LA VOCE DEL POPOLO il pentagramma ce vo /la .hr dit w.e ww De carminibus sanremensibus et de psalmis paenitentialibus musica An no VII • n. 2 201 o i ra 56 • Mercoledì, 29 febb di Patrizia Venucci Merdžo Gentilissimi, lo schiamazzo carnascialesco si è ormai quietato, e anche gli enormi campanacci dei primordiali “zvončari”, riposti insieme al corredo di pellicce e maschere bestiali, sono ammutoliti. Tuttavia, prima di chiudere definitivamente questo capitolo non posso non ricordare “en passant”, il leggendario carnevale fiumano del 1911 - di tipo artistico-culturale - del quale Egidio Milinovich racconta nel suo saggio “I nostri nonni in maschera“, descrivendone la meraviglia. Il titolo del veglione mascherato che strabiliò tutti era “Il regno della musica“. Era organizzato dalla Società degli amici dell’ Infanzia al Comunale. Citando la stampa dell’epoca, il nostro poeta riporta della “festa indescrivibile, il ‘non plus ultra’ dell’eleganza in sala. Alle nove il teatro (Fenice) era zeppo. Quando si alzò il sipario, si udì un ‘oh’ di meraviglia. Da un lato Bach, seduto all’organo, e Beethoven sul cui capo una musa deponeva una corona d’alloro; Haydn, circondato di fanciulli graziosissimi; più sotto il sacerdote Sarastro dal ‘Flauto magico’ accanto alla regina della notte, tutta avvolta nei veli fluttuanti trapunti di stelle. Mozart e Schubert, Chopin, Liszt. Wagner, Verdi, e insomma tutti i celebri compositori del firmamento musicale facevano parte dell’impareggiabile, geniale allegoria“. Capito che tempi tiravano? A che cosa si tendeva, a che si anelava? E tutto ciò perché non c’era la televisione! Oggi come oggi chi mai distinguerebbe Wagner da Brahms o da Liszt? Tuttalpiù Brad Pitt da George Clooney (chissà che la nostra CI, un giorno o l’altro, non decida di partecipare al carnevale cittadino, magari con una bella allegoria del Rinascimento italiano con tanto di Dante, Petrarca e Boccaccio, o similia). E poi noi abbiamo Sanremo. Ah, Sanremo! Riflesso perfetto di una società in crisi! Obitorio della fu canzone italiana! Crogiuolo “inverigolado” di rimuginazioni (pseudo) filosofiche, psicanalitiche, nevrotiche, sociologiche ecc. Finito Sanremo hai bisogno dello psicanalista. Per rielaborare i traumi. Albano Magno ha fatto notare che trent’anni fa erano i compositori a scrivere le canzoni per i cantanti. Oggi, no. Oggi sono tutti “cantautori“. “Artisti“, come pomposamente Morandi li appellava. E si sente. Canzoni senza melodia, amorfe, campate per aria, mormorate-biascicateurlate, con gli accenti sbagliati, con gli accordi che pendono solitari e vuoti, come buttati a casaccio...Mah, forse, ‘ste “canzoni” saranno frutti del “caso“; della “teoria della relatività”, o forse della legge di “gravità”. Sono infatti così relative e nebulose che non me ne ricordo neanche una, nemmeno un pezzetto. Credo che neanche Mozart ci riuscirebbe. Non che quella di Emma non faccia riflettere, e amaramente, o che, parzialmente, non si salvino le canzoni di Nina Zilli o di Finardi, però sono le eccezioni (non eccezionali) che confermano la regola rispetto al “trend” dominante. Vabbè. Parliamo di cose serie. Dei salmi penitenziali, per esempio (salmi 6, 32, 38, 51, 102, 130, e 143, oppure 6, 31, 37, 50, 101, 129 e 142 nella numerazione greca). Magnifici. Sembrano fatti apposta per il nostro tempo. Specialmente il “De (s)profundis” (che si recita nella liturgia dei defunti.) Ma anche il “Miserere” (50-51, salmo penitenziale per eccellenza), mi sembra abbastanza adatto a noi. Ora, battute a parte, questi potenti versi salmodici (per certi aspetti terrificanti) scritti tre millenni or sono, principalmente da re David, hanno ispirato il fior fiore dei compositori della musica colta europea; nonché Dante e Petrarca. E ancora oggi fanno vibrare certe corde. Forse perché nell’uomo, nonostante tutto, c’è un bisogno di riscatto, di redenzione, di catarsi; una necessità di non rimanere costantemente nella “melma”. A proposito di salmi, è noto un aneddotto legato al “Miserere” di Gregorio Allegri, per coro a nove voci a cappella, composto probabilmente intorno al 1630, durante il pontificato di Urbano VIII, che si eseguiva a luci spente nella Cappella Sistina durante il mattutino come parte del servizio delle tenebre della Settimana Santa. È l’ultimo dei dodici miserere composti e cantati in Sistina dal 1514 ed è anche il più famoso. Il brano era considerato così sacro che il papa, per preservarne l’unicità, proibì che fosse trascritto e che le eventuali copie uscissero dalla Cappella Sistina, tanto che l’esecuzione altrove era punita con la scomunica. Senonché il quattordicenne Mozart in visita a Roma, ascoltò il detto “Miserere” l’ 11 aprile 1770 durante il servizio del Mercoledì Santo. Lo stesso giorno, lo trascrisse interamente a memoria. Il padre di Wolfgang, in una lettera alla moglie comunicò che: “ A Roma si sente spesso parlare del famoso ‘Miserere’, tenuto in tanta considerazione che ai musicisti della cappella è stato proibito, sotto minaccia di scomunica, di portarne fuori anche una sola parte, copiarlo o darlo a chicchessia. Noi però l’abbiamo già, Wolfgang l’ha trascritto a memoria, e, se non fosse necessaria la nostra presenza al momento dell’esecuzione, noi l’avremmo già inviato a Salisburgo...“ (Deh, gli infidi! Un palese caso di “spionaggio artistico“! Nda) Quando la consorte rispose preoccupata, Leopold precisò nella lettera successiva: “ Non c’è la minima ragione di essere in ansia... Tutta Roma e persino il Papa stesso sa che l’ha trascritto. Non c’è assolutamente niente da temere, al contrario, l’impresa gli ha fruttato un grande credito.” Dopo la trascrizione di Mozart, la minaccia della scomunica venne tolta. Evidentemente il papa vide nel genio di Wolfy un dono dall’Alto di fronte al quale rivedere i “santi” provvedimenti. Penitenzialmente Vostra 2 musica Mercoledì, 29 febbraio 2012 L’INTERVISTA Massimo Brajković, l’affermato e versatile compositore connazional Tematiche differenti richiedono li di Helena Labus Bačić POLA – Massimo Brajković è uno dei compositori più prolifici e versatili nel panorama della musica colta in Croazia, sempre alla ricerca di nuovi modi di espressione. Nel corso della sua carriera, Brajković ha esplorato numerose forme musicali, cimentandosi pure in diversi stili e spaziando, così, dall’impressionismo alla musica elettronica, dalla musica atonale fino a un linguaggio più “classico”, ovvero uno stile più tradizionale. Massimo Brajković nasce a Rovigno nel 1955. Completa gli studi di composizione all’Accademia di Musica di Lubiana nella classe di Dane Škerl nel 1977, mentre nel 1978 si laurea in pianoforte nella classe di Marjan Lipovšek. Dal 1979 lavora come insegnante e preside presso la Scuola di Musica di Rovigno, dal 1982 tiene il corso di Forme musicali e stili al Dipartimento di musica dell’Università “Juraj Dobrila” di Pola, di cui è professore ordinario dal 2004. Dal 2002 fino al 2007 ha ricoperto la carica di vicepreside. Ha vinto vari premi e riconoscimenti: nel 