n. 43 - gennaio-aprile 2014 Rivista quadrimestrale di Feniarco Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali Poste Italiane SpA – Spedizione in Abbonamento Postale – DL 353/2003 (conv. In L. 27/02/04 n. 46) art. 1, comma 1 NE/PN INVESTIRE SULLA CORALITÀ APPELLO AL MINISTRO DELLA CULTURA BOB CHILCOTT EMOZIONE E COMUNICAZIONE OSVALDO GOLIJOV MUSICA D’OLTREOCEANO FENIARCO DAY I TRENT’ANNI DELLA FEDERAZIONE NAZIONALE IL VALORE DEL FARE CORO UNA RISPOSTA POSITIVA NEL TEMPO DELLA CRISI Anno XV n. 43 - gennaio-aprile 2014 Rivista quadrimestrale di Feniarco Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali Presidente: Sante Fornasier Direttore responsabile: Sandro Bergamo Comitato di redazione: Efisio Blanc, Walter Marzilli, Giorgio Morandi, Puccio Pucci, Mauro Zuccante Segretario di redazione: Pier Filippo Rendina Hanno collaborato: Salvatore Panzanaro, Claudio Martinelli, Simone Scerri, Mauro Marchetti, Matteo Valbusa, Sergio Bianchi, Rita Nuti, Riccardo Zoja, Lorenzo Benedet, Roberto Frisano Editoriale «In un coro ogni persona è sempre concentrata sulla relazione della propria voce con le altre. Imparare a cantare insieme significa imparare ad ascoltarsi l’un l’altro. Il coro quindi, come l’orchestra, è l’espressione più valida di ciò che sta alla base della società: la conoscenza e il rispetto del prossimo, attraverso l’ascolto reciproco e la generosità nel mettere le proprie risorse migliori a servizio degli altri». Con queste parole Claudio Abbado presentava, al suo debutto, una delle tante formazioni musicali nate per sua iniziativa, il Coro Papageno, un coro molto speciale, formato da detenuti del carcere bolognese della Dozza. La scelta di formare un coro per ricostruire quei legami sociali e il senso di responsabilità che il delitto ha reciso o comunque compromesso, ci pare particolarmente felice. La voce è l’unico strumento che portiamo dentro di noi e occuparsi del coro significa occuparsi prima di tutto di persone: è proprio questo che affascina e rende particolarmente “umanistico”, oltre che artistico, il cantare in coro. Il coro è anche un concentrato di società dove i rapporti sono vissuti con forte intensità e trasformati in musica. La responsabilità di ciascuno è grande, perché l’errore di uno compromette o addirittura vanifica il lavoro di molti. Un rapporto tra i coristi fondato sulla responsabilità e sulla lealtà è la base necessaria a una buona realizzazione musicale. Al tempo stesso la musica genera questa armonia tre le persone. Recenti studi hanno dimostrato come le persone impegnate in un’esecuzione musicale (e gli esperimenti sono stati condotti proprio su formazioni corali) armonizzano tra loro i ritmi corporei, a partire da quello cardiaco: dalla musica discende la possibilità di abbattere tanti muri che ci dividono. Lo stesso Abbado spiegava come la musica opera su una parte del cervello che è altra rispetto a quella della parola e della logica: rinunciare alla musica è dunque rinunciare a una formazione completa della personalità. Cantare in coro avvia dunque un circuito dove la buona musica crea buone relazioni e le buone relazioni buona musica: un circuito virtuoso i cui benefici ricadono ben al di fuori dei confini del coro, contribuendo a rafforzare identità personali e profili sociali. E investire sul coro significa investire sulla formazione delle persone, sulla formazione dei cittadini e del loro senso di responsabilità. Esserne consapevoli e orgogliosi, per primi noi, che della musica corale abbiamo fatto la nostra passione, e convincere di questo le istituzioni del nostro paese: ecco un bell’obiettivo che, nel trentesimo anno di vita della Federazione, tutta la coralità italiana deve porsi. Redazione: via Altan 83/4 33078 San Vito al Tagliamento Pn tel. 0434 876724 - fax 0434 877554 [email protected] Progetto grafico e impaginazione: Interattiva, Spilimbergo Pn Stampa: Tipografia Menini, Spilimbergo Pn Associato all’Uspi Unione Stampa Periodica Italiana ISSN 2035-4851 Poste Italiane SpA – Spedizione in Abbonamento Postale – DL 353/2003 (conv. In L. 27/02/04 n. 46) art. 1, comma 1 NE/PN Abbonamento annuale: 25 € 5 abbonamenti: 100 € c.c.p. 11139599 Feniarco - Via Altan 83/4 33078 San Vito al Tagliamento Pn Caro lettore, la crisi morde anche il mondo corale, tocca anche la nostra federazione. Fino ad ora siamo riusciti, in questi anni di recessione, a mantenere i livelli raggiunti e, anzi, ad accrescerli. Abbiamo potuto farlo perché il nostro è un impegno basato sul volontariato e perché le limitate risorse disponibili sono state amministrate con attenzione e capacità. Ma la situazione generale di crisi perdura ormai da troppi anni e con questa situazione dobbiamo fare i conti. Lo deve fare anche la nostra rivista. Perciò, questo è l’ultimo numero che viene inviato gratuitamente a tutti i cori. A partire dal prossimo, invieremo la rivista solo a chi ha sottoscritto o sottoscriverà l’abbonamento. È una necessità economica, perché la rivista, così come è attualmente impostata, assorbe troppe risorse di bilancio. Che fare? Ridurre le pagine? Stampare solo due numeri l’anno? Rinunciare al CD? E pensare che, in fondo, basterebbe un abbonamento per coro per risolvere il problema. Ma è anche una provocazione che vogliamo lanciare a tutti coloro che in questi tempi hanno manifestato apprezzamento alla nostra rivista. Un apprezzamento che non può fermarsi alle parole ma deve farsi sostegno concreto. Senza il quale, probabilmente, dovremmo pensare che si trattava di apprezzamento di maniera. Un abbonamento, uno solo per coro. E uno per direttore. Non riusciremo nemmeno a far questo? n. 43 - gennaio-aprile 2014 Rivista quadrimestrale di Feniarco Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali PRIMO PIANO 2 INVESTIRE SULLA CORALITÀ UN APPELLO AL MINISTRO DELLA CULTURA Sante Fornasier PORTRAIT DOSSIER Il coro ai tempi della crisi 4 FARE CORO NEL TEMPO DELLA CRISI APPUNTI E RIFLESSIONI DALL’ASSEMBLEA AUTUNNALE FENIARCO 2013 Salvatore Panzanaro 6 CAPITALE SOCIALE E CORALITÀ Claudio Martinelli 10 14 38 IL 2013: UN ANNO DI RICONOSCIMENTI CONVERSAZIONE CON BRUNA LIGUORI VALENTI Rita Nuti FRAGMENTA 42 IL VALORE PROPEDEUTICO DEL CANTO GREGORIANO IL CORO NELLA CRISI PROSPETTIVE PSICOLOGICHE: GLI INTERESSI AIUTANO A SUPERARE LE DIFFICOLTÀ? Riccardo Zoja Simone Scerri ATTIVITÀ DELL’ASSOCIAZIONE UN AGGANCIO PER RESISTERE AI COLPI VOCI DAI CORI Sandro Bergamo 44 FENIARCO DAY IL MIO TRENTENNALE CON FENIARCO Puccio Pucci DOSSIER COMPOSITORE Bob Chilcott 17 EMOZIONE E COMUNICAZIONE INTERVISTA A BOB CHILCOTT 48 ASSEMBLEA ORDINARIA FENIARCO A MATERA Lorenzo Benedet CRONACA Mauro Marchetti 25 BOB CHILCOTT, ADVENT ANTIPHONS Matteo Valbusa 30 OSVALDO GOLIJOV CORAL DEL ARRICEFE PER DOPPIO CORO A CAPPELLA, DA OCEANA CANTO POPOLARE 34 RIVALUTIAMO IL CANTO E IL CANTAR POPOLARE Sergio Bianchi Giorgio Morandi RUBRICHE INDICE NOVA ET VETERA Mauro Zuccante 50 LA RICCHEZZA DELLA CORALITÀ EUROPEA 52 Discografia&Scaffale 56 La vita cantata 60 Mondocoro 2 INVESTIRE SULLA CORALITÀ UN APPELLO AL MINISTRO DELLA CULTURA di Sante Fornasier Il FUS (Fondo Unico per lo Spettacolo) è il meccanismo creato per regolare l’intervento pubblico nel settore del teatro, del cinema, della musica: in una parola, dello spettacolo. È stato creato con l’art. 1 della legge 30 aprile 1985, n. 163 ed è ripartito con decreto del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali. È dal FUS che la nostra federazione riceve una parte importante delle risorse che ci permettono di operare, inquadrando il nostro intervento nell’art. 15 del DM 9/11/2007, quello concernete la promozione. Desidero affrontare l’argomento in questo numero di Choraliter, anche perché è attualmente in corso la revisione del Decreto Ministeriale che contiene le norme per accedere alle provvidenze del fondo e per definirne la destinazione. Il tema è stato affrontato anche dall’Assemblea Nazionale di Feniarco, riunitasi a Matera lo scorso 22-23 marzo, con un ordine del giorno approvato all’unanimità e inviato al ministro Franceschini. Quello che chiediamo al Ministro è una maggiore attenzione alla nostra realtà. Siamo una federazione che associa 2700 cori, 80/90 mila cantori, distribuiti capillarmente su tutto il territorio nazionale. Abbiamo assunto un ruolo importante all’interno della federazione europea, presiedendola per un triennio e esprimendo oggi il primo vicepresidente. Abbiamo realizzato nel 2012 la prima edizione italiana del Festival Europa Cantat, che è stata tra le più riuscite in tutta la storia della federazione europea. Annualmente offriamo gratuitamente almeno 30.000 concerti. E potremmo elencare a lungo le nostre iniziative, dall’editoria alla scuola, da eccellenze come il Coro Giovanile Italiano e il Coro Accademia Feniarco all’impegno formativo a vari livelli, da quello di base a quello di specializzazione. Per tutte queste attività, il ministero ci riserva risorse marginali su un capitolo marginale del FUS. Un meccanismo che, basato sulla riconferma, anno dopo anno, della spesa storica ci penalizza, come penalizza chiunque spenda bene e con poco realizzi molto, mentre premia chi accumula grandi spese pur producendo poco. La nostra collocazione nel settore della promozione corrisponde indubbiamente ad alcune delle funzioni che la coralità amatoriale ricopre: dietro ogni concerto ci sono le prove, settimana per settimana, con le quali decine di migliaia di cantori affinano le loro capacità. E c’è il ruolo di INVEST PRIMO PIANO DOSSIER cerniera tra mondo professionale e amatoriale, c’è la capacità di penetrare in luoghi dove il mondo professionale dello spettacolo non arriva, presso fasce di pubblico che esso non avvicina. Ma sono convinto che il nostro mondo abbia diritto a un riconoscimento più diretto per la propria attività musicale e meriti di vedersi collocato tra gli enti di particolare rilievo. Sarebbero risorse ben spese, autentici investimenti non solo per noi, ma per tutto il paese: • investimento sui giovani talenti, in tutte le forme in cui il talento si può sviluppare nell’attività corale: non solo direttori e compositori, ma manager musicali, organizzatori… Un laboratorio dove creare classe dirigente a disposizione anche al di fuori dell’attività corale; • investimento sulla scuola, per portare anche da noi la pratica corale scolastica allo stesso livello degli altri paesi, riconoscendone il grande valore formativo; • investimento sulle eccellenze, attraverso il sostegno a direttori, compositori e formazioni corali in grado di affermarsi sulla scena europea e attraverso l’attività dei cori espressione diretta della federazione, il Coro Giovanile Italiano e il Coro Accademia Feniarco; • investimento sull’editoria, dove il nostro impegno sta colmando un vuoto culturale presente nel nostro paese, valorizzando il lavoro dei compositori italiani e stimolandone la creatività; • investimento sulla presenza della musica corale in Europa, dove, una volta tanto, questo Paese ha la possibilità di presentarsi con le carte in regola e non ha bisogno di farsi assegnare “compiti per casa”; • sulla comunicazione, attraverso le nostre riviste, la nostra piattaforma web, esempi anche questi di qualità che, in questi anni abbiamo saputo esprimere. E investimento su tante altre cose, se solo ne avessimo le risorse, perché le idee, quelle, non mancano. E nemmeno la voglia di impegnarsi per realizzarle. 3 ORDINE DEL GIORNO L’Assemblea Generale della FENIARCO – Federazione Nazionale Italiana delle Associazioni Regionali Corali – riunita a Matera nel giorni 22 e 23 marzo 2014 in rappresentanza di 2.700 cori associati CONVINTA dell’opera e della funzione insostituibile che la Federazione assolve, attraverso le Associazioni regionali aderenti, di tutte le regioni italiane, per – la diffusione della cultura musicale corale – la salvaguardia e la conservazione del patrimonio corale musicale colto e di tradizione popolare – la funzione educativa che costantemente viene esercitata, in particolare verso i giovani attraverso la musica e il canto corale, portatore di alti valori etici e sociali che portano alla convivenza, al rispetto reciproco, all’interculturalità, alla cittadinanza attiva e responsabile, alla formazione del pubblico musicale in modo consapevole; valori e bisogni più che mai necessari e indispensabili in questo momento di particolare crisi dove la coesione sociale viene messa a dura prova rappresentando un problema e un’emergenza CONSIDERATO – che la Federazione svolge ormai da trent’anni un ruolo di coordinamento e di indirizzo in modo attivo e costante diventando soggetto culturale di rilievo e di riferimento nell’ambito della cultura corale-musicale italiana ed europea – che i cori rappresentano un patrimonio di inestimabile valore e un presidio culturale-sociale di territorio di grande rilievo attraverso una costante, intensa e capillare attività TIRE AUSPICA che nell’ambito della revisione in corso del DM sul FUS la nostra attività corale-musicale venga tenuta nella dovuta considerazione valorizzando, sostenendo e premiando un percorso di crescita che si è andato via via consolidando nel tempo attraverso una sistema di rete diffusa a radicata sul territorio ESPRIME FIDUCIA affinché Lei On. Ministro, guardi con particolare sensibilità a questa straordinaria attività, offerta al nostro Paese con passione, dedizione e competenza, disponendo un’assegnazione contributiva, anche negli imminenti riparti del FUS per il 2014, di euro 300 mila e quindi più congrua rispetto a quella fin qui assegnata sia per il ruolo acquisito nel corso degli anni sia per il merito che essa si attende nel panorama culturale italiano e di considerare la nostra azione culturale più centrale e meno marginale rispetto a valori riconosciuti. Documento inviato al Ministro della Cultura on. Dario Franceschini FARE CORO NEL TEMPO DELLA CRISI APPUNTI E RIFLESSIONI DALL’ASSEMBLEA AUTUNNALE FENIARCO 2013 FARE CO di Salvatore Panzanaro PRESIDENTE DELL’ASSOCIAZIONE BASILICATA CORI Durante l’assemblea autunnale di Feniarco 2013, svoltasi ad Alghero il 12 e 13 ottobre e ospitata dalla Federazione Regionale Sarda delle Associazioni Corali, i delegati di tutt’Italia, che si erano dati appuntamento in Sardegna per il consueto incontro autunnale finalizzato a consumare uno dei passaggi ordinari della vita associativa (resoconto delle attività svolte e programmazione di quelle nuove), si sono trovati a discutere di un argomento apparentemente scontato ma che ha raccolto interesse e attenzione di tutti. Coordinati dal presidente Sante Fornasier ci si è fermati a riflettere sul tema “fare coro nel tempo della crisi”. Nonostante le associazioni corali siano abituate a sopravvivere in assenza di grandi finanziamenti, procedendo invece con il supporto di tutti gli associati che portano avanti le loro piccole o grandi attività grazie all’autofinanziamento e alla buona volontà, questo particolare periodo di crisi si avverte con maggiore intensità e preoccupazione: • la forte riduzione del supporto pubblico, che ha sempre visto il settore della cultura come un ambito nel quale investire poco e comunque solo dopo aver soddisfatto le esigenze di altri settori, si fa sentire pesantemente; inoltre le risorse sono sempre minori e la cultura continua a rivestire il ruolo della “cenerentola”; • le banche e le fondazioni hanno stretto ancora di più i cordoni della borsa, mentre le sponsorizzazioni da parte dei privati sono drasticamente ridotte poiché risentono ancora di più della crisi economico-finanziaria del nostro paese. I delegati hanno mostrato un particolare interesse all’argomento, segno che la problematica interessa tutti, la crisi è assolutamente neutra; da nord a sud, da est a ovest il problema rimane lo stesso così come la posizione di tutti non è quella di mollare ma di continuare a svolgere il proprio ruolo sociale e culturale, sostituendosi spesso alle agenzie educative e culturali istituzionali, consapevoli del fatto che storicamente nei momenti di difficoltà una comunità si ritrova sempre intorno alle proprie tradizioni e alla propria cultura. DOSSIER 5 Finanziamento pubblico Anno dopo anno il finanziamento pubblico si riduce sempre di più e, nell’ultimo periodo, è preda delle iniziative più grandi lasciando all’asciutto i settori meno blasonati, tra questi l’ambito corale che, a ingiustificato pensiero comune, è fatto di realtà amatoriali alle quali non si riconosce quel valore artistico e culturale che merita. A parere di alcuni delegati bisogna insistere nel ricercare il sostegno delle pubbliche amministrazioni collegandosi magari ad altre realtà che invece godono di finanziamenti ingenti. Si fa riferimento in particolare ai fondi europei del FSE (Fondo Sociale Europeo) che ha il compito di sostenere e finanziare le iniziative di formazione professionale in vari settori dell’economia territoriale e tra questi anche la cultura e lo spettacolo. Riconoscendo la farraginosità dei progetti europei e i stringenti requisiti organizzativi richiesti per la partecipazione ai bandi, si prende atto che iniziative in questo settore non possono essere avviate in maniera autonoma, è invece auspicabile la collaborazione con gli enti di formazione che quotidianamente operano con la programmazione europea, garantendo loro un supporto organizzativo e una visione del territorio, in questo settore, importante e assolutamente fondamentale per la giusta programmazione degli interventi. Il sistema federato a rete di Feniarco si sposa inoltre bene per eventuali progetti interregionali che possono abbinare esigenze comuni all’intero territorio nazionale. Finanziamento privato Sempre più difficile riuscire a recuperare fondi dal settore privato che sempre meno è disponibile a sostenere le iniziative culturali. Ancora più difficile proporre concerti e spettacoli che prevedono il pagamento di un biglietto; la cultura dominante ha sempre considerato i concerti di musica corale come gratuiti e offerti da organizzazioni amatoriali confondendo spesso la parola amatoriale con poco professionale e di scarso valore artistico. Alcuni delegati hanno portato la propria esperienza fatta anche di esibizioni in contesti commerciali, affiancando alcune volte brevi concerti a lanci promozionali di prodotti commerciali e recuperando in tal modo un piccolo compenso utile alla gestione dell’associazione. Si tratta di un modo nuovo di intervenire nel tessuto produttivo locale e quindi accolto con alcune riserve dai delegati; va detto però che la situazione attuale necessita di idee anche insolite purché efficaci e, se vogliamo continuare a esercitare la nobile attività della promozione culturale, a volte bisogna anche turarsi il naso e fare di necessità virtù. ORO Nei momenti di difficoltà una comunità si ritrova sempre intorno alle proprie tradizioni e alla propria cultura. In conclusione si è poi parlato del rapporto di collaborazione tra i cori, che naturalmente sono diversi per tipologia, storia, tradizione ed esperienza. Un caloroso invito è stato fatto alle associazioni più esperte, che di solito riescono con maggiore facilità a garantirsi un minimo di finanziamento, chiedendo loro di collaborare con le loro colleghe più giovani e meno inserite nel contesto territoriale, facilitando il trasferimento di know how e partecipando alle iniziative alle quali vengono spesso invitate, per garantire un livello qualitativo più presigioso, gravando il meno possibile sui costi organizzativi, rinunciando a compensi e limitando i rimborsi spese. 6 CAPITALE SOCIALE E CORALITÀ di Claudio Martinelli SOCIOLOGO E RESPONSABILE DEL SERVIZIO ATTIVITÀ CULTURALI DELLA PROVINCIA DI TRENTO L’epoca che stiamo attraversando è caratterizzata dall’insicurezza e dall’incertezza. Incertezza nel futuro; incertezza nei valori fondanti della nostra civiltà; incertezza nei confronti della istituzioni; incertezza nei confronti delle persone. È una crisi, questa, che probabilmente non ha precedenti e, comunque, non aiuta cercare nella storia passata qualche rimedio per superare questo momento. Sono cambiati i tempi, le donne e gli uomini; è cambiata la società. Non ci resta che prendere atto che dobbiamo affrontare quest’epoca con l’armamentario che abbiamo a disposizione consapevoli che non ci sarà di grande aiuto visto che è stato costruito per altre situazioni e in altri tempi. La crisi, globale, inizia tra il 2007 e il 2009 con lo scoppio della così detta “bolla finanziaria”. «Nessuno aveva la dimensione totalizzante di quel che è accaduto nel 20072009. L’idea che possa implodere il centro di gravità, che lo stesso capitalismo liberale possa fallire, non si era affacciata in quegli episodi (di crisi) precedenti. A un certo punto, questa è diventata una crisi esistenziale». Così un giornalista del Wall Street Journal. Non c’è dubbio che questa crisi si sia presentata come una crisi del sistema finanziario e che in breve tempo abbia coinvolto anche il mondo dell’economia reale e la società nel suo complesso, a partire dalle istituzioni. Lo scenario che si è andato delineando ha visto travolgere interi settori economici, fallimenti e licenziamenti; blocco dei salari; massiccia precarizzazione dei rapporti di lavoro; diffusione della pratica della spending review nella pubblica amministrazione con conseguenze imprevedibili sul piano dell’impatto non solo interno ma anche esterno. Ben presto però questa crisi ha coinvolto anche le “visioni del mondo” fondate su valori condivisi, pratiche di relazione. Questa volta sembra davvero arrivato il momento del “non sarà più come prima” anche se nessuno sa cosa ci aspetta veramente. Barack Obama, in un famoso discorso al Congresso americano del 24 febbraio del 2009, ha sintetizzato gli elementi essenziali di questa crisi partendo dal disastro dei mutui-casa per passare alla paralisi del credito che ha provocato lo «strangolamento dell’economia reale». Ma Obama nel suo discorso fa un passaggio fondamentale quando fa intendere che la crisi del 2007-2009 è cominciata molto prima con l’aumento dei prezzi del petrolio e le speculazioni che ne sono seguite. Non solo, c’è un altro elemento strutturale di quella che Federico Rampini chiama la “Grande Recessione”: la prolungata crescita della disuguaglianza sociale in tutti i paesi del mondo. Sempre citando Rampini, «i “trent’anni d’oro” lo sono stati molto di più per i salari che per i profitti». In Francia in vent’anni i patrimoni investiti in borsa sono cresciuti in valori del 120% mentre i salari medi solo del 15%. Ma quali sono gli effetti sociali di questa crisi? L’effetto più visibile è l’aumento della povertà sia individuale che collettiva di un tessuto sociale che già da tempo si presenta sempre più frammentato e in crisi di identità. Sono gli effetti della cosiddetta globalizzazione capace di metterci in connessione con il mondo ma creare, al contempo, solitudine e incertezza. Frammentazione, crisi di indennità e insicurezza sono le caratteristiche di quest’epoca. Il pensatore che più di altri ha colto, ancora prima dell’avvento della Grande Depressione, il cambiamento epocale che stava investendo la società occidentale in Le associazioni corali svolgono la funzione di garantire che il capitale sociale di una comunità si mantenga, si consolidi e si tramandi. particolare e le persone che di questa civiltà fanno parte, tanto da parlare di una “nuova condizione umana”, è Zygmunt Bauman.1 Bauman, teorico della “società liquida”, nella sua opera intellettuale e di analisi sociologica, pone l’accento su interrogativi fondamentali che riguardano la condizione umana stessa: che cos’è dell’essere umano nel nostro contesto storico e quale sarà il suo destino? Domande urgenti dopo lo sfaldamento di quel mondo solido, forte, istituito, ordinato, che abbiamo conosciuto sotto il nome di modernità e al quale, negli ultimi decenni, soprattutto in forza della globalizzazione, è subentrato un universo “liquido”, destrutturato, precario, privo di riferimenti stabili. La mutazione di scenario ha inciso profondamente sulle esistenze individuali: angoscia, fragilità, perdita di senso sono gli elementi più comuni che caratterizzano le vite delle persone non solo in Occidente. Il quadro tracciato da Bauman sulla nuova condizione umana appare tanto più inquietante se DOSSIER si considerano anche i risvolti materiali di questo processo: disuguaglianza e povertà crescenti, diritti umani calpestati, prepotente ritorno di violenze e guerre. È l’umanità di immense moltitudini a essere minacciata. All’esaltazione della globalizzazione si contrappone la solitudine dell’uomo comune: la socialità è incerta, confusa, sfocata. Si scarica in esplosioni sporadiche e spettacolari per poi ripiegarsi esaurita su se stessa. Per porre un freno a questo processo occorre ritrovare lo spazio in cui pubblico e privato si connettono, in cui la libertà individuale può diventare impegno collettivo. È necessario introdurre a questo punto, per meglio comprendere il ruolo fondamentale che i cori, ma in generale tutto il mondo dell’associazionismo ha in questo contesto, il concetto di capitale sociale. Il termine di capitale sociale può essere fatto risalire ad autori lontani nel tempo. Alcuni analisti citano addirittura Marx e Engels, Tocquiville, Durkheim, Weber, intellettuali che hanno fatto la storia del pensiero moderno. Ma più propriamente di capitale sociale si inizia a parlare con L.J. Hanifan (1920), J. Jacobs (1961) e G. Loury (1977) anche se la prima teoria esplicativa del capitale sociale è stata espressa a partire dagli anni ottanta del Secolo scorso. Per J. Coleman il capitale sociale è l’insieme delle relazioni che un individuo o un gruppo può usare per i propri interessi. 