n. 36 - settembre-dicembre 2011
n. 36 - settembre-dicembre 2011
Rivista quadrimestrale della FENIARCO
Poste Italiane SpA – Spedizione in Abbonamento Postale – DL 353/2003 (conv. In L. 27/02/04 n. 46) art. 1, comma 1 NE/PN
Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali
ARTE, MUSICA E FEDE
VALENTINO
MISERACHS
GOFFREDO
PETRASSI
NOVA ET VETERA
ATTIVITà DELL’ASSOCIAZIONE
VITALITà E
PROGETTUALITà
UN ARCOBALENO
DI SUONI E COLORI
Feniarco
REPORTAGE DAI CONCORSI
Il canto
degli italiani
la musica dell’italia unita
Associazione
Cori della
Toscana
Anno XII n. 36 - settembre-dicembre 2011
Rivista quadrimestrale della Fe.N.I.A.R.Co.
Federazione Nazionale Italiana
Associazioni Regionali Corali
Presidente: Sante Fornasier
Direttore responsabile: Sandro Bergamo
Comitato di redazione: Efisio Blanc,
Walter Marzilli, Giorgio Morandi,
Puccio Pucci, Mauro Zuccante
Segretario di redazione: Pier Filippo Rendina
Hanno collaborato: Piero Monti, Patrizia
Cuzzani, Andrea Natale, Maurizio Benedetti,
Josep Solé Coll, Luca Bonavia, Franca Floris,
Alvaro Vatri, Pierfranco Semeraro, Amedeo
Finizio, Fabrizio Vestri, Giorgia Loreto, Carlo
Pavese, Daniele Proni, Rossana Paliaga
Redazione: via Altan 39
33078 San Vito al Tagliamento Pn
tel. 0434 876724 - fax 0434 877554
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In copertina: Salerno Festival 2011
(foto 3D Foto Video)
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Editoriale
L’anno appena trascorso ha visto celebrare, con una
partecipazione sentita e, in queste dimensioni, inattesa, il
150° anniversario dell’Unità del nostro Paese. Anche la
coralità è stata presente attivamente, con innumerevoli
iniziative basate sul repertorio, ricco ma non abbastanza
esplorato, delle musiche che hanno accompagnato il
processo unitario.
Choraliter non poteva mancare di offrire il proprio
contributo e lo fa in quest’ultimo numero dell’anno,
dedicando il proprio dossier alle musiche che hanno
caratterizzato non solo il Risorgimento, ma anche altri
momenti unificanti della nostra storia: la Grande Guerra, che completò il processo
unitario e che ci ha lasciato un ricco patrimonio di canti entrati nel repertorio
popolare, e la Resistenza, momento fondatore della storia repubblicana,
anch’esso ricco di lasciti musicali. Sullo stesso tema anche l’allegato, che questa
volta non è un cd, ma un dvd, selezionato dalla commissione di ascolto tra quanti
pervenuti in risposta al bando.
Questo 150° anniversario dell’Unità d’Italia vede il nostro paese in una grave crisi
economica e politica. La convinzione che gli italiani possano farcela, trovando in
se stessi le necessarie risorse, morali prima ancora che economiche, si
accompagna anche alla consapevolezza che non potrà tornare tutto come prima.
Nel grande, come nel piccolo, molte cose, date per scontate, si rivelano
insostenibili.
La nostra Federazione si è fin qui mantenuta agli stessi livelli degli anni
precedenti, nonostante il triennio di restrizioni che abbiamo alle spalle: frutto di
una attenta amministrazione delle risorse e di una credibilità presso le Istituzioni
e gli Enti acquisita nel corso di anni di lavoro guidati da una chiara progettualità.
Tuttavia, per non disperdere i risultati raggiunti, è necessario anche per il nostro
mondo corale commisurare gli sforzi alle risorse disponibili, sia pure al prezzo di
rinunce. In questo numero ne abbiamo un esempio: il dvd o il cd da allegare, ogni
anno, alla rivista di dicembre verrà, d’ora in poi, inviato esclusivamente agli
abbonati, mentre la copia omaggio ne sarà sprovvista.
Non solo spero che i nostri lettori capiranno le ragioni di questa scelta, ma
confido che sia uno stimolo a sottoscrivere l’abbonamento, la sola risorsa che
può consentirci di mantenere il livello raggiunto. Tre anni fa, progettando di
arricchire Choraliter nella forma come nei contenuti e di affiancarvi Italiacori.it, ci
ponevamo l’obiettivo di cinquemila abbonamenti: ne siamo lontanissimi e
vengono meno non solo le risorse, ma anche gli stimoli a continuare a offrire un
servizio in mancanza di un riscontro che ne certifichi il gradimento.
Nonostante le difficoltà economiche che colpiscono anche i coristi, le loro
famiglie, le aziende in cui lavorano, in questi anni abbiamo visto costante la
partecipazione ad appuntamenti come Alpe Adria Cantat, crescere quella al
Festival di Primavera e nascere un evento come Salerno Festival, capace di
mobilitare migliaia di persone: quasi che, di fronte alla crisi, sapessimo
recuperare il valore autentico delle cose e investire sulla nostra formazione e sulla
nostra cultura, più che sugli oggetti.
Se i nostri lettori sapranno considerare sotto questa luce la loro rivista, sono
convinto che potremo ancora, per molte altre volte, rinnovare gli auguri che,
all’inizio del nuovo anno 2012, inviamo loro da queste pagine.
Sandro Bergamo
direttore responsabile
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Regione Toscana
18/21 aprile 2012
scuole medie
Provincia di Pistoia
Comune di
Montecatini Terme
25/28 aprile 2012
scuole superiori
Italiafestival
www.feniarco.it
n. 36 - settembre-dicembre 2011
Rivista quadrimestrale della FENIARCO
Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali
DossieR
Il canto degli Italiani
2
Viva V.e.r.d.i.
Viva Vittorio Emanuele Re Di Italia
7
Piero Monti
IL MITO DELLA NAZIONE
NEI CANTI ALPINI DELLA GRANDE GUERRA
40 alpe adria cantat
Mauro Zuccante
11 MUSICA E RESISTENZA
Patrizia Cuzzani
16 IL CANTO DEGLI ITALIANI
Maurizio Benedetti
Dossier compositore
Valentino Miserachs
Intervista a Valentino Miserachs
Walter Marzilli
25 Un ponte tra il vecchio e il nuovo
2011
francese e inglese
per i giovani direttori di coro
Pierfranco Semeraro
43 IL PIù GRANDE CORO D’ITALIA
21 la felice fusione tra arte e fede
Alvaro Vatri
42 Il repertorio contemporaneo
Josep Solé Coll
alla seconda edizione del Salerno Festival
Amedeo Finizio
45 VITALITÀ E PROGETTUALITÀ DELLA FEDERAZIONE
Attività dell’Associazione
NAZIONALE
Assemblea Feniarco in Valle d’Aosta
Efisio Blanc
47 un altro passo importante
verso Europa Cantat Torino 2012
Fabrizio Vestri
50 Cantare in un coro?
Indubbiamente uno stile di vita!
Giorgia Loreto
51 Il festival si avvicina… iscriviti anche tu!
Nova et veterA
27 goffredo petrassi: Coro di morti
Mauro Zuccante
Carlo Pavese
cronacA
52 Polifonico
Daniele Proni
2011
57 UNA COLORATISSIMA SERIE MONDIALE DI CANTORI
canto popolarE
Giorgio Morandi
59 Lettera da Tallin
Alvaro Vatri
60 UNA ITALIA IN VENTI MODI
Sandro Bergamo
32 Arcaico e Archeologia musicale
61 PASSIONE BASCA
63 UN INVESTIMENTO SULLA CORALITÀ
La vicenda di Annamarii, donna Walser
Luca Bonavia
portrait
Intervista ad Antonio Sanna
Franca Floris
Rossana Paliaga
INDICE
36 AFFASCINATO DALLA VOCE UMANA
Rossana Paliaga
66
Notizie dalle regioni
Rubriche
70 Discografia&Scaffale
73 Lettera al Direttore
74 Mondocoro
dossIER
VIVA V.E.R.D.I.
Viva Vittorio Emanuele Re Di Italia
italiana anche assistendo alle recite delle opere dei suoi
connazionali.
Convinto come era che in Italia «la musica ha patria, e la
natura è un concerto, e l’armonia si insinua nell’anima colla
prima canzone che le madri cantano nella culla dei figli»*,
cercava di incitare i giovani compositori ad «adorare l’Arte
siccome cosa santa, prefiggendole un alto intento sociale,
ponendola a sacerdote di morale rigenerazione»*. Il compito
sociale che egli auspicava per la musica, soddisfare e nutrire i
nuovi sentimenti di libertà e unità nazionale che cominciavano
a suggestionare gli italiani, era basato sulla convinzione che il
melodramma era il dato identificativo del carattere degli
italiani e quindi possibile collante di quella comunità che lui
chiamava “patria” e stimolo alla costruzione di un processo
unitario anche dal punto di vista politico.
Non mancavano nemmeno esempi internazionali di valenza
politica dell’evento operistico.
Un ruolo preminente nella formazione del Regno del Belgio ad
esempio è stato quello giocato dall’opera La Muette de Portici
di Daniel Auber, programmata al Teatro La Monnaie di
Bruxelles nell’agosto 1830, dapprima vietata dal re per il suo
contenuto incitante alla rivolta (l’ambientazione è a Napoli al
tempo dell’insurrezione di Masaniello contro gli spagnoli). Alla
fine della rappresentazione di quest’opera, la sera del 25
agosto, infiammati dai versi del duetto del secondo atto:
«Amour sacré de la patrie, / rends-nous l’audace et la fierté;
/ a mon pays je dois la vie; / il me devra sa liberté!» (Amore
sacro della patria, / rendici l’audacia e la fierezza; / al mio
paese devo la vita; / lui mi dovrà la sua libertà!) e del coro
del finale terzo: «Courons à la vengeance! / Des armes, des
flambeaux! / Et que notre vaillance / mette un terme à nos
maux!» (Corriamo alla vendetta! / Delle armi, delle fiaccol! / E
che il nostro coraggio / ponga fine ai nostri mali!) gli
spettatori si riversarono in strada scatenando una rivolta che
costituì la scintilla della rivoluzione che condusse poi
all’indipendenza del Belgio.
Mazzini vide per primo in Donizetti il potenziale musicista
“progressista” capace con la sua musica eccitata e vibrante di
seguire l’incalzare della storia. Di un’opera in particolare
apprezzava la presenza di temi sociali, caratteristica alquanto
inusuale per i libretti del tempo, la massiccia presenza del
coro come popolo protagonista e non più come semplice
spettatore, l’intreccio tra l’istanza sociale e l’orgoglio
patriottico: Marin Faliero, del 1835, che narra del conflitto tra
patrizi, che avevano portato Venezia alla rovina, e plebei,
dipinti come gli unici in grado di risollevare le sorti della
Repubblica.
La prima scena si chiude col coro degli operai dell’Arsenale
che, guidati da Isarele Bertucci, canta: «Son crudeli, son
tiranni, / tigri nate ai nostri danni. / Quest’ingiuria è iniqua,
atroce... / Vien, contiamla alla città. / Vieni, parla: alla tua
voce / tutto il popol sorgerà».
Al terzo atto Israele, condannato a morte, declamerà: «Siamo
vili e fummo prodi / quando in Zara e quando in Rodi / sulle
torri e sulle porte / del Leone i rei stendardi / …La vittoria
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VIVA VITTORI
di Piero Monti
direttore del coro
del maggio musicale fiorentino
e commissario artistico feniarco
Che questo famoso acrostico sia stato lo slogan delle insurrezioni popolari anti-austriache nel
nord Italia durante il ’48, anno della prima guerra d’indipendenza, è solamente una bella
leggenda.
Certamente il grido risuonato alla Scala di Milano il 24 gennaio 1859 alla rappresentazione del
Simon Boccanegra celava la convinzione diffusa che sia il monarca sabaudo che il musicista
erano i catalizzatori dell’idea di unità nazionale.
Pochi giorni prima (il 10 gennaio) nello stesso teatro il pubblico aveva provocato un terribile
putiferio quando il coro di Druidi dell’opera Norma di Bellini intonò: «Guerra, guerra! Le galliche
selve / Quante han quercie producon guerrier / …Sangue, sangue! Le galliche scuri / fino al
tronco bagnate ne son! / …Strage, strage, sterminio, vendetta! / Già comincia, si compie,
s’affretta. / …Tronchi i vanni, recisi gli artigli, / abbattuta ecco l’aquila al suol!».
Tre mesi dopo questi due episodi, e precisamente il 26 aprile, ebbe inizio la seconda guerra
d’indipendenza che permise il ricongiungimento della Lombardia al Regno di Sardegna e pose le
basi per la costituzione del Regno d’Italia. Possono gli eventi teatrali aver alimentato il fermento,
la voglia di riscossa, di libertà che covavano nell’animo della popolazione?
Durante l’Ottocento in Italia la passione per il melodramma dominò incontrastata nel gusto del
pubblico e nelle attività dei compositori, tanto che essi coltivarono quasi unicamente questo
genere musicale.
Per rendere un’idea di questo fenomeno si pensi che tra il 1821 e il 1847 furono eretti nella
penisola novantasette nuovi teatri, sparsi in tutti gli Stati, in città grandi e piccole. Nel corso
dell’anno 1846 gli allestimenti di otto opere di Verdi furono 152, 76 quelli di Bellini, 41 di Ricci e
Pacini, 36 di Mercadante, 29 di Rossi e mi fermo a citare solo quelle più numerose: numeri
impressionanti che rendono l’idea di quanto l’opera fosse un fenomeno culturale e sociale
diffuso capillarmente in tutta Italia.
Mazzini era consapevole della portata di questo fenomeno e dal suo esilio seguiva la vicenda
illuminò! / …Sì alla morte ed alla gloria! / Un addio, e a morte
andrò. / …Non tremate in faccia a morte, / disfidate i rei
tiranni / e il furor d’avversa sorte», frase che fece scrivere a
Mazzini «che dovrebbe fare arrossire chi l’ode»*.
La scena si chiude poi con il coro che, seguendo a morte il
proprio capo, intona «Il palco è a noi trionfo, / or v’ascendiam
ridenti, / ma il sangue dei valenti / perduto non sarà».
Son versi che si sedimentano nelle coscienze di chi le ascolta,
vengono attualizzati, fatti propri e diventano quasi il motto di
un fanatico credo: non stupisce perciò che questa frase sia
stato l’ultimo canto dei Martiri di Belfiore giustiziati dagli
austriaci nel 1852, o che i fratelli Bandiera, nel ’44 abbiano
affrontato il plotone d’esecuzione citando – sostituendo con
“patria” la parola “gloria” – i versi del coro dei guastatori
della Donna Caritea di Mercadante: «Chi per la patria muor, /
vissuto è assai»!
Mazzini nel 1836 dedicò a un Ignoto Numini il trattato
Filosofia della Musica, in cui auspicava l’avvento di un
giovane musicista capace di rinnovare la musica italiana,
caratterizzandola con un robusto senso della storia, la
centralità del coro, individualità potenti, vocalità
incandescente.
Pochi anni dopo, nel 1842, venne rappresentata alla Scala il
Nabucco che rappresentò l’inizio del grande successo di
dossIER
4
Verdi; tutte le recite sollevarono un delirio di ovazioni e un
entusiasmo a livello popolare anche per la lettura in chiave
politica che fu data di molti passi del libretto. Il coro degli
schiavi ebrei “Va’ pensiero” divenne famoso all’istante per la
sua immediatezza musicale (melodia quasi sempre
all’unisono, estensione contenuta in una
decima) ma anche per la valenza
risorgimentale che assunse. Allo stesso
modo l’anno successivo Verdi ripeté il
successo con I Lombardi alla prima
Crociata; il coro “O Signore dal tetto
natio” che intonano i guerrieri lombardi e
i pellegrini assetati, che come una poesia
di Giuseppe Giusti recita «tanti petti ha scossi e inebriati», era
volutamente costruito sul modello musicale di “Va’ pensiero”
e divenne un altro punto di riferimento del sentire
risorgimentale. (I casi della vita: queste due opere, le prime a
divenire emblemi di opere risorgimentali, erano state dedicate
dall’autore alla figlia del viceré austriaco una e a Maria Luigia
duchessa di Parma l’altra!)
In quel periodo il mercato operistico continuò ad accentuare il
tema patriottico perché gli editori lo richiedevano e,
collaborando con i librettisti, veri segugi capaci di fiutare i
gusti e le tendenze del pubblico e di adeguarvisi, riuscivano
spesso a forzare o a dribblare la censura.
Ecco allora che Verdi scuote ancora gli animi con il famoso
coro di congiurati dell’Ernani: «Si ridesti il Leon di Castiglia /
e d’Iberia ogni monte, ogni lito / eco formi al tremendo
ruggito, / come un dì contro i Mori oppressor. / Siamo tutti
una sola famiglia, / pugnerem colle braccia, co’ petti; /
schiavi inulti più a lungo e negletti / non sarem finché vita
abbia il cor. / …Sorga alfine radiante di gloria, / sorga un
giorno a brillare su noi… / Sarà Iberia feconda d’eroi, / dal
servaggio redenta sarà!»; alla Fenice di Venezia nel ’44 chi
non avrà pensato agli austriaci come mori oppressori o di
sostituire Italia a Iberia? E alle recite il pubblico cantava con il
coro, aiutato anche in questo caso dalla immediatezza della
linea melodica, tutta all’unisono. A Torino e Genova invece
mutarono la frase «A Carlo Magno sia gloria e onor» in «A Carlo Alberto sia gloria e onor».
Il movimento risorgimentale coinvolse donne di varia
estrazione sociale e culturale nelle attività più disparate, da
quelle assistenziali, sociali ed educative, a quelle dei salotti
culturali, in militanza politica. Lo stesso Gioberti ammetteva
che «la partecipazione delle donne alla causa nazionale è un
fatto quasi nuovo in Italia» e riteneva questo un segno di
raggiunta “maturità civile”.
Ecco allora che nell’opera appaiono le donne guerriere che
con passione e vigore incitano i propri uomini, figli, popolo a
ribellarsi contro le ingiustizie, ma sempre animate da
femminili sentimenti di passione e pietà.
Nell’Attila verdiana del ’46 ritroviamo Odabella che già nella
cavatina del prologo “Santo di Patria, indefinito amor!”
seguita dall’aggressiva cabaletta “Da te questo or m’è
concesso” si presenta in modo inequivocabile come eroina
femminile animata sia dall’amore di patria che da quello
familiare, esemplare illustrazione del canone di donna
risorgimentale. Poco avanti il generale romano Ezio tenta un
accordo con Attila dicendogli «Avrai tu l’universo, / resti
l’Italia a me»; alla prima veneziana del 1846 il pubblico reagì
Il melodramma era il dato
identificativo del carattere
degli italiani.
immediatamente replicando «Resti l’Italia a noi!».
Il 1847 ebbe la prima al teatro alla Pergola di Firenze il
Macbeth su soggetto shakespeariano. Anche se il tema non è
politico non mancano però le pagine apprezzate dai patrioti,
come il famoso coro: «Patria oppressa! Il dolce nome / no, di
madre aver non puoi…» o il finale della stessa scena: «La
patria tradita / piangendo ne invita! / Fratelli! gli oppressi /
corriamo a salvar» che fece scattare il pubblico in grida di
consenso.
Il 1848 fu anno in cui i compositori, sia perché coinvolti
nell’entusiasmo generale sia perché i teatri erano chiusi a
causa della guerra, composero numerosi inni popolari, marce
per banda, canzoni tutte a sfondo patriottico; poco prima,
nell’autunno ’47, Michele Novaro aveva musicato Il Canto
degli Italiani del poeta ventenne Goffredo Mameli, quello che
noi conosciamo come Fratelli d’Italia. Anche Verdi, su richiesta
di Mazzini, compose un Inno militare di esplicito contenuto
patriottico, per coro maschile a cappella, su versi sempre di
Mameli: «Suona la tromba, ondeggiano / le insegne gialle e
nere; / fuoco! per Dio sui barbari, / sulle vendute schiere. /
Già ferve la battaglia, / al dio de’ forti osanna, / le bajonette
in canna, / è l’ora del pugnar».
Nelle lettera con cui mandava a Mazzini la composizione,
Verdi scrisse: «Possa quest’inno fra la musica del cannone,
essere presto cantato nelle pianure lombarde!» a
testimonianza del suo impegno patriottico.
Nel ’49 vide la luce La battaglia di Legnano,
la più risorgimentale delle opere verdiane
che l’editore Ricordi voleva piazzare in tutti i
teatri della penisola; ma il lavoro ebbe facile
successo solo nel libero clima della
Repubblica romana dove debuttò al teatro
Argentina sotto il triumvirato Mazzini, Armellini e Saffi, poiché
quando gli austriaci ripresero possesso di Milano portarono al
macero e distrussero numerose edizioni “sovversive” tra cui
anche il materiale dell’opera che, per essere riproposto con
l’approvazione della censura, dovette cambiare il titolo in La
battaglia di Arlem e spostare l’ambientazione nelle Fiandre
col Duca d’Alba al posto di Federico Barbarossa.
Dopo gli echi significativi della Marsigliese nell’ouverture, il
coro iniziale definisce immediatamente lo sfondo nazionale ed
epico dell’opera: «Viva Italia! un sacro patto / tutti stringe i
figli suoi: / esso alfin di tanti ha fatto / un sol popolo d’Eroi!
/ …Viva Italia forte ed una / colla spada e col pensier! /
Questo suol che a noi fu cuna, / tomba sia dello stranier!»
Mazzini che si augurava un ampliamento della funzione del
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coro come «individualità collettiva»* non avrebbe potuto
chiedere di più: almeno quattordici interventi corali
costruiscono una prospettiva sociale, politica e familiare
intersecata continuamente con i sentimenti individuali.
Dimensione collettiva che Mazzini auspicava da più di un
decennio, mettendo in rilievo come l’eccesso di individualità
fosse la cifra identificativa del carattere italiano, e quindi
anche della sua musica: «L’io v’è re, re despota e solo… La
melodia italiana è lirica fino al delirio, appassionata fino
all’ebbrezza, vulcanica come il terreno ove nacque, scintillante
come il sole che splende su quel terreno»*. Una musica
rigenerata per una nazione rigenerata avrebbe avuto quindi
nel coro «la rappresentazione solenne ed intera dell’elemento
popolare»*, un modo per correggere un difetto morale ed
estetico della musica italiana «in sommo grado melodica»* e
quindi individuale, frutto di una società incapace di un
progetto comune.
Il librettista dell’opera, Salvatore Cammarano, patriota, mosso
dalla convinzione di dover avvicinarsi all’attualità, scrisse
volutamente un libretto che, come disse a Verdi in una lettera,
«dovrà scuotere ogni uomo che ha nel petto anima italiana»;
e anche nelle scene intime, familiari, non rinunciò a inserire i
credo della pedagogia patriottica. Quando Rolando partendo
per la battaglia affida a Lida di vegliare sul figlioletto: «Digli
ch’è sangue italico, / digli ch’è sangue mio, / che dei mortali
è giudice / la terra no, ma Dio! / E dopo Dio la Patria / gli
apprendi a rispettar» aveva ben presenti i valori di nazionalità
attraverso il sangue, della religione come garante dell’amor di
patria, la funzione della donna-madre-educatrice che
trasmette i valori nazionali ai figli e rimane custode della
stirpe.
La sconfitta dei moti del ’48 ebbe purtroppo ripercussioni
anche nel mondo dell’opera: la crisi economica e la guerra
avevano provocato una forte riduzione delle sovvenzioni ai
Il mercato operistico continuò
ad accentuare il tema patriottico.
teatri, con la conseguenza di ridurre il numero delle stagioni e
degli spettacoli e di far fallire impresari piccoli e grandi. Crollò
quindi il numero delle nuove opere perché non ci si potevano
permettere fiaschi, la repressione e la censura divennero
soffocanti, imponendo quindi la realizzazione di opere già
esistenti e di carattere non rivoluzionario e selezionando gli
autori e libretti.
Una delle poche opere del periodo a carattere storiconazionale fu, sempre di Verdi, I Vespri siciliani o meglio Les
Vespres siciliennes, scritta nel 1855 per l’Opéra di Parigi; qui
però l’insurrezione viene dipinta non più come rivolta
popolare ma come frutto della congiura di Giovanni da
Procida, la cui figura fu interpretata come allusione a Mazzini:
«O patria, o cara patria, alfin ti veggo! / L’esule ti saluta /
dossIER
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dopo sì lunga assenza; / […] O tu, Palermo, terra
adorata, / …Alza la fronte tanto oltraggiata, / il
tuo ripiglia - primier splendor! / Chiesi aita a
straniere nazioni, / ramingai per castella e città:
/ …siciliani! ov’è il prisco valor? / Su, sorgete a
vittoria, all’onor! / …Salvo sia l’amato suolo, poi
contento io morirò!»
Lo stile verdiano, cambiato in questa opera per
accondiscendere il gusto francese del grand
opéra, rispecchia il clima politico del momento
che vede i piemontesi combattere in Crimea a
fianco dei francesi e le simpatie di Napoleone III
per le aspirazioni del Risorgimento italiano.
Il programma del concerto alla Scala del 1859,
alla presenza di Vittorio Emanuele II e Napoleone
III, commemorativo della vittoria a Solferino e
San Martino, a parte un inno composto
appositamente da Paolo Giorza (rimasto famoso
per essere l’autore del popolare La bella Gigogin)
conteneva tutti brani di autori e da opere di
successo consolidato ma composti al minimo
dieci anni prima, segno evidente di quella scarsità di produzione musicale. Rimasero attivi invece i compositori
di canzoni popolari e inni, in questo periodo impegnati soprattutto a celebrare le imprese garibaldine (il famoso
Inno di Garibaldi «Si scopron le tombe, si levano i morti» è proprio del ’59).
Le caratteristiche che il melodramma patriottico aveva esaltato, nel corso degli anni cinquanta si affievolirono: i
cori ritornarono a muoversi nello sfondo, i soggetti ritornarono a trattare temi intimi, la storia era solo la cornice
in cui si svolge la vicenda-tragedia privata, tornò in auge il genere di evasione per non provocare la reazione
della censura.
Nel 1861 era fatta l’Italia, ma restavano da fare gli italiani, come disse Massimo D’Azeglio!
Il conte di Cavour era talmente convinto dell’importanza politica del teatro musicale da invitare Verdi al
parlamento neounitario, affermando che la sua presenza avrebbe giovato alla costruzione dell’identità nazionale
sotto gli auspici dell’opera. Scriveva infatti così al compositore il 10 gennaio 1861: «Ella contribuirà al decoro del
parlamento dentro e fuori d’Italia, darà credito al
gran partito nazionale che vuole costruire la
nazione sulle solide basi della libertà e dell’ordine,
ne imporrà ai nostri immaginosi colleghi della parte
meridionale d’Italia, suscettibili di subire l’influenza
del genio artistico più assai di noi abitatori della
fredda valle del Po». Pensava dunque il Cavour che
per mezzo dell’arte la difficile convivenza tra Nord e Sud avrebbe potuto divenire vera unione.
Purtroppo la morte precoce dello statista aggravò le difficoltà della gestione politica, la lacerazione tra Nord e
Sud divenne drammatica, la riduzione dei finanziamenti ai teatri da parte del nuovo Stato contribuì al declino del
genere che più di tutti aveva costituito un patrimonio culturale unitario e unificante. Il melodramma, che in
maniera così significativa aveva accompagnato, sostenuto e alimentato il movimento per l’unità nazionale, non
riuscì a essere la colonna sonora anche della fase della costruzione post-unitaria.
Resterà comunque un fenomeno che tanto ha influenzato la civiltà e la cultura italiana; ancora nel 1930 Antonio
Gramsci scriveva nei Quaderni dal carcere: «La musica verdiana, o meglio i libretti e l’intreccio dei drammi
musicati da Verdi, sono responsabili di tutta una serie di atteggiamenti di vita popolare, di modi di pensare, di
uno “stile”».
Nel 1861 era fatta l’Italia, ma
restavano da fare gli italiani.
* Giuseppe Mazzini, Filosofia della Musica, 1836
Bibliografia:
A. Basso, Storia della musica, UTET
S. Chiappini, O Patria mia, Le Lettere
7
IL MITO DELLA NAZIONE
NEI CANTI ALPINI DELLA GRANDE GUERRA
di Mauro Zuccante
Si dice che il progetto storico dell’Unità d’Italia,
formalmente compiutosi con la proclamazione dello Stato
unitario nel 1861, si realizzò di fatto a posteriori, con gli
avvenimenti legati al primo conflitto mondiale. Ciò non
tanto perché vennero acquisiti territori considerati italiani
(«Trento e Trieste italiana sarà, e per terra e per mare
Cecco Peppe ci puoi salutare»), ma piuttosto perché
durante la campagna preparatoria, i tre anni e mezzo di
azioni belliche e i decenni successivi, venne elaborato e
condiviso un sistema di valori socio-culturali che sta alla
base dell’idea di nazione italiana. «Abbiamo fatto l’Italia,
ora dobbiamo fare gli italiani», pare fosse il motto di
Massimo d’Azeglio. Ebbene, la Grande guerra ha iniziato
a colmare la lacuna. Fascismo e civiltà dei consumi
hanno poi definitivamente assimilato a un modello
centralista l’intero paese, «che era così storicamente
differenziato e ricco di culture originali» (P.P. Pasolini,
Scritti corsari, Milano, 1975).
L’enorme massa di giovani cantadini-soldati trasferita sul
fronte del 1915-18 fu sottoposta a una cura di
omologazione e asservimento al progetto dello Stato
unitario, totale e incondizionata. Prendiamo ad esempio
il fattore della lingua. Scrive Tullio De Mauro: «Attraverso
l’incontro di popolazioni di vario dialetto, durante la
guerra si profilò per la prima volta un livello linguistico
popolare e unitario, ricco di regionalismi, ma non
regionale: neologismi come cecchino e imboscato sono
le tracce restate nel parlato corrente di tutte
le classi; i canti di protesta, i diari di
popolani, le lettere […], i frammenti di
discorsi e le lettere di condannati al plotone
di esecuzione che i tribunali speciali hanno
salvato alla nostra memoria documentano il
primo costituirsi dell’italiano popolare
unitario» (T. De Mauro, Storia linguistica
dell’Italia unita, Bari, 1963).
Insomma, durante la Grande guerra si sperimentò con
successo un piano pedagogico di larga scala, finalizzato
a inculcare nelle ignare e inconsapevoli menti dei
contadini-soldati, nuovi valori, nuovi modelli di vita
sociale, ispirati all’idea di Stato unitario. Un programma
che fu attuato attraverso forme di disciplina coercitiva, in
un contesto già di per sé alienante, repressivo,
traumatizzante e sanguinoso, quale fu quello di una
guerra di massa infernale.
Furono soprattutto le truppe coinvolte sul fronte del
Carso a subire trattamenti forzati di indottrinamento
patriottico, nelle forme più martellanti e autoritarie.
Questo programma era giustificato dalla composizione
stessa dei reparti di fanteria, i quali erano formati da
soldati-contadini provenienti da aree geografiche lontane
e diverse tra loro, per lo più analfabeti, che si
esprimevano attraverso idiomi dialettali differenti, ma
soprattutto scarsamente motivati alla causa della guerra
e, pertanto, recalcitranti alla chiamata alle armi. Per
amalgamare, sottomettere e governare questa immane
Durante la guerra si profilò
per la prima volta un livello
linguistico popolare e unitario.
massa di combattenti, che aveva un’idea molto vaga di
cosa fossero la patria e l’Italia, si preferì, pertanto, la
coercizione, alla persuasione.
Diverso, invece, il discorso per le truppe di montagna, gli
alpini, impegnati soprattutto sul fronte trentino e veneto.
Va detto, infatti, che gli alpini, essendo un corpo a
reclutamento territoriale, omogeneo per estrazione
linguistica e socio-culturale, nutrivano un’idea di patria
molto più concreta rispetto a quella scarsamente definita
delle truppe di fanteria. Molti alpini combattevano per
difendere i territori che loro stessi abitavano, dal
momento che un gran numero di effettivi proveniva dalle
dossIER
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stesse aree alpine e prealpine del Veneto e del Friuli. A proposito dei reggimenti e battaglioni alpini, ha scritto Mario
Isnenghi: «Essi sorgono su un fondo di tradizioni e sentimenti
comuni, relazioni di parentela e di conoscenza – ovvero anche
di utile conflittualità settoriale, in forma di antagonismo
campanilistico tra battaglioni di diverse vallate e nei confronti
delle altre armi – sopra cui matura uno spirito di corpo
robusto e durevole come in nessun’altra arma di fanteria,
capace di far sopravvivere come gruppo gli alpini anche nei
momenti di dissoluzione generale dell’esercito, o dopo la
conclusione dell’esperienza
militare. Una rete di valori umani
– come non si stanca di ripetere
soprattutto il difensore dei valori
Jahier, ma che trova riscontro
anche da parte austriaca – che
umanizzano e rendono ancora in
qualche modo cavalleresca la
guerra tra alpini e Kaiser-jäger, alpini e chassuers des Alpes:
poiché il fondo umano comune, la struttura militare e il tipo
di guerra si estendono e sono comuni ai momentanei nemici,
e la guerra – destoricizzata e apolitica dall’una e dall’altra
parte – si combatte senza odio e senza speranza, come
mestiere, prosecuzione della vita, che è per tutti fatica e
soggezione alla sorte» (M. Isnenghi, Il mito della Grande
guerra, Bologna, 1989). Pertanto, l’alpino risponde alla
chiamata alle armi come a una missione doverosa, seppur
rischiosa, a cui non è dato sottrarsi. Il soldato-montanaro
avverte che il conflitto mette in pericolo il proprio mondo di
valori (lavoro, famiglia, proprietà, tradizione, dovere, fedeltà);
mondo per cui egli è disposto ad accettare anche i sacrifici
più duri, se non addirittura estremi.
L’adesione morale alla causa della guerra acquista un valore
eroico se si considerano le particolari situazioni ambientali in
cui gli alpini hanno combattuto. Sulle alte cime montuose «fin
oltre i tremila metri, lo scontro poté assumere i tratti
dell’impresa epica, la sfida con la natura e addirittura del
cimento sportivo. Per certi aspetti apparve come una guerra
pre-moderna, più affidata ai muli che agli autocarri, più alle
slitte trainate da cani e da asinelli o alle teleferiche che alle
autoblindo, più agli impervi sentieri che alle strade e alle
linee ferroviarie. […] L’eroismo, le imprese individuali e le
costruzioni audaci sembrarono mantenere un’importanza
maggiore che gli urti di masse anonime. Il rapporto con
l’ambiente naturale ebbe un rilievo assai più forte che altrove,
e lo stesso carattere della morte ne ricevette l’impronta. Solo
i soldati più robusti e temprati erano in grado di resistere alle
condizioni proibitive delle alte quote» (A. Gibelli, La Grande
guerra degli italiani, Milano, 1998).
Insomma, si sono incrociati, nelle vicende belliche che hanno
coinvolto gli alpini, elementi etici, ideali e ambientali, che
hanno alimentato il racconto di un’epopea in chiave
mitologica. Là dove per mito intendiamo una narrazione che
ha fondamento storico, ma che è anche circondata da un’aura
di sacralità e leggenda, in quanto suffragata dal culto di eroi,
di luoghi epici, e di virtù su cui si fondano i principi ideali
condivisi da un popolo e da un’intera nazione.
Ma c’è un ulteriore specificità che contrassegna la
partecipazione degli alpini alle imprese militari della prima
guerra mondiale. Una specificità che accresce ulteriormente i
sentimenti comuni dei soldati-montanari pieni di
intraprendenza, che sanno arrangiarsi in qualunque
circostanza, rispettosi dell’ordine e delle gerarchie umane e
naturali, che sanno osservare una disciplina sociale senza che
venga loro imposta d’autorità, che preservano il culto della
L’alpino risponde alla chiamata
alle armi come a una missione doverosa.
memoria, degli affetti e della giovinezza. Questa nota
distintiva consiste in un’adesione di tipo corale agli eventi
bellici. Corale nel senso letterale del termine, cioè partecipata
attraverso il canto collettivo. Così come le antiche saghe
epiche furono narrate per mezzo della poesia e del canto, la
guerra degli alpini è rievocata dalle loro canzoni. Quelle
canzoni che sono state elaborate o ricreate a partire da un
repertorio di fondo, fatto di canti popolari e popolarizzanti di
stampo risorgimentale (canzonette, strofette e inni,
largamente diffusi tra le popolazioni dell’arco alpino).
In primis, ecco il canto che meglio riassume quanto ho fin qui
esposto. Si tratta dell’apologia di un eroe, una figura di
stampo omerico, celebrata nell’ora del suo sacrificio estremo.
Al suo cospetto sono elencati, in un climax soppesato, i valori
della patria, degli alpini, dell’affetto materno, dell’amore e
della natura.
«E io comando che il mio corpo
in cinque pezzi sia taglià:
il primo pezzo al Re d’Italia
che si ricordi dei suoi alpin.
Secondo pezzo al Battaglione
che si ricordi del suo Capitan!
Il terzo pezzo alla mia mamma
che si ricordi del suo figliol.
Il quarto pezzo alla mia bella
che si ricordi del suo primo amor.
L’ultimo pezzo alle montagne
che lo fioriscano di rose e fior.»
(Il testamento del Capitano)
La canzone del Capitano morente può
essere assunta come guida di riferimento,
da cui derivare tutta una serie di altre
citazioni, che spiegano quale fosse la
vera funzione dei canti presso le truppe
alpine. Una funzione che andava ben
oltre l’usanza a scopo consolatorio del
«canta che ti passa», che pure veniva
praticato «durante le allucinanti attese in
trincea, ma anche e spesso sugli stessi
campi di battaglia prima, durante o dopo
un combattimento, per vincere la paura o
distogliere il pensiero dalle immagini
delle orrende carneficine che stagnavano
nella loro mente» (A.V. Savona - M.L.
Straniero, Canti della Grande guerra,
Milano, 1981). I canti alpini assolvono
anche a un ufficio di tipo civile, ossia
quello di fornire alla comunità gli esempi
giusti da seguire, allo scopo di realizzare
il bene della propria patria. È per questo
che i temi ricorrenti sono simili a quelli
dei poemi epici, cioè quelli delle gesta
degli eroi in guerra, gesta che esaltano il
coraggio, la lealtà, la forza d’animo, lo
spirito di sacrificio; virtù indispensabili
per forgiare un popolo coeso e con un
forte senso dello stato.
Ecco l’accettazione della morte («toca a
chi toca quando la vien»), sacrificio
supremo a difesa del patrimonio di valori
della nazione. A proposito, riporto
dall’aneddotica alpina, l’emblematico
scambio di battute tra un alpino e il
generale Cantore (leggendaria figura di
condottiero alpino).
Cantore
«Quanto tempo è che sei qui?»
Alpino
«Signor Generale, son quattro mesi …»
Cantore
«E sei ancora vivo? Vuol dire che non sei
un buon soldato!»
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«Se l’alpin da rupe cade
non piangete nei vostri cuori,
perché se cade, va in mezzo ai fiori,
non gl’importa di morir.»
(Bersaglier ha cento penne)
Doverti abbandonare,
volerti tanto bene,
rompere ’ste catene
che m’incatena il cor.»
(Sul ponte di Bassano)
«Il colonnello che piangeva
a veder tanto macello:
– Fatti coraggio Alpino bello
che l’onore sarà per te! –»
(Monte Nero)
« – Se te toco le to tetine in t’un canton
lo diresti al to papà… incantonà? –
– Sito mato che mi gh’el diga al mio papà
che contenta mi son restà… incantonà! – »
(Se te toco le to manine)
Ecco la mamma (i legami familiari) e la
Patria, un connubio di ideali che
s’intrecciano di continuo.
«Appena giunto sotto la tenda
sognavo d’esser con la mia bella
e invece ero di sentinella
fare la guardia allo stranier!»
(Era una notte che pioveva)
«Care mamme che tanto tremate,
non disperate pei vostri figlioli
che qui sull’Alpe non siamo noi soli,
c’è tutta Italia che a fianco ci sta.»
(Al comando dei nostri ufficiali)
Ecco la fierezza e l’orgoglio di
appartenere a un corpo militare scelto,
destinato a compiere una missione
speciale.
«E Cadorna manda a dire
che si trova là sui confini
e ha bisogno degli alpini
per potersi avanzà.
La fanteria è troppo debole,
i bersaglieri sono mafiosi,
ma gli alpini son valorosi
su pei monti a guerreggià.»
(E Cadorna manda a dire)
«Tu nemico che sei tanto forte
fatti più avanti, se hai del coraggio,
e se qualcuno ti lascia il passaggio
noialtri alpini fermarti saprem.»
(Al comando dei nostri ufficiali)
Ecco i tormenti della passione
sentimentale e le smanie dell’amore
fisico, che infiammano l’età della vita più
carica di vitalità, la gioventù. Quella
gioventù destinata invece a consumarsi
negli gli orrori dei combattimenti («La
meio zoventù che va soto tera»).
«Per un bacin d’amore
successer tanti guai,
non lo credevo mai
doverti abbandonar.
«O Dio del cielo,
se fossi una rondinella
vorrei volare
in braccio alla mia bella.
[…]
Prendi il fucile
e vattene alla frontiera
là c’è il nemico
che alla frontiera aspetta.»
(O Dio del cielo)
«Noi siam giovani, forti e robusti,
sopportiamo fatiche e sventure.
Cara Italia, tranquilla sta pure,
che gli Alpini salvar ti sapran.»
(E tu Austria…)
Ecco la meraviglia e il rispetto per la
natura, anche quando si manifesta ostile.
Un omaggio deferente nei confronti di
una presenza superiore ingovernabile,
testimone impassibile e scenario
grandioso delle gesta umane.
«Varda la luna come la camina
e la scavalca i monti come noialtri alpin.
[…]
Varda le stelle come sono belle
e sono le sorelle di noialtri alpin.»
(I baldi alpin van via)
«Era una notte che pioveva
e che tirava un forte vento,
immaginatevi che grande tormento
per un alpino che deve vegliar.»
(Era una notte che pioveva)
dossIER
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MUSICA E RESISTENZA
«Su pei monti vien giù la neve,
la tormenta dell’inverno,
ma se venisse anche l’inferno
sol l’alpin può star lassù.»
(Bersaglier ha cento penne)
di Patrizia Cuzzani
responsabile del museo della resistenza di bologna
Ma ecco che nel racconto degli alpini non vengono tralasciati
altri motivi tipici della narrativa epica. Il tema del viaggio, del
trasferimento dal mondo ordinario a quello dell’ignoto.
