Scarica - Liceo Duca d`Aosta

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Liceo SocioPsicoPedagogico
“Duca d’Aosta”
PADOVA
IL FILOSOFO
ALL’OPERA
Lavoro interdisciplinare
Musica - Filosofia
cl. 4^A - cl.4^D
a.s. 2010-2011
Prof.sse A.L. Berti, M.A. Bettanin, G. Camposampiero
INDICE
p. 3 Premessa
p. 4 L’elisir d’amore in filosofia
p. 5 Obiettivi del lavoro, materiali, prodotto finale
p. 6 Gruppi di lavoro
p. 7 L’ALCHIMIA E LA RICERCA DELL’ELISIR DI LUNGA VITA
p. 8 Cavatina di Dulcamara
p. 9 “I versi d’oro di Pitagora”
p. 16 G. Bruno: “De magie naturali”
p. 21 Pico della Mirandola : “De hominis dignitate”
p. 27 Antoine-Joseph Pernety: “Trattato dell’Opera Ermetica”
p. 31 L’AMORE È FILOSOFO
p. 32 Platone: “Simposio”
p. 37 Aristotele: “Etica Nicomachea”
p. 42 Lucrezio: “La natura”
p. 47 G. Bruno: “Eroici furori”
p. 52 Appendice. Breve storia dell’alchimia
2
Premessa
Il “Progetto La Fenice”, attivato nel nostro Istituto da alcuni anni e di cui è referente la prof.ssa G. Camposanpiero, offre alle classi
che vi aderiscono la possibilità di approfondire la cultura musicale ma offre anche notevoli spunti di approfondimento in altre
discipline, tra queste la filosofia.
All’interno della programmazione lirica del teatro La fenice di Venezia per l’a. s. 2010-2011, le prof.sse Berti A.L. e Bettanin M.A.,
docenti di filosofia, hanno concordato con la prof.ssa Camposanpiero G., docente di musica, la visione di un melodramma italiano
che avrebbe fornito l’occasione per un approfondimento filosofico: “L’elisir d’amore” di G. Donizetti.
3
“L’elisir d’amore” in filosofia
L’opera lirica “L’elisir d’amore” fu composta da G.
Donizetti (Bergamo 1797-1848), sul libretto di Felice
Romani, tratto dal libretto Le Philtre di Scribe, e
presentata al Teatro della Canobbiana di Milano (12
maggio 1832).
La visione de “L’elisir d’amore” di G. Donizetti, ha fornito l’input per un approfondimento
filosofico delle due fondamentali tematiche sulle quali si organizza il libretto dell’opera e
che si delineano sin dal titolo, l’alchimia e l’amore:
Nemorino, timido giovane, si strugge d’amore per la bella Adina che accetta, invece, la corte del sergente
Belcore. Il giovane, disperato, pensa di rimediare al suo caso ricorrendo al dottor Dulcamara, un ciarlatano
che fa credere a tutti, Nemorino compreso, di possedere l’elisir di lunga vita, in grado di guarire tutti i mali,
nonché di fare innamorare.
Nemorino acquista il rimedio e Adina si innamorerà di lui, ma non è certo merito dell’elisir di un falso
alchimista.
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Obiettivi del lavoro
Conoscenze:
-conoscere lo sviluppo del pensiero ermetico in particolare
nell’epoca umanistico-rinascimentale;
-conoscere aspetti di coesione e di differenza tra alchimia e scienza
con particolare riferimento al periodo umanisticorinascimentale;
-conoscere alcune delle principali riflessioni filosofiche sull’amore
sull’amore
Capacità:
-analizzare un testo filosofico;
-sintetizzare un testo filosofico;
-estrapolare da un testo filosofico termini e concetti chiave;
-servirsi delle conoscenze pregresse;
-sapersi documentare.
Competenze:
-sviluppo delle capacità critiche in ambito filosofico;
-sviluppo delle capacità critiche nell’ambito della vita pratica
Materiali
Agli allievi sono stati forniti:
-breve dispensa sull’alchimia;;
-brani scelti;
-indicazioni sitografiche.
Prodotto finale
Le allieve, divise in gruppi, hanno steso una relazione, su uno dei brani e degli argomenti
proposti, seguendo le consegne specifiche.
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Gruppi di Lavoro
L’ALCHIMIA
Testo 1: Pitagora
Lazzarotto Lisa
Magro Federica
Masin Valentina
Padovan Debora
Riccetti Claudia
Testo 3: P. della Mirandola
Groccia Silvia
Santi Alessia
Pizzo Eleonora
Rigato Maria Giovanna
Roci Vlora
Testo 2: G. Bruno
Santiglia Greta
Tassetto Sarah
Tognon Valentina
Toson Ludovica
Vamzetto Fabiola
Testo 4: A.J. Pernety
Battan Micol
Castiello Chiara
Franceschin Sara
Gallo Giulia
Gastaldon Stefania
L’AMORE
Testo 1: Platone
Testo 3: Lucrezio
Bissacco Claudia
Cazan Cesar
Nocent Nicolò
Fincato Martina
Rossetto Sara
Rosteghin Giada
Bottaro Chiara
Di Dio Maria Chiara
Franceschi Marica
Ghiraldo Claudia
Inguscio Irene
Varetto Serena
Testo 2: Aristotele
Testo 4: G. Bruno
Bassan Andrea
Bolzonaro Angelica
Cassetta Maddalena
Lunardi Matteo
Mellon Claudia
Pagnin Alberto
Ascanio Chiara
Burocchi Natasha
Fabbro Elisa,
Martin Carolina
Sguotti Silvia
Tomasin Martina Elisabetta
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L’ALCHIMIA
E LA RICERCA DELL’ELISIR
DI LUNGA VITA
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Cavatina di Dulcamara
Elisir d’amore: Atto I
Dulcamara incarna il falso alchimista che fa credere al popolo ingenuo di possedere l’elisir di lunga vita.
Dulcamara
Udite, udite, o rustici;
attenti, non fiatate.
Io già suppongo e immagino
che al par di me sappiate
ch'io sono quel gran medico,
dottore enciclopedico,
chiamato Dulcamara,
la cui virtù preclara,
e i portenti infiniti
son noti all' universo
e... e... e in altri siti.
Benefattor degli uomini,
riparator de' mali,
in pochi giorni sgombero,
gli spazzo gli spedali,
e la salute a vendere
per tutto il mondo io vo.
Compratela, compratela,
per poco io ve la do.
E' questo l'odontalgico
mirabile liquore
dei topi e delle cimici
potente distruttore.
I cui certificati
autentici, bollati,
toccar, vedere e leggere
a ciaschedun farò.
Per questo mio specifico
simpatico, prolifico,
un uom settuagenario
e valetudinario,
nonno di dieci bamboli
ancora diventò,
di dieci o venti bamboli
fin nonno diventò.
Per questo "tocca e sana"
in breve settimana
più d'un'afflitta vedova
di piangere cessò
Contadini
Oh !
Dulcamara
O voi matrone rigide,
ringiovanir bramate?
Le vostre rughe incomode
con esso cancellate.
Volete voi donzelle
ben liscia aver la pelle?
Voi giovani galanti
per sempre avere amanti?
Comprate il mio specifico,
per poco io ve lo do.
Da bravi giovinotti,
da brave vedovette,
comprate il mio specifico,
per poco io ve lo do.
Ei move i paralitici,
spedisce gli apopletici,
gli asmatici, gli asfitici,
gli isterici, i diabetici,
guarisce timpanitidi,
e scrofole e rachitidi,
e fino il mal di fegato
che in moda diventò.
Mirabile pe' cimici
mirabile pel fegato,
guarisce i paralitici,
spedisce gli apopletici.
Comprate il mio specifico,
voi vedove e donzelle,
voi, giovani galanti,
per poco io ve lo do.
Avanti, avanti, vedove,
avanti, avanti, bamboli,
comprate il mio specifico,
per poco io ve lo do.
L'ho portato per la posta
da lontano mille miglia.
Mi direte: quanto costa?
Quanto vale la bottiglia?
Cento scudi? No. Trenta? No. Venti?
Che nessuno si sgomenti.
Per provarvi il mio contento
di sì amico accoglimento
io vi voglio o buona gente
uno scudo regalar
Contadini
Uno scudo? Veramente?
Più brav'uom non si può dar.
Dulcamara
Ecco qua: così stupendo,
sì balsamico elisire,
tutta Europa sa ch'io vendo
niente men di nove lire
ma siccome e' pur palese
ch'io son nato nel paese,
per tre lire a voi lo cedo,
sol tre lire a voi richiedo.
Così chiaro è come il sole
che a ciascuno che lo vuole
uno scudo bello e netto
in saccoccia faccio entrar.
Contadini
È verissimo: porgete.
Gran dottore che voi siete!
Dulcamara
Eccolo!
tre lire.
Avanti, avanti.
Contadini
Noi ci abbiam del vostro arrivo
lungamente a ricordar
Dulcamara
Ah! Di patria il caldo affetto
gran miracoli può far.
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“I versi d’oro
di Pitagora”
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TESTO II: PITAGORA
“I Versi d’oro di Pitagora”
I Versi d’oro furono attribuiti a Pitagora da Giovanni Battista Niccolini (San Giuliano Terme, 29 ottobre 1782 –
Firenze, 20 settembre 1861) drammaturgo italiano che visse a Firenze, Lucca e Prato, e fu socio dell'Accademia della
Crusca.
Per primo sii devoto agli dei immortali e rispetta la loro legge.
Osserva il giuramento, venera gli eroi sublimi, onora tuo padre, tua
madre e i tuoi familiari.
Scegli come amico l'uomo migliore e più virtuoso.
Obbedisci ai suoi consigli e segui il suo spirito sano.
Sforzati di non allontanarti da lui neppure per la più piccola offesa.
Sii padrone di te stesso. Non dimenticare che devi dominare le tue
passioni ed essere sobrio e puro.
Non lasciarti sopraffare dalla collera.
Sii irreprensibile verso gli altri e soprattutto verso te stesso.
Abbi rispetto di te e di tutta la tua vita; le tue parole si ispirino alla
giustizia più pura.
Non rivoltarti contro la sorte che ti è stata destinata dalle leggi
divine, per quanto essa possa essere dura affrontala con serenità,
sforzandoti di migliorarla.
Gli dei preservano il saggio da mali peggiori.
La verità e l'errore si mescolano nelle opinioni umane.
Per conservare il tuo equilibrio, evita di accettarli o ricacciarli,
insieme.
Se momentaneamente trionfa l'errore, allontanalo pazientemente.
Cerca sempre di osservare ciò che hai deciso.
Non lasciarti ingannare senza riflettere dalle parole e dalle azioni del tuo prossimo.
Parla ed opera soltanto quando la tua ragione ha intrapreso il giusto cammino.
Una scelta ragionata ti eviterà di commettere sbagli.
Il parlare e l'agire senza una regola rendono l'uomo infelice.
Non avere la pretesa di fare ciò che ignori del tutto.
Al contrario approfitta di ogni occasione per istruirti ed in tal modo avrai una vita molto gradevole.
Tuttavia è indispensabile vegliare sulla buona salute del corpo.
Prendi con moderazione gli alimenti e le bevande e fai il movimento fisico necessario.
Segui un regime semplice e severo.
Non comportarti come la gente senza senno che dissipa o si fa vincere dalla malizia.
Impara a vivere nel giusto mezzo.
Una volta accorto cerca di elevare il tuo spirito e rifletti sulla buona azione che devi compiere.
Ogni notte, prima di abbandonarti al sonno, fai l'esame di coscienza, ripassando più volte le azioni realizzate durante il giorno e chiediti: "Che hai
fatto? Hai compiuto il tuo dovere verso gli altri?".
Esamina successivamente ognuna delle tue azioni.
Se scopri che ti sei comportato male ammonisciti severamente e rallegrati se sei stato irreprensibile.
Medita questi consigli, amali con tutta la tua anima e sforzati di seguirli perché ti condurranno alla virtù divina.
Rivolgiti senza sosta agli dei perché ti aiutino a raggiungerla.
Quando avrai imparato bene questi precetti apprenderai il legame intimo che unisce dei, uomini e cose e ti renderai conto dell'unità che esiste nella
natura intera.
Conoscerai la legge universale che governa il mondo e apprenderai che la materia e lo spirito sono legati fra loro.
Imparerai che gli uomini sono creatori dei propri mali. "Infelici!" Ignorano che i veri beni sono alla loro portata dentro se stessi.
Pochi sono coloro che conoscono il modo di liberarsi dei propri tormenti.
E questa la cecità degli uomini che turba la loro intelligenza.
Somiglianti a cilindri che ruotano a caso e non saranno mai liberi dagli infiniti mali che li opprimono.
Non sospettando la funesta oscurità che li accompagna, non sanno discernere ciò che è necessario e ciò che devono rifiutare senza ribellarsi.
"O Dei! liberateli dalle sofferenze o mostrate loro di quale potenza soprannaturale possono disporre. Insegnate loro la propria natura divina e fate
loro scoprire la verità sacra che la natura offre".
Se riuscirai a possederle imparerai senza difficoltà le mie prescrizioni.
Allontana tutto ciò che può impedire la tua purificazione e prosegui a liberare l'anima fino al trionfo del meglio che esiste in te, ossia lo spirito.
Quando abbandonerai il tuo corpo mortale e ti solleverai nell'eden dimenticando di essere mortale sarai degno di accedere nel mondo degli dei.
1)Costruisci una premessa pertinente facendoti guidare dal materiale sull’alchimia in tuo possesso (10-20 righe max)
2)Sintetizza il testo (10 righe max)
3) Trova un filosofo, tra quelli che conosci, il cui pensiero possa essere affiancato a quello di Pitagora.
4)Individua e chiarisci il contenuto alchemico del testo reperendo tra le parole del filosofo i termini, i concetti, le espressioni, più o
meno esplicite, del linguaggio alchemico (max 10-15 righe)
5)Concludi scegliendo una tra le seguenti proposte (20 righe minimo):
-approfondisci una delle tematiche alchemiche trattate nelle pp. 7-8;
-approfondisci in modo critico una delle odierne vie per la cura dello spirito evidenziandone pregi e/o limiti, somiglianze e
differenze con il percorso alchemico;
-apporta altre fonti e prepara per ciascuna una breve analisi testuale.
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1. Il termine alchimia deriva dall’arabo Al-Kimiyà;; l’articolo “Al” significa Essere Supremo,
mentre la parola “Kimiyà” Pietra Filosofale.
L'alchimia è un antico sistema filosofico esoterico che combina elementi di chimica, fisica,
astrologia, arte, semiotica, metallurgia, medicina, misticismo e religione.
Il pensiero alchemico è considerato il precursore della chimica moderna prima della nascita del metodo
scientifico. L'alchimia, oltre ad essere una disciplina fisica e chimica, è la scienza di Dio, una scienza che
conduce l’uomo di buona volontà a un processo di crescita, di liberazione e di salvezza. In quest'ottica la
scienza alchemica viene divisa in alchimia fisica e alchimia spirituale. Quest’ultima è considerata il vero
obiettivo, per cui l’alchimia fisica non è altro che una metafora per indicare il vero scopo dell’alchimista che è
quello di risvegliare in sé la scintilla divina.
Intorno al VI secolo a. C. si sviluppa in Asia Minore la filosofia pitagorica, secondo cui l’essenza ultima
della realtà è il numero, e ogni cosa è riconducibile a quest’ultimo. Sempre in questo periodo, si sviluppa il
pensiero della scuola ionica basato sulla ricerca di un principio unico e originario per tutti i fenomeni
naturali, l’archè, che nei secoli a venire sarà chiamata sostanza, e che può essere spiegata solamente
attraverso attente esplorazioni filosofiche.
2. “ I versi d’oro di Pitagora” espongono alcune regole fondamentali che l’uomo deve seguire
al fine di condurre al meglio la propria esistenza.
Secondo il filosofo, l’individuo deve essere devoto agli dei immortali, seguire le loro leggi e i loro consigli in
quanto essi conducono alla virtù divina; l’uomo non deve opporsi alla sorte che gli è stata destinata dalle
leggi
del fato; egli deve allontanare tutto ciò che impedisce la purificazione dell’anima e proseguire alla sua
liberazione fino al trionfo dello spirito.
L’uomo deve scegliere un amico virtuoso, obbedire ai suoi consigli e imitare il suo spirito sano; egli deve
essere padrone di sé stesso, dominare le proprie passioni e non lasciarsi ingannare dalle parole e dalle azioni
del prossimo.
Inoltre l’individuo è invitato a operare e a parlare solo quando la sua ragione intraprende il giusto cammino,
poiché il parlare e l’agire senza una regola lo rendono infelice, mentre una scelta ragionata evita di
commettere sbagli.
Infine Pitagora esorta l’uomo a vivere nel giusto mezzo e, scrive l’autore, è indispensabile curare il proprio
corpo assumendo alimenti e bevande con moderazione e svolgendo una corretta attività fisica.
3. Per Pitagora, nato in Asia minore nel VI secolo a.C., il compito della filosofia è quello di
favorire la progressiva purificazione dell’anima, attraverso la conoscenza dell’ordine
superiore dell’universo. Nel corso della filosofia antica molteplici sono le voci dei filosofi che
alchimisticamente hanno indicato nella cura della spiritualità il senso dell’esistenza
umana:
∙ “ scegli come amico l’uomo migliore e più virtuoso”.
Socrate guarda all’uomo in quanto uomo, egli si prefigge come scopo la virtù e il bene dell’anima.
La virtù è sapere ed è una sola, consiste nel riconoscere ciò che è bene e ciò che è male.
∙ “obbedisci ai suoi consigli e segui il suo spirito sano”.
∙ “sii padrone di te stesso. Non dimenticare che devi dominare le tue passioni ed essere sobrio e puro”.
∙ “ sii irreprensibile verso gli altri e verso te stesso”.
Secondo Socrate conoscere se stessi significa esaminare se stessi e gli altri, riconoscere i limiti dell’uomo,
conoscere e prendersi cura dell’anima che è sia entità spirituale che sede della coscienza e del pensiero.
∙ “abbi rispetto di te e di tutta la tua vita, le tue parole si ispirino alla giustizia più pura”.
Socrate sostiene che non può essere messo in discussione il rapporto che lega il cittadino alla polis e alle sue
leggi. È importante il rispetto della legge anche quando è applicabile in modo ingiusto.
∙ “una scelta ragionata ti eviterà di commettere sbagli”.
Aristotele sostiene che è propria dell’uomo l’attività dell’anima secondo ragione perciò lo svolgimento della
vita deve basarsi sulle azioni razionali proprie dell’individuo virtuoso. La vera felicità è, perciò, un’esistenza
gestita dalla ragione.
∙ ”impara a vivere nel giusto mezzo”.
Una delle celebri teorie di Aristotele è quella del giusto mezzo: la via corretta.
“Io chiamo dunque posizione di mezzo di una cosa quella che dista egualmente da ciascuno degli estremi.”
∙ ”tuttavia è indispensabile vegliare sulla buona salute del corpo”.
∙ “prendi con moderazione gli alimenti e le bevande e fai il movimento fisico necessario”.
Secondo Aristotele è necessario un apprendimento anche dal punto di vista fisico, occorre perciò insegnare
agl’uomini, fin dai primi anni di vita, esercizi ginnastici perché essi conferiscono una certa qualità alla
costituzione del corpo.
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∙ ”conoscerai la legge universale che governa il mondo e apprenderai che la materia e lo spirito sono legati
fra loro”.
4. Nel testo “I versi d’oro di Pitagora” sono presenti numerosi termini che rimandano a
contenuti alchemici. Come già affermato,esistono due tipi di alchimia: un’alchimia fisica e una spirituale;;
quest’ultima è ritenuta il vero obiettivo e in questo senso l’alchimia fisica, metaforicamente, indica l’obiettivo
del vero alchimista,ossia la trasformazione dell’impuro in puro, del negativo in positivo, della materia in
spirito. Le espressioni che,all’interno del testo, fanno riferimento a ciò sono:”Non dimenticare che devi
dominare le tue passioni ed essere sobrio e puro”;;”Se momentaneamente trionfa l’errore,allontanalo
pazientemente”;;”Pochi sono coloro che conoscono il modo di liberarsi dei propri tormenti”;;”Insegnate loro
la propria natura divina e fate loro scoprire la verità sacra che la natura offre”;;”Allontana tutto ciò che può
impedire la tua purificazione e prosegui a liberare l’anima fino al trionfo del meglio che esiste in te,ossia lo
spirito”. Pico della Mirandola inoltre sosteneva che l’uomo,in quanto microcosmo,avesse la possibilità di
elevarsi o di abbassarsi. Anche in tal caso possiamo individuare nel testo degli opportuni riferimenti:
”Rivolgiti senza sosta agli dei perché ti aiutino a raggiungerla (la virtù divina)”; ”Quando
abbandonerai il tuo corpo mortale e ti solleverai nell’eden dimenticando di essere mortale sarai degno di
accedere al mondo degli dei”.
5. La lettura dei "versi d'oro" di Pitagora ci riportano alla mente la poesia "Se" di R. Kipling.
Entrambi i testi hanno infatti un forte intento morale.
Pitagora scrive per destinare ,con i suoi ammonimenti, l'uomo a elevarsi nel mondo degli dei.
Kipling invece, poeta e scrittore britannico della fine dell'ottocento, inserito in una cultura diversa e moderna
scrive per stimolare il figlio a crescere da vero uomo.
Confrontando i due testi si può vedere con stupore quanto nonostante Pitagora e Kipling siano tutt’altro che
contemporanei condividano gli stessi profondissimi valori.
SE...
