FAMIGLIA ED EBRAISMO PREMESSA Formulare una breve sintesi della visione della famiglia all’interno della religione ebraica, non è semplice. L’ “Israele di Dio” è un popolo antichissimo la cui storia è attraversata da eventi straordinari e forti tensioni dei quali la letteratura sacra e profana ha lasciato larga testimonianza. Tenterò un breve percorso evidenziando le usanze e le prescrizioni che questo popolo si è dato alla luce di ciò che considera essere la sua più intima identità: il Dio Uno, le cui parole sono scritte in un libro: “la Torah”. 1. LA TESTIMONIANZA DELLA TORAH. 1.1 ORIGINE : “Derescit” La coppia è creazione di Dio e la famiglia è la prima prescrizione religiosa data da Dio all’uomo seguita all’atto della creazione: “Dio li benedisse e disse loro: Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate (..) su ogni essere vivente.” (Gen 1,24) La famiglia rappresenta il primo microcosmo in cui Dio dona la sua benedizione: la coppia umana è il luogo di relazione in cui Egli si fa presente e di cui si “preoccupa” personalmente ; la fecondità della coppia umana è per ogni ebreo, segno della benevolenza di Dio. E’ la coppia creata lo spazio in cui il Creatore pone la sua fiducia per la conservazione del mondo tutto, attraverso l’unione dei due, si “riempirà” la terra. E’ al seme di Adamo che spetta, secondo il disegno di Dio, di popolarla e tenerla sotto di sé in Suo nome. L’ uomo e la donna insieme sono l’apice della creazione, presiedono ad essa e la tengono in cura, come il Signore “ha cura di loro”. 1.2 ALLEANZA ED ELEZIONE : “Berit” Nell’Ebraismo il matrimonio viene considerato una "alleanza", alleanza fra due esseri viventi, per natura del tutto opposti, ma che è donata da Dio e nella quale Dio testimone permette che le tensioni naturalmente esistenti fra poli femminile e maschile, vengano riunite in nome di un unione armonica che ha la potenzialità di durare tutta la vita. Questa alleanza è immagine della grande alleanza instaurata da Dio col suo popolo Israele e che ha il suo primo sì di risposta in Abramo, padre del popolo di Israele; la famiglia ha un valore fondamentale: è l’embrione dal quale nasce e si forma ogni nuovo uomo che viene educato alla coscienza di far parte di quel “popolo di Dio”, di quella discendenza che Dio stesso ha scelto e “messo a parte”. La comunità pone al centro la famiglia come un nucleo originante e custodente la loro più originaria identità di creaturalità e vocazione. Ed è la più piccola unità sociale attraverso la quale la cultura e l’eredità ebraica vengono trasmessi e tutelati. L’ebraismo ne fa il baluardo dell’educazione, per la difesa di valori universali vissuti nella quotidianità attraverso la pratica di riti, usi, costumi e regole derivanti dalla tradizione e religione. 1.3. COMANDAMENTO : “Mitzvah” 1.3.1 Il Matrimonio combinato Era considerato un obbligo fondamentale adempiere al più presto al dovere del matrimonio. Quando aveva circa 13 anni, la bambina ebrea riceveva la richiesta di matrimonio. Lei non veniva consultata per questa svolta importante della sua vita, ma erano i relativi padri di famiglia che contrattavano il tutto. Infatti il padre dello sposo andava a parlare, in casa della sposa, proponendo una somma di denaro quale compenso per la famiglia della donna. In tutto questo i due interessati non venivano mai consultati e tutto veniva svolto dalle rispettive famiglie. Era un vero e proprio contratto che si compiva con l'ingresso, nella casa dello sposo, della fidanzata. Le fonti della Bibbia confermano che i matrimoni in epoca biblica sono, in genere, combinati dai genitori di entrambe le famiglie (Gen. 21,21-24, 28,2.) 