«Non ti ricordi quel mese d’aprile,
un lungo treno varcava i confini
che trasportavano migliaia degli alpini:
– Su, su, correte, è l’ora di partir! –»
(Monte Canino)
Ecco il culto dei vessilli, degli elementi rappresentativi e
simbolici, attraverso i quali si ostenta la differenza.
«Sul cappello, sul cappello che noi portiamo
c’è una lunga, c’è una lunga penna nera
che a noi serve, che a noi serve da bandiera
su pei monti, su pei monti a guerreggiar.
Oilalà»
(Sul cappello)
«Bersaglier ha cento penne,
ma l’alpin ne ha una sola,
un po’ più lunga, un po’ più mora,
sol l’alpin la può portar.»
(Bersaglier ha cento penne)
Ecco la presenza di suggestive leggende, come quella
di misteriose amazzoni, infilatesi segretamente tra la
truppa.
«E l’an taglia i suoi biondi capelli,
la si veste da militar,
lé la monta sul cavallo,
verso il Piave se ne va.»
(E l’an taglia i suoi biondi capelli)
Infine, ecco i campi delle epiche battaglie, i luoghi sacrosanti,
elevati e lontani, quasi extra-terreni: il Monte Nero, il Monte
Canino, il Monte Grappa, il Monte Pasubio, l’Adamello e
l’Ortigara, quest’ultimo evocato nella canzone che suona
come un sacro requiem degli alpini.
«Nella valle c’è un cimitero
cimitero di noi soldà
Ta-pum ta-pum
Cimitero di noi soldati
forse un giorno ti vengo a trovà
Ta-pum ta-pum
(Ta-pum)
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E per concludere, lasciate che dica quanto segue.
Quando sui banchi del liceo manifestai al professore di
filosofia la mia passione per la montagna e per i canti degli
alpini, la sua reazione fu alquanto tiepida. Mi consigliò di
mantenere vivo lo spirito critico, perché quello della montagna
e degli alpini è un terreno ove facilmente attecchiscono
retorica e mistificazione. Aveva ben ragione.
Le decine di cori alpini che hanno ereditato il patrimonio
corale dei soldati-montanari, hanno ammansito ed edulcorato
la classicità dei canti della Grande guerra. I repertori sono
stati farciti con adulterate creazioni e ridondanti
arrangiamenti. I benestanti figli e nipoti di coloro che hanno
combattuto, hanno tradito, con i loro affettati effetti vocali, la
I canti alpini assolvono anche
a un ufficio di tipo civile.
sostanza epica dei canti alpini. Sviolinate di «valli d’or» e «rivi
d’argento», sono state smerciate quali elisir contro la nevrosi
della modernità; hanno concorso alla realizzazione di
un’immagine turistica ed affaristica della montagna, che non
ha nulla a che fare con il racconto epico e tragico
tramandatoci dall’autentica tradizione corale della civiltà
alpina.
Dice Andrea Zanzotto: «La mia non è una battaglia
antimoderna ma un fatto di identità e civiltà. La marcia di
autodistruzione del nostro favoloso mondo veneto ricco di
arte e di memorie è arrivata ad alterare la consistenza stessa
della terra che ci sta sotto i piedi. I boschi, i cieli, la
campagna sono stati la mia ispirazione poetica fin
dall’infanzia. Ne ho sempre ricevuto una forza di bellezza e
tranquillità. Ecco perché la distruzione del paesaggio è per
me un lutto terribile» (A. Zanzotto, Intervista, Torino, 2011).
La Resistenza italiana nasce da un moto spontaneo di ribellione in difesa della libertà e della dignità umana, nasce dal
popolo, un popolo che resiste al fascismo e che è uno schieramento spontaneo di operai, di contadini, di borghesi,
che cerca e crea da sola sua organizzazione, i suoi quadri di lotta, le sue forme di autogoverno, la sua educazione
politica. La realtà che si fa avanti con la Resistenza è una realtà sensibile e attiva, produttrice delle sue forme di vita e
artefice dei suoi destini.
Anche la musica avverte la Resistenza, comprende che l’espressione musicale partita e adottata dal popolo, cioè dalla
gente comune, non è semplicemente sfogo sentimentale, ma è veicolo d’azione in difesa della vita; di protesta se la si
nega, di stimolo se la si trasforma, di
adesione se la si possiede, quindi canto
come coscienza. Il canto, nella Resistenza,
diviene parte dell’edificazione della società
umana, ed è intervento fattivo nel processo
di trasformazione e di costruzione in atto
nella società. Dalla fine della guerra a oggi
la memoria e l’immaginario resistenziale
hanno spesso incontrato e segnato
significativamente le forme diverse della
canzone e della musica, esprimendo
attraverso di esse il senso profondo
dell’esperienza individuale e collettiva del
partigianato, seguendo, dal dopoguerra a
oggi, il cammino complesso dell’idea stessa
di Resistenza.
In questo articolo vorrei mettere dapprima
in evidenza le diverse matrici e radici della
canzone resistenziale durante la guerra e,
successivamente, il suo esistere e resistere,
come luogo della memoria e come radice e
riferimento ideale e progettuale, nella storia del dopoguerra. Il focus sulla parte “storica” sarà rivolto con particolare
riguardo all’Emilia-Romagna, con brevi accenni anche a importanti realtà extraregionali che hanno provocato nuove
istanze nell’ambito tematico della musica per (e della) la Resistenza, come ad esempio l’Istituto Ernesto de Martino.
I prodotti musicali che la canzone d’uso partigiana ha modificato sono i più disparati: canzoni narrative popolari o
popolaresche, canti risorgimentali o quarantotteschi, repertori della prima e seconda guerra mondiale, canti sociali
legati al movimento operaio e alle organizzazioni
rivoluzionarie del periodo prefascista, motivi in voga
e canzonette di consumo, canzoni assunte da
repertori rivoluzionari di altri paesi (in particolare la
Russia), canzoni goliardiche, dannunziane e molto
spesso fasciste, poche canzoni d’autore sia per testo
che per musica
Le canzoni partigiane sono canzoni nate per l’uso,
non per il consumo o lo spettacolo e tutte vogliono
esprimere quanto Italo Calvino, parlando della letteratura partigiana, ha così sintetizzato: «Noi stessi, il sapore aspro
della vita che avevamo appreso allora, tante cose che si credeva di sapere o di essere, e forse veramente in quel
momento sapevamo ed eravamo».
Ritengo giusto, in un quadro che richiede completezza anche storica, riportare di seguito alcuni dei brani che hanno
accompagnato e accompagnano i racconti storici, sia orali che filmici che riecheggiano sempre durante le
commemorazioni e che mi auguro, continuano a essere cantati da italiani di tutte le età e tutte le estrazioni sociali.
La realtà che si fa avanti
con la Resistenza
è una realtà sensibile e attiva.
dossIER
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Per ognuno ho tracciato una piccola descrizione della sua
genesi.
A morte la Casa Savoia: cantata in Romagna nel 1944 dai
soldati della Divisione Friuli di Badoglio, tutti ex partigiani
della Brigata Bianconcini delle Marche; le parole sono
composte sull’aria della canzone Noi siam la canaglia
pezzente.
Pietà l’è morta: il testo è di Nuto Revelli, adattato su un’aria
intonata dai soldati della prima e della seconda guerra
mondiale, cantata soprattutto dai partigiani cuneensi,
provenienti per lo più dagli alpini, la cui canzone Sul
ponte di Perati, costituisce il diretto antecedente di
questa famosa canzone della Resistenza.
Bella ciao: la canzone partigiana più conosciuta nel
mondo; è la trasformazione di una versione di Fior di
tomba, canzone narrativa entrata a far parte del
repertorio degli alpini nella prima guerra mondiale. Il
canto ha una particolare diffusione in Emilia (ma anche nel
Lazio e in Abruzzo), nell’estate del 1944 durante l’esperienza
della Repubblica partigiana di Montefiorino. Il successo che
ha ancora oggi, è iniziato nell’immediato dopoguerra, quando
viene cantato come il vero e proprio inno dei partigiani.
Compagni fratelli Cervi: le parole sono state composte dai
partigiani del Distaccamento “Fratelli Cervi”, operante nel
reggiano al comando di Sintoni, appartenente alla 144ª
Brigata garibaldina “Antonio Gramsci”. Molto nota in provincia
di Reggio Emilia, fa parte delle numerose canzoni che hanno
adottato la medesima melodia, il più delle volte conservando
anche nel testo più di una traccia del modello da cui
discendono in questo caso, quello della vecchia canzone
irredentista Dalmazia (cantata prima dagli arditi e poi dai
dannunziani). I sette fratelli Cervi vengono arrestati nel
novembre 1943 a Campegine e fucilati per rappresaglia al
poligono di tiro di Reggio Emilia il 28 dicembre dello stesso
anno.
Cosa rimiri mio bel partigiano: versione partigiana della
canzone narrativa Cosa rimiri mio bell’alpino, a sua volta
trasformazione della canzone detta “del marinaio” (O
marinaio che vai per mare). Diffusa nel piacentino e nel
parmense.
La guardia rossa: canto del 1919 su testo di Raffaele Offidani,
dedicato dall’autore a Lenin sull’aria della Valse Brune, poi
sostituita con una nuova melodia, con la quale, nel 1933
diviene dapprima l’inno ufficiale del Partito comunista d’Italia,
e poi il canto del Battaglione Garibaldi in Spagna. Assai
cantato nelle Divisioni Garibaldi durante la Resistenza.
La Brigata Garibaldi: le parole partigiane nascono tra la fine
di marzo e i primi d’aprile del 1944 a Castagneto di Ramiseto
(Reggio Emilia), opera comune di più partigiani della Divisione
“Aristide”. Il testo è adattato alla musica di una vecchia
marcia militare, forse di discendenza risorgimentale ancora
oggi nel repertorio dei bersaglieri.
Lasciando la sua casa e la sua mamma: adattamento
partigiano della canzonetta Bel soldatin che passi per la via.
Il testo è stato scritto dal partigiano Principe nel marzo 1944
sulle alture del Reggiano e ha avuto vasta diffusione anche
tra i partigiani del Modenese perché tra essi, nella vallata di
Nolo, operavano formazioni provenienti dalla provincia di
Reggio Emilia.
Addio Bologna bella: si tratta di un adattamento partigiano
del 1944 di Addio a Lugano, dell’anarchico Pietro Gori.
Su e giù per le montagne: la melodia è quella della notissima
Canzone dello spazzacamino, adattata dai membri della
Il canto, nella Resistenza,
diviene parte dell’edificazione
della società umana.
Brigata garibaldina “Costrignano”, comandata da “Filippo” e
operante nell’Appennino modenese.
Fischia il vento: l’inno più popolare non solo fra le Brigate
garibaldine. Si diffonde con versioni omogenee, sulla melodia
della canzonetta sovietica Katiuscia, scritta nel 1938. L’inno è
stato composto all’inizio di dicembre 1943 in un casone
dell’alta Valle di Andora, all’interno del gruppo comandato dal
dottor Felice Cascione “U megu” costituitosi a Magaietto
(Diano Castello, Imperia). Il partigiano Giacomo Sibilla, reduce
dalla Russia, propose di comporre una canzone dei
garibaldini, prendendo come basa l’aria di Katiuscia. Cascione
e lo studente Felice Alderisio “Vassili” compongono la prima
strofa della canzone. La brigata, a metà dicembre, si
trasferisce precipitosamente nei boschi dell’alta Valle di
Albenga, sospende la scrittura che viene poi terminata nel
Natale dello stesso anno.
La canzone di Marzabotto: riadattamento per il massacro di
Monte Sole di un noto canto da cantastorie su una disgrazia
avvenuta durante i lavori per la costruzione della
galleria del Gottardo (Alle sei e mezza).
Son proletari i partigiani: Le parole sono state
scritte nel luglio 1944 da Ernesto Venzi,
vicecomandante della 36ª Brigata Bianconcini
operante sull’Appennino tosco-romagnolo, nella
sede del comando di Cà di Vestro, adattandole
sull’aria di un canto militare sovietico spesso
zufolato dai partigiani russi che combattevano
nelle formazioni partigiane italiane. La melodia
viene utilizzata anche per la canzone Armata
Rossa, assai diffusa tra i partigiani del Nord Italia.
Non ti ricordi la notte fatale: cantato a Bologna, nelle prigioni
di San Giovanni in Monte, ove l’autore, Leoni, fu rinchiuso dal
3 febbraio al 21 aprile 1945. Creato collettivamente da alcuni
partigiani della Brigata garibaldina “Irma Bandiera”, è sull’aria
di Monte Canino, una delle più intense canzoni della prima
guerra mondiale, rimasta nell’uso militare anche nella
seconda guerra mondiali.
Mi preme ora, particolarmente, scandagliare quanto, nella
contemporaneità musicale, la Resistenza ha sollecitato e
consolidato.
Sul finire degli anni Cinquanta nasce a Torino il gruppo dei
Cantacronache. Si tratta di musicisti, ricercatori, scrittori le cui
radici musicali si rifanno inizialmente al teatro musicale
brechtiano e ai cantautori francesi (Brel e Brassens), mentre
le radici ideali affondano nell’antifascismo e nella Resistenza.
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Il gruppo scrive canzoni, mette in scena spettacoli, sviluppa
un personale metodo di ricerca, di cui Fausto Amodei è il
principale fautore. Sua è Per i morti di Reggio Emilia, a cui si
affianca Contessa di Paolo Pietrangeli, entrambe nate negli
anni Sessanta, contengono riferimenti espliciti all’esperienza
partigiana, e lo fanno citando o evocando Fischia il vento di
Felice Cascione.
Negli stessi anni inizia l’attività il gruppo del Nuovo
Canzoniere Italiano, che darà poi vita al succitato Istituto
Ernesto de Martino, e che offre un contributo fondamentale al
rinnovarsi degli studi sulla canzone popolare e sulla storia e
la cultura delle “classi subalterne” in Italia. Alla Resistenza il
gruppo milanese ha dedicato spettacoli importanti come Pietà
l’è morta e Bella ciao (presentato al Festival dei Due Mondi di
Spoleto). Nel 1962 Michele Straniero e Sergio Liberovici
pubblicano presso l’editore Einaudi i Canti della Resistenza
spagnola (e subirono un processo per vilipendio nei confronti
di un capo estero e della religione cattolica) e l’antologia su
disco I canti della Resistenza europea. Negli anni Sessanta I
dischi del Sole pubblicano I canti della Resistenza Italiana e,
raccolti in dieci album, i libretti del Canzoniere della protesta.
Nel 1966 Enzo Jannacci incide una canzone di Dario Fo
Sei minuti all’alba, nella quale si narrano gli ultimi attimi di
un condannato a morte per diserzione all’indomani
dell’8 settembre 1943. All’armistizio e alle sue conseguenze è
dedicata una ballata degli Stormy Six, gruppo che ha
esplorato anche gli scioperi del marzo 1943.
Sul finire degli anni Settanta, e ancor più negli anni Ottanta,
La memoria e l’immaginario
resistenziale hanno spesso
segnato le forme della canzone
e della musica.
la canzone partigiana resta al margine degli studi sulla
memoria orale e non trova spazi significativi nella produzione
musicale giovanile.
Occorre giungere negli anni Novanta per ritrovare nella
complessa produzione del movimento della Pantera, delle
Posse, dei centri sociali, il riaffacciarsi di un linguaggio che
si richiama all’antifascismo e alla Resistenza: percorso
testimoniato in particolare dall’esperienza che condusse il
Comune di Correggio alla realizzazione del cd Materiale
resistente (prodotto dal Consorzio Produttori Indipendenti
facenti capo a Giovanni Lindo Ferretti, leader dei Csi, ex
Cccp).
Fra gli anni Sessanta e gli anni Novanta c’è una produzione
vasta ed eterogenea che, pur “citando” la lotta partigiana,
non ne fa la protagonista dell’intero canto: così è per Lugano
addio di Ivan Graziani.
dossIER
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La canzone italiana si è soffermata anche sugli esiti
posteriori: Sergio Endrigo ha scritto La ballata dell’ex (storia
nella quale il partigiano si trova alla fine della guerra sul
banco degli imputati) negli anni in cui si aprì il dibattito
storiografico sulla “resistenza tradita”, e la fa diventare un
inno contro il trasformismo e il rovesciamento degli ideali.
Pierangelo Bertoli, con la sua Niccolò, pone l’attenzione sui
pericoli della rinascita di un neofascismo italiano.
Ma la parte del leone, ovviamente, la fa la resistenza
combattuta: sempre degli anni Sessanta è Joe mitraglia dei
Nomadi, in cui si ripercorrono le motivazioni della lotta
partigiana, i suoi protagonisti e le sue negatività sociali.
Recentemente il gruppo modenese dei Modena City
Ramblers si è posto come obiettivo il rilancio di miti, storie
e leggende della Resistenza, e lo fa rievocando in musica il
retroterra dell’Appennino e della campagna del reggiano:
esemplare è la storia di Lilli che rievoca la rappresaglia
compiuta dai nazifascisti che portò, nel 1944, all’uccisione
di 32 persone. I MCR avviano una rilettura tesa a
presentare la Resistenza italiana come modello di una
rivoluzione universale e sempre attuale. Sulla stessa cifra
stilistica è il lavoro di The Gang, che dapprima con Eurialo e
Niso (scritta da Massimo Bubola) e poi con La ballata dei
sette fratelli (dedicata ai sette fratelli Cervi), ripropongono
in tempi recentissimi l’attualità del messaggio della
Resistenza italiana. E si tace, ma solo per la vastità,
dell’opera del già menzionato Giovanni Lindo Ferretti,
culminata negli album del suo gruppo “Per grazia ricevuta”.
Si citano, non per scarsa importanza, ma perché si
ritengono solo di carattere evocativo e non rappresentativo,
canzoni come Auschwitz di Francesco Guccini, Nove maggio
di Ivan Della Mea, 40 giorni di libertà di Anna Identici,
Concerto per la libertà di Giorgio Gaslini, ma tant’è, la
scelta doveva essere fatta, Il passaggio dei partigiani di
Ivano Fossati, Jimmy di Guccini-Fornili-Curreri, incisa dagli
Stadio.
Francesco de Gregori ha scritto una canzone in cui racconta
gli ultimi istanti del fascismo visti dagli occhi di un cuoco (il
cuoco di Salò); la canzone ha provocato, alla sua uscita,
diverse polemiche, sia per la particolare visuale da cui parte
de Gregori, sia, soprattutto, la rivisitazione di un momento
storico particolarmente dibattuto. Si ricorda anche la
canzone Le storie di ieri in cui il cantautore romano ha
rievocato il medesimo periodo.
Penso che sarebbe necessario, oggi, riprendere il tema
dell’uso pubblico della storia, facendo il punto sulla
capacità della musica e delle canzoni di suscitare ancora
impegno civile.
Bibliografia:
S. Pivato, La storia leggera, Bologna, il Mulino, 2002
G. Bosio, L’intellettuale rovesciato, Ed. Bella Ciao, 1975
L. Bergonzini, La svastica a Bologna, il Mulino, 1998
Fischia il vento
Analisi di Andrea Natale
segretario dell’usci lombardia
Senz’altro Fischia il vento (insieme a Bella ciao
naturalmente) è il canto più celebre e simbolico della
Resistenza italiana e pienamente “popolare” in quanto
prodotto dal popolo (come già scritto da Patrizia Cuzzani il
testo nacque in un preciso contesto crono-topico della lotta
per la Resistenza e adattato sull’aria della già famosa
canzonetta sovietica Katiuscia, memorizzata e importata
dal reduce Giacomo Sibilla). Fischia il vento è stata
riproposta in varie salse dagli anni Sessanta a oggi: da I
Gufi, da Milva nel disco Canti della libertà pubblicato dalla
Fonit Cetra nel 1965, dal gruppo folk dei Modena City
Ramblers e pure in versione ska punk dalla Banda Bassotti
e rock demenziale dagli Skiantos. Se ne può ascoltare un
breve frammento originale in canto spontaneo nel bel
film-documentario Pasta nera di Alessandro Piva,
presentato quest’anno in concorso alla Mostra del Cinema
di Venezia nella sezione Controcampo italiano. Pertanto il
repertorio corale non poteva privarsi di un canto popolare
come questo (stavolta perché scritto anche per il popolo e
– alla luce di quanto detto sopra – entrato senza dubbio
nelle logiche di mercato tramite gli artisti che l’hanno
reinterpretato).
Un’interessante elaborazione corale per voci miste di
questo canto pubblicata dalla rivista «La Cartellina» sul
numero 116 di luglio-agosto 1998 è quella realizzata dal
noto compositore e didatta Bruno Zanolini. Come tutti i
lavori del compositore milanese, l’abile e intricata struttura
arrangiamentale si accosta a una non semplice esecuzione
del pezzo. Tuttavia, considerando la celebrità della melodia
e la normale e intuitiva semplicità della tabula armonica,
questa versione corale merita particolare attenzione per le
soluzioni ricercate in essa inserite che promuovono a pieno
titolo il brano di derivazione popolare nel panorama della
musica colta contemporanea, come un perfetto prodotto da
sala da concerto a uso e consumo di compagini artistiche
anche professionali e non un semplice e nostalgico
evergreen della memoria storico-sociale italiana.
La tonalità scelta è il mi minore con il quale sono i tenori a
partire alternandosi con i bassi nell’esposizione nuda non
armonizzata del motivo conduttore nelle prime 10 battute
(v. esempio 1). In battuta 11 viene introdotto il primo
impatto armonico del brano sulla sillaba “a” con il motivo
conduttore passato ai soprani e con un accordo inatteso,
ovvero il primo rivolto di si minore. Poco più avanti
troviamo un’altra soluzione armonica interessante che è la
presenza del mi maggiore al posto del minore sulla sillaba
“-ra”, che prepara il successivo la minore; il mi minore è
evitato anche sulla sillaba “-ge’l” e rimpiazzato col do
maggiore. In battuta 30 viene costruito intorno alla tonalità
del brano una sorta di madrigalismo dopo che i bassi hanno
ripreso l’esposizione del tema della prima strofa; esso viene
dunque passato ai tenori, ma è un pretesto sillabico per
introdurre la nuova strofa il cui tema (sempre in mi minore) è
affidato ai contralti, proseguito brevemente dai soprani e
ripreso nuovamente dai contralti. Le voci si muovono su piste
ritmiche differenti dando luogo a non scontati appuntamenti
armonici per esempio in battuta 41 con un fa diesis minore e
una stretta successione cromatica di matrice liberododecafonica in battuta 45. L’autonomia delle singole voci,
che spaziano nel proprio range timbrico con disinvoltura
quasi disinteressandosi se non per fugaci meeting di ciò che
sta succedendo sopra o sotto di loro, produce un elegante
contrappunto vocale che al rigore stilistico aggiunge le novità
del linguaggio pantatonale (sembra che ci sia un’effettiva
volontà di citare il totale cromatico, come si vedrà in seguito).
A un’analisi più certosina si può notare infatti che, salvo i
soprani per ovvie ragioni legate al possesso più frequente del
conductus (passato comunque agilmente di voce in voce,
anche per una nota sola, come avviene in battuta 73), le altre
tre sezioni toccano il totale cromatico nel corso delle 114
battute che compongono il pezzo; il lavoro può dunque
essere considerato una libera elaborazione in cui le tre voci
inferiori espongono una linea con l’utilizzo di tutti i 12 toni.
Così la dilatazione del testo e la piena autonomia
nell’andamento delle linee e della sillabazione ha ormai
raggiunto una connotazione strumentale. Tutti i tempi ma
anche le suddivisioni delle battute vengono occupati con
accenti sillabici cosicché si crei un’idea di riempimento totale
della partitura e di perpetua discorsività. In battuta 66 c’è un
rapido richiamo all’armonizzazione pur non raggiungendo
comunque la totale omoritmia delle quattro sezioni. Sulla
parola “colpir” viene costruita una breve e funzionale cellula
ritmico-visiva per i soprani e a seguire per i contralti e i tenori
(v. esempio 2). La terza strofa si apre con una preparazione
vocalizzata al testo “Cessa il vento…” e un progressivo
sviluppo cromatico che ci fa conoscere nuove possibilità e
sfuggenti incontri-scontri di note ora di semplice passaggio
ora in fusione armonica nei momenti di ri-attacco di altre
sezioni, come in battuta 96 con l’immediata variazione dal mi
maggiore al mi minore, da una parte incastro armonico ma
dall’altra naturale continuità nella lunghissima progressione
semitonale discendente dei bassi iniziata nell’anacrusi di
battuta 90 e che si concluderà col do di battuta 102 (v.
esempio 3). Qui il compositore ha toccato con una sola voce e
in maniera consequenziale il totale cromatico. Ma siamo quasi
giunti al termine del pezzo; i bassi raddoppiano in battuta
105 con pedale in mi (non viene mai tradita la tonalità
originale del brano), cui farà eco più avanti, da battuta 111, il
mi acuto dei soprani, mentre le voci interne vanno man mano
acquietandosi come il vento della canzone e un solare mi
maggiore conclusivo su 6 voci traduce la speranza della
libertà e di un futuro più sereno e dignitoso per tutti.
Esempio 1
Esempio 2
Esempio 3
15
dossIER
16
IL CANTO DEGLI ITALIANI
Note
di Maurizio Benedetti
1. A. Baricco, L’anima di Hegel e le
mucche del Wisconsin - Una riflessione
su musica colta e modernità, Garzanti,
1992, p. 26
2. Inni Nazionali di tutto il mondo,
Orchestra Internazionale dell’ONU,
International Joker SAAR, 1985
3. Indirizzi dei siti internet: http://
freeweb.aspide.it/freeweb/algo e
http://www.zyworld.com/giura60/
fratelli.mid
4. Abbiamo ritenuto più valido per la
correttezza della nostra analisi riferirci
a questo autografo e non a quello della
prima stesura custodito dall’Istituto
Mazziniano di Genova.
direttore del coro michele novaro e revisore de il canto degli italiani per la presidenza della repubblica
Premessa
Quando mi hanno proposto di lavorare come consulente
musicale a una ricerca sull’Inno di Mameli, credo si sia
dipinta sul mio viso la stessa espressione che ho ritrovato in
seguito sul volto dei colleghi coinvolti nell’impresa: un misto
di sufficienza e rassegnazione che chiedeva «com’è possibile
che noi italiani, con il nostro patrimonio musicale
universalmente apprezzato, si debba avere per inno
nazionale una marcetta banale con un testo indecifrabile?
Insomma basta, meglio Va’ pensiero, l’inno del Piave o
perché no? Volare».
Ben altra reazione ha suscitato tanto in me quanto nei miei
collaboratori, avere di fronte la partitura autografa di
Michele Novaro: al primo sguardo appariva evidente che
quell’inno noi non l’avevamo mai ascoltato in un’esecuzione
fedele all’originale, che ne esprimesse lo spirito aderendo
alle indicazioni scritte dall’autore della musica.
Il rovesciamento di atteggiamento è stato totale. Da quel
momento il programma di ricerca ha acquistato la profonda
motivazione di ristabilire il rispetto dovuto a una creazione
degna e forte. Degna nella forma, perfettamente funzionale
allo scopo espressivo, e forte nei contenuti e nello spirito
che l’ha generata.
Credo che per Il Canto degli Italiani sia giunto il momento
di quella «piccola, salvifica apocalisse» per usare le parole
di Baricco «che ha un nome: interpretazione». 1
Agli interpreti è indirizzata questa ricerca, per fornire loro
una via che li conduca a valicare il tempo per riportare dal
passato nel nostro mondo un’opera di cui rischiamo di
perdere il senso profondo e l’avvincente bellezza.
A chi non condivida la necessità e l’urgenza di intervenire
decisamente sul nostro inno nazionale, propongo l’ascolto,
tra le diverse versioni discografiche in circolazione e
raramente di buon livello, di quella realizzata dall’Orchestra
delle Nazioni Unite e pubblicata in un’ampia compilation di
inni nazionali2. L’inno italiano è terzo nell’ordine di
esecuzione, dopo l’americano e l’austriaco, ma mentre i
primi due sono interpretati magistralmente, soprattutto lo
Star-Spangled Banner dove soprano e coro danno ottima
prova di sé, l’italiano è ridotto in un arrangiamento minimo
con tromba sola e accompagnamento semplificato.
Dall’orchestra del massimo organismo internazionale ci
saremmo aspettati di meglio, ma è evidente che l’origine di
un tale scadimento musicale del nostro inno va ricercata a
monte e diventa un problema di comunicazione e
informazione corretta e coerente su uno dei nostri più
importanti simboli nazionali.
17
Per finire non poteva mancare una fonte internet come
pietra di paragone telematica per valutare lo stato di
malessere dell’inno di Mameli anche nel villaggio globale: le
versione che si possono scaricare dalla rete in formato midi 3
non sfigurerebbero come colonna sonora di una festa della
birra…
Le fonti
La raccolta dei testi manoscritti e delle edizioni per realizzare
una collazione sufficientemente documentata del Canto
Nazionale, poesia di Goffredo Mameli musicata da Michele
Novaro col titolo Il canto degli Italiani e oggi più conosciuto
come Inno di Mameli, si è avvalsa della collaborazione di
archivisti e bibliotecari a cui va innanzitutto un sentito
ringraziamento per aver risposto alle nostre richieste con
efficienza e sollecitudine, che hanno testimoniato il
coinvolgimento più che professionale delle persone
interpellate. Il loro contributo è stato particolarmente prezioso
in considerazione della scarsa presenza nelle biblioteche
musicali di esemplari della partitura, che è stato possibile
reperire soprattutto in fondi particolari o in archivi
specializzati appartenenti a musei o istituti storici. Questo
fatto ci induce a ritenere che l’inno non abbia avuto un
grande successo editoriale nel recente passato ed è noto
quanto l’editoria italiana eviti la pubblicazione di opere non
remunerative. Con nostro grande rammarico, abbiamo dovuto
constatare che non esiste un editore in questo secolo che si
sia preoccupato di pubblicare l’Inno di Mameli in edizione
originale, la cosiddetta Urtext, come avviene normalmente per
le opere di un certo interesse.
Pur esulando dall’indirizzo specifico di questa ricerca,
abbiamo avuto la curiosità di valutare le edizioni moderne
dell’inno. Nei negozi musicali, confinate nelle raccolte di
musica etnica, è stato possibile reperire, escludendo le
versioni per banda o orchestra che meritano un discorso a
parte, solo due edizioni recenti: Inno di Mameli (Il canto degli
Italiani), Pizzicato, Udine, 1996, che tra l’altro altera la tonalità
originale da si bemolle a sol, e Inno di Mameli, in I più celebri
inni nazionali, armonia e trascrizione di Giovanni Salvatore
Astorino, Intras, Milano, 1997, questa volta in do maggiore e
ancora più distante dall’originale.
Orbene, sarà meglio chiarire subito che ogni musicista ha
perfettamente diritto di manipolare qualunque tema musicale,
non tutelato da diritti d’autore, come proprio atto creativo: chi
non ammira un genio del rock come Jimi Hendrix quando
interpreta con il suono lancinante della sua chitarra elettrica il
tema dell’inno statunitense o l’affettuosa citazione dei Beatles
del God save the Queen nella canzone All we need is love? Quando l’elaborazione è
apertamente dichiarata e riconoscibile è un atto legittimo e apprezzabile, soprattutto
quando rimane chiara la conoscenza dell’opera originale. Nel caso dell’Inno di Mameli,
le elaborazioni hanno finito col mascherare l’originale con caratteri impropri e
fuorvianti, come se della Gioconda di Leonardo da Vinci noi conoscessimo solo la
versione baffuta di Salvador Dalì.
Sulle edizioni dell’inno ha influito purtroppo il pernicioso meccanismo del diritto del
revisore di un’opera di pubblico dominio, meccanismo per cui solo a fronte di un suo
evidente intervento sull’opera, il revisore si vede riconosciuti i diritti su esecuzioni e
pubblicazioni. Ritorna quindi l’urgenza di un’edizione rispettosa dell’originale, che
potrebbe essere anzi in facsimile dell’autografo di Novaro, con tutto il fascino che la
grafia dell’autore porta con sé.
Gli autografi della musica di Novaro oggi reperibili presso enti pubblici sono due: uno,
custodito presso l’Istituto Mazziniano di Genova, reca sul frontespizio la dicitura «Il
Canto degli Italiani / Inno di Goffredo
Mamelli (sic) (ucciso dai Francesi
combattendo per la libertà Italiana a
Roma) / Musica di M. Novaro», e in
calce «M. Novaro / Torino 5 X bre 1847 /
Quando la mia Patria dopo tanti / anni
d’infame servaggio, respirava / la
prima aura di Libertà», l’altro, del
Museo Nazionale del Risorgimento
Italiano di Torino, presenta sul frontespizio «Alla mia diletta città di Torino / inno
Nazionale / Il canto degli Italiani / Poesia di Goffredo Mameli / Musica di Michele
Novaro / Quest’inno fu da me composto verso la / fine dell’anno 1847, in Torino dove
avevo / stabile dimora. / Novaro Michele».
Prima di iniziare l’analisi delle partiture di Novaro, è opportuno uno sguardo
all’autografo della poesia di Goffredo Mameli per notare le differenze tra i testi
dell’inno. Il documento, conservato anch’esso presso il Museo del Risorgimento di
Torino, reca il titolo di Canto Nazionale, il luogo e la data, con il mese di novembre
abbreviato, Genova 10 9 bre 1847, la firma del poeta. La strofa destinata a diventare in
seguito la quinta strofa dell’inno, “Son giunchi che piegano…”, appare posizionata
dopo la firma ed è stata quindi aggiunta in seguito.4
Fra le differenze più significative per una revisione del testo riportato da Novaro,
Apparve evidente che quell’inno
noi non l’avevamo mai ascoltato in
un’esecuzione fedele all’originale.
dossIER
18
riteniamo vadano prese in considerazione per
avvicinarci maggiormente allo spirito della
poesia di Mameli, l’uso dell’iniziale maiuscola
per il termine “Popolo” e delle virgole intorno
a “per Dio” che lo pone su un piano diverso
del discorso, più interno e riflessivo rispetto
all’esclamazione suggerita dal punto
esclamativo novariano. Alcuni suggeriscono di
interpretarlo come un francesismo: par Dieu,
ovvero da Dio.
I due autografi della partitura di Novaro
presentano significative differenze soprattutto
nelle indicazioni di andamento e dinamica. Il
documento dell’Istituto Mazziniano (d’ora in
avanti A) ha la precedenza temporale recando
la data del 5 dicembre 1847, mentre la
partitura del Museo Nazionale del
Risorgimento (d’ora in avanti B) non ha una
datazione certa, ma l’annotazione sulla prima
pagina, «Quest’inno fu da me composto verso la / fine dell’anno 1847», la pone in un momento decisamente
posteriore.5
Le differenze tra i due autografi sono molte e spesso inducono a interpretazioni diverse del carattere del brano
a partire dall’andamento iniziale che in A è indicato come Moderato mentre in B è Allegro Marziale. In linea
generale possiamo ragionevolmente ipotizzare che la versione B sia un perfezionamento della scrittura rispetto
al pensiero dell’autore e che le modifiche apportate alla versione A si siano rese necessarie, come spesso
avviene, per chiarire il significato della partitura agli esecutori.
Le indicazioni di andamento e dinamica di B trovano conferma in una pubblicazione realizzata dal Ministero
della Pubblica Istruzione Per la Gara Nazionale di canto “Fratelli d’Italia” fra gli alunni delle Scuole Elementari
Italiane, con cui si celebravano nel 1924 l’inno e i suoi autori e dove viene riportata la testimonianza della figlia
stessa di Novaro, Giuseppina, relativa alla copia dell’inno da lei inviata per l’occasione: «Pur non essendo questa
copia tratta dall’autografo, che fu smarrito alla
morte di mio Padre, posso assicurare che è
conforme all’originale, perché fin da bambina
così lo udii suonare, cantare e insegnare da
mio Padre ai suoi allievi della Scuola popolare
gratuita di canto in Genova». 6 Purtroppo la pubblicazione non riporta questo
manoscritto, ma quello realizzato dal curatore,
Domenico Alaleona, che tuttavia sostiene di
essersi basato sulle annotazioni presenti nel
manoscritto inviato da Giuseppina Novaro e che così le documenta: «La figlia di lui (…) ha cortesemente inviato
al Ministero una trascrizione della melodia da lei compiuta a memoria, in base ai ricordi paterni. Tale trascrizione
conferma la autorevolezza della edizione sincrona, che evidentemente fu condotta sull’originale, e approvata
dall’Autore.
Quale commovente documento e affettuoso eco vivente del sentimento dell’autore, è prezioso conoscere alcune
indicazioni di andamento e di colorito apposte dalla Novaro – che fin da bimba ascoltò il canto dalla bocca
paterna – alla sua trascrizione.
In testa alla composizione ella ha segnato: Allegro marziale; all’attacco del canto, sulle parole “Fratelli d’Italia”:
con energia; alle parole “Dov’è la vittoria” (9 a e 10a battuta): dolcemente. Alla seconda parte è apposta la
formula Allegro mosso, rispondente a quella dell’edizione sincrona: Molto mosso. Sull’apostrofe finale “sì”,
segnata senza altezza di suono, si trova l’indicazione: parlato, a viva voce. Vi appare fedelmente il caratteristico
ff alla 7a battuta della seconda parte (parole “che schiava di Roma”).
Di tali indicazioni tenga scrupolosamente conto l’intelligente interprete».7
Accanto alla conferma delle indicazioni osservate nel manoscritto B, dobbiamo segnalare in particolare due
indicazioni che non si trovano nei manoscritti: il dolcemente al verso “Dov’è la vittoria” e soprattutto quel “sì”
Credo che per Il Canto degli Italiani
sia giunto il momento di una
«piccola, salvifica apocalisse».
finale parlato anziché cantato, entrato nella prassi esecutiva novariana col
carattere di un forte accento ritmico-percussivo che conclude il crescendo e
accelerando finale, e che non è stato annotato come tale né nei manoscritti, né
tantomeno nelle prime edizioni che esamineremo.
A questo punto, nella trascrizione presentata da Alaleona ci saremmo aspettati
la fedele adozione delle indicazioni fornite con tanta precisione dalla figlia di
Novaro e scrupolosamente riportate nella pubblicazione, e invece la Trascrizione
per voci di fanciulli del Maestro Domenico Alaleona esordisce con Allegro
Moderato invece di Marziale, omette le indicazioni con energia e dolcemente,
muta in Molto Mosso l’Allegro mosso della seconda parte, annota come cantato
il “sì” finale, ovvero ignora completamente una fonte fondamentale come la
testimonianza della figlia di Novaro, per adottare scelte personali, alle quali si
aggiungono la trasposizione nella tonalità da si bemolle maggiore a sol
maggiore, l’omissione della sesta strofa del testo, una serie di piccole varianti
che il trascrittore giustifica come «qualche opportuna facilitazione». 8
Una motivazione per le discrepanze tra la versione di Alaleona e le indicazioni di
Giuseppina Novaro emerge dalle parole dello stesso Alaleona che dichiara di
essersi basato sull’edizione sincrona alludendo alla pubblicazione dell’inno
dell’editore Magrini di Torino datata 1848 e infatti in quell’edizione troviamo
confermate la maggior parte delle sue scelte.
Sul caso della trascrizione di Alaleona vale la pena di soffermarsi poiché molte
versioni e orchestrazioni dell’inno realizzate da fine Ottocento a oggi, sembrano
avere attinto dall’edizione Magrini, ignorando non solo i manoscritti di difficile
accesso e consultazione, ma ignorando soprattutto l’edizione Ricordi del 1859,
presentata dall’editore come edizione originale poiché basata su un terzo
manoscritto autografo di Novaro custodito nell’archivio dell’editore, che per
gentile concessione abbiamo potuto esaminare.
A questo punto, sgombrato il campo dalle ambiguità e dagli errori di edizioni
fuorvianti, si apre il capitolo dell’interpretazione musicale di un brano
paradossalmente eseguito tanto frequentemente, quanto superficialmente.
I musicisti, si sa, hanno l’assurda pretesa che la loro musica dica da sola i suoi
significati e raramente spiegano le loro intenzioni compositive. Anche Novaro
non ha lasciato suoi scritti che guidassero l’interprete nell’esecuzione del suo
“Canto degli Italiani”, ma per nostra fortuna un testimone d’eccezione della
prima presentazione dell’inno, lo scrittore e patriota Vittorio Bersezio, ha
documentato con arguzia e precisione le parole con cui Novaro introduce presso
un ristretto gruppo di amici la sua presentazione del brano appena composto.
Eccone il racconto nella vivace prosa di Bersezio:
«Fu proprio in quelle dimostrazioni, in quell’autunno del 1847, che s’intese per la
prima volta in Italia quell’inno del Mameli, musicato dal Novaro, che doveva
diventare il canto nazionale italiano. Ed ecco il come. Una sera, nel caffè
Calosso, nel primo tratto a sinistra della Via Garibaldi per chi viene da piazza
Castello, entrò con passo risoluto ed affrettato un uomo sui trent’anni, di
mediocre statura, con una bella testa piuttosto grossetta, un naso risentito, due
baffetti neri, capelli alla raffaellesca, occhi vivacissimi. In quel momento, la sua
fisionomia, abitualmente animata, aveva un’animazione maggiore, e gli occhi
sfolgoravano sotto l’ampia fronte lasciata scoperta dal cappello rigettato
indietro. “Amici!” gridò con voce alquanto concitata “ho scritto la musica
dell’Inno di Mameli. L’ho finita adesso. Voglio che la sentiate… Venite!”
Un’irruzione di applausi salutò quell’annuncio, e subito seguimmo Novaro in
dieci o dodici fino alla sua dimora, al terzo piano del secondo casamento di Via
Roma, a sinistra di chi viene da Piazza Castello, una stanza non tanto vasta
perché l’invasione d’una dozzina di uomini non vi facesse ingombro. Sedette al
piano. D’improvviso, si gira. “Bisogna ch’io vi dica l’idea che mi fece nascere il
motivo e l’andamento di questo canto. Dico idea; dovrei dire sogno,
19
5. Sulla questione dell’autenticità degli
autografi del Museo del Risorgimento
di Torino e della datazione di B,
abbiamo interpellato il dottor
Alessandro Vivanti, collaboratore del
Museo, che ci ha comunicato quanto
segue: «In un grande volume,
denominato Inventario Generale del
Museo Nazionale del Risorgimento
Italiano di Torino, con la sistemazione
delle sale alla Mole Antonelliana e che
può essere datato fra le due guerre
mondiali, poiché nelle ultime sale esiste
già una parte della collezione del primo
conflitto mondiale, sono segnalati gli
originali dell’Inno di Mameli
rispettivamente con i numeri:
- 974 Autografo dell’Inno di Mameli
(sistemato in sala 4 (Giostra (?))
- 975 Autografo dell’Inno di Mameli auotografo musicale del Maestro
Michele Novaro (sistemato anch’esso in
sala 4 (Giostra (?))
