n. 43 - gennaio-aprile 2014
Rivista quadrimestrale di Feniarco
Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali
Poste Italiane SpA – Spedizione in Abbonamento Postale – DL 353/2003 (conv. In L. 27/02/04 n. 46) art. 1, comma 1 NE/PN
INVESTIRE SULLA
CORALITÀ
APPELLO AL MINISTRO
DELLA CULTURA
BOB CHILCOTT
EMOZIONE E
COMUNICAZIONE
OSVALDO GOLIJOV
MUSICA
D’OLTREOCEANO
FENIARCO DAY
I TRENT’ANNI DELLA
FEDERAZIONE NAZIONALE
IL VALORE
DEL FARE CORO
UNA RISPOSTA POSITIVA
NEL TEMPO DELLA CRISI
Anno XV n. 43 - gennaio-aprile 2014
Rivista quadrimestrale di Feniarco
Federazione Nazionale Italiana
Associazioni Regionali Corali
Presidente: Sante Fornasier
Direttore responsabile: Sandro Bergamo
Comitato di redazione: Efisio Blanc,
Walter Marzilli, Giorgio Morandi,
Puccio Pucci, Mauro Zuccante
Segretario di redazione: Pier Filippo Rendina
Hanno collaborato: Salvatore Panzanaro,
Claudio Martinelli, Simone Scerri, Mauro
Marchetti, Matteo Valbusa, Sergio Bianchi,
Rita Nuti, Riccardo Zoja, Lorenzo Benedet,
Roberto Frisano
Editoriale
«In un coro ogni persona è sempre concentrata sulla relazione della propria voce con
le altre. Imparare a cantare insieme significa imparare ad ascoltarsi l’un l’altro. Il coro
quindi, come l’orchestra, è l’espressione più valida di ciò che sta alla base della
società: la conoscenza e il rispetto del prossimo, attraverso l’ascolto reciproco e la
generosità nel mettere le proprie risorse migliori a servizio degli altri». Con queste
parole Claudio Abbado presentava, al suo debutto, una delle tante formazioni
musicali nate per sua iniziativa, il Coro Papageno, un coro molto speciale, formato da
detenuti del carcere bolognese della Dozza.
La scelta di formare un coro per ricostruire quei legami sociali e il senso di
responsabilità che il delitto ha reciso o comunque compromesso, ci pare
particolarmente felice. La voce è l’unico strumento che portiamo dentro di noi e
occuparsi del coro significa occuparsi prima di tutto di persone: è proprio questo che
affascina e rende particolarmente “umanistico”, oltre che artistico, il cantare in coro. Il
coro è anche un concentrato di società dove i rapporti sono vissuti con forte intensità
e trasformati in musica. La responsabilità di ciascuno è grande, perché l’errore di uno
compromette o addirittura vanifica il lavoro di molti. Un rapporto tra i coristi fondato
sulla responsabilità e sulla lealtà è la base necessaria a una buona realizzazione
musicale.
Al tempo stesso la musica genera questa armonia tre le persone. Recenti studi hanno
dimostrato come le persone impegnate in un’esecuzione musicale (e gli esperimenti
sono stati condotti proprio su formazioni corali) armonizzano tra loro i ritmi corporei,
a partire da quello cardiaco: dalla musica discende la possibilità di abbattere tanti
muri che ci dividono. Lo stesso Abbado spiegava come la musica opera su una parte
del cervello che è altra rispetto a quella della parola e della logica: rinunciare alla
musica è dunque rinunciare a una formazione completa della personalità.
Cantare in coro avvia dunque un circuito dove la buona musica crea buone relazioni e
le buone relazioni buona musica: un circuito virtuoso i cui benefici ricadono ben al di
fuori dei confini del coro, contribuendo a rafforzare identità personali e profili sociali.
E investire sul coro significa investire sulla formazione delle persone, sulla formazione
dei cittadini e del loro senso di responsabilità.
Esserne consapevoli e orgogliosi, per primi noi, che della musica corale abbiamo fatto
la nostra passione, e convincere di questo le istituzioni del nostro paese: ecco un
bell’obiettivo che, nel trentesimo anno di vita della Federazione, tutta la coralità
italiana deve porsi.
Redazione: via Altan 83/4
33078 San Vito al Tagliamento Pn
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Caro lettore,
la crisi morde anche il mondo corale, tocca anche la
nostra federazione. Fino ad ora siamo riusciti, in
questi anni di recessione, a mantenere i livelli
raggiunti e, anzi, ad accrescerli. Abbiamo potuto
farlo perché il nostro è un impegno basato sul
volontariato e perché le limitate risorse disponibili
sono state amministrate con attenzione e capacità.
Ma la situazione generale di crisi perdura ormai da
troppi anni e con questa situazione dobbiamo fare i
conti. Lo deve fare anche la nostra rivista.
Perciò, questo è l’ultimo numero che viene inviato
gratuitamente a tutti i cori.
A partire dal prossimo, invieremo la rivista solo a
chi ha sottoscritto o sottoscriverà l’abbonamento.
È una necessità economica, perché la rivista, così
come è attualmente impostata, assorbe troppe
risorse di bilancio. Che fare? Ridurre le pagine?
Stampare solo due numeri l’anno? Rinunciare al CD?
E pensare che, in fondo, basterebbe un
abbonamento per coro per risolvere il problema.
Ma è anche una provocazione che vogliamo lanciare
a tutti coloro che in questi tempi hanno manifestato
apprezzamento alla nostra rivista.
Un apprezzamento che non può fermarsi alle parole
ma deve farsi sostegno concreto.
Senza il quale, probabilmente, dovremmo pensare
che si trattava di apprezzamento di maniera.
Un abbonamento, uno solo per coro.
E uno per direttore.
Non riusciremo nemmeno a far questo?
n. 43 - gennaio-aprile 2014
Rivista quadrimestrale di Feniarco
Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali
PRIMO PIANO
2
INVESTIRE SULLA CORALITÀ
UN APPELLO AL MINISTRO DELLA CULTURA
Sante Fornasier
PORTRAIT
DOSSIER
Il coro ai tempi della crisi
4
FARE CORO NEL TEMPO DELLA CRISI
APPUNTI E RIFLESSIONI DALL’ASSEMBLEA
AUTUNNALE FENIARCO 2013
Salvatore Panzanaro
6
CAPITALE SOCIALE E CORALITÀ
Claudio Martinelli
10
14
38 IL 2013: UN ANNO DI RICONOSCIMENTI
CONVERSAZIONE CON BRUNA LIGUORI VALENTI
Rita Nuti
FRAGMENTA
42 IL VALORE PROPEDEUTICO DEL CANTO GREGORIANO
IL CORO NELLA CRISI
PROSPETTIVE PSICOLOGICHE: GLI INTERESSI
AIUTANO A SUPERARE LE DIFFICOLTÀ?
Riccardo Zoja
Simone Scerri
ATTIVITÀ DELL’ASSOCIAZIONE
UN AGGANCIO PER RESISTERE AI COLPI
VOCI DAI CORI
Sandro Bergamo
44 FENIARCO DAY
IL MIO TRENTENNALE CON FENIARCO
Puccio Pucci
DOSSIER COMPOSITORE
Bob Chilcott
17
EMOZIONE E COMUNICAZIONE
INTERVISTA A BOB CHILCOTT
48 ASSEMBLEA ORDINARIA FENIARCO A MATERA
Lorenzo Benedet
CRONACA
Mauro Marchetti
25
BOB CHILCOTT, ADVENT ANTIPHONS
Matteo Valbusa
30 OSVALDO GOLIJOV CORAL DEL ARRICEFE
PER DOPPIO CORO A CAPPELLA, DA OCEANA
CANTO POPOLARE
34 RIVALUTIAMO IL CANTO E IL CANTAR POPOLARE
Sergio Bianchi
Giorgio Morandi
RUBRICHE
INDICE
NOVA ET VETERA
Mauro Zuccante
50 LA RICCHEZZA DELLA CORALITÀ EUROPEA
52 Discografia&Scaffale
56 La vita cantata
60 Mondocoro
2
INVESTIRE
SULLA CORALITÀ
UN APPELLO AL MINISTRO DELLA CULTURA
di Sante Fornasier
Il FUS (Fondo Unico per lo Spettacolo) è il meccanismo creato per regolare l’intervento pubblico
nel settore del teatro, del cinema, della musica: in una parola, dello spettacolo. È stato creato
con l’art. 1 della legge 30 aprile 1985, n. 163 ed è ripartito con decreto del Ministero dei Beni e
delle Attività Culturali.
È dal FUS che la nostra federazione riceve una parte importante delle risorse che ci permettono
di operare, inquadrando il nostro intervento nell’art. 15 del DM 9/11/2007, quello concernete la
promozione.
Desidero affrontare l’argomento in questo numero di Choraliter, anche perché è attualmente in
corso la revisione del Decreto Ministeriale che contiene le norme per accedere alle provvidenze
del fondo e per definirne la destinazione. Il tema è stato affrontato anche dall’Assemblea
Nazionale di Feniarco, riunitasi a Matera lo scorso 22-23 marzo, con un ordine del giorno
approvato all’unanimità e inviato al ministro Franceschini.
Quello che chiediamo al Ministro è una maggiore attenzione alla nostra realtà. Siamo una
federazione che associa 2700 cori, 80/90 mila cantori, distribuiti capillarmente su tutto il
territorio nazionale. Abbiamo assunto un ruolo importante all’interno della federazione europea,
presiedendola per un triennio e esprimendo oggi il primo vicepresidente. Abbiamo realizzato nel
2012 la prima edizione italiana del Festival Europa Cantat, che è stata tra le più riuscite in tutta
la storia della federazione europea. Annualmente offriamo gratuitamente almeno 30.000
concerti. E potremmo elencare a lungo le nostre iniziative, dall’editoria alla scuola, da eccellenze
come il Coro Giovanile Italiano e il Coro Accademia Feniarco all’impegno formativo a vari livelli,
da quello di base a quello di specializzazione.
Per tutte queste attività, il ministero ci riserva risorse marginali su un capitolo marginale del FUS.
Un meccanismo che, basato sulla riconferma, anno dopo anno, della spesa storica ci penalizza,
come penalizza chiunque spenda bene e con poco realizzi molto, mentre premia chi accumula
grandi spese pur producendo poco.
La nostra collocazione nel settore della promozione corrisponde indubbiamente ad alcune delle
funzioni che la coralità amatoriale ricopre: dietro ogni concerto ci sono le prove, settimana per
settimana, con le quali decine di migliaia di cantori affinano le loro capacità. E c’è il ruolo di
INVEST
PRIMO
PIANO
DOSSIER
cerniera tra mondo professionale e amatoriale,
c’è la capacità di penetrare in luoghi dove il
mondo professionale dello spettacolo non
arriva, presso fasce di pubblico che esso non
avvicina.
Ma sono convinto che il nostro mondo abbia
diritto a un riconoscimento più diretto per la
propria attività musicale e meriti di vedersi
collocato tra gli enti di particolare rilievo.
Sarebbero risorse ben spese, autentici
investimenti non solo per noi, ma per tutto il
paese:
• investimento sui giovani talenti, in tutte le
forme in cui il talento si può sviluppare
nell’attività corale: non solo direttori e
compositori, ma manager musicali,
organizzatori… Un laboratorio dove creare
classe dirigente a disposizione anche al di
fuori dell’attività corale;
• investimento sulla scuola, per portare anche
da noi la pratica corale scolastica allo
stesso livello degli altri paesi,
riconoscendone il grande valore formativo;
• investimento sulle eccellenze, attraverso il
sostegno a direttori, compositori e
formazioni corali in grado di affermarsi sulla
scena europea e attraverso l’attività dei cori
espressione diretta della federazione, il
Coro Giovanile Italiano e il Coro Accademia
Feniarco;
• investimento sull’editoria, dove il nostro
impegno sta colmando un vuoto culturale
presente nel nostro paese, valorizzando il
lavoro dei compositori italiani e
stimolandone la creatività;
• investimento sulla presenza della musica
corale in Europa, dove, una volta tanto,
questo Paese ha la possibilità di presentarsi
con le carte in regola e non ha bisogno di
farsi assegnare “compiti per casa”;
• sulla comunicazione, attraverso le nostre
riviste, la nostra piattaforma web, esempi
anche questi di qualità che, in questi anni
abbiamo saputo esprimere.
E investimento su tante altre cose, se solo ne
avessimo le risorse, perché le idee, quelle, non
mancano. E nemmeno la voglia di impegnarsi
per realizzarle.
3
ORDINE DEL GIORNO
L’Assemblea Generale della FENIARCO – Federazione Nazionale Italiana
delle Associazioni Regionali Corali – riunita a Matera nel giorni 22 e
23 marzo 2014 in rappresentanza di 2.700 cori associati
CONVINTA
dell’opera e della funzione insostituibile che la Federazione assolve,
attraverso le Associazioni regionali aderenti, di tutte le regioni
italiane, per
– la diffusione della cultura musicale corale
– la salvaguardia e la conservazione del patrimonio corale musicale
colto e di tradizione popolare
– la funzione educativa che costantemente viene esercitata, in
particolare verso i giovani attraverso la musica e il canto corale,
portatore di alti valori etici e sociali che portano alla convivenza, al
rispetto reciproco, all’interculturalità, alla cittadinanza attiva e
responsabile, alla formazione del pubblico musicale in modo
consapevole; valori e bisogni più che mai necessari e indispensabili
in questo momento di particolare crisi dove la coesione sociale
viene messa a dura prova rappresentando un problema e
un’emergenza
CONSIDERATO
– che la Federazione svolge ormai da trent’anni un ruolo di
coordinamento e di indirizzo in modo attivo e costante diventando
soggetto culturale di rilievo e di riferimento nell’ambito della
cultura corale-musicale italiana ed europea
– che i cori rappresentano un patrimonio di inestimabile valore e un
presidio culturale-sociale di territorio di grande rilievo attraverso
una costante, intensa e capillare attività
TIRE
AUSPICA
che nell’ambito della revisione in corso del DM sul FUS la nostra
attività corale-musicale venga tenuta nella dovuta considerazione
valorizzando, sostenendo e premiando un percorso di crescita che si è
andato via via consolidando nel tempo attraverso una sistema di rete
diffusa a radicata sul territorio
ESPRIME FIDUCIA
affinché Lei On. Ministro, guardi con particolare sensibilità a questa
straordinaria attività, offerta al nostro Paese con passione, dedizione
e competenza, disponendo un’assegnazione contributiva, anche negli
imminenti riparti del FUS per il 2014, di euro 300 mila e quindi più
congrua rispetto a quella fin qui assegnata sia per il ruolo acquisito
nel corso degli anni sia per il merito che essa si attende nel panorama
culturale italiano e di considerare la nostra azione culturale più
centrale e meno marginale rispetto a valori riconosciuti.
Documento inviato al Ministro della Cultura on. Dario Franceschini
FARE CORO NEL
TEMPO DELLA CRISI
APPUNTI E RIFLESSIONI DALL’ASSEMBLEA
AUTUNNALE FENIARCO 2013
FARE CO
di Salvatore Panzanaro
PRESIDENTE DELL’ASSOCIAZIONE
BASILICATA CORI
Durante l’assemblea autunnale di Feniarco 2013, svoltasi ad Alghero il 12 e 13 ottobre e ospitata
dalla Federazione Regionale Sarda delle Associazioni Corali, i delegati di tutt’Italia, che si erano
dati appuntamento in Sardegna per il consueto incontro autunnale finalizzato a consumare uno
dei passaggi ordinari della vita associativa (resoconto delle attività svolte e programmazione di
quelle nuove), si sono trovati a discutere di un argomento apparentemente scontato ma che ha
raccolto interesse e attenzione di tutti. Coordinati dal presidente Sante Fornasier ci si è fermati a
riflettere sul tema “fare coro nel tempo della crisi”.
Nonostante le associazioni corali siano abituate a sopravvivere in assenza di grandi
finanziamenti, procedendo invece con il supporto di tutti gli associati che portano avanti le loro
piccole o grandi attività grazie all’autofinanziamento e alla buona volontà, questo particolare
periodo di crisi si avverte con maggiore intensità e preoccupazione:
• la forte riduzione del supporto pubblico, che ha sempre visto il settore della cultura come un
ambito nel quale investire poco e comunque solo dopo aver soddisfatto le esigenze di altri
settori, si fa sentire pesantemente; inoltre le risorse sono sempre minori e la cultura continua
a rivestire il ruolo della “cenerentola”;
• le banche e le fondazioni hanno stretto ancora di più i cordoni della borsa, mentre le
sponsorizzazioni da parte dei privati sono drasticamente ridotte poiché risentono ancora di
più della crisi economico-finanziaria del nostro paese.
I delegati hanno mostrato un particolare interesse all’argomento, segno che la problematica
interessa tutti, la crisi è assolutamente neutra; da nord a sud, da est a ovest il problema rimane
lo stesso così come la posizione di tutti non è quella di mollare ma di continuare a svolgere il
proprio ruolo sociale e culturale, sostituendosi spesso alle agenzie educative e culturali
istituzionali, consapevoli del fatto che storicamente nei momenti di difficoltà una comunità si
ritrova sempre intorno alle proprie tradizioni e alla propria cultura.
DOSSIER
5
Finanziamento pubblico
Anno dopo anno il finanziamento pubblico si riduce sempre di più e, nell’ultimo
periodo, è preda delle iniziative più grandi lasciando all’asciutto i settori meno
blasonati, tra questi l’ambito corale che, a ingiustificato pensiero comune, è
fatto di realtà amatoriali alle quali non si riconosce quel valore artistico e
culturale che merita. A parere di alcuni delegati bisogna insistere nel ricercare il
sostegno delle pubbliche amministrazioni collegandosi magari ad altre realtà
che invece godono di finanziamenti ingenti.
Si fa riferimento in particolare ai fondi europei del FSE (Fondo Sociale Europeo)
che ha il compito di sostenere e finanziare le iniziative di formazione
professionale in vari settori dell’economia territoriale e tra questi anche la
cultura e lo spettacolo. Riconoscendo la farraginosità dei progetti europei e i
stringenti requisiti organizzativi richiesti per la partecipazione ai bandi, si
prende atto che iniziative in questo settore non possono essere avviate in
maniera autonoma, è invece auspicabile la collaborazione con gli enti di
formazione che quotidianamente operano con la programmazione europea,
garantendo loro un supporto organizzativo e una visione del territorio, in
questo settore, importante e assolutamente fondamentale per la giusta
programmazione degli interventi.
Il sistema federato a rete di Feniarco si sposa inoltre bene per eventuali progetti
interregionali che possono abbinare esigenze comuni all’intero territorio
nazionale.
Finanziamento privato
Sempre più difficile riuscire a recuperare fondi dal settore privato che sempre
meno è disponibile a sostenere le iniziative culturali. Ancora più difficile
proporre concerti e spettacoli che prevedono il pagamento di un biglietto; la
cultura dominante ha sempre considerato i concerti di musica corale come
gratuiti e offerti da organizzazioni amatoriali confondendo spesso la parola
amatoriale con poco professionale e di scarso valore artistico.
Alcuni delegati hanno portato la propria esperienza fatta anche di esibizioni in
contesti commerciali, affiancando alcune volte brevi concerti a lanci
promozionali di prodotti commerciali e recuperando in tal modo un piccolo
compenso utile alla gestione
dell’associazione. Si tratta di un modo
nuovo di intervenire nel tessuto
produttivo locale e quindi accolto con
alcune riserve dai delegati; va detto
però che la situazione attuale necessita
di idee anche insolite purché efficaci e,
se vogliamo continuare a esercitare la
nobile attività della promozione
culturale, a volte bisogna anche turarsi il
naso e fare di necessità virtù.
ORO
Nei momenti di difficoltà
una comunità si ritrova sempre
intorno alle proprie tradizioni
e alla propria cultura.
In conclusione si è poi parlato del rapporto di collaborazione tra i cori, che
naturalmente sono diversi per tipologia, storia, tradizione ed esperienza. Un
caloroso invito è stato fatto alle associazioni più esperte, che di solito riescono
con maggiore facilità a garantirsi un minimo di finanziamento, chiedendo loro di
collaborare con le loro colleghe più giovani e meno inserite nel contesto
territoriale, facilitando il trasferimento di know how e partecipando alle
iniziative alle quali vengono spesso invitate, per garantire un livello qualitativo
più presigioso, gravando il meno possibile sui costi organizzativi, rinunciando a
compensi e limitando i rimborsi spese.
6
CAPITALE SOCIALE E CORALITÀ
di Claudio Martinelli
SOCIOLOGO E RESPONSABILE DEL SERVIZIO ATTIVITÀ CULTURALI DELLA PROVINCIA DI TRENTO
L’epoca che stiamo attraversando è caratterizzata
dall’insicurezza e dall’incertezza. Incertezza nel futuro;
incertezza nei valori fondanti della nostra civiltà; incertezza
nei confronti della istituzioni; incertezza nei confronti delle
persone.
È una crisi, questa, che probabilmente non ha precedenti e,
comunque, non aiuta cercare nella storia passata qualche
rimedio per superare questo momento. Sono cambiati i tempi,
le donne e gli uomini; è cambiata la società. Non ci resta che
prendere atto che dobbiamo affrontare quest’epoca con
l’armamentario che abbiamo a disposizione consapevoli che
non ci sarà di grande aiuto visto che è stato costruito per
altre situazioni e in altri tempi.
La crisi, globale, inizia tra il 2007 e il 2009 con lo scoppio
della così detta “bolla finanziaria”. «Nessuno aveva la
dimensione totalizzante di quel che è accaduto nel 20072009. L’idea che possa implodere il centro di gravità, che lo
stesso capitalismo liberale possa fallire, non si era affacciata
in quegli episodi (di crisi) precedenti. A un
certo punto, questa è diventata una crisi
esistenziale». Così un giornalista del Wall
Street Journal.
Non c’è dubbio che questa crisi si sia
presentata come una crisi del sistema
finanziario e che in breve tempo abbia
coinvolto anche il mondo dell’economia
reale e la società nel suo complesso, a
partire dalle istituzioni. Lo scenario che si è
andato delineando ha visto travolgere interi
settori economici, fallimenti e licenziamenti;
blocco dei salari; massiccia precarizzazione dei rapporti di
lavoro; diffusione della pratica della spending review nella
pubblica amministrazione con conseguenze imprevedibili sul
piano dell’impatto non solo interno ma anche esterno. Ben
presto però questa crisi ha coinvolto anche le “visioni del
mondo” fondate su valori condivisi, pratiche di relazione.
Questa volta sembra davvero arrivato il momento del “non
sarà più come prima” anche se nessuno sa cosa ci aspetta
veramente.
Barack Obama, in un famoso discorso al Congresso
americano del 24 febbraio del 2009, ha sintetizzato gli
elementi essenziali di questa crisi partendo dal disastro dei
mutui-casa per passare alla paralisi del credito che ha
provocato lo «strangolamento dell’economia reale». Ma
Obama nel suo discorso fa un passaggio fondamentale
quando fa intendere che la crisi del 2007-2009 è cominciata
molto prima con l’aumento dei prezzi del petrolio e le
speculazioni che ne sono seguite. Non solo, c’è un altro
elemento strutturale di quella che Federico Rampini chiama la
“Grande Recessione”: la prolungata crescita della
disuguaglianza sociale in tutti i paesi del mondo. Sempre
citando Rampini, «i “trent’anni d’oro” lo sono stati molto di
più per i salari che per i profitti». In Francia in vent’anni i
patrimoni investiti in borsa sono cresciuti in valori del 120%
mentre i salari medi solo del 15%.
Ma quali sono gli effetti sociali di questa crisi? L’effetto più
visibile è l’aumento della povertà sia individuale che collettiva
di un tessuto sociale che già da tempo si presenta sempre più
frammentato e in crisi di identità. Sono gli effetti della
cosiddetta globalizzazione capace di metterci in connessione
con il mondo ma creare, al contempo, solitudine e incertezza.
Frammentazione, crisi di indennità e insicurezza sono le
caratteristiche di quest’epoca.
Il pensatore che più di altri ha colto, ancora prima
dell’avvento della Grande Depressione, il cambiamento
epocale che stava investendo la società occidentale in
Le associazioni corali svolgono
la funzione di garantire che il capitale
sociale di una comunità si mantenga,
si consolidi e si tramandi.
particolare e le persone che di questa civiltà fanno parte,
tanto da parlare di una “nuova condizione umana”, è Zygmunt
Bauman.1
Bauman, teorico della “società liquida”, nella sua opera
intellettuale e di analisi sociologica, pone l’accento su
interrogativi fondamentali che riguardano la condizione
umana stessa: che cos’è dell’essere umano nel nostro
contesto storico e quale sarà il suo destino? Domande urgenti
dopo lo sfaldamento di quel mondo solido, forte, istituito,
ordinato, che abbiamo conosciuto sotto il nome di modernità
e al quale, negli ultimi decenni, soprattutto in forza della
globalizzazione, è subentrato un universo “liquido”,
destrutturato, precario, privo di riferimenti stabili. La
mutazione di scenario ha inciso profondamente sulle
esistenze individuali: angoscia, fragilità, perdita di senso sono
gli elementi più comuni che caratterizzano le vite delle
persone non solo in Occidente. Il quadro tracciato da Bauman
sulla nuova condizione umana appare tanto più inquietante se
DOSSIER
si considerano anche i risvolti materiali di questo processo:
disuguaglianza e povertà crescenti, diritti umani calpestati,
prepotente ritorno di violenze e guerre. È l’umanità di
immense moltitudini a essere minacciata.
All’esaltazione della globalizzazione si contrappone la
solitudine dell’uomo comune: la socialità è incerta, confusa,
sfocata. Si scarica in esplosioni sporadiche e spettacolari per
poi ripiegarsi esaurita su se stessa. Per porre un
freno a questo processo occorre ritrovare lo
spazio in cui pubblico e privato si connettono, in
cui la libertà individuale può diventare impegno
collettivo.
È necessario introdurre a questo punto, per
meglio comprendere il ruolo fondamentale che i
cori, ma in generale tutto il mondo
dell’associazionismo ha in questo contesto, il
concetto di capitale sociale.
Il termine di capitale sociale può essere fatto risalire ad autori
lontani nel tempo. Alcuni analisti citano addirittura Marx e
Engels, Tocquiville, Durkheim, Weber, intellettuali che hanno
fatto la storia del pensiero moderno. Ma più propriamente di
capitale sociale si inizia a parlare con L.J. Hanifan (1920),
J. Jacobs (1961) e G. Loury (1977) anche se la prima teoria
esplicativa del capitale sociale è stata espressa a partire dagli
anni ottanta del Secolo scorso.
Per J. Coleman il capitale sociale è l’insieme delle relazioni
che un individuo o un gruppo può usare per i propri interessi.
7
Coleman mette in luce la funzione del capitale sociale e lo
associa ad alcuni aspetti della struttura sociale e in
particolare: le informazioni che le relazioni sociali veicolano,
la stabilità e osservanza delle norme che rendono sicuro un
ambiente sociale, il fatto che in una comunità o in una rete di
scambio siano in vigore delle norme che spingono alla
solidarietà verso gli altri, e in particolare siano rispettate
quelle norme che sostengono la fiducia tra le persone.
Secondo R. Putnam «per capitale sociale s’intende la fiducia,
le norme che regolano la convivenza, le reti di
associazionismo civico, elementi che migliorano l’efficienza
dell’organizzazione sociale promuovendo iniziative prese di
comune accordo». Per questo autore il capitale sociale è un
facilitatore dell’azione collettiva. In Putnam è importante il
concetto di civicness (cultura civica) intesa come un
orientamento dei cittadini verso la politica vista all’interno di
una visione nella quale l’interesse individuale si lega a una
concezione del bene comune. La civicness è identificata con
la diffusione di un’ampia fiducia interpersonale, che facilita la
cooperazione tra i cittadini. L’importante è qui mettere in
risalto come, sul piano concreto, la civicness venga misurata
con riferimento alla partecipazione ad associazioni.
Per P. Bourdieu, il capitale sociale è la rete delle relazioni
personali e sociali che un attore (individuo o gruppo)
possiede e può mobilitare per perseguire i propri fini e
migliorare la propria posizione sociale. È essenzialmente
legato alla classe sociale di appartenenza degli individui.
F. Fukuyama osserva che è il capitale sociale che produce la
società civile. Il capitale sociale deriva, secondo questo
autore, essenzialmente dalla fiducia. «Il capitale sociale è una
risorsa che nasce dal prevalere della fiducia nella società o in
parte di essa. Si può radicare tanto nella famiglia, il più
piccolo e fondamentale gruppo sociale, quanto nel più
grande, l’intera nazione e in tutti gli altri corpi intermedi». In
tutti i rapporti tra le persone esiste una norma di reciprocità
L’epoca che stiamo attraversando
è caratterizzata dall’insicurezza
e dall’incertezza.
ma questa norma diviene concreta soltanto nei rapporti con
gli amici. Da questo punto di vista il capitale sociale è un
prodotto che sta al di fuori del controllo di qualsiasi governo
o istituzione politica.
Per altri autori, il capitale sociale si può anche intendere come
uno degli elementi fondamentali delle reti di relazioni che
movimentano la vita delle persone.
Essendo il capitale sociale una qualità delle relazioni sociali è
necessario distinguere tra capitale primario (relazioni che
valorizzano i cosiddetti beni relazionali primari, operando con
8
criteri informali) e capitale secondario (relazioni che
valorizzano i beni relazionali di cultura civica o civile,
operando con criteri più formali e condivisi).
Se il capitale sociale primario ha come ambito la famiglia e le
reti informali dei parenti, dei vicini e degli amici e ha come
base la fiducia face-to-face e la reciprocità interpersonale, il
capitale sociale secondario ha come ambito l’associazionismo,
le reti civiche di individui e/o famiglie e ha come presupposto
la fiducia che si crea tra gli individui che fanno parte di una
associazione o di una comunità civile o politica.
Il capitale sociale primario è il fattore precipuo il fatto
di essere “civili” in quanto si agisce con buone maniere
considerando positiva la relazione con le altre persone
così da essere loro di aiuto.
Il capitale sociale secondario è fattore fondamentale
della cultura civica, fatta di buone pratiche attraverso
le quali i cittadini esercitano i loro diritti e
responsabilità nei confronti della vita pubblica.
La funzione primaria del capitale sociale non è quella
di essere strumento per ottenere qualcosa ma è quella
di favorire le relazioni sociali, cioè lo scambio che produce un
bene condiviso, da cui derivano particolari risorse come
effetti secondari.
