IL MONDO IN QUESTIONE 1-Le origini del pensiero sociologico La sociologia come disciplina autonoma, distinta dalla filosofia, storia, teologia, nasce nell’era moderna. L’era moderna si fa risalire in questo libro, a due grandi rivoluzioni: 1 . La prima rivoluzione industriale (economica) 2° metà del 1700 2 . La rivoluzione francese (politica) fine 1700 Sono due momenti di svolta della storia europea, non solo dei paesi in cui hanno origine. Due momenti così epocali che anche chi li ha vissuti si è reso conto dell’immensa importanza di ciò che avveniva. Questi due momenti rappresentano un’accelerazione della storia, inaugurano una serie di trasformazioni sociali e materiali mai viste prima. Il mutamento, da una spinta forte al desiderio di studiare la vita sociale che muta rapidamente e in modo inarrestabile e sorge il bisogno di capire le ragioni e le direzioni di questo mutamento, per controllarlo, dirigerlo e non farsene travolgere. Un altro fattore concorre alla nascita della sociologia: lo sviluppo della scienza e la sua definizione moderna, che l’esperimento, l’osservazione metodica, sono la via per la conoscenza. Fino all’ultimo medioevo si pensava che il sapere vero era assoluto ed eterno e conosciuto solo da dio, e poteva derivare solo dalla riflessione filosofica, religiosa, non dall’osservazione del mondo. Diceva Galilei “non c’è dubbio che il sapere vero è di Dio, ma la natura è il suo libro + grande e leggendo questo, gli uomini possono accedere al suo stesso sapere”. Simile il pensiero di Newton. L’illuminismo francese e l’empirismo inglese proporranno di applicare gli stessi metodi empirici anche all’osservazione dei fenomeni sociali. Quindi è dalla percezione del mutamento sociale e dall’idea moderna di scienza, che nasce il pensiero sociologico. Economia - Rivoluzione industriale: In Inghilterra nella seconda metà del 1700. Inizia l’industrializzazione, grazie alle materie prime abbondanti e a buon mercato, il controllo delle vie commerciali e coloniali, grandi masse di lavoratori da utilizzare in fabbrica, e nuove tecnologie. Da lì si diffonde il sistema “capitalistico” (Marx) in tutto il continente. Dall’Europa nel resto del mondo. La produzione industriale ha una caratteristica non posseduta da nessun altro sistema precedente di produzione: L’aumento costante della produzione stessa. Questo permette di sostentarsi ma anche di svilupparsi economicamente. Qui sta la base dell’idea di progresso. Da qui inizia a radicarsi l’idea che il domani (sociale e materiale) sarà diverso dall’oggi, concetto sconosciuto fino a quel momento. Politica - Rivoluzione francese: In francia, fine 1700. è il culmine di un insieme di processi che portarono alla delegittimazione del potere feudale e dei privilegi aristocratici. Nasce il potere fondato sul consenso della società a leggi razionalmente stabilite e obbedienza a governanti liberamente eletti. Alle spalle della rivoluzione francese c’è una nuova classe di banchieri, commercianti professionisti che mirano a sostituirsi agli aristocratici. Tendono a presentare le loro idee come le idee di tutta la società. La loro visione politica è: gli uomini sono tutti uguali, hanno pari diritti in quanto cittadini di uno stato e possono partecipare al governo con le elezioni. Il concetto è opposto a quello feudale che prevedeva diritti diversi in base alla nascita. Ora il destino di ogni individuo non è più legato alla sua nascita, questo il concetto moderno che si diffonde dopo la rivoluzione. Se le leggi sono fatte razionalmente dagli uomini, possono essere anche concordatamente cambiate e non sono più immutabili… il concetto di mutamento si radica anche sul piano politico. La società moderna quindi ha come proprio carattere fondamentale il mutamento perpetuo. Cultura - L’illuminismo: Svolse un ruolo fondamentale nella critica dell’ordine feudale in nome della ragione. Nulla è legittimo se non quello che è motivato razionalmente. L’autorità per tradizione e le chiese che vogliono rappresentare Dio, sono prive di fondamento. Il mondo umano è un mondo storico che va verso il progresso che coincide con l’illuminazione crescente che la ragione porta nelle vicende umane. Gli illuministi portano il concetto di osservabilità e descrizione razionale alla base della scienza moderna dagli oggetti naturali a quelli sociali. Alla base dell’illuminismo c’è di nuovo la borghesia, che considera il governo come una cosa pubblica a cui tutti possono proporre idee e critiche. La ragione è il principio di dialogo e critica, possibilità di parlare della cosa pubblica senza censure da parte di sovrani, di principi divini, ecc. Montesquieu: La sociologia intesa come “discorsi scientifici sulla società” ha inizio con gli illuministi anche se il primo ad adottare la parola “sociologia” sarà più tardi Comte nella metà del 1800. Anche se ogni paese può trovare in un suo studioso il primo che parlò di sociologia (anche se non ancora conosciuta come tale) qui si indica Montesquieu come “primo sociologo”. Con “Lo spirito delle leggi” (1721) Montesquieu osserva le leggi che governano gli uomini in varie società e prova a mettere in relazioni le leggi con i vari contesti storici e naturali in cui le società vivono (clima, costumi, eventi storici). Non prova a stabilire come gli uomini dovrebbero vivere;; osserva come vivono e la relatività delle loro leggi. Osserva e prova a spiegare. Questo è l’atteggiamento di base del pensiero sociologico. Nelle “Lettere persiane” fa finta di essere un re persiano in giro per il mondo che in varie lettere descrive ciò che vede. Agli occhi del lettore il suo mondo è esotico, strano, diverso. Poi il re arriva in Europa e comincia a descrivere stupito le stranezze di questa società e il lettore quindi si trova a domandarsi perché il mondo in cui vive è così e quello del re così diverso. In base alla prospettiva da cui si guarda, niente è “normale” e tutto può essere “esotico”. La constatazione delle diversità, la relatività delle società e il cercare di capirne il perché è essenziale al pensiero sociologico. Empirismo: In Inghilterra e Scozia, sempre nel XVIII secolo. Come gli illuministi l’osservazione è il suo credo. Non condivide però la fede nella possibilità della ragione di venire a capo di tutta la realtà. È più scettico. È però ugualmente critico verso qualsiasi tipo di dogma, e cerca di applicare al regno umano i principi scientifici. Per Ferguson nel “Saggio sulla storia della società civile”: il mondo sociale è il prodotto dell’attività degli uomini, non di un disegno individuale, ma risultato dell’interazione di tutti. Se non è sostenuta dal disegno di qualcuno perché la società appare come un insieme regolato? Gli empiristi scozzesi rispondono: è regolata dal mercato. In particolare è sviluppato da Adam Smith. Adam Smith: Nel 1776 scrive “Trattato sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni”. La ricchezza di una nazione dipende dalla sua capacità di produrre che dipende dalla grado di divisione del lavoro raggiunta. La divisione del lavoro comporta la specializzazione di ognuno in un determinato campo, che accresce le capacità produttive ma anche la dipendenza di ognuno rispetto agli altri. Producendo un solo bene per ogni altro bene si è costretti a rivolgersi agli altri, scambiando parte di ciò che si produce. A regolare produzione e scambio c’è il mercato un’istituzione sociale che regola tutto in base a domanda e offerta, con la conseguente definizione del prezzo di ciascun bene. Un bene poco prodotto e quindi scarso avrà un prezzo alto perché la domanda sarà alta;; un bene prodotto in grosse quantità sarà relativamente poco richiesto e il prezzo scenderà. La produzione quindi si sposterà verso quel prodotto scarso, che muterà quindi prezzo, e così via. Questo continuo aggiustamento dei prezzi farà si che i prezzi siano sempre giusti e la produzione si suddivida sempre tra i vari beni. In base a questa concezione, non ha più senso chiedersi se gli uomini tendano per natura ad aggregarsi o ad essere ostili tra di loro, ma importa osservare le condizioni e i modi che provocano la necessità degli scambi. Anche se questa idea del mercato concorrenziale di Smith è in realtà rara, la divisione del lavoro e l’autoregolazione della società sono tra i temi fondamentali della riflessione sociologica. 2- Sociologia e positivismo Nella prima metà dell’Ottocento, il mondo cambia in modo travolgente. Trasformazioni dell’ambiente materiale e sociale, dovute all’industrializzazione sono immense: nuovi posti di lavoro (fabbriche), nuovi strumenti di produzione (macchine), nuovi soggetti sociali (proprietari di fabbriche e macchine e operai salariati), nuovi mezzi di comunicazione (telegrafo) e nuovi mezzi di trasporto (ferrovia). Politicamente, è un periodo di pace tra Stati ma ci sono molti fermenti rivoluzionari interni, e lotte di classe. Culturalmente, il positivismo è l’erede dell’illuminismo. È orientato alla classificazione e sistematicità, è alla ricerca di fatti che vuole cogliere con oggettività. Henri de Saint Simon (1760-1825) elaborò un programma sociale che mirava ad una società nel cui governo fosse dato un ruolo di primo piano ai tecnici. Scriveva: “Supponiamo che la Francia perda i suoi 50 primi, meccanici, ingegneri, banchieri, architetti, negozianti, coltivatori… essi forniscono i beni più necessari, i lavori più utili, senza di loro la Francia sarebbe un corpo senza anima, inferiore rispetto alle altre nazioni.. ed ora supponiamo che perda invece sua altezza il fratello del re, i monsignori, i duca, i marescialli, i prefetti, i canonici, i ministri… la Francia non ne subirebbe nessun danno politico”. Con questo, voleva spiegare che la società che si andava creando sulle ceneri del feudalismo era fondata sulla produzione industriale e sul sapere ad essa collegato e tutto ciò che era legato al feudalismo era anacronistico. Non si esprime però dettagliatamente sui possibili scenari futuri e verrà chiamato da Marx insieme ad altri del suo tempo “socialisti utopici” perché non fondavano sull’analisi dei conflitti sociali reali le loro critiche, che pure hanno influenzato molto i loro successori. Auguste Comte (1798-1857) Fu il primo ad utilizzare la parola Sociologia. Le due questioni principali dei suoi studi sono: - l’esigenza di fare i conti con il mutamento - contribuire a restaurare l’ordine compromesso dalla rivoluzione napoleonica e poi dai movimenti rivoluzionari interni. Comte iniziò la sua carriera come segretario particolare di Henri de Saint Simon. Anche se abracciò alcuni elementi di Saint-­ Simon, ha un atteggiamento diverso. La sua idea fondamentale è che la conoscenza dell’uomo si sviluppi in tre stadi: - Lo stadio teologico: la spiegazione dei fenomeni è data da nozioni magiche e religiose. - Lo stadio metafisico: la spiegazione è ricercata mediante la speculazione filosofica e metafisica. - Lo stadio positivo: la spiegazione è basata sulla ricerca di fatti. La successione di questi stadi è vista da Comte come una legge naturale, anche se in realtà è essa stessa una speculazione filosofica. Nel “Corso di filosofia positiva” 1842, quella che per lui deve essere la sociologia: una fisica sociale. Cioè una scienza basata sulle scienze naturali che rileva fatti e riconosce leggi. Distingue inoltre una statica sociale cioè la branca della sociologia che si occupa di come le società si autoregolano, e di una dinamica sociale, che si occupa del mutamento. Nel “Sistema di politica positiva” 1854 propone il positivismo come idea politica: la vera libertà è una sottomissione razionale alle leggi fondamentali della natura. Questa era del positivismo sarà dominata da scienziati e tecnici che saranno l’elite. (idea ripresa da Saint-­Simon). Negli ultimi anni della sua vita tornerà sul tema della religione, non considerandola più come uno stadio primitivo della conoscenza umana, ma come un elemento fondamentale dell’integrazione umana. Il problema che si pone è che la scienza da sola non riesce a legittimare adeguatamente il mondo sociale che contribuisce a creare, e la fondazione dei valori ultimi su cui credono gli uomini. Non significa che la società non possa vivere senza religione, né significa avere posizioni conservatrici. Solo Comte siinterroga su cosa tiene insieme una società. Questo pensiero influenzerà molto Durkheim e Weber. Alexis de Tocqueville (1805-1859) Il mutamento non è necessariamente progresso e non è necessariamente positivo. Tocqueville fu in grado di cogliere la molteplicità di significati che i mutamenti sociali e politici del 1800potevano assumere. Non si è mai definito un sociologo, ma pensatore, politico, scrittore, ma la sociologia gli è debitrice. Non è un positivista, è un osservatore dei mutamenti che portano contemporaneamente vantaggi e svantaggi. Era molto interessato alle novità portate dalla democrazia. Gli appariva come un processo storico ineluttabile che portava all’uguaglianza delle opportunità. È permessa una forte mobilità sociale e in linea di principio chiunque ha la possibilità di arrivare a qualunque rango e posizione lavorativa. In “La democrazia in America” 1840, riconosce che negli Stati Uniti la democrazia è più sviluppata, ma il prezzo dell’uguaglianza è una decadenza del concetto d’onore, della mediocrità diffusa, dell’individualismo accentuato. Sia in questo lavoro che in “L’antico regime e la rivoluzione” 1856 (uno studio tra la Francia pre e post rivoluzione) usa il metodo comparativo tra i paesi in esame e quelli vicini e tra dati di archivio e dati presi da osservazioni dirette. È quini considerato il primo ad utilizzare in modo sistematico il sistema comparativo nelle scienze sociali. Herbert Spencer (1820-1903) Inglese, fu colui che più contribuì a diffondere il termine “sociologia” presso il pubblico. Pensa alla società come una sorta di organismo, partendo da basi evoluzioniste in parte prese da Darwin che nel 1859 pubblica “L’origine della specie” che avrà una forte influenza sul pensiero ottocentesco. L’idea di Darwin è un processo di trasformazione e differenziazione evolutiva delle specie animali in base all’adattamento all’ambiente, alla competizione per la sopravvivenza e di eredità genetica. Spencer cerca di adattare queste teorie allo studio delle società: la storia è un percorso evolutivo durante il quale gli uomini adattano le forme di convivenza all’ambiente, passando da forme più semplici a più complesse. Evoluzione e progresso sono sinonimi. Darwin però cercava di capire le leggi che riguardavano le varie specie, non le varie forme di società all’interno della sola specie umana che hanno anche scale temporali differenti. Spencer riformula le idee più o meno darwiniane, puntando sulla “sopravvivenza del più forte” che punta al liberalismo economico e alla libera concorrenza. Ebbe un enorme successo. Scrive “Principi di sociologia” nel 1860/76. La sua sociologia si basa sulla raccolta di dati su società diverse, dalle primitive alle civilizzate. I dati sono divisi in due gruppi, quello fondamentale, distingue le società in base al grado di complessità e di differenziazione interna, il secondo divide le società in militari e industriali. Il concetto di differenziazione sarà molto importante nella storia delle scienze sociali. Per Spencer, la storia delle società umane, come la storia naturale, si basa su passaggi lineari dal più semplice al più complesso, crescendo di dimensioni le società sviluppano organi e funzioni sempre più differenziate. Il secondo concetto, più fragile, divide tra società militari dove l’ordine è coercitivo, e quelle industrializzate dove l’ordine è basato sulla libera scelta. Lo schema evolutivo di Spencer resta abbastanza grezzo e meccanicista, dominato da un entusiasmo per il progresso ora difficilmente proponibile. Comte e Spencer, inaugurano le prime teorie sociologiche, ma la sociologia non è solo teoria ma anche pratiche di ricerca che affondano le radici nella statistica e nelle inchieste, che si diffusero in quasi tutti gli stati europei nell’ottocento. La statistica si sviluppa per le necessità amministrative degli Stati, diventa poi sempre più necessario avere dati precisi su diversi aspetti sociali. Non solo dati demografici o commerciali ma anche di “statistica morale” cioè dati su criminalità, istruzione, condizioni di salute, alimentazione ecc. La statistica è lo strumento necessario per conoscere le condizioni della nazione. Accanto alle raccolte di dati periodiche, si affiancano inchieste promosse dai Parlamenti per fare politiche che prevengano i disordini, o promuovano il benessere cosi come associazioni filantropiche le promuovono per organizzare attività assistenziali. Sulle basi fornite da questi dati, si svilupperanno molte delle teorie sociologiche. 3- Karl Marx (1818-1883) Nasce a Treviri in Germania, studia filosofia a Berlino, giornalista a Colonia scrive sulle condizioni degli operai, la rivista viene chiusa perché radicale. Trasferito a Parigi conosce Engels, viene espulso per la sua attività intellettuale e politica. Ripara a Bruxelles ed entra in contatto con associazioni operaie e scrive il Manifesto di fondazione del Partito comunista. Nel 1848 si trasferisce a Londra, vive in miseria scrive le sue opere più importanti tra cui il Capitale (primo volume) e molti altri pubblicati postumi. Marx nasce come filosofo hegeliano (le idee principali di Hegel sono libertà e ragione. Mentre per Comte la filosofia è positiva, per Hegel è negativa, perché il compito della ragione consiste nel trasformare costantemente la realtà. Hegel considera il rapporto tra individuo e società nell’ambito della realizzazione della libertà. L’individuo ha bisogno degli altri, quindi della suddivisione del lavoro, che però comporta la suddivisione della ricchezza). Poi però punterà al superamento della filosofia, vista (come spiegherà Engels) come l’interpretazione del mondo in modi diversi;; si tratta ora di cambiare il mondo, tramite l’unione di ricerca scientifica e azione. Il suo principale oggetto di riflessione è il movimento generale della società scaturita dalla rivoluzione industriale. Il cuore dell’analisi di tale movimento è la critica dell’economia politica. Da Hegel, Marx riprende le idee di - dialettica: originariamente significa discorso, percorso di un’argomentazione;; per M. e H. significa movimento (di pensiero o della realtà) - superamento: il superamento della società capitalistica significa per M. che essa sviluppandosi produce delle contraddizioni al suo interno che porteranno ad un livello superiore cioè qualcosa che conserva gli sviluppi della società capitalistica come presupposti che però scompaiono e si sintetizzano in una nuova formazione. Il comunismo è il superamento del capitalismo. - Alienazione: per Hegel: aspetto dell’oggettivazione: quando gli uomini lavorano producono degli oggetti;; l’oggetto è il risultato dell’azione, ma anche qualcosa di diverso dal soggetto che l’ha creato. L’oggetto è l’opposto, è la negazione del soggetto. questa è l’alienazione. La negazione è superata con l’autocoscienza dell’uomo che riconosce l’oggetto come proprio prodotto e se ne riappropria. Per Marx, l’alienazione nel lavoro c’è solo in determinate condizioni, cioè solo quando c’è lo sfruttamento. Non è il lavoro in generale a produrre alienazione, ma il lavoro è alienato solo quando il soggetto non ha il possesso di ciò che produce. E non è suo neanche il controllo su cosa produce e come. In queste condizioni il lavoro, invece di essere il luogo dell’autorealizzazione, diventa la negazione stessa dell’uomo. La riappropriazione di cui parla Hegel, non può qui avvenire con un atto di coscienza, ma come un’azione pratica, una rivoluzione che riporti al lavoratore il controllo del suo lavoro. Bisogna determinare le condizioni concrete in cui gli uomini vivono e operare per trasformarle. Il materialismo storico È un modo di pensare partendo dalle condizioni materiali degli uomini. I presupposti da cui parte sono gli individui reali, le loro azioni, le condizioni, sia quelle che hanno trovato già esistenti sia quelle che producono essi stessi. La storia è essenzialmente la storia di come gli uomini si sono organizzati insieme per produrre, cioè per rapportarsi con la natura per garantirsi la sopravvivenza. Rilevante è la divisione del lavoro fin’ora sempre stata ineguale. (patrizi e plebei, servi e signori..). I modi concreti di divisione del lavoro e di proprietà, insieme alle tecniche di produzione usate, formano la base della società, che Marx chiama struttura. La struttura di una società determina la forma di tutto il resto che chiama sovrastruttura (istituzioni giuridiche, rappresentazioni religiose, morali, filosofiche… dipendono dalla struttura). Il modo di produzione condiziona in generale il processo sociale, politico e spirituale della vita. La sovrastruttura però non corrisponde in modo meccanico alla struttura, che è solo la condizione di base da cui si sviluppa. La teoria di Marx è tesa contro l’ideologia. Ideologia intesa come forma di pensiero che giustifica l’esistente, occultando le contraddizioni e i conflitti, e tende