IL MONDO IN QUESTIONE 1-Le origini del pensiero sociologico La

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IL MONDO IN QUESTIONE
1-Le origini del pensiero sociologico
La sociologia come disciplina autonoma, distinta dalla filosofia,
storia, teologia, nasce nell’era moderna.
L’era moderna si fa risalire in questo libro, a due grandi
rivoluzioni: 1 . La prima rivoluzione industriale (economica) 2° metà del
1700
2 . La rivoluzione francese (politica) fine 1700
Sono due momenti di svolta della storia europea, non solo dei
paesi in cui hanno origine. Due momenti così epocali che anche
chi li ha vissuti si è reso conto dell’immensa importanza di ciò
che avveniva. Questi due momenti rappresentano
un’accelerazione della storia, inaugurano una serie di
trasformazioni sociali e materiali mai viste prima.
Il mutamento, da una spinta forte al desiderio di studiare la vita
sociale che muta rapidamente e in modo inarrestabile e sorge il
bisogno di capire le ragioni e le direzioni di questo mutamento,
per controllarlo, dirigerlo e non farsene travolgere.
Un altro fattore concorre alla nascita della sociologia: lo
sviluppo della scienza e la sua definizione moderna, che
l’esperimento, l’osservazione metodica, sono la via per la
conoscenza.
Fino all’ultimo medioevo si pensava che il sapere vero era
assoluto ed eterno e conosciuto solo da dio, e poteva derivare
solo dalla riflessione filosofica, religiosa, non dall’osservazione
del mondo.
Diceva Galilei “non c’è dubbio che il sapere vero è di Dio, ma la
natura è il suo libro + grande e leggendo questo, gli uomini
possono accedere al suo stesso sapere”. Simile il pensiero di
Newton.
L’illuminismo francese e l’empirismo inglese proporranno di
applicare gli stessi metodi empirici anche all’osservazione dei
fenomeni sociali.
Quindi è dalla percezione del mutamento sociale e dall’idea
moderna di scienza, che nasce il pensiero sociologico.
Economia - Rivoluzione industriale:
In Inghilterra nella seconda metà del 1700. Inizia
l’industrializzazione, grazie alle materie prime abbondanti e a
buon mercato, il controllo delle vie commerciali e coloniali,
grandi masse di lavoratori da utilizzare in fabbrica, e nuove
tecnologie.
Da lì si diffonde il sistema “capitalistico” (Marx) in tutto il
continente. Dall’Europa nel resto del mondo.
La produzione industriale ha una caratteristica non posseduta
da nessun altro sistema precedente di produzione: L’aumento
costante della produzione stessa. Questo permette di
sostentarsi ma anche di svilupparsi economicamente. Qui sta la
base dell’idea di progresso. Da qui inizia a radicarsi l’idea che
il domani (sociale e materiale) sarà diverso dall’oggi, concetto
sconosciuto fino a quel momento.
Politica - Rivoluzione francese:
In francia, fine 1700. è il culmine di un insieme di processi che
portarono alla delegittimazione del potere feudale e dei privilegi
aristocratici. Nasce il potere fondato sul consenso della società
a leggi razionalmente stabilite e obbedienza a governanti
liberamente eletti. Alle spalle della rivoluzione francese c’è una
nuova classe di banchieri, commercianti professionisti che
mirano a sostituirsi agli aristocratici. Tendono a presentare le
loro idee come le idee di tutta la società. La loro visione politica
è: gli uomini sono tutti uguali, hanno pari diritti in quanto
cittadini di uno stato e possono partecipare al governo con le
elezioni. Il concetto è opposto a quello feudale che prevedeva
diritti diversi in base alla nascita. Ora il destino di ogni individuo
non è più legato alla sua nascita, questo il concetto moderno
che si diffonde dopo la rivoluzione. Se le leggi sono fatte
razionalmente dagli uomini, possono essere anche
concordatamente cambiate e non sono più immutabili… il
concetto di mutamento si radica anche sul piano politico.
La società moderna quindi ha come proprio carattere
fondamentale il mutamento perpetuo.
Cultura - L’illuminismo:
Svolse un ruolo fondamentale nella critica dell’ordine feudale in
nome della ragione. Nulla è legittimo se non quello che è
motivato razionalmente. L’autorità per tradizione e le chiese che
vogliono rappresentare Dio, sono prive di fondamento. Il mondo
umano è un mondo storico che va verso il progresso che
coincide con l’illuminazione crescente che la ragione porta nelle
vicende umane. Gli illuministi portano il concetto di osservabilità e
descrizione razionale alla base della scienza moderna dagli
oggetti naturali a quelli sociali. Alla base dell’illuminismo c’è di
nuovo la borghesia, che considera il governo come una cosa
pubblica a cui tutti possono proporre idee e critiche. La ragione è il
principio di dialogo e critica, possibilità di parlare della cosa
pubblica senza censure da parte di sovrani, di principi divini, ecc.
Montesquieu:
La sociologia intesa come “discorsi scientifici sulla società” ha
inizio con gli illuministi anche se il primo ad adottare la parola
“sociologia” sarà più tardi Comte nella metà del 1800. Anche se
ogni paese può trovare in un suo studioso il primo che parlò di
sociologia (anche se non ancora conosciuta come tale) qui si
indica Montesquieu come “primo sociologo”. Con “Lo spirito
delle leggi” (1721) Montesquieu osserva le leggi che governano
gli uomini in varie società e prova a mettere in relazioni le leggi
con i vari contesti storici e naturali in cui le società vivono
(clima, costumi, eventi storici). Non prova a stabilire come gli
uomini dovrebbero vivere;; osserva come vivono e la relatività
delle loro leggi. Osserva e prova a spiegare. Questo è
l’atteggiamento di base del pensiero sociologico.
Nelle “Lettere persiane” fa finta di essere un re persiano in giro
per il mondo che in varie lettere descrive ciò che vede. Agli
occhi del lettore il suo mondo è esotico, strano, diverso. Poi il re
arriva in Europa e comincia a descrivere stupito le stranezze di
questa società e il lettore quindi si trova a domandarsi perché il
mondo in cui vive è così e quello del re così diverso. In base
alla prospettiva da cui si guarda, niente è “normale” e tutto può
essere “esotico”. La constatazione delle diversità, la
relatività delle società e il cercare di capirne il
perché è essenziale al pensiero sociologico.
Empirismo:
In Inghilterra e Scozia, sempre nel XVIII secolo.
Come gli illuministi l’osservazione è il suo credo. Non condivide
però la fede nella possibilità della ragione di venire a capo di
tutta la realtà. È più scettico. È però ugualmente critico verso
qualsiasi tipo di dogma, e cerca di applicare al regno umano i
principi scientifici. Per Ferguson nel “Saggio sulla storia della
società civile”: il mondo sociale è il prodotto
dell’attività degli uomini, non di un disegno
individuale, ma risultato dell’interazione di tutti.
Se non è sostenuta dal disegno di qualcuno perché la società
appare come un insieme regolato? Gli empiristi scozzesi
rispondono: è regolata dal mercato. In particolare è sviluppato
da Adam Smith.
Adam Smith:
Nel 1776 scrive “Trattato sulla natura e le cause della ricchezza
delle nazioni”.
La ricchezza di una nazione dipende dalla sua
capacità di produrre che dipende dalla grado di
divisione del lavoro raggiunta.
La divisione del lavoro comporta la specializzazione di ognuno
in un determinato campo, che accresce le capacità produttive
ma anche la dipendenza di ognuno rispetto agli altri.
Producendo un solo bene per ogni altro bene si è costretti a
rivolgersi agli altri, scambiando parte di ciò che si produce.
A regolare produzione e scambio c’è il mercato un’istituzione
sociale che regola tutto in base a domanda e offerta, con la
conseguente definizione del prezzo di ciascun bene. Un bene
poco prodotto e quindi scarso avrà un prezzo alto perché la
domanda sarà alta;; un bene prodotto in grosse quantità sarà
relativamente poco richiesto e il prezzo scenderà. La
produzione quindi si sposterà verso quel prodotto scarso, che
muterà quindi prezzo, e così via. Questo continuo
aggiustamento dei prezzi farà si che i prezzi siano sempre
giusti e la produzione si suddivida sempre tra i vari beni.
In base a questa concezione, non ha più senso chiedersi se gli
uomini tendano per natura ad aggregarsi o ad essere ostili tra
di loro, ma importa osservare le condizioni e i modi che
provocano la necessità degli scambi. Anche se questa idea del
mercato concorrenziale di Smith è in realtà rara, la divisione del
lavoro e l’autoregolazione della società sono tra i temi
fondamentali della riflessione sociologica.
2- Sociologia e positivismo
Nella prima metà dell’Ottocento, il mondo cambia in modo
travolgente. Trasformazioni dell’ambiente materiale e sociale,
dovute all’industrializzazione sono immense: nuovi posti di
lavoro (fabbriche), nuovi strumenti di produzione (macchine),
nuovi soggetti sociali (proprietari di fabbriche e macchine e
operai salariati), nuovi mezzi di comunicazione (telegrafo) e
nuovi mezzi di trasporto (ferrovia). Politicamente, è un periodo
di pace tra Stati ma ci sono molti fermenti rivoluzionari interni, e
lotte di classe. Culturalmente, il positivismo è l’erede
dell’illuminismo. È orientato alla classificazione e sistematicità,
è alla ricerca di fatti che vuole cogliere con oggettività.
Henri de Saint Simon (1760-1825)
elaborò un programma sociale che mirava ad una società nel
cui governo fosse dato un ruolo di primo piano ai tecnici.
Scriveva: “Supponiamo che la Francia perda i suoi 50 primi,
meccanici, ingegneri, banchieri, architetti, negozianti,
coltivatori… essi forniscono i beni più necessari, i lavori più utili,
senza di loro la Francia sarebbe un corpo senza anima,
inferiore rispetto alle altre nazioni.. ed ora supponiamo che
perda invece sua altezza il fratello del re, i monsignori, i duca, i
marescialli, i prefetti, i canonici, i ministri… la Francia non ne
subirebbe nessun danno politico”.
Con questo, voleva spiegare che la società che si andava
creando sulle ceneri del feudalismo era fondata sulla
produzione industriale e sul sapere ad essa collegato e tutto ciò
che era legato al feudalismo era anacronistico. Non si esprime
però dettagliatamente sui possibili scenari futuri e verrà
chiamato da Marx insieme ad altri del suo tempo “socialisti
utopici” perché non fondavano sull’analisi dei conflitti sociali
reali le loro critiche, che pure hanno influenzato molto i loro
successori.
Auguste Comte (1798-1857)
Fu il primo ad utilizzare la parola Sociologia. Le due questioni
principali dei suoi studi sono:
- l’esigenza di fare i conti con il mutamento
- contribuire a restaurare l’ordine compromesso dalla
rivoluzione napoleonica e poi dai movimenti rivoluzionari
interni.
Comte iniziò la sua carriera come segretario particolare di Henri
de Saint Simon. Anche se abracciò alcuni elementi di Saint-­
Simon, ha un atteggiamento diverso.
La sua idea fondamentale è che la conoscenza dell’uomo si
sviluppi in tre stadi:
- Lo stadio teologico: la spiegazione dei fenomeni è data
da nozioni magiche e religiose.
- Lo stadio metafisico: la spiegazione è ricercata mediante
la speculazione filosofica e metafisica.
- Lo stadio positivo: la spiegazione è basata sulla ricerca
di fatti.
La successione di questi stadi è vista da Comte come una
legge naturale, anche se in realtà è essa stessa una
speculazione filosofica.
Nel “Corso di filosofia positiva” 1842, quella che per lui deve
essere la sociologia: una fisica sociale. Cioè una scienza
basata sulle scienze naturali che rileva fatti e riconosce leggi.
Distingue inoltre una statica sociale cioè la branca della
sociologia che si occupa di come le società si autoregolano, e
di una dinamica sociale, che si occupa del mutamento.
Nel “Sistema di politica positiva” 1854 propone il positivismo
come idea politica: la vera libertà è una sottomissione razionale
alle leggi fondamentali della natura. Questa era del positivismo
sarà dominata da scienziati e tecnici che saranno l’elite. (idea
ripresa da Saint-­Simon). Negli ultimi anni della sua vita tornerà
sul tema della religione, non considerandola più come uno
stadio primitivo della conoscenza umana, ma come un
elemento fondamentale dell’integrazione umana. Il problema
che si pone è che la scienza da sola non riesce a legittimare
adeguatamente il mondo sociale che contribuisce a creare, e la
fondazione dei valori ultimi su cui credono gli uomini. Non
significa che la società non possa vivere senza religione, né
significa avere posizioni conservatrici. Solo Comte siinterroga
su cosa tiene insieme una società. Questo pensiero influenzerà
molto Durkheim e Weber.