7 Coleman mette in luce la funzione del capitale sociale e lo associa ad alcuni aspetti della struttura sociale e in particolare: le informazioni che le relazioni sociali veicolano, la stabilità e osservanza delle norme che rendono sicuro un ambiente sociale, il fatto che in una comunità o in una rete di scambio siano in vigore delle norme che spingono alla solidarietà verso gli altri, e in particolare siano rispettate quelle norme che sostengono la fiducia tra le persone. Secondo R. Putnam «per capitale sociale s’intende la fiducia, le norme che regolano la convivenza, le reti di associazionismo civico, elementi che migliorano l’efficienza dell’organizzazione sociale promuovendo iniziative prese di comune accordo». Per questo autore il capitale sociale è un facilitatore dell’azione collettiva. In Putnam è importante il concetto di civicness (cultura civica) intesa come un orientamento dei cittadini verso la politica vista all’interno di una visione nella quale l’interesse individuale si lega a una concezione del bene comune. La civicness è identificata con la diffusione di un’ampia fiducia interpersonale, che facilita la cooperazione tra i cittadini. L’importante è qui mettere in risalto come, sul piano concreto, la civicness venga misurata con riferimento alla partecipazione ad associazioni. Per P. Bourdieu, il capitale sociale è la rete delle relazioni personali e sociali che un attore (individuo o gruppo) possiede e può mobilitare per perseguire i propri fini e migliorare la propria posizione sociale. È essenzialmente legato alla classe sociale di appartenenza degli individui. F. Fukuyama osserva che è il capitale sociale che produce la società civile. Il capitale sociale deriva, secondo questo autore, essenzialmente dalla fiducia. «Il capitale sociale è una risorsa che nasce dal prevalere della fiducia nella società o in parte di essa. Si può radicare tanto nella famiglia, il più piccolo e fondamentale gruppo sociale, quanto nel più grande, l’intera nazione e in tutti gli altri corpi intermedi». In tutti i rapporti tra le persone esiste una norma di reciprocità L’epoca che stiamo attraversando è caratterizzata dall’insicurezza e dall’incertezza. ma questa norma diviene concreta soltanto nei rapporti con gli amici. Da questo punto di vista il capitale sociale è un prodotto che sta al di fuori del controllo di qualsiasi governo o istituzione politica. Per altri autori, il capitale sociale si può anche intendere come uno degli elementi fondamentali delle reti di relazioni che movimentano la vita delle persone. Essendo il capitale sociale una qualità delle relazioni sociali è necessario distinguere tra capitale primario (relazioni che valorizzano i cosiddetti beni relazionali primari, operando con 8 criteri informali) e capitale secondario (relazioni che valorizzano i beni relazionali di cultura civica o civile, operando con criteri più formali e condivisi). Se il capitale sociale primario ha come ambito la famiglia e le reti informali dei parenti, dei vicini e degli amici e ha come base la fiducia face-to-face e la reciprocità interpersonale, il capitale sociale secondario ha come ambito l’associazionismo, le reti civiche di individui e/o famiglie e ha come presupposto la fiducia che si crea tra gli individui che fanno parte di una associazione o di una comunità civile o politica. Il capitale sociale primario è il fattore precipuo il fatto di essere “civili” in quanto si agisce con buone maniere considerando positiva la relazione con le altre persone così da essere loro di aiuto. Il capitale sociale secondario è fattore fondamentale della cultura civica, fatta di buone pratiche attraverso le quali i cittadini esercitano i loro diritti e responsabilità nei confronti della vita pubblica. La funzione primaria del capitale sociale non è quella di essere strumento per ottenere qualcosa ma è quella di favorire le relazioni sociali, cioè lo scambio che produce un bene condiviso, da cui derivano particolari risorse come effetti secondari. Il capitale sociale è una qualità se si vuole “comunitaria” che sta al di fuori della sfera dello Stato e del mercato e che si origina nel sistema delle famiglie e nel sistema delle associazioni civili. Come si vede il capitale sociale ha a che vedere con concetti come bene pubblico, fiducia, relazioni sociali, solidarietà e cooperazione, cultura civica, democrazia. Se questo è lo scenario che condividiamo e nel quale ci ritroviamo a vivere quale può essere la funzione di un coro, sia esso popolare, polifonico o altro? Apparentemente l’esperienza corale si sita in quelle attività che permettono all’uomo di coltivare una propria passione o anche di socializzare e condividere con altri individui momenti di vita al di fuori della quotidianità del lavoro e della vita privata. Se mettiamo in relazione il valore del capitale sociale con l’esperienza corale e con l’attuale epoca di crisi si può mettere in risalto come il coro, come molte altre associazioni, sia uno degli elementi che possono sviluppare una difesa alla frammentazione sociale e al disfacimento dei valori e dei punti di riferimento. Nel coro, proprio per le dinamiche relazionali individuali e sociali che coinvolgono le persone che ne fanno parte, possono affermarsi e consolidarsi sentimenti necessari a far fronte alla crisi come la solidarietà, il rispetto degli altri e delle regole, lo spirito di appartenenza, esercizio della democrazie e consolidamento di una cultura civile. In un’indagine condotta con l’Università degli Studi Trento, facoltà di Sociologia, che è servita per una tesi di laurea, abbiamo affrontato l’esperienza corale alpina sotto vari aspetti: quello storico e quello sociologico. Non ci interessava indagare l’aspetto della produzione musicale corale ma analizzare le condizioni che hanno permesso la nascita e lo sviluppo di un genere di coralità particolare come quella alpina e capire quali erano le principali caratteristiche sociologiche di questa coralità. Innanzitutto cosa è un coro. Giovanni Acciai definisce come corale «un’associazione di persone che si riuniscono per cantare».2 Qui viene messo in luce il concetto di associazione che può essere definita «come un raggruppamento sociale basato sul reclutamento volontario e la messa in comune, da parte dei membri, delle conoscenze e delle loro attività, per il Occorre ritrovare lo spazio in cui la libertà individuale può diventare impegno collettivo. raggiungimento di mete condivise da tutti».3 Inoltre si può anche dire che le associazioni sono «raggruppamenti volontari, generalmente aperti, parzialmente o totalmente organizzati, compatibili tra loro, che dispongono di una forza di costrizione condizionata sui membri, con struttura democratica e proprietà collettiva».4 Nella ricerca sopra ricordata, che ha coinvolto oltre 1.460 coristi dei cori alpini del Trentino, alcuni di questi elementi sono emersi con forza. Alcuni dati ci possono aiutare a capire meglio questi aspetti. Oltre l’85% degli intervistati dichiarano che una volta instaurato il rapporto con il coro non l’hanno più interrotto. Questo ci fa capire come per i coristi l’esperienza corale rappresenti un’esperienza solida che fa parte integrante del proprio orizzonte di vita. Un numero superiore al 30% degli intervistati dichiara di avere un’attività anche con altri complessi corali rispetto a quello di appartenenza o in altri tipi di associazione. Questo sta a dimostrare che per una fetta consistente di coristi DOSSIER l’associazione è uno spazio soddisfacente che può occupare una fetta consistente della propria esistenza. Oltre il 63% entra in un complesso corale perché contattato da amici o da conoscenti. L’esperienza corale è la continuazione delle relazioni amicali e di vicinanza che sono una componente fondamentale, come abbiamo visto, del capitale sociale. Nel coro si tendono a riprodurre e a consolidare qui rapporti che appartengono alla cerchia delle relazioni primarie. Non solo, quasi il 70% dichiara che l’attrazione del coro sta soprattutto nel clima di amicizia e compagnia. Il 27% è per accentuare l’attività che permetta di far crescere in amicizia. Oltre l’83% pensa che la qualità più importante che dovrebbe avere un coro è il senso di responsabilità, le persone e il clima che si instaura tra i coristi; solo il 15% è per la bravura nel cantare. Oltre il 50% dichiara che per cantare in un coro non è assolutamente importante conoscere le note. Questi dati, se pur sintetici, dimostrano come il coro sia per la maggioranza dei coristi soprattutto un’esperienza di socializzazione che si accompagna a un esercizio di rispetto delle regole basato su una piattaforma democratica. La presenza di regole precise stabilite in uno statuto, la presenza di almeno tre organi fondamentali come l’assemblea dei soci, il consiglio direttivo e il presidente, che garantiscono una formazione delle decisioni attraverso la partecipazione, sono tutti elementi che dimostrano che i cori perseguono l’esercizio alla democrazia. L’esperienza corale, quindi, si può inserire in quelle esperienze che, come abbiamo visto più sopra, rientrano nella concezione di capitale sociale secondario che ha come ambito di relazione dell’associazionismo di società civile. Emerge con tutta evidenza come le associazioni corali svolgano una funzione, che hanno per la verità sempre svolto, che è quella di garantire che il capitale sociale di una comunità si mantenga, si consolidi e si tramandi. La decrescita o la mancanza del capitale sociale significa, per qualsiasi comunità, una devastante frammentazione dei rapporti e delle relazioni sociali, con conseguenze sulla stessa struttura sociale a partire dalla qualità delle istituzioni politiche, sociali e culturali. Tenendo presente come le comunità locali sono sempre di più multiculturali e multietniche e che il dialogo con l’altro da noi è un altro elemento decisivo per la costruzione del futuro. Qui l’apporto dell’associazionismo è indubbio e profondamente importante. In una società come quella descritta da Z. Bauman, la condizione umana sarebbe esposta a elementi di criticità così elevati da mettere in discussione la stessa sopravvivenza delle civiltà. Il capitale sociale, il suo mantenimento e la sua crescita, è la condizione necessaria per creare quale piattaforma su cui poggiare il futuro nostro e delle nuove generazioni. Sarà un futuro certamente diverso da quello fin qui immaginato, ma senza l’apporto dei contributi individuali che si immergono nelle relazioni che formano il capitale sociale sarà certamente un futuro peggiore. Chiosando sempre Bauman, «il futuro non esiste, il futuro va creato». Mettere al centro le relazioni vere e non virtuali, aprire il dialogo con il “diverso da noi”, sviluppare un sentimento di appartenenza e di rispetto delle regole, è su questo terreno che la coralità, consapevolmente, può dare un contributo decisivo. Decisivo perché incide profondamente sulla dotazione del capitale sociale di una comunità, condizione indispensabile per creare il clima di fiducia necessario per pensare al futuro delle persone che abitano e abiteranno questo pianeta. 9 Note 1. Nato da genitori ebrei a Poznań, città in Polonia, nel 1925, Bauman fuggì nella zona di occupazione sovietica dopo che la Polonia fu invasa dalle truppe tedesche nel 1939 all’inizio della seconda guerra mondiale, e successivamente divenuto comunista si arruolò in una unità militare sovietica. Dopo la guerra, egli iniziò a studiare sociologia all’Università di Varsavia, dove insegnavano Stanislaw Ossowsky e Julian Hochfeld. Durante una permanenza alla London School of Economics, preparò la sua maggiore dissertazione sul socialismo britannico che fu pubblicata nel 1959. 2. G. ACCIAI, La coralità in Italia, in «Coralità», Periodico della federazione Cori del Trentino, n. 2, sett.-nov. 1994. 3. B. CATTARINUSSI, “Associazione”, in Dizionario di Sociologia, a cura di F. Demarchi e A. Ellena, pag. 130, ed. Paoline, 1976. 4. Idem. Bibliografia A. ANDREOTTI, P. BARBIERI, Reti e capitale sociale, in «Inchiesta», anno XXXIII, n.139, gennaio-marzo 2003. Z. BAUMAN, Una nuova condizione umana, Vita e Pensiero, 2003. P. BOURDIEU, Ragioni pratiche, Il Mulino, Bologna, 1995. S. DI GIACOMO, Il concetto di capitale sociale, internet. P. DONATI, La famiglia come capitale sociale primario, in Famiglia e capitale sociale nella società italiana, Ottavo Rapporto Cisf sulla Famiglia in Italia, edizioni S. Paolo, Cinisello Balsamo, 2003, pp. 31-101. F. FUKUYAMA, Fiducia, Rizzoli, Milano, 1996. L. GALLINO, Il colpo di stato di banche e governi, Enaudi, Torino, 2013. R. PUTNAM, La tradizione civica nelle regioni italiane, Mondadori, Milano, 1993. F. RAMPINI, Le dieci cose che non saranno più le stesse, La biblioteca di Repubblica, 2009. G. ROSSI, Il capitale sociale, internet IL CORO NELLA CRISI PROSPETTIVE PSICOLOGICHE: GLI INTERESSI AIUTANO A SUPERARE LE DIFFICOLTÀ? di Simone Scerri Negli ultimi tempi la parola “crisi” ha conosciuto – e tuttora conosce – una certa popolarità. Viene usata, a volte forse anche abusata, per indicare la condizione economico-finanziaria in cui buona parte del mondo occidentale versa; tuttavia spesso allarga il suo significato per andare a indicare componenti “altre” rispetto a quella economica: crisi di valori, crisi dei ruoli, crisi della famiglia eccetera. Obiettivo di questo contributo non è quello di fare un’analisi della crisi dal punto di vista psicologico o sociologico, né tantomeno politico o economico. Piuttosto, la questione che ci poniamo è se – all’interno del contesto sociale in questione – la coralità possa avere un qualche valore significativo e in che modo possa essere sviluppato. Nel fare questo accosteremo riflessioni personali basate sull’esperienza ai risultati della ricerca scientifica presenti in letteratura. Per dare ordine al nostro discorso è utile soffermarci prima di tutto su due parole-chiave i cui significati si intrecciano tra loro in modo interessante. Le parole in questione sono crisi e resilienza. La parola crisi nell’uso comune ha assunto un’accezione negativa in quanto vuole significare il peggioramento di una situazione. Ma l’etimologia, il significato originario di questo termine, deriva dal verbo greco krino che significa separare, cernere, in senso più lato, discernere, giudicare, valutare. Vi è, in questo, un’indiscutibile sfumatura positiva: crisi come momento di riflessione, di valutazione, di discernimento, possibile presupposto per un miglioramento, per una rinascita, per un cambiamento positivo. In questo senso, quando una persona “entra in crisi” vive emozioni spiacevoli (per esempio di delusione, insoddisfazione, tristezza) che se opportunamente ascoltate possono offrire lo spunto per apportare dei cambiamenti a una situazione percepita come critica. Lo stesso dicasi per una coppia, in cui la crisi può rappresentare l’occasione per rivedere alcune modalità non più soddisfacenti su cui è basata la relazione. Anche i cori a volte entrano in crisi: quando l’organico si riduce e questo richiede di rivedere il repertorio, quando un obiettivo sproporzionato rispetto alle risorse disponibili sembra rendere le prove stagnanti, quando i conflitti interni sembrano prendere il sopravvento sull’obiettivo di fare musica insieme. IL CORO PSICOLOGO E RICERCATORE O DOSSIER Qualunque sia il motivo della crisi, quanto più una persona o un gruppo riescono a riconoscerne gli aspetti di potenzialità, tanto più saranno in grado di mantenere un atteggiamento positivo e di fronteggiarla con azioni coerenti. Al contrario, quanto più una persona o un gruppo tendono a ritagliare una cornice solo attorno agli aspetti potenzialmente distruttivi (di sé, della coppia, del coro, per restare negli esempi appena citati), tanto più tenderanno a essere sopraffatti dalla situazione anziché ad attraversarla con fiducia. Facciamo un passo avanti nel nostro ragionamento di avvicinamento al coro e alla coralità, tema centrale di questo contributo. Che cosa rende possibile il passaggio dal secondo atteggiamento al primo? In altre parole, che cosa favorisce un modo positivo di percepire le situazioni di crisi, spingendo ad attraversarle anziché a subirle? Gli psicologi hanno trovato una parola per dire tutto questo: resilienza. Questo termine deriva dal latino resalio, che in una delle sue accezioni originali indicava l’azione di risalire sulla barca capovolta dalle onde del mare. Tradizionalmente la resilienza è stata legata alla metallurgia, dove tale termine indica la capacità di un metallo di resistere alle forze impulsive che gli vengono applicate. In modo analogo, in psicologia la resilienza è la capacità di far fronte in maniera positiva agli eventi traumatici, di riorganizzare positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà. È la capacità di ricostruirsi restando sensibili alle opportunità positive che la vita offre, senza perdere la propria umanità. Anche una comunità può essere resiliente: per esempio quando riesce ad attrezzarsi per restare unita e affrontare le conseguenze di una catastrofe naturale. Di nuovo: che cosa c’entra la coralità con tutto questo? Ancora un momento, occorre prima soffermarsi su un’altra domanda cruciale: come si sviluppa questa attitudine così speciale denominata “resilienza”? Sintetizzando, le fonti della resilienza possono essere individuate in un attaccamento sicuro con figure di riferimento importanti (soprattutto nei primi anni di vita), nella consapevolezza di sé, nell’autostima derivante dalla valorizzazione delle proprie competenze innate. Ma se è vero che il temperamento e le esperienze vissute nella prima fase di vita incidono significativamente sul nostro modo di affrontare le situazioni, è altrettanto vero che la resilienza può essere sviluppata e potenziata anche in età adulta. La American Psychological Association, nel suo documento The road to resilience, ha messo a punto una sorta di decalogo per lo sviluppo della resilienza i cui punti si riferiscono – oltre che a strategie individuali di tipo cognitivo ed emotivo – anche a strategie che molto hanno a che fare con quella coralità in cui ci stiamo per addentrare. Infatti, in questo decalogo troviamo prescrizioni quali: • «Crea rapporti»: buone relazioni con i familiari più prossimi, con gli amici, o con gli altri, sono importanti. Accettare 11 aiuto e sostegno da chi è interessato a voi e vi ascolta rafforza la resilienza. Alcune persone trovano che essere attivi in gruppi civici, organizzazioni religiose o altri gruppi locali fornisca supporto sociale e che possa aiutare a recuperare speranza. Assistere gli altri nel momento del bisogno può beneficiare anche chi aiuta. • «Cerca opportunità per imparare»: le persone spesso imparano qualcosa su loro stesse e osservano come, per certi aspetti, sono cresciute. Molte persone che hanno avuto esperienze tragiche e avversità, hanno conseguito miglioramenti nelle relazioni, un più ampio senso di forza personale anche in momenti di vulnerabilità, un incremento di autostima, una più sviluppata spiritualità e un maggiore apprezzamento per la vita. • «Prenditi cura di te stesso»: presta attenzione ai tuoi bisogni e ai tuoi sentimenti. Impegnati in attività che ti piacciono e che trovi rilassanti. Esercitati regolarmente. Prendersi cura di se stessi aiuta a mantenere la mente e il corpo pronti per affrontare le situazioni che richiedono resilienza. Ecco allora che la coralità – intesa qui precisamente come “esperienza del prendere parte a un coro” – risponde in modo preciso a queste prescrizioni nella misura in cui consente alle persone di creare rapporti, rappresenta una opportunità per imparare (a usare la voce, a leggere la musica, a conoscere un repertorio etc.) e diventa un modo per prendersi cura di sé Che cosa favorisce un modo positivo di percepire le situazioni di crisi, spingendo ad attraversarle anziché a subirle? attraverso una attività piacevole svolta con regolarità. È sufficiente questo per dire che partecipare a un coro consente di attraversare meglio la crisi sociale attuale? Evidentemente no, sarebbe una considerazione troppo ardita. Però vale la pena di addentrarci ulteriormente in questa connessione tra coralità e resilienza. Potremmo per esempio chiederci se essere resilienti induca le persone a partecipare a esperienze di tipo corale o se al contrario sia la partecipazione a queste esperienze a sviluppare resilienza. Una forma nuova per una domanda vecchia: “è nato prima l’uovo o la gallina?”. La risposta non c’è, probabilmente perché la domanda è posta male. Più che indagare relazioni lineari di causa-effetto, ci sembra importante focalizzarci su relazioni di tipo circolare: l’idea potrebbe essere che la resilienza individuale spinga a prendere parte a esperienze di diverso tipo tra cui quella corale, le quali a loro volta contribuiscono a sviluppare resilienza poiché alimentano una rete di relazioni, l’attitudine all’ascolto, emozioni positive, l’espressione di sé attraverso 12 l’uso comunitario della voce, apprendimento su più livelli, occasioni per misurarsi con performance pubbliche, capacità di far parte di un gruppo, focus su obiettivi, consapevolezza del proprio corpo eccetera. Sono numerose le ricerche che supportano questa tesi e che incoraggiano in questa direzione. Dal punto di vista psicobiologico, esistono diverse ricerche che hanno preso in considerazione le conseguenze del canto corale in termini di variazioni fisiologiche e reattività allo stress. In particolare, rilevazioni effettuate sui cantori prima e dopo le prove con soggetti di età compresa tra i 29 e i 74 anni hanno fatto registrare aumenti significativi di immunoglobuline A e, concordemente, stati emotivi positivi (Kreutz et al, 2004). Analoghe ricerche sono state compiute prima e dopo i concerti (Beck et al, 1999): nel 25% dei cantori le immunoglobuline A sono aumentate del 350%. Queste variazioni potrebbero dipendere dai pattern di respiro indotti dal canto e dall’emozione positiva associata ad esso. Da un punto di vista psicosociale, Harrison e Narayan (2003) in uno studio condotto negli Usa su oltre 50mila soggetti adolescenti hanno rilevato come la partecipazione da parte degli studenti ad attività extracurriculari sia collegata a più alti livelli di funzionamento psicosociale, consistenti in migliore immagine di sé, minore consumo di sostanze, maggiore responsabilità verso gli impegni scolastici, minor coinvolgimento in situazioni di violenza e aggressività. Alcune realtà corali hanno dedicato attenzione in modo virtuoso a questi aspetti di legame tra coralità e benessere, raccogliendo e pubblicando interviste ai cantori (Torlasco, 2013). Andando a recuperare stralci di queste interviste, ritroviamo parole che “hanno il sapore della resilienza”: «impostare la voce richiede disciplina interiore»; «fa uscire dalla solitudine»; «quando canto mi sento bene»; «è come un esercizio fisico»; «cantare, nei periodi critici, mi aiuta»; «c’è qualcosa che innamora. Viene un’emozione che non è solo il cantar bene»; «io faccio tutto questo per me. Mi applico il più possibile. Il messaggio è per me. Devo emozionarmi»; «il nostro coro è un piccolo mondo. Siamo la riproduzione in piccolo di tutte le dinamiche fuori. Siamo un piccolo mondo, con i nostri difetti, i nostri pregi, una piccola comunità dentro una comunità più grande». In continuità con quanto espresso da alcuni di questi cantori, Shahar (2012) descrive evidenze scientifiche di come il Diverse ricerche hanno preso in considerazione le conseguenze del canto corale in termini di variazioni fisiologiche e reattività allo stress. supporto sociale sia effettivamente uno dei principali fattori di resilienza e di come le relazioni supportive aiutino le persone a pianificare meglio le azioni, a persistere nella risoluzione dei problemi considerando le diverse alternative possibili e a regolare meglio le proprie emozioni, con minori livelli di stress percepito e maggiore livello di benessere. C’è però un altro aspetto da sottolineare. Affinché le esperienze corali – e qui usiamo la parola corale in senso ampio, a indicare ogni esperienza condotta insieme ad altre persone – abbiano queste caratteristiche di positività, è fondamentale che chi le guida sappia gestire in modo valido tanto il lavoro quanto le dinamiche di gruppo, affinché esse siano effettivamente efficaci e supportive. Per quanto riguarda la resilienza nell’apprendimento, DOSSIER 13 numerosi contributi scientifici testimoniano l’importanza di adeguati metodi di insegnamento. Citiamo per esempio l’interessante lavoro di Quirk e colleghi svolto in questo caso in una scuola primaria (2012), dove attraverso una ricerca-azione è stato dimostrato come metodi di insegnamento partecipativi e supportivi non solo sviluppino resilienza in termini di motivazione, indipendenza, abilità di problem solving e supporto reciproco nel gruppo, ma anche sviluppino autostima e resilienza nel gruppo di insegnanti che si trovano a collaborare. Pensiamo al valore che queste indicazioni possono avere in tutti quei cori scolastici che in Italia hanno una certa rilevanza in termini di numeri. Quali metodologie possono essere utilizzate dai direttori per favorire contemporaneamente relazioni supportive e resilienza nell’apprendimento? Sono ancora pochi gli studi che in questo senso hanno indagato l’effettiva efficacia delle diverse pratiche di direzione. Da questo punto di vista proprio in Italia è stata condotta un’importante ricerca nata dalla collaborazione tra Feniarco e l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, che coinvolgendo oltre 80 direttori provenienti da tutta Italia ha realizzato una mappatura delle principali criticità non-musicali (e dunque psicorelazionali) esistenti nei cori per poi proporre specifiche strategie di gestione (Gatti, Scerri, 2010a, 2010b). Sviluppi interessanti potrebbero nascere da una validazione sul campo delle principali tra queste strategie. Riassumendo, il fatto di entrare a far parte di un coro rappresenta già di per sé una scelta di apertura: agli altri, ad esperienze nuove, a sfide di apprendimento e di messa in gioco personale. D’altro canto, il permanere in un coro consente di potenziare diverse abilità e competenze – sia musicali che psicologiche e relazionali – il cui valore e la cui utilità vanno ben oltre l’attività corale in sé. È probabile inoltre che quanto più precoce sia l’ingresso in un coro, tanto più le competenze acquisite entrino a far parte della struttura personologica individuale. Dovendo racchiudere in una frase questi concetti, potremmo dire che “cantare in coro aumenta sia le risorse interne che le risorse esterne”. In tutto questo, un ruolo fondamentale è svolto dai direttori, figure che mai come oggi sono chiamate a ricoprire funzioni differenti e a sviluppare competenze di leadership che possono e devono fare la differenza. Cantare in coro aumenta sia le risorse interne che le risorse esterne. Bibliografia R.J. BECK, T.C. YOUSEFI, H. ENAMOTO (1999), Choral singing, performance perception and immune system changes in salivary immunoglobulin A and cortiso, in «Music perception», 18, 87-106. F. GATTI, S. SCERRI (2010a), INdirection. Cantare insieme, insieme per cantare: la gestione delle dinamiche interpersonali di un coro, Ed. Feniarco, S. Vito al Tagliamento (Pn). F. GATTI, S. SCERRI (2010b), Il direttore di coro come gestore di dinamiche relazionali, in «Choraliter», 32, 43-47. P.A. HARRISON, G. NARAYAN (2003), Differences in behavior, psychological factors and environmental factors associated with participation in school sports and other activities in adolescence, in «Journal of school health», 73, 3, 113-120. G. KREUTZ, S. BONGARD, S. ROHRMANN, V. HODAPP, D. GREBE (2004), Effects of choir singing or listening on secretory immunoglobulin A, cortisol and emotional state, in «Journal of behavioural Medicine», 27, 6, 623-635. M. QUIRK, E. THORNBERY, M. POWER, E. SAMUEL (2010), Resilience in learning: a report on action research in a west Midlands primary school, in «The psychology of education review», 36, 2, 46-53. G. SHAHAR (2012), A social-clinical psychological statement on resilience: introduction to the special issue, in «Journal of social and clinical psychology», 31, 6, 535-541. S.M. TORLASCO (a cura di) (2013), Armonie in voce. Va’ dove ti porta il coro, Ed. Alpes Italia, Roma. http://etimoitaliano.blogspot.it/2011/03/etimologia-dellaparola-crisi.html http://it.wikipedia.org/wiki/Resilienza http://www.apa.org/helpcenter/index.aspx 14 UN AGGANCIO PER RESISTERE AI COLPI VOCI DAI CORI a cura di Sandro Bergamo Ma con tutti i problemi che ci sono, come fai ad avere tempo e voglia di cantare in coro? E perché non rovesciare la domanda? Visti i problemi, non ti farebbe bene cantare in coro? Non è un banale “canta che ti passa”: è la convinzione, anche scientificamente supportata, che nei momenti difficili un interesse al quale si è dedicato solo il tempo libero, lungi dallo svaporare, possa diventare un aggancio per resistere ai colpi e superare la crisi. E il coro, in questo, è momento privilegiato, perché luogo dove i legami tra le persone si creano, si rafforzano e possono sostenere la persona nelle difficoltà. Un microcosmo sociale capace di valorizzare il contributo di ognuno trasformandolo. «Il mio direttore», dice Paola, soprano 33enne in un coro popolare trentino, «sa valorizzare la piccola capacità di ognuno. Ogni corista si sente pienamente partecipe, sente di poter dare un contributo alla qualità e riuscita del coro». Nel coro si impara a realizzare un rapporto collaborativo con gli altri: secondo Roberto, corista 44enne, «il coro è un puzzle, dove gli unici pezzi inutili sono quelli che non si incastrano. In coro ognuno fa quello che è chiamato a fare, contribuendo così alla realizzazione dell’insieme». E non si è valorizzati solo per le proprie potenzialità musicali, ma c’è spazio per tutto: «Non potendo partecipare spesso alle prove, per motivi di studio, cerco di dare il massimo in alcune attività secondarie», dice il ventenne Enrico, tenore in un coro piemontese. «Forse più per la mia età che per le mie (minime) competenze, si tende a darmi importanza per la gestione informatica di contatti e mail». Il bello del coro è l’essere un impegno liberamente accettato: «Uno degli aspetti positivi del far parte di un coro», è il pensiero di Enrico, «sta nella possibilità di scegliere il livello di impegno e dedizione, da cui discende la propria posizione in questo universo sociale». Come in tutte le società, non è sempre ugualmente facile integrarsi. Serve tempo, come nota Mariella, medico in pensione, che si sente «in una posizione ancora marginale, essendo entrata da pochi mesi a far parte del coro». O come Giorgia, 14enne corista di un coro scolastico valdostano, che si sente «marginale, perché penso di non essere bravissima a cantare e quindi non importantissima per il mio coro». Le qualità e le debolezze vocali, vere o presunte, hanno ovviamente peso nel ruolo che ciascuno si attribuisce nel coro. Al contrario di Giorgia, Sonia, sua coetanea e collega nello stesso coro, giudica di essere «un elemento sostanziale del coro, anche perché ho una voce con molto volume e sono una delle voci principali». Molto sicuro di sé, Martino, terza voce di quel coro, dove dice, «ho una posizione abbastanza sostanziale: infatti i nuovi arrivati si mettono vicino a me per imparare le melodie. Anche se questo non ha condizionato la mia autostima, è comunque una bella esperienza». Già, l’autostima: il coro può essere in grado di aumentarla? Rare le voci scettiche, su questo tema, come Pio, ingegnere settantenne, per il quale «l’autostima è come il coraggio di don Abbondio, uno o ce l’ha o non ce l’ha». In genere è un consenso “corale” all’idea che faccia bene all’autostima vivere l’esperienza di cantare in gruppo. Un’autostima legata in primis al sentirsi parte di un gruppo che ti valorizza, come spiega Asia, studentessa 14enne, corista anche lei in un coro scolastico: «Prima di tutto cantare in coro ha fatto sparire le mie insicurezze, ha tolto la mia timidezza, la paura di non essere “abbastanza”: mi ha fatto sentire importante, il tassello che, se manca, lascia comunque un vuoto». Incalza Enrico: «Il coro, mentre da un lato mi ha mostrato che posso essere apprezzato per un servizio, dall’altro mi ha insegnato Il coro è il luogo dove i legami tra le persone si creano, si rafforzano e possono sostenere la persona nelle difficoltà. che non si smette mai di imparare. È un buon luogo dove trovare modelli da seguire, artisticamente e personalmente, e questo aumenta la fiducia in se stessi». Antonio, pensionato 65enne, lega l’autostima ai risultati del coro: «riuscire a ottenerli, anche se mediati dalla presenza degli altri, non può che dare gratificazione». Alla responsabilità fa riferimento Luca, giovanissimo tenore di un coro marchigiano: «Il coro responsabilizza il singolo partecipante, rendendolo autonomo come singolo individuo che si unisce ad altre voci». Paola vede addirittura nel coro una palestra di democrazia, «dove le diversità debbono arrotondarsi di fronte al bene comune, corale. Quindi non è l’idea della maggioranza che si impone, ma un’idea condivisa». La gestione dei rapporti, in un simile microcosmo, è fondamentale. Sotto un generico «ci vogliamo tutti bene», DOSSIER «abbiamo la stessa passione», si intuisce la delicatezza di un tema non scontato. Ci sono le conoscenze pregresse, come la studentessa Anna, che riconosce come «nel mio coro [scolastico] prima stavo soprattutto con i miei amici, ma ora ho legato anche con gli altri ragazzi». E poi ci sono i famigliari: qualcuno, come Paola, in coro ha «un fratello, mia madre e mio padre». Mariella riconosce «un piccolo margine a favore dei componenti la mia sezione». Per Roberto è naturale che «essendoci all’interno del coro persone molto eterogenee tra loro si leghi più con alcuni che con altri». C’è il fattore età, come ricorda Walter, direttore astigiano: «quando ero giovane corista avevo fatto gruppo con gli altri giovani del coro e si usciva molto spesso insieme il sabato sera, anche in ambiti diversi dal coro; questo aveva cementato un’unione che immancabilmente agiva positivamente anche sulla resa del coro a prove e in concerto». Ma poi si insinuano anche le problematiche relative al ruolo. «Da direttore le cose cambiano», confessa Walter. «Naturalmente continua a esistere la componente umana e quindi ci si sente più vicini a certe persone, ma bisogna cercare di essere equidistanti per non innescare inutili e ingiustificate gelosie». E c’è, naturalmente, la differenza “di