1.3.2. La famiglia Patriarcale Ogni coppia di sposi si inseriva come un nuovo semino nel campo di una famiglia già formata; di solito era la sposa che entrava nella famiglia del marito: famiglia nuova all’interno di un altra famiglia già consolidata: ecco la famiglia patriarcale. Accadeva che molti fratelli della stessa famiglia vivessero insieme con le rispettive mogli e figli. Il Padre-capostipite presiedeva con autorità, amministrava le sostanze e la giustizia; era figura di riferimento al quale rivolgersi per consiglio e alla quale prestare obbedienza. I membri delle famiglie che facevano parte di questa struttura di sostegno e controllo, anche quando non lo erano di sangue, si chiamavano “fratelli”. Fin dai tempi dei patriarchi il matrimonio non aveva alcuna particolare celebrazione: bastava che lo sposo conducesse la sposa nella camera della madre. Ma quale poteva essere il motivo di quest'usanza è molto significativo: la camera della madre dello sposo era una specie di luogo consacrato all'amore e alla procreazione e pertanto l'introdurvi la sposa voleva esprimere chiaramente l'intenzione dello sposo di considerarla degna di continuare la tradizione della sua famiglia. Per tutto il periodo biblico nessuna cerimonia particolare accompagnò l'unione di due sposi perché considerata un fatto privato, un evento familiare. Quando Abramo volle dar moglie ad Isacco, mandò il suo servo a trovargliela fra i suoi parenti rimasti in Ur Kasdim. La giovane Rebecca piacque al servo che la volle portare al suo padrone; i genitori e i parenti acconsentirono ed anche Rebecca che pur ancora non conosceva il futuro marito. Il testo della Genesi narra molto semplicemente che Isacco, dopo averla incontrata, la condusse nella tenda della madre, la defunta Sara: “Isacco introdusse Rebecca nella tenda che era stata di sua madre Sara; si prese in moglie Rebecca e la amò” (Gen 24,67) Anche nel Cantico dei Cantici vi è qualche cosa di simile per indicare il matrimonio: la pastorella innamorata nel veder il suo amato esclama: “l'ho afferrato per non più lasciarlo, finché lo avrò condotto a casa di mia madre, nella camera di colei che mi ha partorito” (Ct 3,4). Il momento della “camera” sembra segnare l’intenzione, il senso “forte” dell’unione. Questo patto nuziale comunque era festeggiato con un banchetto fin dalla più lontana antichità; ne fa fede il capitolo 29 della Genesi dove si narra del matrimonio di Giacobbe con la bella Rachele, nozze celebrate con un banchetto a cui è invitata tutta la gente del luogo. Che le nozze fossero accompagnate da musica e da canti nelle città della Giudea e per le vie di Gerusalemme è testimoniato da Geremia che, promettendo il ritorno del popolo alla sua terra, profetizzava che in quel tempo sarebbero tornati a risuonare come una volta voci di giubilo e voci di gioia, voci di sposo e voci di sposa. La figura degli sposi e il rito nuziale sono rimasti nella poesia ebraica come immagini di gioia e di bellezza che Isaia cosi descrive: “Io gioisco pienamente nel Signore, la mia anima esulta nel mio Dio, perchè mi ha rivestito delle vesti di salvezza, mi ha avvolto con il manto della giustizia, come uno sposo che si cinge il diadema e come una sposa che si adorna di gioielli” (Is 61,10). Un altra figura sponsale è evocata dal salmista: il sole che sorge ad illuminare la terra è come lo sposo che esce dalla tenda nuziale (Sal 19,5). Sposarsi all'interno della comunità ebraica è, come testimonia la Torah, un comandamento, “mitzvah”, ed è strettamente collegato alla forte opposizione riguardo ai matrimoni fuori dal "clan" o con membri di altre popolazioni: questo preserva l’identità del popolo ebraico ed è anche rimedio all’idolatria. Come numerosi testi biblici attestano. (Es 34,16, Dt 7,3; Gio 23,12; Esdra 9,1-2 e 10,10-11, Nm 10,31). La concezione biblica del matrimonio è essenzialmente monogamica (Gen 2,24) e, benchè ai tempi biblici la poligamia fosse comune tra le classi sociali più elevate (Giudici 8,30; I Re 11, 1-8), molti riferimenti al matrimonio negli Scritti sapienziali sembrano dare per scontato che un uomo abbia una sola moglie. E’ disonorevole non sposarsi. E’ emblematica la storia del profeta Geremia: il fatto che egli non si sposi è segno che Dio si è allontanato dal suo popolo (a causa del peccato) revocando la Sua benedizione: “Così dice il Signore degli Eserciti, Dio di Israele: Ecco sotto i vostri occhi e nei vostri giorni farò cessare da questo luogo le voci di gioia e di allegria, la voce dello sposo e della sposa” (Ger 16,9). 2. RIFLESSIONE POST-BIBLICA. 2.1. COMANDO Un padre ha il dovere capitale di dare in sposa la propria figlia secondo quanto è scritto nel Talmud in riferimento al comandamento: "Non profanerai tua figlia istigandola alla prostituzione" (Levitico 19,29). Così il Talmud insiste sul valore del matrimonio quando cita: "Colui che non si sposa vive senza gioia, benedizione e bontà". Anche gli insegnamenti rabbinici ritengono il celibato innaturale: " Non è chi si sposa a commettere il peccato; il peccatore è l’uomo non sposato che spende tutti i giorni in pensieri peccaminosi (...).” 