LA VOCE
DEL POPOLO
il pentagramma
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De carminibus sanremensibus
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56 • Mercoledì, 29 febb
di Patrizia Venucci Merdžo
Gentilissimi,
lo schiamazzo carnascialesco si è ormai quietato, e
anche gli enormi campanacci dei primordiali “zvončari”,
riposti insieme al corredo di pellicce e maschere bestiali,
sono ammutoliti. Tuttavia, prima di chiudere definitivamente questo capitolo non posso non ricordare “en passant”, il leggendario carnevale fiumano del 1911 - di tipo
artistico-culturale - del quale Egidio Milinovich racconta
nel suo saggio “I nostri nonni in maschera“, descrivendone la meraviglia. Il titolo del veglione mascherato che
strabiliò tutti era “Il regno della musica“. Era organizzato dalla Società degli amici dell’ Infanzia al Comunale. Citando la stampa dell’epoca, il nostro poeta riporta
della “festa indescrivibile, il ‘non plus ultra’ dell’eleganza in sala. Alle nove il teatro (Fenice) era zeppo. Quando
si alzò il sipario, si udì un ‘oh’ di meraviglia. Da un lato
Bach, seduto all’organo, e Beethoven sul cui capo una
musa deponeva una corona d’alloro; Haydn, circondato
di fanciulli graziosissimi; più sotto il sacerdote Sarastro
dal ‘Flauto magico’ accanto alla regina della notte, tutta avvolta nei veli fluttuanti trapunti di stelle. Mozart e
Schubert, Chopin, Liszt. Wagner, Verdi, e insomma tutti
i celebri compositori del firmamento musicale facevano
parte dell’impareggiabile, geniale allegoria“. Capito che
tempi tiravano? A che cosa si tendeva, a che si anelava?
E tutto ciò perché non c’era la televisione! Oggi come
oggi chi mai distinguerebbe Wagner da Brahms o da Liszt? Tuttalpiù Brad Pitt da George Clooney (chissà che
la nostra CI, un giorno o l’altro, non decida di partecipare al carnevale cittadino, magari con una bella allegoria
del Rinascimento italiano con tanto di Dante, Petrarca e
Boccaccio, o similia).
E poi noi abbiamo Sanremo. Ah, Sanremo! Riflesso
perfetto di una società in crisi! Obitorio della fu canzone italiana! Crogiuolo “inverigolado” di rimuginazioni
(pseudo) filosofiche, psicanalitiche, nevrotiche, sociologiche ecc. Finito Sanremo hai bisogno dello psicanalista.
Per rielaborare i traumi.
Albano Magno ha fatto notare che trent’anni fa erano i compositori a scrivere le canzoni per i cantanti. Oggi,
no. Oggi sono tutti “cantautori“. “Artisti“, come pomposamente Morandi li appellava. E si sente. Canzoni senza
melodia, amorfe, campate per aria, mormorate-biascicateurlate, con gli accenti sbagliati, con gli accordi che pendono solitari e vuoti, come buttati a casaccio...Mah, forse,
‘ste “canzoni” saranno frutti del “caso“; della “teoria della relatività”, o forse della legge di “gravità”. Sono infatti
così relative e nebulose che non me ne ricordo neanche
una, nemmeno un pezzetto. Credo che neanche Mozart ci
riuscirebbe. Non che quella di Emma non faccia riflettere,
e amaramente, o che, parzialmente, non si salvino le canzoni di Nina Zilli o di Finardi, però sono le eccezioni (non
eccezionali) che confermano la regola rispetto al “trend”
dominante.
Vabbè. Parliamo di cose serie.
Dei salmi penitenziali, per esempio (salmi 6, 32, 38,
51, 102, 130, e 143, oppure 6, 31, 37, 50, 101, 129 e 142
nella numerazione greca). Magnifici. Sembrano fatti apposta per il nostro tempo. Specialmente il “De (s)profundis” (che si recita nella liturgia dei defunti.) Ma anche
il “Miserere” (50-51, salmo penitenziale per eccellenza),
mi sembra abbastanza adatto a noi. Ora, battute a parte,
questi potenti versi salmodici (per certi aspetti terrificanti) scritti tre millenni or sono, principalmente da re David,
hanno ispirato il fior fiore dei compositori della musica
colta europea; nonché Dante e Petrarca. E ancora oggi
fanno vibrare certe corde. Forse perché nell’uomo, nonostante tutto, c’è un bisogno di riscatto, di redenzione, di
catarsi; una necessità di non rimanere costantemente nella “melma”.
A proposito di salmi, è noto un aneddotto legato al
“Miserere” di Gregorio Allegri, per coro a nove voci a
cappella, composto probabilmente intorno al 1630, durante il pontificato di Urbano VIII, che si eseguiva a luci
spente nella Cappella Sistina durante il mattutino come
parte del servizio delle tenebre della Settimana Santa. È
l’ultimo dei dodici miserere composti e cantati in Sistina
dal 1514 ed è anche il più famoso. Il brano era considerato così sacro che il papa, per preservarne l’unicità, proibì
che fosse trascritto e che le eventuali copie uscissero dalla
Cappella Sistina, tanto che l’esecuzione altrove era punita
con la scomunica. Senonché il quattordicenne Mozart in
visita a Roma, ascoltò il detto “Miserere” l’ 11 aprile 1770
durante il servizio del Mercoledì Santo. Lo stesso giorno, lo trascrisse interamente a memoria. Il padre di Wolfgang, in una lettera alla moglie comunicò che: “ A Roma
si sente spesso parlare del famoso ‘Miserere’, tenuto in
tanta considerazione che ai musicisti della cappella è stato proibito, sotto minaccia di scomunica, di portarne fuori
anche una sola parte, copiarlo o darlo a chicchessia. Noi
però l’abbiamo già, Wolfgang l’ha trascritto a memoria,
e, se non fosse necessaria la nostra presenza al momento
dell’esecuzione, noi l’avremmo già inviato a Salisburgo...“
(Deh, gli infidi! Un palese caso di “spionaggio artistico“!
Nda) Quando la consorte rispose preoccupata, Leopold
precisò nella lettera successiva: “ Non c’è la minima ragione di essere in ansia... Tutta Roma e persino il Papa
stesso sa che l’ha trascritto. Non c’è assolutamente niente
da temere, al contrario, l’impresa gli ha fruttato un grande credito.” Dopo la trascrizione di Mozart, la minaccia
della scomunica venne tolta.
Evidentemente il papa vide nel genio di Wolfy un
dono dall’Alto di fronte al quale rivedere i “santi” provvedimenti.
Penitenzialmente Vostra
2 musica
Mercoledì, 29 febbraio 2012
L’INTERVISTA Massimo Brajković, l’affermato e versatile compositore connazional
Tematiche differenti richiedono li
di Helena Labus Bačić
POLA – Massimo Brajković è
uno dei compositori più prolifici e
versatili nel panorama della musica colta in Croazia, sempre alla ricerca di nuovi modi di espressione. Nel corso della sua carriera,
Brajković ha esplorato numerose
forme musicali, cimentandosi pure
in diversi stili e spaziando, così,
dall’impressionismo alla musica
elettronica, dalla musica atonale
fino a un linguaggio più “classico”,
ovvero uno stile più tradizionale.
Massimo Brajković nasce a Rovigno nel 1955. Completa gli studi di composizione all’Accademia
di Musica di Lubiana nella classe
di Dane Škerl nel 1977, mentre nel
1978 si laurea in pianoforte nella
classe di Marjan Lipovšek.
Dal 1979 lavora come insegnante e preside presso la Scuola di Musica di Rovigno, dal 1982
tiene il corso di Forme musicali
e stili al Dipartimento di musica
dell’Università “Juraj Dobrila” di
Pola, di cui è professore ordinario
dal 2004. Dal 2002 fino al 2007 ha
ricoperto la carica di vicepreside.