a immobilizzare la storia. È ideologico chi ha interesse (classi dominanti) a mantenere la forma sociale esistente, perché sono proprio le contraddizioni all’interno della società che costituiscono il momento negativo della dialettica storica che conduce al superamento della forma sociale data. Anche i dominati possono condividere l’ideologia (per incomprensione o paura) Marx la chiama “falsa coscienza”. Critica dell’economia politica: Questa frase è sia il titolo di un volume pubblicato nel 1859 sia il sottotitolo del Capitale. Marx con questa frase intende indagare su “il modo capitalistico di produzione e i rapporti di produzione e di scambio che gli corrispondono”. Per M. il “modo di produzione” è un insieme storicamente determinato di mezzi per la produzione (materie, tecniche, strumenti) e di rapporti di produzione (rapporti tra gli uomini riguardo il produrre es. padroni, schiavi, operai imprenditori..) Il Modo capitalistico di produzione è il modo moderno di produzione, che utilizza le industrie, ma non coincide solo con industria ma anche con i rapporti sociali che si determinano. Capitalismo è il nome che M. da alla società basata sul modo capitalistico di produzione che coincide storicamente con l’avvento della produzione industriale e che si basa sul capitale. Per gli economisti il capitale è il lavoro accumulato (cioè materie prime, strumenti di lavoro e mezzi di sussistenza usati per produrre nuove materie prime, strumenti di lavoro e mezzi di sussistenza) che serve per una nuova produzione. Per Marx questa definizione è vera ma non spiega l’essenziale cioè cos’è che fa diventare il lavoro accumulato capitale. Il capitale è lavoro accumulato solo all’interno di certi rapporti sociali che sono: - rapporti dove sono in relazione i proprietari dei mezzi di produzione e gli uomini che hanno la propria forza-­ lavoro, i proletari. - Questo rapporto è mediato dal denaro la forza-­lavoro viene venduta ai proprietari ad un certo prezzo che è il salario che corrisponde ad una certa quota del tempo degli operai che si assoggettano alle direttive del datore di lavoro ma fuori dall’orario di lavoro sono uomini liberi. - In questo modo di produzione, i beni prodotti sono finalizzati alla vendita sul mercato. La merce ha un valore d’uso (vestiti per vestirsi, automobili per spostarsi) e un valore di scambio (si esprime nel prezzo della merce stessa). - Il lavoro accumulato diventa capitale quando è utilizzato nella produzione insieme al lavoro vivo dei salariati per trarne un profitto da parte del capitalista. Il capitalismo quindi non è solo una società basata su scambi di mercato ma sulla produzione di merci che servono a produrre altre merci di solito con valore maggiore delle prime. Il capitalista è tale quindi quando investe una somma di denaro per comprare materie prime e mezzi (lavoro accumulato) e forza-­lavoro (lavoro vivo degli operai) per produrre e vendere merci che si tramuteranno in una somma di denaro superiore alla prima investita. La differenza tra le due somme di denaro è il profitto del capitalista. Gli economisti giustificano il profitto come il risarcimento al capitalista per il rischio dell’investimento ed è una ricompensa per il suo controllo sull’intero processo di produzione. Per Marx non è così. La forza-­lavoro dell’operaio è comprata dal capitalista, come una merce, con un valore pari a ciò che serve per sostentare e riprodurre l’operaio, niente di più. Questa merce però è particolare, perché una volta al lavoro, l’operaio produce più del valore che basterebbe per ripagare il presso delle materie prime e del suo salario. Produce del plus-­ lacvoro che corrisponde ad un plusvalore che è il profitto di proprietà del capitalista. Il profitto quindi nasce dallo sfruttamento del lavoro dell’operaio. Cioè che rende il lavoro accumulato capitale è dunque lo sfruttamento. Nell’appropriazione da parte del capitalista del plusvalore, sta l’alienazione dell’operaio: il frutto del suo lavoro non è suo ma di altri. La scoperta dello sfruttamento che si cela dietro i meccanismi dei rapporti di produzione e i rapporti di proprietà, è la critica all’economia politica di Marx. L’economia si ferma alla descrizione della circolazione delle merci in cui non appare lo sfruttamento che c’è dietro i rapporti di produzione e quindi l’economia politica è una ideologia che descrive i modi di produzione occultandone i conflitti e giustificandoli, proponendoli come condizioni immutabili. La nozione di “classe”: Per Marx la classe è un insieme di individui che si trovano nella stessa posizione all’interno dei rapporti di produzioni di un determinato modo di produzione. Nella storia ogni società è sempre stata caratterizzata da varie classi con interessi diversi che entrano in conflitto tra loro per determinare il potere. La lotta fra classi è ricorrente nella storia. Nel modo di produzione capitalistico Marx individua due classi principali: - la borghesia composta da capitalisti proprietari dei mezzi di produzione - il proletariato composto dai lavoratori salariati Lo sviluppo del modo di produzione capitalistico porterà tutte le altre classi ad avvicinarsi ad un o l’altra di queste due classi principali. Gli interessi sono opposti: i capitalisti tendono a sfruttare il più possibile gli operai e gli operai tendono a liberarsi dallo sfruttamento. I capitalisti ammantano i loro interessi con una ideologia che giustifica i rapporti esistenti e pongono il capitalismo come rappresentante degli interessi di tutti. Gli operai hanno raramente chiari i loro interessi. Il passaggio da un stato in cui non riconosce i propri interessi (classe in sé) ad una in cui li riconosce e si organizza di conseguenza (classe per sé) si produce nel corso delle lotte di classe. La classe è quindi anche una collettività capace di intraprendere azioni congruenti con i propri interessi. La teoria del mutamento: La storia per Marx è dialettica: ogni formazione sociale ha delle contraddizioni tra le forze produttive e i rapporti di produzione che portano verso il suo superamento. Il modo di produzione capitalistico è il più potente generatore di mutamento sociale e materiale mai apparso nella storia. Il suo motore è la ricerca del profitto da parte dei capitalisti, che hanno interesse ad aumentare il più possibile la loro quota di plusvalore. Possono farlo in due modi: - allungando la giornata lavorativa degli operai, ma questo sistema intrapreso all’inizio dello sviluppo industriale si è scontrato con i limiti fisici e con l’opposizione degli operai - rendendo il loro lavoro più produttivo, attraverso l’utilizzo di macchine sempre più numerose ed efficienti, e con la razionalizzazione dell’organizzazione del lavoro. Per Marx sul lungo periodo questo porterà alla “caduta tendenziale del saggio di profitto” cioè che nell’investimento totale del capitalista avrà sempre più spazio l’acquisto e manutenzione di macchine e meno l’acquisto di forza-­lavoro che però è l’unica che produce valore. Nel breve periodo però questa soluzione sembra più redditizia al capitalista che sarà alla continua ricerca di innovazioni tecnologiche. La scienza perciò che sviluppa tecnologie, sarà stimolata, ma anche condizionata dalle esigenze dei capitalisti. Si produrranno merci sempre più numerose e diverse, che porterà alla ricerca di nuovi mercati. Lo sviluppo delle fabbriche porterà alla richiesta di nuove materie prime e nuove fonti di energia, nuovi mezzi di comunicazione e di trasporto ecc… Il capitalismo è quindi una forza rivoluzionaria. La crescita del potere dei capitalisti porterà ad una conseguente crescita della classe operaia che diventerà sempre più numerosa e concentrata, e povera, diverrà però anche sempre più consapevole della sua forza e del suo ruolo nella produzione e che la produzione creata collettivamente dagli sforzi di grandi masse è appropriata dai singoli capitalisti. Questa contraddizione porterà all’organizzazione della classe operaia per rivoluzionare i rapporti sociali esistenti. Si fa erede di tutte le masse sfruttate nella storia e creerà una nuova società fondata sull’uguaglianza e la giustizia dove verrà eliminato lo sfruttamento e i produttori liberamente associati si approprieranno collettivamente del frutto del loro lavoro. La nuova società sarà il comunismo. Individuo e società: Per Marx l’uomo è un essere sociale. Gli uomini producono insieme le condizioni della loro sopravvivenza, non esistono se non in società. L’individuo isolato può esistere solo in determinate condizioni storiche. Già all’inizio della storia ci sono individui collegati tra loro, con la famiglia, da cui si nasce. Il rapporto tra i sessi è la base dei rapporti sociali. È altrettanto basilare il rapporto tra gli uomini e la natura, per produrre quanto necessario per il proprio sostentamento. Man mano che cresce e si affina la capacità di produrre, si accrescono e raffinano i bisogni e le sensibilità, si modifica il mondo circostante, le forme di convivenza, la coscienza di sé che è anche un prodotto dell’interagire sociale. La coscienza infatti ha alla sua base il linguaggio che è sociale in quanto non esisterebbe un linguaggio parlato da un solo individuo. L’idea che l’individuo possa essere opposto alla società è un’idea relativamente recente e si sviluppa proprio quando i rapporti sociali si fanno più sviluppati cioè a partire dal XVIII secolo. La spiegazione di questo paradosso è per Marx è che la società moderna ha una divisione del lavoro sociale molto sviluppata. Ciascun individuo è confinato nel suo ruolo. Il punto di ricongiungimento di questo lavoro diviso è il mercato che però è astratto, si basa su leggi impersonali e lo scambio di merci non avviene su basi personali. Di fronte al mercato l’individuo può immaginarsi isolato. È contro questa immaginazione che Marx pone enfasi nel fatto che l’uomo è sociale. La società in cui l’imperativo è produrre, diviene estraneo all’uomo il senso stesso della vita. Si produce come mai prima, si ha un controllo sulla natura mai avuto in precedenza, ma la capacità di godere dei rapporti con gli altri e con la natura viene meno. La società è immensamente potente ma l’individuo estremamente incapace a dare un senso al tutto. Osservazioni: La rivoluzione predetta da Marx non c’è stata. Il suo punto di forza però è stato dare ai lavoratori di tanti paesi, una bandiera per cui lottare e basi su cui fondare le loro lotte. Per gli economisti la debolezza della teoria di Marx sta nell’idea del valore, senza il quale l’idea dello sfruttamento decade. Dal punto di vista sociologico, le classi intermedie che Marx ipotizzava si sarebbero polarizzate verso l’una o l’altra classe principale, non si è avverato, ma i tecnici, impiegati, funzionari pubblici, addetti a servizi e commercio, hanno sviluppato una loro coscienza di classe e non si sono uniti agli operai. Per quanto riguarda la “falsa coscienza”, nel Novecento si è affievolita la voglia di rivoluzione all’interno della classe operaia, e l’adesione al sistema capitalistico (sarebbe stata comprata con la concessione di privilegi e la partecipazione al benessere) è stata ben più ampia di quanto lui avesse immaginato. Nel 1864 a Londra Marx e Engels fondano la prima associazione internazionale dei lavoratori. Grazie ad essa e ad Engels, il marxismo divenne la dottrina per molti partiti e movimenti operai. Alla fine del XIX secolo il marxismo era una delle teorie sociali più consolidate. Presto si svilupparono varie interpretazioni. In Germania fu considerato più una teoria dell’evoluzione sociale affine al darwinismo. In Russia con Lenin, fu trasformato in una dottrina dove un’avanguardia operaia si prendeva il compito di sviluppare la coscienza di classe. Il revisionismo di Bernstein critica che la fine del capitalismo avvenga dopo la sua crisi economica (tesi fondamentale in Lenin) e il bipolarismo delle classi borghese e proletaria. I bolscevichi criticavano il revisionismo dicendo che tradiva gli interessi degli operai. Per loro il marxismo si concentrava sulla creazione di un partito forte che guidasse la classe operaia alla conquista del potere. La crisi della versione tedesca si indeboliva con la prima guerra mondiale e la versione russa si rafforzava con i bolscevichi al potere e partiti comunisti che si formavano in tutta Europa. Negli anni trenta Stalin impose una industrializzazione forzata, la collettivizazione dell’agricoltura e soppresse ogni possibilità di critica e dialogo che si risolse in uno stato fortemente burocratizzato e la classe di funzionari pubblici estremamente potente. Dagli anni Venti diventa anche la dottrina del partito comunista cinese, anche se il maoismo, la versione cinese del marxismo, è diversa da quella sovietica. Nello stesso periodo in europa si sviluppa il marxismo occidentale che si è occupato molto di più dello sviluppo delle scienze sociali ed ha fatto una forte critica allo sviluppo totalitario del regime comunista in URSS. 4 - Emile Durkheim (1858-1917) Tra il 1890 e il 1910 nascono le prime cattedre universitarie, associazioni professionali, e riviste, esplicitamente dedicate alla sociologia. Parallelamente vari studiosi cercano di dare un fondamento teorico e metodologico alla sociologia in quanto tale. Durkheim, al contrario di Marx che non si sarebbe mai definito un sociologo, ha un esplicito programma, quello di fondare la sociologia. Fu uno dei primi ad occupare una cattedra in sociologia all’università di Bordeaux e a fondare una rivista di raccolta di studi sociologici, l’”Annèe sociologique”. Le opere più importanti “La divisione del lavoro” 1893, “Le regole del metodo sociologico” 1895 e “Il suicidio” 1897. Il problema principale di D. è l’ordine cioè: che cosa tiene insieme una società. Per lui la risposta è la morale. La morale è ciò che unisce i membri di un insieme sociale alla società stessa. Consente la vita in comune creando una solidarietà tra i membri: la società è un ordine morale. D. risente dell’influenza di Spencer, ma mentre Spencer vedeva la società come un contratto tra uomini che perseguono ognuno il proprio interesse (visione utilitarista), Durkheim pensa che la società non è comprensibile partendo dall’analisi dei singoli. La società non è qualcosa che deriva dall’accordo tra uomini ma piuttosto è qualcosa che precede e rende possibile ogni tipo di accordo umano. Il comportamento di un uomo non è mai pienamente comprensibile se non come risultato del suo inserimento nella società. Morale, norme e fatti sociali: La morale è una serie di norme a cui ciascun membro della società è vincolato. Questi vincoli agiscono in due modi: - dall’esterno: infrangere una norma provoca sanzioni. - Dall’interno: l’individuo sente da dentro una spinta a rispettarle. Le norme esprimono dei valori comuni, le norme sono fatti sociali. I fatti sociali sono qualcosa che si presenta normalmente all’interno della società e che si impongono ai singoli come qualcosa che proviene da fuori ma che contemporaneamente li condizionano da dentro nei loro modi di agire, di pensare di comportarsi. I fatti sociali esistono in quanto esistono gli uomini, ma hanno una esistenza indipendente, autonoma rispetto alla volontà del singolo. Il fatto sociale è ogni modo di pensare agire sentire, più o meno consolidato , capace di esercitare una costrizione esterna ed interna. Se adempio ai miei doveri, di moglie, di madre, di lavoratrice, seguo delle norme che ho trovato già scritte, esistevano prima che esistessi io, quindi indipendenti dal mio essere. Contemporaneamente però hanno un potere coercitivo dall’interno che, se tento di oppormi mi creerà conseguenze. Ad es. se non utilizzo le regole del linguaggio della società in cui mi trovo, sarò non capito, o corretto, o provocherò ilarità, non sono costretto, ma non posso fare altrimenti. Se mi vesto diversamente, potrei essere isolato e schernito. Se infrango regole più gravi, posso essere punito (es prigione). I fatti sociali potrebbero essere definiti come cose nel senso che sono indipendenti dalla volontà del signolo, ma contemporaneamente, esistono proprio perché espressione della vita sociale e nascono dall’interazione tra uomini. Approccio funzionalista. Come il corpo umano no è la semplice somma dei suoi organi ma qualcosa di più, di superiore, così la società è una realtà di livello superiore che non si spiega descrivendo solo i i singoli membri che la compongono. La “voce” della società si impone sugli individui, esprimendosi tramite le norme morali, i costumi, le credenze religiose, i riti. La società si esprime in fatti sociali, e la sociologia è la scienza che si occupa dell’insieme dei fatti sociali. Il paragone della società ad un corpo mano, cioè un organismo in cui ogni parte, ogni organo coopera con gli altri, è una spiegazione funzionalista, cioè D. cerca di capire quale funzione abbia ogni elemento, ogni fatto sociale, che compone la società. Questa spiegazione funzionalista, non è però l’unica che D. ritiene possibile, ma sarà quella che verrà più ripresa negli anni successivi. Non significa neanche che per D. ogni fenomeno sociale debba per forza coincidere con un fine preciso. Esempio: un fatto sociale come la devianza (cioè ogni comportamento che si discosta dalla norma, che si percepisce come “anormale”) come il crimine, non sembra avere una funzione, anzi, ma in realtà, quando il comportamento anormale viene punito, svolge la funzione di rinsaldare la coscienza collettiva, di riaffermare le regole della società. La devianza, può essere anche un momento di sperimentazione rispetto a nuove norme, che possono diffondersi e affermarsi nel tempo. Solidarietà meccanica e organica Per D. non esiste la società in generale, ma diversi tipi di società. Ne “La divisione del lavoro sociale” fa un discorso evoluzionistico, da una società all’altra. 1-­ Il primo tipo di società, è la società semplice che corrisponde storicamente con le tribù primitive che hanno una scarsa divisione del lavoro. La morale che tiene insieme questa società è una solidarietà meccanica fra individui uniti da vincoli quotidiani e da mansioni poco differenti tra loro, che fa si che le coscienze dei singoli siano poco differenziate, pensano in modi simili ed è scarsa la tolleranza per modi di pensare e agire lontani dalle norme della società. Le norme di diritto tendono a essere punitive, perché atteggiamenti lontani dalla morale vengono considerati attacchi alla società stessa. 