2.2 USI E COSTUMI Il matrimonio è un’istituzione fondata su un vero e proprio contratto matrimoniale che provvede particolari benefici alle parti e la cui natura è determinata anche dagli interessi individuali. “Formare una coppia ben assortita è difficile come aprire le acque del Mar Rosso e richiede l’infinita saggezza di Dio stesso”, dichiarano i maestri rabbini. Se in numerosi commenti rabbinici e midrashim si può ritrovare l’idea che il matrimonio viene combinato in cielo ancor prima della nascita e che qualora gli sposi riescano a creare un intesa e far regnare l’armonia, è perchè Dio stesso dimora fra loro, esso è pur sempre un’unione contratta fra individui e non è considerata, per se stessa, una sacra istituzione. Il concetto ebraico del matrimonio come istituzione si basa sulla legislazione talmudica che non eleva il matrimonio alla posizione di “sacramento” religioso come potrebbero intenderlo i cristiani, la celebrazione religiosa ebraica non può considerarsi un atto sacramentale. Ecco una preghiera ed un augurio che anche oggi si ripete durante la celebrazione dei matrimoni: “Benedetto sii tu, o Signore Dio nostro, re del mondo, quel Dio che ha creato la gioia e la letizia, lo sposo e la sposa, l'allegrezza e il canto, il giubilo e il gaudio, l'amore e la fratellanza, la pace e l'amicizia; fa, o Signore Dio nostro, che si odano presto nelle città di Giudea e nelle vie di Gerusalemme voci di letizia e voci di gioia, voci di sposi e voci di spose, canti giocondi di sposi dal loro baldacchino e di giovani dal banchetto della loro festa. Benedetto sii tu, o Signore, che fai gioire lo sposo insieme alla sposa” 3. ETA’ CONTEMPORANEA 3.1 UNA SCELTA PERSONALE La libertà nella scelta del coniuge ha iniziato ad essere praticata gradualmente dagli ultimi due secoli; è l’ideologia dell’amore romantico a sostituire quasi definitivamente la tradizione dei matrimoni combinati. Frutto di un processo di “modernizzazione” relativamente recente per il contatto con il concetto di matrimonio occidentale, di unione di un uomo e di una donna secondo una libera scelta, senza accordi preordinati. E’ comunque monito per ogni ebreo non considerare mai superficialmente il matrimonio e saper scegliere saggiamente. Ecco alcuni fondamentali criteri: “Il matrimonio non dovrebbe mai essere contratto per denaro ma un uomo dovrebbe scegliere una moglie che sia di temperamento mite e che abbia tatto, che sia modesta ed industriosa e che risponda ad alti requisiti: di rispettabilità della famiglia, di età e stato sociale simili, di bellezza..” Un dato di marcata connotazione “patriarcale” rimane: considerare la realtà dal punto di vista maschile. Questo fa parte ancora oggi delle formule rituali della celebrazione del matrimonio, dove è in uso la terminologia di “acquisizione” : l’uomo “acquista una donna”. Nella pratica cerimoniale lo sposo, attraverso la cessione di un oggetto di valore alla sposa (di frequente si tratta di un anello) la "acquista" simbolicamente. Questo atto simbolico mostra che l’uomo assume un ruolo attivo e prevalente, perché nel compierlo è solo lui che pronuncia la speciale formula matrimoniale: "Tu sei consacrata a me con questo anello in accordo con la legge di Mosè e d’Israele", in ebraico, mentre la donna vi acconsente, in silenzio, accettando l’anello. Pur con tutte le nuove riflessioni dei rabbini che sottolineano in questo l’aspetto simbolico nonché impegnativo dell’atto, è sicuramente una formula che può incorrere in interpretazioni equivoche. Attualmente diciotto anni è considerata l’età minima per accedere al matrimonio: “Solamente ad una persona che sia intensamente occupata nello studio della Torah è permesso posticipare il matrimonio oltre il dovuto” (Avot 5.24). 