Magazine Scienze SRe Ricerche marzo 2017 Scienze e Ricerche n. 46, marzo 2017 FRANCESCO BENOZZO - L’australopiteco e l’origine del linguaggio EMILIANO VENTURA - Mario Luzi. Storia della critica ANDREA GENTILE - Il silenzio della libertà LEONARDO CAFFO - I due dogmi dell’antropocentrismo DAVIDE DI PALMA, UMBERTO CONTE - Diversity Management as a tool for intercultural education ANTONIO ASCIONE, VITTORIA MOLISSO, PIETRO MONTESANO - Inclusion and physical activity for individuals with Special Educational Needs GIUSEPPE MADONNA, UMBERTO CONTE - Social integration projects in F.I.G.C. Youth Department MARÍA VICTORIA ÁLVAREZ BUJÁN - Últimas modificaciones normativas en materia de pruebas de ADN e inscripción de identificadores genéticos en la base de datos policial en España [email protected] Magazine Scienze SRe Ricerche marzo 2017 Sommario TULLIO RIZZINI Il codice culturale linguistico FRANCO BAGNOLI I numeri del ghiaccio pag. 5 pag. 9 GIUSEPPE MEDAU La Grande Depressione e la crisi del 2008: segnali di una crisi irreversibile del capitalismo? ROBERTO FIESCHI Sistemi di arma autonomi pag. 11 pag. 17 LUCA BORGHI Do moral concerns check the advancement of scientific and medical knowledge? The Lesson of René Laennec after the bicentennial of the invention of the stethoscope (1816-2016) pag.19 VINCENZO CROSIO Epistemologia semantica del vuoto: (ku), il non luogo del non ente (note di epistemologia semantica 4) BARTOLOMEO VALENTINO Ruolo di Leonardo da Vinci nell’origine della Morfopsicologia ENRICO ACQUARO Annibale Barca in tre tragedie del Settecento italiano CLAUDIO PALUMBO Trasversalità e valori per lo sviluppo delle risorse umane LUISA GORLANI Dove nasce e dove finisce il male pag. 21 pag. 35 pag. 56 pag. 59 pag. 61 RECENSIONI E SEGNALAZIONI STEFANIA POLVANI Cura alle stelle. Manuale di salute narrativa SERGIO CESARATTO Sei lezioni di economia ANTONINO MARIA FERRO Astronomia cubica GIANCARLO LOCATI E ARTURO FIOCCA La plastica. Conoscerla per apprezzarla FRANCO BAGNOLI Il diario segreto di Quo ovvero La fisica dei Paperi - 3 Scienze e Ricerche Magazine - marzo 2017 pag. 68 pag. 70 pag. 72 pag. 74 pag. 75 Magazine Supplemento a Scienze e Ricerche n. 46, marzo 2017 ISSN 2283-5873 Scienze e Ricerche Rivista mensile n. 46, marzo 2017 Direzione editoriale Laura Castellucci, Maria Catricalà, Vincenzo Crosio, Pierangelo Crucitti, Renata De Lorenzo, Roberto Fieschi, Antonio Lucio Giannone, Carlo Manna, Michele Mossa, Francesco Orzi, Paola Radici Colace, Davide Schiffer, Domenico Tafuri, Franco Taggi, Immacolata Tempesta, Brunello Tirozzi, Bartolomeo Valentino, Gabriele Virzì Mariotti, Nicola Zambrano Editorial Board Giovanni Arduini, Angelo Ariemma, Vincenzo Artale, Franco Bagnoli, Marta Bertolaso, Anna Rosa Candura, Domenico Carbone, Orazio Carpenzano, Paolo Carusi, Laura Castellucci, Ornella Castiglione, Maria Catricalà, Luciano Celi, Monica Colitti, Carla Comellini, Paolo Corvo, Giovanni Crespi, Vincenzo Crosio, Pierangelo Crucitti, Maria D’Ambrosio, Renata De Lorenzo, Elena Dellapiana, Mirko Di Bernardo, Irene Dini, Roberto Fieschi, Ugo Frasca, Isabella Gagliardi, Massimiliano Giacalone, Lia Giancristofaro, Antonio Lucio Giannone, Francesca Giofrè, Giada Giorgi, Agostino Giorgio, Anna Granà, Domenico Ienna, Maurizio Iori, Agostina Latino, Antonio Maria Leozappa, Caterina Lombardo, Maurizio Lozzi, Paola Magnaghi-Delfino, Pasqualino Maietta Latessa, Anna Manna, Carlo Manna, Emilio Matricciani, Fabrizio Mattei, Alessandra Mazzeo, Filomena Mazzeo, Stefania Giulia Mazzone, Leone Montagnini, Michele Mossa, Vito Napolitano, Maurizio Oddo, Gaetano Oliva, Francesco Orzi, Linda Pagli, Claudio Palumbo, Alessandra Pelagalli, Silvia Peppoloni, Laura Pinarelli, Valentina Possenti, Paola Radici Colace, Francesco Rende, Adriano Ribolini, Elisabetta Rovida, Stefano Salmeri, Mariarosa Santiloni, Carmela Saturnino, Davide Schiffer, Antonio Scornajenghi, Raimondo Secci, Matteo Segafreddo, Domenico Tafuri, Franco Taggi, Immacolata Tempesta, Brunello Tirozzi, Anna Toscano, Maria Grazia Turco, Pietro Ursino, Bartolomeo Valentino, Gabriella Vanotti, Silvano Vergura, Vincenzo Villani, Gabriele Virzì Mariotti, Nicola Zambrano, Aldo Zechini D’Aulerio Scienze e Ricerche Sede legale: Via Giuseppe Rosso 1/a, 00136 Roma Registrazione presso il Tribunale di Roma n. 19/2015 del 2/2/2015 Direttore responsabile: Giancarlo Dosi Gestione editoriale: Agra Editrice Srl Tipografia: Andersen Spa 4 Scienze e Ricerche è una pubblicazione peer reviewed. 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Scienze e Ricerche Una copia: 13,00 euro (7,00 euro in formato elettronico) Abbonamenti alla rivista • in formato elettronico (pdf HD a colori): abbonamento annuale (12 numeri + Magazine mensile + supplementi): 42,00 euro (29,00 euro per gli autori e i componenti del comitato scientifico e del collegio dei referees) • in formato cartaceo (HD, copertina a colori, interno in b/n): abbonamento annuale (12 numeri): 84,00 euro Il versamento può essere effettuato: •con carta di credito, utilizzando il servizio PayPal accessibile dal sito: www.scienze-ricerche.it • versamento sul conto corrente postale n. 1024651307 intestato a Scienze e Ricerche, Via Giuseppe Rosso 1/a, 00136 Roma • bonifico sul conto corrente postale n. 1024651307 intestato a Scienze e Ricerche, Via Giuseppe Rosso 1/a, 00136 Roma IBAN: IT 97 W 07601 03200 001024651307 www.scienze-ricerche.it [email protected] MAGAZINE | SCIENZE E RICERCHE • MARZO 2017 Il codice culturale linguistico TULLIO RIZZINI Dipartimento di Scienze Biomediche Metaboliche e Neuroscienze, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia I l mio intervento Ricerchiamo da oltre trenta anni l’origine del linguaggio, nendola in una condizione in questo congresper mezzo di un metodo originale e innovativo. Esso conextratemporale ed extra spaso1 si fonda sul siste nel considerare le articolazioni orali, che producono ziale, quella del rapporto tra concetto di codice i suoni fonemici, come gesti ed espressioni informative i concetti. e sulle sue caratdel codice visivo-espressivo, precedente l’uso del codice È evidente che il più granteristiche uniche, quelle di de enigma riguardante l’uofonetico. Il significato espresso da ognuno di questi gesti mo consiste nel comprendere collegare tra loro gli oggetti articolatori è stato individuato mediante una ricerca sulle come la specie sia riuscita ad mediante una struttura conrisposte fornite da due campioni di soggetti psicotici, sevenzionale. In questo modo lezionati in ragione della loro maggior permeabilità all’inottenere questo strumento inconscio collettivo. In tal senso i rapporti dei suoni fonecomparabile. Questa domansuppongo che sia accettabile mici, e cioè le parole, non sono altro che rappresentanti o da presenta molteplici aspetti da un punto di vista generale sostituti dei rapporti dei gesti pre-articolatori usati dai pree molteplici facce. Essa è alla considerare come equivalenti i codici biologici, costituiti sapiens oro-facciali per esprimere le loro intenzioni inforbase delle religioni del libro, mative. Usando questo metodo abbiamo pubblicato tre di molecole, e i codici culcome dono del Logos da parturali, qualsiasi forma essi te del Dio Creatore, come è libri che analizzano con precisione ed in modo sistematico i birapporti interconsonantici delle parole indoeuropee, abbiano. Infatti ambedue anche alla base della filosofia e cioè il radicale delle parole, ed abbiamo riscontrato in questi tipi di codici collegreca e quindi delle sorgenti gano tra loro gli oggetti cui modo sistematico che le parole ad eguale radicale interdel pensiero occidentale. Ma consonantico esprimono parte del loro significato corrente fanno riferimento: i codici al quesito sulla sua origine coerente a quello del significato archetipo. La proiezione biologici collegano tra loro evolutiva non è mai stata verso gli oggetti di questi significati gestuali prearticolagli aminoacidi per produrre data una risposta accettabile tori li denomina, applicandosi ad essi mediante metafore, strutture più complesse quali e scientificamente comprovata nonostante infiniti tene analogie, e questo appare il motivo della diversità delle le proteine, e i codici culturali collegano tra loro i nomi tativi nel corso della storia lingue, poichè ogni popolo può utilizzare metafore differenti per gli stessi oggetti. Abbiamo esaminato oltre venti degli oggetti per organizzarli del pensiero a cominciare da lingue riscontrando l’uso generalizzato di questo codice in idee funzionali produttrici quello di Platone, che, come culturale, basato sulla reattività biologica alle condizioni dei meccanismi tecnologici Leibnitz ed il sottoscritto riteneva che i nomi fossero e sociali. un amalgama di suoni signiE’ evidente che con queste affermazioni io mi riferisco al codice culturale di gran lunga ficanti, senza poterlo affatto dimostrare, per mancanza delle più importante per l’uomo: il codice che genera il linguaggio. necessarie basi scientifiche. Ciò che con la mia ricerca originale voglio proporvi consiIl linguaggio ha infatti la caratteristica fondamentale di consentire il pensiero organizzato e complesso, in grado di ste infatti in un nuovo tentativo di comprensione dell’origine strutturare gli oggetti come le società e di fare fuoriuscire del linguaggio come prodotto da rapporti di suoni fonetici la mente umana dalla situazione presente e contingente po- significanti, un tentativo basato sul concetto di codice. Le mie ricerche partono dagli anni 70, anni in cui esercitavo l’attività di psichiatra manicomiale ed hanno origine 1 Intervento al Congresso di Codebiology, Koszeg (Ungheria), 2017 5 MARZO 2017 • SCIENZE E RICERCHE | MAGAZINE dalle modalità di linguaggio tipiche dei malati di schizofrenia. In questa modalità altamente patologica il malato utilizza costantemente analogie, metafore, aforismi, ironia e cioèi meccanismi obbligatori del pensiero inconscio, così bene individuati da Freud, per nascondere e celare i peccaminosi impulsi sessuali e distruttivi di base. E’ ovvio ritenere che la causa di questo strano modo di esprimersi degli psicotici derivi direttamente dal funzionamento dell’inconscio, in quanto gli schizofrenici sono poveri di una struttura cosciente e stabile del proprio IO, e quindi sono indotti ad esprimersi e aa difendere i propri pericolosi impulsi libidici con quei suddetti meccanismi dell’inconscio. E’su questa base clinica che è nato il mio interesse ed anche la mia teoria sull’origine del linguaggio. La mia ipotesi primaria è stata che anche i primi produttori di un linguaggio concettuale, circa centomila anni fa’, utilizzassero modalità e meccanismi simili a quelli usati dagli schizofrenici,e cioè proiettassero simboli elementari sugli oggetti di realtà mediante proiezioni metaforiche e analogiche. Questo meccanismo, libero come lo è lo spirito metaforizzante, permette ovviamente di denominare gli oggetti di realtà nelle modalità più diverse pur utilizzando simboli di base simili. Infatti il problema principale che si presenta a chi vuole investigare l’origine del linguaggio consiste nel fatto che ogni lingua e quindi ogni luogo ed ogni popolo ed ogni civiltà usano nomi diversi per gli stessi oggetti. Questa e la causa sostanziale della convinzione moderna che i nomi siano del tutto convenzionali. Ma la convinzione della convenzione taglia ogni rapporto profondo ed evolutivo tra l’uomo e la sua parola, ed in ogni caso resta una semplice pseudo- spiegazione. In realtà la mia ipotesi sulla funzione proiettiva dello Spirito metaforizzante, così presente nei soggetti schizofrenici e nell’attività onirica, riusciva a superare questa grande difficoltà, della diversità dei nomi nelle diverse lingue, proprio perché i giochi linguistici dello spirito sono liberi da qualsiasi contingenza ed è sufficiente possedere dei simboli di base tra loro razionalmente connettibili per poterli proiettare sugli oggetti nelle modalità e nelle forme più diverse, liberandoci dalla forzatura delle convenzioni. La seconda parte della mia ricerca , posta questa base ipotetica, dovette di necessità consistere nell’individuare i simboli di base informativi, che strutturerebbero le parole, e qui consiste la mia seconda novità che voglio presentarvi, e che differenzia profondamente la mia teoria dalle ipotesi di Leibnitz etc., prive di riferimenti concreti. Si è infatti sempre ritenuto, dagli albori della linguistica in quanto scienza, che i nomi siano stati costruiti da rapporti di suoni fonemici non-significanti, e con funzione puramente distintiva nell’ambito di quella sincronia che è la lingua, e su questa base i linguisti, dotati purtroppo di una cultura sostanzialmente umanistica, hanno sviluppato tutte le loro considerazioni sui fatti linguistici. La mia opinione di medico, e dunque di biologo evolu6 zionista, era però fin dall’origine un’altra. Io supponevo che i veri simboli strutturanti le parole non fossero tanto i suoni fonemici bensì i gesti articolatori orali che li producevano, o meglio che ad un certo punto dell’evoluzione dell’informazione della specie si erano specializzati a produrli, passando dala funzione gestuale-mimetica a quella fonetico-acustica. Qual’è questa fondamentale differenza? Intendevo dare all’INSIEME dei gesti articolatori o meglio dei gesti PRE-articolatori dell’Homo pre- sapiens, bisognoso di dare e ricevere informazione da parte degli altri membri della tribù, la dignità di codici gestuali di natura comportamentale, in cui si realizzava la necessaria informazione visiva-gestuale, precedente quella fonetica. Infatti, tutti gli studiosi dell’evoluzione culturale sono convinti ormai che l’informazione pre-linguistica è passata attraverso una complessissima modalità gestuale e mimetica,in parte simile a quella di altri animali superiori, e di cui fa fede l’enorme sviluppo della corteccia addetta al controllo dei muscoli mimici facciali, ma questa affermazione risulta generica e inutilizzabile per il nostro problema se non la si allarga alla vera e propria gestualità orale e mimica pre- articolatoria dei fonemi del linguaggio. Questa seconda mia ipotesi collegata alla prima, quella della proiezione dei simboli agli oggetti per mezzo dei giochi del pensiero inconscio, mi forniva questo piano operativo: i rapporti associativi, o meglio le combinazioni tra i diversi gesti orali PRE-articolatori, quei gesti che furono utilizzati nella nuova funzione di produrre tutte le classi dei suoni fonemici, e che evidentemente erano stati utilizzati anche prima della costruzione dei rapporti fonemici e quindi delle parole, potevano essere stati via via liberamente proiettati sugli oggetti di realtà mediante metafore ed analogie dei loro originari significati integrati e specifici allo scopo precipuo di denominare foneticamente quegli oggetti, a condizione che questi stessi oggetti, per le loro caratteristiche ,offrissero lo spunto necessario ad un gioco di parole. Il campo di questi concetti archetipici poteva così prendere forma complessa ed adattarsi a dar nome ad un’infinità di condizioni di realtà, mediante una denominazione proiettiva. Sorgeva così una seconda difficoltà: quale significato informativo attribuire a ciascuno dei gesti orali pre- articolatori dei fonemi? Questa difficoltà è stata da me affrontata, utilizzando per i miei fini conoscitivi ancora una volta il molto disponibile inconscio dei miei psicotici, così vicini alla sorgente degli istinti e così lontani dalle strettoie che inibiscono la coscienza culturalizzata. Mi rapportai con il loro pre-conscio mediante uno screening su due ampi campioni di soggetti schizofrenici. Ad essi domandavo: quale significato gestuale e informativo ritenevano potessero avere i vari gesti produttori dei suoni fonemici. Elaborate le risposte, i valori statistici di gran lunga prevalenti sono quelli che ho presi per buoni e che ho utilizzati in tutte le mie successive e dimostrative MAGAZINE | SCIENZE E RICERCHE • MARZO 2017 analisi sulle lingue. Ho infatti esaminato nel corso di oltre trenta anni 20 lingue dei più vari gruppi linguistici ottenendo ineludibili conferme leggibili nei mei libri. Occorre semplificare in questa sede, per far comprendere da cosa scaturiscano i significati informativi dedotti dagli psicotici. Un esempio molto semplice consiste nell’espressione gestuale facciale che produce il suono dentale sonoro e cioè la D. Essa mette in mostra i denti in modo inequivocabile, come informazione puramente visiva. il campione di psicotici dette perciò a questo gesto orale un significato compreso tra minaccia, ordine, obbligo e simili. Il gesto orale che produce il suono L consiste sostanzialmente da un punto di vista puramente visivo e quindi gestuale-. informativo in una messa in mostra della punta della lingua e della sua scomparsa. Il significato di questo gesto è stato dunque ritenuto dal campioni psicotici quello di una variazione, alternanza, modificazione per mezzo dei mezzi espressivi più semplici ed elementari possibili,e cioè quelli utilizzabili da un uomo quasi ferino. Per farvi comprendere l’importanza di questi risultati occorre pensare che se il soggetto umano in corso di diventare sapiens sapiens voleva utilizzare o meglio aveva necessità di utilizzare un’idea come AD ES. la gestione alternativa o variativa ----di regole ed obblighi, poteva preferenzialmente utilizzare una sequenza gestuale tipo L--D, combinando i suddetti gesti tra loro. Ma quando la capacità di rapportare questi gesti tra loro a livello complesso sì instaurò in modo sistematico e cioè quando evolutivamente il soggetto umano riuscì a dotarsi di un centro corticale laterale idoneo alla con- nessione dei simboli, egli fu indotto, per utilissima comodità acustica, a rapportare tra loro gli esiti fonetici dei gesti articolari articolatori precedenti e quindi a pronunciare L e D ben vocalizzate, per esprimere proprio un’ idea molto utile e necessaria alla civilizzazione qual’ è la gestione variativa regolare. Una sequenza ormai diventata fonetica, che l’inglese oggidì utilizza per esprimere la gestione variativa regolare che consente il controllo variativo regolare dell’atterraggio LOAD; o per esprimere il soggetto umano che gestisce regolarmente gli altri cioè il LEADER, o l’EDILIS. Ma quando questo uomo quasi parlante aveva bisogno di un’idea come “ regolare variazione”, per definire lo scorrere variato delle acque in un bacino poteva invertire i suoni e, componendo DEL, poteva costruire la parola DELTA, mentre il contenitore versante l’acqua poteva bene nominarsi DOLIUM . Ma le possibilItà pratiche e concrete di usare questa idea sono molteplici,e quasi infinite. Ad es.la completa cancellazione può molto bene essere nominata DELEO, in quanto possibile metafora dell’idea archetipa “regolare D modificazione L”. Come avete compreso la proiezione agli oggetti o alle situazioni è completamente libera e metaforica. In questo intervento non posso per brevità dare l’elenco di tutti gli altri gesti articolatori interpretati dalla ricerca sui soggetti schizofrenici; basti sapere che sono 13, da cui si dipartono tutte le classi dei suoni consonantici simili, utilizzati dall’uomo. Ho già detto di aver esaminato 20 lingue di civiltà, ed il mio metodo consiste nell’ accoppiare tra loro 7 MARZO 2017 • SCIENZE E RICERCHE | MAGAZINE questi gesti orali con il loro significato comportamentale o se si vuole archetipico: così LED per intendersi ha significato archetipico “variazione regolare”.La sequenza DL possiede il significato archetipico “regola variata” da cui, ad esempio, “delictum” e “DOLUM” . In questo modo queste nostre 169 combinazioni bi-consonantiche esprimono il significato archetipo-gestuale dei radicali di tutte le parole antiche e moderne. Dunque la dimostrazione, presentata nei miei libri, della realtà della mia ipotesi sull’origine del linguaggio consiste in ciò: si esamina l’insieme delle parole, a identico radicale biconsonantico, utilizzando il significato archetipico prodotto dal bi- rapporto di questi stessi gesti produttori delle due consonanti, e sì constata e si evidenzia che una parte o tutto il significato corrente e d’uso delle parole dell’insieme consiste precisamente nel significato archetipo metaforizzato!.La presenza generalizzata del significato archetipo ci fornisce la necessaria dimostrazione. Questo sistema di verifica mi consentì di presentare due libri in cui i 169 bi-rapporti gestuali consonantici si dimostrano produttori del significato delle parole a Radicale identico, e queste a loro volta risultano inserite in 169 grandi alberi dei significati, il cui tronco o la cui origine è il significato archetipo del rapporto dei gesti articolatori dei loro fonemi radicali. E’questa è una dimostrazione a mio avviso inconfutabile del fatto che l’origine della lingua è gestuale- mimetica- orale secondo il punto di vista squisitamente darwiniano. I miei libri si possono scaricare gratuitamente nel sito Academia.edu a mio nome. In essi si possono trovare questi cruciverba a 13 x 13 gesti etologici da cui si sviluppò l’ampia gamma di tutti i concetti inscritti nelle parole, quei concetti e quelle idee che costruirono concretamente le civiltà umane. Per fissare le idee presento un altro piccolo esempio del procedimento proiettivo dai gesti pre- articolatori all’albero dei nomi d’uso corrente. il gesto pre- articolatorio che fa vibrare l’interno del corpo è stato interpretato dal campione di psicotici come informazione del senso di sè, o del possesso del proprio corpo. Questo gesto quando venne fonologizzato allo scopo di passare da un’informazione visiva all’informazione fonetica, produsse il suono M. A sua volta il gesto pre- articolatorio che fa vibrare la base dell’encefalo, quando venne fonologizzato mediante un suono vocalico, produsse il suono N. questo secondo gesto, alludendo al contenuto cerebrale, venne interpretato dagli psicotici come informazione del pensiero inclusivo. Dunque il significato archetipico della sequenza MN appare il sè, il soggetto pensante; mentre il significato archetipico della sequenza N M appare il pensiero, o la CONOSCENZA di sé. L’albero di significati che procede proiettivamente per metafore agli oggetti potè dunque produrre in ambito indoeuropeo il nome MAN in quanto sè, o soggetto, pensante; e tutta la sequenza di significati connessi come mnemo, meaning ,mantica, mania,mancipium,mind, eccetera ; tutti nomi facenti riferimento alla funzione del pensiero. Al contrario il valore 8 archetipico N M e cioè il pensamento N della sostanza M potè essere usato proiettivamente per dare il nome perfetto a NOME e a tutti gli altri nomi del suo file radicale, come ad esempio “numero” in quanto determinazione di sè. Nei miei libri si presentano grandi alberi di significati il cui TRONCO è il valore archetipo dei rapporti associativi gestuali, ed i cui rami si dipartono dal fusto per mezzo di metafore sempre più spinte, spesso quasi irrealistiche a dimostrazione del ruolo fondamentale dello spirito linguistico, inscritto nell’inconscio di quei produttori di parole a cui dobbiamo l’invenzione del codice culturale linguistico. E’ la grande libertà di questo spirito linguistico ad averci fino ad ora impedito di comprendere i meccanismi con cui la nostra specie si impadronì del suo grande strumento. MAGAZINE | SCIENZE E RICERCHE • MARZO 2017 I numeri del ghiaccio FRANCO BAGNOLI Dipartimento di Fisica e Astronomia, Università degli Studi di Firenze N ei mesi scorsi qui a Firenze, presso l’Istituto dei Sistemi Complessi del CNR è stata scoperta una nuova fase solida dell’acqua, il ghiaccio XVII [1], un cristallo poroso che si forma a bassissima temperatura e altissima pressione, ma che è metastabile a pressione ambiente (Fig. 1). non debbano più sguazzare nel fango. Il buon Felix, mentre gioca a ripiglino, ha l’intuizione di una nuova disposizione delle molecole di acqua che sarebbero stabili a temperatura ambiente, e riesce a fabbricare una “seme” di tale nuova fase dell’acqua. Se l’acqua viene a contatto con tale seme a una temperatura al di sotto di 114 F (45,5 °C), istantaneamente si solidifica. Ovviamente, dato lo stile catastrofico di Vonnegut, alla fine questo malaugurato inconveniente accade, e gli oceani diventano solidi, così come tutti gli esseri viventi i cui liquidi interni entrino in contatto con tale sostanza. Supponiamo che tale fase esista. Questo vorrebbe dire che l’acqua nel suo stato liquido alla temperatura ambiente è in una fase metastabile, dato che energeticamente preferirebbe essere solida, nella fase ghiaccio-nove. Cosa impedirebbe all’acqua di solidificare? Non l’energia, che diminuisce nella fase cristallina, ma l’entropia. Dobbiamo supporre che il cristallo di ghiaccio-nove sia così improbabile che l’acqua, nella sua agitazione termica, non riesca mai a formarlo (localmente) per un tempo sufficientemente lungo da innescare la formazione di un cristallo macroscopico. Fig. 1. Struttura del ghiaccio XVII [2]. Questa notizia, e i seminari che ne sono seguiti, mi hanno fatto tornare alla mente un bel romanzo di Kurt Vonnegut [3], ghiaccio-nove, anche se in realtà il titolo originale è “Cat’s cradle”, la “cesta del gatto” [4], che è il nome inglese del gioco “ripiglino” [5], gioco che consiste nel formare figure intrecciando con le mani uno spago annodato ad anello. Il romanzo tratta molti temi, e quello scientifico è, come al solito per Vonnegut, un pretesto per poi parlare dell’animo umano, ma direi che è comunque interessante. L’idea “fantascientifica” del romanzo è la seguente. Un generale della marina americana chiede a Felix Hoenikker, uno dei “padri” della bomba atomica (ispirato probabilmente alla figura di Irving Langmuir [6], che non ha lavorato alla bomba atomica ma ha vinto il nobel per la chimica nel 1932) di trovare un modo di solidificare l’acqua, così che i marines Fig. 2. Struttura del ghiaccio comune Ih [7]. 9 MARZO 2017 • SCIENZE E RICERCHE | MAGAZINE In effetti è quello che succede per l’acqua normale tra i -10 e gli zero gradi centigradi. Il cristallo di ghiaccio ha una struttura molto più ”lasca” di quella dell’acqua liquida (Fig. 2), e infatti il ghiaccio galleggia su questa, così che l’acqua sovraraffreddata, diciamo verso i -8 °C, può restare per molto tempo liquida a meno di fornirle un “seme”, che può essere un piccolo cristallo di ghiaccio, ma anche una imperfezione del recipiente o una impurità, o anche uno shock (una botta al recipiente). Sulla base di questo principio si possono fare spettacoli di “magia” fisica facendo solidificare istantaneamente dell’acqua liquida solo toccandola [8]. Un altro esempio, forse più accessibile allo sperimentatore, è dato dall’acetato di sodio triidrato, quello che si trova normalmente negli scaldamani [9]. Questa sostanza cristallizza a 58 °C, ma può restare liquido a temperatura ambiente finché non gli viene fornito un “seme”, di solito usando un dischetto di metallo che viene piegato dall’utilizzatore. A quel punto l’acetato di sodio cristallizza, e, come del resto fa l’acqua sovraraffreddata, libera la differenza di energia tra i due stati, il “calore latente di fusione”, funzionando da scaldamani. Questo dovrebbe in realtà succedere anche per il ghiaccio-nove di Vonnegut, che ha una temperatura di fusione simile a quella dell’acetato di sodio: la solidificazione del mare dovrebbe liberare tanto di quel calore da “scaldare” tutta la Terra e quindi bloccare la solidificazione, senza contare il fatto che sali e altre sostanze disciolte ostacolano il congelamento, come accade per l’acqua normale (il sale può impedire il congelamento dell’acqua fino a -21 °C, è il motivo per cui si sparge sulle strade d’inverno [10]). Ma a parte questa considerazione, chi può aver fornito a Vonnegut l’idea di questa nuova fase dell’acqua? Probabilmente il fratello. Bernard Vonnegut [11] è stato uno scienziato dell’atmosfera, e ha scoperto che lo ioduro d’argento [12] può essere usato come agente nucleante per indurre la pioggia. Nelle nubi l’acqua è sotto forma di piccole gocce sovraraffreddate. I cristalli di ioduro d’argento hanno una struttura simile a quelli dell’acqua solida e inducono l’accrescimento di cristalli di ghiaccio, a spese delle gocce vicine perché la tensione di vapore del ghiaccio è minore di quella dell’acqua sovraraffreddata (dato che le molecole d’acqua preferiscono energeticamente aggiungersi alla fase solida a tali temperature/ pressioni) [13]. Bernard Vonnegut è diventato famoso nel 1997, l’anno della sua morte, per aver vinto l’Ig Nobel per la meteorologia per un suo articolo del 1975 intitolato “spiumaggio delle galline come indicatore della velocità del vento nei tornadi” [14]. In realtà il titolo è fuorviante, in quanto B. Vonnegut spiega che questo “indicatore”, usato da più di un secolo, in realtà serve a poco, in quanto i polli possono attivamente allentare la “presa” dei loro follicoli sulle piume in condizioni di stress, una reazione di origine evolutiva che permette loro di sfuggire ad un predatore che, avendoli azzannati, rimane così con la bocca piena 10 di piume. In effetti la motivazione dell’Ig Nobel è “per aver ribaltato una delle più antiche e non provate ipotesi scientifiche” [15], anche se il titolo dell’articolo deve aver avuto il suo ruolo. [1] L. del Rosso, M. Celli, L. Ulivi, New porous water ice metastable at atmospheric pressure obtained by emptying a hydrogen-filled ice, Nature Communications 7, 13394 (2016) doi:10.1038/ncomms13394 http://www.nature.com/ articles/ncomms13394 [2] L. del Rosso, F. Grazzi, M. Celli, D. Colognesi, V. Garcia-Sakai, L. Ulivi, Refined Structure of Metastable Ice XVII from Neutron Diffraction Measurements, J. Phys. Chem. C 120 (47), 26955 (2016). doi:10.1021/acs.jpcc.6b10569 [3] “Kurt Vonnegut” su Wikipeadia https://en.wikipedia. org/wiki/Kurt_Vonnegut [4] “Ghiaccio-nove” su Wikipedia https://it.wikipedia.org/ wiki/Ghiaccio-nove [5] “Ripiglino” su Wikipedia https://it.wikipedia.org/wiki/ Ripiglino [6] “Irving Langmuir” su Wikipedia https://en.wikipedia. org/wiki/Irving_Langmuir [7] Struttura del ghiaccio Ih su Wikipedia https:// it.wikipedia.org/wiki/Ghiaccio_Ih [8] F. Bagnoli, Bursting Money Bins, Europhysics News 46/3, 15 (2015) doi:10.1051/epn/2015301 [9] “Acetato di sodio” su Wikipedia https://it.wikipedia. org/wiki/Acetato_di_sodio [10] F. Bagnoli, Delicious ice cream, why does salt thaw ice?, Europhysics News, 47/2, 26 (2016), doi:http://dx.doi. org/10.1051/epn/2016204 [11] “Bernard Vonnegut” su Wikipedia https:// en.wikipedia.org/wiki/Bernard_Vonnegut [12] “Ioduro d’argento” su Wikipedia https://it.wikipedia. org/wiki/Ioduro_d%27argento [13] D.M. Murphy,T. Koop, Review of the vapour pressures of ice and supercooled water for atmospheric applications, Q. J. R. Meteorol. Soc. 131, 1539 (2005), doi: 10.1256/qj.04.94 [14] B. Vonnegut, Chicken Plucking as Measure of Tornado Wind Speed, Weatherwise (October 1975) 122 doi:10. 1080/00431672.1975.9931768 http://www.tandfonline.com/ doi/abs/10.1080/00431672.1975.9931768 [15] M. Abrahams, Improbable research: Blowing the feathers off a chicken, The Guardian 20 April 2010 https:// www.theguardian.com/education/2010/apr/20/improbableresearch-feathers-chicken MAGAZINE | SCIENZE E RICERCHE • FEBBRAIO 2017 La Grande Depressione e la crisi del 2008: segnali di una crisi irreversibile del capitalismo? GIUSEPPE MEDAU L a crisi del 2008 ha colto molti «addetti ai lavori» di sorpresa. Nel 2003, Robert Lucas (celeberrimo economista), aveva asserito che «il problema principale di prevenire la depressione è stato risolto»1. Dunque, per Lucas, il ciclo economico era stato in qualche modo addomesticato e si poteva tenere sotto controllo. Anche Ben Bernanke, non molto tempo dopo, fece la stessa affermazione. Grazie alla nuova politica macroeconomica ciò sarebbe stato possibile. La realtà successiva ci dimostra che non è così. Più volte lo Stato ha tratto in salvo il sistema finanziario e, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo (secondo alcuni dati si sarebbero susseguite 124 crisi tra il 1970 e il 2007)2, il ciclo economico è costellato da gravi recessioni. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica il capitalismo divenne l’unico sistema economico possibile. Dopo il 1991 il capitalismo non solo era l’unico sistema economico a governare il mondo economico, ma, per la prima volta, il libero mercato e la proprietà privata venivano considerati dei principi sociali alla base del progresso economico, e, per questo, indi1 P. Krugman: “Il ritorno dell’economia della depressione e la crisi del 2008”, Garzanti, Milano, 2009, p. 13. 2 J. E. Stiglitz: “Bancarotta. L’economia mondiale in caduta libera”, Giulio Einaudi Editore, Torino, 2010, p. XIII. spensabili e insostituibili. Le sperequazioni date da questo modello di sviluppo sono state considerate come parte integrante del sistema stesso. Nonostante le sperequazioni, però, è incontestabile il fatto che il capitalismo abbia ottenuto successi concreti. Il sistema economico classico, in realtà, non prevedeva le recessione, se non come fenomeno transitorio. Secondo la legge di Say (formulata per l’appunto dall’economista francese Jean Baptiste Say), la produzione di merci generava una domanda aggregata effettiva soddisfacente ad acquistare l’offerta totale delle merci. Conseguentemente, non avrebbe potuto verificarsi una sovrapproduzione generale. E, di qui, neanche si sarebbe potuta avere una carenza di domanda. Insomma, secondo la legge di Say, le recessioni non erano possibili, se non per un limitato periodo di tempo, nel quale, per qualche ragione, il meccanismo si inceppava. Questa legge godette di un prestigio immutato fino alla Grande Depressione, quando John Maynard Keynes dimostrò che le recessioni sono insite nel sistema economico moderno, in cui l’equilibrio non necessariamente si colloca nella piena occupazione, ma esso si può trovare nella sottooccupazione3. Inoltre, per l’economista britannico, la scuola 3 J. K. Galbraith: “Storia dell’economia”, BUR Rizzoli, Milano, 2015 (prima Ed, 1987), p.247. 11 FEBBRAIO 2017 • SCIENZE E RICERCHE | MAGAZINE classica non si rese conto che se l’offerta di lavoro non è funzione esclusiva dei salari, la sua curva di offerta del lavoro si sposterà ad ogni fluttuazione dei prezzi4. In aggiunta, continua l’economista inglese, non c’era alcuna prova con fondamento che la disoccupazione negli Stati Uniti nel 1932 fosse dovuta al rifiuto da parte dei lavoratori di accettare una riduzione dei salari5. Dunque, la teoria classica, non riusciva a spiegare il perché delle recessioni. Per Schumpeter le depressioni possono essere interpretate come la reazione della vita economica alla situazione creata dal boom6. Insomma, la vita economica si adatta ad una nuova dimensione, o equilibrio. Nella crisi del ’29, un fattore decisivo è stato sicuramente la guerra, che aveva stimolato negli Stati Uniti l’espansione della produzione e lo sviluppo del credito interno e internazionale, la fine della guerra ridusse progressivamente l’assorbimento della produzione industriale, sia in Europa che negli Stati Uniti7. Non solo, la Federal Reserve favorì l’espansione del credito sia durante il boom sia durante la recessione8. È proprio qui che Rothbard vede la causa precipua della crisi: l’intervento governativo a favore della domanda, e non dal sottoconsumo. Insomma, è il governo a sbagliare. Questo in parte è assolutamente veritiero. Anche se gli economisti sono tutt’altro che concordi riguardo alle cause scatenanti della crisi. Le altre cause alle origini della grande crisi furono sicuramente il fatto che profitti e dividendi crebbero più dei salari. Nel 1929 un terzo dell’intero reddito americano andava solo al 5% della popolazione, allo stesso tempo il 71% dei cittadini americani deteneva un reddito inferiore a 2500 dollari l’anno, un reddito con cui era difficile vivere9. Dunque, la maggioranza della popolazione era esclusa dall’acquisto di molti beni di consumo. Vi era poi la singolarità del sistema bancario statunitense: numerosissime erano le banche private. Una legislazione inadeguata, una gestione tutt’altro che trasparente e il fatto che sono un terzo degli istituti fosse associato al sistema federale di riserva rendevano le banche vulnerabili in caso di crisi10. Vi era poi il problema dei dazi, altissimi in molti casi, per «proteggersi» dai prodotti inglesi (Inghilterra che cesserà, tra l’altro, di avere il ruolo di banca mondiale, abbandonando il Gold Standard). In buona sostanza, i dazi erano voluti da influenti industriali governati da becera avidità. Non solo, gli alti dazi facevano sì che gli Stati Uniti esportassero moltissimo, ma gli altri paesi, per avere una bilancia dei pagamenti in equilibrio, dovevano chiedere prestiti agli Stati Uniti stessi. Se la borsa americana avesse chiuso i cordoni della borsa, limitando i prestiti, l’esportazio4 J. M. Keynes: “Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta”, Tipografia Torinese, Torino, 1971, p. 149. 5 Ivi. 6 J. A. Schumpeter: “Il ciclo economico”, Palladio, 1979, p. 60. 7 P. Renouvin: “Storia politica del mondo”, Valecchi Editore, Firenze, 1974, p. 407. 8 M.. N. Rothbard: “La Grande Depressione”, Universale Rubbettino, Soveria Mannelli, 2008 (Ed. Or. 1963), p. 164. 9 M. A. Jones: “Storia degli Stati Uniti d’America. Dalle prime colonie inglesi ai giorni nostri”, Bompiani, Milano, 2011, p. 410. 10 Ivi, p. 411. 12 ne ne avrebbe fortemente risentito. Anche se, molto probabilmente, il crollo del commercio internazionale dipese dal fatto per cui i paesi a regime di gold standard imponevano barriere tariffarie come ritorsione alle svalutazioni di moneta11. Anche l’organizzazione industriale americana presentava caratteri peculiari, governata come’era da trusts, holdings e cartelli. Le holding controllavano vasti settori dei servizi di pubblica utilità, delle ferrovie e delle attività ricreative. Come per gli investment trust, era costantemente presente il pericolo di una devastazione ad opera del principio della leva alla rovescia12. I dividendi delle società di gestione servivano a pagare gli interessi sulle obbligazioni delle holding che le controllavano, un’interruzione dei dividendi voleva dire inadempienze per le obbligazioni, con conseguente collasso di tutta la struttura. Vi era anche la precaria situazione dell’agricoltura mondiale. La Grande guerra aveva sconvolto gli equilibri esistenti nella distribuzione e nella produzione cerealicola13. Come per l’industria, la produzione in eccedenza non riusciva ad essere venduta totalmente. Le conseguenze della crisi furono disastrose: tra il 1923 e il 1929 il reddito nazionale lordo statunitense aumentò del 23%14, questa disponibilità consentì di elargire cospicui prestiti all’Europa. Nel 1929, i corsi dei titoli azionari quotati alla Borsa di New York, salirono vertiginosamente. Il mercato borsistico era in preda ad una febbre speculativa: siccome era facile prevedere una continua crescita dei prezzi, diventava conveniente acquistare per poi rivendere ad un prezzo sensibilmente più alto, senza considerare la consistenza reale dei titoli stessi. Nell’autunno di quello stesso anno il processo, però, giunse al termine. Il 23 ottobre l’indice Dow Jones dei prezzi delle azioni industriali perse 21 punti. Il 24 ottobre – il celeberrimo e triste “giovedì nero” - circa tredici milioni di azioni cambiarono di mano a prezzi decrescenti, con enormi perdite per i loro vecchi detentori. Dagli Stati Uniti la depressione approdò in Europa, segno dell’interdipendenza economica tra le due aree. L’Unione Sovietica, infatti, ne rimase esclusa (in realtà anche i paesi scandinavi non subirono grossi contraccolpi, ma per ragioni ovviamente diverse). Nel settembre 1929 l’indice industriale della borsa americana era a 452, a novembre era sceso a 229 e nel luglio del 1932 toccò il minimo di 58. La crisi fece moltiplicare la chiusura delle banche, la perdita di tutti i risparmi era all’ordine del giorno, i prezzi agricoli cominciarono a scendere vertiginosamente. Nel 1932 la produzione industriale risultava essere circa la metà dei livelli del 1929. Gli scambi con l’estero si erano ridotti di due terzi. I tagli ai salari furono cospicui e generalizzati. I disoccupati salirono alla soglia record di 15 11 B. Eichengreen: “Gabbie d’oro. Il “gold standard” e la Grande Depressione 1919.1939”, Cariplo-Laterza, Bari, 1994 (ed. or. 1992), p. 368. 