2-­ Il secondo tipo è la società complessa che corrisponde storicamente alla società delle nazioni moderne. È caratterizzata da una forte e articolata divisione del lavoro ed esistono molti gruppi intermedi (famiglie, gruppi professionali, comunità di vicinato) che mediano l’appartenenza del singolo all’insieme. La solidarietà in queste società è organica cioè i legami sono tra individui con forti differenze tra loro ma che devono cooperare per la vita dell’insieme sociale. Avendo forti differenze tra le mansioni, anche le coscienze e i “punti di vista” si differenziano molto. Qui le infrazioni sono viste come danno arrecato ad altri, non come un attentato alla società, le leggi sono restitutive e non punitive. La tenuta delle norme morali è più problematica perché possibili comportamenti e pensieri diversi rendono meno forte una morale che valga per tutti;; e più necessaria perché l’insieme della società va garantito con meccanismi che vicolino i singoli alla cooperazione nonostante le differenze. L’anomia Il rischio specifico delle società moderne è l’anomia, cioè l’assenza di norme morali condivise, cioè un’incapacità della società di vincolare a sé i suoi membri, di garantire la loro adesione a un ordine di valori. I conflitti che vede tra borghesia e classe operaia, sono per lui il mancato sviluppo della capacità di cooperare nelle nuove condizioni del modo di produzione industriale. Mentre per Marx i conflitti sono il motore della dialettica della storia, per Durkheim sono delle patologie da curare, tramite il corporativismo cioè associazioni professionali intermedie tra singoli e società, e tramite il potenziamento dei processi educativi che permettono lo sviluppo di un sistema coerente e diffuso di morale nelle coscienze dei singoli. Il suicidio Il suicidio è scelto da Durkheim, per fare la prima dimostrazione empirica della validità della sua impostazione della sociologia. Anche se il suicidio può essere visto come qualcosa che riguarda in modo drammatico un singolo individuo, e la scelta di sottrarsi alla vita, viene scelto proprio per dimostrare che invece l’individuo isolato, non esiste, e gran parte di quello che consideriamo caratteristico dell’essere individuale è invece riconducibile all’influenza della società. Il suicidio che è un evidente libertà del singolo a sottrarsi alla coesione sociale sembra in piena antitesi alla coesione sociale stessa che invece per D. è fondamentale nella vita umana. Vuole dimostrare che se perfino il suicidio è riconducibile almeno in parte a spiegazioni sociologiche, allora la teoria di D. sarebbe esatta per ogni altro tipo di fenomeno individuale. L’oggetto della ricerca non è il suicidio di singoli individui, ma il tasso di suicidi che si riscontra in una data società Per questo studio D. si basa sul metodo empirico, , sull’uso metodico di dati statistici che mostrano che il tasso di suicidi all’interno dei vari paesi hanno la tendenza a restare costanti nel tempo, e vuole dimostrare che a prescindere che a suicidarsi sia un individuo piuttosto che un altro, non influisce il fatto che in una data società il tasso resti più o meno lo stesso e che quindi i fattori di suicidio abbiano spiegazioni di ordine sociale, in particolari che dipendono dal grado di interazione sociale che una data società consente. Prima di proporre le sue spiegazioni, D. confuta le teorie più accreditate in quel periodo, una delle quali correlava il numero di suicidi a fattori climatici. D. dimostra che i dati non presentavano, in concomitanza coi cambiamenti climatici, cambiamenti nel tasso di suicidi. Allo stesso modo confuta l’altra tesi per cui il suicidio è correlato alla diffusione della pazzia, con l’ereditarietà o con il consumo di alcolici. Poi nella sua spiegazione egli osserva che all’interno delle comunità di religione protestante, il tasso è maggiore rispetto a quelle di altre fedi, come ad es. la cattolica. Anno dopo anno il tasso rimane costante. La religione protestante, dando importanza al libero esame della propria coscienza, lascia il singolo da solo con la propria coscienza , è meno vincolato dalle tradizioni, deve confrontarsi da solo con Dio e trovare la forza per imporsi delle leggi da seguire per il proprio comportamento. Questo fornisce un minor grado di integrazione sociale rispetto alle religioni, come la cattolica che periodicamente rinsaldano la coesione tra i suoi membri con cerimonie in comune. Il tipo di suicidio influenzato dalle condizioni religiose è chiamato da D. suicidio egoistico nel senso che è correlato con un forte sviluppo dell’ego, di un enfasi della libertà e solitudine del soggetto di fronte alle proprie scelte. D. stabilisce una correlazione tra il suicidio e il grado di integrazione del singolo nella società. Lo dimostrerebbe anche il fatto che il tasso è maggiore nelle persone non sposate, e quindi con minori legami di relazione con gli altri. C’è anche un altro motivo che fa variare il tasso di suicidi all’interno delle società europee: l’andamento dell’economia. Il numero di suicidi aumenta in momenti di crisi dell’economia, che non significa solo in momenti in cui ci sono molte persone che vanno in rovina, ma anche quando ci sono improvvise ricchezze e quindi cambi repentini di status e del modo di vivere, quindi anche quando la crisi economica è di tipo positivo. Questi periodi infatti, sono periodi di diffusa incertezza rispetto al destino delle persone, ai valori fondamentali, a ciò che “normalmente” una persona potrebbe aspettarsi dal futuro. Questa mancanza di certezze è per D. il senso esatto dell’anomia, cioè mancanza di norme chiare e condivise. Il suicidio connesso all’anomia è detto suicidio anomico. Il entrambe i casi il motivo è sociale. Non spiega perché sia un individuo piuttosto che un altro a suicidarsi, spiega però la presenza di un tasso maggiore o minore di suicidi in una certa società. Terzo tipo di suicidio è il suicidio altruistico, come quello di un eroe che da la propria vita per la sua patria. Questa terza forma non va contro le prime due, ma anzi la conferma come espressione, in questo caso di una fortissima coesione sociale, quindi sempre in riferimento al grado di coesione e integrazione dell’individuo all’interno del sistema morale. Critiche D. inaugura il metodo della variazione concomitante cioè il confronto tra dati differenti, che, quando variano simultaneamente, rivelano una correlazione significativa. Per questo l’analisi del suicidio, ha avuto una forte influenza sulla sociologia, essendo la variazione concomitante, uno dei metodi di analisi dei dati più utilizzati dai sociologi. Inoltre è uno dei primi esempi di ricerca che prova a verificare ipotesi con metodi empirici. Ci sono però tre critiche principali al lavoro di D. 1. il controllo delle fonti di dati. D. utilizza dati statistici delle autorità civili che dipendono a loro volta dalle registrazioni dei medici. Questo però può voler significare che alcuni casi di suicidio non siano stati registrati come tali a causa dell’importanza sociale della persona o in base ai contesti culturali in cui i suicidi si sono avuti.. Quindi i dati potrebbero essere non del tutto attendibili. 2. nelle società studiate da D. la popolazione protestante tende a concentrarsi nelle città mentre quella cattolica nelle compagne. Questo potrebbe significare che non sia l’appartenenza ad una religione o ad un’altra, ma il tipo di residenza e quindi il tipo di vita che ne consegue, ad influenzare il tasso di suicidi. La realtà sociale è molto complessa e non bisogna fermarsi ad una sola correlazione ma cercare di individuarne varie. 3. l’analisi puramente quantitativa, sarebbe potuta essere integrata da analisi qualitative, cioè dall’esame della storia individuale dei suicidi. Questo avrebbe potuto portare a risultati differenti da quelli che si sono riscontrati fermandosi ai soli numeri. L’uso di metodi quantitativi e qualitativi si integrano a vicenda, compensando le debolezze dell’uno e dell’altro metodo. La sociologia delle religioni Durkheim nei suoi studi, anche nel suicidio, parla delle religioni, più esattamente degli atteggiamenti culturali che le varie religioni diffondono. Le società moderne tendono ad essere sempre più secolarizzate, cioè “una progressiva perdita di importanza che le pratiche e credenze religiose”. Contemporaneamente c’è una progressiva importanza data alla scienza e la progressiva emancipazione della sfera politica e civile dalle regole religiose. L’Europa dal XVII secolo ha sviluppato una netta distinzione tra religione e politica. Le credenze religiose nella modernità a diventare sempre più una questione privata. Nel suo ultimo libro importante, “Le forme elementari della vita religiosa” le sue tesi principali sono: 1. L’elemento fondamentale della vita religiosa è la distinzione tra sacro e profano. È una distinzione elementare perché si ritrova in ogni tipo di religione. 2. La funzione principale delle religioni è quella di fondare e preservare gli ideali collettivi della società. 3. ciò che gli uomini adorano nei vari culti, nel corso dei secoli è la potenza trascendente della società stessa. Una religione è un insieme di credenze e pratiche relative a cose sacre, le quali uniscono in una comunità morale tutti coloro che vi aderiscono. Ancora: la religione è un sistema di simboli attraverso il quale la società prende coscienza di sé. Questo processo di secolarizzazione comporta per D. alcuni problemi importanti. Di fatto D. critica le religioni, mostrando che rappresentano una proiezione fuori dal mondo umano di qualcosa che invece è essenzialmente umano. Riconosce però la funzione delle religioni per il sostegno delle norme morali che ci garantiscono la coesione sociale. Principalmente D. contribuisce con il suo studio nella distinzione tra sacro e profano come caratteristica di tutte le religioni, e per il riconoscimento della funzione di integrazione sociale. In un modo o nell’altro ogni società si fonda su delle credenze. Resta da capire come le credenze abbiano origine. D: sviluppa una teoria a proposito, un po’ oscura la “teoria dell’effervescenza sociale”, per la quale ci sono dei periodi in cui gli uomini riuniti insieme sono capaci di proiettare fuori di sé delle credenze a cui attribuiscono il valore di rivelazioni di una potenza superiore. Lo studio di D. sulle religioni contiene un paradosso: una volta svelato che la religione non è quello che gli uomini credono, è difficile mantenerne la potenza. Il processo di secolarizzazione porta ad una critica scientifica delle religioni, ne consegue però o la progressiva perdita di integrazione della società moderna, oppure che non sono solo le religioni a tenere coese le società. Il paradosso è che gli uomini fondano la propria convivenza su basi non razionali, però svelando razionalmente i contenuti di tali credenze, minano alla base le fondamenta del funzionamento della società. Questo paradosso è parte della nostra condizione. Si può criticare questa teoria di D. con il dubbio che ogni simbolo della sfera religiosa si a unicamente espressione della potenza della società. Secondo autori contemporanei, le religioni sono un insieme di credenze e pratiche consolidate che hanno a che fare con i grandi enigmi dell’uomo: nascita, morte, esistenza del cosmo. Le religioni sono atte a controllare il senso di vertigine che provoca il cercare di dare un senso a questi grandi enigmi. La sociologia della conoscenza. Il modo in cui conosciamo il mondo per D. ha origini sociali. Al variare della società, variano anche le forme della conoscenza. I concetti si esprimono a parole, e già il linguaggio stesso è un prodotto sociale. Con il linguaggio impariamo a condividere il modo di concepire il mondo della nostra società e così impariamo anche a organizzare i dati che riceviamo con i nostri sensi dal mondo, e che organizziamo in base a degli schemi che danno ordine al mondo. Questi modi di organizzare non deriva dall’esperienza del singolo ma sono piuttosto schemi già esistenti nella società che ci aiutano a catalogare i fatti. I durkheimiani Durkheim raccolse attorno alla sua rivista “l’annèe sociologique” molti collaboratori che continuarono l’opera. Maurice Halbwachs condusse importanti studi sulla memoria collettiva come elemento costitutivo dell’identità del gruppo e quindi un fattore di coesione. Le immagini del passato vengono periodicamente “riviste” da ogni gruppo o società, cosi da mantenere ma anche riformulare la propria storia, in modo che il passato sostenga e legittimi i valori e le aspirazioni del presente. Nelle società più complesse ci sono vari gruppi e quindi la verione da dare agli eventi storici può essere conflittuale. Studiò anche ciò che succedeva nei totalitarismi dove di tende a confiscare la memoria della società, manipolando e sottolineando solo gli elementi storici che sono più congeniali e occultando tutto ciò che va contro la versione ufficiale del passato data dal regime. Halbwachs morì in un campo di concentramento. Marcel Mauss, un altro collaboratore di Durkheim, scrisse un’opera celebre “Saggio sul dono” 1925, che influenzerà molto l’antropologia. È uno studio su alcune tribù indiane del nord america e su come lo scambio di doni, a cui bisogna rispondere con doni pari o superiori a quelli ricevuti, sia un “fatto sociale totale” perché adempie a molteplici funzioni, economiche (il più della produzione viene ridistribuito), e di consolidamento dei rapporti reciproci, e di definizione delle posizioni di prestigio. Sempre tramite Mauss, verrà influenzato un gruppo di studiosi “il College de sociologie”. Uno dei fondatori, Georges Bataille, scrisse un’opera “scomoda” “Il dispendio” 1933 in cui spiega la dissipazione, (la dispersione) cioè una tendenza naturale nella vita dell’uomo che però tende a rimuovere coprendola con la logica dell’accumulazione. La dissipazione è demonizzata in quanto incompatibile con il razionalismo utilitarista. Ciò che è represso però preme e viene fuori nelle forme della violenza dell’uomo sull’uomo. 5- Georg Simmel (1858-1918) Quadro storico Dalla metà dell’Ottocento alla prima guerra mondiale, in Europa si succedevano continui mutamenti politici, economici, culturali: industrializzazione di tutti i maggiori paesi, aumento della produzione, mezzi di comunicazione come telegrafo e poi il telefono, reti ferroviarie, navi a vapore e poi aerei, l’avvento dell’elettricità, miglioramento dell’igiene, dei progressi in medicina, fanno crescere la popolazione europea costantemente. L’istruzione si diffonde, l’urbanizzazione aumenta. Nascono regimi parlamentari e aumenta il diritto al voto, nascono i partiti operai. Non ci sono guerre in Europa, sono tutti presi dal colonialismo nel resto del mondo. Le colonie portano materie prime, mercati, mano d’opera, armate. Sorprendentemente i sociologi non si occupano di studiare gli effetti che il colonialismo avrà sulle popolazioni. Il termine “modernità” usato da Bodleire nel 1861 in un articolo, avrà fortuna e significherà “l’epoca del nuovo” l’epoca in cui il nuovo è la norma. La cultura europea visse un’euforia dettata da un progresso che sembrava non fermarsi mai, dando l’idea di essere parte di una civiltà superiore. La prima guerra mondiale fu un trauma. La sociologia, specialmente tedesca, aveva già preso consapevolezza del carattere problematico della modernità. Fredrich Nietzsche (1844-­1900) era una voce fuori dal coro ma che ebbe un enorme diffusione. N. non è un sociologo, ma fa una critica forte alla civilizzazione moderna. Al centro della sua opera c’è la nozione di volontà intesa come un’energia vitale primordiale elementare tesa all’affermazione della vita. La civiltà occidentale maschera questa volontà. La morale, cristiana in particolare, è la responsabile della diffusione di una cultura di “schiavi” dell’umiltà e dell’obbedienza che imprigionano gli slanci creativi degli individui e nega la vita e promuove un ipocrita camuffamento della realtà, della volontà. La denuncia dell’ipocrisia cioè affermazioni che negano ciò che si afferma coi fatti, e l’individuazione del risentimento cioè dell’odio che chi reprime se stesso prova per tutto ciò che gli ricorda la possibile libertà, sono a fondamento della morale. Per N. il processo di secolarizzazione è già avvenuto. La “morte di Dio” coincide con la fine dell’idea che ci sia un fondamento trascendile a cui doversi ispirare per i valori umani. Riconoscere che questo fondamento non esiste corrisponde ad un’assunzione di responsabilità grandissima, l’uomo che potrà assumersi questa responsabilità di definire il proprio destino senza ipocrisie, non è ancora nato, è il superuomo a cui N. intende preparare la strada. N. influenzerà la cultura europea a cavallo del secolo, come denuncia e aggravamento di un senso di crisi incombente. Ferdinand Tonnies (1855-­1936) sociologo fu uno dei fondatori dell’associazione tedesca di sociologia. Vive in una Germania molto diversa da quella di Mrx. Lo sviluppo dell’industrializzazione, lo spostamento della popolazione nelle aree urbane, porta ad un’accelerazione globale, muta il mondo delle relazioni sociali. Alcune reazioni a questi mutamenti saranno di critica alla modernità e di nostalgia verso le forme sociali preesistenti. Tonnies è legato soprattutto alla differenza che evidenzia nel suo “comunità e società” 1887, tra comunità e società (gemeinschaft e gesellschaft). Comunità e società sono modelli di organizzazione sociale. - la comunità è un gruppo stabile nello spazio, nel tempo, radicato nel luogo, gli individui hanno rapporti personali e diretti. È caratterizzata da forti tradizioni, a cui tutti sono legati con lealtà, c’è una fusione spontanea delle volontà. La partecipazione di ciascun mebro non è ragionata, non è una scelta ma ègià data, è naturale. La famiglia è la comunità per eccellenza, anche se sembra che T. si riferisca a villaggi o paesi. I ruoli sono definiti, c’è poca mobilità. - La società invece è una forma di associazione più vasta, gli individui hanno ampie libertà, non ci sono molti rapporti diretti, ma impersonali mediati dall’adesione a razionale a delle regole e dall’utilizzo di mezzi astratti di scambio quali il denaro. La presenza del denaro è essenziale per differenziare comunità e società. Solo nella società si sviluppa la logica del profitto. Lo sviluppo della società si realizza tramite la distruzione progressiva della vita comunitaria e una perdita della ricchezza dei vincoli affettivi. Georg Simmel si ritenne essenzialmente un filosofo, ma si dedico a lungo e con passione al progetto di fondare la sociologia come scienza autonoma. I sociologi del periodo a cavallo del secolo si occuparono principalmente di definire e istituzionalizzare la sociologia, definendone l’oggetto di studio. Simmel fu uno di questi. L’oggetto della sociologia è la società… ma cos’è la società. In un certo senso non esiste. Se ci guardiamo attorno vediamo solo individui, la società non si vede. Un individuo a guardarlo molto da vicino è fatto di organi, se lo osserviamo al microscopio è fatto di cellule… cosa fa si che noi lo percepiamo come unità? La prospettiva, la distanza da cui lo guardiamo. Dalla prospettiva abituale, prendere in considerazione cellule o organi è irrilevante. È la distanza che usiamo per parlare dei “Greci” o dei “cattolici” o degli “operai”. Sono entità collettive formate da individui, che visti da vicino hanno grandi differenze tra loro, ma da un certo punto di vista possiamo trovare caratteristiche che li accomunano. La società è generata dalla prospettiva. La prospettiva rende visibile che gli individui stanno tra loro in relazioni di reciprocità cioè una rete di relazioni che influenzano reciprocamente una pluralità di elementi. Ogni fenomeno è connesso con innumerevoli altri e ognuno agisce anche su quelli che ne sembrano la causa. Quindi il termine causa viene sostituito da corrispondenza . Oggetto della sociologia sono le forme delle relazioni di influenza reciproca che ci sono tra gli uomini. Società è il nome con cui si indica un gruppo di individui legati da varie forme di reciprocità. Per Simmel la società è reciprocità ma anche sociazione cioè il processo attraverso cui le azioni reciproche si consolidano nel tempo. Salutarsi, pranzare insieme, giocare, scambiarsi beni, sono azioni reciproche, ciò che uno fa influenza gli altri e viceversa. La società ha al suo interno la sedimentazione di alcune azioni reciproche protratte nel tempo e divenute stabili. La sociologia è per S. una scienza formale, si occupa di studiare le forme che assumono le relazioni di reciprocità in situazioni e tempi diversi e se si solidificano nel tempo o restano effimere. Metropoli, denaro, intellettualizzazione Simmel, quando descrive la modernità né descrive anche la crisi. La modernità infatti è essenzialmente crisi permanente, è flusso e instabilità in ogni forma. Quest’epoca di “transitorio”, di “volatile” è comunque una formazione storica con i suoi tratti distintivi, le sue tendenze i suoi atteggiamenti. Simmel li descrive nel “ la filosofia del denaro” 1900. Qui si pone l’obiettivo di indagare come la personalità si adegua alle forze esterne, quali sono le forme dell’esperienza moderna che per lui coincidono con l’esperienza metropolitana. La prima caratteristica dell’esperienza metropolitana è l’intensificazione della vita nervosa dovuta dal rapido e continuo avvicendarsi di impressioni. Nella metropoli si accumulano veloci, con forti contrasti e impressioni inattese. La campagna e la piccola città, invece, propongono impressioni che perduano, che si differenziano poco, che si alternano con regolarità. Questa vita è basata più sull’affettività e sulla sentimentalità. La vita della città è invece più psichica, più intellettualistica. L’intelletto è la più adattabile delle nostre forze interiori, e si adegua più facilmente ai cambiamenti che non la sentimentalità, che ha basi più profonde e una natura conservatrice che difficilmente si adatta ai cambiamenti. L’individuo metropolitano si difende contro lo sradicamento e i contrasti dell’ambiente in cui vive, reagendo ad essi con l’intelletto, che è meno sensibile e non ha radici profonde nella personalità. L’intelletto è orientato essenzialmente al calcolo, ed è diverso dalla ragione, che invece cerca di mettere ordine alle conoscenze, facendosi domande anche profonde e si confronta anche con i sentimenti. L’intelletto tende a non fare differenze qualitative tra le cose e a non dare giudizi sul loro valore. Allo stesso modo funziona l’economia monetaria. Il denaro non tiene conto delle differenze qualitative tra un bene e l’altro, si occupa solo dell’unica cosa in comune a tutti i beni: il valore di scambio. L’uomo blasé è il cittadino disincantato, annoiato, che si comporta come se “avesse già visto tutto”. Questo è il risultato, il prodotto emblematico della rapida successione di stimoli nervosi concentrati e contraddittori della città. L’intellettualizzazione della vita e la diffusione del denaro spingono verso una indifferenza verso le cose, a relazioni sociali sempre più anonime. Caratteristiche della vita moderna sono quindi la crescita delle metropoli, l’intellettualizzazione, la diffusione del denaro, e della puntualità (se non si fosse puntuali, gli accordi e la cita economica non potrebbe avvenire), la differenziazione sociale, e l’aumento della libertà individuale. Tanto più numerosa e differenziata è una cerchia sociale, (città) tanto più il singolo ha la possibilità di sviluppare la sua autonomia, individualità e libertà di movimento ed espressione. Non sempre però la libertà coincide con un senso di benessere. Mai come nel brulichio della città ci si può sentire soli e abbandonati. Alla crescente libertà, fa da contrappeso una crescente dipendenza dal mondo di istituzioni, tecniche e apparati della società. Lo spirito oggettivo è per S. la cultura incorporata nelle enciclopedie, nelle tecniche, nei prodotti che cresce sempre di più. Lo spirito soggettivo invece è quello che il soggetto sa per averlo vissuto, imparato personalmente. Si sviluppa sempre più una divaricazione tra la cultura oggettiva insita nelle cose che cresce a dismisura e la cultura soggettiva degli uomini che non può tenere il passo. La società moderna dispone di un sapere che sovrasta le capacità di elaborazione del singolo individuo. Diversamente da Durkheim, Simmel non pone la società al disopra dell’individuo. Per lui, individuo e società esistono alla pari, è la prospettiva con cui guarda l’osservatore che fa vedere ora l’uno ora l’altra. Tra società ed individuo ci sono delle tensioni non eliminabili: - la società tende ad imporsi sul singolo richiedendogli di espletare alcuni compiti necessari per la sopravvivenza della società stessa. Questo vincola la libertà individuale. L’individuo d’altro canto, può ritenere che il suo fine sia diverso da quello del cooperare per il benessere generale, ma quello di realizzare obiettivi propri. Questa tensione è dovuta all’enfatizzazione della società moderna per la libertà di ognuno, della sua unicità, della sua responsabilità sul proprio destino e sulla sua realizzazione. È la società complessa con una forte differenziazione che pone le basi per questo individualismo. Ora come mai la tensione tra individuo e società si fa cosi marcata. - La moda Nel saggio sulla moda del 1905 Simmel si rende conto che nella densità degli agglomerati urbani, è difficile far valere la propria unicità e la ricerca ossessiva di segni distintivi o di novità per costruirsi una personalità, si riduce spesso in semplice collezioni di segni esteriori. Nella moda si esprime contemporaneamente la voglia di distinzione rispetto agli altri e l’imitazione dall’altro. Nella moda si compenetrano l’esigenza di differenziarsi dalla massa e quella di esaltare la nostra partecipazione ad un gruppo sociale autorevole. Seguire una moda significa volersi distinguere da chi non la segue, ma voler assomigliare a chi la segue. Nella società moderna, la differenziazione sociale non è più un fatto di nascita, ma di capacità di farsi valere. Imitando i gruppi più prestigiosi, chi è più in basso cerca di scalare la società mostrando di farne parte. Il paradosso della moda però è che sia praticata solo da una parte, mentre la massa cerca di raggiungerla. Quando la moda arriva alla diffusione tra tutti, smette di essere moda. Nella sua opera Simmel riuscirà principalmente a vedere l’ambivalenza di ogni elemento della realtà sociale. La grnde libertà e il forte vincolo che propone la metropoli. È espressione dell’individualità e contemporaneamente dell’incapacità di percepire le differenze. Questo studio dell’ambivalenza insieme allo studio della continua reciprocità e interazione tra individui e fenomeni, fa si che Simmel non prenderà posizioni ed emetterà giudizi. Simmel non critica e non indica soluzioni, si limita a registrare la contraddittorietà e ambivalenza della società moderna. 