Ipsoa - Analisi dei costi e contabilità industriale di Tullio Alessandro

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La classificazione dei costi 4.
4.1. PREMESSA
Nella realtà d’impresa, la contabilità industriale è implementata al fine di predefinire, rilevare ed analizzare soprattutto i costi aziendali per poter successivamente orientare i prezzi e definire le scelte strategiche ed operative da realizzare.
È, perciò, molto importante chiarire la nozione di costo e le differenti classificazioni dei costi prima di accingersi ad impostare la contabilità analitica in azienda.
Si definisce costo ogni forma di flusso in uscita, presente, passato o futuro. A seconda del periodo di tempo cui il calcolo è riferito, il costo inerente tale periodo
prende il nome di costo d’esercizio.
Classificare con attenzione i costi in azienda è fondamentale per individuare la tecnica di controllo di gestione più appropriata a seconda degli obiettivi che ci si propone di raggiungere. In tavola 1 vengono riassunte le differenti classificazioni di costo a seconda del criterio preso in considerazione. È possibile individuare nello
schema diverse tipologie di costi a seconda della natura degli elementi che li compongono, della loro configurazione analitica e degli scopi che le differenti metodologie di analisi dei costi si propongono di perseguire.
Tavola 1 - Classificazioni di costo
CRITERI DI CLASSIFICAZIONE
TIPOLOGIA DI COSTI
Criterio della variabilità
Costi variabili
Costi fissi
Criterio dell’attribuzione
Costi diretti
Costi indiretti
Criterio del momento di determinazione
Costi preventivi
Costi consuntivi
Criterio del controllo direzionale
Costi controllabili
Costi non controllabili
Criterio della tipicità
Costi standard
Criterio della effettiva manifestazione numeraria
Costi effettivi
Costi figurativi
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4. La classificazione dei costi
4.2. I CRITERI ESISTENTI
4.2.1 Il criterio della variabilità
Il criterio della variabilità distingue i costi aziendali tra costi variabili, costi semivariabili, costi fissi e costi semifissi.
All’atto pratico, in genere in azienda è utilizzata esclusivamente la distinzione tra
costi variabili e costi fissi, per cui di seguito si concentrerà l’attenzione su
quest’ultima distinzione.
I costi variabili
Sono costi variabili quei costi che variano al variare delle quantità prodotte e vendute. È importante tenere presente che nella realtà d’impresa si definiscono costi
variabili tutti i costi che mutano la loro la loro entità totale nel periodo preso a riferimento non necessariamente in misura strettamente proporzionale al variare dei
volumi e del fatturato. Questo chiarimento di tipo operativo risulta rilevante poiché la teoria distingue i costi variabili dai costi semi-variabili a seconda che questi
varino i funzione direttamente proporzionale o meno ai volumi di produzione e di
vendita. Poiché nella realtà difficilmente esistono costi variabili totalmente proporzionali ai volumi, operativamente e per facilità si procede con il classificare tutti i
costi tra variabili e fissi, decidendo di volta in volta se i costi semi-variabili e semifissi debbano essere considerati dell’una o dell’altra categoria di costi.
Infine, è bene ricordare che il criterio della variabilità utilizzato per distinguere i
costi variabili dai costi fissi è efficace nel breve periodo in quanto nel lungo termine tutti i costi dell’impresa, perciò anche quei costi classificati come fissi, diventano variabili.
A titolo d’esempio, ma con la raccomandazione di avere ben chiaro che nel controllo di gestione non esistono assunti di base, per cui le singole voci di costo devono essere analizzate in azienda e valutate sia a seconda del settore di appartenenza che del processo produttivo e della struttura dell’impresa stessa, si elencano
e commentano di seguito alcune tipiche voci di costi variabili. I sottostanti esempi
non vogliono essere esaustivi, ma si pongono l’obiettivo di contribuire alla capacità
di analisi dei costi aziendali.
Materie prime
Il costo materie prime è, in generale, un tipico costo variabile il cui ammontare varia in funzione delle quantità prodotte o delle commesse realizzate. In azienda è
importante definire e rilevare che all’interno della voce del piano dei conti «materie
prime» l’ufficio amministrativo non registri anche poste relative, ad esempio, ai
materiali di consumo, i quali, come si vedrà di seguito, possono avere valutazioni
differenti.