Se riesci a conservare il controllo quando tutti
Intorno a te lo perdono e te ne fanno una colpa;
Se riesci ad aver fiducia in te quando tutti
Ne dubitano, ma anche a tener conto del dubbio;
Se riesci ad aspettare e non stancarti di aspettare,
O se mentono a tuo riguardo, a non ricambiare in menzogne,
O se ti odiano, a non lasciarti prendere dall'odio,
E tuttavia a non sembrare troppo buono e a non parlare troppo saggio;
Se riesci a sognare e a non fare del sogno il tuo padrone;
Se riesci a pensare e a non fare del pensiero il tuo scopo;
Se riesci a far fronte al Trionfo e alla Rovina
E trattare allo stesso modo quei due impostori;
Se riesci a sopportare di udire la verità che hai detto
Distorta da furfanti per ingannare gli sciocchi
O a contemplare le cose cui hai dedicato la vita, infrante,
E piegarti a ricostruirle con strumenti logori;
Se riesci a fare un mucchio di tutte le tue vincite
E rischiarle in un colpo solo a testa e croce,
E perdere e ricominciare di nuovo dal principio
E non dire una parola sulla perdita;
Se riesci a costringere cuore, tendini e nervi
A servire al tuo scopo quando sono da tempo sfiniti,
E a tener duro quando in te non resta altro
Tranne la Volontà che dice loro: "Tieni duro!".
Se riesci a parlare con la folla e a conservare la tua virtù,
E a camminare con i Re senza perdere il contatto con la gente,
Se non riesce a ferirti il nemico né l'amico più caro,
Se tutti contano per te, ma nessuno troppo;
Se riesci a occupare il minuto inesorabile
Dando valore a ogni minuto che passa,
Tua è la Terra e tutto ciò che è in essa,
E - quel che è di più - sei un Uomo, figlio mio!
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Insegnamenti simili si possono ritrovare nella Sacra Bibbia come le ritualità morali a cui attenersi per
rispettare culto di Dio.
La versione che al giorno d’oggi viene recitata è quella destinata alla catechesi e mnemonica ma all’interno
delle sacre scritture si presentano così:
[2] Io sono il Signore, tuo Dio,che ti fece uscire dalla terra d'Egitto, dalla casa degli schiavi.
[3] non avrai altro Dio all'infuori di me.
[4] Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di
ciò che è nelle acque sotto la terra.
[5] Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai. Perché io, il Signore, sono il tuo Dio, un Dio geloso, che
punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano,
[6] ma che dimostra il suo favore fino a mille generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei
comandamenti.
[7] Non pronunzierai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lascerà impunito chi
pronuncia il suo nome invano.
[8] Ricordati del giorno di sabato per santificarlo:
[9] sei giorni faticherai e farai ogni tuo lavoro;
[10] ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: tu non farai alcun lavoro, né tu, né tuo
figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso
di te.
[11] Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il
giorno settimo. Perciò il Signore ha benedetto il giorno di sabato e lo ha dichiarato sacro.
[12] Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che ti dà il Signore, tuo Dio.
[13] Non uccidere.
[14] Non commettere adulterio.
[15] Non rubare.
[16] Non pronunciare falsa testimonianza contro il tuo prossimo.
[17] Non desiderare la casa del tuo prossimo.
Non desiderare la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino,
né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo.
(Esodo 20:2-17)
13
La Bibbia descrive i comandamenti come scritti su due tavole. Ogni tavola ne conteneva il testo completo;
una tavola apparteneva ad Israele e l'altra a Dio, affinché entrambi i contraenti del Patto ne avessero una
copia. I primi cinque appartengono fondamentalmente al rapporto fra Israele e Dio; gli ultimi cinque
riguardano soprattutto le forme di rapporto fra esseri umani. I Dieci Comandamenti riassumono altresì la
legge morale che Dio ha impresso in ogni creatura umana e di cui la coscienza rende testimonianza. La legge
morale è da distinguersi dalla legge cerimoniale e dalla legge civile, pure data da Dio, ma limitata ad Israele.
In diversi momenti della sua storia Dio stabilisce che ogni creatura umana ubbidisca alla Sua volontà
rivelata, Egli infatti ci ha fatto conoscere "ciò che è bene".
Khalil Gibran (Bsharri, 6 gennaio 1883 – New York, 10 aprile 1931) fu un poeta, pittore e filosofo libanese. La
sua poesia venne tradotta in oltre 20 lingue, e divenne un mito per i giovani che considerarono le sue opere
come breviari mistici. Gibran ha cercato di unire nelle sue opere la civiltà occidentale e quella orientale In
questo testo approfondisce anch’egli diversi valori importanti destinati alla gente a cui egli parla da profeta.
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Amatevi l'un l'altro, ma non fatene una prigione d'amore:
Piuttosto vi sia un moto di mare tra le sponde delle vostre anime.
Riempitevi l'un l'altro le coppe, ma non bevete da un'unica coppa.
Datevi sostentamento reciproco, ma non mangiate dello stesso pane.
Cantate e danzate insieme e state allegri, ma ognuno di voi sia solo,
Come sole sono le corde del liuto, benché vibrino di musica uguale.
Donatevi il cuore, ma l'uno non sia di rifugio all'altro,
Poiché solo la mano della vita può contenere i vostri cuori.
E siate uniti, ma non troppo vicini;
Le colonne del tempio si ergono distanti,
E la quercia e il cipresso non crescono l'una all'ombra dell'altro.
6. Alcuni filosofi si prestano ad una lettura più o meno esplicitamente alchemica del loro
pensiero. Tra questi Empedocle e Tommaso d’Aquino.
Un concetto molto importante, introdotto nel periodo ellenistico da Empedocle, è che tutte le cose
nell'universo siano formate solamente da quattro elementi: terra, aria, acqua e fuoco.
La filosofia di Empedocle (V-IV sec. a. C.), infatti, si presenta come un tentativo di combinazione sintetica
delle precedenti dottrine ioniche, pitagoriche, eraclitee e parmenidee. Dalla filosofia ionica e da quella di
Eraclito egli accoglie l'idea del divenire, del continuo e incessante mutamento delle cose. L’esigenza
parmenidea che l’essere sia immutabile, imperituro e che non possa generarsi dal nulla, viene riconosciuta da
Empedocle e si traduce nell’idea che immutabili ed eterne siano le quattro radici di tutte le cose: l’Acqua,
l’Aria, il Fuoco e la Terra. Altrettanto eterne sono le forze universali dell’Amore e dell’Odio, attraverso le
quali
i quattro elementi fondamentali vengono ad essere fra loro mescolati o separati.
A Tommaso d'Aquino (1225-1274) vengono attribuiti alcuni opuscoli alchemici, nei quali è dichiarata la
possibilità della produzione dell'oro e dell'argento. Inoltre nel “Trattato della pietra filosofale”, preceduto da
una introduzione e seguito da un trattato del medesimo autore su l'Arte dell'alchimia, viene narrata una
leggenda medioevale secondo cui san Domenico aveva scoperto il meraviglioso segreto della pietra filosofale
e lo aveva affidato ad Alberto Magno, il quale lo trasmise a Tommaso d'Aquino. Quest’opera è discutibile dal
punto di vista rigorosamente storico, ma la tradizione individua comunque un legame culturale tra San
Tommaso e l'alchimia. In quest’opera vi sono due brevi trattati in cui vengono descritte dettagliatamente le
fasi della realizzazione della pietra filosofale.
15
“De magie
naturali”
Giordano Bruno
16
TESTO I: G. BRUNO
De magia naturali
in Opere magiche, Adelphi, Milano, 2000, pp. 193-197
G. Bruno vide nei geroglifici la lingua degli dei. L’interpretazione dei geroglifici come lingua figurata non è solo
degli umanisti, infatti già dal V sec. d.C. troviamo questo tipo di credenza anche negli scritti di Orapollo.
Attualmente, al contrario di quanto affermato da Bruno, si ritiene che gli egizi usassero le immagini semplicemente
come segni fonetici, fonogrammi, più o meno come le lettere dell’alfabeto.
Le intelligenze occulte non offrono il loro ascolto o la loro capacità di comprensione a tutti i linguaggi; infatti, le voci che sono di
istituzione umana non vengono ascoltate con la stessa attenzione rivolta alle voci naturali; perciò canti, soprattutto quelli tragici
(come osserva Plotino), hanno grandissima efficacia nelle situazioni di difficoltà dell'anima. Allo stesso modo, neanche le scritture
possiedono tutte quell'efficacia che si può ritrovare invece in quei "caratteri" che alludono alle realtà cui rimandano mediante i tratti
che li compongono, per cui alcuni segni sono piegati gli uni verso gli altri, si guardano gli uni gli altri, si abbracciano, si costringono
all'amore, oppure si piegano in direzioni opposte, disgiunti per l'odio e la separazione; frammentati, imperfetti, rotti per produrre
rovina; nodi per vincolare, caratteri aperti per liberare e sciogliere. E questi caratteri non possiedono una loro forma certa e definita,
ma chiunque, a seconda del dettato del suo furore o dello slancio del suo spirito, a compimento della propria opera, a seconda che
desideri o respinga una cosa, così, con una sorta di furore rappresentando a sé la cosa coi nodi stessi, e come per un nume presente,
sperimenta determinate forze che non sperimenterebbe con nessuna facondia ed eleganza di parola pronunciata o scritta. Di tal genere
erano le lettere più adeguatamente definite presso gli Egizi, che infatti le chiamano geroglifici, ossia caratteri sacri. Gli Egizi avevano
a disposizione per designare le singole cose determinate immagini derivate dagli enti naturali o da loro parti, ed avevano in uso tali
scritture e tali voci, con le quali cercavano di entrare in contatto con gli Dei per compiere operazioni mirabili; ma dopo che Theut o
qualcun altro inventò le lettere del tipo che noi usiamo oggi, con modalità diverse, si produsse una gravissima perdita sia per la
memoria sia per la scienza divina e la magia. Perciò, a somiglianza degli Egizi, i maghi di oggi, dopo aver costruito alcune immagini
e definito caratteri e cerimonie, che consistono in determinati gesti e determinati culti, esplicano i loro voti quasi per mezzo di cenni
definiti, tali che gli Dei possano intenderli; ed è quella lingua degli Dei, la quale, mentre tutte le altre si sono mutate infinite volte e
quotidianamente mutano, rimane sempre la stessa, come rimane la stessa la specie della natura. Per la stessa ragione gli Dei ci
parlano attraverso le visioni, i sogni, i quali - sebbene siano da noi chiamati enigmi per la mancanza di abitudine, l'ignoranza e
l'ottusità della nostra capacità di comprensione, tuttavia, sono le stesse voci e gli stessi termini delle cose suscettibili di
rappresentazione; come, però, queste voci sfuggono alla nostra comprensione, così anche le nostre voci latine, greche, italiane
sfuggono all'ascolto e alla comprensione delle divinità alquanto superiori ed eterne, che differiscono da noi nella specie; dunque non
è facile per noi poter avere un rapporto con esse, ed è anzi più difficile di quanto possa essere tra le aquile e gli uomini. E come gli
uomini di una stirpe, in mancanza di un linguaggio comune, non si rivolgono né possono avere relazione con gli uomini di un'altra
stirpe se non per cenni, così anche per noi non può esserci alcun contatto con un certo tipo di divinità, se non attraverso definiti segni,
sigilli, figure, caratteri, gesti altre cerimonie.
1)Costruisci una premessa al testo facendoti guidare dal materiale sull’alchimia in tuo possesso (10-20 righe max)
2)Sintetizza il testo (10 righe max)
3)Cerca in Platone un riferimento a Theut (10-15 righe max)
4)Individua e chiarisci il contenuto alchemico del testo reperendo tra le parole del filosofo i termini, i concetti, le espressioni, più o
meno esplicite, del linguaggio alchemico (max 10-15 righe)
5)Concludi scegliendo una tra le seguenti proposte (20 righe minimo):
-approfondisci una delle tematiche alchemiche trattate nelle pp. 7-8;
-approfondisci in modo critico una delle odierne vie per la cura dello spirito evidenziandone pregi e/o limiti, somiglianze e
differenze con il percorso alchemico;
-apporta altre fonti e prepara per ciascuna una breve analisi testuale.
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1. Durante il Rinascimento vengono riprese,dopo la scoperta di alcune opere antiche, le
“scienze occulte”:Astrologia, Magia ed Alchimia. Quest’ultima veniva usata dall’uomo per giungere a
produrre l’elisir di lunga vita oppure per trasformare un oggetto in oro. A fianco a queste scienze nasce
l’Ermetismo, ossia un insieme di dottrine filosofiche-religiose in cui si mescolano frammenti della tradizione
greca,ellenistica,romana ed egiziana. G. Bruno inizia i suoi studi sulla Magia dall’Animismo, religione
secondo cui tutto ha un’anima. Per Bruno la magia e l’alchimia fanno parte della filosofia dell’uomo che cerca
in sè stesso e nella natura il senso del tutto. Questa ricerca diventa per l’alchimista un costante lavoro di
conoscenza di sè e di miglioramento fino al congiungimento con il principio. L’uomo fa parte di un universo
infinito e la causa di esso è Dio. Così il filosofo ,analizzando la cultura egiziana, sostiene di aver trovato il
modo per comunicare con gli Dei,ovvero i geroglifici,caratteri con cui gli egiziani scrivevano.
2. Giordano Bruno, celebre filosofo del 1600, sostiene che il linguaggio creato dall’ uomo non
venga ascoltato dalle divinità con la stessa attenzione con cui vengono, invece, ascoltate le
voci naturali. Allo stesso modo gli dei non danno importanza alle scritture, poiché esse non possiedono
quell’ efficacia propria dei “caratteri” ordinati e rigorosamente collegati tra loro, quali i geroglifici. Essi sono i
caratteri sacri usati dagli Egizi, con i quali cercavano di entrare in contatto con le divinità. Dopo che il dio
Theut ebbe inventato le lettere da noi usate tutt’ oggi, ci fu infatti una grave perdita per la memoria umana,
per la scienza divina e per la magia. Attualmente i maghi usano gli stessi caratteri e le stesse cerimonie dell’
antico Egitto, in modo tale che gli Dei li possano comprendere. D’altro canto le divinità ci parlano attraverso
visioni e sogni, i quali sono per noi enigmi perché non riusciamo a comprenderli.
3. Thamus :”Ingegnosissimo Theut[…], padre della scrittura,[…] questa produrrà
dimenticanza nelle anime di chi l' avrà appresa, perché non fa esercitare la memoria’’.
Platone era solito utilizzare il mito per comunicare la sua dottrina filosofica in modo più
semplice e diretto. Un esempio di ciò può essere il mito di Theut presente nel Fedro. In esso è narrata la
storia dell’invenzione della scrittura, attribuita al dio Theut, inventore anche della matematica e della
geometria. Quest’ultimo, recatosi al cospetto del faraone Thamus, espone la sua creazione definendola ‘’una
medicina per la memoria e per la sapienza’’. Viene però ammonito dallo stesso sovrano il quale gli fa notare
come, attraverso l’uso della scrittura, l’uomo non alleni la memoria ma bensì la predisponga alla
dimenticanza. Infatti, Platone, come il faraone Thamus, predilige il dialogo alla scrittura perché quest’ultima
limita la capacità mnemonica dell’uomo. Pertanto facendo affidamento sulla scrittura, egli trae i ricordi da
segni esterni: questo lo rende inconsapevolmente ignorante e lo illude di conoscere la realtà che lo circonda.
La stessa idea era stata sostenuta da Socrate, predecessore e maestro di Platone.
Dal capitolo LIX del Fedro di Platone
SOCRATE: "Ho udito , dunque, che nei pressi di Naucrati d' Egitto c' era uno degli antichi dèi locali, di nome
Theuth, al quale apparteneva anche l' uccello sacro chiamato Ibis. Fu appunto questo dio a inventare il
numero e il calcolo, la geometria e l' astronomia e, ancora, il gioco del tavoliere e quello dei dadi, e
soprattutto la scrittura. Regnava a quel tempo su tutto l' Egitto Thamus, che risiedeva nella grande città dell'
Alto Egitto che i Greci chiamano Tebe e il cui dio chiamano Ammone. Recatosi al cospetto del faraone,
Theuth gli mostrò le sue arti e disse che occorreva diffonderle tra gli altri Egizi. Quello allora lo interrogò su
quali fossero le utilità di ciascuna arte mentre Theuth gliela spiegava, il faraone criticava una cosa, ne lodava
un' altra, a seconda che gli paresse detta bene o male. Si dice che Thamus abbia espresso a Theuth molte
osservazioni sia pro sia contro ciascuna arte, ma riferirle sarebbe troppo lungo. Quando Theuth venne alla
scrittura disse: "Questa conoscenza, o faraone, renderà gli Egizi più sapienti e più capaci di ricordare: é stata
infatti inventata come medicina per la memoria e per la sapienza". Ma quello rispose: "Ingegnosissimo
Theuth, c' é chi é capace di dar vita alle art , e chi invece di giudicare quale danno e quale vantaggio
comportano per chi se ne avvarrà. E ora tu, padre della scrittura, per benevolenza hai detto il contrario di ciò
che essa é in grado di fare. Questa infatti produrrà dimenticanza nelle anime di chi l' avrà appresa, perché
non fa esercitare la memoria. Infatti, facendo affidamento sulla scrittura, essi trarranno i ricordi dall'
esterno,
da segni estranei, e non dall' interno, da sé stessi. Dunque non hai inventato una medicina per la memoria,
ma per richiamare alla memoria. Ai discepoli tu procuri una parvenza di sapienza, non la vera sapienza:
divenuti, infatti, grazie a te, ascoltatori di molte cose senza bisogno di insegnamento, crederanno di essere
molto dotti, mentre saranno per lo più ignoranti e difficili da trattare, in quanto divenuti saccenti invece che
sapienti" .
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4.Giordano Bruno nel testo ‘’De magia naturali’’ sostiene che le voci umane (latine, greche, italiane, ecc…) non
vengano ascoltate e comprese dalle divinità con la stessa attenzione con cui vengono ascoltate le voci naturali, i canti, i
caratteri sacri, i gesti e i culti.
Allo stesso modo gli uomini di una data stirpe, in mancanza di un linguaggio comune, non riescono a
comunicare con uomini di un’altra stirpe se non attraverso cenni, segni, sigilli, figure, caratteri e gesti. Bruno
individua nei geroglifici lo strumento per comunicare con le divinità, in quanto essi sono caratteri sacri,
ovvero immagini derivate da enti naturali. Infatti, come sostiene Wittgenstein, filosofo che ispirò il
Neopositivismo, il linguaggio verbale è limitato nella conoscenza della metafisica, per cui ‘’Ciò di cui non si
può parlare, meglio tacere’’. I linguaggi simbolici quali i geroglifici, esprimono in modo globale un concetto,
ponendo l’uomo di fronte ad un enigma e alla sua risoluzione. La leggenda vuole che il fondatore
dell’alchimia egiziana sia il dio Thot, conosciuto tra i Greci anche come Ermes Trismegisto (tre volte grande),
in quanto egli avrebbe scritto dei libri che racchiudevano i saperi di tutti i campi dello scibile umano, tra cui
anche l’alchimia. Le voci degli dei e della natura hanno grande efficacia nel risolvere situazioni tragiche o
difficoltose in cui l’anima dell’uomo si trova.
In particolar modo, le voci divine costringono l’uomo all’amore, all’unione, al dialogo e lo lasciano libero di
esprimere le sue sensazioni. Le voci umane invece sono limitate: indicano la separazione, l’odio e vincolano il
pensiero. Il loro più grande limite consiste nella mancanza di una forma certa e definita che le rende
incomprensibili agli Dei.
5. Dal XII secolo, gli alchimisti parlano dell’esistenza della ‘’Pietra Filosofale’’ chiamata anche ‘’Grande Elisir’’ o
‘’Quinta Essenza’’ e sostengono che abbia racchiuse in sé tre capacità o meglio, tre poteri:
-trasformare i metalli vili in oro;
-fornire un elisir che rende gli uomini immortali e che cura tutte le malattie; donare all’uomo l’onniscienza
cioè la conoscenza assoluta del passato, presente e futuro.
Questo triplo potere avrebbe radici profonde nel fatto che, essendo considerato l'oro un metallo immortale,
non mutabile, capire come produrlo a partire da metalli vili significa comprendere come rendere immortale
un corpo mortale. L'oro inoltre è simile alla luce che è simile allo spirito, per cui trasformare tutti i metalli vili
in oro significa trasformare la materia in spirito.
Le caratteristiche fisiche della Pietra Filosofale non sono del tutto chiare: alcuni studiosi sostengono che si
tratti di una pietra che riunisce in sé tutti i colori e che sia introvabile; altri alchimisti reputano che sia una
pietra del tutto comune e facilmente reperibile; altri scienziati ancora, come lo psicoanalista C.G. Jung,
ritengono che non sia una vera e propria pietra, in quanto, partendo dal presupposto che ‘’la Pietra Filosofale
si trova tra le mani dei bambini che giocano con essa’’ essa non sia altro che la limpidezza, la semplicità,
l’ingenuità, la purezza mentale e spirituale propria dell’infanzia che perdiamo con il trascorrere della vita.
Possedendo quindi questa pietra o meglio, questo stato mentale, l’individuo riuscirebbe a purificarsi grazie
ad un procedimento alchemico interiore.
Si può dunque concludere che la Pietra Filosofale è il simbolo alchemico della forza vitale, dell’uomo perfetto,
ma che rimarrà per sempre inspiegabile in quanto solo la psicologia dell’inconscio può capire il suo segreto.
Quando la Pietra Filosofale dona vita eterna, è chiamata ‘’Elisir’’. In esso si riteneva venissero racchiusi i
quattro elementi fondamentali: aria, acqua, terra e fuoco e che fosse un energia divina, interna all’alchimista.
L’Elisir rende l’uomo, un uomo nuovo, lo purifica facendo di lui il Re del cielo ovvero Coscienza umana. Ai
giorni d’oggi per elisir si intende una soluzione idroalcolica composta da erbe medicinali in infusione.