6- Max Weber (1864-1920) Weber è probabilmente lo studioso che più influenzò la sociologia del XX secolo. Tedesco di una famiglia dell’alta borghesia ha una formazione economica che sarà centrale nel suo pensiero. Il suo interesse si basa molto sulla definizione dei compiti e del metodo della sociologia. Gran parte del suo pensiero tende a riprendere i problemi formulati da Marx per proporre soluzioni diverse. Weber si è occupato principalmente di tre questioni: 1. Il metodo della sociologia 2. le caratteristiche essenziali delle origini, e il destino della civiltà occidentale moderna. 3. definizione sistematica e coerente dei concetti della sociologia. In “Economia e società” (postumo 1922) Weber definisce cos’è per lui la sociologia: una scienza che interpreta l’agire sociale. Per W. La sociologia è una scienza comprendente cioè che cerca di comprendere l’agire sociale. Comprendere è differente dallo spiegare. La spiegazione viene dopo l’interpretazione. Comprendere un’azione significa intenderne il senso interpretare il significato che quell’azione ha agli occhi di chi la compie. L’agire sociale infatti è un agire dotato di senso. Un agire è tale se e in quanto vi è connesso un senso, il senso soggettivo è il significato che chi compie l’azione da all’agire stesso. Con questo pensiero Weber segna una frattura con l’impostazione precedente della scienza. Prima il modello scientifico per eccellenza era quello delle scienze naturali e le scienze umane dovevano man mano adeguarvisi. Per Weber questo è sbagliato proprio perché l’atto della comprensione differenzia le scienze dell’uomo da quelle naturali. Se studio una pietra che cade, posso descriverne il moto e cercare dei modelli delle leggi superiori che governano quell’accadimento. Non devo chiedermi qual è il senso per la pietra del cadere. La pietra non ha coscienza. Se invece studio un uomo che tira una pietra, devo capire innanzitutto perché lo fa: per svago, perché fa una gara di lancio, per ferire qualcuno… se non colgo queste differenze il gesto rimane oscuro. Tutte le scienze che riguardano l’uomo sono scienze comprendenti, ci sono però differenze. La storia ad es. si occupa di eventi che sono accaduti una sola volta e non si interessa alla regolarità dei fenomeni. La sociologia invece studia le azioni sociali degli uomini in quello che hanno di tipico e ricorrente. Da infinite azioni singole si cercano caratteristiche comuni e si producono delle tipologie di fenomeni. La costruzione di tipi ideali è lo strumento principale della sociologia. Dopo aver compreso l’agire, il secondo passo è quello dello spiegare casualmente l’agire. In questo si procede in maniera simile allo scienziato naturale, che cerca le cause dei fenomeni. La molteplicità dei fattori che si combinano nel mondo umano e sociale, sono però così complessi che una spiegazione unica e definitiva non è pensabile. Per ogni causa che trovo ad un fenomeno potrei non aver preso in considerazione altri fenomeni che ne creano comunque le condizioni perché accada. Non si può mai essere sicuri di aver esaurito la ricerca di cause. Quindi l’obiettivo del sociologo è più modestamente cercare in modo rigoroso di rintracciare le condizioni che sono sempre presenti all’accadere di un fenomeno. Weber più che di cause parla infatti di condizioni o influenze o insieme di fattori. Tipi ideali e agire sociale La sociologia non si occupa di tutto l’agire degli uomini ma solo dell’agire sociale. L’agire sociale è il compere un’azione che è orientata verso gli altri. Non è sociale aprire un ombrello se piove, è sociale insegnare in un’aula. L’agire sociale può essere di diversi tipi. Per Weber i tipi ideali o idealtipi sono costruzioni del pensiero dello scienziato che fa una sintesi delle infinite varietà di azioni per ridurle ad un numero maneggevole di categorie. È uno strumento di studio. L’agire sociale si può dividere principalmente i 4 tipi ideali diversi che dipendono dal senso che l’azione ha per il soggetto: 1. Agire razionale rispetto allo scopo: il soggetto agisce con lo scopo di raggiungere un fine. Calcola i suoi sforzi in modo razionale e utilizza i mezzi a sua disposizione per conseguirlo. Ha una visione chiara dell’obiettivo. (es. uno scienziato che vuole verificare un’ipotesi con esperimenti, un generale che vuole riportare una vittoria, un imprenditore che vuole ricavare un profitto). 2. Agire razionale rispetto al valore: il soggetto agisce perché all’azione in sé da un valore. È un’azione che a prescindere dalle conseguenze che può portare, va fatta per la sua importanza. (es. un capitano che affonda con la nave, un uomo che accetta un duello per onore, un martire che si sacrifica, ecc.) 3. Agire affettivo: il senso dell’agire è legato a emozioni o sentimenti (es. un innamorato, un adirato, un intimorito) 4. Agire tradizionale: è l’agire in base ad un’abitudine, ad una consuetudine acquisita (es. salutarsi in un certo modo, farsi il segno della croce in chiesa, ecc.) La diagnosi della società moderna è per Weber che si consolida l’agire razionale rispetto allo scopo e si va affievolendo quello rispetto al valore, e decresce il peso dell’agire affettivo e tradizionale. Un risultato simile a Tonnies che parlava di comunità basata su atteggiamenti emotivi e tradizionalistici e società con atteggiamenti riflessivi e strumentali, e simile a Simmel che parlava della progressiva intellettualizzazione nel mondo moderno. Il concetto di capitalismo L’organizzazione economica della società occidentale moderna ha il suo perno nel capitalismo. Definire il capitalismo significa definire un aspetto essenziale di questa società. Un agire economico è capitalistico quando è orientato a perseguire un profitto in modo sistematico, continuo e pacifico. Non è quindi uguale al desiderio di accumulare semplicemente denaro né è uguale ad una rapina. È un agire specificatamente orientato all’aumento costante di capitale. Il tipico soggetto dell’agire capitalistico è il proprietario d’impresa che dispone di un capitale e mira ad accrescerlo mediante continui profitti che normalmente reinveste per procurare nuovi profitti. Solo questo non basta a definire il capitalismo moderno, perché con questa definizione si rintracciano altri sistemi capitalistici nel passato e in altri paesi del mondo. La specificità del capitalismo occidentale moderno è l’organizzazione razionale del lavoro formalmente libero, mediante cioè l’utilizzo di lavoratori salariati, giuridicamente liberi per svolgere le attività dell’impresa. Questo è un tipo di capitalismo mai sviluppatosi prima. Diversamente da Marx non appare la parola sfruttamento, in quanto per Weber è un aspetto di critica morale al capitalismo che non ha niente a che vedere con la definizione scientifica di capitalismo. Anche il concetto di razionalità è nuovo e decisivo per Weber. Si richiama evidentemente all’agire razionale rispetto allo scopo. Perché il capitalismo occidentale potesse svilupparsi sono stati necessari vari fattori storici: - -­disponibilità di lavoro libero (fine della schiavitù e dei servi) - sviluppo di mercati aperti (relazioni commerciali vaste) - separazione tra famiglia e impresa - sviluppo di un diritto scritto che permetta leggi stabili e non continuamente soggette a mutamenti che renderebbe impossibile fare calcoli sul successo delle proprie attività la loro contemporanea combinazione si è sviluppata solo nell’occidente nel periodo moderno. Viene caratterizzato anche da una mentalità specifica che permette di attribuire un senso diffuso all’agire capitalistico. Lo spirito del capitalismo e le sue origini. Una volta definito il capitalismo, Weber si chiede: quali sono le condizioni che ne hanno determinato il sorgere? Non si può risalire ad una sola, ma una delle più importanti per W. È una peculiare attitudine razionalistica della civiltà occidentale moderna. Quindi bisogna cercare di spiegare il perché di questa capacità a sviluppare modi di agire pratico-­ razionali. Studia questo problema nel saggio “l’etica protestante e lo spirito del capitalismo”. Questa disposizione è di origine culturale e va quindi ricercata nelle forme specifiche della cultura europea cioè le forme religiose. Il protestantesimo, e in particolare il calvinismo, pone l’accento sull’individualità e sulla vita mondana. Non sono più importanti i doveri ascetici rispetto a quelli profani, mondani. I compiti professionali di ciascuno hanno un carattere sacro. Occuparsi dei compiti connessi alla propria posizione nel mondo ha una dimensione religiosa. Col termine Beruf, (professione, vocazione) intendono questo aspetto scro del lavoro. Inoltre il volere divino è deciso a prescindere dalle azioni dell’uomo. Non si può guadagnare la propria salvezza con le proprie azioni, ma da esse si possono cercare i segni della propria salvazione o dannazione. L’uomo rispetta il volere di Dio occupandosi della sua creazione cioè il mondo e si vieta qualsiasi indulgenza nei piaceri che il mondo offre ma che come tentazioni sono segno della propria dannazione. La condotta di vita è quindi metodica, indulgere nel peccato è atto gravissimo e non riparabile, il lavoro diventa strumento per evitare le tentazioni e per glorificare Dio. Questo atteggiamento è chiamato da Weber ascesi intramondana, cioè fusione di presenza attiva nel mondo e rinuncia al suo godimento. Questo è affine allo spirito capitalistico, dove ci si dedica in modo sistematico e razionale alla propria professione ma si rinuncia a utilizzare i guadagni per goderne ma vengono reinvestiti. L’etica protestante favorisce quindi le basi, il senso dello spirito capitalistico. Non significa però che sia l’unico fattore. Weber mostra il paradosso che questa etica produce: l’etica protestante produce ricchezza, ma la ricchezza favorisce le tentazioni. Quindi mentre si sviluppa il capitalismo perde i suoi fondamenti culturali. Una volta innescato continua meccanicamente come una valanga anche senza l’etica che lo ha creato. Il carattere “tragico” del capitalismo è che tende a distruggere le forze che hanno contribuito a farlo nascere. Avalutatività delle scienze sociali. Nel suo studio Weber non emette giudizi sul capitalismo perché per lui la sociologia deve esplicitamente evitare di formulare giudizi di valore. Fa distinzione tra: - riferimento di valore: i valori a cui un soggetto si riferisce quando compie le proprie azioni. - giudizio di valore: un’affermazione di tipo “è bene” o “è male”. I valori essendo parte del senso in base a cui gli uomini agiscono, devono essere parte del campo di indagine di un sociologo. Lo scienziato stesso si riferisce a dei valori essendo un uomo inserito in un ambiente sociale e che giudica la realtà che vive. Gli orientamenti personali lo porteranno a vedere e studiare certi fenomeni meglio degli altri. Nessuna spiegazione può essere quindi esaustiva. Il lavoro del sociologo può essere comunque oggettivo nel momento in cui egli, consapevole dei propri orientamenti, li metta da parte, evitando giudizi di valore. L’oggettività è frutto dell’avalutatività. La sociologia non valuta mentre cerca di comprendere e spiegare. Varie relazioni sociali C’è una relazione sociale quando il senso dell’agire di un individuo si riferisce all’atteggiamento dell’altro così che le azioni sono reciprocamente orientate. Individui costantemente in relazione tra loro possono formare comunità o società. La comunità poggia su un agire sociale dettato dal comune senso di appartenenza sentito dai membri. Le relazioni sociali hanno una forte dimensione affettiva. La società poggia da un agire sociale dettato da una convergenza di interessi motivati razionalmente. Per W. Comunità e società sono tipi ideali di relazioni sociali, cioè sono concetti astratti in quanto nella realtà una comunità può sviluppare fini razionali condivisi dall’interesse di tutti, e le società possono sviluppare legami affettivi che vanno oltre lo scopo prefissato. Comunità e società sono si basano sull’integrazione dei membri del gruppo. Ma ci sono relazioni sociali opposte: le lotte sono relazioni sociali in cui l’uno mira alla sopraffazione dell’altro. Weber osserva la presenza ricorrente delle forme di lotta, non enfatizza come invece faceva Durkheim, l’ordine e la coesione, né pensava che i conflitti portassero la storia verso nuove sintesi come pensava Marx. Piuttosto la lotta è una delle possibilità dell’agire umano. Le relazioni possono essere infine aperte (chiunque può accedervi) o chiuse (solo persone con determinati requisiti ne possono far parte). Una relazione sociale chiusa diventa raggruppamento sociale quando a far rispettare le leggi c’è un gruppo di persone predisposte a questo (un capo o un governo e eventuale apparato amministrativo). Se un raggruppamento sociale si definisce in base all’occupazione di un dato territorio e se nella sua organizzazione è presente la minaccia dell’utilizzo della forza fisica per far rispettare le leggi, si chiamerà allora raggruppamento politico. Lo Stato è il raggruppamento politico che dispone della violenza legittima su un determinato territorio. Legittimazione del potere Cosa può rendere legittima la violenza? La validità dell’autorità che la impone. L’autorità è l’espressione di un potere legittimo. Weber distingue tra potenza e potere: - Potenza: è la capacità di far valere la propria volontà anche di fronte ad un’opposizione. Chi subisce la potenza è costretto ad obbedire. Potere: è la capacità di dare un comando che trovi obbedienza presso certe persone. Chi obbedisce al potere lo ritiene legittimo a comandare. Definito il concetto di potere bisogna capire secondo quale senso l’obbedienza è accordata e come un comando possa essere legittimo. Weber vede tre tipi ideali di legittimazione del potere: 1. potere legittimo di carattere tradizionale: poggia sulla sacralità di tradizioni che vengono dal passato. (es. obbedienza al re, o al padre). 2. potere legittimo di carattere carismatico: poggia sulla dedizione alla forza eroica o al valore esemplare di un uomo particolare. Per carisma si intende “segno di elezione”. (es. grandi profeti e condottieri). Il potere carismatico ha la potenzialità di produrre mutamento. Un uomo in grado di dire: “si è sempre fatto così ma io vi dico che…”può creare una grande forza rivoluzionaria. È legato però ad una sola persona e dopo la sua scomparsa, normalmente svanisce il potere. 3. potere legittimo di carattere razional-­legale: si basa sulla credenza nella legalità degli statuti e nel diritto di chi è chiamato a esercitare il potere su quelle basi. Le leggi sono legittime non perché provengono dal passato, ma perché sono prodotte in modo razionale sulla base di discussioni pacifiche. Favorisce un mutamento sociale in quanto le leggi prevedono leggi atte a cambiarle, ma in questo modo il mutamento è in qualche modo “regolato”. - La burocrazia Ad ogni forma di potere corrisponde un tipo di apparato amministrativo. La forma tipica di apparato amministrativo del potere razional-­legale è la burocrazia. La burocrazia consiste in un apparato di individui organizzato per espletare i compiti amministrativi. Gli individui sono chiamati funzionari che esercitano le funzioni relative alla loro carica in base a procedure standardizzate e obbediscono ad un’autorità impersonale. La burocrazia ha i seguenti principi: 1. i servizi e le competenze sono definiti da leggi 2. gerarchia delle funzioni 3. separazione tra funzione e uomo non proprietà della carica) 4. reclutamento dei funzionari in base alla loro formazione e ad esami 5. la retribuzione è con salario erogato dallo Stato. L’accesso di individui alle funzioni amministrative è fatto in base a procedure regolate da leggi e le stesse funzioni vanno eseguite a prescindere dalla persona che le svolge. La burocrazia è un sistema di amministrazione che è più efficace rispetto ad altri sistemi per amministrare società ampie e complesse. Gli svantaggi della burocrazia sono: basata sulla spersonalizzazione, favorisce anche la deresponsabilizzazione dei funzionari;; in quanto fondata su procedure standardizzate, sfavorisce l’innovazione;; si possono sviluppare interessi propri particolaristici di gruppi amministrativi. Il controllo degli apparati burocratici è uno dei problemi fondamentali delle democrazie moderne. La stratificazione sociale In sociologia la stratificazione sociale è il modo in cui gli individui e i gruppi si differenziano e si ordinano gerarchicamente in una società. Per Weber, in ogni società coesistono vari ordinamenti, dipende dai diversi “punti di vista” da cui si considera la società stessa: - stratificazione economica: un insieme di individui che condivide le stesse possibilità economiche appartengono alla medesima classe. Stessa classe, stessi interessi economici. - Stratificazione culturale: un insieme di individui che condividono lo stesso “status” sociale. Si appartiene ad uno status o ceto in base al privilegio positivo o negativo nella considerazione sociale. Può derivare dalla condotta di vita, dal prestigio (o disprezzo), dall’educazione ricevuta. - stratificazione politica: si realizza tramite gli apparati politici o amministrativi nelle cariche che si possono ricoprire, o nella possibilità che un gruppo prevalga sull’altro. Razionalizzazione e disincanto In una conferenza del 1918, la scienza come professione, ai suoi studenti, Weber parla del processo di razionalizzazione che è tipico della modernità, e del conseguente disincanto del mondo. Il processo di razionalizzazione corrisponde al crescente predominio della fiducia nel fatto che tutte le cose possono essere spiegate con la ragione, sostenuto da uno straordinario sviluppo delle capacità tecniche e scientifiche. Questa fiducia porta un disincanto del mondo cioè che gli uomini progressivamente perdono i riferimenti a spiegazioni e comportamenti magici o religiosi. L’uomo moderno tende a sostituire all’antico senso del mistero, e della complicità con la natura, sostituendolo con un atteggiamento razionale e strumentale verso la natura. La stessa fiducia che la ragione possa dominare ogni cosa però, è di per sé una fiducia non giustificata razionalmente. La scienza inoltre risponde a domande su come dominare tecnicamente il mondo ma non se sia giusto o sbagliato. Il mondo dei valori è extrascientifico. La scissione tra razionalità e valori è caratteristico dell’era moderna. Per Weber allora, è la responsabilità personale che deve essere il fondamento dell’etica. Conclusioni Weber ha influenzato enormemente la sociologia del Novecento. Il lessico che utilizzava è diventato oggi per la maggior parte il lessico della sociologia. Il suo approccio alla sociologia si può considerare individualista (cioè parte dall’individuo sociale e non dalla società nel suo insieme per i suoi studi) o conflittuale (cioè osserva i ricorrenti conflitti fra individui e fra gruppi). Importantissime sono state le sue osservazioni sulla stratificazione sociale e sulla sociologia politica, dove da una definizione della sfera politica come competizione per il potere e la trasformazione del politico in professionista della politica, cioè un individuo che non vive per la politica ma della politica, come fonte di reddito. Anche l’analisi sulla burocrazia è stata la base per molti studi successivi tra cui quello sul clientelismo, dove la burocrazia mantiene il suo aspetto formale ma è stravolta nella sua sostanza: il clientelismo è una forma di relazione sociale dove c’è uno scambio di favori tra un patrono e uno o più clienti. Le pratiche di ufficio si trasformano in favori e la logica impersonale e standardizzata della burocrazia si trasforma in logica personalistica e aperta a variazioni caso per caso. Lo si rileva oggi in molti paesi del mondo tra cui l'Italia. 