3.2 LA FAMIGLIA MONONUCLEARE La benedizione e il comando del Signore di unirsi e procreare (secondo la lezione sacerdotale) è stata da subito recepita; invece l’uso di “separarsi” della coppia, dalla famiglia di origine è frutto di una riflessione successiva della pur antichissima lezione Jhavista di Gen 2.24 “l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie”. Eco una interpretazione di alcuni commentatori rabbini: «la formula di Gen 1,24 “l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie..” pone i verbi "lasciare" e "unirsi" in un ordine preciso, per insegnare che, prima di sposarsi, un uomo deve raggiungere l’indipendenza». A chi è in procinto di contrarre le nozze viene consigliato un ordine procedurale preciso come stabilito nel Deuteronomio: "Prima compra una casa, poi pianta un vigneto ed infine sposati" (Cfr.Dt 20,5-7). Come a dire che occorre una certa indipendenza economica, non solo affettiva, per iniziare e dare solide basi alla formazione di una famiglia che possa autosostentarsi. E’ però lungo il corso del XX secolo che, anche in una tradizione così legata alle proprie radici come l’ebraismo, la famiglia mononucleare staccata da quella di origine, inizia ad essere la forma dominante di struttura familiare. La famiglia estesa continua, comunque, ad essere una forma di supporto ancora presente ed attiva all’interno di molte comunità. La famiglia ebraica ha subito varie modificazioni nel corso dei secoli e in particolare dal XX secolo in poi, si è quasi organicamente adattata ai vari ambienti socio-culturali in cui ha dovuto sopravvivere. La sua struttura ha assunto forme diverse in accordo con il paese di residenza, classe socioeconomica e livello d’acculturazione. Un tema tutt’ora ricorrente all’interno della comunità ebraica è quello dell’emancipazione della famiglia ebraica proprio all’interno della società di appartenenza, perché potrebbe implicare, come già rilevato, l’assimilazione dei suoi membri e la perdita dell’identità ebraica . Per far fronte a questo rischio si sono delineate, ai nostri giorni, particolari controforze all’interno di comunità ebraiche, messe in moto per combattere la disgregazione della famiglia ebraica, mediante programmi educativi e attraverso il rafforzamento dei servizi sociali. Questi programmi, seppur diversi fra loro, hanno tutti uno scopo comune: quello di organizzare situazioni in cui sia possibile la riunione di membri di famiglie estese e la cura del dialogo intergenerazionale. Riscoprire il dialogo intergenerazionale, infatti, è ritenuto essere una strada necessaria per ritrovare coesione all’interno dei membri della tradizione ebraica: l’apertura delle generazioni tra loro e il legame che si può instaurare è occasione di educazione e maturazione di ogni persona; fa riscoprire la rigenerazione vitale che promana dalla sapienza e dalla condivisione di una fede con il suo stile di vita unico e una serie di riti identitari. Ritrovare il comune senso di appartenenza è antidoto alla dispersione/estinzione della tradizione ebraica. 4. IN PARTICOLARE, IL MATRIMONIO EBRAICO 4..1 AMORE-AMICIZIA, NON SOLO UNA ISTITUZIONE Nel pensiero ebraico, il matrimonio, viene considerato l’unico legame capace d’innalzare e perfezionare la personalità individuale attraverso l’amore e la mutualità. Questa unione è considerata talmente importante che “ad un uomo è permesso vendere un rotolo della Torah allo scopo di sposarsi e una donna tollererà un matrimonio infelice pur di non rimanere sola”. Il Matrimonio ebraico ha come scopo principale la creazione di una forte amicizia e complicità all’interno della coppia. La particolare situazione di complicità supera d’importanza l’amore, di cui è fondamento. L’amicizia tra partners viene considerata una particolare situazione d’intimità esclusiva che si crea qualora "un uomo ami la propria moglie quanto la sua stessa persona e la rispetti più di se stesso, sia compassionevole nei suoi riguardi, la protegga come avrebbe cura di se stesso così che lei lo amerà come se fosse parte di lui". L’enfasi posta dalla tradizione ebraica sul concetto di "amicizia" emerge dal fatto che delle sette benedizioni nuziali, due celebrano l’amicizia e la complicità. Le benedizioni nuziali non includono invece una citazione che illustri l’importanza della "mitzvà" della procreazione. L’ultima benedizione elenca dieci sinonimi della parola "gioia" che, posti in un crescendo, raggiungono il climax con la benedizione a Dio che gioisce con gli sposi; questa benedizione ha lo scopo d’insegnare agli sposi che il fine ultimo dell’esistenza è il miglioramento del mondo e la glorificazione di Dio. 4. 