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“De hominis
dignitate”
Pico della Mirandola
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De hominis dignitate
Giovanni Pico della Mirandola (1463 - 1494), a soli trentun anni
chiudeva la sua brevissima ed intensissima esistenza con la stesura
delle "Disputationes in Astrologiam", cioè con una violenta presa
di posizione, quasi una ritrattazione, nei confronti dell'astrologia,
nella considerazione della magia come efficace e quasi
indispensabile strumento di penetrazione e comprensione della
natura e con essa della onnipotenza divina e insieme della
centralità e originalità dell'uomo, ebbe indubbiamente comunanza
di idee e consonanza di sentimenti con Marsilio Ficino
” [...] se volessimo divenire compagni degli angeli
che percorrono salendo e scendendo la scala di
Giacobbe, dovremo essere preparati e istruiti ad essere
promossi debitamente, di grado in grado, a non uscire
mai dal percorso della scala ed affrontare i movimenti
reciproci. E quando avremo raggiunto
TESTO II: PICO DELLA MIRANDOLA
questo punto con l’arte del ragionamento, animati ormai dallo spirito cherubino, cioè filosofando secondo i
gradi della natura, tutto penetrando dal centro al centro, ora discenderemo smembrando con violenza titanica
l’uno nei molti, come Osiride; ora saliremo radunando con forza apollinea i molti nell’uno, come le membra
di Osiride, finché riposando nel seno del Padre, che è al sommo della scala, diventeremo perfetti nella felicità
teologica. "
1)Costruisci una premessa pertinente facendoti guidare dal materiale sull’alchimia in tuo possesso (10-20 righe max)
2)Sintetizza il testo (10 righe max)
3)Cerca in Plotino e/o in Platone un’affinità con Pico
4)Individua e chiarisci il contenuto alchemico del testo reperendo tra le parole del filosofo i termini, i concetti, le espressioni, più o
meno esplicite, del linguaggio alchemico e chiarisci il mito di Osiride (max 10-15 righe)
5)Concludi scegliendo una tra le seguenti proposte (20 righe minimo):
-approfondisci una delle tematiche alchemiche trattate nelle pp. 7-8;
-approfondisci in modo critico una delle odierne vie per la cura dello spirito evidenziandone pregi e/o limiti, somiglianze e
differenze con il percorso alchemico;
-apporta altre fonti e prepara per ciascuna una breve analisi testuale.
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1. L'alchimia è un antico sistema filosofico esoterico che combina elementi di chimica, fisica,
astrologia, arte, medicina, misticismo e religione. Il pensiero alchemico è considerato il
padre della chimica moderna prima della nascita del metodo scientifico.
Gli obiettivi che si proponevano gli alchimisti erano:
conquistare l'onniscienza;
creare la panacea universale, un rimedio cioè per curare le malattie, per generare e prolungare
indefinitamente la vita;
trasmutare i metalli in oro.
Il termine alchimia deriva dall'arabo al-kimiya, composto dell'articolo al- e della parola kimiya che significa
"pietra filosofale" e che, a sua volta, sembrerebbe discendere dal termine greco khymeia (χυμεία) che
significa "fondere", "colare insieme", ecc. Un'altra etimologia collega la parola con Al Kemi, che significa
"l'arte egizia", perché gli antichi Egiziani chiamavano la loro terra Kemi ed erano considerati potenti maghi
in tutto il mondo antico.
L'alchimia abbraccia alcune tradizioni filosofiche divulgate per quattro millenni nei tre continenti; si
possono distinguere almeno due ampi canali, che sembrano essere in gran parte indipendenti: l'alchimia
orientale, attiva in Cina e strettamente connessa al Taoismo, e l'alchimia occidentale, sviluppatasi come un
vero sistema filosofico, il cui centro nei millenni è slittato tra Egitto, Grecia, Roma, il mondo islamico e, alla
fine, l'Europa. L’uso di simboli e di un linguaggio criptico rende quasi impossibile capire se queste due
tipologie abbiano avuto un’origine comune e fino a che punto si siano influenzate l'una con l'altra.
2. Pico, nel testo tratto dalle Disputationes in Astrologiam, afferma che per raggiungere la
felicità teologica al pari degli angeli, l’uomo deve saper usare l’arte del ragionamento,
filosofando secondo i gradi della natura, per compiere un percorso ascendente verso il
sommo grado della conoscenza, Dio. Se l’uomo non fosse debitamente preparato e istruito ad
affrontare passo passo le diverse situazioni, rischierebbe di uscire dal percorso della scala discendendo verso
la degradazione della conoscenza, l’ignoranza.
3. Comparando la filosofia di Pico con quella di Platone e Plotino prese insieme, si determina
che tra questi pensieri filosofici ci sono delle affinità.
Nel mito della caverna di Platone uno dei passaggi fondamentali è quello in cui l’uomo si libera dalle catene
affrontando così un cammino in salita verso la conoscenza;; in Pico le catene sono il limite dell’uomo, la sua
liberazione è invece rappresentata da una scala, il cui sommo grado è la conoscenza “cherubina”, quella degli
angeli, che porta a Dio. In Plotino, fondatore del nuovo indirizzo neoplatonico, la fiducia nel raggiungimento
della verità è legata alla prospettiva del “viaggio verso l’Uno”, principio divino di tutte le cose che è al di là di
esse: l’Uno emana per sovrabbondanza di essere e di bene;; al processo discensivo dall’Uno corrisponde un
movimento ascensivo, nel quale l’anima va in estasi per ricongiungersi misticamente con l’Uno e
allontanarsi dalla materia, che è male. Anche in Pico è presente questa concezione di ascesa verso la
perfezione per essere veramente considerato un uomo completo.
4. La posizione di Pico nei riguardi dell'alchimia appare chiara quando introduce i termini
dello spirito cherubino e della filosofia della natura: l'uomo, percorrendo la scala di
Giacobbe, deve essere spinto dalla ragione e da questa forza spirituale, angelica, la quale si
manifesta secondo i gradi della natura. Grazie ad essi, egli arriva a Dio e al raggiungimento della propria
compiutezza: elevandosi verso la sommità della scala l'individuo ricompone la molteplicità del Padre; invece,
scendendo, si perde nelle molte parti in cui l’Uno si scompone. Questa continua riorganizzazione delle forme
di Dio è comparata al mito di Osiride: dopo la morte del faraone Osiride, Iside, sua sorella e moglie, ritrova il
cadavere nel porto di Byblos. Seth venuto a sapere ciò, geloso del loro matrimonio, taglia il corpo del fratello.
Iside ricomponendo i pezzi dello sposo e facendoli imbalsamare riesce a riportare in vita Osiride che da quel
momento diventa così re dei morti e della vita rinnovata.
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5. L’alchimia è arrivata in Europa nel Medio Evo attraverso la Spagna meridionale, durante il
dominio dei musulmani. Essa è la scienza di trasformare i metalli bruti in oro; non si tratta
però di metalli fisici: è una metafora per dire trasformare il piombo della personalità in oro
dello Spirito.
La tradizione medievale è ripresa nel Romanticismo, movimento letterario, filosofico e artistico nato in
Germania tra la fine del Settecento e l'inizio dell'Ottocento e diffusosi in Europa investendo tutti gli aspetti
della vita e della cultura: il termine romantico deriva dall’aggettivo romantic, usato nella letteratura inglese
per identificare il romanzo cavalleresco medievale; e proprio nella letteratura inglese il movimento
incominciò a identificarsi col gotico e con il medievale in contrapposizione al classico e all'antico.
Tra gli aspetti fondamentali del Romanticismo, come risposta al razionalismo e al materialismo degli
illuministi, vi sono l’esaltazione del sentimento e una continua tensione all’infinito per superare la finitezza
della ragione umana indicata da Kant, che può risolversi nel ritorno alla spiritualità e alla religiosità
tradizionali, ma anche nel volgersi all’indagare un’altra dimensione del sovrannaturale, facendo ricorso alle
scienze occulte, all’esoterismo, alla magia, all’alchimia.
La nascita del Romanticismo va ricondotto al movimento tedesco dello Sturm und Drang, che vantava artisti
come Goethe. Tra le sue opere più famose ricordiamo il Faust, cui lavorò per tutta la vita e che s’ispira alla
leggenda del mago Faust, che strinse un patto con il diavolo per aver accesso ai segreti della natura. Nella
seconda parte della tragedia, Goethe descrive il servitore di Faust, Wagner, che utilizza procedimenti
alchemici per creare un homunculus. Il mito degli Homunculus, ossia della creazione di un essere umano
tramite formule magiche, è strettamente legato all'alchimia; sono presenti nella mitologia diversi metodi per
crearne uno: la radice di mandragola, che all'estrazione dovrebbe avere una forma umanoide, se nutrita di
sangue e latte diventerebbe un essere umano in miniatura dotato di grande intelletto, destinato a servire il
mago o l'alchimista che l'ha creato.
La cultura del Romanticismo ha poi influenzato negli anni successivi molte altre opere, come le favole dei
fratelli Grimm. Anche nella letteratura moderna sono presenti riferimenti alchemici, soprattutto in quei ,
romanzi dove sono presenti temi medievali, come
la magia o la simbologia: ad esempio, nel romanzo
per ragazzi Harry Potter e la pietra filosofale di J. K.
Rowling, tra i tanti nessi presenti con l’alchimia,
questa pietra poteva mutare ogni metallo in oro
puro e creare un "Elisir di lunga vita" che
permetteva al bevitore di vivere per sempre. Nel
romanzo vi è anche un accenno alla vita di
Nicholas Flamel. Un altro caso è presente anche
ne La Bambina della Sesta Luna, dove la
protagonista, Nina, nipote di un potente
alchimista, apprende dai libri del nonno
l'alchimia.
Ricordiamo poi Il simbolo perduto, quinto romanzo thriller dello scrittore Dan Brown, dove il protagonista
Robert Langdon, professore di simbologia religiosa all’Università di Harvard, nell'arco di dodici ore deve
decifrare simboli massonici per salvare il suo amico e svelare dove si trova il Simbolo che sarebbe in grado di
evocare un enorme potere. Al centro della storia troviamo dunque la Massoneria, ma anche l’alchimia trova il
suo spazio: infatti, il titolo provvisorio del libro era The Solomon Key, riferendosi al celebre testo alchemico
della Chiave di Salomone. Quest’ultimo è uno scritto medievale di magia originariamente attribuito al Re
Salomone. Il testo risale al tardo Medioevo oppure al Rinascimento italiano: molti di questi grimoire
attribuiti a Re Salomone furono scritti in questo periodo, influenzati dai libri molto più antichi
(altomedievali) dei cabalisti ebraici e degli alchimisti arabi, che a loro volta facevano spesso riferimento alla
magia greco-romana del tardo mondo antico.
Non solo nei testi in prosa, ma anche nei fumetti, in particolare nei manga e nelle anime (cortometraggi
d’animazione) che fanno parte della cultura orientale giapponese, l'alchimia e la pietra filosofale rivestono
una grande importanza.
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NICOLAS FLAMEL
Nicolas Flamel nacque a Pontoise il 28 settembre del 1330. Fu un celebre alchimista francese del XV secolo,
ma lavorò anche all’Università di Parigi. Flamel fu considerato il più completo fra gli alchimisti europei,
poiché perseguì quelli che sono gli obiettivi dell’alchimia; inoltre, egli passò alla storia per aver creato la
pietra filosofale.
Questa pietra sarebbe dotata di tre proprietà straordinarie:
1. fornire un elisir di lunga vita in grado di conferire l'immortalità;
2. far acquisire l'"onniscienza" ovvero la conoscenza assoluta del passato del futuro, del bene e del male (cosa
che spiegherebbe anche l'attributodi "filosofale");
3. la possibilità, infine, di trasmutare in oro i metalli vili.
Fin giovanissimo Flamel lavorò come scrivano giurista a Parigi e avviò un fiorente commercio di libri e
manoscritti; si suppone che Flamel abbia ricevuto da un vecchio Rabbino di nome Nazard un libro
misterioso, scritto da un antico personaggio noto come Abramo L'Ebreo. Il libro era pieno di parole
mistiche in greco ed ebraico. Flamel dedicò la sua vita nel tentativo di comprendere il testo caratterizzato da
questi segreti perduti. Viaggiò per le università in Andalusia per consultare le massime autorità ebraiche e
musulmane. A Santiago de Compostela incontrò un misterioso maestro ebreo convertito, Leon, che gli
insegnò l'arte di comprendere il suo manoscritto. Si crede che nel gennaio del 1382 Flamel riuscì nella
trasmutazione del piombo in argento e l'anno seguente riuscì a trasmutare il piombo in oro. Dopo il suo
ritorno dalla Spagna, Flamel fu in grado di diventare ricco. La conoscenza che ricavò, durante i suoi viaggi, lo
rese un maestro dell’arte alchemica. Morì a Parigi nel 1418, anche se credenze popolari lo credevano ancora
vivo, insieme alla moglie, grazie all’elisir ricavato dalla sua pietra filosofale.
ALCHIMIA E MASSONERIA
L’adesione all’Alchimia era finalizzata soprattutto al soddisfacimento di un bisogno dell’individuo di
autorealizzarsi totalmente come uomo; proiettandosi inconsciamente nella materia; infatti, la pietra
filosofale garantiva l’immortalità e la persona che ne entrava in possesso realizzava il suo desiderio di vivere
in eterno, di non dover essere soggetta ai cambiamenti del tempo. La Massoneria prosegue questo progetto
auto realizzante, non più servendosi della trasformazione dei metalli in oro, ma mediante un processo
filosofico dove però la tradizione alchemica ha lasciato tracce. All’interno di quest’ordine sono molto i
simboli usati che, secondo alcuni, racchiudono misteri e segreti;; l’uso di queste figure deriva appunto dalla
cultura ermetica - alchemica e cabalista, dilagate in Europa tra il XV e XVII secolo. Nella Cabala la stella a
sei punte rappresenta l'armonia dell'universo, poiché composto di due elementi uguali e contrapposti: il
triangolo con la punta verso l'alto, che simboleggia il principio attivo, maschile e benefico, e il triangolo con
la punta verso il basso, principio passivo, femminile e malefico. Questo simbolo è utilizzato dalla
Massoneria, in particolare dalla Gran Loggia d'Israele e dal Rito del Sacro Arco Reale di Gerusalemme.
Nell'ambito dell'Alchimia, il simbolo è l'unione tra l'elemento del fuoco (simboleggiato da un triangolo
equilatero con la punta rivolta verso l'alto) e quello dell'acqua (un triangolo equilatero con la punta rivolta
verso il basso), e significa l'equilibrio cosmico.
Molto del simbolismo massonico è di natura matematica, e specialmente geometrico.
Squadra e compasso sono il simbolo massonico per eccellenza; nella Squadra si può identificare la Morale e
nel Compasso la Spiritualità. In altri termini, la Squadra simboleggia la rettitudine, la buona Intenzione, e i
giusti Propositi, cioè rappresenta un Obbligo, una norma immutabile, un Dovere; il Compasso, invece, la
Volontà, la Capacità, il Genio.
ERMETISMO: complesso di dottrine mistico-religiose e filosofiche alle quali si affiancarono teorie astrologiche,
elementi della filosofia platonica e pitagorica, e antiche procedure magiche egizie.
CABALA: nella tradizione occidentale rappresenta il punto d’incontro principe dell'esperienza esoterica,
come ad esempio la magia. Prende spunto dalla cabala ebraica ma non ne mantiene quasi niente perché
quest’ultima è intesa come l’atto di ricevere qualcosa, ed è il livello più profondo che si manifesta nell’Ebreo.
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L’ALCHIMIA NEL CINEMA
L’alchimia nel cinema è molto presente, anche se non sempre esplicitamente. Nel famoso film Harry Potter e
la pietra filosofale, il giovane mago combatte contro il Signore Oscuro per evitare che un oggetto magico, la
pietra filosofale, che assicura la vita eterna cada nelle sue mani e recuperi la sua forma umana e i suoi poteri;
invece, nel film Il codice da Vinci si parla dell’alchimista Nicolas Flamel, considerato il più famoso; nel film
Anno mille, dove si confrontano due storie d’amore parallele in due epoche diverse, come se le differenti
dimensioni del tempo fossero contemporanee e, attraverso la porta magica, comunicanti, si parla dunque di
magia nella sua forma più misteriosa, l’alchimia.
Tratto dall’omonimo libro di Coelho, L’Alchimista è la storia di un’iniziazione. Il protagonista è un giovane
pastorello andaluso il quale, alla ricerca di un tesoro sognato, intraprende quel viaggio avventuroso, insieme
reale e simbolico, che al di là dello Stretto di Gibilterra e attraverso tutto il deserto nordafricano lo porterà
fino all’Egitto delle Piramidi. Sarà proprio durante il viaggio che il giovane, grazie all’incontro con il vecchio
Alchimista, salirà tutti i gradini della scala sapienziale: nella sua progressione sulla sabbia del deserto e,
insieme, nella conoscenza di sé, imparerà a parlare al sole e al vento e infine compirà la sua leggenda
personale. Il miraggio, qui, non è più solo la mitica pietra filosofale dell’alchimia, ma il raggiungimento di
una concordanza totale con il mondo, grazie alla comprensione di quei “segni”, di quei segreti che è possibile
captare solo riscoprendo un linguaggio universale fatto di coraggio, di fiducia e di saggezza che da tempo gli
uomini hanno dimenticato.
L’alchimia è presente anche in alcune serie animate come Fullmetal Alchemist The Movie: la vicenda si
svolge in un mondo immaginario in cui l'alchimia è la scienza che permette di trasmutare una materia in una
differente (secondo la legge dello scambio equivalente) attraverso l'uso di un cerchio alchemico. I migliori
alchimisti hanno la possibilità di partecipare a un esame per poi entrare nell'esercito, con il titolo di
alchimisti di stato.
Sitografia e Bibliografia:
http://blog.libero.it/Noctula/1849003.html
http://it.wikipedia.org/wiki/Il_simbolo_perduto_(romanzo)
http://it.wikipedia.org/wiki/Chiave_di_Salomone
http://it.wikipedia.org/wiki/Nicolas_Flamel
http://it.wikipedia.org/wiki/Fullmetal_Alchemist
http://www.ecodelcinema.com/lalchimista-di-coelho-diventa-un-film.htm
http://www.liceoberchet.it/ricerche/geo4d_03/africa1/csireidemito:2liv.html
De Bartolomeo-Magni, Voci della filosofia, edizioni Atlas
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“Trattato
dell’Opera
Ermetica”
Antoine-Joseph Pernety
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TESTO IV: ANTOINE-JOSEPH PERNETY
“Trattato dell’Opera Ermetica”
A.J. Pernety (1716-1796), abate benedettino, scrittore de “Les fables egyptiennes et grecques” , condusse approfonditi studi sulla
via alchemica.
“ So bene che le mie parole non avranno l’approvazione di quei geni vasti, sublimi e penetranti che
abbracciano tutto, che sanno tutto senza aver nulla appreso, che disputano di tutto e che decidono di tutto
senza conoscenza di causa. Non è a loro che mi rivolgo, a questi novelli Saggi che hanno offuscato gli stessi
Democrito, Platone, Pitagora [...] Quest’opera non è stata scritta per loro [...] L’ignoranza orgogliosa e la
fatuità sono le sole capaci di disprezzare e di condannare senza conoscenza di causa la Filosofia Ermetica
che non gode pertanto, di un grande credito poiché è piena di enigmi che resteranno tali per molto tempo:
poche persone sanno penetrarne il vero significato”. “ Coloro che non si sono dati la pena di fare gli sforzi
necessari per sviluppare gli Emblemi, i Geroglifici, Le Favole, le Allegorie e le metafore dei Filosofi
Ermetici o che hanno fatto sforzi inutili, hanno pensato bene di nascondere la loro ignoranza dietro la
dispregiativa affermazione che questa scienza è impossibile, è una chimera [...] Invece di seguire la retta via,
semplice e uniforme della Natura, essi presuppongono delle sofisticherie che questa non ha mai avuto.
L’Arte Ermetica è,dicono i Filosofi,un mistero nascosto a coloro
che confidano troppo nel loro sapere: è un dono di Dio che favorisce gli umili, coloro che lo temono,che
pongono ogni loro speranza in Lui e che ,come Salomone, gli domandano con insistenza e perseveranza
questa saggezza, cha alla sua destra ha l’immortalità e alla sua sinistra, la ricchezza. Questa saggezza viene
preferita dai Filosofi a tutti gli onori, a tutti i regni del mondo,poiché essa è l’albero della vita [...] ” “ Quanti
Becher, de Hombert, de Boherrave, de Géofroy e tanti altri dotti Chimici hanno attraverso i loro lavori
infaticabili incalzato la Natura perché svelasse loro qualche segreto! Malgrado la loro spasmodica attenzione
per spiare i suoi procedimenti, per analizzare le sue produzioni affinché la si potesse cogliere sul fatto, essi
hanno sempre fallito perché essi erano i tiranni di questa natura e non i suoi veri imitatori. Così istruiti nei
procedimenti della Chimica volgare,erano altrettanto ciechi nella Chimica Ermetica [...] ” “ Che il tuo
ingegno sia penetrante, che il tuo spirito sia fermo e paziente,che il tuo desiderio della Filosofia sia
ardente,che tu possa acquisire una grande conoscenza della vera Fisica, che il tuo cuore sia puro, i tuoi
costumi integri, che tu possa nutrire un sincero amore verso Dio e verso il prossimo,affinché per quanto tu
possa essere ignorante nella pratica della Chimica volgare tu possa divenire un giorno Filosofo imitatore
della Natura ”
1)Costruisci una premessa pertinente facendoti guidare dal materiale sull’alchimia in tuo possesso (10-20 righe max)
2)Sintetizza il testo (10 righe max)
3)Cerca informazioni sugli studi chimici dell’epoca
4)Individua e chiarisci il contenuto alchemico del testo reperendo tra le parole del filosofo i termini, i concetti, le espressioni, più o
meno esplicite, del linguaggio alchemico (max 10-15 righe)
5)Concludi scegliendo una tra le seguenti proposte (20 righe minimo):
-approfondisci una delle tematiche alchemiche trattate nelle pp 7-8;
-approfondisci in modo critico una delle odierne vie per la cura dello spirito evidenziandone pregi e/o limiti, somiglianze e
differenze con il percorso alchemico;
-apporta altre fonti e prepara per ciascuna una breve analisi testuale.