Il capitale sociale è una qualità se si vuole “comunitaria” che
sta al di fuori della sfera dello Stato e del mercato e che si
origina nel sistema delle famiglie e nel sistema delle
associazioni civili.
Come si vede il capitale sociale ha a che vedere con concetti
come bene pubblico, fiducia, relazioni sociali, solidarietà e
cooperazione, cultura civica, democrazia.
Se questo è lo scenario che condividiamo e nel quale ci
ritroviamo a vivere quale può essere la funzione di un coro,
sia esso popolare, polifonico o altro? Apparentemente
l’esperienza corale si sita in quelle attività che permettono
all’uomo di coltivare una propria passione o anche di
socializzare e condividere con altri individui momenti di vita al
di fuori della quotidianità del lavoro e della vita privata.
Se mettiamo in relazione il valore del capitale sociale con
l’esperienza corale e con l’attuale epoca di crisi si può
mettere in risalto come il coro, come molte altre associazioni,
sia uno degli elementi che possono sviluppare una difesa alla
frammentazione sociale e al disfacimento dei valori e dei
punti di riferimento.
Nel coro, proprio per le dinamiche relazionali individuali e
sociali che coinvolgono le persone che ne fanno parte,
possono affermarsi e consolidarsi sentimenti necessari a far
fronte alla crisi come la solidarietà, il rispetto degli altri e
delle regole, lo spirito di appartenenza, esercizio della
democrazie e consolidamento di una cultura civile.
In un’indagine condotta con l’Università degli Studi Trento,
facoltà di Sociologia, che è servita per una tesi di laurea,
abbiamo affrontato l’esperienza corale alpina sotto vari
aspetti: quello storico e quello sociologico. Non ci interessava
indagare l’aspetto della produzione musicale corale ma
analizzare le condizioni che hanno permesso la nascita e lo
sviluppo di un genere di coralità particolare come quella
alpina e capire quali erano le principali caratteristiche
sociologiche di questa coralità.
Innanzitutto cosa è un coro. Giovanni Acciai definisce come
corale «un’associazione di persone che si riuniscono per
cantare».2 Qui viene messo in luce il concetto di associazione
che può essere definita «come un raggruppamento sociale
basato sul reclutamento volontario e la messa in comune, da
parte dei membri, delle conoscenze e delle loro attività, per il
Occorre ritrovare lo spazio
in cui la libertà individuale
può diventare impegno collettivo.
raggiungimento di mete condivise da tutti».3 Inoltre si può
anche dire che le associazioni sono «raggruppamenti
volontari, generalmente aperti, parzialmente o totalmente
organizzati, compatibili tra loro, che dispongono di una forza
di costrizione condizionata sui membri, con struttura
democratica e proprietà collettiva».4
Nella ricerca sopra ricordata, che ha coinvolto oltre 1.460
coristi dei cori alpini del Trentino, alcuni di questi elementi
sono emersi con forza.
Alcuni dati ci possono aiutare a capire meglio questi aspetti.
Oltre l’85% degli intervistati dichiarano che una volta
instaurato il rapporto con il coro non l’hanno più interrotto.
Questo ci fa capire come per i coristi l’esperienza corale
rappresenti un’esperienza solida che fa parte integrante del
proprio orizzonte di vita.
Un numero superiore al 30% degli intervistati dichiara di
avere un’attività anche con altri complessi corali rispetto a
quello di appartenenza o in altri tipi di associazione. Questo
sta a dimostrare che per una fetta consistente di coristi
DOSSIER
l’associazione è uno spazio soddisfacente che può occupare una fetta
consistente della propria esistenza.
Oltre il 63% entra in un complesso corale perché contattato da amici o da
conoscenti. L’esperienza corale è la continuazione delle relazioni amicali e
di vicinanza che sono una componente fondamentale, come abbiamo
visto, del capitale sociale. Nel coro si tendono a riprodurre e a consolidare
qui rapporti che appartengono alla cerchia delle relazioni primarie. Non
solo, quasi il 70% dichiara che l’attrazione del coro sta soprattutto nel
clima di amicizia e compagnia. Il 27% è per accentuare l’attività che
permetta di far crescere in amicizia. Oltre l’83% pensa che la qualità più
importante che dovrebbe avere un coro è il senso di responsabilità, le
persone e il clima che si instaura tra i coristi; solo il 15% è per la bravura
nel cantare. Oltre il 50% dichiara che per cantare in un coro non è
assolutamente importante conoscere le note.
Questi dati, se pur sintetici, dimostrano come il coro sia per la
maggioranza dei coristi soprattutto un’esperienza di socializzazione che si
accompagna a un esercizio di rispetto delle regole basato su una
piattaforma democratica. La presenza di regole precise stabilite in uno
statuto, la presenza di almeno tre organi fondamentali come l’assemblea
dei soci, il consiglio direttivo e il presidente, che garantiscono una
formazione delle decisioni attraverso la partecipazione, sono tutti
elementi che dimostrano che i cori perseguono l’esercizio alla democrazia.
L’esperienza corale, quindi, si può inserire in quelle esperienze che, come
abbiamo visto più sopra, rientrano nella concezione di capitale sociale
secondario che ha come ambito di relazione dell’associazionismo di
società civile.
Emerge con tutta evidenza come le associazioni corali svolgano una
funzione, che hanno per la verità sempre svolto, che è quella di garantire
che il capitale sociale di una comunità si mantenga, si consolidi e si
tramandi. La decrescita o la mancanza del capitale sociale significa, per
qualsiasi comunità, una devastante frammentazione dei rapporti e delle
relazioni sociali, con conseguenze sulla stessa struttura sociale a partire
dalla qualità delle istituzioni politiche, sociali e culturali. Tenendo presente
come le comunità locali sono sempre di più multiculturali e multietniche e
che il dialogo con l’altro da noi è un altro elemento decisivo per la
costruzione del futuro. Qui l’apporto dell’associazionismo è indubbio e
profondamente importante.
In una società come quella descritta da Z. Bauman, la condizione umana
sarebbe esposta a elementi di criticità così elevati da mettere in
discussione la stessa sopravvivenza delle civiltà. Il capitale sociale, il suo
mantenimento e la sua crescita, è la condizione necessaria per creare
quale piattaforma su cui poggiare il futuro nostro e delle nuove
generazioni. Sarà un futuro certamente diverso da quello fin qui
immaginato, ma senza l’apporto dei contributi individuali che si
immergono nelle relazioni che formano il capitale sociale sarà certamente
un futuro peggiore. Chiosando sempre Bauman, «il futuro non esiste, il
futuro va creato».
Mettere al centro le relazioni vere e non virtuali, aprire il dialogo con il
“diverso da noi”, sviluppare un sentimento di appartenenza e di rispetto
delle regole, è su questo terreno che la coralità, consapevolmente, può
dare un contributo decisivo. Decisivo perché incide profondamente sulla
dotazione del capitale sociale di una comunità, condizione indispensabile
per creare il clima di fiducia necessario per pensare al futuro delle
persone che abitano e abiteranno questo pianeta.
9
Note
1. Nato da genitori ebrei a Poznań, città in
Polonia, nel 1925, Bauman fuggì nella zona di
occupazione sovietica dopo che la Polonia fu
invasa dalle truppe tedesche nel 1939
all’inizio della seconda guerra mondiale, e
successivamente divenuto comunista si
arruolò in una unità militare sovietica. Dopo
la guerra, egli iniziò a studiare sociologia
all’Università di Varsavia, dove insegnavano
Stanislaw Ossowsky e Julian Hochfeld.
Durante una permanenza alla London School
of Economics, preparò la sua maggiore
dissertazione sul socialismo britannico che fu
pubblicata nel 1959.
2. G. ACCIAI, La coralità in Italia, in «Coralità»,
Periodico della federazione Cori del Trentino,
n. 2, sett.-nov. 1994.
3. B. CATTARINUSSI, “Associazione”, in
Dizionario di Sociologia, a cura di F. Demarchi
e A. Ellena, pag. 130, ed. Paoline, 1976.
4. Idem.
Bibliografia
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gennaio-marzo 2003.
Z. BAUMAN, Una nuova condizione umana,
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R. PUTNAM, La tradizione civica nelle regioni
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F. RAMPINI, Le dieci cose che non saranno più
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2009.
G. ROSSI, Il capitale sociale, internet
IL CORO NELLA CRISI
PROSPETTIVE PSICOLOGICHE: GLI INTERESSI
AIUTANO A SUPERARE LE DIFFICOLTÀ?
di Simone Scerri
Negli ultimi tempi la parola “crisi” ha conosciuto – e tuttora conosce – una certa popolarità. Viene
usata, a volte forse anche abusata, per indicare la condizione economico-finanziaria in cui buona parte
del mondo occidentale versa; tuttavia spesso allarga il suo significato per andare a indicare
componenti “altre” rispetto a quella economica: crisi di valori, crisi dei ruoli, crisi della famiglia
eccetera.
Obiettivo di questo contributo non è quello di fare un’analisi della crisi dal punto di vista psicologico o
sociologico, né tantomeno politico o economico. Piuttosto, la questione che ci poniamo è se –
all’interno del contesto sociale in questione – la coralità possa avere un qualche valore significativo e
in che modo possa essere sviluppato.
Nel fare questo accosteremo riflessioni personali basate sull’esperienza ai risultati della ricerca
scientifica presenti in letteratura.
Per dare ordine al nostro discorso è utile soffermarci prima di tutto su due parole-chiave i cui
significati si intrecciano tra loro in modo interessante. Le parole in questione sono crisi e resilienza.
La parola crisi nell’uso comune ha assunto un’accezione negativa in quanto vuole significare il
peggioramento di una situazione. Ma l’etimologia, il significato originario di questo termine, deriva dal
verbo greco krino che significa separare, cernere, in senso più lato, discernere, giudicare, valutare. Vi
è, in questo, un’indiscutibile sfumatura positiva: crisi come momento di riflessione, di valutazione, di
discernimento, possibile presupposto per un miglioramento, per una rinascita, per un cambiamento
positivo. In questo senso, quando una persona “entra in crisi” vive emozioni spiacevoli (per esempio
di delusione, insoddisfazione, tristezza) che se opportunamente ascoltate possono offrire lo spunto
per apportare dei cambiamenti a una situazione percepita come critica. Lo stesso dicasi per una
coppia, in cui la crisi può rappresentare l’occasione per rivedere alcune modalità non più soddisfacenti
su cui è basata la relazione. Anche i cori a volte entrano in crisi: quando l’organico si riduce e questo
richiede di rivedere il repertorio, quando un obiettivo sproporzionato rispetto alle risorse disponibili
sembra rendere le prove stagnanti, quando i conflitti interni sembrano prendere il sopravvento
sull’obiettivo di fare musica insieme.
IL CORO
PSICOLOGO E RICERCATORE
O
DOSSIER
Qualunque sia il motivo della crisi, quanto più una persona o
un gruppo riescono a riconoscerne gli aspetti di potenzialità,
tanto più saranno in grado di mantenere un atteggiamento
positivo e di fronteggiarla con azioni coerenti. Al contrario,
quanto più una persona o un gruppo tendono a ritagliare una
cornice solo attorno agli aspetti potenzialmente distruttivi (di
sé, della coppia, del coro, per restare negli esempi appena
citati), tanto più tenderanno a essere sopraffatti dalla
situazione anziché ad attraversarla con fiducia.
Facciamo un passo avanti nel nostro ragionamento di
avvicinamento al coro e alla coralità, tema centrale di questo
contributo. Che cosa rende possibile il passaggio dal secondo
atteggiamento al primo? In altre parole, che cosa favorisce un
modo positivo di percepire le situazioni di crisi, spingendo ad
attraversarle anziché a subirle? Gli psicologi hanno trovato una
parola per dire tutto questo: resilienza.
Questo termine deriva dal latino resalio, che in una delle sue
accezioni originali indicava l’azione di risalire sulla barca
capovolta dalle onde del mare. Tradizionalmente la resilienza è
stata legata alla metallurgia, dove tale termine indica la
capacità di un metallo di resistere alle forze impulsive che gli
vengono applicate. In modo analogo, in psicologia
la resilienza è la capacità di far fronte in maniera positiva agli
eventi traumatici, di riorganizzare positivamente la propria vita
dinanzi alle difficoltà. È la capacità di ricostruirsi restando
sensibili alle opportunità positive che la vita offre, senza
perdere la propria umanità. Anche una
comunità può essere resiliente: per
esempio quando riesce ad attrezzarsi
per restare unita e affrontare le
conseguenze di una catastrofe naturale.
Di nuovo: che cosa c’entra la coralità
con tutto questo? Ancora un momento,
occorre prima soffermarsi su un’altra
domanda cruciale: come si sviluppa
questa attitudine così speciale
denominata “resilienza”?
Sintetizzando, le fonti della resilienza possono essere
individuate in un attaccamento sicuro con figure di riferimento
importanti (soprattutto nei primi anni di vita), nella
consapevolezza di sé, nell’autostima derivante dalla
valorizzazione delle proprie competenze innate. Ma se è vero
che il temperamento e le esperienze vissute nella prima fase
di vita incidono significativamente sul nostro modo di
affrontare le situazioni, è altrettanto vero che la resilienza può
essere sviluppata e potenziata anche in età adulta.
La American Psychological Association, nel suo documento
The road to resilience, ha messo a punto una sorta di
decalogo per lo sviluppo della resilienza i cui punti si
riferiscono – oltre che a strategie individuali di tipo cognitivo
ed emotivo – anche a strategie che molto hanno a che fare
con quella coralità in cui ci stiamo per addentrare. Infatti, in
questo decalogo troviamo prescrizioni quali:
• «Crea rapporti»: buone relazioni con i familiari più prossimi,
con gli amici, o con gli altri, sono importanti. Accettare
11
aiuto e sostegno da chi è interessato a voi e vi ascolta
rafforza la resilienza. Alcune persone trovano che essere
attivi in gruppi civici, organizzazioni religiose o altri gruppi
locali fornisca supporto sociale e che possa aiutare a
recuperare speranza. Assistere gli altri nel momento del
bisogno può beneficiare anche chi aiuta.
• «Cerca opportunità per imparare»: le persone spesso
imparano qualcosa su loro stesse e osservano come, per
certi aspetti, sono cresciute. Molte persone che hanno
avuto esperienze tragiche e avversità, hanno conseguito
miglioramenti nelle relazioni, un più ampio senso di forza
personale anche in momenti di vulnerabilità, un incremento
di autostima, una più sviluppata spiritualità e un maggiore
apprezzamento per la vita.
• «Prenditi cura di te stesso»: presta attenzione ai tuoi
bisogni e ai tuoi sentimenti. Impegnati in attività che ti
piacciono e che trovi rilassanti. Esercitati regolarmente.
Prendersi cura di se stessi aiuta a mantenere la mente e il
corpo pronti per affrontare le situazioni che richiedono
resilienza.
Ecco allora che la coralità – intesa qui precisamente come
“esperienza del prendere parte a un coro” – risponde in modo
preciso a queste prescrizioni nella misura in cui consente alle
persone di creare rapporti, rappresenta una opportunità per
imparare (a usare la voce, a leggere la musica, a conoscere un
repertorio etc.) e diventa un modo per prendersi cura di sé
Che cosa favorisce un modo positivo di
percepire le situazioni di crisi, spingendo
ad attraversarle anziché a subirle?
attraverso una attività piacevole svolta con regolarità.
È sufficiente questo per dire che partecipare a un coro
consente di attraversare meglio la crisi sociale attuale?
Evidentemente no, sarebbe una considerazione troppo ardita.
Però vale la pena di addentrarci ulteriormente in questa
connessione tra coralità e resilienza.
Potremmo per esempio chiederci se essere resilienti induca le
persone a partecipare a esperienze di tipo corale o se al
contrario sia la partecipazione a queste esperienze a
sviluppare resilienza. Una forma nuova per una domanda
vecchia: “è nato prima l’uovo o la gallina?”. La risposta non
c’è, probabilmente perché la domanda è posta male. Più che
indagare relazioni lineari di causa-effetto, ci sembra
importante focalizzarci su relazioni di tipo circolare: l’idea
potrebbe essere che la resilienza individuale spinga a
prendere parte a esperienze di diverso tipo tra cui quella
corale, le quali a loro volta contribuiscono a sviluppare
resilienza poiché alimentano una rete di relazioni, l’attitudine
all’ascolto, emozioni positive, l’espressione di sé attraverso
12
l’uso comunitario della voce, apprendimento su più livelli,
occasioni per misurarsi con performance pubbliche, capacità
di far parte di un gruppo, focus su obiettivi, consapevolezza
del proprio corpo eccetera.
Sono numerose le ricerche che supportano questa tesi e che
incoraggiano in questa direzione. Dal punto di vista
psicobiologico, esistono diverse ricerche che hanno preso in
considerazione le conseguenze del canto corale in termini di
variazioni fisiologiche e reattività allo stress. In particolare,
rilevazioni effettuate sui cantori prima e dopo le prove con
soggetti di età compresa tra i 29 e i 74 anni hanno fatto
registrare aumenti significativi di
immunoglobuline A e,
concordemente, stati emotivi positivi
(Kreutz et al, 2004). Analoghe
ricerche sono state compiute prima e
dopo i concerti (Beck et al, 1999): nel
25% dei cantori le immunoglobuline
A sono aumentate del 350%. Queste
variazioni potrebbero dipendere dai
pattern di respiro indotti dal canto e
dall’emozione positiva associata ad
esso.
Da un punto di vista psicosociale,
Harrison e Narayan (2003) in uno studio condotto negli Usa
su oltre 50mila soggetti adolescenti hanno rilevato come la
partecipazione da parte degli studenti ad attività
extracurriculari sia collegata a più alti livelli di funzionamento
psicosociale, consistenti in migliore immagine di sé, minore
consumo di sostanze, maggiore responsabilità verso gli
impegni scolastici, minor coinvolgimento in situazioni di
violenza e aggressività.
Alcune realtà corali hanno dedicato attenzione in modo
virtuoso a questi aspetti di legame tra coralità e benessere,
raccogliendo e pubblicando interviste ai cantori (Torlasco,
2013). Andando a recuperare stralci di queste interviste,
ritroviamo parole che “hanno il sapore della resilienza”:
«impostare la voce richiede disciplina interiore»; «fa uscire
dalla solitudine»; «quando canto mi sento bene»; «è come un
esercizio fisico»; «cantare, nei periodi critici, mi aiuta»; «c’è
qualcosa che innamora. Viene un’emozione che non è solo il
cantar bene»; «io faccio tutto questo per me. Mi applico il più
possibile. Il messaggio è per me. Devo emozionarmi»; «il
nostro coro è un piccolo mondo. Siamo la riproduzione in
piccolo di tutte le dinamiche fuori. Siamo un piccolo mondo,
con i nostri difetti, i nostri pregi, una piccola comunità dentro
una comunità più grande».
In continuità con quanto espresso da alcuni di questi cantori,
Shahar (2012) descrive evidenze scientifiche di come il
Diverse ricerche hanno preso in
considerazione le conseguenze del canto
corale in termini di variazioni fisiologiche
e reattività allo stress.
supporto sociale sia effettivamente uno dei principali fattori
di resilienza e di come le relazioni supportive aiutino le
persone a pianificare meglio le azioni, a persistere nella
risoluzione dei problemi considerando le diverse alternative
possibili e a regolare meglio le proprie emozioni, con minori
livelli di stress percepito e maggiore livello di benessere.
C’è però un altro aspetto da sottolineare. Affinché le
esperienze corali – e qui usiamo la parola corale in senso
ampio, a indicare ogni esperienza condotta insieme ad altre
persone – abbiano queste caratteristiche di positività, è
fondamentale che chi le guida sappia gestire in modo valido
tanto il lavoro quanto le dinamiche di gruppo, affinché esse
siano effettivamente efficaci e supportive.
Per quanto riguarda la resilienza nell’apprendimento,
DOSSIER
13
numerosi contributi scientifici testimoniano l’importanza di adeguati metodi di insegnamento.
Citiamo per esempio l’interessante lavoro di Quirk e colleghi svolto in questo caso in una scuola
primaria (2012), dove attraverso una ricerca-azione è stato dimostrato come metodi di
insegnamento partecipativi e supportivi non solo sviluppino resilienza in termini di motivazione,
indipendenza, abilità di problem solving e supporto reciproco nel gruppo, ma anche sviluppino
autostima e resilienza nel gruppo di insegnanti che si trovano a collaborare. Pensiamo al valore
che queste indicazioni possono avere in tutti quei cori scolastici che in Italia hanno una certa
rilevanza in termini di numeri.
Quali metodologie possono essere utilizzate dai direttori
per favorire contemporaneamente relazioni supportive e
resilienza nell’apprendimento? Sono ancora pochi gli
studi che in questo senso hanno indagato l’effettiva
efficacia delle diverse pratiche di direzione. Da questo
punto di vista proprio in Italia è stata condotta
un’importante ricerca nata dalla collaborazione tra
Feniarco e l’Università Cattolica del Sacro Cuore di
Milano, che coinvolgendo oltre 80 direttori provenienti
da tutta Italia ha realizzato una mappatura delle
principali criticità non-musicali (e dunque psicorelazionali) esistenti nei cori per poi proporre specifiche
strategie di gestione (Gatti, Scerri, 2010a, 2010b). Sviluppi interessanti potrebbero nascere da
una validazione sul campo delle principali tra queste strategie.
Riassumendo, il fatto di entrare a far parte di un coro rappresenta già di per sé una scelta di
apertura: agli altri, ad esperienze nuove, a sfide di apprendimento e di messa in gioco
personale. D’altro canto, il permanere in un coro consente di potenziare diverse abilità e
competenze – sia musicali che psicologiche e relazionali – il cui valore e la cui utilità vanno ben
oltre l’attività corale in sé. È probabile inoltre che quanto più precoce sia l’ingresso in un coro,
tanto più le competenze acquisite entrino a far parte della struttura personologica individuale.
Dovendo racchiudere in una frase questi concetti, potremmo dire che “cantare in coro aumenta
sia le risorse interne che le risorse esterne”. In tutto questo, un ruolo fondamentale è svolto dai
direttori, figure che mai come oggi sono chiamate a ricoprire funzioni differenti e a sviluppare
competenze di leadership che possono e devono fare la differenza.
Cantare in coro aumenta
sia le risorse interne
che le risorse esterne.
Bibliografia
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interpersonali di un coro, Ed. Feniarco, S. Vito al
Tagliamento (Pn).
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dinamiche relazionali, in «Choraliter», 32, 43-47.
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adolescence, in «Journal of school health», 73, 3, 113-120.
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S.M. TORLASCO (a cura di) (2013), Armonie in voce. Va’ dove ti
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http://etimoitaliano.blogspot.it/2011/03/etimologia-dellaparola-crisi.html
http://it.wikipedia.org/wiki/Resilienza
http://www.apa.org/helpcenter/index.aspx
14
UN AGGANCIO PER RESISTERE AI COLPI
VOCI DAI CORI
a cura di Sandro Bergamo
Ma con tutti i problemi che ci sono, come fai ad avere tempo
e voglia di cantare in coro? E perché non rovesciare la
domanda? Visti i problemi, non ti farebbe bene cantare in
coro?
Non è un banale “canta che ti passa”: è la convinzione, anche
scientificamente supportata, che nei momenti difficili un
interesse al quale si è dedicato solo il tempo libero, lungi
dallo svaporare, possa diventare un aggancio per resistere ai
colpi e superare la crisi. E il coro, in questo, è momento
privilegiato, perché luogo dove i legami tra le persone si
creano, si rafforzano e possono sostenere la persona nelle
difficoltà. Un microcosmo sociale capace di valorizzare il
contributo di ognuno trasformandolo. «Il mio direttore», dice
Paola, soprano 33enne in un coro popolare trentino, «sa
valorizzare la piccola capacità di ognuno. Ogni corista si sente
pienamente partecipe, sente di poter dare un contributo alla
qualità e riuscita del coro». Nel coro si impara a realizzare un
rapporto collaborativo con gli altri: secondo Roberto, corista
44enne, «il coro è un puzzle, dove gli unici pezzi inutili sono
quelli che non si incastrano. In coro ognuno fa quello che è
chiamato a fare, contribuendo così alla
realizzazione dell’insieme». E non si è
valorizzati solo per le proprie potenzialità
musicali, ma c’è spazio per tutto: «Non
potendo partecipare spesso alle prove, per
motivi di studio, cerco di dare il massimo in
alcune attività secondarie», dice il ventenne
Enrico, tenore in un coro piemontese. «Forse
più per la mia età che per le mie (minime)
competenze, si tende a darmi importanza per
la gestione informatica di contatti e mail».
Il bello del coro è l’essere un impegno
liberamente accettato: «Uno degli aspetti positivi del far parte
di un coro», è il pensiero di Enrico, «sta nella possibilità di
scegliere il livello di impegno e dedizione, da cui discende la
propria posizione in questo universo sociale».
Come in tutte le società, non è sempre ugualmente facile
integrarsi. Serve tempo, come nota Mariella, medico in
pensione, che si sente «in una posizione ancora marginale,
essendo entrata da pochi mesi a far parte del coro». O come
Giorgia, 14enne corista di un coro scolastico valdostano, che
si sente «marginale, perché penso di non essere bravissima a
cantare e quindi non importantissima per il mio coro». Le
qualità e le debolezze vocali, vere o presunte, hanno
ovviamente peso nel ruolo che ciascuno si attribuisce nel
coro. Al contrario di Giorgia, Sonia, sua coetanea e collega
nello stesso coro, giudica di essere «un elemento sostanziale
del coro, anche perché ho una voce con molto volume e sono
una delle voci principali». Molto sicuro di sé, Martino, terza
voce di quel coro, dove dice, «ho una posizione abbastanza
sostanziale: infatti i nuovi arrivati si mettono vicino a me per
imparare le melodie. Anche se questo non ha condizionato la
mia autostima, è comunque una bella esperienza».
Già, l’autostima: il coro può essere in grado di aumentarla?
Rare le voci scettiche, su questo tema, come Pio, ingegnere
settantenne, per il quale «l’autostima è come il coraggio di
don Abbondio, uno o ce l’ha o non ce l’ha». In genere è un
consenso “corale” all’idea che faccia bene all’autostima vivere
l’esperienza di cantare in gruppo. Un’autostima legata in
primis al sentirsi parte di un gruppo che ti valorizza, come
spiega Asia, studentessa 14enne, corista anche lei in un coro
scolastico: «Prima di tutto cantare in coro ha fatto sparire le
mie insicurezze, ha tolto la mia timidezza, la paura di non
essere “abbastanza”: mi ha fatto sentire importante, il
tassello che, se manca, lascia comunque un vuoto». Incalza
Enrico: «Il coro, mentre da un lato mi ha mostrato che posso
essere apprezzato per un servizio, dall’altro mi ha insegnato
Il coro è il luogo dove i legami
tra le persone si creano, si rafforzano
e possono sostenere la persona
nelle difficoltà.
che non si smette mai di imparare. È un buon luogo dove
trovare modelli da seguire, artisticamente e personalmente, e
questo aumenta la fiducia in se stessi». Antonio, pensionato
65enne, lega l’autostima ai risultati del coro: «riuscire a
ottenerli, anche se mediati dalla presenza degli altri, non può
che dare gratificazione». Alla responsabilità fa riferimento
Luca, giovanissimo tenore di un coro marchigiano: «Il coro
responsabilizza il singolo partecipante, rendendolo autonomo
come singolo individuo che si unisce ad altre voci». Paola
vede addirittura nel coro una palestra di democrazia, «dove le
diversità debbono arrotondarsi di fronte al bene comune,
corale. Quindi non è l’idea della maggioranza che si impone,
ma un’idea condivisa».
La gestione dei rapporti, in un simile microcosmo, è
fondamentale. Sotto un generico «ci vogliamo tutti bene»,
DOSSIER
«abbiamo la stessa passione», si intuisce la delicatezza di un
tema non scontato. Ci sono le conoscenze pregresse, come la
studentessa Anna, che riconosce come «nel mio coro
[scolastico] prima stavo soprattutto con i miei amici, ma ora
ho legato anche con gli altri ragazzi». E poi ci sono i
famigliari: qualcuno, come Paola, in coro ha «un fratello, mia
madre e mio padre». Mariella riconosce «un piccolo margine a
favore dei componenti la mia sezione». Per Roberto è naturale
che «essendoci all’interno del coro persone molto eterogenee
tra loro si leghi più con alcuni che con altri». C’è il fattore età,
come ricorda Walter, direttore astigiano: «quando ero giovane
corista avevo fatto gruppo con gli altri giovani del coro e si
usciva molto spesso insieme il sabato sera, anche in ambiti
diversi dal coro; questo aveva cementato un’unione che
immancabilmente agiva positivamente anche sulla resa del
coro a prove e in concerto». Ma poi si insinuano anche le
problematiche relative al ruolo. «Da direttore le cose
cambiano», confessa Walter. «Naturalmente continua a
esistere la componente umana e quindi ci si sente più vicini a
certe persone, ma bisogna cercare di essere equidistanti per
non innescare inutili e ingiustificate gelosie».
E c’è, naturalmente, la differenza “di genere”. È ancora Paola
a sottolinearlo: «tra donne ci si “squadra” ogni momento:
l’inficiamento dell’apparire… C’è però più coesione anche nel
senso dell’amicizia e del ritrovarsi “oltre” il coro».
Il coro coinvolge personalmente, intimamente: non fosse altro,
perché lo strumento del cantare è il cantante stesso. E
“quanto apri la bocca” è misura di quanto sei disposto a
metterti in gioco e aprirti a una relazione con gli altri: nel
coro, come in ogni altro momento della vita. Possono apparire
scontate le titubanze degli adolescenti: «sono sempre stata
riservata, ma ultimamente mi sto lasciando andare. Spero non
sia rischioso» (Nadia, 13 anni). Ma anche Daniela, che pure
per professione si occupa di tematiche sociali, a 53 anni
riconosce le difficoltà: «il mio lavoro richiede molta
15
esposizione personale. Nel coro, sono certamente disposta ad
aprire il mio ego, ma devo fare esercizi di consapevolezza
perché all’intenzione corrisponda un’azione efficace». La
musica aiuta a far cadere le barriere psicologiche: «quando si
tratta di cantare, quando si tratta della mia passione più
grande, apro tutta me stessa e in quell’ambito sono io, senza
nascondere nulla» (Asia). E la quattordicenne Grazia non ha
dubbi: «apro al massimo, perché quando canto mi sento
molto bene, libera!». Ma è significativo che a questa domanda
molti si sottraggano, rispondendo a monosillabi o
semplicemente saltandola.