12 J. K. Galbraith: “Il grande crollo. 1929: il più grande disastro finanziario di tutti i tempi”, Rizzoli, Milano, 2002, p. 168. 13 L. De Rosa: “La crisi economica del 1929”, Le Monnier, Firenze, 1979, p. 11. 14 U. A. De Girolamo: “La depressione economica del 1929-33. Fatti, teorie, politiche”, Claudio Grenzi Editore, Foggia, 2005, p. 135. MAGAZINE | SCIENZE E RICERCHE • FEBBRAIO 2017 milioni (nel 1930 erano 4 milioni). Per ovviare a questa situazione di emergenza, si presero misure straordinarie. Nel marzo del 1933, quando Franklin Delano Roosevelt assunse il mandato presidenziale, l’economia continuò a peggiorare. La crisi, tra i tanti mali, aveva però tre caratteri più evidenti di altri: un’inesorabile deflazione, la disoccupazione e l’emarginazione delle classi sociali più svantaggiate (anziani, giovani, malati, ecc.). Roosevelt, già dalla sua campagna presidenziale, parlò di new deal (espressione traducibile come «nuovo corso»). Cosa intendesse con questa espressione, in realtà, non era così preciso. Il presidente cercava di rassicurare e di dare un desiderio di speranza alle persone. Roosevelt prese decisioni importanti nel periodo detto dei «cento giorni». In questo periodo, il nuovo presidente presentò una quantità enorme di disegni di legge. Provvedimenti atti ad affrontare il problema dei prezzi, dell’occupazione e mitigare i problemi che affliggevano le classi emarginate. Questi interventi, però, non seguivano una precisa linea guida, vi erano anche leggi contraddittorie, in alcuni casi vi era anche confusione nelle competenze e nei ruoli da svolgere. Furono due i progetti più ambiziosi: l’Agricultural Adjustment Act e il National Industrial Recovery Act. Entrambi del 1933. Il primo programma era volto a sostenere il livello dei prezzi agricoli tenendo sotto controllo la produzione (si elargivano premi in denaro a coloro che avessero ridotto coltivazioni e allevamenti). Il secondo programma mirava anch’esso a stabilizzare e aumentare i prezzi, quelli dell’industria però. Gli industriali furono invitati ad accordarsi sui prezzi minimi, in compenso fu chiesto loro di permettere ai dipendenti di fare altrettanto. Il 27 maggio 1937 la Corte suprema (dominata da ultraconservatori) invalidò alcuni provvedimenti del New Deal. Roosevelt dovette quindi cambiare in parte la propria strategia politica. Istituì un nuovo ente la Works Progress Administration (WPA), allo scopo di gestire e coordinare i provvedimenti di emergenza presi nel 1933. Per tutti gli anni Trenta vi fu una parziale ripresa dell’economia, ma il piano rooseveltiano fu lungi dall’essere un volano per l’economia americana. Nel 1939 si potevano osservare sicuramente dei miglioramenti: la produzione dell’industria manifatturiera era tornata ai livelli del 1929. Gli investimenti erano però ancora esigui e c’erano nove milioni e mezzo di disoccupati. Solo all’inizio degli anni Quaranta sarebbe giunta una piena ripresa, grazie alla guerra e al conseguente sviluppo della produzione bellica. Il lascito maggiore delle politiche rooseveltiane fu sicuramente il ruolo dello Stato nell’economia. Dopo un periodo di prosperità (ma, come abbiamo visto, con delle falle al suo interno), lo Stato liberale rischiava di cadere. L’America era portata ad esempio dagli economisti liberali come un economia di mercato che funzionava e si autoregolava15. La crisi nel 1929 aveva smentito questa popolare e accettata tesi. Lo Stato scese nel campo economico e si assunse nuove responsabilità: misure di controllo su cambi, salari, prezzi, livelli 15 K. Polanyi: “La grande trasformazione”, Einaudi, 2010, p. 256. di produzione, e così divenne soggetto attivo nell’economia. Il keynesismo divenne la branca dell’economia più influente: alla Federal Reserve Board nel 1934, il presidente fu un keynesiano – Marriner Eccles – il quale nominò assistente personale un altro keynesiano, Lauchlin Currie. Fu soprattutto la guerra a dare ragione al keinesismo: Simon Kuznets (economista, statistico, demografo), diede sostegno quantitativo alle idee di Keynes. Kuznets rilevò, agli inizi degli anni Quaranta, che il sistema economico stava operando al di sotto delle sue capacità. Si poteva e doveva dunque produrre di più sia per il consumo civile sia per quello militare usando capitale umano e finanziario fino a quel momento non utilizzato. Va detto, però, che la «rivoluzione keynesiana» non fu affatto così rivoluzionaria. Le politiche attuate, infatti, miravano a salvare il capitalismo liberale. Egli credeva che se non si fossero aggiustati i difetti più allarmanti del capitalismo, i soggetti al loro interno lo avrebbero distrutto16. L’autonoma iniziativa dei privati soggetti economici e la massimizzazione del profitto rimasero intatti. (Usiamo qui la concezione del termine capitalismo «weberiana» - ripresa anche da altri economisti, storici e sociologi - visto che ancora non c’è comune accordo su questo sostantivo, e probabilmente non si arriverà mai ad una precisa definizione). Come ci fa notare Michel Beaud, Keynes proponeva una teoria economica che «consentirà di giustificare nuove politiche attraverso le quali si cercherà, e in parte si realizzerà, l’integrazione del mondo del lavoro nella società capitalistica17». Il sistema keynesiano, in seguito, divenne impotente negli anni Settanta, durante le due crisi economiche dovute agli shock petroliferi (il primo avvenuto nel 1973, il secondo nel 1979). Le crisi energetiche determinarono profonde crisi economiche. Per combattere queste crisi l’economia adottò il «monetarismo». Era la banca centrale a guidare la politica monetaristica. L’inflazione divenne il nemico principale. Essa si combatteva aumentando i tassi di interesse che, di conseguenza, mettevano un freno ai prestiti bancari. Questo sistema economico, però, aveva l’effetto di restrizione dovuto agli alti tassi d’interesse sulle spese per beni di consumo e sugli investimenti, e provocò un’ulteriore crisi18. Ciò avveniva soprattutto in America, in Europa si operò un taglio indiscriminato della spesa pubblica, l’antitesi della sintesi keynesiana (caso particolare fu l’Italia, dove la crisi, molto probabilmente, era già in atto dagli anni Sessanta19). La microeconomia, separata dalla macroeconomia keynesiana, rimaneva ancorata al sistema classico. Inoltre, non vanno dimenticati i cambiamenti avvenuti in questo periodo nelle grandi aziende: un’organizzazione divenuta complessa in ogni suo aspetto, dalla produzione passando per la promozione delle vendite, alla pubblicità, alla finanza, ai rapporti di lavoro (e di comando), alle pubbli16 H. Landreth, D. C. Colander: “Storia del pensiero economico”, Il Mulino, Bologna, 1996 (ed. or. 1994), p. 820. 17 M. Beaud: “Storia del capitalismo”, Edizioni Lavoro, Roma, 1984, p. 167. 18 J. K. Galbraith: “Storia dell’economia”, op. cit. p. 305. 19 AA. VV.: “Austerità, per che cosa?”, Feltrinelli, Milano, 1974, p. 28. 13 FEBBRAIO 2017 • SCIENZE E RICERCHE | MAGAZINE che relazioni, alle innovazioni tecnologiche, alle interazioni con gli istituti governativi. Anche durante la recessione del 2008 si sono attuate politiche antitetiche alla sintesi keynesiana. Anche questa crisi è partita dagli Stati Uniti. Anche questa crisi (probabilmente in misura minore), ci fa interrogare su quale sistema economico sia da intraprendere. Negli anni Trenta gli Usa non assursero a ruolo di stabilizzatori del sistema internazionale, negli anni Duemila, in maniera vagamente analoga, sempre gli Stati Uniti hanno diffuso il proprio sbilanciamento in tutto il mondo. Nel 1929 l’effetto scatenante della crisi fu la speculazione in borsa, nel 2008 è scoppiata una bolla immobiliare. Questa bolla è stata alimentata da sconsiderate politiche di credito da parte delle banche, che hanno accettato come garanzie reali dei beni il cui valore era gonfiato dalla bolla speculativa20. Come fa notare Stiglitz: I tassi d’interesse contenuti e una regolamentazione troppo permissiva hanno alimentato la bolla immobiliare. Con l’aumento dei prezzi immobiliari, i proprietari potevano utilizzare le loro case a garanzia dei prestiti. Questi prelievi di liquidità su garanzia ipotecaria […] hanno consentito ai contraenti di versare un anticipo per l’auto nuova e di mettere anche da parte qualcosa per la pensione. Ma questo indebitamento si basava sul rischioso presupposto che i prezzi delle case avrebbero continuato a crescere, o perlomeno che non 20 J. E. Stiglitz: “Bancarotta. L’economia globale in caduta libera”, op., cit, p. XVIII. 14 sarebbero diminuiti. L’economia era dissestata. Una percentuale compresa fra due terzi e tre quarti dell’economia (del Pil) era legata al settore immobiliare: costruire nuove case o comprare roba da metterci dentro, oppure contrarre prestiti fornendo a garanzia la casa per finanziare i consumi. La cosa non era sostenibile, e infatti il meccanismo si è inceppato21. Per Krugman la crisi del 2008 ha qualcosa in comune con tutte le crisi precedenti: «l’implosione di una bolla immobiliare paragonabile a quella che si è creata in Giappone alla fine degli anni Ottanta; un’ondata di corse agli sportelli paragonabile a quella dei primi anni Trenta (che ha coinvolto il sistema bancario-ombre, anziché le banche convenzionali); un grosso problema di liquidità negli Stati Uniti, analogo a quello che si era già presentato in Giappone22». Il mondo si trovava contemporaneamente di fronte ad una crisi finanziaria ed economica. Anche per questa crisi vi erano stati alcuni segnali non colti dalla maggior parte degli economisti. Il più evidente di questi sintomi, molto probabilmente, è stata la bolla tecnologica. Fra il marzo 2000 e l’ottobre 2002, i titoli tecnologici persero il 78%23. Gli Stati uniti entrano in recessione nel marzo 2001. Nel 2003, dopo l’invasione dell’Iraq, i prezzi del petrolio hanno cominciato 21 Ivi. Pp. 4-5. 22 P. Krugman: “Il ritorno dell’economia della depressione e la crisi del 2008”, op. Cit., p. 185. 23 J. E. Stiglitz: “Bancarotta. L’economia globale in caduta libera”, op., cit., p. 6. MAGAZINE | SCIENZE E RICERCHE • FEBBRAIO 2017 a salire vertiginosamente. Le banche, durante questo periodo e oltre, hanno avuto un ruolo fondamentale, in negativo. Le banche hanno giocato d’azzardo con la cartolarizzazione. Si sono trasformati rischiosi mutui subprime in prodotti con rating AAA, complici le agenzie di rating stesse. Gli esiti sono stati disastrosi. Per dirla alla Bauman «le banche hanno ottenuto quello che volevano: una razza di eterni debitori che vive in una condizione di “indebitamento” che si auto perpetua e che solo chiedendo altri prestiti può realisticamente (ma temporaneamente) ottenere una sospensione della pena24». Di qui si è poi verificata una corsa agli sportelli e il tracollo del sistema bancario-ombra. Inoltre, dopo la crisi asiatica nel 1997, è andata crescendo sempre più una globalizzazione finanziaria, per cui, investitori di un determinato paese detengono ingenti partecipazioni finanziarie in altri paesi. La maggior parte dell’incremento di questa globalizzazione finanziaria veniva da investimenti di istituzioni indebitate, che attuavano scommesse rischiose su scola globale. Questi investimenti hanno poi agito da «meccanismo di trasmissione» consentendo alla crisi di propagarsi su scala internazionale. C’era poi un ulteriore problema: il carry trade. Un’altra pratica speculativa che consiste nel prendere a prestito denaro in paesi che applicano bassi tassi di interesse e di prestarli a paesi che applicano alti tassi di interesse, questo meccanismo si è però guastato col deafault della banca Lehamn Brothers. Di lì la fiducia diminuì ulteriormente. Inoltre, la Fed – guidata in un primo tempo da Alan Greenspan e poi da Ben Bernanke – non fece nulla per arginare il fenomeno. Era evidente che i mercati lasciati a loro stessi, falliscono miseramente, ma oltre ad una politica di lassaiz faire, qualcuno continua a pensare che essi si autoregolino. Indubbiamente il settore finanziario è cambiato fortemente negli ultimi anni. Il concetto di agenzia ha assunto un significato quasi aleatoria dal punto di vista delle gerarchia: una moltitudine di persone gestisce il denaro di grosse aziende e prendono decisioni per conto di altri. C’è un’enorme frammentazione di piccoli azionisti e una separazione tra proprietà e controllo, in cui il management, può gestirla ricercando precipuamente il proprio profitto. La retribuzione dei manager è basata sul prezzo di mercato delle azioni, dunque, di sovente, questi manager cercano di far salire il prezzo di mercato, ricorrendo anche alla contabilità fraudolenta o creativa. L’altro cambiamento è ciò che concerne le esternalità, che consente, in uno scambio di mercato, di creare costi o vantaggi a persone che non vi partecipano. Quando vi sono queste due problematiche – agenzia ed esternalità – tendenzialmente il mercato non riesce ad essere efficiente. Le aziende riescono a fare ingentissimi utili pur assumendo meno persone: tra il 1980 e il 1999, le 500 maggiori aziende americane triplicarono i loro asset e i loro profitti pur avendo eliminato quasi 5 milioni di posti di lavoro25. Nonostante 24 Z. Bauman: “Vite che non possiamo permetterci. Conversazioni con Citlali Rovirosa-Madrazo”, Editori Laterza, Roma-Bari, 2011, p. 11. 25 K. Phillips: “Ricchezza e democrazia. Una storia politica del capitalismo americano”, Garzanti, Milano, 2002, pp. 190-191. le proteste dei lavoratori, il governo americano fece poco o nulla dirigendosi, anzi, verso la finanziarizzazione dell’economia. Il settore finanziario ha l’interesse precipuo di aumentare i profitti, ciò va a discapito dell’efficienza dell’economia. Le banche sono diventate «troppo grandi per fallire». È chiaro che un sistema economico dominato da queste sproporzioni è destinato a fallire. E quando fallisce trascina con sé tutta l’economia nel baratro. Il sistema in sé, dunque, ha delle evidenti contraddizioni. Accumulare denaro come fine può portare il sistema capitalistico al collasso. In modo semplice e conciso il sociologo ed economista Immanuel Wallerstein ci dice che proprio questa accumulazione di denaro è il nocciolo duro del capitalismo: «In my view, for a historical system to be considered a capitalist system, the dominant or deciding characteristic must be the persistent search for the endless accumulation of capital – the accumulation of capital in order to accumulate more capital26». Secondo Saskia Sassen , il capitalismo attuale è un capitalismo avanzato, che ha reinventato i suoi meccanismi di accumulazione primitiva27. Soffermiamoci su questo aspetto: malgrado l’altissima complessità derivante dalle scoperte scientifiche e dal connubio tra esse e la tecnologia, nonostante l’organizzazione politica e istituzionale sempre più efficiente, e non da ultimo, le moderne teorie delle scienze sociali e delle discipline umanistiche, il nocciolo duro del capitalismo rimane sempre quello dell’accumulazione. Il capitalismo è sicuramente cambiato dagli albori delle società mercantili ad oggi. Anch’esso presenta un aspetto complesso: dall’ingegneria finanziaria alla moderna organizzazione aziendale. Il nocciolo duro di questo sistema economico, però, rimane lo stesso. Perché? La risposta, per me, non è né di ordine prettamente economico, né culturale, né sociale: è bensì biologica. Mi rifaccio, qui, alla teoria del biologo Richard Dawkins del «gene egoista». Dawkins sostiene che gli esseri umani – e tutti gli animali in genere – sono macchine create dai nostri geni, e che una qualità predominante da aspettarsi in un gene che abbia successo è un egoismo spietato28. Il capitalismo, esattamente come i geni, per «sopravvivere» ha bisogno anch’esso di un egoismo spietato. Siamo entrati in pieno nella sociobiologia. Forma di capitalismo, ossia di accumulazione di qualche tipi di bene (o capitale), sono sempre esistite. Dunque, oltre a retrodatare il capitalismo come forma primordiali di comportamento sociale, dobbiamo assumere il fatto che sia in qualche modo un comportamento endogeno all’essere umano. Il comportamento umano è, in genere, egoista. Ovviamente anche al di fuori dei sistemi economici. Questo tratto genetico, ovviamente, diventa un vantaggio culturale e sociale per colui che vede accrescere il suo capitale. Ciò si riflette in termini di potere, di prestigio sociale, di appagamento personale, di mera sod26 I. Wallerstein: “Does capitalism have a future?”, Oxford University Press, New York, 2013, p. 25. 27 S. Sassen: “Espulsioni. Brutalità e complessità nell’economia globale”, Il Mulino, Bologna, 2014, p. 19. 28 R. Dawkins: “Il gene egoista. La parte immortale di ogni essere vivente”, Mondadori, Milano, 2009 (ed.or. 1976), p.4. 15 FEBBRAIO 2017 • SCIENZE E RICERCHE | MAGAZINE disfazione materiale. Il matematico australiano Robert May vorrebbe usare il suo modello matematico di diffusione delle malattie infettive e della dinamica delle reti alimentari in ecologia per capire la crisi bancaria del 2008. Sta studiando la rete finanziaria come se fosse un ecosistema. La ricerca ha evidenziato come strumenti finanziari che ottimizzano gli utili di singole istituzioni riescano a produrre instabilità nel sistema complessivo29. Siamo dunque in presenza di una teoria del caos che, in questo caso, si riflette nel sistema finanziario. May ritiene che il problema dipenda dal modo in cui piccoli fattori presenti nel mercato vengano amplificati e distorti nell’interazione con gli esseri umani30. Si pone un altro problema però: come si inserisce il comportamento umano in un modello matematico? È impossibile farlo. Insomma, il comportamento umano, così aleatorio, non è «matematizzabile». Il «caso» del comportamento umano non ci permette di sapere cosa succede alla finanza in futuro. Bisogna affidarsi alle scienze umane, le cosiddette «scienze molli», ed agire su più livelli. Se abbiamo una innata spinta verso l’egoismo, probabilmente essa non si può cambiare, ma abbiamo anche una visione conscia delle cose. Se un determinato stato di cose non funziona ed è deleterio per la comunità possiamo impegnarci a modificarla. Abbiamo la cultura e la conoscenza dalla nostra parte. Dunque, che cosa si può fare per uscire da questa crisi? Vorrei dare due ordini di risposte: una prettamente economica, l’altra socio-culturale. A livello economico bisognerebbe ridistribuire il reddito, con una imposizione fiscale progressiva. Poi bisogna regolamentare il sistema bancario: gli incentivi di chi eroga i mutui devono essere incentrati sulla qualità e non sulla quantità, i mutui scadenti dovrebbero essere espulsi. Non bisognerebbe permettere alle banche di assumersi rischi eccessivi e di attuare condotte fraudolente. Non sono un estimatore della «decrescita» propugnata da qualche economista, ma, per forza di cose, il mondo dopo la crisi del 2008 non potrà più essere lo stesso. Il problema centrale, a mio avviso, è l’allocazione delle risorse e il modo in cui esse vengono estratte e trasformate. Capire in che modo investire il denaro e il rispetto dell’ambiente devono essere centrali per ogni politica economica. Anche la «concezione del lavoro», di conseguenza, dovrebbe cambiare. Nelle società occidentali esso è sostanzialmente legato al guadagno e alla posizione sociale che da esso deriva. A mio parere, invece, il lavoro dovrebbe essere declassato ad un’attività come le altre. Bisognerebbe superare la condizione tradizionale del lavoro come attività gerarchica – anche qui, il lavoro si sostanzia di relazioni improntate all’egoismo, e si ritorna alla teoria di Dawkins sui geni-, svolta in un luogo fisso e con orari prestabiliti (il cosiddetto «lavoro subordinato»). Questo non dovrebbe avere nulla a che fare con minori diritti che spesso accompagnano il lavoro flessibile, ma, al contrario, dovrà essere accompagnato da logiche di rispetto sociale e 29 M. Du Sautoy: “Ciò che non possiamo sapere. Avventure ai limiti della conoscenza”, Rizzoli, Milano, 2016, pp. 67-68. 30 Ibidem. 16 ambientale. Bisogna dunque chiedersi quale libertà, quale soddisfazione, quale socialità e quale dignità derivano dal lavoro. Proprio ricollegandoci a questo aspetto socio-culturale, le scienze comportamentali possono esserci da aiuto. Bisogna interrogarci sulle reali benefici collettivi di un economia capitalista. Il mercato ha sostituito la tradizione (comprese le istituzioni religiose), ma, come abbiamo visto, il mercato non si autoregola efficacemente. In realtà, ancora dobbiamo comprendere appieno le correlazioni tra forze economiche, politiche e sociali. Probabilmente non ci riusciremo mai. Sostituire l’odierno sistema economico di mercato è una chimera, almeno nel breve periodo. Se il capitalismo è, in qualche modo, un’ «economia dell’egoismo» derivata dai nostri geni, è anche vero che la nostra cultura può farci agire in senso opposto: come non menzionare il pacifico spirito cooperativo degli Arapesh descritto da Margaret Mead? Sembrerebbe di no, oltre ai comportamenti descritti dei principali soggetti economici attivi, anche i consumatori desiderano consumare sempre maggiori quantità di beni e servizi rispetto a quanto sia realmente disponibile (e spesso necessario). I desideri possono essere infiniti, ma il mondo fisico sul quale viviamo è finito. Bisognerebbe dunque accontentarsi del necessario ed eliminare il superfluo. È impossibile stabilire cosa succederà nel prossimo futuro. La società è influenzata da una moltitudine di fattori, spesso in contrasto tra loro. Questo contrasto è però in qualche modo fluido, sicché le idee e i comportamenti, oltre a scontrarsi, si fondono. C’è del passato nel nostro presente e ci sarà del presente nel nostro futuro. Il fattore determinante è essere consci della realtà che ci circonda per poterla cambiare. MAGAZINE | SCIENZE E RICERCHE • MARZO 2017 Sistemi di arma autonomi ROBERTO FIESCHI Professore Emerito di Fisica, Università degli Studi di Parma N el corso dei millenni la produzione di armi si è basata sugli sviluppi della tecnica e della scienza. Semplificando un po’ possiamo dire che nell’antichità dominarono la metallurgia (spada, corazza) e la meccanica (arco, catapulta), dal Medioevo la siderurgia, poi la chimica (polvere da sparo), dall’inizio del Novecento armi più precise e letali grazie agli sviluppi della meccanica (mitragliatrice), la motorizzazione (carri armati), poi l’aviazione a elica; con la Prima Guerra mondiale la fisica giocò un ruolo sempre più rilavante (comunicazioni, sonar); con la Seconda l’elettromagnetismo (Radar) e la fisica nucleare (bomba atomica), e anche l’informatica (decifrazione dei codici). Il dopoguerra ha visto lo sviluppo abnorme delle armi nucleari, dell’aviazione a reazione e degli altri mezzi per trasportare le bombe sull’obiettivo (missili),e l’applicazione ampia dei mezzi di calcolo elettronico. Negli ultimi tre decenni sono venuti affermandosi nuovi tipi di arma, grazie allo sviluppo e all’applicazione dell’informatica e dell’Intelligenza Artificiale (AI). Inizialmente veicoli aerei senza persone e bordo (Unmanned Aerial Vehicle, o UAV), in seguito sistemi di arma autonomi (Autonomous Weapon Systems, o AWS). I primi hanno anche un’ampia diffusione anche al di fuori degli impieghi militari e sono noti anche come droni. RQ-1 Predator della General Atomics, aeromobile a pilotaggio remoto MQ-9 Reaper in volo nei cieli dell’Afghanistan I droni possono essere controllati da operatori che sono in qualche modo in contatto con la macchina (Direct Operator Control), oppure possono essere controllati a distanza (Remotely Piloted Vehicles). Il loro sviluppo fu stimolato dall’impiego militare; il primo impiego di un UAV fu un Predator nell’Afghanistan, nell’ottobre 2001. Da allora gli Stati Uniti li hanno impiegati in altri conflitti: Pakistan, Yemen, Somalia, Libia; forse, ancor prima, in Iraq. Ma Autonomos Land Vehicles (ALV) in grado di muoversi su terreni irregolari, di riconoscere stimoli esterni e di rispondere in modo appropriato furono sviluppati già nel 1984. Dunque, mentre per millenni la guerra è stata combattuta interamente da persone o da veicoli direttamente controllati da persone, negli ultimi anni si è sviluppato un modo di combattere spersonalizzato; ciò pone anche problemi morali: si teme che così sia più facile ignorare le atrocità connesse alla guerra. Nel 2012 si valutò che negli ultimi sette anni il numero di Stati che disponevano di UAV era salito da 40 a oltre 75. Tale proliferazione è dovuta anche al mercato commerciale; qualche anno fa esistevano già 900 compagnie per i sistemi aerei, 340 per quelli terrestri e marittimi; il potenziale econo17 MARZO 2017 • SCIENZE E RICERCHE | MAGAZINE mico dell’industria UAV è enorme; una previsione dà 100000 nuovi posti di lavoro. A un livello superiore troviamo I sistemi d’arma autonomi (Autonomous Weapon Systems, o AWS). Questi sono programmati per identificare l’obiettivo e decidere autonomamente se fare fuoco e sono capaci di funzionare senza l’intervento di un operatore. Inoltre, quando operativi, la loro azione potrebbe non essere piu’ modificabile. Sono dunque drasticamente diversi dai droni. A volte gli AWS sono indicati come LAR (Lethal Autonomous Robotics). Questi sistemi d’arma completamente autonomi agiscono sulla base dell’intelligenza artificiale (*). L’impiego dell’intelligenza artificiale nei conflitti armati pone problemi rispetto alla protezione dei civili e al rispetto delle norme umanitarie internazionali Il fatto che le AWS in alcune situazioni possano ridurre il rischio di perdite umane è difficilmente contestabile. Ma la prospettiva che questi robots completamente autonomi esercitino il potere di vita e di morte sugli esseri umani solleva gravi preoccupazioni. In una lettera aperta del luglio 2015 i ricercatori della AI&Robotics hanno scritto: “La questione chiave è se avviare una corsa globale AI o prevenirla. Se le maggiori potenze militari spingeranno lo sviluppo di armi AI, tale corsa è inevitabile e le armi autonome saranno i kalashnikov del domani. Diversamente dalle armi nucleari, esse non richiedono materiali costosi o difficili da ottenere, saranno a buon prezzo e si diffonderanno. Non ci vorrà molto perché appaiano nel mercato nero, nelle mani di terroristi, dittatori, signori della guerra, ecc. (….) Per questo siamo convinti che la corsa alle armi AI non porti benefici all’umanità. L’Ai può rendere i campi di battaglia più sicuri per i civili in sono molti modi, senza creare nuovi strumenti per uccidere. (….) La maggior parte dei ricercatori AI non hanno interesse allo sviluppo di armi AI e non vogliono che altri inquinino il campo sviluppandole, creando nell’opinione pubblica una ostilità, verso la AI, che oscuri i benefici che può portare alla società. (….) Iniziare una corsa alle armi AI è una cattiva idea e dovrebbe essere prevenuta dal bando delle armi autonome di offesa prive del controllo umano”. All’estero è in corso un intenso dibattito sugli aspetti etici sollevati dall’avvento delle AWS. Informazioni in proposito si trovano in rete e alla pagina “Computers: National Security, War, and Civil Rights” (http://uspid.org/compwa. html) del sito dell’USPID – Unione Scienziati Per il Disarmo. (www.uspid.org). La prossima conferenza ISODARCO (http://www.isodarco.it/) e’ proprio su questi argomenti: “ADVANCED AND CYBER WEAPONS SYSTEMS: TECHNOLOGY AND ARMS CONTROL” (http://www.isodarco.it/courses/andalo17/andalo17.html ). (*) Da Wikipedia: L’intelligenza artificiale è una disciplina, appartenente all’informatica, che studia i fondamenti teorici, le metodologie e le tecniche che consentono la progettazione di sistemi hardware e di sistemi di programmi software capaci di fornire all’elaboratore elettronico prestazioni che a un osservatore comune sembrerebbero essere di pertinenza esclusiva dell’intelligenza umana. MQ-9 Reaper britannico 18 MAGAZINE | SCIENZE E RICERCHE • MARZO 2017 Do moral concerns check the advancement of scientific and medical knowledge? The lesson of René Laennec after the bicentennial of the invention of the stethoscope (1816-2016) LUCA BORGHI Institute of Philosophy of Scientific and Technological Practice (FAST), Università Campus Bio-Medico, Rome, Italy might say. To him, the then recent practice of immediate auscultation of the chest - “the application of the ear to the cardiac region” - of a female patient was not only “inconvenient” and “indelicate”, but often “impracticable” (Laennec 1829). Nonetheless, he was in the habit of using this method “in obscure cases” and where “practicable” (Laennec 1829). Until one, very special, day… In 1816, I was consulted by a young woman labouring under general symptoms of diseased heart, and in whose case percussion and the application of the hand were of little avail on account of the great degree of fatness. The other metho moral concerns check the advancement of sci- od just mentioned [the application of the ear to the cardiac entific and medical knowledge? History, at least region] being rendered inadmissible by the age and sex of in one very relevant case, says no. Indeed, quite the patient, I happened to recollect a simple and well-known the opposite. fact in acoustics, and fancied it might be turned to some use In 2016, we celebrated the bicentennial of the invention of on the present occasion. The fact I allude to is the great disthe stethoscope. I think that memory of the specific circum- tinctness with which we hear the scratch of a pin at one end stances that led René of a piece of wood, on Laennec (1781-1826) applying our ear to the to his momentous disother. Immediately, covery, can offer much on this suggestion, I food for thought to all rolled a quire of paper those working for a into a kind of cylinder better healthcare or and applied one end of user-centered technoit to the region of the logical system. For a heart and the other to system more effective, my ear, and was not sustainable and sensia little surprised and ble. He himself gave pleased, to find that I a detailed account of could thereby perceive that special day of authe action of the heart tumn 1816. in a manner much Laennec was a more clear and distinct young doctor, very than I had ever been caring for the modesty able to by the immediate application of the of his female patients. Laennec’s original stethoscope, c. 1820 (Wikimedia Commons) ear (Laennec 1829). Too caring, some The recent bicentennial of the invention of the stethoscope (1816-2016) is a good occasion to consider how fundamental was the role of moral concerns and sensibility of René Laennec (1781-1826) in his breakthrough innovation. The history of the instrument that gave rise to a sort of technological snowball effect in the field of diagnostic tools, and which is up to this day the very symbol of medical profession, is a good example that a real focus on the needs of patients or, in general, of the recipient of technological innovation can often prove to be a win-win approach. D 19 MARZO 2017 • SCIENZE E RICERCHE | MAGAZINE Riassunto nec [Figure 2]. While cheap A common diagnostic procedure was “rendered inadIl recente bicentenario dell’invenzione dello stetoscopio and easy shortcuts often missible by the age and sex of (1816-2016) è una buona occasione per riconsiderare il creates more problems than the patient”. This difficulty ruolo fondamentale giocato dalla sensibilità morale di they solve, a real focus on forced Laennec to look for a René Laennec (1781-1826) nella sua epocale invenziothe needs of patients or cusne. La storia dello strumento che diede il via ad un vero tomers, even the most tacit different approach. He had e proprio “effetto valanga” nel campo della diagnostica or the most annoying for the to resort to his vast culture strumentale, e che ancora oggi è il simbolo stesso della very busy and hurried prothat apparently was not just fessional or researcher, can professione medica, è un buon esempio del fatto che una about classical languages (as be the premise of a good and vera attenzione ai bisogni del paziente o, più in geneit is well known, Laennec rale, del destinatario dell’innovazione tecnologica è un efficient solution. At least, if could read Hippocrates in approccio vincente sia per il ricercatore che per l’utente. you are willing to use your ancient Greek and coined the imagination ... and to listen Greek-derived name cirrhosis (Borghi 2012)! for the corresponding liver disease), but also about physics and acoustics (quite unusual for an early 19th century physician) (Rouxeau 1912-1920; REFERENCES Duffin 2007). And when you have the right motivation and Borghi L. Umori: il fattore umano nella storia delle disthe required knowledge, also a quire of paper can prove to be cipline biomediche. Roma: Società Editrice Universo 2012 a revolutionary tool. Borghi L., Cercando guida e lume dai suoni e dai rumori. On that day began the epic of the stethoscope (Borghi 2017) which is, up to this day, the very symbol of the medi- Sulla prima diffusione dello stetoscopio in Italia (ca. 1820cal profession (Rice 2010). The stethoscope, initially wood- 1830). In Medicina nei Secoli. Arte e Scienza, (accepted for en and monaural [Figure 1], not only turned out to be a cru- publication: 2017) cial diagnostic tool, especially for heart and lung diseases, Duffin J. René Théophile Hyacinthe Laennec. In: Bynum but it was also a source WF, Bynum H, eds. of inspiration for many Dictionary of Medical Biography. Westother physicians and port-London: Greenscientists. Thanks to wood Press 2007: vol. Laennec, they were 3, 757-761 now more eager to exploit the newly discovLaennec R. A treaered laws of physics, tise on the diseases optics and mechanics of the chest and on in order to improve mediate auscultation. Translated by medical ability to explore (and eventually John Forbes. 