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1. Gli studi sull’alchimia, che risalgono all’antico Egitto e sono proseguiti fino all’età
moderna, sono in alcuni casi controversi e presentano grandi difficoltà, poiché non a tutti i
filosofi e scienziati sono chiari i reali obiettivi di questa scienza. Ciò che pochi comprendono è il significato più
profondo dell’alchimia, che non è unicamente fisico, ma principalmente spirituale. Fra i sostenitori di questo
pensiero si erge una voce autorevole, quella dell’abate benedettino A.J Pernety (1716-1796), che condusse
approfonditi studi sulla filosofia ermetica, sostenne che l’alchimia è colma di enigmi e misteri, e soprattutto
che è la scienza di Dio. Infatti l’alchimia nasce come elevamento, armonizzazione ed espressione delle
qualità e potenzialità dell’animo umano. Questa scienza divina è stata deturpata e sminuita da ‘ignoranti’,
che non hanno saputo interpretarla nella sua semplicità e l’hanno quindi volgarizzata. L’uomo metafisico,
l’uomo retto, è colui che attua questa scienza cercando il senso del tutto, imitando la natura, non
sofisticandola. Essa infatti è di una semplicità intrinseca di cui non penetriamo il significato poiché siamo
offuscati e non riusciamo a ritrovare le nostre antiche radici. Il linguaggio e le simbologie utilizzati, ed in
particolare quelli antichi, ci appaiono muti ed incomprensibili, ma soprattutto possono generare gravi
fraintendimenti. I veri alchimisti, infatti, non hanno bisogno di esplicitare il processo di messa in atto delle
potenzialità spirituali, e nemmeno di trasmetterlo, bensì di stimolarlo ed ispirarlo in coloro che sono in
grado di interpretarne il fine ultimo e profondo.
2. Pernety è consapevole che il suo pensiero non sarà condiviso da coloro che si ritengono
sapienti in tutto. Egli sostiene che l’orgoglio e la fatuità di queste persone sminuiscono il vero
significato della Filosofia Ermetica e pochi sono pertanto coloro che riescono a comprenderne l’essenza.
Costoro mascherano la loro ignoranza affermando l’impossibilità di questa Filosofia, inoltre il loro pensiero è
limitato in quanto, invece di cercare la semplicità della Natura,essi la rendono artificiosa. Per descrivere
l’Arte Ermetica Pernety riporta un’affermazione, secondo la quale essa è un dono di Dio, inteso solo da coloro
che Gli chiedono umilmente questa saggezza, ovvero l’Arte Ermetica stessa, che è l’albero della vita;; e poiché
questa è appunto un dono di Dio, i chimici che studiando la Natura si sono posti a capo di essa come dei
tiranni, non sono mai riusciti a cogliere di fatto i Suoi processi perché non ne sono stati imitatori. Quindi
Pernety esorta il lettore ad avere un cuore puro, a desiderare la Filosofia e ad amare Dio, cosicché egli possa
imitare la Natura e diventare un vero e proprio filosofo in grado di cogliere gli enigmi della Filosofia
Ermetica.
3. La scelta alchemica di usare un linguaggio oscuro e impenetrabile ai più ha generato
diversi tentativi di decifrare il suo variegato sistema di simboli, diversi tentativi di fornire le
chiavi del suo segreto. Fra coloro che hanno studiato a fondo l'Ermetismo e l'Alchimia vi è
l'abate benedettino Antoine-Joseph Pernety.
Egli nell'opera “Trattato dell'Opera Ermetica” presenta l'alchimia come una scienza della natura contrassegnata
da due aspetti fondamentali: la segretezza e la presenza di un momento operativo di fianco a quello teorico.
Quest'arte è aperta solo a pochi eletti; si intuisce pertanto la necessità dei filosofi di esprimersi con un
linguaggio simbolico: geroglifici, simboli, allegorie, metafore, ecc., le quali, essendo suscettibili di parecchie
spiegazioni differenti, potevano servire ad ingannare, e ad istruire gli uni, mentre gli altri sarebbero rimasti
nell'ignoranza.
Molti simboli attingono al mondo animale, costituendo un folto bestiario di cui fanno parte sia esseri mitici,
come la fenice o l'unicorno, sia reali. Nell'ambito del simbolismo si collocano anche le illustrazioni, che quasi
mai hanno valore puramente ornamentale. Costruite piuttosto come vere e proprie appendici ai testi,
utilizzano ogni genere di simboli e che nell'insieme si leggono un po' come rebus. Allegorie e Metafore
invece, sono mezzi attraverso i quali viene velato il significato letterale del messaggio spostandolo su un
piano simbolico, che permette di modificarlo attraverso l'uso di immagini e concetti. Esse necessitano di
un'elaborazione razionale, di un'interpretazione che porti alla luce il pensiero astratto rappresentato in
apparenza in forma concreta. L'interpretazione che viene loro data è molto soggettiva e per questo pochi
sanno ricavarne il vero significat0. In questo modo coloro che, come afferma
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Pernety, non fossero adeguatamente preparati avrebbero così intravisto soltanto le meraviglie alchemiche:
ogni sapere è stato riservato al lettore capace di meritarlo con un paziente, quotidiano lavoro di meditazione.
In realtà la difficoltà di accesso ai segreti alchemici non serve soltanto a tener lontano i curiosi e gli indegni; è
anche lo strumento idoneo a trasformare i meccanismi mentali del lettore, rompendo il suo ordine logico e
risvegliando in lui regioni di coscienza oscurate, le uniche a consentirgli di comprendere l'essenza della
Scienza Alchemica. I Filosofi Ermetici si differenziano inoltre dai Filosofi o Fisici comuni; questi ultimi non
posseggono un sistema già affermato, ma il nuovo nasce sulle rovine di quello precedente e sussiste finché un
altro non lo sostituisce; inoltre essi sono tiranni della Natura e non suoi perfetti imitatori, per questo motivo
nel loro spiare, analizzare i suoi processi e le sue produzioni sono destinati a fallire miseramente.
LA CHIMICA SETTECENTESCA
«Nulla si crea, nulla si distrugge»
(Antoine Lavoisier)
La parola chimica ha per antenata la parola khemeia, alla quale possono
essere attribuite due diverse origini. Potrebbe derivare dall'antico nome della terra egiziana (Kham) e, in tal
caso, significherebbe "arte egiziana"; Oppure potrebbe derivare da una parola greca, il cui significato è "succo
di pianta", e allora si tratterebbe dell' "arte di estrarre succhi".
Nel II secolo d.C. ha inizio quella diffusione delle scienze occulte che preparerà il terreno favorevole al
sorgere e al prosperare dell’alchimia. Durante tutto il Medioevo e soprattutto nel Rinascimento gli alchimisti
si dedicarono alla ricerca della pietra filosofale, l’ipotetico reagente capace di trasformare in oro i metalli vili.
Oltre alla pietra filosofale la ricerca era indirizzata anche alla preparazione di un liquido, l’elisir di lunga vita,
che doveva avere le proprietà di allungare la vita e di guarire le malattie. Obiettivi assai lontani dalle
possibilità umane, ma così affascinanti da nutrire per secoli il desiderio di ricerca. Dell’alchimia e degli
alchimisti in genere si dà una un’immagine negativa anche perché questa attività, per molti aspetti oscura,
appare congiunta con la magia e spesso con la religione mentre in realtà essa accumulò un patrimonio
inestimabile di osservazioni e scoperte;; tale fatto costituì l’indispensabile premessa alla creazione della
chimica. L’alchimia sembra aver avuto origine in Egitto dove la conoscenza della chimica era strettamente
connessa con l’imbalsamazione dei morti e i riti religiosi. L’alone di mistero che avvolgeva il lavoro degli
alchimisti ebbe due ripercussioni: in primo luogo esso ritardò il progresso in quanto ciascun ricercatore, non
potendo venire a conoscenza del lavoro dei colleghi, non poteva trarre utili insegnamenti dagli errori altrui o
approfittare degli esperimenti ben condotti da ricercatori onesti e coscienziosi; In secondo luogo dava a tutti i
ciarlatani e gli imbroglioni la possibilità di spacciarsi per studiosi seri purché parlassero in modo
incomprensibile.
Lungo i secoli IV e V l’alchimia pare fosse fiorentissima e il suo centro principale era Alessandria d’Egitto
ma, con il consolidarsi del cristianesimo la “scienza pagana”, cominciò ad essere considerata con sospetto.
Nel Settimo secolo dall’Egitto l’arte alchimistica passò agli Arabi i quali molto la perfezionarono e la
trasferirono in Occidente. Essi scoprirono e utilizzarono molti procedimenti ancora oggi in uso (come ad
esempio la distillazione, la calcinazione e la filtrazione) e produssero anche alcuni composti come il
carbonato di sodio, e il sale di ammonio; molte parole usate ed arrivate fino a noi (come alambicco, alcol,
amalgama, alcalino ed altre) derivano dall’arabo. Passate in Occidente le dottrine alchimistiche si diffusero
con grande rapidità. Riguardo alle scoperte che hanno dato un contributo al progresso della chimica, è
importante ricordare la
definizione che dell’alchimia dette F. Bacone (1561-1626), il quale paragonava questa pseudoscienza, che
condusse alla chimica cioè alla vera scienza, alla favola dell’uomo che rivelò ai figli di aver nascosto l’oro in
un luogo non precisato della vigna. I figli si impegnarono a scavare fra le piante senza tuttavia trovare nulla:
lavorarono però così bene il terreno da ottenere un’abbondante vendemmia.
Alcuni fanno nascere la chimica moderna con l’irlandese Robert Boyle (1627-1691), che nel 1661 scrisse
un’opera dal titolo The Sceptical Chymist (il “chimista” scettico) con la quale invitava i ricercatori a non
accettare ciecamente le antiche conclusioni che erano state raggiunte con ragionamenti basati su premesse
arbitrarie e quindi li invitava a fidarsi solo delle proprie osservazioni e dei propri esperimenti; nello stesso
tempo attaccava gli alchimisti per il loro modo di scrivere volutamente poco comprensibile. Insieme alle
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critiche mosse agli alchimisti, egli inviava una lettera al governo del suo Paese per ottenere la revoca delle
leggi contro la produzione alchimistica dell’oro che erano state emanate dal Parlamento nel 1400. Nella
missiva lo scienziato spiegava che non si doveva ostacolare l’avanzare delle conoscenze umane e la ricerca di
nuovi e più sicuri elementi.
Boyle in verità per primo nel mondo scientifico formulò una definizione precisa di elemento chimico che
esprimeva nei seguenti termini: “Io intendo per elementi certi corpi primitivi e semplici, che costituiscono gli
ingredienti di cui sono fatti tutti gli altri corpi chiamati composti, e nei quali questi ultimi possono essere
risolti”. Tale definizione è valida ancora oggi: si tratta solo di sostituire la parola “corpi” con “sostanze”. I
corpi infatti sono oggetti materiali dotati di massa, forma e dimensioni mentre sostanza è la materia che
costituisce detti corpi (ad esempio un bastone di legno è un corpo, il legno di cui è costituito il bastone è una
sostanza).
In termini più attuali il chimico irlandese affermava che composti sono le sostanze che si possono scomporre
in sostanze più semplici, mentre elementi sono sostanze che non si possono ulteriormente scomporre. Il
gesso, ad esempio, è un minerale di formula chimica CaSO 4 che si può scomporre in calcio (Ca), zolfo (S) ed
ossigeno (O), tutti elementi questi ultimi che in realtà Boyle non conosceva, come ovviamente non conosceva
nemmeno la formula chimica del composto. Oggi sappiamo che il gesso è un composto mentre calcio, zolfo e
ossigeno sono elementi. Il semplice fatto che Boyle fosse favorevole al metodo sperimentale nella definizione
degli elementi non significa che egli sapesse quali erano i vari elementi. In verità Boyle non aveva individuato
nemmeno un elemento ed anzi pensava che i metalli non fossero elementi e per tale motivo riteneva che
questi corpi potessero trasformarsi gli uni negli altri come speravano gli alchimisti. Per il salto definitivo nel
mondo della scienza mancava ancora l’applicazione, alla ricerca chimica, delle misure quantitative nonché
quella delle tecniche matematiche. Verso la fine del 1600 nacque, ad opera del medico e chimico tedesco
Georg Ernest Stahl (1660-1734), la teoria del flogisto (da un verbo greco che significa “bruciare” o
“infiammare”) secondo la quale tutte le sostanze coinvolte nella combustione, liberano una sostanza che è
appunto il flogisto.
Le sostanze combustibili, affermava Stahl, sono ricche di flogisto e il processo di combustione determinava il
trasferimento di questo elemento all’aria la quale lo trasferiva ad altri corpi che diventavano a loro volta
combustibili. Ciò che rimaneva dopo la combustione era privo di flogisto e quindi non bruciava più.
Il flogisto, per esempio, era presente nella legna, ma non nella cenere. Stahl sosteneva inoltre che, nei
metalli, la formazione della ruggine era un fenomeno simile alla combustione e quindi anche i metalli
contenevano flogisto mentre le ruggini ne erano prive. Oggi la trasformazione del metallo in ruggine per
riscaldamento si chiama calcinazione e corrisponde ad una ossidazione.
I processi di combustione e quelli di calcinazione sono simili nella forma ma non nella sostanza: Infatti essi
portano a risultati opposti perché il prodotto della combustione (la cenere) è più leggero del combustibile (il
legno) mentre la calce (l’ossido) è più pesante del metallo.
Nel caso della calcinazione i sostenitori della teoria di Stahl affermavano che in questo caso il flogisto aveva
peso negativo così che quando usciva dal metallo, e si formava la calce, questa pesava di più del metallo di
partenza.
La soluzione del paradosso fu trovata dal chimico Antoine Laurent Lavoisier. Gli esperimenti sulla calcinazione
furono condotti da Lavoisier con il riscaldamento del mercurio in presenza di aria ed essi davano, come
prodotto, la calce di mercurio, ossia l’ossido. Le misure ponderali molto precise dimostravano che il metallo
aumentava di peso e l’aumento corrispondeva esattamente alla diminuzione in peso dell’aria che aveva
partecipato alla reazione. Viceversa, riscaldando la calce di mercurio ad una temperatura un po’ superiore a
quella utilizzata precedentemente, si ripristinava il metallo e si liberava una quantità di aria esattamente
uguale a quella che si era consumata nella calcinazione.
In questo modo Lavoisier pervenne alla formulazione della legge della conservazione della massa la quale
con parole semplici afferma che “in natura nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma”.
Oggi la 'chimica' è quella branca delle scienze che si occupa delle trasformazioni nella natura e nella struttura
delle sostanze. Intorno a noi e dentro di noi è un continuo succedersi di trasformazioni, cioè di fenomeni.
'Fenomeno' nel linguaggio scientifico ha il significato di "cambiamento", non quello, abituale, di "fatto
eccezionale". Qualunque, anche minimo cambiamento è un fenomeno. Il sollevamento di una mano è un
fenomeno; il suono di una campana è un altro fenomeno; il bruciare di una sigaretta o l'acqua che bolle sono
anch'essi fenomeni.
Tra le varie trasformazioni, tuttavia, c'è una differenza fondamentale: alcune sono sostanziali, nel senso che,
operando sulla struttura delle sostanze, le trasformano in altre; altre invece lasciano immutata la costituzione
delle sostanze stesse.
Le prime trasformazioni prendono il nome di 'fenomeni chimici', le seconde di 'fenomeni fisici'. Un esempio di
fenomeno chimico è la trasformazione in ceneri e «fumi» della sigaretta o della legna che bruciano. Un
esempio di fenomeno fisico è la trasformazione dell'acqua in ghiaccio oppure in vapore, il quale ritorna acqua
in goccioline sul coperchio più freddo, durante l'ebollizione.
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L’AMORE E’ FILOSOFO
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“Simposio”
di Platone
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Testo I : PLATONE
Simposio
“L'amore è in relazione con l'assoluto”
L'amore come demone: il mito di Eros
dal “Simposio” di Platone
Nel testo che segue, tratto dal Simposio, Platone delinea per bocca di Socrate i punti essenziali della propria teoria dell'amore.
Mediante la descrizione mitica della nascita di Eros, Platone cerca di risolvere quello che è un paradosso: la ricerca implica la ricerca
di qualcosa, ma l'assoluta privazione fa sì che la ricerca stessa non possa aver luogo. Applicato all'esperienza amorosa, tale assunto
significa che a desiderare la bellezza è chi ne è privo, ma non in senso assoluto; bisogna infatti che questa bellezza si sia ,in qualche
modo, in grado di riconoscerla.
[...] Bisogna ora, come spiegavi tu, Agatone, trattare anzitutto di Eros stesso, dicendo chi è e qual è la sua
natura, e in seguito delle sue opere. Mi sembra, orbene, che la cosa più facile sia di raccontare seguendo il
modo di procedere della straniera, quando mi interrogava. Anch’io infatti dissi a lei approssimativamente
le stesse cose appunto, che ora Cagatone ha detto a me, ossia che Eros sarebbe un gran dio, e si
rivolgerebbe alle cose belle; essa allora mi confutò proprio con quegli argomenti con cui io ho confutato
costui, e provò che, secondo le mie dichiarazioni, Eros non doveva essere né bello né eccellente.
Ed io domandai: – Che dici, o Diotima? Eros è dunque brutto e dappoco?
E quella esclamò: – Non bestemmiare! Ciò che non è bello, credi forse che debba necessariamente essere
brutto?
– Certo che lo credo.
– Allora anche ciò che non è sapiente dovrà essere ignorante? O non ti accorgi invece che tra la sapienza e
l’ignoranza c’è qualcosa di mezzo?
– E che cos’è?
– Il possedere opinioni giuste, senza essere in grado di renderne ragione, non sai forse – disse – che non è
né sapere (come potrà essere scienza, infatti, una cosa priva di ragione?), né ignoranza (come potrà essere
ignoranza, infatti, una cosa che coglie ciò che è?)? L’opinione giusta, orbene, è senza dubbio qualcosa di
tale natura, a mezzo tra la saggezza e l’ignoranza.
– Dici la verità – feci io.
– Non pretendere dunque che ciò che non è bello sia necessariamente brutto, e ciò che non è eccellente sia
necessariamente dappoco. Così pure, riguardo a Eros, dal momento che tu stesso ammetti che non è né
eccellente né bello, allo stesso modo non credere che egli debba essere brutto e dappoco: piuttosto – disse
– sarà qualcosa di mezzo tra i due.
– Eppure, – dissi io – è certo ammesso da tutti, che egli sia un gran dio.
– Dicendo da tutti – domandò – intendi da coloro che non sanno, o anche da coloro che sanno?
– Da tutti quanti, ti dico.
E lei ridendo: – E come, o Socrate, – fece – potrà essere riconosciuta la sua natura di grande dio da parte di
coloro che affermano che egli non è neppure un dio?
– Chi sono costoro? – chiesi io.
– Uno intanto – disse – sei tu, e un’altra, poi, io.
E io replicai, domandando: – Come puoi dire questo?
E quella: – È facile – dichiarò. – Dimmi un po’, non affermi forse che tutti gli dei sono felici e belli? Oppure
oserai asserire che qualcuno degli dei non è né bello né felice?
– Per Zeus, io no di certo! – dissi.
– E felici non chiami, poi, coloro che possiedono le cose buone e le cose belle?
– Senza dubbio.
– Eppure hai ammesso che Eros, per la mancanza delle cose buone e belle, desideri appunto queste cose di
cui è mancante.
– L’ho ammesso, infatti.
– Come potrà essere un dio, allora, colui che è privo delle cose belle e buone?
– Non lo potrà affatto, almeno a quanto pare.
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– Vedi dunque, – disse – che anche tu non ritieni che Eros sia un dio?
– Che mai sarà allora Eros? – feci. – Un mortale?
– Meno che mai.
– Ma che cosa, dunque?
– Come nei casi precedenti – disse – qualcosa di mezzo fra mortale e immortale.
– Che sarà allora, Diotima?
Un grande demone, o Socrate: giacché tutto ciò che è demonico è qualcosa di mezzo tra dio e mortale.
[…]
In quanto è figlio di Poro e di Peia, dunque, ad Eros è toccata una siffatta sorte. Anzitutto, è sempre
povero, e ben lungi dall’esser morbido e bello, come crede il volgo; piuttosto è ruvido e irsuto e scalzo e
senza asilo, si sdraia sempre per terra, senza coperte, dorme a cielo scoperto davanti alle porte e sulle
strade, e possiede la natura della madre, sempre dimorando assieme all’indigenza. Secondo la natura del
padre, d’altro canto, ordisce complotti contro le cose belle e le cose buone: invero, è coraggioso e si getta a
precipizio ed è veemente, è un mirabile cacciatore, intreccia sempre delle astuzie, è desideroso di
saggezza ed insieme ricco di risorse, passa tutta la vita ad amare la sapienza, è un terribile mago, e
stregone, e sofista. E la sua natura non è né di un immortale né di un mortale: in una stessa giornata,
piuttosto, ora è in fiore e vive, quando trova una strada, ora invece muore, ma ritorna di nuovo alla vita
grazie alla natura del padre; ciò che si è procurato, peraltro, a poco a poco scorre sempre via, cosicché Eros
non è mai né sprovvisto né ricco, e d’altro canto sta in mezzo fra la sapienza e l’ignoranza. [...]
– Chi saranno allora, o Diotima, – chiesi io – gli amanti della sapienza, se non lo sono né i sapienti né gli
ignoranti?
A questo punto la cosa è ormai evidente – disse – anche per un bambino: saranno coloro che stanno in
mezzo a questi due, e tra di essi vi sarà anche Eros.[...]