La relazione con gli altri è un momento fondamentale del
vivere in coro, che costringe a rivedere tanti aspetti della
propria personalità: «Quando si lavora con gli altri è
necessario anche un lavoro su se stessi», riflette Marta,
corista goriziana. «Spesso ci tocca limare, togliere il di più, a
volte modellare o aggiungere ciò che manca. Questo non
significa perdere la propria identità ma liberarsi di ciò che
blocca a vantaggio di ciò che libera e coltivare ciò che di se
stessi può contribuire alla buona riuscita di quel che si sta
facendo. Quando il gruppo al quale si appartiene è un gruppo
corale, il lavoro su se stessi deve essere particolarmente
accurato perché il coro è un organismo complesso con un
equilibrio molto delicato e soprattutto nel momento in cui si
esprime con il canto ci deve essere completa armonia tra le
parti e una totale comunione di intenti. Ciò che si ha in
cambio», conclude, «ha per me un valore inestimabile».
Anche per Ornella è fondamentale la dimensione di gruppo
per migliorare il carattere individuale: «L’impegno del singolo
non basta, ma è fondamentale; il risultato, positivo o
negativo, appartiene al gruppo, mai a uno solo. Questo mi
aiuta nell’imparare a fidarmi, o meglio ad affidarmi, agli altri,
che per me è da sempre la cosa più difficile».
La maggior parte degli intervistati, forse indirizzati dalla
stessa domanda, che parla di “lati spigolosi o irrisolti del tuo
carattere”, interpreta il miglioramento del carattere come
ammorbidimento della personalità o, al più, come vittoria
sulla timidezza. Solo la tredicenne Nadia ricorda che il coro
non deve smorzare la personalità: «Bisogna avere anche un
carattere un po’ cattivo, perché essere sempre perfetto a
volte può anche annoiare le persone». Chissà se a scuola ha
letto Il visconte dimezzato di Italo Calvino!
Ancora una volta tocca a Walter rilevare come il punto di vista
del direttore abbia lineamenti particolari: «Col tempo sono
riuscito a mitigare il mio lato più impulsivo, anche se spesso
un mio intervento sopra le righe viene scambiato per livore
verso i coristi: si tratta invece di rabbia per qualcosa che in
quel momento non riesco a esprimere musicalmente o per
l’errore. È però il peccato, non il peccatore, a farmi rabbia,
anche perché l’unico vero grande peccatore, in ultima analisi,
è sempre il direttore». Solo Paola trasferisce le esperienze
corali alla vita di lavoro: «Il mio lavoro richiede già
necessariamente un lavoro di squadra: il coro rafforza e
implementa questo concetto».
Questo trasferimento dell’esperienza corale alla vita
16
quotidiana è per Antonio, pensionato 65enne, un dato normale, anche se
riferito, in questo caso, alla vita privata: «Per me il coro è cosa importante, per
cui la sua influenza anche all’esterno è naturale. Gli aspetti di disciplina e
organizzazione sono modelli che cerco di esportare».
Ovviamente il cantare assieme fa nascere legami che si prolungano oltre
l’attività corale: si stringono nuove amicizie, si rafforzano legami famigliari,
quando a cantare con te è un fratello o un figlio. E qualche volta i legami
famigliari nascono, trovando non pochi moglie o marito tra i colleghi coristi. Ma
non pochi sottolineano il carattere “rigenerante” del tempo trascorso a cantare,
come Sergio, commesso 53enne: «È un impegno rilassante e rigenerante, che
porta maggior tranquillità anche all’esterno. Ottenere risultati, anche se di
gruppo, dà soddisfazione e appagamento». Secondo Paola il tempo speso nel
coro offre «la possibilità di vivere bei momenti di condivisione». È il concetto di
resilienza (vd. articolo di Simone Scerri su questo numero di Choraliter), vissuto
senza averlo studiato: «I sacrifici fatti», riconosce Francesca, «sono ampiamente
ripagati e, soprattutto, grande vantaggio se ne può trarre per superare i
momenti bui, le piccole e grandi difficoltà della vita quotidiana, in quanto ci si
sente ricaricati e pronti a ripartire».
Ma quanto si traduce tutto questo in crescita musicale? Ci sono qualità nascoste
che escono allo scoperto? Qui prevale la modestia (vera o falsa): quasi tutti
negano di possedere particolari capacità da mettere in mostra, a meno che non
abbiano studi musicali alle spalle e il cantare in coro dia modo di metterli in
pratica: «Avendo conseguito il diploma in musica corale ma non svolgendo la
professione di musicista, non potevo chiedere di meglio che cantare in un coro
per far emergere capacità musicale altrimenti tenute a riposo forzato»,
commenta Roberta, insegnante di materie letterarie al liceo. Più sicurezza
dimostrano i ragazzi, come il 14enne Martino: «suono il pianoforte e mi accorgo
che il coro ha aperto le mie
competenze musicali. Ora
ho due competenze»,
conclude. Grande fiducia
nelle valutazioni del
direttore, anche rispetto
all’attribuzione i ruoli
solistici: «lascio ai direttori»,
dice Antonio, «la valutazione
di cosa e come chiedere.
Sono certo che conoscano
le capacità di ciascun corista e riescano a trarne il meglio. Quanto alle parti da
solista, non mi sono mai posto il problema. Se dovessero chiedere, risponderei
“presente”, consapevole della loro capacità di valutazione».
C’è impegno, nel migliorare le proprie capacità e competenze? È un impegno
limitato il più delle volte all’ambito delle prove. Antonio: «Sfrutto sempre al
meglio gli insegnamenti dei maestri durante le prove e in ogni altra occasione si
presenti». Sono le parole di Marta quelle che meglio descrivono il processo di
continuo miglioramento in cui consiste il cantare in coro, e sono la migliore
conclusione di questa intervista collettiva: «Penso che nel canto non si finisca
mai di imparare e che viaggiando su molti binari (l’evoluzione personale, quella
della propria sezione e quella dell’intero coro) le possibilità di miglioramento
siano inimmaginabili ma che buoni risultati richiedano impegno, costanza,
pazienza e conoscenza».
Il coro è un microcosmo sociale
capace di valorizzare il contributo
di ognuno trasformandolo.
B
EMOZIONE E
COMUNICAZIONE
INTERVISTA A BOB CHILCOTT
a cura di
Mauro Marchetti
DIRETTORE DEL CORO
CITTÀ DI ROMA E
COMMISSARIO ARTISTICO
FENIARCO
Questa intervista nasce da un incontro avuto con
Bob Chilcott a Roma nell’ambito del Festival
Voices for Today organizzato dal Coro Città di
Roma per ricordare e festeggiare il grande
compositore inglese Benjamin Britten nel
centenario della sua nascita 1913-2013. Il festival,
suddiviso in due giornate, ha promosso un
repertorio poco conosciuto e raramente eseguito.
Nel primo concerto, interamente incentrato sulle
composizioni di Britten, abbiamo messo in risalto
una produzione davvero affascinante e
interessante, poco conosciuta alla coralità e al
mondo musicale italiano. Il concerto si è concluso
con la prima italiana del lavoro Voices for Today
scritto dal compositore nel 1965 per festeggiare il
ventennale delle Nazioni Unite. Un grande lavoro
che vedeva la presenza di un coro misto, un coro
di voci bianche e organo. Il secondo concerto ha
fatto seguito a una masterclass tenuta da Bob
Chilcott con il Coro Città di Roma, e conclusasi
con il concerto dal titolo Around Britten. Il titolo
rappresenta già tutto, abbiamo così dato spazio
a quelli che sono stati i compositori molto amati
dallo stesso Britten, come Franz Schubert, Henry
Purcell, John Ireland, e autori che in qualche
modo hanno avuto come fonte di ispirazione lo
stesso Britten, da Bennett a Dove, da Tavener
allo stesso Chilcott, da Bridge a Tippett. Davvero
BOB
un programma interessante, ricco di sfumature e
particolarmente nuovo. Il direttore Bob Chilcott
ha sapientemente rappresentato un angolo della
sua terra e, davanti alla presenza
dell’ambasciatore britannico Christopher Prentice,
ha condotto alla chiusura del festival il Coro Città
di Roma in modo impeccabile, appassionando chi
cantava e chi ascoltava, il numeroso pubblico
che ha riempito la chiesa inglese di San Paolo a
Roma.
Ho voluto poi fermarmi con Bob per farmi
raccontare i suoi inizi e la sua carriera di
studente prima, di cantante dei King’s Singers
poi, e quella sua vita frenetica e affascinante che
è attualmente quella di compositore e direttore
di cori, in tutto il mondo. Il fatto che abbia
cantato da bambino nel King’s College di
Cambridge diretto anche da Benjamin Britten si è
rivelata una piacevole sorpresa! Il risultato è
stato una piacevole serata chiacchierando
davanti a un chianti e quello che ne è venuto
fuori è davvero molto, molto interessante.
Chilcott è davvero una persona straordinaria.
Come nasce Bob Chilcott compositore e quali
sono le tue fonti di ispirazione?
Ho cantato sin da bambino in un ottimo coro
– sono entrato nel King’s College Choir,
18
Bob Chilcott__________
Nato a Plymouth (Inghilterra) nel 1955,
entra a soli otto anni nel Choir of King’s
College, Cambridge come voce bianca e vi
rimane poi come tenore fino alla fine dei
suoi studi universitari. Diventa nel 1985 il
tenore del celeberrimo sestetto vocale
inglese The King’s Singers e ne fa parte
per dodici anni, fino al 1997, quando lascia
l’attività di cantante per dedicarsi a tempo
pieno alla composizione e alla didattica
corale, fortemente ispirato dalle esperienze
vissute con questo gruppo, dal suo forte impegno e passione
verso i cori di amatori e di giovani, e dal suo profondo
convincimento che la musica possa unire le persone. Il vasto
catalogo delle sue opere, pubblicate da Oxford University Press,
riflette la sua grande apertura verso i diversi stili musicali e il suo
impegno nel comporre musiche che siano, allo stesso tempo,
cantabili e di forte impatto comunicativo.
Tra il 1997 e il 2004, è stato direttore del coro del Royal College of
Music di Londra e dal 2002 è il Principal Guest Conductor di The
BBC Singers. Negli ultimi dieci anni, ha diretto cori in più di trenta
paesi diversi (tra i più recenti: Russia, Canada, Stati Uniti,
Giappone, Repubblica Ceca, Germania, Olanda, Italia, Svezia,
Danimarca e Norvegia).
Tra le sue opere principali: i Salisbury Vespers, scritti nel 2009, ed
eseguiti per la prima volta nella Cattedrale di Salisbury da più di
600 cantori e musicisti; il Requiem (2010), eseguito a oggi in 16
paesi; la cantata The Angry Planet, eseguita in prima assoluta nel
2012 ai Proms della BBC da un coro composto da 550 cantori, tra
adulti e giovani. Nel marzo 2013, la prima della sua St John
Passion è stata eseguita nella Cattedrale di Wells dal coro della
cattedrale, condotto da Matthew Owens. Più recentemente, ha
composto The King shall rejoice per la cerimonia di celebrazione
del 60° anniversario dell’incoronazione della Regina Elisabetta II.
La sua opera A Little Jazz Mass è uno dei brani preferiti dai cori
giovanili di tutto il mondo, insieme a Can you hear me, brano
caratterizzato dall’uso del linguaggio dei segni ed eseguito al
Song Festival del 2004, in Estonia, da un coro formato da più di
settemila ragazzi.
La casa discografica Signum ha pubblicato quattro CD monografici
delle sue opere eseguite dai BBC Singers, i King’s Singers, i Sirens,
e il NFL Wroclaw Philharmonic Choir. Il suo Requiem è stato inciso
per la casa discografica Hyperion dal Choir of Wells Cathedral, che
registrerà anche la sua St John Passion nel 2014. Nel 2013, la
Naxos ha pubblicato un album delle sue opera eseguite dal
Wellensian Consort e The Rose in the Middle of Winter,
un’incisione delle sue musiche natalizie eseguite dal coro da
camera Commotio. Le sue opere sono state incise inoltre da molti
altri celebri cori e gruppi vocali, quali i Tenebrae, i Cambridge
Singers, il Choir of King’s College, Cambridge e il Choir of
Westminster Abbey.
Definito da The Observer come «un eroe dei nostri tempi della
musica corale britannica», Bob Chilcott è tra i compositori di
musica corale della sua generazione uno dei più popolari e dei più
eseguiti nel mondo.
Cambridge a soli otto anni – e ho iniziato a
comporre musica a quattordici anni, ma
quando sono poi andato all’università ho
smesso di comporre perché in quel periodo la
musica aveva una percezione delle dinamiche
diverse. Ho continuato i miei studi musicali e
ho lavorato come cantante e musicista per
anni e sono poi entrato a far parte dei King’s
Singers. Ho dovuto aspettare di arrivare ad
avere quarantadue anni prima di iniziare a fare
quello che ho fatto e faccio ancora da allora:
in un certo senso, ho dovuto quindi percorrere
interamente una sorta di grande cerchio per
tornare a essere quello che volevo essere
quando ero molto molto più giovane. Ma
senza compiere questo percorso non avrei mai
potuto farlo. Ho avuto bisogno delle mie
esperienze come musicista e cantante per
imparare, e per capire cos’era che mi motivava
a comporre.
Tra i compositori che sono stati per me più
importanti vi sono sicuramente molti autori
rinascimentali. Con il mio coro cantavo in un
edificio bellissimo con una splendida acustica,
e cantavamo molta musica antica. Il suono di
quella musica meravigliosa e il modo in cui si
diffondeva in quello splendido edificio è
rimasto “inciso” per sempre nel mio cuore. Il
linguaggio e la comunicazione per me sono
fondamentali, ed è come se quella musica mi
parlasse veramente, e mi riferisco soprattutto
a compositori inglesi come William Byrd,
Thomas Tallis, Henry Purcell. Sono stato
fortemente ispirato anche da alcuni
compositori tedeschi, Brahms in particolare,
sicuramente una figura molto importante nella
mia vita. Parlo tedesco piuttosto bene, e mi
piace molto la combinazione tra la sua
melodia e la struttura della lingua. La forma e
la struttura di un pezzo mi interessano sempre
molto: non sono come molti compositori
moderni che hanno una visione verticale della
musica, a me piacciono molto le frasi. Penso
di dovere molto alla visione e alla tradizione
europea.
La tua esperienza come King’s Singer ha
rafforzato questa idea della composizione o
era invece nata ancora prima?
L’esperienza con i King’s Singers è stata per
me estremamente importante per tantissimi
motivi ma, soprattutto, perché mi ha
insegnato ad avere un contatto con le
persone. Ho sempre amato molto le persone e
il contatto umano e quando iniziai a lavorare
COMPOSITORE
19
con i King’s Singers mi colpì molto, osservando il modo in cui
lavoravano, che non parlassero mai di musica di per sé, ma,
piuttosto, di che effetto sortiva quella musica e di cosa si
doveva cercare di fare per trasmettere attraverso quella
musica quello che si voleva comunicare. Sembra un concetto
semplice, quasi ovvio, ma non lo è, ed è per me
fondamentale. Imparare ad avere fiducia in sé stessi e in quel
che si fa, tanto da trovare il coraggio di comunicare in quel
modo, è stato meraviglioso e mi ha insegnato molto sul
contatto umano e sulla comunicazione attraverso la musica,
anche come compositore. Ed è stato veramente importante
per me proprio perché coincide col fatto che le persone
hanno per me un grande significato: senza le persone, la
musica non ha così importanza.
Hai composto molte opere per cori di bambini e giovani.
Nelle tue composizioni c’è anche uno specifico intento
didattico?
È una domanda molto interessante. Mi piace moltissimo
lavorare con i bambini e i giovani, perché sono estremamente
critici. Quando si lavora con persone che cantano, si deve
sempre trovare il modo di far venire loro voglia di cantare.
Insegnare a cantare è difficile, ma quando si riesce a creare
una musica che scaturisce “naturalmente”, nel senso di note,
spazi, pause, respiri, beh… quello per me diventa il modo
migliore di insegnare! I giovani, e ancor di più i bambini, non
vogliono infatti pensare a imparare, vogliono semplicemente
“cantare”. Se dico loro: «Trova questo suono, trova questa
forma dentro di te», ma senza dire loro «qui c’è il diaframma»
né spiegando loro l’anatomia umana e come funzionano le
corde vocale, loro provano… e vedono che possono farlo:
trovano dentro di loro il suono che chiedo loro di fare,
capiscono come farlo, e lo ripetono. Io cerco di
scrivere musica che si possa cantare, e questo
per me è veramente importante. In questo senso,
l’intento didattico è sicuramente sempre presente
nelle mie composizioni: per me è far pensare alle
persone, mentre cantano, che “cantare è bello”, e
che possono farlo.
piuttosto fragili ed emotive. Se non si lavora bene in termini
di motivazione, le persone si distruggono e abbattono molto
facilmente; ma se si riesce a incoraggiarle nel modo migliore,
spesso riescono a cantare molto meglio di quanto pensavano
di essere capaci.
Per me è sempre molto importante pensare che i cantanti
amatoriali non cantano per lavoro e che fanno spesso grandi
sacrifici per mantenere la propria passione. Il cantore
amatoriale, infatti, rinuncia a molto del proprio tempo libero,
energia, tempo da dedicare alla famiglia e spesso spende
anche dei soldi per farlo; sceglie insomma di passare quel
tempo cantando, ed è un tempo che si ritaglia spesso anche
con fatica, dedicandosi al canto con grande passione. Non è
assolutamente facile essere un cantante amatoriale perché,
La cosa più importante
è sentire che si canta insieme.
Cosa pensi della coralità amatoriale e di quella
professionale? Quali differenze trovi nel tuo lavoro, a parte
ovviamente le diverse capacità tecniche e la preparazione dei
cantori?
Preferisco sicuramente lavorare con cori amatoriali perché
hanno una motivazione molto forte. Vengo da un paese in cui
i cantanti professionisti sono di un livello eccezionale e
ovviamente mi piace molto lavorare con loro quando ne ho
occasione, ci mancherebbe! Facciamo bella musica e a
splendidi livelli ma… quando lavoro con amatori, mi sento
molto più me stesso! Il modo di lavorare è completamente
diverso: con un coro amatoriale c’è sempre la possibilità di
migliorare il modo di cantare e mi piace molto motivare le
persone a farlo. I cantanti – e questo vale sia per i
professionisti che per gli amatori – sono spesso persone
anche se non si fa per lavoro, richiede comunque un grande
impegno e pone in una condizione di grandissima
responsabilità verso i propri colleghi cantori: se non ci si
impegna, infatti, si rallenta il lavoro di tutti, così come se non
si partecipa a tutte le prove. Il cantante amatoriale ha un
grandissimo rispetto per i suoi colleghi, ammiro e stimo
veramente molto tutto questo.
Hai viaggiato dappertutto in giro per il mondo, come
cantante, compositore, direttore. In quale parte del mondo
hai trovato la maggiore attenzione per il mondo corale?
Sicuramente in Giappone. Trovo che l’interesse per il mondo
corale da parte dei giapponesi e il modo in cui vi si
approcciano sia estremamente interessante. Sono stato in
20
Giappone per la prima volta nel 2004 per dirigere un coro
giovanile femminile. Quando lo vidi, mi sembrò fosse un
normale coro formato da ragazzine, almeno duecento, che
sembravano delle comuni bambine, piccine, con la loro divisa
scolastica, etc. etc. O, meglio… io “pensai” fossero ragazzine:
poi si misero a cantare e… Se non le avessi viste prima, avrei
veramente pensato fossero in realtà delle donne! Cantavano
infatti con una potenza vocale, un’emozione e una forza
veramente inaspettate. Fu come se, all’improvviso, fossero
libere, libere di esprimersi cantando, e la cosa mi colpì
parecchio. I giapponesi hanno generalmente una vita
strutturata in modo estremamente rigido, ma è come se, con
la musica, potessero liberarsi delle proprie sovrastrutture e vi
riescono spesso perfettamente. È un po’ come per gli inglesi a
volte… Tutti abbiamo bisogno di esprimere le nostre emozioni,
ma molti di noi non riescono a farlo normalmente a
causa di vite dominate da regole, modi di vivere e
convenzioni sociali piuttosto severe. Ma quando si
canta, si può farlo, si è liberi di esprimere le proprie
passioni, i propri sentimenti. Le donne giapponesi
hanno una vita molto particolare per i nostri
standard, e per molti versi ancora più strutturata e
rigida che gli uomini: eppure cantano veramente col
cuore, in un modo che non mi sarei mai aspettato
da loro, prima di sentirle.
Da un punto di vista più specificamente tecnico e di
studio, hanno poi un approccio veramente molto
serio e accurato: ovviamente c’è il problema della lingua, e
devono quindi lavorare tantissimo, molto più di noi
occidentali, per cantare con fonemi e suoni spesso
completamente diversi dai loro. Ma lo fanno divinamente,
superando spesso in modo egregio lo svantaggio di non
avere nella loro lingua molti dei suoni delle lingue occidentali.
Una volta sono stato parte della giuria di un concorso in
Giappone, e i coro presenti cantarono benissimo in addirittura
diciannove lingue diverse, passando attraverso un repertorio
estremamente vario, dal classico occidentale al
contemporaneo al giapponese. Sono decisamente molto
ammirato e particolarmente interessato alla tradizione corale
giapponese che si sta facendo strada negli ultimi anni.
Cosa cerchi e cosa ti aspetti da un coro che stai per dirigere,
come in questo caso con il Coro Città di Roma?
È difficile rispondere a questa domanda, proprio perché
all’inizio, quando non lo conosci ancora, non sai mai cosa
aspettarti da un coro. Sir David Willcocks, il mio storico
direttore di coro, mi diceva sempre: «Se fai qualcosa –
qualsiasi cosa – devi farla bene, al meglio delle tue
possibilità». In questo senso, la cosa che è per me più
importante, e sicuramente quella che cerco sempre di fare al
mio meglio quando lavoro con un nuovo coro in un
laboratorio o in un corso, è “far sentire tutti bene nel cantare
insieme”. Poi ovviamente i cori sono tutti diversi, sia per
Quando si lavora con persone
che cantano, si deve sempre
trovare il modo di far venire loro
voglia di cantare.
livello che per “modo di essere”, e hanno tutti caratteristiche
diverse che non posso conoscere da prima. Alcuni cori fanno
bene alcune cose che magari sono più nelle loro corde, ma
non riescono a perfezionarne alcune; altri hanno qualità
differenti e punti deboli, ma sono tutti diversi. Questo
concetto vale ovviamente non solo per i cori o i singoli
cantori, ma anche per i direttori: ci sono sempre situazioni,
contesti e repertori in cui ci si muove con più disinvoltura e
altri in cui ci si sente meno a proprio agio. Per me, però,
questo non è il punto fondamentale: la cosa veramente
importante è motivare tutti, indistintamente, nel riuscire a
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22
fare lo stesso, e sentire che le persone lavorano in
un’atmosfera “da coro”, insieme. Mi piace trovare la forma
vocale comune in un gruppo, l’insieme, quello che io
definisco propriamente “il coro” e sentire che il gruppo riesce
a esprimere quello che per me significa quel linguaggio fatto
di parole e musica insieme. Ecco, questo per me è
fondamentale. Se poi – ma sempre all’interno di questa
atmosfera e queste condizioni – si riesce anche a far cantare
un coro in modo perfettamente intonato e a tempo… Beh, va
benissimo, è sicuramente un valore aggiunto! Ma, veramente,
la cosa per me più importante è sentire che si canta insieme.
Sei un musicista molto impegnato, e ricevi molte proposte di
collaborazione da ogni parte del mondo. Cosa ti ha spinto ad
accettare la proposta del Coro Città di Roma? Accetti ogni
proposta che ricevi, in ogni caso, o scegli i cori con cui
lavorare? E se sì, come?
Cosa mi ha spinto ad accettare la vostra proposta? Volevo
venire, questa è la risposta! Scherzi a parte, un po’ di anni fa
stavo parlando con il mio direttore David Willcocks, che ho
già citato poco fa, una grandissima figura di
riferimento per me – e mi disse che era
stato in Cina per dirigere un coro. All’epoca
David aveva ottantaquattro anni – ora è
ultranovantenne – e dissi quindi: «Wow, è
fantastico che tu sia andato!» e lui mi
rispose: «Beh, ma me lo hanno chiesto!».
Sinceramente, io pensai fosse una cosa
splendida che lui fosse andato
semplicemente perché glielo avevano
chiesto! In un certo senso, è spesso lo
stesso per me: se un coro pensa io sia la persona con cui
vuole lavorare e mi rivolge un invito, io ne sono sempre
molto onorato, e mi sento quasi in dovere di andare. Non
dimentico mai di essere una persona privilegiata: faccio
infatti un lavoro talmente eccezionale che mi permette di
ricevere inviti da persone che non conosco, andare in posti
sempre nuovi, fare esperienze splendide e conoscere tante
persone meravigliose che non avrei forse incontrato
altrimenti. Pensate a noi: fino a ieri io non vi conoscevo, e
ora mi sento come se vi avessi sempre conosciuto. Stiamo
facendo veramente un bel lavoro insieme, e ci stiamo anche
divertendo molto, questo per me è meraviglioso. La
settimana scorsa ero invece negli Stati Uniti per lavorare con
un coro giovanile femminile a un altro progetto, ed è stata
un’altra splendida esperienza.
Ovviamente, non mi è però possibile accettare sempre
qualsiasi proposta. A volte per impegni di lavoro, in altri casi
perché i progetti che mi presentano non coincidono sempre
con i miei interessi e con quello che io penso di poter fare
bene. Scelgo quindi in base a questi criteri. Se un coro mi
invita a dirigerlo nel Messiah di Haendel, o la Passione
secondo Giovanni di Bach, io ne sono sicuramente onorato
ma non mi sento di poter rispondere di sì. Sono opere
splendide e, sì, certo, tecnicamente potrei dirigerle, sono un
musicista. Ma è una musica che non mi permette di
esprimere quello che io vorrei esprimere, e non riuscirei a
comunicare con il coro così come faccio quando lavoro a
progetti che sento più vicini a me. Sono sì un direttore nel
senso che “dirigo cori”, ma non sono interessato a dirigere
qualsiasi repertorio; solo quelli in cui sento di aver qualcosa
da dire e da esprimere, e che riesco a dirigere, in un certo
senso, col cuore, con tutto me stesso.
Nel caso specifico del vostro invito, non ho avuto però alcun
dubbio: il vostro progetto mi interessava molto e ho risposto
subito di sì, senza alcun indugio, e con grande piacere,
interesse e curiosità.
Parliamo allora un po’ di Britten e di questo progetto più
nello specifico. Cosa pensi del Festival Voices for Today?
Sono stato da subito particolarmente affascinato dal progetto
che mi avevate proposto perché ho un legame veramente
molto forte con questo grande compositore: da ragazzo, ho
avuto infatti il privilegio di essere diretto da Britten stesso più
volte – anche nella prima assoluta dello stesso Voices for
Quando si canta, si è liberi
di esprimere le proprie passioni,
i propri sentimenti.
Today che da’ il titolo al festival – ed è sempre stata una
figura di grandissimo riferimento per me, un compositore che
ho sempre amato molto nel corso della mia vita. Il legame si
è rafforzato ulteriormente nel corso degli anni anche
attraverso la figura di mio suocero, purtroppo mancato l’anno
scorso, e con cui mi sarebbe piaciuto molto parlare del vostro
progetto. Sir Philip Ledger, come sapete, è stato per molti
anni il direttore artistico dell’Aldeburgh Festival e uno
strettissimo collaboratore di Britten e Pears. Benjamin Britten
rappresenta dunque una parte importantissima non solo della
cultura del mio paese e della mia formazione musicale, ma
anche della mia vita.
Quando ho ricevuto il vostro invito, sono stato subito molto
incuriosito dal fatto che un coro italiano e amatoriale, seppure
di buon livello, volesse dedicare un progetto così complesso a
una delle più grandi figure musicali del mio paese e ho
accettato quindi senza indugio, e con grande piacere.
Soprattutto, mi ha colpito molto la scelta di affrontare un
repertorio assolutamente non comune ed estremamente
interessante ma anche molto impegnativo. Molti dei brani in
programma non vengono, infatti, eseguiti facilmente neanche
da cori professionisti, e questo non solo in Italia ma anche in
Inghilterra, dove la musica di Britten è sicuramente più
diffusa. Questo, proprio a causa della loro complessità.
COMPOSITORE
23
Mi è sembrato inoltre particolarmente importante il voler dedicare dello spazio non solo alla
musica di Britten ma anche alla musica corale britannica a lui contemporanea e posteriore, che
tanto deve alle sue innovazioni compositive.
Ho trovato sicuramente molto interessante ed estremamente affascinante il fatto che un coro
italiano si sia voluto misurare con un progetto così complesso, scegliendo un repertorio
sicuramente molto bello, ma non particolarmente conosciuto ed eseguito nel proprio paese, e
soprattutto che vi si sia dedicato con tanta cura e passione, nonostante le complessità, e con
ottimi risultati.
Un’ultima domanda: ho ascoltato un tuo Requiem per coro e orchestra. Spesso, non è così
semplice lavorare con un’orchestra per un coro amatoriale, anche per ovvi motivi economici.
Mi domando quindi se hai già previsto una rielaborazione per coro e piccolo ensemble
strumentale sia di quest’opera che di altre tue opere per coro e orchestra, di modo da renderle
più accessibili ai cori amatoriali.
Mi piace molto misurarmi con la parte strumentale di un’opera durante la sua composizione, sia
che si tratti di brani per coro e orchestra completa, che per un ensemble più ridotto. Devo
sempre molto al mio passato da orchestrale – da giovane, oltre che cantare, ho suonato per
anni la viola in orchestre – ed è sempre una grande e bella sfida. Allo stesso tempo, per quanto
certe opere nascano per coro e orchestra, è sicuramente molto importante renderle più
accessibili a tutti. Cerco quindi sempre di rielaborare queste composizioni nate originariamente
per coro e orchestra, di modo che possano essere eseguite anche con un piccolo gruppo
strumentale. Nel caso specifico del Requiem, ho già scritto un’altra versione per organo e
cinque strumenti, ed è sicuramente più accessibile a un coro amatoriale, sia da un punto di vista
economico che di spazi. Penso comunque sia sempre fondamentale non dimenticare mai gli
aspetti logistici ed economici e quindi sì, cerco sempre di rendere meno complessa la
divulgazione e fruizione della mia musica, dando la possibilità di cantarla a un numero sempre
maggiore di persone. Senza le persone che la cantano, la mia musica avrebbe per me tutta
un’altra importanza.