Nel Registro d’Ingresso-Inventario
(1947-1966) è stata riportata, con il n.
340 (del 29 maggio 1964), l’esecuzione
da parte del fotografo A. Cordani della
«copia anastatica dell’Inno di Mameli il
cui originale è conservato al Museo del
Risorgimento di Torino».
Nel Deposito Cavour, che sto
controllando e inventariando, ho
trovato una fotografia in b/n con
didascalia della Mostra Storica della
Gazzetta del Popolo che spiega:
«Autografo (fac-simile dell’originale)
dell’inno come fu steso da Goffredo
Mameli e da lui firmato. Esso fu dal
maestro Michele Novaro musicato nel
novembre 1847 in Torino. / Nota:
l’autografo originale si conserva nel
Museo del Risorgimento di Torino;
venne fotografato dalla Mostra Storica
della Gazzetta del Popolo per
dimostrare che l’autografo posseduto
dagli eredi Pilotti non è che una copia».
6. D. Alaleona, a cura di, Il canto degli
Italiani / di Goffredo Mameli e Michele
Novaro, Tipografia Operaia Romana
Cooperativa, Roma, 1924. p. 9
7. D. Alaleona, op. cit. p. 24
8. D. Alaleona, op. cit. p. 24
9. Ad Alessandro Manzoni è attribuita
la frase «Pio IX prima benedisse l’Italia,
poi la mandò a farsi benedire».
20
21
fantasticheria, visione. La troverete bizzarra, e per tale anche
a me; ma in ogni modo mi ha dominato e ispirato. Mi parve di
essere in una grande pianura il cui confine si perdeva dietro
l’estrema linea dell’orizzonte; a capo di essa, un rialzo, su cui
un trono… una cattedra… sì, la cattedra di bronzo in San
Pietro del Vaticano; e in essa solennemente assettato in
solenni paludamenti Pio IX… Intorno e sotto a quel trono un
innumerevole corteo di re, di principi, di guerrieri, di prelati, di
magistrati: in faccia una immensa moltitudine che fittamente
riempiva tutto quello spazio immenso, le popolazioni di tutta
la penisola là convocate ad una dieta universale delle genti
italiche.
Tutti avevano viso e occhi intenti nel
Pontefice, e un gran silenzio incombeva su
quella folla immobile e aspettante. Pio IX si
alza, tende le braccia verso quella
moltitudine, e con voce grave, solenne,
lenta annunzia ai popoli la buona novella:
Italia essersi desta, riprendere la gloriosa
sua strada, doversi fare a lei schiava la
vittoria!
Un sussurro si leva da quella folla: si guardano attoniti,
s’interrogano, si ripetono a mezza voce, agitati, frementi, le
parole del Pontefice.
Se ne persuadono. Ma allora bisogna combattere e vincere; si
combatta: Stringiamci in coorte, siam pronti alla morte,
l’Italia chiamò. Se lo ripetono esaltandosi, l’entusiasmo li
manda ad un crescendo incalzante che si conchiude in un
grido supremo, il quale è un giuramento e un grido di guerra.
E il poeta mi perdonerà se, per mandare questo grido, ho
aggiunto all’ultimo verso una sillaba: L’Italia chiamò: Sì”.
La sua voce, che pel teatro era poca, per quella camera
riusciva piena e sonora; e l’interno affetto e il sentimento
onde era stato ispirato davano al canto un’efficacia di
espressione che nulla più. Quando ebbe gettato quell’ultimo
grido, quel “Sì!” finale che ha tanta forza e fierezza, scoppiò
un vero entusiasmo; tutti ci si strinse intorno al maestro, lo si
abbracciò, si baciò, si plaudì, si gridò, si pianse. Si proclamò,
è vero, che l’Italia aveva il suo canto. Quel canto bisognava
farlo conoscere, diffonderlo. Lo fece l’Accademia
Filodrammatica, che aprì le sue porte ai cantori dell’inno del
Novaro e al pubblico che doveva giudicarlo. L’effetto fu
enorme. Pochi giorni dopo tutta Torino sapeva quel canto, poi
tutto il Piemonte, poi tutta l’Italia».
La testimonianza di Bersezio dell’idea compositiva che ispirò
Novaro, ci rivela finalmente il perché della ripetizione dello
stesso testo su due andamenti così diversi nello svolgersi
dell’inno, ci pone di fronte a una scena teatrale su cui
agiscono due diversi soggetti. Non stupisca il riferimento a
Pio IX, che per un breve periodo tra il 1847 e il ’48 fu al cento
delle aspettative dei patrioti italiani. 9 Al suo posto oggi
possiamo comunque immaginare una figura simbolica, una
personificazione della Patria che annuncia al Popolo il
risveglio della coscienza nazionale e l’inizio della lotta per
l’indipendenza, l’unione e la libertà. E il Popolo risponde nella
seconda parte con un andamento in forte e rapida evoluzione
da quel pianissimo e molto concitato al finale crescendo e
accelerando fino alla fine.
C’è da augurarsi che finalmente vengano superate le
esecuzioni a marcetta del nostro inno nazionale e che questa
musica così profondamente impregnata della nostra storia
migliore e degli ideali che hanno fondato la nostra nazione, si
veda riconosciuta anche grazie a esecuzioni attente e curate
la dignità che possiede.
Per concludere un’altra citazione delle parole con cui Bersezio
conclude il capitolo dedicato a Novaro; sono come un
Le elaborazioni hanno finito col
mascherare l’originale con caratteri
impropri e fuorvianti.
messaggio nella bottiglia affidato al mare del tempo che noi
oggi ripeschiamo e che ci sembra indirizzato proprio a noi:
«C’è nello svolgersi della tua melodia, o sacro inno, un non so
quale misterioso incanto, che ci penetra, che ci fa scorrere
per le membra un brivido soave e potente, che ne innalza lo
spirito a più sereni cieli, che ci fa capaci di comprendere e di
compiere le gesta degli eroi. Anche oggidì, nell’attuale
intorpidimento della coscienza pubblica, nell’offuscarsi di
quelle idealità a cui s’è ispirato quel canto della lotta, anche
per le giovani generazioni che non assistettero alle meraviglie
dell’epoca nazionale, quando per le piazze d’Italia vibrano
quei magici suoni, la corrente elettrica degli entusiasmi
percorre le epidermidi della folla, il calore d’una fede par che
vi sollevi il petto. Oh! caduti all’ombra del vessillo tricolore
gridate coll’autorità del vero eterno che splende ai vostri occhi
“Siate concordi, siate provvidi al sollievo delle sociali miserie,
siate nostri degni figli, siate liberi, siate italiani!”». la felice fusione
tra arte e fede
Intervista a Valentino Miserachs
a cura di
Walter Marzilli
Maestro Miserachs, lei è preside del Pontificio
Istituto di Musica Sacra dal 1995. Come si pone
l’istituto all’interno del panorama della musica
sacra nel mondo?
Gli studenti provengono da tutto il mondo, quindi
l’azione didattica dell’istituto ha automaticamente
una rispondenza globale e un risultato che si
estende dappertutto. Molti studenti sono sorretti
da borse di studio provenienti dai loro paesi, i
quali investono sul loro futuro.
Negli ultimi anni, seguendo il volere della
Chiesa, abbiamo istituito un corso per operatori
liturgico-musicali (denominato OLM) dedicato
espressamente agli studenti provenienti dai
paesi dove non esistono molte possibilità di
studi musicali. In questo modo anche questi
studenti possono apportare il loro contributo ai
loro paesi.
Sono inoltre numerosi i patrocinii e le affiliazioni
che abbiamo concesso nel corso degli anni a
importanti istituzioni musicali e culturali
all’estero, come del resto anche in Italia.
Per quanto riguarda l’universalità dell’istituto
dobbiamo necessariamente ricordare come il
canto gregoriano sia tuttora la “lingua musicale
universale” nel mondo cattolico. Anche in Africa
lo si canta. Per questo il messaggio che si
espande nel mondo partendo dal Pims è tuttora
valido e universale.
Inoltre accogliamo candidati al dottorato anche
da paesi stranieri con ottimi risultati.
Esistono sbocchi professionali per uno studente
che termina il percorso di studi al Pims?
L’insegnamento e la professione specifica di
organista, direttore di coro, musicologo,
compositore e gregorianista sono gli sbocchi
principali che attendono i nostri studenti al
termine degli studi. Dobbiamo ammettere che una
volta il passaggio era più facile, ma non mancano
tuttavia nemmeno ora molte occasioni di impiego.
Gli studenti stranieri soprattutto, ma anche gli
italiani, sono destinati a ricoprire importanti
incarichi nelle cappelle musicali, nelle istituzioni
artistiche e nelle università dei loro paesi.
Come dicevo prima i loro paesi di provenienza
investono molto su di loro in termini economici e
di fiducia, quindi si aspettano un riscontro
positivo, che puntualmente avviene.
Il Pims ha inoltre aderito alcuni anni fa al
cosiddetto “processo di Bologna”, che prevede la
suddivisione dei corsi in trienni e bienni di
specializzazione: il riconoscimento dei relativi
crediti ECTS è una garanzia per gli studenti.
Abbiamo anche posto in essere alcuni protocolli
di intesa con alcuni conservatori italiani e
stranieri, che garantiscono un proficuo scambio
intellettuale, culturale e didattico.
valentiono
compositorE
22
ante litteram. L’oratorio prevede quattro solisti
(mezzosoprano, tenore, baritono e basso cantabile), coro e
grande orchestra sinfonica. La tematica gregoriana (e
testuale) della liturgia del Corpus Domini, unitamente a inni
popolari catalani, riveste di note il bel poema catalano di
Climent Corner e i testi stupendi di S. Tommaso d’Aquino.
Il Pims ha da poco festeggiato il centenario della sua
fondazione (1911-2011) con un grande congresso
internazionale, del quale abbiamo parlato in un precedente
numero di Choraliter. Quali sono stati i riscontri dalla
comunità accademica e musicale?
Al congresso sono intervenuti come relatori grandi personalità
del mondo musicale e accademico provenienti da tutto il
mondo. L’elenco sarebbe troppo lungo, cito per tutti Dom
Philippe Dupont osb, Abate di Solesmes. Da tutti abbiamo
ricevuto parole di grande apprezzamento. Posso anche dire
che c’è grande attesa nei confronti della prossima
pubblicazione degli atti. I temi trattati sono stati molti e molto
vari, dal canto gregoriano alle questioni legate al processo di
inculturazione, dal mondo della didattica a quello
della liturgia, e tutti hanno suscitato un vivo
dibattito tra i presenti, e molte aspettative.
Ritiene che l’oratorio oggi costituisca una forma di
espressione artistica ancora valida?
Parliamo prima della fuga. Essa contiene in sé elementi
costitutivi insostituibili per la formazione compositiva dello
studente, tanto da porla tra le attività didattiche
imprescindibili per chi voglia formare la propria sensibilità
basandosi sui canoni estetici dell’armonia, del buon
movimento delle parti, della perfezione dell’intreccio
polifonico ecc. Nonostante questo, difficilmente una fuga può
trovare spazio in un programma da concerto. Tantomeno in
una liturgia. In questo senso l’oratorio, oltre a contenere
elementi importantissimi della composizione quali
l’orchestrazione, la cantabilità, l’intervento di solisti, del coro
ecc. mantiene in se una eseguibilità e una fruibilità che gli
permettono di entrare di diritto nei programmi da concerto.
Non solo, aggiungerei quanto sia facile estrapolare un brano
dall’oratorio per inserirlo nelle celebrazioni liturgiche, in
quanto composto su testi sacri e appropriati.
Inoltre vorrei aggiungere che ogni compositore si sente
portato per un dato genere musicale. Ritengo valida la forma
dell’oratorio innanzi tutto per me stesso, poiché esso
riassume come dicevo il canto solistico, il coro, le pagine
sinfoniche e, diciamolo pure, il “teatro”, il costrutto di
un’azione. Se il libretto non contiene un’azione, allora me la
Il canto gregoriano è la “lingua
musicale universale” nel mondo
cattolico.
Guardiamo alla sua attività di compositore. Lei ha
scritto molti oratori, e anche quest’anno la
stagione dei concerti del Pims si chiuderà con il
suo ultimo lavoro. Ce ne può parlare?
Innanzitutto con la presentazione di quest’oratorio
dal titolo Noces de Sang intendo dare un “saluto” musicale
alla scadenza del mio lungo mandato come preside del Pims
(17 anni!). È un lavoro che amo moltissimo, non solo perché
l’ultimo, ma perché ritengo che sia un lavoro ben equilibrato
sotto ogni punto di vista, in cui arte e fede felicemente si
fondono, costituendo un sincero ritratto di me stesso e di una
trilogia di valori che è la struttura portante della mia vita:
fede, patria, amore. Non ritengo il testo (catalano e latino)
traducibile in altre lingue; verrà fatta una traduzione ad
sensum in italiano, indispensabile per seguire l’argomento.
L’oratorio è stato composto per commemorare il millenario di
un prodigio eucaristico avvenuto nel 1011 in un piccolo centro
della Catalogna, del tutto simile al prodigio di Bolsena,
avvenuto però più di due secoli prima. È quindi un cantico
all’Eucaristia nella cornice della festa di un “Corpus Domini”
invento. Non per nulla sono e mi sento successore di Licinio
Refice, autore di “azioni sacre” (per non chiamarle “opere”),
quali Cecilia e Margherita da Cortona. Alle volte l’azione è
addirittura metafisica, teologica, come nell’oratorio Beata
Virgo Maria, che presenta la Madonna in tutto l’arco della
storia della salvezza. Altre volte è frutto della mia fantasia,
come nell’oratorio Noces de Sang secondo quanto ho già
accennato. Qui si potrebbe parlare di un’azione di cui sono
protagonisti il tempo (il succederci delle “ore canoniche”,
dall’alba al tramonto) e la natura, di cui si avverte la
progressiva mistica trasformazione in virtù del prodigio
eucaristico. Posso constatare che l’ascolto di questi oratori
coinvolge enormemente il pubblico e non dubito della loro
forza catartica e spiritualmente costruttiva. Una persona mi
disse dopo l’ascolto del Beata Virgo Maria: «è stata la più
23
Valentino Miserachs_______
Valentino Miserachs Grau è nato a Sant Marti Sesgueioles (Barcellona) nel 1943 e
ha affiancato per tutta la giovinezza gli studi musicali a quelli teologici, filosofici e
umanistici. Nel 1963 si è trasferito a Roma, presso il Pontificio Collegio Spagnolo, per
compiere gli studi di teologia alla Pontificia Università Gregoriana, dove nel 1967, dopo
essere stato ordinato sacerdote, ha ottenuto la licenza in Sacra teologia. Nel campo
musicale ha conseguito la licenza in Canto gregoriano e il magistero in Composizione
sacra al Pontificio Istituto di Musica Sacra (con il maestro Domenico Bartolucci) e i
diplomi in Composizione e in Organo e composizione organistica, con il massimo dei
voti, presso il Conservatorio N. Piccinni di Bari, dopo aver frequentato il Conservatorio
A. Casella de L’Aquila (con i maestri Armando Renzi e Anna Maria Polcaro) e quello di
Santa Cecilia in Roma (con il maestro Fernando Germani).
È stato organista della Cappella Giulia in San Pietro e, dal 1973, è Maestro della
Ven. Cappella Musicale Liberiana della Basilica di Santa Maria Maggiore, per la quale
ha composto numerosi lavori destinati al solenne servizio liturgico. È Canonico della
Patriarcale Basilica di Santa Maria Maggiore, Prelato d’Onore di Sua Santità e
Protonotario Apostolico.
È stato docente di Composizione presso il Conservatorio E.R. Duni di Matera e, dal
1995, è Preside del Pontificio Istituto di Musica Sacra, dove è professore ordinario di
Composizione e di Direzione polifonica.
Ha tenuto numerosi concerti, in Italia e all’estero, nella veste di organista e di direttore di cori e orchestre. È collaboratore
abituale della Radio Vaticana.
Tra le sue composizioni figurano gli Oratori Beata Virgo Maria, Ecclesiae Christi typus et mater, Stephanus, Isaia, Mil anys, Pau i
Fructuós e Noces de Sang per soli, coro e orchestra; i poemi sinfonico-corali Nadal ed Esclat berguedà; la Suite manresana e
Pucciniana per grande orchestra; un’infinità di musica liturgica in latino e nelle lingue vive… Le sue composizioni sono pubblicate
dalla Cappella Liberiana e dal Pims, dalle Edizioni Carrara, Paoline ed LDC di Torino. Di parte di quest’ultime è stata effettuata
anche la registrazione su cd.
Tra le onorificenze conferitegli figurano il titolo di Officier de l’Ordre des Arts et des Lettres e di Chevalier de la Légion d’Honneur
della Repubblica francese, la Encomienda de Alfonso X el Sabio dello Stato spagnolo e la Creu de Sant Jordi della Generalitat
della Catalogna. È canonico onorario della Cattedrale metropolitana e primaziale di Tarragona. È Accademico pontificio.
bella lezione di catechesi della mia vita». Peccato che sia così
difficile allestire le esecuzioni, anche se per fortuna c’è il
sussidio dei cd o dei dvd.
Lei compone e insegna da una vita. Che cosa cerca quando
legge una partitura di musica sacra contemporanea? E c’è
qualcosa che preferirebbe non trovarci?
Vi cerco la coerenza, la solidità della costruzione
architettonica. E vorrei anche che la musica non rinunciasse
agli elementi costitutivi di sempre: melodia, armonia,
contrappunto, bella orchestrazione o sapiente trattamento
dell’organo, del pianoforte o del coro. Cosa preferirei non
trovarci? Lo sperimentalismo fine a se stesso. Dubito della
sincerità di certi linguaggi ermetici e contorti…
Dopo tanti anni di attività, dove trova l’ispirazione per
scrivere ancora con tanta fluidità?
Sarà come il vino che, invecchiando, diventa più buono… Mi è
difficile mettermi al lavoro, ma quando riesco a superare
questo primo ostacolo, si apre il rubinetto, e ne cola sempre
un filino d’acqua zampillante, che indubbiamente mi viene
concesso dall’alto. È la famosa “scintilla”, che a nulla
varrebbe se non ci fosse la preparazione tecnica e
l’esperienza di tanti anni di lavoro.
Lei dirige la Venerabile Cappella di Santa Maria Maggiore in
Roma dal 1973. Si tratta di una istituzione antichissima, e tra
i suoi predecessori ci sono stati insigni musicisti, dei quali lei
ha proseguito le gesta. Ci può dire come è organizzata la
Cappella Musicale Liberiana e come si svolge la vostra
attività musicale?
La Cappella Liberiana svolge ovviamente una continua attività
liturgica, ma accanto a essa è impegnata in numerosi
concerti. I servizi capitolari raggiungono il centinaio ogni
compositorE
24
anno. Durante le liturgie usiamo spesso l’organo concertante e gli ottoni, che danno ampiezza e solennità alle
parole pronunciate dal coro.
Il canto gregoriano, la polifonia e l’organo sono i punti fermi della nostra attività liturgica, secondo i dettami del
Concilio Vaticano II.
L’organico base della Cappella è costituito dalle voci virili, cui si aggiunge nelle solennità un gruppo femminile
(vista la difficoltà di avere i “pueri”). Ho garantito quarant’anni di magistero, cercando di essere fedele alla
grande tradizione dei miei illustri predecessori (fra i recenti il già nominato Refice e Bartolucci, fra gli antichi
Palestrina, Scarlatti, e via dicendo), potendo affermare con sano orgoglio che l’attività prestigiosa della Cappella
Liberiana non è stata mai interrotta sin dalla sua fondazione, avvenuta nel XVI secolo.
Lei è chiamato spesso a presiedere giurie di
concorsi di canto corale in Italia e all’estero.
Come giudica lo stato dell’arte dei cori italiani
e dei loro direttori?
Una volta il direttore, nella migliore delle
ipotesi, era uno strumentista prestato alla
direzione. Adesso la figura del direttore di coro
è in continua caratterizzazione e in costante
crescita artistica, di contenuti e di
approfondimenti musicologici. Quindi i cori risentono positivamente di questa maturazione. I cori italiani hanno
perseguito e finalmente raggiunto una loro espressività e cantabilità specifiche, seguendo gli stilemi della
tradizione mediterranea, e hanno smesso di imitare i cori stranieri. Questa presa di coscienza è relativamente
recente. Se ne vedranno ancora maggiori risultati positivi nel futuro.
Vorrei che la musica non
rinunciasse agli elementi
costitutivi di sempre.
Da più parti viene invocato il ritorno a una musica di qualità nelle chiese italiane. Recentemente anche
Riccardo Muti si è espresso in tal senso. Lei ha una formula magica?
L’impegno dei singoli dovrebbe essere sostenuto da una chiara e ferma volontà da parte delle Autorità della
Chiesa. Ma l’autorità è un concetto in crisi, come tanti altri, e più passa il tempo più è grave il problema e più
difficile diviene affrontarlo e tentare di risolverlo. Noi possiamo solo tentare di agire con autorevolezza, e
sperare che il buon esempio dia qualche frutto, il che di sicuro avviene, come da più parti ho potuto costatare.
Principali composizioni di Valentino Miserachs
Mottetti e inni per il tempo per annum
e ricorrenze varie, Cappella Musicale
Liberiana, Roma, 2007
Mottetti Eucaristici e di Comunione,
Cappella Musicale Liberiana, Roma,
2007
Mottetti e inni per i tempi forti
dell’anno liturgico, Cappella
Musicale Liberiana, Roma
Antifone, mottetti e inni mariani,
Cappella Musicale Liberiana, Roma
Liber Missarum I, Ven. Musicorum
Liberianum Collegium, 2010
Liber Missarum II, Ven. Musicorum
Liberianum Collegium, 2010
Cantus inter lectiones solennità,
domeniche e feste anno A
Cantus inter lectiones solennità,
domeniche e feste anno B
Cantus inter lectiones solennità,
domeniche e feste anno C
Composizioni organistiche, Ed. Carrara,
Bergamo, 2005
Obra vocal catalana, vol. I
Obra vocal catalana, vol. II
Suite Manresana, per orchestra
Paolo e Fruttuoso, oratorio per soli,
coro e orchestra
Nadal, poema sinfonico-corale in due
parti
Pucciniana, fantasia sinfonica su temi
del maestro
Beata Virgo Maria, Ecclesiae Christi
typus et mater, oratorio in un
prologo e tre atti per soli, cori e
orchestra
Stephanus, oratorio per soli, coro e
orchestra
Els pastorets de Calaf, musique
d’escena de l’espectacle nadalenc
per Cobla i veus
Noces de sang, oratori del millenari del
Sant Dubte d’Ivorra, per a veus
solistes, cor i orquestra
L’elenco completo delle composizioni di
Valentino Miserachs è disponibile sul
sito www.feniarco.it
25
Un ponte tra il vecchio e il nuovo
di Josep Solé Coll
organista presso la basilica di santa maria maggiore e san lorenzo fuori le mura a roma
Il compositore di Adoramus te, Christe
Catalano di nascita, romano di adozione, Valentino Miserachs
è un punto di riferimento ineludibile nell’ambito della musica
liturgica e religiosa della Chiesa cattolica e romana. Nella sua
vita possiamo parlare di tre persone che ne hanno
determinato la personalità: P. Lluis Farràs riguardo alla sua
vocazione sacerdotale e i maestri Francesc Vives e Armando
Renzi riguardo a quella musicale. Due vocazioni che ne fanno
una sola: «La musica è stata per me il percorso
provvidenziale con il quale ho potuto sviluppare il mio
sacerdozio».
In Catalogna, insieme al maestro Vives, oltre a imparare le
basi della musica, la teoria, il solfeggio, il pianoforte e la
composizione («Il musicista deve sapere fare tutto»), ebbe la
possibilità di impregnarsi di tutto il contesto musicale e
religioso dell’epoca: le più belle melodie sacre catalane
composte da Nicolau, Millet e Romeu, dallo stesso Vives,
insieme alle più note composizioni dei più famosi compositori.
Da Bach, «stella polare della mia vita», al colorismo francese
di Debussy, Ravel e Poulenc fino al clima sempre francese che
respirano molte composizioni di Puccini, «autore per il quale
sentivo una poderosa attrazione».
A Roma, sotto la guida del maestro Renzi, che fu per lui
«maestro, padre, e amico», poté penetrare nel profondo
quella musica particolare, diatonica, grandiosa, proporzionata
alla grandezza degli spazi architettonici della Chiesa Cattolica,
che lo predispose a maturare la sua natura artistica.
Ci troviamo quindi davanti a una grande personalità dai
contorni eclettici, che spaziano dal canto gregoriano alla
polifonia, da Bach e dalla musica di chiesa fino all’opera
lirica, con un telaio fondamentalmente “classico”, arricchito
dai preziosismi della musica moderna francese.
Il brano
Il brano oggetto di analisi è il mottetto Adoramus Te, Christe
per 4 voci dispari, scritto nel 1999 per il tempo di Quaresima.
È stato pubblicato nel volume Mottetti e Inni per i tempi forti
dell’Anno Liturgico, Edizioni Cappella Liberiana, Roma, 2007.
Il testo, in latino, recita così:
R. Adoramus Te, Christe, et benedicimus tibi.
V. Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
Ecco la traduzione in italiano:
R. Ti adoriamo, Cristo, e ti benediciamo.
V. Perché con la tua santa croce hai redento il mondo.
Ci troviamo davanti una breve ma intensa preghiera in forma
di responsorio, che può essere recitata o cantata
(normalmente in tono di do) e che si ripete alla fine di ogni
stazione della Via Crucis. Tanti compositori (Palestrina,
Aichinger, Brahms…), hanno musicato questa piccola formula
responsoriale che, attraverso l’unificazione della domanda e
della risposta, è diventata un’unica composizione. Di stile
contemplativo, essa può essere eseguita durante l’offertorio o
la comunione delle messe del Tempo di Quaresima, in
particolare durante la Settimana Santa, nonché il 14
settembre, festa dell’Esaltazione della Santa Croce, oppure il
3 maggio, festa dell’Invenzione della Santa Croce.
Da un punto di vista formale, vogliamo definire questo brano
come mottetto, ma solo nella sua eccezione contemporanea di
“breve componimento”. Sappiamo infatti che oggi il termine
mottetto privato di ogni riferimento formale originario, indica
qualsiasi composizione sacra non appartenente al ciclo
dell’ordinario della messa (Kyrie, Gloria…).
Ma proviamo a entrare all’interno del brano, dentro la musica.
La tonalità di impianto è sol maggiore, a tratti elegantemente
influenzato dal modo tetrardus.
Globalmente possiamo dire che è diviso in due parti separate,
nel rispetto appunto della citata forma responsoriale: la
domanda del celebrante, in tempo ternario (batt. 1-32):
e la risposta dell’assemblea, in tempo binario (batt. 33-73):
Dentro la prima parte troviamo la prima idea: “Adoramus te,
Christe” proposta dal soprano e imitata dal tenore; segue la
sua risposta musicale “et benedicimus tibi”, proposta ancora
dal soprano e imitata dalle altre voci.
Il compositore, mutando lievemente qualche nota, sfrutta tali
imitazioni per proporre due cadenze: la prima a metà della
sezione e l’altra alla fine. Le due cadenze sono
apparentemente simili ma sostanzialmente diverse.
Alle battute 14-15 troviamo quindi la prima cadenza, basata
su una struttura armonica di tipo modale, e alle battute 30-31
la seconda, di tipo tonale. Entrambe usano il do diesis, ma la
26
2727
prima come nota di passaggio, giacché l’armonia è mi/si
(quinto grado del relativo senza sensibile, come prevede il
modo tetrardus) e la seconda come quinto grado del quinto
(la7/re), addirittura con la settima, per finire la prima parte sul
tono della dominante della tonalità di impianto (come succede
– tra l’altro – in quasi tutte le composizioni classiche tonali).
La seconda idea finisce, come accennato in precedenza, con
la cadenza IV/I, che stando sopra la dominate ci fa sentire un
intervallo di nona, molto ricorrente nelle opere dell’autore.
Con la terza e ultima idea (batt. 66-73), dopo lo scandalo
della croce e la tragedia della morte resi con un’armonia
alquanto trasgressiva, arriva la redenzione e la salvezza del
popolo cristiano: alle parole “hai redento il mondo”, un
lontano scampanio proposto dai bassi, l’armonia si fa serena
e limpida; tutto concorre a innalzare il cuore e la mente. Il
mottetto si conclude con semplicità, speranza e gratitudine.
goffredo petrassi:
Coro di morti
di Mauro Zuccante
L’aggancio con la seconda parte (batt. 32-33) è del tutto
modale re/la (con il do naturale), sempre in stile tetrardus.
L’ascoltatore è condotto con naturalezza alla seconda parte
del brano. Infatti, dopo una cadenza fortemente tonale,
l’autore prosegue con il tono della dominante in minore.
Considerando che ci sono tre cadenze (una perfetta V/I grado,
una plagale IV/I grado sopra la dominante e l’ultima di nuovo
plagale sopra la tonica) e stando anche alla descrizione del
testo, possiamo suddividere questa seconda parte in tre idee.
La prima (batt. 33-55):
Essa viene sviluppata a modo di progressione modulante
irregolare. L’autore la trasporta in diverse tonalità, facendola
passare attraverso varie voci, senza seguire un ordine preciso,
secondo il seguente schema: soprani (la) - contralti (si) - soprani
(mi) - tenori (la) - soprani (fa) - bassi (re) - soprani (sol), per poi
concludere attraverso la successione di VI-II-V-I grado.
Per concatenazione, arriva la seconda idea (batt. 55-65).
Certamente la più intensa. Per sottolineare la drammaticità di
questo momento della vita di Cristo, l’autore usa la scala
esacordale discendente. Si tratta di una tecnica usata da
Debussy e dai suoi contemporanei che deriva direttamente
dalla modalità, e che prevede l’uso della vecchia “falsa
relazione di tritono” – ma per Palestrina, ad esempio, non era
né vecchia né falsa. Con l’avvento della tonalità questa
affascinante relazione armonica fu progressivamente
accantonata, per essere riscoperta solo dopo la crisi del
sistema tonale, alla fine dell’Ottocento.
Conclusione
Potremmo terminare dicendo che questo mottetto esprime in
poche pagine tutta la personalità del compositore. Usando
ancora le parole della presentazione dell’autore, proferite da
lui stesso in una conferenza al Conservatorio A. Casella de
L’Aquila in occasione del quarto Corso per Organisti e Maestri
di Cappella nel 2004, ci troviamo veramente davanti a una
«personalità eclettica che spazia dal canto gregoriano alla
polifonia», non solo per il modo elegante in cui combina
tonalità e modalità, ma anche per la sua capacità di rivisitare,
riscoprire e attualizzare in maniera del tutto personale
formule e stilemi propri del passato.
Riconosciamo anche Bach nel suo dominio del contrappunto,
nella proporzione della forma, nella descrizione del testo, il
che trasfigura la sua “musica” in “musica sacra”, che fa
cantare la Parola di Dio.
Non possiamo dimenticare la propensione al lirismo, al senso
teatrale: la cantabilità delle frasi, i punti culminanti posti in
modo strategico per creare quel susseguirsi di tensione e
distensione che tiene l’ascoltatore sempre in bilico. Infine i
momenti drammatici, quelli di elevazione spirituale…
Al termine di questo scritto sembra opportuno parlare dei
«preziosismi della musica moderna francese» cui facevamo
riferimento all’inizio. Tutto il mottetto (e una grande parte della
sua musica) respira questo clima. La prima frase ci fa sentire
subito l’accordo di sesta laterale, introdotto da Rameau e
usato frequentemente dagli impressionisti. Globalmente
notiamo che come Debussy, Ravel e Poulenc, l’autore usa la
modalità come base armonica, e ancora come loro e i loro
contemporanei dosa con abilità e delicatezza alterazioni,
dissonanze, appoggiature. Con tutto ciò Miserachs fa in modo
che nella sua musica sia sempre presente un ponte tra il
vecchio e il nuovo. Questo è il principale motivo per cui la sua
musica è e rimarrà sempre unica nell’incarnazione del principio
fondamentale del rinnovamento voluto dal Concilio Vaticano II:
Nova et Vetera, Conservare et Promovere.
La rubrica Nova et Vetera si presta a ospitare il commento di un’opera, in cui il corto circuito tra
antico e moderno sta all’origine di un risultato artistico di assoluto valore. Il Coro di morti di
Goffredo Petrassi (1904-2003) si colloca in questa prospettiva.
Coro di morti è una composizione su testo della canzonetta che introduce al Dialogo di Federico
Ruysch e delle sue mummie, nelle Operette morali di Giacomo Leopardi. La concezione del
lavoro risale al giugno del 1940, all’indomani della dichiarazione di guerra da parte dell’Italia a
Francia e Gran Bretagna. La partitura è stata portata a termine un anno più tardi ed eseguita
per la prima volta il 28 settembre 1941 alla Fenice di Venezia, sotto la direzione dello stesso
autore (maestro del coro Sante Zanon).
Quali sono le ragioni per cui si ritiene che quest’opera sia un esempio appropriato di ponte
gettato tra antico e moderno? Per rispondere a questa domanda dobbiamo considerare i due
livelli sui quali Petrassi imposta il discorso musicale.
Su un piano il coro di voci maschili, sull’altro il complesso strumentale (tre pianoforti, ottoni,
contrabbassi e percussione). Due corpi sonori che fanno riferimento a maniere espressive
diversificate. Le voci tendono a un modalismo diatonico, che richiama lo stile della polifonia
antica, mentre gli strumenti esplorano una scrittura più libera e moderna, proiettata nella sfera
del cromatismo integrale e dell’atonalità. Anche dal punto di vista ritmico c’è un’evidente
differenziazione tra le due sezioni. Le voci procedono secondo frasi curvilinee, nel rispetto della
naturale accentuazione declamatoria del testo: «Il respiro della musica e quello della poesia
concordano. […] Una patina di antica nobiltà che si accorda ottimamente con la nobiltà
dell’endecasillabo: sono due classicità, l’una letteraria e l’altra musicale, che si fanno buona
compagnia» (M. Mila, Introduzione analitica alla partitura del Coro di morti, Milano, 1953). Gli
strumenti, al contrario, presentano figurazioni dai tratti spezzati, dagli scatti bruschi e dalle
misteriose accentuazioni, irregolari e asimmetriche.
Alcune brevi esemplificazioni per chiarire queste affermazioni.
Partiamo dalle voci, la cui conduzione segue principi di antica impostazione. C’è un morbido
motivo (una specie di idée fixe ricorrente), così ben delineato, che s’imprime nella memoria fin
dal primo ascolto.
coro di
Es. n. 1
nova et vetera
28
L’analogia di questa apertura vocale con l’incipit dello Stabat
Mater di Palestrina è evidente.
Es. n. 5
Es. n. 6c
29
Es. n. 7b
Es. n. 2
Il coro procede spesso in omoritmìa, o addirittura in omofonia.
In questo episodio si distende in una melodia di corale di
intensa cantabilità.
Dissonanti e spettrali accordi di nona, per quinte e quarte, e
cluster di terze, nelle zone estreme delle tessiture strumentali.
Es. n. 6a
Es. n. 6d
Es. n. 3
Es. n. 7c
I passaggi polifonici sono concisi, regolari e quasi statici nella
loro prevedibile simmetria.
Es. n. 4
Es. n. 6b
Colpi duri, secchi e metallici, lampi di luce improvvisi, bagliori
che accecano nell’atmosfera allucinata e pesante di oscurità
prevalente.
Es. n. 7a
Spirali di grandi intervalli che, avvitandosi su se stesse come
enigmatici arabeschi, coprono pressoché interamente la
gamma cromatica.
Es. n. 8
Passiamo agli strumenti. Le loro parti sono caratterizzate da
gesti e cellule sonore estremamente mobili; brevi e scheletrici
motivi dal profilo moderno e dissonante, che agiscono in un
contesto di costante mutazione e instabilità.
Oscuri e profondi ostinati, somiglianti a indistinti e deformi
agglomerati materici magmatici.
nova et vetera
30
Allucinati motivi di nenia che emergono come «confusa
ricordanza» del vivere.
Es. n. 9
Da queste osservazioni emerge un quadro di dicotomia
stilistica, difficilmente sintetizzabile. Eppure il compositore
mantiene dei nessi di raccordo tra la dimensione vocale e
quella strumentale, in apparenza così lontane e antitetiche
nella scrittura.
Quali sono questi punti di contatto? Quali sono le
corrispondenze che pongono i due piani sonori su un ordine
di contiguità?
Innanzitutto la qualità timbrica. Da un lato Petrassi opta per la
colorazione scura del coro maschile, escludendo dalla
compagine le voci femminili. Dall’altro niente strumenti
“ruffiani”. Al bando violini, viole e legni; rimane un singolare
organico scarno e duro: l’incorporeo agglomerato delle
percussioni (al cui gruppo ascriviamo anche i tre pianoforti), il
metallico drappello degli ottoni e la massa scura dei
contrabbassi. Un impasto sonoro adatto a disegnare
l’ambiente arcano e atemporale, dal quale emergono le
voci cavernose delle anime morte. Insomma, gli strumenti
circoscrivono quello spazio scenografico fantomatico, nel
quale peregrinano gli «aridi spirti», nel quale prendono
corpo le gravi voci di quelle «ignude nature».
Alla continuità timbrica tra coro e strumenti si aggiunge
una corrispondenza concettuale. Un’interazione dialettica tra
uomo e ambiente. «L’uomo (si badi non la sua ombra, il suo
riflesso, ma l’uomo reale, il coro d’uomini carico di storia, di
echi anche musicali semanticamente definiti nelle
stratificazioni stilistiche) che procede in mezzo a un
paesaggio stravolto, irreale crudele. Da qui, dal contrappunto
di questi due elementi, il dramma prende forma
perfettamente omogenea, e la divaricazione del materiale si
dimostra perfettamente idonea a esprimere l’annientamento
leopardiano» (A. Gentilucci, Guida all’ascolto della musica
contemporanea, Milano, 1969). Ha ragione Gentilucci quando
parla di effetto drammatico. In vero, egli non fa che esplicitare
l’autentico significato del sottotitolo dell’opera: madrigale
drammatico. Un significato che va oltre il riferimento storicostilistico dell’antica prassi monteverdiana, che pur si denota.
Un significato che approda alle soglie della rappresentazione
sonora di un dramma filosofico-morale, evocato nelle
profonde meditazioni del testo poetico. Un compito temerario
quello di tradurre in musica i versi del grande poeta di
Recanati, traboccanti di divagazioni metafisiche. Ma l’ardua
prova è ben superata da Petrassi, grazie all’impostazione in
questione del discorso musicale su due livelli opposti, eppur
comunicanti: antico e moderno, trapassato e vivente, classico
e contemporaneo. Vien da ipotizzare che la dedica «a G. P.»
(cioè a se stesso) si possa intendere sia come il turbamento
dell’artista di fronte allo scoppio degli eventi bellici, sia come
una sua necessità di indagare il senso della vita e della
morte, ma anche come il compiacimento per aver trovato la
giusta chiave espressiva, per parafrasare musicalmente un
testo poetico-filosofico di contenuto assoluto e trascendente.
A conferma di questa proiezione estetica nel regno della
metafisica, rappresentata dalla composizione del Coro di morti,
merita ricordare che Petrassi (cattolico, poco praticante) si
curava di stabilire una differenza tra fede e religione. Per cui
egli affermava di aver maturato nell’arco della sua esistenza
una «religiosità del pensiero e religiosità in senso metafisico», a
scapito della mera pratica religiosa. Questa asserzione può
spiegare le motivazioni che stanno alla base della scelta di
mettere in musica il testo leopardiano. Dice Petrassi: «Ho
ritenuto che si trattasse di un testo fornito di una mistica laica
non troppo distante dagli interrogativi che ci può porre la
religione» (Autori vari, Petrassi, a cura di E. Restagno, Torino,
1986). È impossibile non riconoscere che Coro di morti ha come
modello ispiratore la Sinfonia dei salmi di Stravinsky. Lo
confermano le parole del compositore: «Fu proprio la
folgorazione della Sinfonia dei salmi a determinare la mia
devozione per Stravinsky, una devozione che devo dire, ahimè,
Il respiro della musica e
quello della poesia concordano.
mi ha segnato non dirò per sempre, ma certo per molti anni. […]
La Sinfonia dei salmi con la sua tenuta musicale, con il timbro
con cui venivano sollecitate le parole, con il finale laudatorio del
tutto opposto alle laudazioni del periodo barocco, oppure alle
laudazioni che avevo in mente come reminiscenze infantili,
costituiva qualcosa di completamente nuovo e diverso,
qualcosa capace di smuovere la mia esperienza più profonda
degli archetipi antichi e di trasformarla in qualcosa di attuale
che improvvisamente scoprivo presente in me» (Autori vari, op.
cit.). Ma se da un lato la Sinfonia dei salmi rappresenta una
luminosa apertura e una celebrazione positiva dei valori
trascendenti della fede cristiana; Coro di morti, dall’altro,
commemora, nella dimensione di una sacralità del tutto terrena,
la solitudine e l’annientamento della natura umana.
In conclusione, ecco un sintetico schema formale dell’opera,
utile come guida all’ascolto. «Il testo leopardiano, costituito
da trentadue endecasillabi e settenari, è diviso in cinque
periodi, con quattro punti fermi, ma con i due ultimi periodi
legati strettamente tra loro. Da questa strutturazione deriva
quella petrassiana, che allinea quattro episodi corali e che
possiamo così illustrare:» (R. Zanetti, La musica italiana nel
Novecento, Busto Arsizio, 1985)
SEZIONI
I. Riposo nella morte
II. Vuotezza della nuova
situazione
III. Confusa memoria
della vita
IV. Concezione atona e
privata di emozioni dopo
la morte
31
TESTO
BATTUTE
Andante lento
Introduzione strumentale
1-11
vv. 1-6
Sola nel mondo eterna, a cui si volve
Ogni creata cosa,
In te, morte, si posa
Nostra ignuda natura;
Lieta no, ma sicura
Dall’antico dolor.
12-25
Transizione strumentale
24-31
vv. 6-13
Profonda notte
Nella confusa mente
Il pensier grave oscura;
Alla speme, al desio, l’arido spirto
Lena mancar si sente:
Così d’affanno e di temenza è sciolto,
E l’età vote e lente
Senza tedio consuma.
32-71
Moderato
Scherzo strumentale
72-124
Andante lento
vv. 14-20
Vivemmo: e qual di paurosa larva,
E di sudato sogno,
A lattante fanciullo erra nell’alma
Confusa ricordanza:
Tal memoria n’avanza
Del viver nostro: ma da tema è lunge
Il rimembrar.
125-152
Tempo dello scherzo
(Sostenuto, da batt. 181)
Transizione strumentale
159-204
Moderatissimo
vv.20-22
Che fummo?
Che fu quel punto acerbo
Che di vita ebbe nome?