Ha vinto vari premi e riconoscimenti: nel 1979 il premio Prešern
come miglior studente dell’Accademia di Musica di Lubiana per la
Sonata per fagotto e pianoforte, il
Premio Istria Nobilissima nel 1992
per l’Ouverture concertante, nel
1994
(Mutationesextremaenoctis), nel 2001 (Mongolest, il concerto per flauto, fagotto e orchestra d’archi) e nel 2006 (Recitativo concertante per fagotto e fisarmonica). Nel 1998 viene insignito
della Medaglia della città di Rovigno per la promozione della cultura musicale.
Affermazioni
importanti
Le opere di Massimo Brajković,
eseguite alla Tribuna musicale internazionale ad Abbazia, all’Estate di Pola, al Festival estivo di Rovigno, alla Rassegna Smaregliana, alle Serate musicali di Osor,
alle Giornate di Zajc a Fiume, agli
Incontri internazionali di musica da camera nel castello Gresoney a Milano e anche in concerti
a Mosca, Vienna, Bruxelles, Ca-
gliari, Venezia, Torino, Lubiana,
Zagabria, Osijek, Portorose, Rovigno, Parenzo, Abbazia e Fiume,
sono state interpretate da orchestre
come la Filarmonica di Zagabria,
l’Orchestra da camera croata, l’Orchestra sinfonica del Teatro Nazionale Istriano di Pola e altre. Finora ha inciso quattro Cd con la propria musica. Una carriera di tutto
rispetto che ci ha dato non pochi
spunti per conoscere da vicino il
rinomato compositore istriano.
- Quando ha iniziato a comporre e come ha scoperto questo
suo talento?
Nella composizione il 90 per
cento è rappresentato dal talento –
un dono comune a tante persone -,
mentre il rimanente 10 p.c. è lavoro, ovvero la volontà di sviluppare
il talento, il che è una qualità molto
più rara. Quando una persona trova sé stessa, ossia scopre il proprio
talento, ha raggiunto un traguardo
molto importante. Si tratta di un
vero e proprio capitale, il più grande di questo mondo. Ho scoperto
questo capitale già alle medie superiori. La musica mi “perseguitava”, per così dire, e già a quell’età
iniziai a comporre. Al termine della scuola media superiore, dove
avevo studiato pianoforte, fisarmonica e teoria musicale, intrapresi lo
studio di composizione e di pianoforte all’Accademia di musica di
Lubiana.
che fare con la musica. Provengo,
infatti, da una famiglia di agricoltori, di persone strettamente legate
alla terra, il che mi riempie di orgoglio. Anch’io sono molto legato
alla terra e alla natura, che mi rilassano e mi ricaricano. Proprio di recente ho completato un poema sinfonico, un lavoro molto impegna-
Un compositore dovrebbe essere
capace di servirsi di ogni genere
e stile musicale e quindi spaziare
dalla musica atonale a quella
ambientale, dal folklore alla musica
cinematografica
- Deve essere stato molto impegnativo seguire tre indirizzi
alla Scuola media di musica…
Era fisicamente impegnativo,
ma non lo percepivo come uno
sforzo perché amavo ciò che facevo. I miei genitori mi hanno appoggiato e incoraggiato nello studio della musica fin dall’inizio, anche se loro non avevano niente a
tivo, e per rilassarmi sono andato
a cogliere olive. Anche Giuseppe
Verdi si rilassava a suo tempo lavorando nei campi.
- Torniamo all’inizio della sua
carriera di compositore. Già da
studente è stato insignito del premio Prešern...
Sono molto grato al professore Dane Škerl, che è un rinomato
compositore sloveno, per avermi
indirizzato molto presto durante
gli studi. Già al terzo anno alcune
mie composizioni erano state eseguite per la prima volta nella Fortezza di Petrovaradin, nella quale
si trova l’Accademia di Musica di
Novi Sad. Il mio opus musicale ha
inizio proprio in quegli anni. Tra le
composizioni che sono state eseguite in quell’occasione c’è stata la
Sonata per fagotto e pianoforte per
la quale avevo vinto proprio il premio Prešern. Subito dopo la laurea
sono andato a prestare servizio militare a Sarajevo ed è proprio lì che
mi è stato consegnato il premio.
Dall’ impressionismo
all’atonalità
Se fossi Bach, non spazierei di
certo da uno stile all’altro e da un
genere all’altro. Come sappiamo,
all’epoca di Bach era consueto attenersi a uno stile, quello barocco,
ed esplorarlo al massimo. Direi che
Bach ha già composto tutto nella
musica, mentre gli altri compositori hanno soltanto cercato di trovare
un proprio linguaggio. Oggigiorno
le cose stanno diversamente rispetto ai tempi di Bach, e nel campo
della musica colta vige la democrazia. Nel mio lavoro sono libero di usare come mezzi espressivi
tutte le forme e stili musicali. Nel
caso volessi comporre un brano
neobarocco non andrei, ovviamente, a citare Bach, però potrei benissimo scrivere una fuga atonale,
oppure una composizione ispirata
all’impressionismo, come lo è il
mio brano “Što sanja otok” (Cosa
sogna l’isola). Negli anni dell’Accademia di Musica sono venuto
per la prima volta a contatto con
la musica atonale, il che è stato un
enorme cambiamento per me.
Confesso che al primo anno di
studi non ho dormito praticamente per due mesi. Rimuginavo ininterrottamente sulla frase che il mio
professore mi aveva detto durante la prima lezione all’Accademia:
“Massimo, ora devi dimenticare
tutto quello che sai”. Non l’ho mai
scordata. L’obiettivo era chiaro:
dovevo “ripulire” la mente da tutte
le conoscenze precedenti in modo
da attivare la mia creatività e svilupparmi senza essere condizionato da preconcetti.
Al termine degli studi mi sono
lasciato andare e nella mia musica è “entrata” l’Istria. In quel periodo è nato il balletto “Mosaico
istriano”. Ultimamente ho invece
iniziato a comporre musica vocale. Infatti, da giovane ero particolarmente insofferente verso la musica scritta per la voce per il semplice motivo che non possiedo alcun talento vocale. La mia logica
era semplice: non chiedo agli altri
di fare quello di cui io non sono capace.
- Qual è stata la sua prima
composizione?
Da adolescente ero innamorato dell’impressionismo, che è
uno stile che all’epoca mi calzava a pennello. Come tutti sappiamo, l’adolescenza è un periodo in
cui si sogna, in cui abbiamo la testa fra le nuvole... Ero affascinato
dalla musica di Claude Debussy
che ha, ovviamente, influenzato i
miei primi lavori. Dovette passare
parecchio tempo prima che mi liberassi dell’influenza dell’impressionismo e cominciassi a comporre con la testa libera da ogni influsso esterno. C’è una cosa che devo
dire: i compositori sono, in effetti,
degli attori.
La maggior parte di loro adotta
un determinato stile oppure si lega
a un certo strumento, ma dovrebbe
invece essere capace di servirsi di
ogni sorta di genere e stile musicale e quindi spaziare dalla musica atonale a quella ambientale, dal
folklore alla musica cinematografica. Come un attore deve essere
capace di recitare ogni tipo di ruolo, così anche un compositore deve
sapersi servire di ogni espediente
musicale e adeguarlo alla situazione. Infatti, diversi temi e spunti richiedono diversi approcci. A volte un tema richiederà una struttura
armonica più “tradizionale”, menCinque CD
tre in altri casi mi lascerò andare
ad armonie atonali.
significativi
- Può riassumere lo sviluppo
In questo contesto vorrei rilevadella sua attività di compositore
e la sua musica? Ha iniziato con re che sto preparando il mio quinto
l’impressionismo. Come è conti- CD, che sarà basato in prevalenza
sulla musica vocale. Uno dei branuato questo suo percorso?
musica 3
Mercoledì, 29 febbraio 2012
le, racconta il suo personale percorso creativo e le sue riflessioni sulla musica
inguaggi stilistici variegati
ni inclusi nel disco è un vocalizzo interpretato dalla primadonna
del Teatro Nazionale Croato, Marija Kuhar Šoša. Il Cd sarà intitolato “Massimo da solo”. Ciascuno dei miei CD contiene una selezione particolare di composizioni.