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Lavorazioni di terzi
Questo è un altro tipico costo variabile determinato dalla esigenze e/o dalla volontà dell’imprenditore di servirsi di risorse umane esterne per realizzare prodotti o
più spesso lavorazioni attinenti il proprio processo produttivo. Ne deriva, quindi,
che il costo lavorazioni di terzi è funzione delle decisioni di produrre un determinato prodotto, commessa o servizio.
Forza motrice
La forza motrice, intesa come il consumo di energia degli impianti e dei macchinari di cui si dispone per la realizzazione dei propri prodotti o commesse, è nelle imprese industriali un tipico costo variabile. Pur essendo vero che una parte di tale
costo risulta fissa al di la dei consumi, per cui in teoria tale costo dovrebbe essere
classificato quale costo semi-variabile, nella pratica esso viene considerato costo
variabile e distinto dai costi inerenti ad esempio l’illuminazione o i costi di energia
consumati nell’area amministrativa e commerciale dell’impresa i quali sono di natura fissi.
Manodopera diretta
Come classificare il costo del lavoro, se variabile o fisso, è un quesito molto dibattuto sia a livello accademico che, soprattutto, in azienda. La gran parte dei responsabili del controllo di gestione considerano il costo del lavoro un costo fisso, distinto a seconda delle funzioni svolte (industriale, commerciale, amministrativo
ecc.). Questa decisione, tipica nelle industrie di grandi dimensioni, trova la propria
ragione d’essere nel basso grado di variabilità che esiste tra il costo del lavoro ed i
volumi realizzati e venduti. Nella realtà, la motivazione di quanto sopra detto non
è tanto il fatto che non esista variabilità tra il costo del lavoro e le quantità realizzate, quanto il fatto che nel rigido mercato del lavoro italiano l’adeguamento della
struttura operativa alla situazione economica contingente richiede tempi lunghi e
trattative mirate. Il parere di chi scrive è che la flessibilità nel mondo del lavoro sta
prendendo sempre più piede (si pensi ai contratti interinali, alle assunzioni a tempo
determinato, alla crescita esponenziale dei cosidetti lavoratori atipici o co.co.co.,
collaborazione coordinata e continuativa, ed alla moltitudine di cooperative di facchinaggio esistenti sul nostro territorio), per cui in azienda il costo del lavoro deve
essere analizzato nel dettaglio per classificare la parte variabile da quella fissa. Ciò è
tanto più vero quanto più si è in presenza di medio e piccole imprese, nelle quali il
processo di adattamento a situazioni esogene è molto più rapido che nella grande
industria.
La distinzione fondamentale da realizzare nelle imprese produttive, in quelle
commerciali ovviamente il discorso perde significato, è tra il costo del lavoro direttamente impegnato nel processo produttivo rispetto a quello indirettamente coinvolto.
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4. La classificazione dei costi
Il primo caso si definirà costo della manodopera diretta e tale costo va considerato
tra i costi variabili e, quindi, all’interno del primo margine di contribuzione. La
motivazione è legata al fatto che un incremento dell’attività produttiva o delle
commesse da realizzare comporteranno un maggior costo del lavoro diretto derivante da nuove assunzioni o da un maggior numero di ore produttive straordinarie, così come una recessione economica comporterà, purtroppo la riduzione degli
organici produttivi.
Nel secondo caso, invece, si tratta di manodopera indiretta e quindi, come si dirà
tra breve, di costo fisso.
Materiale di consumo ed utensileria
In genere in queste voci del piano dei conti vengono rilevate tutti gli acquisti inerenti materiali accessori alla produzione (ad esempio lubrificanti per macchinari,
materiali di saldatura, viti, bulloni, punte di trapano, utensili, guanti, vestiario, etc.).
Per classificare i materiali di consumo quali costi variabili o fissi è bene approfondire con l’area amministrativa dell’impresa quali voci vengono registrate all’interno
di questa posta di bilancio, quindi distinguere i costi di natura variabile (si pensi ad
esempio ai materiali di saldatura o alle punte di trapano se il processo produttivo
prevede un consumo costante di queste per la realizzazione del prodotto o della
commessa) da quelli di natura fissa (ad esempio l’acquisto di caschi e guanti nelle
fonderie).