205-218
Transizione strumentale
219-225
Cosa arcana e stupenda
Oggi è la vita al pensier nostro, e tale
Qual de’ vivi al pensiero
L’ignota morte appar.
226-238
Transizione strumentale
238-244
Come da morte
Vivendo rifuggia, così rifugge
Dalla fiamma vitale
Nostra ignuda natura;
Lieta no ma sicura,
Però ch’esser beato
Nega ai mortali e nega a’ morti il fato.
244-264
Conclusione strumentale
265-277
vv. 23-26
vv. 26-32
canto popolare
32
Arcaico e Archeologia musicale
La vicenda di Annamarii, donna Walser
di Luca Bonavia
etnomusicologo e direttore del laboratorio corale cantar storie
Notizie dagli scavi
Il ritrovamento avviene, come spesso accade, senza alcun
preavviso. L’ascolto di una saltellante e provvisoria
musicassetta, proveniente dal piccolo borgo di Macugnaga,
in Valle Anzasca,1 anima in un nulla lo spirito dei ricercatori,
che avviano quel lento e guardingo cammino
d’avvicinamento ben noto a tutti gli etnomusicologi attivi sul
campo, vagabondi e raminghi tra chiese, villaggi e osterie.
Un corteggiamento invisibile che sfiora rapporti di parentela
e amicizia sottili come ragnatele, così facili a spezzarsi. Ma
finalmente, la rivelazione è raggiunta: quelle voci in canto,
uomini all’inizio, donne in risposta, distese su
un tappeto d’antiche fisarmoniche, hanno ora
un nome, si conosce dove sta la loro casa, e la
“campagna di scavi” può veramente
cominciare.
O Annamarii - Il reperto
Voci di donne, altre voci di uomini. Un brandello di tempo,
inconsistente, sembra sia fatto di nulla, eppure esce dagli
autoparlanti in cuffia e seduce il ricercatore seduto al suo
tavolo, con matita e fogli bianchi. Comincia la fase dell’analisi,
dell’approfondimento silenzioso: luogo di raccolta, un paese,
una valle. E una lingua, sconosciuta ai più: è quella del
popolo Walser, gli “Uomini della Montagna”, 2 che con le loro
tribù alemanne – a partire dagli ultimi secoli del Medioevo –
abbandonarono le proprie terre d’origine, cercando nuovi
avventurosi insediamenti lungo le più alte valli delle Alpi
centrali e occidentali. A partire dalla Savoia e Valle d’Aosta,
lungo Piemonte, Lombardia, Liechtenstein, Svizzera, e sino a
Voralberg e Tirolo in territorio austriaco: un arco di usanze e
tradizioni, alimentari, giuridiche, architettoniche, religiose,
morali… la cosiddetta “Questione Walser”.
È alquanto estesa la bibliografia di studi, saggi e ricerche
dedicate ai molteplici aspetti che connotano tale cultura,
ulteriormente arricchita in tempi recenti da nuovi e
interessanti contributi.3 Appare ancora scarsa, però, la parte
d’analisi dedicata alla dimensione musicale, e nello specifico
ai canti della tradizione orale, quelli che, impropriamente e
superficialmente, siamo soliti chiamare popolari. Non
mancano, nel corso degli ultimi decenni, esempi di ricerche
apparentemente rivolte allo studio di canti e ballate, 4 ma
guidate in realtà da approcci “parziali”, limitati cioè al mero
aspetto lirico-letterario, alle tematiche affrontate, alle
occasioni e modalità d’esecuzione. Con un’unica eccezione5
Il ricercatore-etnomusicologo
segue due direzioni, quella della
trascrizione musicale e quella della
trascrizione letteraria.
Ricognizione archeologica
È la fase del contatto, i ricercatori s’avviano in
direzione di quella grande casa sotto a un
monte ancor più grande, in compagnia di un
evoluto magnetofono, ed è così che prende vita
un nuovo, ulteriore corteggiamento, l’approccio di volti
sconosciuti che accedono a un mondo che ha precisi confini,
e vere e proprie regole per l’avvicinamento. Temi e tempi
suggestivi e affascinanti, ma non è questo il luogo per
parlarne: li ritroviamo così, allora, al ritorno a casa, qualche
traccia acquisita da un microfono discreto, molte notizie, echi
di voci a viaggiare.
risulta assente una vera e propria trascrizione melodica, ed è
ovunque impossibile risalire al materiale sonoro oggetto
dell’acquisizione sul campo, rendendo vano qualsiasi tentativo
di approfondimento.6
L’analisi del nostro “reperto” richiede dunque grande
accuratezza, e un rigoroso senso di cura: il ricercatoreetnomusicologo (non è detto che le due figure coincidano,
com’è infatti nel caso in questione) segue due
distinte direzioni, quella della trascrizione musicale e
quella della trascrizione letteraria. Entrambe
fondamentali, e fondamentale è che vengano svolte
con assoluta professionalità: non sono rari, ahimè,
casi di trascrizioni approssimative, improbabili dal
punto di vista metrico e musicalmente imprecise,
così come testi e versi riportati sul foglio con
dissennata trascuratezza.
O Annamarii viene dunque accuratamente indagata:
la melodia verrà ascoltata, pensata e decifrata con
precisa sensibilità, distinguendo la libertà stilistica
degli esecutori da ciò che contraddistingue l’essenza del canto (vedi, nell’esempio, la
nota del trascrittore a calce della melodia), riproducendo sul rigo musicale tutto ciò
che quell’esecuzione descrive, nella sua accezione melodica, armonica e ritmica. Nel
contempo, il testo non verrà ricalcato alla cieca, ma sulla base di confronti e letture,
non senz’aver consultato veri e indiscussi esperti della lingua utilizzata dai cantori.7
Una “scelta di campo”
Ecco il risultato della prima fase del nostro lavoro d’indagine: è la scheda filologica,8
dove troviamo, nell’ordine, titolo dell’esito (e sua traduzione), trascrizione melodicoritmica, con indicazioni utili all’analisi, trascrizione del testo (la traduzione la
troveremo in calce all’elaborazione), e altre notizie utili a ogni approfondimento: luogo
e data di raccolta, informatore, esecutori, tonalità alla fonte, estremi d’archivio,
trascrittori e note bibliografiche.
Ora l’esito è in tutto e per tutto censito, e il nostro lavoro d’archeologi musicali
potrebbe fermarsi qui. In molti casi, soprattutto nel recente passato, questo era
l’unico obiettivo: decifrare l’esperienza orale e viverla come un “punto d’arrivo” per
la ricerca etnomusicologica ed espressiva, là dove si cercava mediante “nuove”
esecuzioni di riprodurre calligraficamente l’effetto dell’esito acquisito alla fonte.9
Pur nella libertà che tutti hanno di attuare le proprie “scelte di campo”, possiamo
delineare una strada alternativa, quella che da anni anima il Progetto di Ricerca
“Cantar Storie”, intrapreso dall’omonima Associazione in territorio ossolano.10 Là dove
O Annamarii non costituisce un punto d’arrivo, bensì un vero e proprio “momento
d’avvio”, per un nuovo e affascinante percorso di studio che ancor più somiglia
all’archeologia, coinvolge nuovi attori e scopre inediti orizzonti.
Giganti di pietra o vascelli d’arcaico?
Esiti in lingua Walser, acquisiti tra gli orridi angusti di millenarie montagne: facile
sarebbe definirli “giganti”, là da sempre e per sempre, custodi di pietra destinati a
un’immortale immobilità. Ma lo sguardo dell’archeologo sa vagare lontano, e di fronte
al relitto di una nave scovato tra le sabbie di un deserto, prova a lasciar libera la
mente e i pensieri, per inseguire le rotte invisibili che la nave ha percorso, quando
quel deserto era un mare, e quel mare un esteso ramo d’oceano. E raggiungere,
allora, le terre ancora sconosciute dove quel navigare ha trovato i suoi momenti
d’approdo. Così per O Annamarii, così per tutti quegli esiti di tradizione orale acquisiti
dalle nostre ricerche in Piemonte, in Toscana, Veneto, Lazio e altrove, che
pervicacemente ci s’ostina a chiamare “locali”, serrandoli a tripla mandata in polverosi
forzieri, riducendoli a solitari e desolati giganti di pietra. Ma quando di un canto
scovato tra le piccole case d’un paese in Val d’Ossola si vogliono inseguire le radici, è
facile imbattersi in un autentico labirinto di versioni del medesimo esito, che ci sanno
condurre lontano, sino a Trentino, Emilia e Abruzzo, e oltre, tra fiordi norvegesi,
brughiere scozzesi e nomadi deserti. 11
È un vero e proprio viaggio nel tempo e oltre il tempo, che non conosce confini o
barriere di lingua, religione o geografia: canti come vascelli, dalla prua esile e
33
Note
1. Macugnaga – situata all’estremità
settentrionale del Piemonte, alle pendici
del Monte Rosa – costituisce assieme a
quella di Formazza una delle colonie
Walser del territorio ossolano.
2. Si vedano come riferimento essenziale i
volumi di Enrico Rizzi (I Walser, Fondazione
Enrico Monti, Ornavasso, 2003) e Renzo
Mortarotti (I Walser, Edizioni Giovannacci,
Domodossola, 1979).
3. È stata recentemente compilata, e in
costante aggiornamento, una bibliografia
generale relativa alle colonie Walser alpine,
riportata nell’ambito del sito web http://
www.walser-alps.eu
4. In particolare, si vedano i volumi di Emil
Balmer (Die Walser in Piemont, Verlag. A.
Francke AG, Bern, 1949), Aristide Baragiola
(Folklore di Formazza, Arnaldo Forni
Editore, 1981; Folklore di Val Formazza e
Bosco Gurin, Fondazione Enrico Monti,
Ornavasso, 2003), Emily Gerstner-Hirzel
(Reime Gebete Lieder und Spiele aus Bosco
Gurin, Schweizerische Gesellschaft für
Volkskunde, Basel, 1985) e Max Waibel
(Die volkstümliche Überlieferung in der
Walserkolonie Macugnaga, Schweizerische
Gesellschaft für Volkskunde, Basel, 1985).
5. Si fa riferimento al Canzoniere di
Gressoney e di Issime, edito dal Centro
Studi e Cultura Walser di Gressoney,
Milano, 1991.
6. A tale scopo è stato intrapreso il
progetto Walser Lied, a cura
dell’Associazione Culturale Cantar Storie di
Domodossola (www.cantarstorie.com,
e-mail [email protected]), che ha sinora
censito e archiviato oltre 100 esiti in lingua
Walser, acquisiti nelle colonie piemontesi di
Macugnaga, Formazza, Rima, Rimella,
Alagna Valsesia, e nella colonia elvetica di
Bosco Gurin.
7. Nel caso specifico l’esperto di
riferimento è lo studioso elvetico Max
Waibel.
8. La scheda filologica è pubblicata in
Cantar Storie - volume 3, a cura di Luca e
Loris Bonavia, ed. Grossi, Domodossola,
2003, pag. 50 [ndr].
9. Il riferimento è al fenomeno del Folk
Revival, diffuso in Italia negli anni ’60 e ’70.
10. Il progetto, oltre alla creazione di un
archivio sonoro comprendente oltre 1.000
esiti acquisiti alla fonte, è confluito nella
pubblicazione di un’opera in tre volumi (il
quarto è attualmente in lavorazione),
pubblicata dall’Editore Grossi di
Domodossola negli anni 1999, 2001 e
2004, realizzati secondo una logica di
“doppio binario”, affiancando dunque per
ognuno degli esiti alla scheda filologica
una elaborazione corale rivolta a organici a
voci virili e a voci miste.
11. Naturalmente le considerazioni appena
esposte si riferiscono a esiti di natura
canto popolare
34
allungata, destinati a percorrere rotte pigre e raminghe, tra le
insondabili nebbie dell’Arcaico.12
Il “musicista archeologo”
Se O Annamarii è un punto d’avvio, da qui comincia la
seconda fase del nostro viaggio di ricerca. A svolgerla è una
nuova figura, che solo in rari casi coincide con il ricercatoreetnomusicologo: potremmo dire, semplicemente, il musicista,
ma qui non ci si trova di fronte solamente a un rigo musicale,
con note, pause e indicazioni di tempo. E nemmeno siamo di
fronte a versi “d’autore”, composti ieri o chissà quando da un
anonimo o ben noto poeta. Qui, dove ora siamo, non esiste
“autore”, così come è vana ogni presunta “datazione” del
nostro reperto. Testo e melodia coesistono, e forse un tempo
non era così, come entità distinte e ora abbracciate in
un’unica espressione. In più, come s’è detto, sotto al livello di
superficie, quello dell’esito acquisito alla fonte, s’estende
tutto un mondo di ramificazioni, biforcazioni e rimandi, tutto
un magma di ricordi umani e (lo si può presumere) preumani,13 un percorso che non si limita al semplice trascorrere
dei secoli, ma estende il proprio respiro ai millenni, e alle ere.
Dunque, chi a quell’esito s’accosta, non lo fa con la
“semplice” etichetta d’armonizzatore, ma è insieme un
sensibile uditore, un sagace e paziente archeologo, un
aspirante sciamano: saprà allora scostare con estrema cura la
sabbia del tempo, intravedere forme accennate nella nebbia,
rinunciare alla propria personalità per far spazio a quella,
appunto, impersonale, dell’Arcaico. Sarà l’arché a muover le
sue mani, dipingendo colori e sfumature sul pentagramma,
con silenzi, note e altri silenzi. E a ritrovare la voce di
Annamarii, così lontana, eppur, così vicina.14
La voce di Annamarii
Là c’è Annamarii, e – lontano – il suo compagno, impegnato a
combattere una guerra di cui nessuno sa qualcosa, nei
meandri di una terra solcata dai passi di oscuri cacciatori.
Là lui s’ammala, ed è dapprima sul punto di
morte, poi defunto, e la tragica nuova a lei
giunge. Nessuno s’aspetterebbe di sentirla
rispondere così: «Malato ch’egli è, malato resti…
un altro ch’è con me ne prese il posto». E poi,
ancora «Farò quel che vorrò, se è morto resti!»,
fino a quel tremendo «In sepoltura giace? E ben
vi resti!».15 Come leggere, e insieme accettare,
l’ostinato intercalare della protagonista? È forse un malcelato
tentativo d’esorcizzare il dolore, volendo aggirare ogni umana
convenzione e dileggiando il senso oscuro della morte? No,
signori. Semplicemente, e drammaticamente, dentro a
Annamarii scorre il lampo sanguigno della cattiveria, quella
che pervade nel profondo ciascuno di noi, e che spesso
sappiamo controllare, pur volendola ostinatamente
nascondere. È una sorta di sotterraneo tremore, quello che ci
sfiora ascoltando la famiglia Bettoli cantare, qualcosa che va
oltre l’apparente ottimismo della linea melodica, che si snoda
al di là del ritmo a fisarmoniche e del gaio dialogo tra le voci.
senza alcun intento consolatorio, dove agli ostinati “lamm” degli uomini (da battuta
39) le voci femminili riconducono alla tonalità originaria, dando il via a un finale
lancinante e fragoroso, simile a un unico urlo di rabbia malvagia.
Questo, anche questo, è l’Arcaico, capace di sconvolgerci e
annebbiarci, facendo vibrare corde lontane, che vivono
nell’autentica essenza del nostro profondo. Questa è la vera
voce, lo spirito oscuro, di una donna walser chiamata
Annamarii.
Ùn ts Annamarii, nel profondo
Ecco ciò che il musicista archeologo, nello specifico Paolo
Bon, ha saputo ritrovare e far rivivere, scegliendo tonalità di
rosso purpureo dalla sua tavolozza d’espressioni, senza
spazio per la luce. L’elaborazione esiste in due versioni, ma
quella che presentiamo è dedicata a un coro a voci miste,16 e
chiunque la potrà analizzare con la dovuta calma e nel
dettaglio. Ciò che preme ora è evidenziarne la valenza
“architettonica”, e l’assoluto senso di attenzione rivolta alla
tematica arcaica – letteraria e musicale – oggetto
dell’intervento elaborativo.
Nulla, nessuna scelta, nessun colore o frammento armonico,
sembra essere ideato per caso, e nemmeno – persino nei
L’archeologia musicale è una sfida
e assieme una conquista.
punti più intensi, e drammatici – la personalità artistica
dell’autore prevalica la potenza espressiva degli archaiòi tipòi
di cui poc’anzi abbiamo parlato.
Si veda – a mero titolo di esempio – la struttura delle prime
due strofe, dove al richiamo delle voci virili (dapprima i bassi,
quindi i tenori) risponde il coro, gradualmente o in modo
simultaneo. Con le modulazioni tonali che innestano
sfumature d’energia, e i movimenti delle parti, dapprima più
semplici, quindi complessi, il “solo doloroso” della battuta 25,
in improvviso “modo minore”, con le voci a far mesto eco di
campane sopra alla linea melodica del basso. Quindi il finale,
Dall’Arcaico all’Arcaico
Il percorso si concluderà, poi, con l’impegno del coro che decide d’affrontare Ùn ts
Annamarii, un rilevante impegno tecnico e insieme espressivo, da parte dei cantori e
del loro direttore, che avrà come obiettivo quello di raggiungere e coinvolgere il
pubblico degli ascoltatori. Ma di questo si parlerà in altre occasioni, discorrendo di
Coralità dell’Arcaico:17 preme ora evidenziare come ciò che s’è sinora delineato è un
vero e proprio viaggio, di ricerca e approfondimento, che affinché raggiunga i suoi
intenti richiederà un assoluto senso di cura, e – a ogni passo – di rigorosa attenzione,
da parte di tutti gli attori coinvolti: ricercatori sul campo, etnomusicologi, musicisti,
direttori di coro e cantori. Il risultato sarà, alla fine, un appassionante percorso ad
anello che comincia molto vicino a noi, tra le case di un villaggio alpino, poi
d’improvviso ci conduce lontano, nello spazio e nel tempo, finché ci s’avvede che
quel che abbiamo sfiorato è l’Arcaico, e quell’Arcaico vive dentro di noi, nuovamente
e innegabilmente molto vicino.
Per far questo, per comprendere ed evocare questa mirabile dicotomia, e una ferma
diffidenza nei confronti di quelle semplificazioni, affettive e consolatorie, che sovente
pervadono lo studio e la riproposizione del patrimonio tradizionale orale.
L’archeologia musicale è una sfida e assieme una conquista, e numerosi sono ancora
gli scogli e gli obiettivi da raggiungere, a partire dall’acquisizione e sperimentazione
di una vera e propria “linguistica musicale”, che solamente in tempi recenti ha visto
la luce. 18 Starà a noi, ricercatori, direttori di coro, musicisti e didatti, delinearne il
cammino e, con umiltà scevra da pregiudizi, saperne svelare ed esplorare gli
sconfinati orizzonti.
35
arcaica, e non ai cosiddetti “canti d’autore”,
che seppur a volte ispirati a tematiche orali
restano a tutti gli effetti “composizioni”.
12. Per un’esplorazione della tematica in
esame si veda il saggio elaborato da Paolo
Bon, Musica popolare: teoria dell’arcaico in
contrapposizione alla teoria del sociale
specifico, apparso sul n. 52 di «Diapason»,
periodico dell’Associazione Cori della
Toscana.
13. Si veda a tal proposito l’illuminante
opera di Carl Gustav Jung, Psicologia
dell’inconscio, ed. Universale Bollati
Boringhieri, Torino, 1968.
14. Un utile e illuminante riferimento è il
saggio di Paolo Bon, Poetica e tecnica
dell’intervento espressivo sulle fonti orali,
apparso su «La Cartellina», nn. 155, 156 e
158.
15. Si è qui scelto di riportare la traduzione
“libera” del testo, a cura di Paolo Bon.
16. Le elaborazioni sono pubblicate in
Cantar Storie - volume 2, a cura di Luca e
Loris Bonavia, ed. Grossi, Domodossola,
2001 (versione per coro a voci virili), e
Cantar Storie - volume 3, medesimi autori
ed editore, 2003.
17. Si vedano sul tema i numerosi saggi
scritti dall’Autore, e pubblicati sulla rivista
«La Cartellina», Edizioni Musicali Europee,
nel periodo 2006/2010.
18. Il riferimento è a La Teoria Evolutiva del
Diatonismo e le sue applicazioni di Paolo
Bon, Editore Giardini, Pisa, 1995.
portraiT
36
AFFASCINATO DALLA VOCE UMANA
Intervista ad Antonio Sanna
a cura di Franca Floris
direttore del complesso vocale di nuoro
Con piacere ho accolto l’invito rivoltomi da Feniarco a
intervistare Don Antonio Sanna pur conoscendone la naturale
riservatezza e il sincero “fastidio” a ritrovarsi al centro
dell’attenzione.
Caro Don Sanna, grazie per aver accettato di rispondere ad
alcune domande sulla sua esperienza di direttore di coro
maturata nel corso di più di 50 anni di attività.
La domanda più ovvia: come si è avvicinato alla musica e
quanto è stato determinante il luogo di nascita? Ci sono delle
figure di riferimento o delle situazioni che sono state
importanti per lo sbocciare della sua predisposizione
musicale?
Sono nato a Bottida, piccolo centro montano del Goceano
(regione della Sardegna) e ho iniziato lo studio della musica
sin dalla prima infanzia sotto la guida di mio padre, organista
della parrocchia del paese.
Sono dunque entrato in contatto precocemente con quei
generi di musica vocale più praticati nel mio paese: il canto
gregoriano, quello dei Tenores e del Cuncordu.
Mio padre mi portava sempre in chiesa. Questo mi fece capire
che si potevano conciliare due cose: il credere e il fare
musica. Impazzivo per le moto e dicevo sempre che da
grande avrei voluto fare il motociclista. Quando però vedevo il
parroco della mia Chiesa capivo che mi sarebbe piaciuto
diventare prete. Un giorno vidi il parroco di un paese vicino in
moto, capii che il problema poteva essere risolto.
La frequenza del Seminario immagino abbia avuto molta
importanza nella sua formazione, oltre che di uomo di
Chiesa, anche di musicista. Quando e perché ha deciso che si
sarebbe occupato del coro piuttosto che dell’organo,
strumento che lei suona con disinvoltura?
Entrato nel seminario vescovile di Ozieri prima e in quello di
Sassari dopo la terza media, ho avuto la fortuna di avere dei
bravi insegnanti che mi hanno ben guidato tanto da diventare,
a soli quindici anni, l’organista dell’istituto accompagnando
all’organo i canti della comunità allora fiorente e il coro
nell’esecuzione di mottetti e messe (Perosi, Vittadini, Oltrasi,
Campodonico ecc.). Frequentando il liceo e gli studi teologici
nel seminario regionale (circa 300 seminaristi) a Cuglieri ho
proseguito gli studi con la guida del maestro Egidio Boschi
che mi ha “fornito” del corredo necessario per un musicista:
l’armonia e il contrappunto. Quando il maestro Boschi
mancava per me era una gioia: infatti le sue assenze spesso
avvenivano nei tempi più interessanti della liturgia e cioè a
Natale e Pasqua e così avevo mano libera nella scelta dei
brani e dei coristi (riducendone il numero da cento a
trentacinque per migliorare la qualità dell’esecuzione).
Quanto il suo essere uomo di chiesa influisce sul direttore di
coro e quanto il direttore di coro influisce sull’uomo di
chiesa? Ancora: crede che l’essere direttore di coro sia stato
utile per il parroco e che essere parroco sia servito al
musicista?
Ci sono stati dei momenti in cui mi sono chiesto quale strada
dovessi seguire. Mi rendevo conto però che senza l’esperienza
del presbiterato non avrei mai sviluppato alcune qualità di
musicista. Del resto, se mi fossi dedicato solo all’impegno
sacerdotale mi sarebbe mancato qualcosa sul piano spirituale.
Anzitutto sarebbe venuto meno il contatto con i giovani che
mi permette di non essere fuori dalla vita, ma dentro. Quando
faccio il musicista e il direttore di coro sembra quasi che io
sia ateo e assumo questo atteggiamento per il rispetto che
nutro per la sensibilità di ciascuno. Sono certo però che
quando faccio musica, ai coristi e al pubblico passa la
spiritualità che mi guida. Dico sottovoce (per pudore), che le
prove e l’esecuzione del coro sono la mia “preghiera”. E
aggiungo per l’ascoltatore silenzioso: “Tibi silentium laus”,
per te (Signore) il silenzio è lode (salmo 61).
È quanto non hanno capito molti preti e qualche vescovo che
vedono il coro come un ostacolo alla preghiera liturgica.
Tutta la musica sacra, per essere ben eseguita, ha bisogno di
un minimo di spiritualità che anche il cosiddetto “ateo” può
avere. La mistica è di ogni uomo.
Come nel canto gregoriano c’è simbiosi assoluta tra il canto
corale e la mia attività pastorale che è la più aperta possibile
all’umanità intera. Ecco l’importanza dell’ascolto di tante voci
diverse che solo un bravo direttore di coro (un uomo
spirituale) sa unificare fino a farne sentire una sola.
Caro maestro, tra i vari generi musicali affrontati mi par di
capire che il canto gregoriano occupi un posto privilegiato e
non solo come strumento utile alla liturgia ma anche per
l’educazione vocale del coro: può spiegare secondo lei perché
avvicinarsi al canto gregoriano sia così importante per la
formazione del direttore di coro e del coro stesso?
Ogni volta che devo costruire o ricostruire il coro perché sono
state immesse voci nuove, ricorro al gregoriano. Unisono di
voci, vocalizzo, morbidezza del suono, fraseggio, respirazione,
simbiosi fra testo e musica, tutto questo è il canto gregoriano
oltre che pura preghiera cantata.
Come ricorda il Coro Polifonico Turritano nei suoi primi passi,
i concerti, i concorsi, le difficoltà affrontate, i primi successi
fino alle affermazioni internazionali e ai numerosi premi
anche discografici?
Nel 1958 trasferito a Porto Torres ho pensato subito di creare
un coro e questo mi ha salvato dalla tristezza che ho provato
entrando nella comunità cristiana di Porto Torres dove i preti
erano molto distaccati dal popolo. La parrocchia di Sassari,
dove stavo precedentemente, era vicina alla gente. Quando
sono arrivato a Porto Torres ho sentito il freddo del passaggio
da una parrocchia popolare, viva, pregnante a una in cui si
rispettava l’ufficialità del prete.
Il coro mi ha dato un forte calore umano.
Nel 1963 la prima esperienza di Arezzo. È stato un disastro.
Il coro aveva sprecato durante il viaggio tutte le energie che
doveva manifestare nel concorso: cantate a squarciagola in
nave e in treno. La pioggia che ci accolse al nostro arrivo
completò l’opera. La maggioranza dei cantori non aveva più
voce.
Ma fu egualmente positivo perché il coro ebbe la possibilità,
su mio preciso ordine, di ascoltare tutti cori partecipanti.
Fu il primo passo verso la crescita.
Ecco come iniziò la storia del Turritano che nel corso degli
anni ha conquistato oltre 40 premi in concorsi internazionali.
Come è nata l’idea di fondare i Cantori della Resurrezione?
Ho fondato nel 1971 i Piccoli Cantori della Resurrezione come
attività parrocchiale ed eventualmente preparare i nuovi
coristi del Turritano. Nel 1986 i Cantori della Resurrezione
sono diventati un gruppo autonomo. Cominciavo a sentire che
l’esperienza precedente stava per finire. Il coro giovanile era
cresciuto e maturato con me e la sintonia umana, spirituale e
artistica con loro era totalmente “altra”. Ho studiato con loro
il canto gregoriano ed eseguito numerosi concerti in
Sardegna, in Italia e all’estero col Canto delle Pietre e sacre
rappresentazioni.
37
Dal settembre 1996 ho deciso di lasciare il Coro Polifonico
Turritano e di dedicarmi esclusivamente ai Cantori della
Resurrezione. In quel momento mi sono sentito nuovamente
giovane. Ho ripreso con l’ardore di un neofita. Ne ha
guadagnato la salute e la gioia di vivere. Sono stati questi
ultimi anni veramente felici. I Cantori sono stati invitati al
Festival dei due Mondi di Spoleto (conserviamo nella sede le
foto e l’abbraccio di Giancarlo Menotti). La Fondazione G.P. da
Palestrina ci ha invitato quattro volte insieme a gruppi di
altissimo livello: Pro Cantione Antiqua, The Hilliard Ensemble,
The Tallis Scholars e i Cantori a concludere. Un grandissimo
onore.
Ho potuto realizzare molti sogni tenuti per anni nel cassetto:
La rappresentazione di Anima et di Corpo di E. De’ Cavalieri,
L’Ordo Virtutum di Hildegarda von Bingen rappresentata
scenicamente, diciassette messe a cappella e con strumenti,
ma sopratutto gli oratori di Natale e di Pasqua, il Magnificat
(con strumenti antichi), e tutti i Mottetti di J.S. Bach.
Antonio Sanna____
Nato a Bottida (SS) il 15 maggio 1932, ha iniziato lo studio della musica in tenera età sotto
la guida del padre, organista.
È stato ordinato presbitero a Sassari nel 1956 da Mons. A. Mazzotti.
Nel 1959 ha fondato il Coro Polifonico Turritano con il quale ha vinto numerosi primi premi
in concorsi internazionali (Premi Fides a Pescara, Gorizia, Arezzo, Tolosa) e nazionali.
Nel 1986 fonda i Cantori della Resurrezione con il quale svolge intensa attività
concertistica. Ha registrato con il coro Polifonico Turritano per la Fonè due cd di
composizioni di G.P. da Palestrina premiati con “Choc de la Musique”; cinque cd con i
Cantori della Resurrezione: due di canto gregoriano, uno di musiche polifoniche (Palestrina,
Lasso, Purcell, Pärt) e un cd per la Bongiovanni di musiche di G.B. Platti.
Nel 2007 è stato insignito del Premio “Una vita per la direzione corale” istituito dal
Concorso Internazionale Seghizzi di Gorizia.
portraiT
38
tradurre il segno neumatico in canto. Le sue lezioni mi sono
servite per tutta la musica vocale diretta in seguito. Mi hanno
permesso di migliorare anche il modo di fraseggiare nella
polifonia.
Prima di morire mi ha fatto spedire da Solesmes l’omaggio
dell’Antifonale Manoscritto di S. Gallo che conservo come una
reliquia.
Immagino che ci siano stati tanti incontri con musicisti; può
dirci se qualcuno di loro si è rivelato particolarmente
importante nella sua formazione di direttore di coro e
perché?
Ho avuto la fortuna di non aver avuto un solo maestro, ma
tanti lungo tutta la vita. Mi sono ispirato a loro e continuo
ancora a farlo. Quando posso non manco ai concerti corali
anche di cori di modesta levatura. C’è sempre da
imparare.
Ma sento il dovere di fare due nomi: il maestro
Piero Guarino e il maestro Luigi Agustoni.
Il primo: grande e completo musicista, pianista e
direttore d’orchestra, raffinato e colto. C’è stato
con lui un sodalizio umano e artistico durato
diversi anni. Primo direttore e fondatore del
Conservatorio Luigi Canepa di Sassari, ha voluto
conoscermi convocandomi nel suo ufficio e chiedendomi la
collaborazione per le attività che richiedevano un coro. Alla
mia sorpresa espressa con «come mai senza averci sentito?»,
rispose «ho capito chi eravate dalla stesura dei programmi».
Ci ha presentato alla città di Sassari non benevola per chi
veniva dalla periferia. Con lui sono stati realizzate opere
sconosciute al mondo musicale sassarese: il Vespro della
Beata Vergine di Monteverdi, il Christus di Liszt (anche a
Parma), l’Ode a S. Cecilia di Händel, l’Orfeo e Euridice di
Gluck, il Magnificat e la Messa in si minore di Bach, per dire
le opere più importanti. Ma a me personalmente rimangono le
lunghe conversazioni dove ho conosciuto le sue esperienze
parigine col gruppo dei “sei”.
Aveva una cultura filosofica e umanistica incredibile. Nella
direzione orchestrale era raffinatissimo: nessun gesto che non
fosse al servizio della musica. Gli piaceva tanto fare “musica
con” non “sugli altri”: una lezione di vita.
Luigi Agustoni venne a sue spese a Porto Torres, rifiutando
qualsiasi compenso. Rimase con me per diversi giorni
aggiornandomi sugli ultimi studi e soprattutto su come
Mi pare di aver capito che la sua formazione musicale sia
stata, almeno per la direzione di coro, quella di un
“autodidatta”: conosco la sua passione, l’impegno, la
determinazione (da sardo!) e la naturale predisposizione alla
musica tout court, ma c’è senz’altro dell’altro… Ci può
passare la ricetta?
Come didatta di canto corale curo particolarmente il testo,
dal quale ricavo, come era in uso presso gli antichi musici,
il timbro, la variazione dinamica del suono, l’articolazione,
a respirazione e il fraseggio.
Si deve comunque avere una buona cultura e non solo
musicale. Il mio insegnamento corale è fatto di comparazione
continua con le arti letterarie e figurative. Spesso mi faccio
aiutare da letterati, artisti e per la musica sacra da biblisti.
È necessario far conoscere ai cantanti molta letteratura
musicale dell’autore che si intende eseguire. Difficilmente con
i miei cori eseguo un solo brano per autore. Ci sono gli anni
Come per il gregoriano la polifonia
non ammette mediocrità.
di Palestrina, quelli di Lasso, quelli di De Victoria, di
Monteverdi, di Mozart, di Bach, di Pärt ecc.
Il compositore deve diventare uno di famiglia, deve essere
frequentato. L’insegnamento di Guarino: frequentare l’autore.
E poi… la capacità di trasmettere all’ascoltatore le emozioni
che il corista sente mentre canta. Il direttore di un coro
amatoriale deve costruirsi lo strumento. La mia felicità è
vedere e sentire coristi “presi dalla strada”, cantare a volte
anche meglio di professionisti, Palestrina o Bach. Ho sentito
cori professionali (con tanto di diploma in canto) calare
paurosamente o cantare senza far musica. Come parlare per
delle ore senza dire niente.
G.P. da Palestrina, C. Monteverdi, J.S. Bach sono alcuni fra
gli autori che lei ha maggiormente “frequentato” con i suoi
cori e che anche lo hanno fatto conoscere al mondo della
coralità: le Messe, i Mottetti e i Madrigali, i Salmi, gli
Oratori, musica che non si sente tanto facilmente soprattutto
da cori di “dilettanti” e che ha bisogno di un’attenzione e di
una preparazione particolare e accurata.
39
Sarà per questo che oggi i nostri cori eseguono sempre
meno musica antica e sempre di più programmi dei concerti
sono incentrati su gospel, spiritual, elaborazioni di canti
popolari, di musica leggera, pop ecc. Brani più facili per il
cantore e per l’ascoltatore come anche una certa letteratura
corale contemporanea non sempre di qualità?
Faccio eseguire molta musica rinascimentale. Ritengo sia la
più difficile. Quella contemporanea lo è solo apparentemente.
Una volta “letta” bene dà un prodotto finito, mentre non si
finisce mai di studiare una messa e un mottetto di Palestrina
o di autori del suo tempo. Ecco la ragione della scarsa
presenza di autori rinascimentali nei programmi. Questo vale
anche per l’ascoltatore. Come per il gregoriano la polifonia
non ammette mediocrità.
Allora si va sul sicuro: applausi per il contemporaneo e
disinteresse per l’antico. Io resisto! Non mi interessano gli
applausi. I miei giovani coristi quando hanno appreso che
nell’immediato futuro ci sarebbe stato “Palestrina”, hanno
sobbalzato di gioia. Mi sono commosso.
Nonostante ciò lei esegue tanta musica contemporanea, ha
inciso Pärt, Merkù… quindi pensa che sia utile avvicinarsi ai
vari periodi e generi della letteratura corale.
Senz’altro avvicinarsi a tutti i generi e i periodi è non solo
importante e utile ma anche doveroso per un buon direttore
di coro. Certo ho eseguito tanta musica contemporanea anche
come prime esecuzioni assolute di autori quali Pezzati,
Semini, Merkù ed altri (Merkù e Bettinelli ci hanno dedicato
delle composizioni).
La sua attività di musicista non si limita alla direzione di
coro ma lei è anche organista e soprattutto compositore; ha
scritto tanti brani di polifonia “classica” in particolare sacra,
ma vorrei che parlasse delle sue elaborazioni di musica
popolare sarda destinata a varie formazioni corali che sono
state raccolte in tre volumi.
Certo ho eseguito anche concerti d’organo, ma la mia
attività pastorale non mi ha permesso di continuare in
questa direzione. Mi sono dedicato allora solo al coro.
Sono affascinato dalla voce umana. È lo strumento che mi
piace di più specialmente senza accompagnamento
strumentale, perché se usato a dovere è un tutt’uno con
l’esecutore.
Compositore lo sono diventato per esigenze pratiche. Ho
quasi sempre scritto i miei brani con l’urgenza di realizzarli
per una determinata occasione concertistica, piuttosto che
per seguire il mio libero estro. Forse è per questo che non
mi sono mai sentito un vero e proprio compositore. Non
trovavo interessanti le composizioni ispirate alla tradizione
orale sarda, tolto forse il grande Porrino, allora ho fatto dei
tentativi ma solo per i miei cori. Poi mi sono accorto che i
miei brani giravano per l’Europa a mia insaputa. A questo
punto mi sono deciso a curarne la pubblicazione
(Pizzicato).
Da tanti anni lei è presente nelle giurie di concorsi corali
nazionali e internazionali spesso in veste di presidente.
Se fa un raffronto con quando lei incominciò a muovere i
primi passi sui vari palcoscenici di Arezzo, Gorizia, Tours e
via di seguito, cosa può osservare in merito alla
partecipazione dei cori non professionali italiani e alle loro
esecuzioni?
E infine: ritiene sempre utile per la crescita del coro e del
direttore la partecipazione a un concorso?
Ho visto crescere la qualità dei cori italiani a vista d’occhio,
specie in questi ultimi anni. A volte ho trovato cori italiani
migliori di molti stranieri.
Aggiungo che è notevolmente cresciuto il numero dei bravi,
perché alcuni davvero buoni c’erano anche prima; penso per
esempio al coro Corradini di Arezzo diretto da Fosco Corti e ai
Cantori di Santomio di Malo diretti da Piergiorgio Righele.
Quali sono i suoi programmi attuali e futuri con i Cantori
della Resurrezione?
Nell’immediato futuro: gregoriano, Palestrina e Pärt.
ASSOCIAZIONE
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INTERVISTE AI DOCENTI
a cura di Sandro Bergamo
LUIGI LEO
alpe adria
cantat 2011
di Alvaro Vatri
Con il concerto tenuto dalla Familienmusik Wilhelmer (Carinzia) seguita dal Coro Montecimon di
Miane (Treviso) diretto da Paolo Vian, ha preso il via, sabato 27 agosto, la settimana cantante Alpe
Adria Cantat presso il Villaggio Ge.Tur. a Lignano Sabbiadoro.
Vediamo subito i numeri dell’edizione 2011: oltre 400 partecipanti, provenienti da 15 paesi (Belgio,
Brasile, Francia, Germania, Italia, Portogallo, Norvegia, Regno Unito, Russia, Slovenia, Spagna, Stati
Uniti, Svezia, Svizzera, Venezuela), che hanno frequentato i cinque atelier attivati. Il più affollato è
risultato quello di Musica per cori di bambini (con 118 presenze), tenuto da Luigi Leo, seguito dagli
81 partecipanti all’atelier di Spiritual & Gospel (docente Walt Whitman), e poi i 66 di Musica
Sudamericana (docente Ana María Raga), i 44 di Vocal pop jazz (con Stephanie Miceli) e i 40 di
Musica Romantica con Jan Schumacher. Sono numeri di tutto rispetto che riportiamo non per
autocompiacimento o per dare importanza solo alla “quantità”, ma per sottolineare come Alpe Adria
Cantat si conferma, anno dopo anno, come un appuntamento importante e gratificante sia per la
qualità delle proposte musicali e dei docenti invitati a realizzarle, sia per l’impeccabile
organizzazione che rende gradevole e stimolante trascorrere una settimana immersi nella musica e
in un clima ancora stupendamente estivo quale quello di quest’anno. Nella cornice della settimana
cantante si sono inserite due importanti presenze: uno stage del Coro Giovanile Italiano, diretto da
Dario Tabbia e Lorenzo Donati, con relativo concerto in villaggio lunedì 29 agosto, riproposto martedì
30 nella suggestiva Basilica di S. Eufemia a Grado, e un meeting della Commissione Giovanile di
Feniarco che ha saputo trarre dall’atmosfera generale linfe progettuali molto interessanti.
I cori partecipanti hanno inoltre tenuto concerti nel territorio friulano (a Trieste, Sacile e a Palazzolo
della Stella) accolti con cordialità e spirito di amicizia dai cori locali. La settimana si è conclusa con il
gran concerto di gala dei partecipanti agli atelier nel Palazzetto dello Sport del Villaggio, al quale hanno
presenziato il presidente di ECA-Europa Cantat e di Feniarco Sante Fornasier, Nando Catacchini e
Cristina Redi dell’Act Toscana, Federico Driussi dell’Usci Friuli Venezia Giulia, Luigi D’Orazi dell’Arcl Lazio
e Andrea Venturini della Commissione Artistica Usci Friuli Venezia Giulia. Non è mancata la presenza del
direttore di Choraliter Sandro Bergamo che ha redatto i comunicati stampa e ha realizzato interviste per
l’ormai immancabile notiziario Flash, curato da Pier Filippo Rendina. Lo staff (Sabrina Pellarin, Marco
Fornasier, Annarita Rigo, Michela Francescutto, Elisa Olivier, Matteo Donda, Paul Mariuz, Claudio
Cordelli, Giampiero Celotti e Denis Monte) ha operato con la consueta professionalità, molto apprezzata
da tutti gli ospiti che l’hanno manifestata con calore, e infine mi sia concesso esprimere il piacere di
esser stato ancora una volta il conduttore del concerto di gala. Ora ci aspetta Torino 2012!
Anche quest’anno l’atelier di voci bianche è il più frequentato
ad Alpe Adria. La coralità è dunque sempre più presente tra i
bambini e i giovani italiani?
Sembrerebbe proprio così. Finalmente l’attività corale
comincia a essere considerata un percorso importante per la
formazione del bambino, e non solo; se non si coltiva l’amore
per la coralità da piccoli non potrà esserci futuro per i cori. Si
è compreso che la coralità infantile dovrebbe essere alla base
della formazione non solo del cantore ma anche del futuro
fruitore di musica, di colui che ascolta con capacità critica
senza lasciarsi travolgere da quello che il business “impone”.
Feniarco, ECA - Europa Cantat, Ifcm, molto stanno investendo
nel dedicare interi eventi alla coralità infantile e giovanile.
Come vedi la situazione del coro nella scuola italiana di
oggi? C’è consapevolezza del valore formativo del canto
corale?