Il primo è incentrato sulla musica elettronica, ovvero sul balletto
“Mosaico istriano”, la cui prima
rappresentazione si è tenuta al Teatro Nazionale Istriano. Il secondo contiene il balletto (o meglio
dire, il “teatro danzante”) intitolato “Priča iz Rovinjske šume“ (Racconto del bosco rovignese), mentre
il terzo disco è basato sulla musica
sinfonica.
Il CD è stato registrato nel 1997,
nell’ambito del concerto che si è
tenuto in occasione dei vent’anni
della mia carriera nella Chiesa di
Sant’Eufemia, dove la mia musica è stata eseguita nientemeno che
dall’Orchestra sinfonica della Radiotelevisione croata. È stato questo un grande onore per me e sono
riconoscente alla Città di Rovigno
per aver appoggiato e reso possibile questo progetto. Infine, di recente è uscito il quarto disco,
intitolato “Massimo da camera” e incentrato, come si può
intuire dal titolo, sulla musica da camera. Vi sono inclusi
complessi di vario genere e anche un coro da camera. Il primo
brano si intitola “Što sanja otok”
(Cosa sogna l’isola), mentre l’ultimo si chiama “Capriccio in bitinada” e viene eseguito da un coro
da camera. Vorrei soffermarmi su
quest’ultimo per spiegare il perchè di questo titolo.
Si tratta di un modo piacevole
di fare musica, utilizzando soltanto il sintetizzatore, il quale
racchiude tutte le sfumature
di suoni possibili e immaginabili.
Il compito del
compositore è di creare un “cocktail“ di
suoni sfruttando tutte le possibilità che
offre questo apparecchio.
Il risultato è ancora più interessante
se vi vengono inclusi
pure elementi di musica concreta (genere che
si basa sui suoni prodotti
dagli oggetti e dai fenomeni che ci circondano, come,
ad esempio, il fruscìo delle
foglie, il rumore delle
automobili, e via
dicendo, nda).
la Regione Istriana e ultimamente
il Gruppo Adris.
L’emergere delle
origini istriane
- Cosa la ispira? Quanto è
presente l’Istria nelle sue opere?
Dieci anni fa, l’Istria era poco
presente nelle mie composizioni.
La sua influenza si è fatta sentire
con il “Mosaico istriano“, e da lì
in poi è sempre presente. La scala
istriana è un fenomeno molto particolare, anche se non è originaria
dell’Istria.
Anche nelle composizioni di
Skrjabin e Stravinski troviamo
elementi di questo siste-
mavera“ e l’impatto fu tale che riecheggia ancora oggi. Stravinski
usò una varietà incredibile di tecniche compositive in questa straordinaria composizione, anche se
la prima esecuzione fu un disastro.
Il pubblico all’epoca non era ancora capace di percepire una musica così diversa da tutto quello che
l’aveva preceduta. Oggigiorno, invece, viene considerata una delle
composizioni più importanti del
XX secolo.
- Come commenta il giudizio
di alcuni critici di Arnold Schönberg, che definirono la sua come
“antimusica“?
Il suo esperimento ha “liberato“, in un certo senso, la musica
e le ha dato una nuova direzione,
sconfinando addirittura nell’anarchia. Nonostante avesse un sistema preciso, questa musica aveva lo
scopo di illustrare appunto l’anarchia. In un certo momento, però, è
entrata in un vicolo cieco. Cosa ci
resta da fare nel momento in cui
ci troviamo in un vicolo cieco?
O torniamo sui nostri passi,
o iniziamo a scavare un
tunnel per vedere dove ci
porti.
- Qual è la sua
opinione
sulla Tribuna di
Abbazia e la
Biennale
di Zagabria?
Una bitinada
«capricciosa»
Infatti, essendo rovignese non
potevo trascurare la grande tradizione vocale della mia città, che
si rispecchia appunto nelle bitinade. Finora, però, non è ancora stata scritta una bitinada che rientrasse nel contesto della musica colta,
ovvero una bitinada “da concerto”. Come sappiamo, nella bitinada c’è la voce principale che canta
il testo, mentre le altre voci fungono da accompagnamento imitando
il suono di vari strumenti. Avendo
già le voci al posto degli strumenti
veri e propri, non c’era bisogno di
strumenti veri. Inoltre, dal momento che non avevo nemmeno il testo, ho praticamente fuso una forma strumentale, il capriccio, con
una forma vocale, che è la bitinada. È nato così il “Capriccio in bitinada”. Una combinazione alquanto insolita, direi... Questo pezzo,
piuttosto impegnativo, è stato eseguito dal coro “Ivan Filipović“ di
Zagabria, diretto dal maestro Goran Jerković.
Ho composto in seguito una bitinada per coro femminile, questa
volta sul testo del mio amico Vlado Benussi, nella quale ho fatto ritorno alle armonie impressioniste
che mi affascinavano da ragazzo.
Si tratta piuttosto di sprazzi di armonie impressioniste con le quali rivivo i miei inizi di compositore, anche se dopo tanti anni e tante esperienze questa rivisitazione
risulta immensamente più ricca e
profonda di quanto sia stata ai tempi della mia adolescenza.
Parallelismo
creativo
- Lei si occupa pure di musica
elettronica...
- Compone musica elettronica in contemporanea con altri
brani?
Certo. Lavoro in parallelo su
tre o quattro spartiti. Una composizione mi ispira a incominciarne
un’altra, e via di seguito. Per questo motivo, la mia scrivania è sempre ricoperta di diversi spartiti.
- Usa il pianoforte per comporre?
Non uso mai il pianoforte per
comporre. Sto seduto alla scrivania e scrivo la musica che sento
nella mia mente. Il pentagramma
è per me quello che la tela è per
un pittore. Io disegno con le note
e lo faccio direttamente sulla carta, come il pittore dipinge direttamente su tela. Per iniziare a scrivere musica ho bisogno di un’idea
e nel momento in cui questa si presenta, lavoro abbastanza velocemente.
- Si può vivere componendo
musica?
Direi di no. Sono pochissimi i
compositori che riescono a vivere in maniera dignitosa occupandosi soltanto di composizione.
Tra questi mi viene in mente Ennio Morricone, che si è cimentato
con grande successo nella musica
cinematografica. Nella storia della
musica ci è riuscito soltanto Giuseppe Verdi. Gli altri hanno vissuto sull’orlo della povertà, oppure
godevano del sostegno di mecenati. Oggi vengono chiamati sponsor. Anch’io mi avvalgo dell’aiuto
degli sponsor, ai quali sono molto
riconoscente: la Città di Rovigno,
ma tonale, il che è una prova ulteriore che la scala istriana non sia
nata nella penisola. Gli studiosi
hanno appurato, infatti, che questa
proviene dall’India, come anche le
“roženice“ e le “sopile“. È interessante il fatto che, una volta arrivata in Europa, si sia concentrata in
un territorio così circoscritto. Per
quanto riguarda le mie composizioni, sarebbe veramente strano se
io, da istriano, non usassi la scala
istriana nella mia musica.
- Qual è il suo compositore
preferito?
Ammiro diversi compositori.
Il primo è Palestrina, seguito da
J.S.Bach, e infine Igor Stravinski.
Quest’ultimo fece una vera e propria rivoluzione nella musica nel
1913 con la sua “Sagra della pri-
Per ogni compositore, la Tribuna di Abbazia rappresenta un trampolino di lancio. Per me è stata importante già ai tempi dell’Accademia. Ho partecipato praticamente a ogni edizione della Tribuna e
ho preso parte anche alla Biennale
di Zagabria. Si tratta di manifestazioni importanti e di qualità. Ospiti della Biennale sono stati anche
Igor Stravinski e Krzysztof Penderecki.