Manutenzioni
In generale il costo delle manutenzioni è da considerarsi fisso. Tuttavia se in azienda esiste un costo delle manutenzioni direttamente connesso al funzionamento
di specifici impianti o macchinari, allora tale costo è da considerarsi variabile (si
pensi ad esempio al costo delle manutenzioni dei macchinari per il taglio laser di
lamiere o tubi, che richiedono una determinata manutenzione ogni ben definito
numero di ore macchina lavorate).
Provvigioni
Le provvigioni sono il tipico costo variabile di natura commerciale.
Come già sottolineato possono esistere differenti ulteriori tipologie di costi variabili specifici del settore di appartenenza dell’impresa o dell’azienda stessa.
Un’ulteriore caratteristica dei costi variabili è quella di non variare il loro valore unitario e l’incidenza percentuale al variare dei volumi. Perciò, se volessimo rappresentare su un asse cartesiano i costi variabili totali ed i costi variabili unitari, ponendo in ascissa le quantità prodotte/vendute ed il fatturato ed in ordinata i costi
ed i ricavi, avremo per definizione il disegno di raffigurato in tavola 2.
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La classificazione dei costi 4.
Tavola 2 - Costi variabili
In altri termini, la retta che rappresenta i costi variabili partirà per definizione
dall’origine e crescerà all’aumentare delle quantità con un’inclinazione proporzionale all’ammontare dei costi rispetto ai volumi. I costi variabili unitari, invece, sono
rappresentati per definizione da una retta parallela all’asse dell’ascissa significativa
dell’invarianza di tali costi al variare dei volumi.
I costi fissi
Sono costi fissi quei costi che non variano al mutare dei volumi di produzione e di
vendita nel periodo preso a riferimento. Si tratta perciò di costi sostenuti
dall’impresa per assicurarsi le risorse produttive necessarie per realizzare i programmi preventivati. I costi fissi vengono anche definiti nel linguaggio comune aziendale come costi di struttura, in quanto rappresentano le uscite monetarie che
l’impresa ha sostenuto per dotarsi di macchinari, impianti, immobili industriali,
etc., per poter svolgere la propria attività.
Tipici costi fissi, a titolo d’esempio, sono affitti, assicurazioni, manutenzioni, canoni leasing, costi commerciali di varia natura (pubblicità, costo autovetture, spese
rappresentanza e viaggi, etc.), costi amministrativi e generali, nonché la parte di costo del lavoro che non sia qualificata come manodopera diretta.
Per quanto concerne i costi fissi unitari, questi variano in proporzione inversa rispetto al mutare delle quantità prodotte e vendute. La rappresentazione grafica è
espressa nella tavola 3.
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4. La classificazione dei costi
Tavola 3 - Costi fissi unitari
Ne deriva, quindi, che tanto più si incrementano le quantità prodotte e vendute,
tanto più si riduce il costo unitario fisso e quindi anche il costo unitario totale.
Un semplice esempio numerico può chiarire l’ultima affermazione: si supponga
che un’impresa industriale produca un unico prodotto il cui costo variabile unitario
è pari a euro 2 ed i costi fissi annuali dell’azienda ammontano a euro 2.100.000. Il
costo unitario del prodotto varierà al variare delle quantità prodotte, per cui:
• se la produzione è pari a 210.000 unità in un anno, il costo del prodotto risulterà pari a:
2 +
2.100.000
210.000
= 2 + 10 = 12
• se la produzione si riduce a 100.000 unità in un anno, il costo del prodotto risulterà pari a:
2 +
2.100.000
100.000
= 2 + 21 = 23
• se la produzione aumenta a 300.000 unità in un anno, il costo del prodotto risulterà pari a:
2 +
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2.100.000
300.000
= 2 + 7
= 9
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per cui il costo del prodotto sarà tanto più basso quanto più cresceranno i volumi
di produzione, a condizione che non sia satura la capacità produttiva e mantenendo invariato il capitale investito.