In realtà, Eros ha dunque una tale natura e una tale nascita, ed inoltre, come tu affermi, si rivolge alle cose
belle. Ma se qualcuno ci domandasse: “In che senso, o Socrate e Diotima, Eros si rivolge alle cose belle?” o
più chiaramente, in questa forma: “Chi ama le cose belle, ama; che cosa ama?”.
E io risposi:
– Che esse diventino sue.
– Ma questa risposta – disse – suscita un’altra domanda, del seguente tenore: “Che cosa accadrà a colui, cui
vengano ad appartenere le cose belle?”.
Dissi che io non ero ancora del tutto in grado di rispondere prontamente a questa domanda.
– Ma – disse – è proprio come se qualcuno, servendosi del bene in luogo del bello, mutasse la domanda:
“Suvvia, Socrate, chi ama le cose buone, ama; che cosa ama?”.
– Che esse – feci io – diventino sue.
– E che cosa accadrà a colui, cui vengano ad appartenere le cose buone?
– A questo – dissi io – sono in grado di rispondere più facilmente: sarà felice.
– È infatti per il possesso delle cose buone – disse – che i felici sono felici, e non occorre più domandare
ulteriormente: “A qual fine vuole essere felice, colui che lo vuole?”. Piuttosto, la risposta non ha seguito, a
quanto pare.
Dici la verità – feci io.
[…]
I– Così dunque avviene anche riguardo all’amore. Riassumendo, il desiderio delle cose buone e della felicità
si riduce interamente, per chiunque, ad essere l’amore potentissimo ed ingannevole; senonché gli uni,
ricorrendo a lui in molte e diverse maniere, o nella tendenza agli affari, o nella passione per la ginnastica, o
in quella per la sapienza, non ricevono il nome di amanti né si dice che amino, mentre gli altri, procedendo
e impegnandosi secondo una singola specie di amore, portano il nome della totalità: amore e amare e
amanti.
[…]
– È dunque possibile – riprese lei – dire, in modo così semplice, che gli uomini amano il bene?
– Sì – dissi.
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– E allora? Non bisogna forse aggiungere – domandò – che essi amano altre sì il possesso del bene?
– Bisogna aggiungerlo.
– Dunque, oltre a ciò, – disse – non solo il possesso, ma anche l’eterno possesso?
– Bisogna aggiungere anche questo.
– L’amore allora, in complesso, – disse – tende a possedere eternamente il bene.
– È verissimo – feci io – quello che dici.
[…]
Ebbene, – disse lei – te lo spiegherò più chiaramente. Gravidi invero, o Socrate, – continuò – sono tutti gli
uomini, e nel corpo e nell’anima, e quando sono giunti ad una certa età, la nostra natura brama di partorire.
Ma nel brutto non può partorire, nel bello invece sì. Il congiungimento dell’uomo e della donna, in realtà, è
un dare alla luce. Questo atto, orbene, è divino, e nell’essere vivente che è mortale vi è questo di
immortale, il concepimento e la procreazione. Ma l’uno e l’altra è impossibile che si producano in ciò che è
discordante. Il brutto, orbene, è discordante rispetto a tutto ciò che è divino, mentre il bello è con esso in
accordo.
[...]L’amore infatti, o Socrate, – disse – non ha come fine ciò che è bello, come invece tu credi.
– Ma che cosa allora?
– La procreazione e il dare alla luce in ciò che è bello.
– Ammettiamolo – feci io.
È senza dubbio così – disse. – E perché mai, proprio la procreazione? Perché la procreazione è ciò che di
eterno e di immortale può toccare a un mortale. Da quanto si è ammesso, peraltro, risulta necessario che,
assieme al bene, si desideri l’immortalità, se è vero che l’amore tende a possedere eternamente il bene. In
base a questo discorso è dunque necessario che l’amore tenda altre sì all’immortalità.
La filosofia e il teatro
I rapporti di reciproca influenza tra filosofia e teatro sono fin sull'antichità numerosissimi e di diversa
natura: la filosofia può prendere dal teatro il suolo dell'autore ma può anche salire sul palco o scendere
invece tra il pubblico. Importanti filosofi hanno scritto ad esempio testi teatrali o liriche e autori teatrali sono
stati considerati invece gran filosofi. Figure di pensatori compaiono inoltre come personaggi sulla scena,
mentre singole opere o intere epoche teatrali sono state profondamente influenzate da un sistema filosofico o
dall'opera di un filosofo. Alcuni sapienti hanno riflettuto infine profondamente sulla natura della
rappresentazione teatrale, mentre altri sono stati anche grandi interpreti di opere teatrali ed hanno attribuito
loro un ruolo importante nel loro sistema filosofico. L'autore di un testo teatrale è un filosofo. Come è noto,
c'è chi ha affermato che il grande tragico Eschilo sia stato il più grande filosofo dell'Occidente. La filosofia
può diventare in modi diversi contenuto del messaggio teatrale o lirico. Vi posso essere opere nelle quali la
figura del filosofo gioca un ruolo fondamentale. L'eventualità che in una o più opere teatrali trovi espressione
una determinata concezione filosofia è infatti sicuramente più diffusa. I9 filosofi sono stati però spesso anche
grandi interpreti teatrali, che hanno assunto un ruolo importante nel loro sistema filosofico: un esempio è la
centralità della tragedia greca nella filosofia antica.
L'Elisir d'amore di G. Donizetti può essere arricchito da apporti filosofici perché con tali argomenti di
supporto possiamo comprendere meglio il tema principale dell'opera ovvero l'amore, tra Adina e Nemorimo,
facendo ricorso a vari filosofi che si sono interessati ed hanno trattato questo argomento. Abbiamo
riscontrato delle somiglianze in pensatori come Platone; interessante inoltre è capire la differenza tra magia e
amore, oggetti di accese dispute fin dall'età arcaica: anche nell'opera lirica in questione sono presenti questi
due concetti che fanno da sfondo alla vicenda e attorno ai quali ruota tutta la storia. Tra l'opera lirica”L'elisir
d'amore” e l'amore inteso come Eros, trattato nel Simposio di Platone, un primo legame potrebbe essere
quello tra l'amore considerato come rapporto di completezza, secondo il filosofo greco, e il sentimento
provato da Adina e Nemorino nell'opera. La fittavola, inizialmente capricciosa, fidanzandosi con il
coltivatore, si completa trovando in lui la felicità e Nemorino, a sua volta, raggiunge, con la dichiarazione
della bella proprietaria terriera la gioia che ha sempre cercato. Un'ulteriore somiglianza riscontrata
corrisponde al concetto di amore inteso come unione di anima e non di corpi. Adina infatti, non desiderando
solo una persona, bensì molte, ogni giorno differenti, non rispecchia inizialmente l'Eros di Platone. Questo
concetto però viene raggiunto quando la ragazza, nel finale dell'opera, si dichiara a Nemorino.
Questo amore è un completamento per entrambi che colpisce le loro anime e non solo la passione dei loro
corpi. Questa tesi corrisponde anche al concetto di carenza che con l'amore si trasforma in completezza.
Il mito di Eros nell'età contemporanea
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L'amore non ha età? È un quesito sul quale si potrebbe aprire un lungo ed interessante dibattito, elencando
vari aspetti a favore e sfavore a riguardo, partendo dall'epoca greca- antica in cui l'amore tra l'anziano e il
giovane era un fenomeno abitudinario e visto in un'ottica positiva rispetto ad oggi, anche per la tipologia di
amore che riteniamo sostanzialmente differente da quella contemporanea.. infatti questo genere di
sentimento assumeva valori come la sete di sapienza, di esperienza, di saggezza da parte dell'allievo per il
maestro e quest'ultimo dal ricordo della giovinezza e della spensieratezza, del bell'aspetto privo di segni del
tempo. Questo amore è frutto di sentimenti puri, dove vi è un legame di continuità tra amore sessuale e
amore in senso metafisico: l'Eros è una forza che permette di passare dall'attrazione per la bellezza di un
corpo a quella per la bellezza del mondo e poi a quella per la bellezza della realtà spirituale dell'anima e delle
idee, innalzando la mente a cogliere l'unità del tutto e quel sistema oggettivo di valori in cui la realtà umana
ha il suo fondamento. L'amore, nel suo significato autentico, è desiderio e ricerca della bellezza e del bene.
Oggi questo è un fattore puramente soggettivo: non sono gli anni di differenza che fanno amare di più o di
meno e non siamo noi che scegliamo davvero chi amare e chi no, ma accade per una serie di motivi che noi
probabilmente4 non riusciremo mai a spiegare. Ma l'amore e la passione non possono essere controllare con
la razionalità, con codici morali o quelli definiti di normalità. L'amore quando è amore non può essere
controllato da nessuna legge o regola umana. Si viene invasi e posseduti dall'amore, non siamo noi che
scegliamo chi amare.
Altro tema che si può collegare con l'Eros di Platone è il sentimento che lega persone dello stesso sesso.
L'omosessualità nell'Antica Grecia era, così per l'eterosessualità, per classi colte, una ricerca del bello e
quindi indipendente dal sesso di chi veniva amato, questo tenendo presente che comunque si trattava di una
società fortemente maschilista. Si poteva amare benissimo uomini e donne indistintamente, in quanto i greci
nell'amore cercavano il bello indipendentemente dal sesso di chi amavano; pertanto, amare ragazze o ragazzi
era solo una faccia diversa della stessa medaglia. Quel che destava preoccupazione, semmai. Era lasciarsi
andare ai sensi: i greci definivano virtuoso chi sapeva resistere alle tentazioni, come Socrate con Alcibiade nel
Simposio.
Nell’antica Roma invece la sessualità in genere veniva vissuta a tutti i livelli sociali, ma iniziò ad essere
praticata solo dopo l’influenza della cultura greca. Prima veniva addirittura condannata perché andava
contro quella che era la morale comune.
In entrambi gli imperi vigeva una legislazione che non vietava l’omosessualità ma piuttosto giudicava
l’individuo in base al ruolo che ricopriva nell’atto sessuale: attivo o passivo. Il secondo era considerato atto di
sottomissione nei confronti dell’altro e giudicato negativamente.
Sono passati alle cronache i casi di omosessualità di Adriano e quello della bisessualità di Cesare. Più tardi,
con Giustiniano e Costantino, l’omosessualità fu condannata e vietata in ogni sua espressione, probabilmente
a causa dell’affermazione della religione cristiana nell’impero.
al giorno d'oggi la visione greca di questo fenomeno è completamente scomparsa: si parla infatti di omofobia
ovvero della scarsa tolleranza o repulsione nei confronti dell'omosessualità, delle persone omosessuali e delle
azioni ad esse riconducibili.
L'approccio attuale all'omosessualità nel nostro paese è piuttosto tradizionale rispetto ad altri paesi
dell’Europa, soprattutto del nord, probabilmente a causa della religione cattolica. Ad ogni modo sono state
riscontrate delle differenze sostanziali in base ad alcuni criteri geografici, demografici e culturali.
L’omosessualità è più tollerata al nord piuttosto che al sud (il centro si colloca in una posizione intermedia), è
vissuta con serenità nelle generazioni più giovani piuttosto che nelle persone più in là con gli anni ed è più
accettata dalle donne piuttosto che dagli uomini, in prevalenza meno aperti.
Una gran parte degli Italiani infine è concorde nel non voler vedere ostentati gli atteggiamenti omosessuali
ma è altresì d’accordo nel ritenere che l’amore tra persone dello stesso sesso sia alla stregua di quello tra
persone di sesso opposto.
L’Italia si colloca quindi un una posizione intermedia nei confronti dell’omosessualità: nonostante l’influenza
della Chiesa, molti sono i soggetti tolleranti e positivi nei confronti di questo fenomeno, anche se purtroppo
persistono casi di violenza e di incomprensione da parte di coloro che non riescono ad accettare o a
comprendere un orientamento sessuale “diverso”.
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“Etica
Nicomachea”
di Aristotele
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TESTO II : ARISTOTELE
Etica Nicomachea
L’amore tra uomini virtuosi è la forma più
completa dell’amore. L’amicizia autentica è
quella in cui gli individui non cercano solo l’utile e il piacevole nell’altro.
Oltre all’impulso erotico, il quale porta le persone ad amarsi con passionalità, esiste una dimensione
diversa capace di unire gli individui attraverso legami profondi, costituiti da piccole cose fornite dalla
quotidianità. Il filosofo che porta sul palmo di mano questo esempio di legame affettivo è Aristotele, il
quale vede nell’amicizia l’amore vero.
A questo punto il lettore si chiederà che cos’è l’amicizia e perché questa deve essere letta come principio
amoroso. In questo paragrafo si cercherà di chiarire i quesiti degli interessati seguendo la tesi del filosofo
greco.
Che cos’è l’amicizia?
In Aristotele l’amicizia costituisce il sommo bene. Infatti solo chi può essere considerato buono per sé può
essere chiamato amico. L’amicizia è tale se lega due individui (non persone e cose, poiché, in questo caso, le
affezioni non possono essere reciproche).
Il rapporto d’amicizia può essere suddiviso in due categorie :
- Amicizie accidentali : queste amicizie sono basate sull’utile o il piacevole. L’individuo non ama l’altro in
sé,ma adora ciò che provoca in lui (benessere). Sono destinate a finire in poco tempo, poiché l’utile e il
benessere non sono costanti nel tempo. Le amicizie accidentali sono provate soprattutto dai giovani,in
quanto gli stessi sono pervasi dalla passionalità.
- Amicizie virtuose : Sono le amicizie considerate perfette,create da individui virtuosi e buoni, i quali
bramano al piacere dell’altro come gratificazione personale. Sono affezioni vere e sincere. Gli uomini virtuosi
sono, perciò, sia utili che piacevoli quindi completi. E’ chiaro che un’amicizia, per essere considerata tale,
abbia bisogno di tempo e consuetudine di vita comune. La volontà di amicizia si crea velocemente, ma non
l’amicizia.
Amicizia come intimità (uguaglianza tra uomini buoni)
Risulta arduo mantenere un’amicizia nel tempo, poiché questa si nutre di continui scambi quotidiani. Il
legame tra amici richiede intimità. Ma il passare dei giorni insieme non può esistere senza la bontà e la
piacevolezza di ognuno. L’amicizia diviene,dunque, scelta di condividere o meno le proprie passioni con
l’altro seguendo la propria disposizione caratteriale. L’amicizia diventa un sentimento sublime che va al di là
dal semplice scambio di effusioni (che con il cambio delle stagioni sfioriscono). E’ ricerca dell’altro, del suo
bene, delle sue passioni e quindi del suo amore. E’ più intimo perché pervade il pensiero più che il fisico ed è
risaputo come i pensieri siano la base caratterizzante di ognuno. L’amicizia è condividere ciò che è più
caro,più nostro senza pensarci troppo. L’eros molte volte non permette questo poiché basato
prevalentemente sulla carnalità.
Aristotele canta un inno all’amicizia poiché questa ci permette di essere uomini più veri oltre che passionali.
L’AMORE COME SENTIMENTO DI AMICIZIA PER CICERONE
Cicerone affronta il tema dell’amicizia nell’opera filosofica intitolata “Laelius de amicitia”. Questo dialogo
fu dedicato da Cicerone al suo più caro amico Tito Pomponio Attico.
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L’amicizia viene intesa come scambio interpersonale disinteressato, solidarietà nella corruzione ed è
possibile solamente tra persone oneste. Infatti le forme di collaborazione tra disonesti non possono essere
definite “amicizia” ma “complicità”. Cicerone esamina il problema di quale sia l’origine dell’amicizia, cioè se
essa tragga inizio dalla necessità. Alcune teorie infatti sostenevano che si sceglie un amico sulla base
dell’utile: ad esempio, scelgo una persona come amico perché penso che mi potrà aiutare finanziariamente.
Cicerone nega che l’utilità sia il fondamento del rapporto amicale. Senza dubbio chi ha un amico vero sa
che potrà attendersi, quando necessario, un aiuto da costui; però aiuti si possono ricevere anche da
persone che non sono amiche,o dare, per opportunismo a persone che non sono tali: quindi l’attendersi
aiuto non è l’essenza né l’origine dell’amicizia. Cicerone osserva che la parola amicizia ha la stessa radice di
amor e che quindi l’amicizia deve rientrare nella stessa categoria di esperienze umane che definiamo in
genere come “affettività”: nessuno pensa che l’affetto derivi dall’interesse. Il filosofo fa notare come ci sia
nell’amicizia un elemento di ammirazione per l’altro, un’implicita spinta a migliorarsi e un affetto fondato
sulla stima.
Nel pensiero di Cicerone si possono scorgere diverse influenze Aristoteliche come si può leggere dal
seguente passo tratto dall’ “Etica Nicomachea” di Aristotele :
“Quelli dunque che si amano reciprocamente a causa dell’utile non si amano per se stessi, bensì in quanto
deriva loro reciprocamente un qualche bene; similmente anche quelli che si amano a causa del piacere.
Infatti essi amano le persone non perché queste abbiano determinate qualità, ma perché sono piacevoli.
Quindi coloro che amano a causa dell’utile amano per via del bene che proviene a loro e non in quanto la
persona amata è quello che è, bensì in quanto essa è utile o piacevole. Perciò queste amicizie sono
accidentali: infatti colui che è amato non viene amato per via di quello che è, ma in quanto procura chi un
bene, chi un piacere. Quindi simili amicizie sono facilmente caduche, poiché le persone non restano sempre
uguali;; se infatti esse non sono più piacevoli o utili, cessano di essere in amicizia. E l’utile non dura, ma
cambia a seconda delle circostanze. Svanendo quindi il motivo per cui costoro erano amici, si scioglie anche
l’amicizia, giacché l’amicizia era in rapporto ad esso.”
Cicerone incentra la sua riflessione anche sul concetto di fides che occupa un ruolo centrale nel sistema dei
valori romani, in quanto esprime la fiducia reciproca che garantisce il rapporto tra le due parti. Senza
fedeltà reciproca non può esserci vera amicizia.
In un passo del “Laelius” è scritto:
“Base della stabilità e della coerenza, che cerchiamo nell’amicizia, è la lealtà.
Conviene scegliere una persona semplice, socievole e di sensibilità affine, cioè che reagisca alle situazioni come noi.
Tutto ciò contribuisce alla fedeltà.
L’amicizia può esistere solo tra i virtuosi e deve essere sempre rilassata, libera, dolce e incline ad ogni
forma di amabilità e di cortesia”.
L’AMICIZIA IN ALTRE CULTURE
Con amicizia, da un punto di vista oggettivo, si indica un tipo di legame sociale accompagnato da un
sentimento di affetto vivo e reciproco tra
due o più persone dello stesso o di differente sesso, ma anche tra esseri umani ed esseri appartenenti al
mondo degli animali. Da un punto di vista soggettivo, insieme all'amore, l'amicizia è un atteggiamento nei
confronti degli altri, caratterizzato da una rilevante carica emotiva e fondante la vita sociale del singolo. In
quasi tutte le culture, l'amicizia viene intesa e percepita come un rapporto alla pari, basato sul rispetto, la
stima, e la disponibilità reciproca.
Il tema dell'amicizia è al centro di innumerevoli opere dell'arte e dell'ingegno; fu trattato già da Aristotele e
Cicerone ed è oggetto di canzoni, testi letterari, opere filmiche e via dicendo.
In genere, si distinguono diversi gradi di amicizia, dall'amicizia casuale legata a una simpatia che emerge
fortuitamente in una certa circostanza magari in modo temporaneo, all'amicizia cosiddetta intima, ovvero
associata a un rapporto continuativo nel tempo fra persone che arrivano a stabilire un grado di confidenza
reciproca paragonabile a quella tipica del rapporto di coppia.
Nel divenire dello sviluppo dell'emotività individuale, le amicizie vengono dopo il rapporto con i genitori e
prima dei legami di coppia che si stabiliscono alla soglia della maturità. Nel periodo che intercorre fra la fine
dell'infanzia e l'inizio dell'età adulta, gli amici sono spesso la componente più importante della vita emotiva
dell'adolescente, e spesso raggiungono un livello di intensità mai più eguagliato in seguito. Queste amicizie si
stabiliscono il più delle volte, ma non necessariamente, con individui dello stesso sesso ed età.
Le prime forme d'amicizia si possono avere anche nei primi anni di vita quando i bambini condividono gli
stessi giochi e le stesse esperienze ludiche e di crescita. I bimbi piccoli incontrano i loro coetanei all'interno
del nido e con loro instaurano delle semplici relazioni che ancora non si possono definire amicizia. Due
bambini che giocano insieme entrano in relazione e si conoscono a vicenda. Con l'ingresso nella scuola
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materna, i bambini imparano le abilità fondamentali che servono per lo sviluppo e la nascita delle nuove
amicizie. Negli anni della scuola materna preferiscono stare insieme ad alcuni bambini rispetto ad altri e
nelle sezioni nascono anche i primi gruppi di amici. Ma le amicizie che sono destinate a durare più a lungo e
a
rimanere impresse nella memoria di ogni bambino, sono quelle che nascono tra i banchi di scuola. Nella
scuola elementare i bambini trascorrono molte ore con i loro compagni e cercano punti di riferimento
all'interno della classe. Solitamente il punto di riferimento è un compagno dello stesso sesso, ma può anche
accadere che nascano amicizie tra coetanei di sesso differente. Le amicizie alla fine della scuola elementare
sono ormai consolidate e solitamente destinate a cambiare con l'ingresso nella scuola media. I bambini
instaurano amicizie con i coetanei o con altri bimbi di età differente anche in altri luoghi come nei parchi o
nelle ludoteche.
RUSSIA:
In Russia è usanza accordare a pochissime persone la qualifica di amico, ma quello che viene perso in
quantità viene più che recuperato in intensità. Solo fra amici ci si chiama per nome (o col diminutivo) mentre
fra semplici "conoscenti" ci si chiama usando il nome completo, a cui si aggiunge anche il patronimico.