2 LA CERIMONIA NUZIALE La cerimonia del matrimonio e' ispirata dal testo biblico che riferisce lo sposalizio tra Isacco e Rebecca, testo che insiste sull'assenso di quest'ultima (Genesi 24,57-65). Alla presenza di due testimoni competenti, lo sposo consegna alla sposa un atto in cui sono state scritte, a fianco dei nomi delle due parti contraenti, le parole: "Tu sei consacrata a me secondo la legge di Mosé e di Israele". La sposa non parla, accetta l’atto con l’intenzione di essere unita allo sposo. La cerimonia nuziale, secondo la legge talmudica, non può avere mai luogo il Sabato, nelle festività ed in giorni di lutto e fin dal racconto del matrimonio di Giacobbe e Lia è evidente che vi è una sorta di celebrazione consistente essenzialmente in una processione degli sposi verso la tenda matrimoniale, e un accompagnamento musicale. Il Talmud documenta ampliamente il fatto che la cerimonia sia accompagnata da grandi manifestazioni di gioia. Durante il periodo talmudico, e presumibilmente fin da un periodo anteriore ad esso, il “matrimonio” consisteva in due momenti separati: il Kiddushin ed il Nessuin. Il primo atto aveva luogo attraverso la cessione da parte dello sposo alla sposa di un anello, alla presenza di due testimoni, e la recitazione della particolare formula matrimoniale. Un anno dopo aveva luogo il secondo atto, il Nessuin, in cui venivano recitate la serie di benedizioni e attraverso il quale gli sposi erano del tutto legati al vincolo matrimoniale per cui veniva permessa loro la coabitazione. Nell’epoca post-talmudica viene introdotta un’importante modificazione: il Kiddushin ed il Nessuin sono riuniti in un’unica grande cerimonia. Era eccessivamente sconveniente avere un intervallo di tempo tra le due cerimonie giacché, da un lato, ai due contraenti era proibita la coabitazione e, dall’altro, essi erano soggetti a tutti gli obblighi imposti dallo status di coniugati fin dal Kiddushin; infatti, una volta conclusosi il Kiddushin era vietato ad entrambe le parti unirsi con qualunque altra persona, il legame era già definitivo. Altri cambiamenti dell’epoca posttalmudica consistono nell’aggiunta di nuove benedizioni e l’inclusione di un sermone del rabbino. Questa modifica, introdotta presumibilmente durante il Medio Evo, diviene una pratica universale nel XII secolo. La conclusione della cerimonia nuziale è segnata dalla rottura del calice, un gesto dal profondo valore simbolico. Il bicchiere rotto simboleggia la distruzione del Tempio di Gerusalemme e del glorioso passato del popolo ebraico nel I secolo. Attraverso questo simbolo l’uomo diviene cosciente che anche la più grande delle gioie può, improvvisamente, essere ottenebrata dal dolore. Si infrange un bicchiere per ricordare che nessuna cerimonia può considerarsi completamente lieta dopo la distruzione del tempio di Gerusalemme e l’allontanamento dalla terra Santa del popolo eletto; simultaneamente infatti si pronuncia il verso del Salmo 137: “Si paralizzi la mia destra se ti dimentico Gerusalemme”. Questo atto è un modo per ricordare che malgrado le felicità individuali nel corso della vita, vi è una continua tristezza nazionale. Questi pensieri arricchiscono la gioia rendendola più consapevole e inspirano gratitudine verso il Creatore che ha permesso di provare tale sentimento. Vi è un collegamento fra opposti sentimenti in modo da coprire una grande varietà di emozioni umane nelle quali trova una sintesi di unità ciò che è attuale con il passato, la felicità e la tristezza, il privato ed il pubblico. Alcuni rabbini aggiungono un commento morale a questa pratica: la rottura del bicchiere serve da monito nel restare sobri e comportarsi in modo bilanciato nei festeggiamenti in modo da introdurre della serietà anche nella gioia più forte. L’invito alla sobrietà è forte nell’ebraismo: non è opportuno lasciarsi andare a spese eccessive per i ricevimenti e le feste. Il matrimonio è un momento importante della vita di ognuno, è necessario tener conto di questo aspetto perché la dignità e la solennità del momento siano preservati e non sviati da un fasto sconsiderato. La cerimonia, improntata alla gioia, deve esprimere la dignità e l'importanza del momento. Tutto ciò che rischia di vanificare la solennità del momento deve essere evitato. 