1979 il premio Prešern come miglior studente dell’Accademia di Musica di Lubiana per la Sonata per fagotto e pianoforte, il Premio Istria Nobilissima nel 1992 per l’Ouverture concertante, nel 1994 (Mutationesextremaenoctis), nel 2001 (Mongolest, il concerto per flauto, fagotto e orchestra d’archi) e nel 2006 (Recitativo concertante per fagotto e fisarmonica). Nel 1998 viene insignito della Medaglia della città di Rovigno per la promozione della cultura musicale. Affermazioni importanti Le opere di Massimo Brajković, eseguite alla Tribuna musicale internazionale ad Abbazia, all’Estate di Pola, al Festival estivo di Rovigno, alla Rassegna Smaregliana, alle Serate musicali di Osor, alle Giornate di Zajc a Fiume, agli Incontri internazionali di musica da camera nel castello Gresoney a Milano e anche in concerti a Mosca, Vienna, Bruxelles, Ca- gliari, Venezia, Torino, Lubiana, Zagabria, Osijek, Portorose, Rovigno, Parenzo, Abbazia e Fiume, sono state interpretate da orchestre come la Filarmonica di Zagabria, l’Orchestra da camera croata, l’Orchestra sinfonica del Teatro Nazionale Istriano di Pola e altre. Finora ha inciso quattro Cd con la propria musica. Una carriera di tutto rispetto che ci ha dato non pochi spunti per conoscere da vicino il rinomato compositore istriano. - Quando ha iniziato a comporre e come ha scoperto questo suo talento? Nella composizione il 90 per cento è rappresentato dal talento – un dono comune a tante persone -, mentre il rimanente 10 p.c. è lavoro, ovvero la volontà di sviluppare il talento, il che è una qualità molto più rara. Quando una persona trova sé stessa, ossia scopre il proprio talento, ha raggiunto un traguardo molto importante. Si tratta di un vero e proprio capitale, il più grande di questo mondo. Ho scoperto questo capitale già alle medie superiori. La musica mi “perseguitava”, per così dire, e già a quell’età iniziai a comporre. Al termine della scuola media superiore, dove avevo studiato pianoforte, fisarmonica e teoria musicale, intrapresi lo studio di composizione e di pianoforte all’Accademia di musica di Lubiana. che fare con la musica. Provengo, infatti, da una famiglia di agricoltori, di persone strettamente legate alla terra, il che mi riempie di orgoglio. Anch’io sono molto legato alla terra e alla natura, che mi rilassano e mi ricaricano. Proprio di recente ho completato un poema sinfonico, un lavoro molto impegna- Un compositore dovrebbe essere capace di servirsi di ogni genere e stile musicale e quindi spaziare dalla musica atonale a quella ambientale, dal folklore alla musica cinematografica - Deve essere stato molto impegnativo seguire tre indirizzi alla Scuola media di musica… Era fisicamente impegnativo, ma non lo percepivo come uno sforzo perché amavo ciò che facevo. I miei genitori mi hanno appoggiato e incoraggiato nello studio della musica fin dall’inizio, anche se loro non avevano niente a tivo, e per rilassarmi sono andato a cogliere olive. Anche Giuseppe Verdi si rilassava a suo tempo lavorando nei campi. - Torniamo all’inizio della sua carriera di compositore. Già da studente è stato insignito del premio Prešern... Sono molto grato al professore Dane Škerl, che è un rinomato compositore sloveno, per avermi indirizzato molto presto durante gli studi. Già al terzo anno alcune mie composizioni erano state eseguite per la prima volta nella Fortezza di Petrovaradin, nella quale si trova l’Accademia di Musica di Novi Sad. Il mio opus musicale ha inizio proprio in quegli anni. Tra le composizioni che sono state eseguite in quell’occasione c’è stata la Sonata per fagotto e pianoforte per la quale avevo vinto proprio il premio Prešern. Subito dopo la laurea sono andato a prestare servizio militare a Sarajevo ed è proprio lì che mi è stato consegnato il premio. Dall’ impressionismo all’atonalità Se fossi Bach, non spazierei di certo da uno stile all’altro e da un genere all’altro. Come sappiamo, all’epoca di Bach era consueto attenersi a uno stile, quello barocco, ed esplorarlo al massimo. Direi che Bach ha già composto tutto nella musica, mentre gli altri compositori hanno soltanto cercato di trovare un proprio linguaggio. Oggigiorno le cose stanno diversamente rispetto ai tempi di Bach, e nel campo della musica colta vige la democrazia. Nel mio lavoro sono libero di usare come mezzi espressivi tutte le forme e stili musicali. Nel caso volessi comporre un brano neobarocco non andrei, ovviamente, a citare Bach, però potrei benissimo scrivere una fuga atonale, oppure una composizione ispirata all’impressionismo, come lo è il mio brano “Što sanja otok” (Cosa sogna l’isola). Negli anni dell’Accademia di Musica sono venuto per la prima volta a contatto con la musica atonale, il che è stato un enorme cambiamento per me. Confesso che al primo anno di studi non ho dormito praticamente per due mesi. Rimuginavo ininterrottamente sulla frase che il mio professore mi aveva detto durante la prima lezione all’Accademia: “Massimo, ora devi dimenticare tutto quello che sai”. Non l’ho mai scordata. L’obiettivo era chiaro: dovevo “ripulire” la mente da tutte le conoscenze precedenti in modo da attivare la mia creatività e svilupparmi senza essere condizionato da preconcetti. Al termine degli studi mi sono lasciato andare e nella mia musica è “entrata” l’Istria. In quel periodo è nato il balletto “Mosaico istriano”. Ultimamente ho invece iniziato a comporre musica vocale. Infatti, da giovane ero particolarmente insofferente verso la musica scritta per la voce per il semplice motivo che non possiedo alcun talento vocale. La mia logica era semplice: non chiedo agli altri di fare quello di cui io non sono capace. - Qual è stata la sua prima composizione? Da adolescente ero innamorato dell’impressionismo, che è uno stile che all’epoca mi calzava a pennello. Come tutti sappiamo, l’adolescenza è un periodo in cui si sogna, in cui abbiamo la testa fra le nuvole... Ero affascinato dalla musica di Claude Debussy che ha, ovviamente, influenzato i miei primi lavori. Dovette passare parecchio tempo prima che mi liberassi dell’influenza dell’impressionismo e cominciassi a comporre con la testa libera da ogni influsso esterno. C’è una cosa che devo dire: i compositori sono, in effetti, degli attori. La maggior parte di loro adotta un determinato stile oppure si lega a un certo strumento, ma dovrebbe invece essere capace di servirsi di ogni sorta di genere e stile musicale e quindi spaziare dalla musica atonale a quella ambientale, dal folklore alla musica cinematografica. Come un attore deve essere capace di recitare ogni tipo di ruolo, così anche un compositore deve sapersi servire di ogni espediente musicale e adeguarlo alla situazione. Infatti, diversi temi e spunti richiedono diversi approcci. A volte un tema richiederà una struttura armonica più “tradizionale”, menCinque CD tre in altri casi mi lascerò andare ad armonie atonali. significativi - Può riassumere lo sviluppo In questo contesto vorrei rilevadella sua attività di compositore e la sua musica? Ha iniziato con