- Quale valore hanno per Lei i
numerosi premi che ha vinto?
Sono molto importanti per
me. Soprattutto il premio Prešern.
Sono molto legato anche ai premi
del concorso Istria Nobilissima.
Da compositore istriano, sento che
è una cosa naturale per me partecipare a questo illustre concorso.
4
mus
Mercoledì, 29 febbraio 2012
A LA RECHERCHE DE LA MEMOIRE PERDUE Le ispirate pagine organistiche di un co
«26 Preludi per organo» le ultime
di Patrizia Venucci Merdžo
U
na pioggerellina sottile e gelida fustiga spietatamente
l’acciottolato ed il marciapiede della via. Una figura alta, distinta, corpulenta, avanza frettolosa
– avvolta in un pastrano che, decisamente, ha conosciuto tempi migliori – preoccupata unicamente di
non sciupare il prezioso involucro,
una mappa grigia che gelosamente
stringe sottobraccio. Il viso intelligente, sensibile, illuminato da occhi
chiari, che sembrano guardare aldilà e al di sopra della materialità contingente, rincorrendo sogni e mondi
tutti suoi, è incorniciato da una folta barba, da una capigliatura fluente e corvina, rischiarata da bagliori
ramati. Canta. Canta sempre. Anche
per strada, a mezzavoce, tutto preso dai suoi pensieri: “Mi, do, si, la,
si-do-re-do-si-la, sol-si-la-sol-mi…
sol-si-la-sol-mi… Bene, bene… E
gli accordi paralleli di settima diminuita nel preludio? E le progressioni
iniziali di terza discendente? Sì, sì!
Gli conferiscono proprio quella so-
lennità grandiosa e ieratica che intendevo”. Due passanti frettolose
lo fissano con curiosità e commentano: “Ma che bel tipo! El sta sulla Luna o dove? No ‘l vede gnanche
le pozanghere. E poi ti ga visto? El
ga due galosce sinistre!”. Due colpi
secchi di tosse scuotono l’alta persona. “Ah, questa umidità! Per fortuna che ci siamo”. Una rampa di
scale, una scampanellata, una porta
che si apre e l’esclamazione cordiale del Nostro: “Oh, buongiorno ingegnere! Guardi, guardi cosa le porto! Sarà contento”. L’ospite entra,
corre diritto, diritto all’ imponente
organo e appoggia sul leggio, con
cura, la mappa grigiae. L’apre, e sul
frontespizio della partitura appare la
dicitura: “26 Preludi per organo” di
Marcello Tyberg.
Una dinastia
di musicisti
Marcello Tyberg, compositore,
organista e pedagogo di talento, è
stato uno dei personaggi più significativi e di spicco negli ambienti musicali fiumani tra le due guerre, mondiali, nonostante abbia sempre condotto una vita estremamente
modesta e ritirata nelòlòa sua casa
abbaziana. Nacque in una famiglia
di musicisti di razza, e quando affermiamo ciò alludiamo agli quegli eccellenti musici che furono i genitori
di Marcello, ossia il padre Marcello
senior, esimio virtuoso e concertista
del violino, e la madre, Wanda Pottinger (o Paltinger), valente pianista
e pedagoga.
I Tyberg erano di origine polacca; Marcello senior era nato da Enrico, il 5 novembre 1858 a Babice ed era stato “primo professore”
della scuola musicale “Hertzka” a
Vienna (1881-’82), primo Maestro
Concertista nel Teatro Provinciale
di Lemberg e direttore della Scuola musicale pure in Lemberg. Wanda Paltinger Tyberg, di Giovanni
nata a Przmysl, invece era “pianista
virtuosa”, cioè concertista ed aveva
studiato alla scuola di Leschetycki,
allievo di con Francz Liszt, trasmettendo e facendo pervenire in questo
modo, tramite la sua attività di pedagoga anche nel capoluogo quarnerino, i riflessi diretti di una grande
scuola e cultura pianistica europea.
L’allievo più insigne della Tyberg
fu certamente Bruno Rudan il quale, da buon sportivo, faceva la spola tra Fiume ed Abbazia, dove risiedeva la sua eccellente insegnante, in
bicicletta.
Pedagogia di alto livello
I coniugi Tyberg al tempo
dell’Ungheria, tennero, con sede al
Palazzo della Cassa Comunale di
Risparmio – ossia Palazzo Modello
– un “Corso d’Istruzione di Violino
e Pianoforte”, vale a dire una scuola
dagoghi di primissima qualità, per
un costo mensile di fiorini 12. Davvero non bisognava andare a cercare altrove (a differenza di oggi) per
farsi una tecnica ed una formazione
musicali solide, considerando anche
i servigi della Scuola di Musica statale, che fu attiva specialmente tra le
due guerre grazie anche alla presenza di quel valente pedagogo, direttore e violinista che fu Angusto Serrazanetti.
Maestro concertatore
d’eccezione
Le sue qualità di musicista di
razza, la sua maestria e preziosi consigli, Marcello Tyberg padre ebbe
modo di esternarli nel ruolo di maestro concertatore dell’Orchestra Filarmonica di Fiume, la quale operava in seno alla Società Filarmonica
Drammatica. “Era un gran vecchio,
un aspetto da patriarca con quella fisionomia severa ed aquilina, la chioma folta e candida, la severità ed autorità da gran maestro che emanavano la sua persona. Dotato di forte
temperamento, di carattere marcato, si imponeva, trascinava e guidava il corpo orchestrale – gli archi in
particolare – con dei movimenti del
corpo, del violino, del capo estremamente incisivi e di indiscutibile autorità”. Certo che una volta le scelte
tecniche e interpretative del maestro
concertatore erano legge. E giustamente, con musicisti di tale rango.
Tutto il contrario del marito era
invece la signora Wanda Tyberg:
piccolina, grassottella, gentilissima,
piena di talento. Conosceva tutte le
finezze dell’arte sua ed era ritenuta
la decana tra le diverse e brave insegnanti di pianoforte operanti a Fiume. La Tyberg, che in gioventù era
stata una valente concertista, aveva
Era una persona candida,
un idealista. Era tutto preso
dal proprio mondo, aveva un’anima
piena di musica. Era distratto
in una maniera addirittura esilarante
Una pagina autografa tratta dai Preludi
di musica privata. L’istituzione offriva “istruzione di violino e pianoforte a singoli, inclusi i rami indispensabili: teoria generale della musica e teoria dell’armonia, come pure
musica da camera ed altri esercizi.
Durante l’anno d’istruzione verranno organizzati dei pubblici esami e
delle produzioni di scolari”, recitava “ il manifesto pubblicitario” dell’
epoca. Insomma, una scuola di musica a tutti gli effetti e con dei pe-
tenuto a Fiume nel 1923, nell’organizzazione della Società di Concerti,
un recital nel cui programma figurava pure la “Leggenda” per pianoforte di Marcello Tyberg figlio.
Vita grama da musicisti
Ma torniamo al nostro barbuto,
idealista e squattrinato maestro per
la cui bravura e talento avrebbe meritato ben altra fortuna. Invece tirava a campà ben miseramente. Vive-
Da Vienna ad Auschwitz. Ed ora la rivalutazione
Marcello Tyberg figlio nacque a Vienna il
3 gennaio 1893. Si diplomò in organo e composizione a Vienna - qualcuno sostiene sotto
la guida del grande Max Reger - che, manco a
dirlo, era, ed è tuttora una Mecca della musica classica, nonché culla dell’ atonalità e della
dodecafonia per opera di Schonberg, Webern,
Berg. Ed è proprio nel periodo della presenza di Tyberg a Vienna che la capitale austriaca era percorsa e vibrava di tensioni e correnti
avanguardistiche. È lecito supporre che pure
Tyberg abbia avuto nozione e coscienza di tali
fenomeni culturali?