4.3 LA DONNA, LA SUA POSIZIONE NELLA FAMIGLIA All’ interno del matrimonio l’uomo e la donna sono posti su un piano di equità legale: la legge stabilisce uguale rispetto ad entrambi per le regolamentazioni pertinenti all’alimentazione; le conseguenze legislative dovute a un caso di adulterio sono equiparte. All’interno del patto religioso, su uomini e donne incombe la stessa responsabilità morale, ma per quanto riguarda la conduzione familiare, i due hanno ruoli diversificati e in particolare quando la relazione sponsale viene allietata dalla presenza dei figli. Nell’ebraismo, a differenza di quanto accade presso la gran parte dei popoli, è considerata ancor oggi determinante l’appartenenza del bimbo alla madre e non al padre. In origine i ragazzi più grandi sono normalmente affidati al padre che è tenuto ad insegnare loro la Bibbia mentre alle figlie sono insegnati “il giudaismo” e le responsabilità domestiche a casa dalla madre stessa, Oggi, questa distinzione non esiste più. Inoltre è importante notare che durante il XX secolo, si è sviluppato un dibattito generale in termini di educazione femminile dove su spinta di diverse correnti di tradizione ebraica si è discusso anche di studio della Bibbia per le donne in modo che ai giorni nostri essa risulta maggiormente accessibile alle donne. Nell’antichità, però, esso non fu sempre possibile in quanto lo studio, era considerato prerogativa strettamente maschile. Alla donna spetta comunque per primo il compito della trasmissione dei valori della tradizione ai figli attraverso particolari ritualità domestiche che fungono da simboli per fondamentali concetti morali: sono le "mitzvoth domestiche", obblighi che le sono esplicitamente affidati, in quanto è lei ad essere maggiormente presente entro le mura domestiche. Nulla preclude alla donna ebrea la possibilità di svolgere fuori casa una qualsiasi attività lavorativa, ma ciò non deve togliere tempo al suo impegno nel buon espletamento di questi obblighi. In base all’elencazione che ne fa la Mishnà, gli obblighi religiosi specificamente affidati alle donne sono: - La prelevazione di una parte dell’impasto destinato alla panificazione; - la purità familiare; - l’accensione dei lumi al Sabato e durante le maggiori festività. Questi tre obblighi sono collegati ai 3 fondamentali “istinti” della natura umana: - nutrirsi, unirsi; - conservare la specie; - ricerca spirituale; La donna è destinata dal Signore a dare nutrimento: è con se stessa che nutre e fa vivere i figli. E’ quindi affidato a lei il compito di sacralizzare il nutrimento attraverso una specie di cerimonia e destinare a Dio una parte di ogni impasto destinato alla panificazione. Perché il cibo prima di tutto, come tutto ciò che è stato creato, non é proprietà dell’uomo bensì del Creatore ed è questo il significato delle molte limitazioni relative all’alimentazione. La consacrazione del secondo istinto, quello della conservazione della specie, viene fatta attraverso le regole di purità familiare che coinvolgono vita coniugale, gravidanza, allattamento, ma anche l’educazione dei bambini e sono visti come vie utili per garantire la continuità del genere umano. Gli atti, sia pure istintivi e naturali, che concorrono a realizzare tale scopo devono essere "sacralizzati" per non perderne di vista i valori che li devono informare. E’ la madre di famiglia che accende i lumi al Sabato: il desiderio di ogni uomo di vedere la sola luce che illumina il significato della esistenza. Il Sabato come ogni ricorrenza ebraica sono momenti necessari e fortemente curati perché in modi diversi simboleggiano sempre il desiderio umano di recuperare il contatto col mondo spirituale e con Dio, della quale la donna si fa annunciatrice. NOTE DI SITOGRAFIA - Molte delle notizie raccolte in questa tesina e tutte le citazioni dei discorsi diretti dei maestri rabbini sono state riprese dalla tesi di Rivka Barissever “L’educazione nella famiglia ebraica moderna” rintracciata nel sito: www.morasha.it che ha una sezione in cui sono raccolte tesi di laurea che hanno come comune denominatore ebrei, cultura ebraica, storia del popolo ebraico e tutto quanto ruota attorno all'ebraismo. - altre notizie da : www.e-brei.net Autrice della Tesina: Elisabetta Pinciaroli ISSR Pisa