genere”. È ancora Paola a sottolinearlo: «tra donne ci si “squadra” ogni momento: l’inficiamento dell’apparire… C’è però più coesione anche nel senso dell’amicizia e del ritrovarsi “oltre” il coro». Il coro coinvolge personalmente, intimamente: non fosse altro, perché lo strumento del cantare è il cantante stesso. E “quanto apri la bocca” è misura di quanto sei disposto a metterti in gioco e aprirti a una relazione con gli altri: nel coro, come in ogni altro momento della vita. Possono apparire scontate le titubanze degli adolescenti: «sono sempre stata riservata, ma ultimamente mi sto lasciando andare. Spero non sia rischioso» (Nadia, 13 anni). Ma anche Daniela, che pure per professione si occupa di tematiche sociali, a 53 anni riconosce le difficoltà: «il mio lavoro richiede molta 15 esposizione personale. Nel coro, sono certamente disposta ad aprire il mio ego, ma devo fare esercizi di consapevolezza perché all’intenzione corrisponda un’azione efficace». La musica aiuta a far cadere le barriere psicologiche: «quando si tratta di cantare, quando si tratta della mia passione più grande, apro tutta me stessa e in quell’ambito sono io, senza nascondere nulla» (Asia). E la quattordicenne Grazia non ha dubbi: «apro al massimo, perché quando canto mi sento molto bene, libera!». Ma è significativo che a questa domanda molti si sottraggano, rispondendo a monosillabi o semplicemente saltandola. La relazione con gli altri è un momento fondamentale del vivere in coro, che costringe a rivedere tanti aspetti della propria personalità: «Quando si lavora con gli altri è necessario anche un lavoro su se stessi», riflette Marta, corista goriziana. «Spesso ci tocca limare, togliere il di più, a volte modellare o aggiungere ciò che manca. Questo non significa perdere la propria identità ma liberarsi di ciò che blocca a vantaggio di ciò che libera e coltivare ciò che di se stessi può contribuire alla buona riuscita di quel che si sta facendo. Quando il gruppo al quale si appartiene è un gruppo corale, il lavoro su se stessi deve essere particolarmente accurato perché il coro è un organismo complesso con un equilibrio molto delicato e soprattutto nel momento in cui si esprime con il canto ci deve essere completa armonia tra le parti e una totale comunione di intenti. Ciò che si ha in cambio», conclude, «ha per me un valore inestimabile». Anche per Ornella è fondamentale la dimensione di gruppo per migliorare il carattere individuale: «L’impegno del singolo non basta, ma è fondamentale; il risultato, positivo o negativo, appartiene al gruppo, mai a uno solo. Questo mi aiuta nell’imparare a fidarmi, o meglio ad affidarmi, agli altri, che per me è da sempre la cosa più difficile». La maggior parte degli intervistati, forse indirizzati dalla stessa domanda, che parla di “lati spigolosi o irrisolti del tuo carattere”, interpreta il miglioramento del carattere come ammorbidimento della personalità o, al più, come vittoria sulla timidezza. Solo la tredicenne Nadia ricorda che il coro non deve smorzare la personalità: «Bisogna avere anche un carattere un po’ cattivo, perché essere sempre perfetto a volte può anche annoiare le persone». Chissà se a scuola ha letto Il visconte dimezzato di Italo Calvino! Ancora una volta tocca a Walter rilevare come il punto di vista del direttore abbia lineamenti particolari: «Col tempo sono riuscito a mitigare il mio lato più impulsivo, anche se spesso un mio intervento sopra le righe viene scambiato per livore verso i coristi: si tratta invece di rabbia per qualcosa che in quel momento non riesco a esprimere musicalmente o per l’errore. È però il peccato, non il peccatore, a farmi rabbia, anche perché l’unico vero grande peccatore, in ultima analisi, è sempre il direttore». Solo Paola trasferisce le esperienze corali alla vita di lavoro: «Il mio lavoro richiede già necessariamente un lavoro di squadra: il coro rafforza e implementa questo concetto». Questo trasferimento dell’esperienza corale alla vita 16 quotidiana è per Antonio, pensionato 65enne, un dato normale, anche se riferito, in questo caso, alla vita privata: «Per me il coro è cosa importante, per cui la sua influenza anche all’esterno è naturale. Gli aspetti di disciplina e organizzazione sono modelli che cerco di esportare». Ovviamente il cantare assieme fa nascere legami che si prolungano oltre l’attività corale: si stringono nuove amicizie, si rafforzano legami famigliari, quando a cantare con te è un fratello o un figlio. E qualche volta i legami famigliari nascono, trovando non pochi moglie o marito tra i colleghi coristi. Ma non pochi sottolineano il carattere “rigenerante” del tempo trascorso a cantare, come Sergio, commesso 53enne: «È un impegno rilassante e rigenerante, che porta maggior tranquillità anche all’esterno. Ottenere risultati, anche se di gruppo, dà soddisfazione e appagamento». Secondo Paola il tempo speso nel coro offre «la possibilità di vivere bei momenti di condivisione». È il concetto di resilienza (vd. articolo di Simone Scerri su questo numero di Choraliter), vissuto senza averlo studiato: «I sacrifici fatti», riconosce Francesca, «sono ampiamente ripagati e, soprattutto, grande vantaggio se ne può trarre per superare i momenti bui, le piccole e grandi difficoltà della vita quotidiana, in quanto ci si sente ricaricati e pronti a ripartire». Ma quanto si traduce tutto questo in crescita musicale? Ci sono qualità nascoste che escono allo scoperto? Qui prevale la modestia (vera o falsa): quasi tutti negano di possedere particolari capacità da mettere in mostra, a meno che non abbiano studi musicali alle spalle e il cantare in coro dia modo di metterli in pratica: «Avendo conseguito il diploma in musica corale ma non svolgendo la professione di musicista, non potevo chiedere di meglio che cantare in un coro per far emergere capacità musicale altrimenti tenute a riposo forzato», commenta Roberta, insegnante di materie letterarie al liceo. Più sicurezza dimostrano i ragazzi, come il 14enne Martino: «suono il pianoforte e mi accorgo che il coro ha aperto le mie competenze musicali. Ora ho due competenze», conclude. Grande fiducia nelle valutazioni del direttore, anche rispetto all’attribuzione i ruoli solistici: «lascio ai direttori», dice Antonio, «la valutazione di cosa e come chiedere. Sono certo che conoscano le capacità di ciascun corista e riescano a trarne il meglio. Quanto alle parti da solista, non mi sono mai posto il problema. Se dovessero chiedere, risponderei “presente”, consapevole della loro capacità di valutazione». C’è impegno, nel migliorare le proprie capacità e competenze? È un impegno limitato il più delle volte all’ambito delle prove. Antonio: «Sfrutto sempre al meglio gli insegnamenti dei maestri durante le prove e in ogni altra occasione si presenti». Sono le parole di Marta quelle che meglio descrivono il processo di continuo miglioramento in cui consiste il cantare in coro, e sono la migliore conclusione di questa intervista collettiva: «Penso che nel canto non si finisca mai di imparare e che viaggiando su molti binari (l’evoluzione personale, quella della propria sezione e quella dell’intero coro) le possibilità di miglioramento siano inimmaginabili ma che buoni risultati richiedano impegno, costanza, pazienza e conoscenza». Il coro è un microcosmo sociale capace di valorizzare il contributo di ognuno trasformandolo. B EMOZIONE E COMUNICAZIONE INTERVISTA A BOB CHILCOTT a cura di Mauro Marchetti DIRETTORE DEL CORO CITTÀ DI ROMA E COMMISSARIO ARTISTICO FENIARCO Questa intervista nasce da un incontro avuto con Bob Chilcott a Roma nell’ambito del Festival Voices for Today organizzato dal Coro Città di Roma per ricordare e festeggiare il grande compositore inglese Benjamin Britten nel centenario della sua nascita 1913-2013. Il festival, suddiviso in due giornate, ha promosso un repertorio poco conosciuto e raramente eseguito. Nel primo concerto, interamente incentrato sulle composizioni di Britten, abbiamo messo in risalto una produzione davvero affascinante e interessante, poco conosciuta alla coralità e al mondo musicale italiano. Il concerto si è concluso con la prima italiana del lavoro Voices for Today scritto dal compositore nel 1965 per festeggiare il ventennale delle Nazioni Unite. Un grande lavoro che vedeva la presenza di un coro misto, un coro di voci bianche e organo. Il secondo concerto ha fatto seguito a una masterclass tenuta da Bob Chilcott con il Coro Città di Roma, e conclusasi con il concerto dal titolo Around Britten. Il titolo rappresenta già tutto, abbiamo così dato spazio a quelli che sono stati i compositori molto amati dallo stesso Britten, come Franz Schubert, Henry Purcell, John Ireland, e autori che in qualche modo hanno avuto come fonte di ispirazione lo stesso Britten, da Bennett a Dove, da Tavener allo stesso Chilcott, da Bridge a Tippett. Davvero BOB un programma interessante, ricco di sfumature e particolarmente nuovo. Il direttore Bob Chilcott ha sapientemente rappresentato un angolo della sua terra e, davanti alla presenza dell’ambasciatore britannico Christopher Prentice, ha condotto alla chiusura del festival il Coro Città di Roma in modo impeccabile, appassionando chi cantava e chi ascoltava, il numeroso pubblico che ha riempito la chiesa inglese di San Paolo a Roma. Ho voluto poi fermarmi con Bob per farmi raccontare i suoi inizi e la sua carriera di studente prima, di cantante dei King’s Singers poi, e quella sua vita frenetica e affascinante che è attualmente quella di compositore e direttore di cori, in tutto il mondo. Il fatto che abbia cantato da bambino nel King’s College di Cambridge diretto anche da Benjamin Britten si è rivelata una piacevole sorpresa! Il risultato è stato una piacevole serata chiacchierando davanti a un chianti e quello che ne è venuto fuori è davvero molto, molto interessante. Chilcott è davvero una persona straordinaria. Come nasce Bob Chilcott compositore e quali sono le tue fonti di ispirazione? Ho cantato sin da bambino in un ottimo coro – sono entrato nel King’s College Choir, 18 Bob Chilcott__________ Nato a Plymouth (Inghilterra) nel 1955, entra a soli otto anni nel Choir of King’s College, Cambridge come voce bianca e vi rimane poi come tenore fino alla fine dei suoi studi universitari. Diventa nel 1985 il tenore del celeberrimo sestetto vocale inglese The King’s Singers e ne fa parte per dodici anni, fino al 1997, quando lascia l’attività di cantante per dedicarsi a tempo pieno alla composizione e alla didattica corale, fortemente ispirato dalle esperienze vissute con questo gruppo, dal suo forte impegno e passione verso i cori di amatori e di giovani, e dal suo profondo convincimento che la musica possa unire le persone. Il vasto catalogo delle sue opere, pubblicate da Oxford University Press, riflette la sua grande apertura verso i diversi stili musicali e il suo impegno nel comporre musiche che siano, allo stesso tempo, cantabili e di forte impatto comunicativo. Tra il 1997 e il 2004, è stato direttore del coro del Royal College of Music di Londra e dal 2002 è il Principal Guest Conductor di The BBC Singers. Negli ultimi dieci anni, ha diretto cori in più di trenta paesi diversi (tra i più recenti: Russia, Canada, Stati Uniti, Giappone, Repubblica Ceca, Germania, Olanda, Italia, Svezia, Danimarca e Norvegia). Tra le sue opere principali: i Salisbury Vespers, scritti nel 2009, ed eseguiti per la prima volta nella Cattedrale di Salisbury da più di 600 cantori e musicisti; il Requiem (2010), eseguito a oggi in 16 paesi; la cantata The Angry Planet, eseguita in prima assoluta nel 2012 ai Proms della BBC da un coro composto da 550 cantori, tra adulti e giovani. Nel marzo 2013, la prima della sua St John Passion è stata eseguita nella Cattedrale di Wells dal coro della cattedrale, condotto da Matthew Owens. Più recentemente, ha composto The King shall rejoice per la cerimonia di celebrazione del 60° anniversario dell’incoronazione della Regina Elisabetta II. La sua opera A Little Jazz Mass è uno dei brani preferiti dai cori giovanili di tutto il mondo, insieme a Can you hear me, brano caratterizzato dall’uso del linguaggio dei segni ed eseguito al Song Festival del 2004, in Estonia, da un coro formato da più di settemila ragazzi. La casa discografica Signum ha pubblicato quattro CD monografici delle sue opere eseguite dai BBC Singers, i King’s Singers, i Sirens, e il NFL Wroclaw Philharmonic Choir. Il suo Requiem è stato inciso per la casa discografica Hyperion dal Choir of Wells Cathedral, che registrerà anche la sua St John Passion nel 2014. Nel 2013, la Naxos ha pubblicato un album delle sue opera eseguite dal Wellensian Consort e The Rose in the Middle of Winter, un’incisione delle sue musiche natalizie eseguite dal coro da camera Commotio. Le sue opere sono state incise inoltre da molti altri celebri cori e gruppi vocali, quali i Tenebrae, i Cambridge Singers, il Choir of King’s College, Cambridge e il Choir of Westminster Abbey. Definito da The Observer come «un eroe dei nostri tempi della musica corale britannica», Bob Chilcott è tra i compositori di musica corale della sua generazione uno dei più popolari e dei più eseguiti nel mondo. Cambridge a soli otto anni – e ho iniziato a comporre musica a quattordici anni, ma quando sono poi andato all’università ho smesso di comporre perché in quel periodo la musica aveva una percezione delle dinamiche diverse. Ho continuato i miei studi musicali e ho lavorato come cantante e musicista per anni e sono poi entrato a far parte dei King’s Singers. Ho dovuto aspettare di arrivare ad avere quarantadue anni prima di iniziare a fare quello che ho fatto e faccio ancora da allora: in un certo senso, ho dovuto quindi percorrere interamente una sorta di grande cerchio per tornare a essere quello che volevo essere quando ero molto molto più giovane. Ma senza compiere questo percorso non avrei mai potuto farlo. Ho avuto bisogno delle mie esperienze come musicista e cantante per imparare, e per capire cos’era che mi motivava a comporre. Tra i compositori che sono stati per me più importanti vi sono sicuramente molti autori rinascimentali. Con il mio coro cantavo in un edificio bellissimo con una splendida acustica, e cantavamo molta musica antica. Il suono di quella musica meravigliosa e il modo in cui si diffondeva in quello splendido edificio è rimasto “inciso” per sempre nel mio cuore. Il linguaggio e la comunicazione per me sono fondamentali, ed è come se quella musica mi parlasse veramente, e mi riferisco soprattutto a compositori inglesi come William Byrd, Thomas Tallis, Henry Purcell. Sono stato fortemente ispirato anche da alcuni compositori tedeschi, Brahms in particolare, sicuramente una figura molto importante nella mia vita. Parlo tedesco piuttosto bene, e mi piace molto la combinazione tra la sua melodia e la struttura della lingua. La forma e la struttura di un pezzo mi interessano sempre molto: non sono come molti compositori moderni che hanno una visione verticale della musica, a me piacciono molto le frasi. Penso di dovere molto alla visione e alla tradizione europea. La tua esperienza come King’s Singer ha rafforzato questa idea della composizione o era invece nata ancora prima? L’esperienza con i King’s Singers è stata per me estremamente importante per tantissimi motivi ma, soprattutto, perché mi ha insegnato ad avere un contatto con le persone. Ho sempre amato molto le persone e il contatto umano e quando iniziai a lavorare COMPOSITORE 19 con i King’s Singers mi colpì molto, osservando il modo in cui lavoravano, che non parlassero mai di musica di per sé, ma, piuttosto, di che effetto sortiva quella musica e di cosa si doveva cercare di fare per trasmettere attraverso quella musica quello che si voleva comunicare. Sembra un concetto semplice, quasi ovvio, ma non lo è, ed è per me fondamentale. Imparare ad avere fiducia in sé stessi e in quel che si fa, tanto da trovare il coraggio di comunicare in quel modo, è stato meraviglioso e mi ha insegnato molto sul contatto umano e sulla comunicazione attraverso la musica, anche come compositore. Ed è stato veramente importante per me proprio perché coincide col fatto che le persone hanno per me un grande significato: senza le persone, la musica non ha così importanza. Hai composto molte opere per cori di bambini e giovani. Nelle tue composizioni c’è anche uno specifico intento didattico? È una domanda molto interessante. Mi piace moltissimo lavorare con i bambini e i giovani, perché sono estremamente critici. Quando si lavora con persone che cantano, si deve sempre trovare il modo di far venire loro voglia di cantare. Insegnare a cantare è difficile, ma quando si riesce a creare una musica che scaturisce “naturalmente”, nel senso di note, spazi, pause, respiri, beh… quello per me diventa il modo migliore di insegnare! I giovani, e ancor di più i bambini, non vogliono infatti pensare a imparare, vogliono semplicemente “cantare”. Se dico loro: «Trova questo suono, trova questa forma dentro di te», ma senza dire loro «qui c’è il diaframma» né spiegando loro l’anatomia umana e come funzionano le corde vocale, loro provano… e vedono che possono farlo: trovano dentro di loro il suono che chiedo loro di fare, capiscono come farlo, e lo ripetono. Io cerco di scrivere musica che si possa cantare, e questo per me è veramente importante. In questo senso, l’intento didattico è sicuramente sempre presente nelle mie composizioni: per me è far pensare alle persone, mentre cantano, che “cantare è bello”, e che possono farlo. piuttosto fragili ed emotive. Se non si lavora bene in termini di motivazione, le persone si distruggono e abbattono molto facilmente; ma se si riesce a incoraggiarle nel modo migliore, spesso riescono a cantare molto meglio di quanto pensavano di essere capaci. Per me è sempre molto importante pensare che i cantanti amatoriali non cantano per lavoro e che fanno spesso grandi sacrifici per mantenere la propria passione. Il cantore amatoriale, infatti, rinuncia a molto del proprio tempo libero, energia, tempo da dedicare alla famiglia e spesso spende anche dei soldi per farlo; sceglie insomma di passare quel tempo cantando, ed è un tempo che si ritaglia spesso anche con fatica, dedicandosi al canto con grande passione. Non è assolutamente facile essere un cantante amatoriale perché, La cosa più importante è sentire che si canta insieme. Cosa pensi della coralità amatoriale e di quella professionale? Quali differenze trovi nel tuo lavoro, a parte ovviamente le diverse capacità tecniche e la preparazione dei cantori? Preferisco sicuramente lavorare con cori amatoriali perché hanno una motivazione molto forte. Vengo da un paese in cui i cantanti professionisti sono di un livello eccezionale e ovviamente mi piace molto lavorare con loro quando ne ho occasione, ci mancherebbe! Facciamo bella musica e a splendidi livelli ma… quando lavoro con amatori, mi sento molto più me stesso! Il modo di lavorare è completamente diverso: con un coro amatoriale c’è sempre la possibilità di migliorare il modo di cantare e mi piace molto motivare le persone a farlo. I cantanti – e questo vale sia per i professionisti che per gli amatori – sono spesso persone anche se non si fa per lavoro, richiede comunque un grande impegno e pone in una condizione di grandissima responsabilità verso i propri colleghi cantori: se non ci si impegna, infatti, si rallenta il lavoro di tutti, così come se non si partecipa a tutte le prove. Il cantante amatoriale ha un grandissimo rispetto per i suoi colleghi, ammiro e stimo veramente molto tutto questo. Hai viaggiato dappertutto in giro per il mondo, come cantante, compositore, direttore. In quale parte del mondo hai trovato la maggiore attenzione per il mondo corale? Sicuramente in Giappone. Trovo che l’interesse per il mondo corale da parte dei giapponesi e il modo in cui vi si approcciano sia estremamente interessante. Sono stato in 20 Giappone per la prima volta nel 2004 per dirigere un coro giovanile femminile. Quando lo vidi, mi sembrò fosse un normale coro formato da ragazzine, almeno duecento, che sembravano delle comuni bambine, piccine, con la loro divisa scolastica, etc. etc. O, meglio… io “pensai” fossero ragazzine: poi si misero a cantare e… Se non le avessi viste prima, avrei veramente pensato fossero in realtà delle donne! Cantavano infatti con una potenza vocale, un’emozione e una forza veramente inaspettate. Fu come se, all’improvviso, fossero libere, libere di esprimersi cantando, e la cosa mi colpì parecchio. I giapponesi hanno generalmente una vita strutturata in modo estremamente rigido, ma è come se, con la musica, potessero liberarsi delle proprie sovrastrutture e vi riescono spesso perfettamente. È un po’ come per gli inglesi a volte… Tutti abbiamo bisogno di esprimere le nostre emozioni, ma molti di noi non riescono a farlo normalmente a causa di vite dominate da regole, modi di vivere e convenzioni sociali piuttosto severe. Ma quando si canta, si può farlo, si è liberi di esprimere le proprie passioni, i propri sentimenti. Le donne giapponesi hanno una vita molto particolare per i nostri standard, e per molti versi ancora più strutturata e rigida che gli uomini: eppure cantano veramente col cuore, in un modo che non mi sarei mai aspettato da loro, prima di sentirle. Da un punto di vista più specificamente tecnico e di studio, hanno poi un approccio veramente molto serio e accurato: ovviamente c’è il problema della lingua, e devono quindi lavorare tantissimo, molto più di noi occidentali, per cantare con fonemi e suoni spesso completamente diversi dai loro. Ma lo fanno divinamente, superando spesso in modo egregio lo svantaggio di non avere nella loro lingua molti dei suoni delle lingue occidentali. Una volta sono stato parte della giuria di un concorso in Giappone, e i coro presenti cantarono benissimo in addirittura diciannove lingue diverse, passando attraverso un repertorio estremamente vario, dal classico occidentale al contemporaneo al giapponese. Sono decisamente molto ammirato e particolarmente interessato alla tradizione corale giapponese che si sta facendo strada negli ultimi anni. Cosa cerchi e cosa ti aspetti da un coro che stai per dirigere, come in questo caso con il Coro Città di Roma? È difficile rispondere a questa domanda, proprio perché all’inizio, quando non lo conosci ancora, non sai mai cosa aspettarti da un coro. Sir David Willcocks, il mio storico direttore di coro, mi diceva sempre: «Se fai qualcosa – qualsiasi cosa – devi farla bene, al meglio delle tue possibilità». In questo senso, la cosa che è per me più importante, e sicuramente quella che cerco sempre di fare al mio meglio quando lavoro con un nuovo coro in un laboratorio o in un corso, è “far sentire tutti bene nel cantare insieme”. Poi ovviamente i cori sono tutti diversi, sia per Quando si lavora con persone che cantano, si deve sempre trovare il modo di far venire loro voglia di cantare. livello che per “modo di essere”, e hanno tutti caratteristiche diverse che non posso conoscere da prima. Alcuni cori fanno bene alcune cose che magari sono più nelle loro corde, ma non riescono a perfezionarne alcune; altri hanno qualità differenti e punti deboli, ma sono tutti diversi. Questo concetto vale ovviamente non solo per i cori o i singoli cantori, ma anche per i direttori: ci sono sempre situazioni, contesti e repertori in cui ci si muove con più disinvoltura e altri in cui ci si sente meno a proprio agio. Per me, però, questo non è il punto fondamentale: la cosa veramente importante è motivare tutti, indistintamente, nel riuscire a + notizie> + approfondimenti> + curiosità> + rubriche> + + musica> servizi sui principali> avvenimenti corali LA RIVISTA DEL CORISTA Anche per il 2014 rinnova il tuo abbonamento e fai abbonare anche i tuoi amici CHORALITER + ITALIACORI.IT Rivista quadrimestrale della FENIARCO abbonamento annuo: 25 euro / 5 abbonamenti: 100 euro Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali Via Altan, 83/4 33078 S. Vito al Tagliamento (Pn) Italia Tel. +39 0434 876724 - Fax +39 0434 877554 www.feniarco.it - [email protected] modalità di abbonamento: • sottoscrizione on-line dal sito www.feniarco.it • versamento sul c/c postale IT23T0760112500000011139599 intestato a Feniarco • bonifico bancario sul conto IT90U063406501007404232339S intestato a Feniarco 22 fare lo stesso, e sentire che le persone lavorano in un’atmosfera “da coro”, insieme. Mi piace trovare la forma vocale comune in un gruppo, l’insieme, quello che io definisco propriamente “il coro” e sentire che il gruppo riesce a esprimere quello che per me significa quel linguaggio fatto di parole e musica insieme. Ecco, questo per me è fondamentale. Se poi – ma sempre all’interno di questa atmosfera e queste condizioni – si riesce anche a far cantare un coro in modo perfettamente intonato e a tempo… Beh, va benissimo, è sicuramente un valore aggiunto! Ma, veramente, la cosa per me più importante è sentire che si canta insieme. Sei un musicista molto impegnato, e ricevi molte proposte di collaborazione da ogni parte del mondo. Cosa ti ha spinto ad accettare la proposta del Coro Città di Roma? Accetti ogni proposta che ricevi, in ogni caso, o scegli i cori con cui lavorare? E se sì, come? Cosa mi ha spinto ad accettare la vostra proposta? Volevo venire, questa è la risposta! Scherzi a parte, un po’ di anni fa stavo parlando con il mio direttore David Willcocks, che ho già citato poco fa, una grandissima figura di riferimento per me – e mi disse che era stato in Cina per dirigere un coro. All’epoca David aveva ottantaquattro anni – ora è ultranovantenne – e dissi quindi: «Wow, è fantastico che tu sia andato!» e lui mi rispose: «Beh, ma me lo hanno chiesto!». Sinceramente, io pensai fosse una cosa splendida che lui fosse andato semplicemente perché glielo avevano chiesto! In un certo senso, è spesso lo stesso per me: se un coro pensa io sia la persona con cui vuole lavorare e mi rivolge un invito, io ne sono sempre molto onorato, e mi sento quasi in dovere di andare. Non dimentico mai di essere una persona privilegiata: faccio infatti un lavoro talmente eccezionale che mi permette di ricevere inviti da persone che non conosco, andare in posti sempre nuovi, fare esperienze splendide e conoscere tante persone meravigliose che non avrei forse incontrato altrimenti. Pensate a noi: fino a ieri io non vi conoscevo, e ora mi sento come se vi avessi sempre conosciuto. Stiamo facendo veramente un bel lavoro insieme, e ci stiamo anche divertendo molto, questo per me è meraviglioso. La settimana scorsa ero invece negli Stati Uniti per lavorare con un coro giovanile femminile a un altro progetto, ed è stata un’altra splendida esperienza. Ovviamente, non mi è però possibile accettare sempre qualsiasi proposta. A volte per impegni di lavoro, in altri casi perché i progetti che mi presentano non coincidono sempre con i miei interessi e con quello che io penso di poter fare bene. Scelgo quindi in base a questi criteri. Se un coro mi invita a dirigerlo nel Messiah di Haendel, o la Passione secondo Giovanni di Bach, io ne sono sicuramente onorato ma non mi sento di poter rispondere di sì. Sono opere splendide e, sì, certo, tecnicamente potrei dirigerle, sono un musicista. Ma è una musica che non mi permette di esprimere quello che io vorrei esprimere, e non riuscirei a comunicare con il coro così come faccio quando lavoro a progetti che sento più vicini a me. Sono sì un direttore nel senso che “dirigo cori”, ma non sono interessato a dirigere qualsiasi repertorio; solo quelli in cui sento di aver qualcosa da dire e da esprimere, e che riesco a dirigere, in un certo senso, col cuore, con tutto me stesso. Nel caso specifico del vostro invito, non ho avuto però alcun dubbio: il vostro progetto mi interessava molto e ho risposto subito di sì, senza alcun indugio, e con grande piacere, interesse e curiosità. Parliamo allora un po’ di Britten e di questo progetto più nello specifico. Cosa pensi del Festival Voices for Today? Sono stato da subito particolarmente affascinato dal progetto che mi avevate proposto perché ho un legame veramente molto forte con questo grande compositore: da ragazzo, ho avuto infatti il privilegio di essere diretto da Britten stesso più volte – anche nella prima assoluta dello stesso Voices for Quando si canta, si è liberi di esprimere le proprie passioni, i propri sentimenti. Today che da’ il titolo al festival – ed è sempre stata una figura di grandissimo riferimento per me, un compositore che ho sempre amato molto nel corso della mia vita. Il legame si è rafforzato ulteriormente nel corso degli anni anche attraverso la figura di mio suocero, purtroppo mancato l’anno scorso, e con cui mi sarebbe piaciuto molto parlare del vostro progetto. Sir Philip Ledger, come sapete, è stato per molti anni il direttore artistico dell’Aldeburgh Festival e uno strettissimo collaboratore di Britten e Pears. Benjamin Britten rappresenta dunque una parte importantissima non solo della cultura del mio paese e della mia formazione musicale, ma anche della mia vita. Quando ho ricevuto il vostro invito, sono stato subito molto incuriosito dal fatto che un coro italiano e amatoriale, seppure di buon livello, volesse dedicare un progetto così complesso a una delle più grandi figure musicali del mio paese e ho accettato quindi senza indugio, e con grande piacere. Soprattutto, mi ha colpito molto la scelta di affrontare un repertorio assolutamente non comune ed estremamente interessante ma anche molto impegnativo. Molti dei brani in programma non vengono, infatti, eseguiti facilmente neanche da cori professionisti, e questo non solo in Italia ma anche in Inghilterra, dove la musica di Britten è sicuramente più diffusa. Questo, proprio a causa della loro complessità. COMPOSITORE 23 Mi è sembrato inoltre particolarmente importante il voler dedicare dello spazio non solo alla musica di Britten ma anche alla musica corale britannica a lui contemporanea e posteriore, che tanto deve alle sue innovazioni compositive. Ho trovato sicuramente molto interessante ed estremamente affascinante il fatto che un coro italiano si sia