ancora il grido. Era una cosa che gli piaceva molto. Cominciò a lanciare tanti urli lunghi, corti, alti, bassi e la voce rispondeva sempre senza stancarsi mai. Qualche giorno dopo tornò in quel punto con un altro cacciatore e gli fece sentire quello che succedeva. Il secondo cacciatore gridò e la voce tornò. Rimasero lì a lungo, divertendosi molto, poi andarono a caccia. Quando tornarono alle caverne, dissero: «Perché non giochiamo alla roccia che risponde?» Si misero uno di fronte all’altro. Uno gridò e l’altro gli rispose. Poi gridò il secondo e rispose il primo. Scoprirono che si potevano fare molti giochi: rimandare la voce uguale, ma anche rimandarla più alta, più bassa, più lunga. I due cacciatori scoprirono che potevano mandare due voci insieme, e che le voci si mescolavano come le acque dei fiumi. Così, senza saperlo, cominciarono a cantare: e presto, allora, si assunsero altri uomini. Fu così che nacque il primo coro del mondo, e insieme al coro, nacque la musica. (www.RPiumini.Storie-per-chi-le-vuole.Einaudi Ragazzi.it) Tra Oriente e Occidente, un festival per giovani musicisti «Youth is the future» (i giovani sono il futuro), dice il filmato promozionale. Sembra un comandamento, e – cattolicesimo a parte – forse è il primo! Una nuova iniziativa musicale riservata ai giovani merita sempre attenzione e onesta segnalazione. Nel caso presente l’iniziativa è orchestrale (per il secondo anno) e corale (per la prima volta). Istanbul è sicuramente una meta attraente già per se stessa, ma se l’occasione per staccare un biglietto di viaggio è musicale e giovanile come il 1st Istanbul Youth Choirs and Orchestras Festival, allora… il gioco è fatto. L’organizzazione propone, a gruppi corali e orchestrali di giovani musicisti, concerti (almeno due per ogni coro o orchestra) di alto livello nei principali luoghi storici della città in cui l’oriente incontra l’occidente. Offre anche l’opportunità di conoscere il mondo musicale della Turchia attraverso workshop mirati e collaborazioni con i conservatori del paese. Il festival avrà luogo nei mesi di luglio e agosto del 2012. Le iscrizioni sono già aperte e saranno possibili fino al 16 dicembre 2011. Maggiori informazioni si possono trovare nel sito www.iycof.org ; in particolare, per la procedura di adesione si navighi alla pagina “Participation and Registration”. Imagine… e chi non ne ha in mente una bella immagine? Due cose da rilevare subito secondo la blogger Marilynn Parry; la prima: «A parte l’Ave Maria, forse Imagine (di John Lennon) è l’unico canto che in ogni parte del mondo può essere intonato, avendo la certezza che tutti i presenti si uniranno immediatamente nel canto. Ciò è stato sperimentato in Europa e in Russia, ma secondo alcuni fidati amici ciò può essere fatto anche in Africa, nel Medio Oriente, in India, in Cina e in Giappone.» E la seconda: «Ho insegnato questo canto a mio fratello più piccolo di dieci anni e a tutti i miei nipoti (maschi e femmine) quando erano molto giovani, e tutti hanno capito perfettamente che cosa voleva dire il testo. Era sorprendente guardare queste giovani menti che si appropriavano di questo canto…». Questo canto non è anti-cristiano come qualcun altro sostiene. Ciò che Lennon proprio non fa è tentare di ficcarti dentro una qualsiasi ideologia; che tu sia cristiano, ebreo, indù, agnostico, mussulmano o perfino wiccano (Wicca è una delle religioni e correnti spirituali di tipo misterico appartenenti al movimento neopagano) sei benvenuto nella compagnia. Imagine è intrisa del messaggio che promuove la pace, l’armonia, la fratellanza e, più di tutto ancora, l’accettazione. Lennon è stato ispirato da una poesia di sua moglie Yoko Ono, come lei stessa dichiarò in una intervista alcuni anni dopo. «Imagine era esattamente ciò che Lennon credeva, che tutti siamo un solo paese, un solo mondo, una sola nazione. Egli volle semplicemente sostenere questa idea.» Questo canto, quindi, non tratta di religione, ma piuttosto di umanità e di come troppo spesso tutti noi permettiamo a piccole differenze