Alexis de Tocqueville (1805-1859)
Il mutamento non è necessariamente progresso e non è
necessariamente positivo. Tocqueville fu in grado di cogliere la
molteplicità di significati che i mutamenti sociali e politici del
1800potevano assumere.
Non si è mai definito un sociologo, ma pensatore, politico,
scrittore, ma la sociologia gli è debitrice. Non è un positivista, è
un osservatore dei mutamenti che portano
contemporaneamente vantaggi e svantaggi. Era molto
interessato alle novità portate dalla democrazia. Gli appariva
come un processo storico ineluttabile che portava
all’uguaglianza delle opportunità. È permessa una forte mobilità
sociale e in linea di principio chiunque ha la possibilità di
arrivare a qualunque rango e posizione lavorativa. In “La
democrazia in America” 1840, riconosce che negli Stati Uniti la
democrazia è più sviluppata, ma il prezzo dell’uguaglianza è
una decadenza del concetto d’onore, della mediocrità diffusa,
dell’individualismo accentuato. Sia in questo lavoro che in
“L’antico regime e la rivoluzione” 1856 (uno studio tra la
Francia pre e post rivoluzione) usa il metodo comparativo tra i
paesi in esame e quelli vicini e tra dati di archivio e dati presi da
osservazioni dirette. È quini considerato il primo ad utilizzare in
modo sistematico il sistema comparativo nelle scienze sociali.
Herbert Spencer (1820-1903)
Inglese, fu colui che più contribuì a diffondere il termine
“sociologia” presso il pubblico.
Pensa alla società come una sorta di organismo, partendo da
basi evoluzioniste in parte prese da Darwin che nel 1859
pubblica “L’origine della specie” che avrà una forte influenza sul
pensiero ottocentesco. L’idea di Darwin è un processo di
trasformazione e differenziazione evolutiva delle specie animali
in base all’adattamento all’ambiente, alla competizione per la
sopravvivenza e di eredità genetica. Spencer cerca di adattare
queste teorie allo studio delle società: la storia è un percorso
evolutivo durante il quale gli uomini adattano le forme di
convivenza all’ambiente, passando da forme più semplici a più
complesse. Evoluzione e progresso sono sinonimi.
Darwin però cercava di capire le leggi che riguardavano le varie
specie, non le varie forme di società all’interno della sola specie
umana che hanno anche scale temporali differenti.
Spencer riformula le idee più o meno darwiniane, puntando
sulla “sopravvivenza del più forte” che punta al liberalismo
economico e alla libera concorrenza. Ebbe un enorme
successo.
Scrive “Principi di sociologia” nel 1860/76. La sua sociologia si
basa sulla raccolta di dati su società diverse, dalle primitive alle
civilizzate. I dati sono divisi in due gruppi, quello fondamentale,
distingue le società in base al grado di complessità e di
differenziazione interna, il secondo divide le società in militari e
industriali. Il concetto di differenziazione sarà molto importante
nella storia delle scienze sociali. Per Spencer, la storia delle
società umane, come la storia naturale, si basa su passaggi
lineari dal più semplice al più complesso, crescendo di
dimensioni le società sviluppano organi e funzioni sempre più
differenziate. Il secondo concetto, più fragile, divide tra società
militari dove l’ordine è coercitivo, e quelle industrializzate dove
l’ordine è basato sulla libera scelta.
Lo schema evolutivo di Spencer resta abbastanza grezzo e
meccanicista, dominato da un entusiasmo per il progresso ora
difficilmente proponibile.
Comte e Spencer, inaugurano le prime teorie sociologiche, ma
la sociologia non è solo teoria ma anche pratiche di ricerca che
affondano le radici nella statistica e nelle inchieste, che si
diffusero in quasi tutti gli stati europei nell’ottocento. La
statistica si sviluppa per le necessità amministrative degli Stati,
diventa poi sempre più necessario avere dati precisi su diversi
aspetti sociali. Non solo dati demografici o commerciali ma
anche di “statistica morale” cioè dati su criminalità, istruzione,
condizioni di salute, alimentazione ecc. La statistica è lo
strumento necessario per conoscere le condizioni della
nazione. Accanto alle raccolte di dati periodiche, si affiancano
inchieste promosse dai Parlamenti per fare politiche che
prevengano i disordini, o promuovano il benessere cosi come
associazioni filantropiche le promuovono per organizzare
attività assistenziali. Sulle basi fornite da questi dati, si
svilupperanno molte delle teorie sociologiche.
3- Karl Marx (1818-1883)
Nasce a Treviri in Germania, studia filosofia a Berlino,
giornalista a Colonia scrive sulle condizioni degli operai, la
rivista viene chiusa perché radicale. Trasferito a Parigi conosce
Engels, viene espulso per la sua attività intellettuale e politica.
Ripara a Bruxelles ed entra in contatto con associazioni operaie
e scrive il Manifesto di fondazione del Partito comunista. Nel
1848 si trasferisce a Londra, vive in miseria scrive le sue opere
più importanti tra cui il Capitale (primo volume) e molti altri
pubblicati postumi. Marx nasce come filosofo hegeliano (le idee principali di Hegel
sono libertà e ragione. Mentre per Comte la filosofia è positiva,
per Hegel è negativa, perché il compito della ragione consiste
nel trasformare costantemente la realtà.
Hegel considera il rapporto tra individuo e società nell’ambito
della realizzazione della libertà. L’individuo ha bisogno degli
altri, quindi della suddivisione del lavoro, che però comporta la
suddivisione della ricchezza). Poi però punterà al superamento
della filosofia, vista (come spiegherà Engels) come
l’interpretazione del mondo in modi diversi;; si tratta ora di
cambiare il mondo, tramite l’unione di ricerca scientifica e
azione.
Il suo principale oggetto di riflessione è il movimento generale
della società scaturita dalla rivoluzione industriale. Il cuore
dell’analisi di tale movimento è la critica dell’economia politica.
Da Hegel, Marx riprende le idee di - dialettica: originariamente significa discorso, percorso di
un’argomentazione;; per M. e H. significa movimento (di
pensiero o della realtà)
- superamento: il superamento della società capitalistica
significa per M. che essa sviluppandosi produce delle
contraddizioni al suo interno che porteranno ad un livello
superiore cioè qualcosa che conserva gli sviluppi della
società capitalistica come presupposti che però
scompaiono e si sintetizzano in una nuova formazione. Il
comunismo è il superamento del capitalismo.
- Alienazione: per Hegel: aspetto dell’oggettivazione:
quando gli uomini lavorano producono degli oggetti;;
l’oggetto è il risultato dell’azione, ma anche qualcosa di
diverso dal soggetto che l’ha creato. L’oggetto è
l’opposto, è la negazione del soggetto. questa è
l’alienazione. La negazione è superata con
l’autocoscienza dell’uomo che riconosce l’oggetto come
proprio prodotto e se ne riappropria. Per Marx,
l’alienazione nel lavoro c’è solo in determinate
condizioni, cioè solo quando c’è lo sfruttamento. Non è il
lavoro in generale a produrre alienazione, ma il lavoro è
alienato solo quando il soggetto non ha il possesso di ciò
che produce. E non è suo neanche il controllo su cosa
produce e come. In queste condizioni il lavoro, invece di
essere il luogo dell’autorealizzazione, diventa la
negazione stessa dell’uomo. La riappropriazione di cui
parla Hegel, non può qui avvenire con un atto di
coscienza, ma come un’azione pratica, una rivoluzione
che riporti al lavoratore il controllo del suo lavoro.
Bisogna determinare le condizioni concrete in cui gli
uomini vivono e operare per trasformarle.
Il materialismo storico
È un modo di pensare partendo dalle condizioni materiali degli
uomini. I presupposti da cui parte sono gli individui reali, le loro
azioni, le condizioni, sia quelle che hanno trovato già esistenti
sia quelle che producono essi stessi. La storia è
essenzialmente la storia di come gli uomini si sono organizzati
insieme per produrre, cioè per rapportarsi con la natura per
garantirsi la sopravvivenza. Rilevante è la divisione del lavoro
fin’ora sempre stata ineguale. (patrizi e plebei, servi e signori..).
I modi concreti di divisione del lavoro e di proprietà, insieme alle
tecniche di produzione usate, formano la base della società,
che Marx chiama struttura. La struttura di una società
determina la forma di tutto il resto che chiama sovrastruttura
(istituzioni giuridiche, rappresentazioni religiose, morali,
filosofiche… dipendono dalla struttura).
Il modo di produzione condiziona in generale il processo
sociale, politico e spirituale della vita.
La sovrastruttura però non corrisponde in modo meccanico alla
struttura, che è solo la condizione di base da cui si sviluppa.
La teoria di Marx è tesa contro l’ideologia. Ideologia intesa
come forma di pensiero che giustifica l’esistente, occultando le
contraddizioni e i conflitti, e tende a immobilizzare la storia. È
ideologico chi ha interesse (classi dominanti) a mantenere la
forma sociale esistente, perché sono proprio le contraddizioni
all’interno della società che costituiscono il momento negativo
della dialettica storica che conduce al superamento della forma
sociale data. Anche i dominati possono condividere l’ideologia
(per incomprensione o paura) Marx la chiama “falsa coscienza”.
Critica dell’economia politica:
Questa frase è sia il titolo di un volume pubblicato nel 1859 sia
il sottotitolo del Capitale. Marx con questa frase intende
indagare su “il modo capitalistico di produzione e i rapporti di
produzione e di scambio che gli corrispondono”.
Per M. il “modo di produzione” è un insieme storicamente
determinato di mezzi per la produzione (materie, tecniche,
strumenti) e di rapporti di produzione (rapporti tra gli uomini
riguardo il produrre es. padroni, schiavi, operai imprenditori..)
Il Modo capitalistico di produzione è il modo moderno di
produzione, che utilizza le industrie, ma non coincide solo con
industria ma anche con i rapporti sociali che si determinano.
Capitalismo è il nome che M. da alla società basata sul modo
capitalistico di produzione che coincide storicamente con
l’avvento della produzione industriale e che si basa sul capitale.
Per gli economisti il capitale è il lavoro accumulato (cioè materie
prime, strumenti di lavoro e mezzi di sussistenza usati per
produrre nuove materie prime, strumenti di lavoro e mezzi di
sussistenza) che serve per una nuova produzione. Per Marx
questa definizione è vera ma non spiega l’essenziale cioè cos’è
che fa diventare il lavoro accumulato capitale. Il capitale è
lavoro accumulato solo all’interno di certi rapporti sociali che
sono:
- rapporti dove sono in relazione i proprietari dei mezzi di
produzione e gli uomini che hanno la propria forza-­
lavoro, i proletari.
- Questo rapporto è mediato dal denaro la forza-­lavoro
viene venduta ai proprietari ad un certo prezzo che è il
salario che corrisponde ad una certa quota del tempo
degli operai che si assoggettano alle direttive del datore
di lavoro ma fuori dall’orario di lavoro sono uomini liberi.
- In questo modo di produzione, i beni prodotti sono
finalizzati alla vendita sul mercato. La merce ha un
valore d’uso (vestiti per vestirsi, automobili per spostarsi)
e un valore di scambio (si esprime nel prezzo della
merce stessa).
- Il lavoro accumulato diventa capitale quando è utilizzato
nella produzione insieme al lavoro vivo dei salariati per
trarne un profitto da parte del capitalista. Il capitalismo
quindi non è solo una società basata su scambi di
mercato ma sulla produzione di merci che servono a
produrre altre merci di solito con valore maggiore delle
prime. Il capitalista è tale quindi quando investe una
somma di denaro per comprare materie prime e mezzi
(lavoro accumulato) e forza-­lavoro (lavoro vivo degli
operai) per produrre e vendere merci che si
tramuteranno in una somma di denaro superiore alla
prima investita. La differenza tra le due somme di denaro
è il profitto del capitalista.
Gli economisti giustificano il profitto come il risarcimento al
capitalista per il rischio dell’investimento ed è una ricompensa
per il suo controllo sull’intero processo di produzione.