voluto misurare con un progetto così complesso, scegliendo un repertorio sicuramente molto bello, ma non particolarmente conosciuto ed eseguito nel proprio paese, e soprattutto che vi si sia dedicato con tanta cura e passione, nonostante le complessità, e con ottimi risultati. Un’ultima domanda: ho ascoltato un tuo Requiem per coro e orchestra. Spesso, non è così semplice lavorare con un’orchestra per un coro amatoriale, anche per ovvi motivi economici. Mi domando quindi se hai già previsto una rielaborazione per coro e piccolo ensemble strumentale sia di quest’opera che di altre tue opere per coro e orchestra, di modo da renderle più accessibili ai cori amatoriali. Mi piace molto misurarmi con la parte strumentale di un’opera durante la sua composizione, sia che si tratti di brani per coro e orchestra completa, che per un ensemble più ridotto. Devo sempre molto al mio passato da orchestrale – da giovane, oltre che cantare, ho suonato per anni la viola in orchestre – ed è sempre una grande e bella sfida. Allo stesso tempo, per quanto certe opere nascano per coro e orchestra, è sicuramente molto importante renderle più accessibili a tutti. Cerco quindi sempre di rielaborare queste composizioni nate originariamente per coro e orchestra, di modo che possano essere eseguite anche con un piccolo gruppo strumentale. Nel caso specifico del Requiem, ho già scritto un’altra versione per organo e cinque strumenti, ed è sicuramente più accessibile a un coro amatoriale, sia da un punto di vista economico che di spazi. Penso comunque sia sempre fondamentale non dimenticare mai gli aspetti logistici ed economici e quindi sì, cerco sempre di rendere meno complessa la divulgazione e fruizione della mia musica, dando la possibilità di cantarla a un numero sempre maggiore di persone. Senza le persone che la cantano, la mia musica avrebbe per me tutta un’altra importanza. Il catalogo completo delle composizioni di Bob Chilcott è disponibile sul sito della Oxford University Press www.oup.com/uk/music/bobchilcott COMPOSITORE 25 BOB CHILCOTT, ADVENT ANTIPHONS analisi di Matteo Valbusa DIRETTORE DI CORO E COMMISSARIO ARTISTICO DELL’ASAC VENETO Dovendo scegliere tra la moltitudine di composizione e arrangiamenti del grande Bob Chilcott, ho pensato di proporre alla vostra attenzione una delle sue opere più importanti e allo stesso tempo meno conosciute in Italia: le meravigliose Advent Antiphons per voci miste in doppio coro, a cappella. Questi affascinanti testi, di antica e profonda spiritualità, sono esaltati dalla magistrale scrittura per doppio coro di Chilcott, che unisce echi di canto gregoriano ad armonie ricche ed espressive. La partitura è pubblicata dalla Oxford University Press. È stata pubblicata una incisione dal Coro della BBC diretto dallo stesso Bob Chilcott, nell’album Man I Sing (2007). I testi e le fonti musicali antiche Composte per l’edizione 2004 del festival Soli Deo Gloria, organizzato dal Coro della Cattedrale di Reykjavik (Islanda), le Advent Antiphons sono una versione da concerto delle Antifone maggiori dell’Avvento (dette anche “Antifone O” perché iniziano tutte con il vocativo “O”). Questi testi, propri della liturgia cattolica più antica, erano tradizionalmente cantati come antifone al Magnificat nei Vespri e come versetto alleluiatico nelle Messe degli ultimi sette giorni prima della vigilia di Natale, tra il 17 e il 23 dicembre. I sostantivi con cui inizia ciascuna di esse, che diventano poi il titolo di ciascun brano, hanno origine biblica e sono utilizzati come appellativi per Gesù Cristo. Le lettere iniziali di tali nomi, lette al contrario, formano la frase latina Ero cras, che significa “Domani sarò qui”, la promessa della venuta del Signore. Le antifone gregoriane sono tutte composte nel secondo modo, e ciascuna nell’invocazione iniziale gli stessi neumi. Chilcott prende a modello le antifone del Rito di Salisbury (una variante del rito romano utilizzata nell’Inghilterra del sud dall’XI secolo e fino alla seconda metà del ’500), che si distinguono subito per una differenza rispetto a quelle contenute nel nostro liber usualis: la nota iniziale non è do ma re (ossia la finalis). Chilcott rispetta questa particolarità e la riporta nel principio di ogni sua antifona. Lo stile compositivo Ciascun brano inizia dunque con la citazione dell’incipit dell’antifona gregoriana, affidato a una o più voci e variato nell’altezza, nella velocità e naturalmente nell’armonizzazione. La tecnica compositiva utilizzata si fonda basilarmente sul contrappunto a doppio coro e sull’armonia tonale, per cui sono seguiti i legami tra i gradi principali delle tonalità. Tuttavia gli accordi sono continuamente arricchiti da note estranee a essi, le quali risultano dal continuo fluire delle linee melodiche e dal sapiente inserimento di dissonanze non preparate in qualsiasi posizione. Inoltre molto spesso la dissonanza è usata con puro intento espressivo, senza funzionalità armonica. Da questo punto di vista lo stile di Chilcott in questa composizione si dichiara diretto discendente dei suoi illustri connazionali Howells, Vaughan-Williams, Holst, e si affianca prepotentemente a nomi celebri di americani come Whitacre e Lauridsen, ma con la forza di una tradizione secolare alle spalle. Inoltre, nel terzo e nel quinto movimento il compositore chiede ad alcune sezioni di cantare la propria parte “ciascuno con il proprio ritmo”. Sono piccole esperienze di musica con “alea controllata”, per cui l’improvvisazione è limitata ad alcuni parametri quali la gestione della velocità e del numero di ripetizioni delle singole frasi, ma che garantiscono un sicuro effetto meravigliosamente straniante. I singoli movimenti 1. O Sapientia La melodia iniziale, citazione dell’antifona gregoriana, si mantiene sul secondo modo originale trasportato su sol (fig. 1), e si sviluppa poi liberamente nel tema dei soprani del primo coro, armonizzato dalle altre voci con un prezioso controcanto del tenore, su un metro ternario. L’indicazione di tempo iniziale è precisa: Flowing (scorrevole), semiminima = c. 92. L’aggiunta del secondo coro a battuta 11 intensifica armonicamente l’invocazione iniziale, mantenendo la dinamica nella sfera del piano e un colore chiaro, metafora della limpidezza della verità. Dopo il secondo verso, realizzato con un breve episodio contrappuntistico a otto parti in imitazione su pedale di tonica, il brano raggiunge il suo apice sulle parole fortiter suaviter (con forza e con dolcezza): qui i due cori procedono in forma battente, con il primo che ripete il testo del secondo arricchendone continuamente l’armonia fino al forte espressivo di batt. 33-34, in un climax che si scioglie nel diminuendo che porta all’ultimo verso. Qui il primo coro riprende il suo tema iniziale in tempo ternario, fino a terminare sulla parola prudentiae, intonata all’unisono su re, ma “sporcata” proprio sull’ultima sillaba da un mib e da un do, che creano tensione verso il secondo movimento. 26 Testi originali e traduzioni O Sapientia, quae ex ore Altissimi prodisti, attingens a fine usque ad finem, fortiter suaviter disponensque omnia: veni ad docendum nos viam prudentiae. O Sapienza, che esci dalla bocca dell’Altissimo, e arrivi ai confini della terra, e tutto disponi con forza e dolcezza: vieni a insegnarci la via della prudenza. O Adonai, et dux domus Israël, qui Moysi in igne flammae rubi apparuisti, et ei in Syna legem dedisti: veni ad redimendum nos in brachio extento. O Signore, e condottiero di Israele, che sei apparso a Mosè tra le fiamme, e sul Sinai gli donasti la legge: redimici col tuo braccio potente. O Radix Jesse, qui stas in signum populorum, super quem continebunt reges os suum, quem gentes deprecabuntur: veni ad liberandum nos, jam noli tardare. O Radice di Jesse, che sei un segno per i popoli, innanzi a te i re della terra non parlano, e le nazioni ti acclamano: vieni e liberaci, non fare tardi. O Clavis David, et sceptrum domus Israël, qui aperis, et nemo claudit, claudis, et nemo aperit: veni, et educ vinctum de domo carceris, sedentem in tenebris, et umbra mortis. O Chiave di David, e scettro della casa di Israele, che apri e nessuno chiude, chiudi e nessuno apre: vieni e libera lo schiavo dal carcere, che è nelle tenebre e nell’ombra della morte. O Oriens, splendor lucis aeternae, et sol justitiae: veni, et illumina sedentes in tenebris, et umbra mortis. O (astro) Sorgente, splendore di luce eterna, e sole di giustizia: vieni e illumina chi è nelle tenebre, e nell’ombra della morte. O Rex Gentium, et desideratus earum, lapisque angularis, qui facis utraque unum: veni, et salva hominem, quem de limo formasti. O Re delle Genti, da loro bramato, e pietra angolare, che riunisci tutti in uno: vieni, e salva l’uomo, che hai plasmato dal fango. O Emmanuel, Rex et legifer noster, expectatio gentium, et Salvator earum: veni ad salvandum nos, Domine, Deus noster. O Emmanuel, nostro re e legislatore, speranza delle genti, e loro Salvatore: vieni e salvaci, Signore, nostro Dio. COMPOSITORE Fig. 1 27 2. O Adonai Movimento che però inizia in una tonalità completamente diversa, la bemolle maggiore, creando false relazioni nel primo coro e facendo partire il secondo coro di netto con il nuovo accordo. Questo è un passaggio che può dare parecchi problemi di intonazione, risolvibili partendo dalla nota comune mib, che i tenori primi prenderanno in ottava e i tenori secondi ascoltando l’ultima nota dei colleghi. Da qui si deriva anche la tonica la bemolle dei bassi secondi, e così le ottave e le terze. Si impostano così le prime tre battute di introduzione, che presentano l’incipit dell’antifona gregoriana cantato in ottava dai soprani primi e dai contralti secondi, mentre il basso primo segue per terze, su un pedale di quinta sostenuto dalle altre sezioni maschili. Da battuta 4 parte la vera enunciazione del testo, affidata per intero al secondo coro che canta riprendendo il tema originale del primo movimento, mentre il primo coro appare in ogni frase con l’invocazione iniziale O Adonai, in forma quasi litanica (fig. 2). La caratteristica di questa invocazione ripetuta è il ritmo ostinato in terzine, che crea un ulteriore contrasto con la preghiera del secondo coro. Quest’ultima fluisce con grande espressività, sul metro di 3/4 alternato al 3/2 (emiolia), e progredisce nella dinamica dal piano al forte di batt. 65 che ricorda l’incontro di Dio con Mosè sul Sinai, per poi ridiscendere sino al pianissimo finale. Nelle battute in 3/2 si installa l’invocazione in terzine del primo coro, che segue progressivamente in dinamica e in altezza il percorso della preghiera del secondo coro. 3. O Radix Jesse I due cori, divisi fisicamente dalla disposizione “battente”, vengono qui ulteriormente divisi in sezioni trasversali: voci maschili (cui è affidato il materiale melodico) e femminili (cui è dato un materiale su cui sviluppare una “alea controllata”). (fig. 3) Il canto è affidato ai tenori del primo coro, che al solito espongono l’inizio dell’originale dell’antifona e proseguono poi nella libera composizione melodica di Chilcott. I tenori secondi e i bassi primi eseguono due controcanti che si muovono per terze e seste sotto la melodia principale, con note di passaggio e appoggiature che ne arricchiscono l’interesse armonico. I bassi del secondo coro sostengono con un pedale sul fa grave, che crea l’effetto di una sospensione nel tempo, fino a batt. 92. Le voci femminili ripetono il testo dell’invocazione iniziale, ora con note diverse, e a ciascuna voce è richiesto di cantare indipendentemente dall’altra, con libertà ritmica (“each singer sing phrases independently and in own rhythm”), creando quindi un effetto aleatorio (l’alea in realtà è controllata, in quanto limitata alla scelta della velocità e della ripetizione). Per l’invocazione finale (Veni ad liberandum nos, jam noli tardare) il basso secondo lascia il pedale e si unisce alla preghiera, creando ulteriore densità armonica nell’ottava bassa. Le corone a batt. 92 e a batt. 95 devono essere lunghe il tempo necessario per far sfumare (fade) l’effetto delle voci femminili. Fig. 2 4. O Clavis David Il brano si apre mantenendo la divisione trasversale “di genere”: prima le sole voci femminili, su pedale di sol bemolle, poi le voci 28 maschili su pedale di mi bemolle enunciano l’invocazione iniziale. Quindi procede il testo e con esso si intensifica la dinamica e la densità armonica, su un lungo pedale di si bemolle dei bassi secondi. Nella seconda parte del testo troviamo l’invocazione Veni, reiterata a canone sulla melodia originale gregoriana dell’incipit, fondata su un ennesimo pedale di quinta su sol bemolle, e nel finale la descrizione in musica della misera condizione umana: il carcere, le tenebre e l’ombra della morte, resi con un gioco di colori oscuri e fermi su un costante sol bemolle, che si prolunga fino a strabordare nel brano successivo, enarmonicamente, mutato in fa diesis (fig. 4). Fig. 3 5. O Oriens Sulla melodia gregoriana affidata al tenore secondo su pedale di si naturale, un’armonia davvero celestiale di si maggiore accende la piccola-grande luce dell’astro che sorge in cielo (fig. 5). Ancora l’antica melodia viene riproposta con ritmi “a piacere” dalle voci femminili, creando l’effetto straniante già incontrato nel n. 3, mentre procede il canto in 3/4 delle sezioni maschili, all’unisono o a due voci. Subito l’alea è affidata alle voci centrali (contralti e tenori dei due cori), mentre soprani e bassi cantano il tema in tempo ternario già più volte incontrato, quasi come una antica monodia accompagnata. Termina il gelido canto dei soprani sulle parole et umbra mortis, in unisono e dura appoggiatura di semitono che risolve su un enigmatico intervallo di seconda minore: do# - mi… 6. O Rex gentium …che per enarmonia porta plagalmente all’accordo di la bemolle minore in secondo rivolto che apre il sesto brano. Qui la scrittura ritorna ad avere l’impianto classico del doppio coro, con le singole formazioni che cantano compatte in omoritmia, con un tempo II più mosso: seminima = c. 104 (fig. 6). La dinamica dell’apertura “forte e appassionato” è particolare e ampia, con i bassi divisi, e procede in un diminuendo per poi riprendere la salita fino all’invocazione fragorosa e ripetuta a canone: Veni, salva hominem. Il primo coro conclude riprendendo il tema in 3/4 più volte incontrato, in tempo I. Fig. 4 7. O Emmanuel Questo brano si apre esattamente come il secondo: in la bemolle maggiore, con la melodia raddoppiata in ottava, un controcanto in terza e il sostegno pedale di quinta. Tuttavia ogni verso è completato nella sua seconda parte dalle sole voci maschili, instaurando così uno stretto dialogo con il “tutti”. Questa alternanza si ripropone in un incessante crescendo, il tema gregoriano viene riproposto in la bemolle minore intensificandone l’intensità emotiva, sino alla fervente, ultima esclamazione: Domine Deus noster, in fortissimo, apice assoluto di tutta l’opera. Per poi ridiscendere con una semplice, ripetitiva formula cadenzale fino al piano e alla lunga corona finale in diminuendo, su un morbido, pieno e speranzoso accordo di la bemolle maggiore (fig. 7). COMPOSITORE 29 Fig. 5 Fig. 7 Conclusioni Senza dubbio, questo è uno dei lavori più importanti di Bob Chilcott sino a oggi; caratterizzato da una grande unità nell’uso dei temi melodici, dall’uso costante ed espressivo della dissonanza, da una perfetta calibratura dei pesi nella gestione del doppio coro. Un’opera profonda, mistica, che sa usare qualche “effetto speciale” ma senza compiacersene troppo, restituendo la tecnica al servizio dell’espressività. Fig. 6 30 OSVALDO GOLIJOV CORAL DEL ARRICEFE PER DOPPIO CORO A CAPPELLA, DA OCEANA di Mauro Zuccante Nova et Vetera, un ponte tra antico e moderno, consueto appuntamento di Choraliter. Un tema particolarmente inerente all’arte del compositore Osvaldo Golijov, classe 1960. Dice il musicista argentino: «Nel passato i compositori associavano certe tonalità a certi stati d’animo, emozioni, o situazioni drammatiche, come il mi bemolle alla nobiltà, il do minore alla tragedia, il mi maggiore al paradiso. Essi modulavano da una tonalità all’altra alla ricerca di situazioni e stati d’animo archetipi. Ciò costituiva il codice comunicativo con gli ascoltatori. Oggi, il pubblico non necessariamente ascolta le modulazioni. Ma è assai consapevole delle diverse espressioni culturali, tanto che esse sono divenute assimilabili alle antiche tonalità. Tu puoi modulare dal flamenco al canto gregoriano e l’ascoltatore ti segue». Si riassume in questa affermazione l’universo musicale di Golijov. La propensione a navigare con disinvoltura tra gli idiomi del passato e del presente, tra gli stilemi della musica pop e le molteplici tradizioni folkloriche (tango, samba, klezmer, flamenco, fado, canto sefardita). Un’inclinazione sorretta da talento, da un mestiere assai solido e da una straordinaria capacità di integrare materiali polimorfi in una visione estetica unitaria. «Costante migrazione: questa è stata la storia della mia vita», egli dice di sé, come a voler rimarcare il fatto che le stesse vicissitudini esistenziali hanno contribuito a configurare il suo mondo sonoro. «La mia musica comincia a raccontare questa storia, così come una specie di autobiografia». La fama di Golijov prorompe e si consolida negli ambienti musicali internazionali a partire dall’anno 2000, con il successo ottenuto da La Pasión según San Marcos (mezz’ora di ovazione al termine della prima esecuzione!). Una commissione dell’Internationale Bachakademie Stuttgart, nell’ambito di un ampio progetto commemorativo della figura di Johann Sebastian Bach. Quattro tra i più noti compositori della nostra epoca (Wolfgang Rihm, Tan Dun, Sofia Gubaidulina e, appunto, Osvaldo Golijov) hanno ricevuto l’incarico di mettere in musica la vicenda della Passione di Cristo. Ciascuna opera è stata composta sulla base della lezione di uno dei quattro evangelisti. A più di un decennio di distanza, un entusiastico gradimento di pubblico e critica si registra ancora al termine delle repliche de La Pasión di Golijov. Ovunque, un unanime consenso accompagna il lavoro del compositore argentino. Un lavoro che conquista gli ascoltatori per la varietà, la vitalità, l’energia comunicativa degli idiomi musicali del continente latino-americano, adottati dal compositore (in OSVALD NOVA ET VETERA particolare delle tradizioni cubana, brasiliana, flamenca e delle loro radici africane). Un lavoro che mette in luce la bravura di straordinari musicisti, tra cui la direttrice di coro María Guinand, figura leader nell’ambito del vasto e rigoglioso movimento corale del Sudamerica. Ma già nel 1996 Osvaldo Golijov aveva ricevuto un analogo incarico nel nome del Kantor di Lipsia da parte dell’Oregon Bach Festival. Trattavasi della composizione di una moderna cantata americana, nello spirito del più grande compositore di cantate. Ecco, quindi, l’occasione in cui il musicista argentino – figlio, come detto, del crogiolo etnico e culturale sudamericano, ma formatosi musicalmente nel solco della tradizione classica europea e statunitense – concepisce la sua cantata moderna, Oceana, per vocalist, fanciullo soprano (o gruppo), doppio coro e orchestra, su testo di Pablo Neruda. Ma precisiamo. La definizione vocalist denota lo stile pop/jazz della cantante brasiliana Luciana Souza, sirena ispiratrice dei movimenti “a solo”, canti-arie senza parole. Inoltre, l’organico orchestrale (più semplicemente un ensemble) è ristretto a tre flauti, percussioni, due chitarre, arpa e archi. «Il mio scopo in Oceana era – come in Bach – quello di tramutare la passione in geometria, di trasformare l’acqua e la nostalgia, la luce e la speranza, l’immensità della natura e il dolore sudamericani in simboli puramente musicali». Oceana si articola in sette sezioni. La seconda, la terza e la quinta (l’autore le chiama waves, ondate) hanno carattere prettamente concertante (coro e strumenti). La settima è invece affidata al coro a cappella. Le rimanenti sono due richiami (call, canti della sirena) e un’aria, affidate alla voce solista. DO 31 Data la specificità tematica della nostra rivista (la musica corale), soffermiamoci sull’ultima sezione di Oceana, il Coral del Arricefe (Corale della scogliera), per doppio coro a cappella. Proprio così, in conformità con lo schema formale della cantata luterana, anche la moderna cantata americana di Golijov si chiude con un corale. I versi di Pablo Neruda, nell’epilogo dell’opera, evocano immagini simboliche e trascendentali, appartenenti ad antichi culti marini. Il poeta invoca la divinità, affinché faccia dono delle meraviglie della scogliera: lo Spondylus dalla favolosa conchiglia coronata di spine, il Murex prezioso custode della porpora reale, e laggiù, vagante negli abissi, il bianco vascello del Nautilus. Pertanto, come nei corali di Bach viene supplicato Dio, affinché infonda la grazia sui fedeli, così nella poesia di Neruda è invocata la dea Oceana, affinché celebri il mistero delle immensità marine. Precisa Golijov, a proposito del testo letterario: «Anche se non è religioso, è molto trascendentale – quella trascendenza tipica di Neruda, della sensualità e del mistero del mare, che è, in un certo senso, l’equivalente di quello che era l’idea di Dio per Bach». La natura religiosa del Coral del Arrecife, in particolare, è suffragata dalle annotazioni del compositore: «… l’approccio a questo brano dev’essere quello di una preghiera a “Oceana”, alla dea dell’Oceano»; e da alcune indicazioni espressive che egli stesso inserisce nella partitura (with devotion, still prayerful). Di conseguenza, sul piano stilistico, Golijov si avvale di una scrittura corale che richiama alcuni modelli storici della musica religiosa. Un primo parallelismo si può immediatamente stabilire con il corale semplice luterano. Modello storico – il corale –, in cui le frasi del testo sono separate, una dall’altra, da nette cadenze, marcate dal segno di corona. Ma, se nell’antico corale luterano la “punteggiatura” armonica era regolata dalla risolutezza dei centri di attrazione tonale, nel Coral del Arricefe, invece, l’interpunzione è data da armonie sospese che non arrestano il moto continuo delle wavephrases (o meglio, degli episodi espressivi in cui si suddivide il brano). Insomma, un senso di fluida continuità pervade l’intero brano. Da ascriversi idealmente alla tradizione del corale figurato. Ma dissimile da quello per l’assenza della dimensione contrappuntistica. 32 Si noti che nell’impostazione vocale c’è pure un richiamo al corale semplice luterano. Più precisamente nell’andamento choraliter, per cui le voci procedono omoritmicamente. Ma, vengono alla mente anche le forme dell’antica salmodia ebraica, con la cantillazione sillabica accentuativa del testo (forse un segno della matrice etnica ebraica, alla quale appartiene Golijov). L’intero Coral fluisce, infatti, secondo la prassi della declamazione sillabica, variando con libertà tra le corde di recitazione (com’era nel tonus peregrinus), pur mantenendosi ancorato a uno stesso impianto modale. Inoltre, possiamo stabilire un’ulteriore corrispondenza con la variante antifonale dell’antica salmodia, in cui due cori si alternavano nella proclamazione del testo. Anche nel Coral i due cori pronunciano e si rimandano il testo con continuità. Ma non in modo consecutivo, cioè dalla prima all’ultima parola. Piuttosto, come in una giaculatoria, soffermandosi nella ripetizione di espressioni verbali, singole parole, o nella perorazione di nomi (Oceana, las conchas, los Spondylus…). Nel particolare accostamento (e compenetrazione – come nella L’incessante lavoro di variazione dell’articolazione metricoritmica della parola nei passaggi di sovrapposizione dei due cori (phasing-technique, archetipo del moderno linguaggio musicale minimalista), produce l’impressione delle cangianti riflessioni e mutazioni d’energia del moto dell’acqua. I versi di Pablo Neruda evocano immagini simboliche e trascendentali, appartenenti ad antichi culti marini. fisica dei fluidi) dei due cori e nel trattamento ritmico della parola, si manifestano gli aspetti più moderni di questo brano. L’alterno gioco antifonale dei due cori simula il continuo movimento di flusso e riflusso delle onde, che si frangono dolcemente in prossimità della riva. Il tracimare delle voci le une sulle altre, appena enfatizzato dai lievi “respiri” delle dinamiche, si traduce in un effetto sonoro di liquida scorrevolezza ed evoca la sensazione fisica delle onde del mare. Insomma, la sensazione è quella di una musica cullante, che ci trasporta sulle creste e gli avvallamenti delle onde marine, pur senza ricorrere a facili gesti di mimesi sonora (vengono alla mente i tanto celebrati colpi di lingua di Unsichtbare Chöre di Karlheinz Stockhausen, che imitano pedissequamente il suono dell’acqua corrente). Anzi, nel Coral sono sempre la parola e le immagini poetiche a guidare il discorso musicale. NOVA ET VETERA 33 Le visioni delle meravigliose figure che abitano le acque a ridosso della scogliera, scandiscono gli episodi e costituiscono i passaggi espressivi salienti della partitura. Lo splendore del Murex regale è annunciato dall’apertura in ottava delle otto voci. Ecco quindi apparire il luminoso candore della «nave de nieve» del Nautilus. Tre voci soliste “illuminano” la continuità del flusso corale, attraverso una fenditura che fa breccia nella tessitura acuta. Da qui in poi, il momento più carico d’emozione della partitura. Una pagina, il Coral del Arricefe, che si colloca alla fine del secolo appena passato. Chiude un percorso che si era aperto con un caposaldo della musica corale a cappella del secondo Novecento, il Lux aeterna di György Ligeti. Il capolavoro del compositore ungherese aveva per primo esplorato, in ambito corale, la dimensione di una musica siderea e incorporea, che scorre senza inizio e senza fine, che si estende in un arco temporale di metafisica eternità. Anche la composizione di Golijov s’inoltra in antri misteriosi, ricalcando l’idea musicale del continuum sonoro («Si parte da qualcosa di ineffabile, da La parola riacquista “leggibilità”, centralità narrativa e potere semantico. Quindi, il Nautilus si allontana e fa rotta verso le profondità ultramarine. La coda del pezzo sprofonda sulle note-pedale mi e si. Svanisce negli abissi la sagoma del Nautilus. L’accompagna la sfuggente (quasi impercettibile) sonorità del lontano scarto armonico di un accordo di tredicesima, su cui si chiude la composizione. qualcosa di intangibile: il mistero della vita, della morte, dell’immortalità o di qualsivoglia forma di reincarnazione, quindi si deve trasformare in sostanza musicale, giusto?»). Ma, diversamente da Ligeti, il compositore argentino non indaga la sfera dell’ultra mondano. Si cala nella fisicità del fluido marino, nel voluttuoso abbraccio della sostanza liquida ancestrale. E la parola – non più motto o mero evento sonoro – riacquista “leggibilità”, centralità narrativa e potere semantico. In virtù del rinsaldato connubio tra espressione verbale e musica, si celebra, in definitiva, il recupero della fantasia creativa e dell’emozione poetica. «Io voglio esplorare tutto. Voglio esplorare la semplice gioia dell’amicizia in un pezzo. È difficile da spiegare a parole, ma credo che esistano vere e proprie esperienze universali che possono essere esplorate in musica». Di Oceana è disponibile un’ottima edizione discografica, pubblicata da Deutsche Grammophon, nel 2007. 34 RIVALUTIAMO IL CANTO E IL CANTAR POPOLARE di Sergio Bianchi DIRETTORE DEL CORO VAL TINELLA E DOCENTE AL CONSERVATORIO DI COMO Mi è capitato, trovandomi all’estero per lavoro, di cercare qualcosa da portare a casa ai miei famigliari. Da diversi anni la cosa diventa un’ardua impresa, perché quello che si trova a Parigi, Londra o Vienna è simile a ciò che si trova a Milano o Roma. Le catene dei negozi sono le stesse e se si escludono i souvenirs per turisti che, una volta mostrati, vengono irrimediabilmente accantonati per poi finire in qualche scatola in un ripostiglio, non c’è quasi nulla di tipico che non sia paccottiglia. La globalizzazione si manifesta in modo sempre più invadente e si assiste a una omologazione dei gusti. Lo stesso fenomeno investe anche la musica: sono gli stessi gruppi o cantanti, le stesse canzoni, le stesse mode che ci “bombardano ovunque”. Qualcuno potrebbe obiettare che questo fenomeno è legato ai nuovi mezzi di comunicazione e di trasporto e che non si può rifiutare il progresso. Certamente ogni nuova invenzione porta notevoli benefici e questo è certamente positivo, ma nel caso della globalizzazione si corre il rischio di perdere il valore e la memoria delle proprie origini. «La musica rientra in quella che un’apposita commissione del Consiglio d’Europa chiama Educazione al patrimonio, per la quale il patrimonio culturale è un insieme di risorse materiali e immateriali a cui persone e comunità riconoscono un significato come testimonianza dei propri valori, saperi e tradizioni. Il patrimonio culturale, cioè, dà un’identità a territori e gruppi di popolazioni che in esso si riconoscono».1 Se intorno a noi si vanno diffondendo i musei etnografici che raccolgono i materiali della vita di tutti i giorni, materiali che risalgono non solo a secoli lontani, ma anche solo al secolo scorso, se in alcuni paesi si creano feste e fiere per mostrare come lavoravano i nostri nonni, se c’è una riscoperta di cibi e di modi di cucinare non omologati per poter gustare sapori dimenticati, perché non si fa altrettanto con la musica? Ci sono studiosi appassionati che girando con il registratore raccolgono canti destinati a scomparire con la morte delle persone anziane che ancora li ricordano. Mi limito a citare i tre volumi di Cantar Storie, un viaggio nel canto di tradizione orale tra i monti dell’Ossola, a cura di Luca e Loris Bonavia, Ed. Grossi-Domodossola, 1999, 2001, 2004; il volume I canti della memoria, testimonianze canore raccolte in Valtellina e in Valchiavenna a cura del coro Vetta di Ponte in Valtellina con trascrizioni e coordinamento di Angelo Mazza; la ricerca e le trascrizioni e i CD curati da Angelo Agazzani con la Camerata corale La Grangia di Torino. Queste e le tante iniziative lodevoli mirano a tener in vita un patrimonio culturale in cui si trovano le nostre origini e da cui proviene la nostra storia. Un canto scritto sulla carta rimane purtroppo una documentazione, per quanto preziosa, che solo pochi possono apprezzare… Occorre che quei pallini neri scritti su delle linee orizzontali si trasformino in suoni, che acquistino una consistenza sonora percepibile a chiunque e che da segno grafico diventino veicolo di emozioni. Con la riproduzione sonora scatta la partecipazione emotiva che, attraverso i filtri della fantasia, della memoria, dell’affetto, sovrappone ai suoni percepiti una serie di sensazioni che conferiscono a quel suono immagini che non La globalizzazione si manifesta in modo sempre più invadente. sono più soltanto sonore, ma coinvolgono tutto il nostro essere. È in questa fase di riproduzione sonora che oggi troviamo le maggiori difficoltà e qui è presente il cuore del problema: chi canta il popolare, ma soprattutto come lo si canta? Nell’Italia settentrionale il pensiero corre subito ai cori di montagna (o di alpini o ex-alpini) e a quel coro straordinario che nel lontano 1926 (era il 25 maggio), in una sala del Castello del Buonconsiglio di Trento, iniziava un’avventura che l’ha portato in teatri di mezzo mondo, suscitando entusiasmo e commozione: il coro della SAT. Note 1. Unicità delle discipline e specificità della musica, riflessioni pedagogiche, di Franca Ferrari, 2009. 