Gli amici possono essere colleghi di lavoro da lungo tempo, vicini con cui si scambiano visite o inviti a
pranzo, ecc. Il contatto fisico fra amici è considerato cosa del tutto normale anche fra persone dello stesso
sesso, che si abbracciano, si baciano e camminano in pubblico a braccetto o mano nella mano, senza il
minimo imbarazzo o connotazione di tipo sessuale.
ASIA:
Anche in Medio Oriente ed Asia centrale l'amicizia fra maschi, sebbene meno stretta che in Russia, tende ad
essere particolarmente intima, e si accompagna con una grande quantità di effusioni fisiche di natura non
sessuale, tenersi per mano, ecc
PAESI OCCIDENTALI:
In Occidente i contatti fisici intimi hanno assunto nell'ultimo secolo una connotazione decisamente
"sessuale", e praticarli fra amici è considerato un tabù. Tuttavia un modo appena accennato, quasi "rituale",
di abbracciarsi e baciarsi può essere accettato, anche se solo in determinati contesti; comunque tra le
femmine è maggiormente diffuso l'uso di gesti intimi anche in amicizia (come il tenersi per mano o baciarsi
sulle guance) ed è anche socialmente accettato come modo normale di esprimere tale sentimento mentre lo
stesso non accade invece nelle amicizie instaurate tra maschi dove, al contrario, gesti intimi affettivi sono
molto rari (se non completamente assenti) e comunque non considerati una consuetudine dalla collettività
come accade invece per le amicizie femminili.
Fanno eccezione i bambini, la cui amicizia può tradursi in manifestazioni di stretta intimità anche tra maschi,
che vengono però soppresse successivamente per uniformarsi alle convenzioni sociali.
Esiste l'amicizia tra uomo e donna?
''Gli uomini calciano l'amicizia tra loro come fosse
un pallone, ma non sembra mai spezzarsi. Le donne
trattano l'amicizia tra loro come cristallo, e finisce
in frantumi''
(Anne Morrow Lindbergh)
Esiste l'amicizia tra uomo e donna? Non si tratta tanto di affermarne l'esistenza o meno ma di definirne la
qualità. L'amicizia, a differenza dell'innamoramento, ha una componente solitaria minima o addirittura
inesistente. Difficile immaginare un'amicizia che sorga come passione individuale: sarebbe certamente un
innamoramento. Ma così come l'innamoramento può essere causa di sofferenza anche nel momento in cui
una coppia si separa, anche nell'amicizia la sofferenza per il distacco può essere pesante.
Probabilmente il cuore del ragionamento sta nel definire cosa sia davvero una autentica amicizia. Sin dalle
antichità, da Aristotele a Tommaso d'Aquino fino a gran parte della sociologia contemporanea, il tema
dell'amicizia ha ispirato molti pensatori. Un'ulteriore difficoltà sta nella disparità di concezioni d'amicizia che
ancora oggi si leggono nei diversi tessuti sociali. Il sentimento dell'amicizia in Russia è assai diverso rispetto
a quello diffuso nei paesi occidentali, vuoi anche per una certa cultura moraleggiante che ha influito non poco
in occidente.
Per definizione l'amicizia è una relazione alla pari, fondata sulla stima reciproca, sulla disponibilità e sul
rispetto. E sufficiente? Direi di no! Questa è la definizione di "conoscenza". Stimare, essere disponibili e
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rispettare credo siano i presupposti per una vita di relazione pacifica con chiunque. Ma l'amicizia deve essere
altro.
Si può aggiungere che nell'amicizia deve configurarsi una certa confidenza, l'essere consapevoli di potersi
fidare dell'amico. Ma la confidenza la si instaura anche con i fratelli, con persone che si giudicano affidabili
per custodire un nostro pensiero od una nostra emozione intima. Non sempre ci confidiamo con persone che
giudichiamo amiche; talvolta ci accontentiamo dell'affidabilità o dell'autorevolezza che essi rappresentano.
L'amicizia deve comportare qualcosa di più: un sentimento. L'amicizia è il desiderare la compagnia di quella
persona; desiderare uno scambio di attenzioni con quella persona; desiderare insomma il bene di quella
persona.
L'amicizia è una virtù o s'accompagna alla virtù; inoltre essa è cosa necessarissima per la vita. Infatti nessuno
sceglierebbe di vivere senza amici, anche se avesse tutti gli altri beni (e infatti sembra che proprio i ricchi e
coloro che posseggono cariche e poteri abbiano soprattutto bisogno di amici; infatti quale utilità vi è in
questa prosperità, se è tolta la possibilità di beneficare, la quale sorge ed è lodata soprattutto verso gli amici?
O come essa potrebbe esser salvaguardata e conservata senza amici? Infatti quanto più essa è grande, tanto
più è malsicura). E si ritiene che gli amici siano il solo rifugio nella povertà e nelle altre disgrazie; e ai giovani
l'amicizia è d'aiuto per non errare, ai vecchi per assistenza e per la loro insufficienza ad agire a causa della
loro debolezza, a quelli che sono nel pieno delle forze per le belle azioni.
L’amicizia tra donne
Per quanto riguarda l'amicizia tra donne non si può non portare come esempio la trama del libro 'Acciaio'
che ha come filo conduttore l'amicizia di queste due ragazze che sono inseparabili, più di quanto pensino,
Anna e Francesca, tredicenni che abitano a Piombino, entrambe alle spalle hanno una vita difficile: il padre
di Anna è affascinante ma un mezzo delinquente, la madre Sandra tira avanti la famiglia, forte dei suoi ideali
comunisti, il fratello maggiore Alessio lavora alla Lucchini, l’acciaieria;; quello di Francesca è peggio ancora,
un padre-padrone che picchia la figlia e la moglie, Rosa, che a 34 anni sembra già una vecchia, intontita dagli
psicofarmaci. Anna e Francesca sono ancora due bambine, ma nello stesso tempo sono già donne. Sono belle,
tanto, e sanno di esserlo. I ragazzi le ammirano, gli uomini sbavano per loro, le compagne le invidiano e le
considerano due ragazze cattive e antipatiche . Ma loro se ne fregano.
Anna e Francesca, soprattutto, sono amiche del cuore. Più che amiche, sorelle.
Il libro è molto realista e crudo ma sostanzialmente cerca di far comprendere che alcuni legami non si
sciolgono, come l'Acciaio. Una volta uniti il ferro e il carbonio diventano una cosa sola, non sembrano
neppure mai essere stati una cosa diversa da come sono alla fine. Due cose diverse che hanno formato una
cosa nuova, molto più forte delle due iniziali. Come l'amicizia, quella vera in cui i legami rimangono integri
fino alla fine, perché se si è in due le possibilità di essere felici sono doppie.
AFORISMI DI ARISTOTELE
Come comportarsi con gli amici? Come
vorremmo che loro si comportassero con noi
L'amicizia è un'anima sola, che vive in più corpi
Senza amici nessuno sceglierebbe di vivere,
anche se avesse tutti gli altri beni.
Si decide in fretta di essere amici, ma
l'amicizia è un frutto che matura lentamente
Un uomo potrebbe possedere le tutte le
ricchezze del mondo, ma se non ha amici con
cui condividerle, è come se non avesse nulla
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“La natura”
di Lucrezio
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TESTO III : LUCREZIO
La natura
Inizio modulo
In questo testo Lucrezio sostiene che l’amore sia innanzi tutto passione erotica,riconducibile alle cause
fisiche e ormonali che si manifestano a partire dall’adolescenza. La passione amorosa non arreca altro che
affanni e va pertanto sfuggita. Nel proseguo del brano il filosofo produce numerose argomentazioni a
sostegno di tale assunto analizzando l’amore in conformità ai principi dell’epicureismo,dottrina secondo cui
ogni aspetto della realtà è il risultato di una aggregazione o disgregazione di atomi.
Primo argomento: sfuggendo l’amore non si rinuncia necessariamente al piacere fisico. Il piacere è
considerato positivamente dagli epicurei:si tratta però di scegliere quello che arreca un appagamento stabile
e non comporta un successivo dolore. La passione amorosa è dunque deleteria non in quanto conduce al
piacere fisico,di per sé positivo,ma in quanto fonte di ulteriori affanni. E’ la passione che va evitata,non il
piacere.
Secondo argomento:l’amante non riesce mai a impossessarsi pienamente dell’oggetto d’amore,ma è destinato
a rimanere sempre in qualche misura inappagato. Per Epicuro l’amore non è qualcosa di divino;; il saggio
deve astenersi dalla passione proprio a causa dell’irrefrenabile desiderio che essa accende.
Terzo argomento:la passione amorosa,lungi dall’arrecare vero piacere,pone l’individuo in balia dei capricci
altrui e lo spinge a ritenere essenziali tutti quei beni che lo possono rendere più attraente agli occhi della
persona amata. Come accade in “Alinda e Ceo”, Alinda è una città della Cria; Ceo è un’isola del mar Egeo.
L’innamorato dissipa le sue fortune in beni di lusso nel tentativo di ingraziarsi i favori della persona amata.
Quarto argomento:la passione amorosa offusca la percezione della realtà. Chi ne è preda non si accorge del
proprio stato ed esalta inopinatamente le qualità di chi l’ha provocato.
LUCREZIO ED EPICURO:CONTRADDIZIONI E DIFFERENZE
(primo approfondimento)
I sensi, per Lucrezio, non fanno altro che captare dei flussi atomici particolari:
sentiamo perché arrivano degli atomi alle nostre orecchie e vediamo perché ne arrivano altri ai nostri occhi.
È dai sensi che ha origine ogni forma di conoscenza e la ragione umana. Dopo aver cercato di trasmette
l'atarassia epicurea, Lucrezio si allontana dalla calma del suo maestro e descrive con profonda partecipazione
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quanto piú può turbare i sensi, le passioni amorose e carnali: “Brucia l'intima piaga (l'amore) a nutrirla e col
tempo incarnisce, divampa nei giorni l'ardore, l'angoscia ti serra, se non confondi l'antico dolore con nuove
ferite, e le recenti piaghe errabondo lenisca d'instabili amori, e ad altro tu possa rivolgere i moti dell'animo
“(Dal IV libro del “De Rerum Natura”). Infatti proprio nel momento del pieno possesso, fluttua in incerti
ondeggiamenti l'ardore degli amanti che non sanno di cosa prima godere con gli occhi o con le mani.
Premono stretta la creatura che desiderano, infliggono dolore al suo corpo, e spesso le mordono a sangue le
tenere labbra, la inchiodano coi baci, perché il piacere non è puro, e vi sono oscuri impulsi che spingono a
straziare l'oggetto, qualunque sia, da cui sorgono i germi di quella furia. Dopo aver condannato l'amore come
sofferenza, furore, amarezza, rimorso, gelosia, cecità, miseria ed umiliazione, Lucrezio cambia tono: “È
proprio lei che talvolta con l'onesto suo agire, l'equilibrio dei modi, la nitida eleganza della persona, ti rende
consueta la gioia d'una vita comune. Nel tempo avvenire l'abitudine concilia l'amore; ciò che subisce colpi,
per quanto lievi ma incessanti, a lungo andare cede, e infine vacilla”. Appare diverso, teneramente
malinconico, più paterno “E spesso alcuni trovarono fuori (di casa) una natura affine, così da poter adornare
di prole la loro vecchiaia”
C’è poi una sorta di rabbia che si nota da numerosi passi del De rerum natura: è innegabile pertanto che
l’animo di Lucrezio, benché si impegnasse a fondo nel sostenere e seguire l’atarassia epicurea, non riuscì a
mantenere la sua calma “olimpica” nemmeno in forma scritta.
Dice lo scrittore francese Schwob: “Conoscendo esattamente la tristezza e l'amore e la morte, Lucrezio
continuò a piangere e a desiderare l'amore e a temere la morte”.
VIRGILIO E LUCREZIO A CONFRONTO (secondo approfondimento)
Entrambi gli autori abbracciano la corrente dell’epicureismo, in particolare Virgilio ne è condizionato e
influenzato per quanto riguarda il tema dell’amore elaborato dettagliatamente da Lucrezio nel suo poema
didascalico “De rerum natura”. L’argomento della passione amorosa attraversa l’intera opera virgiliana “le
Bucoliche”, “le Georgiche” e infine “l’Eneide”. Tutte le opere sono accomunate dalla concezione profonda
dell’
amore, l’eros, visto come una follia una forza quasi oscura e primordiale dove emerge l’irrazionalità propria
dell’epicureismo (tant’è vero che la conclusione del “De rerum natura” non è lieta e distesa ma invasa dalla
pestilenza in Atene e dalla distruzione degli uomini causata dall’amore). Tuttavia se per Lucrezio era da
condannare non tanto la sessualità in quanto tale, piuttosto la condotta degli uomini stolti capaci di farsi
abbindolare dall’ onda della passione amorosa, al contrario per Virgilio riprovevole era l’istinto sessuale
descritto come una forza funesta che intercede e colpisce uomini e animali rendendoli schiavi (tranne le api
che sono esenti da questa condizione). Alcuni esempi di un amore passionale che ha portato alla
disperazione alla sofferenza e alla inevitabile distruzione dei due amanti si possono ricercare in “Romeo e
Giulietta” (come abbiamo denotato precedentemente), nella storia dolorosa avvenuta tra “Orfeo ed
Euridice”, nella vicenda virgiliana straziante fra “Didone ed Enea” e in ultimo, ma non meno importante,
“Amore e Psiche” scolpiti successivamente dal Canova.
GIULIETTA E ROMEO (terzo approfondimento)
Questa storia narra le vicende di due famiglie in contrasto tra loro: i Montecchi e i Capuleti e la storia d’
amore tra due ragazzi di queste famiglie: Romeo e Giulietta.
E’ un amore impossibile,poiché le famiglie di entrambi si odiano. I
giovani perciò decidono di sposarsi di nascosto.
Il giorno del matrimonio, Romeo si trova coinvolto in una rissa e,
furibondo per l’ uccisine di un suo amico, uccide a sua volta Tebaldo, cugino di Giulietta. Scoperto, è
costretto a fuggire a Mantova.
Intanto Giulietta, per volere della famiglia, sposa un gentiluomo, ma beve un narcotico che la fa sembrare
morta per quarantotto ore.
Frate Lorenzo da ordine di portare a Romeo la notizia per fuggire
insieme a Giulietta, ma il messaggero non arriva al giovane, il quale
crede che la sua amata sia veramente morta. Romeo, colpito dal
dolore, si reca al sepolcro dell’amata e beve un potente veleno che lo fa morire accanto alla sua sposa segreta.
Finito l’ incantesimo,
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Giulietta si sveglia e, compreso l’ accaduto, si trafigge con un pugnale.
Questa famosa commedia di Shakespear sembra confermare le tesi di Lucrezio,poiché la passione amorosa
tra Giulietta e Romeo non li reca altro che affanni; ad esempio la lotta tra le due famiglie si accentua ancora
di più mettendo in difficoltà la coppia, vi è poi l’imposizione da parte dei genitori di Giulietta di sposare un
gentiluomo e la fuga di Romeo a Mantova dopo l’uccisione del cugino di Giulietta .I due non riescono a stare
insieme, il loro amore rimarrà sempre inappagato. L’amore,come sostiene il filosofo, offusca la percezione
della realtà di Romeo e non lo porta alla riflessione ma ad agire d’istinto procurandosi la morte. Secondo una
visione epicurea i ragazzi non avrebbero dovuto farsi coinvolgere dall’amore ma limitare il loro interesse al
piacere fisico che porta ad un appagamento stabile e non comporta successivi dolori.
AMORE E SESSUALITA’ PER I GIOVANI D’OGGI (quarto approfondimento)
L’amore per Lucrezio è visto come la semplice soddisfazione dei propri istinti sessuali. E’
considerato in questo modo anche dai nostri giorni dai giovani?
Abbiamo riscontrato una netta divisione tra i giovani d’oggi per quanto riguarda questo quesito:
alcuni sono più favorevoli alla posizione del poeta latino, altri invece ne sono totalmente contrari.
Secondi alcuni ragazzi, infatti, l’amore al giorno d’oggi provoca affanno e ruba troppo tempo agli
altri impegni quotidiani, perciò questo sentimento non ha rilievo. Altri invece, vedendo nell’amore
una trappola dalla quale è difficile fuggire si lasciano prendere solo da rapporti sessuali occasionali
tralasciando l’innamoramento. All’incirca metà dei ragazzi oggi attribuisce a questo sentimento
grande importanza, non nel suo aspetto prettamente fisico e istintuale ma nella sua parte
emozionale. Le indagini e le statistiche però, fanno notare un’importante rilevanza verso la
posizione del famoso poeta infatti, secondo un articolo pubblicato dal giornale “ Corriere della
Sera” del 3 agosto 2010 per 7 liceali romani su 10 non conta il sentimento. Secondo altre
statistiche, all’incirca due terzi degli studenti universitari italiani hanno dichiarato di non dare
importanza al sentimento e di preferire rapporti occasionali senza impegno. Altre indagini e
statistiche invece, rilevano una netta separazione del 50 % nelle due posizioni rilevate
precedentemente. Sembra insomma che la maggior parte dei giovani confermino la tesi lucreziana:
l’amore provoca quindi disagio, follia e annebbia la ragione.
LUCREZIO E L’ELISIR D’AMORE (quinto approfondimento)
45
I versi di Lucrezio sull’amore,si devono leggere come un monito, realistico e ironico, contro un sentimento i
cui eccessi allontanano il filosofo dalla serenità del proprio equilibrio. L’amore è visto da lui come follia,
come un eccesso sentimentale che sconvolge l’animo allontanandolo dal suo equilibrio razionale.
Lucrezio prosegue affermando che Venere illude gli amanti, ed essi sono poi incapaci di trovare un rimedio
alla loro follia. Le conseguenze di questo amore così stranamente turpe sono molteplici: si perdono le forze,
ci
si distrugge per la fatica,si passa la vita badando a segnali lanciati da altri,le vesti si consumano e,infine,si
sperperano i guadagni dei padri acquistando cose inutili. Dello stesso parere è Adina, la
protagonista dell'opera "L'elisir d'amore" di Gaetano Donizetti, infatti sostiene che l'amore fedele e costante
sia una pazzia e che sia sua usanza cambiar spesso amante. Ella rifiuta in un primo tempo l'amore che
Nemorino nutre nei suoi confronti, infatti dice: " Tu buono e modesto sei, né al par di quel sergente ti credi
certo d'ispirarmi affetto; così ti parlo schietto, e ti dico che invano amor tu speri: che capricciosa io sono, e
non v'ha brama che in me tosto non muoia appena è desta". Infatti Adina preferisce il sergente Belcore, uomo
ricco ma non giovane, a Nemorino e inoltre afferma che sia sua natura essere infedele, di non credere
nell'amore affermando: "Per guarir da tal pazzia, ché è pazzia l'amor costante, dèi seguir l'usanza mia, ogni dì
cambiar d'amante. Come chiodo scaccia chiodo, così amor discaccia amor. In tal guisa io rido e godo, (anche:
io me la godo) in tal guisa ho sciolto il cor". Ma, dopo che Nemorino riceve una sostanziosa eredità, molte
donne incominciano a corteggiarlo, ciò suscita in Adina gelosia e capisce di essere innamorata del giovane
pentendosi del suo comportamento;; i due protagonisti si giurano eterno amore. La trama dell’Opera, in
alcune scene, conferma il pensiero epicureo di Lucrezio riassumibile sottoforma di slogan: “più passione
erotica meno affanni,meno passione amorosa più piaceri”.
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“Eroici furori”
di G. Bruno
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TESTO IV : G. BRUNO
Eroici furori
INTRODUZIONE ALL'OPERA
“L'Elisir d'amore” è un' opera in due atti musicata da Gaetano Donizetti su libretto di Felice Romani.
Definita in partitura melodramma giocoso, rientra a pieno titolo nella tradizione dell'opera comica, anche se
in essa trova ampio spazio l'elemento patetico, che raggiunge la sua punta più alta nel brano più noto: la
romanza cantata dal protagonista Nemorino, Una furtiva lagrima.
L'opera andò in scena per la prima volta il 12 maggio del 1832 al Teatro della Cannobiana di Milano, che
l'aveva commissionata in sostituzione di un'opera.
Fin dal suo apparire, l'Elisir ebbe un grande successo con trentadue repliche consecutive. A farlo amare da
subito dagli appassionati della lirica è in particolare la tipica melodia donizettiana che anche in questo caso
accompagna motivi piacevoli che bene mettono in risalto la vena buffa del compositore bergamasco, capace
di trasformare con agilità inventiva la risata in sorriso, sia pure talvolta velato di malinconia (e la già citata
aria della furtiva lagrima ne è una limpida testimonianza).
TRAMA DELL'OPERA
Mentre i mietitori stanno riposando all'ombra, la loro fittavola Adina legge in disparte un libro che narra la
storia di Tristano e Isotta. Intanto il contadino povero Nemorino la osserva ed esprime per lei tutto il suo
amore e la sua ammirazione, dolendosi della propria incapacità di conquistarla.
I contadini chiedono ad Adina di leggere ad alta voce e lei riferisce la storia di Tristano che, innamorato della
regina Isotta, ricorre a un filtro magico che lo aiuta ad attirare il suo affetto e la sua fedeltà. Mentre
Nemorino sogna di trovare questo magico elisir, arriva al paese il sergente Belcore con lo scopo di arruolare
nuove leve. Egli corteggia
Adina e le propone di sposarlo. Segue un duetto tra Adina e Nemorino in cui la donna espone la sua teoria
sull'amore:
l'amore fedele e costante non fa per lei. Arriva poi il dottor Dulcamara che sfoggia alla gente i propri
portentosi preparati: Nemorino gli chiede se per caso abbia l'elisir che fa innamorare e il ciarlatano gli offre
per uno zecchino una bottiglia di vino Bordeaux, spiegando che l'effetto si farà sentire dopo un giorno
(quando egli sarà già lontano da quel villaggio).