3rd ed. to cure) hidden asLondon: Thomas & pects of the sick huGeorge Underwood man body. Otoscope 1829:3-5 (1820s), cystoscope Reiser SJ. Medicine (1826), spirometer and the reign of technology. Cambridge (1846) and ophthalmoscope (1850) were (UK): Cambridge only the first objects University Press 1978 of a very long series Rice T. ‘The hallmark of a doctor’: the of instruments that stethoscope and the quickly developed in making of medical a sort of technological identity. J Mat Cult snowball effect (Reiser 2010;15(3):287-301 1978). Rouxeau A. LaenThis is why we have nec. Paris: Baillière to remember the example of René Laen1912-1920: 2 voll. René Laennec’s memorial tablet, Hopital Necker, Paris (Creative Commons by Himetop.net) 20 SCIENZE E RICERCHE • N. 45 • FEBBRAIO 2017 | SCIENZE DELL’ANTICHITÀ Epistemologia semantica del vuoto: (Ku), il non luogo del non ente (note di epistemologia semantica 4) VINCENZO CROSIO Storico della conoscenza Il concetto di sostanzialità vuota, in Oriente come in Occidente, è l ‘esperienza di ‘vano’, lo stato inadeguato dell’uomo. Ma è anche una considerazione che vale per lo spazio costruito, che vale per tutto lo spazio dell’universo tempo. Quello che sembrava un elemento di separazione tra Oriente e Occidente, si sta dimostrando di essere una ‘incensura’ del tempo che solo la fisica relativistica e la fisica quantistica è in grado di capire. Obiettivamente però lo Zen ha anticipato di almeno sette secoli questo concetto nella sua filosofia della prassi. Da qui fino a diecimila kalpa e poi ancora oltre, la semplice Mente risplende. Il paradosso dello Zen, l’insegnamento del Buddha, la verità del Dharma è tutta in questa semplice affermazione: non c’è nessun luogo e nessun ente, così come il pensiero occidentale ha pensato sin dalle origini il pensiero nel senso del suo darsi luogo e il pensiero del mondo nel senso che il mondo sia il luogo del pensiero (2). Almeno fino all’intuizione di Heidegger del pensiero come un venir incontro dell’oggetto, il mondo del fenomeno, alla percezione del mondo del soggetto stesso e che di fatto inaugura un altro sentiero nella filosofia del maestro di Marburgo. Almeno fino è un elemento fondamentale che alla scoperta della neurobiologia di base in Vittorio Gallese unisce in un certo senso l’Occiden- ed altri, almeno fino a Merleau-Ponty. Questa intuizione è te e l’Oriente, l’ossessione della espressa in “Cosa significa pensare” ed è un’opera pubblisemantica del vuoto, vale a dire il cata nel 1954, ma che ha radici sin dagli anni trenta, e che nichilismo trascendentalista della rappresenta un fertile terreno d’incontro con la filosofia giapvacuità. L’Occidente che sembra così distante dall’Oriente, ponese (3). Sempre il maestro Deshimaru espose la verità del in realtà è unito da un punto, un ponte sull’abisso del vuoto Dharma con altrettanta sconvolgente semplicità: esistenza che in qualche modo Friedrich Nietzsche lancia nell’Anti- senza noumeno (4). Espressione che, a chiunque abbia dicristo e nel suo così inumano Zamestichezza con la problematirathustra. Non c’è nessun luogo e ca, mette i brividi, perché si va a Abstract nessun ente, ma solo la mente illucollocare dentro quell’argomento, The concept of an empty substantiality (the minata del Buddha, ovverossia la vasto come l’oceano, che va sotemptiness of substantiality), in the East as to il nome di crisi dei fondamencoscienza infinita e vuota, la mente well as in the West, is the experience of ti. La filosofia occidentale, dopo natura senza determinazioni, l’hi“vain”, the inadequate state/ condition of shiryo, ku. Il ku, (空), sunyata, la Heidegger, ruota intorno al colthe man. But it is also a considetation which lassamento dei fondamenti. Tutta vacuità, diventa così la somma a applies to the built space, which holds for the la filosofia del Novecento, tutto il zero tra Oriente e Occidente. “Il space as a whole of the universe time. What pensiero scientifico del Novecento maestro Dogen ha detto che è neseemed to be as an element of separation cessario pensare senza pensiero. è sostanzialmente in linea di catabetween East and West, is proving to be an strofe con l’ontologia e l’ontologia Questo è Hishiryo, l’essenza dello ‘ incensura ‘ of the time that only Relatividel fondamento, del terreno fonzen, il segreto di sedere in zazen. stic Physics and quantum physics can under dativo, (grund), della sostanzialità È al di là del pensiero soggettivo, stand. As a matter of fact Zen has already andell’esperienza. Un abisso dopo coscienza assoluta, senza pensieri. ticipated this concept seven centuries before Nietzsche si è aperto nel pensieÈ lo spirito vuoto, ku o mu” (1). in his philosophy of praxis. ro occidentale; da san Tommaso Così il Maestro Deshimaru, primo ad Heidegger, non c’è argomento ambasciatore dello Zen in Europa. C’ 21 SCIENZE DELL’ANTICHITÀ | SCIENZE E RICERCHE • N. 45 • FEBBRAIO 2017 Terrazza zen che non venga radicalmente messo sotto sopra dalla critica dei fondamenti (5). Il pensiero abissale di Nietzsche, pone alla filosofia il compito dell’oltrepassamento e dell’eterno ritorno, come sponda metafisica del nulla, e per conseguenza l’accettazione dell’abisso del tempo come critica radicale alla ontoteleologia dell’essere (6). Il Maestro Dogen (1200-1253), l’autorevole maestro che fondò la scuola dello Zen Soto, in Bussho, così definisce la natura sostanziale degli esseri: “bisogna intendere la natura del Buddha come non natura del Buddha poiché la natura del Buddha, il Dharma, è vacuità”. E in Maka kannaharamitsu: “Quando la verità della saggezza si dispiega e si realizza, ci dice che la forma è vacuità, che vacuità è forma; la forma è forma e la vacuità e vacuità” (7). Che di fatto nega ogni sostanzialità sia alla realtà che alla non realtà. Fisica, metafisica e logica, vengono di colpo spazzate via, con un oltrepassamento del pensiero stesso, che non significa la meta-metafisica, ma ben altro, l’imprenscindibile e l’impensabile, due categorie che l’Occidente ha pensato come necessità e libertà, come vincolo e non vincolo, ma tutto qui, come storia e non storia. Questo è il pensiero Zen nella sua maturità piena e feconda, la negazione di ogni sostanzialità: l’impermanenza riguarda tutto l’ordine del condizionato, del costruito biologico, mentale, umano e non umano. Ma come approcciare tutto questo? Come ricostruire secondo un codice universale quello che sembra una schisi tra Oriente e Occidente? Attraverso una metodologia che appartiene alle conquiste dell’Oriente come dell’Occidente, l’epistemologia semantica inaugurata proprio nello Zen, dalla vacuità, la coscienza Hishiryo di Maestro Dogen e nell’Occidente dalla 22 filosofia del vuoto come espressione di virtualità, il cyberspazio. L’ombra delle cose significa che le cose appaiono in una modalità, non sono quella modalità. Un insegnamento così radicale è di difficile comprensione alla mente ordinaria e più in generale ad una mente di un “Occidentale”. Intendendo per “Occidentale”, l’uomo che vive costantemente con l’ossessione di un ente, di un qualcosa, nella dicotomia polare di un soggetto, l’ego percipiente, e di un oggetto, la cosa percepita. Dell’ego, del non ego, della vita, della morte. Solo nel Novecento europeo Husserl osò riprendere la sconvolgente aporia del pensiero nuovo della Stoà, antitesi e splendido esito della speculazione dottrinaria della Grecia ellenistica: la coscienza estetica, la percezione della realtà era in realtà un dialogo, una interrelazione in cui la soggettività della mente incontrava una realtà che la modificava e costituiva una coscienza assoluta (8). Splendida intuizione ripresa ancor prima dal napoletano Vico, che così spiegava il paradosso della mente che conosce la realtà oggettiva e la realtà della mente stessa, gli universali, le categorie del giudizio, per intu-ire, andare verso la mente di Dio (9). Ciò che egli chiamava un lascito zenoniano. Dunque siamo al centro della meravigliosa dottrina esposta nell’Hokyozanmai, il Samadhi del prezioso Specchio: come contemplandovi nello specchio, la forma e il riflesso si guardano. Non siete il riflesso, ma il riflesso è voi. Che assume una coloritura e sonorità tutta particolare nella traduzione poetica, creatrice di nuovo senso, del maestro F. Taiten Guareschi, abate del monastero zen di Bargone, in Salsomaggiore: Al prezioso specchio la forma guarda il SCIENZE E RICERCHE • N. 45 • FEBBRAIO 2017 | SCIENZE DELL’ANTICHITÀ riflesso. Tu non sei quello, ma quello è te (10). Dove il carattere speculare della forma e del riflesso letteralmente corre a “costituire” il te, una singolarità momentanea di un agire di un vibrato cosmico. Un’onda di una bioinformazione, il kannodoko di maestro Dogen (11). Più o meno, ma similmente nel principio informatore della natura del creato nel Genesi: E Dio li creò a sua immagine e somiglianza. Tradotta magnificamente nella intuizione della forma del corpo e della mente, dell’anima in san Tommaso d’Aquino, il padre della teologia dottrinaria della natura del Cristo (12). Nell’ebraico antico del Genesi troviamo: be-salmenu kidmutenu, a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza. Nella nozione di selem, immagine, c’è anche un sostrato di oscurità (sel, ombra). Come se la Scrittura volesse dire: il corpo e la sua ombra, la forma e il suo lineamento, la sua silhouette, il suo riflesso (13). Dogen riprende questa somiglianza filiale con l’origine quando introduce alla fine di una speculazione dialettica, dialogante, il principio di risonanza cosmica, kanno-doko, nella formazione dell’io liberato nella gioia del samadhi realizzato. Non so se Kannon, Kanjizai, il bodhisattva del Libero e Illimitato vedere che predica la vacuità di ogni forma nel Sutra del Cuore, il suo andare verso il mondo, sia anche il Buddha che verrà della tradizione dharmica, il Maitreya, non so se ha questo senso e questa direzione. Sarebbe davvero una intuizione gloriosa della rappresentazione estetica, artistica della fede nel Buddha. Un semidio che annuncia esteticamente, porgendo il piede davanti nell’atto dello scendere a terra, la sua venuta, il suo accadere. Certamente il “kan” di Kanjizai bosatsu, il primo incip dell’Hannya Shingyo, il Sutra della Perfetta Sapienza che nei monasteri si recita ogni mattina, è questo: colui che guarda attentamente! (14). Sguardo risvegliato è certamente il kenbutsu, la visione di un buddha. Ed è anche in questa visione che occorre intendere l’annuncio dell’avvento del Messiah nella tradizione ebraica e cristiana. Massiah è propriamente ciò che è inviato da Dio, il suo messaggero diremmo con ordini particolari, l’interpretazione esatta e aggiornata di una Informazione celeste, in questo caso il vero senso della Thorà, della Rivelazione di Dio (15), il senso profetico del guardare avanti! Gli uomini hanno difficoltà a realizzare la Parola di Dio, il Verbo, nella Incorporazione yavheica, hanno difficoltà a realizzare il Dono del Risveglio nella Incorporazione dharmica (16). L’essere buddha è dunque la sua realizzazione nella forma di un riflesso singolarmente riuscito, realizzato, il realizzarsi della natura di buddha nell’incarnato. Nella illuminazione, - satori realizzato di una mente risvegliata -, c’è la consapevolezza di una appartenenza alla natura universale del Buddha, il Corpo universale e riflesso di ogni Buddha, il Dharmakaya (17). Così come nel Sutra del Diamante la questione è posta: in un universo stellato specchio di una realtà infinita ma illusoria, noi siamo dunque una luce illusoria del perfetto diamante, un prodotto dell’evanescenza dell’universo mondo: “Come stelle, un difetto della vista, come lampada, un finto spettacolo, gocce di rugiada, o una bolla, un sogno, un lampo balenante, o nuvola, così dovrai vedere ciò che è condizionato” (18). Non diversamente, in verità, pensavano ad esempio i filosofi del circolo fiorentino nel Cinquecento, almeno nell’aspetto analogico e simmetrico al mondo degli uomini, il cosmo. E ancor prima Platone nel Timeo. Né è differente da come pensano i filosofi cabalisti, la differenza e la somiglianza tra il mondo celeste e il mondo terreno e il grandissimo pensiero speculativo arabo dopo l’anno mille p.c.n. (19). Questa speculazione, questo pensiero di uno speculum, questa riflessione così giunta a maturazione attraverso la tradizione, gli insegnamenti tramandati, inducono ad un’ulteriore osservazione che riguarda la natura dei fenomeni, o meglio alla natura fenomenologica degli eventi. L’evento, l’accadere di una cosa, -kuge -, il non luogo di nessun ente che realizza l’esistenza, (esistenza senza noumeno di Deshimaru), in realtà è la vera rivoluzione epistemologica che l’Insegnamento del Buddha introduce nella storia del pensiero e del pensiero religioso. “Ogni cosa è fenomeno, cioè pura e semplice manifestazione, vuoto segno e come tale è il suo apparire, il suo scomparire, come se apparisse, come se scomparisse. L’errore è credere sia alla sua continuità, sia al suo nascere dal nulla che al suo morire nel nulla” (20). La manifestazione della natura del Buddha, la sua realizzazione, Myoshu, la sua realizzazione meravigliosa, è un Evento di tipo schizomorfico; introduce nella permanenza del Dharma, una riflessione, una scansione speculare, l’esserci temporaneo di una cosa, la sua singolarità nel tempo, una increspatura nello spazio tempo (uji). Così dice maestro Dogen a proposito dell’esistenza-tempo: “Il modo in cui organizziamo il nostro sé costituisce la forma del mondo intero. Dovete considerare che ogni creatura e ogni cosa del mondo intero costituisce tutto il tempo (tokidoki)… A causa di un principio indescrivibile, il principio dell’esso (inmo), della talità, esistono diecimila immagini e centinaia di erbe in tutta la terra, benché ogni tipo di erba e di immagine rifletta la terra intera… e poiché non esiste altro all’infuori di questo preciso momento (toki), l’esistenza tempo è tutto il tempo e l’esistenza dell’erba e l’immagine è tempo. Ogni momento è il mondo intero che esiste totalmente nel tempo” (21). Che è il pilastro della scuola Huayan cinese (22). Quando il Buddha mostra il fiore, rigirandolo tra le mani, mostra il mostrarsi dell’Evento, dell’accadere della natura universale, la non natura, la natura differente, una sua differenza perché temporalmente impermanente. La moltiplicazione di una differenza ne costituisce la sua natura, nel differimento continuo, il suo eternarsi. L’origine di una cosa, il suo evento,è la manifestazione evidente della Thatà, della capacità creatrice dell’evento, della capacità realizzativa dell’evento. La percezione estetica del fenomeno, soggettivamente inteso, è una speculazione, una intuizione della similarità all’evento, nella differenza, in una differenza. Cioè il costituirsi nella dilatazione del tempo di una forma, del nama e di rupa (nome e forma) della tradizione sanscrita (23), il costituirsi di una catena di eventi similari all’origine ma differenti nella forma e nel nome; nella sua costituzione indivi23 SCIENZE DELL’ANTICHITÀ | SCIENZE E RICERCHE • N. 45 • FEBBRAIO 2017 duale, la coproduzione condizionata che è la vera maturazione e la vera rivoluzione nell’esperienza genetica in Buddha Shakyamuni, così come ci è stato tramandato dall’Apologo della giovane pianta di riso, il Salimbastra sutra, e nel Grande Dialogo delle cause, il Maha Nidana Suttanta (24). L’esserci, il caso delle cause, il kairòs. L’En-ge e il ka, Il farsi del momento, in un unico svolgimento temporale (25). Nelle parole del Buddha stesso si coglie l’eccezionalità radicale della sua rivoluzione epistemologica nei confronti dell’insegnamento braminico tradizionale: “Colui che sa che gli elementi sono vuoti e privi di sé, conosce il risveglio dei Buddha” e ancora: “Colui che ha compreso che gli elementi hanno la natura delle illusioni e dei sogni, che come un tronco di banano sono privi di un nucleo, che sono simili ad un’eco, colui che percepisce tutti gli elementi come uguali, vuoti, privi di ogni diversità e individualità, che non vede elemento alcuno, costui, nella sua grande saggezza, vede l’intero corpo del Dharma.” (26) Ma nella straor- Tempio di Eiheiji in Giappone dinarietà dell’Evento noi riconosciamo l’Avvento del Cristo e del Buddha, l’avvenire di una Realizzazione al di sopra di ogni Immaginazione: l’oltre del tempo. La fondazione di una esperienza cultuale di questa dimensione (per intenderci: la dimensione del Tempo e dell’essere del Tempo nella riflessione di Dogen, commisurata alla riflessione della scienza moderna, fenomenologica, relativistica e elettroquantistica) (27), può essere, deve essere detta solo con un linguaggio che sorprende nel suo farsi, nell’evenienza del miracolo, nel myoshu, questo esserci della cosa presente, il suo esse deus. Il linguaggio di questo accadimento, dell’Avvento, non può essere altro che un linguaggio rituale, memoriale ossequioso che testimonia di una coscienza realizzata dell’evento stesso. Come ben vide Walter Benjamin in Sulla lingua in generale e sulla lingua dell’uomo: “Nell’uomo Dio ha lasciato uscire la lingua, che Gli era servita come mezzo della creazione, liberamente da sé perché questa forza creatrice divenisse conoscenza” e “Questa forza creatrice, privata della sua attualità divina, è divenuta nell’uomo mezzo di conoscenza. L’uomo è ora il conoscente della stessa lingua in cui Dio è creatore”(28). L’oscenità del tempo presente non sta solo nella sua radice nichilista, ma soprattutto nella incapacità di vivere questa dimensione relativa dell’Evento Cosmico, l’incorporazione 24 dharmica. Questa coscienza nell’umano si realizza nel Gesto della sacralità, la liturgia. È il gesto del fedele, di colui che nella fede, esprime col suo cuore donato, una “dottrina”. Credere è letteralmente donare il proprio cuore. È immergersi totalmente nell’esperienza del creato, nel sentimento filiale di gratitudine per l’esperienza dell’universo mondo: “Con il termine Sacro intendiamo dunque ciò davanti a cui il sentimento di un uomo bennato risponde con il bisogno di inchinarsi e d’inchinarsi come non si potrebbe davanti a nulla di soltanto terreno. È qualcosa di misterioso e insieme di determinato, di straniero e insieme di intimo. Lo si percepisce al lume delle stelle, dinanzi alla vastità del cielo, ma è altra cosa dai corpi cosmici e dallo spazio; emerge dal mondo ma arriva da altrove” (29). L’altrove dell’altro come differenza e differimento, come luogo di un inabitato, è ciò di cui si occupa le fenomenologia del sacro, la religione. Krd, l’antico vedico per cuore, kardya, è anche la radice di credere, credenza ma anche creatura e creare (30). La fede e il gesto che testimonia di questo riconoscimento, di questa riconoscenza, è una pratica estetica, nel doppio senso dell’aver visto e nel testimoniarlo in modo che sia visibile: la visibilità che testimonia dell’altrimenti inconoscibile. Scrive MerleauPonty in L’occhio e lo spirito: “L’enigma sta nel fatto che il mio corpo è insieme vedente e visibile… si vede vedente, si tocca toccante, è visibile e sensibile per se stesso” (31). Se non ci fosse l’altro che testimonierebbe del me, del noi, come potemmo dire la verità incongrua di un evento? Se non ci fosse lo specchio chi testimonierebbe del volto? Se non ci fosse l’ombra chi testimonierebbe di un corpo? Se non ci fosse Tommaso chi testimonierebbe del Cristo? Se non ci fossero gli occhi chi testimonierebbe del mondo? Questa sensibilità era già chiara all’estensore di un testo mandeo in cui si celebra questo incontro tra realtà immaginali, speculari, dell’io e del non io: “Vado incontro alla mia Immagine e la mia Immagine mi viene incontro; essa mi abbraccia e mi stringe a sé, quando sono uscito di cattività”, e negli Atti di Tommaso: “La veste mi apparve ad un tratto, quando la vidi davanti a me,simile ad uno specchio di me stesso. La vidi tutt’intera in me, ed io tutt’intero in essa,perché eravamo due,distinti l’uno dall’altro, e tuttavia uno solo di forma simile” (32). SCIENZE E RICERCHE • N. 45 • FEBBRAIO 2017 | SCIENZE DELL’ANTICHITÀ Ed è esattamente ciò che afferma R. Guardini, il maggior filosofo dell’atto religioso del Novecento insieme con R. Bultmann, sulla fenomenologia dell’atto conoscitivo: “L’atto essenziale dell’occhio consiste nell’afferrare l’autentico che appare nei dati immediati” (33). Questa funzione del comprendere attraverso uno sguardo che spesso a noi sfugge, della vista sugli altri sensi, per cui noi siamo testimoni della realtà, è ben presente invece in un passo delle Confessioni di sant’Agostino: “…il vedere, in effetti, è compito precipuo degli occhi; e tuttavia ci serviamo del verbo vedere anche a proposito degli altri sensi, quando li usiamo per conoscere: certo non usiamo dire “Senti come risplende” o “Annusa come è brillante”, ma non solo diciamo “Vedi come è luminoso” perché questa è una sensazione che solo gli occhi possono cogliere, ma anche “vedi come suona”, “vedi che odore ha”, …perché il compito di vedere, che spetta innanzitutto agli occhi, è assunto per similitudine anche dagli altri sensi quando debbano esplorare qualcosa da conoscere” (34). In “La visione culturale”, capitolo primo de “La foresta di piume, manuale di etnoscienza”, G.M. Cardona scrive: “Pur ricorrendo spesso nel linguaggio ordinario alle metafore visive (“punto di vista”, “angolo visuale”, “a prima vista”, etc.), raramente o mai ci si accorge che proprio la visione in sé e per sé è la più potente metafora conoscitiva che ci si offra per capire i nostri procedimenti mentali e poi semiotici… sappiamo abbastanza bene come funziona la nostra visione, sappiamo abbastanza bene la differenza tra il sembrare (phainestai, to look out, paraitre) e l’essere di una certa cosa (una roccia, una pozza d’acqua) e ci comportiamo di conseguenza. Sappiamo anzi giocare con la nostra visione, dedicando molte ore della nostra vita a seguire le immagini che su un muro o su una lastra descrive un fascio di luce in movimento, lasciando che queste ci divertano, o ci commuovano, o ci descrivano cose che non sapevamo” (35). La manifestazione religiosa di tutto questo, il sentimento di timore e rispetto, di stupore filosofico (il thaumazein di Platone) o di questa testimonianza della realtà che appare ed è percepita dai nostri sensi, è il gesto simbolico che ci significa, significa all’io e al noi, al mondo, la presenza, il pre-esse della cosa e la nostra presenza alla cosa, l’argomento della talità, ciò di cui si parla; l’argomento teo-logico che pone in un linguaggio dei segni, ciò che lo spirito, l’anima dice, in quel dichten poetico, in quel dettato dell’anima che è la fonte di ogni atto significativo: l’impulso semiogenetico della parola, il suo kerigma, il suo annuncio, in quanto voce che chiama e voce che ascolta. Questo è un argomento a mio parere fondamentale su cui riflettere come argomento veritativo. Nella parola “voce” vaca in sanscrito, c’è già ciò che si dice, è annunciato il detto della parola, (w)auga, sto parlando di una cosa, sto annunciando la verità presso cui sta una cosa, il valore semantico della parola e il suo contesto. L’altro etimo che ci autorizza in questa direzione è bha parlare, in latino fo, fas, fari, che origina nel culto latino fas op- Hilman’s garden, giardino zen del Monastero zen di Salsomaggiore 25 SCIENZE DELL’ANTICHITÀ | SCIENZE E RICERCHE • N. 45 • FEBBRAIO 2017 posto a ius, il diritto divino fas, non è il diritto degli uomini. Dunque la parola sacra bha, origina un ordine giuridico indipendente dall’ordine giuridco umano. Fatum e fama, il fato e la leggenda, il detto e la parola come leggenda nel nesso impersonale, ne tramandano il carattere oggettivo, contestuale ad ordine cosmico, divino. Volontà espressa, detta, con una parola dal divino. I Dogon, chiamano dogon se stessi, ma dogon sono anche coloro che si ritrovano nella capanna per parlare. Dunque Dogon significa: parola, capanna e coloro che parlano nella capanna. Gli Amerindi Shoshoni sono chiamati dai loro vicini Serpenti, ma solo perché usano costruire le loro tende con legni intrecciati come i serpenti. A loro volta i Sioux sono chiamati così perché sono quei maledetti serpenti, insulti delle loro tribù nemiche, ma loro sono i Dakota. Un indovino Dogon poi usa una lingua e nomi che non gli appartengono. Alla sera disegna sulla sabbia la cosmogonia dogon, l’albero genealogico della tribù. Poi aspetta che di notte la volpe del deserto la calpesti e la mattina legge nelle tracce lasciate , i segni della sua lingua divinatoria. (36) “In quello che per noi è il più noto tra i vari miti delle origini, il primo atto di Adamo è quello di dare nomi a tutti gli animali del creato, operazione fondamentale nell’economia della creazione. Come a dire che i vari organismi non possono compiutamente venire in essere se la loro entità non viene doublè di un nome, di un’etichetta linguistica. Ogni cultura riserva una certa quantità di memoria a un catalogo di segni linguistici che descrive il mondo biologico, i fenomeni naturali, le conformazioni dell’habitat e in particolare la flora e la fauna”. In un’altra esperienza veritativa, l’Iliade di Omero, Omero stesso o chi per lui, sente il bisogno di fare “Il catalogo delle navi”, di dire, di far capire a chi sente e legge dell’avventura achea contro Troia, chi sono le tribù elleniche, i loro capi, le loro tradizioni, i nomi, di quanti partecipano dell’impresa. La catalogazione dunque non è solo un elenco nominativo, ma il segno distintivo di una classe, di un individuo, di una nazione. È la narrazione epica o religiosa, il dispiegamento significativo della memoria (37). A mio parere, non si dà l’esatto valore di esperienza veritativa all’esperienza religiosa perché non si ha il coraggio di metterne in campo i criteri epistemologici, di verificazione, come se sottilmente le prove di una verità religiosa fossero dubbie o addirittura pericolose per gli stessi ricercatori, essendo stato smarrito lo statuto per cui presso i popoli e presso i filosofi dell’esperienza, l’esperienza religiosa è un fatto di riconoscimento di una realtà che non si può dire se non con linguaggi aurorali, semiogeneticamente vicini alla fonte del sentimento religioso e del suo percepire. Non si ha il coraggio di dichiarare la religione come scienza fenomenologica del sacro, come la capacità metacomunicativa di un popolo di organizzare un linguaggio complesso intorno al sacro, attraverso l’idea di culto. Della coltivazione memoriale di una esperienza. Ricorda G. Scholem, il grande storico della Tradizione orale, della Mistica ebraica, della Qaballah ebraica: “Ciò che mi affascinò allora, la forza di una tradizione plurimillenaria, era abbastanza forte da determinare la mia vita e da indurmi a passare, da una dedizione a questa tradizione nello studio e dell’apprendimento, a un’attività di ricerca e riflessione con cui sprofondarmi in essa. Ma pro- Cucitura collettiva del Kesa, nel Monastero zen di Salsomaggiore 26 SCIENZE E RICERCHE • N. 45 • FEBBRAIO 2017 | SCIENZE DELL’ANTICHITÀ prio da queste profondità emerse una nuova immagine, viva e decisiva per me, di questa tradizione,tanto che stento a ricostruire l’intuizione originaria che ne ebbi. Ciò che allora credevo di poter cogliere e afferrare e su cui ho riempito alcuni quaderni della mia giovinezza, si trasformò in questo atto di apprensione e il concetto a cui tendevo divenne qualcosa che riluttava tanto più energicamente ai concetti, man mano che passavano gli anni poiché liberava una vita misteriosa di cui dovevo riconoscere l’impossibilità di essere tradotta in concetti, e appariva tale da poter essere soltanto rappresentata sotto forma di simboli” (38). È come se fossimo abituati a veder scorrere un fiume e non sapere da dove nasce. Sarebbe un atto di percezione religiosa, fascinosa dunque quello per cui la sensibilità umana, nell’atto della conoscenza, di guardar bene la cosa così com’è, attiva una percezione, un campo di esperienza fenomenologica che induce la mente a cogliere la verità che la realtà gli pone, come suggerimento di un altrove, non come luogo generico, ma come abitazione del suo essere reale, cioè il simbolo. Il valore simbolico di un Luogo Comune. Così come aveva intuito Heidegger in “Cosa significa pensare” quando parla dell’esperienza dell’albero che appare all’improvviso alla vista e quando più generalmente intuisce il livello depositario, testimoniale della parola come esperienza della verità stessa. Questa indagine che è già chiara nell’opera maggiore di Heidegger “Essere e tempo”, viene ripresa come fonte originale in Hegel, in un suo lavoro sul maestro di Jena, dal titolo significativo di “Il concetto hegeliano di esperienza” in Sentieri interrotti (Holzwege): “L’essere presso di noi appartiene all’assolutezza dell’Assoluto. Senza questo essere presente, questo essere presso di noi, l’Assoluto sarebbe il solitario impossibilitato ad apparire nell’apparente. Esso non potrebbe schiudersi nel suo essere non-essere-nascosto. Senza questo schiudersi (physis) esso non sarebbe in vita (Zoè)…La parusia (cioè l’essere presso di noi dell’essere) dell’Assoluto si storicizza come fenomenologia) (39). Così in Heidegger: “Ma la natura dell’oggetto da noi esaminato rende vana questa separazione (dell’oggetto indagine e del soggetto indagante, n.d.a.) e di presupposizione. La coscienza dà in lei stessa la propria misura, e la ricerca sarà perciò una comparizione di sé con se stessa; giacché la distinzione testè fatta cade nella coscienza. Essa è in lei per un altro, ossia ha in lei in generale la determinatezza del momento del sapere; in pari tempo questo altro è a noi nel soltanto per lei, ma è anche oltre questo rapporto o in sé (an sich): il momento della verità” (40).Così chiaramente Hegel nella Fenomenologia dello spirito. Questo essere presente dell’essere a noi, la sua parusìa, deve anche esser visto oltre che come apparizione del suo esserci, anche come sua presentazione, manifestazione, in modo da esser visto non solo come rappresentazione, ma come immagine del mondo: “Questa oggettivazione dell’ente si compie in un rappresentare, in un porre-innanzi (vor-stellen) che mira a presentare ogni ente in modo tale che l’uomo conoscente possa esser sicuro, certo, dell’ente”. E questo costituisce l’immagine dell’ente e l’immagine del mondo: “Immagine non significa qui qualcosa come imitazione, ma ciò che è implicito nell’espressione: avere un’idea fissa di qualcosa. Il che significa: la cosa sta così come noi la vediamo. Avere un’idea, un’immagine di qualcosa significa: porre innanzi a sé l’ente stesso così come viene a costituirsi per noi… Immagine del mondo, in senso essenziale, significa non una raffigurazione del mondo, ma il mondo concepito come immagine” (41). Che questo rappresentare il mondo e se stessi, sia all’origine dei linguaggi metaforici da subito presso l’Homo sapiens, all’alba della civiltà umana, la dice lunga sulla capacità espressiva degli uomini nel loro stato nascente, sulla loro naturale vocazione all’ordine concettuale e simbolico: “Con queste figure si doveva esprimere un linguaggio vero e proprio, poiché vi sono elementi ripetitivi molto diffusi che dovevano essere leggibili in tutti i luoghi dove sono stati istoriati. Al di là dei caratteri specifici locali, nei ripari sotto la roccia della Tanzania, nelle grotte ornate paleolitiche della Francia e della Spagna, nell’arte dei cacciatori su pareti dell’Australia o della Patagonia si scoprono le tracce di questo linguaggio che ha le sue radici nei prototipi. È un linguaggio universale che riflette una concettualità universale e che usa dovunque lo stesso sistema di associazione e di logica” (42). Siamo dunque nel campo della semiosfera, nella sfera dei segni che non solo rappresentano la sua immagine ma che la costituiscono, costituiscono la sua abitazione, il luogo astratto dell’esserci. È il linguaggio stesso che parla, essendo il linguaggio la sua dimora che è un dire originario, che ci parla della sua origine. O come lapidariamente dice H.G. Gadamer: “L’essere che può venire compreso è il linguaggio”. “La parola appunto; c’è un’esperienza comune dell’incontro con una potenza che ci condiziona e ci soverchia, e tuttavia può essere da noi contaminata a sua volta: è l’esperienza del linguaggio. Esso ci arriva già dato; è una potenza sociale che ci assume prima di essere assunta da noi; né sappiamo decidere quanto dei nostri pensieri sia già preformato dal linguaggio o quanto sia esso un nostro strumento” (43).Così traduce Stefano Levi della Torre questa interrelazione tra dato, dichten poetico della parola come excursus e l’azione, l’agire poetico proprio del parlante. Noi siamo vivente che parla e parlante che vive. Le due cose, le due cosalità, s’incrociano come fa il punto con la maglia, mentre parliamo costruiamo la nostra vita e mentre viviamo costruiamo i nostri simboli linguistici e di pensiero. Dunque il farsi voce della voce ci indica il cammino di quel diciamo, di chi chiama e di chi ascolta, in una interrelazione di punti cognitivi che costruisce la geografia del nostro territorio. Semiotico, di e da per l’altro. La nostra vita è essenzialmente una tessitura di trame simboliche. Questo linguaggio tra colui che parla e colui che ascolta è l’esperienza significativa dell’umano e del divino, dell’esserci e del non esserci, della presenza e dell’assenza, della parola e del silenzio, della parola e le cose; è l’intermezzo, il “tra d’unione” che compone il linguaggio come mediazione comunicativa con l’altrui altro: “Solo la parola ci mette in comunicazione con le cose mute. Mentre la natura e gli animali sono sempre già presi in una lingua e pur tacendo, 27 SCIENZE DELL’ANTICHITÀ | SCIENZE E RICERCHE • N. 45 • FEBBRAIO 2017 incessantemente parlano e rispondono ai segni, solo l’uomo riesce a interrompere, nella parola, la lingua infinita della natura e a porsi per un attimo di fronte alle mute cose. Sol per l’uomo esiste la rosa indelibata, l’idea della rosa” (44), scrive G. Agamben in Idea della prosa. E più ancora è una mediance, una mediazione culturale tra una mappa e un territorio, condizione questa espressa molto bene dal filosofo giapponese Watsui Tetsuro nel concetto di fudosei, che in un’opera pubblicata nel 1935, coniò un termine nuovo, fudosei appunto, per dire del legame stretto che c’è tra la formazione culturale dell’individuo e della società con il proprio territorio. Se la storia ci dice del nostro legame temporale, fudosei rende la dimensione spaziale di questo legame (45). Chiuderei questa parte dell’argomentazione sottolineando che quel “Kan” di: Kanji sai bosatsu sharishi, O Shariputra colui che guarda con mente libera, quello che vede è perfettamente vuoto, ogni fenomeno è puro segno vuoto, le strofe iniziali del Sutra della Perfetta Sapienza, esprime con chiarezza epistemologica senza pari, l’atto di esperienza fenomenica dell’osservatore che ha raggiunto la sapienza, la scienza del saper vedere, al di là di ogni illusione, la realtà fenomenica per quella che è. Il kenbutsu, la visione di un Buddha, del Buddha equivalente alla weltanschauung, lo sguardo dall’alto e di Dio di Romano Guardini più volte da noi citato. Questa giusta visione, è esattamente quel che intende Hegel e poi di seguito Heidegger, come abbiamo visto, e ancor prima, metodologicamente parlando, Cartesio e ancor prima Aristotele, quando l’uno nelle “Meditationes de philosophia prima”, l’altro nella Metafisica, pongono il problema del subiectum, della coscienza del soggetto che pensa la rappresentazione teoretica dell’ente, della realtà degli enti. La metafisica come sguardo rappresentante il mondo, come visione del mondo, come weltanschauung, è obiettivamente, (al di là del diverso modo di dire questa cosa, cioè la verità degli enti, il loro essere realmente presenti), è ciò di cui parlano le filosofie della conoscenza, le più consapevoli della tradizione occidentale, e della tradizione orientale. Questa esperienza che Hegel chiama dell’autocoscienza cosciente, la teoria della conoscenza buddhista, la definisce come esperienza del campo fenomenico del Buddha, di colui che nella grazia del Satori, vede al di là della falsa rappresentazione del samsàra, il mondo così com’è. Ma per vedere le cose come sono, occorre uno sguardo, un saper vedere che sia epistemologicamente molto attrezzato, che sia esso stesso un fundamentum, un grund, una epi-steme, una stabilità certa; è il theorein con cui Aristotele inaugura sistematicamente i suoi pensieri sull’essere, un theorein in cui non c’è discussione su ciò che intende il filosofo della scuola peripatetica: guardare, osservare (oreo, orao) chiara-mente, (theios), lucidamente, con mente divina come se si guardasse dall’alto in quanto in oreo, c’è anche oros, altitudine: “… theorei to on è on kai ta touto uparkonta kat’autò… essa, la filosofia considera ciò che è nel suo essere e considera così ciò che in questo essere già per suo conto predomina” (46). Dunque teo-orein, la speculazione attenta, vigile, prende il posto della prote 28 philosofia, la prima filosofia che discuteva, speculava sulle cose divine inutilmente; guardava, ragionava, legein epi teion, ragionava sul cielo, sul divino, sul luminoso, cercava di leggere, scrutare il divino. Erano dunque teologoi, non teoretoi epistemologoi, filosofi della conoscenza. La natura in quanto realizzazione, non era presa in considerazione se non nella sua costituzione immaginaria. In questa è la modernità della scienza diversamente dalla antichità teosofica, secondo Aristotele. Non guardava, l’antica filosofia, da sopra in sotto, ma dal basso in alto, guardava le cause ma non gli effetti (ex-factum) e drammaticamente non ne coglieva i nessi. C’è dunque in Aristotele, come per Gautama Siddharta, una rottura epistemologica, paradigmatica enorme, rivoluzionaria della tradizione. Si tratta dunque di guardare attentamente il mondo della natura, delle cose ordinate, - del Dharma per la tradizione indiana e del Logos, del Legame, della Legge che regola l’ordine del mondo per i Greci -, come luogo della realizzazione dell’opera, in modo da avere una visione certa dei dati della conoscenza attraverso una esperienza (expeira), una ricognizione sul confine, sui limiti dell’orizzonte di ciò che si fa, diviene dall’esperienza stessa come apparenza fenomenica (gwar, verum, wahrheit) (47a). L’uso della metafora ottica in Aristotele è fondamentale come sottolinea C. Augusto Viano nella sua splendida Introduzione alla Metafisica, nella edizione della Utet (47b). È solo una questione di intuizione filosofica, interrogativa, dubbia nel suo essere inerente alla percezione fenomenica, oppure questa intuizione corrisponde ad una visione scientifica della percezione da parte del corpo di sé e del non sé, di sé come corpo di appartenenza e del corpo che non è il proprio? In che senso agisce biologicamente questo meccanismo? Le neuroscienze s’incaricano di dare credibilità all’intuizione di Husserl e di Merleau-Ponty sulla fenomenologia della percezione che presuppone la conoscenza del proprio sé per conoscere l’altro da sé: l’intuizione che la percezione dell’altro è in una relazione di simmetria asimmetrica rispetto al sé e al corpo. Che è esattamente il nostro sguardo dentro lo specchio, nella sensazione di smarrimento che quell’altro, l’immagine nello specchio, siamo proprio noi. Scrive Vittorio Gallese, neurobiologo, scopritore dei neuroni specchio: “L’empatia s’intreccia profondamente con la nostra esperienza del corpo proprio, ed è appunto questa esperienza che ci permette di riconoscere gli altri non come corpi fisici dotati di una mente, ma come persone, come noi.” (48). Questo approccio sistemico alla percezione visiva, come sviluppo della fenomenologia, in particolare della fenomenologia della percezione di Merleau-Ponty, (che è il vero interlocutore filosofico dei neuroscienziati), ha condotto negli anni settanta e ottanta, ad un approccio di correlazione inversa da parte di J. Gibson con la nozione di affordance. L’affordance è la presa che un ambiente specifico fornisce (affords) ad un osservatore, il quale può percepirla poiché egli stesso, adattato a quell’ambiente, ha presa su queste prese. Un’idea che risale come già abbiamo accennato in particolare al concetto di aistesis proprio della estetica semantica dello Stoicismo e di Crisippo in particolare. Ulteriormente sviluppato SCIENZE E RICERCHE • N. 45 • FEBBRAIO 2017 | SCIENZE DELL’ANTICHITÀ poi quest’approccio, in modo scientificamente nuovo, da F. Varela e il concetto enaction, azione incorporata, in cui è del tutto evidente che non c’è più nessuna dualità di soggetto conoscente-percipiente e oggetto percepito-conosciuto. Dunque la dinamica dei processi cognitivi esclude informazioni pre-date e pre-relazionate. È l’apparato senso motorio del soggetto a guidare la percezione stessa del mondo. L’espressione “sentire a pelle” non è altro che la sapienza popolare di un evento che è primrio nella costituzione dell’io. L’io pelle familiare e gruppale è stato molto ben definito nel lavoro di Esther Bick, Didier Anzieu e A. Abraham. In altro ambito ed in altro contesto, quello dell’immagine cinematografica, è quello che afferma in una intervista a Tullio Kegich realizzata per la Rai dedicata alla sua opera artistica, Michelangelo Antonioni quando descrive il senso ottico della preparazione della scena, del paesaggio ferrarese in Deserto Rosso, opera premiata con il Leono d’oro al Festival di Venezia nel 1964. Alfonso Iacono in “L’evento e l’osservatore” ci dà le coordinate storiche ed epistemologiche di questo processo, che è un processo standard della determinazione del processo di interrelazione tra percezione e percepito, tra strutture senzienti e strutture di senso, come reciprocità di un incontro di percezione con un reale, in una serie del tipo: a) il conoscente conosce il conoscibile nella misura in cui il conosciuto si rende disponibile alla conoscenza; b) il conosciuto dispone di una interfaccia riconoscibile al conoscente e risponde come un effetto di una causa. Sintatticamente è espresso questo principio di reciprocità inversa, di correlazione inversa nella transitività del verbo che permette all’oggetto della conoscenza di farsi soggetto in modo non più reversibile. L’espressione: “la mela è mangiata da me”, non è più la stessa cosa di: “io mangio la mela”. È, in un paradosso logico di apprensione, che la mela agisce come se si rendesse disponibile alla prensibilità e al farsi consumare. Oppure ancora più sorprendentemente: “non sono io che bevo l’acqua dal bicchiere, ma è l’acqua nel bicchiere che si lascia bere da me”. L’agire in una relazione di un corpo con altri corpi è esattamente nell’agire ed essere agiti, la cui evidenza è confermata dall’espressione: “la terra dove cammino, è calpestata da me”. La radice indoeuropea di piede, *ped, pod è anche la stessa di pedìa, campo, terreno, di piede, come misura terrestre e di pedestre, attività pedestre, come cinèsi interattiva di un organo col suo appoggio, di sostrato col suo vero subjectum, as-soggetto, la terra. Nella forma greca katà poda elaunein, piede sta per orma, seguire le orme, seguire dappresso. Un dio antico come Poteidon/Poseidon, indica nel suo dominio sacrale, lo scuotimento con il piede della terra e dunque di suscitatore di terremoti. Esempio ancora più inducente se si pensa che il noein, il pensare, il pensiero è collegato dagli antichi greci, al suo organo olfattivo, naso, nel senso di an-nuire, assentire dopo aver percepito. Capire, sentire, percepire a naso, come vaga ma intuitiva percezione della realtà, è certamente da collegare ad un’attività, ad un sapere di tipo indiziario e pre-logico arcaico. Tutta una scienza indiziaria, di indagini preliminari ruota intorno a percezioni intuitive, olfattive, a pelle come si dice, o ad occhio, nell’attività umana del fare quotidiano e no; indispensabile all’attività investigativa inquirente (indagini giudiziarie, perizie autoptiche, diagnosi mediche), estetica (tromp d’oeil, valutazione e attribuzione di un quadro, di un’opera d’arte), quindi attinente alla storia dell’arte, di pregiudizio cognitivo o attuativo come nel caso di misure in architettura, in geometria e in cartografia. J. Dewey scrive in Art as Experience: “Per cogliere le origini dell’esperienza estetica è… necessario ricorrere alla vita animale che sta al di sotto della scala umana… L’animale vitale è pienamente presente, tutto in se stesso, in ogni sua azione: nei suoi sguardi circospetti, nel su fiuto sottile, nell’improvviso drizzarsi