2. P. DE MARTINI, Il Conservatorio delle Alpi, Milano-Torino, Bruno Mondadori Editore, 2009. CANTO POPOLARE Tutta l’Italia si è ben presto riconosciuta nei suoi canti: «nessuno si stupì se nel 1959 furono le note di La montanara a salutare Salvatore Quasimodo mentre riceveva il Premio Nobel dalle mani del re di Svezia».2 Molti cercarono di emulare la SAT, dando vita a un movimento corale che vedeva nel cantare non solo un’occasione di divertimento, ma anche una testimonianza di vita. I testi delle canzoni evocavano accanto a realtà di fatica, di stenti e di dolore che la guerra appena conclusa aveva suscitato, anche le gioie, le feste gli innamoramenti che la voglia di vivere sapeva generare. Infine non dimentichiamo le bellezze naturali con paesaggi incantati che fanno dell’Italia un paese “benedetto da Dio”. La voglia di ricordare, unita alla gioia di vivere e allo stupore della bellezza, hanno fatto sì che il repertorio della SAT diventasse un tramite semplice ma efficace per ricordare tutto questo. Ciascuno poteva trovare qualcosa in quei canti di profondamente vero e personale. Con il passare degli anni, con la voglia di andare sempre più avanti, con l’abbandono della terra, con gli straordinari cambiamenti rappresentati dai mezzi di trasporto e di comunicazione abbiamo guadagnato in comodità di vita e in qualità (?), ma rischiamo di sradicarci, di perdere il contatto con le nostre origini. Forse quanto mi appresto ad affermare potrà sembrare un po’ forte e lapidario. Premetto che il panorama può variare da regione a regione, da provincia a provincia. In una comunità con un forte senso di appartenenza, legata al territorio (in cui la conformazione geografica in valli e montagne crea un isolamento) il cantar popolare riscuote certamente più interesse che in città. Immaginiamo di essere in una sala di una cittadina prealpina lombarda. Osservate il coro che propone un repertorio legato alla tradizione popolare: vedrete per lo più persone anziane vestite in alcuni casi con camicie colorate a quadrettoni, calzoni alla zuava, calzettoni di lana e scarponi. 35 Osservate ora il pubblico: tranne rare eccezioni anche gli spettatori non sono giovanissimi… Cosa significa tutto ciò? Significa che quel modo di cantare, quel repertorio così come viene spesso proposto non viene più avvertito come legato alla nostra realtà. È un modo di proporsi che sembra più adatto alle sale di un museo che a un teatro. Sono esagerato? Forse. Ma purtroppo questa è spesso la realtà. Cosa fare? Lasciamo che tutto finisca con quegli ultimi cantori? Ci accontentiamo dei CD? Certamente no! Occorre rivitalizzare tutto questo, modificando la mentalità che è oggi imperante. È indispensabile acquisire la coscienza che gli avvenimenti proposti sono una documentazione storica, che quei fatti e quei canti sono un’espressione culturale. Ma perché tutto ciò non rimanga una buona intenzione è necessario restituire al modo di porsi una dignità musicale. È musica diversa da quella dotta, ma è musica con pregi e difetti ed è giunto il momento di valorizzare quanto di buono è in essa presente. Partendo dalla constatazione che noi siamo il frutto di una storia unica e irripetibile, tutto ciò che documenta questa vicenda va conservato e rivitalizzato attraverso un approccio serio e rispettoso delle tipiche modalità espressive. Purtroppo il pensare al modo di cantare di un coro popolare genera una serie di immagini stereotipate che suscitano diffidenza e giudizi negativi. Alzi la mano chi non pensa a un gruppo seduto intorno a un tavolo con un fiasco di vino in Occorre che quei pallini neri scritti su delle linee orizzontali si trasformino in suoni. mezzo, a voci sguaiate che “litigano” per stare insieme, a viaggi di ritorno in pullman al termine di una gita… Purtroppo gli aspetti positivi dello stare insieme, del condividere una esperienza vengono dimenticati e complice una scarsa o una inesistente cultura musicale prevalgono nel modo di esprimersi gli aspetti negativi. Quante volte parlando con persone che cantano in una corale parrocchiale o in un coro popolare sentiamo espressioni del tipo: «canto per diletto… per il piacere di stare insieme… così, senza pretese, per hobby…», in cui l’espressione diletto e hobby non stanno a indicare la ricerca di un piacere, di un risultato sempre più accurato, di un’attenzione al testo e all’espressione musicale, ma piuttosto la giustificazione implicita di risultati musicali di poco valore. Tutto ciò è generato da un basso livello culturale musicale cui alcuni temerari docenti di educazione musicale cercano di porre rimedio. Molte persone pensano che cantare in un coro significhi semplicemente aprire la bocca, emettere suoni 36 senza preoccupazione, convinti che il possedere una “bella voce” (quando c’è) sia più che sufficiente. Cantare in un coro è scuola di vita, occorre infatti: ascoltare gli altri coristi per creare un suono compatto e omogeneo; comprendere il testo letterario per proporlo nel modo più convincente (è quindi esercizio mentale); mettere il proprio contributo al servizio di un risultato corale (quanta umiltà richiede tale atteggiamento); prestare attenzione alle indicazioni del maestro, perché è il responsabile del risultato musicale; sforzarsi di migliorare la propria emissione, la propria tecnica vocale, perché è solo con la capacità di guidare la propria voce che si può ottenere l’espressione. Si potrebbe continuare a lungo, ma credo che queste poche indicazioni siano sufficienti per capire che solo un impegno serio e costante possa permettere a un coro di essere tramite efficace di un patrimonio corale importante. Solo restituendo una dignità sonora, una dimensione musicale a questi vecchi canti si possono attirare nuovi cantori. Il giovane appassionato e lo studente di musica potranno trovare il gusto di cimentarsi in canti che attraverso espressioni a volte retoriche danno corpo a situazioni e sentimenti che non hanno tempo e per questo assurgono a valori universali. L’invito a tutti coloro che amano cantare, e in particolare ai giovani, è quello di non disprezzare il repertorio popolare e, al contrario, di contribuire a riportarlo a quella dignità di testimonianza che gli è propria. Cantiamo il popolare, ma cantiamolo bene. Se grandi musicisti come Federico Ghedini, Andrea Mascagni, Arturo Benedetti Michelangeli, Renato Dionisi, Bepi De Marzi, Angelo Mazza, Gianni Malatesta, Mino Bordignon… e tanti altri non hanno disdegnato questi canti, se hanno ritenuto stimolante cimentarsi con melodie di disarmante semplicità, vuol dire che anche questo repertorio di “serie B” racchiude grandi tesori. Raccogliamo la provocazione, ringiovaniamo i cori, non solo sotto l’aspetto anagrafico, introduciamo un amore per la parola, il suono, l’accordo, il fraseggio, l’espressione, togliamo quegli effetti “strappa applausi” che hanno fatto il loro tempo e ricerchiamo una interpretazione più corretta e autentica. Scommettiamo che se qualcuno si cimenta scopre un realtà affascinante? Cantiamo il popolare, ma cantiamolo bene. 38 IL 2013: UN ANNO DI RICONOSCIMENTI CONVERSAZIONE CON BRUNA LIGUORI VALENTI a cura di Rita Nuti DIRETTORE DEL CORO POLIFONICO LIBERI CANTORES DI APRILIA E REDATTRICE DI LAZIOINCORO Vorrei iniziare questa intervista parlando con lei dei due prestigiosi riconoscimenti conseguiti nel corso del 2013, il Trofeo nazionale Seghizzi “Una vita per la direzione” e la Medaglia presidenziale consegnatale al Polifonico di Arezzo. Due premi che vogliono testimoniare la profonda gratitudine che il mondo corale, soprattutto quello legato alla coralità infantile, le ha voluto riconoscere. Arrivati ambedue quasi contemporaneamente, con grande sorpresa, mi hanno profondamente commossa. Nella mia vita professionale ho avuto tanti premi e riconoscimenti, ognuno dei quali ha lasciato un ricordo particolare nel mio cuore. Li ricordo tutti con grande affetto, dal primo che ancora conservo, il diploma d’onore ottenuto al Concorso per cori di voci bianche di Prato cui partecipai nel 1972 con la scuola media Bramante di Roma. Certo il trofeo Seghizzi “Una vita per la direzione” rappresenta per me il coronamento di un’attività, quella corale, che ha veramente accompagnato tutta la mia vita. La Medaglia presidenziale poi, altro prestigioso riconoscimento, mi sento di condividerlo con tutti i miei coristi ormai “grandi” che, anche se fisicamente non presenti in quella circostanza, ho sentito comunque vicini. I loro ricordi, le vecchie foto che mi hanno inviato dei nostri concerti, l’affetto e la gioia che mi hanno dimostrato quando sono venuti a conoscenza della premiazione a Gorizia e Arezzo, mi hanno fatto capire quanto siano state importanti per loro le esperienze vissute all’interno dei cori da me diretti. Penso che per un direttore il riconoscimento più importante sia l’affetto dei suoi coristi! Dal suo percorso artistico e professionale, la vediamo come direttore di cori femminili e di voci bianche, come musicologa e didatta. Quali di questi ruoli la caratterizzano da un punto di vista professionale e quale da un punto di vista umano? Anche se l’aspetto didattico e musicologico è costantemente stato presente nella mia attività professionale, il mio impegno e la mia dedizione alla musica si sono espressi soprattutto attraverso la direzione corale. Non mi hanno mai interessato i cori misti: il mio ruolo è stato sempre quello di direttore di cori di voci bianche e di cori femminili. Tuttavia l’aspetto didattico ha caratterizzato necessariamente il mio percorso professionale. Non sono mai stata gelosa di trasmettere le mie conoscenze ed esperienze e forse proprio questo ha fatto sì che molti miei piccoli coristi, oggi ormai grandi, abbiano trovato la loro strada come musicisti professionisti; molte direttrici, affermate oggi nel panorama della coralità, sono state tra le file dei miei cori o hanno seguito i miei corsi di aggiornamento! Questo per me è un grande successo, pari, se non superiore, ai tanti riconoscimenti ufficiali, ottenuti negli anni. Penso che per un direttore il riconoscimento più importante sia l’affetto dei suoi coristi! Come è iniziata la sua carriera direttoriale, il suo primo coro, ci vuole raccontare qualche ricordo legato agli inizi? È iniziato tutto molto presto. All’età di dodici anni cantavo nel coro della mia parrocchia e a sedici anni mi chiesero di dirigere il medesimo gruppo. I miei studi intanto proseguivano su due direzioni, studi classici, che poi mi hanno portato a una laurea in lettere, e lo studio del PORTRAIT pianoforte che si è concluso poi con il primo diploma musicale cui seguirono altri di varie specializzazioni. Giovanissima, al primo incarico in una scuola media romana, ho subito avviato un coro d’istituto; all’epoca, era difficile, se non quasi impossibile, trovare partiture o rielaborazioni per cori di voci bianche: i miei repertori vertevano soprattutto sui quei brani d’opera dove erano previsti gli interventi di cori di voci bianche. Cominciai a frequentare biblioteche musicali e a operare trascrizioni. Ebbi la fortuna di avvicinare il grande Luigi Colacicchi che mi dette preziosi consigli, Renata Cortiglioni, direttrice del coro di voci bianche della Rai e, non ultima, la Biblioteca Vaticana, che ha rappresentato per me un luogo di ricerca e di studio, dove poter attingere costantemente. Ho cercato di contattare persone che consideravo importanti per la mia crescita professionale e musicale. Nel 1973 è nato l’Aureliano: un luogo dove bambini e ragazzi potevano “fare musica insieme” con la voce e con gli strumenti e dove il coro era il fulcro dominante, strumento educativo alla musica. Pochi anni dopo entrai al conservatorio di Frosinone dove istituii subito il Coro della Scuola Media. E da lì posso dire di aver realizzato e conseguito ottimi traguardi. Quali difficoltà ha incontrato nella sua carriera? Anche come donna, in quest’ambito, soprattutto all’inizio della sua carriera, particolarmente maschile? Come donna devo riconoscere che non ho trovato difficoltà. Sarà stato forse che avendo lavorato come direttore di cori femminili e di voci bianche, non ho avuto modo di confrontarmi direttamente o mettermi in relazione con figure 39 maschili. Come moglie e madre ho avuto la fortuna di aver incontrato un marito eccezionale (il giornalista sportivo Paolo Valenti, ndr), che mi ha aiutato e incoraggiata sempre nel mio lavoro e in tutte mie attività musicali. Tra i tanti concerti, a quale è particolarmente legata? Domanda molto difficile. Ogni concerto mi ha dato grande emozione. Fra i concerti che rimarranno indelebili quello del 1983 alla Sala Nervi dove il coro di voci bianche Aureliano ha cantato con le orchestre e i cori della Rai il Te Deum di Berlioz diretto da George Prêtre. Il maestro mi colpì anche per le Ogni concerto ha arricchito il mio bagaglio personale e quello del coro. parole che rivolse ai bambini riguardo l’interpretazione e la musicalità che voleva ottenere. Anche l’incontro con altri direttori, da Gavazzeni, a Bartoletti a Shallon, furono momenti di incredibile crescita per me e per il coro. Che dire poi delle esperienze all’Opera di Roma, all’Accademia di Santa Cecilia, alla Fenice di Venezia… Ogni concerto ha arricchito il mio bagaglio personale e quello del coro di conoscenze e di emozioni. Grandissima commozione, sempre nel 1983, con la prima esecuzione de Il sole e l’altre stelle di Domenico Guaccero. Il compositore con cui avevo lavorato fianco a Bruna Liguori Valenti_______ Laureata in lettere e diplomata in pianoforte e paleografia musicale, ha compiuto studi di composizione a Genova, dove è nata. Allieva, per la direzione corale, di Marin Constantin. Studiosa di musicologia e didattica, ha pubblicato per Rizzoli-Larousse, UTET, Le Monnier, La Scuola di Brescia. Per la casa editrice Ricordi ha scritto La vocalità infantile con una seconda edizione rinnovata e aggiornata nel 2011. Come direttore di coro ha conseguito brillanti successi con i cori dell’Aureliano di Roma in concorsi nazionali e internazionali: Vittorio Veneto, Prato, Arezzo, Celjie (Slovenia), Debrecen (Ungheria) e Ibagué (Colombia); con i cori del conservatorio di Frosinone: Città di Stresa, Vittorio Veneto, Città di Cerveteri, Riva del Garda, Olomouc (Repubblica ceca) e Karditsa (Grecia). Ha diretto cori di voci bianche chiamati a interpretare brani del repertorio sinfonico corale sia nelle stagioni della Rai che del Teatro Comunale di Firenze e dell’Ente Concerti di Pesaro, Teatro dell’Opera di Roma, Accademia di Santa Cecilia, al Teatro La Fenice con grandi direttori quali, fra gli altri, George Pretre, Bruna Bartoletti, Giannandrea Gavazzeni. È stata docente di corsi di aggiornamento per la vocalità e la direzione di coro, già presidente della Siem per il Lazio; fa parte della commissione artistica dell’Arcl, membro di giuria in concorsi nazionali e internazionali. Nel 2010 presidente della commissione per la selezione del coro di voci bianche del Teatro dell’Opera di Roma. Quale presidente e direttore artistico dell’Aureliano, ha promosso dal 1987 alcune iniziative: la Rassegna di musica contemporanea per cori di voci bianche, il Campus Musicale e il Premio di composizione “Paolo Valenti - Musica e Sport”. Ha organizzato gli incontri corali “Uniti per Cantare” (in preparazione al Giubileo). Dal 2000 ha creato e organizzato la rassegna Primesecuzioni, collegata ai campus musicali e ai corsi di aggiornamento, in collaborazione con la Siem; dal 2006 è promotrice di corsi specifici per il conseguimento di primo e secondo livello di Vocalità infantile. i d l a v i t s e f a r e v a m i r p Feniarco e Act presentano o d n a t n a c a r t n o c n i i s a l o u c s la 2015 e m r e T i n i t a c e t Toscana Mon internazionale festival per cori scolastici 9•11 aprile scuole elementari e scuole medie (6-13 anni) con il patrocinio di MiBACT Regione Toscana Provincia di Pistoia Comune di Montecatini Terme 15•18 aprile scuole superiori (14-19 anni) evento associato a seguici su www.feniarco.it PORTRAIT fianco era già molto malato; non poté venire al concerto e volle sentire la registrazione del suo brano, che non solo è tra i più belli e toccanti del ’900 ma che rappresentava per lui, una speranza “e quindi uscimmo a rivedere le stelle”. Parte del brano registrato venne fatto ascoltare nel giorno del suo funerale. Tra le sue innumerevoli iniziative, quella legata alle Primesecuzioni riveste un ruolo di particolare importanza sia dal punto di vista della coralità infantile sia riguardo le composizioni per cori di voci bianche. Come è nato questo progetto? Il progetto è nato nel 2000, ma l’idea di avvicinarsi e affrontare la musica contemporanea nacque nel 1978, quando partecipai al Concorso di Prato. Il brano d’obbligo doveva essere scelto fra il Benedictus, dalla Messa Mantovana di Palestrina e Le stelle di Gabbiani. Scelsi con coraggio Le stelle. Andai a Firenze per conoscere il compositore e stabilire con lui come affrontare l’esecuzione del brano. Questa conoscenza diretta e la guida del compositore allo studio del brano ci fecero vincere il primo premio al concorso del 1980! Da quel momento non ho più smesso di avere relazioni e contatti con grandi compositori del calibro di Domenico Guaccero, Egisto Macchi, Giancarlo Schiaffini… e, più tardi, Ennio Morricone. Capii quanto fosse importante la collaborazione fra direttore e compositore. Nel 1987 al Palazzetto dello Sport di Roma e nel 1989 al Teatro Olimpico, realizzai anche l’idea di riunire più cori provenienti da tutta Italia, per cantare insieme. Seguirono poi altre iniziative del genere (Uniti per cantare in preparazione del Giubileo 2000) fino ad arrivare alla emanazione del bando per le Primesecuzioni che sanciva questo stretto rapporto tra compositore, direttore e coro. Un’esperienza unica nel suo genere. Esiste secondo lei una metodologia oggettiva, o meglio, l’approccio alla musica e alla pratica corale, attraverso quali competenze deve passare? Quali abilità e strategie sia musicali, comunicative e relazionali deve mettere in moto un direttore di coro? Questa è una domanda assai complessa. Farei innanzitutto una chiara distinzione tra cori scolastici e cori di voci bianche. È chiaro che in un contesto di cori scolastici, si deve cercare di coinvolgere attraverso varie attività alla musica. La pratica corale rientra pienamente accanto a quella strumentale, corporea, espressiva, in tutto quel complesso di attività che educano alla musica in un totale coinvolgimento. Ma è qui che si corre il rischio di coinvolgere i bambini in tante attività, sempre degne di rispetto, ma a volte, a scapito della qualità e del risultato vocale! Il direttore, in ogni caso, se vuole affrontare un discorso legato al coro, deve avere necessariamente quelle competenze riguardo l’emissione vocale, la direzione e i repertori da proporre, senza dimenticare il lavoro sull’improvvisazione e la creatività vocale, che rappresentano due momenti molto importanti sia 41 da un punto di vista vocale che cognitivo. L’obiettivo deve essere quello di far cantare tutti, sempre nel rispetto dell’altro. Nella mia attività corale, anche in contesti non scolastici, non ho mai respinto un solo bambino! Pur con problemi di intonazione, ho accolto qualsiasi bambino che desiderasse cantare, usando poi, chiaramente, strategie idonee per cercare di non creare disagio agli altri coristi. Ho fatto sempre la similitudine tra sport e musica. Tutti hanno diritto a fare sport come a fare musica, ambedue fanno parte dell’educazione della persona: non tutti diventano campioni! Ma educare significa anche insegnare ad affrontare le difficoltà. Un direttore, provvisto di un suo bagaglio di competenze identiche a quelle richieste per un coro scolastico, alle prese con coro di voci bianche, deve offrire ai bambini degli stimoli via via sempre più complessi; proporre brani di facile intonazione o ritmicamente semplici, può servire all’inizio del percorso, ma poi si deve mirare ad arricchire le conoscenze e a costruire e potenziare le abilità vocali dei bambini. È chiaro che questo lavoro necessita di un direttore estremamente preparato sotto tutti gli aspetti, non ultimo quello relazionale, e profondamente preparato sui repertori che vuole proporre. In Italia il numero di cori di voci bianche sta crescendo. Quando un coro secondo la sua esperienza può ritenersi pronto per affrontare un concorso? Due sono gli aspetti fondamentali che rendono qualsiasi coro pronto per un concorso: la capacità di respirazione e di intonazione. Con una buona respirazione e un’emissione vocale corretta si raggiunge più facilmente un’intonazione precisa. Bisogna quindi iniziare da subito e abituare i bambini a cantare senza strumento e a più voci. Ed è proprio per questo che al Concorso Macchi, organizzato dall’Arcl, abbiamo mantenuto, tra i vari requisiti per la partecipazione, un brano a cappella. Cosa ne pensa di tutti questi programmi televisivi incentrati sulla voce rivolti a creare “divi in fasce”? Lo voglio dire ad alta voce: è un vero scempio sia da un punto di vista musicale che umano. Queste trasmissioni illudono, distruggono, calpestano bambini indifesi, oggetto delle ambizioni dei genitori, bambini che scimmiottano gli adulti, bambini all’oscuro di quello che cantano, ignari del danno e dell’abuso che stanno subendo. Approfitto di questa intervista per dire a tutti coloro che operano nell’ambito della coralità e della voce, che dobbiamo mobilitarci contro questi programmi che si stanno diffondendo a macchia d’olio. I mass media stanno distruggendo quello che noi abbiamo costruito con tanto impegno e attenzione, per offrirci in cambio una cultura che si basa esclusivamente sull’immagine e sull’apparenza, calpestando e offendendo i più deboli, i bambini. 42 5x IL VALORE PROPEDEUTICO DEL CANTO GREGORIANO di Riccardo Zoja DIRETTORE DELLA SCHOLA GREGORIANA CONCENTUS MONODICUS E CONSIGLIERE DELL’AISCGRE Qualunque sia l’ottica artistica dalla quale si consideri il patrimonio del canto gregoriano nell’epoca contemporanea, con un atteggiamento culturale non superficiale, se ne traggono molti spunti di riflessione che non possono trascurarsi in nessun ambito di una seria pratica corale; vale la pena di farne una piccola selezione con attenzione ad aspetti che coinvolgono, di necessità, tutti coloro che sono impegnati o interessati a qualsiasi titolo nella musica per complessi vocali. La svolta semiologica nell’analisi di questo repertorio, essenziale per la comprensione di tutta la musica occidentale, ha rappresentato una vera rivoluzione-rivelazione con ripercussioni su tutti gli aspetti del gregoriano; essa ha avuto il suo culmine storico e scientifico in E. Cardine (del quale abbiamo celebrato nel 2013 il venticinquesimo anniversario dalla scomparsa) e con essa si sono parallelamente sviluppate essenziali acquisizioni che, anche sulla modalità nella monodia cristiana, hanno condotto, non senza appassionanti percorsi antitetici, a risultati concretamente inattesi e indispensabili per un approccio storico e interpretativo. Tralasciando le considerazioni sul fatto che, ad esempio, quest’epoca di rivitalizzazione scientifica e artistica sia coincisa con la sconsiderata e disimpegnata trascuratezza progressiva del gregoriano nella sua sede naturale (la celebrazione nella comunità cristiana) o che nei conservatori e nelle scuole di musica l’insegnamento del gregoriano rappresenti per lo più una cellula informe tutta da ricreare, il suo studio fa percepire immediatamente come si tratti di un ambito indispensabile per un completo e compiuto approccio a tutta la musica corale. Di per sé questo nucleo portante dello sviluppo musicale vocale, nel corso di due millenni di storia, nasce e si sviluppa come espressione più pura della relazione tra testo e melodia, ma con l’accezione, non secondaria, che quel testo è la Parola, il Verbo che, in ogni istante della manifestazione espressiva della comunità che si raduna e prega, vive autenticamente e si manifesta al suo interno. E questi testi cantati, che sono l’ossatura eloquente di una liturgia sempre rinnovata, si ritrovano, da lì in poi, in sterminate altre manifestazioni della creatività umana attraverso i secoli. Lo stimolo e la prospettiva di andare al senso più profondo di questa relazione tra Parola e suono fisico hanno ricevuto un impulso tanto sconvolgente quanto rivelatore dall’impostazione scientifica semiologica e da ciò che l’ha accompagnata influendo direttamente sugli aspetti interpretativi e della prassi esecutiva. Ascoltando diverse interpretazioni polifoniche di un testo, dalla scuola di Notre Dame, a Palestrina, a de Victoria, a Poulenc sino ai contemporanei, si può molto bene avvertire quella differenza di autenticità significante che deriva dalla consapevolezza della radice più pura e completa di un rapporto tra testo e musica: il gregoriano, nella sua realtà espressiva che passa dalla consapevolezza del segno, dei rapporti tra nuclei sonori e dalla relazione contestuale con la Parola. In quel repertorio, anonimo, in relazione a tempi e momenti liturgici e a conseguenze esegetiche, c’è il senso primo e ultimo dell’ispirata attività umana nella trasmissione sensoriale del Mistero di un testo, che non può essere mai eluso neppure da un’attenzione tecnica esasperata alla composizione polifonica sacra. Ben si comprende quale sia il rilievo formativo dell’estetica gregoriana che la semiologia, lo studio della 5 Il canto gregoriano nasce e si sviluppa come espressione più pura della relazione tra testo e melodia. 