Il catalogo completo delle composizioni di Bob Chilcott è disponibile sul sito della Oxford University Press
www.oup.com/uk/music/bobchilcott
COMPOSITORE
25
BOB CHILCOTT, ADVENT ANTIPHONS
analisi di Matteo Valbusa
DIRETTORE DI CORO E COMMISSARIO ARTISTICO DELL’ASAC VENETO
Dovendo scegliere tra la moltitudine di composizione e
arrangiamenti del grande Bob Chilcott, ho pensato di proporre
alla vostra attenzione una delle sue opere più importanti e
allo stesso tempo meno conosciute in Italia: le meravigliose
Advent Antiphons per voci miste in doppio coro, a cappella.
Questi affascinanti testi, di antica e profonda spiritualità,
sono esaltati dalla magistrale scrittura per doppio coro di
Chilcott, che unisce echi di canto gregoriano ad armonie
ricche ed espressive.
La partitura è pubblicata dalla Oxford University Press. È
stata pubblicata una incisione dal Coro della BBC diretto dallo
stesso Bob Chilcott, nell’album Man I Sing (2007).
I testi e le fonti musicali antiche
Composte per l’edizione 2004 del festival Soli Deo Gloria,
organizzato dal Coro della Cattedrale di Reykjavik (Islanda), le
Advent Antiphons sono una versione da concerto delle
Antifone maggiori dell’Avvento (dette anche “Antifone O”
perché iniziano tutte con il vocativo “O”). Questi testi, propri
della liturgia cattolica più antica, erano tradizionalmente
cantati come antifone al Magnificat nei Vespri e come
versetto alleluiatico nelle Messe degli ultimi sette giorni prima
della vigilia di Natale, tra il 17 e il 23 dicembre.
I sostantivi con cui inizia ciascuna di esse, che diventano poi
il titolo di ciascun brano, hanno origine biblica e sono
utilizzati come appellativi per Gesù Cristo. Le lettere iniziali di
tali nomi, lette al contrario, formano la frase latina Ero cras,
che significa “Domani sarò qui”, la promessa della venuta del
Signore.
Le antifone gregoriane sono tutte composte nel secondo
modo, e ciascuna nell’invocazione iniziale gli stessi neumi.
Chilcott prende a modello le antifone del Rito di Salisbury
(una variante del rito romano utilizzata nell’Inghilterra del sud
dall’XI secolo e fino alla seconda metà del ’500), che si
distinguono subito per una differenza rispetto a quelle
contenute nel nostro liber usualis: la nota iniziale non è do
ma re (ossia la finalis).
Chilcott rispetta questa particolarità e la riporta nel principio
di ogni sua antifona.
Lo stile compositivo
Ciascun brano inizia dunque con la citazione dell’incipit
dell’antifona gregoriana, affidato a una o più voci e variato
nell’altezza, nella velocità e naturalmente nell’armonizzazione.
La tecnica compositiva utilizzata si fonda basilarmente sul
contrappunto a doppio coro e sull’armonia tonale, per cui
sono seguiti i legami tra i gradi principali delle tonalità.
Tuttavia gli accordi sono continuamente arricchiti da note
estranee a essi, le quali risultano dal continuo fluire delle
linee melodiche e dal sapiente inserimento di dissonanze non
preparate in qualsiasi posizione. Inoltre molto spesso la
dissonanza è usata con puro intento espressivo, senza
funzionalità armonica.
Da questo punto di vista lo stile di Chilcott in questa
composizione si dichiara diretto discendente dei suoi illustri
connazionali Howells, Vaughan-Williams, Holst, e si affianca
prepotentemente a nomi celebri di americani come Whitacre e
Lauridsen, ma con la forza di una tradizione secolare alle
spalle.
Inoltre, nel terzo e nel quinto movimento il compositore
chiede ad alcune sezioni di cantare la propria parte “ciascuno
con il proprio ritmo”. Sono piccole esperienze di musica con
“alea controllata”, per cui l’improvvisazione è limitata ad
alcuni parametri quali la gestione della velocità e del numero
di ripetizioni delle singole frasi, ma che garantiscono un
sicuro effetto meravigliosamente straniante.
I singoli movimenti
1. O Sapientia La melodia iniziale, citazione dell’antifona gregoriana, si
mantiene sul secondo modo originale trasportato su sol (fig.
1), e si sviluppa poi liberamente nel tema dei soprani del
primo coro, armonizzato dalle altre voci con un prezioso
controcanto del tenore, su un metro ternario. L’indicazione di
tempo iniziale è precisa: Flowing (scorrevole), semiminima =
c. 92.
L’aggiunta del secondo coro a battuta 11 intensifica
armonicamente l’invocazione iniziale, mantenendo la dinamica
nella sfera del piano e un colore chiaro, metafora della
limpidezza della verità.
Dopo il secondo verso, realizzato con un breve episodio
contrappuntistico a otto parti in imitazione su pedale di
tonica, il brano raggiunge il suo apice sulle parole fortiter
suaviter (con forza e con dolcezza): qui i due cori procedono
in forma battente, con il primo che ripete il testo del secondo
arricchendone continuamente l’armonia fino al forte
espressivo di batt. 33-34, in un climax che si scioglie nel
diminuendo che porta all’ultimo verso.
Qui il primo coro riprende il suo tema iniziale in tempo
ternario, fino a terminare sulla parola prudentiae, intonata
all’unisono su re, ma “sporcata” proprio sull’ultima sillaba da
un mib e da un do, che creano tensione verso il secondo
movimento.
26
Testi originali e traduzioni
O Sapientia,
quae ex ore Altissimi prodisti,
attingens a fine usque ad finem,
fortiter suaviter disponensque omnia:
veni ad docendum nos viam prudentiae.
O Sapienza,
che esci dalla bocca dell’Altissimo,
e arrivi ai confini della terra,
e tutto disponi con forza e dolcezza:
vieni a insegnarci la via della prudenza.
O Adonai,
et dux domus Israël,
qui Moysi in igne flammae rubi apparuisti,
et ei in Syna legem dedisti:
veni ad redimendum nos in brachio extento.
O Signore,
e condottiero di Israele,
che sei apparso a Mosè tra le fiamme,
e sul Sinai gli donasti la legge:
redimici col tuo braccio potente.
O Radix Jesse,
qui stas in signum populorum,
super quem continebunt reges os suum,
quem gentes deprecabuntur:
veni ad liberandum nos,
jam noli tardare.
O Radice di Jesse,
che sei un segno per i popoli,
innanzi a te i re della terra non parlano,
e le nazioni ti acclamano:
vieni e liberaci,
non fare tardi.
O Clavis David,
et sceptrum domus Israël,
qui aperis, et nemo claudit,
claudis, et nemo aperit:
veni, et educ vinctum
de domo carceris,
sedentem in tenebris,
et umbra mortis.
O Chiave di David,
e scettro della casa di Israele,
che apri e nessuno chiude,
chiudi e nessuno apre:
vieni e libera lo schiavo
dal carcere,
che è nelle tenebre
e nell’ombra della morte.
O Oriens,
splendor lucis aeternae,
et sol justitiae:
veni, et illumina
sedentes in tenebris,
et umbra mortis.
O (astro) Sorgente,
splendore di luce eterna,
e sole di giustizia:
vieni e illumina
chi è nelle tenebre,
e nell’ombra della morte.
O Rex Gentium,
et desideratus earum,
lapisque angularis,
qui facis utraque unum:
veni, et salva hominem,
quem de limo formasti.
O Re delle Genti,
da loro bramato,
e pietra angolare,
che riunisci tutti in uno:
vieni, e salva l’uomo,
che hai plasmato dal fango.
O Emmanuel,
Rex et legifer noster,
expectatio gentium,
et Salvator earum:
veni ad salvandum nos,
Domine, Deus noster.
O Emmanuel,
nostro re e legislatore,
speranza delle genti,
e loro Salvatore:
vieni e salvaci,
Signore, nostro Dio.
COMPOSITORE
Fig. 1
27
2. O Adonai Movimento che però inizia in una tonalità completamente diversa, la
bemolle maggiore, creando false relazioni nel primo coro e facendo
partire il secondo coro di netto con il nuovo accordo. Questo è un
passaggio che può dare parecchi problemi di intonazione, risolvibili
partendo dalla nota comune mib, che i tenori primi prenderanno in
ottava e i tenori secondi ascoltando l’ultima nota dei colleghi. Da qui
si deriva anche la tonica la bemolle dei bassi secondi, e così le
ottave e le terze.
Si impostano così le prime tre battute di introduzione, che
presentano l’incipit dell’antifona gregoriana cantato in ottava dai
soprani primi e dai contralti secondi, mentre il basso primo segue per
terze, su un pedale di quinta sostenuto dalle altre sezioni maschili.
Da battuta 4 parte la vera enunciazione del testo, affidata per intero
al secondo coro che canta riprendendo il tema originale del primo
movimento, mentre il primo coro appare in ogni frase con
l’invocazione iniziale O Adonai, in forma quasi litanica (fig. 2).
La caratteristica di questa invocazione ripetuta è il ritmo ostinato in
terzine, che crea un ulteriore contrasto con la preghiera del secondo
coro. Quest’ultima fluisce con grande espressività, sul metro di 3/4
alternato al 3/2 (emiolia), e progredisce nella dinamica dal piano al
forte di batt. 65 che ricorda l’incontro di Dio con Mosè sul Sinai, per
poi ridiscendere sino al pianissimo finale. Nelle battute in 3/2 si
installa l’invocazione in terzine del primo coro, che segue
progressivamente in dinamica e in altezza il percorso della preghiera
del secondo coro.
3. O Radix Jesse I due cori, divisi fisicamente dalla disposizione “battente”, vengono
qui ulteriormente divisi in sezioni trasversali: voci maschili (cui è
affidato il materiale melodico) e femminili (cui è dato un materiale su
cui sviluppare una “alea controllata”). (fig. 3)
Il canto è affidato ai tenori del primo coro, che al solito espongono
l’inizio dell’originale dell’antifona e proseguono poi nella libera
composizione melodica di Chilcott.
I tenori secondi e i bassi primi eseguono due controcanti che si
muovono per terze e seste sotto la melodia principale, con note di
passaggio e appoggiature che ne arricchiscono l’interesse armonico.
I bassi del secondo coro sostengono con un pedale sul fa grave, che
crea l’effetto di una sospensione nel tempo, fino a batt. 92.
Le voci femminili ripetono il testo dell’invocazione iniziale, ora con
note diverse, e a ciascuna voce è richiesto di cantare
indipendentemente dall’altra, con libertà ritmica (“each singer sing
phrases independently and in own rhythm”), creando quindi un
effetto aleatorio (l’alea in realtà è controllata, in quanto limitata alla
scelta della velocità e della ripetizione).
Per l’invocazione finale (Veni ad liberandum nos, jam noli tardare) il
basso secondo lascia il pedale e si unisce alla preghiera, creando
ulteriore densità armonica nell’ottava bassa.
Le corone a batt. 92 e a batt. 95 devono essere lunghe il tempo
necessario per far sfumare (fade) l’effetto delle voci femminili.
Fig. 2
4. O Clavis David Il brano si apre mantenendo la divisione trasversale “di genere”:
prima le sole voci femminili, su pedale di sol bemolle, poi le voci
28
maschili su pedale di mi bemolle enunciano l’invocazione iniziale.
Quindi procede il testo e con esso si intensifica la dinamica e la
densità armonica, su un lungo pedale di si bemolle dei bassi
secondi.
Nella seconda parte del testo troviamo l’invocazione Veni, reiterata a
canone sulla melodia originale gregoriana dell’incipit, fondata su un
ennesimo pedale di quinta su sol bemolle, e nel finale la descrizione
in musica della misera condizione umana: il carcere, le tenebre e
l’ombra della morte, resi con un gioco di colori oscuri e fermi su un
costante sol bemolle, che si prolunga fino a strabordare nel brano
successivo, enarmonicamente, mutato in fa diesis (fig. 4).
Fig. 3
5. O Oriens Sulla melodia gregoriana affidata al tenore secondo su pedale di si
naturale, un’armonia davvero celestiale di si maggiore accende la
piccola-grande luce dell’astro che sorge in cielo (fig. 5).
Ancora l’antica melodia viene riproposta con ritmi “a piacere” dalle
voci femminili, creando l’effetto straniante già incontrato nel n. 3,
mentre procede il canto in 3/4 delle sezioni maschili, all’unisono o a
due voci.
Subito l’alea è affidata alle voci centrali (contralti e tenori dei due
cori), mentre soprani e bassi cantano il tema in tempo ternario già
più volte incontrato, quasi come una antica monodia accompagnata.
Termina il gelido canto dei soprani sulle parole et umbra mortis, in
unisono e dura appoggiatura di semitono che risolve su un
enigmatico intervallo di seconda minore: do# - mi…
6. O Rex gentium …che per enarmonia porta plagalmente all’accordo di la bemolle
minore in secondo rivolto che apre il sesto brano.
Qui la scrittura ritorna ad avere l’impianto classico del doppio coro,
con le singole formazioni che cantano compatte in omoritmia, con un
tempo II più mosso: seminima = c. 104 (fig. 6). La dinamica
dell’apertura “forte e appassionato” è particolare e ampia, con i
bassi divisi, e procede in un diminuendo per poi riprendere la salita
fino all’invocazione fragorosa e ripetuta a canone: Veni, salva
hominem.
Il primo coro conclude riprendendo il tema in 3/4 più volte
incontrato, in tempo I.
Fig. 4
7. O Emmanuel Questo brano si apre esattamente come il secondo: in la bemolle
maggiore, con la melodia raddoppiata in ottava, un controcanto in
terza e il sostegno pedale di quinta.
Tuttavia ogni verso è completato nella sua seconda parte dalle sole
voci maschili, instaurando così uno stretto dialogo con il “tutti”.
Questa alternanza si ripropone in un incessante crescendo, il tema
gregoriano viene riproposto in la bemolle minore intensificandone
l’intensità emotiva, sino alla fervente, ultima esclamazione: Domine
Deus noster, in fortissimo, apice assoluto di tutta l’opera.
Per poi ridiscendere con una semplice, ripetitiva formula cadenzale
fino al piano e alla lunga corona finale in diminuendo, su un
morbido, pieno e speranzoso accordo di la bemolle maggiore (fig. 7).
COMPOSITORE
29
Fig. 5
Fig. 7
Conclusioni
Senza dubbio, questo è uno dei lavori più importanti di Bob
Chilcott sino a oggi; caratterizzato da una grande unità
nell’uso dei temi melodici, dall’uso costante ed espressivo
della dissonanza, da una perfetta calibratura dei pesi nella
gestione del doppio coro.
Un’opera profonda, mistica, che sa usare qualche “effetto
speciale” ma senza compiacersene troppo, restituendo la
tecnica al servizio dell’espressività.
Fig. 6
30
OSVALDO GOLIJOV
CORAL DEL ARRICEFE
PER DOPPIO CORO A CAPPELLA, DA OCEANA
di Mauro Zuccante
Nova et Vetera, un ponte tra antico e moderno,
consueto appuntamento di Choraliter. Un tema
particolarmente inerente all’arte del compositore
Osvaldo Golijov, classe 1960.
Dice il musicista argentino: «Nel passato i
compositori associavano certe tonalità a certi
stati d’animo, emozioni, o situazioni
drammatiche, come il mi bemolle alla nobiltà, il
do minore alla tragedia, il mi maggiore al
paradiso. Essi modulavano da una tonalità
all’altra alla ricerca di situazioni e stati d’animo
archetipi. Ciò costituiva il codice comunicativo
con gli ascoltatori. Oggi, il pubblico non
necessariamente ascolta le modulazioni. Ma è
assai consapevole delle diverse espressioni
culturali, tanto che esse sono divenute
assimilabili alle antiche tonalità. Tu puoi
modulare dal flamenco al canto gregoriano e
l’ascoltatore ti segue».
Si riassume in questa affermazione l’universo
musicale di Golijov. La propensione a navigare
con disinvoltura tra gli idiomi del passato e del
presente, tra gli stilemi della musica pop e le
molteplici tradizioni folkloriche (tango, samba,
klezmer, flamenco, fado, canto sefardita).
Un’inclinazione sorretta da talento, da un
mestiere assai solido e da una straordinaria
capacità di integrare materiali polimorfi in una
visione estetica unitaria. «Costante migrazione:
questa è stata la storia della mia vita», egli dice
di sé, come a voler rimarcare il fatto che le
stesse vicissitudini esistenziali hanno contribuito
a configurare il suo mondo sonoro. «La mia
musica comincia a raccontare questa storia, così
come una specie di autobiografia».
La fama di Golijov prorompe e si consolida negli
ambienti musicali internazionali a partire
dall’anno 2000, con il successo ottenuto da La
Pasión según San Marcos (mezz’ora di ovazione
al termine della prima esecuzione!). Una
commissione dell’Internationale Bachakademie
Stuttgart, nell’ambito di un ampio progetto
commemorativo della figura di Johann Sebastian
Bach. Quattro tra i più noti compositori della
nostra epoca (Wolfgang Rihm, Tan Dun, Sofia
Gubaidulina e, appunto, Osvaldo Golijov) hanno
ricevuto l’incarico di mettere in musica la vicenda
della Passione di Cristo. Ciascuna opera è stata
composta sulla base della lezione di uno dei
quattro evangelisti. A più di un decennio di
distanza, un entusiastico gradimento di pubblico
e critica si registra ancora al termine delle
repliche de La Pasión di Golijov. Ovunque, un
unanime consenso accompagna il lavoro del
compositore argentino. Un lavoro che conquista
gli ascoltatori per la varietà, la vitalità, l’energia
comunicativa degli idiomi musicali del continente
latino-americano, adottati dal compositore (in
OSVALD
NOVA ET VETERA
particolare delle tradizioni cubana, brasiliana, flamenca e delle
loro radici africane). Un lavoro che mette in luce la bravura di
straordinari musicisti, tra cui la direttrice di coro María
Guinand, figura leader nell’ambito del vasto e rigoglioso
movimento corale del Sudamerica.
Ma già nel 1996 Osvaldo Golijov aveva ricevuto un analogo
incarico nel nome del Kantor di Lipsia da parte dell’Oregon
Bach Festival. Trattavasi della composizione di una moderna
cantata americana, nello spirito del più grande compositore di
cantate.
Ecco, quindi, l’occasione in cui il musicista argentino – figlio,
come detto, del crogiolo etnico e culturale sudamericano, ma
formatosi musicalmente nel solco della tradizione classica
europea e statunitense – concepisce la sua cantata moderna,
Oceana, per vocalist, fanciullo soprano (o gruppo), doppio
coro e orchestra, su testo di Pablo Neruda. Ma precisiamo.
La definizione vocalist denota lo stile pop/jazz della cantante
brasiliana Luciana Souza, sirena ispiratrice dei movimenti “a
solo”, canti-arie senza parole. Inoltre, l’organico orchestrale
(più semplicemente un ensemble) è ristretto a tre flauti,
percussioni, due chitarre, arpa e archi.
«Il mio scopo in Oceana era – come in Bach – quello di
tramutare la passione in geometria, di trasformare l’acqua e la
nostalgia, la luce e la speranza, l’immensità della natura e il
dolore sudamericani in simboli puramente musicali».
Oceana si articola in sette sezioni. La seconda, la terza e la
quinta (l’autore le chiama waves, ondate) hanno carattere
prettamente concertante (coro e strumenti). La settima è
invece affidata al coro a cappella. Le rimanenti sono due
richiami (call, canti della sirena) e un’aria, affidate alla voce
solista.
DO
31
Data la specificità tematica della nostra rivista (la musica
corale), soffermiamoci sull’ultima sezione di Oceana, il Coral
del Arricefe (Corale della scogliera), per doppio coro a
cappella. Proprio così, in conformità con lo schema formale
della cantata luterana, anche la moderna cantata americana di
Golijov si chiude con un corale.
I versi di Pablo Neruda, nell’epilogo dell’opera, evocano
immagini simboliche e trascendentali, appartenenti ad antichi
culti marini. Il poeta invoca la divinità, affinché faccia dono
delle meraviglie della scogliera: lo Spondylus dalla favolosa
conchiglia coronata di spine, il Murex prezioso custode della
porpora reale, e laggiù, vagante negli abissi, il bianco vascello
del Nautilus.
Pertanto, come nei corali di Bach viene supplicato Dio,
affinché infonda la grazia sui fedeli, così nella poesia di
Neruda è invocata la dea Oceana, affinché celebri il mistero
delle immensità marine. Precisa Golijov, a proposito del testo
letterario: «Anche se non è religioso, è molto trascendentale
– quella trascendenza tipica di Neruda, della sensualità e del
mistero del mare, che è, in un certo senso, l’equivalente di
quello che era l’idea di Dio per Bach».
La natura religiosa del Coral del Arrecife, in particolare, è
suffragata dalle annotazioni del compositore: «… l’approccio a
questo brano dev’essere quello di una preghiera a “Oceana”,
alla dea dell’Oceano»; e da alcune indicazioni espressive che
egli stesso inserisce nella partitura (with devotion, still
prayerful).
Di conseguenza, sul piano stilistico, Golijov si avvale di una
scrittura corale che richiama alcuni modelli storici della musica
religiosa. Un primo parallelismo si può immediatamente
stabilire con il corale semplice luterano. Modello storico – il
corale –, in cui le frasi del testo sono separate, una dall’altra,
da nette cadenze, marcate dal segno di corona. Ma, se
nell’antico corale luterano la “punteggiatura” armonica era
regolata dalla risolutezza dei centri di attrazione tonale, nel
Coral del Arricefe, invece, l’interpunzione è data da armonie
sospese che non arrestano il moto continuo delle wavephrases (o meglio, degli episodi espressivi in cui si suddivide
il brano). Insomma, un senso di fluida continuità pervade
l’intero brano. Da ascriversi idealmente alla tradizione del
corale figurato. Ma dissimile da quello per l’assenza della
dimensione contrappuntistica.
32
Si noti che nell’impostazione vocale c’è pure un richiamo al
corale semplice luterano. Più precisamente nell’andamento
choraliter, per cui le voci procedono omoritmicamente. Ma,
vengono alla mente anche le forme dell’antica salmodia
ebraica, con la cantillazione sillabica accentuativa del testo
(forse un segno della matrice etnica ebraica, alla quale
appartiene Golijov). L’intero Coral fluisce, infatti, secondo la
prassi della declamazione sillabica, variando con libertà tra le
corde di recitazione (com’era nel tonus peregrinus), pur
mantenendosi ancorato a uno stesso impianto modale.
Inoltre, possiamo stabilire un’ulteriore corrispondenza con la
variante antifonale dell’antica salmodia, in cui due cori si
alternavano nella proclamazione del testo. Anche nel Coral i
due cori pronunciano e si rimandano il testo con continuità.
Ma non in modo consecutivo, cioè dalla prima all’ultima
parola. Piuttosto, come in una giaculatoria, soffermandosi
nella ripetizione di espressioni verbali, singole parole, o nella
perorazione di nomi (Oceana, las conchas, los Spondylus…).
Nel particolare accostamento (e compenetrazione – come nella
L’incessante lavoro di variazione dell’articolazione metricoritmica della parola nei passaggi di sovrapposizione dei due
cori (phasing-technique, archetipo del moderno linguaggio
musicale minimalista), produce l’impressione delle cangianti
riflessioni e mutazioni d’energia del moto dell’acqua.
I versi di Pablo Neruda evocano
immagini simboliche
e trascendentali, appartenenti
ad antichi culti marini.
fisica dei fluidi) dei due cori e nel trattamento ritmico della
parola, si manifestano gli aspetti più moderni di questo brano.
L’alterno gioco antifonale dei due cori simula il continuo
movimento di flusso e riflusso delle onde, che si frangono
dolcemente in prossimità della riva. Il tracimare delle voci le
une sulle altre, appena enfatizzato dai lievi “respiri” delle
dinamiche, si traduce in un effetto sonoro di liquida
scorrevolezza ed evoca la sensazione fisica delle onde del
mare.
Insomma, la sensazione è quella di una musica cullante, che
ci trasporta sulle creste e gli avvallamenti delle onde marine,
pur senza ricorrere a facili gesti di mimesi sonora (vengono
alla mente i tanto celebrati colpi di lingua di Unsichtbare
Chöre di Karlheinz Stockhausen, che imitano pedissequamente
il suono dell’acqua corrente). Anzi, nel Coral sono sempre la
parola e le immagini poetiche a guidare il discorso musicale.
NOVA ET VETERA
33
Le visioni delle meravigliose figure che abitano le acque a
ridosso della scogliera, scandiscono gli episodi e
costituiscono i passaggi espressivi salienti della partitura. Lo
splendore del Murex regale è annunciato dall’apertura in
ottava delle otto voci.
Ecco quindi apparire il luminoso candore della «nave de
nieve» del Nautilus. Tre voci soliste “illuminano” la continuità
del flusso corale, attraverso una fenditura che fa breccia nella
tessitura acuta. Da qui in poi, il momento più carico
d’emozione della partitura.
Una pagina, il Coral del Arricefe, che si colloca alla fine del
secolo appena passato. Chiude un percorso che si era aperto
con un caposaldo della musica corale a cappella del secondo
Novecento, il Lux aeterna di György Ligeti. Il capolavoro del
compositore ungherese aveva per primo esplorato, in ambito
corale, la dimensione di una musica siderea e incorporea, che
scorre senza inizio e senza fine, che si estende in un arco
temporale di metafisica eternità. Anche la composizione di
Golijov s’inoltra in antri misteriosi, ricalcando l’idea musicale
del continuum sonoro («Si parte da qualcosa di ineffabile, da
La parola riacquista
“leggibilità”, centralità
narrativa e potere semantico.
Quindi, il Nautilus si allontana e fa rotta verso le profondità
ultramarine. La coda del pezzo sprofonda sulle note-pedale
mi e si. Svanisce negli abissi la sagoma del Nautilus.
L’accompagna la sfuggente (quasi impercettibile) sonorità del
lontano scarto armonico di un accordo di tredicesima, su cui
si chiude la composizione.
qualcosa di intangibile: il mistero della vita, della morte,
dell’immortalità o di qualsivoglia forma di reincarnazione,
quindi si deve trasformare in sostanza musicale, giusto?»).
Ma, diversamente da Ligeti, il compositore argentino non
indaga la sfera dell’ultra mondano. Si cala nella fisicità del
fluido marino, nel voluttuoso abbraccio della sostanza liquida
ancestrale.
E la parola – non più motto o mero evento sonoro – riacquista
“leggibilità”, centralità narrativa e potere semantico. In virtù
del rinsaldato connubio tra espressione verbale e musica, si
celebra, in definitiva, il recupero della fantasia creativa e
dell’emozione poetica. «Io voglio esplorare tutto. Voglio
esplorare la semplice gioia dell’amicizia in un pezzo. È difficile
da spiegare a parole, ma credo che esistano vere e proprie
esperienze universali che possono essere esplorate in
musica».
Di Oceana è disponibile un’ottima edizione discografica,
pubblicata da Deutsche Grammophon, nel 2007.
34
RIVALUTIAMO IL CANTO E IL CANTAR POPOLARE
di Sergio Bianchi
DIRETTORE DEL CORO VAL TINELLA E DOCENTE AL CONSERVATORIO DI COMO
Mi è capitato, trovandomi all’estero per lavoro, di cercare
qualcosa da portare a casa ai miei famigliari. Da diversi anni
la cosa diventa un’ardua impresa, perché quello che si trova a
Parigi, Londra o Vienna è simile a ciò che si trova a Milano o
Roma. Le catene dei negozi sono le stesse e se si escludono i
souvenirs per turisti che, una volta mostrati, vengono
irrimediabilmente accantonati per poi finire in qualche scatola
in un ripostiglio, non c’è quasi nulla di tipico che non sia
paccottiglia.
La globalizzazione si manifesta in modo sempre più invadente
e si assiste a una omologazione dei gusti.
Lo stesso fenomeno investe anche la musica: sono gli stessi
gruppi o cantanti, le stesse canzoni, le stesse mode che ci
“bombardano ovunque”.
Qualcuno potrebbe obiettare che questo fenomeno è legato ai
nuovi mezzi di comunicazione e di trasporto e che non si può
rifiutare il progresso. Certamente ogni nuova invenzione porta
notevoli benefici e questo è certamente positivo, ma nel caso
della globalizzazione si corre il rischio di perdere il valore e la
memoria delle proprie origini.
«La musica rientra in quella che un’apposita commissione del
Consiglio d’Europa chiama Educazione al
patrimonio, per la quale il patrimonio
culturale è un insieme di risorse materiali e
immateriali a cui persone e comunità
riconoscono un significato come
testimonianza dei propri valori, saperi e
tradizioni. Il patrimonio culturale, cioè, dà
un’identità a territori e gruppi di popolazioni
che in esso si riconoscono».1
Se intorno a noi si vanno diffondendo i musei etnografici che
raccolgono i materiali della vita di tutti i giorni, materiali che
risalgono non solo a secoli lontani, ma anche solo al secolo
scorso, se in alcuni paesi si creano feste e fiere per mostrare
come lavoravano i nostri nonni, se c’è una riscoperta di cibi e
di modi di cucinare non omologati per poter gustare sapori
dimenticati, perché non si fa altrettanto con la musica?
Ci sono studiosi appassionati che girando con il registratore
raccolgono canti destinati a scomparire con la morte delle
persone anziane che ancora li ricordano. Mi limito a citare i
tre volumi di Cantar Storie, un viaggio nel canto di tradizione
orale tra i monti dell’Ossola, a cura di Luca e Loris Bonavia,
Ed. Grossi-Domodossola, 1999, 2001, 2004; il volume I canti
della memoria, testimonianze canore raccolte in Valtellina e in
Valchiavenna a cura del coro Vetta di Ponte in Valtellina con
trascrizioni e coordinamento di Angelo Mazza; la ricerca e le
trascrizioni e i CD curati da Angelo Agazzani con la Camerata
corale La Grangia di Torino.
Queste e le tante iniziative lodevoli mirano a tener in vita un
patrimonio culturale in cui si trovano le nostre origini e da cui
proviene la nostra storia.
Un canto scritto sulla carta rimane purtroppo una
documentazione, per quanto preziosa, che solo pochi
possono apprezzare… Occorre che quei pallini neri scritti su
delle linee orizzontali si trasformino in suoni, che acquistino
una consistenza sonora percepibile a chiunque e che da
segno grafico diventino veicolo di emozioni.
Con la riproduzione sonora scatta la partecipazione emotiva
che, attraverso i filtri della fantasia, della memoria,
dell’affetto, sovrappone ai suoni percepiti una serie di
sensazioni che conferiscono a quel suono immagini che non
La globalizzazione si manifesta in
modo sempre più invadente.
sono più soltanto sonore, ma coinvolgono tutto il nostro
essere.