re che sto preparando il mio quinto l’impressionismo. Come è conti- CD, che sarà basato in prevalenza sulla musica vocale. Uno dei branuato questo suo percorso? musica 3 Mercoledì, 29 febbraio 2012 le, racconta il suo personale percorso creativo e le sue riflessioni sulla musica inguaggi stilistici variegati ni inclusi nel disco è un vocalizzo interpretato dalla primadonna del Teatro Nazionale Croato, Marija Kuhar Šoša. Il Cd sarà intitolato “Massimo da solo”. Ciascuno dei miei CD contiene una selezione particolare di composizioni. Il primo è incentrato sulla musica elettronica, ovvero sul balletto “Mosaico istriano”, la cui prima rappresentazione si è tenuta al Teatro Nazionale Istriano. Il secondo contiene il balletto (o meglio dire, il “teatro danzante”) intitolato “Priča iz Rovinjske šume“ (Racconto del bosco rovignese), mentre il terzo disco è basato sulla musica sinfonica. Il CD è stato registrato nel 1997, nell’ambito del concerto che si è tenuto in occasione dei vent’anni della mia carriera nella Chiesa di Sant’Eufemia, dove la mia musica è stata eseguita nientemeno che dall’Orchestra sinfonica della Radiotelevisione croata. È stato questo un grande onore per me e sono riconoscente alla Città di Rovigno per aver appoggiato e reso possibile questo progetto. Infine, di recente è uscito il quarto disco, intitolato “Massimo da camera” e incentrato, come si può intuire dal titolo, sulla musica da camera. Vi sono inclusi complessi di vario genere e anche un coro da camera. Il primo brano si intitola “Što sanja otok” (Cosa sogna l’isola), mentre l’ultimo si chiama “Capriccio in bitinada” e viene eseguito da un coro da camera. Vorrei soffermarmi su quest’ultimo per spiegare il perchè di questo titolo. Si tratta di un modo piacevole di fare musica, utilizzando soltanto il sintetizzatore, il quale racchiude tutte le sfumature di suoni possibili e immaginabili. Il compito del compositore è di creare un “cocktail“ di suoni sfruttando tutte le possibilità che offre questo apparecchio. Il risultato è ancora più interessante se vi vengono inclusi pure elementi di musica concreta (genere che si basa sui suoni prodotti dagli oggetti e dai fenomeni che ci circondano, come, ad esempio, il fruscìo delle foglie, il rumore delle automobili, e via dicendo, nda). la Regione Istriana e ultimamente il Gruppo Adris. L’emergere delle origini istriane - Cosa la ispira? Quanto è presente l’Istria nelle sue opere? Dieci anni fa, l’Istria era poco presente nelle mie composizioni. La sua influenza si è fatta sentire con il “Mosaico istriano“, e da lì in poi è sempre presente. La scala istriana è un fenomeno molto particolare, anche se non è originaria dell’Istria. Anche nelle composizioni di Skrjabin e Stravinski troviamo elementi di questo siste- mavera“ e l’impatto fu tale che riecheggia ancora oggi. Stravinski usò una varietà incredibile di tecniche compositive in questa straordinaria composizione, anche se la prima esecuzione fu un disastro. Il pubblico all’epoca non era ancora capace di percepire una musica così diversa da tutto quello che l’aveva preceduta. Oggigiorno, invece, viene considerata una delle composizioni più importanti del XX secolo. - Come commenta il giudizio di alcuni critici di Arnold Schönberg, che definirono la sua come “antimusica“? Il suo esperimento ha “liberato“, in un certo senso, la musica e le ha dato una nuova direzione, sconfinando addirittura nell’anarchia. Nonostante avesse un sistema preciso, questa musica aveva lo scopo di illustrare appunto l’anarchia. In un certo momento, però, è entrata in un vicolo cieco. Cosa ci resta da fare nel momento in cui ci troviamo in un vicolo cieco? O torniamo sui nostri passi, o iniziamo a scavare un tunnel per vedere dove ci porti. - Qual è la sua opinione sulla Tribuna di Abbazia e la Biennale di Zagabria? Una bitinada «capricciosa» Infatti, essendo rovignese non potevo trascurare la grande tradizione vocale della mia città, che si rispecchia appunto nelle bitinade. Finora, però, non è ancora stata scritta una bitinada che rientrasse nel contesto della musica colta, ovvero una bitinada “da concerto”. Come sappiamo, nella bitinada c’è la voce principale che canta il testo, mentre le altre voci fungono da accompagnamento imitando il suono di vari strumenti. Avendo già le voci al posto degli strumenti veri e propri, non c’era bisogno di strumenti veri. Inoltre, dal momento che non avevo nemmeno il testo, ho praticamente fuso una forma strumentale, il capriccio, con una forma vocale, che è la bitinada. È nato così il “Capriccio in bitinada”. Una combinazione alquanto insolita, direi... Questo pezzo, piuttosto impegnativo, è stato eseguito dal coro “Ivan Filipović“ di Zagabria, diretto dal maestro Goran Jerković. Ho composto in seguito una bitinada per coro femminile, questa volta sul testo del mio amico Vlado Benussi, nella quale ho fatto ritorno alle armonie impressioniste che mi affascinavano da ragazzo. Si tratta piuttosto di sprazzi di armonie impressioniste con le quali rivivo i miei inizi di compositore, anche se dopo tanti anni e tante esperienze questa rivisitazione risulta immensamente più ricca e profonda di quanto sia stata ai tempi della mia adolescenza. Parallelismo creativo - Lei si occupa pure di musica elettronica... - Compone musica elettronica in contemporanea con altri brani? Certo. Lavoro in parallelo su tre o quattro spartiti. Una composizione mi ispira a incominciarne un’altra, e via di seguito. Per questo motivo, la mia scrivania è sempre ricoperta di diversi spartiti. - Usa il pianoforte per comporre? Non uso mai il pianoforte per comporre. Sto seduto alla scrivania e scrivo la musica che sento nella mia mente. Il pentagramma è per me quello che la tela è per un pittore. Io disegno con le note e lo faccio direttamente sulla carta, come il pittore dipinge direttamente su tela. Per iniziare a scrivere musica ho bisogno di un’idea e nel momento in cui questa si presenta, lavoro abbastanza velocemente. - Si può vivere componendo musica? Direi di no. Sono pochissimi i compositori che riescono a vivere in maniera dignitosa occupandosi soltanto di composizione. Tra questi mi viene in mente Ennio Morricone, che si è cimentato con grande successo nella musica cinematografica. Nella storia della musica ci è riuscito soltanto Giuseppe Verdi. Gli altri hanno vissuto sull’orlo della povertà, oppure godevano del sostegno di mecenati. Oggi vengono chiamati sponsor. Anch’io mi avvalgo dell’aiuto degli sponsor, ai quali sono molto riconoscente: la Città di Rovigno, ma tonale, il che è una prova ulteriore che la scala istriana non sia nata nella penisola. Gli studiosi hanno appurato, infatti, che questa proviene dall’India, come anche le “roženice“ e le “sopile“. È interessante il fatto che, una volta arrivata in Europa, si sia concentrata in un territorio così circoscritto. Per quanto riguarda le mie composizioni, sarebbe veramente strano se io, da istriano, non usassi la scala istriana nella mia musica. - Qual è il suo compositore preferito? Ammiro diversi compositori. Il primo è Palestrina, seguito da J.S.Bach, e infine Igor Stravinski. Quest’ultimo fece una vera e propria rivoluzione nella musica nel 1913 con la sua “Sagra della pri- Per ogni compositore, la Tribuna di Abbazia rappresenta un trampolino di lancio. Per me è stata importante già ai tempi dell’Accademia. Ho partecipato praticamente a ogni edizione della Tribuna e ho preso parte anche alla Biennale di Zagabria. Si tratta di manifestazioni importanti e di qualità. Ospiti della Biennale sono stati anche Igor Stravinski e Krzysztof Penderecki. - Quale valore hanno per Lei i numerosi premi che ha vinto? Sono molto importanti per me. Soprattutto il premio Prešern. Sono molto legato anche ai premi del concorso Istria Nobilissima. Da compositore istriano, sento che è una cosa naturale per me partecipare a questo illustre concorso. 