Marcello Tyberg figlio, celibe, aveva abitato prima a Fiume, in Viale, e quindi a Volosca,
sempre con i genitori. Il padre Marcello, violinista d’eccezione, nato a Babice (Polonia) nel
1858, venne a mancare nel 1927. La madre,
Wanda Paltinger, pianista virtuosa, era nata a Przmysl, in Polonia, il 5 marzo del 1869.
I Tyberg, da valentissimi musicisti qual erano, avevano avuto rapporti di amicizia e collaborazione artistica sia con il celebre violinista,
direttore e compositore Rodolfo Lipizer, che con
il grande virtuoso del violino Jan Kubelik (che
aveva dimora ad Abbazia, nell’odierno Casinò
Rosalia) e con il figlio Rafael Kubelik, uno dei
massimi direttori d’orchestra del Novecento. E
fu proprio quest’ultimo a dirigere a Praga, nel
1930, la Seconda Sinfonia di Marcello Tyberg,
nell’esecuzione della Filarmonica Ceca.
Marcello Tyberg figlio compose un “Te
Deum”, che fu eseguito il 25 luglio 1943 in occasione della consacrazione dell’ ampliamento
della Chiesa dell’ Abbazia di S. Giacomo, nella
Perla del Quarnero.
Temendo la deportazione in Germania, a motivo di lontane origini ebraiche da parte materna
- il bisnonno di Wanda Tyberg era ebreo - consegnò la sue opere al dottore fiumano Milan Mihalich. Purtroppo, Marcello Tyberg - la madre era
già venuta a mancare - nel novembre1944 fu
deportato a San Sabba, e quindi ad Auschwitz,
dove decedette il 31 dicembre 1944. Una fine
tragica e crudele che destò profonda tristezza e
rimpianto in quanti lo conobbero.
Nel frattempo il dott. Micih emigrò negli
USA e venne a mancare poco dopo. Il figlio,
dott. Enrico Mihich, qualche anno fa provvide
alla divulgazione delle opere di Tyberg determinando un’ importante rivalutazione in America,
tutt’ora in atto, con esecuzioni da parte dell’Orchestra Sinfonica di Buffalo ed esecuzioni delle
sue composizioni da camera.
La chiesa di S. Anna in Volosca dov
ganista. Compose i Preludi per org
niche dell’ orga
vano di lezioni, lui e la madre (materie teoriche, composizione, pianoforte, organo) e quando la stagione
era bella e la chiesa di S. Anna a Volosca non era troppo fredda e umida,
Marcello Tyberg dava anche lezioni
d’organo.
D’inverno invece vi era costretto
a rinunciare a causa della tubercolosi strisciante ai polmoni che da anni
lo andava logorando. Oppure, tempo permettendo, veniva a Fiume due
volte la settimana a tener lezioni private. Operava come organista e Maestro del coro a S. Anna (faceva lezione a Padre G.), ma gli introiti che
il convento passava non erano sufficienti. Ad ogni modo la considerazione della quale godeva negli ambienti musicali (spesso veniva citato nei giornali d’epoca assieme alle
sue composizioni) non era neanche
lontanamente proporzionale agli effetti materiali che avrebbe potuto e
dovuto produrre.
Composizioni
organistiche di valore
“Era una persona candida, un
idealista. Era tutto preso dal proprio
mondo, aveva un’anima piena di
musica. Era distratto in una maniera addirittura esilarante. In un giorno di pioggia mi capitò a casa con
due galoscie sinistre. L’aspetto pratico e materiale della vita era del tutto secondario ed anche meno”. È la
testiomonianza di quanti lo conobbero.
Ma veniamo ai nostri “Preludi”,
ovvero ai “26 Preludi per organo –
in tutte le tonalità maggiori con le
sue tonalità minori relative, secondo l’ordine del circolo delle quinte
e delle quarte”, come sta scritto in
prima pagina. Le composizioni erano dedicate al committente ed alla
di lui sorella: “Ai bravi organisti, signora Wilma Venucci ed il suo fratello Sig. Ing. Remo Venucci in ri-
sica
Mercoledì, 29 febbraio 2012
5
ompositore tanto valente quanto sfortunato
composizioni di Marcello Tyberg
La Villa abbaziana abitata da Marcello Tyberg
e dai genitori. L’immagine acquista un particolare
rilievo in quanto l’abitazione del Maestro finora
non era stata identificata
ve Marcello Tyberg operò come organo secondo le caratteristiche tecano parrocchiale
Una produzione variegata
ed affascinante
cordo del grave pericolo durante i
bombardamenti di Fiume dell’inverno 1944. Abbazia 22 maggio
1944”.
I pezzi vennero composti nel febbraio-maggio 1944 e, come fa notare l’autore, in “Alcune osservazioni: i presenti Preludi servono o per
uso da Chiesa oppure per il proprio
divertimento (oppure, aggiungiamo
noi, da eseguire in concerto), e Vi
prego di sacrificare un po’ del Vs.
tempo a questi pezzetti musicali…”
Seguono indicazioni circa la registrazione e l’uso dei manuali: “Gli
accenni per i registri debbono dare
soltanto un’idea dei colori voluti…
sono fatti esclusivamente secondo
l’organo della Chiesa di S. Anna di
Volosca”.
Pezzi piccoli sì, ma ognuno con
un suo succo, una sua sostanza,
un’idea ben formata e distinta. D’altronde, mai, in nessuna delle arti la
mole dell’opera è stata sinonimo o
garanzia di qualità. Basta pensare ai
geniali lieder di Schubert o Wolf, ai
sonetti del Petrarca, alle miniature
del Clovio, agli smalti di Luca della
Robbia o alla magia dei piccoli quadri di Vermeer, ecc.
In base alle notizie finora pervenuteci, l’elenco della produzione di
Marcello Tyberg è il seguente:
Sonata per pianoforte n. 1 (1914-1920) Allegro appassionato, Larghetto (Tema con variazioni), Rondò
Sinfonia n. 1 Allegro molto, (21 gennaio 1922)
Adagio (1922) Scherzo (31 dicembre 1922)
Finale (Allegro, non troppo) (12 aprile 1924)
Leggenda per pianoforte (1923?)
Scherzo e Finale per l’Incompiuta di Schubert (1927-1928)
Sinfonia n. 2
Allegro appassionato, Adagio (1927), Scherzo (1929), Finale (1931)
Sestetto per 2 violini, 2 viole, violoncello, contrabbasso (1931-1932)
Allegro non troppo, Scherzo, Adagio molto sostenuto (Tema con variazioni), Scherzo, Finale
Messa n. 1, Soprano, Contralto, Tenore, Basso e organo (1933-1934)
Sonata per pianoforte n. 2 1934-1935 Allegro con fuoco, Adagio,
Scherzo Finale
Trio per pianoforte, violino e violoncello (1935-1936)
Allegro maestoso, Adagio non troppo, Rondò
Messa n. 2, Soprano, Contralto, Tenore, Basso e organo (1941)
Sinfonia n.3 Andante Maestoso (4 novembre 1938),
Scherzo, Adagio, Rondò (settembre 1943)
26 Preludi per organo in tutte le tonalità maggiori e minori (febbraio-maggio 1944) (dedicati agli organisti fiumani Wilma Venucci e
Remo Venucci)
21 Lieder sull’Intermezzo lirico di Heine,
1 Lieder “Rache” su testi di Poridzky
5 Lieder su testi di Daisy von Adelsfeld-Salghetti
1 Ave Maria
6 Lieder Austriaci per piccola orchestra – tre dei quali su testi di Heine
4 Lieder in inglese su testi di Moore e altri
Evening Bells (Sir Thomas Moore), To a Flower (Barry Cornwell), My
Heart’s in the Highlands (Robert Burns)....