Per Marx non è così. La forza-­lavoro dell’operaio è comprata
dal capitalista, come una merce, con un valore pari a ciò che
serve per sostentare e riprodurre l’operaio, niente di più.
Questa merce però è particolare, perché una volta al lavoro,
l’operaio produce più del valore che basterebbe per ripagare il
presso delle materie prime e del suo salario. Produce del plus-­
lacvoro che corrisponde ad un plusvalore che è il profitto di
proprietà del capitalista. Il profitto quindi nasce dallo
sfruttamento del lavoro dell’operaio.
Cioè che rende il lavoro accumulato capitale è dunque lo
sfruttamento. Nell’appropriazione da parte del capitalista del
plusvalore, sta l’alienazione dell’operaio: il frutto del suo lavoro
non è suo ma di altri.
La scoperta dello sfruttamento che si cela dietro i meccanismi
dei rapporti di produzione e i rapporti di proprietà, è la critica
all’economia politica di Marx. L’economia si ferma alla
descrizione della circolazione delle merci in cui non appare lo
sfruttamento che c’è dietro i rapporti di produzione e quindi
l’economia politica è una ideologia che descrive i modi di
produzione occultandone i conflitti e giustificandoli,
proponendoli come condizioni immutabili.
La nozione di “classe”:
Per Marx la classe è un insieme di individui che si trovano nella
stessa posizione all’interno dei rapporti di produzioni di un
determinato modo di produzione.
Nella storia ogni società è sempre stata caratterizzata da varie
classi con interessi diversi che entrano in conflitto tra loro per
determinare il potere. La lotta fra classi è ricorrente nella storia.
Nel modo di produzione capitalistico Marx individua due classi
principali:
- la borghesia composta da capitalisti proprietari dei mezzi
di produzione
- il proletariato composto dai lavoratori salariati
Lo sviluppo del modo di produzione capitalistico porterà tutte le
altre classi ad avvicinarsi ad un o l’altra di queste due classi
principali.
Gli interessi sono opposti: i capitalisti tendono a sfruttare il più
possibile gli operai e gli operai tendono a liberarsi dallo
sfruttamento.
I capitalisti ammantano i loro interessi con una ideologia che
giustifica i rapporti esistenti e pongono il capitalismo come
rappresentante degli interessi di tutti. Gli operai hanno
raramente chiari i loro interessi. Il passaggio da un stato in cui
non riconosce i propri interessi (classe in sé) ad una in cui li
riconosce e si organizza di conseguenza (classe per sé) si
produce nel corso delle lotte di classe.
La classe è quindi anche una collettività capace di
intraprendere azioni congruenti con i propri interessi.
La teoria del mutamento:
La storia per Marx è dialettica: ogni formazione sociale ha delle
contraddizioni tra le forze produttive e i rapporti di produzione
che portano verso il suo superamento.
Il modo di produzione capitalistico è il più potente generatore di
mutamento sociale e materiale mai apparso nella storia. Il suo
motore è la ricerca del profitto da parte dei capitalisti, che
hanno interesse ad aumentare il più possibile la loro quota di
plusvalore. Possono farlo in due modi:
- allungando la giornata lavorativa degli operai, ma questo
sistema intrapreso all’inizio dello sviluppo industriale si è
scontrato con i limiti fisici e con l’opposizione degli operai
- rendendo il loro lavoro più produttivo, attraverso l’utilizzo
di macchine sempre più numerose ed efficienti, e con la
razionalizzazione dell’organizzazione del lavoro.
Per Marx sul lungo periodo questo porterà alla “caduta
tendenziale del saggio di profitto” cioè che nell’investimento
totale del capitalista avrà sempre più spazio l’acquisto e
manutenzione di macchine e meno l’acquisto di forza-­lavoro
che però è l’unica che produce valore.
Nel breve periodo però questa soluzione sembra più redditizia
al capitalista che sarà alla continua ricerca di innovazioni
tecnologiche. La scienza perciò che sviluppa tecnologie, sarà
stimolata, ma anche condizionata dalle esigenze dei capitalisti.
Si produrranno merci sempre più numerose e diverse, che
porterà alla ricerca di nuovi mercati. Lo sviluppo delle fabbriche
porterà alla richiesta di nuove materie prime e nuove fonti di
energia, nuovi mezzi di comunicazione e di trasporto ecc…
Il capitalismo è quindi una forza rivoluzionaria.
La crescita del potere dei capitalisti porterà ad una
conseguente crescita della classe operaia che
diventerà sempre più numerosa e concentrata, e
povera, diverrà però anche sempre più consapevole
della sua forza e del suo ruolo nella produzione e
che la produzione creata collettivamente dagli
sforzi di grandi masse è appropriata dai singoli
capitalisti. Questa contraddizione porterà
all’organizzazione della classe operaia per
rivoluzionare i rapporti sociali esistenti. Si fa erede
di tutte le masse sfruttate nella storia e creerà una
nuova società fondata sull’uguaglianza e la
giustizia dove verrà eliminato lo sfruttamento e i
produttori liberamente associati si approprieranno
collettivamente del frutto del loro lavoro. La nuova
società sarà il comunismo.
Individuo e società:
Per Marx l’uomo è un essere sociale. Gli uomini producono
insieme le condizioni della loro sopravvivenza, non esistono se
non in società. L’individuo isolato può esistere solo in
determinate condizioni storiche. Già all’inizio della storia ci sono
individui collegati tra loro, con la famiglia, da cui si nasce. Il
rapporto tra i sessi è la base dei rapporti sociali. È altrettanto
basilare il rapporto tra gli uomini e la natura, per produrre
quanto necessario per il proprio sostentamento. Man mano che
cresce e si affina la capacità di produrre, si accrescono e
raffinano i bisogni e le sensibilità, si modifica il mondo
circostante, le forme di convivenza, la coscienza di sé che è
anche un prodotto dell’interagire sociale. La coscienza infatti ha
alla sua base il linguaggio che è sociale in quanto non
esisterebbe un linguaggio parlato da un solo individuo.
L’idea che l’individuo possa essere opposto alla società è
un’idea relativamente recente e si sviluppa proprio quando i
rapporti sociali si fanno più sviluppati cioè a partire dal XVIII
secolo.
La spiegazione di questo paradosso è per Marx è che la società
moderna ha una divisione del lavoro sociale molto sviluppata.
Ciascun individuo è confinato nel suo ruolo. Il punto di
ricongiungimento di questo lavoro diviso è il mercato che però è
astratto, si basa su leggi impersonali e lo scambio di merci non
avviene su basi personali. Di fronte al mercato l’individuo può
immaginarsi isolato. È contro questa immaginazione che Marx
pone enfasi nel fatto che l’uomo è sociale.
La società in cui l’imperativo è produrre, diviene estraneo
all’uomo il senso stesso della vita. Si produce come mai prima,
si ha un controllo sulla natura mai avuto in precedenza, ma la
capacità di godere dei rapporti con gli altri e con la natura viene
meno. La società è immensamente potente ma l’individuo
estremamente incapace a dare un senso al tutto.
Osservazioni:
La rivoluzione predetta da Marx non c’è stata. Il suo punto di
forza però è stato dare ai lavoratori di tanti paesi, una bandiera
per cui lottare e basi su cui fondare le loro lotte.
Per gli economisti la debolezza della teoria di Marx sta nell’idea
del valore, senza il quale l’idea dello sfruttamento decade.
Dal punto di vista sociologico, le classi intermedie che Marx
ipotizzava si sarebbero polarizzate verso l’una o l’altra classe
principale, non si è avverato, ma i tecnici, impiegati, funzionari
pubblici, addetti a servizi e commercio, hanno sviluppato una
loro coscienza di classe e non si sono uniti agli operai. Per
quanto riguarda la “falsa coscienza”, nel Novecento si è
affievolita la voglia di rivoluzione all’interno della classe operaia,
e l’adesione al sistema capitalistico (sarebbe stata comprata
con la concessione di privilegi e la partecipazione al benessere)
è stata ben più ampia di quanto lui avesse immaginato. Nel 1864 a Londra Marx e Engels fondano la prima
associazione internazionale dei lavoratori. Grazie ad essa e ad
Engels, il marxismo divenne la dottrina per molti partiti e
movimenti operai. Alla fine del XIX secolo il marxismo era una
delle teorie sociali più consolidate. Presto si svilupparono varie
interpretazioni. In Germania fu considerato più una teoria
dell’evoluzione sociale affine al darwinismo. In Russia con
Lenin, fu trasformato in una dottrina dove un’avanguardia
operaia si prendeva il compito di sviluppare la coscienza di
classe. Il revisionismo di Bernstein critica che la fine del
capitalismo avvenga dopo la sua crisi economica (tesi
fondamentale in Lenin) e il bipolarismo delle classi borghese e
proletaria. I bolscevichi criticavano il revisionismo dicendo che
tradiva gli interessi degli operai. Per loro il marxismo si
concentrava sulla creazione di un partito forte che guidasse la
classe operaia alla conquista del potere. La crisi della versione
tedesca si indeboliva con la prima guerra mondiale e la
versione russa si rafforzava con i bolscevichi al potere e partiti
comunisti che si formavano in tutta Europa. Negli anni trenta
Stalin impose una industrializzazione forzata, la
collettivizazione dell’agricoltura e soppresse ogni possibilità di
critica e dialogo che si risolse in uno stato fortemente
burocratizzato e la classe di funzionari pubblici estremamente
potente.
Dagli anni Venti diventa anche la dottrina del partito comunista
cinese, anche se il maoismo, la versione cinese del marxismo,
è diversa da quella sovietica. Nello stesso periodo in europa si
sviluppa il marxismo occidentale che si è occupato molto di più
dello sviluppo delle scienze sociali ed ha fatto una forte critica
allo sviluppo totalitario del regime comunista in URSS.
4 - Emile Durkheim (1858-1917)
Tra il 1890 e il 1910 nascono le prime cattedre universitarie,
associazioni professionali, e riviste, esplicitamente dedicate alla
sociologia. Parallelamente vari studiosi cercano di dare un
fondamento teorico e metodologico alla sociologia in quanto
tale. Durkheim, al contrario di Marx che non si sarebbe mai
definito un sociologo, ha un esplicito programma, quello di
fondare la sociologia. Fu uno dei primi ad occupare una
cattedra in sociologia all’università di Bordeaux e a fondare una
rivista di raccolta di studi sociologici, l’”Annèe sociologique”.
Le opere più importanti “La divisione del lavoro” 1893, “Le
regole del metodo sociologico” 1895 e “Il suicidio” 1897.
Il problema principale di D. è l’ordine cioè: che cosa tiene
insieme una società. Per lui la risposta è la morale.
La morale è
ciò che unisce i membri di un insieme sociale alla società
stessa. Consente la vita in comune creando una solidarietà tra i
membri: la società è un ordine morale. D. risente dell’influenza di Spencer, ma mentre Spencer vedeva
la società come un contratto tra uomini che perseguono ognuno
il proprio interesse (visione utilitarista), Durkheim pensa che la
società non è comprensibile partendo dall’analisi dei singoli. La
società non è qualcosa che deriva dall’accordo tra uomini ma
piuttosto è qualcosa che precede e rende possibile ogni tipo di
accordo umano.
Il comportamento di un uomo non è mai pienamente
comprensibile se non come risultato del suo inserimento nella
società.
Morale, norme e fatti sociali:
La morale è una serie di norme a cui ciascun membro della
società è vincolato. Questi vincoli agiscono in due modi:
- dall’esterno: infrangere una norma provoca sanzioni.
- Dall’interno: l’individuo sente da dentro una spinta a
rispettarle.
Le norme esprimono dei valori comuni, le norme sono fatti
sociali. I fatti sociali sono qualcosa che si presenta
normalmente all’interno della società e che si impongono ai
singoli come qualcosa che proviene da fuori ma che
contemporaneamente li condizionano da dentro nei loro modi di
agire, di pensare di comportarsi. I fatti sociali esistono in quanto
esistono gli uomini, ma hanno una esistenza indipendente,
autonoma rispetto alla volontà del singolo. Il fatto sociale è ogni
modo di pensare agire sentire, più o meno consolidato , capace
di esercitare una costrizione esterna ed interna. Se adempio ai
miei doveri, di moglie, di madre, di lavoratrice, seguo delle
norme che ho trovato già scritte, esistevano prima che esistessi
io, quindi indipendenti dal mio essere. Contemporaneamente
però hanno un potere coercitivo dall’interno che, se tento di
oppormi mi creerà conseguenze. Ad es. se non utilizzo le
regole del linguaggio della società in cui mi trovo, sarò non
capito, o corretto, o provocherò ilarità, non sono costretto, ma
non posso fare altrimenti. Se mi vesto diversamente, potrei
essere isolato e schernito. Se infrango regole più gravi, posso
essere punito (es prigione). I fatti sociali potrebbero essere
definiti come cose nel senso che sono indipendenti dalla
volontà del signolo, ma contemporaneamente, esistono proprio
perché espressione della vita sociale e nascono dall’interazione
tra uomini.