4 mus Mercoledì, 29 febbraio 2012 A LA RECHERCHE DE LA MEMOIRE PERDUE Le ispirate pagine organistiche di un co «26 Preludi per organo» le ultime di Patrizia Venucci Merdžo U na pioggerellina sottile e gelida fustiga spietatamente l’acciottolato ed il marciapiede della via. Una figura alta, distinta, corpulenta, avanza frettolosa – avvolta in un pastrano che, decisamente, ha conosciuto tempi migliori – preoccupata unicamente di non sciupare il prezioso involucro, una mappa grigia che gelosamente stringe sottobraccio. Il viso intelligente, sensibile, illuminato da occhi chiari, che sembrano guardare aldilà e al di sopra della materialità contingente, rincorrendo sogni e mondi tutti suoi, è incorniciato da una folta barba, da una capigliatura fluente e corvina, rischiarata da bagliori ramati. Canta. Canta sempre. Anche per strada, a mezzavoce, tutto preso dai suoi pensieri: “Mi, do, si, la, si-do-re-do-si-la, sol-si-la-sol-mi… sol-si-la-sol-mi… Bene, bene… E gli accordi paralleli di settima diminuita nel preludio? E le progressioni iniziali di terza discendente? Sì, sì! Gli conferiscono proprio quella so- lennità grandiosa e ieratica che intendevo”. Due passanti frettolose lo fissano con curiosità e commentano: “Ma che bel tipo! El sta sulla Luna o dove? No ‘l vede gnanche le pozanghere. E poi ti ga visto? El ga due galosce sinistre!”. Due colpi secchi di tosse scuotono l’alta persona. “Ah, questa umidità! Per fortuna che ci siamo”. Una rampa di scale, una scampanellata, una porta che si apre e l’esclamazione cordiale del Nostro: “Oh, buongiorno ingegnere! Guardi, guardi cosa le porto! Sarà contento”. L’ospite entra, corre diritto, diritto all’ imponente organo e appoggia sul leggio, con cura, la mappa grigiae. L’apre, e sul frontespizio della partitura appare la dicitura: “26 Preludi per organo” di Marcello Tyberg. Una dinastia di musicisti Marcello Tyberg, compositore, organista e pedagogo di talento, è stato uno dei personaggi più significativi e di spicco negli ambienti musicali fiumani tra le due guerre, mondiali, nonostante abbia sempre condotto una vita estremamente modesta e ritirata nelòlòa sua casa abbaziana. Nacque in una famiglia di musicisti di razza, e quando affermiamo ciò alludiamo agli quegli eccellenti musici che furono i genitori di Marcello, ossia il padre Marcello senior, esimio virtuoso e concertista del violino, e la madre, Wanda Pottinger (o Paltinger), valente pianista e pedagoga. I Tyberg erano di origine polacca; Marcello senior era nato da Enrico, il 5 novembre 1858 a Babice ed era stato “primo professore” della scuola musicale “Hertzka” a Vienna (1881-’82), primo Maestro Concertista nel Teatro Provinciale di Lemberg e direttore della Scuola musicale pure in Lemberg. Wanda Paltinger Tyberg, di Giovanni nata a Przmysl, invece era “pianista virtuosa”, cioè concertista ed aveva studiato alla scuola di Leschetycki, allievo di con Francz Liszt, trasmettendo e facendo pervenire in questo modo, tramite la sua attività di pedagoga anche nel capoluogo quarnerino, i riflessi diretti di una grande scuola e cultura pianistica europea. L’allievo più insigne della Tyberg fu certamente Bruno Rudan il quale, da buon sportivo, faceva la spola tra Fiume ed Abbazia, dove risiedeva la sua eccellente insegnante, in bicicletta. Pedagogia di alto livello I coniugi Tyberg al tempo dell’Ungheria, tennero, con sede al Palazzo della Cassa Comunale di Risparmio – ossia Palazzo Modello – un “Corso d’Istruzione di Violino e Pianoforte”, vale a dire una scuola dagoghi di primissima qualità, per un costo mensile di fiorini 12. Davvero non bisognava andare a cercare altrove (a differenza di oggi) per farsi una tecnica ed una formazione musicali solide, considerando anche i servigi della Scuola di Musica statale, che fu attiva specialmente tra le due guerre grazie anche alla presenza di quel valente pedagogo, direttore e violinista che fu Angusto Serrazanetti. Maestro concertatore d’eccezione Le sue qualità di musicista di razza, la sua maestria e preziosi consigli, Marcello Tyberg padre ebbe modo di esternarli nel ruolo di maestro concertatore dell’Orchestra Filarmonica di Fiume, la quale operava in seno alla Società Filarmonica Drammatica. “Era un gran vecchio, un aspetto da patriarca con quella fisionomia severa ed aquilina, la chioma folta e candida, la severità ed autorità da gran maestro che emanavano la sua persona. Dotato di forte temperamento, di carattere marcato, si imponeva, trascinava e guidava il corpo orchestrale – gli archi in particolare – con dei movimenti del corpo, del violino, del capo estremamente incisivi e di indiscutibile autorità”. Certo che una volta le scelte tecniche e interpretative del maestro concertatore erano legge. E giustamente, con musicisti di tale rango. Tutto il contrario del marito era invece la signora Wanda Tyberg: piccolina, grassottella, gentilissima, piena di talento. Conosceva tutte le finezze dell’arte sua ed era ritenuta la decana tra le diverse e brave insegnanti di pianoforte operanti a Fiume. La Tyberg, che in gioventù era stata una valente concertista, aveva Era una persona candida, un idealista. Era tutto preso dal proprio mondo, aveva un’anima piena di musica. Era distratto in una maniera addirittura esilarante Una pagina autografa tratta dai Preludi di musica privata. L’istituzione offriva “istruzione di violino e pianoforte a singoli, inclusi i rami indispensabili: teoria generale della musica e teoria dell’armonia, come pure musica da camera ed altri esercizi. Durante l’anno d’istruzione verranno organizzati dei pubblici esami e delle produzioni di scolari”, recitava “ il manifesto pubblicitario” dell’ epoca. Insomma, una scuola di musica a tutti gli effetti e con dei pe- tenuto a Fiume nel 1923, nell’organizzazione della Società di Concerti, un recital nel cui programma figurava pure la “Leggenda” per pianoforte di Marcello Tyberg figlio. Vita grama da musicisti Ma torniamo al nostro barbuto, idealista e squattrinato maestro per la cui bravura e talento avrebbe meritato ben altra fortuna. Invece tirava a campà ben miseramente. Vive- Da Vienna ad Auschwitz. Ed ora la rivalutazione Marcello Tyberg