Non abbastanza. A parte poche e isolate iniziative questa
consapevolezza è assente, a partire da chi dovrebbe dare le
“indicazioni nazionali”. Spesso si limita la bontà delle attività
corali scolastiche all’aspetto esteriore e all’impatto emotivo nel
vedere tanti “piccoli cantori”, a prescindere dal risultato sonoro
e in alcuni casi il coro è solo un mezzo per promuovere la
propria scuola, quindi, più si è, meglio è. Studi recenti hanno
dimostrato invece che fare musica, e fare musica corale,
“dona” stimoli celebrali, cognitivi, creativi, sociali e contribuisce
in maniera sostanziale allo sviluppo armonico e globale del
bambino. Basti leggere l’articolo pubblicato sul Corriere della
Sera del 23 febbraio 2010 scritto da Adriana Bazzi: «L’ora di
musica a scuola è una “vitamina” per il cervello».
Il tuo ruolo di direttore e docente alla Scuola Superiore
Biennale per Direttori di coro di voci bianche nella scuola
primaria ti consente di conoscere molti futuri direttori di coro.
Con che spirito si accostano a questo mondo?
L’approccio iniziale, nella maggior parte dei casi, è abbastanza
superficiale. Poco si considerano le competenze necessarie
per affrontare le dinamiche insite nella gestione di un coro di
voci bianche, ancor più per un coro scolastico, e per questo
restano abbastanza disorientati quando si ritrovano a dover
affrontare una serie di materie (anche poco comuni!). Per
contro, incoraggiante è l’entusiasmo con il quale questi futuri
direttori, man mano, si dedicano al mondo delle voci bianche.
ALPE ADRIA
Tra poco usciranno due nuovi volumi di Giro Giro Canto. Come
ha inciso il lavoro editoriale di Feniarco sul rinnovamento del
repertorio per i cori di voci bianche?
Ha inciso molto. Come ho detto precedentemente le grandi
federazioni corali hanno inteso che bisogna investire in
questa fascia d’età. Il comporre per cori di voci bianche
viaggia su un binario parallelo a quello della crescita e
diffusione (consapevole) degli stessi in Italia. Fino a qualche
anno fa non c’era probabilmente consapevolezza o volontà da
parte dei compositori di scrivere per questa formazione. Le
edizioni di Feniarco hanno dato quell’input per far avanzare il
treno della coralità su questi due binari così meravigliosi.
WALT WITHMAN
In che direzione si sta evolvendo il gospel in America?
La musica gospel si sta incamminando sempre di più sulla
strada della musica commerciale; ha come obiettivo quello di
rivolgersi a un pubblico sempre più largo e sempre più
eterogeneo comprendendo, da qualche anno a questa parte,
anche le persone nate e vissute nel mondo della musica
classica.
Quanto è legato il gospel
alle sue origini afroamericane e cosa cambia
nel trasferirlo a un
pubblico e a degli esecutori
europei?
Sì e no! Il gospel è
strettamente legato alle
sue origini afro-americane
in quanto è qualcosa che
nasce dalla profonda
coscienza spirituale,
qualcosa che è racchiuso fortemente nello spirito di ognuno;
d’altra parte no perché cantare il gospel è estremamente
semplice, facile, spontaneo e immediato. Ci sono tantissimi
nuovi cori gospel in Europa, in particolare in Svezia e
Germania, e la gente è attratta da questo genere perché le
persone amano quelle canzoni che conquistano il pubblico
molto velocemente.
Che cosa pensa del gospel cantato dagli europei?
Il gospel in Europa si sta evolvendo molto rapidamente e
anche in Europa sta diventando sempre più di pubblica
conoscenza. La differenza con gli Stati Uniti sta nel fatto che
nei paesi europei si canta quel genere di gospel tradizionale,
il negro-spiritual, che negli Usa ormai è parte di una lunga
tradizione, ma non più tanto eseguito. Il pubblico europeo è
alla ricerca di quei brani famosi ormai da tutti conosciuti.
In America il gospel viene eseguito solo in ambito liturgico o
viene proposto anche in forma di concerto e per questo non
necessariamente con valenza religiosa?
Assolutamente no! Come detto sopra, il gospel in America è
sempre più commerciale, rivolto a un pubblico che ha nuove
esigenze e nuove domande, perciò il gospel non solo non è
più legato esclusivamente alle funzioni religiose e quindi
eseguito anche in luoghi profani, ma è anche sbarcato sul
piccolo e grande schermo.
42
Il repertorio contemporaneo francese e inglese
per i giovani direttori di coro
di Pierfranco Semeraro
French and English repertoire of the 20th Century: questo è il
titolo della sesta edizione dell’Accademia europea per
direttori di coro e cantori che Feniarco ha realizzato a Fano
dal 4 all’11 settembre 2011 in collaborazione con European
Choral Association - Europa Cantat. Docente la francese
Nicole Corti, già direttore di coro, responsabile pedagogico a
Notre Dame di Parigi e attualmente docente di direzione
corale presso l’Accademia Nazionale di Musica e Danza di
Lione (uno dei due conservatori superiore del sistema
musicale francese).
A prendere parte all’esperienza formativa ventitre musicisti
provenienti dalla Bielorussia, Francia, Germania, Italia, Paesi
Bassi, Serbia, e dalla Turchia. I giovani allievi, in un percorso
quotidiano con la docente, hanno affrontato l’analisi delle
composizioni oggetto di studio lavorando poi sulla tecnica
della direzione, della concertazione oltre che sulla vocalità e
sulle problematiche vocali avendo a disposizione un coro
laboratorio ben assemblato e preparato dal maestro Lorenzo
Donati, il quale ha anche ricoperto il ruolo di direttore
artistico della 38 a edizione dell’Incontro Internazionale
Polifonico “Città di Fano”. Infatti l’Accademia si interseca da
tempo oramai con gli eventi artistici della kermesse fanese
che propone nel corso della settimana interessantissimi
eventi concertistici. A collaborare al riuscito svolgimento
dell’Accademia per direttori sono tra l’altro il Comune di Fano
e il Coro Polifonico Malatestiano.
Per gli allievi dell’Accademia le proposte musicali dell’Incontro
Polifonico hanno certamente rappresentato un valore
aggiunto di indubbio interesse avendo in serata la possibilità
di assistere a eventi corali estremamente interessanti: dal
Requiem di Duruflè eseguito dal sempre puntuale Vox Cordis
di Arezzo al Coro Malatestiano che ha proposto un
interessante esecuzione del Requiem di Faurè; dal Coro
Dnipro di Kiev al Coro Città di Roma sino ad arrivare al Coro
Giovanile Italiano con una proposta repertoriale partita dal
lontano ’500 per arrivare al Contemporaneo Italiano.
E proprio il repertorio corale contemporaneo, anche se di
matrice inglese e francese, è stato attore principale della
sesta edizione dell’Accademia. Sotto la guida attenta e
raffinata della Corti si è affrontata la Messe à double choeur
di Frank Martin, lavoro poliedrico e complesso, composto tra
il 1922 e il 1929 e articolato nel Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus
e Agnus Dei che il musicista svizzero lascia però nel
“dimenticatoio” per oltre 40 anni considerandola una
“questione” personale tra lui e Dio, sino alla prima
esecuzione del 1963. Le Trois chansons di Maurice Ravel
hanno permesso ai giovani direttori di confrontarsi con alcune
pagine di raffinata elaborazione appartenenti al
contemporaneo francese: la prima, Nicolette, è la rivisitazione
in chiave ironica della favola di Cappuccetto Rosso che nel
bosco incontrerà un bel giovane a cui preferirà però un
vecchio lupo con le tasche piene di soldi; la seconda, Trois
beaux oiseaux du paradis, è un testo contro la guerra; la
terza, Ronde, è una chiara allegoria in cui gli anziani cercano
di tenere lontane le fanciulle e i giovinetti dal bosco perché
infestato di pericolosi satiri, stregoni, diavoli demoni, lupi
mannari, incantatori, fantasmi, megere, ciclopi. L’Hymn to
St. Cecilia di Benjomin Britten poi, tratto da una poesia di
W.H. Auden scritta tra il 1940 e il 1942, segue la tradizione
compositiva delle odi e permette ai giovani direttori
partecipanti di dirigere una pagina raccolta e tenera che il
coro laboratorio ha permesso essere eseguita con estrema
cura. Ultimo capolavoro a essere affrontato nel corso
dell’Accademia è Il Coro dei Malammogliati, composto da
Luigi Dallapiccola, su testi di Michelangelo Buonarroti il
Giovane (nipote del grande Michelangelo) tra il 1933 ed il
1936. È tratto da Sei cori di Michelangelo Buonarroti, lavoro
corale concepito organicamente ma suddiviso in tre parti
indipendenti e distinte per carattere e forma, ciascuna
comprendente due cori in netto contrasto tra di loro. Il Coro
dei Malammogliati è del 1933, è per voci miste senza
accompagnamento e ha permesso ai direttori di cimentarsi
alla direzione di una pagina dalla struttura strofica
estremamente chiusa e difinita. Il concerto conclusivo ha
chiuso l’Accademia permettendo al pubblico di assistere a un
concerto elegante attraverso il quale ci si è congedati
dall’Accademia dandosi appuntamento a settembre 2013 per
la settima edizione dell’Accademia europea per direttori di
coro.
IL PIù GRANDE
CORO D’ITALIA
alla seconda edizione del Salerno Festival
salerno
di Amedeo Finizio
Il Salerno Festival è ormai un’acclarata realtà!
Una seconda edizione che prelude già a una
terza ha il giusto significato programmatico e non
estemporaneo di una manifestazione che
rappresenta per la coralità nazionale la possibilità
di contare su un appuntamento annuale, e per la
città di Salerno e la sua suggestiva Costiera
Amalfitana un evento che ha in sé le
caratteristiche di arte, cultura e turismo. Il fatto
che oltre duemila coristi siano arrivati da ogni
parte d’Italia, con la gioia di vivere attraverso il
canto corale, rappresenta, senza ombra di
dubbio, “un beneficio sociale” per il territorio.
È proprio in questa caratteristica di larghissima
partecipazione che l’aspetto artistico del festival
assume validità se essa è vista nell’ottica dello
spirito di apertura, di arricchimento, di confronto
e di interscambio umano e musicale. Inoltre il
valore aggiunto lo ha dato il vivere stili musicali
differenti, sia negli atelier di studio, sia nella tre
giorni di concerti, in cui tutti i partecipanti hanno
potuto sperimentare un confronto emozionale,
con la giusta tensione che si respirava durante
l’avvicendarsi dei cori, a dimostrazione di quanta
voglia di fare bene anima, comunemente, lo
spirito di ogni corista e direttore. Gli atelier
hanno rappresentato momenti di vera
condivisione, in cui coristi di varie estrazioni
artistiche si sono impegnati a “fare coro”
insieme, sotto la guida di nuovi direttori. Dunque
un’offerta culturale che ha soddisfatto ogni
aspettativa artistica, e che fa, comunque, intuire
un suo maggiore incremento, dato il progressivo
aumento dei cori partecipanti, in controtendenza
a una crisi generale che caratterizza questi tempi.
Queste le considerazioni che ci sentiamo di
condividere con il maestro Roberto Maggio,
direttore di coro, docente presso il Conservatorio
Cimarosa di Avellino, componente della
Commissione Artistica regionale dell’Arcc e
ASSOCIAZIONE
44
componente della Commissione Artistica nazionale di
Feniarco. Dunque una conclusione di successo, che ha
raddoppiato quello dello scorso anno, al Salerno Festival
– secondo Festival Corale Nazionale – che Salerno e la
Costiera Amalfitana hanno ospitato dal 3 al 6 novembre
scorso. La perfetta organizzazione – curata da Feniarco in
collaborazione con l’Arcc Associazione Regionale Cori Campani
– ha completato il successo della manifestazione.
Un ringraziamento anche al Comune di Salerno e al
suo sindaco Vincenzo De Luca, presente, nell’arco
dell’evento, con Ermanno Guerra, Enzo Maraio e
Alfonso Bonaiuto, rispettivamente assessori
comunali alla cultura, turismo e bilancio,
amministratori attenti e sensibili, da sempre vicini
al festival.
Che dire, poi, dell’accogliente e ospitale città di
Salerno, trasformata in un fantasmagorico universo, con
pianeti e costellazioni, ricostruite da artistiche luminarie – le
cosiddette Luci d’Artista – voluto dall’amministrazione
comunale della città, lungo un percorso magico di 27
chilometri all’interno della città. Una mostra luminosa che
richiama, cosa che avviene già da qualche anno, moltissimi
visitatori da tutta Italia e da tutto il mondo. Ricordiamo, come
riferito dal sindaco Vincenzo De Luca, che l’iniziativa del
festival corale ha trovata la sua giusta accoglienza in una
città che da sempre ama l’arte, la cultura, la musica, i
musicisti. Lo dimostra l’attività del conservatorio di musica,
quella, inoltre, dei molti artisti nati in una provincia dove la
creatività è di casa, e la stagione lirica e sinfonica, diretta dal
grande Daniel Oren, presente nel cartellone del Teatro Verdi.
Istituzioni a parte, anche se questa edizione del festival ha
dovuto fare i conti con il difficile momento che la politica
italiana continua a vivere, l’Associazione Regionale Cori
Campani si è stretta intorno al suo presidente Vicente Pepe,
collaborando attivamente con Feniarco per la buona riuscita
dell’avvenimento il quale, ormai, è entrato a fare parte degli
appuntamenti fissi del calendario della Federazione nazionale.
Ampia la soddisfazione del presidente Pepe, pur nella
speranza che qualcosa cambi in Italia e tra le istituzioni della
nostra regione, soprattutto a favore di chi è impegnato, da
sempre, nel mondo della cultura, dell’arte, della musica, del
canto.
Ed eccoci, finalmente, ai protagonisti della tre giorni della
grande coralità: 70 cori e oltre 2000 coristi provenienti da
tutta Italia. Un grande evento musicale a significare incontro e
confronto con l’Italia del bel canto. Musica sacra, popolare,
pop, jazz, gospel nei suggestivi programmi delle irripetibili
serate. Il Teatro Augusteo di Salerno ha inaugurato e chiuso il
festival, con la partecipazione nelle rispettive serate di quasi
tutti i cori, ciascuno a regalare un brano del loro programma.
I concerti aperitivo e i concerti pomeridiani hanno offerto
all’intera città un’altra originale giornata di canto e musica
che, difficilmente, si dimenticherà. Chiese e monumenti di
Salerno le sedi dove si è cantato, con l’attenta partecipazione
di un pubblico sempre numeroso che ha applaudito divertito.
Il centro storico con la Chiesa di San Giorgio, la Chiesa del
SS. Crocifisso, la Chiesa di San Pietro a Corte (Sala Palatina),
la Chiesa di S. Anna al Porto, il Chiostro Ave Gratia Plena, il
Largo Tempio di Pomona, l’ex chiesa di Sant’Apollonia, Piazza
Portanova, la sede del CAI Salerno, la Pinacoteca Provinciale,
la Camera di Commercio, il Museo Diocesano, il Circolo
dell’Esercito, la Scalinata Palazzo di Città. L’attesa maggiore è
Il canto corale rappresenta un
beneficio sociale per il territorio.
quella che è arrivata dalla serata dei concerti sul territorio che
costituisce il vero momento di incontro non soltanto musicale
ma anche di realtà di vita. Protagoniste non solo la città di
Salerno, le suggestive località della Costiera Amalfitana e
quelle dell’entroterra, delle quali ricordiamo Cava de’ Tirreni,
Cetara, Atrani, Amalfi, Vietri sul Mare, Fisciano, Pompei,
Portici, Vallo della Lucania, dove nel programma dei concerti,
iniziati tutti in contemporanea alle 19, la musica sacra è stata
quella maggiormente presente. A chiudere la magica tre
giorni, la Solenne Messa di ringraziamento, officiata nella
Cattedrale di Salerno da Monsignor Luigi Moretti, animata
dalle Corali Hirpini Cantores e Pina Elefante Atrani, dirette dal
maestro Carmine D’Ambola.
Il clima, con giornate tutte inondate dal sole, con piacevole
temperatura, eccezione fatta per la giornata di domenica,
quando la pioggia è arrivata durante la S. Messa in
Cattedrale, ha aiutato il successo della manifestazione.
Intanto Salerno, nel dare il suo arrivederci all’Italia del bel
canto, è già al lavoro per il terzo Salerno Festival.
45
VITALITÀ E PROGETTUALITÀ DELLA FEDERAZIONE NAZIONALE
Assemblea Feniarco in Valle d’Aosta
di Efisio Blanc
Venerdì 11 novembre i presidenti delle Associazioni Regionali
Corali si sono ritrovati a Bard, nel suggestivo complesso
monumentale del suo Forte, per un’assemblea di un solo
pomeriggio, contrariamente alla giornata intera che in genere
viene dedicata all’incontro delle realtà regionali. La “brevità”
della riunione era dettata dalla concomitanza con l’Assemblea
Generale Annuale di European Choral Association - Europa
Cantat, che si è tenuta nelle giornate di sabato 12 e domenica
13 novembre a Torino e ai cui lavori si sono aggiunti i vari
delegati regionali dopo aver partecipato all’assemblea al
Forte di Bard. Altra piccola novità di questa assemblea è
stata la mancanza del presidente Sante Fornasier a
presiedere la seduta (poiché impegnato per l’Assemblea di
ECA - Europa Cantat), egregiamente supplito dai
vicepresidenti Pierfranco Semeraro e Alvaro Vatri.
Assemblea più breve, dicevamo, ma non meno densa di
argomenti da discutere. La seduta autunnale di Feniarco
rappresenta sempre un momento che fotografa la salute, la
vitalità e la progettualità della federazione attraverso la
valutazione delle iniziative concluse nell’anno in corso e la
proposta di programma per l’anno seguente. A queste
riunioni dovrebbero partecipare anche delle personalità
politico-amministrative: se concedere o meno sostegni
finanziari da parte delle istituzioni pubbliche dipende (o
dovrebbe dipendere) da una valutazione sulla qualità e la
quantità delle azioni che una associazione intraprende,
sarebbe impossibile a questo punto negare il livello di
impegno delle associazioni regionali e dello staff nazionale
rispetto a un lavoro cospicuo e puntuale “con” e “sulla”
coralità.
La discussione sulle iniziative che si concluderanno nel 2011 e
il programma per il 2012 ha messo in evidenza la vitalità
dell’attività associativa: dagli appuntamenti per le
Assemblee Nazionali alle riunioni della
Commissione Artistica, dalle riunioni e gli incontri
per Torino 2012 ai lavori del Comitato di redazione
di Choraliter.
Notevole poi la “visibilità” di Feniarco attraverso
la partecipazione a manifestazioni musicali e
corali sia nazionali che internazionali: dalla
partecipazione alla XIII Settimana della Cultura,
con una rete di concerti corali promossi in
collaborazione con il Ministero per i Beni e le Attività
Culturali, alla partecipazione alla Giornata Nazionale della
Musica Popolare e Amatoriale, con la presenza di quattro cori
Feniarco al concerto di Roma, in Piazza di Spagna; dalla
presenza alla Mostra dell’editoria corale in occasione dei
concorsi di Gorizia e Arezzo alla partecipazione al World
Forum organizzato dall’International Music Council (IMC) e
dall’European Music Council (EMC).
L’impegno delle realtà regionali non poteva poi prescindere
da un’attenzione privilegiata al mondo corale infantile e
giovanile, consapevole che la formazione delle nuove
generazioni è condizione imprescindibile per la sopravvivenza
e per la qualità della coralità di domani. Ecco quindi le
motivazioni per organizzare il Festival di Primavera che,
nell’edizione 2011, ha richiamato a Montecatini Terme quasi
500 studenti di scuola media e oltre 600 ragazzi di scuola
superiore. Alle stesse finalità mirava il progetto APS Cantare
L’assemblea di Feniarco
fotografa la salute, la vitalità e la
progettualità della federazione.
è giovane!, articolato in tre direzioni: un concorso per le
scuole volto alla rappresentazione del coro attraverso diverse
espressioni artistiche; un festival per cori di voci bianche e
cori giovanili provenienti da diverse regioni d’Italia (tenutosi a
Torino, con la partecipazione di otto cori di qualità); una
iniziativa editoriale che mira a pubblicare nuova musica
ASSOCIAZIONE
46
corale per cori di bambini (Giro Giro Canto) e per cori
giovanili (Teenc@nta).
E parlando di giovani non si può tacere il sostegno all’attività
del Coro Giovanile Italiano, quest’anno diretto dai maestri
Lorenzo Donati e Dario Tabbia, che ha rappresentato la
coralità italiana in importanti appuntamenti in diverse regioni
d’Italia.
L’attenzione allo sviluppare professionalità nell’ambito del
mondo corale e a trovare nuove risorse porta la Feniarco a
presentare e a ottenere l’approvazione da parte del Ministero
del Lavoro e delle politiche Sociali di altri
progetti APS: Lavori in Cor(s)o e CMT
- Choral Managenent. Il primo si riferisce
alla redazione del Bilancio Sociale 2011 e
prevede un corso formativo su
amministrazione, contabilità e fiscalità
degli enti non profit; il secondo,
conclusosi nel 2011, riguardava l’attività
di formazione in materia di
organizzazione e di gestione delle
Associazioni Corali e si è articolato in due moduli: uno
dedicato alle Associazioni Corali Regionali e un altro
destinato a 25 giovani sotto i 30 anni, incentrato in
particolare sulla gestione e l’organizzazione di eventi, anche
in vista di Torino 2012.
Riguardo ai progetti APS non è però tutto e già si guarda
avanti. Altri due progetti sono stati proposti all’approvazione
del Ministero del Lavoro: Choral Network, dedicato in
particolare all’informatizzazione dei programmi di contabilità
dei cori (e alla formazione di personale sulle stesse
problematiche), e Teenc@nta, rivolto all’organizzazione del
Festival di Primavera 2012.
Dopo questa analisi dettagliata e puntuale i delegati
regionali, parlando del successo del Salerno Festival, che per
i secondo anno consecutivo ha riscosso un grandissimo
successo (anche per la capacità organizzativa
dell’Associazione Regionale Cori Campani), hanno poi preso
atto che la federazione corale nazionale, con le attività messe
in campo, copre ormai l’intero territorio nazionale: da Aosta a
Fano, da Alpe Adria o Torino a Salerno, solo per volere citare
i luoghi principali.
Una considerazione emersa in assemblea è anche
l’importanza di mantenere quella sinergia fra le strutture
nazionali e le singole Associazioni regionali che in questi anni
ha permesso di realizzare iniziative di ampio respiro.
Nonostante le difficoltà di comunicazione che possono
nascere da una organizzazione così ampia e così complessa,
si è dimostrato vincente il mettere in campo, da una parte, la
capacità organizzativa della struttura nazionale, e dall’altra la
disponibilità delle strutture e delle risorse di cui le singole
realtà territoriali dispongono.
L’intervento del direttore della rivista Choraliter, Sandro
Bergamo, ha evidenziato come sia particolarmente urgente
che i delegati regionali si facciano parte attiva nel
promuovere la diffusione della rivista corale presso le
rispettive regioni e i relativi cori associati. Egli ha sottolineato
come l’unanime giudizio positivo sulla rivista non sia
sufficiente e adeguato a fornire i mezzi economici per
continuarne la pubblicazione. Si tratta di agire sulla mentalità
ancora poco aperta culturalmente dei nostri coristi, per
convincerli che, per chi ama e frequenta il canto corale, la
lettura di una rivista specializzata è un elemento quanto mai
formativo ed essenziale.
L’Assemblea ha poi discusso la concessione di premi e di
patrocini da concedere a varie manifestazioni corali nazionali
La sinergia fra le strutture nazionali e
le Associazioni regionali ha permesso
di realizzare iniziative di ampio respiro.
e internazionali. Anche in questo caso si è voluto sottolineare
come le manifestazioni che portano “il marchio” Feniarco
debbano rispondere a quelle linee guida a suo tempo
condivise e decise dall’assemblea, linee che determinano e
sanciscono la serietà organizzativa e artistica di una
iniziativa.
L’assemblea è poi terminata con un cordiale saluto e un
piccolo ringraziamento floreale alla collaboratrice Sabrina
Pellarin, che lascia la Feniarco per assumere altri impegni, e
un plauso all’organizzazione dell’Arcova e del suo presidente
Marinella Viola per la calorosa e suggestiva accoglienza al
Forte di Bard.
47
un altro passo importante
verso Europa Cantat Torino 2012
di Fabrizio Vestri
Un evento di avvicinamento al festival
L’atteso appuntamento con la prossima edizione di Europa
Cantat si avvicina a grandi passi. Il calendario dei preparativi
che ci condurrà verso uno degli eventi più importanti della
coralità internazionale è stato arricchito dall’Assemblea
Generale di European Choral Association - Europa Cantat
(ECA-EC).
Tra il 9 e il 13 novembre il capoluogo piemontese è divenuto
il punto d’incontro dei vertici delle organizzazioni impegnate
nella realizzazione del festival europeo previsto a luglio 2012.
All’assemblea, tenutasi il 12 e 13 e presieduta dal presidente
Sante Fornasier, hanno partecipato i membri del Board di
ECA-EC, i rappresentanti delle federazioni corali europee, il
consiglio di presidenza di Feniarco e gran parte dei
rappresentanti delle associazioni regionali della nostra
federazione reduci dall’assemblea nazionale di Bard, tenutasi
il giorno precedente.
Un’assemblea articolata e stimolante
La “due giorni” di lavoro si è svolta in un clima sereno e
vivace, dal quale sono nati diversi spunti di confronto e
collaborazione. Questo è stato possibile poiché l’assemblea
ECA-EC non è stata un classico meeting fatto di soli interventi
istituzionali e bilanci da approvare, ma un incontro più
articolato e stimolante.
Alle sessioni di lavoro formali si sono aggiunte attività
altrettanto importanti e formative, come i workshops tenuti
da relatori autorevoli, che tra il pomeriggio di sabato 12 e la
mattina di domenica 13 hanno dato l’opportunità ai
partecipanti di proporre e scoprire tematiche legate al mondo
della coralità attorno alle quali discutere. Parallelamente,
nelle altre sale del Circolo dei Lettori di Torino, che ha
ospitato gran parte dei lavori, si riunivano anche le
commissioni giovanili di Feniarco e di ECA-EC coadiuvate dal
direttore artistico del Festival Europa Cantat Carlo Pavese,
con lo scopo di elaborare e sviluppare idee creative per il
festival.
Per accogliere al meglio i numerosi partecipanti
all’assemblea, Feniarco ha organizzato due splendidi concerti
serali. Il primo nella sfarzosa Real Chiesa di San Lorenzo,
dove il Coro La Rupe di Quincinetto e i Piccoli Musici di
Casazza hanno offerto due performances di altissimo livello;
il secondo nel teatro Piccolo Regio in cui La Compagnia del
Madrigale e il Coro Accademia Feniarco hanno dato un’altra
dimostrazione di qualità e offerto un’immagine di coralità
italiana capace di saper eccellere nel repertorio antico, così
come in quello pop-contemporaneo.
L’armonia, in un’esperienza personale di grande valore
Ho avuto l’opportunità di vivere questo appuntamento sotto
molteplici vesti, quella di commissario giovanile, di direttore
appassionato, di volontario a disposizione dello staff Feniarco.
Ho potuto quindi contribuire (anche se in minima parte!)
all’ottima riuscita della manifestazione, curata nei dettagli
dalla sempre più efficiente macchina organizzativa della
nostra federazione, ascoltare formazioni corali eccezionali e
scambiare idee con musicisti e personaggi di grande levatura
del panorama della musica corale internazionale.
In questo mix di esperienze concentrate in poche ore, ho
riscontrato un filo conduttore, un elemento caratterizzante
che mi ha assolutamente colpito e che secondo me ha
contraddistinto l’intera assemblea: l’armonia.
L’armonia si è manifestata in tutte le sue forme, quella
strettamente musicale, espressa attraverso i concerti, i
workshop, ma anche nei canti comuni (open singing) che
hanno preceduto ogni fase dell’incontro (anche quelle
formali!); l’armonia dei luoghi e dei sapori della città di
Torino, che si sposano alla perfezione con lo spirito di
condivisione di un progetto musicale e culturale come Europa
Cantat; ma soprattutto era palpabile l’armonia degli intenti,
che ha unito le diverse organizzazioni e ha contribuito a
fortificare le basi di ciò che sarà una grande festa della
musica e un evento di grande importanza per la coralità
europea e nazionale.
Ci vediamo a Torino!
L’assemblea di ECA-EC è stata una fondamentale tappa di un
percorso che porterà il festival Europa Cantat a Torino.
Vivremo con trepidazione i giorni che ci separano da questo
grande appuntamento, certi del fatto che Feniarco continuerà
a tenere fede all’impegno di responsabilità che la nostra
realtà associativa prese più di due anni fa assieme al
testimone di questo prestigioso festival, che saremo
orgogliosi di ospitare per la prima volta in una città italiana.
ASSOCIAZIONE
48
ASSEMBLEA GENERALE di ECA-EC
Torino, 12/13 novembre 2011
di Giorgio Morandi
Sette anni fa, nel novembre 2004,
Feniarco organizzò un’Assemblea
Generale annuale della federazione
europea dei cori Europa Cantat nella
nostra bellissima Venezia. Grande fu la
partecipazione degli associati da ogni
parte d’Europa.
Nei mesi scorsi la generosa e
competente disponibilità della
Federazione Nazionale Italiana delle
Associazioni Regionali Corali si è
ripetuta nell’organizzazione perfetta
dell’Assemblea Generale annuale di ECA - Europa Cantat in un’altra città italiana.
La bella, classica, regale Torino il 12 e 13
novembre scorso è stata la sede della
prima assemblea di European Choral
Association - Europa Cantat, la nuova
grande organizzazione scaturita dalla
fusione (a Namur/Belgio nel 2010) fra
Europa Cantat e AGEC
(Arbeitsgemeinschaft Europäischer
Chorverbände - Associazione delle
Società Corali Europee).
Le due più grandi associazioni corali
europee, con la supervisione dei
rispettivi presidenti Michael Scheck
(presidente AGEC) e Jeroen Schrijner
(presidente uscente di Europa Cantat) si
sono unificate sotto la presidenza di
Sante Fornasier. ECA-EC raccoglie ora 49
federazioni, rappresenta 29 paesi
europei e si presenta come unico
interlocutore della coralità europea
capace di coniugare conservazione delle
tradizioni e visione prospettica nel
futuro, esperienze, tradizioni e repertori
diversi uniti da una sola grande
passione: il canto corale.
L’assemblea di Torino – nella relazione
del presidente Fornasier – è stata
l’occasione, a distanza di un anno dalla
sua costituzione ufficiale, per
«sottolineare con grande piacere che
l’integrazione delle due istituzioni è
stata eccellente, all’insegna di un grande
spirito di collaborazione e di
condivisione delle idee. Questo può
fieramente essere considerato segno
evidente di quella generosa e reciproca
volontà di collaborazione che era
fondamentale per il processo di fusione
che non avrebbe mai potuto realizzarsi
in un clima più sereno».
Dopo queste importanti e confortanti
sottolineature, la relazione del
presidente ha dato giusto rilievo ai
progetti realizzati ma soprattutto ai
nuovi progetti per il futuro anche se
oggi più che mai essi sono sempre
legati alle risorse e alla capacità di
fundraising. In questo campo delle
risorse e del fundraising l’iniziativa più
importante nell’anno corrente è stata la
creazione della Förderverein Freunde der
europäischen Chormusik (Associazione
Europea degli Amici della Musica
Corale), che, strumento necessario per
sostenere ECA-EC, è fatto da amici,
sostenitori ed estimatori della nostra
federazione ed è già operativo nello
sforzo di fornire al mondo corale
europeo le necessarie risorse per attività
programmate e future.
Un’attenta analisi del presidente
Fornasier ha ricordato agli associati,
convenuti in gran numero, l’intensa
attività della federazione, provando
ancora una volta il concetto orma
universalmente riconosciuto che «il
canto corale è un bene per la società».
Tra le principali attività svolte ricordate
in modo specifico dal presidente
enumeriamo senz’altro Europa Cantat
junior, festival per i cori di giovani e
ragazzi tenutosi con grande successo a
Pärnu in Estonia, e EuroChoir, un
progetto annuale itinerante – nell’ambito
dei paesi europei di cui gli associati
ECA-EC sono espressione e
rappresentanza – ereditato da AGEC che
lo ha proposto ogni anno a partire dal
1982. Quest’anno il progetto è stato
realizzato in Trentino. Esso prevede la
formazione di un coro giovanile misto
con quartetti di coristi di età compresa
tra i 18 e i 30 anni, provenienti da
differenti paesi europei. Obiettivo di
EuroChoir è quello di promuovere la
musica corale favorendo opportunità di
scambio di esperienze tra i giovani.
«Il canto corale giovanile – ha
sottolineato nella sua relazione
assembleare il presidente – è
sicuramente uno degli obiettivi principali
della federazione che è cosciente del
suo dovere di investire nel futuro
attraverso progetti educativi e artistici
per giovani cantori e giovani direttori di
coro».
Tra le attività in programma per il futuro
prossimo occupa certamente il primo
posto il grande festival triennale Europa
Cantat che avrà luogo proprio a Torino
tra il 27 luglio e il 5 agosto 2012.
«Mentre siamo riuniti in questa
assemblea a Torino, non possiamo
evitare di far volare la nostra fantasia
immaginando che le vie, le piazze, le
chiese, i portici e i teatri di questa città
fra otto mesi risuoneranno della voce di
migliaia di cantori… Ringrazio il Board
del festival, la Commissione Musicale
guidata da Carlo Pavese, l’Associazione
Europa Cantat Torino 2012 nata
esplicitamente per gestire tutti gli
aspetti del festival, e lo staff di Feniarco.
Tutti stanno lavorando alacremente con
dedizione e professionalità per la
realizzazione dell’evento Europa Cantat
2012…»
L’argomento delle attività musicali è
stato successivamente dettagliato
opportunamente nella relazione del
presidente della Commissione Artistica
Fred Sjöberg.
Momento un po’ più burocratico, ma non
meno importante dell’assemblea, è stata
la presentazione e successivamente
l’approvazione di tutti i bilanci
dell’associazione dopo l’attenta e
dettagliata relazione dei Revisori dei
Conti.
Momento particolarmente importante è
stato anche quello della presentazione
della relazione sull’attività del Comitato
Giovanile di ECA-EC. La responsabile
Vittoria Liedbergius ha sottolineato
l’ottima collaborazione con altri gruppi
giovanili in funzione della realizzazione
del progetto Access! a Torino, in funzione
della preparazione del Festival Europa
Cantat XVIII della prossima estate, e
della nuova iniziativa denominata ECA
Video Awards che permetterà a cantori e
cori di tutta Europa di mandare video
musicali autoprodotti partecipando a un
concorso e vincendo un premio.
Non potendo per ragioni di spazio citare
in dettaglio anche i molti altri argomenti
che erano all’ordine del giorno e sono
stati regolarmente discussi e deliberati,
si conclude ricordando le attività
collaterali che hanno arricchito
l’assemblea di ECA-EC: le tre sedute di
open singing dirette rispettivamente da
Paolo Zaltron, Jan Schumacher e Lorenzo
Donati; il concerto con i Cori La Rupe
(diretto da Domenico Monetta) e i Piccoli
Musici (diretto da Mario Mora) nella Real
Chiesa di San Lorenzo, il concerto con la
Compagnia del Madrigale (diretto da
Giuseppe Maletto) e il Coro Accademia
Feniarco (diretto da Alessandro Cadario)
realizzato nel Teatro Piccolo Regio; i
gruppi di discussione sul Youth
Manifesto da parte del Comitato
Giovanile ECA-EC, la conferenza
“Phonosurgery in singers” (Microchirurgia
sulle corde vocali), presentata dal prof.
Andrea Ricci Maccarini del Voice Center
di Cesena, l’atelier corale “Il cantare
insieme di generazioni diverse” condotto
da Marleen Annemans e l’incontro con
Jonathan Rathbone su “Cori di cantori
anziani - Le gioie e le stonature”.
I ringraziamenti alla Segreteria Generale
dell’associazione guidata da Sonja
Greiner e allo staff di Feniarco che
insieme hanno preparato egregiamente
con passione questa prima assemblea
ECA-EC e le parole beneauguranti del
presidente della federazione Sante
Fornasier hanno concluso con
soddisfazione di tutti i partecipanti
questa maratona corale di due giorni
nella regale accogliente città di Torino
che dovrà attendere soltanto otto mesi
per rivivere alla grande l’esuberanza,
l’entusiasmo, la solidarietà umana, l’arte
musicale che la coralità europea sa
esprimere.
49
ASSOCIAZIONE
50
Cantare in un coro?
51
Il festival si avvicina… iscriviti anche tu!
Indubbiamente uno stile di vita!
di Carlo Pavese
di Giorgia Loreto
«Brava! Che bello! Cantare in un coro è decisamente un
bellissimo hobby!». Questa una delle tante espressioni che da
ragazzina venivano usate nei miei confronti da amici e
conoscenti. E io inconsapevolmente ne ero convinta, anche se
al sentire le diverse e contrastanti melodie intrecciarsi, non
riuscivo a rimanere impassibile, non riuscivo a non perdermi
nella musica, non riuscivo a non riflettere sul perché io provassi
un fremito nel momento in cui il suono emesso dalla bocca del
mio vicino era differente dal mio e non riuscivo a
comprendere il motivo per il quale ogni volta mi
sorprendessi della vibrazione che l’incontro di questi
diversi suoni creava e mi trasmetteva. Non riuscivo a
capire come tre o quattro note potessero farmi venire
brividi lungo la schiena e mettermi tanta malinconia
oppure gioia e allegria. Non riuscivo a spiegarlo ma
crescendo ho scoperto quanto fosse vitale per me
incontrare persone che condividessero questo mio
stato d’animo e soprattutto quanto fosse necessario almeno
quattro ore alla settimana poter cantare, esprimermi, non
pensare alla quotidianità e assaporare i suoni che la
combinazione di sette semplici note può creare.
La vera svolta però arriva piano piano e un passo alla volta.
Come per tanti cantori arriva il momento della prima
audizione. Completamente nuova al mondo del conservatorio,
come una piccola bimbetta ingenua, incredula ma ben
pensante, varcata la soglia d’ingresso del Santa Cecilia a
Roma non sapevo dove posare prima il mio sguardo. Non
sapevo a cosa andavo incontro, ma volevo semplicemente
vivere. Vivere e non perdermi nemmeno un singolo istante di
quello che stavo per affrontare. Quello che poi avrebbe
cambiato il mio stile di vita. Cantare, provare, vivere,
mangiare, ridere, dormire, scherzare, piangere e ancora
cantare! Condividere il tuo interesse più grande con persone
come te, provenienti da tutta Italia, ognuna diversa dall’altra,
con un vissuto singolare, con età differenti, ma con le stesse
aspettative, uno stesso obiettivo e soprattutto anime con lo
stesso colore intenso: quello della passione per la musica.
Sentirsi liberi, essere fino in fondo se stessi usando sempre
cuore, coraggio e cervello.
Poter far parte del Coro Giovanile Italiano è un’opportunità
che aiuta a crescere e che sicuramente ti arricchisce dentro.
Un modo per confrontarsi, per mettersi alla prova, per
incontrare direttori importantissimi che prima non conoscevi,
ma il loro scalfire, plasmare, incitare, rimproverare ti lascerà
indelebile il loro insegnamento. Avere la fortuna e l’onore di
essere diretti da maestri del calibro di Stojan Kuret, (CGI
2007-2008), Lorenzo Donati e Dario Tabbia (CGI 2011-2012).
Inutile mentire, senza pensarci troppo posso con il cuore in
mano affermare che il Coro Giovanile Italiano è stato come un
uragano che ha preso una parte di me e l’ha portata via.
È stato anche come il mare, che ha trascinato a riva le
conchiglie più belle ma che si è tenuto per se negli abissi
quelle più speciali. Un’esperienza indescrivibile. Costruire
legami con persone assolutamente sconosciute, ma che dopo
anche solo mezz’ora di vocalizzi sai che diventeranno tue
amiche e condivideranno con te tutto! Ti rendi conto che
Far parte del Coro Giovanile
Italiano è un’opportunità che
aiuta a crescere.
svegliarsi e fare le prove, pranzare e poi fare le prove, cenare
e ancora fare le prove non è poi così noioso come sembra!
Anzi diventa talmente interessante, coinvolgente, ma
soprattutto naturale, che tornando a casa ne senti
voracemente la mancanza perché ti rendi conto che cantare in
un coro diventa per te uno stile di vita. Attraverso il coro vivi
inconsapevolmente sensazioni positive incredibili, emozioni
che ti fanno stare bene e quando le hai provate non riesci a
non volerne riprovare per sentirti più forte e appagato. E così,
dopo intensissimi stage di canto col Coro Giovanile Italiano,
torni a casa nella tua realtà corale e vuoi solamente donare,
ai tuoi amici coristi che non hanno avuto la fortuna di vivere
quest’esperienza, tutto ciò che hai assorbito in quei giorni.
Vorresti soltanto prendere quella energia che hai in corpo,
tirarla fuori ed essere migliore!
30 novembre 2011: si chiude la prima tranche di iscrizioni al
Festival Europa Cantat XVIII Torino 2012!
A questa data, infatti, chi voleva avere la certezza di
partecipare a uno degli atelier preferiti ha fatto la sua scelta…
molti, moltissimi sono i cantori da tutto il mondo e parecchi
anche gli italiani che hanno il posto garantito al festival.
Ma chi non si è ancora iscritto, non si scoraggi! La prossima
estate tutti sono benvenuti a Torino… fatevi sotto, gli atelier
sono interessanti e ce n’è per tutti i gusti! Tra i 50 atelier
proposti, qui di seguito trovate solo alcuni spunti e alcune
particolarità… magari scoprirete quella fatta su misura per
voi! Per tutte le altre proposte: www.ectorino2012.it
Cori maschili
Cinque atelier in cantiere, almeno due cori ospiti di livello
internazionale, proposte antiche e moderne, repertorio
romantico, musica popolare dalle Alpi alla Scandinavia…
Al Festival Europa Cantat Torino 2012 vogliamo davvero
mostrare lo straordinario mondo delle voci maschili,
proponendo il festival come luogo di incontro, di scambio, di
arricchimento e di vetrina. Ci sarà spazio per un atelier
dedicato ai canti “delle Alpi”, dal versante italiano dirige
Maria dal Bianco, da quello svizzero Oliver Rudin. Hirvo Surva
esplorerà invece la grande tradizione dei cori maschili estoni,
mentre Jürgen Faßbender accompagnerà i partecipanti alla
scoperta di alcuni lavori del compositore viennese Franz
Schubert. E ancora, Sofia Söderberg Eberhard condurrà un
atelier dedicato alla musica folk di provenienza nord-europea
ma con influenze internazionali e Stojan Kuret guiderà le voci
maschili, accompagnate da due strumenti ad arco,
nell’incontro tra Felix Mendelssohn e Giovanni Bonato.