delle orecchie. Tutti i sensi sono in ugual misura sul chi vive”. Fino al fino al ‘700 inoltrato, prima cioè dell’introduzione del sistema metrico decimale, le misure per approssimazione sensoriale erano la norma. Il cubito (il gomito), il palmo, il pollice e il piede, sono le misure con cui venivano costruiti persino opere monumentali come Versailles. La Casina Vanvitelliana, residenza estiva dei Borboni eretta nel 1782-89 sul lago Fusaro nei Campi Flegrei ad opera di Carlo Vanvitelli, figlio di Luigi, opera architettonica con dodici lati di una organicità geniale senza pari con un angolo di flessione delle spezzate ortogonali di 45 gr. per ampliare i diedri interni, fu eseguita con dei parametri modulari di proporzionamento calcolati sui palmi napoletani, sul cubito e il palmo napoletano, dunque su misure “locali”. Il modulo di proporzionamento è di 33 palmi napoletani corrispondenti a m. 8,70. Lo stesso com-prendere (prendere cum manu, toccare con mano), deve essere connesso all’attività di un organo, la mano, col suo oggetto fin dall’antichità dell’homo sapiens. Dunque da sempre la comprensione è legata all’attività del facere, del fabrum, del fabbricare, della mani-fattura, come l’etnografia e l’antropologia umana ampiamente attesta. E più in generale questo processo di risposta e accumulo di notizie in riposta ad una domanda della mente con l’ambiente, appartiene a quelle interazioni tra conosciuto e conoscente proprie della Agency Theory della psicologia cognitiva postprocessualismo di Giddens, Bourdieu e Marshall Sahlins (49). La duttilità, la umilitas degli oggetti, la loro disponibilità a farsi conoscere è resa evidente dall’intuizione in Dogen, che estende la intuizione di Gautama nel Mahaparanirvanasutra (che tutte le cose hanno natura di Buddha: issai no shujo kotogotoku bussho o yusu), ad ogni cosa esistente, non specificamente gli esseri senzienti, ma a tutte le esistenze senzienti e non senzienti: “tutti gli esseri senzienti la natura di Buddha dell’esistenza, issai-sho shitsu-u-bussho”. Che si realizza nell’espressione paradossale: “Vedere la natura di Buddha è osservare una mascella di asino e una bocca di cavallo” e ancora: “…nell’intero universo non c’è neanche un solo oggetto estraneo alla natura di Buddha e non c’è neanche una seconda esistenza che non sia questo universo qui ed ora” (50). Questa metafisica dell’io, del pensiero autisticamente inteso, che percepisce senza essere percepito, ha prodotto i più grandi equivoci e misfatti nella interpretazione umana 29 SCIENZE DELL’ANTICHITÀ | SCIENZE E RICERCHE • N. 45 • FEBBRAIO 2017 della realtà, portando gli uomini sull’abisso ed oltre, dell’infernalità (51). Scrive Alfonso Iacono riprendendo un passo di G.B. Vico del De antiquissima: “Se i sensi sono facoltà, vedendo i colori, gustando i sapori, udendo i suoni, toccando le cose fredde e calde, noi produciamo queste qualità delle cose”. Il riferimento a Vico significa qui il riferimento a colui che pose le basi teoriche per l’ermeneutica storica, della epistemologia semantica in Occidente, poiché la sua concezione del fare e del conoscere la storia è costruita sul senso di auto limitatezza del comprendere umano. La nozione di chiusura porta con sé l’idea che un sistema produce un mondo e dà senso ad esso. Nel conoscere questo sistema crea eventi, poiché interviene attivamente. Nel dare senso aggiunge il nuovo al già dato… Il rendere simile a sé l’altro è un processo di attività conoscitiva. Ecco perché noi possiamo osservare l’osservatore o intepretare l’inteprete. Tutto dipende dal fatto che è l’insieme dell’oggetto e del mondo prodotto dall’osservatore che noi osserviamo” (52). Nel paradosso della freccia di zenoniana memoria in realtà si pone il paradosso logico di un sistema e cioè: quando la freccia è scoccata, chi è che scocca? L’arco, l’arciere o la freccia? E quando una volta è scoccata cosa avviene in ogni segmento spazio-temporale? Chi osserva e chi è osservato sono dentro un contesto normativo e in questo quadro cosa avviene? Rispondere a queste domande, non solo appartiene alla storia della filosofia della conoscenza, ma questo è in oltre il nucleo fondamentale della ricerca estetica teologica e rituale, questa affermazione della parola testimoniale, di un gesto visibile che significa il quello e quello che è oltre il quello: l’immagine e la sua somiglianza. È il valore simbolico del reale (53). Questo afferma von Balthazar, questa percezione della realtà come segno e come forma è in realtà la percezione della Grazia attraverso la bellezza del mondo: il richiamo continuo al mondo come rappresentazione e come volontà dell’Essere di esserci, l’ ”io sono colui che sono accanto a voi”, della testimonianza Mosaica del significato del Nome di Dio (54). E aggiungo io, politica, cioè la fondazione di una comunità che esprime e testimonia della fede stessa. Col Buddha e con il Cristo, con Dio che ordina a Mosè l’esperienza politica, di istituire e leggi e i tribunali, nella tradizione giuridica e filosofica islamica, nel suo essere islamic nation, nazione islamica senza confini territoriali, noi affermiamo che l’esperienza della percezione estetica del divino, viene tradotta in una ritualità politica, comunitaria; nella Istituzione e nel Diritto e nei linguaggi semiogenetici ad essi connessi. In quell’ordine cosmico e naturale,il Dharma, che chiamiamo nell’antico protoindoeuropeo, (d)Hrto > (d)Hrta. Dritto e rovescio, ordine naturale, trama, tessuto, ordine di un incrocio tra corpo e mente, ordito tra assi simbolici differenti, l’asse del costituito e l’asse dell’incostituito, il dha* farsi. Il Dha di Dharma, il terreno, il fondamentale come ground, l’umano che si realizza è forse il Tao, il metà-odos, il cammino che si realizza come destino, destinazione umana? Probabilmente sì, se recuperiamo il terreno dinamico della etimologia e del significato profondo (55). Ordito, costituzione, trama politica e religiosa di una mol30 teplicità che si trasforma in politica universale. Nella Comunità, nella Comunione dello Spirito, nell’Assemblea dei chiamati. In ciò che san Paolo chiama la comunità dei santi: “Mai più meteci né stranieri ma confratelli e concittadini della Cominità dei santi”. Alain Badiou sottolinea il carattere universalistico della visone di san Paolo che ricolloca l’ebraismo in un ambito universale che lo delocalizza, lo deterritorializza, per farne manifesto politico della universalità del genere umano, planetario e in qualche modo comunistico nella universalità della grazia. In una esperienza teologica e politica, fondativa del Sangha, della Comunità, in quanto comunità che sceglie il proprio Luogo comune. In uno dei sui ultimi scritti, “Cosmopoliti di tutto il mondo, ancora uno sforzo!”, scritto originariamente per la Costituzione in Europa (1995) delle città-rifugio, Derrida cita il comando, il precetto di Dio a Mosè di istituire, le città, i tribunali, le leggi, l’assemblea del popolo, la casa comune del popolo di Israele e poi ancora le città d’asilo per i criminali e per gli esiliati. E. Levinas alle città-rifugio ha dedicato una intensa meditazione. Così come Hanna Arent e Walter Benjamin si sono spesi politicamente per uno stato non totalitario, richiamandosi allo statuto d’eccezione della legge. San Paolo coglie molto bene l’universalità del Massiah divino. Ogni uomo, nella sua universalità, nella morte del Cristo , è salvato perché rinasce nello spirito. La morte dunque, il vuoto assoluto di ogni esperienza umana, la sua Kènosi, è in realtà quella porta stretta che tutti devono attraversare. La non identità del sé, è la via attraverso cui noi apparteniamo, attraverso la morte, la dissoluzione identitaria ed oggettiva delle cose, al mondo intero, alla Koinè universale. Questo aspetto, l’aspetto kenotico della fede è tra l’altro un punto di snodo fondamentale per costruire una somiglianza teologica fondamentale tra Cristianesimo e Buddhismo, tra la morte del Cristo e il Nirvana del Buddha, che sono gli aspetti transeunti del divino nell’umano, tra annichilimento del Cristo sulla Croce per assimilazione terrena, umana e l’aspetto kenotico della fede buddhista, del suo credere allo svuotamento, alla vuotezza di ogni Dharma. E paradossalmente, si lega a quel avel avalim, il vuoto di ogni vuoto, messo lì come drastico ammonimento dello Spirito di Dio nella sua sostanza indefinita ed aleatoria, come chiodo nella trave cosmica, nella tradizione legittima ebraica, nel libro sacro del Qohèlet (56). Simbolicamente dunque i sistemi di religione, iniziano alla nostra identità collettiva, comunitaria, non individuale. È attraverso la morte che il corpo risorge nello spirito. L’apostolo delle genti coglie molto bene che la Kènosi del Cristo, la sua scomparsa, la sua morte, il suo svuotamento, è il lascito fondativo, memoriale della Religione dello Spirito: “Ignorate forse che quanti siamo stati battezzati in Cristo, siamo stati battezzati nella sua morte?” e ancora: “Se infatti siamo stati connaturati con Lui nella somiglianza della morte, lo saremo pure nella somiglianza della Resurrezione” (57). “In verità ti dico che se uno non è nato di acqua e di spirito, non può entrare nel regno di Dio. Quel che è nato dalla carne è carne e quel che è spirito è spirito. Dovete rinascere nello Spirito comune poiché già siete nati nella carne (58)”. Così SCIENZE E RICERCHE • N. 45 • FEBBRAIO 2017 | SCIENZE DELL’ANTICHITÀ risponde il Cristo a Nicodemo che non capisce la novità del messaggio del Cristo stesso. È - nella dottrina del Buddha -, la realizzazione della fede, il Risveglio, la realizzazione della sua mente, la Bodaishin, la mente del Risveglio, come il corpo risorto, rinato, guarito, che sorge a nuova vita, a nuova dimensione. Diviene Buddha realizzando la natura intrinseca di ogni Buddha. È dunque questo il senso, l’annuncio del Buddha nuovo, il suo kerigma? il suo avvenire, il suo Angelus Novus? Se fosse così, sarebbe davvero commovente; la coscienza del Nirvana, nella corrente del samsara, sarebbe la profezia della Grazia donata agli uomini, nel regno del suo spirito, il Dharma realizzato nello Spirito a tutti comune: “Figli di nobile schiatta, io consegno, pongo nelle vostre mani questo perfetto supremo Risveglio da me raggiunto. Che si moltiplichi e si diffonda” (59). Ma la grazia cos’è e appartiene all’uomo o è di disputa divina? La consegna dell’annuncio salvifico è lo specifico dell’atto religioso. Senza questo Annuncio, del suo stesso angelo, la notizia dell’Evento non avrebbe significato. Dunque come la freccia che viene scoccata, la parola annunciante, l’annuncio, colui che annuncia e il contenuto dell’annuncio, la memoria testuale, cultuale dell’evento annunciato, sono gli elementi della struttura di senso di un sistema religioso. Ma questo annuncio, come in Kafka, non ammette indugi: “Ordinai di andare a prendere il mio cavallo dalla stalla. Il servo non mi capì. Andai io stesso nella stalla, sellai il mio cavallo e vi montai. In lontananza sentii il suono di una tromba, chiesi al servo che cosa volesse dire. Egli non lo sapeva e non aveva sentito niente. Presso il portone mi trattenne e domandò: “Signore, dove vai?”. “Non lo so, - dissi -, solo via di qui, solo via di qui” (60). In una fuga senza fine dentro ed oltre l’abisso del tempo, come attraversando il deserto, questa è l’esperienza del sacro che induce alla conoscenza dell’altro e del mondo dell’altrui come al mondo di un unico, differente, universo simbolico. Per la matematica e per la fisica sarebbe nient’altro che una curva esponenziale di accrescimento (61). Note 1) Taisen Deshimaru. Il vero Zen, pag.47.SE ed in “I due pilastri della religiosità del pensiero del Maestro Dogen”. Kusen di Taisen Deshimaru. Ist. Ital. Zen Soto; F.Taiten Guareschi in una nota pag.2 dell’Introduzione al suo: F.Taiten Guareschi.Il pensiero religioso di Taisen Deshimatu Roshi. Il Cerchio edizioni,con estrema chiarezza scrive:”Sunyata. Vacuità, vastità,vuoto. Deriva dal sanscrito sunya(zero). E’ la dottrina fondamentale di tutta la filosofia Mahayana , particolarmente dello Zen, a partire da Nagarjuna. E’ la perfetta non dualità che è vuota di tutto,anche dello stesso concetto di vuoto”. 2) Kitaro Nishida.La visione del luogo e la visione religiosa del mondo,pagg.130-138.L’Epos ed.;Per la questione del luogo e del non luogo in filosofia e in filosofia della conoscenza:M. Heidegger, Il concetto hegeliano di esperienza e la sentenza di Nietzsche “Dio è morto” in: Sentieri Interrotti. La Nuova Italia; Ritorno al fondamento della Metafisica, in: Che cos’è la metafisica”? La nuova Italia; H .G. Gadamer, il Sentiero verso la svolta, in :I sentieri di Heidegger. Marietti;M.Foucault.Eterotipia.Luoghi e non luohi metropolitani.Mimesis; Marc Augè: Nonluoghi,introd.ad una antropologia della surmodernità.Eleuthera e Il Troppo pieno e il vuoto, in Rovine e macerie. Bollati Boringhieri; V. Vitiello.Topologia del moderno. Marietti; Raffaele Milani.Visioni estatiche in: I volti della grazia. Il Mulino;J. Y. Lacoste.Esperienza e assoluto. Cittadella; e infine R. Thom: Stabilità strutturale e morfogenesi. Einaudi; C.Mangione: La logica nel ventesimo secolo,in L.Geymonat. Storia del pensiero scientifico e filosofico. Garzanti 3) K.Tsujimura. Il pensiero di Martin Heidegger e la filosofia giapponese,in “Sophia”,n1.1999; M.Heidegger. Cosa significa pensare, pag.59 e seg.Milano. 4) T.Deshimaru Kusen, op.cit. 5) Vasta è la schiera dei critici radicali alla filosofia del fondamento e va da Heidegger, a Gadamer, da Popper, a Feyrabend, a Derrida, a Deleuze, a Rorty. Per rendersi conto della problematicità, consigliamo:A.Pagnini. Teoria della conoscenza,in La filosofia,vol III, a cura di Paolo Rossi. Utet; P.Rorty. La filosofia e lo specchio della natura. Bompiani; H. Albert. Per un razionalismo critico. Il Mulino; G.Vattimo. La fine della modernità. Garzanti; E. Severino. Oltrepassamento. Adelphi;H.Jonas.Questioni relative ai fondamenti e al metodo, in Il principio di responsabilità.Einaudi. (6) M. Heidegger. Che cosa è la Metafisica? Adelphi e E. Severino. L’essenza del nichilismo. Adelphi. E.Severino. La tendenza fondamentale del nostro tempo. Adelphi; A.A.V.V.Scienza e realtà, a cura di G.Peruzzi.Bruno Mondadori. 7) Dogen Zenji. Shobogenzo, Bussho e Maka.kannaharamitsu. Lo Shobogenzo (Il tesoro della vera visione del Dharma) è l’opera fondamentale del maestro fondatore dell’Ordine Zen Soto, Dogen Zenji(1200-1253).Ottimo lo studio sistematico di Hee-Jim Kim “Eiehi Dogen Mystical realist, edito da Wisdom Pubblication,USA e tradotto in Italiano a cura dell’Istituto italiano Zen Soto, Salsomaggiore. Per lo studio del Buddismo Zen in generale invece: Heinrich Dumoulin, A History of Zen Buddhism. Per il Buddismo Zen Soto è consigliabile:Koho Chisan Zenji, Le bouddisme Zen Soto, ed. Sully, Vannes. Esiste anche una traduzione in Italiano a cura dell’Istituto Italiano Zen Soto, Salsomaggiore e Taisen Deshimaru.Il vero zen. SE ed. 8) Per capire la portata di quanto si afferma, non resta che immergersi nell’opera di E.Husserl, ampiamente tradotto in Italia. Per chi volesse,rimane fondamentale l’ampio studio su Die Krisis der eurpopaischen Wisseschaften und die transzendentale Phanomenologie, in Husserliana, Amburg e Erfahrung und Urteil,Esperienza e giudizio in Opere; La stoà di M.Pholenz, la Nuova Italia. Più in generale: Anthony A. Long. La filosofia ellenistica, il paragrafo dedicato allo stoicismo, pag 145 e seg. Il Mulino. Ma già Parmenide affermava che il pensiero e la percezione (to aistanestai kai to fronein) erano identici.(M. Untersteiner in I presocratici e in Sofocle); e per uno studio sulla fenomenologia: C.Sini. Fenomenologia. Garzanti; Enzo Paci. Filosofia e fenomenologia della cultura,in Relazioni e significati. Lampugnani. 9) G.B.Vico.Scienza Nuova. Idea dell’opera,.in G.B. Vico. Opere, vol II. Fulvio Rossi ed. L’ampia nota di Nicola Badaloni nel suo studio su Vico(Introduzione a Vico,Laterza) a pag.26 rende conto di quanto si dice:”essendo la nostra mente partecipe del principio attivo delle cose(il facere), un serio discorso sulla metodologia del Vico non può farsi che tenendo conto sia delle sottostante base attiva sia della risposta, in termini di arte topica e di linguaggio, che la mente è in grado di sviluppare. Anzichè un blocco monolitico e unidirezionale tra natura e scienze umane, la causalità vichiana deve essere intesa come capacità di pensare la variazione dei contesti e di esprimerla in modo simbolicamente appropriato”. 10) In Sutra Zen,a cura dell’Istituto Italiano Zen Soto, Salsomaggiore. 11) “La mente del risveglio non è natura propria né natura altrui, non è natura comune o la natura senza causa. Nonostante ciò , il sorgere del pensiero dell’illuminazione accade, quando la risonanza cosmica è presente (kanno-doko).” Dogen in Hotsu-Bodaishin e in Kim“Dogen mystical realist”,pag176. 31 SCIENZE DELL’ANTICHITÀ | SCIENZE E RICERCHE • N. 45 • FEBBRAIO 2017 12) Tommaso D’Aquino. De ente et essentia. Dell’ente e dell’essenza, pag 121-139 e 147-149.Sei.Torino e L’incarnazione, in Somma Teologica,terza parte, qq.1-26.Salani.Firenze 13) Genesi,1.26.1.27:” e Dio creò l’uomo a sua immagine e somiglianza. A immagine di Dio li creò. Maschio e femmina li creò”.Sul senso dell’espressione il Genesi rabbah, la raccolta delle interpretazioni del Genesi,e il Midras Thillin, una raccolta di interpretazioni (midras al plurale midrashim,vale insegnamento) redatta in età altomedievale danno questa interpretazione:” A nostra immagine, secondo la nostra somiglianza e cioè non l’uomo senza donna né la donna senza l’uomo e neppure entrambi senza la Sekinah ,(la presenza- impresente come l’ombra, di Dio), afferma rabbi Simila’y”.Genesi rabbah VIII.9. Nel Misdras Tehillim invece :”Quando un uomo traccia una figura su di un muro, questa non ne produce un’altra;l’uomo invece è la figura del Santo,sia Egli benedetto e anche l’uomo genera figli a propria immagine, come è detto Adamo generò un figlio a sua immagine e somiglianza(Gen.5-3)”.Midras Tehillim CXVII.I 14) a. Così si esprime Anne Cheng a questo proposito:”In effetti è nello spirito assoluto che si integrano armoniosamente tutti gli elementi del mondo noumenico puro della buddhità come del mondo fenomenico impuro,segnato dalla molteplicità e dall’infinita varietà delle cose. Di conseguenza la scuola Tiantai pone l’accento sulla coltivazione dello spirito tramite la cessazione-concentrazione (zhi) che porta a prendere coscienza della vacuità di ogni cosa e la visualizzazione (guan, giapponese kan) che al di là della vacuità, percepisce le cose nella loro realtà temporanea”. Anne Cheng. Storia del pensiero cinese. vol. II pag.415. Einaudi. Il kanji, l’ideogramma equivalente di guan è un omino che guarda attentamente qualcosa davanti e sotto di lui. Il saper guardare dentro e oltre la realtà, questo è l’aspetto propriamente profetico del pensiero.(Lo sciamanesimo e il Sacro e il profano di. M.Eliade; inoltre in Fenomenologia della religione di G.van der Leeuw).In Sanscrito è il bodhisatva Avalokitesvara detto avalokita,colui che guarda dal’alto verso il basso,che contraddistingue una compassione ma anche la sua grande sapienza dall’alto, esattamente ciò che R. Guardini intende per weltanschauung contrapposta ad anschauung, sguardo divino e sguardo terreno: ”Mosso da compassione Avalokita, senza perdere di vista la vacuità,guardò in giù dall’alto questo mondo di creature sofferenti” così in Ed. Conze nel commento alla traduzione dal sanscrito del Sutra del Cuore. In “ I libri buddhisti della sapienza”,pag 71.Ubaldini. b. Bodhisatva vuol dire:essere risvegliato. Nella tradizione del Grande veicolo,il Mahayana, la figura del bodhisatva è molto importante, è colui il quale,perfettamente risvegliato,sceglie di vivere in mezzo agli uomini per aiutarli a realizzare a loro volta il Risveglio.(K.Mizuno, Essentials of buddhism. Basic terminology and concept of buddist philosophy and practice. Kosei Pubblishing Co. Tokyo.Nel Sutra del Diamante ai capitoli dal 3 al 5 è trattata la figura e il percorso di un bodhisatva;vedi anche :G.Filoramo. Dizionario delle Religioni, alla voce bodhisatva. Einaudi e Har Dayal.The bodhisatva Doctrine in Buddhist Sanskrit Literature. Trubner & comp. London 15) G.Busi alla voce masiah, op. cit. e Pnina Navè Levinson.Introduzione ala teologia ebraica,pagg.130-135.ed.San Paolo. Per una trattazione completa sul Messianesimo ebraico:David Banon, Il Messianesimo. Giuntina e J.Neusner.I fondamenti del Giudaismo.Giuntina 16) In effetti Il Sutra del Loto è detto anche Sutra del Bodhisatva Kannon, Avalokitesvara in sanscrito, il sutra che più si spinge sul fronte del profetismo e del messianesimo buddhista. P.Williams. Il Buddhismo Mahayana,cap.7,pag165.Ubaldini e F. Sferra nell’Introduzione al Sutra del Loto. Bur 17) “Fu il buddhismo Mahayana che apprestò un fondamento filosofico più consistente alla teoria del Buddha,attraverso la dottrina dei due, dei tre e quattro aspetti o corpi (kaya) del Buddha :il corpo del Dharma (dharma-kaya), il corpo di ricompensa o di godimento (sambhoga-kaya) e il corpo di manifestazione(nirmana-kaya).Si ha fede che il Dharma si sia incarnato nel Buddha”.Così K.Mizuno op.cit.pag.8; la dottrina del corpo di Dharma è trattata nel sutra del Diamante in 2b e 2c del testo a cura di Ed.Conze, op.cit. in nota 13. 18) Il Sutra del Diamante,pagg.60-63 in E. Conze. I Libri buddhisti della Sapienza. Ubaldini Editore 19) E. Cassirer. Storia della filosofia moderna al capitolo:L’Umanesimo e la contesa tra filosofia platonica e aristotelica,pag.96 e seg. New Compton.Per un’accurata trattazione dell’argomento,vedi poi:Cesare Vasoli. La rilettura di Aristotele e Platone,in La cultura Civile pagg.4565.Utet;Per la visione del pensiero ebraico e cabalistico al riguardo ve- 32 di:Benedetto Carucci Viterbi. La Qabbalah, in Torah e filosofia,percorsi del pensiero ebraico. Giuntina. In particolare nello Zohar, il Libro dello Splendore, attribuito da G. Scholem, il più grande studioso della Qabbalah del Novecento,a Mosè de Leon,cabalista di Vallodid della fine del XIII sec.,si pone lo scopo di cogliere la dimensione nascosta dei processi divini come rispecchiamento della creazione. Per la cultura islamica:B. Scarcia Amoretti. Maometto e l’Islam. Salerno ed.; R.Tottoli. I profeti biblici nella tradizione islamica. Paideia.;H. Corbin. Le paradoxe du monoteisme.L’Herne; in particolare T.Fahd. La naissance du monde en Islam in La naissance du monde,pagg.250-55.Le Seuil. E Y.Tardan-Masquelier. I Miti della Creazione,La nascita del mondo secondo l’Islam, parag..6, pagg.325-326 in La Religione. Utet 20) F.Taiten Guareschi.Capaci di missione attiva,pagg.7 e 8. La voce che ascolta. Istituto Italiano zen Soto. Salsomaggiore. 21) Dogen Zenji.Shobogenzo, Esistenza-tempo(uji),pag.38-39.Mondadori 22) Anne Cheng.Storia del pensiero cinese, vol. II.pag.415 § 3.La scuola Huayan. 23) “I cinque aggregati sono costituiti da elementi psicofisici:forma(rupa),sensazione(vedana), percezione(samjna),fattori mentali(samskara) e coscienza(vijnana).Complessivamente sono chiamati nama(nome) e rupa(forma).Il composto nama-rupa è quindi un sinonimo dei cinque aggregati”. K.Mizuno, op.citata in “Elementi dell’esistenza”quaderno n.3, pag.4, a cura dell’Istituto Italiano Zen Soto, Salsomaggiore. 24) Dogen Zenji, vedi nota 18. 25) Il canone Buddhista,2 vol. Utet 26) Il Sutra del Loto. Capitolo V,51 e 79. BUR 27) Sono stato molto in dubbio se scrivere quanto sopra e questa nota, consapevole dell’”arditezza” di questa supposizione e perché il tema della scienza e della filosofia buddhista, ha subito in questi anni il fascino della cultura olistica,che a mio avviso significa tutto e non significa nulla. Resta il fatto che nelle intuizione di Heisenberg, Schrodinger, D.Bohm, Mandelbrot, Bateson e Prigogine, E. Del Giudice e Preparata, fino alle recenti acquisizioni di Varela,e soprattutto di Vittorio Gallese per le neuroscienze, di A. Piazza per la genetica evoluzionista, G.M. Cardona,R. Rappaport e A.Salza per etnolinguistica, ci sono argomenti logici, semantici e di biosemiosfera, da sviluppare per un serio incontro tra scienza e pensiero del non pensiero buddhista. Certamente in Dogen in particolare non v’è alcuna intenzione di analisi epistemologica del reale, in quanto il suo pensiero è un pensiero religioso. Ma di certo il suo pensiero giunge a tali livelli di complessità che di fatto induce chi legge a vari ordini di considerazioni: di logica, di epistemologia e storia delle scienze. Per questo rimandiamo l’ardito parallelismo allo studio di Dogen e in particolare allo studio di Abe Masao:La concezione dello spazio e del tempo in Dogen. Istituto italiano Zen Soto; e per le questioni logiche e scientifiche al volume di Mauro Dorato. Il software dell’universo. Mondadori in particolare da pag.68 a pag.80 ; A. Pagnini: Filosofia della conoscenza. della conoscenza, op.cit;D.Sciama.The Physical Foundations of General relativity, Science Study Series, Modern Cosmology, Cambridge, Cambridge University Press. 28) W.Benjamin. Sulla lingua in generale e sulla lingua dell’uomo, in Metafisica della gioventù, pag.186. Einaudi. La questione in W.Benjamin è di grande complessità, e riguardano i suoi legami con G. Scholem e con altri pensatori ebrei e non ebrei a lui contemporanei. Va dunque inquadrata nella particolare Bildung dell’epoca e del pensiero ebraico in Germania nel primo Novecento per cui è doveroso rimandare il lettore a: F.G. Friedmann. Da Cohen a Benjamin. Giuntina e alla ottima prefazione di Carlo Attini: Oltre il Nichilismo, al volume su:Leo Strauss. Filosofia e Legge. Giuntina; al volume Filosofia e ebraismo da Spinoza a Levinas a cura di K.Tenenbaum e P.Vinci. Giuntina. Franz Rosenzweig. Ebraismo, Bildung e filosofia della vita. Giuntina 29) R. Guardini. Scritti Filosofici,pag.201, vol.II. Fabbri ed.; A.Grillo. La riscopetta del rito come dato della teologia. Il contributo dell’antropologia per la comprensione del’esperienza religiosa.pagg7-14.op.cit.. 30) C.Watkins. Le dorsali,in Proto-indoeuropeo; E.Vineis, Le consonanti occlusive>i.e. k,pag 305, in Latino, in Le lingue indoeuropee. Il Mulino;per il ritualismo religioso inerente alla voce,vedi A. Degrace. Dalla Religione vedica alle Upanishad, in La Religione vol III. Utet 31) M.Merleau-Ponty. L’occhio e lo spirito,pag.18.SE 32) Henry Corbin. Corpo spirituale e terra celeste, pag.118. Adelphi. 33) R. Guardini. Fede, religione, esperienza, pag.146. Morcelliana 34) Agostino di Ippona. Confessioni. X, xxxv, pag.54.Utet 35) G. Raimondo Cardona. La foresta di piume. Manuale di etnoscienza, SCIENZE E RICERCHE • N. 45 • FEBBRAIO 2017 | SCIENZE DELL’ANTICHITÀ pag 7.Laterza. 36) a) kerigma è parola greca per annuncio,bando pubblico,editto. Nel Nuovo testamento viene adoperato da Matteo come predicazione del Cristo(Mt.12-41).Ma del Kerigma, dell’Annuncio di una verità escatologica,è fondamentale la notazione costante in Paolo, come avvento della chiesa dello spirito e della comunità dei santi in Cristo. L’aspetto annunciante, autoritativo della religione che annuncia l’evento fondante, si estende generalmente alle religioni storiche. Per la questione vedi:P.A.Sequeri. Il Dio affidabile.Saggio di teologia fondamentale.Queriniana.;H.Schlier. Kérygma e sophia in Il tempo della chiesa. Il Mulino; R.Bultmann. Credere e comprendere. Queriniana; W.Benjamin. Angelus Novus. Einaudi; G.Scholem. Walter .Benjamin e il suo angelo.Adelphi; F.Rosenzweig. La stella della redenzione. Marietti; K. Lowith. Significato e fine della storia. I presupposti teologici della filosofia della storia. Ed. di Comunità. Per il kerygma, come parola annunciante nel cristianesimo, nell’ebraismo filosofico e nella ierofania del Buddha, vedi:Vincenzo Crosio.Il kerigma,l’annuncio della parola che cambia il paradigma,in Zenite,zen notizario. vol.16,n.3-autunno 2009 e riportato qui, in questo testo; b). per wauca,vox, voce,aoga,parlo chiaramente,con solennità,vedi alla voce A.Thumb, Handbuch des Sanskrit.Winter.;C.Watkins.Il proto-indoeuropeo.pag.56,in Le lingue indoeuropee.Il Mulino.;E.Benveniste.Le istituzioni indoeuropee,alla voce >voto,pagg.460-461,op.cit. e alla voce>fas,pagg.384-391,op. cit; c) Per Shoshoni,Sioux e Dogon, A.Salza in Modelli di rappresentazione pag.7.Atlante delle popolazioni. Utet 37) G.R. Cardona. La foresta di piume. In “I nomi delle cose”,pag.129. Laterza;Omero,Iliade,libro II. 38) G.Scholem.Da Berlino a Gerusalemme,pagg.47-47.Einaudi 39) M.Heidegger. Sentieri interrotti. Il concetto hegeliano di esperienza,pagg.185-186.La nuova Italia. 40) G.W.F.Hegel. Fenomenologia dello Spirito. pag.76.La Nuova Italia. 41) M.Heidegger. L’epoca dell’immagine del mondo,pag83 e pag.86-87, in Sentieri interrotti. La Nuova Italia 42) E.Annati.I linguaggi metaforici,in Le religioni preistoriche,pag.43.La Religione,vol I.Utet 43) Stefano Levi della Torre. Zone di turbolenza,pag.23.Feltrinelli. 44) G.Agamben. Idea del linguaggio,pag.87,in Idea della prosa. Feltrinelli 45) Watsuji Tetsuro.Fudò.Ningengakuteki kosatsu.Tokio.Iwanami Shoten,1935; trad.inglese:Climate and Culture.A philosophical Study.N.Y.Greenwood Press,1988. 46) Aristotele.Metafisica.Z1,1003 a21. Jager W.W. Oxford 47a) -J.Pakorny. Indogermanisches etymologisches Worterbuch.Berna; 47b) -Augusto Viano. Aristotele, Metafisica. Introduzione pagg.11-14. Utet 48) V.Gallese. Corpo vivo, simulazione incarnata e intersoggettività,pag.319,in Neurofenomenologia. Bruno Mondadori. 49) a- Per il fonetismo ped/pod vedi P.Chartraine, Il vocabolario etimologico della lingua greca. Parigi così pure per Pedo-seion,Poseidon, scuotiterra, e E.Benveniste.Il vocabolario delle istit.indoeuropee,op.cit.alla voce>ospitalità; Per l’attribuzione del dominio sacrale di Poseidon Hippios vedi M. Detienne in Puissance du jallissement, pag 145-147.in Il destino della Sibilla.Bibliopolis.b- Per Noein come capacità di sentire empaticamente che ci sia qualcosa attraverso il naso,l’annusare e l’annuire,comprendere che lì ci sia qualcosa, vedi H.G.Gadamer pag.32 di Parmenide. Ripostes, in cui vengono riportate le ricerche di K.von Fritz sul campo semantico di noein, pensare,nous pensiero come riconoscere qualcosa per il suo odore attraverso il naso proprio degli animali,(K.von Fritz,Le orig. della scienza in Grecia,Il Mulino) come in ad-nuo, porto il naso verso, annuso, annusare l‘aria,;e R.B.Onians a pag.166-168 di Le origini del pensiero europeo,in Genius,numen in cui tra l’altro si cita Livio(VII,30) che cita un episodio in cui i messi campani chiesero ai senatori romani di assentire annuendo col cenno del capo,ricordandogli il numen originario:” Annuite,patres conscripti, nutum numenque vestrum invictum Campanis”.;J.Dewey.Art as Experience,pagg.18-19.Capricorn Books;c-Per il sapere indiziario vedi: C.Ginzurg.Spie.Radici di un paradigma indiziario,in Crisi della ragione.Einaudi;J. Bruner J.La fabbrica delle storie, Laterza;P. Ricoeur. Dal testo all’azione. Saggi di ermeneutica. Jaca Book;d-Per le misure non decimali vedi Le misure nella scienza,nella tecnica,nella società, manuale di metrologia, a cura di S.Sartori.Paravia e L.Geymonat ,Storia del pensiero scientifico e filosofico.Einaudi;per le notizie sulla Casina Vanvitelliana del Fusaro:Fusaro,storia, cultura,arte.pag.21-28.Eliopolis.e-Per il rapporto tra sviluppo cognitivo del’Homo sapiens e la sua attitudine alla manifattura,il suo embodiement, l’ingaggio del corpo con l’ambiente e con la relazione con gli altri,vedi la splendida Archeologia teoretica: Breve Introduzione,pagg.46-49 diM.Montagnari Korely,in Dalla preistoria alla storia.Il mondo antico.Salerno ed. e A.Salza .Strategie di sopravvivenza,tecnologia , pagg.123-126.Atlante delle popolazioni. Utet;f-Per la Agency Theory,la Theory of pratice e la Strutturation Theory che identificano l’embodiement, il material engagement e le pratiche corporee nella civilizzazione umana:C.Renfrew-P.Bahn.Archeologia,teorie,metodi,pratiche.Zanichelli e I.Hodder, Archaeological theory today, Cambridge; g-Per l’approccio neocognitivo dell’ ”ecologia dello sguardo” vedi:J.Gibson.The ecological approach to visual perception.Boston e F.Varela,E Thompson ed E.Rosch.L’inscription corporelle de l’esprit. Seuil.Paris.;A.Berque.Come parlare di paesaggio? In Estetica e paesaggio, pagg.166-168.Il Mulino.; per l’io pelle familiare e gruppale,D.Anzieu,L’io pelle familiare e gruppale,in Interazioni,Franco Angeli. N.1/96 e P.Lussana in Rivista di Psicanalisi.30,1984;Tullio Kegichz,Michelangelo Antonioni.Intervista.Rai storia. 50) Dogen Zenji.Bussho in Shobogenzo.Pisani ed. e Hee-Jin Kim. Eiehi Dogen realista mistico,pagg.104-108.trad.Massimo Barbaro.Istituto itaiano Zen Soto.Salsomaggiore;Su tutto l‘argomento vedi poi la bellissima discussione di H.Jonas in Il principio di responsabilità, Sugli scopi e la loro posizione nell’essere,pagg 65-97.Einaudi 51) G.Bateson.Verso una teoria della schizofrenia,pagg.244-251, in Verso un’ecologia della mente. Adelphi; P.Watzlawitck.La realtà della realtà,pagg 24-33 e 82-89. Astrolabio; A.Kozybski. Introduzione ai sistemi non aristotelici e semantica generale.Pennsylvania;G.Jervis.Introduzione a La personalità autoritaria 2 vol.Adorno Frenkel-Brunswik Levinson Sanford.Ed.Comunità. 52) A.Iacono.L’evento e l’osservatore.Ricerche sulla storicità dela conoscenza, pag.45.PierLuigi Lubrina ed. 53) U.Eco.Simbolo,in Enciclopedia,vol.XII.Einaudi.;J.Buadrillard,Lo scambio della morte nell’ordine primitivo ,in Lo scambio simbolico e la Morte.Feltrinelli.;Ed.Leach.Cultura e comunicazione. La logica della connessione simbolica.FrancoAngeli; M.Granet-M.Mauss.Il Linguaggio dei sentimenti. Adelphi; I.Hodder.Symbols in action:ethnoarcheogical studies of material culture.Cambridge University Press.;Ysè Tardan-Masquelier.Il linguaggio simbolico, in La Religione ,vol.VI.Utet;A.Leroi-Gourhan. Le ipotesi della preistoria,in Le religioni dei popoli senza scrittura, a cura di Puech.Laterza; N.Spineto.I simboli nella storia dell’uomo.Jaka Book 54)a. -H.U.Von Balthasar.Gloria.Una estetica teolgica, pagg.10,1920,28-29,31,338. Jaka Book; R.Tagliaferri.La magia del rito.pagg.140141.Edizioni Messagero.Padova.; b-”Nella nozione ebraica di shem,<nome>,O.Procksch distingue due componenti:l’elemento noetico e l’elemento dinamico.Il primo è il suo significato o etimologia,il secondo implica una concezione arcaica come contenitore di una virtù.della quale è possibile un uso magico.Il nome non offre né una designazione logica né una rappresentazione simbolica,ma ne designa l’essenza segreta e ne contiene la presenza attiva,la potenza.”e ”Nell’episodio della teofania del roveto ardente,Mosè dice a Dio:<Ecco, io vado dai figli d’Israele e dico loro:-Il Dio dei vostri padri mi ha inviato a voi-Mi diranno:-Qual è il suo nome? Cosa risponderò loro?>Dio disse a Mosè:”Io sono colui che sono”(Esodo,3,13-14).Riguardo alla formula ehyeh asher ehyeh,possiamo chiederci se essa esprima il rifiuto di Dio di svelare la prorpia identità,<Io sono chi sono>, oppure se non costituisca una rassicurazione fornita a Mosè sulla sua effettiva presenza a fianco del suo popolo.<”Io sono chi sarò accanto a voi”,come il verbo hayah prevede(essere accanto,come in Aywa,Eva, colei che ti è accanto,sposa di Adamo n.d.a.e Sh.Trigano.Ebraismo,pagg.499-500, in La Religione.Utet).nella teofania del Sinai quel che chiede Mosè ,è di vedere la gloria di Dio(Es.33,18).La proclamazione del Nome divino (Es, 34,6) viene data a Mosè come sostituto della contemplazione diretta di Dio,che non è possibile vedere senza morire.Il Nome di Dio è portatore della sua gloria e della sua potenza”.Ysabel de Andia.I nomi divini alle origini del Cristianesimo,in Religionevol.IV.Utet. 55)a -F.Parente.Le istituzioni politiche del popolo d’Israele e Il pensiero cristiano delle origini,in Ebraismo e cristianesimo,in Storia del pensiero politco,vol.II.Utet;Giovanna Galasso.Il mondo islamico mediterraneo dagli Ommayyadi ai Mamelucchi., in Dal medioevo alla globalizzazione. Salerno ed.;B.Scarcia Moretti.Il sistema Islam,in Maometto e l’Islam,in Il Medioevo(sec.V-XV).Salerno ed.;M.Piantelli.Religione e religioni del mondo indiano,in Storia delle religioni.Laterza;G.Dumezil.Mito ed epopea.L’ideologia delle tre funzioni nelle epopee dei popoli indoeuropei. Einaudi.;Dennis Gira.La comunità buddhista in Il Buddha e la nascita del Buddhismo;Chia-yu Wang.Il confucianesimo;Zwi Werblowsky.Relazioni 33 SCIENZE DELL’ANTICHITÀ | SCIENZE E RICERCHE • N. 45 • FEBBRAIO 2017 tra religione e stato in Giappone.tutti in La Religione,vol.III.Utet;b-per la questione qui posta di Hrta,rito e dharma/Dao, vedi A.Brelich.Introduzione alla storia delle religioni,pag198.Ed.dell’Ateneo.Roma;Leda Spiller. Rita e dharma, in L’ordine del mondo,pagg.441-446,e Ysè Tardan-Masquelier. Legge,struttura e ordine del mondo,in I miti della creazione, entrambi in La Religione,vol.IV.Utet. e alla voce rta e Dharma in G.Filoramo.Dizionario delle religioni.Einaudi;E.Benveniste.Il diritto, pagg.358-360,vol II,in Il Vocabolario delle Istituzioni, op.cit. 56)a -J.Derrida.Cosmopoliti di tutti paesi ,ancora uno sforzo.,pagg34-36. Cronopio;E.Levinas.Le città-rifugio, in L’au-de là du verset.Napoli e in Adieu à E. Lèvinas.Galilée; H.Arendt. Le origini del totalitarismo,pagg.398-399.Milano;Per le citazioni dell’Antico Testamento: Numeri,XXXV9-32;Cronache I,6,42 e 52;Giosuè,20,1-9, Per san Paolo:<… mai più stranieri né meteci, ma concittadini dei santi,della casa di Dio>,Efesini,2,19-20 e Alain Badiou:San Paolo.la fondazione dell’universalismo. Cronopio; b- per la Kenosi e le sue implicazioni dottrinarie:R.Tagliaferri. La liturgia del silenzio del sabato santo.In La magia del rito,pagg.421-430. Ediz.del Messagero.Padova;per la relazione kenosi del Cristo e vacuità buddhista,il ragguardevole saggio di Keiji Nishitani “Ontolgia e proferimento” in La relazione io-tu nel buddhismo zen e altri saggi.L’Epos;per la natura profondamente filosofica intorno alla vanità e vuoto di ogni cosa e le implicazioni teologiche in Ebraismo,P.Sacchi in Qohelet,pagg.384-386 in Il Giudaismo dall’esilio alla fine del I Millennio a.C.;Yeshayahu Leibowitz.Qohelet.pagg41-61,in La fede ebraica. Giuntina e Piergabriele Mancuso.Introduzione al Qohelet Rabbah.Giuntina 57) San Paolo.Lettera ai Romani-6,3 e passim 58) Vangelo di Giovanni,3,1-9 59) Sutra del Loto,Libro XXVII, La consegna.Ed.Bur 60) F.Kafka.La partenza, in Tutti i romanzi e i racconti.New Compton. 61) Yu.V. Sidorov, Exponential function, in Encyclopaedia of Mathematics, Springer e European Mathematical Society, 2002. 34 MAGAZINE | SCIENZE E RICERCHE • MARZO 2017 Ruolo di Leonardo da Vinci nell’origine della Morfopsicologia BARTOLOMEO VALENTINO L e radici della Morfopsicologia moderna sono antichissime. Infatti, 5000 anni fa furono trovate nel Sumer, in Caldea, regione corrispondente alla bassa Mesopotamia che si affaccia sul golfo arabo-persiano, delle tavolette in cui si descrivevano la psiche umana confrontandola con quella degli dei. Ad ogni personaggio mitologico era stato associato un aspetto e comportamento specifico. Nasceva la Fisiognomica Mitologica con i tipi Mercurio, Marte, Venere, Giove Saturno, ovvero nomi di divinità che richiamavano cinque pianeti del nostro sistema solare. A questi furono aggiunti altri tre tipi corrispondenti alla Terra, Sole, Luna. Descriviamo sinteticamente questi tipi. 5-Tipo GIOVE (padre degli dei) Il viso è largo, di forma rettangolare con angolo mandibolare arrotondato. Il mento è largo e rotondeggiante, quasi sempre tozzo e doppio. Prevale una comprensione globale dello spazio. E’ presente il paternalismo e l’attitudine a dirigere gli altri, nonché capacità organizzative. Presente negli uomini politici. 