figlio nacque a Vienna il 3 gennaio 1893. Si diplomò in organo e composizione a Vienna - qualcuno sostiene sotto la guida del grande Max Reger - che, manco a dirlo, era, ed è tuttora una Mecca della musica classica, nonché culla dell’ atonalità e della dodecafonia per opera di Schonberg, Webern, Berg. Ed è proprio nel periodo della presenza di Tyberg a Vienna che la capitale austriaca era percorsa e vibrava di tensioni e correnti avanguardistiche. È lecito supporre che pure Tyberg abbia avuto nozione e coscienza di tali fenomeni culturali? Marcello Tyberg figlio, celibe, aveva abitato prima a Fiume, in Viale, e quindi a Volosca, sempre con i genitori. Il padre Marcello, violinista d’eccezione, nato a Babice (Polonia) nel 1858, venne a mancare nel 1927. La madre, Wanda Paltinger, pianista virtuosa, era nata a Przmysl, in Polonia, il 5 marzo del 1869. I Tyberg, da valentissimi musicisti qual erano, avevano avuto rapporti di amicizia e collaborazione artistica sia con il celebre violinista, direttore e compositore Rodolfo Lipizer, che con il grande virtuoso del violino Jan Kubelik (che aveva dimora ad Abbazia, nell’odierno Casinò Rosalia) e con il figlio Rafael Kubelik, uno dei massimi direttori d’orchestra del Novecento. E fu proprio quest’ultimo a dirigere a Praga, nel 1930, la Seconda Sinfonia di Marcello Tyberg, nell’esecuzione della Filarmonica Ceca. Marcello Tyberg figlio compose un “Te Deum”, che fu eseguito il 25 luglio 1943 in occasione della consacrazione dell’ ampliamento della Chiesa dell’ Abbazia di S. Giacomo, nella Perla del Quarnero. Temendo la deportazione in Germania, a motivo di lontane origini ebraiche da parte materna - il bisnonno di Wanda Tyberg era ebreo - consegnò la sue opere al dottore fiumano Milan Mihalich. Purtroppo, Marcello Tyberg - la madre era già venuta a mancare - nel novembre1944 fu deportato a San Sabba, e quindi ad Auschwitz, dove decedette il 31 dicembre 1944. Una fine tragica e crudele che destò profonda tristezza e rimpianto in quanti lo conobbero. Nel frattempo il dott. Micih emigrò negli USA e venne a mancare poco dopo. Il figlio, dott. Enrico Mihich, qualche anno fa provvide alla divulgazione delle opere di Tyberg determinando un’ importante rivalutazione in America, tutt’ora in atto, con esecuzioni da parte dell’Orchestra Sinfonica di Buffalo ed esecuzioni delle sue composizioni da camera. La chiesa di S. Anna in Volosca dov ganista. Compose i Preludi per org niche dell’ orga vano di lezioni, lui e la madre (materie teoriche, composizione, pianoforte, organo) e quando la stagione era bella e la chiesa di S. Anna a Volosca non era troppo fredda e umida, Marcello Tyberg dava anche lezioni d’organo. D’inverno invece vi era costretto a rinunciare a causa della tubercolosi strisciante ai polmoni che da anni lo andava logorando. Oppure, tempo permettendo, veniva a Fiume due volte la settimana a tener lezioni private. Operava come organista e Maestro del coro a S. Anna (faceva lezione a Padre G.), ma gli introiti che il convento passava non erano sufficienti. Ad ogni modo la considerazione della quale godeva negli ambienti musicali (spesso veniva citato nei giornali d’epoca assieme alle sue composizioni) non era neanche lontanamente proporzionale agli effetti materiali che avrebbe potuto e dovuto produrre. Composizioni organistiche di valore “Era una persona candida, un idealista. Era tutto preso dal proprio mondo, aveva un’anima piena di musica. Era distratto in una maniera addirittura esilarante. In un giorno di pioggia mi capitò a casa con due galoscie sinistre. L’aspetto pratico e materiale della vita era del tutto secondario ed anche meno”. È la testiomonianza di quanti lo conobbero. Ma veniamo ai nostri “Preludi”, ovvero ai “26 Preludi per organo – in tutte le tonalità maggiori con le sue tonalità minori relative, secondo l’ordine del circolo delle quinte e delle quarte”, come sta scritto in prima pagina. Le composizioni erano dedicate al committente ed alla di lui sorella: “Ai bravi organisti, signora Wilma Venucci ed il suo fratello Sig. Ing. Remo Venucci in ri- sica Mercoledì, 29 febbraio 2012 5 ompositore tanto valente quanto sfortunato composizioni di Marcello Tyberg La Villa abbaziana abitata da Marcello Tyberg e dai genitori. L’immagine acquista un particolare rilievo in quanto l’abitazione del Maestro finora non era stata identificata ve Marcello Tyberg operò come organo secondo le caratteristiche tecano parrocchiale Una produzione variegata ed affascinante cordo del grave pericolo durante i bombardamenti di Fiume dell’inverno 1944. Abbazia 22 maggio 1944”. I pezzi vennero composti nel febbraio-maggio 1944 e, come fa notare l’autore, in “Alcune osservazioni: i presenti Preludi servono o per uso da Chiesa oppure per il proprio divertimento (oppure, aggiungiamo noi, da eseguire in concerto), e Vi prego di sacrificare un po’ del Vs. tempo a questi pezzetti musicali…” Seguono indicazioni circa la registrazione e l’uso dei manuali: “Gli accenni per i registri debbono dare soltanto un’idea dei colori voluti… sono fatti esclusivamente secondo l’organo della Chiesa di S. Anna di Volosca”. Pezzi piccoli sì, ma ognuno con un suo succo, una sua sostanza, un’idea ben formata e distinta. D’altronde, mai, in nessuna delle arti la mole dell’opera è stata sinonimo o garanzia di qualità. Basta pensare ai geniali lieder di Schubert o Wolf, ai sonetti del Petrarca, alle miniature del Clovio, agli smalti di Luca della Robbia o alla magia dei piccoli quadri di Vermeer, ecc. In base alle notizie finora pervenuteci, l’elenco della produzione di Marcello Tyberg è il seguente: Sonata per pianoforte n. 1 (1914-1920) Allegro appassionato, Larghetto (Tema con variazioni), Rondò Sinfonia n. 1 Allegro molto, (21 gennaio 1922) Adagio (1922) Scherzo (31 dicembre 1922) Finale (Allegro, non troppo) (12 aprile 1924) Leggenda per pianoforte (1923?) Scherzo e Finale per l’Incompiuta di Schubert (1927-1928) Sinfonia n. 2 Allegro appassionato, Adagio (1927), Scherzo (1929), Finale (1931) Sestetto per 2 violini, 2 viole, violoncello, contrabbasso (1931-1932) Allegro non troppo, Scherzo, Adagio molto sostenuto (Tema con variazioni), Scherzo, Finale Messa n. 1, Soprano, Contralto, Tenore, Basso e organo (1933-1934) Sonata per pianoforte n. 2 1934-1935 Allegro con fuoco, Adagio, Scherzo Finale Trio per pianoforte, violino e violoncello (1935-1936) Allegro maestoso, Adagio non troppo, Rondò Messa n. 2, Soprano, Contralto, Tenore, Basso e organo (1941) Sinfonia n.3 Andante Maestoso (4 novembre 1938), Scherzo, Adagio, Rondò (settembre 1943) 26 Preludi per organo in tutte le tonalità maggiori e minori (febbraio-maggio 1944) (dedicati agli organisti fiumani Wilma Venucci e Remo Venucci) 21 Lieder sull’Intermezzo lirico di Heine, 1 Lieder “Rache” su testi di Poridzky 5 Lieder su testi di Daisy von Adelsfeld-Salghetti 1 Ave Maria 6 Lieder Austriaci per piccola orchestra – tre dei quali su testi di Heine 4 Lieder in inglese su testi di Moore e altri Evening Bells (Sir Thomas Moore), To a Flower (Barry Cornwell), My Heart’s in the Highlands (Robert Burns).... 