5 modalità nelle sue origini più arcaiche e articolate, del rapporto con la celebrazione, degli equilibri espressivi e del loro evolversi storico-paleografico devono fornire per una vera competenza interpretativa e di comprensione. Un ruolo di maturazione e approfondimento per direttori, cantori, cultori, appassionati che è destinato a una conquista di specificità corale nel senso più completo. È anche questo il senso dei Corsi di canto gregoriano organizzati ogni anno dall’Associazione Internazionale Studi di Canto Gregoriano (AISCGre, www.aiscgre.it), giunti alla loro trentacinquesima edizione, aperti a ogni livello di competenza, nel contesto di una storia istituzionale che ha avuto la sua origine proprio nel seno della attualità scientifica gregoriana. Quest’anno, nel ricordo del decimo anniversario dalla morte di Luigi Agustoni, indimenticabile maestro della cultura gregoriana e liturgica, questa esperienza sta per rinnovarsi nel segno dello studio dell’arte, della pratica collettiva, del confronto con lo spirito. Federazione Nazionale Italiana delle Associazioni Regionali Corali 33078 San Vito al Tagliamento (Pn) via Altan, 83/4 tel. 0434 876724 - fax 0434 877554 - [email protected] - www.feniarco.it x x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x1 0 0 0 1 O 5 C R A I i r N o c E i F e x 10 0 0 5 x x 10 0 0 5 x 10 0 0 5 x 1 10 0 0 5 x 1 0005x1 0005 R E P 0 0 5 x 10 0 0 0 5 x 10 d e c o v la 0 0 5 x 10 0 0 5 x 10 0 5 x 10 0 0 0 5 x 10 0 0005x1 10 0 0 5 x 1 0 5 x 10 0 0 0 0 0 5 x 10 5 x 10 0 005x1 5 x 10 0 0 0 5 x 10 0 0 0 0 5 x 10 0 0 0 5 x 10 5 x 10 0 0 5 0 0 5 x 10 0 O C R A I N E F i ella n d o e i i z t a p s s So a nell’apposito gno 10 0 0 5 x x 10 0 0 5 x 10 0 0 5 x 1 0005x ste o s l e firm a o t a v riser i t ) i S d P d e A ( r i e l e a d i c e n So dichiarazio ioni di Promozione D, U C e O z C I a N ci delle Asso i nei modelli 730, U ice fiscale: d o c o r t che trov s o n l nco i a fi a o 6 d 1 n 5 0 indica 4 3 04 920 t i . o c r a i n www.fe x 10 0 5 x 10 FENIARCO DAY IL MIO TRENTENNALE CON FENIARCO FENIARC DAY di Puccio Pucci Il treno che percorre avanti e indietro la tratta Portogruaro-Casarsa a quell’ora del primo pomeriggio era poco affollato. Treno moderno, pulito e mosso all’interno da piani rialzati per i passeggeri, che interrompono la monotonia dei lunghi corridoi delle vecchie vetture. Anche l’andatura è rilassante e induce a ricordi e pensieri. Mi sto recando a San Vito al Tagliamento per celebrare, assieme ai tanti amici che incontrerò, un grande anniversario che cade proprio oggi, 23 gennaio 2014. La dolce campagna che scivola dal finestrino induce a percorrere ricordi lontani e ripensare un poco al cammino che Feniarco ha compiuto. Essendone stato testimone diretto, non ho potuto non andare con la mente agli anni ’70, pieni di vivacità e di voglia di uscire dal guscio, che precedettero la firma dello Statuto nel 1984 e i ricordi si affollano impetuosi, le persone di allora, dimenticate per tanto tempo, tornano vive nei tuoi pensieri. Il Convegno di Cortina dell’aprile ’72, organizzato da Gian Carlo Bregani in occasione della gara nazionale di slalom riservata a coristi che allora si teneva ogni anno; due giorni di lavoro in cui si alternarono nel dibattito i direttori dei cori più famosi, che condivisero in quei giorni l’esigenza di creare un organismo federativo nazionale che raggruppasse il mondo della coralità. Il primo impegno preso fu quello di operare per dar vita a una struttura di collegamento fra i cori regionali in ogni regione italiana, che facesse riferimento successivamente a una federazione nazionale, come lo era già l’ANBIMA per i gruppi bandistici. In quel momento di associazioni costituite ve ne erano due: una che riuniva i cori della provincia di Trento, presieduta da Giorgio Cogoli, e l’altra regionale, l’AERCIP con sede a Bologna, voluta da un gruppo di cori emiliano-romagnoli e presieduta da Giorgio Vacchi. Già due anni dopo i presidenti delle prime associazioni appena costituite, unitamente a direttori di coro tra i quali Malatesta, Bon, Sbordone, Carone, Marelli, Bregani, posero le ASSOCIAZIONE basi per la creazione della rivista nazionale Coro che uscì nel 1975, diretta da Mario Marelli e successivamente trasferita a Bologna con la direzione di Giorgi Vacchi. Purtroppo l’ultimo numero fu quello di Natale del ’78 perché la pubblicazione fu sempre priva di qualsiasi supporto istituzionale e sostenuta dai soli abbonamenti e dal lavoro di volontari. Ma la miccia era accesa e il percorso era tracciato. Nell’aprile del 1982, a Trento, le nove associazioni che frattanto si erano costituite dettero vita alla Conferenza Permanente dei Presidenti delle Associazioni Regionali Corali che iniziò a tramare la fitta tela di relazioni per giungere il 26 novembre 1983 a Verona alla istituzione di Feniarco, che federava 11 associazioni regionali. Il primo Statuto, frutto di numerose riunioni, ormai aveva assunto la forma definitiva e nel gennaio del 1984 fu letto, approvato e sottoscritto ad Arezzo. Il cammino era cominciato. La prima riunione, in virtù del contributo che anche Giovanni Torre, presidente AERCO, aveva generosamente dato nei lunghi lavori precedenti alla costituzione, avvenne a Bologna il 12 febbraio successivo. Il treno rallenta e mi accorgo che sono passati trenta anni esatti d’allora; Feniarco ci accoglie con amicizia in una sede prestigiosa a San Vito al Tagliamento, una splendida location: Palazzo Altan. C’è aria di festa, ma traspare in tutti, dal presidente agli amici dello staff, un vivo senso di attesa e un fremito di tensione emotiva. E presto ne sono coinvolti anche gli intervenuti; sia i tanti che erano in attività già nell’84 e che non hanno voluto disertate la ricorrenza, che i nuovi amici e lo stesso pubblico. Come avviene in ogni momento di incontro in cui Feniarco è protagonista, curatissimo il materiale mediatico preparato e offerto ai numerosi ospiti, dallo splendido manifesto, anche in formato banner verticale, già inviato a tutte le associazioni, alle cartoline illustrate con annullo in un attrezzato ufficio postale a disposizione dei presenti, ai tanti prodotti dell’editoria Feniaco e ai graditi gadgets del trentennale. La cerimonia inizia dopo un rapido brindisi augurale tra le scrivanie operative da cui nascono le “cose di Feniarco”, per continuare nella sala conferenze di Palazzo Altan, dove avviene il momento celebrativo clou della giornata. Significativa la presenza alla cerimonia dei rappresentanti delle Istituzioni locali e regionali, presentati dal presidente dell’Usci Friuli Venezia Giulia Franco Colussi, che porgono i loro saluti e l’augurio per un futuro ricco di successi. Particolarmente interessanti le parole del consigliere regionale Daniele Gerolin, che sinteticamente espone un quadro dell’impegno che da tempo la Regione Friuli Venzia Giulia ha assunto a favore della coralità. Poi si susseguono gli interventi dei vicepresidenti Alvaro Vatri e Pierfranco Semeraro; e ognuno di loro formula un augurio a Feniarco nell’ottica del lavoro che li ha visti fortemente impegnati in federazione. Quindi il direttore di Choraliter Sandro Bergamo chiosa con la sua sagacia alcuni aspetti della vita associativa e di redazione, mentre il segretario Lorenzo Benedet, con una punta di commozione CO 45 contenuta, esprime un grazie sincero a Feniarco per avergli dato l’opportunità di vivere uno straordinario periodo della propria vita. Poi tutto si incentra sulla relazione del presidente Fornasier che, superata in breve l’emozione di rappresentare i 2700 cori d’Italia, ripercorre con orgoglio il cammino di Feniarco e i prestigiosi traguardi raggiunti nel dare voce alla coralità del nostro paese. Egli ricorda i primi anni con la sede a Mestre presso l’ASAC, che servirono per acquisire la prima ufficialità in sede nazionale. Molte energie furono profuse per giungere al traguardo della costituzione in ogni regione di una associazione di cori, che insieme consacrarono Feniarco come legittima e unica rappresentante della coralità italiana. Per L’Europa corale si confrontò con Feniarco riuscendone altamente soddisfatta. superare i problemi di natura specifica si diede una solida struttura amministrativa alla federazione in un momento in cui i contributi istituzionali da parte del Ministero non erano stati ancora completamente consolidati. Il presidente ricorda la lunga trattativa che ha preceduto la nascita della convenzione con la SIAE che forniva ai cori un sicuro riferimento nell’assolvere i doveri del riconoscimento del diritto d’autore delle musiche eseguite e dei relativi costi. La mission che Feniarco ha sempre svolto, continua il presidente, è stata quella del miglioramento musicale dei cori, offrendo loro un vasto panorama di progetti che sono divenuti costanti nel tempo e rappresentano ora la base delle proposte di ogni 46 stagione sociale. Straordinario è stato l’impegno per acquisire le coperture finanziarie necessarie a operare, come i contributi ottenuti con i Progetti Europei, che consentirono alla Federazione di realizzare numerose iniziative a favore degli associati. Il presidente ripercorre poi l’impegno nella pubblicistica, che annovera, oltre alla stabile pubblicazione della rivista quadrimestrale Choraliter, avviata con l’assemblea di Cascia, tutta una serie di pubblicazioni musicali, con l’offerta di nuovi repertori destinati a gruppi corali soprattutto giovanili, culminate con la collana Voce & Tradizioni, riservata alla raccolta di musiche di derivazione popolare. Ma l’attività editoriale non si è limitata soltanto alla musica. Ha prodotto pubblicazioni di indagini e convegni di valore sociologico quale inDirection, condotto con giovani direttori di coro indicati dalle associazioni regionali, e con il Bilancio Sociale, che ha fornito una completa immagine tecnico-amministrativa del nostro associazionismo, riscuotendo consenso e ammirazione da parte delle istituzioni. Proseguendo enumera brevemente le iniziative musicali e formative, organizzate in accordo con le associazioni regionali, che ben presto hanno posto Feniarco al centro dell’attenzione europea: la settimana cantante di Alpe Adria Cantat, che negli anni ha portato in Italia migliaia di partecipanti provenienti da tutta l’Europa; il seminario per compositori ad Aosta, in cui si sono cimentati giovani musicisti che hanno poi visto pubblicate da Feniarco le opere migliori; l’accademia di Fano, per la formazione di direttori italiani e stranieri che, guidati da valenti musicisti, sperimentano la direzione corale con cori laboratorio; la costituzione del Coro Giovanile Italiano, che ha offerto collaborazione ai corsi di direzione e che ha permesso la qualificata presenza della coralità italiana in numerose performances in Italia e all’estero. Come poi non ricordare l’iniziativa rivolta ai cori scolastici realizzata con il Festival di Primavera, prima con sede a Follonica e ora stabilmente a Montecatini, e l’istituzione del Salerno Festival, che esce dallo schema turistico-promozionale di similari manifestazioni in Italia e all’estero, offrendo un più ampio e deciso spazio alla musica. L’Europa corale, prosegue il presidente Fornasier, si confrontò con Feniarco riuscendone altamente soddisfatta, se il Board nel 2009 fu unanime ad affidare per tre anni all’Italia la presidenza della federazione europea. È stato un momento di attività crescente che ha promosso in Europa la professionalità di musicisti, direttori artistici e cori che hanno riscosso molti consensi ed è culminata nell’organizzazione a Torino del Festival Europa Cantat 2012. La grande manifestazione europea, per l’impegno profuso e anche a seguito di sinergie ottenute dalle istituzioni locali e nazionali, è stata ritenuta dai partecipanti di tutto il mondo come “difficilmente ripetibile”. Torino, invasa da 5000 coristi, è rimasta coinvolta come città e il pubblico ha generosamente fornito la sua presenza alla grande kermess musicale, decretandone il pieno successo. Il presidente conclude il sintetico, convincente e appassionato excursus dei trent’anni di vita e realizzazioni di Feniarco sottolineando che tutto ciò non sarebbe stato possibile senza la forte collaborazione e presenza delle associazioni regionali, dei cori e dei loro dirigenti, senza i contributi di una commissione artistica e di una redazione attive e ricche di energie propositive, senza il sostegno della creatività e operatività dello staff che opera stabilmente in federazione, segreteria, direttore della rivista e operatori, e senza la condivisione e il prezioso sostegno ottenuto dai vicepresidenti. È in tal modo che dal 1984 Feniarco contribuisce a dar voce ai cori italiani. Al lungo e caloroso applauso che ha sottolineato l’intervento di Sante Fornasier, è seguita la consegna alle autorità e alle delegazioni presenti di un significativo oggetto realizzato a Dal 1984 Feniarco contribuisce a dar voce ai cori italiani. ricordo della giornata. La tensione e le emozioni si stemperano infine nel bel teatro di San Vito, dal sapore goldoniano, dedicato al musicista friulano Arrigoni, dove alla parola si è sostituito il canto, con le belle esibizioni della Polifonica friulana Jacopo Tomadini, del Gruppo vocale Città di San Vito, del Coro di voci bianche Fran Venturini di Domio e del Coro Melos della Valbelluna, dopo gli interventi musicali proposti nel pomeriggio dall’ensemble La Rosa dei Venti, nato autonomamente all’interno del Coro Giovanile Italiano. L’evento del trentennale Feniarco, di per se stesso così significativo e importante, riceve così l’intonatissimo accordo finale affidato alla musica. 1984•2014 ASSOCIAZIONE 47 1 2 3 4 per trent’anni la voce dei cori! 48 ASSEMBLEA ORDINARIA FENIARCO A MATERA di Lorenzo Benedet Il 22 e 23 marzo scorso si è svolta a Matera, ospiti dell’Associazione Basilicata Cori, l’Assemblea Ordinaria di Feniarco. Un appuntamento sempre importante, non solo per indicare delle linee guida della federazione, ma soprattutto per una seria valutazione dello status della coralità italiana. Tanto più che, proprio nell’anno in corso, la federazione festeggia il suo trentesimo compleanno. Solo due le regioni assenti, a dimostrazione di quanto sia sentito, da parte delle associazioni regionali, il momento del confronto e delle decisioni da condividere. Se a ciò si aggiunge che in questa occasione era previsto il rinnovo degli organi sociali e che Matera è una città bellissima e piena di storia e cultura, la grande partecipazione era prevista. Storia e cultura, quella di Matera, ricordate nei saluti di benvenuto da parte del presidente dell’Abaco Salvatore Panzanaro e del presidente Feniarco Sante Fornasier, che hanno ricordato la candidatura della città a Capitale Europea della Cultura nel 2019, scelta che offrirebbe alla coralità del sud, e a quella italiana più in generale, una visibilità ancora maggiore di quanto accaduto negli ultimi anni. La relazione con cui il presidente Fornasier ha aperto la seduta con una relazione ampia e dettagliata sulle attività svolte negli ultimi sei anni. Anni pieni di attività che sono sotto gli occhi di tutti e che comprendono eventi, formazione, editoria, attività per coristi e cori di ogni tipo e livello. Attività che hanno avuto il momento di massimo splendore (e fatica) con il Festival Europa Cantat Torino 2012, riconosciuto da tutti come un grande evento, altissimo sul piano artistico e perfettamente organizzato dallo staff messo a disposizione proprio da Feniarco, e con il triennio di presidenza di Sante Fornasier alla guida di European Choral Association - Europa Cantat, segno tangibile di un riconoscimento di merito largamente espresso dalla coralità europea. Ma Feniarco è molto di più! Si aggiunga la solidarietà che è stata dimostrata negli anni nei confronti dei cori che hanno subito calamità naturali che li hanno messi in ginocchio economicamente e moralmente. Dal terremoto de L’Aquila alle alluvioni in Sardegna. È qui che i cori, coadiuvati dalle associazioni regionali, hanno dimostrato come l’appartenenza a questo mondo corale non si limiti solo alla prove e ai concerti, ma nasconda in sé molto di più. Ovviamente si è parlato molto dei programmi futuri e di quanto potrebbe essere difficile sposare le idee con le possibilità finanziarie, sempre più limitate da una crisi globale che non risparmia certamente il mondo della cultura. Anche Feniarco sarà costretta a tagli che costringeranno a rivedere alcune proposte, ma la volontà emersa dall’assemblea è quella di non rinunciare a nulla. Per questo motivo tutti si sono impegnati a cercare soluzioni per il recupero di quelle risorse necessarie a mantenere in vita tutte le proposte e, per questi motivi, alcune cose (come la rivista Choraliter) non potranno più essere gratuite per tutti i cori; l’assemblea tutta esorta infatti le decine di migliaia di coristi a sottoscrivere un abbonamento annuale per un organo di informazione e formazione, quale Choraliter. Con questi presupposti i bilanci vengono approvati all’unanimità. Un appuntamento importante per valutare lo status della coralità italiana. Nell’ultima parte della prima giornata si procede alle votazioni per il rinnovo degli organi sociali. Mentre l’elezione del presidente è pressoché scontata, visti i risultati ottenuti da Sante Fornasier (unico candidato) e viene fatta per acclamazione, per i ruoli di vicepresidente ci sono tre candidature: Vicente Pepe dell’Arcc Campania, Gianni Vecchiati dell’Arca Abruzzo e Alessandro Raschi dell’Asac Veneto. I risultati vedono eletti i primi due. Per quanto riguarda la commissione artistica, dopo i dovuti ringraziamenti ai componenti uscenti e in particolare a Nicola Campogrande e Piero Monti che con la loro professionalità e disponibilità hanno dato un grande contributo alla causa della coralità amatoriale, tra i candidati vengono eletti Lorenzo Donati, Luigi Leo, Cinzia Zanon, Alessandro Cadario, ASSOCIAZIONE Alessandro Ruo Rui e Mauro Marchetti. L’assemblea decide di riservare due posti per musicisti “esterni” alla federazione ma di riconosciuto valore; questi verranno nominati in seguito. La seduta si chiude con la riconferma del comitato di redazione di Choraliter (Efisio Blanc, Walter Marzilli, Giorgio Morandi, Puccio Pucci, Mauro Zuccante) del direttore Sandro Bergamo. Il comitato non è stato allargato, ma sarà comunque affiancato da alcuni collaboratori stabili: Rossana Paliaga, Marco Della Sciucca e Concita De Luca. Tra gli atti importanti dell’assemblea va segnalata l’approvazione unanime di un importante Ordine del Giorno da inviare al Ministero dei Beni e Attività Culturali, nel quale si sottolinea la funzione svolta da Feniarco, ma anche da tutti i cori amatoriali che diffondono cultura nel territorio, grazie a una diffusione capillare della musica corale. Diffusione che avviene attraverso decine di migliaia di concerti, corsi di formazione, collaborazioni con il mondo della scuola, l’accompagnamento della liturgia, la conservazione della tradizione popolare e molto altro. Si chiede al Ministero che questo mondo sia rispettato, aiutato e tenuto in considerazione per la sua grande potenzialità. In serata, durante e dopo la cena, in occasione del concerto che sempre accompagna ogni assemblea Feniarco (tenuto in questo caso dalla Polifonica Materana e dai Cantori Materani), si è consumato il tradizionale scambio di esperienze e informazioni da parte dei presidenti e delegati regionali. Questo è sempre un momento importantissimo dell’assemblea perché per tutti vi è la possibilità di un dialogo a 360 gradi, senza la necessità di ordini del giorno e tempi stretti di discussione. In queste ore c’è anche spazio per la promozione delle proprie attività e per conoscere e approfondire temi che possono interessare tutti i cori amatoriali del Paese. Un bel momento che generalmente stempera qualche accalorato e accalora qualche timido. Il tutto in un clima di collaborazione e amicizia. Questa assemblea ha segnato un grande rinnovamento nello staff di Feniarco. Hanno chiuso la loro esperienza di vicepresidenti Pierfranco Semeraro e Alvaro Vatri, che hanno salutato commossi l’assemblea. Chiude dopo quindici anni la sua esperienza di segretario anche lo scrivente. Anche da queste pagine voglio ringraziare questa federazione, le associazioni regionali, Europa Cantat e tutti i cori e coristi che ho conosciuto in questi tre lustri per quanto ho potuto imparare da loro. Sento di aver ricevuto molto più di quello che ho dato e questo rimarrà sempre parte del mio patrimonio. A tutti l’invito a non mancare all’appuntamento con il trentennale di Feniarco a Roma e a tutti gli altri eventi proposti. 49 I NUOVI ORGANI ASSOCIATIVI FENIARCO Consiglio di Presidenza Sante Fornasier, Presidente - Rauscedo (Pn) Vicente Pepe, Vicepresidente - Salerno Gianni Vecchiati, Vicepresidente - Spoltore (Pe) Commissione Artistica Sante Fornasier, Presidente Filippo Maria Bressan - Bologna Alessandro Cadario - Varese Lorenzo Donati - Arezzo Luigi Leo - Corato (Ba) Alessandro Ruo Rui - Nole Canavese (To) Mauro Marchetti - Roma Cinzia Zanon - Bassano del Grappa (Vi) Comitato di Redazione di Choraliter Sandro Bergamo, Direttore - Prata di Pordenone (Pn) Efisio Blanc - Quart (Ao) Walter Marzilli - Albinia (Gr) Giorgio Morandi - Garlate (Lc) Puccio Pucci - Bologna Mauro Zuccante - Costalunga Brognoligo (Vr) Collegio dei Revisori Roberto Ciuchetti, Presidente - Bastia Umbra (Pg) Maurizio Biscotti - Carnago (Va) Paolo Bergamo - Taio (Tn) Collegio dei Probiviri Angelo Filippini, Presidente - Pollein (Ao) Armando Corso - Genova Gastone Zotto - Vicenza 50 LA RICCHEZZA DELLA CORALITÀ EUROPEA di Giorgio Morandi Frequento l’Associazione Corale Europea (già FEJC EC, Fédération Européenne de Jeunes Chorales Europa Cantat) e IFCM (Federazione Internazionale per la Musica Corale) fin dai primissimi anni ’80. Quante persone ho conosciuto! Prima semplici nomi, poi volti, quindi musica, organizzazione e amicizia! Dopo 35 anni il ricordo di alcuni di loro tende a svanire, ma due persone che ci hanno lasciato recentemente non usciranno facilmente dalla mente e dal cuore mio e di milioni di cantori e di addetti alla coralità di tutto il mondo. Non faccio personali scelte sulla base di incompetenti giudizi meritocratici, queste due persone amiche voglio ricordarle nell’ordine cronologico in cui ci hanno lasciato, guarda caso lo stesso con cui li ho incontrati, conosciuti e apprezzati. Dolf Rabus La notizia del suo “dies natalis” è giunta il 18 dicembre 2013 al termine di una lunga malattia. Al di là della sua stazza anche fisica egli fu una grande figura del mondo corale. Quasi sicuramente io lo conobbi quando era membro del Board e tesoriere di IFCM e lo ritrovai negli anni 1995/1999 membro della commissione musicale di Europa Cantat. L’ho visivamente presente nella mia mente seduto in Piazza San Carlo a Torino mentre col libro del Festival Europa Cantat 2012 si gode e contribuisce al canto comune di quell’immenso favoloso coro; lo ricordo al tavolo di presidenza di Musica International a Berlino; lo ricordo simpaticissimo compagno di mensa in un ristorante di Copenhagen durante il World Choral Symposium di luglio 2008. A quanti World Choral Symposium ha partecipato Dolf? Non saprei, ma so che è stato più volte membro della commissione artistica di questa manifestazione corale mondiale. Nella mia mente in questo momento lo vedo indaffarato nell’organizzazione delle varie edizioni del suo International Chamber-Choir Competition di Marktoberdorf come pure del Musica Sacra International Festival e del Choral Festival Network. Lo so generoso partecipante in prima persona a molte iniziative nella sua Germania, col German Music Council, con Arbeitskreis Musik in der Jugend come pure nell’organizzazione Bundesvereinigung Deutscher Chorverbände – BDC (Unione Federale Tedesca delle Associazioni Corali) nonché fondatore, direttore e perfino architetto della Bavarian Music Akademy di Marktoberdorf. Ma a chissà quante altre iniziative Dolf Rabus ha dato il suo generoso contributo di esperienza, di conoscenza e di abilità. Tutto ciò fa sì che questo grande visionario e lottatore che ha portato tanti cambiamenti alla coralità mondiale mancherà moltissimo. Ci mancheranno le sue belle foto frutto di un’altra sua grande passione. Ci mancherà lui stesso come persona che davvero credeva nella musica come forza capace di portare pace ovunque. Monique Lesenne Persona dolcissima, archeologa esperta, personificazione della passione per la musica corale e i cori. La incontrai… non so più quando; la conobbi… mai completamente nella sua profonda ricchezza umana, nonostante tanti incontri alle assemblee di FEJC EC ora European Choral Association - Europa Cantat, incontri a festival (la memoria recente mi porta per esempio a Venaria Reale durante il Festival Europa Cantat di Torino nel 2012) e concorsi corali internazionali (l’ultimo, per esempio, a Rimini tre anni fa circa). Quante belle lunghe conversazioni con Monique! Lo scorso mese di novembre la sua assenza all’incontro di Pécs per l’assemblea di ECA-EC mi è suonata come silenzio assordante. Credo sia stata la prima occasione corale internazionale in cui non ho incontrato Monique Lesenne. A pensarci ora… forse la sua salute dava già seri problemi? Almeno ebbi il coraggio di chiedere notizie ai suoi connazionali e la mandai a salutare, dubitando nemmeno lontanamente che sarebbe stato il mio ultimo saluto alla esuberante, gioiosa e generosa Monique. Il 16 gennaio 2014, nemmeno un mese dopo Dolf Rabus, la triste notizia. I suoi cari ci informano: «Vogliamo mantenere nel nostro cuore la vita e l’amore di Monique Lesenne». Che tristezza! La voce calda, affabile, decisa e generosa di questo rappresentante della vera anima corale non la udremo più. I suoi amici dell’organizzazione fiamminga per la musica vocale Koor & Stem hanno scritto: «Con la morte di Monique Lesenne il mondo corale ha perso una madre che era sempre pronta a battersi per i suoi amici del canto corale». Verissimo! CRONACA 51 Monique, che sono certo ci perdonerebbe con un largo sorriso la telegraficità di questo ricordo, è stata cuore e anima della Flemish Federation of Young Choirs. Fin dal Festival di Namur del 1967 ha partecipato a Europa Cantat come membro del Board, della direzione musicale, come rappresentante impareggiabile delle organizzazioni corali fiamminghe alla cui unione ha contribuito personalmente. Monique è stata organizzatrice di una lunga serie di strepitosi eventi corali nazionali e internazionali: settimane cantanti, concorsi corali, festival, corsi… Quando un’idea aveva il suo appoggio, nessuno più la fermava tanto era formidabile in lei la combinazione tra determinazione ed entusiasmo. Monique avrebbe voluto che bambini e giovani di tutto il mondo avessero la possibilità di incontrarsi e cantare insieme. Come organizzatrice, era schiva; nel canto preferiva sottolineare la qualità più di ciò che veniva cantato. Monique Lesenne come motivatore instancabile dietro numerose manifestazioni corali è un’immagine che rimarrà con noi per sempre. Molto colpiti dall’annuncio della loro morte, con profondo senso di gratitudine per Dolf Rabus e per Monique Lesenne, anche Feniarco esprime alle rispettive famiglie, agli amici e a tutto il mondo corale la più sentita partecipazione. “Quante persone cantano in Europa?” Aiutaci a scoprirlo! e tu canti … singingeurope.org la tua voce fa la differenza! Se vi siete fatti anche voi questa domanda, partecipate al sondaggio di European Choral Association-Europa Cantat per scoprire quanto diffuso è il canto corale! Il sondaggio online è disponibile al sito www.singingeurope.org Scopo di "SingingEurope" è quello di raccogliere dati precisi e aggiornati circa l’attività del cantare assieme nelle differenti nazioni europee. I risultati dell'indagine verranno diffusi e aiuteranno le organizzazioni nazionali e europee ad allestire programmi sempre più interessanti per le realtà e le esigenze della comunità corale. La speranza è anche che questo progetto possa fornire dati significativi che convincano i governanti a supportare lo sviluppo del canto corale nelle nostre società. Questo però è un obiettivo che può essere raggiunto solo con l’aiuto di tutti voi. Se siete cantori, direttori o responsabili di un coro o un gruppo di persone che si incontrano a cantare assieme, non esitate a rispondere a questa breve indagine (occorrono dai 5 ai 15 minuti): visitate www.singingeurope.org Sarà possibile compilare il sondaggio fino a luglio 2014. singing europe è un programma di ricerca nell’ambito del progetto VOICE, coordinato da European Choral Association-Europa Cantat, con il sostegno del Programma cultura dell’Unione Europea. Per saperne di più: www.thevoiceproject.eu 52 DISCOGRAFIA&SCAFFALE Ferruccio Busoni - Musica sacra Coro Filarmonico Trentino Sandro Filippi, direttore Amadeus, dicembre 2013 Davvero, qualcosa è cambiato nella percezione che questo paese ha della musica corale, se anche una rivista come Amadeus comincia a prestarle attenzione dedicando alcuni suoi numeri a mettere in luce addirittura opere sconosciute. Nel passato si è avuto qualche esempio di grandi composizioni con orchestra, dal Magnificat di Bach al Requiem di Verdi. Ora si nota un’attenzione crescente a un repertorio dove il coro gioca un ruolo centrale, supportato da piccoli organici strumentali, quando non totalmente a cappella. Né si disdegna lo scavo di percorsi inediti, alla ricerca di perle sconosciute al grande pubblico e nuove talvolta anche ai frequentatori assidui della musica corale. È il caso del CD allegato al numero di dicembre, che presenta un inatteso Busoni, dedito alla musica corale con alcune composizioni mariane. Un interesse che il pianista e compositore matura in gioventù, addirittura nell’adolescenza. «Durante il mio anno di studio a Graz frequentai il seminario, in cui veniva insegnata anche musica sacra. Scrissi allora una Messa a cappella a 6 voci» dichiarò in una sua lettera molti anni dopo Busoni. Era il 1880 e il compositore aveva 14 anni. Sono dunque ragioni esterne, che spingono il giovane musicista a cimentarsi con la musica sacra e che lo vedono nel giro di pochi anni produrre una decina di composizioni, la maggior parte legate al culto mariano. Ma lo spinge anche una adesione convinta, frutto dell’educazione religiosa ricevuta in famiglia, specialmente dalla madre. Ragioni che verranno presto a decadere, l’una e l’altra: concluso il periodo di studi sarà la carriera pianistica a prenderlo e a orientarne le scelte compositive, ma già nel 1885 il diciannovenne Ferruccio confessava in una lettera alla madre la sua disaffezione dalle pratiche religiose. La storia non si fa con i se, e quindi accantoneremo ogni rimpianto per quello che Busoni avrebbe potuto lasciarci “se” non avesse limitato a questa fase giovanile la sua attenzione al coro. Prendiamo invece atto che, per quanto “di scuola”, i lavori contenuti in questo CD (oltre alla citata messa, uno Stabat Mater a 6 voci e quintetto d’archi e due antifone – Ave Maria e Salve Regina – per voce sola e archi) meritano di essere stati tolti dall’oblio e presentati al grande pubblico. Tutto scaturisce da un convegno svoltosi nel 2008 a Bolzano, dove per la prima volta fu data la giusta attenzione a questa produzione, per lo più inedita, analizzandola ed eseguendola. Un’occasione che Sandro Filippi, interprete con il suo Coro Filarmonico Trentino di questa edizione discografica, ha sviluppato riproponendo più volte, negli anni successivi, la musica sacra di Busoni, memore di quanto il suo maestro Renato Dionisi gli andava dicendo ben prima del convegno, circa la qualità contrappuntistica del compositore. «Una perizia», spiega Filippi nell’intervista concessa ad Amadeus, «che si rifà per tanti aspetti alla scuola romana di RUBRICHE Palestrina, ma anche a quella veneziana, in particolare nella contrapposizione tra coro femminile e maschile tipica dei cori battenti. Ma si può riconoscere anche l’influenza di Bach, in particolare nei fugati». Alla soddisfazione di constatare lo spazio dato da una rivista come Amadeus alla musica corale si accompagna quella di vedere protagonista di questa impresa discografica e dare così buona prova di sé una formazione e un direttore iscritti, tramite l’associazione trentina, alla nostra federazione. Tutti buoni motivi perché i lettori di Choraliter non perdano questa perla, nella speranza che ve ne possano essere tante altre e la musica corale doni a tutti, non solo a noi che la pratichiamo, i suoi tesori. Sandro Bergamo Strauss a cappella CD Naïve, 2010 Quest’anno, 2014, si celebrano i 150 anni dalla nascita di Richard Strauss. Il celebre compositore e direttore d’orchestra bavarese è nato, infatti, nel 1864 e morto nel 1949, all’età di 85 anni. Meglio conosciuto come autore di opere teatrali e poemi sinfonici, egli firmò anche un certo numero di pagine per coro a cappella, piuttosto significative. Si tratta di lavori ai quali Strauss si è dedicato negli intervalli di stesura delle opere maggiori, impegnandosi con intenti di sperimentazione creativa. Pertanto, queste composizioni corali attraversano