Scaldate le ugole…
Gruppi vocali
Il festival offre possibilità assai variegate ai gruppi vocali.
La masterclass con il Real Group, celeberrima formazione
svedese, permette a gruppi solidi, di buona qualità, di
svolgere un lavoro di perfezionamento, specialmente
indirizzato a chi canta coi microfoni. VOCES8, giovane
formazione britannica, coniuga qualità ed entusiasmo,
miscela ideale per aiutare un ensemble vocale a crescere e
sviluppare le necessarie capacità di ascolto, di assieme, di
dimestichezza col palco; il tutto senza utilizzare microfoni.
I due atelier sono inoltre complementari, occupando
rispettivamente la seconda e la prima parte del festival.
Inoltre, siamo in Italia e per questo non poteva mancare un
laboratorio dedicato a Monteverdi, protagonista dell’omonimo
atelier della Compagnia del Madrigale, gruppo esperto e
affermato del panorama internazionale. Caratteristica
interessante di quest’ultimo percorso è la possibilità di
iscriversi come singolo cantore e andare a formare degli
ensemble ad hoc per il lavoro della settimana.
Beat Boxers & Body Percussionists e chi vuole provare il
Live Electronics
Una risorsa in più: per dare un’intelaiatura ritmica a una
canzone, per accostarsi al vocal pop avendo nel proprio coro
l’elemento chiave della percussione, per offrire performance
che sfruttino le potenzialità del nostro corpo per la
produzione di ritmo ma anche di movimento. Un atelier che
riunisce singoli partecipanti interessati ad approfondire
discipline integrative dell’esperienza corale. Potranno essere
appassionati del genere Beat Box, attratti dalla “stella”
internazionale RoxorLoops, fanatici di Body and Vocal
Percussion, desiderosi di incontrare l’espertissimo Richard
Filz, ma anche elementi di un coro che vogliono specializzarsi
in questo ruolo, per affrontare con maggiore consapevolezza
ed esperienza una pratica così importante e peculiare del
panorama corale d’oggi.
Inoltre il festival vi propone un’esperienza di suoni e
possibilità inesplorate per la vostra voce: nell’atelier Live
Electronics, diretto da Alessandro Cadario, l’improvvisazione
con supporti elettronici e l’incontro tra uomo e tecnologia
faranno scoprire le nuove frontiere della musica vocale. Una
proposta per voci curiose e intraprendenti!
Cosa aspettate?! Iscrivetevi anche voi al Festival Europa
Cantat XVIII Torino 2012!
Tutte le informazioni sul sito www.ectorino2012.it
E tu, sei pronTO a cantare?
CRONACA
52
Polifonico 2011
visto da dentro
di Daniele Proni
L’arrivo ad Arezzo ci sorprende per il caldo estivo. Sotto una
canicola agostana l’antica città appoggiata sulle rive dell’Arno
si muove lentamente nell’attesa dell’arrivo di voci lontane.
Tra qualche ora e per giorni sarà l’arte nell’arte ad
accompagnarci. Risalgo via del Corso per raggiungere la sede
della Fondazione dove fervono i lavori di questa
cinquantanovesima edizione. L’atmosfera è sempre quella,
confusa tra il ritmo frenetico dell’inizio della competizione e la
voglia di ritrovarsi di coloro che aspettano un anno per
rivivere l’emozione dell’incontro con la coralità più bella.
Nelle premesse è un’edizione diversa dalle altre. Da poco più
di un mese Francesco Luisi ha ceduto la guida della
Fondazione lasciando un’eredità ponderosa: la creazione di un
sistema corale, il Guidoneum Festival, che si aggiunge al
concorso, alla Scuola per direttori (affiancata al Centro Studi
Guidoniani) e l’istituzione degli Awards, sono un impegno che
in anni difficili come questi il suo successore troverà
probabilmente più come una pesante eredità che come
un’opportunità.
Ma Carlo Pedini palesa fin da subito, grazie alla sua lunga
esperienza e competenza, di non sentirne troppo il carico.
Coglie al balzo l’opportunità di collaborazione con Feniarco
per inserire, nel già programmato, un concerto del Coro
Giovanile Italiano di ritorno dal Festival MiTo. Non c’è timore
di rilanciare, tutt’altro. L’introduzione che scrive sul pamphlet
di presentazione è molto chiara: l’edizione è già definita al
suo arrivo, ma fin da subito egli vuole dare segni chiari e
visibili di incremento dell’attività, pur citando le difficoltà
economiche che attanagliano l’intero apparato artisticoculturale del Paese, in forte crisi soprattutto nel riconoscere
alla cultura un valore primario per la crescita e l’educazione
dei suoi cittadini. Promette un impegno ricco di entusiasmo e
responsabilità consapevole della potenzialità del concorso e
del suo ruolo di ambasciatore privilegiato della città di Arezzo
nel mondo.
Si inizia con i diplomi del Corso superiore per direttori di coro.
Altri quattro studenti hanno raggiunto dopo tre anni di duro
lavoro il compimento della loro fatica con l’esame finale.
Ma come consuetudine la prima giornata di concorso è
dedicata al canto monodico cristiano. Sono tre i cori che si
cimentano nella prova eliminatoria: la Schola Gregoriana
Piergiorgio Righele di Pescara e due gruppi polacchi, la
Mulierum Schola Gregoriana Clamaverunt Iusti di Varsavia e il
Cathedral Boy’s Choir Pueri Cantores di Tarnów. Accedono alla
prova finale i primi due con i polacchi che distaccano di una
quindicina di punti gli italiani (in giuria Giovanni Conti, Marco
Gozzi, Lanfranco Menga, Alexander Schweitzer e Peter
Weincke). Divario che si riduce notevolmente nella prova
finale ma che lascia comunque il primo premio nelle mani
della Mulierum Schola Gregoriana che il giorno successivo si
aggiudica, anche se per poco, la rassegna a premi, grazie alla
cura del gesto musicale dell’antico repertorio.
Mercoledì, ore 14: è l’ora del 28° concorso nazionale
polifonico. In giuria ho il piacere di condividere l’ascolto con
Paola Farsetti (presidente), Aldo Cicconofri, Walter Marzilli e
Mauro Zuccante. I sei cori presenti promettono di farci
ascoltare un repertorio vario e gradevole, reso tale anche
dalla diversa composizione di ciascuno dei gruppi. L’esordio è
affidato all’Ensemble Palazzo Incantato di Bari diretto da
Sergio Lella. Bella vocalità, buoni i piani dinamici ed efficace
la direzione in particolare sul repertorio modernocontemporaneo. A seguire il Coro Polifonico Maria SS. De’
Pitternis di Cervaro (FR) diretto da Giovanni Battista De
Simone e il Coro Vivaldi di Roma diretto da Amedeo Scudiero
che non arriveranno in zona premi nonostante programmi
certamente impegnativi. Tra i due si esibisce il Coro della
Virgola di Pescara diretto da Pasquale Veleno che dimostra
una vocalità eccellente con una ricerca del fraseggio molto
curata tanto da risultare, al termine della competizione,
secondo classificato.
Chiudono le esibizioni il Coro Clara Schumann di Trieste
diretto da Chiara Moro che malgrado il bell’impasto sonoro si
classifica terzo, forse anche a causa del repertorio molto
concentrato nel periodo ottocentesco che dà del coro
un’impressione parziale, e il Coro da Camera di Varese. Per
ascoltarlo occorrono però cinque minuti di pausa: arriva
trafelato dopo un viaggio complicato a causa di un incidente
che lo ha tenuto fermo in autostrada, motivo che impedisce ai
coristi di prepararsi e scaldarsi, cosa che
avviene in diretta. L’esordio è con Tomas Luis
de Victoria e già si intuisce che la strada è
notevole. A seguire un’ottima esecuzione del
bachiano Lobet den Herrn, alle Heiden che
denota compattezza del gruppo, buon fraseggio
e direzione precisa da parte di Gabriele Conti
(l’esecuzione del brano vale al gruppo anche il
premio Feniarco di 700 euro per l’acquisto di
musica). La chiusura del programma è affidata
a due autori contemporanei, Emanuele Vianelli e
Urmas Sisask, nei quali il coro cresce
ulteriormente rivelando ottime capacità
dinamiche unite a un’intonazione precisa e una
notevole interpretazione. Il risultato li premierà
particolarmente per queste belle caratteristiche,
facendoli salire sul gradino più alto.
La serata è dedicata a Maurice Duruflé, al quale
l’Insieme Vocale Vox Cordis diretto da Lorenzo
Donati dona un suono eccellente. Nonostante
un cambio di programma all’ultimo momento a
causa di un infortunio che impedisce
all’organista di essere presente, l’atmosfera è
magica. La direzione di Donati è fluida e le note
del francese risuonano morbidamente in
Sant’Ignazio: per il coro e il suo direttore lunghi
applausi ai quali seguono quelli per la
proclamazione dei vincitori del Nazionale.
Il giovedì è da sempre la giornata più intensa e
ci aspettano molte ore di musica. Le premesse
dicono che sarà una giornata da ricordare e,
tornando all’albergo a notte inoltrata, possiamo
constatare che il risultato ha superato di gran
lunga le aspettative, che già erano alte.
Si inizia subito con l’Internazionale. A uno a uno
gli otto cori provenienti da tre continenti diversi
si alternano facendo capire che non sarà facile
decidere per la giuria composta da alcune tra le
personalità più importanti del panorama
internazionale: Peter Broadbent, Bernd
Englbrecht, Maria Gamborg Helbekkmo, Carl
Høgset, Bo Holten, Mario Mora, Gianni Tangucci.
Le prime impressioni sono di grande qualità e
compattezza di tutte le compagini, se si esclude
qualche piccola flessione fisiologica dovuta alla
stanchezza del viaggio, tipica della prima prova.
Il repertorio più ostico risulta essere come
consuetudine il Cinquecento, così lontano nel
tempo e forse anche dagli abituali repertori di
alcune dei complessi presenti. Per loro infatti
l’Otto e Novecento sono più alla portata e i
risultati in alcuni casi eccellono, come quando
sale in cattedra Ko Matsushita che interpreta se
stesso con il Vox Gaudiosa o il Salt Lake Vocal
Artists che esegue Cloudburst di Whitacre.
53
59º CONCORSO POLIFONICO INTERNAZIONALE
GUIDO D’AREZZO
Gran Premio Città di Arezzo
Chamber Choir Vox Gaudiosa - Tokyo (Giappone)
Categoria B - Polifonia
Sez. 3 - Gruppi Vocali
1° premio: Salt Lake Vocal Artists - Salt Lake City (Stati Uniti)
2° premio: William Byrd Consort - Riga (Lettonia)
Sez. 4 - Cori
1° premio: ex aequo Salt Lake Vocal Artists - Salt Lake City (Stati Uniti) e
Chamber Choir Collegium Musicale - Tallin (Estonia)
2° premio: Chamber Choir Vox Gaudiosa - Tokyo (Giappone)
3° premio: Mannheim Chamber Choir - Mannheim (Germania)
Sez. 5 - Voci Bianche
1° premio: non assegnato
Sez. 6 - Rassegna per periodi storici
Premio speciale periodo B: Chamber Choir Vox Gaudiosa - Tokyo
(Giappone)
Premio speciale periodo C: William Byrd Consort - Riga (Lettonia)
Premio speciale periodo D: ex aequo Salt Lake Vocal Artists - Salt Lake
City (Stati Uniti) e Chamber Choir Collegium Musicale - Tallin (Estonia)
Premio speciale periodo E: Chamber Choir Vox Gaudiosa - Tokyo (Giappone)
e Salt Lake Vocal Artists - Salt Lake City (Stati Uniti)
Sez. 7 - Rassegna di musica corale contemporanea
Premio speciale: Chamber Choir Collegium Musicale - Tallin (Estonia)
Sez. 8 - Canto Popolare
Premio commissione d’ascolto: ex aequo Cathedral Boy’s Choir Pueri
Cantores Tarnovienses - Tarnów (Polonia) e Coro Tonos Humanos Medellin (Colombia)
Premio del pubblico: Institut Teknologi Bandung Choir - Bandung (Indonesia)
Categoria A - Canto monodico
Sezione 1
Premio speciale: Mulierum Schola Gregoriana Clamaverunt Iusti - Varsavia
(Polonia)
Sezione 2
Premio speciale: ex aequo Mulierum Schola Gregoriana Clamaverunt Iusti
- Varsavia (Polonia) e Schola Gregoriana Piergiorgio Righele - Pescara
28º CONCORSO POLIFONICO NAZIONALE
1° premio: Coro da Camera di Varese 2° premio: Coro della Virgola - Pescara
3° premio: Coro Clara Schumann - Trieste
Seguono in ordine di punteggio:
4. Ensemble Palazzo Incantato - Bari
5. Coro Vivaldi - Roma
6. Coro polifonico Maria SS. De’ Piternis – Cervaro (Fr)
Premio Feniarco: Coro da Camera di Varese
CRONACA
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55
L’ITALIA S’È DESTA… NEL CORO GIOVANILE ITALIANO
Come dicevamo il Polifonico non è solo un concorso ma anche
un festival, occasione quindi per poter ascoltare alcuni dei
cori più interessanti del panorama internazionale.
Il primo a salire sul palcoscenico è il Vokalna Akademjia
Ljubljana diretto da Stojan Kuret. Tutti lo ricordiamo
stravincere il Polifonico del 2009: in verità nei suoi tre anni di
vita ha mietuto successi straordinari ovunque, vincendo tra
l’altro il Gran Premio Europeo di canto corale di Varna del
2010. La guida di Kuret è una certezza, è infatti l’unico
direttore che è stato capace di vincere ben due volte questa
competizione e con due compagini corali diverse. Il
programma del coro maschile, arricchito dalle voci di Barbara
Sorc̆, mezzosoprano e Martina Burger, soprano,
accompagnato al pianoforte da Mojca Prus ha offerto una
lunga carrellata che da Jacobus Gallus arriva a Giovanni
Bonato. Il brano del compositore veneto è risultato il più
apprezzato dal pubblico. O lilium convallium in Assumptione
Gloriose Virginis Mariae con il testo tratto dall’antica liturgia
aquileiese e greco-ortodossa ha condotto i presenti in una
sonorità nuova rispetto al resto del programma. L’effetto
stereofonico, quasi di live electronics, ottenuto con il
posizionamento agli estremi del coro di due violoncelli, ha
consentito di gustare una rotondità armonica di pregiatissima
fattura che il coro ha reso nei chiaroscuri decisamente
affascinante. Applausi a scena aperta.
L’attesa non scema, anzi si concentra sul Coro Giovanile
Italiano che alle 21 si esibisce nella splendida Basilica di S.
Francesco. Dopo i riti introduttivi ai quali hanno partecipato
anche Katia Ricciarelli e Carla Fracci (che riceve la medaglia
del Presidente della Repubblica) si è passati alla musica. Un
repertorio ad arco con inizio e fine cinquecenteschi e il nucleo
centrale dedicato alla contemporaneità. I direttori Lorenzo
Donati e Dario Tabbia, che in questo biennio traghetteranno il
coro verso il grande evento di Europa Cantat di Torino 2012,
si sono alternati nell’interpretazione di alcuni grandi della
storia musicale: Gabrieli, Schütz, Palestrina, de Victoria,
Pizzetti, Stravinsky, Barber Penderecki. Nonostante il grande
caldo e il lungo e impegnativo programma il coro ha
sviluppato sonorità eccellente, fluidità e grande fraseggio.
Lo stesso dicasi per due prime assolute che Feniarco ha
commissionato a Carlo Pedini e Nicola Campogrande e che il
coro ha interpretato con consapevolezza e naturalezza,
nonostante la sua formazione risalga solo ad aprile scorso.
Davvero un risultato eccellente e si leggeva chiaramente
molta soddisfazione negli occhi di Sante Fornasier che tanto
ha lavorato per poter riprendere questa meravigliosa
esperienza ferma da qualche anno, per portarla a essere un
fiore all’occhiello della coralità giovanile europea.
Lunga maratona venerdì con i cori impegnati nei vari periodi
storici. Restano solo pochi minuti di prova al secondo coro
invitato per gli Awards: El León de Oro, proveniente dalle
Asturie e guidato da Marco Antonio García de Paz. Ho
scambiato alcune parole con lui, che avevo conosciuto alcuni
anni fa in occasione del Concorso Internazionale per Direttori
di Coro “M. Ventre” al quale era arrivato come finalista, e
traspariva l’emozione per l’ambito premio che, mi ha
confessato, serberà per sempre come uno dei riconoscimenti
più importanti della sua carriera. Il concerto copriva oltre 400
anni di repertorio e la capacità della compagine di
interpretare le esigenze dettate dalla prassi è stata eccellente.
Abbiamo potuto ascoltare polifonia antica, brani per cori pari,
musica sacra e profana anche di giovani compositori come
Ola Gjelo (1978) e Michael Ostrzyga (1975). Su tutti comunque
uno dei cavalli di battaglia del coro: Leonardo dreams oh his
flying Machine di Eric Whitacre, brano che molto contribuì alla
vittoria aretina nel 2008.
E a seguire, presso l’Anfiteatro Romano, grande successo di
pubblico (oltre mille persone) a tributare il consueto omaggio
al Festival di Canto popolare, nel quale i cori hanno donato un
po’ della loro terra attraverso la voce di chi ha messo in
musica le emozioni di Paesi tanto lontani e diversi.
Infine il sabato, nel quale l’attenzione si concentra sull’evento
clou dell’intera manifestazione: il Gran Premio Città di Arezzo.
A contenderselo il Chamber Choir Collegium Musicale di Tallin
(Estonia), il Chamber Choir Vox Gaudiosa di Tokyo (Giappone)
e il Salt Lake Vocal Artists di Salt Lake City (USA). Il livello è
altissimo e la vittoria si gioca sul filo di lana.
L’esordio degli estoni è mirabolante con un Bach strepitoso.
Singen bem Herrn ein neues Lied è un rincorrersi di lunghe e
impegnative linee nelle quali il compositore tedesco
contrappunta in modo efficace rendendo difficile l’esecuzione
che in questo caso è ottima.
A seguire il coro giapponese che sorprende sin dal primo
brano: Knowee di Stephen Leek è una sorta di Walhalla nel
quale alcune coriste turbinano intorno al pubblico con suoni
fermi e taglienti, impugnando lanterne accese. L’esecuzione è
di altissimo livello, la capacità tecnica si evidenzia fortemente
nel repertorio che più si addice al coro, che, per spezzare la
sonorità contemporanea del programma, esegue con
precisione e intensità Dolcissima mia vita di Carlo Gesualdo.
Chiude il Salt Lake Vocal Artists anche se sarà difficile riuscire
a raggiungere la perfezione del Vox Gaudiosa. Il coro è
affaticato per la lunga competizione ma il risultato vocale è
ancora eccellente. La loro prova si chiude con il miglior
omaggio possibile al coro nipponico: l’interpretazione di
Usquequo Domine di Matsushita si conclude con il giusto
tributo del pubblico al quale si aggiunge l’applauso convinto e
sincero dei colleghi giapponesi presenti in sala.
La premiazione finale, nella quale possiamo riascoltare con
piacere i tre cori finalisti, termina con l’assegnazione del Gran
Premio ai giapponesi che, ricevuta la medaglia d’oro, cantano
commossi il loro inno e regalano l’ultimo momento di musica
a questo Polifonico, che il prossimo anno compirà 60 anni ma
non andrà certamente in pensione!
di Rossana Paliaga
Come accade per molte altre realtà culturali italiane di grande
tradizione, anche il Polifonico di Arezzo si trova alla soglia dei
sessant’anni a dover fronteggiare le conseguenze di una crisi
generale alla quale ha cercato recentemente di trovare una
soluzione in un rapporto più stretto con le istituzioni. La
ricerca di una nuova immagine adeguata ai tempi e alle
necessità contingenti continua, dimostrando quest’anno un
reindirizzamento apprezzabile verso le priorità della musica
con un allontanamento dall’immagine piuttosto ingessata
della precedente edizione. Se tuttavia il tocco di mondanità e
l’affettazione della solennità istituzionale, nonostante la
grande distanza dallo spirito autentico della coralità
amatoriale, possono servire a sostenere e far crescere la
manifestazione, non sarebbe saggio biasimare la scelta di
mantenere questo equilibrio nella cerimonia di apertura.
La serata inaugurale di quest’anno, accanto all’omaggio
all’anniversario dell’Unità e a ospiti di grande prestigio, ha
voluto oltretutto valorizzare adeguatamente il lavoro di
Feniarco attraverso il concerto del Coro Giovanile Italiano,
quale simbolo di prospettive future e di simbolica unità
nazionale.
Peccato soltanto che i veri appassionati di musica corale
siano risultati essere gli ultimi destinatari di questa
manifestazione, relegati a posti in piedi dietro le transenne
che delimitavano lo spazio dei posti a sedere destinati alla
parata di autorità e ospiti illustri e costretti ad attendere per
quasi un’ora l’inizio del concerto, ritardato dalla serie di
discorsi del protocollo istituzionale. L’incomodo, che ha
costretto molti ad andarsene durante l’intervallo, sarà stato
senza dubbio vincolato a imprescindibili obblighi logistici per
l’utilizzo dello spazio della preziosa Basilica di san Francesco,
ma rimane invece discutibile nella lunga introduzione la
volontà di uscire dal contesto corale per dargli maggiore
visibilità.
Madrina del polifonico è stata anche quest’anno la cantante
Katia Ricciarelli, affiancata dalla leggendaria étoile Carla
Fracci, alla quale è stata consegnata la medaglia del
presidente della Repubblica per la 59 a edizione del Polifonico.
Le due prestigiose ospiti si sono rivelate madrine affettuose e
partecipi per i giovani del progetto corale che hanno
applaudito e incitato dalle prime file, premiando
meritatamente il pregevole risultato dell’ottimo lavoro dei due
direttori Lorenzo Donati e Dario Tabbia, uno per il repertorio
antico, l’altro per quello contemporaneo, sotto il comune
denominatore di una sfida impegnativa dal punto di vista
interpretativo come è quella della musica sacra.
I giovani coristi hanno dimostrato di trovarsi a proprio agio
nei diversi stili di un programma adeguatamente impegnativo
e formativo, pronti a sperimentare armonie inconsuete, brani
a tre cori o per otto voci che probabilmente non rientrano nel
repertorio abituale dei loro cori di provenienza. La Fracci ha
sottolineato nel suo discorso di ringraziamento l’importanza
della progettualità, della disciplina e dell’entusiasmo per la
buona riuscita di ogni attività artistica e i ragazzi del Coro
Giovanile Italiano hanno dimostrato di aver fondato il proprio
impegno su questi valori con un concerto di ottimo livello, un
buon controllo del suono sufficientemente amalgamato e un
sincero coinvolgimento. Ha impreziosito il concerto uno
sfondo unico, la maestosa bellezza della Leggenda della Vera
Croce di Piero della Francesca, uno dei più grandi tesori del
nostro patrimonio artistico, illuminata nell’introduzione al
concerto con i colori della bandiera durante l’esecuzione
dell’inno di Mameli arrangiato per l’occasione da Donati e
trasformato in una ninna nanna che invita per contrasto a
prendere posizione rispetto a un pericoloso assopimento
culturale. Si è “destata” invece la voglia di stare assieme nei
giovani coristi che hanno creato una rete nazionale di rapporti
nel nome dell’arte corale. Francesco, Luca e Adalgisa hanno
prestato la loro voce a Nord, Centro e Sud nell’esprimere il
proprio entusiasmo per questo progetto.
Francesco (Torino): «La cosa più sorprendente è che si sia
creato un gruppo bellissimo con legami così forti in un tempo
brevissimo. Tanti singoli sono diventati una cosa sola e di
questo testimonia il suono del coro. Il risultato ottenuto non è
un caso, ma il grande merito dei due direttori che hanno
saputo condividere e suddividere il lavoro tra di loro, creando
inoltre un rapporto di grande collaborazione con i coristi.
Solitamente è difficile raggiungere una tale sinergia in così
breve tempo, ma qui tutti danno il massimo; ci si mette in
gioco completamente, perché in questo progetto importa
anche “come sei”, non soltanto “come canti”.»
Luca (Roma): «Il lavoro con il Coro Giovanile Italiano è
un’esperienza incredibilmente formativa dal punto di vista
musicale e personale. Sono grato in maniera particolare per
l’approfondimento del repertorio di musica antica, un mondo
che si scopre meno frequentemente in confronto con il
Novecento. Incontrare realtà vocali che rappresentano tutta
l’Italia, persone diverse con i loro trascorsi musicali, mi ha
fatto crescere individualmente in modo eccezionale e ringrazio
il cielo per la fortuna di aver superato l’audizione e la
possibilità di condividere la gioia di questa esperienza.»
Adalgisa (Reggio Calabria): «Il gruppo affiatato di coristi e
direttori che si è formato ha la capacità di coinvolgere e
amplificare l’energia che mettiamo in questa esperienza
corale. Apprezzo in particolar modo la possibilità di lavorare
con due maestri così diversi tra di loro, che derivano da
scuole ed esperienze differenti e mettono tutto il loro
impegno per trasmetterci queste conoscenze. Visto il tipo di
progetto le prove non sono frequenti, ma sono sempre
finalizzate alla realizzazione a breve termine di concerti, per
questo la nostra adrenalina è sempre molto alta e i direttori
hanno il difficile compito di convogliarla nella giusta
direzione.»
CRONACA
56
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UNA COLORATISSIMA SERIE MONDIALE DI CANTORI
LA NOTA ITALIANA
Il Concorso Corale Internazionale Città di Rimini
di Giorgio Morandi
di Rossana Paliaga
I tredici cori del concorso
internazionale di Arezzo hanno offerto
quest’anno una gara entusiasmante e
ricca di emozioni, con un confronto
all’ultimo punto tra i Salt Lake Vocal
Artists diretti da Brady Allred, forti
della sua grande esperienza e
dell’equilibrio nel dosare gli ingredienti
necessari a un buon risultato, e i
vincitori del coro giapponese Vox
Gaudiosa di Ko Matsushita, armoniosi
ed espressivi nel loro affascinante mix
di rigore e spontaneità, seguiti a breve
distanza dal Collegium musicale
estone diretto da Endrik Üskvärav, che
si è distinto in particolar modo nel
repertorio antico.
Gli addetti ai lavori sono stati tuttavia
unanimi nell’esprimere
l’apprezzamento anche per il buon
livello dei cori che hanno partecipato
al XXVIII concorso nazionale, sette gruppi provenienti da altrettante regioni della penisola e tra i quali il Vivaldi di Roma
si è cimentato addirittura in una doppia prova, partecipando anche al concorso internazionale, peso eccessivo per le
giovani coriste ma che conferma l’opinione molto positiva del nuovo presidente del Polifonico Carlo Pedini, musicista,
compositore ed ex direttore della Sagra Musicale Umbra, sulla crescita di qualità e ambizioni della coralità italiana:
«La mia opinione deriva dall’origine stessa del concorso nazionale, che era stato creato per la mancanza di cori italiani in
grado di partecipare al concorso internazionale. La coralità mondiale stava crescendo, noi in Italia siamo cresciuti più
tardi. Oggi possiamo però affermare di aver colmato quella lacuna e quindi la categoria nazionale serve semplicemente a
far sì che i nostri cori abbiano a disposizione una sorta di esperienza di “rodaggio”. Sono molti i cori italiani che
potrebbero partecipare al concorso internazionale e la funzione del nazionale è in fondo quella di banco di prova per chi
non si sente ancora abbastanza sicuro per una prova così impegnativa, considerando il livello straordinario dei cori che
partecipano all’internazionale. La necessità dalla quale è nato non ha più ragione di esistere, quindi portiamo avanti
entrambi i concorsi, ma senza considerarli la serie A e la serie B.»
In cosa consiste il miglioramento che ha permesso di ripensare la differenza tra i due concorsi con una funzione diversa?
«Il miglioramento consiste in tre fattori fondamentali. Innanzitutto la preparazione dei maestri che non è confrontabile
con quella dei maestri di trent’anni fa. Possiamo dire che oggi non ci sia coro che non sia diretto da un musicista
professionista, mentre cinquant’anni fa era difficile trovare veri professionisti. In secondo luogo si è sviluppato negli
ultimi vent’anni un lavoro sulla vocalità che ha portato a raggiungere la consapevolezza della vocalità giusta per il tipo
di repertorio affrontato. Oggi la presenza di un preparatore vocale – quando non sia già il direttore del coro – è un fatto
piuttosto comune. Il terzo fattore è il repertorio, che in tempi relativamente recenti si è sviluppato per ampiezza e
qualità, con un cospicuo aumento di autori italiani esperti di vocalità che scrivono pensando alle esigenze specifiche dei
cori. L’interesse primario di un tempo per la polifonia rinascimentale ha ceduto il passo a una prevalenza di musica
contemporanea.»
«L’arte presenta [rende presente] la bellezza, lo splendore, la
gloria, la maestà, il plus che è nelle cose e che si ritira
quando dite che la luna è solo terra e le nuvole sono solo
acqua». Queste parole di Padre Bernard Lonergan (ricordate
recentemente dal Card. Scola di Milano) identificano con
chiarezza l’esperienza dell’incontro con l’opera d’arte. Ciò
avviene anche nel campo della musica e in particolare della
musica corale; è avvenuto, in effetti, anche al Concorso Corale
Internazionale Città di Rimini lo scorso mese di ottobre.
Si discute spesso e da più parti sul valore del cantare insieme
come sforzo di collaborazione in cui diversi gruppi di persone
cantano insieme per produrre qualcosa che per un individuo
sarebbe impossibile ottenere. L’insieme dei cantori –
professionisti o dilettanti [nel vero senso etimologico che il
grande amico dei cori Mino Bordignon ricordava sempre «che
traggono diletto da ciò che fanno in musica»] – comprende
una coloratissima serie di partecipanti che riflettono
perfettamente il nostro mondo: neri, bianchi, latini, asiatici,
cattolici, protestanti, mussulmani ed ebrei; bambini, giovani,
adulti e anziani; conservatori, liberali, indipendenti e… fans
del tè delle cinque. Qualcosa di veramente unico e
caratteristico del mondo dei cori; esattamente quello che si è
visto a Rimini quando – dal 6 al 9 ottobre 2011 – si è
realizzata la quinta edizione del Concorso Corale
Internazionale Città di Rimini, una manifestazione corale di
tutto rispetto patrocinata dal Parlamento Europeo, dalla
Presidenza della Repubblica Italiana, dalla Regione Emilia
Romagna, dalla Provincia di Rimini, dal Comune di Rimini,
dall’Istituzione Musica Teatro Eventi, da Feniarco,
dall’Associazione Emiliano-Romagnola Cori e dalla Fondazione
Carim.
Erano stati ammessi al concorso 29 cori (ma i richiedenti
erano stati molti di più) provenienti per la maggior parte da
paesi europei (18 cori), ma anche dalla Russia (4 cori), dal
Sudamerica (Argentina e Messico, 2 cori) e un coro dal
Sudafrica, il paese dove è finito – grazie al Ekurhuleni
Children’s Choir (di Ekurhuleni, Gauteng, Sud Africa) il Gran
Premio Città di Rimini dopo che il coro si era già classificato
al primo posto nella Categoria C - Cori giovanili e di bambini e
al secondo posto nella Categoria D - Cori popolari e gospel.
Il Concorso Internazionale di Rimini è stato organizzato e
realizzato dall’Associazione Musicale Musica Ficta di Rimini
sotto la direzione artistica di Andrea Angelini per il quale
«il concorso non vuole soltanto mettere in competizione le
formazioni corali, ma intende presentare al pubblico le
caratteristiche e le diversità di ogni gruppo e repertorio.
Il tutto nella splendida cornice di questa antica città romana,
conosciuta per la bellezza delle sue spiagge ma soprattutto
piena di vestigia di un glorioso passato».
È sicuramente notevole lo sforzo richiesto da una
organizzazione come questa, ma non deve essere stato un
lavoro troppo pesante per il direttore artistico essendo egli
stato capace di crearsi una squadra di lavoro volontario come
quella guidata dalla segretaria Annamaria Fonti ed essendo
stato abile nell’affiancarsi una Commissione Artistica formata
dai musicisti Milan Kolena (slovacco, Presidente della Giuria),
Lorenzo Donati, Matteo Unich, Stojan Kuret, Ilario Muro e
Fabio Pecci.
Per la fruizione e il godimento completo dell’informazione da
parte dei lettori (cantori e addetti alla musica corale a
qualsiasi titolo) restano da ricordare con precisione le
categorie corali che il Concorso Corale Internazionale Città di
Rimini prevedeva e i parametri di giudizio tenuti in
considerazione dai giurati.
Le categorie previste e attivate sono le seguenti: A - Cori a
voci pari (maschili o femminili); B - Cori a voci miste; C - Cori
di bambini e giovanili (maschili, femminili, misti); D - Cori con
repertorio popolare e o spiritual/gospel (maschili, femminili,
misti); X - Concorso “Gran Premio Corale Internazionale Città
di Rimini” (a cui hanno partecipato i cori classificatisi primi e
secondi nelle categorie A, B e C). I criteri di giudizio adottati
dai giurati sono i seguenti: intonazione, fedeltà d’esecuzione
allo spartito, qualità del suono, scelta di programma,
impressione artistica generale.
Troppo importante per poterla dimenticare è stata l’attività
musicale collaterale che ha sicuramente contribuito a rendere
ancor più ricca e interessante la partecipazione dei cori al
concorso riminese.
Nel pomeriggio di sabato 8 ottobre i cori hanno realizzato il
CRONACA
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Lettera da Tallin
Risultati del concorso
di Alvaro Vatri
Cat. A - Cori a voci pari (maschili o femminili)
1. Chamber Choir Ozarenie - Mosca (Russia)
2. Vokalna Skupina Solzice Gs Brez̆ice - Brez̆ice
(Slovenia)
3. Jugendchor Konservatorium Winterthur Winterthur (Switzerland)
Dal 26 settembre al 1 ottobre si è tenuto a Tallin in Estonia
(capitale europea della cultura per il 2011) il 4° Forum
Mondiale dell’International Music Council (IMC). Tema del
forum: “Musica e cambiamento sociale”, un tema quanto mai
attuale in tempi in cui la cultura in generale sembra essere
relegata a un ruolo assolutamente marginale, se non
addirittura inutile, nella nostra società in affanno. Sono
emersi e ribaditi concetti “forti”, quali il riconoscimento della
Cat. B - Cori a voci miste
1. Mixed Choir Odmev - Kamnik (Slovenia)
2. Perbanas Institute Choir - Jakarta (Indonesia)
3. Its Student Choir - Surabaya (Indonesia)
Cat. C - Cori di bambini e giovanili (maschili,
femminili, misti)
1. Ekurhuleni Children’s Choir - Ekurhuleni
Gauteng (South Africa)
2. Rodnik Chamber Choir - Mosca (Russia)
3. Children’s Choir Consonance - Mosca (Russia)
Cat. D - Cori con repertorio popolare e o
spiritual/gospel (maschili, femminili, misti)
1. Its Student Choir - Surabaya (Indonesia)
2. Ekurhuleni Children’s Choir - Ekurhuleni
Gauteng (South Africa)
3. Perbanas Institute Choir - Jakarta (Indonesia)
Gran Premio Città di Rimini
Ekurhuleni Children’s Choir - Ekurhuleni Gauteng
(South Africa), diretto da Christine Dercksen
Altri premi
Miglior direttore: Budi Susanto Yohanes, Choir
Its - Surabaya (Indonesia)
Miglior gruppo da camera fino a 12 cantori:
Vocal Group Octachord - Rijeka (Croatia)
servizio musicale liturgico, sotto la direzione del maestro Andrea
Angelini, durante la S. Messa vespertina nella Chiesa di S. Agostino
di Rimini.
Nelle serate di giovedì 6, venerdì 7 e sabato 8 ottobre tutti i cori
hanno avuto la possibilità di realizzare parte di un concerto non
competitivo nello stesso Teatro Novelli sede del concorso. In questa
occasione i cori hanno dovuto presentare un repertorio di quattro
brani, diverso da quello previsto per la competizione vera e propria.
Inoltre alcuni dei cori il sabato sera hanno realizzato un’interessante
rassegna corale nella città di Riccione.
Il grande concerto per l’assegnazione del “Gran Premio Città di
Rimini” è stato onorato dalla presenza del presidente di European
Choral Association - Europa Cantat e presidente di Feniarco Sante
Fornasier, del presidente dell’Aerco Fedele Fantuzzi e da Monique
Lesenne, presidente dell’Associazione dei Cori Fiamminghi (Belgio).
Che dire ancora, vista la tirannia dello spazio a disposizione? Come
esprimere in poche righe un fiume di informazioni, di immagini, di
emozioni, di sensazioni che scorrono nel cuore e nella mente… una
mente attonita di fronte a una miriade di persone venute da ogni
parte della terra… di fronte a uno spettacolo, una meraviglia
musicale, e in particolare corale, indescrivibile il cui ricordo
emoziona ancora e a cui nessuno può restare indifferente?
Non resta che fare gli auguri di lunga vita e costante crescita a un
concorso giovane di storia ma già ricco di valore, un concorso che
sicuramente merita un ulteriore sforzo per guadagnarsi – anche
verso l’esterno, anche nella città e in tutto il mondo corale – una più
decisa immagine internazionale e quel più vasto pubblico che esso
si merita e che una prestigiosa città come Rimini può offrire.
cultura come un diritto fondamentale dell’umanità, al pari dei
diritti civili, politici ed economici, e anche che la cultura è da
considerarsi un indicatore del progresso sociale al pari del PIL e del welfare. Sono diritti centrali per l’identità, la coesione,
l’autodeterminazione e il rispetto di una nazione. Molti
relatori, di ogni continente, hanno portato esperienze concrete
di come la musica possa essere uno strumento di
cambiamento sociale, di come l’investimento in progetti
culturali e musicali si riveli produttivo (è stato calcolato che
un dollaro investito in progetti musicali in 10 anni ha un
ritorno di 600 volte). È stato un confronto importante che ci
ha permesso di constatare come, sul piano pratico, molte
iniziative nelle più diverse latitudini rispondono alle stesse
esigenze di inclusione di sviluppo nel rispetto e
nell’armonizzazione delle diversità. Presente ECA - Europa
Cantat, con il presidente Sante Fornasier, la segretaria Sonja
Greiner e altri dirigenti; presente l’Italia, rappresentata al
forum da Feniarco, con lo stesso presidente Fornasier, il
presidente dell’Arca Gianni Vecchiati e il sottoscritto. Siamo
stati invitati a presentare il Bilancio Sociale, valutato
strumento di grande utilità e un modello che, si spera, possa
“ispirare” molte altre organizzazioni. I contenuti del Bilancio
Sociale, vale a dire il resoconto dell’impatto sociale
dell’attività della coralità amatoriale italiana rappresentata da
Feniarco, la sinergia con l’istituzione pubblica che ha
finanziato il progetto e il metodo per la sua realizzazione che
ha visto interagire le federazione nazionale con le associazioni
regionali, rappresentano un processo particolarmente incisivo
per individuare, affermare e consolidare il ruolo delle
organizzazioni culturali nel raccogliere e saper dare risposte
adeguate alle richieste che i rapidi cambiamenti della società
fanno continuamente emergere. La cultura in generale e la
musica in particolare svolgono un ruolo a volte decisivo,
soprattutto in situazioni di disagio ambientale e sociale, ma
tanto più la loro azione sarà efficace quanto più sapranno
presentarsi con strumenti efficaci e innovativi. Il nostro
Bilancio Sociale è stato ritenuto tale. Sicuramente un
importante riconoscimento per il nostro mondo corale
amatoriale (e un grande onore per il sottoscritto che ha svolto
la relazione), ma al tempo stesso la constatazione che, come
spesso accade, «nemo propheta in patria». Comunque… noi
c’eravamo, e abbiamo potuto così constatare anche l’interesse
e l’attesa per il grande evento che ci riguarda: il Festival
Europa Cantat XVIII Torino 2012!
International Music Council
L’International Music Council (IMC) fondato
dall’UNESCO nel 1949, è il più grande network
mondiale di istituzioni e di singoli operatori attivi in
campo musicale, che promuove le diversità
musicali, l’accesso alla cultura per tutti e unisce
organizzazioni in circa 150 paesi nel mondo nel
costruire la pace e la comprensione reciproca tra
popoli di ogni cultura.
IMC sostiene l’accesso alla musica attraverso
l’affermazione dei “5 diritti musicali”.
Il diritto per tutti i bambini e gli adulti di:
– esprimersi attraverso la musica in totale libertà;
– imparare i linguaggi e le tecniche musicali;
– esprimere le proprie opinioni musicali attraverso
la partecipazione, l’ascolto, la creatività e
l’informazione.
Il diritto per tutti i musicisti di:
– sviluppare il loro talento artistico e comunicare
con tutti i mezzi, con adeguati servizi a
disposizione;
– ottenere il giusto riconoscimento e compenso per
il proprio lavoro.
CRONACA
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UNA ITALIA IN VENTI MODI
PASSIONE BASCA
L’Italia del 150º raccontata in coro al Concorso di Fiuggi
IL 43º Certamen Coral de Tolosa e il 23º Grand Prix Europeo
di Sandro Bergamo
di Rossana Paliaga
Hanno risposto in ventidue, dei quali diciotto iscritti a
Feniarco, al bando di concorso indetto dal Tavolo Nazionale
per la Musica Popolare e Amatoriale per la proclamazione del
Coro del Centocinquantenario. Nonostante qualche defezione
dell’ultima ora, è stata una folta rappresentanza della coralità
italiana quella che per due giorni, il 19 e 20 novembre, ha
occupato non solo le scene del teatro comunale di Fiuggi, ma
anche la platea: come avviene raramente, i cori presenti a
questo concorso si sono caratterizzati oltre che per l’impegno
profuso nel presentare il proprio progetto musicale, anche per
l’attenzione con la quale hanno ascoltato i colleghi-rivali: un
piccolo segno di civiltà che merita i essere sottolineato.
Non tutto è andato per il meglio, in un contesto in cui la
logistica è apparsa piuttosto carente, anche per una
inadeguata conoscenza del mondo corale da parte degli
organizzatori. Ma l’impegno dei cori ha dato comunque
dignità all’appuntamento.
Ai cori partecipanti la commissione artistica aveva dato due
indicazioni programmatiche: anzitutto, trattandosi di un
concorso indetto per celebrare i centocinquant’anni dell’Unità
d’Italia, che si trattasse di composizioni, originali o
elaborazioni di temi popolari o altro materiale musicale,
dovute a musicisti italiani e composte o elaborate dal 1861 a
oggi; secondariamente, che i brani scelti in base a questo
primo parametro fossero strutturati in un progetto.