superficiali di dividerci. In realtà John Lennon non chiede altro che questo: la retorica delle religioni organizzate sia lasciata in disparte e speriamo che l’umanità possa alla fin fine ricordare che siamo “uno”. Ecco un’idea, una libera veloce traduzione del testo: «Immagina che non ci sia il paradiso, è facile se ci provi. Nessun inferno sotto di noi, e solo cielo al di sopra. Immagina tutte le persone che vivono per l’oggi. Immagina che non ci siano paesi, non è difficile, non ci sia nulla per cui uccidere o morire, e pure nessuna religione. Immagina tutte le persone che vivono la vita in pace. Potresti dire che sono un sognatore, ma non sono l’unico. Spero che un giorno ti unirai a noi e il mondo sarà uno. Immagina l’assenza di proprietà, mi chiedo se ci riesci, nessun bisogno di avidità e di fame, una fratellanza dell’uomo. Immagina tutte le persone che condividono tutto il mondo. Potresti dire che sono un sognatore, ma non sono l’unico. Spero che un giorno ti unirai a noi e il mondo sarà uno.» NB: Nell’impossibilità assoluta di una “traduzione poetica” (comunque limitata al testo e priva della poesia della musica – scusate 79 se è poco!), con la proposta di questa traduzione “a braccio” non intendo offendere nessuno e tanto meno la memoria di John Lennon (nell’eventualità, a tutti chiedo perdono in anticipo). Chi desidera “Poesia” non ha che una possibilità: ascolti – ancora una volta – testo e musica in originale. Val: cd coinvolgente, giovane coro sorprendente Ecco un disco particolarmente impressionante per la musica che esso offre e per la profondità con cui la ventina di cantori del Vokalna Academija Ljubljana (Slovenia) esplora ciascuno dei pezzi presentati. Il gruppo VAL, relativamente giovane essendo stato fondato nel 2008, dimostra già al suo pubblico una grande capacità di padroneggiare tanto Schubert quanto Wolf e tutta la musica d’oggi. Nella prima parte del cd infatti il gruppo accetta la sfida della musica classica e romantica, mentre nella seconda si misura con sei pezzi di compositori viventi, e lo fa con agilità convinta ed elegante. La dicotomia fra la musica della prima parte del cd e quella della seconda parte è notevole e interessante. I sei brani finali sono di H. Wolf / M. Refer, H. Volaric̆, I. Pizzetti, L. Lebic̆, A. C̆opi e G. Bonato. In ciò che apparentemente potrebbe sembrare una conclusione goffa e male indovinata dopo una stupenda presentazione di J. Gallus, J. Haydn, F. Schubert, F. Mendelssohn e L. Janac̆ek, i cantori dell’Accademia Vocale di Ljubljana portano a ogni brano una individualità veramente interessante e attraente. Per la comunità corale nulla potrebbe essere più accattivante di un gruppo nuovo che comincia a imporre il suo marchio. Ciò è provato da questo primo cd del Vokalna Academija Ljubljana che arriva a confermare un’imponente attività attraverso la quale il gruppo (diretto da Stojan Kuret, musicista direttore di coro nativo di Trieste) si è imposto in questi quattro anni meritandosi importanti riconoscimenti quali il Grand Prix al Concorso Corale Internazionale Guido D’Arezzo, l’European Grand Prix for Choral Singing nel 2010 a Varna (primo coro maschile a vincere nella storia del Gran Premio Europeo), il Guidoneum Award 2011 per i grandi risultati artistici e per il contributo dato al mondo della musica corale. In questo stesso senso sono da leggere la presentazione del Dido and Aeneas di Purcell, la partecipazione al prestigioso festival francese Polyfollia, e i programmi futuri che lo vedranno rappresentante d’Europa al Summit Corale Mondiale di Pechino nel 2012. http://sites.google.com/site/vokalnaakademijaljubljana/ ensemble/ 80 Compositori di musica corale vincitori all’estero: corrispondenza da San Pietroburgo «Cari amici, il 9 maggio di quest’anno 2011 abbiamo organizzato il quarto Concorso per Compositori Open All-Russian Composer Competition “Choir Laboratory, XXI Century” – Music for Children and Youth. Vi hanno partecipato 57 musicisti che da Russia, Bielorussia, Germania, Usa, Gran Bretagna, Polonia e