4 Romanze senza parole Linguaggio armonico tardoromantico e impressionista In questi brani, di felice ispirazione, Marcello Tyberg figlio si esprime tramite un linguaggio armonico anche tardo romantico ed a momenti impressionistico (vedi il superbo preludio iniziale), comunque mobile e variegato. Modestamente li definisce “pezzetti”, passando sopra al fatto che cinque preludi sono seguiti da relative sostanziose fughe (richiedenti da parte dell’esecutore un notevolissimo impegno tecnico) – brani che si prestano benissimo all’esecuzione concertistica – più il fugato finale a tre voci. Frontespizio autografo dei “26 Preludi per organo” La preferenza di Tyberg per la polifonia emerge pure nei tre canoni presenti nella raccolta. Delicati idilli e slanci lirici si palesano nelle sei pastorali mentre in altri il senso squisito della melodia a volte di atmosfera ed ascendenza ebraiche. Infatti, Marcello Tyberg, viennese di origine polacca, aveva lon- tane ascendenze ebraiche per parte materna. Pezzi deliziosi, pezzi che “ti prendono”. Sarebbe interessante presentarli integralmente, un giorno, in esecuzione concertistica. Ciò rappresenterebbe un’iniziativa culturale di rilievo, in particolar modo per l’area quarnerina il cui importante passato musicale è anco- ra da scoprire, studiare e rivalutare. Ad ogni modo qualunque sia stata la motivazione del committente dei 26 “Preludi” – sicuramente stima e, non ultima, la volontà di “dare una mano” ad un maestro tanto di valore quanto squattrinato – non possiamo che rallegrarcene; intanto perché (per quanto ne sappiamo) è una delle poche opere di maestri d’anteguerra fiumani pervenute fino a noi, e poi perché questi frutti musicali rimangono a testimonianza di un’ ”anima bella”, di un’intelligenza ricca di intuizioni che ha operato tra noi e la cui opera è destinata ad elevare ed arricchire quanti sono in grado di riconoscere il valore della vera arte. 6 musica Mercoledì, 29 febbraio 2012 MUSICA ROCK Ritorno alla grande del gruppo fiumano che nel anni ’80 ha segnato in I «Fit» compiono trent’anni: energia di Ivana Precetti Da sinistra Zorko Opačić, Davor Lukas, e Miro Tešević. Dietro, Alen Tibljaš S i era parlato tanto, negli ultimi tempi, di un probabile “come back” dei Fit, gruppo fiumano che ha segnato gli anni Ottanta influenzando in maniera indelebile, assieme ad altre band dell’epoca, la “new wave” del capoluogo quarnerino. Un loro ritorno era, dunque, nell’aria da un bel po’. E forse non è soltanto un caso che abbiano scelto proprio il 2012 per ripresentarsi ai loro fan. Quest’anno festeggiano, infatti, i.. primi trent’anni di vita: tre decenni trascorsi troppo in fretta, ma durante i quali la loro stella ha brillato sempre di luce propria. Sì, perché i Fit, in qualche modo, sono sempre rimasti qui, nascosti da qualche parte, a vegliare sulla scena musicale di Fiume, quella rock per intenderci e non altre venute dopo (sigh!), di cui faremmo volentieri a meno. L’8 febbraio scorso i Fit (oggi ne fanno parte i membri originari, il cantante Davor Lukas, il chitarrista Zorko Opačić e il bassista Miro Tešević mentre il batterista Siniša Banović è stato sostituito da Alen Tibljaš) hanno tenuto a Zagabria il primo concerto del loro “Fit Winter Tour”, la tournée regionale che ha segnato il loro ritorno e che per tutto il mese di febbraio li ha visti suonare, oltre che in Croazia (oltre al concerto zagabrese il gruppo ne ha tenuti altri due a Fiume, il 10 e l’11 febbraio allo “Stereo”), anche in Bosnia ed Erzegovina e in Serbia. Li abbiamo incontrati in vista delle loro performance fiumane, per chiedere loro sem- plicemente... “come va”, come e quanto siano cambiate le loro vite dall’ultima esibizione, avvenuta all’inizio degli anni Novanta, poco prima che si sgretolasse la Jugoslavia. - Iniziamo col vostro concerto di apertura del tour che avete tenuto al Boogaloo Club di Zagabria. Com’è andata? È stato come ai vecchi tempi? Davor: “Benissimo, direi. I nostri concerti sono sempre pieni di energia, carichissimi, li definirei ‘maschi’ e il pubblico che ci segue lo sa. Sa benissimo che cosa si può aspettare quando saliamo sul palco, sa che comunque vada potrà godere di un buon suono power pop. Il tour è stato un gran bel successo, a parte i rinvii dovuti al recente maltempo, e siamo più che contenti”. - Torniamo ai vostri inizi. Come sono nati i Fit? È stato in un’epoca particolare per Fiume e per la sua scena musicale. Vi aspettavate un simile successo? Il fatto che sareste diventati uno dei gruppi culto, una delle band più amate? Come nascevano le vostre canzoni? Come si viveva in città negli anni Ottanta dal punto di vista della musica? “I Fit sono nati come band scolastica ai tempi della new wave fiumana. Era un’epoca in cui i giovani vivevano per la musica, in cui era importante far parte del panorama musicale, avere una band, occuparsi di musica. Andavamo ai concerti di quasi tutti i gruppi attivi in quegli anni, ci frequentavamo a vicenda, andavamo anche L’8 febbraio scorso i Fit hanno tenuto a Zagabria il primo concerto del loro “Fit Winter Tour”, la tournée regionale che ha segnato il loro ritorno e che per tutto il mese di febbraio li ha visti suonare, in Croazia, in Bosnia ed Erzegovina e Serbia da sempre le melodie, a casa, sulla sua chitarra acustica. Poi le registrava su una cassetta e le portava alle prove. Noi le ascoltavano e appena allora componevamo i testi. Succedeva raramente il contrario. Non importava, però, chi avesse scritto o composto qualcosa. Importava soltanto il risultato, la canzone. Era importante che questa piacesse a tutti e quattro. In gran parte succedeva che se piaceva a noi, sarebbe piaciuta anche al pubblico. Era un’epoca d’oro per noi giovani. Si viveva bene. Avevamo il sostegno dei genitori, degli amici, delle fidanzate di allora. Eravamo fermamente convinti che con la giusta tenacia saremmo arrivati lontano, che le nostre canzoni avrebbero trovato una «Gli anni ‘80 erano un’epoca d’oro per noi giovani. Si viveva bene. Avevamo il sostegno dei genitori, degli amici, delle fidanzate di allora. Eravamo fermamente convinti che con la giusta tenacia saremmo arrivati lontano» alle prove, sapevamo tutto gli uni degli altri, parlavamo sempre soltanto di questo. Eravamo informati su tutto ciò che succede, anche se all’epoca non esistevano ancora né telefonini né Facebook. Eravamo – e lo siamo tuttora – pieni di idee, ascoltavano tutto quello che valeva qualcosa. In quanto ai nostri brani... Zorko componeva loro strada sulle emittenti radiofoniche, che un giorno avremmo finalmente registrato e pubblicato un disco. E così è stato. La musica e la band erano le nostre priorità assolute e niente era più importante di questo. Col tempo siamo diventati sempre più bravi e sicuri del fatto nostro. Ore e ore di prove ci hanno permesso di migliorarci sempre di più. Per noi era naturale suonare in qualsiasi momento libero, quotidianamente. Tenevamo le prove negli spazi del comitato