1-Tipo TERRA Ha viso massiccio, di forma quadrata o rettangolare. La fronte è in proporzione alquanto piccola e si sviluppa a livello delle sporgenze sopraorbitarie. La mandibola è grande. In questo tipo si riscontra concretezza, senso di stabilità. Presente soprattutto tra gli agricoltori. 7- Tipo LUNA Viso di forma rotondeggiante, mandibola cascante a formare un doppio mento. Predisposto al sogno ed alla carità. Frequente nei poeti. 2-Tipo MERCURIO (dio dai piedi alati) Rappresenta il raggiungimento della spiritualità da parte dell’essere umano. Le forme sono gracili ed il viso assume un aspetto triangolare con apice in basso. Psicologicamente è un ficcanaso, presente il gusto delle idee ed il senso della mobilità. E’un tipo presente tra i giornalisti. 3-Tipo MARTE La forma del viso è di un modellato tonico con i due terzi inferiori un poco sporgenti, zigomi sporgenti e mandibola con angoli forti. Presente il senso della sfida, dell’impulsività, della conquista. Lo troviamo tra gli sportivi. 4-Tipo VENERE. Viso arrotondato, forme aggraziate. Tende ad identificarsi con l’altro. Lo si trova in molte attrici in cui si registra tendenza alla seduzione. 6-Tipo SATURNO Morfologicamente il viso è allungato con rientranze e sporgenze. Le tempia sono incavate, la mandibola alta. E’ presente il senso del tempo ed il bisogno di riflettere. Lo si trova di frequente negli uonini di cultura. 8-Tipo SOLE Forma del viso triangolare con apice inferiore. Presente il senso estetico, l’idealismo, ed il senso umanitario. Lo si riscontra tra le persone che lavorano nel sociale, ma anche negli artisti. Saltiamo 25 secoli e arriviamo in Grecia con Ippocrate (460-377 a.c.). Questi parla di quattro temperamenti corrispondenti ognuno ad un “umore” del nostro corpo: linfa, sangue, bile (o bile verde), atrabile (o bile nera). Addirittura Ippocrate individua le classi sociali in cui un umore era prevalente rispetto agli altri. Così, rispettivamente all’elenco di cui sopra, abbiamo gli agricoltori, i commercianti, i Dirigenti, i Monaci. Inoltre pone in rapporto i quattro umori con acqua, aria, fuoco, terra. In dettaglio, il tipo linfatico ha un colorito del viso pallido, largo,con corpo piccolo, un poco grassottello, gestualità flemmatica. Il tipo sanguigno ha un colorito del viso acceso, corpo tarchiato, gestualità ricca. Il tipo bilioso ha viso di colore bruno, 35 MARZO 2017 • SCIENZE E RICERCHE | MAGAZINE corpo alto muscoli potenti, viso stretto. Il tipo nervoso ha colorito terreo, gesti nervosi. Dopo Ippocrate va ricordato Aristotele (384-322 a.c.) Scrisse il trattato ANIMA distinguendo un’anima vegetativa, una sensitiva, una razionale. Non è casuale che questa distinzione coinciderà con la suddivisione in tre piani della futura Morfopsicologia: inferiore, medio, superiore. Concetti ripresi anche nella teoria del cervello uno e trino del neurofisiologo americano Mac Lean, come vedremo. Va ricordato che Aristotele sarà richiamato ancora negli studi sulla scientificità della Morfopsicologia condotti dal prof Stefano Piccolo, studioso di Biologia molecolare che si è interessato della differenziazione delle cellule staminali. Infatti, Aristotele sostenne che le funzioni del corpo derivano dalla forma e non viceversa. Questa fu la conclusione del Piccolo nei suoi studi, dando, involontariamente, una spiegazione genetica alla nascita dei vari Morfotipi. ri nelle sale settorie di diverse città ed in particolare accanto all’Anatomico Marcantonio della Torre, giovane anatomico di Pavia. D’altra parte molti Disegni Anatomici sono stati poi pubblicati e da tutti gli studiosi del ramo si è sempre apprezzato la precisione ed il rigore nella descrizione dei muscoli, loro rapporto con altre strutture, decorso, inserzione ossea. Leonardo, aveva, evidentemente, una mentalità di scienziato amando portarsi alla radici dei vari problemi. Più in dettaglio, si ritiene che egli abbia sezionato almeno 30 cadaveri nelle sale settorie degli Ospedali prima di Milano, e siamo alla fine del quattrocento, e poi di Firenze alla fine del 500. Era solito portarsi verso gli obitori della zona in gran segreto armato di bisturi, seghe, divaricatori, forbici. I suoi Disegni Anatomici sono conservati al Castello di Windsor e sono di proprietà della Regina d’Inghilterra. Si occupa di Anatomia in tre periodi diversi e studiando argomenti diversi. A Milano, tra il 1480 ed il 1490, studiò il decorso dei muscoli ed ossa. Ciò evidentemente era dettato proprio dalle E veniamo al ruolo di Leonardo da Vinci (1452-1519), esigenze della Fisiognomica. Tra il 1502 ed il 1507, a Fi(Fig.1-5) negli studi della Fisiognomica prima, nella nascita renze, si occupò della meccanica del corpo. A Roma, 1508della Psicologia ed in ultimo nell’origine della Morfopsico- 1513, studiò gli organi interni e la circolazione del sangue. logia circa cinque Leonardo, dunque, secoli dopo la sua è da considerarsi opera. Non è il caso anche il fondatore e di presentare il Perprimo studioso vero sonaggio il quale si dell’Anatomia, forse è interessato quasi a insieme al belga Andrea Vesalio (1514tutte le branche dello 1564), Autore di una scibile umano. Per grande opera ”De il nostro discorso humani corporis fainteressa la Pittura brica” pubblicata nel di Leonardo, che si 1543.Un altro granrivela un formidabile ed insostituibile dissimo merito di mezzo di studio delLeonardo in questo la Morfopsicologia. settore è l’invenzione dell’illustrazione Siamo lontano anni anatomica, tutt’ora luce dalla Fisiognomica Mitologica a valida per i moderni cui abbiamo accendisegnatori. E’ stato nato, né nel corso il primo a ricorrere dei secoli successivi alla cosiddetta immagine esplosa. Rifurono fatti dei passi usciva a disegnare di rilievo. Il grande cranio e cervello in merito di Leonardo sezioni in sequenza è di aver affrontato dimostrando come questi studi con una possono entrare le metodologia scientifica. Non a caso une nelle altre. Fece lui volle diventare uno studio spettacolare su un feto prima un profondo cultore dell’Anatomia, della nascita. Erano ed in particolare di evidentemente delle quella superficiale. cose strabilianti per Figura 1 Leonardo da Vinci Trascorse mesi intel’epoca. Si è occupa36 MAGAZINE | SCIENZE E RICERCHE • MARZO 2017 Figura 2 Autoritratto, Biblioteca Reale ,Torino 37 MARZO 2017 • SCIENZE E RICERCHE | MAGAZINE Figura 3 Studio per la battaglia di Anghiari 38 MAGAZINE | SCIENZE E RICERCHE • MARZO 2017 Figura 4 La Gioconda, Parigi, Museo del Louvre 39 MARZO 2017 • SCIENZE E RICERCHE | MAGAZINE Figura 5 La Scapigliata, Galleria Nazionale di Parma to della struttura dell’occhio e di come funziona la visione tridimensionale arrivando ad identificare la membrana visiva dell’occhio, la retina, e lo stesso nervo ottico. In sintesi Leonardo può essere considerato il numero uno in diversi settori: a. Primo vero Anatomico b- Inventore della Fisiognomica, legata all’Anatomia c- Precursore degli studi sulla psicologia con il suo interesse verso il Profondo ed i nostri moti dell’anima; studi ripresi da Lorenzo Lotto in particolare La Psicologia di Carl Gustav Jung e Sigmond Freud, intersecandosi con la Vecchia Fisiognomica si è trasformata im Morfopsicologia per merito di Louis Corman. E tenendo conto di questi eventi che Leonardo può essere 40 considerato anche l’antesignano della moderna Morfopsicologia. Il grandissimo merito di Leonardo è quello di essere stato il primo a strizzare l’occhio verso il Profondo ,il futuro inconscio di Freud cinquecento anni dopo .Leonardo partendo dall’analisi ed interpretazione della sua pittura, dunque, si è spinto con il suo sguardo verso ciò che in noi ,non è visibile, ma che sarà quello a guidare la formazione dei tratti somatici. Per Leonardo, anzi, la Pittura fu un eccellente metodo di studio della Fisiognomica consentendo di risalire ai “moti dell’Anima” come lui definiva allora quelle che oggi chiamiamo spinte emotive. Possiamo dire che aveva già tanti secoli fa afferrato ed intuito quanto la neurofisiologia dimostrerà cinquecento anno dopo ,ovvero dell’esistenza di MAGAZINE | SCIENZE E RICERCHE • MARZO 2017 un circuito nervoso che mettesse in raccordo le spinte emozionali (moti dell’anima) con la contrazioni dei muscoli non solo mimici ma anche di quelli posturali in generale (Vedi schema). Certamente le sue furono delle semplici intuizioni che, tuttavia, nel corso dei secoli, hanno stimolato e consentito altri tipi di indagini. Non poteva avere una visione di insieme nell’interpretare il viso. Del resto è questo il limite della Fisiogmomica. Va aggiunto che non era affiorata la teoria del Cervello uno e trino di Mac Lean con i suoi tre cervelli 41 MARZO 2017 • SCIENZE E RICERCHE | MAGAZINE Figura 6 Lorenzo Lotto rettiliano,limbico, neocorrticale in rapporto metaforico con i tre piani del viso di cui si parlerà in Morfopsicologia. Comunque, non si puo’ negare che l’approccio allo studio della Fisiognomica fu unico e che a buon titolo Leonardo può essere considerato il Fondatore della vera Fisiognomica. Con Lui si realizza quella famosa equazione che”la Fisiognomica sta alla Psicologia come l’alchimia sta alla chimica”. Ma il suo grande merito fu anche che divenne il capostipite di un gruppo di pittori che cominciarono a seguire la sua impo42 stazione metodologia. Non a caso molti di questi pittori divennero anche studiosi di Fisiognomica interessandosi allo studio del nostro Profondo, termine vago che vuol dire studio iniziale della futura Psicologia. Tra questi pittori ricordiamo il Le Brun francese ,famosissimo per essere stato il Primo pittore del Re Sole in Francia; ancora il Lomazzo ,l’Hogart,il Gèricault ecc. Un altro pittore che si è particolarmente distinto, dopo Leonardo nello studio del Profondo è stato Lorenzo Lotto (Fig 6-7). MAGAZINE | SCIENZE E RICERCHE • MARZO 2017 Figura 7 Gesù e l’adultera, particolare, Louvre, 1528 E’ questo il padre più vicino alla nascita della Psicologia e Psicoanalisi. Lorenzo Lotto (1480-1556) è considerato uno dei più importanti esponenti del rinascimento veneziano del primo cinquecento. E’ stato un eccellente ritrattista,dunque studioso di fiosognomica,Considerava il ritratto come dialogo ,ovvero uno scambio di confidenze tra l’artista ed il personaggio descritto. Riusciva ad entrare nella psicologia dei suoi personaggi come una sorta di confessore, cioè come un interlocutore che pone le domande ma, entrando nel suo Profondo, cerca anche le risposte. E per questo che è da considerarsi un continuatore della rivoluzione in Fisiognomica apportata da Leonardo ed anche il più prossimo alla nascita della Psicologia e Psicoanalisi secoli dopo. 43 MARZO 2017 • SCIENZE E RICERCHE | MAGAZINE Figura 8 Giovanni Paolo Lomazzo come Abate , Accademia della Val di Blenio, Milano, Brera Giovan Paolo Lomazzo (1538-1592) (Fig 8) nella sua opera “L’idea del tempio della pittura”,Milano,1590, ci descrive la personalità dell’uomo in relazione ai quattro temperamenti e si sofferma sul ruolo dell’individuo nella invenzione artistica. In questa opera, praticamente di Fisiognomica, descrive la pittura come una sorta di tempio in cui sono importanti sette colonne che si identificano con i sette Governatori dell’Arte:Leonardo,Michelangelo,Raffaello,Po lidori da Caravaggio,Andrea Montegna,Tiziano,Gaudenzio Ferrari.Charles Le Brun(1619.1690) (fig 9) fu Primo Pittore alla Corte del Re Sole. Ritrasse molti personaggi della Corte, compreso il RE Sole. Da molti studiosi sono proprio questi ritratti ad essere di notevole valore in quanto analizzava la fisionomia del volto correlandola ai diversi stati d’animo. Otto anni dopo la sua morte (1698) fu pubblicato una sua 44 opera specifica di Fisiognomica:”Conference sur l’expression générale et particuliére”. Va ricordato che nel corso dei secoli la Fisiognomica ha ricevuto un contributo anche dal Teatro e dalla scultura. Una branca della Fisiognomica che diventa umportante nell’ottocento è la Frenologia di cui padre è da considerarsi Franz Joseph Gall (1738-1828).In sintesi la teoria frenologica si fonda sul concetto che dalle forme del cranio si determinano quelle del cervello.Ovvero la forma che definisce le funzioni non è quella del viso ma del cervello,a sua volta conseguente alla forma del cranio. Gall stabilisce una vera e propria mappa cerebrale,cosa ripresa negli anni successivi dalla Neurologia.Attualmente noi conosciamo le funzioni del cervello relative ad ogni minima parte di esso.Addirittura furono aperti locali in cui si diagnostiva un carattere leg- MAGAZINE | SCIENZE E RICERCHE • MARZO 2017 Figura 9 Charles Le Brun gendo il cranio.Ma anche queste teorie vengono confutate. Si apre un ampio dibattito sulle relazioni tra lesioni cerebrali e malattie mentali.Ormai sta per farsi avanti la Psicchiatria di Freud e Jung.La Fisiognomica tende ascomparire,anche se per diversi secoli era stato un formidabile strumento di studio in numerosi pittori,a cominciare da Leonardo da Vinci. La Fisiognomica ormai è assorbita dalla Criminalogia del Lombroso,dall’Antropologia, e poi dalla Psichiatria e Psicoanalisi.Sempre nel secolo ottocento va segnalato un discepolo italiano del grande Charles Darvin:Paolo Mante- gazza (1831-1910. Questi studiò la mimica in rapporto alle emozioni,parlando di mimica del pensiero e mimica dei sentimenti.Mantegazza si soffermò molto sul concetto che la lettura della mimica di un soggetto può darci una idea sul suo vissuto. Questo gruppo di ricerche anticipano quanto definirà la Morfopsicologia nel 900 e la stessa interpretazione del circuito emozioni –muscoli mimici . Un impulso notevole allo sviluppo della Fisiognomica è venuto da Johan Kaspar Lavater,teologo svizzero di lingua tedesca.che ha scritto il primo vero trattato di 45 MARZO 2017 • SCIENZE E RICERCHE | MAGAZINE 46 Fisiognomica,intitolato “FISIOGNOMICA”. (Fig 10) Tuttavia, non riuscì ad avere una visione di insieme del volto. Ebbe senz’altro delle intuizioni interessanti ma del tutto frammentarie ed insignificanti ed incoerenti. E quanto successe al Criminologo italiano Cesare Lombroso (18351909), (Fig 11) che diede del viso una interpretazione troppo settoriale e meccanicistica. A quel dato elemento anatomico corrispondeva un aspetto della personalità specifico. Ricordiamo alcune delle tantissime opere di questo criminologo italiano,tra cui Genio e Follia(1864) e L’uomo delinquente in rapporto alla antropologia,medicina legale, e alle discipline carcerarie(1876). In sintesi secondo il Lombroso il criminale non va incarcerato,essendo un folle,ma internato in appositi manicomi criminali e curato.Il Lombroso tracciava questi tratti anatomici di un delnquente.”In genere ,i più fra i delinquenti, hanno orecchie ad ansa,scarsa barba,capelli abbondanti,mandibola enorme,mento quadro e sporgente,zigomi allargati,gesticolazione frequente,tipo insomma somigliante al mongolino ,o qualche volta, anche al negroide. Ma il Lombroso fu smentito subito dopo la sua morte avvenuta nell’ottobre del 2009 grazie all’autopsia eseguita sulla sua salma dall’anatomo-patologo Foà.Misurando il suo cranio risultò di peso inferiore alla media con tantissime “pieghe di passaggio”.Secondo la teoria del Lombroso era un cranio tipico di un criminale e di un folle.Da quel momento tutte le teorie del Lombroso non furono più seguite. Non aveva colto l’importanza della Psicologia nello studio della Fisiognomica,cosa che nel 900 riuscì a Louis Corman. Sarà,dunque, la Psicologia a dare vita alla Fisiognomica ed avviarla a trasformarsi nella futura Morfopsicologia . Questo processo di integrazione e supporto della futura morfopsicologia iniziò,dunque, con le intuizioni geniali del grande Leonardo attraverso l’analisi delle sue pitture. Fu quella la svolta epocale ,di avere orientato i futuri pittori a rivolgere il loro sguardo all’interno di noi stessi per indagare sui movimenti che nascevano nella nostra “Africa interiore” come la definiva il pittore Jean Paul Richter, che non sarà altro che l’inconscio di Freud 500 anni dopo. Alle radici della Moderna Morfopsicologia ci sarà la Psicologia di Jung e di Freud ,oltre alla conoscenza della teoria del” cervello uno e trino di Mac Lean”. Figura 10 Johan Kaspar Lavater Figura 11 Cesare Lombroso MAGAZINE | SCIENZE E RICERCHE • MARZO 2017 Louis Corman medico francese (Fig 12) è stato il vero fondatore della Morfopsicologia nel 1937,come avremo modo di approfondire. Una citazione molto semplice del rapporto tra Psicologia di Jung e della Morfopsicologia di Corman l’abbiamo nella definizione del DILATATO e RITRATTO ed i due atteggiamenti psicologici di base definiti da Jung,ossia estroverso,Introverso. Come dal dilatato estremo(neonato) si passa nel corso delle diverse fasi della vita al Ritratto estremo(vecchiaia inoltrata),cosi corrispondentemente dall’estroverso si passa ad un introverso, atteggiamenti psicologici diametralmente opposti. Inoltre per saper se in un soggetto prevale l’estroversione o l’introversione si studia il modellato.ovvero la muscolatura del viso ed i ricettori(occhio,naso,bocca). L’apertura dei ricettori e l’atonia del modellato saranno presenti nel tipo estroverso .Viceversa la tonicità del modellato e la chiusura dei recettori sono presenti nell’introverso. Per quanto riguarda il ruolo importante della Psicologia di Freud nella Morfopsicologia basta ricordare che esiste una corrispondenza tra i tipi base di Corman con gli stadi di Freud. Così: a-il tipo dilatato estremo di Corman si identifica con lo stadio orale di Freud b-Il ritratto estremo di Corman con lo stadio anale 3-Il ritratto laterale di Corman con lo stadio fallico 4-il ritratto frontale con lo stadio genitale Fu ,dunque, nel XX scolo che molte ricerche contribuirono alla nascita della moderna Morfopsicologia. Anzi possiamo parlare di due correnti principali. Una punta a stabilire le conseguenze tra fattori psicologici e la forma del corpo ed un’altra tra psicologia e forma del viso. E’ questo secondo gruppo di ricerche che si avvalse degli studi di Leonardo e successivi artisti della psicologia del Profondo. La moderna Morfopsicologia si aggancia proprio a questo secondo gruppo. Questo,dunque, è il motivo per cui sosteniamo che il grande Leonardo da Vinci può essere considerato l’antesignano della Morfopsicologia Moderna.Comunque il filone di ricerche Psicologia ed anatomia del corpo in toto fu seguito dalla Biotipologia.Tra gli studiosi di quest’ultima branca ricordiamo il Pende,endocrinologo, che ci parla di soggetti anabolici a tendenza ipotiroidea ed in cui prevale il sistema nervoso parasimpatico e soggetti catabolici in cui prevale il sistema nervoso simpatico. Ernst Kretschmer(1888-19064) divide i soggetti in ciclotimici,dalla forma rotonda,e soggetti schizotimici comprendenti quattro categorie. a.astenici con torace stretto,gracili,arti lunghi. b-atletici con prevalenza della massa muscolare ed ossea c-leptosomici con caratteristiche tra l’astenico e l’atletico. d-displastici Un grande contributo allo sviluppo della Morfopsicologia è venuto dal medico francese Claude Sigaud (Fig 13) che classificò i tipi in digestivo con predominanza dell’addome,tipo resiratorio con predominanza del torace;tipo muscolare con arti lunghi;tipo cerebrale con cranio sviluppato. Figura 12 Louis Corman Figura 13 Claude Sigaud 47 MARZO 2017 • SCIENZE E RICERCHE | MAGAZINE Il medico e psicologo americano Herbert Sheldon(1899-1977) si è occupato del diverso sviluppo dei tre foglietti embrionali(ectoderma,mesoderma,endoderma). Arriviamo al medico e psichiatra francese Louis Corman(1901-1993).Fu lui il fondatore della Morfopsicologia moderna e nel 1937 fondò la Societè francese di Morfopsicologia e riuscì a farla entrare come Laurea nell’ordinamento universitario francese. Ma quale potrebbe essere una definizione della Morfopsicologia? Una branca delle scienze umane(dunque non scienza esatta ,come la fisica,chimica ecc.) che si propone di definire la Personalità di un soggetto decifrando l’anatomia del volto. PRINCIPI FONDAMENTALI DI MORFOPSICOLOGIA Quattro sono le leggi fondamentali su cui si fonda la Morfopsicologia Prima Legge Legge della Dilatazione-Ritrazione Seconda Legge Legge della Tonicità-Atonia Queste due leggi si fondono su una ipotesi biologica TerzaLegge Legge dell’equilibrio e dell’armonia Quarta Legge Leggedell’Integrazione ed Evoluzione Queste due leggi si fondono su una ipotesi dinamica Prima Legge,Dilatazione -Ritrazione L’istinto primordiale nell’uomo è quello della espansione(dilatazione) che porta ad un dispendio di energie. Al contrario, la ritrazione(conservazione) porta ad una conservazione di esse. Si parla di tre tipi di espansione corrispondenti a tre periodi della vita. a.espansione passiva(periodo neonatale) b-espansione attiva(periodo adolescenziale) c-espansione controllata(età adulta) Una osservazione da fare è che dalla dilatazione estrema(neonato) alla ritrazione estrema si possono descrivere tanti morfotipi sempre in rapporto agli atteggiamenti psicologici secondo Jung. I contenuti della personalità saranno in rapporto a quale piano e strutture di quel piano sono più o meno dilatate. Facciamo un esempio. Supponiamo che il piano medio presenta dilatazione, dunque estroversione, saremo di fronte a soggetti predisposti al sociale, amicizia ecc, perché il loro atteggiamento psicologico prevalente e relativo a quel piano sarà l’estroversione Seconda Legge ,Tonicità-atonia Corman si rifà alle due polarità del sistema nervoso. L’attività del sistema nervoso spiegherebbe la tonicità, mentre la recettività l’atonia. A mio avviso ,l’atonicità e la tonicità sono da riferirsi alle differenti spinte emotive a secondo dell’atteggiamento psicologico diverso, cioè estroversi o introversi. Tutto si rifletterebbe sulla musco48 latura. Negli estroversi(dilatati) si avrebbe l’atonia; negli introversi(ritratti) si avrebbe la tonicità. In realtà sul modellato interferiscono altri fattori. Basta riferirsi al circuito neuronale emozione-muscoli mimici(vedi schema)i. Dunque, entrano in gioco le spinte istintuali che saranno filtrate a livello neocorticale,la stessa via olfattiva entra nel circuito citato e le funzioni del neocortex. E’ la neurofisiologia che ci spiegherà come i “moti dell’anima “di Leonardo possono estrinsecarsi a livello somatico. Naturalmente per la definizione di un morfotipo non basta la neurofisiologia. E’ fondamentale anche la genetica, come hanno dimostrato le ricerche del Piccolo sulla differenziazione delle cellule staminali,oltre naturalmente alla Psicologia che dovrà sempre intersecarsi con l’Anatomia,essendo una radice indispensabile alla Morfopsicologia. Il morfotipo deve essere considerato una sorta di sintesi ed armonia della funzioni dei tre cervelli di Mac Lean. Tale armonia si può rompere per interventi di fattori esterni, quali le vicissitudini della vita. Un morfotipo può anche cambiare nel corso della vita, ma fino ad un certo punto. Si rischia di sfociare nella patologia. E’ soprattutto il modellato che può cambiare ed anche la morfologia dei recettori. Una domanda da porci e’ la seguente. Come le spinte emotive e non solo quelle portano a determinati aspetti somatici ,così è possibile risalire da questi aspetti alle spinte emotive(moti dell’animo di Leonardo).Si tratta di saper decifrare l’anatomia. E’ quanto Leonardo aveva ben intuito e per questo volle diventare un grande cultore dell’anatomia con frequenza attenta nelle sale settorie dell’epoca. Certamente andare alle origine delle spinte emozionali è un pò come vagare nel nostro universo,di cui conosciamo pochissimo. Non per questo,però rinunciamo a sfuttare le sue leggi. E’ quello che succede per la Morfopsicologia ,il cui discorso è ampiamente aperto. Un’altra osservazione. E’ possibile trovare al mondo due morfotipi uguali? Evidentemente no, perché tutti i fattori alla base di un morfotipo non agiranno o si presenteranno mai allo stesso modo. Basta considerare le impronte digitali diverse da individuo a individuo. Come pure non troveremo mai un’armonia perfetta tra le tre parti del viso. La perfezione, ovviamente, non è una prerogativa dell’uomo ma di Dio. D’altra parte, non è casuale che in Morfopsicologia andiamo alla ricerca degli antagonismi,delle contraddizioni anatomiche e psicologiche. Infatti, i piccoli antagonismi sono una positività,in quanto l’uomo è un essere vitale, dinamico ,non è un materiale amorfo. Terza Legge ,dell’Equilibrio e dell’Armonia Nell’ambito della terza legge vanno esaminate cinque “dinamiche” 1-dinamica faccia-profilo 2-dinamica quadro-recettore 3-dinamica quadro modellato 4-dinamica delle emifacce 5-dinamica dei tre piani del viso MAGAZINE | SCIENZE E RICERCHE • MARZO 2017 DINAMICA FACCIA-PROFILO Il soggetto va esaminato di faccia e di profilo cogliendo gli elementi di espansione e ritrazione,ovvero di estroversioneintroversione con relativi differenti significati. Va ribadito, infatti, che c’è correlazione tra espansioe ed estroversione e ritrazione ed introversione. Dinamica Quadro.Recettori Per quadro si intendono le strutture ossee del viso. Per ricettore gli organi dei sensi. In ogni piano del viso(superiore,medio,inferiore) al quadro corrisponde uno specifico recettore:per il piano superiore i ricettori sono gli occhi.per il piano medio il naso e per quello inferiore la bocca. L’analisi del rapporto quadro-ricettore ci consente di inquadrare il morfotipo. Questi si definisce concentrato se il quadro è grande ed i ricettori sono piccoli. Si parla di morfotipo reagente se il quadro è piccolo ma i ricettori sono molto grandi. Dinamica Quadro-modellato. In Morfopsicologia il modellato corrisponde alla muscolatura,detta così in quanto,a differenza del quadro può modificarsi con l’età ma anche a secondo le vicissitudini della vita e cioè dei “colpi” ricevuti. Dunque, il modellato ci parla del vissuto del soggetto. Dinamica dei tre piani del viso (fig.14) Il piano superiore comprende lo spazio tra due linee parallele.La superiore passa per l’attacco dei capelli;quella inferiore per la radice del naso.Il piano superiore è chiamato anche piano cerebrale in quanto è in rapporto con le nostre funzioni cerebrali. Comprende come struttura ossea l’osso frontale, la cui forma cambia nel corso della vita.Il ricettore è dato dagli occhi,collegati al sistema nervoso. Basti considerare che la retina,ovvero la membrana visiva dell’occhio, ha la stessa struttura istologica dell’area calcarina della corteccia cerebrale,adibita alla visione.Non appare casuale l’espressione che gli occhi sono lo specchio dell’anima e consentono di potervi leggere gli stati emotivi ,come abbiamo discusso in un precedente capitolo.Il modellato del piano frontale è dato dai muscoli mimici regionali compresi quelli che servono per aprire e chiudere gli occhi stessi. Il piano medio o della socializzazione,dell’affettività è compreso tra la retta che passa per la radice del naso ed un’altra passante per il labbro superiore .Il quadro è dato dalle ossa mascellari e zigomatiche,ma soprattuto, l’osso etmoide.Il ricettore è il naso la cui diversa morfologia ha un valore enorme in Morfopsicologia.La muscolatura è quella mimica regionale compresa quella adibita alla apertura e chiusura delle narici- E’ definito piano della socializzazione in quanto è sede dell’olfatto che ha una valenza fondamentale per la socializzazione .E’ questo il piano che subisce maggiori modificazioni nel corso della vita soprattutto nel passaggio dall’adolescenza alla maturità grazie alle spinte emotive intense. Il piano inferiore è denominato anche piano istintuale o dell’attività o della forza.Il quadro è costituito dalla mandibola che può essere più o meno possente e con numerose variazioni di forma.Il ricettore è dato dalla bocca, il modellato è costituito dai muscoli masticatori,massetere in particolare. L’analisi dei tre piani,il confronto tra di loro ci consente di stabilire quale è quello prevalente ,quale il dominante,quale invece è il succube;ossia va stabilita una precisa gerarchia tra i piani e delle relative funzioni.Si comprende come questo tipo di analisi ci fornirà molti elementi utili della personalità. In Morfopsicologia è sempre la visione unitaria che conta e l’interpretazione di tipo dinamica,a differenza della Fisiognomica. Figura 14 1-Piano cerebrale; 2-piano affettivo; 3-piano istintuale 49 MARZO 2017 • SCIENZE E RICERCHE | MAGAZINE I tre piani ed il cervello uno e trino di Mac Lean (Fig.15) Piano inferiore Questo piano corrisponde ,in senso metaforico, al funzionamento del cervello rettiliano secondo Mac Lean(Fig. 15). E’ una parte del cervello situato al centro dell’encefalo ed è quello più vecchio.E’ collegato al sistema nervoso endocrino ed è la sede dei nostri istinti primordiali.E’ denominato cervello rettiliano in quanto deriva da quello dei rettili mammiferi-simili.E’il più antico filogeneticamente.Uno dei rettili antichissimi è il varanosaurus,la più grande lucertola mai esistita.Il drago di Komodo(isola dell’Indonesia) è una di queste lucertole.Quali sono le funzioni principali negli animali. a-stabilire comportamenti definiti geneticamente,quali 1-scegliere il luogo dove abitare 2-saper ritornare alla propria dimora 3-prendere possesso del territorio 4-accoppiamento 5-comportamenti dimostrativi 6-subire l’imprinting(modalità di apprendimento per impressione o stampigliatura) 7-formare gerarchie sociali e scegliere il capo.Negli animali si parla di capo-branco,identificabile nell’Uomo all’Es- sere dalla grande Potenza,secondo Mac Lean.. 8-è la sede degli istinti primordiali Quali le funzioni specifiche nell’uomo? 1-azioni violente con prevalenza di alcuni istinti 2-preferenza per la routine ed azioni routinarie 3-capacità di stabilire relazioni tra fenomeni,ma in una maniera diversa da quella neocorticale(meno razionale) 4-rapporto col sistema endocrino Il piano inferiore è detto anche della forza e della volontà. Dipende dalla differenziazione morfologica presente nella varie strutture(muscoli masticatori,bocca,mento,mandibola). Gli istinti nell’uomo possono prendere il sopravvento o essere incanalati positivamente divenendo il motore dell’attività. volontà;attività che possono essere di relazione ,ma anche cognitive .Tutto dipende ,dunque , dal rapporto ed influenza reciproca con gli altri due piani,ovvero da quale piano assume il comando ,sarà il dominante. Piano medio E’ il piano collegato,metaforicamente,al cervello o sistema limbico (fig. 15) situato attorno al cervello rettiliano.Esso è in rapporto al sistema vegetativo ed è la sede delle nostre emozioni,dell’affetto,della socializzazione.Quali sono le sue funzioni principali: Figura 15 I tre cervelli di Mac Lean 50 MAGAZINE | SCIENZE E RICERCHE • MARZO 2017 1-consapevolezza enterocettiva.Grazie a questa funzione noi siamo in grado di percepire il nostro battito cardiaco,per esempio 2-dolore.Ciò è possibile grazie alla funzione dei neuroni specchio,a cui abbiamo accennato,Si tratta di particolari neuroni che si attivano e consentono di immaginare il dolore solo osservando eventi dolorosi e all’idea che gli stessi potessero capitare al proprio corpo. 3.temperatura 4-equilibri 5-omeostasi.Ossia controllo di tutte le nostre funzioni autonome tramite il Sistema Nervoso Simpatico e Parasimpatico. 6-coscienza del sé corporeo 7-emotività sociale.Grazie a questa particolare funzione dell’insula noi possiamo provare disgusto verso cattivi odori,sporcizia,mutilazxione ecc.Sono sempre i famosi neuroni specchio che si attivano all’idea di quelle esperienze. 8-emozioni-E’ la corteccia insulare anteriore la sede delle nostre emozioni ). Infatti, svolge un ruolo particolare nel mappare stati viscerali associati alle varie emozioni. Ogni emozione provoca una stimolazione altrettanto specifica sugli enterocettori viscerali.Le emozioni si esternano in relazione a come il nostro cervello (neocortex)interpreta lo stato corporeo causato dalle stesse per stimolazioi dei particolari recettori nervosi presenti nel nostro intestino. Il neocortex,come già accenato,funge da “filtro” alle spinte emotive.Tale filtro varia da soggetto a soggetto a secondo dell’atteggiamento psicologico prevalente(estroverso o introverso) 9-empatia e compassione.Sarebbero un particolare gruppo di neuroni specchio la sede dell’empatia e compassione.L’empatia è un linguaggio extraverbale”indiretto” in quanto ci consente di decifrare la mimica facciale ,espressione delle spinte emotive;mimica facciale vero linguaggio extraverbale.Compassione presuppone condivisione del dolore altrui. Piano superiore e neocortex E’ in corrispondenza metaforica con il neocortex(Fig.15),il cervello più giovane.Il sistema neocorticale è localizzato sulla superficie dell’encefalo.Caratteristica morfologica di questo piano,a livello osseo sono la presenza delle bozze frontali o di una fronte ben differenziata.La fronte è più bombata nel neonato e bambino ; con l’adolescenza si comincia a differenziare.Vale a dire si rendono evidenti delle bozze sopraorbitarie,una zona di incavo al di sopra di queste ed altre bozze in alto .Le bozze sopraorbitarie si presentano particolarmente sviluppate nell’uomo rispetto alla donna e sono considerate un carattere sessuale secondario.Si sviluppano nell’adolescenza e stanno a signficare capacità di osservazione,tipica di questa età.La zona di incavo al di sopra delle bozze sopraorbitarie è definita zona della riflessione.Le bozze alte ,frontali,sono definite zona della sintesi. Si parla di fronte differenziata allorquando sono ben presenti questi tre aspetti morfologici.Le bozze frontali,accentuate nei bambini sono dette anche zona dei sogni,tipico aspetto di questa fascia di età. Funzioni principali del neocortex 1-sede delle nostre funzioni intellettive 2-del linguaggio 3-comportamenti che consentono di affrontare situazioni nuove ed inaspettate 4-possedere capacità di programmazione e previsione del futuro 5-stabilire un rapporto di causalità tra le azioni 6-avere nozioni del tempo e dello spazio.Queste due ultime nozioni sono in parte possedute anche dagli animali e costituiscono l’origine della Prossemica(gestione dello spazio) e della cronemica(gestione del tempo),di cui abbiamo discusso in precedenti capitoli. Dinamica delle emifacce L’analisi morfopsicologica delle emifacce è fondamentale. In alcuni soggetti è prevalente l’emifaccia sinistra, in altri la destra con relativo diverso significato. Ed,infatti, si deve far risalire alla Asimmetria a livello degli emisferi cerebrali. E’ noto, infatti, che nei destrimani chi comanda è l’emisfero cerebrale sinistro per la motricità dell’emifaccaia destra. Nei mancini tutto il contrario. E’ dimostrato che l’emisfero sinistro(emifaccia destra) è in corrispondenza del nostro essere esteriore ,con la cosiddetta parte pubblica della personalità.E’ quello più coinvolto in attività verbali e gestuali ,favorisce una conoscenza più logica.Tratta le informazioni ricevute dagli organi dei sensi in maniera sequenziale ed analitica. L’emifaccia sinistra, sotto il controllo dell’emisfero cerebrale destro, è collegato alla vita emozionale ,quindi si configura la parte privata della nostra personalità. Inoltre, la faccia pubblica di un soggetto è percepita dall’emisfero privato dell’altro. Da ciò l’incomunicabilità tra gli uomini. Una leggera dissimmetria facciale è normale. Esistono tre gradi di dissimmetria 1-assenza totale. Presuppone poca vitalità 2-leggera dissimmetria. E’ una buona risorsa per la percezione del mondo 3-forte dissimmetria .Esprime una complessità. Può essere fonte di creatività se il soggetto riesce ad integrare tale complessità o viceversa di patologie. La dissimmetria può essere presente a livello di tutte le strutture del viso: osseo, muscolare, recettoriale. La dissimmetria ossea va valutata secondo tre parametri di tali strutture: larghezza, altezza, profondità. La dissimmetria mimica è più momentanea e coinvolge i ricettori.Esempio: occhio pù chiuso,più aperto ecc. Quarta Legge:Legge dell’Integrazione ed Evoluzione Siamo alla seconda ipotesi dinamica secondo Corman Mentre nella terza legge sono stati studiati gli antagonismi relativi alle leggi della Dilatazione-Ritrazione-Prima Legge) e dell’Atonia-Tonicità-seconda legge, nella quarta vanno esaminate le integrzioni e come evolvono(in senso positivo o negativo).Questi i principali conflitti di ambivalenza che si possono verificare secondo la quarta legge. 