l’intero arco temporale della sua attività artistica. Le accomuna una scrittura corale complessa e la richiesta di cospicue risorse d’organico e di notevole livello tecnico. Queste le ragioni per cui la produzione per coro a cappella di Richard Strauss, ancor oggi, non è di frequente esecuzione. Strauss a cappella è il titolo di una registrazione discografica (CD Naïve, V5194, pubblicata nel 2010), in cui è contenuta un’esauriente selezione delle opere corali a cappella dello stesso Strauss. Un prodotto frutto di una joint venture musicale. Infatti, l’affermata direttrice di coro Laurence Equilbey ha unito sotto la sua direzione due compagini corali tra le più valenti e rinomate: Accentus (complesso corale francese, fondato dalla stessa Equilbey) e il Coro della Radio Lettone. Possiamo, quin- 53 di, apprezzare la corposa formazione, risultante dall’unione dei due cori (oltre 60 elementi), impegnata «nella scalata dell’Everest della musica corale a cappella», stando alle parole che hanno promosso l’uscita del CD. L’album contiene i seguenti brani (tutti naturalmente a cappella), che ordiniamo, per opportunità espositive, in base alla cronologia di composizione: Zwei Gesänge, op. 34 (Der Abend e Hymne), per coro a 16 voci (1897); Deutsche Motette, op. 62, per soli e coro a 16 voci (1913); Traumlicht (dai Tre cori, op. 123), per coro maschile a 5 voci (1935-36). Cominciamo da Der Abend. I versi di Friedrich von Schiller “dipingono” un quadro assai suggestivo del tramonto. Un’immagine tratta dalla mitologia classica, che raffigura il dio radioso, Apollo, che si corica nei flutti del mare, abbracciandosi voluttuosamente alla ninfa Teti. Immagini care a Strauss, quelle del tramonto, della sera, del riposo notturno. Immagini che ispirano un brano di straordinario fascino timbrico e armonico. L’avvicendarsi di ammalianti “pitture sonore” scandisce lo stemperarsi della luce del giorno e il sopravanzare dell’oscurità notturna. S’inizia con il luminoso e ardito “sol acuto”, tenuto lungamente dai soprani per venti battute, da cui le voci discendono, fino a distendersi in un lieve moto ondeggiante di terzine (il riposante fluttuare delle acque). Quindi, appare Teti. Cupido arresta il fulgido carro. I cavalli si ristorano alle fresche acque, sulle distensive note di un motivo cromatico, che declina. La notte sale dal profondo delle voci basse, a oscurare il cielo con il suo velo. Ruhet und liebet! (Riposate e amate!), infine, come Febo, l’amante, riposa. Scivolano lentamente nell’abbandono del sonno le ultime incantevoli armonie: è il momento più incantevole dell’intero brano. Fonti bibliche ispirano il componimento poetico di Friedrich Rückert, che è il testo scelto per il secondo brano dell’op. 34. Hymne è composto per un organico ancor più esteso, in quanto al coro a 16 voci, si aggiunge un secondo coro a 4 voci, che interviene intonando le ricorrenti invocazioni O gräme dich nicht! (Non essere afflitto!). Nella prima parte (le prime 5 strofe del testo, delle 6 complessive), il discorso musicale procede con linearità e in forma dialogante, o antifonica. Quindi, un erudito fugato si estende per tutta la seconda parte, in sintonia con il carattere morale espresso nella sentenza della sesta strofa: Zwar bedenklich ist unser Gang, 54 ovus Carus Mixed choir /Chœur mixte Renato Miani Die Worte des Engels Text: Rainer Maria Rilke Coro SATB carus novus herausgegeben von kurt suttner Carus 9.930 / Wohin wir uns wenden, / Kein Ziel zu sehn; / Aber ein jeder Weg, wie lang, / Muss einst enden, / O gräme dich nicht! (Certo dubbioso è il nostro passo, / là dove ci volgiamo, / non si può scorgere alcuna meta; / ma ogni via, per quanto lunga, / deve un giorno aver fine, / non essere afflitto!). In questa sezione la scrittura assume un notevole livello di complessità. I motivi dei singoli episodi della prima parte ritornano, per incrociarsi con il tema del fugato, in un gioco d’intrecci contrappuntistici assai articolato e ricercato. Tempo “alla breve” e recupero della verticalità nella coda, ad affermare il sentimento di fiducia con cui si chiude il brano. Diciannove minuti di durata costituiscono un limite di smisurata sostenibilità per un’esecuzione a cappella. Tanto dura il Deutsche Motette. Intonazione e vocalità sono sottoposte a un’ardua prova di tenuta. A ciò si aggiunga la dilatazione dell’ambito sonoro, fino a oltrepassare di poco le quattro ottave di estensione complessiva (dal si bemolle grave del basso IV, al re bemolle acuto del soprano I). E, non da meno, le tessiture dei registri interni sono spinte a toccare i loro limiti estremi. Insomma, una partitura che, per le asperità esecutive da superare, è in grado di mettere in soggezione e difficoltà anche le compagini corali più capaci. L’aggettivo contenuto nel titolo tradisce il riferimento al Deutsche Requiem di Brahms. A esso la composizione di Strauss idealmente si ricollega. Ne riprende il senso di continuità con la tradizione polifonica rinascimentale e barocca tedesca. E ne condivide il carattere spirituale, non religioso. Il termine “mottetto” è, pertanto, usato solo in accezione formale. Il testo di Friedrich Rückert si presenta sotto forma di preghiera – o meglio, invocazione – della sera, alla musa ispiratrice. I versi descrivono l’irrequietezza interiore, allorquando la vigile ragione cede il passo al mistero delle cose notturne. Soltanto gli effetti benefici di un luminoso sogno ristoratore possono allontanare il senso di smarrimento, che incombe dalle tenebre. Tematiche di suggestione romantica, sulle quali l’immaginazione musicale di Strauss si è soffermata a più riprese. La struttura del pezzo è assimilabile a Hymn. Una prima sezione, in cui gran parte del testo di Rückert viene svolto. E una seconda sezione (in stile fugato), che indugia nell’auspicio espresso dal distico O zeig mir, mich zu erquicken, im Traum das Werk / Vollender, das ich angefangen, o wach in mir! (Per ristorarmi, mostrami, nel sogno, / compiuta l’opera intrapresa, o veglia in me!). Quindi, la conclusione, sui versi In deinem Schosse will ich schlummern, bis neu mich weckt / Die Morgenröthe deiner Wangen; o wach in mir! (Nel tuo seno voglio assopirmi fino a che mi desti / l’aurora nel tuo volto, o veglia in me!). La ricorrenza, al termine dei versi pari del testo della supplica o wach in mir! (o veglia in me!), è interpretata dal compositore alla stregua di un “refrain-clausola”, che insistentemente rimbalza dalle voci dei soli a quelle del coro. Il Deutsche Motette si apre in un clima di profonda quiete universale. Larghe campate accordali oscillano tra le tonalità di do maggiore e di mi bemolle maggiore. Una mistura di figurazioni di terzine e quartine origina un ordito vocale indefinito RUBRICHE e inquieto: il presentimento di oscure forze tenebrose, il timore di insinuanti desideri peccaminosi. Presagi dissipati dal carezzevole motivo del frutto della vita, che pende dall’albero dell’Eden. Nella sezione in stile fugato, la scienza contrappuntistica di Strauss si esprime al massimo grado di complessità. Il lungo episodio prende l’avvio da un tema alquanto articolato. A poco a poco, i tempi delle entrate si stringono, generando una fitta trama polifonica. Al tema del fugato si sovrappone il refrain-clausola o wach in mir!. Repentini e imprevedibili scarti modulanti agitano il tessuto vocale. Il tutto raggiunge una soglia di elevato parossismo prima della “catastrofe” (nel senso drammaturgico del termine) finale, che riporta la massa vocale al clima disteso iniziale. Un conciso riepilogo dei motivi principali conduce al termine, nella ristabilita luminosità del tono di do maggiore. Una narrazione corale ad ampio respiro, pari a quella dei grandi poemi sinfonici orchestrali: così, in sintesi, si può definire l’impressione che deriva dall’ascolto di questo capolavoro straussiano. Traumlicht (secondo dei Tre cori, op. 123, composti per il Männergesangverein di Colonia), appartiene all’ultimo periodo di produzione di Strauss. Ancora una volta un testo del poeta prediletto Friedrich Rückert. Di nuovo un canto della sera, ma elaborato musicalmente in una veste più intima e raccolta. Alla sobrietà delle cinque voci maschili corrisponde una scrittura lineare, in cui la voce superiore conduce la linea melodica. Le raffinatezze dei passaggi armonici, culminano nelle aperture accordali che ci proiettano nella luminosità del sogno, in cui notte e giorno si confondono: Hell dämmert mild ein Licht im Traum / am Tage mir nach (Vedo spesso la luce brillante del mio sogno / durante il giorno). In conclusione, le opere corali a cappella di Strauss ci illustrano quelle tematiche poetiche (natura, tramonto, riposo, pacificazione, sogno, condizione notturna dell’anima, luce), che ritroviamo anche nell’intera sua produzione maggiore. Sono «convinzioni romantiche nelle quali Strauss credeva, l’unità panteistica del mondo, la vigilanza della coscienza, la forza liberatrice del lavoro creativo» (F. Serpa). Opere in cui converge e si compie l’arco della grande tradizione polifonica tedesca: da Schütz, a Bach, a Brahms. Ma non ci dimentichiamo di premesse più antiche (e l’eco lontano ancora si avverte), che risalgono al genio di Monteverdi. 55 47 minuti, la durata totale del CD. Pochi, si dirà, per la capienza un supporto discografico che avrebbe potuto contenere qualche altra proposta, ma sufficienti a contenere un esaustivo compendio dell’arte di uno tra i più grandi e amati compositori dell’epoca moderna. Mauro Zuccante Die Worte des Engels per coro misto a cappella di Renato Miani Carus-Verlag, 2012 È stata pubblicata da Carus, importante casa editrice tedesca tutta dedicata alla musica corale (per chi ancora non la conoscesse), la composizione del friulano Renato Miani Die Worte des Engels per coro misto. Miani è un compositore con un ricco curriculum professionale che si è dedicato essenzialmente alla musica strumentale e vocale solistica. Il suo linguaggio è decisamente ancorato ai valori della costruzione sonora. Ha anche fornito, su sollecitazione di amici direttori di coro, qualche pezzo per i gruppi amatoriali sia “polifonici”, sia di ispirazione popolare, obbligandosi alla ricerca di soluzioni meno complesse, ma sempre nell’ambito di in uno stile personale. Il testo scelto da Miani per questa sua pagina corale è una bellissima poesia di Rainer Maria Rilke, una sorta di moderna meditazione sul mistero dell’Annunciazione: l’angelo, «venuto a compiete il sogno millenario», parla a Maria, che non risponde. Maria è luce, Maria «è la pianta». La costruzione ha un carattere vagamente madrigalistico. Il trattamento orizzontale delle voci prevede alcuni passaggi per intervalli dissonanti (in particolare la quarta eccedente dell’elemento melodico iniziale, riproposto in più punti del brano con funzione di richiamo formale). In termini generali l’ambito armonico è tonale pur con il continuo fluttuare delle alterazioni che creano situazioni accordali allargate rispetto all’impianto di base (sol minore). Per il livello tecnico richiesto, il brano è certo un pezzo d’impegno per un buon coro amatoriale. Si consiglia la visione della Probenpartitur consultabile sul sito della casa editrice. Roberto Frisano 56 LA VITA CANTATA Rubrica dedicata al canto di ispirazione popolare a cura di Puccio Pucci COMPLEANNI DI VITA Esperienze in Valtellina e Valchiavenna L’attività dei cori di ispirazione popolare nasce da molto lontano, sull’onda del successo delle melodie che i cori trentini SOSAT e SAT andarono a rendere emblema del canto alpino di tradizione. Fu un proliferarsi di complessi che, dai luoghi in cui presero origine, conquistarono anche le simpatia dei giovani che, dopo l’evento bellico, tornarono a frequentare i sentieri e appigli delle nostre montagne e si ritrovarono a sera, stanchi morti, nel fumoso e tiepido ritrovo di qualche vecchio rifugio appena riaperto. Il canto, magari non perfetto negli accordi appresi dai vinilici dei “cori guida”, nasceva spontaneo e poteva poi avere un proseguo a valle con la timida nascita di un gruppo corale, il cui nome spesso ricordava quello di alcune delle vette raggiunte nelle esperienze estive. Questa rubrica è nata proprio per dare spazio, in una rivista nazionale che raccoglie 2700 gruppi corali con repertori che vanno dal gregoriano alla musica contemporanea, a quel largo settore di complessi che ancora frequentano i canti popolari, o che avvalendosi delle esperienze artistiche di valenti musicisti eseguono nuove composizioni, sempre strettamente legate al filone delle tradizione popolare e della ricerca sul campo. È evidente che i compleanni di continuità artistica, che dura da cinquanta anni e più, si stanno avvicendando per molti cori e sarebbe difficile dedicare solo a queste ricorrenze, per quanto di straordinaria importanza culturale e artistica, lo spazio riservato da Choraliter alla “vita cantata”. Spazio che vuole piuttosto testimoniare il procedere, l’evoluzione musicale di questo tipo di coralità. Nella provincia di Sondrio troviamo però un genetliaco che merita una deroga importante. Infatti nel 2014 ci sono due complessi che contemporaneamente compiranno il cinquantesimo e questo li unisce in una ricorrenza che li ha visti operare non soltanto per la loro crescita artistica, ma anche per la grande opera compiuta dai loro dirigenti alla nascita di un associazionismo che li riunisse con l’Usci prima localmente poi, in comune accordo con i cori di altre regioni, in una federazione nazionale. L’esperienza e l’attività dell’amico Giampiero Mariconti di Chiavenna in ambito Feniarco ne fa ampia testimonianza. Pensate alla collocazione geografica: la lunga e stretta Valchiavenna racchiusa da superbe montagne e la città di Sondrio, al centro della Valtellina all’estremo nord delle Lombardia. Anche da questi luoghi lontani la vivezza del cantare in coro ha dato frutti strepitosi ed esperienze di grande valore. Ho chiesto a questi due cori, il Nivalis di Chiavenna e il CAI di Sondrio, qualche cenno del loro percorso musicale. Mi è sembrato interessante pubblicare quanto ci hanno raccontato. RUBRICHE 57 Il Coro Nivalis di Chiavenna Il Coro Cai di Sondrio 1964. È l’Italia del boom economico e della voglia di fare, e in provincia, quella di Sondrio, dove le attività principali sono legate prevalentemente all’agricoltura, all’allevamento, alla piccola industria e al vasto fenomeno dell’emigrazione, soprattutto in Svizzera, c’è anche la voglia di stare insieme e di rafforzare il legame fra uomini, attorno a cose e a sentimenti che ravvivano, attraverso il canto corale. Nasce così il Coro Nivalis di Chiavenna. Cinquant’anni di vita vissuta intensamente, con passione, con un costante lavoro di apprendimento, di ricerca interpretativa, di recupero e di diffusione del canto popolare spesso considerato una forma musicale di secondo ordine, mentre, invece, entra a pieno diritto a far parte della cultura in quanto documento prezioso per rileggere la storia, la civiltà, la vita passata e presente di un popolo. Il coro affonda certamente le sue radici in molte attività musicali; vive a Chiavenna fin dai decenni postunitari dell’Ottocento, ma più specificatamente alla metà del Novecento, quando si afferma nella musica sacra la Corale Laurenziana del maestro D’Amato. La costituzione, i concerti, l’attività del coro di Chiavenna sono eventi che hanno lasciato il segno nel contesto sociale, musicale e artistico ben oltre l’orizzonte della deliziosa cittadina delle Alpi che ha visto nascere il complesso. Ecco infatti il Coro Nivalis farsi promotore di importanti manifestazioni come Le Chiavi d’argento, una rassegna nata nel 1981, che si è via via imposta all’attenzione per la sua formula innovativa, che ha visto affiancati in un unico concerto cori polifonici e cori popolari, ma soprattutto per l’elevata qualità delle proposte artistiche. Ma poi, più recentemente, quando le Chiavi d’argento sono state dedicate elusivamente al canto polifonico, il Coro Nivalis ha promosso annualmente Vocincoro, una manifestazione dedicata esclusivamente al canto popolare. L’attenzione alle iniziative che portarono alla fondazione di Feniarco videro i dirigenti del Nivalis in prima linea, nella convinzione che quella fosse la strada unica e importante per consentire alla coralità l’affermarsi in sede nazionale ed europea. La costante attività e presenza del coro ha costituito stimolo e induzione per una vera e propria fioritura, nel territorio, di gruppi e attività corali. Potremmo chiamarla una coralità diffusa determinata dalla voglia di cantare e cantare bene, stare insieme per una crescita umana e di sensibilità musicale Le nozze d’oro son un bel traguardo, ma non un punto d’arrivo; semmai una partenza lanciata. Finché c’è musica, l’uomo può sperare. Il Coro CAI, un nome subito importante, riferimenti precisi, un sodalizio appena nato che ha l’onore di potersi fregiare di un simbolo già storico, quello del Club Alpino Italiano, sodalizio che in Valtellina era radicato già da quasi cent’anni. È l’Italia del boom economico e della voglia di fare, e in una Valle dove le attività principali sono legate principalmente all’agricoltura e all’allevamento e al vasto fenomeno dell’emigrazione soprattutto in Svizzera, c’è anche voglia di stare insieme e di rafforzare il tessuto sociale, di ritrovarsi dopo “l’assenza per lavoro” e il canto nasce spontaneo nelle osterie, soprattutto sul repertorio dei canti degli Alpini. In Valtellina la cultura corale era già ben viva, a Sondrio tuttavia le esperienze sorte in anni precedenti si erano interrotte per vari motivi e di fatto non esisteva un coro. Si trattava quindi di riannodare questo filo interrotto, di riaccendere con giovanile impudenza l’entusiasmo in chi l’aveva smarrito. L’idea – nobile – di un preside illuminato di onorare col canto la memoria degli ex-alunni del liceo classico caduti nel corso della seconda guerra mondiale, è raccolta da alcuni giovani che con entusiasmo affrontano la circostanza e nel corso della preparazione dell’evento si lasciano prendere dalla passione per il canto tanto da lavorare per costituire un coro stabile che possa durare ben oltre la celebrazione. Questo fermento muove persone, il presidente della sezione del C AI che concede i locali per le prove, il sacerdote in odore di beatitudine che concede in “prestito gratuito e definitivo” l’harmonium per le note, coristi che riprendono il canto precedentemente abbandonato. E l’impresa riesce, si superano le difficoltà logistiche e di mezzi e si trovano, soprattutto all’interno della sezione del CAI, i cantori. Il primo maestro, Renato Busin, riprende il ruolo che già aveva ricoperto precedentemente e con sensibilità insegna Sul rifugio, il primo canto nel repertorio del coro. I primi anni costituiscono una gavetta, che vede alternarsi maestri e piccoli passi avanti, stalli e insuccessi, ma nonostante tutto il coro resiste. Poi nel 1969 la svolta: la direzione è assunta da Siro Mauro, il Maestro, unanimemente considerato il “padre della coralità valtellinese” per la sua trasversale e molteplice attività tra i cori valtellinesi. Le sue capacità umane e musicali incidono radicalmente tra i componenti del Coro CAI Sondrio e nel corso di trentuno anni sotto la sua guida il nostro sodalizio ha raggiunto traguardi difficilmente immaginabili alla nascita. Partendo dallo storico repertorio della SAT, Siro lavora sui coristi, affinandone la tecnica con le continue prove, poi introduce gradualmen- 58 te il repertorio dei maestri che stanno portando novità nel canto corale, Bon, De Marzi, Malatesta, Mazza, Vacchi. Sono anni ricchi di impegno, il concerto non viene vissuto solo come esibizione e condivisione di esperienze canore. Sono gli anni della costituzione della sezione valtellinese dell’Usci, delle giornate del corista, appuntamento istituzionale di studio e confronto con musicisti e maestri che arrivano in Valtellina e ascoltano, commentano e danno indicazioni ai cori locali. A testimonianza di tutto questo costante lavoro di apprendimento e affinamento, di ricerca interpretativa, restano le incisioni che cadono in occasione degli anniversari, a sottolineare le tappe percorse e dare nuova spinta al sodalizio. Le prove non sono mai solo l’appuntamento per apprendere un canto. La prova è sempre l’occasione di incontro, di dialogo, di discussione. A volte, magari dopo un concerto con poco pubblico, ci si ritrova anche a riflettere sulla nostra attività: che significato ha oggi il canto popolare? I modelli di maggiore successo sono diversi nei contenuti, nelle musiche e nello stile rispetto a quanto un coro come il nostro propone. Generalmente anche i mass media riservano ampio spazio a queste altre forme di intrattenimento e di musica, la “coralità popolare” spesso viene ricordata con un breve cenno all’interno della notizia sull’evento. Poi il maestro dà l’accordo, si riprendono vecchi canti del nostro repertorio, si ripetono pezzi di canzone perché l’espressione non è quella che ci soddisfa o perché il brano non è ancora completamente nelle corde del coro, si imparano canzoni nuove. Poi ai concerti vediamo facce giovani, sicuramente più legate ai citati altri modelli musicali e questi giovani chiedono delle prove, fanno osservazioni sui testi, si interessano a noi, ci dicono che seguono concerti anche di altri cori e qualcuno comincia a frequentarci ed entra in organico e si viene anche a conoscenza che nel corso del 2012 sono sorti oltre 100 nuovi cori in Italia… E durante il rinfresco che quasi sempre conclude la serata, alla soddisfazione per un complimento, per un assolo ben cantato o per un potente crescendo si aggiunge quella maggiore di aver contribuito a una serata di amicizia. E allora i dubbi scompaiono, lasciano il posto all’impegno, alla voglia di cantare, alla voglia di stare insieme, e vediamo chiaro quello che, ancora oggi, è il canto corale: una attività espressiva fortemente coinvolgente e comunicativa, che aiuta la crescita e l’educazione della persona sviluppando le potenzialità relazionali. E proprio questo è il fatto che maggiormente vorremmo sottolineare, come questo canto che non ha grandi palchi, grandi echi mediali e ritorni economici, sia in realtà fattore di positiva interazione sociale, e che la voce senza watt di amplificazione è ancora in grado di parlare al cuore e all’anima dell’uomo. CD CD CHORALITER RUBRICHE 59 Bando di partecipazione Feniarco intende selezionare registrazioni dotate dei requisiti necessari per essere allegate alla rivista nell’anno 2014. Al presente bando potranno partecipare tutti i cori italiani. Le registrazioni, inedite o edite in tiratura limitata, dovranno essere state realizzate, alla data di scadenza del bando, da non più di 5 anni e dovranno rispondere ai seguenti criteri: > avere carattere unitario, presentandosi come un progetto focalizzato su un tema omogeneo e artisticamente significativo, tale da poter essere oggetto di un dossier della rivista; ultimoso! avvi last call! > essere di qualità sul piano dell’esecuzione, della registrazione e del repertorio proposto; > avere una durata non inferiore ai 50 minuti. Le registrazioni andranno inviate a Feniarco entro il 31 maggio 2014 unitamente a un curriculum del coro e del direttore e una dichiarazione di autenticità dell’esecuzione. Una commissione d’ascolto costituita dal direttore della rivista e da due componenti della commissione artistica nazionale valuterà le registrazioni pervenute, formulando una graduatoria in base ai predetti criteri. La redazione si riserva la possibilità di utilizzare anche parzialmente le registrazioni pervenute, pubblicando un CD antologico. I costi di realizzazione del master sono a carico dei cori. Feniarco provvederà alla duplicazione, alla stampa dell’eventuale booklet e alla diffusione. Il coro interprete del CD selezionato fornirà inoltre una liberatoria che autorizzi Feniarco alla pubblicazione e diffusione, rinunciando ai diritti che saranno esercitati da Feniarco in quanto editore. Per le registrazioni eventualmente già edite, dovrà essere allegata una liberatoria da parte dell’editore, che autorizzi alla duplicazione e diffusione. Al coro interprete del CD pubblicato saranno riservate 50 copie omaggio della rivista e ulteriori 100 copie del CD. 60 MONDOCORO a cura di Giorgio Morandi If you practice, you get better. If you get better, you sing with better singers. If you sing with better singers, you sing better music. If you sing better music, you have more fun. If you have more fun, you want to practice more. If you practice more, you get better… Se ti eserciti, migliori. Se migliori canti con cantori migliori. Se canti con cantori migliori, fai musica più bella. Se fai musica più bella, ti diverti di più. Se ti diverti di più, vuoi esercitarti di più. Se ti eserciti di più, migliori. Ma posso tradurre anche in questo modo: Se fai prova, stai meglio. Se stai meglio, canti con cantori migliori. Se canti con cantori migliori, fai musica più bella. Se fai musica più bella ti diverti di più. Se ti diverti di più, vuoi fare più prove. Se fai più prove stai meglio. E come no?! Somma verità, tanto che non è comprensibile perché in molti cori le assenze di alcuni cantori siano un problema. L’augurio di Mondocoro arriverà a primavera avanzata, in pieno periodo di attività concertistica dopo la pausa di studio invernale, ma è sempre quello: se fai prova ti senti meglio! (…e non dimenticare che anche i tuoi amici di coro – cantori e direttore – si sentono meglio!). Qualcuno ha fatto osservare che le sei affermazioni funzionerebbero purtroppo anche in senso inverso. Beh, è vero, ma quale corista può alzarsi al lunedì mattina e proporsi: «Questa settimana io vado al contrario!» Inimmaginabile! Impensabile! (Per quanto riguarda l’origine delle sei frasi, esse sono una parafrasi di quelle originarie scritte da Doug Yeo, già trombonista della Boston Symphony). Buona estate! Assisi Pax Mundi Se questo è uno dei titoli più belli che sia mai stato dato a una tessera del grande mosaico Mondocoro che si è costruito in quasi 15 anni, devo anche confessare subito che esso è copiato. Il diritto d’autore è da riconoscere alle Famiglie Francescane di Assisi che in collaborazione con il Coro della Basilica di San Francesco (guidato da Padre Giuseppe Magrino) per la prima volta organizzano, appunto con questo titolo, un evento musicale particolare, quasi a realizzare l’invito che Daniel Faure del Coro de Camara Androgué (Argentina) già anni fa proponeva con queste parole: «Come sono belli i piedi di coloro che predicano il vangelo della pace. Il loro suono si sparge per tutta la terra e le loro parole varcano tutti i confini della terra. Fratelli e sorelle di tutto il mondo diciamo sì alla pace, e no a guerre di ogni genere. Siamo cantori, siamo musicisti. Organizziamo concerti per la pace, ogni giorno, ogni ora, in ogni parte del mondo, ogni coro, orchestra o gruppo musicale, pronunciando un semplice messaggio: “Noi diciamo no alla guerra”. La musica è l’unico linguaggio comune che possiamo condividere. La musica non uccide, la musica non fa male a nessuno. Musica è vita». Assisi Pax Mundi sarà una rassegna internazionale di musica sacra, evento non RUBRICHE competitivo a cui potranno partecipare gruppi corali e strumentali di ogni paese e nazione. Ha lo scopo di contribuire alla promozione della cultura della musica sacra, in particolar modo quella che si ispira alla figura di San Francesco e al mondo francescano in genere. Attraverso l’incontro di vari gruppi corali e strumentali che fanno concerto in diversi luoghi francescani in diverse ore del giorno, si vuole dimostrare che incoraggiare e sviluppare la cultura della pace e della cooperazione fra i popoli secondo lo spirito di Assisi è possibile. Questa grande festa corale francescana terminerà la domenica mattina con una Santa Messa celebrata nella Basilica Superiore di San Francesco e con l’esecuzione del Cantico delle Creature sulla piazza antistante la basilica stessa. Parteciperanno alla messa e all’esecuzione del Cantico delle Creature tutti i gruppi corali e strumentali che entro il 31 luglio 2014 avranno inviato la propria adesione. Le ragioni e le motivazioni dell’evento, il programma dettagliato delle attività, le modalità di adesione e tutte le informazioni per la sistemazione logistica dei gruppi sono reperibili nel sito www.corosanfrancescoassisi.org. È degno di sottolineatura specifica il fatto che il progetto delle Famiglie Francescane di Assisi e del Coro della Basilica di San Francesco, proponendo momenti musicali diversi in luoghi e orari diversi, si pone nel solco dell’esortazione di papa Francesco il quale in Evangelii Gaudium (n. 167) auspica che «ogni Chiesa particolare promuova l’uso delle arti nella sua opera evangelizzatrice, in continuità con la ricchezza del passato, ma anche nella vastità delle sue molteplici espressioni attuali». Chi più dei cori può, infatti, rappresentare «la continuità con la ricchezza del passato», e la «vastità delle sue molteplici espressioni attuali» visto che tra le «espressioni di bellezza autentica la musica ha sempre rivestito un ruolo di primo piano»? Cd di musica italiana Francesco Durante: Natale Napoletano II Kölner Akademie, dir. Michael Alexander Willens Deutschlandfunk cpo 777 734-2 (2012; 70; 27) Parliamo di musica composta dal napoletano Francesco Durante (1684-1755) che a 27 anni era già maestro al conservatorio 61 S. Onofrio di Capua-Napoli prima di passare al conservatorio Poveri di Gesù Cristo e poi al Sant’Onofrio. Anche se oggi è forse più noto per alcuni assoli vocali, Durante è considerato uno dei più importanti compositori di musica napoletana da chiesa. Certamente in questa registrazione c’è molto da ammirare. La Kölner Akademie col direttore Michael Alexander Willens si dà molto da fare per eseguire musica dal diciassettesimo secolo a oggi su strumenti moderni e d’epoca e con solisti ospiti famosi in tutto il mondo. I solisti (tutti professionisti dalla voce altamente qualificata e bella) sono ben bilanciati e producono musica in modo stilisticamente appropriato e bello. Monica Piccini è un soprano flessibile che ci dona molti momenti di vera bellezza. La voce di Ursula Eittinger dapprima sembra nasale e richiama quella di un controtenore ma è molto bella e ricca e lascia l’ascoltatore con l’impressione che questa sia proprio la voce giusta per questo tipo di musica. Le voci del tenore Alberto Ter Doest e del basso Dahlmann affrontano con agilità le esigenze della polifonia ornata e spesso melismatica. Una cantante altrettanto capace è Christina Kühne che da soprano secondo si unisce agli altri nel Kyrie-Gloria della Messa In Afflictionis Temporis che in tre movimenti per il Kyrie e otto movimenti per il Gloria chiude la registrazione. Nella sua composizione per SAT, coro a 5 parti, due oboi, due trombe, archi e continuo, la messa nelle sue parti solistiche è un brano ancor più maestoso e ornato dei brani che la precedono. Comunque anche i primi brani sono molto piacevoli da ascoltare, di forma semplice e musicalmente impegnativi per i cantanti. Parliamo del mottetto latino Cito Pastores che apre il CD: è una bella pastorale arrangiata da Luna Oda con ritornelli per archi e continuo. Parliamo del brano che segue, Laudate, pueri detto il Grottesco: questo pezzo, l’unico del gruppo tutto per coro, offre un florido contrappunto compensato da brevi sezioni omofoniche. Parliamo, infine, delle Litanie a due voci con violini che ci offrono le litanie della Beata Vergine Maria per soprano, contralto, due violini e basso continuo. Non c’è dubbio: Natale Napoletano II è una bella registrazione di musica natalizia che merita di essere ascoltata ed eseguita in qualsiasi tempo. Comandamenti/regole per i direttori di coro Nota per il lettore: L’estensore di questa nota non può vantare studi musicali istituzionali, ma una esperienza di vita corale di poco meno di 60 anni (come? Che state dicendo? che deve ritirarsi? Davvero siete convinti che non possa continuare a divertirsi per altri venti o trenta dei 60 anni di vita che gli restano ancora?). Ha maturato la sua esperienza canora con almeno venticinque diversi direttori di coro, in cori di scuola elementare, cori liturgici di seminario, cori giovanili di sole voci maschili, cori giovanili a voci miste, coro da cattedrale (voci maschili e voci bianche), gruppo vocale, coro di voci miste adulte, coro popolare maschile, coro parrocchiale post-conciliare e ora po- 62 trebbe essere un accettabile (presuntuoso? …o orgoglioso!) cantore di coro della terza età. Solo e tutte queste qualifiche gli permettono di dire la sua – senza arroganza, anzi con gratitudine, ovvio – sui direttori di coro. E la dice. Il decalogo che riporto qui sotto è stato compilato nel 2000 da qualcuno che in quel momento pensava soprattutto ai direttori di coro da chiesa, ma potrebbe essere benissimo la base – una volta modificato e orientato in forma un po’ più professionale – per un simile decalogo per i direttori di coro in generale. Eccolo: 1. Prima di cominciare a insegnare un brano il direttore di coro deve già conoscerlo; non deve pretendere che il suo coro stia buono seduto e in silenzio mentre lui studia un passaggio. 