Nemorino beve l'elisir e si ubriaca: ciò lo fa diventare disinvolto quel tanto che basta per mostrarsi
indifferente nei confronti di Adina, che subito prova un certo fastidio, abituata com'è a sentirsi desiderata.
Adina per vendicarsi dell'indifferenza di Nemorino accetta di sposare il sergente, che dovrà partire il giorno
dopo, dunque le nozze saranno celebrate il giorno stesso. Nemorino cerca di convincere Adina ad attendere
fino al giorno successivo (lui sa che solo il giorno dopo avrà effetto l'elisir), ma Adina se ne va da Belcore.
Fervono i preparativi per le nozze. Dulcamara e Adina improvvisano la barcarola a due voci. Quando giunge
il
notaio, Adina dice di voler aspettare la sera, perché vuole sposarsi in presenza di Nemorino per punirlo.
Nemorino vuole comperare un'altra bottiglia di elisir ma non avendo più denaro si arruola tra i soldati di
Belcore per avere la paga. Belcore così ottiene di allontanare il suo rivale. Giannetta sparge la notizia che
Nemorino ha ottenuto una grande eredità da uno zio. Questo non lo sanno né l'interessato, né Adina, né
Dulcamara: la novità fa sì che le ragazze del paese corteggino Nemorino e questi pensa sia l'effetto dell'elisir.
Dulcamara resta perplesso, Adina si ingelosisce. Dulcamara le racconta di aver venduto a Nemorino l'elisir e
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lei capisce di essere da lui amata. Nemorino gioisce quando si accorge di una lacrima negli occhi di Adina.
Adina riacquista il contratto di arruolamento di Nemorino e glielo consegna, invitandolo a restare nel paese.
Nemorino è deluso, vorrebbe una dichiarazione d'amore che non arriva e allora dichiara di volersene andare:
solo allora Adina cede e dichiara di amarlo. Belcore conclude che in un altro paese troverà qualche altra
ragazza da corteggiare, Dulcamara se ne va trionfante per il successo del suo elisir.
GIORDANO BRUNO
VITA
Giordano Bruno nacque a Nola nel 1548 ed all'età di quindici anni entrò, a Napoli, nell'ordine domenicano,
che fu però costretto ad abbandonare dopo una decina di anni a causa di un'accusa di eresia.
Peregrinò per un primo periodo in Italia, rifugiandosi successivamente a Ginevra, dove si avvicinò per
qualche tempo alla dottrina calvinista. Non tollerando il regime teocratico imperante in questa città, si recò
successivamente a Parigi, dandosi all'insegnamento dell'astronomia e della filosofia.
Nel 1583, si stabilì a Londra, al seguito dell'ambasciatore francese presso la corte d'Inghilterra, città in cui
rimase fino al 1585 (è a questo periodo che appartiene la pubblicazione delle sue opere maggiori).
Dopo un breve ritorno a Parigi, si trasferì a Wittenberg, a Praga e a Francoforte.
Nel 1591 ritornò in Italia, a Venezia, dietro l'invito del patrizio Giovanni Mocenigo, il quale, da lì a poco, lo
denunciò all'Inquisizione. Tratto in arresto sotto l'accusa di eresia, in un primo momento Bruno decise di
sottomettersi all'autorità della Chiesa, ma, trasferito a Roma, ricusò poi la ritrattazione delle sue dottrine.
Rimasto in carcere per sette anni, venne condannato al rogo ed arso vivo il 17 febbraio del 1600 in Campo di
Fiori a Roma.
PENSIERO
Giordano Bruno afferma che l'universo è infinito: poiché è infinita la sua causa, Dio, infinito sarà anche
l'effetto. Dio è una mens super omnia ma è anche una mente interna e presente in ogni cosa, è causa
infinita, ma anche principio immanente della realtà. L'uomo coglie in sé l'infinita potenzialità della natura e
si sforza di tradurla in atto con l'azione ed il pensiero, cercando di affermarsi con le opere, vincendo la
propria natura ferina. L'eroico furore ha come fine supremo la contemplazione della bellezza divina
nell'universo, è espressione e passione di conoscenza, inquietudine e aspirazione all'infinito.
CONCEZIONE DELL'AMORE
Il tema dell'amore è uno degli elementi centrali della complessa metafisica bruniana. Per Bruno l'amore è il
vincolo fondamentale, il vincolo dei vincoli. Già nel De Vinculis in genere egli cerca di spiegare come tutti i
vincoli “o si riconducano al vincolo d'amore o ne dipendano o addirittura consistano in esso”. “L'amore”
sostiene Bruno “è il fondamento di tutte le passioni. Chi non ama nulla, non ha motivo di vivere. Per il
filosofo di Nola, l’amore è il motore primo di tutte le cose viventi: “È per virtù dell’amore che tutto è stato
prodotto, e l’amore è in tutto. L’amore riscalda ciò che è freddo e illumina ciò che è oscuro”. Questi concetti
verranno ulteriormente approfonditi negli Eroici furori, in cui viene descritta l'esperienza del vincolo di
amore. L'opera si presenta sotto forma di un dialogo tra il furioso Tansillo e il sapiente Cicada. Le figure da
queste rappresentate sono relative a due esperienze di vita considerate in contrapposizione. Da un lato il
sapiente, estraneo ad ogni passione, lontano da ogni vincolo di cui l'amore costituisce il supremo
fondamento. Il sapiente mantiene un atteggiamento di distaccata osservazione dell'esistenza dall'altro il
furioso, vincolato dall'amore, vive dentro di sé nell'anima e nel corpo tutte le passioni. Vizio, passione,
vincolo d'amore, costituiscono la vita del furioso e pure, sostiene Bruno, solo nel vincolo di amore può essere
aperta la strada verso la verità.
Il passo che riportiamo è tratto dal quarto dialogo degli Eroici furori. In esso Bruno mostra come la passione
amorosa possa far penetrare il soggetto così profondamente nell'intimità della cosa amata da trasformarlo in
essa, consentendogli una contemplazione della verità che allo stesso tempo ne implica la partecipazione.
Il mito di Atteone e Diana
“Alle selve i mastini e i veltri slaccia
il giovan Atteon, quand'il destino
gli drizz'il dubio ed incauto camino,
di boscareccie fiere appo la traccia.
Ecco tra l'acqui il più bel busto e faccia,
che veder poss'il mortal e divino,
in ostro ed alabastro ed oro fino
vedde, e 'l gran cacciatore dovenne caccia.
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Il cervio ch'a' più folti luoghi drizzav'i
passi più leggieri
ratto vorâro i suoi gran cani e molti.
L'allargo i miei pensieri
ad alta preda, ed essi a me rivolti
morte mi dàn con morsi crudi e fieri.”
Dopo aver esposto il breve mito, Bruno passa a darne una spiegazione.
Atteone è la metafora dell'intelletto dell'uomo alla ricerca della verità, identificata da Bruno nella “divina
sapienza” e nella “beltà divina”.
Atteone è accompagnato da “mastini e veltri”, dei quali i primi sono più veloci, i secondi più forti. Essi
simboleggiano i pensieri e i desideri, le volizioni. Così i mastini, rappresentano i pensieri, i processi
intellettuali, che precedono le volizioni, ma che sono più deboli di esse. Questa subordinazione dei pensieri
alla volontà, deriva dalla constatazione che per l'uomo, la bontà e la bellezza (supreme virtù per la filosofia
platonica, da cui Bruno è influenzato), non sono comprese intellettualmente, ma amate sentimentalmente.
Quindi i sentimenti e le volizioni muovono l'intelletto verso ciò che l'uomo ama.
Atteone e i cani, si trovano “alle selve” , ovvero nei luoghi dell'intelletto, poco frequentati e aspri (ricordiamo
che per Bruno solo pochi uomini sono destinati ad essere filosofi, solo pochi possono aspirare alla verità
intellettuale), ma in cui “non sono impresse l'orme de molti uomini”, ovvero dove coloro che sono abbastanza
dotati possono lasciare un seno intangibile.
Il giovane Atteone è poco esperto e il suo cammino è dubbio, in quanto egli ha scelto di vivere nel modo più
difficile, alla ricerca di qualcosa di sfuggente.
Ma la sua perseveranza viene premiata, in quanto giunge a contemplare, prima le fiere del bosco, poi, anche
se solo in un riflesso, la figura della divinità della natura, Diana.
Quindi, il ricercatore, il filosofo, si trova a dover patire difficoltà e sofferenza, costretto ad un continuo vagare
intellettuale, a dover lottare per l'affermazione delle proprie idee. Ma questa ricerca lo porta a vedere prima i
concetti ideali, le “boschereccie fiere”, poi il riflesso intellettuale della Natura, elevata a divinità. Essa è la
cosa più bella che si possa contemplare, “il più bel busto e faccia”. Ovvero essa è ciò a cui aspira la mente
dell'uomo, che ricerca continuamente ciò di cui è innamorata, cioè la Natura, seguendo gli stadi dell'amore
platonico descritto nel Simposio.
Diana è descritta con iperboli letterarie, così il bianco diventa d'alabastro, il biondo d'oro, il rosso d'ostro.
Atteone, diventato “gran cacciatore”, raggiunta e compresa, la meta del suo vagare, ovvero l'oggetto della sua
ricerca amorosa, “dovenne caccia”, ovvero diviene preda, diviene natura egli stesso.
Ma perché avviene questa unione? Bruno, come gli scolastici precedenti, crede che le cose vengano percepite
conformandosi al percepiente, così Atteone, che vuole amare la Natura, cioè Diana, rimane catturato da essa,
nel momento in cui l'intelletto non può più staccarvisi, in quanto innamorato di essa. Ma se Atteone diventa
natura, i suoi cani, ovvero i suoi pensieri e le sue volizioni, che cercano incessantemente la natura stessa, non
possono che riconsiderarlo come preda, quindi egli stesso sa di esser diventato il massimo a cui può aspirare,
in altre parole trova la divinità in sé stesso (“non era necessario di cercare fuor di sé la divinità”).
Atteone, diventato Natura, fuggendo dai suoi stessi pensieri, spinto da essi, può muoversi in maniera ed in un
mondo nuovo, egli, può concepire finalmente il mondo come qualcosa di nuovo, un tutto unico meraviglioso.
Così egli si muove verso “luoghi più folti”, cioè verso le regioni dell'intelletto inaccessibili a chi non
concepisce il mondo come un Uno-Tutto, cioè all'uomo che non riconosce di essere preso d'amore verso la
Natura.
Alla fine Atteone viene sbranato dai propri cani, giungendo a concludere la propria vita come individuo, per
cominciare una nuova vita completamente intellettuale.
L'uomo, quindi, è spinto a ricercare la Natura dall'amore, quando la trova è spinto ad unirsi a lei,
annullandosi come individuo, dall'eroico (da eròs) furore.
L'AMORE DI G. BRUNO IN ROMEO E GIULIETTA
Ci sembra opportuno infine, riflettere sul significato che G.Bruno attribuisce all'amore e quali opere potrebbe
essere affini a questa sua concezione.
Un esempio significativo dell'amore come vincolo supremo è quello riportato in Romeo e Giulietta. Romeo
Montecchi si reca mascherato a un ballo dei Capuleti, dove vede Giulietta Capuleti e si innamora
perdutamente di lei. A fine ballo, Romeo scavalca il muro della casa dei Capuleti, e nascosto sotto il balcone
di Giulietta, dove la loda con il suo amore, scopre, sentendola parlare affacciata al balcone che è ricambiato, e
i due innamorati decidono di sposarsi i segreto, in quanto le famiglie erano in conflitto tra loro.
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Il giorno seguente Padre Lorenzo li sposa, ma le cose cominciano ad andare male per i due giovani: Romeo
incontra Tebaldo, cugino di Giulietta, e anche se viene offeso da quest'ultimo, rifiuta di battersi per la nuova,
segreta parentela che li unisce. Interviene Mercuzio, parente del Principe e amico fidato di Romeo, che però
viene ucciso da Tebaldo: Romeo deve vendicare l'amico, e così dopo un duello riesce ad uccidere Tebaldo. Il
Principe di Verona lo bandisce dalla città, così Romeo dopo una notte con Giulietta fugge a Mantova.
Nel frattempo Lord Capuleti vuole che Giulietta sposi il conte Paride, e Giulietta pur di non unirsi in
matrimonio con lui accetta la proposta di Padre Lorenzo, una messa in scena in cui lei finga di acconsentire
alle nozze e alla vigilia di esse beva una pozione che le dia morte apparente, da cui si svegli dopo quarantadue
ore per fuggire con il suo Romeo. Ma Romeo viene solo a conoscenza della morte della sua amata Giulietta,
perciò si procura un veleno e corre a Verona. Davanti a Giulietta, Romeo le dà l'ultimo saluto, beve la pozione
e muore. Giulietta si risveglia subito dopo, e vedendo il suo Romeo a terra morto, decide di uccidersi,
dapprima controllando se è presente dell'altro veleno nella fiala, però vuota, poi baciando le labbra ancora
calde di Romeo e infine compie il suo suicidio pugnalandosi in mezzo al seno con il pugnale di Romeo,
accasciandosi sul corpo dell'amato.
Quest'opera dimostra come l'amore sia un vincolo così importante senza il quale la vita non ha senso di
essere vissuta, come sosteneva Giordano Bruno.
Infatti in Romeo e Giulietta, l'amore si può definire come “vincolo supremo” in quanto i due innamorati
decidono di uccidersi sapendo di dover vivere senza la persona amata. Questo dimostra che non c'è niente
più importante dell'amore, nemmeno la vita.
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APPENDICE
“BREVE STORIA
DELL’ALCHIMIA”
52
A.1- L’ELISIR E LA PIETRA FILOSOFALE
Elisir è un vocabolo del sec. XVI derivato dal francese élixir; il termine élixir risale dall'arabo al iksir che, a sua volta, era stato tratto
dagli alchimisti arabi dal greco xërós, secco. Il significato originario era quello di parte essenziale di una materia che gli alchimisti
indicavano con pietra filosofale, in arabo alkimiya. La pietra filosofale era ricercata dagli alchimisti in quanto essi credevano potesse
trasformare i metalli in oro e produrre l'elisir di lunga vita. Inoltre, gli alchimisti, che basavano la loro scienza sul principio di
scambio equivalente (per ottenere una sostanza di un determinato valore, bisognava sacrificare una medesima quantità di un'altra
sostanza del medesimo valore) ritenevano che la pietra filosofale permettesse di disobbedire a questo principio senza comportare
conseguenze. Oggi con elisir si intende una preparazione farmaceutica liquida per uso orale costituita da una soluzione idroalcolica
aromatizzata o un liquore concentrato e denso, a base di erbe o sostanze medicinali poste in infusione nell’alcol.
A.2- PROCEDIMENTO E GRADI DELL’OPERA ALCHEMICA
L'“opus alchemicum” finalizzata ad ottenere la pietra filosofale si svolgeva tramite sette procedimenti. Il sette era un numero
magico infatti sette erano i metalli (oro, argento, rame, stagno, mercurio, ferro e piombo), legati ai sette astri (Sole, Luna, Venere,
Giove, Mercurio, Marte e Terra) che, a loro volta, erano legati con le sette viscere dell'uomo e, addirittura, con le sette note e con i
sette colori. La simbologia usata per designare questi e quelli era la stessa e ciò indicava la visione globale e unitaria che ispirava
l’alchimia. I sette procedimenti si suddividevano in quattro operazioni (1-putrefazione 2-calcinazione 3-distillazione 4sublimazione), e in tre fasi (1-soluzione 2-coagulazione 3-unione). Attraverso questi sette procedimenti la materia prima, mescolata
con lo zolfo e il mercurio e scaldata nella fornace, l’atanor, si trasformava gradualmente, passando attraverso vari stadi,
contraddistinti dal colore assunto dalla materia durante la trasmutazione: il loro numero varia, a secondo degli autori, da tre a dodici
è legato al significato magico dei numeri. Gli stadi fondamentali sono: 1-nigredo, opera al nero, in cui la materia si dissolve,
putrefacendosi; 2-albedo, opera al bianco, durante la quale la sostanza si purifica, sublimandosi; 3-rubedo o opera al rosso, che
rappresenta lo stadio finale. Dei procedimenti alchemici, molti dei quali espressi in formule magiche, si è servita anche la chimica
moderna. Un antico scritto racconta allegoricamente la tra svalutazione dei metalli: una femmina genera sette figli, i sette metalli.
Due di essi, l'oro e l'argento, divengono re; gli altri rimangono servi. Un giorno uno di questi si reca dalla madre per lamentarsi della
sua sorte; la madre, mossa a pietà, gli dice che sciogliendosi nelle ultime particelle che lo compongono (opera al nero) e ritornando
nel seno materno (opera al bianco) esso potrà giungere alla perfezione (opera al rosso).
A.3-LE DUE STRADE ALCHEMICHE
Gli studi dei testi alchemici hanno riscontrato due tipi di alchimia, l’alchimia fisica e l’alchimia spirituale, quest’ultima ritenuta il
vero obiettivo; in tal senso l’alchimia fisica non è altro che la metafora per indicare l’obiettivo del vero alchimista: la trasmutazione
dell’impuro in puro, del negativo in positivo, della materia in spirito. I metalli (ma anche gli astri e le viscere) erano legati alle
qualità morali dell’uomo: il piombo corrispondeva alla massima imperfezione della materia e anche alla massima imperfezione
morale; l'oro corrispondeva alla perfezione. Il parallelismo tra la trasmutazione del piombo, il metallo più vile, in oro, il metallo
perfetto, con il raggiungimento spirituale della perfezione originaria dell’uomo, diventa così chiaro. Coloro che hanno colto soltanto
l’aspetto fisico dell’alchimia sono divenuti, nella migliore delle ipotesi, esperti chimici e sperimentatori, ma molti si sono persi dietro
l’idea di ricchezza e potere. Chi ha seguito la via dello spirito per la sete di potere ha fallito. Chi ha intrapreso la via dello spirito
ispirato dalla conoscenza e dal bene si è elevato divenendo signore a se stesso nel governo delle passioni, del proprio corpo e della
natura, non per acquisire potere, ma nella convinzione che sacrificandosi alla conoscenza l’alchimista avrebbe fatto il bene
dell’umanità. Nel termine Al-Kimia, infatti, il prefisso Al ha il significato di Essere Supremo; etimologicamente, dunque,
l’alchimia è la scienza di Dio, la scienza che conduce l’uomo di buona volontà a risvegliare in sé la scintilla divina ponendosi, come
sosteneva Spinoza, dal punto di vista di Dio.
Il nostro lavoro prenderà in considerazione l’alchimia spirituale attraverso i testi di filosofi a te noti
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A.4-IL FINE MORALE DELL’ALCHIMIA
L’alchimia rappresenta dunque un percorso di messa in atto delle potenzialità spirituali.
Nel periodo umanistico-rinascimentale il mago alchimista ricercava le leggi universali del cosmo di cui l’uomo, in quanto essere
cosciente, era ritenuto il centro e quindi l’unico in grado di congiungersi coscientemente al principio.
I sedicenti maghi contemporanei hanno completamente obliato la via dei maghi che, dall’antico Egitto al Rinascimento,
guardavano all’uomo come ad un microcosmo in cui l’eterogeneità del tutto può armonizzarsi, elevarsi, ascendere.
L’uomo infatti, come sosteneva Pico della Mirandola, ha la possibilità di elevarsi o di abbassarsi.
(v. testo III, P. della Mirandola)
A.5-LA VOLGARIZZAZIONE DELL’ALCHIMIA
La degenerazione dell’ideale etico e metafisico degli alchimisti è stato possibile in quanto i più, fraintendendolo, non ne hanno
compreso il senso spirituale e, interpretando alla lettera le formule alchemiche, lo hanno ridicolizzato o, per tutta la loro vita,
hanno rincorso il sogno di una facile ricchezza cercando la formula che trasmutasse i metalli in oro.
Il percorso alchemico, partiva dalla concezione panteistica di una legge universale che governa il tutto e che solo nell’uomo può
divenire consapevole. Le discipline che, soprattutto dalla Rivoluzione scientifica ad oggi, sono nate dalla frattura tra spirito
(psicologia, psichiatria, ecc.) e materia (chimica, medicina occidentale, fisica, ecc.) rinviano l’immagine di un uomo “spezzato”, che
finisce per disperdere e disconoscere le proprie infinite potenzialità.
Se gli studi alchemici hanno sotteso lo sviluppo della chimica, non era certo questo il loro intimo scopo, ma solo la tappa iniziale di
un percorso che avrebbe portato l’alchimista ad elevarsi sulle ristrettezze del mondo fisico. Tanto le scienze della natura quanto le
scienze umane sono buone scienze, ma, per un alchimista, parziali e soggette all’errore etico in quanto con nessuna di esse l’uomo
può compiersi compiersi: le diverse scienze, non cercando il senso del tutto, non partendo dall’idea di un unico principio unitario da
cui tutto origina e a cui tutto torna, perdono l’uomo metafisico, l’uomo microcosmo.
C. Lévy Strauss, in una delle sue opere più note, Il pensiero selvaggio, sostiene che la magia è una forma indipendente di
conoscenza, diversa e non paragonabile alla scienza, ma non per questo meno feconda.
(testo IV, A.J. Pernety)
A.6-IL LINGUAGGIO ALCHEMICO
“Ciò di cui non si può parlare, meglio tacere” sosteneva Wittgenstein, filosofo del linguaggio scientifico che ispirò il
Neopositivismo:
con la sua espressione denuncia i limiti del linguaggio verbale quando esso voglia spingersi al di là della “fisica”, di ciò che è
esperibile. Prima di lui i sofisti avevano sostenuto che l’assoluto, ammesso ci fosse, sarebbe stato incomunicabile.