di quartiere di Volosca, dove ci era concesso suonare per tutta la notte. Capitava che facessimo le sei di mattina... Facevamo un ‘giro’ e correvamo a scuola ad Abbazia, talmente eravamo pazzi di musica e pieni di energia. Era un godimento totale”. - Vi aspettavate che i vostri primi due album, “Uz rijeku“ (1988) e “Daj mi ruku“ (1989), ottenessero un simile successo? Quale – o quali – brano preferite? Com’è la situazione oggi, per i giovani che vorrebbero occuparsi di musica? Miro: “No, non pensavamo al successo prima di conseguirlo. Ogni passo fatto, una nuova canzone, un demo, un concerto, per noi era già un successo. Lo costruivamo per anni. E lo stiamo costruendo tuttora. La mia canzone preferita era ‘Uživaj’ perché era potente e positiva. Tracciando un parallelo con i giovani di oggi, devo dire che per noi era più facile. Noi vivevamo per la musica ma avevamo anche dove suonare, dove uscire, dove ascoltarla. L’argomento è molto complesso e ampio e potrei parlarne per ore per cui lo lascerei per un’altra occasione”. - L’inizio della guerra ha segnato la vostra carriera: avete smesso bruscamente di suonare... Quanto ciò vi ha cambiato la vita? musica 7 Mercoledì, 29 febbraio 2012 maniera indelebile la «new wave» del capoluogo quarnerino pura per il «come back» più atteso IL QUIZ 1. Il brano “I will always love you”, cantato dalla diva americana Whitney Houston, mancata di recente, è uno dei singoli più venduti nella storia della musica. Pochi sanno, però, che è stato scritto nel 1974 da una delle maggiori cantanti americane del genere country. Chi è? a) Faith Hill b) Dolly Parton c) K.D.Lang 2. “Vide Cor Meum” è una canzone composta da Patrick Cassidy basata sulla “Vita Nuova” di Dante Alighieri, in particolare sul sonetto “A ciascun’alma presa”, nel capitolo 3 della “Vita Nuova”. Lo struggente brano apparve per la prima volta in uno dei film che hanno come protagonista il più famoso cannibale della storia, Hannibal Lecter, impersonato dal rinomato attore Anthony Hopkins. Il titolo del film è... a) Il silenzio degli innocenti b) Red Dragon c) Hannibal 3. La musica classica e moderna viene da secoli annotata mediante l’uso di “note musicali”, mentre nel Medioevo, a partire dal IX secolo, nel canto gregoriano viene usato il “segno”, detto in greco… a) Neuma b) Virgula c) Punctum le vendere on-line i propri dischi a un prezzo simbolico. Postare gli album sul web è il primo scalino verso questa opportunità”. «Nel futuro ci attendono esibizioni ai festival estivi, la realizzazione di un dvd col documentario ‘La colpa è tutta del rock’n’roll’. In primavera pubblicheremo inoltre il nostro album su vinile» sione di ‘scavalcare’ i mediatori e di arrivare direttamente al pubblico, con un semplice clic. Prevedo che prossimamente sarà possibi- -Quali sono i vostri piani imminenti? Davor: “Dopo questo mini tour, ci attendono esibizioni ai vari festival estivi. Abbiamo in piano anche la realizzazione di un dvd col documentario ‘La colpa è tutta del rock’n’roll’. In primavera pubblicheremo inoltre il nostro album su vinile”. - Per finire, che cosa ascoltate privatamente? E come ve la spassate quando non suonate? Zorko: “Seguiamo tutte le nuove uscite discografiche, quelle rock per intenderci. Ci piacciono i Muse, gli Skunk Anansie, i Black Keys, Noel Gallagher... Oltre ad ascoltare musica, ci dedichiamo alla famiglia e agli amici. E quando il tempo ce lo concede, ci concediamo qualche bel viaggetto”. 4. Chi è l’autore della famosa colonna sonora, composta nel 1972, de “Il padrino”, considerato uno dei migliori film nella storia del cinema e diretto da Francis Ford Coppola? a) Dario Marianelli b) John Williams c) Nino Rota 5. Chi fu il direttore d’orchestra, ritenuto da molti suoi contemporanei - critici, colleghi e pubblico - il più grande della sua epoca, che diresse le prime mondiali di numerose opere, di cui quattro entrarono a far parte del repertorio operistico classico (Pagliacci, La Bohème, La fanciulla del West e Turandot)? a) Herbert von Karajan b) Arturo Toscanini c) Fritz Reiner 6. È uno strumento a fiato di forma globulare allungata generalmente costruito in terracotta. Aerofoni del genere, genericamente noti anche come “arghilofoni”, quando costruiti in argilla, sono strumenti molto antichi e diffusi presso numerose civiltà arcaiche. La sua versione moderna, impiegata nella musica occidentale, fu inventata in Italia, a Budrio, durante la metà del XIX secolo da Giuseppe Donati. La forma ovoidale allungata di questo strumento ricorda il profilo di un’oca privata della testa. Parliamo di… a) Ocarina b) Armonica a bocca c) Flauto di pan 7. Chi ha composto le due popolarissime suite intitolate “Peer Gynt“, tratte dalle musiche da scena scritte per il poema drammatico di Henrik Ibsen nel 1875? a) Edvard Grieg b) Jan Sibelius c) Benjamin Britten 8. Si intitola “American Pie“ la canzone di Don McLean del 1971 che venne rivisitata nel 2000 da una delle maggiori stelle della musica pop americana. Parliamo di... a) Jennifer Lopez b) Beyoncé c) Madonna 9. Questo compositore tedesco venne considerato dai suoi contemporanei successore di Ludwig van Beethoven, mentre la sua Prima sinfonia venne descritta da Hans von Bülow come la “Decima di Beethoven“. Parliamo di... a) Robert Schumann b) Johannes Brahms c) Gustav Mahler 10. “La carriera di un libertino“ è un melodramma in tre atti completato e messo in scena alla Fenice di Venezia nel 1951 e scritto da uno dei più grandi compositori nella storia della musica. Si tratta di... a) Igor Stravinski b) Sergej Rahmanjinov c) Sergej Prokofjev Soluzioni: 1. b), 2. c), 3. a), 4. c), 5. b), 6. a), 7. a), 8. c), 9. b), 10. a). Miro: “Non siamo stati noi a interrompere la nostra attività. Sono stati altri a farlo. E non soltanto a noi. Gran parte delle persone che si sono ritrovate nel caos della guerra, non sono riuscite a reagire. La nostra casa discografica si trovava a Belgrado e lì non si poteva più andare. D’altronde, che senso aveva suonare mentre in tutto il Paese impazzava il conflitto e si diffondeva l’odio tra la gente? Noi non ci siamo ritrovati in tutto questo, abbiamo fatto le valigie e siamo partiti per l’Olanda. Lì è iniziata una nuova vita, con nuove situazioni. Dovevamo ripartire da zero. Tutto quello che avevamo fatto nell’ex Stato, non aveva più senso. Ne parliamo ampiamente nel nostro documentario ‘La colpa è tutta del rock’n’roll’ (‘Rock’n’roll je kriv za sve’)”. - Il vostro terzo album è rimasto irrealizzato. Lo avete poi ripreso? Quanto è presente nel vostro ultimo CD “2011”? Davor: “Sì, ci sono un paio di brani che ci sembravano tuttora attuali e che abbiamo introdotto nel nostro ultimo album. Si combinano alla perfezione con le nuove canzoni create tra il 2010 e il 2011. Abbiamo deciso di postare il CD su Internet e di consentirne lo scaricamento gratis sul sito www.fitrijeka.com. C’è stato un grande riscontro di pubblico con più di 8.000 download. Le reazioni di fan e critica sono fantastiche, la gente ci scrive, si complimenta con noi e