Armenia hanno inviato al comitato ben 165 composizioni. Hanno preso parte al concorso anche tre italiani che hanno vinto premi in diverse categorie. In particolare, nella categoria Musica da Chiesa su testo in latino il primo premio è stato assegnato a Fabio Alberti di Bergamo (allievo di Lorenzo Donati) con i brani Ave Maria e Jubilate Deo. Nella stessa categoria ha ottenuto un diploma Gaetano Lorandi di Villaverla (VI) con il brano O Magnum Mysterium. Nella categoria Experiment dove il primo premio non è stato assegnato, Chiara Mario di Padova ha ottenuto il secondo premio con In Te speravi. La cerimonia di consegna dei premi per le composizioni vincitrici avrà luogo in San Pietroburgo il prossimo 4 dicembre nella famosa Hall Of State Capella. Saremo lieti di avere la presenza di almeno uno dei vincitori, Fabio Alberti. Prima del concerto ci sarà un incontro coi direttori di coro russi ai quali Fabio presenterà alcune partiture per cori di ragazzi scritte da compositori italiani. Noi speriamo che la Edizioni Compozitor di San Pietroburgo pubblichi entro dicembre le partiture vincitrici del concorso nella serie Laboratorio Corale 2011. Anche per il futuro contiamo sulla collaborazione con compositori italiani ai quali fin da ora auguriamo nuovi lavori creativi di alto livello». Il comunicato, datato 15 novembre 2011, è frutto di un fortunato incontro che tre giorni prima ho avuto a Torino in occasione dell’Assemblea Annuale di ECA-EC. Durante un pranzo mi trovai seduto alla sinistra della signora Irina Roganova, presidente del comitato organizzatore del concorso, nonché presidente dell’Associazione dei direttori di coro per ragazzi e giovani della regione russa del nord-ovest e direttore del Coro Harmony. Ella mi onorò di tante informazioni sulla coralità del suo paese e sulla sua attività. Fu felice di ricevere in dono una copia degli ultimi due numeri di Choraliter. Sono certo di potermi fare portavoce di Mondocoro, di Choraliter e dei nostri lettori nel porgere a Fabio Alberti, Gaetano Lorandi e Chiara Mario le più vive congratulazioni per il successo ottenuto in terra di Russia. Mi si perdoni di concludere con un “perché” personale: con tanti compositori italiani (senza ricerca alcuna mi ricordo di Mignemi, Milita, Bonato prima di Alberti, Lorandi e Chiara) vincitori di concorsi all’estero (Olanda, Spagna, Russia…) perché i cori partecipanti ai concorsi nazionali e internazionali in Italia presentano così pochi brani d’autore italiano? (A Vittorio Veneto – concorso nazionale! – 60% di compositori stranieri; a Rimini – concorso internazionale – 6 brani italiani su oltre 150, per di più solo Palestrina & Co…evi!). Associazione Cori della Toscana Anno XII n. 36 - settembre-dicembre 2011 Rivista quadrimestrale della Fe.N.I.A.R.Co. Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali Presidente: Sante Fornasier Direttore responsabile: Sandro Bergamo Comitato di redazione: Efisio Blanc, Walter Marzilli, Giorgio Morandi, Puccio Pucci, Mauro Zuccante Segretario di redazione: Pier Filippo Rendina Hanno collaborato: Piero Monti, Patrizia Cuzzani, Andrea Natale, Maurizio Benedetti, Josep Solé Coll, Luca Bonavia, Franca Floris, Alvaro Vatri, Pierfranco Semeraro, Amedeo Finizio, Fabrizio Vestri, Giorgia Loreto, Carlo Pavese, Daniele Proni, Rossana Paliaga Redazione: via Altan 39 33078 San Vito al Tagliamento Pn tel. 0434 876724 - fax 0434 877554 [email protected] In copertina: Salerno Festival 2011 (foto 3D Foto Video) Progetto grafico e impaginazione: Interattiva, Spilimbergo Pn Stampa: Tipografia Menini, Spilimbergo Pn Associato all’Uspi Unione Stampa Periodica Italiana ISSN 2035-4851 Poste Italiane SpA – Spedizione in Abbonamento Postale – DL 353/2003 (conv. In L. 27/02/04 n. 46) art. 1, comma 1 NE/PN Abbonamento annuale: 25 € 5 abbonamenti: 100 € c.c.p. 11139599 Feniarco - Via Altan 39 33078 San Vito al Tagliamento Pn Editoriale L’anno appena trascorso ha visto celebrare, con una partecipazione sentita e, in queste dimensioni, inattesa, il 150° anniversario dell’Unità del