1-Conflitto di Indipendenza-Dipendenza Si manifesta come antagonismo tra forze di dilatazione 51 MARZO 2017 • SCIENZE E RICERCHE | MAGAZINE e ritrazione.Ciò è fonte contemporaneamente di desideri di conservazione ,dovuti alla ritrazione e di espansione dovuti alla dilatazione.Nel viso del soggetto,quindi.sono presenti contemporaneamente, elementi strutturali di ritrazione e dilatazione;sarà per certi versi un introverso,per altri un estroverso. b-Conflitto di rivalità E’ la conseguenza della rivalità fraterna,definito anche complesso di Caino.Siamo di fronte ad un antagonismo tra un desiderio di affermazione di sé supportato dalla tonicità su alcune parti del viso ed un desiderio di accettazione (sottomissione) che si manifesta con atonia in altre parti del viso stesso. Soluzioni psicologiche agli antagonismi Va precisato che piccole forme di antagonismo sono arricchenti,dinamizzanti. Sono i grandi antagonismi che devono preoccupare.Comunque tali antagonismi possono sublimarsi o portare a patologie,se sono forti. Le basi scientifiche della Morfopsicologia nella biologia molecolare La nostra attenzione si soffermerà sulla prima legge,ovvero sulla Dilatazione-Ritrazione,morfologie che si identificano psicologicamente con l’estroversione ed introversione. Attualmente si parla ancora di “ipotesi biologiche” nel riferirsi alle prime due leggi.Vogliamo dimostrare che tali “ipotesi” ,grazie alla biologia molecolare, oggi sono certezze scientifiche inconfutabili. In altre parole, potremmo sostenere che il salto nelle branche scientifiche della Morfopsicologia è avvenuto.In sostanza quanto andremo sostenendo ci spiegherà la nascita dei vari morfotipi .Prima domanda da porci. Quale è il meccanismo iniziale ,a livello biomolecolare che si mette in moto per la Dilatazione o Ritrazione. La risposta la troviamo in uno studio condotto dal gruppo del prof.Stefano Piccolo,del Dipartimento di Biotecnologie dell’Università di Padova, sintetizzato in un articolo dello stesso Piccolo e collaboratori,apparso su Nature il 9/6/2014.Questo il riferimento bibliografico :”Role of YAP/TAZ in mechanotrasduc tion,Nature,2011,474,179-183” Lo studio di Piccolo et all.era finalizzato ad apportare un contributo alla risoluzione del problema dei tumori, ma anche al differenziamento guidato delle cellule staminali,sforzo felicemente riuscito. Questo gruppo di ricercatori non credo che pensassero di contribuire anche a dare delle basi scientifiche(non più ipotesi,dunque) alla Morfopsicologia ed alla nascita degli svariati morfotipi. Le ricerche di Piccolo hanno,intanto, confermato una intuizione di Aristotele, di oltre duemila anni fa, il quale definiva la “forma” l’essenza della vita e che dalla forma nascono le funzioni e non il contrario.Concetti basilari sono i seguenti: a-le cellule nell’uomo non hanno la stessa forma b-acquisiscono delle funzioni specifiche a seconda di quale tessuto fanno parte c-tutte le cellule hanno vita breve, mentre il tessuto o l’organo di appartenenza conserva la stessa forma. Si verifica una sorta di “autorinnovo” o “autoassemblaggio”. Come può avvenire tutto ciò? In sostanza è la forma delle cellule,quindi 52 dei tessuti,degli organi e nel nostro caso del viso è quella che controlla il nostro GENOMA, quindi tutte le funzioni correlate ,comprese evidentemente quelle più squisitamente psichiche o gli stessi atteggiamenti psicologici. Va subito ribadito che alla base della morfologia del viso si devono annoverare numerosi altri fattori, che sono solo concorrenti ma non i determinanti. Per dimostrare quanto affermato, ossia dalla forma le funzioni, va puntualizzato che: 1-tutte le cellule sono immerse in un ambiente (spazio) tridimensionale(anche il nostro viso deve fare i conti con questa realtà) 2-in questo ambiente le cellule sono a contatto con le altre oppure devono legarsi ad un sostegno (una matrice).Le cellule, dunque, per rimanere nello spazio tridimensionale devono avere la possibilità, le potenzialità di modificare la loro forma che esprimerà un certo Genoma e quindi delle specifiche funzioni,praticamente i futuri morfotipi. Ma che significa,inoltre, che una cellula nel suo ambiente è meno compressa o più compressa se non più DILATATA o più RITRATTA? La maggiore o minore compressione delle cellule determinerà Genomi e funzioni diverse,cioè morfotipi diversi. Per modificare la loro forma,principio della vita,devono fare i conti con diversi stimoli che sono di tipo meccanico. Si tratta di vere forze che possono essere: a-di COMPRESSIONE(=ritrazione) Si riduce il loro volume nell’ambiente intercellulare b-di STIRAMENTO Ossia occupazione di uno spazio maggiore (=Dilatazione) c-di FORZE IDROSTATICHE. Tutte queste forze sono parte integrante del loro appartenere ad un certo tipo di tessuto o organo o sistemi ,quindi del corpo in toto. Come un segnale meccanico, per esempio durezza o morbidezza, si può tradurre in un segnale chimico e di tipo biomolecolare?Tutto questo è stato studiato sulle cellule staminali,di cui si è potuto guidare il loro differenziamento. Il tutto è dovuto ad una proteina specifica denominata con la sigla YAP. Come agisce? Entra nel nucleo delle cellule e vi rimane solamente se è capace di “fare forza” o di “tirare” contro il proprio substrato. Si verifica una sorta di “tiro alla fune”. Quindi, le cellule si espanderanno in una certa maniera a seconda della capacità della proteina YAP di permanere nel loro nucleo e ciò dipende dal substrato diverso. A questo punto si verifica la trasduzione meccano-chimica ,si determinerà il Genoma e, quindi, le funzioni correlate. Nasce il morfotipo. Le funzioni, evidentemente, vanno intese in senso generale. Ovvero si porranno le basi delle future morfologie tissutali,organi, corpo (viso) e delle future tipologie psicologiche. In conclusione possiamo dedurre che: 1-Il principio basilare della vita è l’espansione e non la ritrazione 2-La capacità più o meno accentuata della proteina YAP di rimanere nel nucleo delle cellule varia a secondo del substrato intercellulare,ossia ambiente. Ciò porterà a Genomi e MAGAZINE | SCIENZE E RICERCHE • MARZO 2017 Funzioni diverse per la trasduzione meccano-chimica ,quindi, a futuri morfotipi altrettanto diversi 3-sul modellamento del nostro viso, comunque ,intervengono tanti altri fattori esterni 4-Le prime due leggi stabilite da Corman, e condivise da tutti i morfopsicologi, non sono da questo momento delle “IPOTESI BIOLOGICHE” ma delle certezze scientifiche. 5-si conferma a distanza di anni dalla scomparsa di Corman la genialità di questo personaggio, che, pur senza una dimostrazione, aveva avuto delle intuizioni che hanno creato una nuova branca del sapere,la MORFOPSICOLOGIA. Correlazione tra espansione-estroversione e ritrazioneintroversione Partendo dalla concezione di ESTROVERSIONE ed INTROVERSIONE di Carl Gustav IUNG(da I tipi Psicologici,ed.Bollati Boringhieri,2011),dunque da radici squisitamente di ordine psicologico,come possiamo dedurre che l’introverso è correlato al ritratto da un punto di vista morfologico e un estroverso all’espanso (o dilatato)?.Si può ben comprendere che l’essenza della Morfopsicologia risiede in questo quesito. Naturalmente quando parliamo di espansione-ritrazione intendiamo riferirci sempre alle tre componenti di un piano del viso,ovvero ossea,muscolare,re cettoriale,soprattutto per il piano superiore e medio. Il piano inferiore ha una sua specificità,come vedremo. Bisogna,dunque ,partire dalle SPINTE EMOZIONALI diverse nell’introverso rispetto all’estroverso ed al meccanismo neurofisiologico con cui un’emozione,in generale, si esterna a livello del volto. L’introverso,secondo la concezione di IUNG,ma di tutta la Moderna Psicologia, è animato da spinte emozionali che hanno i seguenti connotati: a-le cerca continuamente al suo interno b-sono molto intense c-selezionate d-profonde d-non numerose L’estroverso,all’opposto: a-cerca le emozioni nel mondo esterno,sempre nell’altro b-sono sempre meno intense c-non selezionate. Vuole spaziare con nuove emozioni. E’ una sua esigenza di cui non riesce a fare a meno,pena un senso di sofferenza. d-non sono profonde e-numerose e varie. Ma come si estrinsecano le nostre emozioni a livello del volto? Evidentemente attraverso la contrazione differenziata dei muscoli mimici,tutti innervati dal nervo facciale. L’effetto più diretto di tali spnte emotive si ha a livello muscolare e recettoriale. A livello osseo il meccanismo è leggermente diverso. Le diverse caratteristiche delle spinte emotive nei tre piani del viso si tradurranno in una IPERTONIA dei muscoli mimici negli introversi(elemento,dunque di ritrazione) ed una IPOTONIA muscolare (elemento di dlatazine) negli estroversi. I ricettori occhio e naso ,subiranno una tendenza alla chiusura negli introversi e apertura negli estroversi. E la chiusura recettoriale è un altro elemento di ritrazione per gli introversi,mentre la loro apertura un elemento di dilatazione. Anche per il piano inferiore si verifica lo stesso meccanismo;solo che il ruolo principale in termini di tonicità o atonicità muscolare è svolto dai muscoli della masticazione,essendo questo piano più squisitamente sensoriale. Cosa succede a livello osseo,l’altra cmponente della triade muscoli-ricettori-osso.In questo caso entra in gioco l’etmoide,osso del naso e centrale in tutto lo sviluppo del cranio insieme ai seni delle ossa paranasali(frontale,masce llare,cellette etmoidali,sfenoide). L’etmoide,infatti, con le sue tre lamine (cribrosa del frontale,perpendicolare del setto nasale e papiracea dell’occhio)determina la morfologia di questa regione,che poi si identiifica praticamente col piano medio del volto ed il sistema limbico a livello cerebrale. In particolare l’influenza dello etmoide si farà sentire sul seno frontale(bozze sopraorbitarie), sui seni mascellari ,quindi sulla morfologia della fossa mascellare ,sulle cellette etmoidali e,anche, sulla lamina perpendicolare dell’etmoide,ovvero visibilità o meno del setto nasale. Nell’introverso e nell’estroverso da un punto di vista morfologico avremo uno sviluppo diversificato di tutto il Sistema etmoidale determinando nell’introverso elementi di ritrazione,nell’estroverso quelli di dilatazione. Ma alla fine si risale sempre alle spinte emotive diversificate nell’introverso e nell’estroverso. Sono queste a determinare uno sviluppo differenziato dei seni paranasali che si tradurranno in elementi di ritrazione o espansione. Infatti, il sistema etmoidale è il vero sistema osseo del piano medio,detto anche della socializzazione,delle emozioni,del sentimento ecc. correlato, al sistema limbico di Mac Lean. Le emozioni sono ancora il vero motore di questo piano. Gli elementi di ritrazione ossea nell’introverso sono: a-bozze sopraorbitarie appiattite o inesistenti per diminuito sviluppo del seno frontale b-fossa mascellare profonda per diminuito sviluppo del seno mascellare c-lamina perpendicolare dell’etmoide non molto sviluppata,quindi scarsa visibilità del setto nasale osseo d-lamina cribrosa del frontale non ampia e-lamina papiracea dell’etmoide sulla parete mediale dell’occhio poco sviluppata,dunque cavità orbitaria più piccolina e tendenza dell’occhio all’affossamento. Nell’estroverso,avremo,viceversa, questi elementi di espansione ossea: a-bozze sopraorbitarie ben evidenti b-fossa mascellare appiattita c-lamina perpendicolare dell’etmoide sviluppata e quindi visibilità del setto osseo del naso d-lamina cribrosa a livello frontale ampia e-lamina papiracea dell’etmoide ampia con cavità orbitaria grande Per il piano inferiore o istintuale o della volontà o dell’azione il discorso è un poco diverso. Questo piano è correlato al cervello rettiliano e, quindi, degli istinti primordiali. Ed, infatti, gli stessi devono essere filtrati dal sistema limbico e 53 MARZO 2017 • SCIENZE E RICERCHE | MAGAZINE successivamente, neocorticale. Tanto che solo cosi possono sublimarsi in modo differenziato nei vari soggetti e tradursi in azione-atti di volontà. Allora anche in questo caso si può individuare un ruolo delle spinte emotive differenziate negli introversi ed estroversi che si traducono in elementi di ritrazione,quali ipertonia dei muscoli mimici ed anche di quelli della masticazione e chiusura del recettore bocca ed ipotonia muscolare ed apertura del recettore bocca negli estroversi. Dunque, nel caso del piano inferiore gli istinti primordiali devono essere filtrati attraverso il corredo emozionale del cervello limbico che evidentemente è diverso nei due tipi psicologici opposti. Il restante filtro è comunque a livello neocorticale. Il piano inferiore ha ,pertanto, una sua specificità morfopsicologica,in quanto sottratto ai meccanismi di sviluppo dei piani superiori e medi,quindi attività del sistema etmoidale,sviluppo dei seni paranasali ecc,essendo il suo sviluppo legato all’attività dei muscoli della masticazione,che determineranno le caratteristiche morfologiche della mandibola. Pertanto ,per il piano inferiore, per la parte ossea, non possiamo parlare di elementi di ritrazione o espansione correlati alla componente psicologica. D’altra parte in Morfopsicologia,va ribadito,che è ininfluente la grandezza di quel piano (non si è più intelligenti per avere un cranio più grande) ,ma interessa cogliere solo gli elementi di ritrazione ed espansione più individuabili per i piani superiori e medio a livello muscolare, recettoriale ed osseo.Per il piano inferiore possono chiaramente registrarsi elementi di ritrazione o espansione sulla muscolatura e sui recettori,non assumendo nessun significato una mandibola più grande o più piccola proprio per la specificità di tipo sensoriale di questo piano il cui sviluppo osseo è svincolato dalle spinte emotive. CHI E’ INTERESSATO ALLA MORFOPSICOLOGIA Tutti siamo interessati ad una analisi MORFOPSICOLOGICA L’analisi del nostro volto ci consente di farci capire chi siamo, quali sono le nostre carenze sul piano relazionale, affettivo, sociale, dunque stabilire un migliore rapporto con gli altri. con i familiari, con il mondo del lavoro, con la Società in generale. Essa è in grado di valorizzare le nostre capacità e tendenze positive, ma anche di porre un freno a quelle negative che ci rendono conflittuali con il prossimo. Quanti di noi genitori falliamo nel ruolo fondamentale di educatori dei nostri figli, non essendo in grado di inquadrare bene la loro personalità, ma anche perché non conosciamo abbastanza noi stessi. Potremmo affermare che la Morfopsicologia ci aiuta nella realizzazione dei nostri progetti, della nostra crescita in senso generale, in una parola per il nostro benessere conferendo il giusto senso alla nostra vita. conflitti relazionali che possono nascere in un rapporto di coppia. Essa ci consente di individuare chi nella coppia gioca un ruolo prevalente,di comando,di esercizio di un certo potere e chi,viceversa,appare più sottomesso,pronto a seguire il partner,anche suo malgrado,ovvero il suo dominatore. Nella coppia, se la morfologia del partner tende decisamente al mascolino,quindi con modellato molto tonico,recettori tendenti alla chiusura. apertura bi-zigomatica ben presente,ebbene queste caratteristiche morfologiche corrispondono al tipo di partner dominatore. Al contrario, se si riscontra nel volto un’atonia del modellato con tratti più infantili del volto,apertura eccessiva dei ricettori ,in una parola con prevalenti segni di dilatazione e minore ritrazione,siamo di fronte ad un partner più sottomesso,incline a seguire ,suo malgrado, le decisioni dell’altro. Più precisamente, oggi si parla di COPPIA COMPLEMENTARE e di COPPIA SIMMETRICA. E’ nella coppia Complementare che si realizza il classico quadro di un Esercitatore del potere e di un Sottomesso. In questo tipo di coppia ,allorquando il dualismo dominatore-sottomesso si esaspera,a lungo andare nel sottomesso possono radicarsi stati di insofferenza molto profondi per cui il rapporto può saltare. Nella Coppia Simmetrica si instaura,invece,un rapporto alla pari .Pertanto, si riscontreranno gli stessi aspetti morfopsicologici nel volto con pari tonicità del modellato,armonicamente rappresentati i tre piani del viso. recettori aperti e chiusi al punto giusto,presenza di elementi di ritrazione fondamentali per un migliore decisionismo nelle scelte. Appare ovvio come in questa Coppia, in cui le decisioni vengono prese alla pari,può insorgere conflittualità,in quanto l’uno continuamente tende di imporre le proprie scelte sull’altro. Autoriconoscendo il proprio morfotipo di appartenenza sarà il buon senso a salvare la situazione,smussando continuamente i conflitti. LA SCUOLA La conoscenza da parte dell’Insegnante dei principi fondamentali di Morfopsicologia può diventare non solo uno strumento utile per aiutare e capire meglio l’alunno, valorizzandone appieno le sue potenzialità, ma uno strumento di affermazione del ruolo dell’Insegnante stesso. Operatori Sociali Un’analisi morfopsicologica aiuterà moltissimo il lavoro di queste categorie, potendo impostare un programma di intervento e di recupero differenziato a secondo del morfotipo. Si pensi all’importanza di tali conoscenze nelle devianze minorili,oppure al ruolo di un Assistente Sociale in tutte le problematiche riguardanti affidamenti di bambini a coppie. RAPPORTO DI COPPIA Attualmente stanno assumendo un grande rilievo gli studi e l’analisi della Morfopsicologia di coppia. Può essere in grado di evitare totalmente,o almeno smussare taluni 54 Operatori sanitari Gli stessi Operatori Sanitari non possono avvicinarsi al letto di un ammalato in modo freddo e distaccato ,ma il loro approccio deve essere diversificato a secondo del morfotipo. MAGAZINE | SCIENZE E RICERCHE • MARZO 2017 Solo in tal modo possono ottenerne la loro fiducia e collaborazione per un programma terapeutico. Si immagini un medico di fronte ad un ammalato incurabile- In questi casi si impone una attenta e discreta analisi morfopsicologica. Operatori commerciali ed imprenditori Analizzando il volto del cliente si potrà essere più convincenti nel presentare un certo prodotto. Un imprenditore non si sognerebbe mai di porre a contatto col pubblico un morfotipo ritratto estremo:ne conseguirebbe il fallimento della sua azienda. RAPPORTO GENITORI-FIGLI Non può sfuggire l’importanza della morfopsicologis nel rapporto genitore-figlio Sarà evidentemente diverso a secondo se il figlio è più tendente alla dilatazione sul piano morfologico ed estroversione su quello psicologico, oppure è tendente alla ritrazione morfologica che corrisponde all’introversione sul piano psicologico MORFOPSICOLOGIA ED ARTE In questo settore la Morfopsicologia ci consente di analizzare i meccanismi psicologici alla base del processo creativo anche nelle diverse età dell’artista Morfopsicologia e la Storia Analizzando i personaggi storici in diverse fasi della loro vita possiamo spiegarci talune decisioni prese da tali personaggi e perché la Storia ha avuto un certo corso e non un altro 13-Gagey P.M.:Posturologia,Ed. Marrapese,Roma,2000 14-Jung C G.:Tipi psicologici,Bollati Boringhieri ed, Torino,2011 15-Jung C G.:L’analisi dei sogni,gli archetipi dell’inconscio, la sincronicità,Bollati Boringhieri ed ,Torino,2011 16-Spinetta J.:Volto e personalità,ed Mediterrannee, Roma, 1991 17-Valentino B.:Istituzioni di Anatomia Umana Normale e dell’Apparato Stomatognatico,Ed Florio,Napoli,1994 18-Valentino B.: Elementi di Morfopsicologia,ed Florio,Napoli,1996 19-Valentino B.:Anatomia del volto e personalità,ed Cuzzolin ,Napoli,2012 20-Valentino B.:Significato morfopsicologico dell’Anatomia dell’orecchio,naso,occhio,Medicina 2000,(2),5356,2012 21-Valentino B.: La Neuropsicomorfologia-Metodo innovativo di lettura del volto,ed Cuzzolin,Napoli,2014 22-Valentino B.: Le basi scientifiche della Morfopsicologia nella biologia molecolare-Scienze e Ricerche,n 2,pagg.29-31,2014 23-Valentino B.:L’interazione funzionale tra emozioni e muscoli mimici-Scienze e Ricerche,n 3,pagg.17-21,2015 24-Valentino B.:I fattori di crescita del massiccio faccialeScienze e Ricerche,n 5,pagg. 30-32,2015 25-Valentino B.:Elementi di Morfopsicologia-Nuova Secondaria,n 7,pagg.82-86,2015 26-Valentino B.:La Morfopsicologia,strumento di aiuto per le coppie,Ed Cuzzolin,Napoli,2015 27-Valentino B.: Il tuo corpo parla, Ed. Cuzzolin, Napoli,2016 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI 1-Ackermann et all.:The contribution of the insula to motor of speech production.Brain Lang(2),328-8,204 2- Belting H.:Facce,Carocci Ed.Roma,2014 3-Boulart M. et all.:Iniziazione alla Morfopsicologia,Ed Mediterrannee,Roma,2003 4-Caroli F. et all.:Tutti i volti dell’arte, Ed. Mondadori, Milano,2007 5-Caroli F.:Il volto di Gesù,Ed. Mondadori,Milano,2009 6-Caroli F.:Anime e volto,Ed. Mondadori,Milano ,2014 7-Caroli F.:Storia della Fisiognomica,Arte e Psicologia da Leonardo a Freud,Ed. Mondadori,Milano,2014. 8-Caroli F.:Vyeur-I segreti di uno sguardo,Ed. Mondadori,2015 9-Caroli F.:Leonardo Studi di Fisiognomica,Ed. Mondadori.2015 10-Corman L.:Il manuale delle espressioni del viso,Hobby Work Publishing,Bresso,1997 11-Corman L.:Viso e Carattere,Ed. Mediterrannee, Roma, 2003 12-Ernandes M.:La teoria del cervello tripartito secondo Mc Lean e la formazione dell’idea dell’Essere dalla Immensa Potenza,The Manking Quarterly,39(2),173-201,1998. 55 MARZO 2017 • SCIENZE E RICERCHE | MAGAZINE Annibale Barca in tre tragedie del Settecento italiano ENRICO ACQUARO L a recente rubricazione di tre opere (Gorini Corio 1745, Sanseverino 1749, Scevola 1806) nel sito https://lamemoriadeifenici. wordpress.com/la-memoria-della-ricerca/letteratura-italiana/ è all’origine di questa nota. L’itinerario asiatico dell’esule Annibale Barca (Geus 1994, Hannibal, 9, 75-94, Lancel 1999, 300-12) si conclude in Bitinia, penisola ponte tra Europa e Asia. Qui trova rifugio ed ultimo, vittorioso, comando alla guida della flotta del re Prusia contro Eumene di Pergamo, il «Massinissa orientale» (Holleaux 1957, 425). Questo è quanto, in sintesi, ci tramandano le fonti classiche (Figg. 1-2). Su tale memoria, che ha come punto di riferimento, per Fig. 1. Il monumento ad Annibale, 1934. Turchia, Gebze, l’antica la storia e per le tre tragedie, il suicidio del Dakibyza - Libyssa, Distretto di Kocaeli. Barcide con il veleno del suo anello, assunto per sottrarsi alle catene di Roma, si articolano le citate trame tragiche. L’opera del marchese Giuseppe Gorini Corio è di gran lunga quella che più delle altre ha manipolato, in personaggi e in avvenimenti, il pur incerto dato storico. Il nostro Annibale, che ha passato da tre anni i sessanta, malgrado il suo ossessivo timore di perdere il suo buon nome e di non onorare il suo debito di ospitalità verso il re Prusia, s’innamora, corrisposto, di Berenice, figliuola di Seleuco Rè di Ponto e promessa sposa di Prusia. Scoperti i due amanti dal re asiatico, che può contare sull’appoggio di Scipione, Annibale invece di guidare una rivolta di facile successo contro il re, fomentata da Berenice e dai sudditi di Bitinia e del Ponto, si suicida ferendosi con una spada avvelenata: unico atto utile a salvare il suo ospite davanti alle truppe che lo invitano alle armi. Come si evince dal breve riassunto della trama che abbiamo proposto, trovano poco spazio gli exursus politici che caratterizzano anche le più elaborate manipolazioni letterarie condotte Fig. 2. Particolare della Fig. 1. sull’argomento. Berenice in ricordo forse della Bérénice di 56 MAGAZINE | SCIENZE E RICERCHE • MARZO 2017 Jean Racine (Beretta Anguissola 2009) (Fig. 3), ruba in più casi la scena ad Annibale, La mancanza di coraggio di Prusia, che acconsentirebbe alla consegna di Annibale, è schermata dalla reazione gelosa di fronte ai due periFig. 3. Rosalba Giovanna Carriera, colosi amanti. “Caterina Sagrado Barbarico come La presenza di Berenice”, ca. 1741. Collezione privata. Scipione consente all’autore di replicare alla corte di Prusia il confronto fra il Romano ed il Cartaginese sul migliore dei condottieri dei loro tempi (Favaro 2014). Con l’Annibale cartaginese di Carlo Sanseverino, la senilità di Annibale è motivo dominante delle scene. Motivo che giustifica la presenza alla corte di Prusia dello sconosciuto figlio di Annibale sulle orme di Silio Italico (Fucecchi 1992), Amilcare, inviato da una Cartagine, improbabile richiedente dell’esule in patria. Qui l’erudizione viene in aiuto del Gesuita, che dà corpo ed anima anche a Nicomede, figlio di Prusia, fan di Annibale, che ricalca il Nicomède di Pierre Corneille (Corneille 1771). Sul corpo di Annibale suicida, che ormai non sperava più sul tardivo aiuto di Amilcare e Nicomede, si china anche Scipione, mentre Prusia riceve la più dura condanna della sua malafede. L’Annibale in Bitinia di Luigi Scevola è delle tre tragedie la meno lontana dalle notizie storiche in nostro possesso. L’opera può contare su alcune utili Notizie storico-critiche estese dall’Eptaglosso (Scevola 1806, 49-56). L’assenza sulla scena di Scipione rende centrale per l’azione vendicatrice di Roma la figura di Flaminio, presentato da Luigi Scevola come figlio del console Gaio Flaminio Nepote morto al Trasimeno (García y Osuna y Rodríguez 2013). In quell’occasione la condotta dura, odiosa e crudele di Tito Quinzio Flaminino (alias Flaminio), come scrive Plutarco (Vita di Flaminino, 21,1, dove Annibale prossimo alla morte è ricordato come «un uccello divenuto per la vecchiaia incapace di volare e senza coda» [Magnino 1996, 123]), accredita Roma di ogni nefandezza, crudeltà, violazione del diritto delle genti e dà più forza e motivazione all’ultima raccomandazione volta da Annibale a Nicomede, figlio di Prusia: «Odia i Romani… io moro» (Scevola 1806, 48). Un odio verso Roma condiviso nella sua forza da Sofonisba nella omonima tragedia di Vittorio Alfieri: «d’odio imbevuta in un col latte, e d’ira,/ contro a Roma» (Toschi 1985, 194-95). Alla fermezza del giuramento annibalico contro Roma si rifà anche il giacobino Girolamo Bocalosi nel suo Dell’educazione democratica da darsi al popolo italiano (Cantinori - De Felice, 131). La rilettura comparata delle tre opere suggerisce un’ultima riflessione sul ruolo della Memoria del passato punico: qui la madre delle muse Mnemosyne, generatrice e iniziatrice di ogni arte come indica la mitologia greca (Tureck - Sacks Grünbaum 1998, 445), la memoria del passato, sembra cedere alla «ars oblivionis, giacché la dimenticanza (indotta o no) è imprescindibile per ottenere spazi di libertà creativa» (Tureck - Sacks - Grünbaum 1998, 451). Nel Settecento tragico italiano tale creatività si applica ampiamente e la morte di Annibale si muove anche, a dispetto della tradizione classica di un Annibale campione di fides punica e di militares virtutes (Nörr 2003, Martinez 2012), verso ambientazioni cortigiane dell’epoca. Del resto a questa difficoltà si rifà, ancora nel Settecento, lo stesso critico Ranieri Simone Francesco Maria de’ Calzabigi in una sua Dissertazione su le poesie drammatiche del Sig. Abate Pietro Metastasio: «…M’accuserà taluno di fermarmi oltre al dovere in ciò che al costume riguarda; ma oltreché questa a mio credere è la parte più essenziale della Tragedia, ella è anche la più difficile a sostenere degnamente e con proprietà, perché non è da tutti il rivestirsi delle virtú, de’ vizi e delle passioni d’un eroe, e molto meno di piú e diversi eroi di nazioni diverse, virtuosi o viziosi, prudenti o trasportati, giusti o tiranni, con seguire in ciascheduno oltre questi distintivi quelli ancora delle leggi che osservano, della politica con cui si reggevano, della religione, de’ pregiudizî, delle superstizioni. E come che nel mettere sulle scene alcuni diversi eroi s’incontrano facilmente, e forse talora nella stessa favola, caratteri positivamente contrarî, quale eccellenza di giudizio, di scienza e d’ingegno non si richiede per fare cosí strani passaggi di fantasia, per ora discorrere e operare come Scipione romano, ora come Annibale cartaginese, ora come il prudente Ulisse, ora come l’imprudente Aiace, ora come il giovane e impaziente Patroclo, ora come il savio e antico Nestore?…» (Bellini 1994, [111-112], 59-60). BIBLIOGRAFIA Bellini, A.L. (ed.) 1994 Ranieri Calzabigi, Scritti teatrali e letterari. Tomo I (= Testi e documenti di letteratura e di lingua, XIII*). Roma. Beretta Anguissola, A. (ed.) 2009 Jean Racine, Teatro, Milano, 653-803. Cantinori, D. - De Felice, R. (edd.), 1964 Giacobini italiani. Volume secondo, Bari. Corneille, P. 1771 Nicomède, Paris (= https://archive.org/details/nicomedetragdi00cornuoft). Favaro, M. 2014 Il migliore di tutti i tempi? Scipione e il dibattito cinquecentesco sul più grande condottiero della storia, in W. Geerts - M. Caciorgna - C. Bissu (edd.), Scipione l’Africano. Un eroe tra Rinascimento e Barocco. Atti del Convegno di 57 MARZO 2017 • SCIENZE E RICERCHE | MAGAZINE studi (Roma, 24-25 maggio 2012), Roma, 203-13. Fucecchi, M. 1992 Iratum proles: un figlio di Annibale nei Punica di Silio Italico, in Maia 42, 151-66. García y Osuna y Rodríguez, J. Mª M. 2013 Las victorias del gran Aníbal Barca durante la segunda guerra romano-púnica. III. La batalla de Trasimeno, in Siete esquinas 5, 41-55. Geus, K. 1994 Prosopographie der literarisch bezeugten Karthager (= Orientalia Lovaniensia Analecta, 59; Studia Phoenicia, 13), Leuven. Gorini Corio, G. 1745 Teatro tragico. Tomo quarto, Milano (= https://books.google.it/books), 127-202. Holleaux, M. 1957 Rome et la conquête de l’Orient. Philippe V et Antiochos le Grand. Études d’épigraphie et d’histoire grecques. Rome, la Macedoine et l’Orient Grec, V, Paris. Lancel, S. 1999 Annibale (= Storia, 41), Roma. Magnino, D. (ed.) 1996 Vite parallele di Plutarco. Volume quarto. Filopemene e Tito Quinzio Flaminino. Pelopida e Marcello. Alessandro e Cesare, Torino. Martinez, M. 2012 Annibale Barca tra Punica Fides e Militares Virtutes, in Arkeomania. Com. Nörr, D. 2003 “Fides punica - Fides Romana”. Bemerkungen zur “demostia pistis” im ersten karthagisch-römischen Vertrag und zur rechtsstellung des Fremden in der Antike, in L. Garofalo (ed.), Il ruolo della buona fede oggettiva nell’esperienza giuridica storica e contemporanea atti del Convegno internazionale di studi in onore di Alberto Burdese Padova, Venezia, Treviso, 14-15-16 giugno 2001), II, Padova, 497-542. Sanseverino, C. 1749 L’Annibale cartaginese. Tragedia, Bologna (= https://books.google.it/books). Scevola, L. 1806 Annibale in Bitinia. Tragedia, Venezia 1806 (= https://books.google.it/books). Toschi, L. (ed.) 1985 Vittorio Alfieri, Tragedie, III, Firenze. Tureck, R. - Sacks, O. - Grünbaum, A. 1998 Tempo e Memoria, in Critica del testo, I/1, 443-68. 58 MAGAZINE | SCIENZE E RICERCHE • MARZO 2017 Trasversalità e valori per lo sviluppo delle risorse umane CLAUDIO PALUMBO Università degli Studi di Parma PER INIZIARE, UN EPISODIO SIGNIFICATIVO DI VITA N LAVORATIVA el 1987 iniziò nell’azienda in cui lavoravo un processo di digitalizzazione che condusse in breve tempo alla sostituzione dei terminali a stampa con i videoterminali. Ricordo le preoccupazioni e le ansie dei colleghi di lavoro nei confronti di un cambiamento di abitudini, che poteva avere ripercussioni negative sulla salute (vista, postura e tensioni psicofisiche causate dalla costante attenzione al video) e ancora di più imputabili alla necessità di implementare le proprie conoscenze e abilità. Qualche mese prima, un mio collega mi fece partecipe della sua intenzione di acquistare un personal computer con l’obiettivo di farne un uso soprattutto ludico e mi chiese (anche per rafforzare la sua motivazione all’acquisto) se fossi interessato a fare altrettanto. Io gli risposi di essere intenzionato, ma per un utilizzo diverso: la facilitazione nella stesura di testi (in particolare per ragioni universitarie). Nell’arco di alcune settimane acquistammo entrambi il personal computer indirizzando le nostre scelte al prodotto che, nel rapporto qualità/prezzo, meglio si confaceva alle rispettive motivazioni principali. Gran parte degli altri colleghi ironizzò sui nostri acquisti, commentando che “dopo una giornata di lavoro non era proprio il caso di continuare a intrattenersi con un oggetto che ricordava l’ufficio!”. Tuttavia, solo pochi mesi dopo, io e il mio “coraggioso” collega ci trovam- mo nelle migliori condizioni mentali e operative di accettazione costruttiva della nuova realtà lavorativa digitalizzata, senza patire stress da adattamento forzato, con il rischio di non cogliere gli aspetti positivi del cambiamento, così come accadde a molti dei colleghi che avevano assunto in precedenza un atteggiamento da “cicale”. Ho citato questo racconto di vita lavorativa personale per introdurre i due temi principali di cui desidero occuparmi: l’importanza delle competenze trasversali (o soft skills) e il valore funzionale/gratuito di un’attività in generale. COMPETENZE TRASVERSALI E TRASVERSALITÁ DELLE COMPETENZE Il termine “competenza” indica comunemente un insieme strutturato di conoscenze, abilità e atteggiamenti necessari per l’efficace svolgimento di un compito lavorativo. Questo insieme strutturato di elementi può ovviamente essere acquisito in ambiti differenti da quello di lavoro; se l’individuo sarà successivamente in grado di trasferirlo in altri contesti della propria esperienza personale e professionale, allora avrà concretizzato la “trasversalità” della competenza, che necessita di azioni intenzionali dirette alla sua attuazione. Esiste anche una trasversalità intrinseca alle competenze: si tratta della maggiore o minore possibilità che esse hanno di essere acquisite in un certo contesto e utilizzate in altri differenti (sul lavoro, con gli amici, in famiglia, nella relazione di coppia, ecc.), consentendo al singolo individuo di svolge1 MARZO 2017 • SCIENZE E RICERCHE | MAGAZINE re efficacemente una certa attività, risolvere un problema e giungere ai risultati attesi. Sono esempi indicativi il senso di responsabilità e di autonomia richiesto da una mansione o da un compito; la capacità di relazione e collaborazione con gli altri, di realizzare progetti significativi e di pianificazione per la soluzione di problemi concreti. La motivazione personale all’interno delle competenze trasversali è fondamentale, poiché significa tendenza a utilizzare le opportunità e le occasioni di crescita per contribuire prima di tutto al “proprio benessere complessivo”; le competenze si applicheranno poi nella relazione individuo/ contesto, come accade in rapporto all’ambiente lavorativo: l’individuo si fa promotore di una relazione positiva con il proprio ambito professionale e le competenze trasversali rappresentano un repertorio di abilità utili per fronteggiare al meglio le richieste dei compiti lavorativi; tutto ciò si propone nel contempo come modello di motivazione e benessere all’interno dell’organizzazione di appartenenza e negli altri contesti sociali. Ecco quanto riuscimmo a realizzare io e il mio coraggioso collega in quella fase di trasformazione organizzativa raccontata all’inizio! “Flessibilità” e “specializzazione” sono due delle parole d’ordine dell’odierno contesto economico-occupazionale. Affinché non appaiano due richieste in contrasto tra loro, occorre fornire alle risorse umane la possibilità di valutare e sviluppare quelle competenze trasversali che permettano, tra l’altro, il superamento della tendenza a occuparsi esclusivamente delle competenze tecniche, con il rischio di arroccarsi in rischiose posizioni “iperspecialistiche”! FUNZIONALE E GRATUITO, VALORI E BENESSERE Le nostre iniziali motivazioni all’acquisto del personal computer introducono il secondo argomento. Come già detto, il collega era interessato soprattutto all’utilizzo ludico, mentre per me si trattava di facilitare il lavoro universitario. Attribuisco al suo caso un uso gratuito del prodotto e al mio un uso funzionale. Ampliandone l’accezione, “funzionale e gratuito” possono essere anche portatori di fondamentali significati valoriali. Funzionale coinvolge il valore d’uso e il valore di scambio. Il primo risponde alla domanda “a cosa mi serve”, il secondo a “cosa posso ottenere in cambio” (in base alla valutazione di mercato). Gratuito coinvolge il valore simbolico e il valore effimero. Il primo risponde alla domanda “cosa rappresenta per me”, il secondo a “quanto è di moda”. Dal punto di vista del marketing, un oggetto cui gli acquirenti possono facilmente assegnare contemporaneamente tutti e quattro i valori ha elevate possibilità di vendita. Ho citato l’acquisto del personal computer, ma l’esempio può essere esteso facilmente a un telefono cellulare: che abbia un valore d’uso, di scambio ed effimero appare scontato; l’aggiunta del valore simbolico può essere per esempio caratterizzata dal fatto che quel cellulare è comunemente oggetto di regalo, confermando o rinsaldando la relazione tra donatore e destinatario (simbolo, dal greco, vuole dire appunto “riunire”). In senso ancora più ge2 nerale, quella determinata marca di cellulare può assurgere a livello di status symbol, andando oltre l’effimero e quindi la moda passeggera, per diventare un simbolo “transepocale”, significativo di un percorso storico, economico e sociale. Così come i quattro valori associati possono consentire all’oggetto una facile commercializzazione, allo stesso modo l’acquirente può ricavare dall’acquisto maggiore soddisfazione se, oltre ad attribuire immediatamente quei quattro significati valoriali, riesce a confermarli a distanza di tempo; ciò vale soprattutto per i valori d’uso, simbolico e di scambio, mentre più difficile appare la tenuta del valore effimero proprio per definizione. A tale proposito, la Svizzera può vantare prodotti, servizi e processi che vanno nella direzione del mantenimento di quei tre valori; mi riferisco in particolare al valore simbolico, quando viene universalmente riconosciuto che “Swiss made” è garanzia di precisione, puntualità e affidabilità. Come ben sappiamo, per molti prevale invece il valore della moda: sempre meno ci si domanda “a cosa mi serve” (quanto utilizziamo delle potenzialità di un computer o di un cellulare?), a favore del “devo averlo subito”, trasformando un “desiderio” soggettivo, qualitativo e responsabilizzante, in un “bisogno” dai connotati oggettivi indotti dall’esterno, quantitativo e deresponsabilizzante; nel primo caso, ci troviamo di fronte a un agire distribuito almeno nel medio periodo e orientato al benessere, poiché selettivo rispetto alle variabili prevalenti che consigliano la scelta; nel secondo caso a un comportamento spesso impulsivo di breve periodo, mosso dalla necessità di sfuggire al malessere, inteso come mancanza dell’oggetto e rincorsa all’adeguamento sociale. La questione assume un peso ancora maggiore, se si estende il discorso alle organizzazioni lavorative e ai processi di digitalizzazione galoppanti: il rischio è un’assunzione acritica proprio del tipo “bisogno oggettivo indotto e deresponsabilizzante”, spesso caricato dall’ansia di restare al passo con i tempi! Questo discorso pone in primo piano la domanda sul senso che per ognuno di noi e per l’organizzazione hanno i comportamenti e le scelte poste in essere. Circoscrivo l’argomento richiamando quanto prima affermato: maggiore soddisfazione, significato e, aggiungo, percezione di benessere derivano dal coniugare i quattro valori d’uso, simbolico, di scambio ed effimero, con una tenuta nel tempo in particolare dei primi tre. Si tratta di valori che hanno una portata antropologica, quindi influenzano gli acquisti personali come le scelte aziendali (non solo tecnologiche), le relazioni private e lavorative, la comunicazione sociale e organizzativa, richiamando anche quel concetto di “trasversalità” che rafforza proprio la motivazione, la responsabilità, il benessere, il senso dell’agire organizzativo e umano in generale. MAGAZINE | SCIENZE E RICERCHE • MARZO 2017 Dove nasce e dove finisce il male LUISA GORLANI Scrittrice, psicologa I n un mondo disordinato e caotico, come il nostro, dominato dall’anestesia di valori e principi e devastato dalla follia, dall’intolleranza, dalla violenza, è fondamentale arrestarsi un momento per capire qual è la genesi del Male, prenderne coscienza, riflettere, e cercare delle vie d’uscita, per poterlo combattere. Il Male è, fin dai primordi, la trasgressione di un divieto, trasgressione che sconvolge l’ordine stabilito dalla divinità, introducendo il caos, e implica una punizione, per aver infranto il confine, che segna il limite da rispettare fra l’umano e il divino, ma anche la congiunzione fra la terra e il cielo. Il male, dunque, è un atto d’orgoglio, è una sfida alla legge, che ha come conseguenze dolore (che etimologicamente vuol dire “colpo d’ascia” sul cuore), e sofferenza (dal latino “sub fero”: “ciò che si porta sotto”, pena e tormento sommerso). Ma da dove nasce questa sfida? Rousseau dice che l’uomo nasce buono per natura, è la società che lo corrompe, con i suoi influssi negativi. Essa, infatti, corrompe l’originario stato di purezza, di innocenza, di integrità e candore, inducendo l’individuo all’aggressività, al freddo calcolo, al cinismo tipico delle civiltà moderne, e lo riduce in catene. “Cattiveria”, infatti, dal Latino “Captivus”: La Mappa dell’Inferno dantesco disegnata da Sandro Botticelli 61 MARZO 2017 • SCIENZE E RICERCHE | MAGAZINE “Prigioniero”, indica uno stato di cattività, di prigionia, proveniente dalle influenze ambientali, dai condizionamenti di massa e dai propri istinti. Astio, rancore, risentimento portano il trasgressore ad una vita disadattata e distruttiva, bassa, maledetta, ribelle. Il male è schiavitù, dittatura, ingiustizia, sfruttamento, terrorismo. E’, tuttavia, da condannare non solo chi commette del male, ma anche chi porta all’esasperazione, termine d’origine latina “ex aspera”, che significa: “venir fuori da realtà aspre”, realtà spesso intollerabili, che spingono chi viene provocato ed esasperato a reazioni incontrollate, inconsulte. E’ necessario, dunque, che tutti, dandosi degli stop del pensiero, degli ordini mentali, dei comandi di atti di volontà, si pongano il senso del limite, oltre il quale non si può andare. Il male, infatti, nasce nei meandri più nascosti e inquietanti della psiche umana. Forze infantili regressive: traumi, complessi d’inferiorità, sensi di colpa, divieti, abbandoni, paure, insicurezze, frustrazioni, ansie, mancanze, rabbia d’amore, conflitti, violenze, trasgressioni, punizioni, terrore, angoscia subita, vessazioni, vissuti laceranti rendono l’uomo fragile e incline a deviazioni. I modelli d’identificazione introiettati, se distorti, tendono a formare l’io cattivo, ribelle, trasgressivo, e a segnare il destino dell’individuo, a farlo diventare come l’altro per