7- le origini della sociologia americana Già a partire dal 1890la sociologia è insegnata regolarmente nelle università degli Stati Uniti. Qui la sociologia è piuttosto dipendente da quella britannica, soprattutto di Spencer. Non mancano però teorie originali. Sumner nel 1906 mette a punto il concetto di etnocentrismo cioè il privilegiamento da parte di un gruppo dei propri costumi e valori, svalutando quelli degli altri. Nel 1899 Veblen proporne il concetto di consumo vistoso: il consumo non finalizzato al soddisfacimento di un bisogno quanto all’ostentazione della ricchezza. La società nordamericana a cavallo del secolo è contraddistinta da una immigrazione dai ritmi elevatissimi. Differenti lingue, tradizioni e costumi danno luogo a problemi di integrazione. L’industrializzazione corre e le aree urbane si ingigantiscono. Il capitalismo americano fino alla crisi del ’29 avrà un forte dinamismo che crea forti disuguaglianze, che però non porteranno a lotte di classe, principalmente perché non si riuscirà a creare coesione tra lavoratori così diversi per cultura e provenienza. All’attenzione dei sociologi si pone quindi il problema dell’immigrazione, dei conflitti interetnici, della disgregazione e devianza sociale. Il primo dipartimento di sociologia venne istituito nell’università di Chicago nel 1892. Uno degli autori più importanti fu William Thomas (1863-­1947). Scrisse Il contadino polacco in Europa e in America uno studio sulle condizioni degli immigrati polacchi a Chicago. Il pensiero che ne emerge è che non si può comprendere il comportamento degli immigrati senza fare riferimento alla loro storia, al paese da cui provengono e ai motivi dell’immigrazione. Con questo studio Thomas diede inizio all’uso dei metodi qualitativi nella ricerca sociologica, cioè si basò sullo studio sistematico della corrispondenza degli immigrati e sulla ricostruzione della storia personale di molti di essi. Anche per Thomas come Weber, non si può non tener conto del significato che gli individui attribuiscono al loro comportamento. Per capire questi significati attribuiti da ognuno al proprio agire, il sociologo deve registrare le voci, le storie delle persone e individuarne le differenze qualitative. Dopo Thomas divenne direttore Robert Park. Grazie a lui si formò una vera e propria scuola, cioè un gruppo di insegnanti e studenti interessati alla ricerca sociologica, con metodi di ricerca comuni e in stretta collaborazione tra loro. La scuola di Chicago ha una propensione per la ricerca empirica, sul campo. Con loro la sociologia esce dalle aule e dalle scrivanie di chi studia in teoria, ed esce per le strade, il campo di ricerca è la città. Gli studi sono ricchi di vita, popolati da delinquenti, prostitute, immigrati, gioco d'azzardo, sale da ballo. Park, nato come giornalista ha un talento per cogliere i dettagli della vita urbana. Ha attenzione per i processi comunicativi e per la stampa quotidiana che è per lui una fonte di controllo sociale ma anche come mezzo di creazione dell'opinione pubblica e quindi critica democratica del governo. Studiò anche in Germania e da Simmel riprese la città come luogo dei processi fondamentali della vita moderna. La città La parola chiave della città moderna è mobilità. Si comprende la mobilità geografica, (flussi migratori), mobilità sociale (possibilità per un individuo o un gruppo di salire o scendere socialmente), mobilità come vivacità spirituale-­ Mobilità è esposizione a qualcosa di nuovo e quindi apertura. Più si è mobili più si è inclini al mutamento. La città è sia frutto del mutamento, sia la massima fonte di mobilità perché la concentrazione di popolazione aumenta gli stimoli e gli incontri. Questi processi portano sia ad un possibile aumento delle facoltà individuali sia un aumento della disorganizzazione. Uno dei concetti tipici di Park è la “distanza sociale”: il sentimento dei membri di un gruppo di essere distinti ed estranei da altri gruppi. (pregiudizio nei confronti degli altri). La distanza sociale si manifesta anche in distanza territoriale. I gruppi diversi tendono a collocarsi in aree distinte. Le aree naturali sono le aree geografiche dove la popolazione di una città tende a distribuirsi. A Chicago dove Park studia è più facile accorgersi di queste aree perché quella città è cresciuta con ondate successive di immigrazione. Ma la tendenza di tutte le città è quella di dividersi in zone in base alle proprie esigenze e in base alla vicinanza al proprio gruppo di appartenenza. La mobilità delle famiglie che periodicamente si spostano per migliorare i propri bisogni fa si che la stessa area possa essere occupata in fasi successive da diversi gruppi. George H. Mead (1863-1931) fu un filosofo e psicologo sociale. Non scrisse mai libri, solo saggi su riviste e lezioni all'università molto seguite tanto da influenzare in modo vastissimo le scienze sociali. L'elemento delle ricerche di Mead è la formazione del sé, che è qualcosa che emerge e si realizza nel corso dell'interazione sociale. Il sé è il soggetto umano quando diventa oggetto di un'attività autoriflessiva. Questa attività è specifica dell'essere umano. Solo l'uomo può guardare a sé stesso. Specifico dell'uomo è anche il linguaggio, cioè un insieme di segni a cui è dato un significato condiviso da molti. Come si può riflettere su sé stessi? Guardandosi come dal di fuori. Riflettendo mi sdoppio e divento contemporaneamente “io” soggetto che riflette e “me” oggetto della riflessione. Riflettendo su di me mi guardo, mi descrivo e mi nomino. Mi nomino usando il linguaggio. Quali parole userò per nominare me? Quelle che ho imparato per descrivere gli altri e quelle con cui gli altri descrivono me. Siccome uso il linguaggio e il linguaggio è una condizione sociale, l'emergere di un sé è cosa sociale. Il concetto di socializzazione è cruciale in quanto indica il processo attraverso cui a partire dalla prima infanzia ci si confronta prima con il me che viene dai discorsi degli altri e che scaturisce in una descrizione di sé. 8 – La sociologia in Italia agli inizi del secolo Come in Europa la sociologia in Italia inizia a svilupparsi negli ultimi decenni dell'Ottocento, inspirata generalmente ad un orientamento evoluzionista e organicista. Negli anni Venti ci sarà una battuta d'arresto con l'avvento del fascismo e con la posizione di Benedetto Croce, l'intellettuale italiano più importante del momento che era contro la sociologia che reputava una pseudoscienza. La “rivista italiana di sociologia”, aperta nel 1896 chiuderà nel 1922. tutavia a cavallo del secolo emergono molti studiosi considerati classici del pensiero sociologico. Vilfredo Pareto (1848-1923) Inizialmente è un ingegnere. Quando riceve un'eredità e si può dedicare solo allo studio, si occupa di insegnare economia a Losanna. Infine nel 1912 smette di insegnare e si dedica alla sociologia. Il suo passaggio dall'economia alla sociologia trova la chiave nel fatto che l'economia si occupa di azioni logiche. Dato un fine si presuppone che l'individuo utilizzerà i mezi a sua disposizione per raggiungerlo. Ma la vita degli uomini è ricca di azioni per niente logiche: passioni, sentimenti, paure, abitudini... per questo l'economia non è sufficiente. La sociologia deve dare spiegazione logica a ciò che logico non è. Pareto non realizzò mai nessuna ricerca empirica, si basò solo sulla “conoscenza del mondo”. Pareto vede la società come un sistema, un insieme di elementi interdipendenti fra loro. Importanti per lui sono i “residui” e le “derivazioni”. i residui: sono la base del comportamento dell'uomo. Una volta scomposto il comportamento degli uomini, rimangono i residui che sono ciò che spingono più o meno consapevolmente ad agire. Sono il fondamento non-logico del comportamento. le derivazioni: gli uomini hanno una spiccata tendenza a coprire con la logica le proprie azioni, nel creare delle giustificazioni che tende ad occultare gli impulsi fondamentali e danno una legittimazione alle azioni in modo logico, anche se le azioni stesse a volte non lo sono. La teoria delle élite Pareto, Gaetano Mosca e Roberto Michels dedicarono attenzione e riflessione sulla teoria delle élite. Per élite si intende uno o più gruppi in grado di esercitare un controllo e un'influenza sulla società. Questa teoria è sostanzialmente una critica al funzionamento reale delle democrazie. La democrazia si è affermata negli stati moderni come democrazia rappresentativa, cioè il popolo governa tramite dei rappresentanti che elegge periodicamente. Gli “elitisti” vogliono dimostrare come nella realtà a governare siano sempre delle piccole minoranze. Diceva Mosca: una minoranza organizzata coordinata trionfa su una maggioranza disorganizzata. Come si producono le élite: Le minoranze di governo sono costituite da coloro che sono più adatti a governare in quella situazione storica. Vista la loro importanza, è cruciale che la società sappia mettere ai posti di comando via via le persone giuste per assicurare benessere. In caso contrario la società è condannata alla stagnazione e alla debolezza. In questo contesto Michels sviluppa l'idea della “legge di ferro dell'oligarchia”. Ogni organizzazione complessa come può essere un partito politico, tende a sviluppare un'oligarchia (governo di una minoranza per lo più operante a proprio vantaggio e contro gli interessi della maggioranza) di funzionari i cui interessi si divaricano da quelli di chi dovrebbero rappresentare. Il fascismo tra l'ottocento e il novecento, iniziano a presentarsi i problemi relativi all'emergere delle masse sulla scena politica e sociale. Inizialmente si parlava di folle. Ciò che più colpisce gli studiosi è il carattere irrazionale che sembrano assumere gli uomini quando si radunano in folla, la perdita dei segni di una personalità autonoma, la violenza di cui sono capaci. Una novità nel panorama sociale è quello dell'agglomerarsi nelle città di folle di persone relativamente anonime e la possibilità che queste folle si organizzino in manifestazioni imponenti. Gli intellettuali di sinistra inizieranno a parlare di masse invece che di folle, per sottolineare la maggioranza di lavoratori che si organizzano in manifestazioni perché nonostante siano indispensabili non vedono riconosciuti i loro diritti. Per loro la massa è intesa in senso positivo, con l'obiettivo di organizzarla e di inserirla progressivamente nella partecipazione alla democrazia e al benessere. Nonostante questo però, la “massa” conterrà sempre una valenza negativa riferita ad un insieme indifferenziato e confuso di persone che appaiono prive di capacità di giudizio. Per svilupparsi il fascismo presuppone l'esistenza delle masse ma esso stesso le genera. Le dittature moderne infatti, non si basano esclusivamente sulla violenza, ma il consenso viene ricercato soprattutto attraverso un rapporto tra leader e masse. È un rapporto di tipo emotivo che presuppone l'utilizzo di riti e sistemi di propaganda efficaci ma anche della disponibilità dei soggetti a rinunciare alla propria individualità e al valore dei legami con gli altri. Cosi diventano massa un insieme di individui uniti solo dalla loro identificazione con il leader. Il fascismo si sviluppò in molti paesi d'europa, non solo in Italia. Antonio Gramsci (1891-1937) membro di spicco del partito comunista fu ispiratore di una delle più grandi insurrezioni operaie in Italia. Nel 1926 venne arrestato e morì in carcere. Qui scrisse i Quaderni del carcere. Anche se non era sociologo, Gramsci fece un'importante rielaborazione del marxismo e definì alcuni concetti oggi molto usati: il fordismo: in riferimento alle trasformazioni del modo di produzione introdotto da Ford nelle sue fabbriche e diventa per lui un modo di descrivere gli sviluppi del capitalismo. Questi sviluppi riguardavano sia la produzione, la razionalizzazione della produzione aveva aumentato la produzione complessiva, sia l'aumento dei salari, che serviva sia a ricompensare i lavoratori per la disciplina a cui si sottoponevano, ma anche per allargare il mercato per i beni prodotti, facendo diventare gli operai i nuovi consumatori che accedono al mercato e all'aumento di benessere. In questo modo la spinta rivoluzionaria si affievolisce e lo sviluppo della “coscienza di classe” si dovrà spostare sul piano della lotta ideologica con l'egemonia. l'egemonia: all'interno della società capitalistica le classi dominanti esercitano il loro potere con la coercizione ma anche egemonizzando gli atteggiamenti delle classi subalterne, cioè imponendo i loro valori e le loro logiche come facenti parte del “senso comune” presentandoli come se fossero quelli della cultura di tutti. Rovesciare il potere per la classe operaia significa allora sostituire all'egemonia capitalistica un'egemonia alternativa, sempre partendo dal piano della cultura, lavorando nelle scuole, nei circoli, nell'editoria, nella vita quotidiana, in tutta la società civile. Società civile: è composta da chiese, scuole, sindacati, associazioni... è l'insieme delle organizzazioni a cui il cittadino in quanto tale partecipa. Attraverso queste istituzioni la classe dominante esercita la propria egemonia sulla società ed è tramite queste stesse istituzioni che può venire contrastata. 9 – Vienna e dintorni La Prima Guerra Mondiale fu un brusco risveglio per la cultura europea che aveva vissuto un periodo di euforia dovuto ad un progresso materiale e sociale che sembrava inarrestabile. La guerra mise di fonte i paesi che si consideravano i più civili del mondo. la guerra di trincea, riportò la barbarie nella civiltà, con l'uso di armi arcaiche come la baionetta e tecnologiche come bombe e mitragliatrici. La miscela di brutalità e modernità fu devastante e lo spirito dell'Europa intera non fu più lo stesso. Non era più facile considerare della modernità solo i lai positivi. E non era più facile sentirsi sicuri di qualsiasi cosa. A Vienna si elaborarono alcune delle teorie che più avrebbero influenzato il Novecento. C'è una crisi di fondo sulla visione del mondo. Si scopre la molteplicità delle possibili prospettive a proposito di ogni fenomeno. Viene meno l'idea di poter definire la realtà in modo univoco. La realtà non è più ovvia. Questo accade anche nel pensiero scientifico. Einstein in questo periodo elabora la teoria della relatività, e le scienze diventano consapevoli del fatto che la realtà può essere descritta in modo plausibile da teorie diverse, senza che per questo siano incompatibili tra loro. Le teorie sono modelli. I modelli sono come delle mappe. Descrivono il territorio ma potremmo non trovare dei dettagli in una, ma trovarli in un'altra che si sofferma su particolari differenti, non per questo le due mappe saranno sbagliate, solo mostreranno facce diverse di uno stesso territorio. Diventa chiaro che non c'è alcun luogo naturale da cui si possono osservare i fenomeni. La realtà è sempre una percezione della realtà. La relatività delle concezioni del mondo nel corso dei secoli, fa porre il problema del relativismo cioè se le concezioni del mondo sono relative al periodo storico di cui fanno parte, è possibile avere un punto di vista assoluto dal quale comprendere le differenze? Anche lo scienziato è calato nel suo periodo storico relativo. A queste riflessioni si aggiunge la consapevolezza sempre maggiore che l'agire umano non è trasparente ma spesso non ne conosciamo i motivi e tanto meno le conseguenze. Sigmund Freud (1856-1939). è il creatore della psicoanalisi, un insieme di tecniche terapeutiche e teorie scientifiche rivolte alla psiche, cioè i processi attraverso cui l'individuo fa esperienza del mondo interiore e si rapporta col mondo esteriore. Per quanto l'oggetto di studio di Freud sia l'individuo, la psicoanalisi nasce come pratica clinica per la cura di sintomi nevrotici) le sue opere illuminano aspetti fondamentali della sociologia. Tra i cuoi concetti fondamentali ci sono: la rimozione: l'apparato psichico di ognuno di noi ha la capacità di rimuovere (cioè allontanare, nascondere) eventi traumatici che se si dovessero affrontare nella vita cosciente genererebbero dei conflitti non sostenibili. Rimuovere è dimenticare, ma ciò che si dimentica non sparisce, rimane nell'ombra e agisce attraverso dei sintomi. Non c'è nulla quindi che scompaia mai definitivamente nel nostro mondo interiore. Allo stesso modo l'umanità nel suo complesso non dimentica le fasi precedenti. Nell'umanità moderna, rimangono nascoste fantasie, impulsi e paure dell'uomo delle età primitive. L'oblio quindi è un tipo di memoria che però non è consapevole. le pulsioni: il desiderio è ciò che maggiormente viene rimosso, è un'energia pulsionale (la libido). Nei suoi primi scritti Freud identifica le pulsioni con la sessualità, (ciò costituì un enorme scandalo). In seguito con pulsioni descrisse tutte le “spinte” erotiche che ci portano verso delle mete che, una volte raggiunte fanno “appagare” la pulsione stessa. Le pulsioni hanno vari modi di soddisfarsi quando una metà non è raggiungibile, avviene il processo di “sublimazione”, cioè nell'esecuzione di attività culturali e artistiche in cui l'energia pulsionale si appaga. Successivamente Freud affianca alle pulsioni erotiche, le pulsioni “distruttive”, o pulsioni di morte ogni uomo è spinto quindi tra due tipi di pulsioni, quella verso la propria soddisfazione e quella verso la quiete finale. il disagio della società: è l'inconciliabilità permanente tra pulsioni e morale, cioè il mondo delle pulsioni non conosce la differenza tra bene e male. È la tendenza degli organismi a soddisfare se stessi ed è in sostanziale contrasto con le esigenze morali necessarie alla vita sociale. Durante la guerra, Freud scrisse un saggio in cui affermava: lo sviluppo della civiltà (così come dell'individuo) porta ad una imposizione al controllo e alla negazione degli impulsi istintivi. Questi impulsi rimangono latenti e spingono per riemergere. La guerra è una situazione in cui gli impulsi primordiali dell'uomo possono riemergere per la parziale sospensione delle norme morali, e la violenza si confonde con il piacere. La guerra fa riemergere l'umanità primitiva Ciò che più caratterizza la psicoanalisi è la nozione di inconscio. L'inconscio è il luogo dove risiedono tutti i sentimenti e i pensieri rimossi, i meccanismi che ci consentono la rimozione, e le pulsioni. Freud inizialmente fa una differenza tra: conscio: il regno della nostra conoscenza preconscio: è il posto dove risiede ciò che pur non essendo alla nostra attenzione resta comunque accessibile alla coscienza inconscio: è il luogo oscuro in cui risiede tutto ciò che la coscienza volontariamente non è in grado di raggiungere. In seguito propone un nuovo modello: L'Es (o id): è l'insieme delle pulsioni che mirano alla propria soddisfazione, indifferenti alla morale, alla realtà, alle condizioni. Obbedisce al principio del piacere L'Io: obbedisce al principio della realtà. L'Io presiede alla consapevolezza all'apprendimento e all'esperienza del mondo. Il Super-­io: è l'insieme delle norme morali, le regole e i valori sociali. I rapporti tra queste tre istanze sono conflittuali e l'io deve mediare continuamente tra pulsioni e morale. Il lavoro di Freud sostanzialmente riconosce una componente irrazionale nell'uomo. La ragione ha una parte nelle vicende dell'uomo ma molto è dovuto a tensioni irrazionali o al massimo da razionalizzazioni, cioè il camuffamento in veste razionale di motivi che razionali non sono. Capire le proprie azioni è così difficili che l'uomo tende ad autoingannarsi con spiegazioni che appaiano logiche. Freud, mosso da uno spirito profondamente scientifico e razionale, arriva a negare l'onnipotenza della ragione, affossa la fiducia ingenua dell'Ottocento nella completa autocoprensione dell'uomo. Ludwig Wittgenstein (1889-1951) Importante soprattutto per la sua teoria del “gioco linguistico”. Il linguaggio è una pratica, cioè un'attività che svolgiamo intrecciata a tutte le altre nostre attività. L'insieme delle attività che svolgiamo è una forma di vita. Il linguaggio quindi fa parte della nostra forma di vita. Nel linguaggio ordinario una parola ha vari significati che dipendono dal contesto in cui viene di volta in volta usata. Il tentativo di ridurla ad un solo significato, non è applicabile alla lingua corrente. Sono così tante le situazioni e le cerchie di persone in cui ci possiamo trovare che ogni parola la usiamo in base al “gioco linguistico” in cui siamo e per comprenderla dobbiamo conoscere le regole del gioco in cui ci troviamo. Quando parliamo, seguiamo delle regole, così come le usiamo quando facciamo un gioco. Le seguiamo perché altrimenti non potremmo farci capire (o non potremmo giocare) e come un gioco possiamo sospenderle e altri potrebbero giocare a giochi diversi. Ciò che dice ad esempi un critico d'arte all'interno del “gioco” della sua disciplina, può essere incomprensibile per un chimico, anche se entrambe utilizzano il vocabolario italiano per parlare. I contesti, le regole, gli scopi diversi delle due discipline, rendono difficile capire le regole usate dall'altro. Ancor più grave quando si confrontano due discorsi in lingue diverse derivanti da due culture diverse. Non è sicuro che il senso di chi parla sia inteso da chi ascolta. Tutto ciò per le scienze sociali ha due conseguenze: 1. non esiste una descrizione del mondo “neutrale”. La descrizione del mondo è semplicemente ciò che le persone interpretano come il proprio mondo. Il linguaggio è il nostro mezzo per comunicare ma è anche il nostro limite alle possibilità che abbiamo di esprimerci. 