nostro Paese. Anche la coralità è stata presente attivamente, con innumerevoli iniziative basate sul repertorio, ricco ma non abbastanza esplorato, delle musiche che hanno accompagnato il processo unitario. Choraliter non poteva mancare di offrire il proprio contributo e lo fa in quest’ultimo numero dell’anno, dedicando il proprio dossier alle musiche che hanno caratterizzato non solo il Risorgimento, ma anche altri momenti unificanti della nostra storia: la Grande Guerra, che completò il processo unitario e che ci ha lasciato un ricco patrimonio di canti entrati nel repertorio popolare, e la Resistenza, momento fondatore della storia repubblicana, anch’esso ricco di lasciti musicali. Sullo stesso tema anche l’allegato, che questa volta non è un cd, ma un dvd, selezionato dalla commissione di ascolto tra quanti pervenuti in risposta al bando. Questo 150° anniversario dell’Unità d’Italia vede il nostro paese in una grave crisi economica e politica. La convinzione che gli italiani possano farcela, trovando in se stessi le necessarie risorse, morali prima ancora che economiche, si accompagna anche alla consapevolezza che non potrà tornare tutto come prima. Nel grande, come nel piccolo, molte cose, date per scontate, si rivelano insostenibili. La nostra Federazione si è fin qui mantenuta agli stessi livelli degli anni precedenti, nonostante il triennio di restrizioni che abbiamo alle spalle: frutto di una attenta amministrazione delle risorse e di una credibilità presso le Istituzioni e gli Enti acquisita nel corso di anni di lavoro guidati da una chiara progettualità. Tuttavia, per non disperdere i risultati raggiunti, è necessario anche per il nostro mondo corale commisurare gli sforzi alle risorse disponibili, sia pure al prezzo di rinunce. In questo numero ne abbiamo un esempio: il dvd o il cd da allegare, ogni anno, alla rivista di dicembre verrà, d’ora in poi, inviato esclusivamente agli abbonati, mentre la copia omaggio ne sarà sprovvista. Non solo spero che i nostri lettori capiranno le ragioni di questa scelta, ma confido che sia uno stimolo a sottoscrivere l’abbonamento, la sola risorsa che può consentirci di mantenere il livello raggiunto. Tre anni fa, progettando di arricchire Choraliter nella forma come nei contenuti e di affiancarvi Italiacori.it, ci ponevamo l’obiettivo di cinquemila abbonamenti: ne siamo lontanissimi e vengono meno non solo le risorse, ma anche gli stimoli a continuare a offrire un servizio in mancanza di un riscontro che ne certifichi il gradimento. Nonostante le difficoltà economiche che colpiscono anche i coristi, le loro famiglie, le aziende in cui lavorano, in questi anni abbiamo visto costante la partecipazione ad appuntamenti come Alpe Adria Cantat, crescere quella al Festival di Primavera e nascere un evento come Salerno Festival, capace di mobilitare migliaia di persone: quasi che, di fronte alla crisi, sapessimo recuperare il valore autentico delle cose e investire sulla nostra formazione e sulla nostra cultura, più che sugli oggetti. Se i nostri lettori sapranno considerare sotto questa luce la loro rivista, sono convinto che potremo ancora, per molte altre volte, rinnovare gli auguri che, all’inizio del nuovo anno 2012, inviamo loro da queste pagine. Sandro Bergamo direttore responsabile 012 ebbraio 2 f 5 1 il o tr n e i n io iscriz ) t P ( e m r e T i n i t a c e t Mon Regione Toscana 18/21 aprile 2012 scuole medie Provincia di Pistoia Comune di Montecatini Terme 25/28 aprile 2012 scuole superiori Italiafestival www.feniarco.it n. 36 - settembre-dicembre 2011 n. 36 - settembre-dicembre 2011 Rivista quadrimestrale della FENIARCO Poste Italiane SpA – Spedizione in Abbonamento Postale – DL 353/2003 (conv. In L. 27/02/04 n. 46) art. 1, comma 1 NE/PN Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali ARTE, MUSICA E FEDE VALENTINO MISERACHS GOFFREDO PETRASSI NOVA ET VETERA ATTIVITà DELL’ASSOCIAZIONE VITALITà E PROGETTUALITà UN ARCOBALENO DI SUONI E COLORI Feniarco REPORTAGE DAI CONCORSI Il canto degli italiani la musica dell’italia unita