4 Romanze senza parole
Linguaggio armonico
tardoromantico
e impressionista
In questi brani, di felice ispirazione, Marcello Tyberg figlio si esprime tramite un linguaggio armonico
anche tardo romantico ed a momenti impressionistico (vedi il superbo
preludio iniziale), comunque mobile e variegato. Modestamente li definisce “pezzetti”, passando sopra
al fatto che cinque preludi sono seguiti da relative sostanziose fughe
(richiedenti da parte dell’esecutore
un notevolissimo impegno tecnico)
– brani che si prestano benissimo
all’esecuzione concertistica – più il
fugato finale a tre voci.
Frontespizio autografo dei “26 Preludi per organo”
La preferenza di Tyberg per la
polifonia emerge pure nei tre canoni presenti nella raccolta. Delicati idilli e slanci lirici si palesano
nelle sei pastorali mentre in altri il
senso squisito della melodia a volte di atmosfera ed ascendenza ebraiche. Infatti, Marcello Tyberg, viennese di origine polacca, aveva lon-
tane ascendenze ebraiche per parte materna. Pezzi deliziosi, pezzi
che “ti prendono”. Sarebbe interessante presentarli integralmente, un
giorno, in esecuzione concertistica.
Ciò rappresenterebbe
un’iniziativa culturale di rilievo, in particolar modo per l’area quarnerina il cui
importante passato musicale è anco-
ra da scoprire, studiare e rivalutare.
Ad ogni modo qualunque sia stata
la motivazione del committente dei
26 “Preludi” – sicuramente stima e,
non ultima, la volontà di “dare una
mano” ad un maestro tanto di valore quanto squattrinato – non possiamo che rallegrarcene; intanto perché
(per quanto ne sappiamo) è una delle
poche opere di maestri d’anteguerra
fiumani pervenute fino a noi, e poi
perché questi frutti musicali rimangono a testimonianza di un’ ”anima
bella”, di un’intelligenza ricca di intuizioni che ha operato tra noi e la
cui opera è destinata ad elevare ed
arricchire quanti sono in grado di riconoscere il valore della vera arte.
6 musica
Mercoledì, 29 febbraio 2012
MUSICA ROCK Ritorno alla grande del gruppo fiumano che nel anni ’80 ha segnato in
I «Fit» compiono trent’anni: energia
di Ivana Precetti
Da sinistra Zorko Opačić,
Davor Lukas, e Miro Tešević.
Dietro, Alen Tibljaš
S
i era parlato tanto, negli
ultimi tempi, di un probabile “come back” dei Fit,
gruppo fiumano che ha segnato gli anni Ottanta influenzando in maniera indelebile, assieme ad altre band dell’epoca, la “new wave” del capoluogo quarnerino. Un loro ritorno
era, dunque, nell’aria da un bel
po’. E forse non è soltanto un
caso che abbiano scelto proprio
il 2012 per ripresentarsi ai loro
fan. Quest’anno festeggiano, infatti, i.. primi trent’anni di vita:
tre decenni trascorsi troppo in
fretta, ma durante i quali la loro
stella ha brillato sempre di luce
propria.
Sì, perché i Fit, in qualche
modo, sono sempre rimasti qui,
nascosti da qualche parte, a vegliare sulla scena musicale di
Fiume, quella rock per intenderci e non altre venute dopo
(sigh!), di cui faremmo volentieri a meno. L’8 febbraio scorso i Fit (oggi ne fanno parte i
membri originari, il cantante Davor Lukas, il chitarrista Zorko Opačić e il bassista
Miro Tešević mentre il batterista Siniša Banović è stato sostituito da Alen Tibljaš) hanno
tenuto a Zagabria il primo concerto del loro “Fit Winter Tour”,
la tournée regionale che ha segnato il loro ritorno e che per
tutto il mese di febbraio li ha
visti suonare, oltre che in Croazia (oltre al concerto zagabrese
il gruppo ne ha tenuti altri due a
Fiume, il 10 e l’11 febbraio allo
“Stereo”), anche in Bosnia ed
Erzegovina e in Serbia.
Li abbiamo incontrati in vista delle loro performance fiumane, per chiedere loro sem-
plicemente... “come va”, come
e quanto siano cambiate le loro
vite dall’ultima esibizione, avvenuta all’inizio degli anni Novanta, poco prima che si sgretolasse
la Jugoslavia.
- Iniziamo col vostro concerto di apertura del tour che avete
tenuto al Boogaloo Club di Zagabria. Com’è andata? È stato
come ai vecchi tempi?
Davor: “Benissimo, direi. I
nostri concerti sono sempre pieni di energia, carichissimi, li definirei ‘maschi’ e il pubblico che
ci segue lo sa. Sa benissimo che
cosa si può aspettare quando saliamo sul palco, sa che comunque
vada potrà godere di un buon suono power pop. Il tour è stato un
gran bel successo, a parte i rinvii
dovuti al recente maltempo, e siamo più che contenti”.
- Torniamo ai vostri inizi.
Come sono nati i Fit? È stato in
un’epoca particolare per Fiume e per la sua scena musicale.
Vi aspettavate un simile successo? Il fatto che sareste diventati
uno dei gruppi culto, una delle
band più amate? Come nascevano le vostre canzoni? Come
si viveva in città negli anni Ottanta dal punto di vista della
musica?
“I Fit sono nati come band scolastica ai tempi della new wave
fiumana. Era un’epoca in cui i
giovani vivevano per la musica, in
cui era importante far parte del panorama musicale, avere una band,
occuparsi di musica. Andavamo
ai concerti di quasi tutti i gruppi
attivi in quegli anni, ci frequentavamo a vicenda, andavamo anche
L’8 febbraio scorso i Fit hanno tenuto
a Zagabria il primo concerto
del loro “Fit Winter Tour”, la tournée
regionale che ha segnato il loro ritorno
e che per tutto il mese di febbraio
li ha visti suonare, in Croazia,
in Bosnia ed Erzegovina e Serbia
da sempre le melodie, a casa, sulla sua chitarra acustica. Poi le registrava su una cassetta e le portava alle prove. Noi le ascoltavano e
appena allora componevamo i testi. Succedeva raramente il contrario. Non importava, però, chi
avesse scritto o composto qualcosa. Importava soltanto il risultato, la canzone. Era importante che
questa piacesse a tutti e quattro. In
gran parte succedeva che se piaceva a noi, sarebbe piaciuta anche al
pubblico. Era un’epoca d’oro per
noi giovani. Si viveva bene. Avevamo il sostegno dei genitori, degli amici, delle fidanzate di allora. Eravamo fermamente convinti che con la giusta tenacia saremmo arrivati lontano, che le nostre
canzoni avrebbero trovato una
«Gli anni ‘80 erano un’epoca d’oro per
noi giovani. Si viveva bene. Avevamo
il sostegno dei genitori, degli amici,
delle fidanzate di allora. Eravamo
fermamente convinti che con la giusta
tenacia saremmo arrivati lontano»
alle prove, sapevamo tutto gli uni
degli altri, parlavamo sempre soltanto di questo. Eravamo informati su tutto ciò che succede, anche
se all’epoca non esistevano ancora né telefonini né Facebook. Eravamo – e lo siamo tuttora – pieni di idee, ascoltavano tutto quello
che valeva qualcosa. In quanto ai
nostri brani... Zorko componeva
loro strada sulle emittenti radiofoniche, che un giorno avremmo
finalmente registrato e pubblicato
un disco. E così è stato. La musica e la band erano le nostre priorità assolute e niente era più importante di questo. Col tempo siamo
diventati sempre più bravi e sicuri
del fatto nostro. Ore e ore di prove
ci hanno permesso di migliorarci
sempre di più. Per noi era naturale
suonare in qualsiasi momento libero, quotidianamente. Tenevamo
le prove negli spazi del comitato
di quartiere di Volosca, dove ci era
concesso suonare per tutta la notte. Capitava che facessimo le sei
di mattina... Facevamo un ‘giro’
e correvamo a scuola ad Abbazia,
talmente eravamo pazzi di musica e pieni di energia. Era un godimento totale”.