È in questa fase di riproduzione sonora che oggi troviamo le
maggiori difficoltà e qui è presente il cuore del problema: chi
canta il popolare, ma soprattutto come lo si canta?
Nell’Italia settentrionale il pensiero corre subito ai cori di
montagna (o di alpini o ex-alpini) e a quel coro straordinario
che nel lontano 1926 (era il 25 maggio), in una sala del
Castello del Buonconsiglio di Trento, iniziava un’avventura che
l’ha portato in teatri di mezzo mondo, suscitando entusiasmo
e commozione: il coro della SAT.
Note
1. Unicità delle discipline e specificità della musica, riflessioni pedagogiche, di Franca Ferrari, 2009.
2. P. DE MARTINI, Il Conservatorio delle Alpi, Milano-Torino, Bruno Mondadori Editore, 2009.
CANTO POPOLARE
Tutta l’Italia si è ben presto riconosciuta nei suoi canti:
«nessuno si stupì se nel 1959 furono le note di La montanara
a salutare Salvatore Quasimodo mentre riceveva il Premio
Nobel dalle mani del re di Svezia».2
Molti cercarono di emulare la SAT, dando vita a un movimento
corale che vedeva nel cantare non solo un’occasione di
divertimento, ma anche una testimonianza di vita. I testi delle
canzoni evocavano accanto a realtà di fatica, di stenti e di
dolore che la guerra appena conclusa aveva suscitato,
anche le gioie, le feste gli innamoramenti che la voglia
di vivere sapeva generare. Infine non dimentichiamo le
bellezze naturali con paesaggi incantati che fanno
dell’Italia un paese “benedetto da Dio”.
La voglia di ricordare, unita alla gioia di vivere e allo
stupore della bellezza, hanno fatto sì che il repertorio
della SAT diventasse un tramite semplice ma efficace
per ricordare tutto questo. Ciascuno poteva trovare
qualcosa in quei canti di profondamente vero e
personale.
Con il passare degli anni, con la voglia di andare sempre più
avanti, con l’abbandono della terra, con gli straordinari
cambiamenti rappresentati dai mezzi di trasporto e di
comunicazione abbiamo guadagnato in comodità di vita e in
qualità (?), ma rischiamo di sradicarci, di perdere il contatto
con le nostre origini.
Forse quanto mi appresto ad affermare potrà sembrare un po’
forte e lapidario. Premetto che il panorama può variare da
regione a regione, da provincia a provincia. In una comunità
con un forte senso di appartenenza, legata al territorio (in cui
la conformazione geografica in valli e montagne crea un
isolamento) il cantar popolare riscuote certamente più
interesse che in città.
Immaginiamo di essere in una sala di una cittadina prealpina
lombarda. Osservate il coro che propone un repertorio legato
alla tradizione popolare: vedrete per lo più persone anziane
vestite in alcuni casi con camicie colorate a quadrettoni,
calzoni alla zuava, calzettoni di lana e scarponi.
35
Osservate ora il pubblico: tranne rare eccezioni anche gli
spettatori non sono giovanissimi… Cosa significa tutto ciò?
Significa che quel modo di cantare, quel repertorio così come
viene spesso proposto non viene più avvertito come legato
alla nostra realtà. È un modo di proporsi che sembra più
adatto alle sale di un museo che a un teatro.
Sono esagerato? Forse. Ma purtroppo questa è spesso la
realtà. Cosa fare? Lasciamo che tutto finisca con quegli ultimi
cantori? Ci accontentiamo dei CD? Certamente no! Occorre
rivitalizzare tutto questo, modificando la mentalità che è oggi
imperante.
È indispensabile acquisire la coscienza che gli avvenimenti
proposti sono una documentazione storica, che quei fatti e
quei canti sono un’espressione culturale. Ma perché tutto ciò
non rimanga una buona intenzione è necessario restituire al
modo di porsi una dignità musicale. È musica diversa da
quella dotta, ma è musica con pregi e difetti ed è giunto il
momento di valorizzare quanto di buono è in essa presente.
Partendo dalla constatazione che noi siamo il frutto di una
storia unica e irripetibile, tutto ciò che documenta questa
vicenda va conservato e rivitalizzato attraverso un approccio
serio e rispettoso delle tipiche modalità espressive.
Purtroppo il pensare al modo di cantare di un coro popolare
genera una serie di immagini stereotipate che suscitano
diffidenza e giudizi negativi. Alzi la mano chi non pensa a un
gruppo seduto intorno a un tavolo con un fiasco di vino in
Occorre che quei pallini neri
scritti su delle linee orizzontali
si trasformino in suoni.
mezzo, a voci sguaiate che “litigano” per stare insieme, a
viaggi di ritorno in pullman al termine di una gita…
Purtroppo gli aspetti positivi dello stare insieme, del
condividere una esperienza vengono dimenticati e complice
una scarsa o una inesistente cultura musicale prevalgono nel
modo di esprimersi gli aspetti negativi. Quante volte parlando
con persone che cantano in una corale parrocchiale o in un
coro popolare sentiamo espressioni del tipo: «canto per
diletto… per il piacere di stare insieme… così, senza pretese,
per hobby…», in cui l’espressione diletto e hobby non stanno
a indicare la ricerca di un piacere, di un risultato sempre più
accurato, di un’attenzione al testo e all’espressione musicale,
ma piuttosto la giustificazione implicita di risultati musicali di
poco valore.
Tutto ciò è generato da un basso livello culturale musicale cui
alcuni temerari docenti di educazione musicale cercano di
porre rimedio. Molte persone pensano che cantare in un coro
significhi semplicemente aprire la bocca, emettere suoni
36
senza preoccupazione, convinti che il possedere una “bella voce” (quando c’è) sia più che
sufficiente.
Cantare in un coro è scuola di vita, occorre infatti: ascoltare gli altri coristi per creare un
suono compatto e omogeneo; comprendere il testo letterario per proporlo nel modo più
convincente (è quindi esercizio mentale); mettere il proprio contributo al servizio di un
risultato corale (quanta umiltà richiede tale atteggiamento); prestare attenzione alle
indicazioni del maestro, perché è il responsabile del risultato musicale; sforzarsi di
migliorare la propria emissione, la propria tecnica vocale, perché è solo con la capacità di
guidare la propria voce che si può ottenere l’espressione.
Si potrebbe continuare a lungo, ma credo che queste poche indicazioni siano sufficienti
per capire che solo un impegno serio e costante possa permettere a un coro di essere
tramite efficace di un patrimonio corale importante. Solo restituendo una dignità sonora,
una dimensione musicale a questi vecchi canti si
possono attirare nuovi cantori. Il giovane
appassionato e lo studente di musica potranno
trovare il gusto di cimentarsi in canti che
attraverso espressioni a volte retoriche danno
corpo a situazioni e sentimenti che non hanno
tempo e per questo assurgono a valori universali.
L’invito a tutti coloro che amano cantare, e in
particolare ai giovani, è quello di non disprezzare il repertorio popolare e, al contrario, di
contribuire a riportarlo a quella dignità di testimonianza che gli è propria. Cantiamo il
popolare, ma cantiamolo bene.
Se grandi musicisti come Federico Ghedini, Andrea Mascagni, Arturo Benedetti
Michelangeli, Renato Dionisi, Bepi De Marzi, Angelo Mazza, Gianni Malatesta, Mino
Bordignon… e tanti altri non hanno disdegnato questi canti, se hanno ritenuto stimolante
cimentarsi con melodie di disarmante semplicità, vuol dire che anche questo repertorio di
“serie B” racchiude grandi tesori.
Raccogliamo la provocazione, ringiovaniamo i cori, non solo sotto l’aspetto anagrafico,
introduciamo un amore per la parola, il suono, l’accordo, il fraseggio, l’espressione,
togliamo quegli effetti “strappa applausi” che hanno fatto il loro tempo e ricerchiamo una
interpretazione più corretta e autentica.
Scommettiamo che se qualcuno si cimenta scopre un realtà affascinante?
Cantiamo il popolare,
ma cantiamolo bene.
38
IL 2013: UN ANNO DI RICONOSCIMENTI
CONVERSAZIONE CON BRUNA LIGUORI VALENTI
a cura di Rita Nuti
DIRETTORE DEL CORO POLIFONICO LIBERI CANTORES DI APRILIA E REDATTRICE DI LAZIOINCORO
Vorrei iniziare questa intervista parlando con lei dei due prestigiosi riconoscimenti
conseguiti nel corso del 2013, il Trofeo nazionale Seghizzi “Una vita per la direzione” e la
Medaglia presidenziale consegnatale al Polifonico di Arezzo. Due premi che vogliono
testimoniare la profonda gratitudine che il mondo corale, soprattutto quello legato alla
coralità infantile, le ha voluto riconoscere.
Arrivati ambedue quasi contemporaneamente, con grande sorpresa, mi hanno profondamente
commossa. Nella mia vita professionale ho avuto tanti premi e riconoscimenti, ognuno dei
quali ha lasciato un ricordo particolare nel mio cuore.
Li ricordo tutti con grande affetto, dal primo che ancora conservo, il diploma d’onore
ottenuto al Concorso per cori di voci bianche di Prato cui partecipai nel 1972 con la scuola
media Bramante di Roma.
Certo il trofeo Seghizzi “Una vita per la direzione” rappresenta per me il coronamento di
un’attività, quella corale, che ha veramente accompagnato tutta la mia vita.
La Medaglia presidenziale poi, altro prestigioso riconoscimento, mi sento di condividerlo con
tutti i miei coristi ormai “grandi” che, anche se fisicamente non presenti in quella
circostanza, ho sentito comunque vicini. I loro ricordi, le vecchie foto che mi hanno inviato
dei nostri concerti, l’affetto e la gioia che mi hanno dimostrato quando sono venuti a
conoscenza della premiazione a Gorizia e Arezzo, mi hanno fatto capire quanto siano state
importanti per loro le esperienze vissute all’interno dei cori da me diretti. Penso che per un
direttore il riconoscimento più importante sia l’affetto dei suoi coristi!
Dal suo percorso artistico e professionale, la vediamo come direttore di cori femminili e di
voci bianche, come musicologa e didatta. Quali di questi ruoli la caratterizzano da un punto
di vista professionale e quale da un punto di vista umano?
Anche se l’aspetto didattico e musicologico è costantemente stato presente nella mia attività
professionale, il mio impegno e la mia dedizione alla musica si sono espressi soprattutto
attraverso la direzione corale. Non mi
hanno mai interessato i cori misti: il mio
ruolo è stato sempre quello di direttore di
cori di voci bianche e di cori femminili.
Tuttavia l’aspetto didattico ha caratterizzato
necessariamente il mio percorso
professionale. Non sono mai stata gelosa di
trasmettere le mie conoscenze ed
esperienze e forse proprio questo ha fatto
sì che molti miei piccoli coristi, oggi ormai
grandi, abbiano trovato la loro strada come musicisti professionisti; molte direttrici, affermate
oggi nel panorama della coralità, sono state tra le file dei miei cori o hanno seguito i miei
corsi di aggiornamento! Questo per me è un grande successo, pari, se non superiore, ai tanti
riconoscimenti ufficiali, ottenuti negli anni.
Penso che per un direttore
il riconoscimento più importante
sia l’affetto dei suoi coristi!
Come è iniziata la sua carriera direttoriale, il suo primo coro, ci vuole raccontare qualche
ricordo legato agli inizi?
È iniziato tutto molto presto. All’età di dodici anni cantavo nel coro della mia parrocchia e a
sedici anni mi chiesero di dirigere il medesimo gruppo. I miei studi intanto proseguivano su
due direzioni, studi classici, che poi mi hanno portato a una laurea in lettere, e lo studio del
PORTRAIT
pianoforte che si è concluso poi con il primo diploma
musicale cui seguirono altri di varie specializzazioni.
Giovanissima, al primo incarico in una scuola media romana,
ho subito avviato un coro d’istituto; all’epoca, era difficile, se
non quasi impossibile, trovare partiture o rielaborazioni per
cori di voci bianche: i miei repertori vertevano soprattutto sui
quei brani d’opera dove erano previsti gli interventi di cori di
voci bianche. Cominciai a frequentare biblioteche musicali e a
operare trascrizioni. Ebbi la fortuna di avvicinare il grande
Luigi Colacicchi che mi dette preziosi consigli, Renata
Cortiglioni, direttrice del coro di voci bianche della Rai e, non
ultima, la Biblioteca Vaticana, che ha rappresentato per
me un luogo di ricerca e di studio, dove poter attingere
costantemente. Ho cercato di contattare persone che
consideravo importanti per la mia crescita professionale
e musicale.
Nel 1973 è nato l’Aureliano: un luogo dove bambini e
ragazzi potevano “fare musica insieme” con la voce e
con gli strumenti e dove il coro era il fulcro dominante,
strumento educativo alla musica. Pochi anni dopo entrai
al conservatorio di Frosinone dove istituii subito il Coro
della Scuola Media. E da lì posso dire di aver realizzato e
conseguito ottimi traguardi.
Quali difficoltà ha incontrato nella sua carriera? Anche come
donna, in quest’ambito, soprattutto all’inizio della sua
carriera, particolarmente maschile?
Come donna devo riconoscere che non ho trovato difficoltà.
Sarà stato forse che avendo lavorato come direttore di cori
femminili e di voci bianche, non ho avuto modo di
confrontarmi direttamente o mettermi in relazione con figure
39
maschili. Come moglie e madre ho avuto la fortuna di aver
incontrato un marito eccezionale (il giornalista sportivo Paolo
Valenti, ndr), che mi ha aiutato e incoraggiata sempre nel mio
lavoro e in tutte mie attività musicali.
Tra i tanti concerti, a quale è particolarmente legata?
Domanda molto difficile. Ogni concerto mi ha dato grande
emozione. Fra i concerti che rimarranno indelebili quello del
1983 alla Sala Nervi dove il coro di voci bianche Aureliano ha
cantato con le orchestre e i cori della Rai il Te Deum di Berlioz
diretto da George Prêtre. Il maestro mi colpì anche per le
Ogni concerto ha arricchito
il mio bagaglio personale
e quello del coro.
parole che rivolse ai bambini riguardo l’interpretazione e la
musicalità che voleva ottenere. Anche l’incontro con altri
direttori, da Gavazzeni, a Bartoletti a Shallon, furono momenti
di incredibile crescita per me e per il coro. Che dire poi delle
esperienze all’Opera di Roma, all’Accademia di Santa Cecilia,
alla Fenice di Venezia… Ogni concerto ha arricchito il mio
bagaglio personale e quello del coro di conoscenze e di
emozioni. Grandissima commozione, sempre nel 1983, con la
prima esecuzione de Il sole e l’altre stelle di Domenico
Guaccero. Il compositore con cui avevo lavorato fianco a
Bruna Liguori Valenti_______
Laureata in lettere e diplomata in pianoforte e paleografia
musicale, ha compiuto studi di composizione a Genova, dove
è nata. Allieva, per la direzione corale, di Marin Constantin.
Studiosa di musicologia e didattica, ha pubblicato per
Rizzoli-Larousse, UTET, Le Monnier, La Scuola di Brescia. Per la
casa editrice Ricordi ha scritto La vocalità infantile con una
seconda edizione rinnovata e aggiornata nel 2011. Come
direttore di coro ha conseguito brillanti successi con i cori
dell’Aureliano di Roma in concorsi nazionali e internazionali:
Vittorio Veneto, Prato, Arezzo, Celjie (Slovenia), Debrecen
(Ungheria) e Ibagué (Colombia); con i cori del conservatorio di
Frosinone: Città di Stresa, Vittorio Veneto, Città di Cerveteri,
Riva del Garda, Olomouc (Repubblica ceca) e Karditsa (Grecia).
Ha diretto cori di voci bianche chiamati a interpretare brani del
repertorio sinfonico corale sia nelle stagioni della Rai che del
Teatro Comunale di Firenze e dell’Ente Concerti di Pesaro,
Teatro dell’Opera di Roma, Accademia di Santa Cecilia, al
Teatro La Fenice con grandi direttori quali, fra gli altri, George
Pretre, Bruna Bartoletti, Giannandrea Gavazzeni. È stata
docente di corsi di aggiornamento per la vocalità e la
direzione di coro, già presidente della Siem per il Lazio; fa
parte della commissione artistica dell’Arcl, membro di giuria in
concorsi nazionali e internazionali. Nel 2010 presidente della
commissione per la selezione del coro di voci bianche del
Teatro dell’Opera di Roma. Quale presidente e direttore
artistico dell’Aureliano, ha promosso dal 1987 alcune
iniziative: la Rassegna di musica contemporanea per cori di
voci bianche, il Campus Musicale e il Premio di composizione
“Paolo Valenti - Musica e Sport”. Ha organizzato gli incontri
corali “Uniti per Cantare” (in preparazione al Giubileo). Dal
2000 ha creato e organizzato la rassegna Primesecuzioni,
collegata ai campus musicali e ai corsi di aggiornamento, in
collaborazione con la Siem; dal 2006 è promotrice di corsi
specifici per il conseguimento di primo e secondo livello di
Vocalità infantile.
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Feniarco e Act presentano
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2015
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Toscana Mon
internazionale
festival per cori scolastici
9•11 aprile
scuole elementari e scuole medie
(6-13 anni)
con il patrocinio di
MiBACT
Regione Toscana
Provincia di Pistoia
Comune di Montecatini Terme
15•18 aprile
scuole superiori
(14-19 anni)
evento associato a
seguici su
www.feniarco.it
PORTRAIT
fianco era già molto malato; non poté venire al concerto e
volle sentire la registrazione del suo brano, che non solo è tra
i più belli e toccanti del ’900 ma che rappresentava per lui,
una speranza “e quindi uscimmo a rivedere le stelle”. Parte
del brano registrato venne fatto ascoltare nel giorno del suo
funerale.
Tra le sue innumerevoli iniziative, quella legata alle
Primesecuzioni riveste un ruolo di particolare importanza sia
dal punto di vista della coralità infantile sia riguardo le
composizioni per cori di voci bianche. Come è nato questo
progetto?
Il progetto è nato nel 2000, ma l’idea di avvicinarsi e
affrontare la musica contemporanea nacque nel 1978, quando
partecipai al Concorso di Prato. Il brano d’obbligo doveva
essere scelto fra il Benedictus, dalla Messa Mantovana di
Palestrina e Le stelle di Gabbiani. Scelsi con coraggio Le
stelle. Andai a Firenze per conoscere il compositore e stabilire
con lui come affrontare l’esecuzione del brano.
Questa conoscenza diretta e la guida del compositore allo
studio del brano ci fecero vincere il primo premio al concorso
del 1980! Da quel momento non ho più smesso di avere
relazioni e contatti con grandi compositori del calibro di
Domenico Guaccero, Egisto Macchi, Giancarlo Schiaffini… e,
più tardi, Ennio Morricone. Capii quanto fosse importante la
collaborazione fra direttore e compositore.
Nel 1987 al Palazzetto dello Sport di Roma e nel 1989 al
Teatro Olimpico, realizzai anche l’idea di riunire più cori
provenienti da tutta Italia, per cantare insieme. Seguirono poi
altre iniziative del genere (Uniti per cantare in preparazione
del Giubileo 2000) fino ad arrivare alla emanazione del bando
per le Primesecuzioni che sanciva questo stretto rapporto tra
compositore, direttore e coro. Un’esperienza unica nel suo
genere.
Esiste secondo lei una metodologia oggettiva, o meglio,
l’approccio alla musica e alla pratica corale, attraverso quali
competenze deve passare? Quali abilità e strategie sia
musicali, comunicative e relazionali deve mettere in moto un
direttore di coro?
Questa è una domanda assai complessa. Farei innanzitutto
una chiara distinzione tra cori scolastici e cori di voci bianche.
È chiaro che in un contesto di cori scolastici, si deve cercare
di coinvolgere attraverso varie attività alla musica. La pratica
corale rientra pienamente accanto a quella strumentale,
corporea, espressiva, in tutto quel complesso di attività che
educano alla musica in un totale coinvolgimento. Ma è qui
che si corre il rischio di coinvolgere i bambini in tante attività,
sempre degne di rispetto, ma a volte, a scapito della qualità e
del risultato vocale! Il direttore, in ogni caso, se vuole
affrontare un discorso legato al coro, deve avere
necessariamente quelle competenze riguardo l’emissione
vocale, la direzione e i repertori da proporre, senza
dimenticare il lavoro sull’improvvisazione e la creatività
vocale, che rappresentano due momenti molto importanti sia
41
da un punto di vista vocale che cognitivo. L’obiettivo deve
essere quello di far cantare tutti, sempre nel rispetto
dell’altro. Nella mia attività corale, anche in contesti non
scolastici, non ho mai respinto un solo bambino! Pur con
problemi di intonazione, ho accolto qualsiasi bambino che
desiderasse cantare, usando poi, chiaramente, strategie
idonee per cercare di non creare disagio agli altri coristi.
Ho fatto sempre la similitudine tra sport e musica. Tutti
hanno diritto a fare sport come a fare musica, ambedue
fanno parte dell’educazione della persona: non tutti diventano
campioni!
Ma educare significa anche insegnare ad affrontare le
difficoltà. Un direttore, provvisto di un suo bagaglio di
competenze identiche a quelle richieste per un coro
scolastico, alle prese con coro di voci bianche, deve offrire ai
bambini degli stimoli via via sempre più complessi; proporre
brani di facile intonazione o ritmicamente semplici, può
servire all’inizio del percorso, ma poi si deve mirare ad
arricchire le conoscenze e a costruire e potenziare le abilità
vocali dei bambini. È chiaro che questo lavoro necessita di un
direttore estremamente preparato sotto tutti gli aspetti, non
ultimo quello relazionale, e profondamente preparato sui
repertori che vuole proporre.
In Italia il numero di cori di voci bianche sta crescendo.
Quando un coro secondo la sua esperienza può ritenersi
pronto per affrontare un concorso?
Due sono gli aspetti fondamentali che rendono qualsiasi coro
pronto per un concorso: la capacità di respirazione e di
intonazione.
Con una buona respirazione e un’emissione vocale corretta si
raggiunge più facilmente un’intonazione precisa. Bisogna
quindi iniziare da subito e abituare i bambini a cantare senza
strumento e a più voci. Ed è proprio per questo che al
Concorso Macchi, organizzato dall’Arcl, abbiamo mantenuto,
tra i vari requisiti per la partecipazione, un brano a cappella.
Cosa ne pensa di tutti questi programmi televisivi incentrati
sulla voce rivolti a creare “divi in fasce”?
Lo voglio dire ad alta voce: è un vero scempio sia da un
punto di vista musicale che umano. Queste trasmissioni
illudono, distruggono, calpestano bambini indifesi, oggetto
delle ambizioni dei genitori, bambini che scimmiottano gli
adulti, bambini all’oscuro di quello che cantano, ignari del
danno e dell’abuso che stanno subendo. Approfitto di questa
intervista per dire a tutti coloro che operano nell’ambito della
coralità e della voce, che dobbiamo mobilitarci contro questi
programmi che si stanno diffondendo a macchia d’olio. I mass
media stanno distruggendo quello che noi abbiamo costruito
con tanto impegno e attenzione, per offrirci in cambio una
cultura che si basa esclusivamente sull’immagine e
sull’apparenza, calpestando e offendendo i più deboli, i
bambini.
42
5x
IL VALORE PROPEDEUTICO DEL CANTO GREGORIANO
di Riccardo Zoja
DIRETTORE DELLA SCHOLA GREGORIANA CONCENTUS MONODICUS E CONSIGLIERE DELL’AISCGRE
Qualunque sia l’ottica artistica
dalla quale si consideri il
patrimonio del canto gregoriano
nell’epoca contemporanea, con
un atteggiamento culturale non
superficiale, se ne traggono
molti spunti di riflessione che
non possono trascurarsi in
nessun ambito di una seria
pratica corale; vale la pena di
farne una piccola selezione con
attenzione ad aspetti che
coinvolgono, di necessità, tutti
coloro che sono impegnati o
interessati a qualsiasi titolo
nella musica per complessi vocali.
La svolta semiologica nell’analisi di questo repertorio,
essenziale per la comprensione di tutta la musica occidentale,
ha rappresentato una vera rivoluzione-rivelazione con
ripercussioni su tutti gli aspetti del gregoriano; essa ha avuto
il suo culmine storico e scientifico in E. Cardine (del quale
abbiamo celebrato nel 2013 il venticinquesimo
anniversario dalla scomparsa) e con essa si sono
parallelamente sviluppate essenziali acquisizioni
che, anche sulla modalità nella monodia cristiana,
hanno condotto, non senza appassionanti percorsi
antitetici, a risultati concretamente inattesi e
indispensabili per un approccio storico e
interpretativo. Tralasciando le considerazioni sul
fatto che, ad esempio, quest’epoca di
rivitalizzazione scientifica e artistica sia coincisa
con la sconsiderata e disimpegnata trascuratezza progressiva
del gregoriano nella sua sede naturale (la celebrazione nella
comunità cristiana) o che nei conservatori e nelle scuole di
musica l’insegnamento del gregoriano rappresenti per lo più
una cellula informe tutta da ricreare, il suo studio fa percepire
immediatamente come si tratti di un ambito indispensabile
per un completo e compiuto approccio a tutta la musica
corale.
Di per sé questo nucleo portante dello sviluppo musicale
vocale, nel corso di due millenni di storia, nasce e si sviluppa
come espressione più pura della relazione tra testo e melodia,
ma con l’accezione, non secondaria, che quel testo è la
Parola, il Verbo che, in ogni istante della manifestazione
espressiva della comunità che si raduna e prega, vive
autenticamente e si manifesta al suo interno. E questi testi
cantati, che sono l’ossatura eloquente di una liturgia sempre
rinnovata, si ritrovano, da lì in poi, in sterminate altre
manifestazioni della creatività umana attraverso i secoli.
Lo stimolo e la prospettiva di andare al senso più profondo di
questa relazione tra Parola e suono fisico hanno ricevuto un
impulso tanto sconvolgente quanto rivelatore
dall’impostazione scientifica semiologica e da ciò che l’ha
accompagnata influendo direttamente sugli aspetti
interpretativi e della prassi esecutiva. Ascoltando diverse
interpretazioni polifoniche di un testo, dalla scuola di Notre
Dame, a Palestrina, a de Victoria, a Poulenc sino ai
contemporanei, si può molto bene avvertire quella differenza
di autenticità significante che deriva dalla consapevolezza
della radice più pura e completa di un rapporto tra testo e
musica: il gregoriano, nella sua realtà espressiva che passa
dalla consapevolezza del segno, dei rapporti tra nuclei sonori
e dalla relazione contestuale con la Parola. In quel repertorio,
anonimo, in relazione a tempi e momenti liturgici e a
conseguenze esegetiche, c’è il senso primo e ultimo
dell’ispirata attività umana nella trasmissione sensoriale del
Mistero di un testo, che non può essere mai eluso neppure da
un’attenzione tecnica esasperata alla composizione polifonica
sacra. Ben si comprende quale sia il rilievo formativo
dell’estetica gregoriana che la semiologia, lo studio della
5
Il canto gregoriano nasce e si
sviluppa come espressione più pura
della relazione tra testo e melodia.
5
modalità nelle sue origini più arcaiche e articolate, del
rapporto con la celebrazione, degli equilibri espressivi e del
loro evolversi storico-paleografico devono fornire per una vera
competenza interpretativa e di comprensione. Un ruolo di
maturazione e approfondimento per direttori, cantori, cultori,
appassionati che è destinato a una conquista di specificità
corale nel senso più completo.
È anche questo il senso dei Corsi di canto gregoriano
organizzati ogni anno dall’Associazione Internazionale Studi di
Canto Gregoriano (AISCGre, www.aiscgre.it), giunti alla loro
trentacinquesima edizione, aperti a ogni livello di competenza,
nel contesto di una storia istituzionale che ha avuto la sua
origine proprio nel seno della attualità scientifica gregoriana.
Quest’anno, nel ricordo del decimo anniversario dalla morte di
Luigi Agustoni, indimenticabile maestro della cultura
gregoriana e liturgica, questa esperienza sta per rinnovarsi
nel segno dello studio dell’arte, della pratica collettiva, del
confronto con lo spirito.
Federazione Nazionale Italiana delle Associazioni Regionali Corali
33078 San Vito al Tagliamento (Pn) via Altan, 83/4
tel. 0434 876724 - fax 0434 877554 - [email protected] - www.feniarco.it
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FENIARCO DAY
IL MIO TRENTENNALE CON FENIARCO
FENIARC
DAY
di Puccio Pucci
Il treno che percorre avanti e indietro la tratta
Portogruaro-Casarsa a quell’ora del primo
pomeriggio era poco affollato. Treno moderno,
pulito e mosso all’interno da piani rialzati per i
passeggeri, che interrompono la monotonia dei
lunghi corridoi delle vecchie vetture. Anche
l’andatura è rilassante e induce a ricordi e
pensieri. Mi sto recando a San Vito al
Tagliamento per celebrare, assieme ai tanti amici
che incontrerò, un grande anniversario che cade
proprio oggi, 23 gennaio 2014. La dolce
campagna che scivola dal finestrino induce a
percorrere ricordi lontani e ripensare un poco al
cammino che Feniarco ha compiuto. Essendone
stato testimone diretto, non ho potuto non
andare con la mente agli anni ’70, pieni di
vivacità e di voglia di uscire dal guscio, che
precedettero la firma dello Statuto nel 1984 e i
ricordi si affollano impetuosi, le persone di allora,
dimenticate per tanto tempo, tornano vive nei
tuoi pensieri.
Il Convegno di Cortina dell’aprile ’72, organizzato
da Gian Carlo Bregani in occasione della gara
nazionale di slalom riservata a coristi che allora
si teneva ogni anno; due giorni di lavoro in cui si
alternarono nel dibattito i direttori dei cori più
famosi, che condivisero in quei giorni l’esigenza
di creare un organismo federativo nazionale che
raggruppasse il mondo della coralità. Il primo
impegno preso fu quello di operare per dar vita a
una struttura di collegamento fra i cori regionali
in ogni regione italiana, che facesse riferimento
successivamente a una federazione nazionale,
come lo era già l’ANBIMA per i gruppi bandistici. In
quel momento di associazioni costituite ve ne
erano due: una che riuniva i cori della provincia
di Trento, presieduta da Giorgio Cogoli, e l’altra
regionale, l’AERCIP con sede a Bologna, voluta da
un gruppo di cori emiliano-romagnoli e
presieduta da Giorgio Vacchi.