Approccio funzionalista.
Come il corpo umano no è la semplice somma dei suoi organi
ma qualcosa di più, di superiore, così la società è una realtà di
livello superiore che non si spiega descrivendo solo i i singoli
membri che la compongono. La “voce” della società si impone
sugli individui, esprimendosi tramite le norme morali, i costumi,
le credenze religiose, i riti.
La società si esprime in fatti sociali, e la sociologia è la scienza
che si occupa dell’insieme dei fatti sociali.
Il paragone della società ad un corpo mano, cioè un organismo
in cui ogni parte, ogni organo coopera con gli altri, è una
spiegazione funzionalista, cioè D. cerca di capire quale
funzione abbia ogni elemento, ogni fatto sociale, che compone
la società.
Questa spiegazione funzionalista, non è però l’unica che D.
ritiene possibile, ma sarà quella che verrà più ripresa negli anni
successivi. Non significa neanche che per D. ogni fenomeno
sociale debba per forza coincidere con un fine preciso.
Esempio: un fatto sociale come la devianza (cioè ogni
comportamento che si discosta dalla norma, che si percepisce
come “anormale”) come il crimine, non sembra avere una
funzione, anzi, ma in realtà, quando il comportamento anormale
viene punito, svolge la funzione di rinsaldare la coscienza
collettiva, di riaffermare le regole della società. La devianza,
può essere anche un momento di sperimentazione rispetto a
nuove norme, che possono diffondersi e affermarsi nel tempo.
Solidarietà meccanica e organica
Per D. non esiste la società in generale, ma diversi tipi di
società. Ne “La divisione del lavoro sociale” fa un discorso
evoluzionistico, da una società all’altra. 1-­ Il primo tipo di società, è la società semplice che
corrisponde storicamente con le tribù primitive che
hanno una scarsa divisione del lavoro. La morale che
tiene insieme questa società è una solidarietà
meccanica fra individui uniti da vincoli quotidiani e da
mansioni poco differenti tra loro, che fa si che le
coscienze dei singoli siano poco differenziate, pensano
in modi simili ed è scarsa la tolleranza per modi di
pensare e agire lontani dalle norme della società. Le
norme di diritto tendono a essere punitive, perché
atteggiamenti lontani dalla morale vengono considerati
attacchi alla società stessa.
2-­ Il secondo tipo è la società complessa che corrisponde
storicamente alla società delle nazioni moderne. È
caratterizzata da una forte e articolata divisione del
lavoro ed esistono molti gruppi intermedi (famiglie, gruppi
professionali, comunità di vicinato) che mediano
l’appartenenza del singolo all’insieme. La solidarietà in
queste società è organica cioè i legami sono tra individui
con forti differenze tra loro ma che devono cooperare per
la vita dell’insieme sociale. Avendo forti differenze tra le
mansioni, anche le coscienze e i “punti di vista” si
differenziano molto. Qui le infrazioni sono viste come
danno arrecato ad altri, non come un attentato alla
società, le leggi sono restitutive e non punitive. La tenuta
delle norme morali è più problematica perché possibili
comportamenti e pensieri diversi rendono meno forte
una morale che valga per tutti;; e più necessaria perché
l’insieme della società va garantito con meccanismi che
vicolino i singoli alla cooperazione nonostante le
differenze.
L’anomia
Il rischio specifico delle società moderne è l’anomia, cioè
l’assenza di norme morali condivise, cioè un’incapacità della
società di vincolare a sé i suoi membri, di garantire la loro
adesione a un ordine di valori. I conflitti che vede tra borghesia
e classe operaia, sono per lui il mancato sviluppo della capacità
di cooperare nelle nuove condizioni del modo di produzione
industriale. Mentre per Marx i conflitti sono il motore della
dialettica della storia, per Durkheim sono delle patologie da
curare, tramite il corporativismo cioè associazioni professionali
intermedie tra singoli e società, e tramite il potenziamento dei
processi educativi che permettono lo sviluppo di un sistema
coerente e diffuso di morale nelle coscienze dei singoli.
Il suicidio
Il suicidio è scelto da Durkheim, per fare la prima dimostrazione
empirica della validità della sua impostazione della sociologia.
Anche se il suicidio può essere visto come qualcosa che
riguarda in modo drammatico un singolo individuo, e la scelta di
sottrarsi alla vita, viene scelto proprio per dimostrare che invece
l’individuo isolato, non esiste, e gran parte di quello che
consideriamo caratteristico dell’essere individuale è invece
riconducibile all’influenza della società.
Il suicidio che è un evidente libertà del singolo a sottrarsi alla
coesione sociale sembra in piena antitesi alla coesione sociale
stessa che invece per D. è fondamentale nella vita umana.
Vuole dimostrare che se perfino il suicidio è riconducibile
almeno in parte a spiegazioni sociologiche, allora la teoria di D.
sarebbe esatta per ogni altro tipo di fenomeno individuale.
L’oggetto della ricerca non è il suicidio di singoli individui, ma
il tasso di suicidi che si riscontra in una data società
Per questo studio D. si basa sul metodo empirico, , sull’uso
metodico di dati statistici che mostrano che il tasso di suicidi
all’interno dei vari paesi hanno la tendenza a restare costanti
nel tempo, e vuole dimostrare che a prescindere che a
suicidarsi sia un individuo piuttosto che un altro, non influisce il
fatto che in una data società il tasso resti più o meno lo stesso
e che quindi i fattori di suicidio abbiano spiegazioni di ordine
sociale, in particolari che dipendono dal grado di interazione
sociale che una data società consente.
Prima di proporre le sue spiegazioni, D. confuta le teorie più
accreditate in quel periodo, una delle quali correlava il numero
di suicidi a fattori climatici. D. dimostra che i dati non
presentavano, in concomitanza coi cambiamenti climatici,
cambiamenti nel tasso di suicidi. Allo stesso modo confuta
l’altra tesi per cui il suicidio è correlato alla diffusione della
pazzia, con l’ereditarietà o con il consumo di alcolici.
Poi nella sua spiegazione egli osserva che all’interno delle
comunità di religione protestante, il tasso è maggiore rispetto a
quelle di altre fedi, come ad es. la cattolica. Anno dopo anno il
tasso rimane costante. La religione protestante, dando
importanza al libero esame della propria coscienza, lascia il
singolo da solo con la propria coscienza , è meno vincolato
dalle tradizioni, deve confrontarsi da solo con Dio e trovare la
forza per imporsi delle leggi da seguire per il proprio
comportamento. Questo fornisce un minor grado di integrazione
sociale rispetto alle religioni, come la cattolica che
periodicamente rinsaldano la coesione tra i suoi membri con
cerimonie in comune. Il tipo di suicidio influenzato dalle
condizioni religiose è chiamato da D. suicidio egoistico nel
senso che è correlato con un forte sviluppo dell’ego, di un
enfasi della libertà e solitudine del soggetto di fronte alle proprie
scelte. D. stabilisce una correlazione tra il suicidio e il grado di
integrazione del singolo nella società. Lo dimostrerebbe anche
il fatto che il tasso è maggiore nelle persone non sposate, e
quindi con minori legami di relazione con gli altri.
C’è anche un altro motivo che fa variare il tasso di suicidi
all’interno delle società europee: l’andamento dell’economia. Il
numero di suicidi aumenta in momenti di crisi dell’economia,
che non significa solo in momenti in cui ci sono molte persone
che vanno in rovina, ma anche quando ci sono improvvise
ricchezze e quindi cambi repentini di status e del modo di
vivere, quindi anche quando la crisi economica è di tipo
positivo. Questi periodi infatti, sono periodi di diffusa incertezza rispetto
al destino delle persone, ai valori fondamentali, a ciò che
“normalmente” una persona potrebbe aspettarsi dal futuro. Questa mancanza di certezze è per D. il senso esatto
dell’anomia, cioè mancanza di norme chiare e condivise. Il
suicidio connesso all’anomia è detto suicidio anomico. Il
entrambe i casi il motivo è sociale. Non spiega perché sia un
individuo piuttosto che un altro a suicidarsi, spiega però la
presenza di un tasso maggiore o minore di suicidi in una certa
società. Terzo tipo di suicidio è il suicidio altruistico, come
quello di un eroe che da la propria vita per la sua patria. Questa
terza forma non va contro le prime due, ma anzi la conferma
come espressione, in questo caso di una fortissima coesione
sociale, quindi sempre in riferimento al grado di coesione e
integrazione dell’individuo all’interno del sistema morale. Critiche
D. inaugura il metodo della variazione concomitante cioè il
confronto tra dati differenti, che, quando variano
simultaneamente, rivelano una correlazione significativa. Per
questo l’analisi del suicidio, ha avuto una forte influenza sulla
sociologia, essendo la variazione concomitante, uno dei metodi
di analisi dei dati più utilizzati dai sociologi. Inoltre è uno dei
primi esempi di ricerca che prova a verificare ipotesi con metodi
empirici. Ci sono però tre critiche principali al lavoro di D.
1. il controllo delle fonti di dati. D. utilizza dati statistici delle
autorità civili che dipendono a loro volta dalle
registrazioni dei medici. Questo però può voler
significare che alcuni casi di suicidio non siano stati
registrati come tali a causa dell’importanza sociale della
persona o in base ai contesti culturali in cui i suicidi si
sono avuti.. Quindi i dati potrebbero essere non del tutto
attendibili.
2. nelle società studiate da D. la popolazione protestante
tende a concentrarsi nelle città mentre quella cattolica
nelle compagne. Questo potrebbe significare che non sia
l’appartenenza ad una religione o ad un’altra, ma il tipo
di residenza e quindi il tipo di vita che ne consegue, ad
influenzare il tasso di suicidi. La realtà sociale è molto
complessa e non bisogna fermarsi ad una sola
correlazione ma cercare di individuarne varie.
3. l’analisi puramente quantitativa, sarebbe potuta essere
integrata da analisi qualitative, cioè dall’esame della
storia individuale dei suicidi. Questo avrebbe potuto
portare a risultati differenti da quelli che si sono
riscontrati fermandosi ai soli numeri. L’uso di metodi
quantitativi e qualitativi si integrano a vicenda,
compensando le debolezze dell’uno e dell’altro metodo. La sociologia delle religioni Durkheim nei suoi studi, anche nel suicidio, parla delle religioni,
più esattamente degli atteggiamenti culturali che le varie
religioni diffondono.
Le società moderne tendono ad essere sempre più
secolarizzate, cioè “una progressiva perdita di importanza che
le pratiche e credenze religiose”. Contemporaneamente c’è una
progressiva importanza data alla scienza e la progressiva
emancipazione della sfera politica e civile dalle regole religiose.
L’Europa dal XVII secolo ha sviluppato una netta distinzione tra
religione e politica. Le credenze religiose nella modernità a
diventare sempre più una questione privata. Nel suo ultimo libro importante, “Le forme elementari della vita
religiosa” le sue tesi principali sono:
1. L’elemento fondamentale della vita religiosa è la
distinzione tra sacro e profano. È una distinzione
elementare perché si ritrova in ogni tipo di religione. 2. La funzione principale delle religioni è quella di fondare e
preservare gli ideali collettivi della società.
3. ciò che gli uomini adorano nei vari culti, nel corso dei
secoli è la potenza trascendente della società stessa. Una religione è un insieme di credenze e pratiche relative a
cose sacre, le quali uniscono in una comunità morale tutti
coloro che vi aderiscono.
Ancora: la religione è un sistema di simboli attraverso il quale la
società prende coscienza di sé.
Questo processo di secolarizzazione comporta per D. alcuni
problemi importanti.