Nella suddetta categoria di costi vanno menzionati anche i costi fissi specifici, costi
che si sopportano in conseguenza della scelta di produrre uno specifico bene o
servizio o sostenuti per una determinata commessa. I costi fissi specifici, la cui entità non si modifica in relazione ai volumi prodotti, permettono di determinare il
cosiddetto primo e secondo margine di contribuzione per prodotto, commessa o
servizio, come illustrato in tavola 4.
Tavola 4 - Conto economico di prodotto/commessa/servizio a margine di
contribuzione
Ricavi netti - costi variabili =
1º margine di contribuzione
- (costi fissi specifici)
= 2º margine di contribuzione
(costi fissi)
= Risultato operativo
4.2.2 Il criterio dell’attribuzione
Con il criterio dell’attribuzione si distinguono i costi diretti da quelli indiretti.
I costi diretti
Si definiscono costi diretti i costi relativi a fattori di produzione che presentano
una relazione diretta con i prodotti, i servizi o le commesse e che a questi possono
direttamente essere attribuiti con facilità.
Tanto più elevato sarà il numero di costi diretti in azienda, tanto meno si dovrà ricorrere a ripartizioni e parametrizzazioni per il calcolo del costo di prodotto, riducendo di conseguenza la soggettività dell’analisi.
Tipici costi diretti sono le materie prime, poiché teoricamente tutti i materiali che
necessitano per la produzione di un prodotto possono essere direttamente ad esso
imputati. Esistono dei casi particolari, tuttavia, per cui risulta a volte alquanto difficoltoso determinare la relazione di attribuzione diretta al prodotto della materia
prima: si pensi, ad esempio, alle produzioni avicole i cui prodotti finali sono la coscia, il petto o l’ala della gallina. La materia prima di suddette attività sono i mangimi e risulta spesso alquanto complesso determinare direttamente il consumo di
mangime per singolo prodotto finale.
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4. La classificazione dei costi
Altro tipico costo diretto è la manodopera diretta che comprende tutti i costi del
lavoro relativi alla produzione di un determinato bene.
Infine, in azienda possono essere presenti una serie di altri costi diretti di natura
industriale o commerciale che variano notevolmente da impresa ad impresa: la
forza motrice può essere un costo diretto se l’azienda è in grado di rilevarne
l’esatto consumo per unità, le lavorazioni esterne su determinati particolari, gli
ammortamenti di specifici impianti o macchinari, le provvigioni, ecc..
Ciò che è importante in azienda è definire l’oggetto cui ci si riferisce per l’analisi
dei costi (il prodotto, la fase di lavorazione, la commessa, il servizio, il centro produttivo), in quanto a seconda dell’oggetto gli stessi costi potranno essere classificati diretti o indiretti.
I costi indiretti
Si definiscono costi indiretti o comuni, i costi relativi a fattori di produzione che
presentano una relazione indiretta rispetto agli oggetti di calcolo (prodotto, servizio, commessa, centro di costo) e che perciò risultano ad essi attribuibili solo attraverso l’impiego di parametri di ripartizione.
Poiché in genere in azienda i costi indiretti sono alquanto numerosi, nella pratica si
suole raggrupparli per funzioni (amministrativi, commerciali, industriali) per facilitarne successivamente l’attribuzione ai prodotti.
4.2.3 Il criterio del momento di determinazione
A seconda del periodo in cui i costi vengono determinati e, soprattutto, della tecnica di controllo di gestione che si vuole adottare i costi si configureranno quali
costi preventivi (budget) o consuntivi (analisi).
4.2.4 Il criterio del controllo direzionale
Si definiscono costi controllabili i costi influenzabili entro un certo periodo di
tempo dalle azioni e dalle decisioni dei responsabili delle differenti aree operative
dell’impresa. È ovvio che i costi possono essere controllati a diversi livelli di responsabilità nella struttura organizzativa aziendale.
Sono costi non controllabili i costi non influenzabili dalle azioni e dalle decisioni
dei responsabili delle aree di attività in cui è suddivisa l’impresa.
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La classificazione dei costi 4.
4.2.5 Il criterio della tipicità
Al fine di svolgere un’attività di controllo efficace in azienda, è necessario introdurre il concetto di costo standard. Si definisce costo standard un costo teorico,
spesso di natura tecnica, calcolato per determinare l’output dell’impresa in condizioni di «normale» funzionamento.