2. Ciò che spesso fanno sociologici e antropologi, come la comparazione tra culture differenti, risulta molto problematico. Non è detto che i concetti di una cultura siano adatti a descriverne un'altra. Non si può presumere per es. di descrivere una tribù indigena con gli stessi parametri con cuisi potrebbe descrivere una comunità degli stati uniti. Anche se sembra scontato, prima che questa teoria di Wittgenstein si diffondesse, era una pratica ordinaria, il non porsi questi problemi nel confronto tra società o forme di vita. Karl Mannheim (1893-1947) La sua sociologia viene chiamata “Sociologia della conoscenza”. Il problema cruciale di M. è il relativismo. Già nel XVI secolo si notava che “ognuno chiama barbarie quello che non è nei sui usi, perchè non abbiamo altro criterio di ragione che quello delle opinioni e dei costumi del paese in cui viviamo.” Nel XX secolo però questo tema si sviluppa enormemente. Lo storicismo tedesco a cui W. si rifà, sviluppa così il tema: Sul piano teorico, se epoche differenti sono caratterizzate da rappresentazioni del mondo diverse, la conoscenza storica deve affrontare la relatività di queste rappresentazioni, non negarle, ma evitare verità assolute. Sul piano dell'esperienza gli intensi processi di riorganizzazione sociale costrinsero ciascuno a rendersi conto delle diversità di usi costumi, lingue religioni esistenti fra gli uomini, in un modo che mai prima era stato conosciuto. Sul piano politico le violente contrapposizioni ideologiche del dopoguerra (comunismo, fascismo, liberalismo) rendono difficile l'idea che qualcuno possa avere il monopolio della verità. Mannheim riflette proprio sulla compresenza in una stessa società di correnti politiche differenti, cosa che Marx aveva già fatto parlando di ideologia e mostrando come le classi dominanti descrivevano il mondo occultando le contraddizioni e legittimando i propri privilegi. Le classi dominanti sono quindi influenzate dalla loro posizione sociale. M si chiede se anche la classe dominata lo sia. All'ideologia affianca allora l'idea di “utopia” cioè la visione tipica di chi lotta per rovesciare i rapporti esistenti ma non si accorge della realtà se non in ciò che c'è di male e che vogliono negare. L'ideologia e l'utopia sono quindi parziali deformazioni della realtà. Per M. ideologia significa nello specifico che ogni individuo esprime la sua realtà in un modo che rispecchia gli interessi, la cultura, del gruppo cui appartiene. La realtà che noi percepiamo è quindi legata alla nostra situazione esistenziale. La risposta di M. a questo problema è il relazionismo: la verità è solo un limite a cui si può tendere e tanto più si è capaci di prendere atto delle diverse prospettive esistenti e controllare con il dialogo le tendenze ideologiche che sono in ognuno di noi, tanto più ci avviciniamo alla verità. Per Mannheim gli intellettuali nell'epoca moderna sono un gruppo abbastanza indipendente dalle appartenenze sociali da poter fare un confronto avalutativo delle varie prospettive da cui emergono le diverse ideologie. 10- La scuola di Francoforte I membri più noti della scuola furono Adorno, Mancuse, Fromm e Benjamin. La scuola nacque dall’istituto per la ricerca sociale fondato nel 1923. Anche se questo grupo di studiosi non ha formazione omogenea (filosofi, psicoanalisti, economisti, ecc.) quello che li accumunò fu la l’intento di rinnovare la ricerca sociale di Marx alla luce delle trasformazioni più recenti del capitalismo e delle sue nuove contraddizioni. Nel 1933 il regime chiuse l’Istituto ma i suoi membri si trasferirono a New York. Solo nel 1950 fu riaperto a Francoforte, e gli studi che erano stati portati avanti negli Stati Uniti, semisconosciuti, divennero di grande rilevanza. Le loro idee critiche della società vennero chiamati “teoria critica”, caratterizzata da un intreccio tra ricerca sociale, psicoanalisi e filosofia. Le origini della scuola sono marxiste. Il nucleo del pensiero di Marx era: nella società capitalistica il fine dell'esistenza degli uomini diventa produrre, la vita è lavoro, consumo e di nuovo lavoro. La vita diventa quindi un'appendice della produzione e non il suo fine. Questo pensiero è anche il centro della scuola. La riflessione è sullo sviluppo delle forze produttive e i rapporti sociali. Bisogna rinnovare la teoria marxista però per capire perché la rivoluzione non avvenga. Quali sono i meccanismi che fanno si che i conflitti che generano tensione sociale restino latenti? Bisogna comprendere l'integrazione della classe operaia nel capitalismo. L'introduzione della psicologia e psicanalisi aiutò questi studiosi. L'integrazione della psicoanalisi Erich Fromm fu il primo ad integrare il pensiero marxista con la psicoanalisi, utilizzandola per spiegare i processi di socializzazione dell'individuo. La famiglia è la cerniera tra l'individuo e la società, il luogo dove il singolo impara ad integrarsi. Fromm nota però un graduale indebolimento della capacità della famiglia di formare individui autoresponsabili. Inizia invece a favorire lo sviluppo di persone con carattere autoritario. Questo è il carattere tipico di chi reprime in se stesso gli impulsi e scarica aggressivamente sugli altri la frustrazione che accumula. Questi sono particolarmente inclini ad affidarsi irrazionalmente ad un leader che promette di soddisfare i loro bisogni, accetta regimi autoritari e forme di socializzazione “di massa”. Tende a sfuggire all'analisi della realtà, ai fattori che provocano disagio, ha paura di criticare il proprio governo e il sistema in cui vive e scarica la colpa su un “capro espiatorio” di solito gruppi minoritari e impotenti, come le minoranze etniche. Si tratta di meccanismi inconsci ma come diceva Freud, ciò che è inconscio è tutt'altro che inerte. Con la psicoanalisi la ricerca sociale si arricchisce di nuove dimensioni precedentemente sconosciute. Il tipo di socializzazione e la costruzione del carattere, spiega ciò che le teorie economiciste non possono spiegare. Marcuse usa la psicanalisi partendo dall'osservazione di freud che la civilizzazione ha portato ad un forte controllo degli impulsi libidici. Il motivo è permettere uno sviluppo del dominio dell'uomo sulla natura. Il capitalismo ha uno sviluppo delle forze produttive tale che permette una relativa riduzione di questo controllo permettendo lo sviluppo di un'umanità capace di conciliarsi con la natura. Questo è ciò che chiama edonismo, cioè la capacità degli uomini di godere della propria vita, di essere felici. Adorno e Horkheimer usano la teoria freudiana per fare una critica della razionalità. La razionalizzazione (già in Simmel con la differenza tra ragione e intelletto e Weber, con il processo di razionalizzazione) è uno sviluppo dell'intelletto cioè della capacità di calcolare logicamente mezzi e fini, costi e benefici di ogni azione. Gli uomini moderni sono sempre più capaci di fare calcoli tecnici ma sempre meno di usare le facoltà critiche. Questo processo lo individuano nel passaggio dall'illuminismo al positivismo. Le valenze critiche che il richiamo alla ragione propone nel primo, vengono abbandonate nel secondo che appiattisce la ragione a strumento di descrizione dei fatti. Viene abbandonato ciò che è valore e fine e non si ha più la ragione come guida alla ricerca di un mondo più giusto e libero. In un saggio “dialettica dell'illuminismo” anche l'illuminismo stesso sarà oggetto di critica, in quanto punta a rischiarare tutto con la spiegazione razionale, ma elimina tutto ciò che razionalmente non può essere spiegato. Dominare con la ragione significa anche ridurre la natura a mero oggetto di osservazione. Horkheimer osservò invece come in alcune religioni popolari ci fosse una carica critica nei confronti delle istituzioni, al contrario di ciò che Marx sosteneva, chiamando la religione “l'oppio dei popoli”. Nel magico e nel religioso si conserva il pensiero che non tutto è dominabile con la ragione. In “dialettica dell'illuminismo” l'illuminismo diventa tutta la civiltà occidentale come un unico progetto di razionalizzazione che progetto di dominio sul mondo. Lo si vuole comprendere per piegare la natura all'uomo. In questo processo però l'uomo si estrania dalla natura stessa: il pensiero razionale si separa dalla natura e vi si contrappone. Questo ha portato ad uno straordinario sapere tecnico, che però annulla ogni senso della vita che non sia mero dominio della natura. La conoscenza razionale è inseparabile dal dominio su di sé, delle forze ancestrali che sono negate. Questa visione è legata all'esperienza della seconda guerra mondiale. La società moderna tende ad allontanare l'idea della barbarie, ma in realtà, la amministra solo più efficacemente. Dice Adorno: “Cosa c'è di più efficacemente amministrato dello sterminio degli ebrei con le camere a gas?”. L'illuminismo non va per questo negato, questa teoria non nega il valore della ragione. Gli affianca però una continua critica che ne mostri le contraddizioni. Nonostante il processo di razionalizzazione ci abbia fatto sforzare ad adattarci ad una vita estraniata dalla natura, c'è sempre in ognuno il ricordo di qualcosa che resiste alla razionalizzazione, è il ricordo del desiderio di felicità che da speranza per il futuro. L'industria culturale Sempre in “dialettica dell'illuminismo” , per industria culturale Adorno e Horkheim intendono l’amministrazione dello svago. Comprende cinema, radio, rotocalchi, e, dopo la guerra, la televisione. L’industria culturale mira a fornire una compensazione ai lavoratori dei sacrifici che sono chiamati ad affrontare con il lavoro, che è una necessità (il sacrificio) costantemente ribadita dall’industria stessa. L’industria culturale porta la cultura alle masse, che però viene svuotata del suo senso. Non è più un luogo privilegiato di elaborazione del pensiero, ma luogo di intrattenimento e soprattutto mezzo per promuovere l’adattamento di ognuno al sistema sociale esistente. La manipolazione è insita nella comunicazione di massa. La comunicazione di massa è “unidirezionale”. La democrazia apparente nell’informazione disponibile per tutti, è negata dal fatto che gli utenti non è previsto che siano “emittenti” ma solo “riceventi”. La comunicazione di massa è simile alla produzione di massa, cioè i prodotti, così come i programmi, tendono a standardizzarsi, si somigliano l’un l’altro e tutti i settori (radio, cinema…) sono armonizzati tra loro. La funzione della comunicazione di massa è promuovere l’adattamento al sistema sociale e quella di sostenere il mercato invitando ognuno al consumo, tramite la pubblicità che diventa strumento privilegiato. La cultura diventa essa stessa merce. Qualsiasi cosa ha valore se si può scambiare e non in quanto abbia un valore in sé. Crisi dell’esperienza e semicultura A parte lo studio di Adorno e Horkheim, chi più si occupò della critica alla comunicazione di massa nella scuola di Francoforte fu Lowenthal. Fece una serie di ricerche sulla letteratura di largo consumo sottolineandone la funzione di promuovere la sottomissione del singolo alle gerarchie esistenti. L’individuo, scaricando nell’immaginario i desideri frustrati, rinuncia a prendere atto nella realtà della divergenza tra la libertà cui aspira e la società in cui è immerso. Più complessi gli studi di Benjamin, critico letterario. Nel testo “opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità” (1936) parla della perdita di quell’”aura” di unicità di un’opera d’arte, dovuto alla nuova possibilità di riprodurla. Nell’epoca moderna, si può ammirare un dipinto o ascoltare una sinfonia senza muoversi da casa. Questo aumenta la fruizione dell’opera, ma non si ha più la sensazione dell’unicità che può dare l’andare a teatro ad ascoltare la sinfonia o trovarsi davvero davanti al quadro. Diversamente da Adorno, Benjamin non era completamente contrario a queste trasformazioni anche se era innegabile la loro radicalità. “autenticità” e “originalità” erano concetti quasi inafferrabili quando non esistevano le copie. Ora, la riproducibilità rischia di far sparire il senso di originale (non ha senso per es. parlare di originale della pellicola di un film.) ma diventerà un concetto estremamente diffuso. In un altro saggio. “Di alcuni motivi di Baudlaire” (1939) Benjamin riprende il concetto di “itellettualizzazione” di Simmel (la vita moderna è una successione infinita di stimoli riichiede, per essere affrontata, una forte accentuazione dell’intelletto a scapito dell’emotività) e osserva che più una coscienza è continuamente all’erta per difendersi dagli stimoli esterni, e tanto più ha successo, tanto meno le impresioni penetrano nella coscienza. La “crisi dell’esperienza” è data dal fatto che le condizioni della vita moderna ci costringono a tenere le impessioni ai margini della coscienza, senza lasciare che si imprimano nel profondo. Un esempio potrebbe essere quello di un viaggiatore che invece di visitare i posti guarda solo le cartoline. Le emozioni che una esperienza potrebbe generare, sono annullate o rese uniformi. L'esperienza è un accumulo dei materiali vissuti durante la propria vita;; la persona, rielaborandola, crea la propria storia con cui può raccontarsi. La sterilizzazione delle impressioni della vita moderna, non da la possibilità di legare insieme le esperienze, che rimangono frammentarie e non si uniscono più a formare la storia individuale. Anche nelle attività produttive c’è una crisi dell’esperienza: l’peraio non impara più dal proprio lavoro che è frammentato, ripetitivo, sempre uguale a se stesso, e la pratica non aumenta l’esperienza, ma insegna solo all’operaio a trasformarsi in automa. Sul lato della cultura, la crisi dell’esperienza corrisponde ad una preferenza per le informazioni, a discapito delle storie. Le informazioni però soono slegate tra loro, effimere ed in ogni momento possono essere sostituite da informazioni successive. Questa è cio che Adorno chiama “semicultura” una cultura degradadta a patrimonio di informazioni, una cultura che ha perso la sua funzione. Le informazioni sganciate dall’esperienza, non servono più per “”illuminare”. È come se la vita scorresse senza essere compresa, senza che la cultura aiuti l’uomo a chiedersi il senso del proprio essere storici e del proprio posto nel mondo. Critiche La scuola di Francoforte, pur insegnando sociologia diffidava di questa e di tutte le altre scienze accademiche, perché la realtà è una totalità di uomini immersi nella natura, ed ogni disciplina è intrinsecamente collegata a tutte le altre. Soprattutto diffidavano della sociologia positivistica, che vedeva la realtà come un insieme di dati da osservare e registrare. Per la scuola, la scienza non deve solo “duplicare” la realtà ma essere critica, senza separare ragione e valori. Fare questa distinziona sarebbe una negazione della responsabilità che il pensare comporta. Sembra che pensare sia un po’ fuori moda. È chiaro che gli studi dei francofortesi abbiano suscitato critiche e reazioni. Vengono accusati di un atteggiamento “elitario”, ma in un periodo in cui le masse popolari sottoscrivono il fascismo, dichiarare di aspirare alla libertà è molto più democratico di chi afferma che la verità sta sempre dalla parte della maggioranza. Vengono criticati perché attribuiscono troppo potere all’industria culturale e alle comunicazioni di massa. Paul Lazarsfeld uno studioso tedesco che aveva inizialmente collaborato con l’Istituto per la Ricerca sociale, porta avanti degli studi empirici proprio su questo campo ed osserva che i risultati contrastavano con quello che affermavano Adorno e Horkheim. Il grado in cui la pubblicità e la propaganda hanno effetto sulle coscienze dipende dal contesto in cui si trovano le persone stesse. Un individuo molto isolato viene influenzato maggiormente dai contenuti trasmessi. Una persona invece che è inserita in una comunità o nella società, tende a mediare i contenuti trasmessi con le convinzioni del suo gruppo, e ne è per ciò meno dipendente. Le ricerche di Lazarsfeld erano molto accurate e facevano apparire le teorie dei francofortesi delle semplici intuizioni. Il potere di costruzione e dell’adattamento dei membri alla società e quello di persuasione, vengono in pratica ridimensionati. Lazarsfeld pubblicò anche un'interessante ricerca sugli effetti psicologici della disoccupazione). Si trasferì negli stati uniti, dove divenne uno dei maggiori rappresentanti della ricerca sulle comunicazioni di massa e dell'opinione pubblica. La scuola di Francoforte comunque non volle mai creare un sistema teorico (non credendo nelle scienze accademiche) ma le loro ricerche e i loro scritti partivano da spunti della vita quotidiana da cui partivano per le loro riflessioni. Per la scuola, è attraverso il pensiero, che la vita viene mediata e si trasforma finalmente in esperienza, cioè in una vita capita e compresa che invita ad agire per modificare lo stato delle cose. Jürgen Habermas (1929-?) È il principale esponente di quella che venne chiamata la “seconda generazione della scuola di Francoforte”. Inizialmente porta avanti dei lavori in linea con l’interesse della prima scuola, cioè sull’opinione pubblica che nella società di massa si sta impoverendo. Le istituzioni moderne all’inizio sembrano incarnare la possibilità di sviluppo di una “ragione critica” che però poi viene disattesa. Habermas vede la modernità come un “progetto incompiuto”. Più in là i suoi studi si allontaneranno da quelli della prima scuola, pur tenendone l’atteggiamento critico. Basandosi sui nuovi studi di linguistica e filosofia del linguaggio, riconosce che gli uomini sono sempre legati tra loro dalla continua ricerca della comprensione reciproca, che avviene tramite il linguaggio. Come per Wittengstein, il linguaggio è un elemento essenziale per la vita sociale. Su questa base critica il marxismo che studia la società solo dal punto di vista economico-­lavorativo. A questa sfera, per Habermas, bisogna affiancare l’interazione linguistica. La società moderna ha una contraddizione forte in sé, cioè l’aver creato le condizioni per lo sviluppo di una comunicazione libera consapevole e responsabile, ma ha bloccato questa potenzialità con lo sviluppo dell’agire strumentale. Norbert Elias (1897-1994) Elias, studioso tedesco non appartiene alla scuola di Francoforte. Il suo studio più famoso è “Sul processo di civilizzazione” (1939), in cui, ispirandosi a Simmel, Weber, Ferud, ricostruisce i processi che hanno dato luogo alla società moderna, che per lui hanno radici nelle ultime trasformazioni che subì la società feudale. Alla divisione simmeliana tra razionalità di scopo e razionalità di valore, trova una razionalità intermedia che adottarono i cortigiani: le spese superiori al proprio patrimonio erano sostenute per il prestigio e l’ostentazione el lusso, ma che servivano anche a raggiungere o difendere uno status che permetteva l’acquisizione di nuovi beni. Questa ipotesi si affianca anche a quella di Weber che vedeva nella religione protestante l’origine della società moderna. Un altro punto fondamentale per Elias è il rapporto tra civilizzazione e violenza. La creazione degli stati europei aveva portato nel XVII secolo una progressiva pace nella vita sociale. La violenza viene estromessa dalla vita esteriore, che viene però interiorizzata. Per conformarsi agli standard della società moderna, i propri impulsi devono essere controllati. Il processo di civilizzazione prevede quindi una pacificazione del mondo esterno, sociale ma anche di quello interno all’uomo. Si creano le nuove “buone maniere” moderne che corrispondono ad un occultamento delle passioni, si innalza il senso del pudore e dell’autocontrollo, più di quanto si facesse in età premoderna. È un processo a due facce: ci identifichiamo molto più facilmente negli altri (il dolore altri non è più qualcosa di cui godere), ma contemporaneamente tendiamo ad allontanare cose naturali come la morte, che è socialmente rimossa. Il moribondo viene isolato proprio quando è più penoso essere soli. Nel medio evo era più frequente morire, ma la solitudine non era così marcata. La deritualizzazione della vita sociale moderna, mette in difficoltà i cittadini che non hanno più rituali per esprimere il lutto e quindi sta alla creatività di ognuno, trovare il modo di elaborare questa sensazione che ci mette davanti alla nostra mortalità, ma non tutti gli uomini sono all’altezza di un compito del genere. Elias fu un sociologo che non concepì mai la sociologia separata dalla storia. Un atteggiamento che nel XX secolo diventa sempre più raro, ma a cui non bisognerebbe rinunciare. 