Di fatto D. critica le religioni, mostrando che rappresentano una
proiezione fuori dal mondo umano di qualcosa che invece è
essenzialmente umano. Riconosce però la funzione delle
religioni per il sostegno delle norme morali che ci garantiscono
la coesione sociale. Principalmente D. contribuisce con il suo studio nella
distinzione tra sacro e profano come caratteristica di tutte le
religioni, e per il riconoscimento della funzione di integrazione
sociale. In un modo o nell’altro ogni società si fonda su delle
credenze. Resta da capire come le credenze abbiano origine.
D: sviluppa una teoria a proposito, un po’ oscura la “teoria
dell’effervescenza sociale”, per la quale ci sono dei periodi in
cui gli uomini riuniti insieme sono capaci di proiettare fuori di sé
delle credenze a cui attribuiscono il valore di rivelazioni di una
potenza superiore. Lo studio di D. sulle religioni contiene un paradosso:
una volta svelato che la religione non è quello che gli uomini
credono, è difficile mantenerne la potenza. Il processo di
secolarizzazione porta ad una critica scientifica delle religioni,
ne consegue però o la progressiva perdita di integrazione della
società moderna, oppure che non sono solo le religioni a tenere
coese le società.
Il paradosso è che gli uomini fondano la propria convivenza su
basi non razionali, però svelando razionalmente i contenuti di
tali credenze, minano alla base le fondamenta del
funzionamento della società. Questo paradosso è parte della
nostra condizione.
Si può criticare questa teoria di D. con il dubbio che ogni
simbolo della sfera religiosa si a unicamente espressione della
potenza della società. Secondo autori contemporanei, le
religioni sono un insieme di credenze e pratiche consolidate
che hanno a che fare con i grandi enigmi dell’uomo: nascita,
morte, esistenza del cosmo. Le religioni sono atte a controllare
il senso di vertigine che provoca il cercare di dare un senso a
questi grandi enigmi.
La sociologia della conoscenza.
Il modo in cui conosciamo il mondo per D. ha origini sociali. Al
variare della società, variano anche le forme della conoscenza.
I concetti si esprimono a parole, e già il linguaggio stesso è un
prodotto sociale. Con il linguaggio impariamo a condividere il
modo di concepire il mondo della nostra società e così
impariamo anche a organizzare i dati che riceviamo con i nostri
sensi dal mondo, e che organizziamo in base a degli schemi
che danno ordine al mondo. Questi modi di organizzare non deriva dall’esperienza del
singolo ma sono piuttosto schemi già esistenti nella società che
ci aiutano a catalogare i fatti.
I durkheimiani
Durkheim raccolse attorno alla sua rivista “l’annèe sociologique”
molti collaboratori che continuarono l’opera.
Maurice Halbwachs condusse importanti studi sulla memoria
collettiva come elemento costitutivo dell’identità del gruppo e
quindi un fattore di coesione. Le immagini del passato vengono
periodicamente “riviste” da ogni gruppo o società, cosi da
mantenere ma anche riformulare la propria storia, in modo che
il passato sostenga e legittimi i valori e le aspirazioni del
presente. Nelle società più complesse ci sono vari gruppi e
quindi la verione da dare agli eventi storici può essere
conflittuale. Studiò anche ciò che succedeva nei totalitarismi
dove di tende a confiscare la memoria della società,
manipolando e sottolineando solo gli elementi storici che sono
più congeniali e occultando tutto ciò che va contro la versione
ufficiale del passato data dal regime. Halbwachs morì in un
campo di concentramento.
Marcel Mauss, un altro collaboratore di Durkheim, scrisse
un’opera celebre “Saggio sul dono” 1925, che influenzerà molto
l’antropologia. È uno studio su alcune tribù indiane del nord
america e su come lo scambio di doni, a cui bisogna rispondere
con doni pari o superiori a quelli ricevuti, sia un “fatto sociale
totale” perché adempie a molteplici funzioni, economiche (il più
della produzione viene ridistribuito), e di consolidamento dei
rapporti reciproci, e di definizione delle posizioni di prestigio.
Sempre tramite Mauss, verrà influenzato un gruppo di studiosi
“il College de sociologie”. Uno dei fondatori, Georges Bataille,
scrisse un’opera “scomoda” “Il dispendio” 1933 in cui spiega la
dissipazione, (la dispersione) cioè una tendenza naturale nella
vita dell’uomo che però tende a rimuovere coprendola con la
logica dell’accumulazione. La dissipazione è demonizzata in
quanto incompatibile con il razionalismo utilitarista. Ciò che è
represso però preme e viene fuori nelle forme della violenza
dell’uomo sull’uomo.
5- Georg Simmel (1858-1918)
Quadro storico
Dalla metà dell’Ottocento alla prima guerra mondiale, in Europa
si succedevano continui mutamenti politici, economici, culturali:
industrializzazione di tutti i maggiori paesi, aumento della
produzione, mezzi di comunicazione come telegrafo e poi il
telefono, reti ferroviarie, navi a vapore e poi aerei, l’avvento
dell’elettricità, miglioramento dell’igiene, dei progressi in
medicina, fanno crescere la popolazione europea
costantemente. L’istruzione si diffonde, l’urbanizzazione
aumenta. Nascono regimi parlamentari e aumenta il diritto al
voto, nascono i partiti operai. Non ci sono guerre in Europa,
sono tutti presi dal colonialismo nel resto del mondo. Le colonie
portano materie prime, mercati, mano d’opera, armate.
Sorprendentemente i sociologi non si occupano di studiare gli
effetti che il colonialismo avrà sulle popolazioni.
Il termine “modernità” usato da Bodleire nel 1861 in un articolo,
avrà fortuna e significherà “l’epoca del nuovo” l’epoca in cui il
nuovo è la norma. La cultura europea visse un’euforia dettata
da un progresso che sembrava non fermarsi mai, dando l’idea
di essere parte di una civiltà superiore. La prima guerra
mondiale fu un trauma. La sociologia, specialmente tedesca,
aveva già preso consapevolezza del carattere problematico
della modernità.
Fredrich Nietzsche (1844-­1900) era una voce fuori dal coro ma
che ebbe un enorme diffusione. N. non è un sociologo, ma fa
una critica forte alla civilizzazione moderna. Al centro della sua
opera c’è la nozione di volontà intesa come un’energia vitale
primordiale elementare tesa all’affermazione della vita. La civiltà
occidentale maschera questa volontà. La morale, cristiana in
particolare, è la responsabile della diffusione di una cultura di
“schiavi” dell’umiltà e dell’obbedienza che imprigionano gli
slanci creativi degli individui e nega la vita e promuove un
ipocrita camuffamento della realtà, della volontà.
La denuncia dell’ipocrisia cioè affermazioni che negano ciò che
si afferma coi fatti, e l’individuazione del risentimento cioè
dell’odio che chi reprime se stesso prova per tutto ciò che gli
ricorda la possibile libertà, sono a fondamento della morale.
Per N. il processo di secolarizzazione è già avvenuto. La “morte
di Dio” coincide con la fine dell’idea che ci sia un fondamento
trascendile a cui doversi ispirare per i valori umani. Riconoscere
che questo fondamento non esiste corrisponde ad
un’assunzione di responsabilità grandissima, l’uomo che potrà
assumersi questa responsabilità di definire il proprio destino
senza ipocrisie, non è ancora nato, è il superuomo a cui N.
intende preparare la strada. N. influenzerà la cultura europea a
cavallo del secolo, come denuncia e aggravamento di un senso
di crisi incombente.
Ferdinand Tonnies (1855-­1936) sociologo fu uno dei fondatori
dell’associazione tedesca di sociologia. Vive in una Germania
molto diversa da quella di Mrx. Lo sviluppo
dell’industrializzazione, lo spostamento della popolazione nelle
aree urbane, porta ad un’accelerazione globale, muta il mondo
delle relazioni sociali. Alcune reazioni a questi mutamenti
saranno di critica alla modernità e di nostalgia verso le forme
sociali preesistenti. Tonnies è legato soprattutto alla differenza
che evidenzia nel suo “comunità e società” 1887, tra comunità
e società (gemeinschaft e gesellschaft).
Comunità e società sono modelli di organizzazione sociale.
- la comunità è un gruppo stabile nello spazio, nel tempo,
radicato nel luogo, gli individui hanno rapporti personali e
diretti. È caratterizzata da forti tradizioni, a cui tutti sono
legati con lealtà, c’è una fusione spontanea delle
volontà. La partecipazione di ciascun mebro non è
ragionata, non è una scelta ma ègià data, è naturale. La
famiglia è la comunità per eccellenza, anche se sembra
che T. si riferisca a villaggi o paesi. I ruoli sono definiti,
c’è poca mobilità.
- La società invece è una forma di associazione più vasta,
gli individui hanno ampie libertà, non ci sono molti
rapporti diretti, ma impersonali mediati dall’adesione a
razionale a delle regole e dall’utilizzo di mezzi astratti di
scambio quali il denaro. La presenza del denaro è
essenziale per differenziare comunità e società. Solo
nella società si sviluppa la logica del profitto. Lo sviluppo
della società si realizza tramite la distruzione progressiva
della vita comunitaria e una perdita della ricchezza dei
vincoli affettivi.
Georg Simmel si ritenne essenzialmente un filosofo, ma si
dedico a lungo e con passione al progetto di fondare la
sociologia come scienza autonoma. I sociologi del periodo a
cavallo del secolo si occuparono principalmente di definire e
istituzionalizzare la sociologia, definendone l’oggetto di studio.
Simmel fu uno di questi.
L’oggetto della sociologia è la società… ma cos’è la società. In
un certo senso non esiste. Se ci guardiamo attorno vediamo
solo individui, la società non si vede. Un individuo a guardarlo
molto da vicino è fatto di organi, se lo osserviamo al
microscopio è fatto di cellule… cosa fa si che noi lo percepiamo
come unità? La prospettiva, la distanza da cui lo guardiamo.
Dalla prospettiva abituale, prendere in considerazione cellule o
organi è irrilevante. È la distanza che usiamo per parlare dei
“Greci” o dei “cattolici” o degli “operai”. Sono entità collettive
formate da individui, che visti da vicino hanno grandi differenze
tra loro, ma da un certo punto di vista possiamo trovare
caratteristiche che li accomunano. La società è generata dalla
prospettiva. La prospettiva rende visibile che gli individui stanno
tra loro in relazioni di reciprocità cioè una rete di relazioni
che influenzano reciprocamente una pluralità di elementi.
Ogni fenomeno è connesso con innumerevoli altri e ognuno
agisce anche su quelli che ne sembrano la causa. Quindi il
termine causa viene sostituito da corrispondenza .
Oggetto della sociologia sono le forme delle relazioni di
influenza reciproca che ci sono tra gli uomini. Società è il nome
con cui si indica un gruppo di individui legati da varie forme di
reciprocità.
Per Simmel la società è reciprocità ma anche sociazione cioè il
processo attraverso cui le azioni reciproche si consolidano nel
tempo. Salutarsi, pranzare insieme, giocare, scambiarsi beni,
sono azioni reciproche, ciò che uno fa influenza gli altri e
viceversa. La società ha al suo interno la sedimentazione di
alcune azioni reciproche protratte nel tempo e divenute stabili.
La sociologia è per S. una scienza formale, si occupa di
studiare le forme che assumono le relazioni di reciprocità in
situazioni e tempi diversi e se si solidificano nel tempo o
restano effimere.
Metropoli, denaro, intellettualizzazione
Simmel, quando descrive la modernità né descrive anche la
crisi. La modernità infatti è essenzialmente crisi permanente, è
flusso e instabilità in ogni forma. Quest’epoca di “transitorio”, di “volatile” è comunque una
formazione storica con i suoi tratti distintivi, le sue tendenze i
suoi atteggiamenti. Simmel li descrive nel “ la filosofia del
denaro” 1900.
Qui si pone l’obiettivo di indagare come la personalità si adegua
alle forze esterne, quali sono le forme dell’esperienza moderna
che per lui coincidono con l’esperienza metropolitana.
La prima caratteristica dell’esperienza metropolitana è
l’intensificazione della vita nervosa dovuta dal rapido e continuo
avvicendarsi di impressioni. Nella metropoli si accumulano
veloci, con forti contrasti e impressioni inattese. La campagna e
la piccola città, invece, propongono impressioni che perduano,
che si differenziano poco, che si alternano con regolarità.
Questa vita è basata più sull’affettività e sulla sentimentalità. La
vita della città è invece più psichica, più intellettualistica.