identificazione, o il contrario dell’altro per contrapposizione. E il destino negativo compromette le potenzialità di crescita dell’individuo, il quale ha, però, pur sempre la possibilità di andare contro corrente, col suo pensiero divergente, con la sua intelligenza critica, per una vita autentica, elevata, significativa, creativa. Quando però il disprezzo della normalità, della banalità e del conformismo porta lo scontro alle estreme conseguenze, sfocia nella pericolosità, nella distruzione e nella perdita della giusta prospettiva. Le tre spinte fondamentali al male sono riassumibili nelle tre “S”: Sesso, Soldi, Successo, impulsi primordiali, che Dante stesso incarna nelle tre belve incontrate nella “selva oscura” dell’Inferno: la Lonza flessuosa e insinuante, emblema della Lussuria, ossia della smania di Sesso; la Lupa famelica, simbolo della Cupidigia, ossia della brama di Soldi; il Leone minaccioso, simbolo della Superbia, cioè del bisogno spasmodico di Successo e di Potere. E i Lussuriosi (“i peccator carnali/ che la ragion sommettono al talento”) per punizione sono lasciati al buio, battuti da una bufera infernale, come in vita furono accecati e travolti dalla passione, fino ad arrivare oggi all’aberrazione estrema della pedofilia. I Cupidi di soldi, che comprendono varie categorie, quali gli Avari e i Prodighi, ossessionati in vita dai beni terreni, ora rotolano inutilmente i pesanti macigni del possesso, da cui furono ossessionati (Tutti quanti fur guerci / sì della mente in la vita primaia, / che con misura nullo spendio fèrci.”); o i Barattieri, che sono immersi in un lago di pece bollente e uncinati dai diavoli, come in vita uncinarono il prossimo coi loro scambi di frodo; o i Ladri, che hanno le mani legate da serpenti, quelle mani che usarono per derubare il prossimo; o i Falsari di monete, che sono colpiti da idropisia e tormentati dalla sete, come in vita furono 62 assetati di soldi. I Fraudolenti, infatti, in nome degli interessi economici, calpestano tutti i valori. I Superbi, infine, esponenti della peggiore categoria dei vizi, origine di tutti gli altri (quali sopraffazione, violenza), vengono precipitati dal cielo, a cui osarono ribellarsi, come Lucifero, per rimanere per sempre nelle viscere della Terra. La Superbia, infatti, desiderio irrefrenabile e tracotante di superiorità, fino al disprezzo di uomini, ordini e leggi, fa parte dei peccati più gravi, quelli per “malizia” e “bestialità”, perché sottende intenzionalità del male, a differenza della “incontinenza”, che, invece implica la sopraffazione degli istinti sulla ragione. La catalogazione, pertanto, di Dante si basa sulla ragione, come discriminante fondamentale tra vizio e virtù. E da uomo medioevale con profondo spirito religioso, il “Sommo Poeta” si rifà alla Religione, e ci dimostra come essa sia fondativa della Legge e della Psicologia umana. I 7 vizi capitali, infatti, equivalgono a distorsioni psicologico-comportamentali, come ad esempio l’ira, la superbia, l’invidia, che spesso degenerano in reati punibili dalla legge. Le virtù cardinali, invece: Prudenza, Giustizia, Fortezza, Temperanza, se praticate, porterebbero ad un maggiore equilibrio psicologico ed eviterebbero reati e crimini. Così come le virtù teologali: Fede, Speranza, Carità, consentirebbero una visione più positiva e costruttiva della vita. Le opere di misericordia corporale: di cura, assistenza, sostentamento ai bisognosi e quelle di misericordia spirituale: di insegnamento, solidarietà, sopportazione e perdono corrispondono alle prescrizioni della costituzione. I 10 comandamenti sono ugualmente indicazioni previste dal codice legale di comportamento, come ad esempio: non uccidere, non rubare, non tradire, non dire il falso, ecc. La cristianità ci indica, quindi, una possibilità per la giustizia di essere esercitata , in nome di un Oltre, che ci guida da Lassù. L’istanza del trascendente è insita nel nostro senso etico. E la Filosofia, la scienza dei “perché”, ci aiuta ad entrare meglio nelle “secrete cose” della vita. Aristotele, infatti, sostiene che la ragione, massima facoltà umana, permette di riconoscere e perseguire il “giusto mezzo”, principio di virtù, evitando ogni comportamento eccessivo, la cui costanza crea il vizio, definito “abito del male”. Bene e male sono oggetti della volontà umana, per cui vizio e virtù dipendono da noi. Platone, invece, acutamente asserisce che è per ignoranza o per debolezza, o per ambedue questi mali che vive senza dignitoso equilibrio tutta la turba degli uomini. S. Agostino, poi, afferma che l’uomo col suo libero arbitrio decide il male sostanzialmente per due motivi: per un desiderio di “autodeterminazione assoluta”, ovvero per una incondizionata autonomia di scelta e per l’emancipazione totale da Dio, e per il “falso oggetto” del suo amore (non più rivolto a Dio, ma al mondo materiale). Il male è peccato che nasce dall’irrazionalità dell’istinto. E’ privazione e devastazione di bontà. E’ assenza di bene: è discordia, ingiustizia, perdita di vita o di libertà. Per S.Tommaso il male esiste come conseguenza della MAGAZINE | SCIENZE E RICERCHE • MARZO 2017 violazione delle leggi divine. Causa del peccato è l’abuso del libero arbitrio da parte degli uomini. E con straordinaria sintesi e profondità definisce la Libertà come “volontà di bene”, perché in realtà chi fa il male non è libero, ma è schiavo. E Seneca, di rincalzo, dice che le anime malate hanno perduto il senno, la ragione, senza la quale il mondo diventa preda di ombre e di mostri, in balia del Male e delle forze dell’inganno. Kant, a sua volta, dichiara che il male è una sfida personale, frutto della libera scelta dell’uomo, dettata da un consapevole atto di ribellione e deviazione da Dio. Prezioso, quindi, il suo monito: “Agisci in modo che il tuo comportamento diventi norma di comportamento per tutti gli altri”, prima, cioè, di ogni infrazione chiediti sempre: “E se tutti facessero come me, cosa succederebbe?”. L’imperativo morale categorico, pertanto, è quello di seguire il dovere, che la ragione universale detta dentro in ognuno di noi. Il negativo del mondo potrebbe essere riassunto nell’acronimo del MALE: Materialismo – Antagonismo – Lesionismo - Estremismo Materialismo L’attuale desacralizzazione del mondo, la tendenza a ridurre o cancellare il sacro spinge l’uomo ad una esistenza animale, primitiva, esclusivamente terrena, materiale, quindi alienata, priva di principi, priva di senso, nella convinzione che tutto è lecito, nella disinibizione assoluta, nella perdita di ogni senso del pudore, della riservatezza e di ogni limite, nella violazione di ogni privacy, e prepara la via alla violenza. Prostituirsi o violentare equivale ad azzerare la sacralità della dignità della Persona umana. Imbrattare i muri di un Palazzo (soprattutto se antico) significa compromettere la sacralità dell’Arte e comunque del Lavoro umano. Incendiare un bosco o inquinare il mare corrisponde a violare la sacralità della Natura. Bestemmiare o defenestrare un Crocefisso è profanare la sacralità del Divino. La perdita, il disconoscimento, dunque, del Sacro, autorizza a calpestare ogni valore, a pretendere tutto subito, a rifiutare l’attesa, il sacrificio e il suo potere purificante. L’uomo , invece, proprio perché dotato non solo di corpo, ma anche di anima, ha bisogno di dare alla propria vita un significato, la cui privazione comporta il rischio di annichilimento, con conseguente incertezza, turbamento, angoscia e terrore. “Sacrificio” dal latino “sacrum facere” significa fare qualcosa di sacro. Il rifiuto del sacrificio equivale al rifiuto dell’attesa e della fatica che comporta l’attendere i frutti del proprio paziente costruire. A conferma di quanto vado asserendo mi sia consentito fare riferimento ad alcune mie poesie (tratte dalla silloge poetica “Lunazioni”), non certo per esibizionistica autoreferenzialità, ma per l’urgenza, da cui sono nate, di profonde convinzioni, maturate nel tempo e frutto di continue ricerche e riflessioni. La Poesia, infatti,è un’antenna parabolica, che capta tutti i segnali circostanti. Negazione d’attesa Il secolo non sa più attendere brucia impaziente stagni e stelle arso da febbre di gong persino la morte arbitrio di Parca L’idolatria del “tutto subito” vacuità dell’effimero depone e dissacra l’attesa dall’ara del sacrificio Non più la paziente fatica del Sole nel suo “tendere a…” ma rogo del tempo frenesia di fine corsa al precipizio schianto di senso Potrà ancora giungere lieve l’Aurora riso di perla a dissolvere mostri dopo lunga notte oscura? Antagonismo La tendenza alla conflittualità, all’ostilità, all’opposizione polemica, alla continua rivalità, induce gli uomini a vedere negli altri sempre dei nemici da combattere e contrastare, offendere, umiliare, denigrare, anziché dei potenziali amici, con cui dialogare, condividere, cooperare, in un sano “mutuo soccorso”, tradendo una sostanziale incapacità di mediazione e negoziazione. “Nun se po’ stà tutta la vita a baccaglià! (protestare, disapprovare, gridare)” dice Gigi Proietti nel suo saporito dialetto romanesco. L’escalation di continue rivendicazioni rende impossibile un accordo. La vita, però, non è una gara a chi vuole di più, ma un impegno a lasciare di sé una traccia significativa. “chi senza fama sua vita consuma / cotal vestigio in terra di sé lascia / qual fummo in aere e in acqua la schiuma” dice Dante. E’ bello essere conosciuti per il bene che si è fatto. Ognuno deve puntare al massimo della propria autorealizzazione, non per emulazione, competizione o presunzione, non per puerile bisogno di dimostrare agli altri la propria superiorità, non per patetica rivalsa sociale, bensì per raggiungere la pienezza non dell’Apparenza, ma della propria Essenza, come missione intrinseca della propria dignità umana. Solo l’Assertività consente il superamento del tumulto dei sentimenti, ai fini di un confronto equilibrato 63 MARZO 2017 • SCIENZE E RICERCHE | MAGAZINE e intelligente, senza remissività, ma senza nemmeno aggressività. Purtroppo anche quando l’uomo potrebbe stare bene, fa di tutto per stare male. Già la vita è in balìa di mali ineluttabili, come catastrofi naturali, incidenti, malattie, morti, in più l’uomo imperversa con la sua violenza, intolleranza e cinismo, aggravando la sofferenza della terra, con una sorta di genialità del male. Saggio è, allora, apprezzare ciò che abbiamo, finchè ci è concesso il bene prezioso della vita, senza dare nulla per scontato, pensando sempre a chi soffre e fatica ben più di noi. la voglia di distruggere, a cui porta l’incomunicabilità e l’istinto brutale e animale che l’uomo ha in sé, se incapace di autocontrollo, se privo di ogni valore e principio. Lanciare un bambino (che è tuo figlio!) giù da un ponte, accoltellare o sfregiare una donna, decapitare un uomo, o massacrare centinaia di persone con una bomba, vuol dire disprezzare, ignorare, calpestare la sacralità della Vita. “Orrenda follia maciulla cento / migliaia di uomini e li ammucchia fumanti”(da “Il Male” Rimbaud) Voglia di uccidere Non aggiungere dolore al dolore Beve la terra la sua condanna al calice amaro del dolore fiele di fame e fatica miseria e malattia tirannia del fato Non aggiungere dolore al dolore versando nella coppa già satura vetriolo di violenza e vessazione cianuro d’intolleranza e cinismo arsenico d’autodistruzione Ritorna e bevi alla sorgente Cammina felice d’essere creatura viva ed umana Respira la chiarità dei cieli Sorridi alla vita, agli uccelli, ai tuoi fratelli Lesionismo La rabbia cieca e l’aggressività sono sempre espressione di capitolazione dell’intelligenza, perché, in fondo, è molto più facile tirare un grilletto, o sferrare un pugno, che controllare la propria “ira funesta”, scendere a patti e cercare delle soluzioni ad un problema. La violenza è intolleranza alle frustrazioni, alle vere o presunte ingiustizie subite, è bestiale tentativo di affermazione della propria personalità. E’ il frutto di una deumanizzazione, di una sorta di reificazione dell’uomo, visto come una res, una cosa, un oggetto, che implica mancanza di rispetto per la persona, per la sua dignità, per la legge e autorizza il carnefice a schiacciare, annientare la propria vittima, senza alcun scrupolo, né pietà. Il bene, al contrario, secondo Kant, è trattare il proprio simile come un fine, mai come un mezzo. In una società, però, alienata come la nostra, chiusa in un mondo virtuale, che ha stravolto la comunicazione, non si sa più guardarsi negli occhi, ascoltare, parlare, immedesimarsi negli altri, entrare con loro in empatia, asserire i propri pensieri senza subire, ma senza nemmeno aggredire. Solo così avremmo una umanità più dialogante, partecipe, fraterna, solidale e costruttiva. Ma purtroppo fustigazione, segregazione, lapidazione, mutilazione, decapitazione, soppressione sono le espressioni estreme del64 Uccidere non è solo pietrificare un corpo, ma disgregare il credo nella vita, svuotare mari, oscurare cieli. Uccidere è infrangere orizzonti, troncare con una scure le ali di chi ancora vorrebbe volare. E nella tua selvaggia sete di preda, invano cerco qualcosa d’umano. Incapace di parola e di pietà, affondi il coltello del disprezzo nel fratello, spogliandolo d’ogni senso e valore, brancolando nelle tenebre di una rabbia impotente, che da famiglia franta e muta erompe, da scuola sorda, da cieca società, dalle colpe di un tempo alienato. Belva crudele e feroce, sottrarti dovrai all’eredità di Caino, rinnegare la violenza dei padri, travolti dal vento di morte, capire il crimine dei tuoi artigli, farti di te stesso freno, giudice e guida, se uscire vorrai dalla caverna dell’istinto, per tornare alla luce Uomo. Estremismo L’assenza totale di limiti, di regole, di norme, l’abuso di potere, il travisamento dei fatti, la distorsione cognitiva, il disprezzo per la giustizia porta a credere che tutto sia lecito nella furia devastatrice dell’idolatria di falsi dei, dell’esaltazione, del fanatismo, dell’esibizionismo, dell’edonismo, del terrorismo e fondamentalismo politico o religioso. Sul principio di realtà prevale il principio di piacere, che spesso si concretizza non solo nell’annientamento dell’altro, ma anche di se stesso, nell’illusoria convinzione della propria superiorità, esclusività, della propria grandezza, del proprio eroismo, nella pretesa d’immortalità, nel delirio della propria onnipotenza, nell’egocentrismo assoluto, nel bisogno di protagonismo, che tradisce invidia, gelosia, insoddisfazione, debolezza, come il Mito stesso ci insegna. Vediamo, infatti, Medea uccidere i figli, Oreste la madre, Edipo il padre, Clitemnestra lo sposo, Eteocle il fratello. Da sempre nell’uo- MAGAZINE | SCIENZE E RICERCHE • MARZO 2017 mo agiscono le forze oscure dell’inconscio, che lo spingono ad azioni estreme. Ma oggi più che mai si assiste ad una sorta di scissura schizofrenica, che vede l’uomo progredire in maniera straordinaria sul piano della ragione, con scoperte e invenzioni avveniristiche, ma lo vede anche ignominiosamente regredire alla preistoria sul piano delle emozioni, perché incapace, come un animale, di auto-dominio. E anche l’uomo al di sopra di ogni sospetto può trasformarsi in un mostro , se non sa gestire le proprie emozioni, i propri istinti, soprattutto nel segreto delle mura domestiche. “La casa degli uomini / è la tana muschiata / delle più affilate verità” dico in una mia poesia e ancora in quest’altra che segue: SOS Il mostro è in agguato La ragione alle galassie l’emozione alle caverne saprai all’alba del Duemila destarti a te stesso intero e al mostro dei tuoi abissi in agguato? E’ l’Idra di Lerna dalle sette teste tentacoli contratti di sospetto occhi dilatati invidia e gelosia sibilo sordo astio e odio cuore impazzito collera e ira Dietro spoglie insospettabili immoritura Medea tornerà soggiogata e ottenebrata dal mostro a brandire la spada contro i figli e Oreste a svenare la madre trafitta Edìpo a pugnalare il passo al padre Clitemnestra a calare la scure sullo sposo Eteocle a contendere in duello col fratello Tu moderno disavvezzo Eracle dovrai bruciarne le carni con tizzoni ardenti Fuoco sacro d’autodominio volontà di lotta e superamento di coscienza e visione il mutamento sfida e sconfitta del tuo mostro segreto non da fato né geni germinato ma da sepolte ossessioni Nuova sapienza d’emozioni rocca d’approdo di tua interezza calcare e madrepore orizzonte del Terzo Millennio Se, dunque, siamo in balia di “sepolte ossessioni”, occorre proporsi l’intenzionalità di un progetto di vita, che preveda la propria costruzione e una continua evoluzione e miglioramento del Sé, nella sua totalità e interezza. Progetto che definirei: “Aedificatio et Progressio Sui”. Fai della tua vita un campo arato Fai della tua vita un campo arato Brucia stoppie e sterpaglie estirpa ortiche e gramigne recidi rovi e gineprai dissoda grumi e macigni prepara verderame ai parassiti e tagliole ai predatori Lavora e avvalora la terra con cura Concima ed acclima irriga ed irrora segui la resa della notte all’aurora Gravosa è l’impresa avara e amara talora ma preziosa e smisurate le tue risorse Semina con gesto esatto i tuoi sogni falli lievitare in terra ospitale al vento al sole al respiro astrale Mieterai oro al canto delle cicale. Il Bene, dunque, unico antidoto al Male, è il SALE della vita, sul piano etico, legale, psicologico. Al Materialismo oppone la Sacralità, il rispetto per il Sacro. All’Antagonismo l’Armonia, l’Amore per il prossimo. Al Lesionismo la Legalità, l’osservanza della Legge. All’Estremismo l’Equilibrio, la giusta proporzione tra il troppo e il troppo poco. Solo l’Educazione può evitare le cattive influenze della società, sviluppando la capacità critica del discernimento tra Bene e Male, Giusto e Ingiusto, il cui discrimine si fa oggi sempre più ambiguo, più fluido, e guidando all’Autocontrollo, all’Autodeterminazione di una saggia Autonomia, che, in nome della volontà generale della legge, sappia rispettare la norma, la regola, dandosi la legge da sé (autòs nomos), non per imposizione esterna e per paura di una punizione, ma per libera scelta, dettata dalla coscienza e dalla volontà del 65 MARZO 2017 • SCIENZE E RICERCHE | MAGAZINE Bene, dalla “legge morale che è dentro in ognuno di noi”, come sostiene Kant. La sola coscienza consente di ripristinare i valori dominanti collettivi, senza i quali non può esistere l’ordine etico della vita sociale, che introduce la norma, la legge a vantaggio di tutti. La coscienza è il cannocchiale che ci permette di distinguere il bene e il male. Occorre, quindi, viaggiare muniti di cannocchiale. E l’Educazione, la Cultura ci aiutano ad equipaggiarci dei giusti strumenti. La Formazione, dunque, è l’unica soluzione a tutti i problemi del mondo. E non solo gli Alunni andrebbero educati, formati, ma anche i Genitori, gli Insegnanti, i Dirigenti Scolastici, i Medici, gli Avvocati, i Politici, gli operatori del mondo mediatico. Tutti gli esseri umani devono porsi in cammino ed entrare nell’ottica dell’Educazione Permanente, perché solo così può nascere l’Uomo Nuovo, l’Uomo con la “U” maiuscola. “La tempesta è capace di disperdere i fiori, ma non è in grado di danneggiare i semi” dice Gibran. I semi, infatti, sparsi da validi educatori restano dentro per sempre nel cuore dell’uomo. Gli Insegnanti, in particolare, per essere fedeli alla radice etimologica del loro nome “in signum”, devono saper lasciare “un segno dentro”. La consapevolezza del male è il mezzo che ci permette di apprezzare, per contrapposizione, il bene. Il male è come il buio della notte, che però consente di vedere le stelle. Senso del Male Il male è l’ombra che glorifica la luce è naufragio che porta all’approdo Da dove canto di pace se non da pianto di guerra riso di giustizia da ghigno d’abuso carezza di solidarietà da pugno di dolore esorcismo d’amore da magia nera d’odio tepore germinale di salute da gelida paralisi di malattia Come apprezzare il respiro della vita se non accanto al rantolo della morte Ungaretti, dopo una notte passata in trincea, accanto al corpo del compagno morto, nella sua poesia “Veglia” dice: “Non sono mai stato tanto attaccato alla vita”, confermando quanto le cose si apprezzino per contrasto! Il dolore fa scontare la pena. Provoca il grido di Cristo sulla croce. Il dolore genera la poesia del riscatto. 66 Purtroppo noi siamo figli della cultura del nichilismo, dell’azzeramento e nullificazione di ogni verità, di ogni fede, di ogni credo, di ogni speranza. E i titoli di molte opere tra ‘800 e ‘900 lo confermano. Basti pensare a “L’essere e il nulla”, “La nausea”, “Le mani sporche”, “La morte dell’anima” di Sartre; a “Gli indifferenti”, “Il disprezzo”, “La noia” di Moravia, solo per citarne alcune, emblematiche del senso di impotenza, di smarrimento dell’uomo, a cui conduce una corrosiva sopravvalutazione di ostacoli e difficoltà e un tentativo di fuga nella cinica estraneità. “Il male di vivere” è, per Montale, la condizione esistenziale dell’uomo moderno, col suo vuoto e la sua aridità. Unica soluzione al Male che affligge l’uomo è, per Montale, l’atarassia, il superamento del tumulto dei sentimenti, la “divina indifferenza”, quale: l’impassibilità di una statua chiusa nel suo letargo pomeridiano, la lontananza dai problemi umani e terreni di una nuvola, la libertà di un falco. Ma se è vero che esiste il “rivo strozzato”, è vero che esiste anche il fiume che scorre placido verso il mare. Se è vero che esiste l’”accartocciarsi della foglia”, esiste però anche il germinare e splendere della foglia a primavera e il suo rosseggiare in autunno. Se è vero che possiamo incontrare il “cavallo stramazzato”, possiamo vedere anche il cavallo che galoppa veloce e attento al superamento di tutti gli ostacoli. E’ necessario, allora, non solo puntare alla catarsi, alla purificazione interiore, ma anche modificare, anzi ribaltare la nostra visione del mondo, della vita, in maniera più propositiva e costruttiva. Non più vedere l’ “amore” come “possesso”, ma come “accettazione e oblazione”. Non più vedere il “potere” come strumento di “autoaffermazione e auto arricchimento”, ma come strumento di “servizio”, perché chi serve gli altri non è un servo, ma un Signore. Proust dice: ”Il vero viaggio non è cambiare luogo, ma cambiare sguardo”. Dobbiamo cambiare il nostro modo di leggere la realtà, dobbiamo sforzarci di vedere, non sempre e solo il negativo, ma anche tutto il positivo che la vita ci offre, come dice Modugno ad uno “con la dannata voglia di fare un tuffo in giù”, nella bellissima canzone “Meraviglioso”: “Ma guarda intorno a te che doni ti hanno fatto: ti hanno inventato il mare. Tu dici non è niente. Ti sembra niente il sole! La vita, l’amore”. Dobbiamo superare le nostre errate interpretazioni, le nostre distorsioni cognitive, imparare a sdrammatizzare e a relativizzare. Lo stoico greco Epitteto afferma: “Non le cose del mondo procurano angoscia all’uomo, ma il loro modo di vederle e viverle.” Occorre vedere la vita, pur con i suoi problemi, le sue difficoltà e le sue sofferenze, come la più straordinaria opportunità che ci sia stata data. Al diavolo il male del vivere Al diavolo i cantori del male del vivere e il lamento erosivo ed elusivo Al diavolo il mito mendace d’infelicità sorella di nobiltà Io canto la bellezza del vivere MAGAZINE | SCIENZE E RICERCHE • MARZO 2017 e la nobiltà della lotta tacita e tenace Salpare col sole veleggiare col vento approdare con le stelle ormeggiare con la luna ridestarsi con gli uccelli sentire lo scafo del corpo frangere i flutti e le vele e le sartie del cuore vibrare alle brezze e i timoni e le bussole della mente orientare alla rotta la prua Affrontare lo spirito oscuro del mare richiudere nell’otre libeccio e maestrale aggiogare orche e piragna con intelligenza e pazienza Faticare e penare, ma esserci essere vivi e presenti e scoprirsi capaci di provare ancora ansia di partenze miraggi d’orizzonti ebrezze d’arrivi nostalgie di porti abbandoni di ritorni dolcezza d’affetti richiami di radici brividi d’amore estasi di spirito e di sensi “Felice chi può con un colpo d’ala vigoroso / slanciarsi verso campi luminosi e sereni / colui i cui pensieri, come allodole, / verso i cieli al mattino spiccano un volo / che plana sulla vita e comprende senza sforzo / il linguaggio dei fiori e delle cose mute.” (da “Elevazione” in “Fiori del male” Baudelaire) Il male è fango, che richiede l’acqua pulita del bene per essere spazzato via. Se il male è odio, rancore, vendetta, indifferenza, egoismo, cinismo, sadismo, distruzione, il bene è rispetto, è bontà, comprensione, consolazione, perdono, accoglienza, aiuto, cura, dedizione, altruismo, generosità, solidarietà, cooperazione, onestà, coscienza, fraterna correzione, sopportazione, compassione, misericordia, responsabilità, costruttività. Farò del mio petto / un sepolcro per le tue pene /… ascolterò il linguaggio della tua anima / come la spiaggia ascolta / la storia delle onde.” (da “Farò della mia anima uno scrigno” Gibran) “La via più semplice per essere felici è fare il bene” (Helen Keller) Il bene è il faro che illumina la nostra navigazione. È la luce della speranza, che sconfigge le forze oscure del male. Canto la bellezza e la vittoria sul nulla prima che terra tenebre tempo inghiottano la vita e il suo sorriso. Se il male è caos, disordine, squilibrio, dissesto, sconvolgimento, il bene è ordine, misura, armonia, come dice Aristotele, il bene è bellezza. “Calòs kai agazòs!” dicevano gli antichi Greci: “Ciò che è bello è anche buono!” “Una via d’uscita alla sofferenza, ai tormenti, alle passioni dell’animo umano sono l’amore, la poesia, il bello, che assumono un carattere consolatorio, per reagire di fronte al male. L’arte, che riproduce l’armonia universale, è un rifugio che ristora l’uomo dalle fatiche, realizza la bellezza ideale, che purifica dalle passioni, rasserenando l’animo, ed è un mezzo di riscatto, perché esaltando i valori delle tradizioni, della famiglia, della patria, stimola l’uomo a migliorare la società, favorendo il progresso umano.” dice il Foscolo. Già S. Tommaso proponeva l’Arte come sfogo compensativo e come impegno per migliorare la società, per avviare il processo di redenzione e sublimazione spirituale. 67 MARZO 2017 • SCIENZE E RICERCHE | MAGAZINE Cura alle stelle. Manuale di salute narrativa STEFANIA POLVANI Q uesto libro nasce come un’intervista inconsape- dove gli è stato attribuito il codice giallo. Dopo poco viene vole, involontaria e, insieme, un mélange di sto- visitato e, fatti gli accertamenti, viene ricoverato nel reparto rie ascoltate, apprese e ricordate. È ispirato alla di Medicina Interna. A mezzogiorno del mattino successivo semplicità del Manuale delle Giovani Marmotte, che ha cre- si sente male e muore. I familiari attribuiscono la morte a sciuto giovani lettori curiosi di sapere come ricavare un cuc- ritardi e inefficienza del personale e sporgono denuncia. Il chiaio da una conchiglia, come costruire una perfetta pista fatto finisce sui giornali che sparano a zero sull’ospedale. di sabbia per le biglie, come riconoscere i legni e curare le Questa storia ha da dire poco di buono. La trama non è piante, come rispettare l’ambiente. molto originale, il genere è drammatico, i registi sono tanti: Il Manuale è un invito alla valorizzazione pratica delle abi- l’ospedale con le sue procedure, i curanti, la famiglia, i giorlità di cura non tecniche, che chiameremo narrative, quelle nalisti, forse anche la Provvidenza. Nazareno, unico attore, se che si basano sull’ascolto, la comunicazione e la relazione. ne va dalla scena mentre intorno non c’è nemmeno un bricioVorrebbe vibrare nelle menti di chi cura e di chi è curato, di lo di complicità. La complicità è la comune partecipazione a chi è sano e di chi decide. Vorrebbe stare nelle mani di chi, un’azione – che può essere persino illecita – ma è soprattutto intesa. La complistropicciando le Stefania Polvani cità tra la famipagine, vi aggiungerà idee, correCura alle stelle. Manuale di salute narrativa glia di Nazareno zioni e miglioraMaria Margherita Bulgarini - Emmebi edizioni, 2016 e i curanti non menti, e sopratavrebbe strappato Abbiamo varcato il terzo millennio e siamo tutti moltutto esperienze. alla morte il noto occupati a non ammalarsi, a curarsi alla perfezione e vantatreenne, ma È un dialogo che a non morire. L’offerta dei sistemi sanitari non sembra avrebbe cambiato parla di e con le all’altezza di tale domanda di salute. Cercando una via in meglio la vita e storie, per questo d’uscita, si scopre però che la salute ha molto a che la salute di chi lanon si conclude sciava sulla Terra. vedere con le abilità delle persone. Ecco da dove nasce nella sua ultima Gli ospedali, il manuale, come un invito alla valorizzazione del capipagina ma proseguirà sul sito metale umano per affrontare il problema dei costi stellari gli ambulatori e dicinanarrativa. della cura e per scoprire dove sta la salute. Affrontani luoghi di cura do i temi delle abilità narrative, della comunicazione e network. soffrono di sottofinanziamento, della relazione complice, ci incamminiamo in un viagTra tante storie raccontiamo gio che, senza disconoscere il problema del tempo, dell’errore e delle emozioni, di mancato turnover di personale, adesso quella di apre a nuovi pensieri e a nuove frontiere. Cura alle stelle vorrebbe stare nelle sono alla mercè Nazzareno, ispiramani di chi, stropicciandone le pagine, vi aggiungerà idee, correzioni, migliota a fatti realmente ramenti e buone pratiche. È un dialogo che non si conclude con l’ultima pagina, dell’aggressione accaduti e riportama prosegue sul sito OMNINetwork. Vorrebbe vibrare nelle menti di chi cura mediatica. In Itati nelle cronache lia si parla troppo e di chi è curato, di chi è sano e di chi decide. locali. Italiano, 93 spesso di malaStefania Polvani, 50 anni, sociologa a Firenze, si occupa di Promozione sanità. Spesso i anni, Nazareno ha della Salute e di Medicina Narrativa. Ha curato con Armando Sarti il libro Medicina narrativa in terapia intensiva (Franco Angeli, 2013), è tra i fondatori di luoghi di cura non da tempo molte OMNI, l’Osservatorio di Medicina Narrativa Italia ed è Presidente eletto della sono né belli né malattie. È arrivato al pronto socSIMeN, la Società Italiana di Medicina Narrativa. Combina la passione per le accoglienti mentre corso di un grande persone e la creatività con quella per la famiglia, i libri, il cinema, lo yoga e dovrebbero essere ospedale in una l’arte. specchio dell’anima di chi ci lavora notte per un forte dentro e di chi va mal di stomaco, 68 MAGAZINE | SCIENZE E RICERCHE • MARZO 2017 lì per stare meglio. I medici e i professionisti della cura, con tutta la loro competenza, non sono oggi percepiti nella loro autorevolezza, ma devono ogni giorno conquistarsi la fiducia del malato e dei familiari, irrimediabilmente persa nell’immaginario collettivo. Anche al più profano della materia è dato il diritto assoluto di far valere la propria opinione su quella altrui. Questo è vero perfino per le scelte della medicina, dove due sole dimensioni avrebbero diritto di valere: quella del malato attraverso il pensiero sulla propria salute, la propria pelle, la propria vita, e quella del curante attraverso il pensiero scientifico, etico ed esperenziale. Curante e malato: due protagonisti della storia di un diritto universale, la salute. Entrambi vivono oggi un momento di particolare sofferenza ma hanno una grande opportunità, nel mettersi in relazione, ciascuno nel proprio ruolo e nel coraggio della complicità. Ho fatto un sogno una notte: ero sola nel deserto e stava per venire buio, sentivo che il mio tempo stava per finire. Non sappiamo per certo cosa si pensa in quei momenti. Avevo paura e, ad un tratto, in lontananza, ho visto alcuni elefanti che mi hanno ricordato la pesantezza di certi impegni della vita. Una domanda che mi sono fatta, veloce per quanto intensa, non l’ho mai dimenticata: “cosa posso ancora fare prima che venga notte?”. Subito dopo mi sono svegliata. Negli ultimi venti anni in molti mi hanno raccontato una storia. Amici e sconosciuti, la mia famiglia e altre famiglie, bimbi e genitori di bimbi, medici e altri professionisti di cura nel sanitario e nel sociale, persone riunite in gruppi di auto aiuto, pagine di giornale, faldoni di cartelle raccolte in uno scaffale, web, film e libri che ho comprato e libri che mi hanno regalato persone che si sono curate anche scrivendo la loro storia. Negli ultimi venti anni ho ascoltato tanti brani di vita che avevano a che fare con quell’evento che, a un tratto, irrompe nella mente e nel corpo: è la malattia, che può toglierti l’allegria e il sonno, l’appetito e la voglia di vivere. Lei a volte è dolce a volte è mostruosa. È distruttiva e maestra di vita. Si dice che le storie hanno un inizio ma non necessariamente una fine, che le storie sono tutte diverse. Ma le storie di malattia e di cura hanno in comune, nella trama, l’incontro tra il sofferente e il curante. Si incontrano le loro storie e le loro abilità in un dialogo che va ben oltre il farmaco e i risultati numerici degli esami. La relazione terapeutica è un incontro, non è un monologo ma una conversazione. Il sofferente non è il cliente e il curante non è un erogatore di prestazioni: le loro storie si intrecciano nella complicità che li emoziona e li orienta a guardare oltre, verso l’orizzonte della medicina che ha i contorni e i colori della salute. Negli ultimi anni ho incontrato anche la Medicina Narrativa, che si è diffusa in molti paesi nel mondo e in Italia. L’enciclopedia Treccani la definisce come “Metodologia (nota anche come narrative medicine) che stimola la narrazione, da parte del paziente, del proprio stato di malattia, nell’intento di dare senso e quindi sollievo alla sofferenza, di favorire la creazione di un rapporto di fiducia e comprensione tra malato e personale medico e di capire il quadro patologico individuale, ossia nello specifico contesto della persona sofferente [...]”