Già due anni dopo i presidenti delle prime
associazioni appena costituite, unitamente a
direttori di coro tra i quali Malatesta, Bon,
Sbordone, Carone, Marelli, Bregani, posero le
ASSOCIAZIONE
basi per la creazione della rivista nazionale Coro che uscì nel
1975, diretta da Mario Marelli e successivamente trasferita a
Bologna con la direzione di Giorgi Vacchi. Purtroppo l’ultimo
numero fu quello di Natale del ’78 perché la pubblicazione fu
sempre priva di qualsiasi supporto istituzionale e sostenuta
dai soli abbonamenti e dal lavoro di volontari. Ma la miccia
era accesa e il percorso era tracciato. Nell’aprile del 1982, a
Trento, le nove associazioni che frattanto si erano costituite
dettero vita alla Conferenza Permanente dei Presidenti delle
Associazioni Regionali Corali che iniziò a tramare la fitta tela
di relazioni per giungere il 26 novembre 1983 a Verona alla
istituzione di Feniarco, che federava 11 associazioni regionali.
Il primo Statuto, frutto di numerose riunioni, ormai aveva
assunto la forma definitiva e nel gennaio del 1984 fu letto,
approvato e sottoscritto ad Arezzo. Il cammino era
cominciato. La prima riunione, in virtù del contributo che
anche Giovanni Torre, presidente AERCO, aveva generosamente
dato nei lunghi lavori precedenti alla costituzione, avvenne a
Bologna il 12 febbraio successivo.
Il treno rallenta e mi accorgo che sono passati trenta anni
esatti d’allora; Feniarco ci accoglie con amicizia in una sede
prestigiosa a San Vito al Tagliamento, una splendida location:
Palazzo Altan. C’è aria di festa, ma traspare in tutti, dal
presidente agli amici dello staff, un vivo senso di attesa e un
fremito di tensione emotiva. E presto ne sono coinvolti anche
gli intervenuti; sia i tanti che erano in attività già nell’84 e che
non hanno voluto disertate la ricorrenza, che i nuovi amici e
lo stesso pubblico.
Come avviene in ogni momento di incontro in cui Feniarco è
protagonista, curatissimo il materiale mediatico preparato e
offerto ai numerosi ospiti, dallo splendido manifesto, anche in
formato banner verticale, già inviato a tutte le associazioni,
alle cartoline illustrate con annullo in un attrezzato ufficio
postale a disposizione dei presenti, ai tanti prodotti
dell’editoria Feniaco e ai graditi gadgets del
trentennale. La cerimonia inizia dopo un rapido
brindisi augurale tra le scrivanie operative da cui
nascono le “cose di Feniarco”, per continuare nella
sala conferenze di Palazzo Altan, dove avviene il
momento celebrativo clou della giornata.
Significativa la presenza alla cerimonia dei
rappresentanti delle Istituzioni locali e regionali,
presentati dal presidente dell’Usci Friuli Venezia
Giulia Franco Colussi, che porgono i loro saluti e l’augurio per
un futuro ricco di successi. Particolarmente interessanti le
parole del consigliere regionale Daniele Gerolin, che
sinteticamente espone un quadro dell’impegno che da tempo
la Regione Friuli Venzia Giulia ha assunto a favore della
coralità. Poi si susseguono gli interventi dei vicepresidenti
Alvaro Vatri e Pierfranco Semeraro; e ognuno di loro formula
un augurio a Feniarco nell’ottica del lavoro che li ha visti
fortemente impegnati in federazione. Quindi il direttore di
Choraliter Sandro Bergamo chiosa con la sua sagacia alcuni
aspetti della vita associativa e di redazione, mentre il
segretario Lorenzo Benedet, con una punta di commozione
CO
45
contenuta, esprime un grazie sincero a Feniarco per avergli
dato l’opportunità di vivere uno straordinario periodo della
propria vita.
Poi tutto si incentra sulla relazione del presidente Fornasier
che, superata in breve l’emozione di rappresentare i 2700 cori
d’Italia, ripercorre con orgoglio il cammino di Feniarco e i
prestigiosi traguardi raggiunti nel dare voce alla coralità del
nostro paese. Egli ricorda i primi anni con la sede a Mestre
presso l’ASAC, che servirono per acquisire la prima ufficialità in
sede nazionale. Molte energie furono profuse per giungere al
traguardo della costituzione in ogni regione di una
associazione di cori, che insieme consacrarono Feniarco come
legittima e unica rappresentante della coralità italiana. Per
L’Europa corale si confrontò
con Feniarco riuscendone
altamente soddisfatta.
superare i problemi di natura specifica si diede una solida
struttura amministrativa alla federazione in un momento in
cui i contributi istituzionali da parte del Ministero non erano
stati ancora completamente consolidati. Il presidente ricorda
la lunga trattativa che ha preceduto la nascita della
convenzione con la SIAE che forniva ai cori un sicuro
riferimento nell’assolvere i doveri del riconoscimento del
diritto d’autore delle musiche eseguite e dei relativi costi. La
mission che Feniarco ha sempre svolto, continua il presidente,
è stata quella del miglioramento musicale dei cori, offrendo
loro un vasto panorama di progetti che sono divenuti costanti
nel tempo e rappresentano ora la base delle proposte di ogni
46
stagione sociale. Straordinario è stato l’impegno per acquisire
le coperture finanziarie necessarie a operare, come i
contributi ottenuti con i Progetti Europei, che consentirono
alla Federazione di realizzare numerose iniziative a favore
degli associati. Il presidente ripercorre poi l’impegno nella
pubblicistica, che annovera, oltre alla stabile pubblicazione
della rivista quadrimestrale Choraliter, avviata con l’assemblea
di Cascia, tutta una serie di pubblicazioni musicali, con
l’offerta di nuovi repertori destinati a gruppi corali soprattutto
giovanili, culminate con la collana Voce & Tradizioni, riservata
alla raccolta di musiche di derivazione popolare. Ma l’attività
editoriale non si è limitata soltanto alla musica. Ha prodotto
pubblicazioni di indagini e convegni di valore sociologico
quale inDirection, condotto con giovani direttori di coro
indicati dalle associazioni regionali, e con il Bilancio Sociale,
che ha fornito una completa immagine tecnico-amministrativa
del nostro associazionismo, riscuotendo
consenso e ammirazione da parte delle
istituzioni.
Proseguendo enumera brevemente le iniziative
musicali e formative, organizzate in accordo
con le associazioni regionali, che ben presto
hanno posto Feniarco al centro dell’attenzione
europea: la settimana cantante di Alpe Adria
Cantat, che negli anni ha portato in Italia migliaia di
partecipanti provenienti da tutta l’Europa; il seminario per
compositori ad Aosta, in cui si sono cimentati giovani
musicisti che hanno poi visto pubblicate da Feniarco le opere
migliori; l’accademia di Fano, per la formazione di direttori
italiani e stranieri che, guidati da valenti musicisti,
sperimentano la direzione corale con cori laboratorio; la
costituzione del Coro Giovanile Italiano, che ha offerto
collaborazione ai corsi di direzione e che ha permesso la
qualificata presenza della coralità italiana in numerose
performances in Italia e all’estero. Come poi non ricordare
l’iniziativa rivolta ai cori scolastici realizzata con il Festival di
Primavera, prima con sede a Follonica e ora stabilmente a
Montecatini, e l’istituzione del Salerno Festival, che esce dallo
schema turistico-promozionale di similari manifestazioni in
Italia e all’estero, offrendo un più ampio e deciso spazio alla
musica.
L’Europa corale, prosegue il presidente Fornasier, si confrontò
con Feniarco riuscendone altamente soddisfatta, se il Board
nel 2009 fu unanime ad affidare per tre anni all’Italia la
presidenza della federazione europea. È stato un momento di
attività crescente che ha promosso in Europa la
professionalità di musicisti, direttori artistici e cori che hanno
riscosso molti consensi ed è culminata nell’organizzazione a
Torino del Festival Europa Cantat 2012. La grande
manifestazione europea, per l’impegno profuso e anche a
seguito di sinergie ottenute dalle istituzioni locali e nazionali,
è stata ritenuta dai partecipanti di tutto il mondo come
“difficilmente ripetibile”. Torino, invasa da 5000 coristi, è
rimasta coinvolta come città e il pubblico ha generosamente
fornito la sua presenza alla grande kermess musicale,
decretandone il pieno successo.
Il presidente conclude il sintetico, convincente e appassionato
excursus dei trent’anni di vita e realizzazioni di Feniarco
sottolineando che tutto ciò non sarebbe stato possibile senza
la forte collaborazione e presenza delle associazioni regionali,
dei cori e dei loro dirigenti, senza i contributi di una
commissione artistica e di una redazione attive e ricche di
energie propositive, senza il sostegno della creatività e
operatività dello staff che opera stabilmente in federazione,
segreteria, direttore della rivista e operatori, e senza la
condivisione e il prezioso sostegno ottenuto dai
vicepresidenti. È in tal modo che dal 1984 Feniarco
contribuisce a dar voce ai cori italiani.
Al lungo e caloroso applauso che ha sottolineato l’intervento
di Sante Fornasier, è seguita la consegna alle autorità e alle
delegazioni presenti di un significativo oggetto realizzato a
Dal 1984 Feniarco contribuisce
a dar voce ai cori italiani.
ricordo della giornata. La tensione e le emozioni si
stemperano infine nel bel teatro di San Vito, dal sapore
goldoniano, dedicato al musicista friulano Arrigoni, dove alla
parola si è sostituito il canto, con le belle esibizioni della
Polifonica friulana Jacopo Tomadini, del Gruppo vocale Città di
San Vito, del Coro di voci bianche Fran Venturini di Domio e
del Coro Melos della Valbelluna, dopo gli interventi musicali
proposti nel pomeriggio dall’ensemble La Rosa dei Venti, nato
autonomamente all’interno del Coro Giovanile Italiano.
L’evento del trentennale Feniarco, di per se stesso così
significativo e importante, riceve così l’intonatissimo accordo
finale affidato alla musica.
1984•2014
ASSOCIAZIONE
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per trent’anni la voce dei cori!
48
ASSEMBLEA ORDINARIA FENIARCO A MATERA
di Lorenzo Benedet
Il 22 e 23 marzo scorso si è svolta a Matera, ospiti
dell’Associazione Basilicata Cori, l’Assemblea Ordinaria di
Feniarco. Un appuntamento sempre importante, non solo per
indicare delle linee guida della federazione, ma soprattutto
per una seria valutazione dello status della coralità italiana.
Tanto più che, proprio nell’anno in corso, la federazione
festeggia il suo trentesimo compleanno. Solo due le regioni
assenti, a dimostrazione di quanto sia sentito, da parte delle
associazioni regionali, il momento del confronto e delle
decisioni da condividere. Se a ciò si aggiunge
che in questa occasione era previsto il rinnovo
degli organi sociali e che Matera è una città
bellissima e piena di storia e cultura, la grande
partecipazione era prevista. Storia e cultura,
quella di Matera, ricordate nei saluti di
benvenuto da parte del presidente dell’Abaco
Salvatore Panzanaro e del presidente Feniarco
Sante Fornasier, che hanno ricordato la candidatura della città
a Capitale Europea della Cultura nel 2019, scelta che
offrirebbe alla coralità del sud, e a quella italiana più in
generale, una visibilità ancora maggiore di quanto accaduto
negli ultimi anni.
La relazione con cui il presidente Fornasier ha aperto la
seduta con una relazione ampia e dettagliata sulle attività
svolte negli ultimi sei anni. Anni pieni di attività che sono
sotto gli occhi di tutti e che comprendono eventi, formazione,
editoria, attività per coristi e cori di ogni tipo e livello. Attività
che hanno avuto il momento di massimo splendore (e fatica)
con il Festival Europa Cantat Torino 2012, riconosciuto da tutti
come un grande evento, altissimo sul piano artistico e
perfettamente organizzato dallo staff messo a disposizione
proprio da Feniarco, e con il triennio di presidenza di Sante
Fornasier alla guida di European Choral Association - Europa
Cantat, segno tangibile di un riconoscimento di merito
largamente espresso dalla coralità europea.
Ma Feniarco è molto di più! Si aggiunga la solidarietà che è
stata dimostrata negli anni nei confronti dei cori che hanno
subito calamità naturali che li hanno messi in ginocchio
economicamente e moralmente. Dal terremoto de L’Aquila alle
alluvioni in Sardegna. È qui che i cori, coadiuvati dalle
associazioni regionali, hanno dimostrato come l’appartenenza
a questo mondo corale non si limiti solo alla prove e ai
concerti, ma nasconda in sé molto di più.
Ovviamente si è parlato molto dei programmi futuri e di
quanto potrebbe essere difficile sposare le idee con le
possibilità finanziarie, sempre più limitate da una crisi globale
che non risparmia certamente il mondo della cultura. Anche
Feniarco sarà costretta a tagli che costringeranno a rivedere
alcune proposte, ma la volontà emersa dall’assemblea è
quella di non rinunciare a nulla. Per questo motivo tutti si
sono impegnati a cercare soluzioni per il recupero di quelle
risorse necessarie a mantenere in vita tutte le proposte e, per
questi motivi, alcune cose (come la rivista Choraliter) non
potranno più essere gratuite per tutti i cori; l’assemblea tutta
esorta infatti le decine di migliaia di coristi a sottoscrivere un
abbonamento annuale per un organo di informazione e
formazione, quale Choraliter. Con questi presupposti i bilanci
vengono approvati all’unanimità.
Un appuntamento importante
per valutare lo status
della coralità italiana.
Nell’ultima parte della prima giornata si procede alle votazioni
per il rinnovo degli organi sociali.
Mentre l’elezione del presidente è pressoché scontata, visti i
risultati ottenuti da Sante Fornasier (unico candidato) e viene
fatta per acclamazione, per i ruoli di vicepresidente ci sono
tre candidature: Vicente Pepe dell’Arcc Campania, Gianni
Vecchiati dell’Arca Abruzzo e Alessandro Raschi dell’Asac
Veneto. I risultati vedono eletti i primi due.
Per quanto riguarda la commissione artistica, dopo i dovuti
ringraziamenti ai componenti uscenti e in particolare a Nicola
Campogrande e Piero Monti che con la loro professionalità e
disponibilità hanno dato un grande contributo alla causa della
coralità amatoriale, tra i candidati vengono eletti Lorenzo
Donati, Luigi Leo, Cinzia Zanon, Alessandro Cadario,
ASSOCIAZIONE
Alessandro Ruo Rui e Mauro Marchetti. L’assemblea decide di
riservare due posti per musicisti “esterni” alla federazione ma
di riconosciuto valore; questi verranno nominati in seguito.
La seduta si chiude con la riconferma del comitato di
redazione di Choraliter (Efisio Blanc, Walter Marzilli, Giorgio
Morandi, Puccio Pucci, Mauro Zuccante) del direttore Sandro
Bergamo. Il comitato non è stato allargato, ma sarà comunque
affiancato da alcuni collaboratori stabili: Rossana Paliaga,
Marco Della Sciucca e Concita De Luca.
Tra gli atti importanti dell’assemblea va segnalata
l’approvazione unanime di un importante Ordine del Giorno da
inviare al Ministero dei Beni e Attività Culturali, nel quale si
sottolinea la funzione svolta da Feniarco, ma anche da tutti i
cori amatoriali che diffondono cultura nel territorio, grazie a
una diffusione capillare della musica corale. Diffusione che
avviene attraverso decine di migliaia di concerti, corsi di
formazione, collaborazioni con il mondo della scuola,
l’accompagnamento della liturgia, la conservazione della
tradizione popolare e molto altro. Si chiede al Ministero che
questo mondo sia rispettato, aiutato e tenuto in
considerazione per la sua grande potenzialità.
In serata, durante e dopo la cena, in occasione del concerto
che sempre accompagna ogni assemblea Feniarco (tenuto in
questo caso dalla Polifonica Materana e dai Cantori Materani),
si è consumato il tradizionale scambio di esperienze e
informazioni da parte dei presidenti e delegati regionali.
Questo è sempre un momento importantissimo dell’assemblea
perché per tutti vi è la possibilità di un dialogo a 360 gradi,
senza la necessità di ordini del giorno e tempi stretti di
discussione. In queste ore c’è anche spazio per la promozione
delle proprie attività e per conoscere e approfondire temi che
possono interessare tutti i cori amatoriali del Paese. Un bel
momento che generalmente stempera qualche accalorato e
accalora qualche timido. Il tutto in un clima di collaborazione e
amicizia.
Questa assemblea ha segnato un grande rinnovamento nello
staff di Feniarco. Hanno chiuso la loro esperienza di
vicepresidenti Pierfranco Semeraro e Alvaro Vatri, che hanno
salutato commossi l’assemblea. Chiude dopo quindici anni la
sua esperienza di segretario anche lo scrivente. Anche da
queste pagine voglio ringraziare questa federazione, le
associazioni regionali, Europa Cantat e tutti i cori e coristi che
ho conosciuto in questi tre lustri per quanto ho potuto
imparare da loro. Sento di aver ricevuto molto più di quello
che ho dato e questo rimarrà sempre parte del mio
patrimonio.
A tutti l’invito a non mancare all’appuntamento con il
trentennale di Feniarco a Roma e a tutti gli altri eventi
proposti.
49
I NUOVI ORGANI ASSOCIATIVI FENIARCO
Consiglio di Presidenza
Sante Fornasier, Presidente - Rauscedo (Pn)
Vicente Pepe, Vicepresidente - Salerno
Gianni Vecchiati, Vicepresidente - Spoltore (Pe)
Commissione Artistica
Sante Fornasier, Presidente
Filippo Maria Bressan - Bologna
Alessandro Cadario - Varese
Lorenzo Donati - Arezzo
Luigi Leo - Corato (Ba)
Alessandro Ruo Rui - Nole Canavese (To)
Mauro Marchetti - Roma
Cinzia Zanon - Bassano del Grappa (Vi)
Comitato di Redazione di Choraliter
Sandro Bergamo, Direttore - Prata di Pordenone (Pn)
Efisio Blanc - Quart (Ao)
Walter Marzilli - Albinia (Gr)
Giorgio Morandi - Garlate (Lc)
Puccio Pucci - Bologna
Mauro Zuccante - Costalunga Brognoligo (Vr)
Collegio dei Revisori
Roberto Ciuchetti, Presidente - Bastia Umbra (Pg)
Maurizio Biscotti - Carnago (Va)
Paolo Bergamo - Taio (Tn)
Collegio dei Probiviri
Angelo Filippini, Presidente - Pollein (Ao)
Armando Corso - Genova
Gastone Zotto - Vicenza
50
LA RICCHEZZA DELLA CORALITÀ EUROPEA
di Giorgio Morandi
Frequento l’Associazione Corale Europea (già FEJC EC,
Fédération Européenne de Jeunes Chorales Europa Cantat) e
IFCM (Federazione Internazionale per la Musica Corale) fin dai
primissimi anni ’80. Quante persone ho conosciuto! Prima
semplici nomi, poi volti, quindi musica, organizzazione e
amicizia! Dopo 35 anni il ricordo di alcuni di loro tende a
svanire, ma due persone che ci hanno lasciato recentemente
non usciranno facilmente dalla mente e dal cuore mio e di
milioni di cantori e di addetti alla coralità di tutto il mondo.
Non faccio personali scelte sulla base di incompetenti giudizi
meritocratici, queste due persone amiche voglio ricordarle
nell’ordine cronologico in cui ci hanno lasciato, guarda caso lo
stesso con cui li ho incontrati, conosciuti e apprezzati.
Dolf Rabus
La notizia del suo “dies natalis” è giunta il 18 dicembre 2013
al termine di una lunga malattia. Al di là della sua stazza
anche fisica egli fu una grande figura del mondo corale.
Quasi sicuramente io lo conobbi quando era membro del
Board e tesoriere di IFCM e lo ritrovai negli anni 1995/1999
membro della commissione musicale di Europa Cantat. L’ho
visivamente presente
nella mia mente seduto
in Piazza San Carlo a
Torino mentre col libro
del Festival Europa
Cantat 2012 si gode e
contribuisce al canto
comune di
quell’immenso favoloso
coro; lo ricordo al tavolo
di presidenza di Musica
International a Berlino;
lo ricordo simpaticissimo
compagno di mensa in
un ristorante di
Copenhagen durante il
World Choral Symposium di luglio 2008. A quanti World
Choral Symposium ha partecipato Dolf? Non saprei, ma so
che è stato più volte membro della commissione artistica di
questa manifestazione corale mondiale. Nella mia mente in
questo momento lo vedo indaffarato nell’organizzazione delle
varie edizioni del suo International Chamber-Choir Competition
di Marktoberdorf come pure del Musica Sacra International
Festival e del Choral Festival Network. Lo so generoso
partecipante in prima persona a molte iniziative nella sua
Germania, col German Music Council, con Arbeitskreis Musik
in der Jugend come pure nell’organizzazione
Bundesvereinigung Deutscher Chorverbände – BDC (Unione
Federale Tedesca delle Associazioni Corali) nonché fondatore,
direttore e perfino architetto della Bavarian Music Akademy di
Marktoberdorf. Ma a chissà quante altre iniziative Dolf Rabus
ha dato il suo generoso contributo di esperienza, di
conoscenza e di abilità. Tutto ciò fa sì che questo grande
visionario e lottatore che ha portato tanti cambiamenti alla
coralità mondiale mancherà moltissimo. Ci mancheranno le
sue belle foto frutto di un’altra sua grande passione. Ci
mancherà lui stesso come persona che davvero credeva nella
musica come forza capace di portare pace ovunque.
Monique Lesenne
Persona dolcissima, archeologa esperta, personificazione
della passione per la musica corale e i cori. La incontrai… non
so più quando; la conobbi… mai completamente nella sua
profonda ricchezza umana, nonostante tanti incontri alle
assemblee di FEJC EC ora European Choral Association - Europa
Cantat, incontri a festival (la memoria recente mi porta per
esempio a Venaria Reale
durante il Festival
Europa Cantat di Torino
nel 2012) e concorsi
corali internazionali
(l’ultimo, per esempio, a
Rimini tre anni fa circa).
Quante belle lunghe
conversazioni con
Monique!
Lo scorso mese di
novembre la sua
assenza all’incontro di
Pécs per l’assemblea di
ECA-EC mi è suonata
come silenzio assordante. Credo sia stata la prima occasione
corale internazionale in cui non ho incontrato Monique
Lesenne. A pensarci ora… forse la sua salute dava già seri
problemi? Almeno ebbi il coraggio di chiedere notizie ai suoi
connazionali e la mandai a salutare, dubitando nemmeno
lontanamente che sarebbe stato il mio ultimo saluto alla
esuberante, gioiosa e generosa Monique. Il 16 gennaio 2014,
nemmeno un mese dopo Dolf Rabus, la triste notizia. I suoi
cari ci informano: «Vogliamo mantenere nel nostro cuore la
vita e l’amore di Monique Lesenne». Che tristezza! La voce
calda, affabile, decisa e generosa di questo rappresentante
della vera anima corale non la udremo più. I suoi amici
dell’organizzazione fiamminga per la musica vocale Koor &
Stem hanno scritto: «Con la morte di Monique Lesenne il
mondo corale ha perso una madre che era sempre pronta a
battersi per i suoi amici del canto corale». Verissimo!
CRONACA
51
Monique, che sono certo ci perdonerebbe con un largo sorriso la telegraficità di questo ricordo,
è stata cuore e anima della Flemish Federation of Young Choirs. Fin dal Festival di Namur del
1967 ha partecipato a Europa Cantat come membro del Board, della direzione musicale, come
rappresentante impareggiabile delle organizzazioni corali fiamminghe alla cui unione ha
contribuito personalmente. Monique è stata organizzatrice di una lunga serie di strepitosi eventi
corali nazionali e internazionali: settimane cantanti, concorsi corali, festival, corsi… Quando
un’idea aveva il suo appoggio, nessuno più la fermava tanto era formidabile in lei la
combinazione tra determinazione ed entusiasmo. Monique avrebbe voluto che bambini e giovani
di tutto il mondo avessero la possibilità di incontrarsi e cantare insieme. Come organizzatrice,
era schiva; nel canto preferiva sottolineare la qualità più di ciò che veniva cantato. Monique
Lesenne come motivatore instancabile dietro numerose manifestazioni corali è un’immagine che
rimarrà con noi per sempre.
Molto colpiti dall’annuncio della loro morte, con profondo senso di gratitudine per Dolf Rabus e
per Monique Lesenne, anche Feniarco esprime alle rispettive famiglie, agli amici e a tutto il
mondo corale la più sentita partecipazione.
“Quante persone
cantano in Europa?”
Aiutaci a scoprirlo!
e
tu
canti
…
singingeurope.org
la tua voce fa la differenza!
Se vi siete fatti anche voi questa domanda, partecipate al sondaggio
di European Choral Association-Europa Cantat per scoprire
quanto diffuso è il canto corale! Il sondaggio online è disponibile
al sito www.singingeurope.org
Scopo di "SingingEurope" è quello di raccogliere dati precisi
e aggiornati circa l’attività del cantare assieme nelle differenti
nazioni europee. I risultati dell'indagine verranno diffusi
e aiuteranno le organizzazioni nazionali e europee ad allestire
programmi sempre più interessanti per le realtà e le esigenze
della comunità corale. La speranza è anche che questo progetto
possa fornire dati significativi che convincano i governanti
a supportare lo sviluppo del canto corale nelle nostre società.
Questo però è un obiettivo che può essere raggiunto solo con l’aiuto
di tutti voi. Se siete cantori, direttori o responsabili di un coro
o un gruppo di persone che si incontrano a cantare assieme,
non esitate a rispondere a questa breve indagine
(occorrono dai 5 ai 15 minuti):
visitate www.singingeurope.org
Sarà possibile compilare il sondaggio fino a luglio 2014.
singing europe è un programma di ricerca nell’ambito del progetto
VOICE, coordinato da European Choral Association-Europa Cantat,
con il sostegno del Programma cultura dell’Unione Europea.
Per saperne di più: www.thevoiceproject.eu
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DISCOGRAFIA&SCAFFALE
Ferruccio Busoni - Musica sacra
Coro Filarmonico Trentino
Sandro Filippi, direttore
Amadeus, dicembre 2013
Davvero, qualcosa è cambiato nella percezione che questo paese ha della musica corale, se anche una rivista come Amadeus comincia a prestarle attenzione dedicando alcuni suoi numeri a mettere in luce addirittura opere sconosciute. Nel
passato si è avuto qualche esempio di grandi composizioni con orchestra, dal Magnificat di Bach al Requiem di Verdi. Ora si nota un’attenzione crescente a un repertorio dove il coro gioca un ruolo centrale, supportato da piccoli organici strumentali, quando non totalmente a cappella. Né si disdegna lo scavo di percorsi
inediti, alla ricerca di perle sconosciute al grande pubblico e nuove talvolta anche
ai frequentatori assidui della musica corale.
È il caso del CD allegato al numero di dicembre, che presenta un inatteso Busoni,
dedito alla musica corale con alcune composizioni mariane. Un interesse che il pianista e compositore matura in gioventù, addirittura nell’adolescenza. «Durante il
mio anno di studio a Graz frequentai il seminario, in cui veniva insegnata anche
musica sacra. Scrissi allora una Messa a cappella a 6 voci» dichiarò in una sua
lettera molti anni dopo Busoni. Era il 1880 e il compositore aveva 14 anni. Sono
dunque ragioni esterne, che spingono il giovane musicista a cimentarsi con la musica sacra e che lo vedono nel giro di pochi anni produrre una decina di composizioni, la maggior parte legate al culto mariano. Ma lo spinge anche una adesione convinta, frutto dell’educazione religiosa ricevuta in famiglia, specialmente dalla
madre. Ragioni che verranno presto a decadere, l’una e l’altra: concluso il periodo di studi sarà la carriera pianistica a prenderlo e a orientarne le scelte compositive, ma già nel 1885 il diciannovenne Ferruccio confessava in una lettera alla
madre la sua disaffezione dalle pratiche religiose.
La storia non si fa con i se, e quindi accantoneremo ogni rimpianto per quello che
Busoni avrebbe potuto lasciarci “se” non avesse limitato a questa fase giovanile
la sua attenzione al coro. Prendiamo invece atto che, per quanto “di scuola”, i lavori contenuti in questo CD (oltre alla citata messa, uno Stabat Mater a 6 voci e
quintetto d’archi e due antifone – Ave Maria e Salve Regina – per voce sola e archi) meritano di essere stati tolti dall’oblio e presentati al grande pubblico. Tutto
scaturisce da un convegno svoltosi nel 2008 a Bolzano, dove per la prima volta
fu data la giusta attenzione a questa produzione, per lo più inedita, analizzandola ed eseguendola. Un’occasione che Sandro Filippi, interprete con il suo Coro Filarmonico Trentino di questa edizione discografica, ha sviluppato riproponendo
più volte, negli anni successivi, la musica sacra di Busoni, memore di quanto il
suo maestro Renato Dionisi gli andava dicendo ben prima del convegno, circa la
qualità contrappuntistica del compositore. «Una perizia», spiega Filippi nell’intervista concessa ad Amadeus, «che si rifà per tanti aspetti alla scuola romana di
RUBRICHE
Palestrina, ma anche a quella veneziana, in particolare nella
contrapposizione tra coro femminile e maschile tipica dei cori
battenti. Ma si può riconoscere anche l’influenza di Bach, in
particolare nei fugati».
Alla soddisfazione di constatare lo spazio dato da una rivista
come Amadeus alla musica corale si accompagna quella di vedere protagonista di questa impresa discografica e dare così
buona prova di sé una formazione e un direttore iscritti, tramite l’associazione trentina, alla nostra federazione. Tutti buoni
motivi perché i lettori di Choraliter non perdano questa perla,
nella speranza che ve ne possano essere tante altre e la musica corale doni a tutti, non solo a noi che la pratichiamo, i suoi
tesori.
Sandro Bergamo
Strauss a cappella
CD
Naïve, 2010
Quest’anno, 2014, si celebrano i 150 anni dalla nascita di Richard Strauss. Il celebre compositore e direttore d’orchestra bavarese è nato, infatti, nel 1864 e morto nel 1949, all’età di 85
anni.
Meglio conosciuto come autore di opere teatrali e poemi sinfonici, egli firmò anche un certo numero di pagine per coro a
cappella, piuttosto significative. Si tratta di lavori ai quali
Strauss si è dedicato negli intervalli di stesura delle opere maggiori, impegnandosi con intenti di sperimentazione creativa.