11- La sociologia americana tra gli anni ’30 e ‘50 Negli anni Venti e Trenta la sociologia americana era stata influenzata dalla scuola di Chicago. Tra il 1930 e il 1960, invece la figura dominante sarà quella di Parsons, ma il panorama americano è comunque ricco e variegato, tanto da essere in quegli anni, il cuore della sociologia del XX secolo. Con la ricerca empirica, in America si portarono avanti importanti studi sulle comunità, ad es. quello dei coniugi Lynd su una cittadina media americana, la sua stratificazione sociale, stili di vita e comportamenti, Middletown (1929). Si svilupparono molto anche studi sul lavoro e le organizzazioni, finanziate da compagnie che volevano avere ricerche sui fattori che influenzavano la produttività dei dipendenti. Il risultato fu che grande importanza hano le relazioni umane all'interno dell'azienda, e che a fianco dell'organizzazione formale, tende a svilupparsene una “informale”. Anche le tecniche di ricerca quantitative si svilupparono molto, con procedure di tipo statistico (analisi multivariata) che trovarono ampie applicazioni nella ricerca di mercato. Il grande interesse degli uomini politici e delle imprese commerciali e militari per la propaganda, stimolarono e finanziarono la ricerca sociale americana dove gli scienziati sono tuttora all'avanguardia. (Hoover fu il primo presidente eletto che spese quasi tutto il suo budget per la propaganda elettorale). Furono portate avanti ricerche sulle motivazioni e gli atteggiamenti dei soldati e dei reduci, The American soldier (1949), e una ricerca sul razzismo tra bianchi e neri in America, che sottolineò il dilemma della società americana, divisa tra i valori universali che vi si affermano e i pregiudizi che discriminano la gente di penne nera, An American Dilemma (1944). Charles Mills, portò avanti ricerche universitarie (non finanziate quindi da istituzioni esterne all'università) sui nuovi ceti medi, Colletti bianchi (1951), e d uno, L'Elite del potere (1956) che dimostrava come nonostante l'apparente mobilità della società americana, in realtà a dominare è una piccola élite di persone legate tra loro che operano nella politica, nell'industria e nelle forze armate. Talcott Parsons (1902-1979) dal 1927 inizia ad insegnare ad Harvard e da lì esercitò per trent'anni un'enorme influenza sulla sociologia americana ma anche europea del secondo dopoguerra. Le sue opere principali: La struttura dell'azione sociale (1937), Il sistema sociale (1951) Famiglia e socializzazione (1955) e Sistemi e società (1971). L'approccio di Parsons viene chiamato “strutturalfunzionalista”, nel senso che si propone di individuare la struttura di fondo della società e di comprenderla mostrando le funzioni che le sue parti assolvono. Si può definire però anche un approccio “sistemico” cioè il sistema è il concetto cruciale delle ricerche di Parsons. Lui cerca di integrare le idee di Weber e Durkheim, cioè da un lato, capire in cosa consista l'azione degli individui, dall'altro, vedere come si inseriscano le azioni individuali in un contesto di vincoli che sono al di sopra dell'individuo. Azione sociale e sistema Parsons considera l'azione, o meglio, l'atto, come l'unità elementare di cui si occupa la sociologia. La descrizione di un'azione richiede: 1. un attore, cioè colui che compie l'atto. 2. Un fine, cioè una situazione futura verso la quale è orientato l'atto. 3. Una situazione, più o meno differente da quella futura verso cui è orientato l'atto. Questa si può analizzare in base a due elementi: le condizioni, cioè gli elementi nei confronti dei quali l'attore non ha controllo i mezzi, cioè quelli sopra il quale ha un controllo. 4. Un orientamento normativo, i motivi al di sopra dell'individuo che fanno scegliere un mezzo piuttosto che un altro. Nel contesto della cultura americana, Parsons lottava contro il comportamentismo, (la tendenza a ridurre l'azione umana ad un semplice meccanismo di risposta agli stimoli) e contro l'utilitarismo (che riduceva ogni azione ad un interesse). In questa lotta Parsons cerca con le sue definizioni a dare un peso alla libertà di scelta dell'attore, e alle norme che ne vincolano e governano l'azione. Le norme sono il collegamento tra la personalità e l'insieme sociale di cui l'individuo fa parte. A loro volta sono l'espressione di un insieme di valori, cioè di una “cultura”. Perché un sistema sociale funzioni, è necessario che i membri abbiano una personalità, che abbiano fatto propri i valori e le norme della cultura comune. Il sistema sociale, così come ogni sistema è un insieme di parti che è capace di autoregolarsi, ogni parte svolge una funzione, necessaria alla riproduzione del sistema stesso. In questo meccanismo si possono osservare 4 funzioni, svolte nel sistema sociale, da altrettanti sottosistemi: 1. adattamento all'ambiente, compito del sottosistema economico 2. definizione degli obiettivi, compito del sottosistema politico 3. trasmissione e conservazione dei modelli di organizzazione, compito di famiglie e sistemi scolastici 4. integrazione delle varie parti e controllo dei membri, compito dei sottosistemi giuridico e religioso. Parsons intende l'individuo come dotato di personalità, che gli permette di avere un ruolo nella società (ruolo: un sistema di comportamenti orientati ad una funzione, es, ruolo di madre, di insegnante di giudice...). Esercitando il nostro ruolo in base alle norme, ognuno di noi entra in relazione con gli altri e contribuisce alla riproduzione del sistema, ci comportiamo come gli altri si aspettano e a nostra volta contribuiamo a rinforzare le norme stesse, con il fatto che vi aderiamo. Famiglia e socializzazione Che le nostre azioni siano in linea con le aspettative degli altri, è dato dal fatto che sia noi che gli altri abbiamo interiorizzato i principi della cultura comune. L'interiorizzazione, è per Parsons, ripresa da Freud, la formazione del “Super-­io” che riproduce dentro di noi l'autorità che inizialmente ci è imposta dall'esterno. L'interiorizzazione corrisponde con la socializzazione, e si realizza nella prima infanzia all'interno della famiglia. La famiglia ha quindi un ruolo fondamentale. L'evoluzione della società comporta normalmente una differenziazione (cioè un processo di moltiplicazione dei ruoli) e una specializzazione (cioè i ruoli sempre più differenziati hanno compiti sempre più ristretti e quindi sempre più efficaci). Insieme differenziazione e specializzazione comportano una maggiore complessità del sistema sociale. La famiglia rispetto al passato perde alcuni compiti tradizionali come la cura della salute, la produzione dell'autoconsumo, e si differenzia e specializza nello svolgimento del compito di aiutare la socializzazione dei bambini e di stabilizzare la personalità degli adulti. La famiglia moderna ha delle caratteristiche peculiari: è nucleare, cioè genitori e figli, che risiedono in un'abitazione indipendente. Il ruolo di moglie/madre è quello di casalinga e di leader espressiva, cioè dirige la dimensione affettiva;; il marito/padre è colui che procura il denaro e gestisce i rapporti della famiglia con l'esterno. La posizione della famiglia all'interno della società dipende dalla professione del padre. I ruoli di madre e padre sono complementari e sostengono uno la personalità dell'altro. I genitori cooperano alla socializzazione dei figli attraverso il loro esempio, che i bambini osservano e apprendono. Questa descrizione è buona per la famiglia media americana del tempo, ma non coincide perfettamente con quelle degli altri posti, ma visto che la società americana viene considerata la più sviluppata, questa descrizione sarà ampliata alla “famiglia moderna” in generale. Termini sociologici in Parsons Parsons rivede e rielabora alcuni termini: le norme, sono dei modelli di condotta e chi non vi si adegua subisce delle sanzioni i valori, sono ciò a cui le norme si ispirano i ruoli, insieme di comportamenti regolati da norme. I ruoli sono complementari: marito/moglie, insegnante/alunno, medico/paziente. L'insieme dei ruoli che un individuo ricopre, crea il suo status,cioè la posizione che occupa all'interno della società le istituzioni, sottosistemi del sistema sociale (famiglia, scuola, ecc..) la socializzazione è il processo attraverso cui l'uomo interiorizza i valori e le norme. Parsons provò anche a dare dei parametri (chiamati “variabili strutturali”) per distinguere società differenti. In base a come gli individui si dispongono rispetto a questi parametri, permetterebbe di descrivere i caratteri fondamentali di una società rispetto alle altre. Questi parametri sono: particolarismo e universalismo: il primo è: ciò che si fa per una persona non si fa per altre (es. comportamento verso un amico);; il secondo: quello che si fa per uno vale per tutti (es. comportamento di un giudice) specificità e diffusione: il primo: un funzionario si relaziona all'altro solo per quanto riguarda gli aspetti specifici del suo ruolo (es. funzionario, utente), il secondo: ci si relaziona considerando vari aspetti propri e dell'altro (es. amicizia) ascrizione e acquisizione : nel primo ci comportiamo nei confronti di una persona in base a tratti che lo caratterizzano dalla nascita (es. colore, etnia, status della famiglia);; il secondo, in base a cosa la persona è stata capace di realizzare (es. status personale raggiunto o abilità particolari) affettività e neutralità affettiva: differenza tra la gratificazione affettiva nell'azione (es. in famiglia) o assenza di gratificazione nell'azione (es. tra avvocato e cliente) interessi collettivi e interessi privati: nel primo l'azione è orientata per l'interesse di tutti (es. un medico);; nel secondo l'azione è per interesse privato (es. imprenditore). Le società moderne tenderebbero all'universalità e acquisizione, le tradizionali al particolarismo e all'ascrizione. Critiche Parsons ebbe un enorme successo grazie al fatto che la sua sociologia forniva una grande teoria capace di dare un punto di riferimento unitario alle ricerche empiriche. Per molti anni quello di Parsons fu il “pensiero ortodosso” del pensiero sociale, ma fu bersaglio di molte critiche. Innanzitutto i limiti del funzionalismo: concentrandosi solo su ciò che è funzionale al sistema sociale, non ne considera i conflitti, visti solo come disfunzioni. Parsons infatti non riesce a dare una spiegazione chiara ai motivi del mutamento sociale. Per molti Parsons ha creato uno specchio degli ideali della società americana del tempo. Le teorie sulla modernizzazione parte dal fatto che tutte le società devono prima o poi conformarsi alle società occidentali prese come modello e che quindi la modernizzazione sia sempre uguale. Questo significherebbe anche che i paesi in via di sviluppo dovrebbero avere lo stesso percorso di quelli sviluppatisi prima. La teoria della dipendenza, invece, basata su studi dei paesi dell'America latina, fa emergere che questi paesi sono vincolati ai paesi più sviluppati che hanno puntato sullo sfruttamento,e rimangono ancora oggi nella loro morsa. Valide rimangono invece le “variabili strutturali”, che una volta ripulite dalla visione incentrata sugli stati uniti, possono essere applicate a studi sul campo rivelandosi ottimi strumenti per la descrizione delle varie società. Di buono Parsons fece anche la constatazione che la famiglia è un nucleo sempre in mutamento e in evoluzione nella storia. Ma la famiglia di Parsons assomiglia troppo a quella americana, bianca, di ceto medio nordamericana. Le famiglie raramente nel mondo sono così. Forti critiche gli vennero mosse dal femminismo in quanto P. relegava la donna a figura secondaria in quanto chi non ha indipendenza economica è meno libero. Per Parsons, chi non è simile al suo modello, è “anormale”. Infine Parsons parla di “azione” come se fosse una cosa, un qualcosa con un inizio e una fine, da scomporre per descriverla, ma difficilmente si può dire quando un'azione veramente è iniziata o finita, siamo piuttosto immersi in una catena di azioni. L'interpretazione dell'azione passa in secondo piano. Inoltre si limita alle azioni razionali rispetto allo scopo. Comunque, proprio dalle critiche mosse a Parsons, sono nati alcuni degli orientamenti contemporanei più interessanti, e lo sforzo teorico di Parsons è di un livello altamente ambizioso. Robert Merton (1910insegnò sempre alla Columbus University di New York, viene avvicinato a Parsons perché anche per lui il concetto di funzione è centrale, ma ha differenze marcatissime. Innanzitutto Merton osserva che la sociologia era divisa tra chi proponeva grandi teorie inverificabili e ricerche accurate ma irrilevanti. Diceva: i sociologi sono o del tipo che afferma: “non so se quello che dico è vero, ma so che è importante” e quelli che dicono “non so se quello che dico è importante ma so che è vero”. A questa divisione lui propone una via intermedia, la “teoria a medio raggio” una serie di concetti logicamente collegati che possono illuminare le ricerche senza dover essere considerati universali. Per Merton il concetto di funzione è uno strumento utile alla ricerca, ma non è la chiave di volta di una teoria totale della sociologia. Merton infatti parla di analisi funzionale, e critica invece il funzionalismo di Parsons. Critica innanzitutto che ogni elemento del sistema debba essere considerato sempre e comunque funzionale a tutto il sistema. Ciò che può essere funzionale per alcuni può non esserlo per altri. Inoltre Merton rifiuta l'idea che tutti gli elementi di un sistema sociale debbano avere una funzione, e che ogni istituzione abbia una funzione indispensabile. In realtà la società ha molti fenomeni che hanno perso la loro funzione, o devono ancora trovarla, o ne hanno più di una. Le stesse funzioni poi, nel corso della storia, non state svolte da istituzioni diverse. Infine, Merton distingue tra funzioni manifeste e funzioni latenti. Per spiegare questi concetti, parte dal lavoro di Veblen sul “consumo vistoso”, in cui mostra che il fenomeno consumo può avere un significato diverso da quello apparente. Consumare serve per soddisfare dei bisogni, ma può servire anche a scopi diversi come il prestigio sociale. Il fenomeno è lo stesso, ma una funzione è manifesta, mentre l'altra è latente. A volte sfugge anche agli attori stessi che non sono sempre coscienti degli scopi che perseguono. Stesso discorso è per le istituzioni. La funzione della scuola, a parte quella manifesta, può a volte essere quella latente di alleggerire la pressione sul mercato, “parcheggiando” i giovani prima del loro inserimento nel lavoro. Merton contribuisce in vari modi alla sociologia. Conscio dell'importanza della tradizione e dell'eredità, estrae concetti da autori precedenti a lui e li amplia e li sviluppa. Ad esempio, riprende il concetto importantissimo della “deprivazione relativa” ripresa dal lavoro “American Soldier” di Stouffer. La deprivazione relativa indica in questo saggio, l'insoddisfazione provata nei confronti della propria carriera da parte di militari che in realtà si trovano in una posizione di prestigio. Il sentimento di essere “privati” non ha a che fare con la realtà oggettiva, ma con le percezioni soggettive. Merton mostra che ogni individuo si rapporta con almeno due gruppi: il gruppo di appartenenza e il gruppo di riferimento. Se il gruppo di riferimento propone bisogni che l'individuo non può soddisfare nel proprio gruppo, egli si sente frustrato, a prescindere da quanto bene o male viva. Un'altra rielaborazione di Merton, è sulla devianza e sull'anomia. Per lui la devianza si può riferire a varie cose: devianti rispetto agli scopi, prefiggendosi scopi non considerati “normali” rispetto ai mezzi, scopi normali ma con mezzi che normalmente vengono sanzionati Con queste basi si individuano almeno 4 tipi di devianti: 1. gli innovatori: si conformano agli scopi dominanti ma usando mezzi devianti 2. i ritualisti: rimangono fedeli ai mezzi ma si prefiggono scopi diversi che normalmente dovrebbero essere raggiunti con quei mezzi 3. i rinunciatari: rifiutano sia i mezzi che gli scopi dominanti 4. i ribelli anche loro mettono in discussione mezzi e scopi, ma non si ritirano dalla scena sociale ma lottano per affermare mezzi e scopi diversi. In questo quadro, l'anomia, più che un'incertezza o assenza di norme, è una situazione in cui sono disgiunti gli scopi proposti dalla cultura e le possibilità concrete di raggiungerli attraverso mezzi “normali”. Quando in una società molti sono ostacolati in questo senso, si tendono a sviluppare comportamenti devianti e illegali. La sociologia della scienza Tra i vari interessi, Merton si occupò della sociologia della scienza, anzi , può essere considerato l'iniziatore. Parla della reciprocità tra scienza e società. Fino a quel momento si era parlato molto dell'influenza che la scienza aveva dato alla società, ma mai del contrario. In realtà invece, molti dei temi su cui si interroga la scienza, sono definiti dagli interessi del mondo circostante. (esigenze di produzione, o militari che influenzano una ricerca piuttosto che un'altra.) inoltre, l'idea che una verità sia qualcosa di accertabile razionalmente tramite l'esperimento e l'osservazione sistematica, è l'idea senza la quale la scienza non esisterebbe, ma quest'idea non nasce dalla scienza, ma dalla cultura in cui è inserita. Perché la scienza si sviluppi è necessario che nella cultura ci sia l'idea che possa esistere, che venga attribuita agli scienziati lo status per poter dare risposte. Se i presupposti della scienza stanno nella cultura che la legittima, allora la scienza è un'istituzione sociale come le altre. Merton studia anche le tensioni tra la logica della comunità scientifica e la società. Una comunità scientifica ha dei principi: si basa su delle procedure caratteristiche, sul dubbio sistematico, cioè che ogni affermazione sia verificabile da chiunque. Questo impone un dialogo aperto tra scienziati e implica la disponibilità universale dei risultati. Infine ogni scienziato deve essere valutato in base ai sui meriti sul lavoro. Quest'etica può entrare in conflitto con la società, quando ad es. una azienda che commissiona una ricerca pretende che essa rimanga segreta, o un'azienda pubblica non vuole dare rilevanza all'incertezza dei risultati di una ricerca. Infine è raro che gli scienziati facciano carriera solo in base ai propri meriti. La scienza rimane scienza solo fino a quando mantiene dentro di sé un'organizzazione che permetta al dubbio di esprimersi. La sociologia della scienza, è per Merton, una ricerca empirica in cui si analizzano nella storia le richieste che via via sono state fatte agli scienziati, e da chi, e come gli scienziati si sono organizzati e reclutati. A Merton è stato criticato un atteggiamento positivista, perché solo questo può spiegare la fiducia che ha nel fatto che i risultati della scienza siano sempre cumulabili e confrontabili tra loro. Infatti non sempre le scienze si basano su logiche simili. La fisica classica ad esempio si basa su una logica completamente diversa da quella della fisica atomica, e i risultati non sono paragonabili o messi sullo stesso piano. 