ci dà energia per proseguire su questa strada, per migliorarci sempre”. - Perché questa decisione di postarlo gratis sel web? Davor: “Da decenni i musicisti in pratica regalano la propria musica alle major discografiche. Le fette più grandi vanno sempre a quest’ultime e sono loro a dettare le regole. Oggi, con la comparsa di Internet, gli artisti hanno avuto per la prima volta l’occa- 8 musica Mercoledì, 29 febbraio 2012 VITA NOSTRA Il neocomplesso della CI di Fiume si è già fatto apprezzare Le serate danzanti? Ritornano con «I patochi» di Viviana Car “I patochi”, una parola che accomuna un piccolo gruppo di fiumani “veraci” e non, con la voglia di far della buona musica. Un’ idea nata dopo ponderate riflessioni, da un gruppo di amici (e parenti) per dar vita ad un complesso musicale, volto a far divertire i fiumani e i loro amici con un repertorio di canzoni ballabili, prettamente italiane, vecchie e nuove. Costituita da poco, la band “I patochi” vuole divenire un segmento costante, inserito nelle molteplici attività della Comunità degli Italiani di Fiume. Tutti i musicisti sono già membri attivi di una o più sezioni artistiche della SAC “Fratellanza”, ed offrono il proprio contributo già da decenni, alla riuscita di tutte le manifestazioni culturali e musicali che si svolgono a Palazzo Modello. L’idea, come specificato prima, non è nuova e, dai oggi, dai domani, l’ideatore del progetto Sanjin Sanković, maestro della sezione dei minicantanti è riuscito a convincere – e ci voleva poco gli altri a formare il complesso per poter nuovamente offrire musica dal vivo durante i festival dei più piccoli, ma pure durante le serate danzanti organizzate dalla Comunità. All’ appello hanno risposto oltre a Sanjin (chitarra) anche Livio Hubička, membro attivo della mandolinistica che si esibisce al basso, Denis Stefan, presidente della SAC “Fratellanza” e primo mandolino della mandolinistica, il quale oltre a suonare perfettamente la chitarra acustica, possiede doti canore non indifferenti; Lucio Slama, a capo della sezione sportiva della Comunità, attore del Dramma Italiano che ritorna al primo amore, la batteria; e la “più piccola”, ma non meno importante, Martina Sanković, “la Voce”, una passione che cura da tanto tempo. “Ci siamo riuniti per la prima volta nel settembre dell’anno scorso con l’idea di offrire il nostro contributo per dare quel qualcosa in più all’attività della nostra Comunità – spiega Sanjin Sanković -. Il primo intento era quello di avere a disposizione un’ orchestrina che accompagnasse dal vivo le esibizioni canore dei nostri minicantanti. Si trattava praticamente, di un ritorno ai “vecchi tempi” quando il ‘factotum’ zio Severino, al pianoforte, dirigeva i piccoli nel canto e coordinava la musica del complesso presente sul palco. Ecco, questa è stata l’idea che ci ha spronati ad unirci e a riprendere un’attività che con il tempo si era spenta. E siamo riusciti nell’intento. Già in dicembre ‘I patochi’ hanno offerto il loro contributo al festival dei più piccoli. Poi siamo stati invitati dalla dirigenza della Comunità ad esibirci al veglione di Capodanno. Le prime critiche sono state discordanti, e come sempre si sono formate due fazioni: quella degli ‘scontenti’, e quella che ci ha accolto con calore, applaudendo il nostro lavoro. Ambedue le correnti ci hanno spronato ad andare avanti con più fervore ed a impegnarci ancora di più”. Il repertorio viene compilato di comune accordo - anche se Denis Stefan non è sempre soddisfatto della scelta -, ma la maggioranza è quella che alla fine decide. L’elenco delle canzoni varia da esibizione a esibizione, ma prevalgono le canzoni della musica leggera italiana che spaziano dagli anni 60’ fino ai giorni nostri, in quanto la “mula” Martina, ha ‘imposto’ al gruppo di includere anche autori più recenti per attirare i giovani ad assistere alle esibizioni del complesso”. All’ appello non poteva mancare Livio Hubička, valente chitarrista della Mandolinistica e tanta esperienza in numerosi complessi di musica leggera. “Una parola tira l’altra, e sono stato coinvolto nella formazione del gruppo dove suono il basso. Sono sicuro che riusciremo ‘a far carriera’, poiché la volontà è tanta e l’entusiasmo non manca”. E poi chi non conosce Martina Sanković e la sua bella voce. Formatasi nelle file dei minicantanti ha militato nella formazione della Filodrammatica giovani della Comunità per poi studiare canto alla Scuola di Musica di Fiume, rappresenta la componente “giovane” del complesso. Apprezzata cantante dilettante - ha sempre risposto positivamente ad ogni spettacolo a cui ha partecipato - si è unita al gruppo per la passione che appunto nutre per il canto. Oggi Martina, giovane studentessa dell’ Università degli studi di Trieste, ha dovuto lasciare (per ora) la Scuola di musica, ma il suo primo amore, il canto, non lo ha mai abbandonato. “Sono impegnata con gli studi durante la settimana e poi arrivo a Fiume per i weekend ed allora mi diverto a cantare. Non è stato difficile convincermi a far parte del gruppo anche se gli ‘screzi’ con mio padre Sanjin sono all’ordine del giorno per quanto riguarda il repertorio. Apparteniamo a due generazioni diverse, la musica sua non è la mia, ma comunque alla fine prevale il compromesso” ci spiega Martina. L’ultimo, ma non il meno importante, è il batterista Lucio Slama che ritorna al primo amore, la batteria e...“tira fuori gli scheletri dall’armadio”. “Ero da sempre affascinato dal ritmo, e la batteria è ritmo puro, quel qualcosa che ti dà i brividi, che ti fa muovere il corpo inconsciamente. Da troppo tempo – racconta Lucio - avevo lasciato questo strumento che ho imparato a suonare alla fine degli anni 70’ quando con un gruppo di adolescenti abbiamo formato in seno alla Comunità il complesso “Ragno”, che in seguito venne chiamato “Ragno nuevo” e che operò fino a metà degli anni 80’. E guarda caso, allora vi militavano delle persone che ancor oggi ‘bazzicano’ a Palazzo Modello, come la Gianna (Mazzieri Sanković), Flavio Cossetto, Denis Stefan, Ezio Sestan (oggi vive e lavora in Italia) ed io. Dunque, con piacere mi sono aggregato a ‘I patochi’ perché in questo modo ho ripreso a fare musica attivamente”. Tante sono le aspettative di ogni singolo membro de “I patochi” ma quella comune è di far rivivere le serate danzanti alla Comunità degli Italiani dove, con poca spesa, i fiumani, sempre amanti del ballo e del divertimento, ritornerebbero a far “quattro salti” nel magnifico Salone delle Feste di Palazzo Modello. Veglione di Capodanno, il debutto de “I patochi” Anno VII / n. 56 del 29 febbraio 2012 “LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol Superina IN PIÙ Supplementi a cura di Errol Superina Progetto editoriale di Silvio Forza / Art director: Daria Vlahov Horvat edizione: MUSICA [email protected] Redattore esecutivo: Patrizia Venucci Merdžo / Impaginazione: Annamaria Picco Collaboratori: Viviana Car, Helena Labus Bačić, Ivana Precetti e Patrizia Venucci Merdžo Foto: Graziella Tatalović, Goran Žiković