Pertanto, queste composizioni corali attraversano l’intero arco
temporale della sua attività artistica. Le accomuna una scrittura corale complessa e la richiesta di cospicue risorse d’organico e di notevole livello tecnico. Queste le ragioni per cui la produzione per coro a cappella di Richard Strauss, ancor oggi, non
è di frequente esecuzione.
Strauss a cappella è il titolo di una registrazione discografica
(CD Naïve, V5194, pubblicata nel 2010), in cui è contenuta un’esauriente selezione delle opere corali a cappella dello stesso
Strauss. Un prodotto frutto di una joint venture musicale. Infatti, l’affermata direttrice di coro Laurence Equilbey ha unito
sotto la sua direzione due compagini corali tra le più valenti e
rinomate: Accentus (complesso corale francese, fondato dalla
stessa Equilbey) e il Coro della Radio Lettone. Possiamo, quin-
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di, apprezzare la corposa formazione, risultante dall’unione dei
due cori (oltre 60 elementi), impegnata «nella scalata dell’Everest della musica corale a cappella», stando alle parole che hanno promosso l’uscita del CD.
L’album contiene i seguenti brani (tutti naturalmente a cappella),
che ordiniamo, per opportunità espositive, in base alla cronologia di composizione: Zwei Gesänge, op. 34 (Der Abend e
Hymne), per coro a 16 voci (1897); Deutsche Motette, op. 62,
per soli e coro a 16 voci (1913); Traumlicht (dai Tre cori, op. 123),
per coro maschile a 5 voci (1935-36).
Cominciamo da Der Abend. I versi di Friedrich von Schiller “dipingono” un quadro assai suggestivo del tramonto. Un’immagine tratta dalla mitologia classica, che raffigura il dio radioso,
Apollo, che si corica nei flutti del mare, abbracciandosi voluttuosamente alla ninfa Teti. Immagini care a Strauss, quelle del
tramonto, della sera, del riposo notturno. Immagini che ispirano un brano di straordinario fascino timbrico e armonico. L’avvicendarsi di ammalianti “pitture sonore” scandisce lo stemperarsi della luce del giorno e il sopravanzare dell’oscurità
notturna.
S’inizia con il luminoso e ardito “sol acuto”, tenuto lungamente dai soprani per venti battute, da cui le voci discendono, fino
a distendersi in un lieve moto ondeggiante di terzine (il riposante fluttuare delle acque). Quindi, appare Teti. Cupido arresta il fulgido carro. I cavalli si ristorano alle fresche acque, sulle distensive note di un motivo cromatico, che declina. La notte
sale dal profondo delle voci basse, a oscurare il cielo con il suo
velo. Ruhet und liebet! (Riposate e amate!), infine, come Febo,
l’amante, riposa. Scivolano lentamente nell’abbandono del sonno le ultime incantevoli armonie: è il momento più incantevole
dell’intero brano.
Fonti bibliche ispirano il componimento poetico di Friedrich
Rückert, che è il testo scelto per il secondo brano dell’op. 34.
Hymne è composto per un organico ancor più esteso, in quanto al coro a 16 voci, si aggiunge un secondo coro a 4 voci, che
interviene intonando le ricorrenti invocazioni O gräme dich
nicht! (Non essere afflitto!).
Nella prima parte (le prime 5 strofe del testo, delle 6 complessive), il discorso musicale procede con linearità e in forma dialogante, o antifonica. Quindi, un erudito fugato si estende per tutta la seconda parte, in sintonia con il carattere morale espresso
nella sentenza della sesta strofa: Zwar bedenklich ist unser Gang,
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ovus
Carus
Mixed choir /Chœur mixte
Renato Miani
Die Worte des Engels
Text: Rainer Maria Rilke
Coro SATB
carus novus
herausgegeben von
kurt suttner
Carus 9.930
/ Wohin wir uns wenden, / Kein Ziel zu sehn; / Aber ein jeder Weg, wie lang, / Muss
einst enden, / O gräme dich nicht! (Certo dubbioso è il nostro passo, / là dove ci
volgiamo, / non si può scorgere alcuna meta; / ma ogni via, per quanto lunga, / deve un giorno aver fine, / non essere afflitto!). In questa sezione la scrittura assume
un notevole livello di complessità. I motivi dei singoli episodi della prima parte ritornano, per incrociarsi con il tema del fugato, in un gioco d’intrecci contrappuntistici assai articolato e ricercato. Tempo “alla breve” e recupero della verticalità nella coda, ad affermare il sentimento di fiducia con cui si chiude il brano.
Diciannove minuti di durata costituiscono un limite di smisurata sostenibilità per
un’esecuzione a cappella. Tanto dura il Deutsche Motette. Intonazione e vocalità
sono sottoposte a un’ardua prova di tenuta. A ciò si aggiunga la dilatazione dell’ambito sonoro, fino a oltrepassare di poco le quattro ottave di estensione complessiva (dal si bemolle grave del basso IV, al re bemolle acuto del soprano I). E, non
da meno, le tessiture dei registri interni sono spinte a toccare i loro limiti estremi.
Insomma, una partitura che, per le asperità esecutive da superare, è in grado di
mettere in soggezione e difficoltà anche le compagini corali più capaci.
L’aggettivo contenuto nel titolo tradisce il riferimento al Deutsche Requiem di
Brahms. A esso la composizione di Strauss idealmente si ricollega. Ne riprende il
senso di continuità con la tradizione polifonica rinascimentale e barocca tedesca.
E ne condivide il carattere spirituale, non religioso. Il termine “mottetto” è, pertanto, usato solo in accezione formale.
Il testo di Friedrich Rückert si presenta sotto forma di preghiera – o meglio, invocazione – della sera, alla musa ispiratrice. I versi descrivono l’irrequietezza interiore, allorquando la vigile ragione cede il passo al mistero delle cose notturne.
Soltanto gli effetti benefici di un luminoso sogno ristoratore possono allontanare
il senso di smarrimento, che incombe dalle tenebre. Tematiche di suggestione romantica, sulle quali l’immaginazione musicale di Strauss si è soffermata a più
riprese.
La struttura del pezzo è assimilabile a Hymn. Una prima sezione, in cui gran parte del testo di Rückert viene svolto. E una seconda sezione (in stile fugato), che
indugia nell’auspicio espresso dal distico O zeig mir, mich zu erquicken, im Traum
das Werk / Vollender, das ich angefangen, o wach in mir! (Per ristorarmi, mostrami, nel sogno, / compiuta l’opera intrapresa, o veglia in me!). Quindi, la conclusione, sui versi In deinem Schosse will ich schlummern, bis neu mich weckt / Die
Morgenröthe deiner Wangen; o wach in mir! (Nel tuo seno voglio assopirmi fino
a che mi desti / l’aurora nel tuo volto, o veglia in me!). La ricorrenza, al termine
dei versi pari del testo della supplica o wach in mir! (o veglia in me!), è interpretata dal compositore alla stregua di un “refrain-clausola”, che insistentemente rimbalza dalle voci dei soli a quelle del coro.
Il Deutsche Motette si apre in un clima di profonda quiete universale. Larghe campate accordali oscillano tra le tonalità di do maggiore e di mi bemolle maggiore.
Una mistura di figurazioni di terzine e quartine origina un ordito vocale indefinito
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e inquieto: il presentimento di oscure forze tenebrose, il timore di insinuanti desideri peccaminosi. Presagi dissipati dal carezzevole motivo del frutto della vita, che pende dall’albero
dell’Eden. Nella sezione in stile fugato, la scienza contrappuntistica di Strauss si esprime al massimo grado di complessità.
Il lungo episodio prende l’avvio da un tema alquanto articolato. A poco a poco, i tempi delle entrate si stringono, generando una fitta trama polifonica. Al tema del fugato si sovrappone il refrain-clausola o wach in mir!. Repentini e imprevedibili
scarti modulanti agitano il tessuto vocale. Il tutto raggiunge una
soglia di elevato parossismo prima della “catastrofe” (nel senso drammaturgico del termine) finale, che riporta la massa vocale al clima disteso iniziale. Un conciso riepilogo dei motivi
principali conduce al termine, nella ristabilita luminosità del tono di do maggiore.
Una narrazione corale ad ampio respiro, pari a quella dei grandi poemi sinfonici orchestrali: così, in sintesi, si può definire
l’impressione che deriva dall’ascolto di questo capolavoro
straussiano.
Traumlicht (secondo dei Tre cori, op. 123, composti per il Männergesangverein di Colonia), appartiene all’ultimo periodo di
produzione di Strauss. Ancora una volta un testo del poeta prediletto Friedrich Rückert. Di nuovo un canto della sera, ma elaborato musicalmente in una veste più intima e raccolta. Alla sobrietà delle cinque voci maschili corrisponde una scrittura
lineare, in cui la voce superiore conduce la linea melodica. Le
raffinatezze dei passaggi armonici, culminano nelle aperture
accordali che ci proiettano nella luminosità del sogno, in cui
notte e giorno si confondono: Hell dämmert mild ein Licht im
Traum / am Tage mir nach (Vedo spesso la luce brillante del
mio sogno / durante il giorno).
In conclusione, le opere corali a cappella di Strauss ci illustrano quelle tematiche poetiche (natura, tramonto, riposo, pacificazione, sogno, condizione notturna dell’anima, luce), che ritroviamo anche nell’intera sua produzione maggiore. Sono
«convinzioni romantiche nelle quali Strauss credeva, l’unità panteistica del mondo, la vigilanza della coscienza, la forza liberatrice del lavoro creativo» (F. Serpa). Opere in cui converge e si
compie l’arco della grande tradizione polifonica tedesca: da
Schütz, a Bach, a Brahms. Ma non ci dimentichiamo di premesse più antiche (e l’eco lontano ancora si avverte), che risalgono al genio di Monteverdi.
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47 minuti, la durata totale del CD. Pochi, si dirà, per la capienza un supporto discografico che avrebbe potuto contenere qualche altra proposta, ma sufficienti a contenere un esaustivo compendio dell’arte di uno tra i più grandi e amati compositori
dell’epoca moderna.
Mauro Zuccante
Die Worte des Engels
per coro misto a cappella
di Renato Miani
Carus-Verlag, 2012
È stata pubblicata da Carus, importante casa editrice tedesca
tutta dedicata alla musica corale (per chi ancora non la conoscesse), la composizione del friulano Renato Miani Die Worte
des Engels per coro misto.
Miani è un compositore con un ricco curriculum professionale
che si è dedicato essenzialmente alla musica strumentale e vocale solistica. Il suo linguaggio è decisamente ancorato ai valori della costruzione sonora. Ha anche fornito, su sollecitazione di amici direttori di coro, qualche pezzo per i gruppi amatoriali
sia “polifonici”, sia di ispirazione popolare, obbligandosi alla ricerca di soluzioni meno complesse, ma sempre nell’ambito di
in uno stile personale.
Il testo scelto da Miani per questa sua pagina corale è una bellissima poesia di Rainer Maria Rilke, una sorta di moderna meditazione sul mistero dell’Annunciazione: l’angelo, «venuto a
compiete il sogno millenario», parla a Maria, che non risponde.
Maria è luce, Maria «è la pianta». La costruzione ha un carattere vagamente madrigalistico. Il trattamento orizzontale delle
voci prevede alcuni passaggi per intervalli dissonanti (in particolare la quarta eccedente dell’elemento melodico iniziale, riproposto in più punti del brano con funzione di richiamo formale). In termini generali l’ambito armonico è tonale pur con il
continuo fluttuare delle alterazioni che creano situazioni accordali allargate rispetto all’impianto di base (sol minore). Per il livello tecnico richiesto, il brano è certo un pezzo d’impegno per
un buon coro amatoriale. Si consiglia la visione della Probenpartitur consultabile sul sito della casa editrice.
Roberto Frisano
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LA VITA CANTATA
Rubrica dedicata al canto di ispirazione popolare
a cura di Puccio Pucci
COMPLEANNI DI VITA
Esperienze in Valtellina e Valchiavenna
L’attività dei cori di ispirazione popolare nasce da molto lontano, sull’onda del successo delle melodie che i cori trentini SOSAT e SAT andarono a rendere emblema
del canto alpino di tradizione. Fu un proliferarsi di complessi che, dai luoghi in cui
presero origine, conquistarono anche le simpatia dei giovani che, dopo l’evento
bellico, tornarono a frequentare i sentieri e appigli delle nostre montagne e si ritrovarono a sera, stanchi morti, nel fumoso e tiepido ritrovo di qualche vecchio rifugio appena riaperto. Il canto, magari non perfetto negli accordi appresi dai vinilici dei “cori guida”, nasceva spontaneo e poteva poi avere un proseguo a valle
con la timida nascita di un gruppo corale, il cui nome spesso ricordava quello di
alcune delle vette raggiunte nelle esperienze estive.
Questa rubrica è nata proprio per dare spazio, in una rivista nazionale che raccoglie 2700 gruppi corali con repertori che vanno dal gregoriano alla musica contemporanea, a quel largo settore di complessi che ancora frequentano i canti popolari, o che avvalendosi delle esperienze artistiche di valenti musicisti eseguono
nuove composizioni, sempre strettamente legate al filone delle tradizione popolare e della ricerca sul campo.
È evidente che i compleanni di continuità artistica, che dura da cinquanta anni e
più, si stanno avvicendando per molti cori e sarebbe difficile dedicare solo a queste ricorrenze, per quanto di straordinaria importanza culturale e artistica, lo spazio riservato da Choraliter alla “vita cantata”. Spazio che vuole piuttosto testimoniare il procedere, l’evoluzione musicale di questo tipo di coralità.
Nella provincia di Sondrio troviamo però un genetliaco che merita una deroga importante. Infatti nel 2014 ci sono due complessi che contemporaneamente compiranno il cinquantesimo e questo li unisce in una ricorrenza che li ha visti operare
non soltanto per la loro crescita artistica, ma anche per la grande opera compiuta dai loro dirigenti alla nascita di un associazionismo che li riunisse con l’Usci prima localmente poi, in comune accordo con i cori di altre regioni, in una federazione nazionale. L’esperienza e l’attività dell’amico Giampiero Mariconti di Chiavenna
in ambito Feniarco ne fa ampia testimonianza.
Pensate alla collocazione geografica: la lunga e stretta Valchiavenna racchiusa da
superbe montagne e la città di Sondrio, al centro della Valtellina all’estremo nord
delle Lombardia. Anche da questi luoghi lontani la vivezza del cantare in coro ha
dato frutti strepitosi ed esperienze di grande valore. Ho chiesto a questi due cori, il Nivalis di Chiavenna e il CAI di Sondrio, qualche cenno del loro percorso musicale. Mi è sembrato interessante pubblicare quanto ci hanno raccontato.
RUBRICHE
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Il Coro Nivalis di Chiavenna
Il Coro Cai di Sondrio
1964. È l’Italia del boom economico e della voglia di fare, e in
provincia, quella di Sondrio, dove le attività principali sono legate prevalentemente all’agricoltura, all’allevamento, alla piccola industria e al vasto fenomeno dell’emigrazione, soprattutto in Svizzera, c’è anche la voglia di stare insieme e di rafforzare
il legame fra uomini, attorno a cose e a sentimenti che ravvivano, attraverso il canto corale. Nasce così il Coro Nivalis di
Chiavenna.
Cinquant’anni di vita vissuta intensamente, con passione, con
un costante lavoro di apprendimento, di ricerca interpretativa,
di recupero e di diffusione del canto popolare spesso considerato una forma musicale di secondo ordine, mentre, invece, entra a pieno diritto a far parte della cultura in quanto documento prezioso per rileggere la storia, la civiltà, la vita passata e
presente di un popolo.
Il coro affonda certamente le sue radici in molte attività musicali; vive a Chiavenna fin dai decenni postunitari dell’Ottocento, ma più specificatamente alla metà del Novecento, quando
si afferma nella musica sacra la Corale Laurenziana del maestro D’Amato.
La costituzione, i concerti, l’attività del coro di Chiavenna sono
eventi che hanno lasciato il segno nel contesto sociale, musicale e artistico ben oltre l’orizzonte della deliziosa cittadina delle Alpi che ha visto nascere il complesso. Ecco infatti il Coro Nivalis farsi promotore di importanti manifestazioni come Le
Chiavi d’argento, una rassegna nata nel 1981, che si è via via
imposta all’attenzione per la sua formula innovativa, che ha visto affiancati in un unico concerto cori polifonici e cori popolari, ma soprattutto per l’elevata qualità delle proposte artistiche.
Ma poi, più recentemente, quando le Chiavi d’argento sono state dedicate elusivamente al canto polifonico, il Coro Nivalis ha
promosso annualmente Vocincoro, una manifestazione dedicata esclusivamente al canto popolare.
L’attenzione alle iniziative che portarono alla fondazione di Feniarco videro i dirigenti del Nivalis in prima linea, nella convinzione che quella fosse la strada unica e importante per consentire alla coralità l’affermarsi in sede nazionale ed europea.
La costante attività e presenza del coro ha costituito stimolo e
induzione per una vera e propria fioritura, nel territorio, di gruppi e attività corali. Potremmo chiamarla una coralità diffusa determinata dalla voglia di cantare e cantare bene, stare insieme
per una crescita umana e di sensibilità musicale
Le nozze d’oro son un bel traguardo, ma non un punto d’arrivo; semmai una partenza lanciata. Finché c’è musica, l’uomo
può sperare.
Il Coro CAI, un nome subito importante, riferimenti precisi, un
sodalizio appena nato che ha l’onore di potersi fregiare di un
simbolo già storico, quello del Club Alpino Italiano, sodalizio
che in Valtellina era radicato già da quasi cent’anni.
È l’Italia del boom economico e della voglia di fare, e in una
Valle dove le attività principali sono legate principalmente all’agricoltura e all’allevamento e al vasto fenomeno dell’emigrazione soprattutto in Svizzera, c’è anche voglia di stare insieme e
di rafforzare il tessuto sociale, di ritrovarsi dopo “l’assenza per
lavoro” e il canto nasce spontaneo nelle osterie, soprattutto sul
repertorio dei canti degli Alpini.
In Valtellina la cultura corale era già ben viva, a Sondrio tuttavia le esperienze sorte in anni precedenti si erano interrotte per
vari motivi e di fatto non esisteva un coro. Si trattava quindi di
riannodare questo filo interrotto, di riaccendere con giovanile
impudenza l’entusiasmo in chi l’aveva smarrito.
L’idea – nobile – di un preside illuminato di onorare col canto la memoria degli ex-alunni del liceo classico caduti nel corso della seconda guerra mondiale, è raccolta da alcuni giovani che con entusiasmo affrontano la circostanza e nel corso
della preparazione dell’evento si lasciano prendere dalla passione per il canto tanto da lavorare per costituire un coro stabile che possa durare ben oltre la celebrazione. Questo fermento muove persone, il presidente della sezione del C AI che
concede i locali per le prove, il sacerdote in odore di beatitudine che concede in “prestito gratuito e definitivo” l’harmonium per le note, coristi che riprendono il canto precedentemente abbandonato.
E l’impresa riesce, si superano le difficoltà logistiche e di mezzi e si trovano, soprattutto all’interno della sezione del CAI, i
cantori. Il primo maestro, Renato Busin, riprende il ruolo che
già aveva ricoperto precedentemente e con sensibilità insegna
Sul rifugio, il primo canto nel repertorio del coro.
I primi anni costituiscono una gavetta, che vede alternarsi maestri e piccoli passi avanti, stalli e insuccessi, ma nonostante
tutto il coro resiste.
Poi nel 1969 la svolta: la direzione è assunta da Siro Mauro, il
Maestro, unanimemente considerato il “padre della coralità valtellinese” per la sua trasversale e molteplice attività tra i cori
valtellinesi. Le sue capacità umane e musicali incidono radicalmente tra i componenti del Coro CAI Sondrio e nel corso di trentuno anni sotto la sua guida il nostro sodalizio ha raggiunto
traguardi difficilmente immaginabili alla nascita. Partendo dallo storico repertorio della SAT, Siro lavora sui coristi, affinandone la tecnica con le continue prove, poi introduce gradualmen-
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te il repertorio dei maestri che stanno portando novità nel canto corale, Bon, De
Marzi, Malatesta, Mazza, Vacchi.
Sono anni ricchi di impegno, il concerto non viene vissuto solo come esibizione e
condivisione di esperienze canore. Sono gli anni della costituzione della sezione
valtellinese dell’Usci, delle giornate del corista, appuntamento istituzionale di studio e confronto con musicisti e maestri che arrivano in Valtellina e ascoltano, commentano e danno indicazioni ai cori locali.
A testimonianza di tutto questo costante lavoro di apprendimento e affinamento,
di ricerca interpretativa, restano le incisioni che cadono in occasione degli anniversari, a sottolineare le tappe percorse e dare nuova spinta al sodalizio.
Le prove non sono mai solo l’appuntamento per apprendere un canto. La prova è
sempre l’occasione di incontro, di dialogo, di discussione. A volte, magari dopo un
concerto con poco pubblico, ci si ritrova anche a riflettere sulla nostra attività: che
significato ha oggi il canto popolare?
I modelli di maggiore successo sono diversi nei contenuti, nelle musiche e nello
stile rispetto a quanto un coro come il nostro propone. Generalmente anche i mass
media riservano ampio spazio a queste altre forme di intrattenimento e di musica, la “coralità popolare” spesso viene ricordata con un breve cenno all’interno
della notizia sull’evento.
Poi il maestro dà l’accordo, si riprendono vecchi canti del nostro repertorio, si ripetono pezzi di canzone perché l’espressione non è quella che ci soddisfa o perché il brano non è ancora completamente nelle corde del coro, si imparano canzoni nuove. Poi ai concerti vediamo facce giovani, sicuramente più legate ai citati
altri modelli musicali e questi giovani chiedono delle prove, fanno osservazioni
sui testi, si interessano a noi, ci dicono che seguono concerti anche di altri cori e
qualcuno comincia a frequentarci ed entra in organico e si viene anche a conoscenza che nel corso del 2012 sono sorti oltre 100 nuovi cori in Italia…
E durante il rinfresco che quasi sempre conclude la serata, alla soddisfazione per
un complimento, per un assolo ben cantato o per un potente crescendo si aggiunge quella maggiore di aver contribuito a una serata di amicizia.
E allora i dubbi scompaiono, lasciano il posto all’impegno, alla voglia di cantare,
alla voglia di stare insieme, e vediamo chiaro quello che, ancora oggi, è il canto
corale: una attività espressiva fortemente coinvolgente e comunicativa, che aiuta
la crescita e l’educazione della persona sviluppando le potenzialità relazionali.
E proprio questo è il fatto che maggiormente vorremmo sottolineare, come questo canto che non ha grandi palchi, grandi echi mediali e ritorni economici, sia in
realtà fattore di positiva interazione sociale, e che la voce senza watt di amplificazione è ancora in grado di parlare al cuore e all’anima dell’uomo.
CD
CD
CHORALITER
RUBRICHE
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Bando di partecipazione
Feniarco intende selezionare registrazioni
dotate dei requisiti necessari per essere allegate alla rivista nell’anno 2014.
Al presente bando potranno partecipare tutti
i cori italiani. Le registrazioni, inedite o edite in
tiratura limitata, dovranno essere state realizzate, alla data di scadenza del bando, da non più di
5 anni e dovranno rispondere ai seguenti criteri:
> avere carattere unitario, presentandosi come
un progetto focalizzato su un tema omogeneo
e artisticamente significativo, tale da poter
essere oggetto di un dossier della rivista;
ultimoso!
avvi
last
call!
> essere di qualità sul piano dell’esecuzione, della registrazione e del repertorio proposto;
> avere una durata non inferiore ai 50
minuti.
Le registrazioni andranno inviate a
Feniarco entro il 31 maggio 2014 unitamente a un curriculum del coro e del direttore e una dichiarazione di autenticità dell’esecuzione.
Una commissione d’ascolto costituita dal direttore della rivista e da due componenti della commissione artistica nazionale valuterà le registrazioni pervenute, formulando una graduatoria in
base ai predetti criteri.
La redazione si riserva la possibilità di utilizzare anche parzialmente le registrazioni pervenute,
pubblicando un CD antologico.
I costi di realizzazione del master sono a carico
dei cori. Feniarco provvederà alla duplicazione,
alla stampa dell’eventuale booklet e alla diffusione. Il coro interprete del CD selezionato fornirà
inoltre una liberatoria che autorizzi Feniarco alla pubblicazione e diffusione, rinunciando ai diritti che saranno esercitati da Feniarco in quanto editore.
Per le registrazioni eventualmente già edite,
dovrà essere allegata una liberatoria da parte
dell’editore, che autorizzi alla duplicazione e diffusione.
Al coro interprete del CD pubblicato saranno riservate 50 copie omaggio della rivista e ulteriori 100
copie del CD.
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MONDOCORO
a cura di Giorgio Morandi
If you practice, you get better.
If you get better, you sing with better singers.
If you sing with better singers, you sing better music.
If you sing better music, you have more fun.
If you have more fun, you want to practice more.
If you practice more, you get better…
Se ti eserciti, migliori. Se migliori canti con cantori migliori. Se canti con cantori
migliori, fai musica più bella. Se fai musica più bella, ti diverti di più. Se ti diverti di più, vuoi esercitarti di più. Se ti eserciti di più, migliori. Ma posso tradurre
anche in questo modo: Se fai prova, stai meglio. Se stai meglio, canti con cantori migliori. Se canti con cantori migliori, fai musica più bella. Se fai musica più bella ti diverti di più. Se ti diverti di più, vuoi fare più prove. Se fai più prove stai
meglio.
E come no?! Somma verità, tanto che non è comprensibile perché in molti cori le
assenze di alcuni cantori siano un problema.
L’augurio di Mondocoro arriverà a primavera avanzata, in pieno periodo di attività concertistica dopo la pausa di studio invernale, ma è sempre quello: se fai prova ti senti meglio! (…e non dimenticare che anche i tuoi amici di coro – cantori e
direttore – si sentono meglio!). Qualcuno ha fatto osservare che le sei affermazioni funzionerebbero purtroppo anche in senso inverso. Beh, è vero, ma quale corista può alzarsi al lunedì mattina e proporsi: «Questa settimana io vado al contrario!» Inimmaginabile! Impensabile!
(Per quanto riguarda l’origine delle sei frasi, esse sono una parafrasi di quelle originarie scritte da Doug Yeo, già trombonista della Boston Symphony).
Buona estate!
Assisi Pax Mundi
Se questo è uno dei titoli più belli che sia mai stato dato a una tessera del grande mosaico Mondocoro che si è costruito in quasi 15 anni, devo anche confessare subito che esso è copiato. Il diritto d’autore è da riconoscere alle Famiglie Francescane di Assisi che in collaborazione con il Coro della Basilica di San Francesco
(guidato da Padre Giuseppe Magrino) per la prima volta organizzano, appunto con
questo titolo, un evento musicale particolare, quasi a realizzare l’invito che Daniel
Faure del Coro de Camara Androgué (Argentina) già anni fa proponeva con queste parole: «Come sono belli i piedi di coloro che predicano il vangelo della pace.
Il loro suono si sparge per tutta la terra e le loro parole varcano tutti i confini della terra. Fratelli e sorelle di tutto il mondo diciamo sì alla pace, e no a guerre di
ogni genere. Siamo cantori, siamo musicisti. Organizziamo concerti per la pace,
ogni giorno, ogni ora, in ogni parte del mondo, ogni coro, orchestra o gruppo musicale, pronunciando un semplice messaggio: “Noi diciamo no alla guerra”. La musica è l’unico linguaggio comune che possiamo condividere. La musica non uccide, la musica non fa male a nessuno. Musica è vita».
Assisi Pax Mundi sarà una rassegna internazionale di musica sacra, evento non
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competitivo a cui potranno partecipare gruppi corali e strumentali di ogni paese e nazione. Ha lo scopo di contribuire alla promozione della cultura della musica sacra, in particolar modo
quella che si ispira alla figura di San Francesco e al mondo
francescano in genere. Attraverso l’incontro di vari gruppi corali e strumentali che fanno concerto in diversi luoghi francescani in diverse ore del giorno, si vuole dimostrare che incoraggiare e sviluppare la cultura della pace e della cooperazione
fra i popoli secondo lo spirito di Assisi è possibile. Questa grande festa corale francescana terminerà la domenica mattina con
una Santa Messa celebrata nella Basilica Superiore di San Francesco e con l’esecuzione del Cantico delle Creature sulla piazza antistante la basilica stessa. Parteciperanno alla messa e
all’esecuzione del Cantico delle Creature tutti i gruppi corali e
strumentali che entro il 31 luglio 2014 avranno inviato la propria adesione. Le ragioni e le motivazioni dell’evento, il programma dettagliato delle attività, le modalità di adesione e tutte le informazioni per la sistemazione logistica dei gruppi sono
reperibili nel sito www.corosanfrancescoassisi.org.
È degno di sottolineatura specifica il fatto che il progetto delle Famiglie Francescane di Assisi e del Coro della Basilica di San
Francesco, proponendo momenti musicali diversi in luoghi e
orari diversi, si pone nel solco dell’esortazione di papa Francesco il quale in Evangelii Gaudium (n. 167) auspica che «ogni
Chiesa particolare promuova l’uso delle arti nella sua opera
evangelizzatrice, in continuità con la ricchezza del passato, ma
anche nella vastità delle sue molteplici espressioni attuali». Chi
più dei cori può, infatti, rappresentare «la continuità con la ricchezza del passato», e la «vastità delle sue molteplici espressioni attuali» visto che tra le «espressioni di bellezza autentica
la musica ha sempre rivestito un ruolo di primo piano»?
Cd di musica italiana
Francesco Durante: Natale Napoletano II
Kölner Akademie, dir. Michael Alexander Willens
Deutschlandfunk cpo 777 734-2 (2012; 70; 27)
Parliamo di musica composta dal napoletano Francesco Durante (1684-1755) che a 27 anni era già maestro al conservatorio
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S. Onofrio di Capua-Napoli prima di passare al conservatorio
Poveri di Gesù Cristo e poi al Sant’Onofrio. Anche se oggi è forse più noto per alcuni assoli vocali, Durante è considerato uno
dei più importanti compositori di musica napoletana da chiesa.