- Vi aspettavate che i vostri
primi due album, “Uz rijeku“
(1988) e “Daj mi ruku“ (1989),
ottenessero un simile successo?
Quale – o quali – brano preferite? Com’è la situazione oggi,
per i giovani che vorrebbero occuparsi di musica?
Miro: “No, non pensavamo
al successo prima di conseguirlo.
Ogni passo fatto, una nuova canzone, un demo, un concerto, per
noi era già un successo. Lo costruivamo per anni. E lo stiamo
costruendo tuttora. La mia canzone preferita era ‘Uživaj’ perché
era potente e positiva. Tracciando
un parallelo con i giovani di oggi,
devo dire che per noi era più facile. Noi vivevamo per la musica
ma avevamo anche dove suonare,
dove uscire, dove ascoltarla. L’argomento è molto complesso e ampio e potrei parlarne per ore per
cui lo lascerei per un’altra occasione”.
- L’inizio della guerra ha segnato la vostra carriera: avete
smesso bruscamente di suonare... Quanto ciò vi ha cambiato
la vita?
musica 7
Mercoledì, 29 febbraio 2012
maniera indelebile la «new wave» del capoluogo quarnerino
pura per il «come back» più atteso
IL QUIZ
1. Il brano “I will always love
you”, cantato dalla diva americana Whitney Houston, mancata
di recente, è uno dei singoli più
venduti nella storia della musica. Pochi sanno, però, che è stato scritto nel 1974 da una delle
maggiori cantanti americane del
genere country. Chi è?
a) Faith Hill
b) Dolly Parton
c) K.D.Lang
2. “Vide Cor Meum” è una
canzone composta da Patrick
Cassidy basata sulla “Vita Nuova” di Dante Alighieri, in particolare sul sonetto “A ciascun’alma presa”, nel capitolo 3 della “Vita Nuova”. Lo struggente
brano apparve per la prima volta
in uno dei film che hanno come
protagonista il più famoso cannibale della storia, Hannibal Lecter, impersonato dal rinomato attore Anthony Hopkins. Il titolo
del film è...
a) Il silenzio degli innocenti
b) Red Dragon
c) Hannibal
3. La musica classica e moderna viene da secoli annotata
mediante l’uso di “note musicali”, mentre nel Medioevo, a partire dal IX secolo, nel canto gregoriano viene usato il “segno”,
detto in greco…
a) Neuma
b) Virgula
c) Punctum
le vendere on-line i propri dischi
a un prezzo simbolico. Postare gli
album sul web è il primo scalino
verso questa opportunità”.
«Nel futuro ci attendono esibizioni
ai festival estivi, la realizzazione
di un dvd col documentario
‘La colpa è tutta del rock’n’roll’.
In primavera pubblicheremo inoltre
il nostro album su vinile»
sione di ‘scavalcare’ i mediatori e
di arrivare direttamente al pubblico, con un semplice clic. Prevedo
che prossimamente sarà possibi-
-Quali sono i vostri piani imminenti?
Davor: “Dopo questo mini
tour, ci attendono esibizioni ai
vari festival estivi. Abbiamo in
piano anche la realizzazione di un
dvd col documentario ‘La colpa è
tutta del rock’n’roll’. In primavera pubblicheremo inoltre il nostro
album su vinile”.
- Per finire, che cosa ascoltate privatamente? E come ve
la spassate quando non suonate?
Zorko: “Seguiamo tutte le
nuove uscite discografiche, quelle rock per intenderci. Ci piacciono i Muse, gli Skunk Anansie, i
Black Keys, Noel Gallagher...
Oltre ad ascoltare musica, ci dedichiamo alla famiglia e agli amici. E quando il tempo ce lo concede, ci concediamo qualche bel
viaggetto”.
4. Chi è l’autore della famosa colonna sonora, composta nel
1972, de “Il padrino”, considerato uno dei migliori film nella storia del cinema e diretto da Francis Ford Coppola?
a) Dario Marianelli
b) John Williams
c) Nino Rota
5. Chi fu il direttore d’orchestra, ritenuto da molti suoi contemporanei - critici, colleghi
e pubblico - il più grande della
sua epoca, che diresse le prime
mondiali di numerose opere, di
cui quattro entrarono a far parte
del repertorio operistico classico
(Pagliacci, La Bohème, La fanciulla del West e Turandot)?
a) Herbert von Karajan
b) Arturo Toscanini
c) Fritz Reiner
6. È uno strumento a fiato di
forma globulare allungata generalmente costruito in terracotta.
Aerofoni del genere, genericamente noti anche come “arghilofoni”, quando costruiti in argilla, sono strumenti molto antichi e
diffusi presso numerose civiltà arcaiche. La sua versione moderna,
impiegata nella musica occidentale, fu inventata in Italia, a Budrio,
durante la metà del XIX secolo da
Giuseppe Donati. La forma ovoidale allungata di questo strumento
ricorda il profilo di un’oca privata
della testa. Parliamo di…
a) Ocarina
b) Armonica a bocca
c) Flauto di pan
7. Chi ha composto le due
popolarissime suite intitolate
“Peer Gynt“, tratte dalle musiche da scena scritte per il poema
drammatico di Henrik Ibsen nel
1875?
a) Edvard Grieg
b) Jan Sibelius
c) Benjamin Britten
8. Si intitola “American Pie“
la canzone di Don McLean del
1971 che venne rivisitata nel
2000 da una delle maggiori stelle della musica pop americana.
Parliamo di...
a) Jennifer Lopez
b) Beyoncé
c) Madonna
9. Questo compositore tedesco venne considerato dai suoi
contemporanei successore di
Ludwig van Beethoven, mentre
la sua Prima sinfonia venne descritta da Hans von Bülow come
la “Decima di Beethoven“. Parliamo di...
a) Robert Schumann
b) Johannes Brahms
c) Gustav Mahler
10. “La carriera di un libertino“ è un melodramma in tre
atti completato e messo in scena
alla Fenice di Venezia nel 1951
e scritto da uno dei più grandi compositori nella storia della
musica. Si tratta di...
a) Igor Stravinski
b) Sergej Rahmanjinov
c) Sergej Prokofjev
Soluzioni: 1. b), 2. c), 3. a), 4. c), 5.
b), 6. a), 7. a), 8. c), 9. b), 10. a).
Miro: “Non siamo stati noi
a interrompere la nostra attività.
Sono stati altri a farlo. E non soltanto a noi. Gran parte delle persone che si sono ritrovate nel caos
della guerra, non sono riuscite a
reagire. La nostra casa discografica si trovava a Belgrado e lì non si
poteva più andare. D’altronde, che
senso aveva suonare mentre in tutto il Paese impazzava il conflitto
e si diffondeva l’odio tra la gente? Noi non ci siamo ritrovati in
tutto questo, abbiamo fatto le valigie e siamo partiti per l’Olanda.
Lì è iniziata una nuova vita, con
nuove situazioni. Dovevamo ripartire da zero. Tutto quello che
avevamo fatto nell’ex Stato, non
aveva più senso. Ne parliamo ampiamente nel nostro documentario
‘La colpa è tutta del rock’n’roll’
(‘Rock’n’roll je kriv za sve’)”.
- Il vostro terzo album è rimasto irrealizzato. Lo avete poi
ripreso? Quanto è presente nel
vostro ultimo CD “2011”?
Davor: “Sì, ci sono un paio
di brani che ci sembravano tuttora attuali e che abbiamo introdotto
nel nostro ultimo album. Si combinano alla perfezione con le nuove canzoni create tra il 2010 e il
2011. Abbiamo deciso di postare
il CD su Internet e di consentirne lo scaricamento gratis sul sito
www.fitrijeka.com. C’è stato un
grande riscontro di pubblico con
più di 8.000 download. Le reazioni di fan e critica sono fantastiche,
la gente ci scrive, si complimenta
con noi e ci dà energia per proseguire su questa strada, per migliorarci sempre”.