12- le teorie della vita quotidiana Dopo la seconda guerra mondiale, lo sviluppo dei consumi privati e la percezione di ampie possibilità di mobilità sociale, generano la percezione di una libertà personale senza precedenti. Lo sviluppo delle tecnologie porta progresso, che porta benessere. Gli stati diventano sostegno dell'economia (Keynes) ma danno anche assistenza ai cittadini con i servizi sociali. Nel blocco comunista, l'incapacità di creare benessere e libertà individuale simile a quella dei paesi occidentali, sarà uno dei motivi del crollo del comunismo. I paesi del Terzo mondo scoprono l'indipendenza che però comporta problemi nuovi insospettati. Le scienze sociali, ormai istituzionalizzate in tutti i paesi, studiano principalmente i nuovi problemi portati dagli sviluppi della società. La stratificazione, il declino dei contadini, l'aumento dei colletti bianchi e degli operai, provocano una trasformazione notevole. La grande mobilità apparente non elimina le disuguaglianze e i destini restano spesso legati all'origine della famiglia di ognuno. Lo sfaldamento della teoria di Parsons negli anni 60 è dovuta a motivi morali: i movimenti di neri e studenti, le lotte per i diritti civili e contro la guerra in Vietnam, portano una nuova sensibilità per le disuguaglianze della povertà. Parsons, come si è detto, non sa dare una spiegazione al mutamento. Rinasce l'attenzione per la vita quotidiana, per le dinamiche soggettive. Alfred Schutz (1899-1959) elabora la sociologia fenomenologica. L'idea fondamentale della fenomenologia è che il soggetto non è semplicemente nel mondo ma costituisce il mondo. La costruzioni di “tipi ideali” che Weber intendeva come metodo per lo scienziato sociale, è in realtà qualcosa che facciamo tutti, sempre. Tipizzare significa ridurre la complessità del reale a un insieme di “tipi di cose”, “tipi di persone”, “tipi di situazioni”. Sono una sorta di classificazione della realtà. Ognuno li classifica in base al modo in cui sono classificati nel mondo in cui vive. L'utilità dei “tipi” è che possono essere condivisi e permettono quindi l'interazione sociale. Se infatti ci dovessimo continuamente chiedere “cosa fa quella persona” o come debbo intendere questa situazione, o questo gesto, non riuscirei a svolgere le mie attività quotidiane. Classificando invece la realtà che mi si pone allo sguardo in categorie, posso capire cosa succede e continuare nelle mie attività senza dover continuamente chiedermi cosa fare. Ogni sfera della vita sociale comporta delle tipologie. La sfera che più interessa a Schutz è la vita quotidiana, ma ci sono varie sfere, varie realtà, in cui trascorriamo la nostra esistenza. C'è il mondo dei sensi, quello delle cose materiale, della scienza, i mondi sovrannaturali, dell'opinione individuale... la mente considera questi mondi in base all'attenzione. Se poniamo attenzione ad una sfera della realtà, la percepiamo, ma quando ci distraiamo da essa, scompare. Il mondo ordinario è quello della vita quotidiana a cui diamo attenzione maggiormente, è il mondo in cui il scompare il dubbio che le cose possano non essere come le vediamo. Almeno fino a quando un problema o una crisi non ci costringa a rivedere ciò che davamo fino a quel momento per scontato. Il senso comune Come dice Schutz, il pensiero in cui siamo immersi quotidianamente è il senso comune, è il pensiero dell'ovvio. Preserva ciascuno dal dover continuamente risolvere problemi che hanno già trovato soluzioni soddisfacenti. Pensare secondo il senso comune è pensare come al solito, senza farsi domande non necessarie alla continuità della nostra esistenza. Il senso comune è un meccanismo che tende a tenere i dubbi fuori dalla porta. Solo una piccola parte della nostra conoscenza del mondo è data dall'esperienza individuale, per la maggior parte deriva socialmente dalle persone che mi circondano. Il senso comune è un insieme di “ricette” per vivere, in modo che gli aspetti della vita quotidiana siano considerati “ovvi”. Non sempre affidarsi al senso comune è sufficiente: lo straniero che si trova in un paese in cui niente è “ovvio”, e quello che dava per scontato nel suo gruppo d'origine non è più tale, entra in crisi in quanto deve abbandonare un senso comune e impararne un altro. Esistono quindi tanti sensi comuni. Il mio senso comune è vero fino a quando funziona, cioè fino a quando anche chi mi circonda lo condivide, fino a che la realtà viene percepita da me e da chi mi circonda, nello stesso modo. Il senso comune è quello che tutti credono che gli altri credano. Il senso comune deriva in parte dalla tradizione del gruppo, in parte viene costantemente riprodotto e confermato dalle azioni di ognuno. Senza di esso, la vita quotidiana precipiterebbe nel caos. La realtà è una costruzione sociale , è ciò che intersoggetivamente viene chiamato reale. Schutz si occupa molto della sociologia della vita quotidiana perché per lui non se ne può fare a meno per fare poi scienza sociale. La sociologia da interpretazione dell'agire degli individui, perché già gli individui stessi, nella vita quotidiana interpretano continuamente il significato delle azioni proprie e degli altri. Bisogna quindi prima capire come agisce l'interpretazione spontanea della vita quotidiana per poi darne spiegazione scientifica. In entrambi i casi si interpretano le azioni con dei “tipi”. La differenza è che la tipizzazione del singolo non si pone il problema di essere incongruente o approssimativa. La tipizzazione scientifica invece si interroga continuamente sulla validità delle sue affermazioni. Le tipizzazioni della scienza sono solo ulteriori tipi fatti su quelli già creati dagli individui. Peter Berger e Thomas Luckmann Sono i due continuatori dell'opera di Schutz. Scrivono un libro insieme, La realtà come costruzione sociale (1966). è uno sviluppo del pensiero di Schutz visto come sociologia della conoscenza quotidiana, vista come pietra fondamentale dell'intera sociologia, che consente, con il suo approccio di combinare le due prospettive fondamentali di Durkheim (apparente oggettività dei fatti sociali) e di Weber (importanza del senso che gli individui danno all'agire). Bisogna vedere innanzitutto come la realtà venga prodotta dall'interazione degli individui come realtà oggettive e come sia poi interiorizzata soggettivamente dal singolo. Oggettivazione: 1. ogni volta che si risolve un problema, questo smette di essere un problema e le soluzioni efficaci diverranno modi tipici di comportarsi, cioè diventeranno abitudini. 2. Condividere le abitudini, le tipizzazioni, significa creare una routine. 3. Chi entra a far parte di un gruppo (un neonato per es.) trova le routine già costituite, sono un'istituzione già esistente. Quindi la costruzione comune della realtà è un processo di oggettivazione. Le forme della realtà appaiono come fatti (Durkheim). Socializzazione: quando veniamo al mondo, la realtà è già stata codificata per noi. Doppiamo solo imparare, apprendere il senso comune che ci viene da chi ci circonda, che lo considerano naturale e diventa naturale anche per noi. (Weber) La realtà è una costruzione sociale che sembra avere un'esistenza propria, ma si riproduce solo se ognuno impara a darle lo stesso senso degli altri. Come si verifica il mutamento? Quando si generano dei movimenti sociali, cioè quando alcuni membri della società non danno più per “ovvio” il mondo. Le tecnologie possono porre nuovi problemi o aspettative;; certi gruppi possono sentire frustrazione che li spinge a mobilitarsi, ecc.. infine, il mondo moderno mette sempre più a confronto realtà sociali differenti che costringono a fare i conti con vari sensi comuni, che rielaborati danno come risultato un nuovo senso comune diverso dai due precedenti. La percezione del fatto che la realtà è una costruzione e ce ne sono altre oltre a quella che conosciamo, può creare disorientamento, che rappresenta la principale causa di disagio della modernità. Ogni ordinamento sociale è arbitrario. L’etnometodologia termine coniato da Garfinkel, che parte sempre dagli studi di Shutz. Il senso comune era per quest'ultimo “un modo per sospendere ogni dubbio”, ma allora, si chiede Garfinkel, se il dubbio è sospeso, significa che da qualche parte esiste. Il pensiero quotidiano ne è costantemente minacciato. Con i suoi studi cerca di mostrare come il dubbio sia sempre in agguato e come ogni volta, venga fugato. Avere un atteggiamento non considerato “normale” provoca disagio, a volte addirittura panico. Questo perché più si è convinti che il proprio modo di vedere e di comportarsi sia l'unico possibile, più il dubbio che non sia così crea panico. Come si fugano i dubbi? Quando ci spieghiamo, non abbiamo la garanzia che quello che diciamo venga capito cosi come noi lo intendiamo. Solo ad un certo punto decidiamo che ci siamo spiegati abbastanza. È un accordo tacito, che è ricorrente ma non è esplicito, e non ha una regola fissa. Ogni volta sarà la situazione a dettarci quando e se ci saremo spiegati. Le regole, le norme, per Garfikel, non esistono infatti. Al contrario del suo maestro Parsons, per lui la ricorrenza degli accordi che da l'illusione di norme consolidate. Anche le regole scritte vanno sapute usare, in base al contesto, non a priori. La realtà e le sue norme apparenti sono costruzioni che si riproducono costantemente. Il come questo avvenga è studio della etnometodologia. L’interazionalismo un approccio teorico degli anni '60 che si basa sull'interazione (cioè l'azione sociale reciproca di più individui) e il suo carattere simbolicamente mediato (comprensibile cioè solo se si fa riferimento all'interpretazione che gli attori fanno della situazione). Si concentra soprattutto sui processi di formazione dell'identità personale. L'identità personale è il risultato del soggetto che si confronta con le definizioni di se stesso che sente nei discorsi degli altri, che interiorizza e d elabora. La teoria dell'etichettamento è che la devianza sia l'etichetta che viene data ad un comportamento ritenuto offensivo delle regole basilari della vita comune, e che il deviato sia uno a cui questa etichetta sia stata applicata con successo. Se uno studente durante una manifestazione dice “criminali” ai poliziotti, difficilmente sarà creduto, mentre se i poliziotti fanno il contrario, saranno più facilmente creduti. Ci sono infatti istituzioni specifiche preposte a dare etichette che trasformano concretamente la vita del singolo. Polizia e sistema giudiziario sono due di queste. Se i giornalisti chiamano qualcuno “mostro” sarà difficile per quella persona dimostrare il contrario. L'etichetta infatti porta ad una proiezione dell'aspettativa ad es. se un ragazzo viene etichettato come vagabondo o delinquente dagli insegnanti, anche le azioni che in altri ragazzi sarebbero considerate con indulgenza, in lui saranno viste come causa del suo carattere. Se una persona ha commesso un reato e quindi in passato è stato etichettato come criminale, se ci sarà un nuovo crimine, sarà sospettato per primo. Questo trasforma la sua identità perché tutti lo vedranno per “quello che si dice che sia”. L'etichetta viene spesso interiorizzata e se mi chiamano criminale è probabile che io sia spinto a comportarmi come tale. Erving Goffman (1927-1982) Nella sua sociologia Goffman si occupa principalmente del ruolo di “attore” che ognuno di noi interpreta nella vita sociale e delle “metacomunicazioni”. Una metacomunicazione è parlare di ciò di cui ho parlato. Ad es. se dico: “nel quadro del nostro discorso è importante parlare di Goffman”. E poi aggiungo: “Attenzione perché la parola 'quadro' appena utilizzata non è casuale ma è stata scelta per un motivo”. Nella prima frase faccio una comunicazione, nella seconda spiego qualcosa che ho detto nella prima, esco quindi fuori dal discorso principale, per specificare qualcosa già detto. Nella sociologia Goffman ritiene che gli attori sociali, intesi come persone che compiono l'azione, siano attori anche nel senso teatrale del termine. In pubblico, quando interagiamo, cerchiamo di dare una certa impressione, di sostenere un ruolo, di “salvare la faccia”. In privato però siamo diversi, abbiamo momenti di autoriflessione, e abbandoniamo il ruolo che recitiamo in pubblico. Nella società succede un po come a teatro. L'attore finge e gli spettatori sanno che eglli finge, ma c'è un comune accordo, per cui viene preso per buono quello che l'attore interpreta. Quando si abbassa il sipario, l'accordo non vale più. Allo stesso modo, tra individui che interagiscono, c'è un “inquadramento” della situazione, esterna alla comunicazione vera e propria, che ci fa capire di cosa si tratta. Un ragazzo che sferra un pugno ad un amico per gioco, e questi non reagisce, perchè capisce che l'attacco non è reale ma è stata fatta una “metacomunicazione”, non esplicita, che ha fatto capire che si trattava di un gioco. Capiamo e ci facciamo capire con i metamessaggi, con un accordo implicito, cosi come fa un attore con il pubblico, utilizzando elementi di contorno al messaggio che vogliamo dare, che lo accompagnano e lo definiscono, lo “inquadrano”. È una cosa che tutti facciamo, ed anche se è qualcosa di non esplicito, senza di essa non si potrebbe attivare l'interazione sociale. Ogni volta che qualcuno fa qualcosa di imbarazzante, quando si espone al ridicolo, si esce fuori dallo schema, e cerchiamo di ripristinare la nostra immagine “ufficiale”, ma questo non toglie che tutti sappiamo che la realtà è una finzione. Il libro più noto di Goffman è “Asylum” (1961), è basato su una ricerca empirica. Si fece assumere per un anno come infermiere in un ospedale psichiatrico, che definisce una “istituzione totale” cioè chi vi è rinchiuso è tagliato fuori dal resto del mondo (come prigioni, caserme, conventi di clausura). La persona all'interno alla fine, non può fare a meno di considerarsi alla fine, esattamente come viene descritto dall'istituzione, per cui in un manicomio alla fine la persona non potrà che credersi malato di mente, con risultati devastanti invece che curativi, così come sarebbe l'obiettivo primario dell'istituzione. (teorie dell'etichettamento). Osservazioni A Goffman è stato rimproverato di non prendere in considerazione la dimensione strutturale della società, cioè l'economia, la stratificazione, ecc.. Goffman però sa benissimo che la sua teoria “drammaturgica” on spiega ogni cosa. La decisione di concentrarsi su questo aspetto, non ha implicato il fatto che gli altri aspetti non fossero importanti. Questa critica è stata fatta un po' a tutte le teorie della vita quotidianae la difesa di Goffman potrebbe essere applicata a tutte. L'importanza di queste teorie, sta nel fatto che hanno proposto un approccio diverso alla sociologia. I punti comuni che si possono riscontrare nelle varie teorie, sono la valorizzazione della vita quotidiana, vista dalle teorie classiche solo come l'esternazione di comportamenti determinati da fattori non quotidiani, (strutture, norme, cultura) e che quindi non meritano di essere studiate. Per le teorie della vita quotidiana invece, gli attori, con le loro azioni quotidiane, i loro discorsi, i loro gesti, permettono la riproduzione della società. Il punto debole però è che passare dallo studio della vita quotidiana a quello dei fenomeni più globali e generali, è molto difficile. Ciò a cui comunque invitano queste teorie, è di tener conto che la riproduzione sociale, è un ripetersi di pratiche, che vanno interpretate in quanto il nostro comportamento presuppone una realtà che da senso al nostro agire, e non si può non tenerne conto nello studio sociologico. George Homans Sviluppa la “teoria dello scambio”, in contrapposizione a Parsons, che per lui non vede che, al di sotto di tutte le differenze tra le varie culture, c'è una “natura umana” di fondo, comune a tutti, universale. Partendo dalla teoria di uno studioso, Skinner, (che affermava che l'uomo, come ogni altro essere vivente, agisce principalmente in base alla ricerca del suo utile, e reagisce agli stimoli esterni in base alle “ricompense” che incontra. Comportamenti che ripetuti vengano confermati da ricompense, tendono a farsi stabili, mentre quelli che comportano troppi costi o risposte negative, tendono ad essere abbandonati.), Homans afferma che l'uomo agisce in base ad uno scambio, nel quale ognuno cerca di massimizzare le ricompense e minimizzare i costi. Gli individui sono esseri razionali che agiscono scegliendo in modo razionale tra varie opzioni. Anche qui, Homans non da per assoluta la sua teoria, ma la propone come ragionamento da tener conto nello studio della società. Partendo dalla sua teoria, vari studiosi hanno portato avanti ricerche interessanti, volte soprattutto a definire il “comportamento razionale” che è sempre e comunque limitato soprattutto dalle informazioni disponibili. La scuola di Palo Alto Comprende molti studiosi di varie discipline, tra cui psichiatri, psicologi, antropologi e filosofi. Molti contributi nella psicoterapia che sono importanti anche per la sociologia in quanto studiano i motivi delle malattie mentali in base alle relazioni sociali dell'individuo. Bateson è uno dei più importanti. Cruciale è per lui il contesto in cui avviene la comunicazione, il metamessaggio (come in Goffman), le istruzioni per l'uso che noi diamo della nostra comunicazione. In base alle sue ricerche empiriche, notò che anche gli animali mandano dei metamessaggi, in quanto sanno giocare, il che significa che sanno far capire che il loro atteggiamento all'apparenza aggressivo, non è da ritenere tale. A parte gli studi sulle affinità uomo-­animale, questa osservazione lo portò a studiare a fondo le comunicazioni interpersonali verbali e non verbali (in quest'ultima normalmente si situa la metacomunicazione). In collaborazione con gli altri studiosi di Palo Alto, arrivarono a teorizzare che la schizofrenia e altri disturbi mentali, possono spiegarsi in base ad eventuali comunicazioni patogene nella famiglia (che per la scuola è un sistema in cui l'identità di ciascuno si costituisce e si mantiene nelle comunicazioni all'interno della famiglia.). Quando almeno uno dei membri da continuamente messaggi contrastanti, come ad es. una madre che dice sempre al figlio che gli vuole bene ma nella comunicazione non verbale, (nell'espressione, nei gesti) comunica il contrario. Gli effetti di questo comportamento sul figlio possono essere devastanti in quanto per credere a quello che la madre dice, il figlio deve negare ciò che vede, o viceversa, se crede a ciò che vede deve considerare che la madre stia mentendo. Comunicazioni contraddittorie avvengono continuamente ma solo quelle all'interno di gruppi chiusi legati da affettività possono portare a comportamenti disturbati, in quanto è l'affettività che non permette al figlio di negare apertamente ciò che dice la madre, né smettere di comunicare. Quando la comunicazione e la metacomunicazione si contraddicono, il messaggio è distorto. Società e comunicazione la comunicazione è un aspetto fondamentale delle relazioni sociali, e hanno quindi acquisito un ruolo sempre più importante nel pensiero sociale. Fino agli anni '50 non erano molto studiati dai sociologi i mezzi di comunicazione, ma poi, visto il successo di radio e televisione, non se ne è potuto più fare a meno. Non tutti i mezzi di comunicazione sono di massa (non lo è il telefono). Il primo mass media fu il libro stampato, ma il suo impatto fu lento perchè presupponeva la diffusione dell'istituzione. Dal XIX secolo, è cresciuta perchè è cresciuto il pubblico interessato a discutere della cosa pubblica, e l'istruzione. Dal 1900 la radio non necessitava più della capacità di leggere ma solo di ascoltare. Infine dagli anni '40/'50 la televisione presupponeva il vedere e sentire. Harold Innis avanzò l'idea che le epoche della storia fossero state caratterizzate dai “modi di comunicazione” e non dai “modi di produzione”. Il modo si comunicare favorisce di volta in volta certe strutture sociali piuttosto che altre, influenzando i modi di produzione e i modi di gestione del potere, così come la mentalità degli uomini. McLuhan, proseguendo la strada di Innis, più che ricerche empiriche, propone intuizioni e affermazioni. Cerca di descrivere gli effetti che il passaggio da una cultura basata sulla carta stampata a quelli audiovisivi hanno sulla percezione e sulla sensibilità degli uomini contemporanei. McLhuan propone anche di guardare ai mezzi di comunicazione di massa come mezzi che a prescindere dal messaggio che inviano, danno anche altri messaggi in base alle loro caratteristiche, che sono indipendenti,non sono quindi solo dei veicoli di comunicazione. Sua è la definizione di “villaggio globale”, per intendere come i mezzi come la tv mettono quotidianamente in contatto le parti più distanti del mondo come una sorta di villaggio mondiale. Le ricerche sui mass-­media si sono poi concentrate prevalentemente in 3 direzioni: lo studio di diversi contenuti trasmessi, come ad es. l'effetto di una pubblicità sui consumatori, o la propaganda politica sugli elettori l'effetto che l'insieme dei media ha sulla società nel corso del tempo, in quanto influenzano grande parte del “senso comune” il rapporto con la cultura. L'ambiente che ci circonda influenza la nostra esperienza e quindi alla lunga non possiamo non venire influenzati dai media nella percezione del mondo. ….FINE....