Certamente in questa registrazione c’è molto da ammirare. La
Kölner Akademie col direttore Michael Alexander Willens si dà
molto da fare per eseguire musica dal diciassettesimo secolo
a oggi su strumenti moderni e d’epoca e con solisti ospiti famosi in tutto il mondo. I solisti (tutti professionisti dalla voce
altamente qualificata e bella) sono ben bilanciati e producono
musica in modo stilisticamente appropriato e bello. Monica Piccini è un soprano flessibile che ci dona molti momenti di vera
bellezza. La voce di Ursula Eittinger dapprima sembra nasale e
richiama quella di un controtenore ma è molto bella e ricca e
lascia l’ascoltatore con l’impressione che questa sia proprio la
voce giusta per questo tipo di musica. Le voci del tenore Alberto Ter Doest e del basso Dahlmann affrontano con agilità le esigenze della polifonia ornata e spesso melismatica. Una cantante altrettanto capace è Christina Kühne che da soprano secondo
si unisce agli altri nel Kyrie-Gloria della Messa In Afflictionis
Temporis che in tre movimenti per il Kyrie e otto movimenti per
il Gloria chiude la registrazione. Nella sua composizione per SAT,
coro a 5 parti, due oboi, due trombe, archi e continuo, la messa nelle sue parti solistiche è un brano ancor più maestoso e
ornato dei brani che la precedono. Comunque anche i primi brani sono molto piacevoli da ascoltare, di forma semplice e musicalmente impegnativi per i cantanti. Parliamo del mottetto latino Cito Pastores che apre il CD: è una bella pastorale arrangiata
da Luna Oda con ritornelli per archi e continuo. Parliamo del
brano che segue, Laudate, pueri detto il Grottesco: questo pezzo, l’unico del gruppo tutto per coro, offre un florido contrappunto compensato da brevi sezioni omofoniche. Parliamo, infine, delle Litanie a due voci con violini che ci offrono le litanie
della Beata Vergine Maria per soprano, contralto, due violini e
basso continuo.
Non c’è dubbio: Natale Napoletano II è una bella registrazione
di musica natalizia che merita di essere ascoltata ed eseguita
in qualsiasi tempo.
Comandamenti/regole
per i direttori di coro
Nota per il lettore: L’estensore di questa nota non può vantare
studi musicali istituzionali, ma una esperienza di vita corale di
poco meno di 60 anni (come? Che state dicendo? che deve
ritirarsi? Davvero siete convinti che non possa continuare a divertirsi per altri venti o trenta dei 60 anni di vita che gli restano ancora?). Ha maturato la sua esperienza canora con almeno
venticinque diversi direttori di coro, in cori di scuola elementare, cori liturgici di seminario, cori giovanili di sole voci maschili, cori giovanili a voci miste, coro da cattedrale (voci maschili
e voci bianche), gruppo vocale, coro di voci miste adulte, coro
popolare maschile, coro parrocchiale post-conciliare e ora po-
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trebbe essere un accettabile (presuntuoso? …o orgoglioso!) cantore di coro della
terza età. Solo e tutte queste qualifiche gli permettono di dire la sua – senza arroganza, anzi con gratitudine, ovvio – sui direttori di coro. E la dice.
Il decalogo che riporto qui sotto è stato compilato nel 2000 da qualcuno che in
quel momento pensava soprattutto ai direttori di coro da chiesa, ma potrebbe essere benissimo la base – una volta modificato e orientato in forma un po’ più professionale – per un simile decalogo per i direttori di coro in generale. Eccolo:
1. Prima di cominciare a insegnare un brano il direttore di coro deve già conoscerlo; non deve pretendere che il suo coro stia buono seduto e in silenzio mentre lui
studia un passaggio.
2. Non deve mai incolpare il coro per i propri sbagli, come, per esempio, per degli attacchi o stacchi imprecisi.
3. Deve ricordarsi che non sta agitando le mani per allontanare mosche fastidiose,
ma sta dirigendo i suoi fratelli e sorelle per aiutarli a produrre un rumore gioioso.
4. Non deve mai perdersi in lunghe conversazioni con il suo organista… fino a
quando il coro non ne può più.
5. Deve ricordare che il coro è lì volontariamente (di solito) e in questo proprio
tempo avrebbe mille altre cose da fare.
6. Non deve pianificare e preparare le prove di coro durante l’ora di cena. È certo
che un’ora più tardi la prova saprà… di riso stracotto.
7. Ricordi il direttore che il coro rimanda su di lui lo sguardo che vede sul suo volto. Quindi… sorrida più spesso che può!
8. Non dimentichi il direttore che un direttore di coro ben preparato è sempre molto più efficace.
9. Un direttore non deve mai sostenere il falso contro il suo coro per coprire le
proprie mancanze. Se fa un errore di direzione, lo ammetta, anche solo per Dio e
per te stesso, e non accusi i suoi coristi di essere “impreparati”.
10. Ricordi, il direttore, che se il suo coro è irrequieto e chiacchierone, può anche
darsi che ne riceva indicazioni e sollecitazioni (coscienti o incoscienti) direttamente da lui stesso.
Proposta: i soliti ventiquattro lettori di Mondocoro sono invitati a dire la propria
idea sull’argomento, comunicandola all’autore ([email protected]). Si potrebbe in futuro pubblicare un nuovo decalogo aggiornato. Sperando di non scoraggiare la risposta alla sollecitazione appena esposta, comincio io con un commento personale da cantore: del decalogo sopra presentato il punto più importante è
il n. 7. Intendendo per «sguardo del direttore» anche l’atmosfera personale di entusiasmo, di sofferenza, di gioia, di delusione, di soddisfazione, di apprezzamento, di compatimento/rassegnazione che comunica e che qualche momento di prova o di concerto immancabilmente comporta, e che umanamente è più che
comprensibile… ma altrettanto umanamente è devastante nel cantore! Ci
sentiamo?!
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La tradizione popolare, il pezzo corale
perfetto
«Quale è il pezzo corale più perfetto che sia mai stato composto?». È la domanda oggetto di una indagine svolta da ChoralNet (il newsgroup già più volte citato da Mondocoro). Mantenuta la traduzione letterale di un originale inglese most perfect
[se è perfect non è ammissibile most!], posso informare immediatamente i nostri lettori che molti musicisti – direttori di coro, compositori, e insegnanti di musica e cantori – in risposta
alla domanda iniziale hanno
indicato specificamente una
tra le più grandi opere della
musica occidentale. A mo’ di
esempio ne cito alcuni: Ave
Verum di Mozart, Geistliches
Lied di Brahms, Sanctus del
compositore
norvegese/
americano Ola Gjeilo, Wind
through the Olive Trees di
Carlisle Floyd, Requiem di
Fauré e Chichester Psalms di
Bernstein, Sicut cervus di
Palestrina, He, watching over Israel di Mendelssohn, Requiem
di Verdi, Water Night di Eric Whitacre, Miserere di Allegri, Ave
Verum Corpus di William Byrd, Friede auf Erden di Arnold
Schönberg, poi An dem Baum Daphne di Richard Strauss, Ave
Maria di Biebl, Dona nobis pacem dalla Messa in si minore di
Bach e tanti, tanti altri, secondo gusti e sensibilità diverse.
Mi piace rendere partecipi i lettori di Mondocoro di quella che
secondo me è stata la risposta più interessante e sotto certi
aspetti insuperabile. Un certo Bart Brush ha scritto:
«Sono stati segnalati molti pezzi meravigliosi e nuovi da ascoltare. Adoro molti di questi… probabilmente non saprei mai sceglierne uno solo… Ma il suggerimento del brano Yes Jesus loves me mi porta a pensare a tutto quel mondo di musica
parallelo che è la tradizione popolare. Che forza creativa misteriosa e grande è quella che fa sì che nelle più diverse circostanze, persone di poca o nulla preparazione musicale sanno creare musica, sia che sappiano metterla per iscritto oppure
no! Che cosa è che spinge una persona a creare un canto e lo
costringe a modificarlo e a trasmetterlo… e più, e più ancora?
Come è, come succede che una melodia antica di secoli venga ripetuta e riutilizzata e rielaborata, riadattata e riproposta
– come motivo per cornamusa, e poi tema per violino, e quindi per un canto di lavoro, poi un inno e quindi un canto di protesta per diventare poi tema per l’opera di un compositore
tradizionale?
Che cosa ha spinto i primi erranti maestri cantori americani a
mettere in musica – sì, ancora una volta – gli antichi testi biblici? Cosa ha spinto le comunità entusiaste e appassionate che
rivendicano questi come la propria espressione più seria e
gioiosa?
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C’è pathos nell’inno a note figurate (shape-note) The dying California (California che muore), originariamente lettera di un fratello da parte di un uomo che sta morendo su una nave che
sta girando Capo Horn al tempo della corsa all’oro in California. Sia in God bless America (Dio Benedica l’America) di Irving
Berlin sia nella risposta di Woody Guthrie God blessed America
for me (Dio ha benedetto l’America per me) il cui titolo poi cambiò in The land is your land (Il paese è la tua terra) c’è amore
e gratitudine… c’è pentimento ed estasi in Amazing grace (letteralmente Grazia stupefacente) scritta dal capitano di una nave di schiavi… C’è maestosità e convinzione in We shall overcome (Noi saremo vittoriosi) di Pete Seeger e altri. Come i
capolavori dei grandi compositori, ma attraverso un percorso
diverso, queste grandi opere della gente vengono fuori dalle
nostre più profonde preoccupazioni e aspirazioni umane… e crescono, crescono… al di sopra di ogni cosa… e sempre».
Nota: Con la dicitura shape note (nota figurata) si indica una
notazione musicale nata nelle Church Singing School (Scuole
per l’insegnamento del canto da chiesa) del New England verso la fine del 1700 e poi diffusasi in tutti gli Stati Uniti all’inizio del 1800. Le sette note vengono indicate con quattro simboli diversi: la forma della testa della nota indica le sillabe FA , SOL , LA , e MI , da cui il termine alternativo “fasola” per indicare questa notazione. La raccolta di canti religiosi Sacred Harp ne è la principale esemplificazione.
La maestosità e la convinzione
di We shall overcome era già in
O sanctissima?
“Saremo vincitori” (We shall overcome) è il ben noto a tutti inno del movimento per i diritti civili d’America, un canto popolare che ha giocato un ruolo significativo nella storia d’America e del mondo e che in tutto il mondo che lotta per la pace e
la giustizia continua a ispirare le popolazioni. In diversi momenti della storia We shall overcome è stato usato come canto per
il movimento dei lavoratori, come canto per i diritti civili, come
canto di protesta e come inno.
Un interessante articolo di Victor V. Bobetsky sulla rivista Choral Journal dell’ACDA (la grande Associazione dei Direttori di Coro Americani) riassume le attuali conoscenze circa le origini e
l’evoluzione di testo e melodia di questo canto, prendendo in
considerazione sette probabili canti/antenati da cui esso deriverebbe o coi quali ha, comunque, dei richiami espliciti. Questi sono: O Sanctissima, No more auction block, I’ll overcome
some day (Tindely), I’ll be like him someday, I’ll overcome someday (Morris/Twig), I’ll be all right e il canto di lavoro I will
overcome.
Inoltre l’articolo offre una nuova prospettiva sulla relazione che
esiste fra due dei canti che potenzialmente stanno a monte di
We shall overcome.
A dimostrare l’interesse dell’articolo estrapoliamo per i lettori
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di Mondocoro la parte che considera il canto italiano O Sanctissima, il più antico
dei sette antenati citati.
O Sanctissima (che in onore della Beata Vergine Maria ancor oggi capita di sentir
cantare in latino nelle chiese cattoliche) è un antico canto italiano conosciuto anche come Inno dei Marinai Siciliani, ed è probabilmente l’antenato più antico di
We shall overcome. Composto fin dalle origini su testo latino, questo canto appare stampato per la prima volta nella rivista inglese The European Magazine and
Review nel 1792. La melodia italiana venne presto impostata su un testo inglese
preesistente, Lord dismiss us with Thy blessing (Signore congedaci con la tua benedizione), attribuito al teologo e compositore di inni John Fawcett (1740-1817).
Questo inno divenne presto molto popolare sia in Inghilterra sia in America, tanto che a metà 1800 era già parte del repertorio degli inni protestanti. Ma le vere
origini di O Sanctissima sono sconosciute. James J. Fuld ha suggerito che l’origine
della melodia possa essere un canto popolare italiano o un’aria dell’area napoletana. Qualcun altro suggerisce che fosse cantata tradizionalmente da marinai
siciliani al termine di una giornata di mare. Ma nessuna di queste tesi è provata.
Comunque quello che è interessante osservare è che in O Sanctissima ci sono tre
idee musicali importanti che in tempi diversi riappaiono nei diversi canti dell’albero genealogico di We shall overcome. La successione dei toni e il ritmo melodico
delle prime quattro battute di O Sanctissima rappresentano la prima idea: sol-solla-la-sol-fa-mi è anche l’inizio di We shall overcome. La seconda idea si trova nelle battute 5-8 dove notiamo un profilo melodico ad arco che fondandosi su una
progressione di accordi armonici delinea l’intervallo di quarta: I – (VI) – V7/V – V –
V7/V – V si trova anche nella corrispondente frase della melodia di We shall overcome. L’arco discendente della frase finale di O Sanctissima (battute 13-16) che
spazia dall’alto al do basso rappresenta la terza idea. Come la frase gira e scende, si delinea l’intervallo di quarta dal do alto al sol e di nuovo alla fine della frase dal fa al do basso.
Queste tre idee si possono sicuramente considerare come parte di una varietà di
semi musicali che, mediante fertilizzazione incrociata e trasmissione orale, potrebbe aver avuto una certa influenza sul contenuto musicale di We shall overcome e
alcuni dei canti suoi antecedenti.
Massimo Nosetti, in memoriam
«Il maestro aveva la capacità di sentire la musica non solo con il cuore, ma con
la mente, grazie alla caratteristica che lo rendeva così grande: saper unire emozioni e razionalità, passione e controllo, in una sintesi armonica e naturale che
passava quasi osmoticamente ai suoi allievi». Questo di un allievo di antica data
del maestro Nosetti è forse il giudizio più pregnante e appropriato per il musicista, il compositore di musica organistica e corale, il direttore di coro e d’orchestra,
il docente di conservatorio, l’organista e l’organaro, l’esperto di musica liturgica,
nonché fondatore del Complesso Vocale Cantus Firmus e di un festival, per il valente organizzatore che è mancato a soli 53 anni il 12 novembre 2013 a Torino. Uomo di cultura raffinata, buon latinista e conoscitore di lingue straniere, era molto
apprezzato internazionalmente (in molti paesi europei, in America del Nord e del
Sud, in Asia e Oceania), per l’attività concertistica che lo ha visto protagonista nei
festival organistici internazionali più importanti e sugli organi delle cattedrali più
celebri, duomo di Torino compreso (dove era organista titolare). Vero signore della musica (e non solo) è stato organista versatile e capace d’interpretare pagine
organistiche d’ogni epoca (anche se prediligeva quelle dei secoli XIX e XX) su qualsiasi strumento. In campo didattico ha condotto numerose masterclass sulla letteratura organistica romantica e post-romantica in svariate sedi universitarie, par-
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ticolarmente in
Usa, Giappone e
Corea. È stato docente di organo e
composizione organistica al conservatorio di Cuneo e del master
in organo romantico all’Accademia
Diocesana di Musica Sacra in San Rocco di Alessandria. All’attività di esecutore
ha affiancato quella di direttore d’orchestra e quella di compositore con la pubblicazione di numerosi lavori, principalmente
organistici e corali. È stato membro della Commissione Diocesana di Musica Sacra occupandosi delle problematiche progettuali, costruttive e di restauro legate all’organo. È stato direttore del Segretariato Organisti dell’Associazione Italiana Santa
Cecilia della quale era stato anche vicepresidente dal 1999 al
2004. La sua fama deriva anche dall’aver fondato, a soli 23 anni, il Festival di Santa Rita a Torino e di averlo organizzato per
trent’anni, opera che ha ben meritato alla città di Torino il titolo di “Capitale dell’organistica mondiale” avendo ospitato i maggiori organisti del mondo alla consolle dell’organo Zanin di Santa Rita – a 4 manuali – che, in qualità di consulente di restauri
e di creazione di nuovi strumenti, egli stesso aveva ideato. Come direttore di coro (Coro della Cattedrale di Torino dal 1980
al 1994 e Gruppo Vocale Cantus Firmus da lui fondato 25 anni
orsono) le proposte del suo repertorio, che fin dall’inizio dell’attività si è concentrato prevalentemente sulla musica sacra, si
orientano in particolare verso la produzione dell’Otto e Novecento ma non tralasciano occasionalmente autori più antichi,
arrivando ad affiancare all’esecuzione del tradizionale repertorio “a cappella” la costante ricerca della ricca produzione per
coro e organo sviluppatasi tra XIX e XX secolo in Europa e Stati Uniti.
Un compositore per volta:
Morten Lauridsen
È un compositore americano pluripremiato e molto noto in tutto il mondo
corale. Nel 2006 il National Endowment for the Arts lo ha nominato
“American Choral Master” mentre nel
2007 è stato destinatario del premio
A National Medal of Arts ricevuto in
una cerimonia alla Casa Bianca. Lauridsen è stato compositore stabile per
sei anni alla Los Angeles Master Chorale e professore di Composizione alla Thornton School of Music della University of Southern California (USC) per più di quarant’anni. Nativo del Pacific Northwest, prima di andare al sud
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per studiare composizione presso la USC ha lavorato come pompiere e guardiano presso il Forest Service e ha frequentato il
Whitman College. Le sue opere sono state incise in più di duecento CD di cui cinque hanno ricevuto la Grammy Award Nomination. I suoi otto cicli vocali, le due collezioni, la serie di mottetti sacri senza accompagnamento e numerosi brani strumentali
entrano spesso nel programma di concerti tenuti da artisti ed
ensemble famosi in tutto il mondo. I suoi approcci musicali spaziano dal diretto all’astratto in risposta alle diverse caratteristiche dei testi che sceglie di musicare. I suoi brani su testo latino, come Lux Aeterna e i mottetti, spesso sono influenzati dal
gregoriano e dalle procedure medievali e rinascimentali ma sono splendidamente fusi in un nuovo suono contemporaneo. Le
altre opere, come i madrigali e le Cuatro Canciones, sono molto cromatiche o atonali. La sua musica ha un liricismo globale
ben costruito attorno a motivi melodici e armonici. A partire dal
1993 la popolarità internazionale di Lauridsen è aumentata fino a eclissare la fama di Randall Thompson come compositore
corale americano più eseguito. Vincitore di due Best Film
Awards, nel 2012 il film Shining night: a portrait of composer
Morten Lauridsen (Notte splendente: ritratto del compositore
Morten Lauridsen) è stato definito da Terry Teachout del Wall
Street Journal «a heartening rarity» (una rarità incoraggiante).
Sitllwater for song without borders, Shining night (Acque tranquille per una canzone senza frontiere, Notte splendente) è il
titolo del secondo film. Esso offre al pubblico di tutto il mondo un raro sguardo nel mondo interiore del compositore.
Un’organizzazione alla volta:
l’International Music Council - IMC
Il Consiglio Internazionale per la Musica, fondato dall’UNESCO
nel 1949, nel mondo è la più grande rete di organizzazioni, istituzioni e individui dedicata alla promozione del valore della musica nella vita di tutti i popoli. La missione di IMC è quella di
sviluppare settori della musica sostenibili in tutto il mondo, per
creare consapevolezza circa il valore della musica; è quella di
essere la voce per la musica, di far sì che la musica abbia valore in tutto il tessuto sociale; è quella di sostenere i diritti musicali di base in tutti i paesi. L’IMC riunisce organizzazioni locali, nazionali, regionali e internazionali di musica e le reti in 150
paesi in tutto il mondo. Vuole contribuire fattivamente alla costruzione della pace e della comprensione fra popoli di diversa razza e cultura. L’IMC è riconosciuto dall’UNESCO come partner ufficiale NGO (Non Governmental Organization – ONG
Organizzazione Non Governativa) ed è gestito da un board di
12 persone rappresentanti l’Africa, l’America, il mondo Arabo,
l’Asia e l’Europa.
Attraverso i propri programmi, IMC promuove la cultura musicale nella sua diversità e i diritti di tutti ad averla e praticarla. Di
conseguenza, i programmi IMC mirano a contribuire allo sviluppo e al rafforzamento delle relazioni amichevoli di lavoro tra
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tutte le culture musicali del mondo sulla base di uguaglianza
assoluta, reciproco rispetto e apprezzamento.
IMC considera l’esperienza della musica e il fare musica una parte essenziale della vita quotidiana di tutti, e valorizza il diritto
fondamentale per tutte le persone di esprimersi e comunicare
attraverso la musica.
I programmi di IMC affrontano tutti gli aspetti della vita musicale, tra questi, la creatività musicale e l’educazione, il sostentamento dei produttori di musica, le innovazioni tecnologiche,
la conservazione dei beni immateriali, i problemi di copyright e
l’accessibilità.
Dal 25 novembre 2013 alla presidenza di IMC è stato chiamato
il belga Paul Dujardin, succeduto all’olandese Frans de Ruiter.
Dujardin è da sempre impegnato nel vasto campo delle belle
arti e in particolare della musica e il suo principale interesse è
quello di creare dialogo fra le arti e le sfere politiche. Prima di
diventare presidente di IMC egli è stato capace di sviluppare il
BOZAR (Centro per le Belle Arti del Belgio, centro multidisciplinare e interdisciplinare che si dedica alla musica, alle arti visive, alla fotografia, al cinema, al teatro, alla danza, alla letteratura e all’architettura) e Agora, una piattaforma per avviare il
dibattito tra i cittadini, le arti, i decision-makers e altri settori.
In tutto il mondo il buon corista fa così
1. È usanza comune
credere che in un coro (o corale) si debba cantare. Ciò è errato nel modo più
assoluto. Ci si trova
nella sala prove
principalmente per
aggiornarsi sugli avvenimenti mondani.
È come essere dal
barbiere, soltanto
che si ha a disposizione più gente per chiacchierare. Dopodiché si passa alle critiche del maestro o direttore (è questa la
sua principale funzione): com’è vestito, se si è fatto la barba,
se è spettinato, se ha cambiato l’auto, la moglie o la fidanzata, quanto prende di rimborso spese e da chi è stato raccomandato per aver ottenuto quel posto.
2. Arrivare a prova o concerto puntuali o, peggio ancora, in anticipo, è vivamente sconsigliato: si perde del tempo inutile, visto che durante i primi dieci (o più) minuti il maestro fa scaldare la voce con degli stupidi esercizi. Il buon corista non ne ha
assolutamente bisogno, quindi entra sempre a metà esecuzione di un brano “difficile” e, salutando vivacemente – meglio se
stringendo la mano a tutti – si mette vicino a chi gli pare.
3. Quando il maestro prova una singola sezione, bisogna evitare il silenzio. In questo caso sarebbe vivamente consigliato
cantare un brano diverso, magari di genere opposto. Ad esem-
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pio, mentre i tenori provano la parte di un brano di De Marzi,
i baritoni possono intonare La Montanara, e i bassi Voglio una
vita spericolata. L’ideale sarebbe che ognuno cantasse un brano diverso. Questa pratica viene chiamata polifonia.
4. Un “perfetto corista” deve fumare almeno un pacchetto di
“Esportazione senza filtro” al giorno. È opportuno, prima delle prove, mangiare un’insalata di cipolle e fagioli e intavolare
discussioni col maestro. Non lavatevi i denti, piuttosto usate il
filo interdentale durante la prova. È vietato mangiare caramelle, piuttosto masticate gomme. Prima dei concerti bisogna osservare delle regole ben precise. Trascorrere una serata in una
discoteca potrebbe essere l’ideale se si osservano alcune piccole precauzioni: musica assordante, bere e mangiare a dismisura, tornare al mattino. Appare del tutto fuori discussione che
mai come per i concerti valgono le regole del precedente punto 2.
5. Non partecipando alle prove generali si evitano quei tediosi
ordini del tipo «vestitevi in tal modo, ordinate il repertorio, trovatevi alla tal ora nel tal posto…». Il buon corista arriva al concerto (in ritardo) vestito come più gli aggrada e, se gli va, con
una cartelletta qualunque, magari ornata con vivaci autoadesivi. Al maestro sarà sufficiente dire: «Io alle prove generali non
c’ero e non lo sapevo!».
6. Il maestro è sempre convinto di essere superiore a voi. Per
questo il vero corista deve contestare sempre qualunque cosa
dica o faccia il direttore. Sarebbe opportuno costituire un “gruppo di opposizione” con mire per fargli saltare il posto. Ricordate che chiunque può dirigere un coro: basta comprare uno dei
tanti Manuale del direttore di coro e, se volete, leggerlo. Domandate al maestro di prestarvelo.
7. Una delle migliaia di pecche che ha il maestro è interrompere le “sempre perfette e superbe” interpretazioni del coro con
delle stupidissime e ridicole frasi del tipo «più forte qui, più
piano là, attenti qui, questo cala, questo no, ecc…». Non dategli retta.
8. Si mangia per vivere e si canta per mangiare e bere! Dopo
ogni prova il direttore dovrebbe pagare di tasca propria un lauto rinfresco a tutti i coristi per farsi perdonare le cappellate (ecco perché alcune corali amano farsi chiamare “a cappella”), commesse durante le prove e nei concerti. Se ciò non avviene
rinfacciategli che se lui è diventato “maestro” di questa eccelsa corale è solo ed esclusivamente merito dei coristi.
9. Se il maestro vi fa cantare in latino, contestatelo! Ricordategli che viviamo in tempi moderni! Se vi fa cantare in italiano,
ditegli che tutti i maggiori compositori hanno scritto in latino e
che un vero coro deve cantare anche in latino!
Qualcuno vuol contribuire alla continuazione? Contattate la
redazione.
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Choral pedagogy and the older singer
(Pedagogia corale e cantori anziani)
di Brenda Smith e Robert Sataloff
Plural Publishing, UK - ISBN 978 1 59756 438 0 - pp. 368 - prezzo Lgs.44.00
In generale siamo d’accordo che una buona tecnica è una buona tecnica, qualunque sia l’età. Il problema è che con l’età non si può cantare con scarsa tecnica e
pretendere di conservare ancora un buon suono!
Questo libro dovrebbe aiutare i direttori di coro a regolare aspettative e metodi
per rispettare e sfruttare al meglio le condizioni e le capacità dei cantori più
anziani.
Dal momento che migliorare può anche non essere più possibile, l’obiettivo per
un cantore anziano è quello di mantenere la propria abilità vocale negli anni che
gli restano. Sappiamo che di stagione in stagione ogni direttore di coro auspica
un miglioramento del coro, ma per il coro che invecchia bisogna stabilire un paradigma nuovo e diverso. Una volta coscientemente coinvolto, il direttore di cantori anziani ha la certezza che raccoglierà i benefici che gli derivano dal fare musica con persone il cui apprezzamento per il testo, per la musica e per l’atto del
cantare è più profondo, convinto e cosciente rispetto a qualsiasi ensemble più
giovane.
Ma ecco come l’otorinolaringoiatra inglese L. Flood ha parlato di questo libro: «Sarò onesto. Ho dovuto rivolgermi a Wikipedia perfino per capire il titolo, e mi aspettavo che il contenuto fosse di scarso interesse per un otorinolaringoiatra come
me! Dal greco, pedagogia significa letteralmente “portare il bambino”, ma in generale essa è definita come “la scienza olistica dell’educazione”, per la verità applicata, in questa pubblicazione, all’estremo opposto della vita, l’anzianità. L’introduzione al libro ci ricorda che siamo tutti di fronte a un’aspettativa di vita
progressivamente sempre più lunga. Tutti abbiamo bisogno di qualcosa per mantenere attive le cellule grigie una volta che l’età lavorativa è finalmente scaduta,
e il canto è un grande piacere per molti. Quello di Smith e Satalov è ovviamente
un lavoro altamente specializzato, ma il loro argomento è nuovo e ben scelto.
Quanti di noi vedono l’anziano che va in chiesa e il cui contributo al vespro si sta
indebolendo, e lo licenzia immediatamente e con leggerezza dopo una normale
laringoscopia a fibre ottiche? Con il nostro terapeuta del discorso e del linguaggio sempre sommerso di lavoro, è ragionevole chiedere loro di affrontare ciò che
sembra banale, se non inevitabile? Questo libro almeno mostra che cosa nella pratica migliore può essere realizzato. Io l’ho trovato una lettura eccellente, soprattutto per il fatto che è un argomento di cui francamente so poco. Pochi hanno
contribuito tanto alla letteratura dell’otorinolaringologia quanto Bob Sataloff e le
sue pubblicazioni ultimamente si sono concentrate sulla voce professionale. Questo Pedagogia corale e cantori anziani è, come suggerisce il titolo stesso, “diverso”; è un manuale inestimabile per il laringologo o il terapeuta che non vuole trascurare questo campo di interesse. La frase finale del libro riassume bene il suo
contenuto: “Attraverso la creazione di buone abitudini di canto, col mantenersi in
buona forma fisica e mirando a degli obiettivi ragionevoli, i cantori anziani possono rimanere in gioco per molti decenni”».
Feniarco in collaborazione con
USCI Friuli Venezia Giulia, Asac Veneto
e con European Choral Association - Europa Cantat
presenta
Di fronte al mare, vicino alla meravigliosa Venezia e alla suggestiva Trieste,
questa settimana internazionale di canto corale, che giunge nel 2014 alla sua
sedicesima edizione, ospiterà 6 atelier e alcuni discovery atelier (della durata di un
pomeriggio), aperti a cori, direttori, singoli cantori e amanti della musica!
Ogni sera ci saranno dei concerti, introdotti da un open singing: tutti i
partecipanti sono invitati a unirsi a questa magica atmosfera e vivere la musica.
Alla fine della settimana, ogni atelier si esibirà in un concerto finale.
international
singing week
•ATELIER 1 Classical is young
voci bianche e corso per direttori
Docente Denis Monte (IT)
•ATELIER 2 Rinascimento italiano
Docente Walter Testolin (IT)
•ATELIER 3 African roots: singing spirituals and gospel
Docente André J. Thomas (US)
•ATELIER 4 Discovering a Romantic repertoire:
Mendelssohn and Schubert Lieder
•ATELIER 5 Dop, ba duba dop… get into the groove!
Docente Kjetil Aamann (NO)
ALPE
ADRIA
CANTAT
2014
Lignano Sabbiadoro
24 »31 agosto
•ATELIER 6 A taste of world sounds
Docente Silvana Noschese (IT)
informazioni
Feniarco
Via Altan, 83/4 - 33078 San Vito al Tagliamento (Pn)
Tel. +39 0434 876724 - Fax +39 0434 877554 - [email protected]
www.interattiva.it
con il sostegno di
Regione Friuli Venezia Giulia
Ministero per i Beni e le Attività Culturali
Fondazione CRUP
Iscrizioni entro il 31 maggio 2014
www .fen iar co.i t
6-9 novembre 2014