- Perché questa decisione di
postarlo gratis sel web?
Davor: “Da decenni i musicisti in pratica regalano la propria
musica alle major discografiche.
Le fette più grandi vanno sempre
a quest’ultime e sono loro a dettare le regole. Oggi, con la comparsa di Internet, gli artisti hanno
avuto per la prima volta l’occa-
8 musica
Mercoledì, 29 febbraio 2012
VITA NOSTRA Il neocomplesso della CI di Fiume si è già fatto apprezzare
Le serate danzanti?
Ritornano con «I patochi»
di Viviana Car
“I
patochi”, una parola che
accomuna un piccolo
gruppo di fiumani “veraci” e non, con la voglia di far della
buona musica. Un’ idea nata dopo
ponderate riflessioni, da un gruppo di amici (e parenti) per dar vita
ad un complesso musicale, volto a far divertire i fiumani e i loro
amici con un repertorio di canzoni ballabili, prettamente italiane,
vecchie e nuove.
Costituita da poco, la band “I
patochi” vuole divenire un segmento costante, inserito nelle
molteplici attività della Comunità degli Italiani di Fiume. Tutti
i musicisti sono già membri attivi di una o più sezioni artistiche della SAC “Fratellanza”, ed
offrono il proprio contributo già
da decenni, alla riuscita di tutte
le manifestazioni culturali e musicali che si svolgono a Palazzo
Modello.
L’idea, come specificato prima, non è nuova e, dai oggi, dai
domani, l’ideatore del progetto
Sanjin Sanković, maestro della
sezione dei minicantanti è riuscito
a convincere – e ci voleva poco gli altri a formare il complesso per
poter nuovamente offrire musica
dal vivo durante i festival dei più
piccoli, ma pure durante le serate
danzanti organizzate dalla Comunità. All’ appello hanno risposto
oltre a Sanjin (chitarra) anche Livio Hubička, membro attivo della mandolinistica che si esibisce
al basso, Denis Stefan, presidente della SAC “Fratellanza” e primo mandolino della mandolinistica, il quale oltre a suonare perfettamente la chitarra acustica, possiede doti canore non indifferenti;
Lucio Slama, a capo della sezione sportiva della Comunità, attore del Dramma Italiano che ritorna al primo amore, la batteria; e la
“più piccola”, ma non meno importante, Martina Sanković, “la
Voce”, una passione che cura da
tanto tempo.
“Ci siamo riuniti per la prima
volta nel settembre dell’anno scorso con l’idea di offrire il nostro
contributo per dare quel qualcosa
in più all’attività della nostra Comunità – spiega Sanjin Sanković
-. Il primo intento era quello di
avere a disposizione un’ orchestrina che accompagnasse dal vivo le
esibizioni canore dei nostri minicantanti. Si trattava praticamente, di un ritorno ai “vecchi tempi”
quando il ‘factotum’ zio Severino,
al pianoforte, dirigeva i piccoli
nel canto e coordinava la musica
del complesso presente sul palco.
Ecco, questa è stata l’idea che ci
ha spronati ad unirci e a riprendere un’attività che con il tempo
si era spenta.
E siamo riusciti nell’intento.
Già in dicembre ‘I patochi’ hanno offerto il loro contributo al festival dei più piccoli. Poi siamo
stati invitati dalla dirigenza della
Comunità ad esibirci al veglione
di Capodanno. Le prime critiche
sono state discordanti, e come
sempre si sono formate due fazioni: quella degli ‘scontenti’, e
quella che ci ha accolto con calore, applaudendo il nostro lavoro. Ambedue le correnti ci hanno
spronato ad andare avanti con più
fervore ed a impegnarci ancora di
più”.
Il repertorio viene compilato di comune accordo - anche se
Denis Stefan non è sempre soddisfatto della scelta -, ma la maggioranza è quella che alla fine decide.
L’elenco delle canzoni varia da
esibizione a esibizione, ma prevalgono le canzoni della musica
leggera italiana che spaziano dagli anni 60’ fino ai giorni nostri, in
quanto la “mula” Martina, ha ‘imposto’ al gruppo di includere anche autori più recenti per attirare i
giovani ad assistere alle esibizioni
del complesso”.
All’ appello non poteva mancare Livio Hubička, valente chitarrista della Mandolinistica
e tanta esperienza in numerosi complessi di musica leggera.
“Una parola tira l’altra, e sono
stato coinvolto nella formazione
del gruppo dove suono il basso.
Sono sicuro che riusciremo ‘a far
carriera’, poiché la volontà è tanta e l’entusiasmo non manca”.
E poi chi non conosce Martina
Sanković e la sua bella voce. Formatasi nelle file dei minicantanti
ha militato nella formazione della
Filodrammatica giovani della Comunità per poi studiare canto alla
Scuola di Musica di Fiume, rappresenta la componente “giovane”
del complesso. Apprezzata cantante dilettante - ha sempre risposto
positivamente ad ogni spettacolo
a cui ha partecipato - si è unita al
gruppo per la passione che appunto nutre per il canto. Oggi Martina,
giovane studentessa dell’ Università degli studi di Trieste, ha dovuto lasciare (per ora) la Scuola di
musica, ma il suo primo amore, il
canto, non lo ha mai abbandonato. “Sono impegnata con gli studi
durante la settimana e poi arrivo a
Fiume per i weekend ed allora mi
diverto a cantare. Non è stato difficile convincermi a far parte del
gruppo anche se gli ‘screzi’ con
mio padre Sanjin sono all’ordine del giorno per quanto riguarda
il repertorio. Apparteniamo a due
generazioni diverse, la musica sua
non è la mia, ma comunque alla
fine prevale il compromesso” ci
spiega Martina.
L’ultimo, ma non il meno importante, è il batterista Lucio Slama che ritorna al primo amore, la
batteria e...“tira fuori gli scheletri
dall’armadio”. “Ero da sempre affascinato dal ritmo, e la batteria è
ritmo puro, quel qualcosa che ti dà
i brividi, che ti fa muovere il corpo
inconsciamente. Da troppo tempo
– racconta Lucio - avevo lasciato questo strumento che ho imparato a suonare alla fine degli anni
70’ quando con un gruppo di adolescenti abbiamo formato in seno
alla Comunità il complesso “Ragno”, che in seguito venne chiamato “Ragno nuevo” e che operò
fino a metà degli anni 80’. E guarda caso, allora vi militavano delle persone che ancor oggi ‘bazzicano’ a Palazzo Modello, come la
Gianna (Mazzieri Sanković), Flavio Cossetto, Denis Stefan, Ezio
Sestan (oggi vive e lavora in Italia) ed io. Dunque, con piacere mi
sono aggregato a ‘I patochi’ perché in questo modo ho ripreso a
fare musica attivamente”.
Tante sono le aspettative di ogni
singolo membro de “I patochi” ma
quella comune è di far rivivere le
serate danzanti alla Comunità degli Italiani dove, con poca spesa,
i fiumani, sempre amanti del ballo
e del divertimento, ritornerebbero
a far “quattro salti” nel magnifico
Salone delle Feste di Palazzo Modello.
Veglione di Capodanno, il debutto de “I patochi”
Anno VII / n. 56 del 29 febbraio 2012
“LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol Superina
IN PIÙ Supplementi a cura di Errol Superina
Progetto editoriale di Silvio Forza / Art director: Daria Vlahov Horvat
edizione: MUSICA [email protected]
Redattore esecutivo: Patrizia Venucci Merdžo / Impaginazione: Annamaria Picco
Collaboratori: Viviana Car, Helena Labus Bačić, Ivana Precetti e Patrizia Venucci
Merdžo
Foto: Graziella Tatalović, Goran Žiković