A questo invito i cori hanno risposto nei modi più diversi: chi
raccontando la propria regione attraverso le sue tradizioni
musicali popolari, chi approfondendo un autore, chi raccontando
l’Italia attraverso le canzoni che hanno unito il Paese nella
memoria collettiva, chi ripercorrendo i cori d’opera che
maggiormente si sono impressi nella memoria popolare e hanno
contribuito a costruire una cultura comune a tutti gli italiani.
Non è mancato chi ha approfittato del filo conduttore per
costruire un vero e proprio spettacolo, intercalando i brani
musicali con letture o addirittura con dialoghi che hanno
creato quasi una scena teatrale, per la quale magari
abbandonare il tradizionale abito scuro da concerto e
indossare un costume che calasse la scena nell’epoca
ottocentesca rappresentata. Elemento, questo, particolarmente
apprezzato dalla commissione nello stilare la graduatoria: tra i
parametri di giudizio, infatti, c’era anche quello della capacità
comunicativa del coro, un parametro introdotto dalla
commissione artistica del concorso allo scopo di valutare la
presenza “in scena”, non essendo più pensabile che al giorno
d’oggi un coro si limiti a disporsi impettito sul palco a
eseguire sull’attenti i propri brani. Da come si sono presentati
i cori in concorso, si può ritenere che l’invito a studiare anche
questo aspetto della propria performance sia stato capito e
Il Coro Armonia di Salerno
accolto dalla maggior parte dei cori partecipanti.
Non è stata tuttavia una celebrazione retorica, anzi: del
processo storico che ha portato all’Unità sono stati
rappresentati anche gli aspetti controversi e si sono potuti
sentire perfino i canti di quei “banditi” che combattevano
l’invasione piemontese, come taluni consideravano
l’unificazione. È stata l’esposizione di tutto ciò che gli italiani
amano della loro patria e della loro storia, così come si trova
nella musica sviluppata in questi centocinquant’anni, e in
particolare nella musica corale, il cui grado di sviluppo va di
pari passo con quello di coesione di un popolo e del senso di
appartenenza dei cittadini.
Da sottolineare il lavoro egregio della Giuria, presieduta da
Cinzia Zanon, affiancata da Paola Versetti e Fabio Ciulla. I tre
giurati hanno ben interpretato lo spirito con cui il concorso era
stato bandito e hanno valutato non solo le qualità tecniche
dei cori e delle loro interpretazioni, ma anche la proposta che
ciascuno ha presentato e l’aderenza al bando.
Alla fine sono risultati vincitori tre cori del centro e del sud
d’Italia: segno di come la coralità di queste regioni sia
cresciuta negli ultimi anni. Al terzo posto si è classificato
infatti un coro del Lazio, il coro In Maschera di Ariccia diretto
da Marta Zanazzi, e al secondo il salernitano Numeri Primi
diretto da Alessandro Cadario. Della stessa città campana il
vincitore, proclamato Coro del Centocinquantesimo: il coro
Armonia, diretto da Vicente Pepe. Da due anni, con enorme
successo, si tiene a Salerno, nel mese di novembre, un grande
festival corale che porta sessanta cori e duemila coristi: con
questi risultati, possiamo dire che le ricadute benefiche sulla
coralità della città, gli stimoli che essa ne riceve, portano
anche a una crescita musicale dei suoi complessi.
L’atmosfera che si respira al Certamen coral de Tolosa ha un
carattere peculiare, perfettamente riconoscibile, un misto di
sensazioni e situazioni all’interno delle quali la coraltà trova
una cornice ideale. In mezzo al paesaggio aspro e frastagliato
della regione basca che tanto assomiglia a una certa
ruvidezza di facciata dei suoi orgogliosi abitanti, si apre da 43
anni il grande sorriso di un incontro corale internazionale di
primaria importanza. In questa piccola cittadina la
manifestazione assume un ruolo e un valore che si avverte in
modo tangibile: la sua vitalità in tutte le fasi del programma
incoraggia e facilita l’incontro di coristi, direttori e operatori
del settore, il coinvolgimento premuroso di collaboratori e
volontari dell’organizzazione esprime il senso dell’ospitalità
tra i profumi della rinomata cucina locale e la voglia di far
conoscere il patrimonio tradizionale basco, il giovanissimo
sindaco conferma con la propria presenza costante ed
entusiasta il sostegno concreto delle istituzioni, il pubblico
risponde con sorprendenti, lunghe code all’ingresso del teatro
Leidor, dove si svolge la maggior parte delle selezioni. Proprio
questa attesa festosa di un pubblico di tutte le età e sempre
numerosissimo testimonia nel modo più eloquente il successo
di un concetto e di un progetto. Al sabato mattina sono i
bambini ad attendere l’apertura delle porte per ascoltare i
cori di voci bianche, la domenica non c’è un posto libero nella
suggestiva chiesa barocca di Santa Chiara per ascoltare i
programmi sacri dei gruppi vocali che in questo spazio
trovano la loro migliore espressione dal punto di vista
acustico, nella grande sala del cinema-teatro in centro
l’attenzione e l’interesse rivolti a tutte le esibizioni sfociano
dopo ogni brano negli applausi e incoraggiamenti di chi
comprende e sa vivere la coralità con autenticità e sensibilità.
L’abbraccio del pubblico coinvolge tutti i partecipanti, sincero
e incontenibile nonostante il contesto competitivo ed è la cifra
mediterranea più forte in un concorso che, con buona pace di
tutti gli stereotipi sui popoli latini, testimonia della
particolarità del carattere basco con una precisione “nordica”
del meccanismo organizzativo. Questo invidiabile mix di rigore
e passione è frutto di una tradizione e il conseguente, ampio
riscontro presso pubblico e istituzioni amplifica il senso di
appartenenza, come conferma il direttore artistico del
concorso Luis Miguel Espinosa: «L’amore per la coralità nei
Paesi baschi viene da lontano, è un legame che conosco da
sempre, una vera passione. Siamo la provincia più piccola
della Spagna e tuttavia vantiamo il movimento corale più
importante del paese. Lo dimostra ad esempio il fatto che il
coro di San Sebastian, l’Orfeon Donostiarra, sia stato diretto
dai migliori maestri del mondo. Vogliamo occuparci di coralità
amatoriale in maniera professionale. L’impegno dei baschi
nella coralità è molto vivace in rapporto al numero di abitanti.
I nostri compositori sono molto apprezzati perché vivendo in
questo ambiente hanno cantato e ascoltato musica corale fin
da piccoli, quindi conoscono lo strumento e sentono la
passione del canto. Noi vogliamo sostenere questo
entusiasmo, per questo ci adoperiamo affinchè la musica dei
nostri compositori viventi, soprattutto giovani, si possa
ascoltare ed eseguire. In questo senso scegliamo anche i
pezzi d’obbligo, che quest’anno hanno unito compositori
baschi e catalani. L’atmosfera del concorso è unica perché
coinvolge tutti: cori partecipanti, direttori, compositori, ospiti
da tutto il mondo e il pubblico di cantori e direttori che
arrivano a Tolosa da tutto il nord della Spagna, da Galizia,
Castiglia, Andalusia e Aragona. Nell’organizzazione del
concorso abbiamo potuto contare finora su un grande
supporto delle istituzioni. Probabilmente il sostegno
economico diminuirà a causa della crisi generale, ma sono
convinto che questo non ridimensionerà l’attenzione per una
manifestazione corale che rende Tolosa famosa nel mondo.»
Questa volta il mondo si è incontrato a Tolosa per una
settimana intera, dato che al concorso internazionale si è
aggiunta la tappa annuale itinerante del Grand Prix Europeo.
Il CIT, centro iniziative locale che tiene saldamente le fila
dell’organizzazione, ha raddoppiato il suo impegno per
portare al suo grato pubblico le voci dell’olimpo corale
attuale, nel quale si è fatto onore ricevendo consensi
assolutamente lusinghieri il coro Città di Roma diretto da
Mauro Marchetti, vincitore del gran premio a Varna e degno
rappresentante di un’Italia che non sta più a guardare, ma si
mette in gioco con consapevolezza e capacità. Il primo premio
nel GPE ha confermato la solidità della grande tradizione
scandinava con la vittoria del coro che si è distinto l’anno
scorso ad Arezzo, lo Svenska Kammarkören di Göteborg. Nella
sua marcia verso il podio gli svedesi hanno incontrato la
concorrenza dell’ottimo coro basco Kup Taldea che ha fatto
incetta di premi al concorso di Tours nel 2010, del coro
tedesco Consono proveniente dal concorso di Debrecen e del
coro giovanile ungherese Cantemus, laureato alla precedente
edizione del concorso di Tolosa.
Sarà invece protagonista del prossimo Grand Prix a Maribor il
coro vincitore del concorso internazionale basco, il gruppo
misto ucraino Oreya, prodotto delle capacità del direttore
Alexander Vatsek e che ha il suo punto di forza nella ricerca
del suono. In questo coro anche la teatralità di alcune
esibizioni spazializzate è funzionale alla differenziazione della
resa sonora con coristi che danno le spalle al pubblico per far
risaltare il solista, gruppi che assumono posizioni diverse per
amplificare il contrasto tra sezioni e timbri. I maestri del
CRONACA
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UN INVESTIMENTO SULLA CORALITÀ
La prima edizione del Grand Prix de la Vallée d’Aoste
di Rossana Paliaga
suono dalle mille sfumature non hanno lasciato dubbi alla
giuria che li ha premiati sia nella polifonia che nel folclore,
sebbene quest’ultimo premio sarebbe stato altrettanto
meritato dal coro asturiano El Leon de Oro, perenne secondo
in questa edizione del concorso, probabilmente a causa della
forza e solidità autenticamente “leonine” di esecuzioni che
troppo spesso trascurano le sfumature interpretative.
Tra i 19 cori provenienti da 11 paesi, l’Euskadi (nome dei paesi
baschi spagnoli) ha avuto il suo rappresentante nell’affiatato
Landarbaso Abesbatza di Iñaki Tolaretxipi, accanto al quale
merita di essere citato il coro lettone Baltsis, una formazione
di giovani dal grandissimo potenziale che farà parlare di sé
dopo essere maturata nelle interpretazioni.
Il concorso ha soddisfatto anche gli appassionati delle
espressioni cameristiche con autentici gruppi da camera
(solitamente piuttosto rari), tra i quali si è piazzato al primo
posto il gruppo maschile ceco The Gentlemen singers con il
suo amalgama di voci ben controllate, seguito a breve
distanza sia nel repertorio sacro che in quello profano dalla
grande tradizione vocale inglese con i Songman, giocosi e
virtuosistici interpreti che hanno conquistato il pubblico tra
polifonia rinascimentale e spiritual.
Il primo premio nei cori di voci bianche è andato ai bambini
del coro cinese di Guangzhou, che secondo la proverbiale
disciplina orientale si danno l’intonazione da soli, sono
vocalmente preparatissimi e quasi impeccabili nella
coordinazione delle coreografie di gruppo. Non ha convinto
invece la giuria il coro giovanile tedesco di Wolfratshauser
che ha invece attirato l’interesse del pubblico per un
programma particolarmente articolato e differenziato negli
stili e approcci con una significativa e originale panoramica
sul repertorio contemporaneo. I secondi classificati, il giovane
vivaio del Leon de Oro, si sono invece distinti come
rappresentanti del diffuso indirizzo spettacolare che lega
all’esecuzione vocale un’interpretazione coreografica.
Dalla vivace platea hanno sostenuto i cori anche gli autori dei
brani d’obbligo, gli stimati compositori Xabier Sarasola e
Junkal Guerrero (autore dell’adeguatissimo, vivace pezzo
d’obbligo per bambini che senza dubbio supererà l’ambito
dell’esecuzione in concorso per entrare nei repertori abituali)
e il catalano Josep Vila, ai quali si è aggiunto un ospite
d’eccezione come Javier Busto. Per tutti i cori l’omaggio alla
letteratura basca nei programmi è andato ben al di là dei
pezzi d’obbligo, a riprova del fatto che la tradizione locale
produce autori capaci di scrivere musica corale con particolare
competenza e proprietà. Il rapporto con un illustre passato
viene evidenziato invece dall’obbligo di esecuzione di un
brano di Tomás Luis de Victoria.
L’andamento scorrevole dell’intera manifestazione che nelle
singole categorie non conosce momenti di stallo, si riflette
anche nell’immediatezza delle valutazioni con la creazione di
una classifica generale finale che decreta il vincitore assoluto
senza bisogno di ulteriori verifiche, semplicemente sulla base
del punteggio più alto in tutte le categorie. La giuria di
esperti, della quale ha fatto parte anche Francesco Luisi, ha
confermato l’alto livello del concorso con votazioni che non
sono state inferiori a 77 punti.
Il concorso di Tolosa ha una sua specificità anche nella
gestione delle premiazioni, che si sono svolte in mattinata
con una cerimonia-concerto dove la consegna di ogni premio
era seguita direttamente dall’esibizione del coro, quasi a
esemplificare la motivazione. Tutti i primi classificati sono
stati “incoronati” con la chapela basca, il tipico berretto
maschile che è diventato un segno distintivo di questa
regione.
Il concorso internazionale di Tolosa ha dimostrato
nuovamente che sotto quei berretti ci sono un grande
orgoglio e un grande amore per la musica corale che ha unito
con raro entusiasmo i coristi e il loro uditorio del quale gli
organizzatori hanno voluto premiare anche la voglia di ulterori
esperienze musicali attraverso la votazione per il premio del
pubblico che ha dato a tutti la possibilità di partecipare
all’estrazione di un viaggio premio a Madrid per assistere alla
rappresentazione dell’opera L’incoronazione di Poppea di
Monteverdi.
Rinomata per le bellezze naturali della catena del Monte
Bianco, per un patrimonio storico e artistico inestimabile che
dalle maestose vestigia di Augusta Praetoria e passando
attraverso una rete di preziosi castelli e manieri medievali
arriva fino all’eredità di casa Savoia, la Valle d’Aosta vuole
legare la propria riconoscibilità a livello internazionale a
un’ulteriore attrattiva: la coralità. L’assessorato all’istruzione e
cultura della Regione autonoma e la Fondazione istituto
musicale della Valle d’Aosta in collaborazione con l’Arcova
hanno voluto fare un gesto importante in un periodo di scarsa
attenzione al valore della cultura con la creazione di un nuovo
concorso internazionale che si è svolto a Saint-Vincent dal 22
al 24 settembre.
Il concorso si caratterizza per una selezione di principio dei
cori che devono aver conquistato un primo premio a concorsi
nazionali o internazionali e si svolge nelle due fasi di prova
eliminatoria e finale, seguita da premiazioni e concerto di gala
che si svolgono al Palais di Saint Vincent. Cospicui i premi
assegnati attraverso la valutazione della giuria internazionale
che è stata chiamata anche a evidenziare le migliori
esecuzioni di elaborazioni corali di brani valdostani; era
comune a tutti il brano Le prisonnier, commissionato al noto
compositore belga Vic Nees, mentre variavano le elaborazioni
create da autori scelti da ogni singolo coro su melodie
popolari proposte dagli organizzatori che si sono fatti così
promotori di cultura corale anche sul piano della
composizione e della diffusione del patrimonio locale.
L’edizione di rodaggio del Grand Prix de la Vallée d’Aoste ha
attirato i primi pionieri di una manifestazione che attraverso
la loro esperienza inizia a far parlare di sé e a costruire la
propria specifica identità all’interno del ricco panorama delle
competizioni europee. L’incognita della novità non ha
incoraggiato a intraprendere lunghi viaggi; il test di apertura è
stato infatti affrontato prevalentemente da cori italiani,
creando all’interno del contesto internazionale una vetrina
ulteriore di interessante confronto nazionale.
Pietro Ferrario e i suoi appassionati coristi dell’Ensemble
vocale Calycanthus hanno spaziato da Whitacre a Mis̆kinis
senza trascurare la propria inclinazione jazz, ma dosando con
troppa parsimonia colori e “spezie” anche a causa del
palcoscenico acusticamente piuttosto inadeguato e dispersivo
che certamente non ha facilitato i gruppi meno numerosi.
L’eccellenza locale si è fatta valere con la bella esibizione del
coro giovanile Les notes fleuries du Grand Paradis, gruppo
numeroso di coristi vivaci e ben preparati per il quale la
direttrice Ornella Manella ha scelto un felicissimo
compromesso di brani “orecchiabili” ma non scontati che i
giovani possono fare propri e interpretare con convinzione,
soddisfacendo al tempo stesso il pubblico più esigente che ha
assegnato loro il premio speciale. Per il Genova Vocal
Ensemble di Roberta Paraninfo il consueto, sistematico
utilizzo delle soliste e le relative scelte di repertorio non
sempre strettamente corale sono stati al tempo stesso
prerogativa tecnica e stilistica e elemento di penalizzazione in
questo specifico contesto. Il Gruppo corale Licabella diretto
da Flora Anna Spreafico è salito per ultimo sul palcoscenico
della prima serata, dove è stato vittima a livello di punteggio
di un suono piuttosto disomogeneo e imprecisioni nella
pronuncia dei testi in lingua straniera. Per pochissimo non è
entrato nella rosa dei finalisti il Vocalia Consort di Marco
Berrini, coro di carattere ma che non trova il giusto amalgama
tra la predominanza delle voci maschili e la maggiore fragilità
vocale della sezione femminile. Il coro ha conquistato il
premio per l’esecuzione del brano d’obbligo e per
l’elaborazione corale originale. La serie di cori italiani ha
avuto anche la sua caratteristica nota alpina con il coro virile
Voci del Pasubio di Isola Vicentina che sotto la direzione di
Alessandro Costa ha espresso un suono gentile, levigato ma
in un programma di scarsa difficoltà in un contesto
competitivo. Si è fermato alla fase eliminatoria insieme ai
complessi citati anche il coro romeno Preludiu diretto da
Voicu Enachescu.
Sono arrivati invece in finale il Complesso vocale di Nuoro
diretto da Franca Floris, il coro Città di Piazzola sul Brenta e
la Vokalna Akademija Ljubljana di Stojan Kuret, ognuno di
loro portando in campo una strategia diversa.
Vincitore prevedibile del concorso è stato il coro virile sloveno
64
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+ approfondimenti>
LA PAROLA ALL’ASSESSORE
LAURENT VIÉRIN
La possibilità data ai cori di prendere parte a gite
organizzate e lo svolgimento delle selezioni in forma di
concerti serali rivela la doppia valenza complementare
del Grand Prix come strumento di promozione del
territorio e stimolo nuovo anche per la coralità
regionale.
Attraverso questo concorso abbiamo voluto valorizzare
il panorama culturale della Valle d’Aosta che presenta
una connotazione corale molto forte; su circa 120.000
abitanti circa abbiamo infatti più di 1000 coristi, una
realtà molto variegata, in salute, composta da molti
giovani. Con questo concorso ci proponiamo come
punto di riferimento nel panorama internazionale
accanto alla valorizzazione locale delle nostre
prerogative, creando un punto d’incontro tra i cori
valdostani e le realtà esterne alla nostra regione,
lanciando un messaggio molto forte e convinti che
attraverso lo scambio e il confronto di esperienze si
possa crescere. Durante tre giorni la Valle d’Aosta è
stata protagonista in una rassegna internazionale che
rende onore e merito alla nostra regione per la sua
tradizione corale ed esprime l’orgoglio di pensare a una
programmazione culturale. In un momento difficile in
cui si parla di razionalizzazione noi crediamo infatti che
investire nella cultura e nei giovani, in questo caso nel
mondo corale, significhi far crescere una comunità.
Attraverso i brani d’obbligo su motivi popolari
valdostani, il concorso vuole inoltre produrre musica
con un laboratorio di composizione che arricchisce il
patrimonio corale in generale e diffonde la tradizione
locale.
Come accade per molte minoranze linguistiche, la Valle
d’Aosta ha la prerogativa di essere una comunità di
persone con un forte senso di appartenenza. Il
valdostano d’origine o di adozione sente di appartenere
a questo territorio e ne è fiero; in questo orgoglio si
esprimono i caratteri che contraddistinguono la nostra
comunità, soprattutto quelli intangibili, il patrimonio
immateriale, quello più difficile da difendere; il canto
popolare diventa attraverso un coro patrimonio e
momento materiale. Il fatto di imporre un brano
d’obbligo significa far sì che a concorso finito un pezzo
di Valle d’Aosta vada nel mondo attraverso i cori
partecipanti. Questo per noi è importante, significa che
la nostra regione è e sarà presente al di fuori dei propri
confini tra i popoli amici con la varietà che
contraddistingue la nostra comunità.
+ curiosità>
+
rubriche>
+
+
VAL, fenomeno corale di alto rango che fin dalla recente
fondazione miete meritati successi ai concorsi
internazionali e vanta già alcuni importanti record in
questo senso. L’equilibrio delle voci, l’armonia d’insieme,
la grande musicalità sono stati dispiegati in un
programma che ha messo in evidenza molte e diverse
capacità a livello vocale e stilistico. Kuret si è concesso
anche di rischiare con la scelta di un programma per la
finale confezionato in maniera concertistica più che
competitiva, assecondando la natura dei più recenti
progetti del coro con l’utilizzo di solista esterna al coro e
strumenti, non essendo specificato nel regolamento alcun
divieto in proposito.
Con esecuzioni curate e attenzione al dettaglio si è
distinto il coro sardo, diretto con amore e modellato con
sensibilità in un potenziale che rivela margini più ampi di
sfruttamento. Il suono morbido e omogeneo del coro
veneto avrebbe dovuto essere supportato da una
maggiore intensità nelle interpretazioni, arginate entro
toni pastello dal direttore Paolo Piana, dettaglio tuttavia
puntiglioso rispetto alla soddisfazione di essere stati
premiati come coro italiano detentore del punteggio più
alto: «Per noi è stata un’esperienza grandiosa perché non
ci aspettavamo il risultato finale, sapendo che dovevamo
confrontarci con gruppi di altissimo livello. Siamo molto
soddisfatti della nostra prestazione nella consapevolezza
di aver reso al massimo della nostre possibilità. La giuria
ci ha gratificati con il suo apprezzamento, al quale
dobbiamo aggiungere la bellissima atmosfera trovata in
Valle d’Aosta.»
Come ha sottolineato il presidente di giuria Filippo Maria
Bressan, la prima edizione di un concorso deve dare un
segno e accanto alla sodisfazione dei cori italiani il primo
posto di un coro di indiscutibile valore come il VAL è
stato certamente di buon augurio per la competizione che
in questo modo indica ai partecipanti futuri i propri
parametri. L’appuntamento per il prossimo Grand Prix
della Vallée d’Aoste è tra due anni, il tempo necessario a
far diffondere la conoscenza di questa manifestazione
perché una rilevante iniziativa diventi tradizione.
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REGIONI
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Notizie dalle regioni
A.R.C.C. Campania
Associazione Regionale Cori Campani
Via Trento, 170 - 84131 Salerno
Presidente: Vicente Pepe
Vitalità e vivacità corale in Campania
La Schola Cantorum “San Pantaleone” di Vallo della Lucania organizza un corso biennale per
Direttori di coro in collaborazione con Arcc: il corso, tenuto da Luigi Leo, si è avviato il 30
ottobre e si concluderà nel marzo 2012. Tra i molti temi affrontati, la padronanza del gesto,
la tecnica di direzione, la concertazione, l’emissione vocale e le tecniche esecutive. Dal 9 al
25 settembre a Cava de Tirreni si è svolta la IV Rassegna Gospel Collection “Musica sacra…
dal Gregoriano al Gospel”, con la partecipazione di dieci cori della regione. Il 26 novembre
Somma Vesuviana ha ospitato la prima Rassegna “Anema e… Cori”, importante occasione di
incontro per le corali campane, organizzata dagli Aedi del Borgo con la collaborazione dell’Arcc.
L’indomani, il 27 novembre, si è invece tenuto a Lancusi il VII Raduno Regionale “Natal Cantando”, organizzato dal Coro Polifonico S. Martino in collaborazione con l’Arcc.
Segnaliamo, infine, la pubblicazione nel mese di novembre del secondo cd targato Arcc,
che raccoglie il lavoro di quattordici cori: un prodotto che vuole rappresentare la realtà
musicale dell’associazione attraverso un repertorio ricco e variegato, segno di vitalità e
vivacità.
A.E.R.CO. Emilia Romagna
Associazione Emiliano Romagnola Cori
Via S. Carlo, 25/F - 40121 Bologna
Presidente: Fedele Fantuzzi
Itinerari di Musica Corale a Bologna
Nell’ambito delle attività promosse dall’Aerco nel 2011, ricordiamo la tradizionale rassegna
Itinerari di Musica Corale, giunta alla XXII edizione. Proseguendo la collaborazione con
l’Università di Bologna, l’Aerco ha partecipato alle iniziative autunnali della Festa della
Storia: tale manifestazione mette in campo sinergie del mondo culturale, accademico e
artistico con un calendario di eventi che sviluppano il tema scelto. La rassegna Aerco è
stata inserita nel cartellone delle manifestazioni acquistando così un ancor maggiore prestigio e una capillare diffusione presso il pubblico e la cittadinanza di Bologna.
Per l’Aerco l’anno 2011 ha rappresentato un momento molto importante: il 16 maggio 1971
Giorgio Vacchi assieme ad altri cinque rappresentanti di cori emiliano-romagnoli, dettero
vita all’Aerco – prima associazione regionale sorta in Italia – che oggi conta 185 cori in
attività, distribuiti su tutto il territorio regionale.
Nell’anno del quarantennale, la rassegna Itinerari di Musica Corale si è articolata in due
concerti tenutisi nell’Aula Absidale di Santa Lucia nelle serate del 9 e 15 ottobre. I sei cori
intervenuti hanno presentato un programma di canti legati al 150° dell’Unità d’Italia e alla
storia del nostro paese, con ampio apprezzamento da parte del numeroso pubblico.
U.S.C.I. Friuli Venezia Giulia
Unione Società Corali del Friuli Venezia Giulia
Via Altan, 49 - 33078 San Vito al Tagliamento (Pn)
Presidente: Franco Colussi
Confronti corali in Friuli Venezia Giulia
Si è tenuta domenica 23 ottobre a Gorizia la tredicesima edizione di
Corovivo, rassegna corale di carattere competitivo che ha visto 17 cori
esibirsi nei rispettivi progetti, classificandosi secondo le tre fasce di
eccellenza, merito e distinzione e competendo inoltre per il Gran Premio,
assegnato dalla giuria al Piccolo Coro Artemìa di Torviscosa. Giornata
molto apprezzata sia per la qualità e varietà dei progetti presentati, sia
per il buon livello dei cori.
Positivo e importante anche il seminario CMT - Choral Management
Today organizzato il 17 settembre a Palmanova. Dall’omonimo progetto
Feniarco, l’Usci Fvg ha voluto offrire ai propri cori un’interessante
occasione per approfondire gli aspetti organizzativi, normativi, fiscali,
di marketing ecc. legati alla gestione di un’associazione corale.
L’interesse che questi temi suscitano nei cori è stato confermato da
un’ampia presenza di pubblico e da numerosi apprezzamenti.
Da sottolineare, infine, il significativo cartellone dell’undicesima
edizione di Nativitas, il progetto di rete con cui l’Usci Friuli Venezia
Giulia chiude il vecchio anno e apre quello nuovo: oltre 90 appuntamenti
corali articolati tra il 26 novembre e il 14 gennaio; un’adesione che
conferma l’importanza di questa iniziativa che racconta un Natale
radicato nella storia e nelle tradizioni.
Federazione Cori del Trentino
Passaggio Zippel, 2 - 38122 Trento
Presidente: Sergio Franceschinelli
EuroChoir 2011: per la prima volta in Italia
Consensi unanimi per EuroChoir 2011, il progetto di European Choral
Association - Europa Cantat, ereditato da Agec, che – ospitato ogni
anno in una diversa nazione – si propone di promuovere la musica
corale e le opportunità di scambio tra giovani coristi. L’edizione 2011
è stata affidata, per la prima volta, all’organizzazione della Federazione
Cori del Trentino: un importante riconoscimento per la coralità trentina
e italiana che anche in questa occasione ha avuto modo di dimostrare
impegno, serietà e capacità di prospettiva.
EuroChoir è un progetto internazionale nato nel 1982 e segnato da
crescente successo. Ogni anno viene organizzata una “settimana residenziale” nel corso della quale viene studiato uno specifico programma artistico: un importante momento di formazione e aggiornamento
per giovani di varie Paesi europei sotto la guida di docenti di fama
internazionale.
Per dieci giorni, dal 5 al 14 agosto 2011, il Trentino e l’Italia hanno
ospitato 45 coristi inviati dalle federazioni corali nazionali di nove Paesi
europei. I giovani cantori hanno soggiornato ad Arco e hanno preparato
il programma artistico sotto la guida del maestro svedese Gary Graden,
affiancato da Enrico Miaroma e da Sara Webber. Il repertorio ha spaziato da melodie gregoriane e spiritual a canti contemporanei svedesi,
tedeschi e italiani, senza trascurare il canto popolare trentino. Molto
apprezzati anche gli incontri con gli autori di alcuni brani musicali in
67
programma (Miaroma, De Francesco, Filippi, Dipiazza), che hanno fornito il loro contributo analitico e interpretativo.
Al termine dello stage, il programma è stato presentato in concerti
pubblici il 12, 13 e 14 agosto: i tre appuntamenti hanno riscosso apprezzamenti davvero speciali per il livello delle esecuzioni che hanno
appassionato il numeroso pubblico.
A.C.P. Piemonte
Associazione Cori Piemontesi
Via Monte Mucrone, 3 - 13900 Biella
Presidente: Sandro Coda Luchina
Percorsi corali in Piemonte
Tra agosto e dicembre si sono articolati i “Percorsi popolari tra sacro
e profano”, dieci appuntamenti con formazioni corali della provincia
di Verbano Cusio Ossola; in particolare, si segnalano due concerti a
tema: il primo incentrato su lettere di soldati verbanesi accompagnate
dai canti degli alpini; il secondo dedicato alla figura di Maria, con
letture di poesie di Alda Merini.
Con il mese di settembre si è concluso il festival Piemonte In…Canto,
avviatosi nel mese di giugno, con numerose adesioni di cori e successo
di pubblico.
L’Acp, in collaborazione con il coro White Spirit, ha inoltre portato la
prima rassegna gospel Piemonte In…Gospel sul territorio ossolano: il
10 settembre, i cori partecipanti si sono prima esibiti a Croveo, Premia
e Terme di Crodo, per poi convergere nel grande concerto finale nella
chiesa monumentale di San Gaudenzio.
Ricordiamo infine che il 15 ottobre a Stresa si è svolto il IV Concorso
Nazionale di cori. Al termine della competizione, la Giuria ha assegnato
il terzo posto al Coro Polifonico Voci Roveretane, il secondo posto al
Coro Polifonico Sant’Antonio Abate di Cordenons e il primo posto al
Coro da Camera di Varese.
A.R.S. Cori
Associazione Regionale Cori Siciliani
Largo Celso, 4 - 95043 Militello in Val di Catania (Ct)
Presidente: Alfio Penna
Un anno intenso per la polifonia siciliana
Ampia è stata l’offerta formativa dell’Ars Cori nel 2011; tra i vari corsi
ricordiamo: il 3° Corso Regionale di aggiornamento e approfondimento
per direttori di coro di voci bianche e giovanili “Il bambino e il suo
canto” organizzato insieme al coro polifonico Ad Dei Laudem e tenutosi
a Lentini (Sr) il 25-27 marzo, docente Nicola Conci; il 3° Corso di direzione e prassi esecutiva tenuto da Filippo Maria Bressan a Barcellona
P.G. (Me).
Tra gli eventi si segnalano: l’esecuzione – il 23, 24 e 25 giugno – del
Requiem di Mozart con il coro polifonico Ad Dei Laudem di Lentini (Sr)
e il coro americano Smith College Alumnae Chorus (Massachusetts);
il 12° Raduno Ars Cori, tenutosi a Trecastagni (Ct) e organizzato dalla
Schola Cantorum Don S. Romeo; il Festival Internazionale di Cori “In...
Canto sull’Etna”, organizzato dal 7 al 11 settembre a Belpasso dalla
Schola Cantorum Maria SS. Immacolata; la Rassegna Mariana organizzata dalla corale Mater Divinae Gratiae a Nicolosi l’8 settembre; la
Interattiva, Spilimbergo
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REGIONI
in collaborazione con
XIV rassegna Militello Chori Cantantes - tenutasi a Militello in Val di Catania il 15 settembre
- organizzata dal Coro Polifonico Maris Stella; il Raduno Diocesano delle Corali, organizzato
dal Coro Maris Stella e dall’Ars Cori; il Raduno Nazionale di Voci Bianche – tenutosi a Naro
e Agrigento, il 30 ottobre e il 1° novembre – organizzato dai Pueri Cantores di Naro con il
patrocinio della Federazione italiana Pueri Cantores e di Ars Cori.
U.S.C.I. Lombardia
FENIARCO
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REGIONE AUTONOMA
DELLA VALLE D’AOSTA
Assessorato all’Istruzione e Cultura
COMUNE DI AOSTA
FONDAZIONE ISTITUTO MUSICALE
DELLA VALLE D’AOSTA
Unione Società Corali della Lombardia
Via S. Marta, 5 - 23807 Merate (Lc)
Presidente: Franco Monego
La gestione delle dinamiche interpersonali di un coro
Arrivano dall’Usci Delegazione di Brescia le segnalazioni di alcune interessanti iniziative: il
25 settembre e 1 ottobre, a Torbiato di Adro, si è svolto un incontro sul tema InDirection
- La gestione delle dinamiche interpersonali di un coro. Riprendendo l’omonimo progetto
Feniarco, il relatore Simone Scerri ha affrontato le competenze di natura non-musicale richieste ai direttori di coro, con lezioni frontali, esercitazioni pratiche, momenti di scambio
e di confronto; venerdì 28 ottobre a Montichiari si è tenuta la Rassegna corale “Il canto
dell’anima”, con la partecipazione di quattro cori che hanno eseguito brani della tradizione
popolare italiana; sempre in tema di canto popolare, venerdì 4 novembre è stato presentato
al pubblico il primo volume di Canti popolari bresciani, realizzato dall’Usci Brescia e curato
da E. Bertolotti e T. Ziliani, opera che raccoglie 40 canti in dialetto bresciano armonizzati
e volta a recuperare i canti della tradizione popolare e valorizzare tale ricca produzione;
domenica 27 novembre, infine, quattro chiese della provincia di Brescia hanno ospitato
altrettanti concerti inseriti nella manifestazione “Musica divina in provincia… Aspettando
Natale”.
O.C.C. Calabria
Organizzazione Cori Calabria
Piazza San Leoluca - 89900 Vibo Valentia
Presidente: Mons. Giorgio Costantino
Stage del Coro Regionale della Calabria
A Gornelle (RC) si è svolto uno stage del Coro Regionale della Calabria, sotto la guida del
suo direttore, Walter Marzilli, volto anche a preparare i cantori in vista della XVI Rassegna
Internazionale “Madonna della Consolazione” di Reggio Calabria.
Il Coro Regionale della Calabria, nato alcuni anni fa per volere di Mons. Giorgio Costantino,
è stato il primo coro regionale a essere istituito. La “scintilla iniziale” del coro risale ai primi
anni di insegnamento del direttore Marzilli al conservatorio F. Cilea di Reggio Calabria: al
termine di uno stage, un gruppo iniziale registrò per Rai 3 alcuni madrigali e mottetti antichi.
Attualmente il coro è formato da venti coristi provenienti da tutta la regione Calabria, scelti
attraverso una selezione atta a verificarne la qualità vocale, le capacità musicali e la lettura
a prima vista. Pur non caratterizzandosi come un vero e proprio coro giovanile, la grande
maggioranza dei suoi cantori è molto giovane; quasi tutti i cantori del Coro Regionale
studiano o hanno studiato canto. Una componente importante del repertorio del Coro Regionale della Calabria è rappresentata dalla musica dei compositori moderni e contemporanei, affiancata da un settore altrettanto importante dedicato alla musica antica, eseguita
anche a parti reali.
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DOCENTI
Mia Makaroff •
Pierangelo Valtinoni •
Thierry Lalo •
Matteo Valbusa e Luigi Leo •
Una selezione della musica prodotta durante il Seminario per
Compositori, oltre ad Aosta, sarà eseguita anche al Festival
Europa Cantat XVIII Torino 2012! Per ulteriori info sul seminario
visita www.feniarco.it e sul festival guarda www.ectorino2012.it
AOSTA
21-27
luglio 2012
RUBRICHE
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discografia&SCAFFALE
Gli Alpini cantano 150 anni d’Italia
Coro ANA di Milano, dir. Massimo Marchesotti
103 Edizioni Musicali, Milano, 2011
Sabato 8 ottobre, presso lo Spazio Eventi del Multicenter Mondadori di Via Marghera a Milano, è stato presentato il cofanetto Gli Alpini cantano 150 anni d’Italia,
contenente 5 cd con 90 brani live eseguiti dal Coro ANA di Milano diretto da Massimo Marchesotti. Il disco è stato prodotto da Luigi Barion, pubblicato da 103
Edizioni Musicali di Milano e distribuito da Edel Italia Srl.
Il prodotto discografico è interessante innanzitutto per la sua mole e per essere
la più grande raccolta di canti della tradizione alpina e popolare mai pubblicata in
Italia, e non solo in ambito corale. Nella compilation sono state inserite registrazioni
dal vivo degli ultimi vent’anni di attività del Coro ANA di Milano ma completamente
ripulite dai rumori di sottofondo grazie a un mirabile lavoro tecnico di montaggio
audio e restauro di alto livello professionale operato dal pianista e produttore
milanese Stefano Barzan. Ognuno dei 5 cd che compongono la raccolta ha un suo
titolo esemplificativo dei contenuti musicali: Leggende e storie vere cantate attorno
al fuoco / Gli alpini, la montagna, gli affetti / Il lavoro, l’emigrazione, l’amore /
Storie di donne / Don Gnocchi, il prete che cercò Dio tra gli uomini.
Un altro aspetto importante di questo prodotto è la cura con la quale sono stati
scelti i canti da pubblicare, alcuni tratti da edizioni del Coro della SAT o di Paolo
Bon, altri elaborati apposta per il Coro ANA dal direttore Marchesotti o da altri
musicisti da lui incaricati (Piero Soffici, Giovanni Veneri), altri ancora raccolti sul
campo da Marchesotti e quindi inediti. Oltre al percorso nella tradizione orale, ci
sono dei canti di “autori colti popolarizzati”. In particolare è senz’altro degna di
nota la collaborazione del sodalizio milanese con due giganti della musica leggera
italiana degli anni d’oro, Vito Pallavicini (autore dei testi di immortali successi
artistici e commerciali come Io che non vivo – su musica di Pino Donaggio – e
Azzurro – su musica di Paolo Conte) e Piero Soffici (musicista e arrangiatore molto
prolifico negli anni Sessanta e Settanta con brani come Stessa spiaggia stesso
mare – su testo di Mogol e titolo dell’omonimo disco di Mina del 1963 – oppure
Perdono, sempre su testo di Mogol). In questo senso avviene un processo inverso
rispetto alla coralità che reinterpreta i successi della musica leggera italiana (tipico
dei gruppi vocal pop ma anche di alcuni cori popolari): non sono gli arrangiatori
che adattano per il coro motivi già noti e di stampo solistico appartenenti alla
musica leggera ma stavolta, caso unico, sono gli autori di musica leggera (e autori
di rango!) che scrivono per il coro, trasferendo gli elementi caratteristici di quel
genere (l’immediatezza e orecchiabilità melodica e l’essenzialità accordale) al canto
popolare in formato corale. Nel brano a due cervelli Centomila gavette di ghiaccio
(cd 5, traccia 11), Soffici e Pallavicini hanno tradotto la loro professionalità e la
loro lunga esperienza (il brano è stato scritto quando entrambi – ora scomparsi
– erano pressoché ottantenni) nella poeticità delle liriche (ispirate al best seller di
Giulio Bedeschi) e nella linea melodica di ispirazione cosacca. Nell’ultimo cd al
coro si è unito il gioiellino meneghino di Vladimir Delman, La Verdi, arrangiata e
diretta per l’occasione dal maestro parmense Giovanni Veneri. L’autorevole perizia
tecnica e la creatività arrangiamentale nelle orchestrazioni di Veneri hanno dovuto
confrontarsi con le elaborazioni già in formato coro degli storici
autori satini come Antonio Pedrotti e Renato Dionisi, ristrumentandoli senza snaturarne l’idea compositiva originale (e anche
l’elaborazione imparata e conosciuta dal coro), ma pur sempre
affidando alla compagine orchestrale un’autonomia espressiva
e descrittiva, a tratti operistico-sinfonica e legittimata dalla caratura del prezioso strumento a disposizione e del suo livello
tecnico (per esempio Il testamento del Capitano ha un incipit
musicale volutamente evocativo e visivo con le note del “Silenzio”). Veneri, già noto negli ambienti satini, ha firmato anche
(in testo e musica) La Preghiera degli Alpini (cd 5, traccia 17).
Un prodotto dunque affascinante ed emozionante, autorevole
a livello etnomusicale e artistico, di semplice ascolto e a suo
modo innovativo anche nel contesto di un repertorio che sembrerebbe non avere più strade da percorrere. Questo invece è
un percorso vero attraverso la musica popolare e la sua riproposta a volte più scarna, essenziale (e, direbbe Roberto Leydi,
incontaminata) nei lavori di Soffici, più armonicamente gustosa
nei contributi di Flaminio Gervasi (ex direttore del Coro ANA di
Milano), Paolo Bon e dell’attuale direttore Marchesotti, più colta, raffinata e “pop-lifonica” nei contributi di autori di estrazione
accademica come Dionisi, Bettinelli e Zanolini.
Da ascoltare e far ascoltare.
Andrea Natale
Liszt: Via Crucis
Ars Cantica Choir; A. Marangoni, pianoforte
M. Berrini, direttore
L’occasione per rinnovare l’ascolto dell’originale rappresentazione sonora lisztiana delle 14 stazioni della via dolorosa di
Cristo, ci è offerta da Marco Berrini, alla guida dell’Ars Cantica
Choir, coadiuvato dal pianista Alessandro Marangoni. Una produzione uscita di fresco, nell’occorrenza del bicentenario della
nascita del compositore (1811-2011).
Ci stupisce ancora apprezzare un’opera così audace, che sembra
essere costruita con le macerie di un linguaggio un tempo sfarzoso; macerie rimaste dal crollo di un eloquio pomposo, e che
ora giacciono disseminate in ordine sparso; materiali dissimili
slegati e apparentemente buttati qua e là.