. La Medicina Narrativa è un approccio di cura che guarda alle singole persone ed è praticabile da tutti: è di tutti, del sano e del malato, di chi cura e di chi è curato. Per questo non appartiene a una professione ma conta sulla complicità e sulla collaborazione: più sarà di tutti, maggiore sarà il vantaggio per chi si fa complice nella cura. Non per questo si improvvisa: è una sinfonia, un brano orchestrale ampio, complesso e coinvolgente, che segue uno spartito. Anche il manuale di salute narrativa vuol essere una sinfonia di voci e di proposte. Si pregia di interventi di autorevoli voci di esperti del tema, di terapeuti e di persone che hanno fatto esperienza di cura: nel percorso dei capitoli prendono la parola e, come attraverso un’intervista virtuale, ne fortificano incomparabilmente i contenuti. La Medicina Narrativa, con la sua comparsa in Italia, ha favorito un risveglio di interesse per le abilità umane, che nella salute e nella malattia costituiscono un poderoso capitale. Capitale che, peraltro, è alla portata di mano di tutte le persone e che può essere, sembra, molto meglio valorizzato nei percorsi formativi e di vita. È per questo che il manuale invita a soffermarsi sulle abilità linguistiche e narrative, sul saper stare nella comunicazione e nella relazione complice; invita a non disconoscere i problemi, ma a soffermarsi e a prendere consapevolezza del tempo che sempre manca, di quanto conta un errore nella cura, di come ci sono familiari le emozioni. Come nei Manuali di Archimede, Nonna Papera e Paperinik, anche questo manuale “narra & allena”: attraverso le parti di verifica e laboratorio i lettori potranno ritrovarsi esperti di salute narrativa e scrivere una propria storia e un proprio progetto . Cura alle stelle: tre parole per due significati. La sanità e i costi incrementali: il problema della sostenibilità, della lotta continua per razionalizzare la spesa e le liste d’attesa, dei ticket appropriati tra fasce di reddito e diritto ai nuovi farmaci. Oppure la cura delle persone come se fossero corpi celesti. In un universo che obbedisce a leggi e interessi materiali spunta una sfida: alzare lo sguardo, come sanno fare bene i bambini, e guardare ogni persona come una stella che, con il suo capitale, brilla nel firmamento. Vi auguro di vedere in ogni storia una stella. (dalla presentazione al libro) 69 MARZO 2017 • SCIENZE E RICERCHE | MAGAZINE Sei lezioni di economia SERGIO CESARATTO L’economia: rigore e politica non ha in realtà enormi barriere all’ingresso, e il latinorum L’intento di queste lezioni risponde alla semplice doman- matematico di cui spesso si ammanta ha precisamente il ruoda: “che cosa dovrebbe conoscere di economia una persona, lo di intimidire le persone, facendole sentire insufficienti e cittadina impegnata, che ami prendere un libro in mano?” tenendole lontane da verità (o bugie) che sono in fondo semLe lezioni si rivolgono, naturalmente, anche agli studenti di plici da capi re. Cultura e contro-informazione sono fastidioeconomia e di altre discipline che si sentono tediati dall’inse- se per il potere. Meglio dare ai cittadini l’impressione che gnamento convenzionale o che sono semplicemente curiosi. certe affermazioni che ascoltiamo dai politici abbiano fondaE certamente a molti giornalisti Sergio Cesaratto Sei lezioni di economia e a tutti quelli che Conoscenze necessarie per capire la crisi più lunga /e come uscirne) la sanno lunga di Imprimatur, 2016 politica, ma poi si schermiscono Dai perdenti della globalizzazione alla bancarotta dell’euro passando dicendo, “sa, io per Marx, Sraffa e Keynes. Lo scontro fra le grandi teorie economiche, l’economia non gli arcani delle politiche di Draghi e il fallimento dell’Europa raccontati l’ho mai capita”. con passione intellettuale e impegno civile. Ma si rivolge, soprattutto, a quelle Questo libro si rivolge a chi in questi anni non ha accettato le spiegazioni convenzionali di una crisi devastante e l’idea che «siamo un migliaia di giovani e meno giovani Paese corrotto, fortuna che Europa ed euro ci fan rigare dritti». Da Adam che in questi anni Smith a Schauble, l’ambizione del volume è di intrecciare la teoria economica alle drammatiche vicende della crisi europea, dell’euro, del duri si sono rimboccati le manideclino del nostro Paese. Non basta prendersela col “neoliberismo”, le che per cercare di “banche malvagie”, la “finanza speculativa” o la “corruzione”. Si deve rompere la monscavare nelle fondamenta della teoria convenzionale che è dietro le potagna di bugie che litiche monetarie e fiscali europee, la deregolamentazione finanziaria, lo smantellamento dei diritti ci ha sommerso, sociali (le cosiddette “riforme strutturali”), il mercantilismo tedesco. “è l’Europa a Muovendo dalle teorie di Sraffa e Keynes e dalla letteratura eterodossa, il volume mostra la debolezza di quelle fondamenta e la natura conservatrice della costruzione europea. Analisi economica chiedercelo” in critica e realismo politico ci suggeriscono che, sfortunatamente, un’ “altra Europa” non è possibile primis. Fra loro in quanto le entità politiche e monetarie sovranazionali hanno un’insopprimibile impronta liberista, e vorrei convincere sono funzionali a smantellare gli spazi nazionali in cui si esprime il conflitto sociale che, se regolato, gli amici carissimi della Modern è il sale della democrazia. Monetary Theory (mmt) che l’ecoSergio Cesaratto è fra i più noti economisti critici internazionali. Ha studiato alla Sapienza, dove nomia eterodosha conseguito il dottorato, e all’Universitàdi Manchester. È professore ordinario di Politica monetasa è qualcosa di ria e fiscale dell’Unione Economica e Monetaria europea, Economia della crescita e Post­Keynesian molto più ampio, Economics all’Universitàdi Siena. Ha pubblicato sulle principali riviste eterodosse internazionali e si ed a cui noi italiaè occupato, fra l’altro, di teoria della crescita e di economia delle pensioni. Da sempre legato all’imni possiamo guarpegno civile, è stato fra i primi a denunciare il contributo della moneta unica, con la connivenza della dare con un certo politica italiana, al degrado economico e civile che si è abbattuto sul nostro Paese. Suoi interventi sono apparsi su diversi quotidiani; il suo blog è politicaeconomiablog.blogspot. orgoglio. itper La Repubblica e La Stampa. L’economia 70 MAGAZINE | SCIENZE E RICERCHE • MARZO 2017 menti in misteri inconoscibili al volgo, amministrati da quei moderni stregoni o sacerdoti chiamati economisti. Vedremo invece come, per esempio, tutta l’analisi economica dominante consista di un nucleo non troppo difficile da comprendere, le cui basi furono gettate alla fine del secolo xix e che si sono trasmesse immutate ai nostro giorni. Due valorosi economisti, Aldo Barba e Giancarlo De Vivo, hanno paragonato l’economista convenzionale al pesce rosso che, secondo alcuni studi, vive felice nella sua boccia in quanto la sua memoria dura pochi secondi e ad ogni giro, oplà, un colpo di pinna e si parte a scoprire un mondo nuovo. Non so se questo sia vero per il simpatico animaletto, ma lo è certamente per il serioso economista che ci propina ricette vecchie di un secolo e mezzo, presentandole come la frontiera della scienza. Non vi sembri però paradossale che quello che vi proporrò in alternativa abbia delle ascendenze intellettuali ancora più antiche, nel pensiero degli “economisti classici” a cavallo fra il xviii e xix secolo. All’epoca di questi economisti, i dibattiti economici consistevano di ragionamenti e dispute che si svolgevano fra le persone interessate alla politica e alla cul- tura. Marx aveva una grandissima opinione di costoro, ed egli stesso ritenne primaria, per evidenti motivi, l’attività di divulgazione della scienza economica presso le classi popolari. Non v’è dubbio, naturalmente, che vi siano nell’analisi economica, di qualsiasi orientamento, aspetti complessi che richiedono talvolta metodi matematici più o meno sofisticati. Ma è altresì vero che ogni persona mediamente informata e usa a qualche buona lettura può, indipendentemente dal grado e soggetto dei propri studi, impadronirsi del nucleo delle analisi economiche, anzi dovrebbe essere invitata a farlo come cittadina consapevole. Di che si discute in politica, dopotutto? Di “cuore e denari”, come nella simpatica trasmissione mattutina di Radio 24, o più precisamente di economia e di diritti civili. Ora l’Europa ci lascia discutere solo dei secondi. Ragione di più per occuparci della prima. Economia e politica, dunque. (dall’introduzione al libro) 71 MARZO 2017 • SCIENZE E RICERCHE | MAGAZINE Astronomia cubica ANTONINO MARIA FERRO Antonino Maria Ferro Astronomia cubica Araacne editrice, 2017 I n futuro l’umanità arriverà a conoscere quei segreti che la porteranno al di la dei confini della Terra e addirittura arriverà oltre il sistema solare oltre la nostra galassia, quello che attualmente posso dire è, che le macchine che ci porteranno in questi luoghi dovranno possedere un sistema di localizzazione dei luoghi nell’universo mediante quadranti cubici quindi non l’attuale metodo perché da delle misure precise si ma non definisce bene la posizione del pianeta o del luogo cioè il punto tridimensionale e quindi il punto opposto da raggiungere. Le macchine del futuro hanno bisogno di coordinate per il funzionamento ma anche in che punto più preciso del quadrante cubico esso si trovi. Nel testo che ho scritto, “Astronomia cubica”, si spiega, in maniera matematica, come raggiungere un luogo presente in un certo punto dell’universo capendo in quale piccolo quadrante di un anno luce e anche meno, esso si trovi. Quindi conoscendo le coordinate del quadrante trovare la posizione in cui si deve andare all’interno di esso, utilizzando le misure calcolate da Terra oppure da un altro luogo dove si trova la macchina. Quindi questo tipo di mappa astronomica permette di definire la posizione di un astro mediante la conoscenza del quadrante cubico e dai valori x,y,z. Il valore è sempre positivo perché partono da un punto iniziale uguale a zero, cioè all’interno dell’orbita della Terra. Il cosmo quindi, viene diviso in otto enormi quadranti cubici, nominati attualmente con le lettere, (A,B,C,D,E,F,G,H.). I quadranti non hanno nomi ma si trovano in base alle coordinate x, y, z. Ogni quadrante cubico più piccolo ha la misura di un millesimo di anno luce, una dimensione comunque grande. Ogni quadrante cubico più grande, ha la misura di 10 miliardi di anni luce. La mappa cosmica che si andrebbe a creare con il seguente metodo servirebbe ad individuare la posizione dei vari ammassi galattici stellari e dei sistemi stellari. I° Foglio di mappa, 8 quadranti cubici principali, lato del singolo quadrante 10 miliardi di a.l. 72 MAGAZINE | SCIENZE E RICERCHE • MARZO 2017 Una stella in realtà costituisce un punto di riferimento nello spazio che può essere meglio identificato se calcolato nelle tre dimensioni dello spazio. Il tempo dei cambiamenti delle posizioni delle galassie nello spazio è relativamente lungo quindi prevedibile nel periodo di alcuni secoli. Il piano preso come punto di riferimento è quello utilizzato anche nell’astronomia sferica come nel nostro sistema solare che è quindi il piano di riferimento su cui giace l’orbita della Terra. La macchina risalirà alla destinazione in base alle coordinate del quadrante finale cioè quello più piccolo, poi si risalirà alla posizione esatta in base al movimento dell’astro. La conquista dello spazio è importantissima per l’uomo; è necessario fare delle ricerche molto accurate non solo dal punto di vista astronomico ma anche dal punto di vista astrofisico. Bisogna anche riconoscere che l’universo non è fermo, tutto si muove a velocità diverse e in direzioni diverse; conoscere, ad esempio il quadrante di un anno luce ci permetterebbe di capire che per circa un secolo quel luogo che vogliamo raggiungere rimarrà all’interno di quello spazio che la macchina riconoscerà se all’interno c’è il nostro luogo da raggiungere oppure se questo astro si è spostato nel quadrante cubico vicino. Le galassie ad esempio si muovono a una velocità tale che cambiano continuamente posto all’interno dei quadranti cubici. <<Se si osservano con un spettroscopio le galassie esterne alla nostra, si nota che le righe spettrali risultano spostate verso l’estremo rosso dello spettro. Lo spostamento è tanto maggiore quanto più l’oggetto è lontano: interpretando lo spostamento verso il rosso come derivante dall’effetto Doppler, si deduce che le galassie vanno tutte allontanandosi sia dalla nostra, sia l’una dall’altra, cioè l’universo sarebbe in espansione, (Il suo volume aumenta e la sua densità dovrebbe diminuire).>> Enciclopedia Europea Volume III cosmologia pag 816. Bisogna tener conto che una galassia occupa nello spazio più quadranti cubici di un anno luce, ma non può occupare un quadrante cubico più grande di un milione anni luce. Quindi si deve localizzare prima la galassia nel quadrante cubico, con il lato un milione anni luce e poi trovare il quadrante cubico più piccolo di un anno luce o anche meno dove probabilmente troviamo il sistema stellare quindi localizzare il pianeta da raggiungere. Per effettuare la ricerca dei punti che darebbero la posizione delle galassie nello spazio basta conoscere la presunta distanza e l’angolo di spostamento rispetto alla Terra. L’esplorazione ottica permetterebbe l’individuazione spaziale degli ammassi stellari soprattutto quelli più vicini alla via Lattea. I risultati ottenuti con questo sistema permetterebbe di studiare nel corso di un tempo lungo il movimento quindi il verso dello spostamento delle galassie non solo di tutti gli altri effetti, lo spostamento verso il rosso, la formazione dei buchi neri, i quasar la composizione chimica e degli elementi presenti in maggior numero in quel luogo. Questi passaggi saranno spiegati dettagliatamente nel testo. Può sembrare strano ma queste macchine del futuro ci permetteranno di raggiungere altri luoghi dell’universo (pianeti, stelle, galassie) in tempi brevi, cosa impossibile da attuare con i sistemi di trasporto attuale, in quanto: primo non possiamo viaggiare più veloce della luce, la materia si disintegrerebbe e qualsiasi nave spaziale si distruggerebbe; secondo anche potendo, ci vorrebbero anni per andare nel sistema solare più vicino. I tempi necessari per il trasporto dipende dalle distanze (Tempi molto brevi). Penso che il pianeta Terra sia un seme dell’universo, cioè contiene gli elementi che si possono trasportare in qualsiasi luogo dell’universo (vegetazione, animali, esseri umani) e non solo. Con le tecnologie, si potranno trasformare alcuni pianeti (dove si potrà) in pianeti simili alla Terra. Nell’universo è sicuro che vi sono altri pianeti simili alla Terra, ma ancora non possiamo sapere se posseggono vita animale, vegetale, umana. Uno dei fattori interessanti dal punto di vista relativistico è che nel momento del trasferimento le persone che si trovano nell’interspazio il tempo si ferma cioè guadagnano tempo ma soprattutto quando rientrano nello spazio normale il tempo è quello misurato nella normalità. Uno dei problemi maggiori per lo spostamento nello spazio saranno le quantità di energia necessarie perché ciò avvenga, risolvere quindi i problemi energetici e il tipo di energia da sfruttare è di fondamentale importanza. La colonizzazione è possibile con i mezzi attuali, solo all’interno del sistema solare anche se questo costerebbe tempi molto lunghi, e tecnologie molto avanzate, ma bisogna girare lo sguardo oltre questi confini ed è un problema a cui tutti sono chiamati a collaborare. Conoscere la posizione degli astri è di fondamentale importanza per gli spostamenti sia che questi avverranno solo tra pianeti, oppure tra luoghi nello spazio nelle vicinanze dei pianeti. Le tecnologie che verranno dovranno essere molto precise nell’indicare gli spostamenti inoltre nello spazio saranno necessarie macchine non a combustione, forse ad energia solare o altro. I procedimenti per realizzare questo tipo di macchine saranno sicuramente sperimentate in futuro tutte le teorie oggi conosciute, i tempi non si conoscono però prima si inizia meglio sarà. Ci troviamo in una parte dello spazio, per meglio dire della galassia (Via Lattea), abbastanza tranquilla. Bisogna comunque essere capaci e preparati a qualsiasi pericolo, le tecnologie ci sono è necessaria solo buona volontà da parte dei governi soprattutto delle nazioni tecnologicamente più avanzate. Nasce quindi l’interesse da parte di tutti gli stati della Terra alla difesa spaziale, da oggetti vaganti. Sito www.ferroantoninomaria.com 73 MARZO 2017 • SCIENZE E RICERCHE | MAGAZINE La plastica. Conoscerla per apprezzarla GIANCARLO LOCATI E ARTURO FIOCCA Giancarlo Locati, Arturo Fiocca La plastica. Conoscerla per apprezzarla Proplast - Unionplast, 2016 “Non avrebbe un libro sulle materie plastiche da suggerirmi? Ma che sia facile, che si capisca, senza tante formule chimiche, sa non ho tanto tempo, vorrei qualcosa per capire un po’ di questi materiali” Quante volte ci è stata posta questa domanda! Ma, dobbiamo confessare, non siamo stati in grado di esaudire la richiesta. I libri che conoscevamo erano spesso ad un livello troppo alto, zeppi di formule chimiche o matematiche, sostanzialmente improponibili. Oppure, abbiamo trovato, e indicato ai richiedenti, libricini che però giudicavamo troppo poveri, o comunque non in grado di dare un’idea del reale valore delle Materie Plastiche, materiali a prima vista semplici e banali, ma tremendamente utili nella vita quotidiana e ormai universalmente diffusi. Eppure, nonostante ciò, sostanzialmente ignorati nelle scuole superiori o all’Università. Come se, nel 2014, non esistesse altro che il ferro, i metalli, il legno, il vetro, cioè i materiali tradizionali. Non stupisce quindi che quando negli articoli di giornale compare, per caso, il nome di una plastica, venga spesso storpiato (si può capire, i termini chimici delle materie plastiche sono parole difficili,) o vengono usati i termini inglesi, come se l’equivalente italiano non esistesse. Eppure esiste una specifica Norma in merito: la UNI-ISO 1043 che definisce sia il simbolo che il relativo materiale. D’altro canto, anche a noi è capitato di correggere benevolmente qualche amico insegnante, di materie scientifiche intendiamo, che aveva buttato lì cose orecchiate sulle plastiche. La nostra, credeteci, non era supponenza o presunzione, ma solo la voglia di far conoscere meglio i “nostri” materiali, che ci hanno accompagnato a lungo, e con soddisfazione, nella nostra vita professionale. Ci siamo quindi proposti di proporre un testo agile, semplice ma non semplicistico, capace di dare un’idea di cosa sono questi materiali, del loro ruolo nella vita moderna, anche tramite abbondanti esemplificazioni di oggetti. Se ci siamo riusciti, lo giudicherete voi che vi apprestate a leggere quello che segue. Se no, ci scusiamo sin d’ora, ma fatevi vivi con noi, la nostra porta è sempre aperta a tutti per ogni possibile critica, suggerimento, o aiuto. Il testo è rivolto in prima istanza ai non-specialisti, ma che 74 vogliono avere un quadro abbastanza ampio e ragionato del settore delle materie plastiche. Sono state usate volutamente pochissime formule, non tanto per soddisfare alla famosa battuta “ogni formula dimezza il numero dei possibili lettori” (vale sia per le formule matematiche che per quelle chimiche), ma per rendere la lettura più agevole ad un pubblico generico, ma curioso di capire. In compenso, abbiamo fatto uno sforzo particolare per raccontare il significato dei test utilizzati specificamente per i materiali plastici, inventati appositamente per loro. Ad esempio vengono descritti alcuni tipici test, quali il Melt Flow Index, il Vicat, il test UL94. Sono test standardizzati, sostanzialmente semplici, ma indispensabili per entrare meglio nelle caratteristiche dei prodotti. Naturalmente, il capitolo può essere saltato senza problemi da chi già li conosce o non abbia la voglia di confrontarsi con la tematica specifica. Vengono poi descritti brevemente i principali materiali e le principali tecnologie di trasformazione, sia per i materiali plastici, che per i loro cugini, i termoindurenti. Non manca un capitolo dedicato al recupero delle materie plastiche che può avvenire con differenti processi (depolimerizzazione, recupero energetico ecc.). Si vorrebbe far capire che si tratta di materiali intrinsecamente riciclabili, che possono essere stampati e ristampati più volte, a patto di essere recuperati correttamente. La cattiva fama che hanno questi materiali è sicuramente immeritata, data la loro indiscutibile utilità, dovuta principalmente alle quantità spesso sovrabbondanti e la scarsa attenzione, diciamo così, nel disporne a fine utilizzo. Le leggi e i regolamenti non mancano. E così pure non mancano gli impianti di trattamento e rivalorizzazione. È però necessario che tutti si chiedano se, al loro livello, stanno facendo realmente tutto ciò che serve per una corretta gestione dei materiali. Un discorso a parte meriterebbe la diossina per la quale vengono colpevolizzate le materie plastiche, ma questa non è la sede per cui consigliamo la consultazione di testi specifici. Infine è stato dedicato un po’ più spazio per presentare sinteticamente gli attori italiani della filiera delle plastiche. Gli autori si scusano sin d’ora per eventuali omissioni o imprecisioni, data la difficoltà di seguire le frequenti e rapidissime variazioni in corso nel settore. (dall’introduzione al libro) MAGAZINE | SCIENZE E RICERCHE • MARZO 2017 Il diario segreto di Quo ovvero La fisica dei paperi - 3 FRANCO BAGNOLI MAGNETI E ELETTROMAGNETI Nelle nostre avventure non abbiamo avuto spesso a che fare con elettromagneti, ma con calamite sì, eccome… (Figura 1). Figura 1. Copertine con calamite [1]. 75 MARZO 2017 | SCIENZE E RICERCHE • MAGAZINE Anche noi paperini ci siamo dati da fare (grazie ad una mia idea… Figura 2) Figura 2. Paperone e la super calamita [2]. 76 MAGAZINE | SCIENZE E RICERCHE • MARZO 2017 In alcuni casi la calamita è servita a far deviare una bussola o un congegno equivalente, come quando Zio Paperino cercò di far fallire il nostro esame di orientamento delle Giovani Marmotte per farci pelare delle patate al suo posto… (Figura 3). E finì per amare tali tuberi… (Figura 4). Figura 3. Under the Polar Ice (Paperino sotto il Polo) [3]. Figura 4. Under the Polar Ice (Paperino sotto il Polo) [3]. 77 MARZO 2017 | SCIENZE E RICERCHE • MAGAZINE Figura 5. Paperino e l’aeronave elettromagnetica [4]. Qualche volta ci siamo imbattuti anche nell’elettromagnetismo, ma essenzialmente solo per quanto riguarda le elettrocalamite (a parte raggi magnetici più o meno misteriosi). Ricordo per esempio il caso dell’astronave elettromagnetica. Archimede aveva inventato un potentissimo accumulatore senza sapere bene cosa farne. Mentre lo Zio Paperone si stava lamentando perché, caricandolo, aveva fatto saltare le valvole all’intera città (cosa alquanto difficile nella realtà), l’inventore ha una illuminazione: usare la batteria per alimentare una potentissima elettrocalamita, e con quella sollevare una vasca da bagno di ferro, assemblando così un’aeronave elettromagnetica (Figura 5). Si tratta dell’effetto “Barone di Münchausen” (effetto bootstrap). Il barone, in sella al suo cavallo, sta per sprofondare nella palude ma si salva eroicamente. Ecco come la racconta: “Sarei miseramente affogato se l’enorme forza delle mie braccia non mi avesse consentito di afferrarmi per il codino e di tirare su non solo me stesso ma anche il cavallo, salvandoci entrambi da una misera fine” [5]. 78 Il Barone di Münchausen in una illustrazione di W. Simmler. MAGAZINE | SCIENZE E RICERCHE • MARZO 2017 Figura 6. Paperina dal mio diario: Aumento di stipendio [6]. Purtroppo, la fisica non consente tale esercizio. Considerando il sistema “barone” (composto da varie parti: braccio, testa, corpo ecc.), abbiamo che la trazione esercitata dal braccio sul codino risulta essere una forza interna (anche se magari molto intensa), ovvero esercitata tra due (o più) di queste parti. Ora, la terza legge di Newton dice che se un corpo esercita una forza su un altro, il secondo esercita la stessa forza, uguale e contraria, sul primo. Quindi, se sommiamo tutte le forze agenti sul Barone, otteniamo che quelle interne si cancellano, e restano solo quelle esterne, in questo caso la forzapeso e la reazione vincolare della sella che, compensando la prima, permette al nostro eroe di restare fermo (a patto che il cavallo non sprofondi), ma non certo di tirarsi su. A proposito di reazioni vincolari. Vi siete mai domandato come fanno i corpi rigidi a esercitare una reazione vincolare esattamente uguale (e opposta) alla forza esercitata? Se io metto una moneta su un tavolo, questa resta ferma, il che vuol dire che il totale delle forze agenti su questa è nullo. Dato che sicuramente la forza-peso agisce sulla moneta, il tavolo deve “reagire” con una forza esattamente uguale al peso della moneta stessa. Ovvero: quando Zia Paperina si mise in testa di allenare Zio Paperino in modo che fosse capace di chiedere allo zione un aumento di stipendio, cominciò a fargli sviluppare dei muscoli con il sollevamento pesi. Come faceva il pavimento a sapere che lo Zio stava sollevando pesi da 10, 20,…, 200 kg? (Figura 6). 79 MARZO 2017 | SCIENZE E RICERCHE • MAGAZINE Figura 7. The Treasure Of The Ten Avatars (Zio Paperone e il tesoro dei dieci Avatar) [7]. Il fatto è che i corpi rigidi non esistono, sono solo delle astrazioni. Tutti i corpi sono elastici. Il tavolo su cui si appoggia un peso si deforma infinitesimamente, reagendo con una forza elastica proporzionale alla deformazione, se non si rompe (Figura 7). Non appena la reazione elastica diventa uguale alla forza esercitata, la deformazione si arresta. Per metterlo in evidenza, conviene usare un raggio laser, di quelli che si usano per le presentazioni, uno specchio e un po’ di pongo. Mettete lo specchio di taglio su un tavolo usando il pongo per fermarlo, e dirigetevi il raggio laser in modo che rimbalzando vada a finire sulla parete di fondo. In questa maniera qualsiasi spostamento anche piccolo dello specchio (e quindi del tavolo) viene amplificato enormemente. Ovviamente il laser deve stare fermo, quindi va appoggiato su un ripiano. A questo punto, premendo sul tavolo, si potrà apprezzare il fatto che effettivamente questo si deforma un po’ (Figura 8). Figura 8. Esperimento per mettere in evidenza la deformazione elastica di un tavolo. 80 MAGAZINE | SCIENZE E RICERCHE • MARZO 2017 Archimede non è certo tipo di fermarsi solo perché viola una legge della fisica. Per esempio lo vediamo qui spostarsi soffiando sulla vela (Figura 9). E infatti anche l’aeronave elettromagnetica si alza senza problemi, solo che a certo punto comincia a essere trascinata verso nord. Ovviamente io capisco subito perché: “la calamita si comporta come l’ago della bussola e viene attratta verso il Polo Nord” (Figura 10). Figura 9. Oodles of the Oomph (Archimede Pitagorico motonauta) [8]. Figura 10. Paperino e l’aeronave elettromagnetica [4]. 81 MARZO 2017 | SCIENZE E RICERCHE • MAGAZINE Figura 11. Equivalenza tra spira percorsa da corrente e calamita. Ma è vero che l’ago della bussola viene attratto verso nord? Il magnetismo è una forza abbastanza misteriosa, tanto che molti dei progetti di moto perpetuo che si trovano su Internet usano appunto componenti magnetici. A parte le forze esercitate con i muscoli, noi siamo abbastanza in confidenza con la forza di gravità e magari con quelle elettrostatiche. In questi casi abbiamo delle “cariche” che si attraggono o si respingono (nel caso gravitazionale le cariche sono le masse e si attraggono sempre, nel caso elettrostatico le cariche di segno opposto si attraggono e quelle di segno uguale si respingono). Quando si cominciarono a studiare gli effetti del magnetismo, si pensò di usare lo stesso schema, ipotizzando cariche magnetiche “nord” e “sud”. Ma mentre è facile separare le cariche elettriche (basta strofinare un pezzo di plastica con della lana), non si possono separare le cariche magnetiche: se si spezza una calamita si ottengono due calamite entrambe dotate di polo nord e sud. In effetti, l’origine del campo magnetico è di natura quantistica, ma si può utilizzare il modello di Weiss, supponendo che nei materiali magnetici girino delle correnti microscopiche così che calamite ed elettrocalamite siano in fondo molto simili (Figura 11). E ovviamente se il campo magnetico è generato da una corrente, non si può pensare di separare le cariche. Quindi il nostro ago magnetico è analogo a un solenoide percorso da corrente. Immerso in un campo magnetico uniforme il solenoide non fa altro che ruotare, orientandosi come il campo, ma non subisce nessuna forza totale. Anche se volessimo pensare alle cariche magnetiche, tanto la carica nord è attratta dal Polo Sud quanto la carica sud è attratta dal Polo Nord. Si noti che, assimilando la Terra a una calamita, abbiamo che il Polo Nord magnetico corrisponde al Polo Sud 82 geografico, e viceversa. Ma un momento: le calamite attirano i pezzi di ferro! E anche le altre calamite (oltre a farle girare)! Come fanno? Qua ci vuole un po’ di tempo per illustrare per bene il fenomeno. Già che ci siamo parlerò anche dei fenomeni elettrici, che forse sono più facili da capire. Per prima cosa guardiamo l’effetto del campo elettrico sulla materia, che è composta da atomi, che possono essere liberi (nei gas nobili) o costituenti delle molecole o dei cristalli, o comunque legati tra loro nei materiali amorfi. Ogni atomo è composto da una nuvola di elettroni (negativi) che circonda un nucleo positivo. Sottoposti a un campo elettrico, gli elettroni vengono spinti nel senso opposto al campo elettrico (dato che sono negativi) mentre il nucleo viene attratto verso il campo elettrico. In totale si forma un dipolo indotto diretto come il campo esterno. Può anche succedere che una molecola abbia un momento di dipolo permanente, ovvero che il centro delle cariche negative (elettroni) non coincida con quello delle cariche positive, come per esempio accade con l’acqua. In questo caso, oltre all’effetto di cui sopra, il campo elettrico ha l’effetto di orientare le molecole. Orientamento parziale, perché contrastato dall’agitazione termica. Questo effetto viene sfruttato negli schermi a cristalli liquidi, in cui grosse molecole vengono orientate da un campo elettrico, cambiando la polarizzazione della luce che vi passa attraverso. Inserendo un filtro polarizzante si può quindi interrompere o meno il passaggio della luce. In totale, nel materiale (dielettrico) si formano una serie di dipolini, orientati come il campo elettrico. All’interno del materiale questi dipolini si annullano, ma sulla superficie si forma una carica superficiale, che a sua volta genera un cam- MAGAZINE | SCIENZE E RICERCHE • MARZO 2017 Figura 12. Polarizzazione di un materiale [9]. Si noti che le cariche dei dipolini indotti si annullano all’interno del materiale (per un campo omogeneo) ma non alla frontiera (densità di carica superficiale indotta). po elettrico all’interno del materiale in senso opposto al campo originale (Figura 12). Quindi i dielettrici hanno l’effetto di ridurre il campo all’interno del materiale stesso. Per separare i due effetti, si usa dire che il campo totale E è composto da un campo D, generato dalle cariche “vere”, e da un campo di polarizzazione (generato dalle cariche indotte) P E = (D-P)/ε0, dove la constante ε0 (costante dielettrica del vuoto) è lì per motivi storici o per complicare la vita, secondo me. Notare che il campo effettivo E è minore di quello “vero” D perché la polarizzazione P in parte lo neutralizza. Nei materiali isotropi, la polarizzazione è proporzionale al campo E, P=ε0χeE, e la costante χe si chiama suscettività elettrica. Inserendo questa relazione nell’equazione precedente, si trova che in tali materiali il campo totale E ed il campo delle cariche “vere” D sono proporzionali D = (χe+1)ε0E = εrε0E = εE, dove εr viene detta costante dielettrica relativa. Con il campo magnetico le cose sono abbastanza simili. Anche qui, se il materiale è composto da piccoli dipolini mobili, questi si possono orientare lungo il campo, come fa della limatura di ferro vicino alla calamita o appunto una bussola. Anche in questo caso l’allineamento è contrastato dall’agitazione termica. Questo effetto si chiama paramagnetismo. Il paramagnetismo è un effetto debole, perché i dipolini non “vogliono” stare tutti allineati (la configurazione di minore energia è con i dipolini disposti alternativamente nelle due direzioni, come anche nei materiali elettrici). Viceversa, i materiali ferromagnetici mostrano un effetto simile al paramagnetismo, ma in questo caso molti atomi si allineano spontaneamente insieme (per motivi quantistici) e quindi l’effetto è molto più forte. Però ci sono anche atomi e molecole che non presentano momenti elettrici e magnetici permanenti. In questo caso gli effetti dei campi elettrici e magnetici sono opposti. Per illustrare cosa succede nel caso magnetico possiamo pensare alle “spire equivalenti” formate dalla “rotazione” degli elettroni intorno al nucleo. Se immergiamo una spira in un campo magnetico, osserviamo l’apparizione di una cor- rente che forma un campo magnetico che si oppone al campo esterno (legge di Lenz). Quindi nel caso magnetico si forma un dipolo diretto in verso opposto al campo magnetico. Questo fenomeno si chiama diamagnetismo (in realtà la spiegazione “classica” data prima non funziona, e anche qui ci vuole la fisica quantistica per spiegare il fenomeno). Il diamagnetismo è presente anche nei materiali che presentano momento permanente (per esempio paramagnetici), ma è un effetto ancora più debole di questo e quindi di solito passa inosservato. Per quanto riguarda la trattazione matematica, questa è simile a quella del campo elettrico. Il campo magnetico si indica con la lettera H, equivalente al campo elettrico E. Questo induce una magnetizzazione M nel materiale (analoga a P), che a sua volta cambia il campo H. Si introduce quindi un campo B, equivalente a D, originato dalle “cariche vere”, che ovviamente non esistono, ma dato che il campo magnetico viene generato anche dalle correnti, si calcola il campo B partendo da queste. La magnetizzazione è proporzionale a H, M = χmH, e abbiamo B = μ0 (H + M), dove μ0 è detta permeabilità magnetica del vuoto. Come potete notare, le costanti sono messe in maniera diversa tra campo elettrico e magnetico, in modo da complicare la vita agli studenti di fisica. Inserendo la suscettività magnetica χm, abbiamo B = μ0 (χm+1)H = μrμ0H =μH. Diversamente dal caso elettrico, la suscettività magnetica χm può essere positiva o negativa. La magnetizzazione M, come la polarizzazione P, fa comparire delle “cariche superficiali” alla superficie del materiale, e questi non sono altro che i poli magnetici. Adesso si capisce perché quando si spezza una calamita i due pezzi risultanti hanno di nuovo poli nord e sud: perché abbiamo semplicemente inserito una nuova superficie nel mezzo del materiale. Non abbiamo ancora detto però perché le calamite attraggono il ferro (e i materiali paramagnetici) e perché le penne di plastica cariche elettricamente attraggono i pezzetti di carta. Per avere questo effetto abbiamo bisogno di un campo di83 MARZO 2017 | SCIENZE E RICERCHE • MAGAZINE Figura 13. Zio paperone e l’oro calamitoso [10]. somogeneo, ovvero che per esempio diminuisca via via che ci allontaniamo da un punto. Il campo elettrico o magnetico orienta i dipolini (nel caso elettrico li induce nella direzione del campo) ma ora la forza esercitata sulla carica più vicina non è uguale alla repulsione esercitata su quella più lontana, e quindi il corpo sente una forza totale che lo spinge a muoversi. E i materiali diamagnetici? Beh, visto che in questo caso i dipolini sono indotti in verso opposto al campo, la forza risultante (molto debole) sarà repulsiva! Effettivamente, è quello che è successo anche a noi nell’avventura “Zio Paperone e l’oro calamitoso” [10] (Figura 13). Figura 14. Zio paperone e l’oro calamitoso [10]. 84 Zio Paperone ha scoperto che sulla vetta di una montagna sottomarina giace un cofano, e vuole che Zio Paperino si immerga con un batiscafo per osservarlo, e capire se il cofano è di ferro o borchiato di ferro in moto da poterlo recuperare usando una calamita. Devo dire che spesso non capisco lo zione: più di metà dell’avventura è spesa nel cercare di “convincere” (costringere) lo Zio Paperino a scendere con il batiscafo, quando sarebbe bastata una telecamera o ancora più semplicemente provare con la calamita: se il cofano veniva su, bene, altrimenti voleva dire che non era di ferro. Comunque il tentativo sembra funzionare nonostante io (che qui indosso il cappello di mio fratello Qua, non quello blu mio solito) avessi dei dubbi (Figura 14). MAGAZINE | SCIENZE E RICERCHE • MARZO 2017 Facevo bene a dubitare, infatti appena tirato fuori dall’acqua il cofano si sfascia. Ma la spiegazione che diedi in quel momento (Figura 14) non mi convince più. Oddio, la repulsione diamagnetica avviene davvero. Si può fare un esperimento semplice anche a casa. Ci vuole una calamita potente, tipo di quelle al neodimio, che si può recuperare aprendo un vecchio hard disk (dentro ce ne sono due). Si sospende poi un pezzo di plexiglass o una provetta contenente acqua (o anche oro, se lo abbiamo) oppure la mina di una matita, a un filo, in modo che possa ruotare liberamente. Avvicinando poi la calamita, si vedrà che la plastica o la provetta si allontana. Un esperimento ancora più spettacolare si può fare usando una mina di quelle sottili, 0,5 mm e delle calamite al neodimio [11]. Il carbonio è molto diamagnetico, per cui creando un campo magnetico forte si riesce a far levitare la mina. Però nel caso del cofano, ci sono delle altre forze in gioco, e non è detto che quella diamagnetica sia la più grande. Cominciamo a stimare le dimensioni del baule. Dalla figura, tenendo conto che Zio Paperone è alto poco più di un metro, si può pensare che abbia le dimensioni di 50×35×25 cm3. La densità delle monete, come sappiamo, è circa il 50%, ovvero 22000 cm3 di oro, il che dà una massa di 430 kg, più o meno plausibile per un baule che deve essere spostato a mano (da più persone). Possiamo pensare che ogni fascia di ferro abbia le dimensioni di 120×5×0,5 cm3, ovvero 600 cm3 per le due fasce (massa circa 4,5 kg). Abbiamo visto che un campo magnetico H induce una densità di magnetizzazione M proporzionale al campo stesso, ovvero M = χmH, , dove χm è la suscettività magnetica. L’energia U relativa a una massa m è data dal prodotto tra la magnetizzazione totale mM e il campo, con un segno meno perché l’energia è minore quando la magnetizzazione e il campo sono diretti nello stesso senso, 10.000 volte maggiore di quella dell’oro, in valore assoluto), anche se la massa dell’oro è circa 100 volte quella del ferro possiamo trascurare la repulsione diamagnetica rispetto all’attrazione ferromagnetica (viene più o meno 1/100 di quest’ultima) e quindi abbiamo che l’attrazione ferromagnetica è uguale alla forza-peso. Ma questo vuol dire anche che la pressione sulle pareti del cofano dovuta alla repulsione dielettrica è meno di 1/100 di quella dovuta al peso (facendo i conti il loro rapporto è 0,0034). Potrebbe forse essere la goccia che fa traboccare il vaso? Dobbiamo considerare l’effetto dell’acqua. Da una parte l’acqua scherma l’interazione magnetica, χH2O = -9,1 · 10-9 m3/kg, dall’altra diminuisce la forza-peso a causa della spinta di Archimede (non Pitagorico!!). La forza di Archimede riduce il peso del baule in acqua di un fattore che dipende dal rapporto tra densità dell’acqua e quella dell’oro, ovvero di 1/20 (supponendo il baule permeabile). Quindi sicuramente il venir meno della spinta di Archimede sottopone il baule a uno sforzo maggiore della repulsione diamagnetica dell’oro. Se il baule fosse impermeabile (come sembro suggerire quando dico “il venir meno della pressione esterna dell’acqua”) allora la causa prima dell’esplosione sarebbe sicuramente dovuto all’espansione dell’aria all’interno, se ce n’è, visto che il baule era ad una profondità di 500 m (50 atmosfere), altrimenti sempre alla spinta di Archimede, aumentata dal peso dell’acqua all’interno. Ma torniamo all’aeronave elettromagnetica. Può essa venir attratta dal Polo Nord? Il campo magnetico terrestre (Figura 15) è più o meno quello di un dipolo, ovvero di una grossa calamita. Le linee di forza ovviamente si allargano dal Polo U = - mMH = -mχmH2, La forza risultante F è data dalla variazione dell’energia nello spazio (altezza z), ovvero F = -dU/dz = m χm dH2/dz, Questa formula vale sia per il ferromagnetismo, usando la suscettività magnetica del ferro χFe = 5 · 10-5 m3/kg, che per il diamagnetismo dell’oro, solo che in questo caso la suscettività è negativa e molto piccola χAu = -1,8 · 10-9 m3/kg. La cosa difficile da calcolare è il comportamento del campo magnetico con l’altezza , ma per fortuna vedremo che non ne abbiamo bisogno. Per sorreggere il tutto, la forza magnetica totale deve almeno sorreggere il peso del cofano (essenzialmente quello dell’oro), per cui (χFe mFe +χAu mAu) dH2/dz = g mAu dove ho indicato con mFe la massa del ferro e con mAu quella dell’oro. Data la differenza tra le suscettività (quella del ferro è Figura 15. Campo magnetico terrestre. 85 MARZO 2017 | SCIENZE E RICERCHE • MAGAZINE Figura 16. Paperino e l’aeronave elettromagnetica [4]. Figura 17. Paperino e l’aeronave elettromagnetica [4]. 86 Sud verso l’equatore per poi riunirsi al Polo Nord. E ovviamente si allargano allontanandosi dalla Terra. Quindi effettivamente, nell’emisfero boreale, una calamita sente una piccolissima forza verso il nord (viceversa nell’emisfero australe), ma per la stessa ragione ne sente anche una probabilmente più forte verso il centro della Terra. Di certo non succederà che l’aeronave si sollevi per effetto della forza magnetica. Dopo essersi misteriosamente librata in aria, e aver cominciato a fluttuare verso Nord, il bastone dalla punta di ferro dello Zio Paperone viene attratto dalla calamitona e stordisce Zio Paperino. L’aeronave arriva inevitabilmente sopra il deposito dello zione (Figura 16)… Che viene strappato via da terra dal campo magnetico (Figura 17). Purtroppo, anche questo effetto viola una legge della fisica, di nuovo il principio di azione e reazione. Se la calamita attrae il deposito con una forza notevole, anche il deposito attrae la calamita con la stessa forza, e data la sproporzione delle masse dovrebbe essere piuttosto l’aeronave ad andare verso il deposito. Ma se l’aeronave è mantenuta in volo da qualche altra forza che viene opportunamente incrementata, allora il tutto può funzionare. MAGAZINE | SCIENZE E RICERCHE • MARZO 2017 Figura 18. Paperino e l’aeronave elettromagnetica [4]. Figura 19. Paperino e l’aeronave elettromagnetica [4] In effetti, mentre Zio Paperone e Zio Paperino stanno lottando per decidere se diminuire la corrente per liberarsi di due proiettili in orbita attorno a loro (Figura 18)… Paperone per sbaglio leva la corrente (mollando così anche il deposito), ma l’aeronave non sembra poi risentirne molto! (Figura 19). CITAZIONI [1] AA.VV., «Copertine con calamite,» [Online]. Available: https://coa.inducks.org/simp.php?d2=magnet. [2] R. Catalano (storia) e L. Gatto (disegno), «Paperone e la super calamita, I TL 304-B,» 1961. [Online]. Available: https://coa.inducks.org/story.php?c=I+TL++304-B. [3] C. Barks, «Under the Polar Ice (Paperino sotto il Polo), W WDC 232-01,» 1960. [Online]. Available: https://coa.inducks.org/story.php?c=W+WDC+232-01. [4] R. Cimino (storia) e P. De Vita (disegno), «Paperino e l’aeronave elettromagnetica, I AT 67-A,» 1962. [Online]. Available: https://coa.inducks.org/story.php?c=I+AT+++67A. [5] Anonimo, «Le avventure del Barone di Münchhau87 MARZO 2017 | SCIENZE E RICERCHE • MAGAZINE sen,» 1871. [Online]. Available: https://it.wikipedia.org/ wiki/Barone_di_Münchhausen. [6] C. Chendi (storia), R. Scarpa (matite) e G. Cavazzano (inchiostri), «Paperina dal mio diario: Aumento di stipendio, I TL 699-B,» 1969. [Online]. Available: https://coa.inducks. org/story.php?c=I+TL++699-B. [7] K. D. Rosa, «The Treasure Of The Ten Avatars (Zio Paperone e il tesoro dei dieci Avatar), D 95153,» 1996. [Online]. Available: https://coa.inducks.org/story.php?c=D+95153. [8] C. Barks, «Oodles of the Oomph (Archimede Pitagorico motonauta), W US 29-02,» 1960. [Online]. Available: https://coa.inducks.org/story.php?c=W+US+++29-02. [9] H. Föll, «Dielectrics,» [Online]. Available: http:// www.tf.uni-kiel.de/matwis/amat/elmat_en/kap_3/backbone/ r3_1_1.html. [10] G. Martina (testo) e L. Gatto (disegni), «Zio paperone e l’oro calamitoso, (I TL 865-A).,» 1972. [Online]. Available: https://coa.inducks.org/story.php?c=I+TL++865-A. [11] V. Koudelkova, «How to simply demonstrate diamagnetic levitation with pencil lead,» 2015. [Online]. Available: http://iopscience.iop.org/article/10.1088/0031-9120/51/1/014001. 88