2. Non deve mai incolpare il coro per i propri sbagli, come, per esempio, per degli attacchi o stacchi imprecisi. 3. Deve ricordarsi che non sta agitando le mani per allontanare mosche fastidiose, ma sta dirigendo i suoi fratelli e sorelle per aiutarli a produrre un rumore gioioso. 4. Non deve mai perdersi in lunghe conversazioni con il suo organista… fino a quando il coro non ne può più. 5. Deve ricordare che il coro è lì volontariamente (di solito) e in questo proprio tempo avrebbe mille altre cose da fare. 6. Non deve pianificare e preparare le prove di coro durante l’ora di cena. È certo che un’ora più tardi la prova saprà… di riso stracotto. 7. Ricordi il direttore che il coro rimanda su di lui lo sguardo che vede sul suo volto. Quindi… sorrida più spesso che può! 8. Non dimentichi il direttore che un direttore di coro ben preparato è sempre molto più efficace. 9. Un direttore non deve mai sostenere il falso contro il suo coro per coprire le proprie mancanze. Se fa un errore di direzione, lo ammetta, anche solo per Dio e per te stesso, e non accusi i suoi coristi di essere “impreparati”. 10. Ricordi, il direttore, che se il suo coro è irrequieto e chiacchierone, può anche darsi che ne riceva indicazioni e sollecitazioni (coscienti o incoscienti) direttamente da lui stesso. Proposta: i soliti ventiquattro lettori di Mondocoro sono invitati a dire la propria idea sull’argomento, comunicandola all’autore ([email protected]). Si potrebbe in futuro pubblicare un nuovo decalogo aggiornato. Sperando di non scoraggiare la risposta alla sollecitazione appena esposta, comincio io con un commento personale da cantore: del decalogo sopra presentato il punto più importante è il n. 7. Intendendo per «sguardo del direttore» anche l’atmosfera personale di entusiasmo, di sofferenza, di gioia, di delusione, di soddisfazione, di apprezzamento, di compatimento/rassegnazione che comunica e che qualche momento di prova o di concerto immancabilmente comporta, e che umanamente è più che comprensibile… ma altrettanto umanamente è devastante nel cantore! Ci sentiamo?! RUBRICHE La tradizione popolare, il pezzo corale perfetto «Quale è il pezzo corale più perfetto che sia mai stato composto?». È la domanda oggetto di una indagine svolta da ChoralNet (il newsgroup già più volte citato da Mondocoro). Mantenuta la traduzione letterale di un originale inglese most perfect [se è perfect non è ammissibile most!], posso informare immediatamente i nostri lettori che molti musicisti – direttori di coro, compositori, e insegnanti di musica e cantori – in risposta alla domanda iniziale hanno indicato specificamente una tra le più grandi opere della musica occidentale. A mo’ di esempio ne cito alcuni: Ave Verum di Mozart, Geistliches Lied di Brahms, Sanctus del compositore norvegese/ americano Ola Gjeilo, Wind through the Olive Trees di Carlisle Floyd, Requiem di Fauré e Chichester Psalms di Bernstein, Sicut cervus di Palestrina, He, watching over Israel di Mendelssohn, Requiem di Verdi, Water Night di Eric Whitacre, Miserere di Allegri, Ave Verum Corpus di William Byrd, Friede auf Erden di Arnold Schönberg, poi An dem Baum Daphne di Richard Strauss, Ave Maria di Biebl, Dona nobis pacem dalla Messa in si minore di Bach e tanti, tanti altri, secondo gusti e sensibilità diverse. Mi piace rendere partecipi i lettori di Mondocoro di quella che secondo me è stata la risposta più interessante e sotto certi aspetti insuperabile. Un certo Bart Brush ha scritto: «Sono stati segnalati molti pezzi meravigliosi e nuovi da ascoltare. Adoro molti di questi… probabilmente non saprei mai sceglierne uno solo… Ma il suggerimento del brano Yes Jesus loves me mi porta a pensare a tutto quel mondo di musica parallelo che è la tradizione popolare. Che forza creativa misteriosa e grande è quella che fa sì che nelle più diverse circostanze, persone di poca o nulla preparazione musicale sanno creare musica, sia che sappiano metterla per iscritto oppure no! Che cosa è che spinge una persona a creare un canto e lo costringe a modificarlo e a trasmetterlo… e più, e più ancora? Come è, come succede che una melodia antica di secoli venga ripetuta e riutilizzata e rielaborata, riadattata e riproposta – come motivo per cornamusa, e poi tema per violino, e quindi per un canto di lavoro, poi un inno e quindi un canto di protesta per diventare poi tema per l’opera di un compositore tradizionale? Che cosa ha spinto i primi erranti maestri cantori americani a mettere in musica – sì, ancora una volta – gli antichi testi biblici? Cosa ha spinto le comunità entusiaste e appassionate che rivendicano questi come la propria espressione più seria e gioiosa? 63 C’è pathos nell’inno a note figurate (shape-note) The dying California (California che muore), originariamente lettera di un fratello da parte di un uomo che sta morendo su una nave che sta girando Capo Horn al tempo della corsa all’oro in California. Sia in God bless America (Dio Benedica l’America) di Irving Berlin sia nella risposta di Woody Guthrie God blessed America for me (Dio ha benedetto l’America per me) il cui titolo poi cambiò in The land is your land (Il paese è la tua terra) c’è amore e gratitudine… c’è pentimento ed estasi in Amazing grace (letteralmente Grazia stupefacente) scritta dal capitano di una nave di schiavi… C’è maestosità e convinzione in We shall overcome (Noi saremo vittoriosi) di Pete Seeger e altri. Come i capolavori dei grandi compositori, ma attraverso un percorso diverso, queste grandi opere della gente vengono fuori dalle nostre più profonde preoccupazioni e aspirazioni umane… e crescono, crescono… al di sopra di ogni cosa… e sempre». Nota: Con la dicitura shape note (nota figurata) si indica una notazione musicale nata nelle Church Singing School (Scuole per l’insegnamento del canto da chiesa) del New England verso la fine del 1700 e poi diffusasi in tutti gli Stati Uniti all’inizio del 1800. Le sette note vengono indicate con quattro simboli diversi: la forma della testa della nota indica le sillabe FA , SOL , LA , e MI , da cui il termine alternativo “fasola” per indicare questa notazione. La raccolta di canti religiosi Sacred Harp ne è la principale esemplificazione. La maestosità e la convinzione di We shall overcome era già in O sanctissima? “Saremo vincitori” (We shall overcome) è il ben noto a tutti inno del movimento per i diritti civili d’America, un canto popolare che ha giocato un ruolo significativo nella storia d’America e del mondo e che in tutto il mondo che lotta per la pace e la giustizia continua a ispirare le popolazioni. In diversi momenti della storia We shall overcome è stato usato come canto per il movimento dei lavoratori, come canto per i diritti civili, come canto di protesta e come inno. Un interessante articolo di Victor V. Bobetsky sulla rivista Choral Journal dell’ACDA (la grande Associazione dei Direttori di Coro Americani) riassume le attuali conoscenze circa le origini e l’evoluzione di testo e melodia di questo canto, prendendo in considerazione sette probabili canti/antenati da cui esso deriverebbe o coi quali ha, comunque, dei richiami espliciti. Questi sono: O Sanctissima, No more auction block, I’ll overcome some day (Tindely), I’ll be like him someday, I’ll overcome someday (Morris/Twig), I’ll be all right e il canto di lavoro I will overcome. Inoltre l’articolo offre una nuova prospettiva sulla relazione che esiste fra due dei canti che potenzialmente stanno a monte di We shall overcome. A dimostrare l’interesse dell’articolo estrapoliamo per i lettori 64 di Mondocoro la parte che considera il canto italiano O Sanctissima, il più antico dei sette antenati citati. O Sanctissima (che in onore della Beata Vergine Maria ancor oggi capita di sentir cantare in latino nelle chiese cattoliche) è un antico canto italiano conosciuto anche come Inno dei Marinai Siciliani, ed è probabilmente l’antenato più antico di We shall overcome. Composto fin dalle origini su testo latino, questo canto appare stampato per la prima volta nella rivista inglese The European Magazine and Review nel 1792. La melodia italiana venne presto impostata su un testo inglese preesistente, Lord dismiss us with Thy blessing (Signore congedaci con la tua benedizione), attribuito al teologo e compositore di inni John Fawcett (1740-1817). Questo inno divenne presto molto popolare sia in Inghilterra sia in America, tanto che a metà 1800 era già parte del repertorio degli inni protestanti. Ma le vere origini di O Sanctissima sono sconosciute. James J. Fuld ha suggerito che l’origine della melodia possa essere un canto popolare italiano o un’aria dell’area napoletana. Qualcun altro suggerisce che fosse cantata tradizionalmente da marinai siciliani al termine di una giornata di mare. Ma nessuna di queste tesi è provata. Comunque quello che è interessante osservare è che in O Sanctissima ci sono tre idee musicali importanti che in tempi diversi riappaiono nei diversi canti dell’albero genealogico di We shall overcome. La successione dei toni e il ritmo melodico delle prime quattro battute di O Sanctissima rappresentano la prima idea: sol-solla-la-sol-fa-mi è anche l’inizio di We shall overcome. La seconda idea si trova nelle battute 5-8 dove notiamo un profilo melodico ad arco che fondandosi su una progressione di accordi armonici delinea l’intervallo di quarta: I – (VI) – V7/V – V – V7/V – V si trova anche nella corrispondente frase della melodia di We shall overcome. L’arco discendente della frase finale di O Sanctissima (battute 13-16) che spazia dall’alto al do basso rappresenta la terza idea. Come la frase gira e scende, si delinea l’intervallo di quarta dal do alto al sol e di nuovo alla fine della frase dal fa al do basso. Queste tre idee si possono sicuramente considerare come parte di una varietà di semi musicali che, mediante fertilizzazione incrociata e trasmissione orale, potrebbe aver avuto una certa influenza sul contenuto musicale di We shall overcome e alcuni dei canti suoi antecedenti. Massimo Nosetti, in memoriam «Il maestro aveva la capacità di sentire la musica non solo con il cuore, ma con la mente, grazie alla caratteristica che lo rendeva così grande: saper unire emozioni e razionalità, passione e controllo, in una sintesi armonica e naturale che passava quasi osmoticamente ai suoi allievi». Questo di un allievo di antica data del maestro Nosetti è forse il giudizio più pregnante e appropriato per il musicista, il compositore di musica organistica e corale, il direttore di coro e d’orchestra, il docente di conservatorio, l’organista e l’organaro, l’esperto di musica liturgica, nonché fondatore del Complesso Vocale Cantus Firmus e di un festival, per il valente organizzatore che è mancato a soli 53 anni il 12 novembre 2013 a Torino. Uomo di cultura raffinata, buon latinista e conoscitore di lingue straniere, era molto apprezzato internazionalmente (in molti paesi europei, in America del Nord e del Sud, in Asia e Oceania), per l’attività concertistica che lo ha visto protagonista nei festival organistici internazionali più importanti e sugli organi delle cattedrali più celebri, duomo di Torino compreso (dove era organista titolare). Vero signore della musica (e non solo) è stato organista versatile e capace d’interpretare pagine organistiche d’ogni epoca (anche se prediligeva quelle dei secoli XIX e XX) su qualsiasi strumento. In campo didattico ha condotto numerose masterclass sulla letteratura organistica romantica e post-romantica in svariate sedi universitarie, par- RUBRICHE ticolarmente in Usa, Giappone e Corea. È stato docente di organo e composizione organistica al conservatorio di Cuneo e del master in organo romantico all’Accademia Diocesana di Musica Sacra in San Rocco di Alessandria. All’attività di esecutore ha affiancato quella di direttore d’orchestra e quella di compositore con la pubblicazione di numerosi lavori, principalmente organistici e corali. È stato membro della Commissione Diocesana di Musica Sacra occupandosi delle problematiche progettuali, costruttive e di restauro legate all’organo. È stato direttore del Segretariato Organisti dell’Associazione Italiana Santa Cecilia della quale era stato anche vicepresidente dal 1999 al 2004. La sua fama deriva anche dall’aver fondato, a soli 23 anni, il Festival di Santa Rita a Torino e di averlo organizzato per trent’anni, opera che ha ben meritato alla città di Torino il titolo di “Capitale dell’organistica mondiale” avendo ospitato i maggiori organisti del mondo alla consolle dell’organo Zanin di Santa Rita – a 4 manuali – che, in qualità di consulente di restauri e di creazione di nuovi strumenti, egli stesso aveva ideato. Come direttore di coro (Coro della Cattedrale di Torino dal 1980 al 1994 e Gruppo Vocale Cantus Firmus da lui fondato 25 anni orsono) le proposte del suo repertorio, che fin dall’inizio dell’attività si è concentrato prevalentemente sulla musica sacra, si orientano in particolare verso la produzione dell’Otto e Novecento ma non tralasciano occasionalmente autori più antichi, arrivando ad affiancare all’esecuzione del tradizionale repertorio “a cappella” la costante ricerca della ricca produzione per coro e organo sviluppatasi tra XIX e XX secolo in Europa e Stati Uniti. Un compositore per volta: Morten Lauridsen È un compositore americano pluripremiato e molto noto in tutto il mondo corale. Nel 2006 il National Endowment for the Arts lo ha nominato “American Choral Master” mentre nel 2007 è stato destinatario del premio A National Medal of Arts ricevuto in una cerimonia alla Casa Bianca. Lauridsen è stato compositore stabile per sei anni alla Los Angeles Master Chorale e professore di Composizione alla Thornton School of Music della University of Southern California (USC) per più di quarant’anni. Nativo del Pacific Northwest, prima di andare al sud 65 per studiare composizione presso la USC ha lavorato come pompiere e guardiano presso il Forest Service e ha frequentato il Whitman College. Le sue opere sono state incise in più di duecento CD di cui cinque hanno ricevuto la Grammy Award Nomination. I suoi otto cicli vocali, le due collezioni, la serie di mottetti sacri senza accompagnamento e numerosi brani strumentali entrano spesso nel programma di concerti tenuti da artisti ed ensemble famosi in tutto il mondo. I suoi approcci musicali spaziano dal diretto all’astratto in risposta alle diverse caratteristiche dei testi che sceglie di musicare. I suoi brani su testo latino, come Lux Aeterna e i mottetti, spesso sono influenzati dal gregoriano e dalle procedure medievali e rinascimentali ma sono splendidamente fusi in un nuovo suono contemporaneo. Le altre opere, come i madrigali e le Cuatro Canciones, sono molto cromatiche o atonali. La sua musica ha un liricismo globale ben costruito attorno a motivi melodici e armonici. A partire dal 1993 la popolarità internazionale di Lauridsen è aumentata fino a eclissare la fama di Randall Thompson come compositore corale americano più eseguito. Vincitore di due Best Film Awards, nel 2012 il film Shining night: a portrait of composer Morten Lauridsen (Notte splendente: ritratto del compositore Morten Lauridsen) è stato definito da Terry Teachout del Wall Street Journal «a heartening rarity» (una rarità incoraggiante). Sitllwater for song without borders, Shining night (Acque tranquille per una canzone senza frontiere, Notte splendente) è il titolo del secondo film. Esso offre al pubblico di tutto il mondo un raro sguardo nel mondo interiore del compositore. Un’organizzazione alla volta: l’International Music Council - IMC Il Consiglio Internazionale per la Musica, fondato dall’UNESCO nel 1949, nel mondo è la più grande rete di organizzazioni, istituzioni e individui dedicata alla promozione del valore della musica nella vita di tutti i popoli. La missione di IMC è quella di sviluppare settori della musica sostenibili in tutto il mondo, per creare consapevolezza circa il valore della musica; è quella di essere la voce per la musica, di far sì che la musica abbia valore in tutto il tessuto sociale; è quella di sostenere i diritti musicali di base in tutti i paesi. L’IMC riunisce organizzazioni locali, nazionali, regionali e internazionali di musica e le reti in 150 paesi in tutto il mondo. Vuole contribuire fattivamente alla costruzione della pace e della comprensione fra popoli di diversa razza e cultura. L’IMC è riconosciuto dall’UNESCO come partner ufficiale NGO (Non Governmental Organization – ONG Organizzazione Non Governativa) ed è gestito da un board di 12 persone rappresentanti l’Africa, l’America, il mondo Arabo, l’Asia e l’Europa. Attraverso i propri programmi, IMC promuove la cultura musicale nella sua diversità e i diritti di tutti ad averla e praticarla. Di conseguenza, i programmi IMC mirano a contribuire allo sviluppo e al rafforzamento delle relazioni amichevoli di lavoro tra RUBRICHE tutte le culture musicali del mondo sulla base di uguaglianza assoluta, reciproco rispetto e apprezzamento. IMC considera l’esperienza della musica e il fare musica una parte essenziale della vita quotidiana di tutti, e valorizza il diritto fondamentale per tutte le persone di esprimersi e comunicare attraverso la musica. I programmi di IMC affrontano tutti gli aspetti della vita musicale, tra questi, la creatività musicale e l’educazione, il sostentamento dei produttori di musica, le innovazioni tecnologiche, la conservazione dei beni immateriali, i problemi di copyright e l’accessibilità. Dal 25 novembre 2013 alla presidenza di IMC è stato chiamato il belga Paul Dujardin, succeduto all’olandese Frans de Ruiter. Dujardin è da sempre impegnato nel vasto campo delle belle arti e in particolare della musica e il suo principale interesse è quello di creare dialogo fra le arti e le sfere politiche. Prima di diventare presidente di IMC egli è stato capace di sviluppare il BOZAR (Centro per le Belle Arti del Belgio, centro multidisciplinare e interdisciplinare che si dedica alla musica, alle arti visive, alla fotografia, al cinema, al teatro, alla danza, alla letteratura e all’architettura) e Agora, una piattaforma per avviare il dibattito tra i cittadini, le arti, i decision-makers e altri settori. In tutto il mondo il buon corista fa così 1. È usanza comune credere che in un coro (o corale) si debba cantare. Ciò è errato nel modo più assoluto. Ci si trova nella sala prove principalmente per aggiornarsi sugli avvenimenti mondani. È come essere dal barbiere, soltanto che si ha a disposizione più gente per chiacchierare. Dopodiché si passa alle critiche del maestro o direttore (è questa la sua principale funzione): com’è vestito, se si è fatto la barba, se è spettinato, se ha cambiato l’auto, la moglie o la fidanzata, quanto prende di rimborso spese e da chi è stato raccomandato per aver ottenuto quel posto. 2. Arrivare a prova o concerto puntuali o, peggio ancora, in anticipo, è vivamente sconsigliato: si perde del tempo inutile, visto che durante i primi dieci (o più) minuti il maestro fa scaldare la voce con degli stupidi esercizi. Il buon corista non ne ha assolutamente bisogno, quindi entra sempre a metà esecuzione di un brano “difficile” e, salutando vivacemente – meglio se stringendo la mano a tutti – si mette vicino a chi gli pare. 3. Quando il maestro prova una singola sezione, bisogna evitare il silenzio. In questo caso sarebbe vivamente consigliato cantare un brano diverso, magari di genere opposto. Ad esem- 67 pio, mentre i tenori provano la parte di un brano di De Marzi, i baritoni possono intonare La Montanara, e i bassi Voglio una vita spericolata. L’ideale sarebbe che ognuno cantasse un brano diverso. Questa pratica viene chiamata polifonia. 4. Un “perfetto corista” deve fumare almeno un pacchetto di “Esportazione senza filtro” al giorno. È opportuno, prima delle prove, mangiare un’insalata di cipolle e fagioli e intavolare discussioni col maestro. Non lavatevi i denti, piuttosto usate il filo interdentale durante la prova. È vietato mangiare caramelle, piuttosto masticate gomme. Prima dei concerti bisogna osservare delle regole ben precise. Trascorrere una serata in una discoteca potrebbe essere l’ideale se si osservano alcune piccole precauzioni: musica assordante, bere e mangiare a dismisura, tornare al mattino. Appare del tutto fuori discussione che mai come per i concerti valgono le regole del precedente punto 2. 5. Non partecipando alle prove generali si evitano quei tediosi ordini del tipo «vestitevi in tal modo, ordinate il repertorio, trovatevi alla tal ora nel tal posto…». Il buon corista arriva al concerto (in ritardo) vestito come più gli aggrada e, se gli va, con una cartelletta qualunque, magari ornata con vivaci autoadesivi. Al maestro sarà sufficiente dire: «Io alle prove generali non c’ero e non lo sapevo!». 6. Il maestro è sempre convinto di essere superiore a voi. Per questo il vero corista deve contestare sempre qualunque cosa dica o faccia il direttore. Sarebbe opportuno costituire un “gruppo di opposizione” con mire per fargli saltare il posto. Ricordate che chiunque può dirigere un coro: basta comprare uno dei tanti Manuale del direttore di coro e, se volete, leggerlo. Domandate al maestro di prestarvelo. 7. Una delle migliaia di pecche che ha il maestro è interrompere le “sempre perfette e superbe” interpretazioni del coro con delle stupidissime e ridicole frasi del tipo «più forte qui, più piano là, attenti qui, questo cala, questo no, ecc…». Non dategli retta. 8. Si mangia per vivere e si canta per mangiare e bere! Dopo ogni prova il direttore dovrebbe pagare di tasca propria un lauto rinfresco a tutti i coristi per farsi perdonare le cappellate (ecco perché alcune corali amano farsi chiamare “a cappella”), commesse durante le prove e nei concerti. Se ciò non avviene rinfacciategli che se lui è diventato “maestro” di questa eccelsa corale è solo ed esclusivamente merito dei coristi. 9. Se il maestro vi fa cantare in latino, contestatelo! Ricordategli che viviamo in tempi moderni! Se vi fa cantare in italiano, ditegli che tutti i maggiori compositori hanno scritto in latino e che un vero coro deve cantare anche in latino! Qualcuno vuol contribuire alla continuazione? Contattate la redazione. 68 Choral pedagogy and the older singer (Pedagogia corale e cantori anziani) di Brenda Smith e Robert Sataloff Plural Publishing, UK - ISBN 978 1 59756 438 0 - pp. 368 - prezzo Lgs.44.00 In generale siamo d’accordo che una buona tecnica è una buona tecnica, qualunque sia l’età. Il problema è che con l’età non si può cantare con scarsa tecnica e pretendere di conservare ancora un buon suono! Questo libro dovrebbe aiutare i direttori di coro a regolare aspettative e metodi per rispettare e sfruttare al meglio le condizioni e le capacità dei cantori più anziani. Dal momento che migliorare può anche non essere più possibile, l’obiettivo per un cantore anziano è quello di mantenere la propria abilità vocale negli anni che gli restano. Sappiamo che di stagione in stagione ogni direttore di coro auspica un miglioramento del coro, ma per il coro che invecchia bisogna stabilire un paradigma nuovo e diverso. Una volta coscientemente coinvolto, il direttore di cantori anziani ha la certezza che raccoglierà i benefici che gli derivano dal fare musica con persone il cui apprezzamento per il testo, per la musica e per l’atto del cantare è più profondo, convinto e cosciente rispetto a qualsiasi ensemble più giovane. Ma ecco come l’otorinolaringoiatra inglese L. Flood ha parlato di questo libro: «Sarò onesto. Ho dovuto rivolgermi a Wikipedia perfino per capire il titolo, e mi aspettavo che il contenuto fosse di scarso interesse per un otorinolaringoiatra come me! Dal greco, pedagogia significa letteralmente “portare il bambino”, ma in generale essa è definita come “la scienza olistica dell’educazione”, per la verità applicata, in questa pubblicazione, all’estremo opposto della vita, l’anzianità. L’introduzione al libro ci ricorda che siamo tutti di fronte a un’aspettativa di vita progressivamente sempre più lunga. Tutti abbiamo bisogno di qualcosa per mantenere attive le cellule grigie una volta che l’età lavorativa è finalmente scaduta, e il canto è un grande piacere per molti. Quello di Smith e Satalov è ovviamente un lavoro altamente specializzato, ma il loro argomento è nuovo e ben scelto. Quanti di noi vedono l’anziano che va in chiesa e il cui contributo al vespro si sta indebolendo, e lo licenzia immediatamente e con leggerezza dopo una normale laringoscopia a fibre ottiche? Con il nostro terapeuta del discorso e del linguaggio sempre sommerso di lavoro, è ragionevole chiedere loro di affrontare ciò che sembra banale, se non inevitabile? Questo libro almeno mostra che cosa nella pratica migliore può essere realizzato. Io l’ho trovato una lettura eccellente, soprattutto per il fatto che è un argomento di cui francamente so poco. Pochi hanno contribuito tanto alla letteratura dell’otorinolaringologia quanto Bob Sataloff e le sue pubblicazioni ultimamente si sono concentrate sulla voce professionale. Questo Pedagogia corale e cantori anziani è, come suggerisce il titolo stesso, “diverso”; è un manuale inestimabile per il laringologo o il terapeuta che non vuole trascurare questo campo di interesse. La frase finale del libro riassume bene il suo contenuto: “Attraverso la creazione di buone abitudini di canto, col mantenersi in buona forma fisica e mirando a degli obiettivi ragionevoli, i cantori anziani possono rimanere in gioco per molti decenni”». Feniarco in collaborazione con USCI Friuli Venezia Giulia, Asac Veneto e con European Choral Association - Europa Cantat presenta Di fronte al mare, vicino alla meravigliosa Venezia e alla suggestiva Trieste, questa settimana internazionale di canto corale, che giunge nel 2014 alla sua sedicesima edizione, ospiterà 6 atelier e alcuni discovery atelier (della durata di un pomeriggio), aperti a cori, direttori, singoli cantori e amanti della musica! Ogni sera ci saranno dei concerti, introdotti da un open singing: tutti i partecipanti sono invitati a unirsi a questa magica atmosfera e vivere la musica. Alla fine della settimana, ogni atelier si esibirà in un concerto finale. international singing week •ATELIER 1 Classical is young voci bianche e corso per direttori Docente Denis Monte (IT) •ATELIER 2 Rinascimento italiano Docente Walter Testolin (IT) •ATELIER 3 African roots: singing spirituals and gospel Docente André J. Thomas (US) •ATELIER 4 Discovering a Romantic repertoire: Mendelssohn and Schubert Lieder •ATELIER 5 Dop, ba duba dop… get into the groove! Docente Kjetil Aamann (NO) ALPE ADRIA CANTAT 2014 Lignano Sabbiadoro 24 »31 agosto •ATELIER 6 A taste of world sounds Docente Silvana Noschese (IT) informazioni Feniarco Via Altan, 83/4 - 33078 San Vito al Tagliamento (Pn) Tel. +39 0434 876724 - Fax +39 0434 877554 - [email protected] www.interattiva.it con il sostegno di Regione Friuli Venezia Giulia Ministero per i Beni e le Attività Culturali Fondazione CRUP Iscrizioni entro il 31 maggio 2014 www .fen iar co.i t 6-9 novembre 2014