L’intelletto è la più adattabile delle nostre forze interiori, e si
adegua più facilmente ai cambiamenti che non la
sentimentalità, che ha basi più profonde e una natura
conservatrice che difficilmente si adatta ai cambiamenti.
L’individuo metropolitano si difende contro lo sradicamento e i
contrasti dell’ambiente in cui vive, reagendo ad essi con
l’intelletto, che è meno sensibile e non ha radici profonde nella
personalità. L’intelletto è orientato essenzialmente al calcolo, ed
è diverso dalla ragione, che invece cerca di mettere ordine alle
conoscenze, facendosi domande anche profonde e si confronta
anche con i sentimenti. L’intelletto tende a non fare differenze qualitative tra le cose e a
non dare giudizi sul loro valore.
Allo stesso modo funziona l’economia monetaria. Il denaro non
tiene conto delle differenze qualitative tra un bene e l’altro, si
occupa solo dell’unica cosa in comune a tutti i beni: il valore di
scambio.
L’uomo blasé è il cittadino disincantato, annoiato, che si
comporta come se “avesse già visto tutto”. Questo è il risultato,
il prodotto emblematico della rapida successione di stimoli
nervosi concentrati e contraddittori della città.
L’intellettualizzazione della vita e la diffusione del denaro
spingono verso una indifferenza verso le cose, a relazioni
sociali sempre più anonime.
Caratteristiche della vita moderna sono quindi la crescita delle
metropoli, l’intellettualizzazione, la diffusione del denaro, e della
puntualità (se non si fosse puntuali, gli accordi e la cita
economica non potrebbe avvenire), la differenziazione sociale,
e l’aumento della libertà individuale. Tanto più numerosa e
differenziata è una cerchia sociale, (città) tanto più il singolo ha
la possibilità di sviluppare la sua autonomia, individualità e
libertà di movimento ed espressione. Non sempre però la
libertà coincide con un senso di benessere. Mai come nel
brulichio della città ci si può sentire soli e abbandonati.
Alla crescente libertà, fa da contrappeso una crescente
dipendenza dal mondo di istituzioni, tecniche e apparati della
società. Lo spirito oggettivo è per S. la cultura incorporata
nelle enciclopedie, nelle tecniche, nei prodotti che cresce
sempre di più. Lo spirito soggettivo invece è quello che il
soggetto sa per averlo vissuto, imparato personalmente. Si
sviluppa sempre più una divaricazione tra la cultura oggettiva
insita nelle cose che cresce a dismisura e la cultura soggettiva
degli uomini che non può tenere il passo.
La società moderna dispone di un sapere che sovrasta le
capacità di elaborazione del singolo individuo.
Diversamente da Durkheim, Simmel non pone la società al
disopra dell’individuo. Per lui, individuo e società esistono alla
pari, è la prospettiva con cui guarda l’osservatore che fa vedere
ora l’uno ora l’altra. Tra società ed individuo ci sono delle
tensioni non eliminabili:
- la società tende ad imporsi sul singolo richiedendogli di
espletare alcuni compiti necessari per la sopravvivenza
della società stessa. Questo vincola la libertà individuale.
L’individuo d’altro canto, può ritenere che il suo fine sia
diverso da quello del cooperare per il benessere
generale, ma quello di realizzare obiettivi propri.
Questa tensione è dovuta all’enfatizzazione della società
moderna per la libertà di ognuno, della sua unicità, della sua
responsabilità sul proprio destino e sulla sua realizzazione. È la
società complessa con una forte differenziazione che pone le
basi per questo individualismo. Ora come mai la tensione tra
individuo e società si fa cosi marcata.
-
La moda
Nel saggio sulla moda del 1905 Simmel si rende conto che
nella densità degli agglomerati urbani, è difficile far valere la
propria unicità e la ricerca ossessiva di segni distintivi o di
novità per costruirsi una personalità, si riduce spesso in
semplice collezioni di segni esteriori.
Nella moda si esprime contemporaneamente la voglia di
distinzione rispetto agli altri e l’imitazione dall’altro. Nella moda
si compenetrano l’esigenza di differenziarsi dalla massa e
quella di esaltare la nostra partecipazione ad un gruppo sociale
autorevole. Seguire una moda significa volersi distinguere da
chi non la segue, ma voler assomigliare a chi la segue. Nella
società moderna, la differenziazione sociale non è più un fatto
di nascita, ma di capacità di farsi valere. Imitando i gruppi più
prestigiosi, chi è più in basso cerca di scalare la società
mostrando di farne parte. Il paradosso della moda però è che
sia praticata solo da una parte, mentre la massa cerca di
raggiungerla. Quando la moda arriva alla diffusione tra tutti,
smette di essere moda. Nella sua opera Simmel riuscirà principalmente a vedere
l’ambivalenza di ogni elemento della realtà sociale. La grnde
libertà e il forte vincolo che propone la metropoli. È espressione
dell’individualità e contemporaneamente dell’incapacità di
percepire le differenze. Questo studio dell’ambivalenza insieme
allo studio della continua reciprocità e interazione tra individui e
fenomeni, fa si che Simmel non prenderà posizioni ed emetterà
giudizi. Simmel non critica e non indica soluzioni, si limita a registrare
la contraddittorietà e ambivalenza della società moderna.
6- Max Weber (1864-1920)
Weber è probabilmente lo studioso che più influenzò la
sociologia del XX secolo. Tedesco di una famiglia dell’alta
borghesia ha una formazione economica che sarà centrale nel
suo pensiero. Il suo interesse si basa molto sulla definizione dei
compiti e del metodo della sociologia. Gran parte del suo
pensiero tende a riprendere i problemi formulati da Marx per
proporre soluzioni diverse.
Weber si è occupato principalmente di tre questioni:
1. Il metodo della sociologia
2. le caratteristiche essenziali delle origini, e il destino della
civiltà occidentale moderna.
3. definizione sistematica e coerente dei concetti della
sociologia.
In “Economia e società” (postumo 1922) Weber definisce cos’è
per lui la sociologia: una scienza che interpreta l’agire
sociale.
Per W. La sociologia è una scienza comprendente cioè che
cerca di comprendere l’agire sociale. Comprendere è differente
dallo spiegare. La spiegazione viene dopo l’interpretazione.
Comprendere un’azione significa intenderne il senso
interpretare il significato che quell’azione ha agli occhi di chi la
compie. L’agire sociale infatti è un agire dotato di senso. Un
agire è tale se e in quanto vi è connesso un senso, il senso
soggettivo è il significato che chi compie l’azione da all’agire
stesso.
Con questo pensiero Weber segna una frattura con
l’impostazione precedente della scienza. Prima il modello
scientifico per eccellenza era quello delle scienze naturali e le
scienze umane dovevano man mano adeguarvisi. Per Weber
questo è sbagliato proprio perché l’atto della comprensione
differenzia le scienze dell’uomo da quelle naturali. Se studio
una pietra che cade, posso descriverne il moto e cercare dei
modelli delle leggi superiori che governano quell’accadimento.
Non devo chiedermi qual è il senso per la pietra del cadere. La
pietra non ha coscienza. Se invece studio un uomo che tira una
pietra, devo capire innanzitutto perché lo fa: per svago, perché
fa una gara di lancio, per ferire qualcuno… se non colgo queste
differenze il gesto rimane oscuro.
Tutte le scienze che riguardano l’uomo sono scienze
comprendenti, ci sono però differenze. La storia ad es. si
occupa di eventi che sono accaduti una sola volta e non si
interessa alla regolarità dei fenomeni. La sociologia invece
studia le azioni sociali degli uomini in quello che hanno di tipico
e ricorrente. Da infinite azioni singole si cercano caratteristiche
comuni e si producono delle tipologie di fenomeni. La
costruzione di tipi ideali è lo strumento principale della
sociologia.
Dopo aver compreso l’agire, il secondo passo è quello dello
spiegare casualmente l’agire. In questo si procede in maniera
simile allo scienziato naturale, che cerca le cause dei fenomeni.
La molteplicità dei fattori che si combinano nel mondo umano e
sociale, sono però così complessi che una spiegazione unica e
definitiva non è pensabile. Per ogni causa che trovo ad un
fenomeno potrei non aver preso in considerazione altri
fenomeni che ne creano comunque le condizioni perché
accada. Non si può mai essere sicuri di aver esaurito la ricerca
di cause. Quindi l’obiettivo del sociologo è più modestamente
cercare in modo rigoroso di rintracciare le condizioni che sono
sempre presenti all’accadere di un fenomeno. Weber più che di
cause parla infatti di condizioni o influenze o insieme di fattori.
Tipi ideali e agire sociale
La sociologia non si occupa di tutto l’agire degli uomini ma solo
dell’agire sociale. L’agire sociale è il compere un’azione che è
orientata verso gli altri. Non è sociale aprire un ombrello se
piove, è sociale insegnare in un’aula.
L’agire sociale può essere di diversi tipi. Per Weber i tipi ideali
o idealtipi sono costruzioni del pensiero dello scienziato che fa
una sintesi delle infinite varietà di azioni per ridurle ad un
numero maneggevole di categorie. È uno strumento di studio.
L’agire sociale si può dividere principalmente i 4 tipi ideali
diversi che dipendono dal senso che l’azione ha per il soggetto:
1. Agire razionale rispetto allo scopo: il soggetto agisce
con lo scopo di raggiungere un fine. Calcola i suoi sforzi
in modo razionale e utilizza i mezzi a sua disposizione
per conseguirlo. Ha una visione chiara dell’obiettivo. (es.
uno scienziato che vuole verificare un’ipotesi con esperimenti, un
generale che vuole riportare una vittoria, un imprenditore che vuole
ricavare un profitto).
2. Agire razionale rispetto al valore: il soggetto agisce
perché all’azione in sé da un valore. È un’azione che a
prescindere dalle conseguenze che può portare, va fatta
per la sua importanza. (es. un capitano che affonda con la
nave, un uomo che accetta un duello per onore, un martire che si
sacrifica, ecc.)
3. Agire affettivo: il senso dell’agire è legato a emozioni o
sentimenti (es. un innamorato, un adirato, un intimorito)
4. Agire tradizionale: è l’agire in base ad un’abitudine, ad
una consuetudine acquisita (es. salutarsi in un certo modo,
farsi il segno della croce in chiesa, ecc.)
La diagnosi della società moderna è per Weber che si consolida
l’agire razionale rispetto allo scopo e si va affievolendo quello
rispetto al valore, e decresce il peso dell’agire affettivo e
tradizionale. Un risultato simile a Tonnies che parlava di
comunità basata su atteggiamenti emotivi e tradizionalistici e
società con atteggiamenti riflessivi e strumentali, e simile a
Simmel che parlava della progressiva intellettualizzazione nel
mondo moderno.
Il concetto di capitalismo
L’organizzazione economica della società occidentale moderna
ha il suo perno nel capitalismo. Definire il capitalismo
significa definire un aspetto essenziale di questa
società.
Un agire economico è capitalistico quando è orientato a
perseguire un profitto in modo sistematico, continuo e
pacifico. Non è quindi uguale al desiderio di accumulare
semplicemente denaro né è uguale ad una rapina. È un agire
specificatamente orientato all’aumento costante di capitale.
Il tipico soggetto dell’agire capitalistico è il proprietario
d’impresa che dispone di un capitale e mira ad accrescerlo
mediante continui profitti che normalmente reinveste per
procurare nuovi profitti.
Solo questo non basta a definire il capitalismo moderno, perché
con questa definizione si rintracciano altri sistemi capitalistici
nel passato e in altri paesi del mondo.
La specificità del capitalismo occidentale moderno è
l’organizzazione razionale del lavoro formalmente libero,
mediante cioè l’utilizzo di lavoratori salariati,
giuridicamente liberi per svolgere le attività dell’impresa.
Questo è un tipo di capitalismo mai sviluppatosi prima.
Diversamente da Marx non appare la parola sfruttamento, in
quanto per Weber è un aspetto di critica morale al capitalismo
che non ha niente a che vedere con la definizione scientifica di
capitalismo.
Anche il concetto di razionalità è nuovo e decisivo per Weber.
Si richiama evidentemente all’agire razionale rispetto allo
scopo.