L’utilizzo dei costi standard deve essere ben ponderato dal responsabile del controllo di gestione in quanto errori nel calcolo dello standard possono determinare
conseguenze rilevanti per l’efficacia del controllo.
Il costo standard deve essere sensato e rappresentare un obiettivo raggiungibile,
così da costituire un elemento incentivante per i vari responsabili di funzione.
Inoltre, il costo standard deve essere adeguato alle caratteristiche del processo tecnologico, tenendo in considerazione il fenomeno delle curve di apprendimento (in
momenti diversi della giornata la produttività può essere diversa) e deve essere verificato e modificato nel tempo.
In generale, un costo standard utilizzato spesso in azienda è quello relativo alle
materie prime, con l’utilizzo della distinta base che indica la quantità necessaria ed
il costo unitario di tutti i componenti del prodotto (tavola 5).
Tavola 5 - Distinta base
CODICE
DESCRIZIONE
UNITÀ DI
MISURA
ALL
Alluminio
Kg
NIP
Nippli
N
GRN
Guarnizioni
N
RESN
Resina
Kg
VER 9010
Vernice
Kg
CART 90
Cartone
Kg
BANC
Bancale
N
ET
Etichetta per imballaggio
N
ND25
Nastro adesivo
N
UDFEST
Film estensibile
Kg
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QUANTITÀ
COSTO
UNITARIO
COSTO
TOTALE
totale
n. prodotti
costo unitario
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4. La classificazione dei costi
Un altro costo standard molto utilizzato è quello relativo al costo del lavoro in
quanto in aziende di medio e grandi dimensioni è possibile preventivarne il valore
con minimi scostamenti di quantità e/o di costo.
Infine, le fasi di seguito descritte riassumono le azioni da intraprendere in azienda
per implementare con efficacia il controllo dei costi con il metodo dei costi standard:
• programmare tutte le operazioni da compiere ed i relativi costi standard;
• misurare esattamente i fatti verificatisi;
• comparare i dati standard con quelli effettivi;
• analizzare gli scostamenti e valutarne le cause;
• attribuire le responsabilità sia con logiche di consuntivazione che prospettiche.
4.2.6 Il criterio dell’effettiva manifestazione numeraria
Si definiscono costi effettivi quei costi che hanno concreta manifestazione e vengono
perciò rilevati in contabilità generale.
I costi figurativi, invece, non determinano un’effettiva manifestazione numeraria, per
cui non vengono rilevati dalla contabilità generale. Tuttavia, tali costi sorgono per
effetto del consumo di risorse umane, tecniche o finanziarie, per cui è importante
ai fini del controllo di gestione rilevarne il valore in contabilità analitica.
Tipico costo figurativo è la remunerazione che spetta ai titolari d’impresa per il loro lavoro dedicato all’attività. Soprattutto nella piccola e media impresa non sempre esiste la distinzione netta tra direzione manageriale e detentori delle quote sociali, tra imprenditori e proprietari, tra soci di capitale e soci lavoratori. Spesso, il
proprietario di una piccola impresa è anche il responsabile di diverse aree gestionali e, per questo motivo, se non è previsto in contabilità generale un costo per il lavoro eseguito, è necessario introdurre extracontabilmente una retribuzione figurativa che remuneri il lavoro prestato all’interno dell’azienda.
Altri usuali costi figurativi possono essere, ad esempio, gli interessi per prestiti infruttiferi degli imprenditori oppure l’affitto figurativo da pagare per lo sfruttamento di beni immobiliari il cui onere non viene rilevato in contabilità generale.
4.2.7 Il costo primo
Si definisce costo primo la somma di tutti i costi diretti inerenti l’attività di produzione aziendale: materie prime, manodopera diretta, altri costi diretti di produzione, costi fissi specifici (si veda tavola 6).
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La classificazione dei costi 4.
Tavola 6 - Costo primo
Il costo primo, come si vedrà di seguito nel capitolo relativo al full costing, è un dato
spesso utilizzato, nelle piccole imprese che applicano una contabilità industriale
con il sistema unico o con il sistema duplice misto, come parametro per
l’imputazione al prodotto di quei costi indiretti per i quali risulta difficile determinare un esplicito indice di ripartizione.
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