In concreto si tratta di nudi frammenti melodici abbandonati a
mezz’aria; dolorosi lamenti il cui profilo richiama insistentemente l’intervallo di tritono; arditi profili lineari e sculture accordali
che esplorano i territori della modalità, dell’esatonalità, fino agli
sconfinamenti negli ambiti avveniristici della politonalità e
dell’atonalità; laconiche ed ermetiche meditazioni strumentali;
apparizioni di rovine del passato musicale (citazioni del canto
monodico cristiano, del mottetto polifonico, del madrigalismo,
dell’oratorio barocco, del corale luterano, del nome B-A-C-H); e,
soprattutto, l’elemento più inquietante, la rarefazione. Un diradamento che produce la sensazione di materiali che sembrano
galleggiare in una dimensione spazio-temporale dilatata, sospesa, circondati come sono da prolungati e profondi silenzi.
Questa commistione di oggetti sonori eterogenei, è in realtà
informata da sottili collegamenti e da sotterranee relazioni. Tra
le altre citiamo una cellula melodica di tre suoni (intervallo
ascendente di seconda, al quale segue un altro di terza, nella
stessa direzione – è il balzo melodico tipico di tanti incipit delle
monodie gregoriane), che apre e chiude l’intera opera e si comporta come una specie di metamorfico leit-motiv ricorrente
(variato nella composizione, ribaltato nella successione, ma pur
sempre riconoscibile). Il compositore utilizza questa unità melodica, come fosse un seme uniformante, evocandolo ogniqualvolta vi è un richiamo al simbolo della croce.
Insomma, possiamo affermare che Liszt conferma la propensione a ricostruire l’unità dell’opera attraverso una forma ciclica.
In sostanza egli non si discosta, nella concezione dell’impianto
formale, dalle sue opere maggiori (Sonata in si min., Les Préludes, Faust Symphonie).
Ahimè molti sprovveduti si avventurano nell’esecuzione della
Via Crucis di Liszt, considerandola abbordabile. Parti vocali agevoli e risorse strumentali facilmente reperibili ingannano. In
realtà, è una partitura assai insidiosa, come lo è in genere qualsiasi altra partitura di grande autore, povera di note e abbondante di pause.
L’intensità della lettura di Marco Berrini ci richiama invece al
discografia&
Naxos, 2011
L’esercizio spirituale del rito popolare della Via Crucis è stato tradotto da Franz Liszt in esercizio musicale con esiti sorprendenti.
Composta nel 1879, la Via Crucis fa parte di un insieme di opere
che testimoniano il radicale cambiamento a cui Liszt ha sottoposto
il suo stile nell’ultimo ventennio di vita. Anni caratterizzati da un
graduale distacco dalle cure mondane; anni spesi alla ricerca della
consolazione nella fede, del conforto nell’ascesi mistica.
L’abbondanza sonora delle precedenti composizioni, attraverso
cui il musicista magiaro ostentava il suo funambolico virtuosismo, viene sottoposta a un estremo processo di decostruzione.
Ne rimane una sostanza fatta di scarti, vuoti, fratture, discontinuità, aporie sonore.
Musica scarnificata, insomma, quella della Via Crucis di Liszt.
Scarnificata come il corpo martoriato di Cristo, costretto a percorrere, sotto il peso della croce, la via che conduce al Golgota.
RUBRICHE
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lettera al direttore
compito arduo di affrontare un’opera siffatta, tutta da interpretare, soprattutto nei
minimi dettagli e nei collegamenti. Un’opera densa, concentrata, enigmatica, difficile da sostenere.
In particolare, vorrei sottolineare come il direttore milanese concentri la sua cura
nell’infondere a ogni singola minuzia tematica una tensione dinamico-timbrica avvalorante; nell’imprimere a ogni singola unità verbale un’articolazione espressiva
appropriata ed emotivamente convincente.
A corredo della Via Crucis il cd della Naxos propone due brani pianistici tratti dalla
raccolta Harmonie poétiques et religieuses, il Pater noster e l’Ave Maria.
Mauro Zuccante
Choraliter 9
Antologia corale
Feniarco, San Vito al Tagliamento, 2011
Prosegue con questo nono volume delle antologie di Choraliter l’impegno editoriale
di Feniarco, un impegno mirato all’ampliamento dei repertori dei cori italiani tramite
una proposta di composizioni antiche e moderne, italiane e straniere, appositamente selezionate dalla Commissione Artistica Nazionale secondo il duplice criterio
della qualità artistica e dell’accessibilità e realizzabilità dei brani proposti.
Sulla scia dei precedenti volumi, anche questa antologia è costruita attorno a un
fil rouge, un tema riccorrente nei compositori di ogni epoca: l’acqua.
Questo perché la musica, linguaggio dell’ineffabile, potente mezzo di comunicazione
in grado di suscitare immagini ed emozioni, ci parla spesso per metafore e per similitudini: essa si manifesta sovente come una fonte viva, dalla quale i suoni sgorgano e fluiscono seguendo il letto del fiume tracciato dal compositore; come un
corso d’acqua, la musica scorre e attraversa il tempo e lo spazio, si arresta e riprende
il suo decorso fino a perdersi nella grande quiete finale (sia essa l’immensità del
mare o il silenzio che segue l’esecuzione). Un augurio a tutti coloro che vorranno
accostarsi a queste pagine è quello di trovare in esse una sorgente fresca e zampillante alla quale attingere e alleviare così la sete di nuove esperienze musicali.
«Spett.le Redazione,
desidero innanzitutto complimentarmi con voi sia per i contenuti che per la veste grafica della vostra
rivista nella quale i temi della coralità sono affrontati con precisione, realismo e competenza. Mi
sono però soffermato in particolare sull’intervista a Gianni Malatesta in quanto maestro del coro
in cui canto da quasi trent’anni; sono quindi in “conflitto di interessi” ma spero capirete il mio
intento.
È stata certo una bella cosa sia il fatto di dedicargli un premio sia di dargli uno spazio così ampio
nella rivista.
Una cosa che mi ha colpito però è che non si è accennato al Malatesta come musicista quanto a
una persona che ha dedicato molto della sua vita al mondo corale. Ora credo che Malatesta valga
molto proprio come musicista e lo confermano le lettere di stima di illustri colleghi che riconoscono
l’originalità e la genialità della sua opera sia come armonizzatore che come compositore.
Ho letto molte delle sue composizioni o armonizzazioni e il modo in cui le parti vengono sviluppate,
il modo in cui le dissonanze vengono poste per creare la “tensione” e risolversi nell’accordo successivo, sono qualcosa che rende i lavori di Malatesta assolutamente unici e, consentitemelo,
inarrivati.
Gianni ha sempre percoso una strada “diversa” nel mondo della coralità italiana e per questo ha
pagato molto […]
Credo che oramai però sia il tempo che qualcuno, parlando di lui, prenda la sua musica, la suoni,
la intenda… e poi esprima un giudizio, un commento… ma sulla musica…
Vale un po’ per tutte le cose di questo mondo dove purtroppo non si entra più nel merito ma si
sta alla superficie seguendo le correnti e dove spira il vento cercando il maggior consenso
possibile.
Malatesta non ha mai fatto così, ha sempre fatto quello in cui crede e nel modo in cui lo riteneva
giusto… provando, sperimentando, sbagliando magari ma con una cosa che altri (non tutti per
fortuna) purtroppo non hanno: la genialità. Ecco qui… vi ringrazio per l’attenzione che leggendomi
mi avete dedicato e spero che queste poche righe possano un giorno essere smentite da un mondo
corale che riconosce in Malatesta un maestro della coralità e della musica italiana.»
Daniele Quaggiotto
discografia&
Composizioni
Agua de beber, A.C. Jobim, elab. J. Kreffter; Babylon, D. McLean, L. Hayes; Cantan
fra’ rami gli augelletti vaghi, G.M. Asola; Dormendo un giorno, J. Arcadelt; Go
crystal tears, J. Dowland; I pescatori bretoni, Blemant, trascr. E. Piglia; I’ve got
peace like a river, spiritual, elab. H.O. Millsby; La neve, P. Rossi; La sirena, G. G.
Gastoldi; Lacrimoso son’io, W. A. Mozart; Madonna ma pietà, O. di Lasso; Moon
River, H. Mancini, arr. T. Chinn; Non val acqua al mio gran fuoco, B. Trom­boncino;
O vilanella, H. Waelrant; Pasa el agoa, ma Julieta, anonimo XVI sec.; Quante son
stelle in ciel, C. Monteverdi; Sicut cervus, T. Tallis; Super flumina Babylonis, O. di
Lasso; Torna a Surriento, E. e G. De Curtis, elab. E. Buondonno; Un cygne, Paul
Hindemith.
Il volume è a disposizione dei cori associati su ordinazione presso la segreteria
Feniarco.
Gentile lettore,
nell’articolo a lui dedicato, non abbiamo fatto altro che riportare quanto ci ha raccontato Gianni
Malatesta nel corso del nostro incontro, al quale sono voluto andare senza predisporre delle domande, proprio perché parlasse a ruota libera di se stesso, della sua formazione, di come nascono
le sue musiche.
Certo, l’intervista si colloca in una sezione che dedichiamo ai direttori, e per felice coincidenza
cade in occasione del conferimento del premio Seghizzi, assegnato a chi ha dedicato una vita alla
coralità a qualsiasi titolo, non solo come compositore. Ma di che altro ha parlato Gianni, se non
della sua musica, di come nasce, di come, per usare una sua felice espressione, gli cade addosso?
E di che altro si può parlare con lui, che trabocca di musica?
Se poi lei ci chiede di analizzare composizioni di Malatesta, non solo dico che non mancheranno occasioni,
ma che ci sono già state: durante il colloquio Gianni teneva in mano, e mi ha più volte ringraziato dello
spazio dedicatogli, il n. 34 di Choraliter, dove Sergio Bianchi analizza la sua elaborazione del canto friulano
A planc cale il soreli.
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MONDOCORO
a cura di Giorgio Morandi
«Che il cantare continui a non far venir meno la speranza del vivere domani.
Che il vivere di domani sia pieno del cantare di sempre» (Coro Valpellice, 2009)
«Se potrò far sorridere qualcuno con una canzone, la mia vita non sarà stata
vissuta invano» (Martin Luther King)
Frutti e colori abbondanti dell’Estate di San Martino ci aiutano a dimenticare i disastri causati pochi giorni prima dalle piogge autunnali che tanti problemi hanno
portato in Italia e in altre parti del mondo. Le frequentatissima assemblea annuale
di Feniarco (organizzata presso la Fortezza di Bard, Valle d’Aosta, con l’encomiabile
collaborazione dell’Arcova) e la ricca assemblea generale di European Choral Association - Europa Cantat (tenutasi con la generosa e competente collaborazione
di Feniarco a Torino, sede – tra il 27 luglio e il 5 agosto 2012 – del grande Festival
Europa Cantat XVIII) sono i colorati frutti abbondanti dell’autunno corale 2012,
stagione di inizio di tutte le attività di organizzazione, studio preparatorio e proposta
al pubblico fatto dai nostri cori che hanno ripreso la propria attività.
È facile vedere in questi frutti la premessa di un’annata corale 2011-2012 altrettanto
ricca e colorata che Mondocoro augura ai suoi 24 lettori e in generale a tutta la
coralità italiana.
ifcm: il nuovo direttivo
Lo scorso 6 agosto 2011, in occasione del IX Symposium Mondiale della Musica
Corale a Puerto Madryn in Argentina, Ifcm ha svolto la sua assemblea generale
annuale e ha provveduto al rinnovo del suo consiglio direttivo e alla nomina del
consiglio esecutivo. Per la prima volta nella storia di Ifcm il presidente è stato
votato direttamente dall’assemblea che con l’88% dei voti ha eletto Michael J.
Anderson (Usa) già presidente ad interim dell’associazione dall’aprile 2010. La
nomina del consiglio esecutivo, invece, è stata compito del neoeletto consiglio
direttivo. L’elenco dettagliato degli eletti e dei relativi incarichi è disponibile in
www.ifcm.net ma piace ricordare qui esplicitamente che il rappresentante di ECA - Europa Cantat è il belga Jan Smeets e che un italiano, Francesco Lombardi, di
Legnano, classe 1979, è stato nominato project manager di Ifcm e come tale è a
capo del progetto World Choral Day che si celebra ogni anno, in tutto il mondo,
la seconda domenica del mese di dicembre.
Ifcm – è sempre opportuno ricordarlo – è un’organizzazione globale che rappresenta cori, direttori, compositori ed editori in più di 80 paesi di tutto il mondo. La
mission principale della federazione è centrata sullo scambio internazionale e la
promozione della musica corale garantendo così il suo contributo alla buona volontà, alla pace e all’armonia dei popoli in tutto il mondo.
Eventi corali
World Choral Summit and China
International Choral Festival
Dal 15 al 22 luglio 2012
a Pechino avrà luogo un
importante evento corale. È un evento che
chiunque sia impegnato in campo corale dovrebbe davvero prendere in considerazione
per se stesso e/o per il
proprio coro, valutando
attentamente la possibilità e l’opportunità di una effettiva partecipazione. Ifcm sta
collaborando con l’organizzazione dell’XI Festival Corale Internazionale di Pechino affinché esso ospiti, per la prima volta in
Cina, il prossimo World Choral Summit. Il festival riunirà cori da
tutto il mondo, invitati a partecipare al concorso.
L’importanza dell’evento sarà sottolineata anche dalla partecipazione di cinque cori di levatura mondiale provenienti da Europa, Africa, Australia, Sud America e Stati Uniti.
Naturalmente saranno presenti anche i migliori cori cinesi. Molti
paesi di tutto il mondo a Pechino saranno già rappresentanti e
protagonisti del festival, ma il Summit vedrà riunite insieme
altre trenta organizzazioni nazionali e internazionali invitate a
condividere le loro idee secondo la propria tradizione corale.
Per maggiori informazioni www.ifcm.net
Il coro e come dirigerlo
The Choir and How to Direct it, Pavel Chesnokov, traduzione
dal russo di John C. Rommereim, Musica Russica 2010, 259
pagine (www.musicarussica.com)
«È un libro molto importante che dovrebbe essere letto da ogni
direttore di coro.» Ad affermarlo è Tim Sharp (Executive Director
di Acda, l’Associazione dei Direttori di Coro Americani).
È un libro importante a molti livelli, ma innanzitutto e soprattutto è importante perché offre un rilevante approccio sistematico e scientifico alla pedagogia corale. Esso rappresenta una
tassonomia unica di metodi corali ed è una delle opere migliori
in questo campo. È importante, inoltre, per il sistematico avvicinamento all’analisi che esso presenta, perché Chesnokov concepì il libro nel 1910, lo scrisse nel 1930 e lo pubblicò nel 1940
cioè decine e decine di anni prima che
un simile approccio fosse fatto da altri
importanti e seri centri corali. In terzo
luogo è un libro importante perché
l’autore offre suggerimenti dettagliati
e solidi sulla tecnica fondamentale
della direzione di coro unitamente ad
altro materiale pratico rilevante ancora oggi in riferimento alla sala prove.
E per ultimo è importante perché offre
un punto di vista dall’interno sulle
tradizioni esecutive in Russia, tradizioni che si erano quasi perse a causa della rivoluzione
bolscevica.
È sorprendente che il libro sia disponibile ora per la prima volta,
anche se pubblicato sessanta anni fa e soprattutto concepito
un secolo fa. «È un libro che la maggior parte di noi direttori
di coro dovrebbe possedere e dovrebbe aver letto durante i
nostri primi corsi di direzione corale se appena fosse stato
disponibile.»
Se qualcuno fosse interessato a saperne di più, Choral Journal
(Sept. 2011) fornisce in lingua inglese un’interessante doppia
recensione del libro di Chesnokov. Una copia di dette recensioni/
presentazioni è disponibile anche presso il redattore di Mondocoro: [email protected]
Music and The Wesleys
Music and The Wesleys, Temperley Nicholas and Stephen
Banfield, Urbana, Chicago and Springfield, IL. University of
Illinois Press, 2010
È un libro che trova la sua genesi in un
meeting scientifico dal titolo “Musica,
Storia culturale e gli Wesley” tenuto nel
2007 sotto gli auspici del Chombec Centro per la Storia della Musica in
Gran Bretagna, Impero e Commonwealth presso l’Università di Bristol in
occasione del trecentesimo anniversario della nascita di Charles Wesley. Il
libro porta luce sulla famiglia Wesley,
sulla musica dai suoi membri e sul
come essa veniva presentata in concerto e nelle chiese. La famiglia Wesley di cui si parla era composta
da John (1703-91) e Charles (1707-88), fondatori del movimento
Metodista. Essi pensavano che la musica è parte integrale della
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religione e dello sviluppo del Metodismo. La famiglia continuò con i figli di Charles,
Charles il giovane (1757-1834) e Samuel (1766-1837), e ancora, con il pronipote Samuel
Sebastian (1810-1876). Tutti costoro furono degli importanti compositori.
«Non c’è alcun dubbio che la musica fu una forza dominante nella vita di tutti e
cinque gli Wesley», scrive Temperley nell’introduzione. «Il suo ruolo fu molto diverso a seconda delle generazioni, ma il peso dell’influenza degli Wesley sulla
storia della musica specialmente nel Regno Unito e in tutto il mondo parlante la
lingua inglese è inestimabile.»
Questo libro dà un’idea dell’influenza degli Wesley sugli ultimi 300 anni di storia.
Consiste di sedici capitoli divisi in due parti: Music and Methodism e I Musicisti
Wesley. Ogni capitolo è affidato alla cura di uno studioso illustre, è eloquente e
presenta informazioni davvero intriganti.
La voce dei bambini
La “voce” l’unico strumento musicale ricevuto gratuitamente in dono e incomprensibilmente trascurato dalla maggioranza dei genitori.
È possibile che un genitore, dopo aver insegnato al proprio figlio a muovere i suoi
primi, incerti passi dalla culla alle sue braccia, poi dal suo lettino alla sala, alla cucina,
al bagno, lo doti di un’automobile per andare a scuola, spostarsi dappertutto e sempre
con questo mezzo gli faccia usare le gambe solo per entrare negli edifici, salire le
scale, andare al bagno o a letto? E se poi, a quel ragazzo, qualcuno dovesse chiedere:
«Vieni a fare due passi, una corsa nel parco, una gita in montagna, un giro per il
centro, o entrare a far parte di un team di atletica?» Si sentirebbe rispondere: «No,
no, mi vergogno, sono negato, non l’ho mai fatto, che lo facciano quelli che vogliono
fare sport, a me non piace!»
Sarebbe la follia, l’idiozia che nessun genitore mai farebbe. E nel canto? Nel canto,
invece, succede proprio così. A che serve la voce? A comunicare col proprio simile, a
dire «per favore, mi passi il sale?», a telefonare, a rispondere a una interrogazione, a
sciorinare la quotidiana dose di «ma vaffa…» e oltre.
E a cantare? No! È naturale, poi, che quando si propone a un bambino o ragazzo di
cantare, magari di entrare in un coro, risponda: «Ma dai, io mi vergogno, sono negato,
non l’ho mai fatto, e poi a che serve cantare?» Perché qui la follia, l’idiozia sono
giustificate? (Parole sante di Nicola Conci. Grazie, Maestro)
vocali corrette”. Un probabile vantaggio aggiunto è che potresti
imparare di più sul cantare e ti divertiresti anche di più.
Il mio secondo suggerimento, che va pari pari con il primo, è quello
di trovare un laringologo molto conosciuto e rispettato che ti dia la
sua opinione sulla tua salute vocale. Da cantante professionista e
preparatore di voci io metto sempre in guardia i miei studenti e membri del coro da decisioni affrettate circa l’intervento chirurgico…
Talvolta perfino un semplice raffreddore può far nascere dei noduli
alle corde vocali. Può succedere, in situazioni di rischio, anche a
persone altamente preparate. È successo a un mio amico che interpretava la parte di Tevye nel musical Il violinista sul tetto. Pressato da tempi ristrettissimi, continuò a cantare pur avendo il raffreddore. Dovette rivolgersi a dei laringologi. I primi due interpellati
gli proposero un intervento chirurgico. Il terzo gli raccomandò alcune settimane di riposo. Il musical fu rimandato ma il cantante
riacquistò la sua perfetta salute vocale (senza alcun intervento
chirurgico) e continuò la sua carriera cantando capolavori, opere
liriche importanti, preparando voci e dirigendo, ma non cantò mai
più mentre aveva un raffreddore in corso.
Spero (continua Lucy Hudson S. rispondendo al lettore) che lei
sarà in grado di trovare un modo per continuare a godere dello
sport e mantenere la voce sana. (Per quel che può valere, mio
marito giocava a calcio nella squadra di una importante università.
Ha detto che mentre si concentra sul gioco, raramente, forse mai
si rende conto del tifo che proviene dagli spalti). È possibile che,
come tifosi di una squadra, usiamo questo cantare/vociare come
terapia personale per tutta quella varietà di problemi che ci portiamo appresso? Ma… Non ci sarebbero modi migliori e diversi?
Auguri per tutti i suoi sforzi vocali e sportivi. E fra l’altro, può anche
non essere necessario – nella situazione di fracasso descritta – che
lei senta la propria voce. Lei sai cosa pensa e cosa sente. Per il
resto, nella situazione data… lei crede che, comunque, i giocatori
o gli altri fan la sentano?» Lucy non può avere torto!
La voce del cantore (e del cantante)
La voce del tifoso
Un lettore ha posto alla community del forum ChoralNet una domanda banalissima ma
interessante: «Is singing at sports events ok?» Nella bellissima lingua “ove il dolce sì
suona”: «è bene (corretto, opportuno, igienico…) cantare durante gli eventi sportivi?»
Lucy Hudson Stembridge, secondo me persona di grande esperienza e buon senso e
quindi grande direttore di coro, ha proposto il suo commento/risposta: «È un rischio,
anche se i risultati di quest’azione possono essere misti, diversi per persone diverse.
Il mio primo suggerimento è “Vai da un esperto preparatore della voce di livello universitario o equivalente e accresci la tua consapevolezza e conoscenza delle abitudini
Noi cantori siamo il nostro strumento; per questo dobbiamo essere
molto diligenti e attenti a ciò che questo strumento ci dice e rispondere conseguentemente con il comportamento più corretto,
ricorrendo senza indugi all’aiuto di laringologi, foniatri di chiara
fama e di altri esperti della voce.
Vista l’importanza e l’ampiezza di aspetti e sfaccettature che esso
presenta, Mondocoro propone l’argomento della salute della voce
anche se deve averlo già fatto in passato.
Per una nuova sottolineatura, prende lo spunto dal newsgroup
ChoralNet che sta portando avanti una discussione in merito. Lo
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spunto di partenza è la notizia di cronaca secondo la quale la
cantante britannica Adele (in questi ultimi tempi famosa come
esponente della nuova generazione del “soul bianco”) è al momento bloccata da gravi problemi con le sue corde vocali: «Il più
venduto artista pop dell’anno è stato… zittito. La cantante soul
inglese Adele è stata costretta a cancellare il resto del suo tour
2011. All’inizio di quest’anno, ha sofferto due emorragie vocali e
prossimamente dovrà subire un intervento chirurgico.»
Coloro che cantano sono in una situazione ad alto rischio. Molti
cantanti famosi hanno bisogno di un trattamento analogo. «Essenzialmente, le persone che cantano sono atleti vocali», dice il
dott. Steven Zeitels, direttore del Centro Voce del Massachusetts
General Hospital. «Così si può guardare a questo come a uno
scenario non insolito, come a un atleta che si è ferito proprio in
quella parte del corpo che per lui è importante per lo svolgimento
della sua attività». Il dottor Zeitels sta lavorando con Adele. Egli
dice che dopo l’intervento chirurgico, molto probabilmente la cantante avrà bisogno di «un certo numero di mesi» per recuperare
la sua funzionalità vocale.
La lista dei pazienti del dott. Zeitels è zeppa di nomi di grandi
cantanti fra cui Julie Andrews, Roger Daltrey e la cantante d’opera
Denyce Graves (mezzo soprano che nel 1995 cantò Carmen a fianco
di Placido Domingo sotto la regia di Zeffirelli). Graves ha affermato:
«Ho starnutito. È stato così semplice. Ho starnutito e ho avuto
un’emorragia… Ho perso la voce immediatamente ed è stato spaventoso, una delle esperienze più terribili». Subì un intervento
chirurgico, ma lo tenne segreto per paura che la notizia potesse
danneggiare la sua carriera.
«Quello che le persone non sembrano capire è che la voce – le
corde vocali – sono incredibilmente fragili», dice Roger Love, un
preparatore della voce che ha lavorato con numerose celebrità:
Maroon 5, John Mayer e Gwen Stefani, tra gli altri. Denyce Graves
ritiene che il dott. Zeitels praticamente le abbia salvato la carriera
e sottolinea che lei e altri cantanti devono sempre fare molta attenzione a quello che fanno con la loro voce. Adele lo sta imparando
nel modo più duro. Questo è stato il suo anno di breakout. Ha
scritto sul suo blog che ha «il cuore spezzato» ed è frustrata di
non poter cantare.
In un suo notevole intervento nell’ambito delle attività collaterali
dell’Assemblea Generale annuale di ECA - Europa Cantat dello
scorso 13 novembre 2011, a Torino abbiamo conosciuto il dott.
Andrea Ricci Maccarini del Voice Center Cesena (www.voicecentercesena.it). Questa segnalazione viene ritenuta opportuna, ma è
data con l’augurio che i lettori di Mondocoro non debbano mai
ricorrere, se non in via preventiva, all’alta professionalità del Dott.
Maccarini e del suo Centro allocato presso l’ospedale Maurizio
Bufalini di Cesena.
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Il coro eco al primo concorso mondiale
Nei tempi molto antichi, quando gli uomini se ne andavano da soli per la foresta,
nessuno cantava. Un giorno un cacciatore che stava sul bordo di una valle batté il
ginocchio contro una pietra e lanciò un grido. Subito udì una voce che gli rispondeva
dalla vallata. Lanciò un altro grido. Subito un grido gli rispose. Allora rifece la prova.
Sentì ancora il grido.
Era una cosa che gli piaceva molto. Cominciò a lanciare tanti urli lunghi, corti, alti,
bassi e la voce rispondeva sempre senza stancarsi mai. Qualche giorno dopo tornò
in quel punto con un altro cacciatore e gli fece sentire quello che succedeva. Il secondo
cacciatore gridò e la voce tornò. Rimasero lì a lungo, divertendosi molto, poi andarono
a caccia.
Quando tornarono alle caverne, dissero: «Perché non giochiamo alla roccia che risponde?» Si misero uno di fronte all’altro. Uno gridò e l’altro gli rispose. Poi gridò il secondo
e rispose il primo. Scoprirono che si potevano fare molti giochi: rimandare la voce
uguale, ma anche rimandarla più alta, più bassa, più lunga. I due cacciatori scoprirono
che potevano mandare due voci insieme, e che le voci si mescolavano come le acque
dei fiumi. Così, senza saperlo, cominciarono a cantare: e presto, allora, si assunsero
altri uomini. Fu così che nacque il primo coro del mondo, e insieme al coro, nacque
la musica.
(www.RPiumini.Storie-per-chi-le-vuole.Einaudi Ragazzi.it)
Tra Oriente e Occidente, un festival
per giovani musicisti
«Youth is the future» (i giovani sono il futuro), dice il filmato promozionale. Sembra
un comandamento, e – cattolicesimo a parte – forse è il primo! Una nuova iniziativa
musicale riservata ai giovani merita sempre attenzione e onesta segnalazione. Nel
caso presente l’iniziativa è orchestrale (per il secondo anno) e corale (per la prima
volta).
Istanbul è sicuramente una meta attraente già per se stessa, ma se l’occasione per
staccare un biglietto di viaggio è musicale e giovanile come il 1st Istanbul Youth Choirs
and Orchestras Festival, allora… il gioco è fatto.
L’organizzazione propone, a gruppi corali e orchestrali di giovani musicisti, concerti
(almeno due per ogni coro o orchestra) di alto livello nei principali luoghi storici della
città in cui l’oriente incontra l’occidente. Offre anche l’opportunità di conoscere il mondo
musicale della Turchia attraverso workshop mirati e collaborazioni con i conservatori
del paese. Il festival avrà luogo nei mesi di luglio e agosto del 2012. Le iscrizioni sono
già aperte e saranno possibili fino al 16 dicembre 2011. Maggiori informazioni si possono trovare nel sito www.iycof.org ; in particolare, per la procedura di adesione si
navighi alla pagina “Participation and Registration”.
Imagine… e chi non ne ha in mente
una bella immagine?
Due cose da rilevare subito secondo la blogger Marilynn Parry; la
prima: «A parte l’Ave Maria, forse Imagine (di John Lennon) è l’unico
canto che in ogni parte del mondo può essere intonato, avendo
la certezza che tutti i presenti si uniranno immediatamente nel
canto. Ciò è stato sperimentato in Europa e in Russia, ma secondo
alcuni fidati amici ciò può essere fatto anche in Africa, nel Medio
Oriente, in India, in Cina e in Giappone.»
E la seconda: «Ho insegnato questo canto a mio fratello più piccolo
di dieci anni e a tutti i miei nipoti (maschi e femmine) quando
erano molto giovani, e tutti hanno capito perfettamente che cosa
voleva dire il testo. Era sorprendente guardare queste giovani
menti che si appropriavano di questo canto…».
Questo canto non è anti-cristiano come qualcun altro sostiene. Ciò
che Lennon proprio non fa è tentare di ficcarti dentro una qualsiasi
ideologia; che tu sia cristiano, ebreo, indù, agnostico, mussulmano
o perfino wiccano (Wicca è una delle religioni e correnti spirituali
di tipo misterico appartenenti al movimento neopagano) sei benvenuto nella compagnia. Imagine è intrisa del messaggio che
promuove la pace, l’armonia, la fratellanza e, più di tutto ancora,
l’accettazione. Lennon è stato ispirato da una poesia di sua moglie
Yoko Ono, come lei stessa dichiarò in una intervista alcuni anni
dopo. «Imagine era esattamente ciò che Lennon credeva, che tutti
siamo un solo paese, un solo mondo, una sola nazione. Egli volle
semplicemente sostenere questa idea.»
Questo canto, quindi, non tratta di religione, ma piuttosto di umanità e di come troppo spesso tutti noi permettiamo a piccole differenze superficiali di dividerci. In realtà John Lennon non chiede
altro che questo: la retorica delle religioni organizzate sia lasciata
in disparte e speriamo che l’umanità possa alla fin fine ricordare
che siamo “uno”. Ecco un’idea, una libera veloce traduzione del
testo: «Immagina che non ci sia il paradiso, è facile se ci provi.
Nessun inferno sotto di noi, e solo cielo al di sopra. Immagina
tutte le persone che vivono per l’oggi. Immagina che non ci siano
paesi, non è difficile, non ci sia nulla per cui uccidere o morire, e
pure nessuna religione. Immagina tutte le persone che vivono la
vita in pace. Potresti dire che sono un sognatore, ma non sono
l’unico. Spero che un giorno ti unirai a noi e il mondo sarà uno.
Immagina l’assenza di proprietà, mi chiedo se ci riesci, nessun
bisogno di avidità e di fame, una fratellanza dell’uomo. Immagina
tutte le persone che condividono tutto il mondo. Potresti dire che
sono un sognatore, ma non sono l’unico. Spero che un giorno ti
unirai a noi e il mondo sarà uno.»
NB: Nell’impossibilità assoluta di una “traduzione poetica” (comunque limitata al testo e priva della poesia della musica – scusate
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se è poco!), con la proposta di questa traduzione “a braccio” non
intendo offendere nessuno e tanto meno la memoria di John Lennon (nell’eventualità, a tutti chiedo perdono in anticipo). Chi desidera “Poesia” non ha che una possibilità: ascolti – ancora una
volta – testo e musica in originale.
Val: cd coinvolgente, giovane coro
sorprendente
Ecco un disco particolarmente impressionante per la musica che
esso offre e per la profondità con cui la ventina di cantori del Vokalna
Academija Ljubljana (Slovenia) esplora ciascuno dei pezzi presentati. Il gruppo VAL, relativamente giovane essendo stato fondato
nel 2008, dimostra già al suo pubblico una grande capacità di padroneggiare tanto Schubert quanto Wolf e tutta la musica d’oggi.
Nella prima parte del cd infatti il gruppo accetta la sfida della musica
classica e romantica, mentre nella seconda si misura con sei pezzi
di compositori viventi, e lo fa con agilità convinta ed elegante. La
dicotomia fra la musica della prima parte del cd e quella della
seconda parte è notevole e interessante. I sei brani finali sono di
H. Wolf / M. Refer, H. Volaric̆, I. Pizzetti, L. Lebic̆, A. C̆opi e G. Bonato.
In ciò che apparentemente potrebbe sembrare una conclusione
goffa e male indovinata dopo una stupenda presentazione di J.
Gallus, J. Haydn, F. Schubert, F. Mendelssohn e L. Janac̆ek, i cantori
dell’Accademia Vocale di Ljubljana portano a ogni brano una individualità veramente interessante e attraente.
Per la comunità corale nulla potrebbe essere più accattivante di
un gruppo nuovo che comincia a imporre il suo marchio. Ciò è
provato da questo primo cd del Vokalna Academija Ljubljana che
arriva a confermare un’imponente attività attraverso la quale il
gruppo (diretto da Stojan Kuret, musicista direttore di coro nativo
di Trieste) si è imposto in questi quattro anni meritandosi importanti riconoscimenti quali il Grand Prix al Concorso Corale Internazionale Guido D’Arezzo, l’European Grand Prix for Choral Singing
nel 2010 a Varna (primo coro maschile a vincere nella storia del
Gran Premio Europeo), il Guidoneum Award 2011 per i grandi risultati artistici e per il contributo dato al mondo della musica corale.
In questo stesso senso sono da leggere la presentazione del Dido
and Aeneas di Purcell, la partecipazione al prestigioso festival
francese Polyfollia, e i programmi futuri che lo vedranno rappresentante d’Europa al Summit Corale Mondiale di Pechino nel 2012.
http://sites.google.com/site/vokalnaakademijaljubljana/
ensemble/
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Compositori di musica corale vincitori all’estero:
corrispondenza da San Pietroburgo
«Cari amici, il 9 maggio di quest’anno 2011 abbiamo organizzato il quarto Concorso
per Compositori Open All-Russian Composer Competition “Choir Laboratory, XXI Century” – Music for Children and Youth. Vi hanno partecipato 57 musicisti che da Russia,
Bielorussia, Germania, Usa, Gran Bretagna, Polonia e Armenia hanno inviato al comitato ben 165 composizioni. Hanno preso parte al concorso anche tre italiani che hanno
vinto premi in diverse categorie. In particolare, nella categoria Musica da Chiesa su
testo in latino il primo premio è stato assegnato a Fabio Alberti di Bergamo (allievo
di Lorenzo Donati) con i brani Ave Maria e Jubilate Deo. Nella stessa categoria ha
ottenuto un diploma Gaetano Lorandi di Villaverla (VI) con il brano O Magnum Mysterium. Nella categoria Experiment dove il primo premio non è stato assegnato, Chiara
Mario di Padova ha ottenuto il secondo premio con In Te speravi.
La cerimonia di consegna dei premi per le composizioni vincitrici avrà luogo in San
Pietroburgo il prossimo 4 dicembre nella famosa Hall Of State Capella. Saremo lieti
di avere la presenza di almeno uno dei vincitori, Fabio Alberti. Prima del concerto ci
sarà un incontro coi direttori di coro russi ai quali Fabio presenterà alcune partiture
per cori di ragazzi scritte da compositori italiani. Noi speriamo che la Edizioni Compozitor di San Pietroburgo pubblichi entro dicembre le partiture vincitrici del concorso
nella serie Laboratorio Corale 2011. Anche per il futuro contiamo sulla collaborazione
con compositori italiani ai quali fin da ora auguriamo nuovi lavori creativi di alto
livello».
Il comunicato, datato 15 novembre 2011, è frutto di un fortunato incontro che tre giorni
prima ho avuto a Torino in occasione dell’Assemblea Annuale di ECA-EC. Durante un
pranzo mi trovai seduto alla sinistra della signora Irina Roganova, presidente del comitato organizzatore del concorso, nonché presidente dell’Associazione dei direttori
di coro per ragazzi e giovani della regione russa del nord-ovest e direttore del Coro
Harmony. Ella mi onorò di tante informazioni sulla coralità del suo paese e sulla sua
attività. Fu felice di ricevere in dono una copia degli ultimi due numeri di Choraliter.
Sono certo di potermi fare portavoce di Mondocoro, di Choraliter e dei nostri lettori
nel porgere a Fabio Alberti, Gaetano Lorandi e Chiara Mario le più vive congratulazioni
per il successo ottenuto in terra di Russia.
Mi si perdoni di concludere con un “perché” personale: con tanti compositori italiani
(senza ricerca alcuna mi ricordo di Mignemi, Milita, Bonato prima di Alberti, Lorandi
e Chiara) vincitori di concorsi all’estero (Olanda, Spagna, Russia…) perché i cori
partecipanti ai concorsi nazionali e internazionali in Italia presentano così pochi brani
d’autore italiano? (A Vittorio Veneto – concorso nazionale! – 60% di compositori stranieri; a Rimini – concorso internazionale – 6 brani italiani su oltre 150, per di più solo
Palestrina & Co…evi!).
Associazione
Cori della
Toscana
Anno XII n. 36 - settembre-dicembre 2011
Rivista quadrimestrale della Fe.N.I.A.R.Co.
Federazione Nazionale Italiana
Associazioni Regionali Corali
Presidente: Sante Fornasier
Direttore responsabile: Sandro Bergamo
Comitato di redazione: Efisio Blanc,
Walter Marzilli, Giorgio Morandi,
Puccio Pucci, Mauro Zuccante
Segretario di redazione: Pier Filippo Rendina
Hanno collaborato: Piero Monti, Patrizia
Cuzzani, Andrea Natale, Maurizio Benedetti,
Josep Solé Coll, Luca Bonavia, Franca Floris,
Alvaro Vatri, Pierfranco Semeraro, Amedeo
Finizio, Fabrizio Vestri, Giorgia Loreto, Carlo
Pavese, Daniele Proni, Rossana Paliaga
Redazione: via Altan 39
33078 San Vito al Tagliamento Pn
tel. 0434 876724 - fax 0434 877554
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In copertina: Salerno Festival 2011
(foto 3D Foto Video)
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33078 San Vito al Tagliamento Pn
Editoriale
L’anno appena trascorso ha visto celebrare, con una
partecipazione sentita e, in queste dimensioni, inattesa, il
150° anniversario dell’Unità del nostro Paese. Anche la
coralità è stata presente attivamente, con innumerevoli
iniziative basate sul repertorio, ricco ma non abbastanza
esplorato, delle musiche che hanno accompagnato il
processo unitario.
Choraliter non poteva mancare di offrire il proprio
contributo e lo fa in quest’ultimo numero dell’anno,
dedicando il proprio dossier alle musiche che hanno
caratterizzato non solo il Risorgimento, ma anche altri
momenti unificanti della nostra storia: la Grande Guerra, che completò il processo
unitario e che ci ha lasciato un ricco patrimonio di canti entrati nel repertorio
popolare, e la Resistenza, momento fondatore della storia repubblicana,
anch’esso ricco di lasciti musicali. Sullo stesso tema anche l’allegato, che questa
volta non è un cd, ma un dvd, selezionato dalla commissione di ascolto tra quanti
pervenuti in risposta al bando.
Questo 150° anniversario dell’Unità d’Italia vede il nostro paese in una grave crisi
economica e politica. La convinzione che gli italiani possano farcela, trovando in
se stessi le necessarie risorse, morali prima ancora che economiche, si
accompagna anche alla consapevolezza che non potrà tornare tutto come prima.
Nel grande, come nel piccolo, molte cose, date per scontate, si rivelano
insostenibili.
La nostra Federazione si è fin qui mantenuta agli stessi livelli degli anni
precedenti, nonostante il triennio di restrizioni che abbiamo alle spalle: frutto di
una attenta amministrazione delle risorse e di una credibilità presso le Istituzioni
e gli Enti acquisita nel corso di anni di lavoro guidati da una chiara progettualità.
Tuttavia, per non disperdere i risultati raggiunti, è necessario anche per il nostro
mondo corale commisurare gli sforzi alle risorse disponibili, sia pure al prezzo di
rinunce. In questo numero ne abbiamo un esempio: il dvd o il cd da allegare, ogni
anno, alla rivista di dicembre verrà, d’ora in poi, inviato esclusivamente agli
abbonati, mentre la copia omaggio ne sarà sprovvista.
Non solo spero che i nostri lettori capiranno le ragioni di questa scelta, ma
confido che sia uno stimolo a sottoscrivere l’abbonamento, la sola risorsa che
può consentirci di mantenere il livello raggiunto. Tre anni fa, progettando di
arricchire Choraliter nella forma come nei contenuti e di affiancarvi Italiacori.it, ci
ponevamo l’obiettivo di cinquemila abbonamenti: ne siamo lontanissimi e
vengono meno non solo le risorse, ma anche gli stimoli a continuare a offrire un
servizio in mancanza di un riscontro che ne certifichi il gradimento.
Nonostante le difficoltà economiche che colpiscono anche i coristi, le loro
famiglie, le aziende in cui lavorano, in questi anni abbiamo visto costante la
partecipazione ad appuntamenti come Alpe Adria Cantat, crescere quella al
Festival di Primavera e nascere un evento come Salerno Festival, capace di
mobilitare migliaia di persone: quasi che, di fronte alla crisi, sapessimo
recuperare il valore autentico delle cose e investire sulla nostra formazione e sulla
nostra cultura, più che sugli oggetti.
Se i nostri lettori sapranno considerare sotto questa luce la loro rivista, sono
convinto che potremo ancora, per molte altre volte, rinnovare gli auguri che,
all’inizio del nuovo anno 2012, inviamo loro da queste pagine.
Sandro Bergamo
direttore responsabile
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Regione Toscana
18/21 aprile 2012
scuole medie
Provincia di Pistoia
Comune di
Montecatini Terme
25/28 aprile 2012
scuole superiori
Italiafestival
www.feniarco.it
n. 36 - settembre-dicembre 2011
n. 36 - settembre-dicembre 2011
Rivista quadrimestrale della FENIARCO
Poste Italiane SpA – Spedizione in Abbonamento Postale – DL 353/2003 (conv. In L. 27/02/04 n. 46) art. 1, comma 1 NE/PN
Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali
ARTE, MUSICA E FEDE
VALENTINO
MISERACHS
GOFFREDO
PETRASSI
NOVA ET VETERA
ATTIVITà DELL’ASSOCIAZIONE
VITALITà E
PROGETTUALITà
UN ARCOBALENO
DI SUONI E COLORI
Feniarco
REPORTAGE DAI CONCORSI
Il canto
degli italiani
la musica dell’italia unita