Perché il capitalismo occidentale potesse svilupparsi sono stati
necessari vari fattori storici:
- -­disponibilità di lavoro libero (fine della schiavitù e dei
servi)
- sviluppo di mercati aperti (relazioni commerciali vaste)
- separazione tra famiglia e impresa
- sviluppo di un diritto scritto che permetta leggi stabili e
non continuamente soggette a mutamenti che
renderebbe impossibile fare calcoli sul successo delle
proprie attività
la loro contemporanea combinazione si è sviluppata solo
nell’occidente nel periodo moderno. Viene caratterizzato anche
da una mentalità specifica che permette di attribuire un senso
diffuso all’agire capitalistico.
Lo spirito del capitalismo e le sue origini.
Una volta definito il capitalismo, Weber si chiede: quali sono le
condizioni che ne hanno determinato il sorgere?
Non si può risalire ad una sola, ma una delle più importanti per
W. È una peculiare attitudine razionalistica della civiltà
occidentale moderna. Quindi bisogna cercare di spiegare il
perché di questa capacità a sviluppare modi di agire pratico-­
razionali. Studia questo problema nel saggio “l’etica protestante
e lo spirito del capitalismo”. Questa disposizione è di origine
culturale e va quindi ricercata nelle forme specifiche della
cultura europea cioè le forme religiose.
Il protestantesimo, e in particolare il calvinismo, pone l’accento
sull’individualità e sulla vita mondana. Non sono più importanti i
doveri ascetici rispetto a quelli profani, mondani. I compiti
professionali di ciascuno hanno un carattere sacro. Occuparsi
dei compiti connessi alla propria posizione nel mondo ha una
dimensione religiosa. Col termine Beruf, (professione,
vocazione) intendono questo aspetto scro del lavoro. Inoltre il
volere divino è deciso a prescindere dalle azioni dell’uomo. Non
si può guadagnare la propria salvezza con le proprie azioni, ma
da esse si possono cercare i segni della propria salvazione o
dannazione. L’uomo rispetta il volere di Dio occupandosi della
sua creazione cioè il mondo e si vieta qualsiasi indulgenza nei
piaceri che il mondo offre ma che come tentazioni sono segno
della propria dannazione.
La condotta di vita è quindi metodica, indulgere nel peccato è
atto gravissimo e non riparabile, il lavoro diventa strumento per
evitare le tentazioni e per glorificare Dio. Questo atteggiamento
è chiamato da Weber ascesi intramondana, cioè fusione di
presenza attiva nel mondo e rinuncia al suo godimento. Questo
è affine allo spirito capitalistico, dove ci si dedica in modo
sistematico e razionale alla propria professione ma si rinuncia a
utilizzare i guadagni per goderne ma vengono reinvestiti. L’etica
protestante favorisce quindi le basi, il senso dello spirito
capitalistico.
Non significa però che sia l’unico fattore. Weber mostra il
paradosso che questa etica produce: l’etica protestante
produce ricchezza, ma la ricchezza favorisce le tentazioni.
Quindi mentre si sviluppa il capitalismo perde i suoi fondamenti
culturali. Una volta innescato continua meccanicamente come
una valanga anche senza l’etica che lo ha creato. Il carattere
“tragico” del capitalismo è che tende a distruggere le forze che
hanno contribuito a farlo nascere.
Avalutatività delle scienze sociali.
Nel suo studio Weber non emette giudizi sul capitalismo perché
per lui la sociologia deve esplicitamente evitare di formulare
giudizi di valore. Fa distinzione tra:
- riferimento di valore: i valori a cui un soggetto si riferisce
quando compie le proprie azioni.
- giudizio di valore: un’affermazione di tipo “è bene” o “è
male”.
I valori essendo parte del senso in base a cui gli uomini
agiscono, devono essere parte del campo di indagine di un
sociologo. Lo scienziato stesso si riferisce a dei valori essendo
un uomo inserito in un ambiente sociale e che giudica la realtà
che vive. Gli orientamenti personali lo porteranno a vedere e
studiare certi fenomeni meglio degli altri. Nessuna spiegazione
può essere quindi esaustiva.
Il lavoro del sociologo può essere comunque oggettivo nel
momento in cui egli, consapevole dei propri orientamenti, li
metta da parte, evitando giudizi di valore. L’oggettività è frutto
dell’avalutatività. La sociologia non valuta mentre cerca di
comprendere e spiegare.
Varie relazioni sociali
C’è una relazione sociale quando il senso dell’agire di un
individuo si riferisce all’atteggiamento dell’altro così che le
azioni sono reciprocamente orientate. Individui costantemente
in relazione tra loro possono formare comunità o società. La comunità poggia su un agire sociale dettato dal comune
senso di appartenenza sentito dai membri. Le relazioni sociali
hanno una forte dimensione affettiva.
La società poggia da un agire sociale dettato da una
convergenza di interessi motivati razionalmente. Per W.
Comunità e società sono tipi ideali di relazioni sociali, cioè sono
concetti astratti in quanto nella realtà una comunità può
sviluppare fini razionali condivisi dall’interesse di tutti, e le
società possono sviluppare legami affettivi che vanno oltre lo
scopo prefissato.
Comunità e società sono si basano sull’integrazione dei membri
del gruppo. Ma ci sono relazioni sociali opposte: le lotte sono
relazioni sociali in cui l’uno mira alla sopraffazione dell’altro.
Weber osserva la presenza ricorrente delle forme di lotta, non
enfatizza come invece faceva Durkheim, l’ordine e la coesione,
né pensava che i conflitti portassero la storia verso nuove
sintesi come pensava Marx. Piuttosto la lotta è una delle
possibilità dell’agire umano.
Le relazioni possono essere infine aperte (chiunque può
accedervi) o chiuse (solo persone con determinati requisiti ne
possono far parte).
Una relazione sociale chiusa diventa raggruppamento sociale
quando a far rispettare le leggi c’è un gruppo di persone
predisposte a questo (un capo o un governo e eventuale
apparato amministrativo).
Se un raggruppamento sociale si definisce in base
all’occupazione di un dato territorio e se nella sua
organizzazione è presente la minaccia dell’utilizzo della forza
fisica per far rispettare le leggi, si chiamerà allora
raggruppamento politico. Lo Stato è il raggruppamento
politico che dispone della violenza legittima su un determinato
territorio.
Legittimazione del potere
Cosa può rendere legittima la violenza?
La validità dell’autorità che la impone.
L’autorità è l’espressione di un potere legittimo.
Weber distingue tra potenza e potere:
- Potenza: è la capacità di far valere la propria volontà
anche di fronte ad un’opposizione. Chi subisce la
potenza è costretto ad obbedire.
Potere: è la capacità di dare un comando che trovi
obbedienza presso certe persone. Chi obbedisce al
potere lo ritiene legittimo a comandare.
Definito il concetto di potere bisogna capire secondo quale
senso l’obbedienza è accordata e come un comando possa
essere legittimo. Weber vede tre tipi ideali di legittimazione del
potere:
1. potere legittimo di carattere tradizionale:
poggia sulla sacralità di tradizioni che vengono
dal passato. (es. obbedienza al re, o al padre).
2. potere legittimo di carattere carismatico:
poggia sulla dedizione alla forza eroica o al valore
esemplare di un uomo particolare. Per carisma si
intende “segno di elezione”. (es. grandi profeti e
condottieri). Il potere carismatico ha la potenzialità
di produrre mutamento. Un uomo in grado di dire:
“si è sempre fatto così ma io vi dico che…”può
creare una grande forza rivoluzionaria. È legato
però ad una sola persona e dopo la sua
scomparsa, normalmente svanisce il potere.
3. potere legittimo di carattere razional-­legale: si
basa sulla credenza nella legalità degli statuti e
nel diritto di chi è chiamato a esercitare il potere
su quelle basi. Le leggi sono legittime non perché
provengono dal passato, ma perché sono
prodotte in modo razionale sulla base di
discussioni pacifiche. Favorisce un mutamento
sociale in quanto le leggi prevedono leggi atte a
cambiarle, ma in questo modo il mutamento è in
qualche modo “regolato”.
-
La burocrazia
Ad ogni forma di potere corrisponde un tipo di apparato
amministrativo.
La forma tipica di apparato amministrativo del potere
razional-­legale è la burocrazia.
La burocrazia consiste in un apparato di individui organizzato
per espletare i compiti amministrativi. Gli individui sono chiamati
funzionari che esercitano le funzioni relative alla loro carica in
base a procedure standardizzate e obbediscono ad un’autorità
impersonale.
La burocrazia ha i seguenti principi:
1. i servizi e le competenze sono definiti da leggi
2. gerarchia delle funzioni
3. separazione tra funzione e uomo non proprietà della
carica)
4. reclutamento dei funzionari in base alla loro formazione
e ad esami
5. la retribuzione è con salario erogato dallo Stato.
L’accesso di individui alle funzioni amministrative è fatto in base
a procedure regolate da leggi e le stesse funzioni vanno
eseguite a prescindere dalla persona che le svolge.
La burocrazia è un sistema di amministrazione che è più
efficace rispetto ad altri sistemi per amministrare società ampie
e complesse. Gli svantaggi della burocrazia sono: basata sulla
spersonalizzazione, favorisce anche la deresponsabilizzazione
dei funzionari;; in quanto fondata su procedure standardizzate,
sfavorisce l’innovazione;; si possono sviluppare interessi propri
particolaristici di gruppi amministrativi.
Il controllo degli apparati burocratici è uno dei problemi
fondamentali delle democrazie moderne.
La stratificazione sociale
In sociologia la stratificazione sociale è il modo in cui gli
individui e i gruppi si differenziano e si ordinano
gerarchicamente in una società.
Per Weber, in ogni società coesistono vari ordinamenti, dipende
dai diversi “punti di vista” da cui si considera la società stessa:
- stratificazione economica: un insieme di individui che
condivide le stesse possibilità economiche appartengono
alla medesima classe. Stessa classe, stessi interessi
economici.
- Stratificazione culturale: un insieme di individui che
condividono lo stesso “status” sociale. Si appartiene ad
uno status o ceto in base al privilegio positivo o
negativo nella considerazione sociale. Può derivare dalla
condotta di vita, dal prestigio (o disprezzo),
dall’educazione ricevuta.
- stratificazione politica: si realizza tramite gli apparati
politici o amministrativi nelle cariche che si possono
ricoprire, o nella possibilità che un gruppo prevalga
sull’altro.
Razionalizzazione e disincanto
In una conferenza del 1918, la scienza come professione, ai
suoi studenti, Weber parla del processo di razionalizzazione
che è tipico della modernità, e del conseguente disincanto del
mondo.
Il processo di razionalizzazione corrisponde al crescente
predominio della fiducia nel fatto che tutte le cose possono
essere spiegate con la ragione, sostenuto da uno straordinario
sviluppo delle capacità tecniche e scientifiche. Questa fiducia
porta un disincanto del mondo cioè che gli uomini
progressivamente perdono i riferimenti a spiegazioni e
comportamenti magici o religiosi. L’uomo moderno tende a
sostituire all’antico senso del mistero, e della complicità con la
natura, sostituendolo con un atteggiamento razionale e
strumentale verso la natura.
La stessa fiducia che la ragione possa dominare ogni cosa
però, è di per sé una fiducia non giustificata razionalmente. La
scienza inoltre risponde a domande su come dominare
tecnicamente il mondo ma non se sia giusto o sbagliato. Il
mondo dei valori è extrascientifico.
La scissione tra razionalità e valori è caratteristico dell’era
moderna. Per Weber allora, è la responsabilità personale che
deve essere il fondamento dell’etica.
Conclusioni
Weber ha influenzato enormemente la sociologia del
Novecento. Il lessico che utilizzava è diventato oggi per la
maggior parte il lessico della sociologia.
Il suo approccio alla sociologia si può considerare individualista
(cioè parte dall’individuo sociale e non dalla società nel suo
insieme per i suoi studi) o conflittuale (cioè osserva i ricorrenti
conflitti fra individui e fra gruppi). Importantissime sono state le
sue osservazioni sulla stratificazione sociale e sulla sociologia
politica, dove da una definizione della sfera politica come
competizione per il potere e la trasformazione del politico in
professionista della politica, cioè un individuo che non vive per
la politica ma della politica, come fonte di reddito. Anche
l’analisi sulla burocrazia è stata la base per molti studi
successivi tra cui quello sul clientelismo, dove la burocrazia
mantiene il suo aspetto formale ma è stravolta nella sua
sostanza: il clientelismo è una forma di relazione sociale dove
c’è uno scambio di favori tra un patrono e uno o più clienti. Le
pratiche di ufficio si trasformano in favori e la logica
impersonale e standardizzata della burocrazia si trasforma in
logica personalistica e aperta a variazioni caso per caso. Lo si
rileva oggi in molti paesi del mondo tra cui l'Italia.