Diversamente dai segni del linguaggio verbale, le raffigurazioni simboliche riescono ad esprimere in modo globale un concetto, in
una sintesi che unisce domanda e risposta, origine e fine, dubbio e dissoluzione del dubbio. In tal modo il simbolo pone l’uomo di
fronte all’enigma e alla sua risoluzione, contemporaneamente; è in tal senso che gli alchimisti rinascimentali interpretarono la
scrittura geroglifica degli antichi egizi.
Gli animali fantastici e i basilischi, citati nelle opere alchemiche, esprimono la correlazione sintetica di elementi che,
comunemente, vengono visti come separati se non addirittura inconciliabili. Gli animali fantastici, che raccontano in modo
simbolico caratteristiche umane, denunciano che ogni aspetto della realtà, dal minerale alla pianta all’uomo, è l’espressione,
diversamente evoluta, di un unico principio, e che tutti gli essere, pur diversi tra loro, rispondono alle stesse leggi universali, uomo
compreso; ma è solo quest’ultimo ad essere in grado di prenderne consapevolezza. Fra i simboli allegorici frequentemente usati,
volutamente criptici, c'erano animali mostruosi come il Drago, il Grifone, la Sirena, la Fenice, l'Unicorno. Gli animali alati, ad
esempio, simboleggiavano la natura volatile del mercurio e quelli di terra rappresentavano la statica dello zolfo.
Un’altra modalità comunicativa è il linguaggio numerico di tipo pitagorico (v. paragrafo 2). Da qui l’interesse degli alchimisti anche
per la Kabala ebraica. Così ebbe a dire Pico della Mirandola nelle sue Conclusioni magiche: "Dai principi più riposti della filosofia
bisogna ammettere che nell'opera magica caratteri e figure possono più di quanto qualsiasi qualità materiale" (Conclusione n.24);
"Come i caratteri sono propri dell'opera magica, così i numeri sono propri dell'opera cabalistica e tra gli uni e gli altri si inserisce
come medio l'uso delle lettere" (Conclusione n.25).
(v. testo I, G. Bruno)
A.7-L’ERMETISMO DEL LINGUAGGIO ALCHEMICO
Per quali motivi gli alchimisti non parlano chiaramente? Perché utilizzano un linguaggio incomprensibile ai più o che si può
facilmente travisare? Non sono pochi, infatti, coloro che cercando di usare le formule degli alchimisti hanno ottenuto soluzioni
improbabili o addirittura venefiche.
Ma se gli alchimisti miravano all’uomo e alla sua crescita spirituale perché non hanno scritto chiaramente?
Semplicemente perché ciò che è crescita interiore non può essere oggettivata, esportata, trasmessa, ma deve essere suscitata in
coloro che sono pronti o “pieni” come diceva Socrate al discepolo Teeteto, o come riteneva Gesù di Nazareth che, riferendosi alla
moltitudine di coloro che lo ascoltavano, disse ai propri discepoli :“A loro parlo in parabole”, e ancora: “Chi ha orecchi intenda”,
“Non date le perle ai porci, perché vi si potrebbero rivoltare contro”.
(testo IV, A.J. Pernety)
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BREVE STORIA DELL’ALCHIMIA OCCIDENTALE
(Dalla
voce Alchimia nel sito internet: it.wikipedia.org/wiki/)
B.1 PREMESSA. ALCHIMIA NELL'ANTICO EGITTO: ERMETE TRISMEGISTO
Gli alchimisti occidentali generalmente fanno risalire l'origine della loro arte all'antico Egitto. Metallurgia e misticismo erano inesorabilmente legati
insieme nel mondo antico, in cui una cosa come la trasformazione dell'oro grezzo in un metallo scintillante doveva sembrare un atto governato da
regole misteriose.
La città di Alessandria in Egitto fu un centro di conoscenza alchemica, e conservò la propria preminenza fino al declino della cultura egiziana
antica. Sfortunatamente non esistono documenti originali egizi sull'alchimia. Questi scritti, qualora fossero esistiti, andarono perduti nell'incendio
della Biblioteca di Alessandria, nel 391 ad opera dei cristiani integralisti. L'alchimia egiziana è per lo più conosciuta attraverso le opere di antichi
filosofi greci, sopravvissute solamente nelle traduzioni islamiche.
La leggenda vuole che il fondatore dell'alchimia egiziana fosse il dio Thot, chiamato Ermes Trismegisto dai Greci, il “Tre volte grande”
Secondo la leggenda il dio avrebbe scritto i quarantadue libri della conoscenza, che avrebbero coperto tutti i campi dello scibile, fra cui anche
l'alchimia. Il simbolo di Ermes era il caduceo, che divenne uno dei principali simboli alchemici. La Tavola di Smeraldo di Ermes Trismegistus, che è
nota solamente attraverso traduzioni greche ed arabe, è generalmente considerata la base per la pratica e la filosofia alchemica occidentale.
B.2 ALCHIMIA GRECO-ALESSANDRINA ED ELLENISTA
I Greci si appropriarono delle dottrine ermetiche degli Egiziani, mescolandole, nell'ambiente sincretistico della cultura alessandrina, con il
pitagorismo e con la scuola ionica.
La filosofia pitagorica consiste essenzialmente nella credenza che i numeri governino l'universo e che siano l'essenza di tutte le cose, dal suono alle
forme.
Il pensiero della scuola ionica era basato sulla ricerca di un principio unico e originario per tutti i fenomeni naturali; questa filosofia, i cui esponenti
principali furono Talete ed Anassimandro, fu poi sviluppata da Platone ed Aristotele, le cui opere finirono per diventare parte integrante dell'alchimia.
Si delinea, come base della nuova scienza, la nozione di una materia prima che forma l'universo, l’archè, che nei secoli a venire sarà chiamata
sostanza, e che può essere spiegata solamente attraverso attente esplorazioni filosofiche. Un concetto molto importante, introdotto in quel tempo da
Empedocle, è che tutte le cose nell'universo erano formate solamente da quattro elementi: terra, aria, acqua e fuoco. A questi elementi Aristotele
aggiunge l'etere, la materia di cui sono formati i cieli e che viene denominata quintessenza.
Nei primi secoli dell'età imperiale, in età ellenistica, si sviluppò una letteratura di carattere filosofico-soteriologico-religiosa, che pretendeva di
rifarsi alla rivelazione da parte del dio Thot-Ermete, da cui il nome di letteratura ermetica. Il supporto dottrinale di questa letteratura era una
forma di metafisica che si rifà al Neoplatonismo ed al Neopitagorismo.
Nel II secolo sarebbero stati scritti anche gli Oracoli caldaici, dei quali sono pervenuti solo frammenti, che presentano molte analogie con gli scritti
ermetici. Gli Oracoli caldaici rappresenterebbero una fusione tra il patrimonio filosofico greco e la gnosi ermetica, nella quale la “grande opera”
assume i connotati di una tecnica tramite cui l’iniziato tende alla realizzazione interiore e cosmica.
Tra gli alchimisti ellenistici vanno citati Bolo di Mende e Zosimo di Panopoli primo autore che abbia scritto opere alchemiche in modo sistematico e
firmando la propria creazione.
B.3 ALCHIMIA NELL'EUROPA MEDIEVALE
Nell'alto Medioevo gli alchimisti si concentrarono nella ricerca dell'elisir della giovinezza e della pietra filosofale, credendo che fossero entità
separate. In quel periodo molti di loro interpretavano la purificazione dell'anima allegoricamente con la trasmutazione del piombo in oro.
Questi individui erano visti come maghi e incantatori da molti, e furono spesso perseguitati per le loro pratiche.
Dopo essere caduta alquanto in disuso durante l'alto Medioevo, l'Occidente riprende contatto con la tradizione alchemica greca attraverso gli
Arabi. L'incontro tra la cultura alchemica araba ed il mondo latino avviene per la prima volta in Spagna, probabilmente ad opera di Gerberto di
Aurillac, che più tardi divenne Papa Silvestro II, (morto nel 1003).
Il rientro vero e proprio dell'alchimia in Europa viene in genere fatto risalire al XII sec. d.C., quando Roberto di Chester tradusse dall'arabo il Liber
de compositione alchimiae, un libro dai forti connotati iniziatici, mistici e esoterici, nel quale un saggio, Morieno, erede del sapere di Ermete
Trismegisto (v. alchimia egiziana), insegna al Re Calid.
Il materiale alchimistico dei testi arabi verrà rielaborato durante tutto il XIII secolo. Alberto Magno (1193-1280) affronta la tematica alchemica nel
De mirabilibus mundi[31] e nel Liber de Alchemia di incerta attribuzione. A Tommaso d'Aquino (1225-1274) vengono attribuiti alcuni opuscoli
alchemici, nei quali è dichiarata la possibilità della produzione dell'oro e dell'argento.
Il primo vero alchimista dell'Europa medievale deve essere considerato Roger Bacon (1241-1294), conosciuto in Italia come Ruggero Bacone, un
francescano: tra le sue opere, il Breve Breviarium, il Tractatus trium verborum e lo Speculum Alchimiae, oltre ai numerosi pseudo-epigrafi a lui
attribuiti, furono utilizzate dagli alchimisti dal XV al XIX secolo[32].
Alla fine del XIII secolo l'alchimia si sviluppò in un sistema strutturato di credenze, grazie anche all'opera di Arnaldo da Villanova (ca. 1240-ca.
1312), con il suo Rosarium Philosophorum[33], e soprattutto con Raimondo Lullo (1235-1315), che divenne presto una leggenda per la sua presunta
abilità alchemica[34].
Nel XIV secolo l'alchimia ebbe una flessione a causa dell'editto di Papa Giovanni XXII, "Spondent Pariter", che ammoniva contro l'esercizio e
l'uso dell'Alchimia, la quale rimase comunque oggetto di conoscenza anche per il Papa, del quale venne pubblicato postumo, nel 1557 il trattato "Ars
Trasmutatoria".
L'alchimia fu comunque tenuta viva da uomini come Nicholas Flamel, il quale è degno di nota solamente perché fu uno dei pochi alchimisti a scrivere
in questi tempi travagliati. Flamel visse dal 1330 al 1419 e sarebbe servito da archetipo per la fase successiva della pratica alchemica. Il suo unico
interesse per l'alchimia ruotava intorno alla ricerca della pietra filosofale; in anni di paziente lavoro riuscì a tradurre il mitico Libro di Abramo
l'ebreo, che avrebbe acquistato nel 1357, e che gli avrebbe rivelato i segreti per la costruzione della pietra dei filosofi.
Vi sono studi che leggono l’architettura delle cattedrali gotiche, quali Notre Dame di Parigi o il Duomo di Milano, come costruzioni alchemiche in cui
non vi è nulla dicasuale in quanto la cattedrale rappresenta nel suo insieme il viaggio dell’alchimista.
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B.4 ALCHIMIA NEL RINASCIMENTO E NELL'ETÀ MODERNA
Nel contesto delle idee del Cinquecento è impossibile delimitare una disciplina scientifica dall'altra, come anche tracciare molte linee di separazione
tra il complesso delle scienze da un lato e la riflessione speculativa e magico-astrologica dall'altro: in questo periodo magia e medicina, alchimia e
scienze naturali e addirittura astrologia e astronomia operano in una sorta di simbiosi, legate le une alle altre in modo spesso inestricabile.
Agli inizi del XVI secolo uno dei maggiori interpreti di questo coacervo di discipline scientifiche fu il medico, astrologo, filosofo e alchimista
Heinrich Cornelius Agrippa von Nettesheim, 1486-1535. Costui credeva di essere un mago e di essere capace di evocare gli spiriti. La sua influenza
fu di modesta entità, ma come Flamel, produsse opere, fra le quali il De occulta philosophia, alle quali fecero riferimento tutti gli alchimisti
posteriori.
Il nome più importante di questo periodo è, senza dubbio, Paracelso, (Theophrastus Bombastus von Hohenheim, 1493-1541), il quale diede una
nuova forma all'alchimia, spazzando via un certo occultismo che si era accumulato negli anni e promuovendo l'utilizzo di osservazioni empiriche ed
esperimenti tesi a comprendere il corpo umano. Prese le distanze dalle tradizioni gnostiche e dalle interpretazioni magiche, pur mantenendo molto
delle filosofie ermetiche, neoplatoniche e pitagoriche. Per Paracelso l'alchimia era la scienza della trasformazione dei metalli reperibili in natura per
produrre composti utili per l'umanità. La iatrochimica di Paracelso era basata sulla teoria che il corpo umano fosse un sistema chimico nel quale
giocano un ruolo fondamentale i due tradizionali principi degli alchimisti, e cioè lo zolfo ed il mercurio, ai quali lo scienziato ne aggiunse un terzo: il
sale. Paracelso era convinto che l'origine delle malattie fosse da ricercare nello squilibrio di questi principi chimici e non dalla disarmonia degli
umori, come pensavano i galenici. Quindi, secondo lui, la salute poteva essere ristabilita utilizzando rimedi di natura minerale e non di natura
organica.
Nel frattempo, nonostante la legge promulgata dal Consiglio dei 10 il 17.12.1488 che vietava severamente lo studio e la pratica dell'Alchimia, venne
creata a Venezia una società segreta alchemica, chiamata Voarchadumia, attiva tra il 1450 e il 1490. Questa aveva ramificazioni internazionali, tra
i membri più conosciuti Sir George Ripley. Il sacerdote veneziano Giovanni Agostino Pantheus pubblicò il trattato "Voarchadumia, l'oro dei due rossi
e della cementificazione perfetta”, dedicandolo al doge Andrea Gritti. Pantheus dedicò inoltre un trattato al suo amico polacco Hierosky, grande
conoscitore di testi alchemici. Le opere di Pantheus crearono per la prima volta un sincretismo tra Alchimia e Kabbalah. Nel 1585 il nobile veneziano
Francesco Malipiero venne condannato a morte per magia, stragoneria ed alchimia.Nello stesso periodo un alchimista al servizio di Enrico I di
Buglione ottenne dallo stesso, dopo avergli trasmesso una ricetta per fare l'oro, un finanziamento per andare ad un convegno di alchimisti a
Venezia.Uomini all'avanguardia, artigiani attenti e chimici sopraffini che conservarono per secoli i loro misteri, gettando nella laguna le prove mal
riuscite di colori o lavorazioni: tutt'ora, nonostante lo svilimento di certe "cose che neanche lontanamente si avvicinano agli originali" vengono
proposte da qualche bancarella (magari abusiva), opere d'arte di incredibile raffinatezza ed eleganza vengono prodotte ancora a Murano, proseguendo
un'arte che è unica e che deve essere protetta ed aiutata.
Anche molti artisti, come per esempio il Parmigianino, e persino personalità politiche del periodo si interessarono all'alchimia. Tra questi: Caterina
Sforza, Francesco I de' Medici, nel cui studiolo di Palazzo Vecchio fece dipingere allegorie alchimistiche da Giovanni Stradano, e Cosimo I de'
Medici.
In Inghilterra, l'alchimia nel XVI secolo è spesso associata al dottor John Dee (1527-1608), meglio conosciuto per il suo ruolo di astrologo,
crittografo ed in generale "consulente scientifico" della regina Elisabetta I d'Inghilterra. Dee si interessò anche di alchimia tanto da scrivere il libro
Monas Hieroglyphica, (1564) influenzato dalla Cabala.
Il filosofo Geymonat dice: “Nel rinascimento Magia ed astrologia possedevano un carattere operativo , che conduceva gli uomini ad operare sul
mondo , infondendo in loro fiducia nei risultati di queste operazioni. Perciò avevano una funzione positiva stimolavano la ricerca sviluppavano il
progresso. Condannarla in modo sommario , perché in antitesi dello spirito della scienza moderna sarebbe un errore nelle grandi menti che hanno
fatto proprio la storia della scienza storico, vorrebbe dire pretendere di giudicare il passato con lo steso metro con cui giudichiamo il presente." Infatti
scienza e alchimia hanno convissuto nella menti eccelse di molti di coloro ai quali oggi vengono si riconosce un ruolo fondamentale nel cammino
della scienza sperimentale, come Galilei e Newton.
B.5 IL DECLINO DELL'ALCHIMIA OCCIDENTALE
Sir Isaac Newton, uno dei padri della scienza moderna e personalità molto complessa, si dedicò a ricerche, magiche ed alchemiche; dietro questo
grande uomo di scienza si trovava un grande appassionato ed esperto di alchimia e di magia, che cercava di andare oltre le semplici leggi meccaniche,
per scoprire le leggi del “movimento della vita”, della crescita degli organismi, che non possono essere solo meccaniche. Egli non vedeva contrasto
tra scienza ed alchimia; non per niente Newton scrisse: “Dio era un grande alchemista”.
Tuttavia il declino dell'alchimia in Occidente fu causato, in parte, proprio dalla nascita della scienza moderna con i suoi richiami a rigorose
sperimentazioni scientifiche.
Nel XVII secolo Robert Boyle (1627-1691) diede l'avvio al metodo scientifico nelle investigazioni chimiche, alla base di un nuovo approccio alla
comprensione della trasformazione della materia, che di fatto rivelò la futilità delle ricerche alchemiche della pietra filosofale.
Anche gli enormi passi avanti compiuti dalla medicina nel periodo seguente la iatrochimica di Paracelso, supportati dagli sviluppi paralleli della
chimica organica, diedero un duro colpo alle speranze dell'alchimia di reperire elisir miracolosi, mostrando l'inefficacia se non la tossicità dei suoi
rimedi.
Ridotta ad arcano sistema filosofico, scarsamente connesso al mondo materiale, l'Ars magna subì il fato comune di altre discipline esoteriche quali
l'astrologia e la cabala; esclusa dagli studi universitari e ostracizzata dagli scienziati, si cominciò a guardare ad essa come all'epitome della
superstizione.
A livello popolare, tuttavia, l'alchimista era ancora considerato come il depositario di grandi saperi arcani. Facendo leva sulla credulità popolare,
molti imbroglioni si attribuirono titoli di guaritore e per dimostrare effettive capacità produssero manuali manoscritti che imitavano, nel gergo e nelle
illustrazioni, i trattati di famosi autori alchemici (in tal modo, nacquero anche i cosiddetti "erbari dei falsi alchimisti" che solo di recente hanno
iniziato ad essere analizzati in modo attento dagli studiosi).
Dopo aver goduto per più di duemila anni di un grande prestigio intellettuale e materiale, l'alchimia uscì in tal modo dal pensiero occidentale, salvo
ricomparire nelle opere di studiosi a cavallo tra scienza, filosofia ed esoterismo, quali lo psicanalista degli archetipi Carl Gustav Jung e il
pensatore Julius Evola.
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A conclusione del percorso di studio filosofico dell’alchimia,
vengono proposti:
- Gli aforismi di un alchimista scomparso 5 anni fa;
- La brochure di un congresso sull’alchimia del 2008;
- Una formula alchemica numerica.
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L’ALCHIMIA ODIERNA DI PAOLO LUCARELLI
Paolo Lucarelli (Torino, 27 settembre 1940 – 13 luglio 2005), da molti definito un alchimista, si è
laureto in Fisica all'Università di Torino dove ha svolto, per conto del CNR, ricerche sui metalli. In
seguito ha assunto importanti incarichi in una nota multinazionale.
Conobbe Eugène Canseliet. È’ autore di “Lettere musulmane. Riflessioni sull'Alchimia”.
Curò la traduzione e il commento della Turba dei Filosofi, dell'opera omnia di Eugène Canseliet, di
molti testi di R.A.Schwaller de Lubicz, del celeberrimo Il Mistero delle Cattedrali di Fulcanelli,
delle Opere di Eireneo Filalete, dei Tre Trattati Tedeschi di Alchimia del XVII secolo attribuiti alla
misteriosa Rosa Croce d'Oro. Cura e traduce, inoltre, Isaac Newton, scienziato e alchimista di Betty
Jo Teeter Dobbs e Alchimia di Johannes Fabricius
Qui di seguito sono riportati alcuni suoi aforismi:
“Ho sempre pensato che ci sia un modo molto semplice per riconoscere gli autori di qualità.
L'alchimia é essenzialmente un'arte di amore
e quindi ritengo si debba sempre percepire benevolenza e compassione in ciò che si legge.
Fulcanelli era un uomo buono.
Eugène Canseliet era talmente bendisposto verso gli altri che non rifiutava mai nessuno,
accoglieva tutti gentilmente e li ascoltava con attenzione dando consigli affettuosi.
Mai un gesto brusco, una scortesia, una malignità.”
"Dove è aggressività non è alchimia,
dove è superbia, non è alchimia,
dove è cupezza, lugubre serietà, non è alchimia,
dove è ansia di prevaricazione, non è alchimia,
dove è violenza, non è alchimia,
dove è cupidigia e desiderio, non è alchimia.
Ma è alchimia, dove è pace, sorriso, amore, bellezza, e allegria, disinteresse, mitezza.
E' alchimia dove è serietà, senno, benefizio e giubilo."
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1° Congresso Nazionale di Studi Alchemici
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“Voi parlate assai oscuramente e troppo. Ma io voglio
indicare completamente la Materia, senza tanti
discorsi oscuri. Io ve lo ordino, o Figli della Dottrina:
congelate l’Argento vivo. Di più cose, fatene due, tre
e tre di una. Una con tre è quattro. 4,3,2,1; da 4 a 3 vi
è 1, dunque 1 e 1, 3 e 4. Da 3 a 1 vi è 2, da 2 a 3 vi è
1;
da 3 a 2 vi è 1. 1,2 e3 e 1, 2 di 2 e 1, 1. Da 1 a 2, vi è
1;
dunque 1. Vi ho detto tutto”
(dalla Turba philosophorum, sec. XIII)
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BIBLIOGRAFIA
ISRAEL GIORGIO La Kabbalah, il senso nascosto delle sacre scritture Il Mulino, Bologna 2005
PARFITT WILL La Cabala Nuovi Misteri Oscar Mondadori Milano 2000 pp. 84-87
TOMMASO D’AQUINO L’alchimia, ovvero trattato della pietra filosofale Newton Compton Ed., Roma 2006 pp.9-17
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