7- le origini della sociologia americana
Già a partire dal 1890la sociologia è insegnata regolarmente
nelle università degli Stati Uniti. Qui la sociologia è piuttosto
dipendente da quella britannica, soprattutto di Spencer. Non
mancano però teorie originali.
Sumner nel 1906 mette a punto il concetto di etnocentrismo
cioè il privilegiamento da parte di un gruppo dei propri costumi
e valori, svalutando quelli degli altri.
Nel 1899 Veblen proporne il concetto di consumo vistoso: il
consumo non finalizzato al soddisfacimento di un bisogno
quanto all’ostentazione della ricchezza.
La società nordamericana a cavallo del secolo è contraddistinta
da una immigrazione dai ritmi elevatissimi. Differenti lingue,
tradizioni e costumi danno luogo a problemi di integrazione.
L’industrializzazione corre e le aree urbane si ingigantiscono. Il
capitalismo americano fino alla crisi del ’29 avrà un forte
dinamismo che crea forti disuguaglianze, che però non
porteranno a lotte di classe, principalmente perché non si
riuscirà a creare coesione tra lavoratori così diversi per cultura
e provenienza.
All’attenzione dei sociologi si pone quindi il problema
dell’immigrazione, dei conflitti interetnici, della disgregazione e
devianza sociale.
Il primo dipartimento di sociologia venne istituito nell’università
di Chicago nel 1892. Uno degli autori più importanti fu William
Thomas (1863-­1947). Scrisse Il contadino polacco in Europa e
in America uno studio sulle condizioni degli immigrati polacchi
a Chicago. Il pensiero che ne emerge è che non si può
comprendere il comportamento degli immigrati senza fare
riferimento alla loro storia, al paese da cui provengono e ai
motivi dell’immigrazione.
Con questo studio Thomas diede inizio all’uso dei metodi
qualitativi nella ricerca sociologica, cioè si basò sullo studio
sistematico della corrispondenza degli immigrati e sulla
ricostruzione della storia personale di molti di essi.
Anche per Thomas come Weber, non si può non tener conto del
significato che gli individui attribuiscono al loro comportamento.
Per capire questi significati attribuiti da ognuno al proprio agire,
il sociologo deve registrare le voci, le storie delle persone e
individuarne le differenze qualitative.
Dopo Thomas divenne direttore Robert Park. Grazie a lui si
formò una vera e propria scuola, cioè un gruppo di insegnanti e
studenti interessati alla ricerca sociologica, con metodi di
ricerca comuni e in stretta collaborazione tra loro.
La scuola di Chicago ha una propensione per la ricerca
empirica, sul campo. Con loro la sociologia esce dalle aule e
dalle scrivanie di chi studia in teoria, ed esce per le strade, il
campo di ricerca è la città. Gli studi sono ricchi di vita, popolati
da delinquenti, prostitute, immigrati, gioco d'azzardo, sale da
ballo.
Park, nato come giornalista ha un talento per cogliere i dettagli
della vita urbana. Ha attenzione per i processi comunicativi e
per la stampa quotidiana che è per lui una fonte di controllo
sociale ma anche come mezzo di creazione dell'opinione
pubblica e quindi critica democratica del governo. Studiò anche
in Germania e da Simmel riprese la città come luogo dei
processi fondamentali della vita moderna.
La città
La parola chiave della città moderna è mobilità. Si comprende
la mobilità geografica, (flussi migratori), mobilità sociale
(possibilità per un individuo o un gruppo di salire o scendere
socialmente), mobilità come vivacità spirituale-­
Mobilità è esposizione a qualcosa di nuovo e quindi apertura.
Più si è mobili più si è inclini al mutamento.
La città è sia frutto del mutamento, sia la massima fonte di
mobilità perché la concentrazione di popolazione aumenta gli
stimoli e gli incontri.
Questi processi portano sia ad un possibile aumento delle
facoltà individuali sia un aumento della disorganizzazione.
Uno dei concetti tipici di Park è la “distanza sociale”: il
sentimento dei membri di un gruppo di essere distinti ed
estranei da altri gruppi. (pregiudizio nei confronti degli altri).
La distanza sociale si manifesta anche in distanza territoriale.
I gruppi diversi tendono a collocarsi in aree distinte. Le aree
naturali sono le aree geografiche dove la popolazione di una
città tende a distribuirsi.
A Chicago dove Park studia è più facile accorgersi di queste
aree perché quella città è cresciuta con ondate successive di
immigrazione. Ma la tendenza di tutte le città è quella di
dividersi in zone in base alle proprie esigenze e in base alla
vicinanza al proprio gruppo di appartenenza. La mobilità delle
famiglie che periodicamente si spostano per migliorare i propri
bisogni fa si che la stessa area possa essere occupata in fasi
successive da diversi gruppi.
George H. Mead (1863-1931)
fu un filosofo e psicologo sociale. Non scrisse mai libri, solo
saggi su riviste e lezioni all'università molto seguite tanto da
influenzare in modo vastissimo le scienze sociali.
L'elemento delle ricerche di Mead è la formazione del sé, che
è qualcosa che emerge e si realizza nel corso dell'interazione
sociale. Il sé è il soggetto umano quando diventa oggetto di
un'attività autoriflessiva. Questa attività è specifica dell'essere
umano. Solo l'uomo può guardare a sé stesso. Specifico
dell'uomo è anche il linguaggio, cioè un insieme di segni a cui è
dato un significato condiviso da molti.
Come si può riflettere su sé stessi? Guardandosi come dal di
fuori. Riflettendo mi sdoppio e divento contemporaneamente
“io” soggetto che riflette e “me” oggetto della riflessione.
Riflettendo su di me mi guardo, mi descrivo e mi nomino. Mi
nomino usando il linguaggio. Quali parole userò per nominare
me? Quelle che ho imparato per descrivere gli altri e quelle con
cui gli altri descrivono me. Siccome uso il linguaggio e il
linguaggio è una condizione sociale, l'emergere di un sé è cosa
sociale.
Il concetto di socializzazione è cruciale in quanto indica il
processo attraverso cui a partire dalla prima infanzia ci si
confronta prima con il me che viene dai discorsi degli altri
e che scaturisce in una descrizione di sé.
8 – La sociologia in Italia agli inizi del secolo
Come in Europa la sociologia in Italia inizia a svilupparsi negli
ultimi decenni dell'Ottocento, inspirata generalmente ad un
orientamento evoluzionista e organicista. Negli anni Venti ci
sarà una battuta d'arresto con l'avvento del fascismo e con la
posizione di Benedetto Croce, l'intellettuale italiano più
importante del momento che era contro la sociologia che
reputava una pseudoscienza. La “rivista italiana di sociologia”,
aperta nel 1896 chiuderà nel 1922. tutavia a cavallo del secolo
emergono molti studiosi considerati classici del pensiero
sociologico.
Vilfredo Pareto (1848-1923)
Inizialmente è un ingegnere. Quando riceve un'eredità e si può
dedicare solo allo studio, si occupa di insegnare economia a
Losanna. Infine nel 1912 smette di insegnare e si dedica alla
sociologia.
Il suo passaggio dall'economia alla sociologia trova la chiave
nel fatto che l'economia si occupa di azioni logiche. Dato un fine
si presuppone che l'individuo utilizzerà i mezi a sua
disposizione per raggiungerlo.
Ma la vita degli uomini è ricca di azioni per niente logiche:
passioni, sentimenti, paure, abitudini...
per questo l'economia non è sufficiente. La sociologia deve dare spiegazione logica a ciò che
logico non è.
Pareto non realizzò mai nessuna ricerca empirica, si basò solo
sulla “conoscenza del mondo”. Pareto vede la società come un sistema, un insieme di elementi
interdipendenti fra loro. Importanti per lui sono i “residui” e le
“derivazioni”.

i residui: sono la base del comportamento
dell'uomo. Una volta scomposto il comportamento degli
uomini, rimangono i residui che sono ciò che spingono
più o meno consapevolmente ad agire. Sono il
fondamento non-logico del comportamento.

le derivazioni: gli uomini hanno una spiccata
tendenza a coprire con la logica le proprie azioni, nel
creare delle giustificazioni che tende ad
occultare gli impulsi fondamentali e danno
una legittimazione alle azioni in modo logico,
anche se le azioni stesse a volte non lo sono.
La teoria delle élite Pareto, Gaetano Mosca e Roberto Michels dedicarono
attenzione e riflessione sulla teoria delle élite. Per élite si
intende uno o più gruppi in grado di esercitare un
controllo e un'influenza sulla società.
Questa teoria è sostanzialmente una critica al funzionamento
reale delle democrazie. La democrazia si è affermata negli stati
moderni come democrazia rappresentativa, cioè il popolo
governa tramite dei rappresentanti che elegge periodicamente.
Gli “elitisti” vogliono dimostrare come nella realtà a governare
siano sempre delle piccole minoranze. Diceva Mosca: una
minoranza organizzata coordinata trionfa su una
maggioranza disorganizzata.
Come si producono le élite: Le minoranze di governo sono
costituite da coloro che sono più adatti a governare in quella
situazione storica. Vista la loro importanza, è cruciale che la
società sappia mettere ai posti di comando via via le persone
giuste per assicurare benessere. In caso contrario la società è
condannata alla stagnazione e alla debolezza.
In questo contesto Michels sviluppa l'idea della “legge di
ferro dell'oligarchia”. Ogni organizzazione complessa
come può essere un partito politico, tende a sviluppare
un'oligarchia (governo di una minoranza per lo più operante a proprio
vantaggio e contro gli interessi della maggioranza) di funzionari i cui
interessi si divaricano da quelli di chi dovrebbero rappresentare.
Il fascismo
tra l'ottocento e il novecento, iniziano a presentarsi i problemi
relativi all'emergere delle masse sulla scena politica e sociale.
Inizialmente si parlava di folle. Ciò che più colpisce gli studiosi
è il carattere irrazionale che sembrano assumere gli uomini
quando si radunano in folla, la perdita dei segni di una
personalità autonoma, la violenza di cui sono capaci.
Una novità nel panorama sociale è quello dell'agglomerarsi
nelle città di folle di persone relativamente anonime e la
possibilità che queste folle si organizzino in manifestazioni
imponenti. Gli intellettuali di sinistra inizieranno a parlare di
masse invece che di folle, per sottolineare la maggioranza di
lavoratori che si organizzano in manifestazioni perché
nonostante siano indispensabili non vedono riconosciuti i loro
diritti. Per loro la massa è intesa in senso positivo, con
l'obiettivo di organizzarla e di inserirla progressivamente nella
partecipazione alla democrazia e al benessere. Nonostante
questo però, la “massa” conterrà sempre una valenza negativa
riferita ad un insieme indifferenziato e confuso di persone che
appaiono prive di capacità di giudizio. Per svilupparsi il
fascismo presuppone l'esistenza delle masse ma esso stesso le
genera. Le dittature moderne infatti, non si basano
esclusivamente sulla violenza, ma il consenso viene ricercato
soprattutto attraverso un rapporto tra leader e masse. È un
rapporto di tipo emotivo che presuppone l'utilizzo di riti e sistemi
di propaganda efficaci ma anche della disponibilità dei soggetti
a rinunciare alla propria individualità e al valore dei legami con
gli altri. Cosi diventano massa un insieme di individui uniti solo
dalla loro identificazione con il leader. Il fascismo si sviluppò in
molti paesi d'europa, non solo in Italia. Antonio Gramsci (1891-1937)
membro di spicco del partito comunista fu ispiratore di una delle
più grandi insurrezioni operaie in Italia. Nel 1926 venne
arrestato e morì in carcere. Qui scrisse i Quaderni del carcere.
Anche se non era sociologo, Gramsci fece un'importante
rielaborazione del marxismo e definì alcuni concetti oggi molto
usati:

il fordismo: in riferimento alle trasformazioni del
modo di produzione introdotto da Ford nelle sue
fabbriche e diventa per lui un modo di descrivere gli
sviluppi del capitalismo. Questi sviluppi riguardavano sia
la produzione, la razionalizzazione della produzione
aveva aumentato la produzione complessiva, sia
l'aumento dei salari, che serviva sia a ricompensare i
lavoratori per la disciplina a cui si sottoponevano, ma
anche per allargare il mercato per i beni prodotti,
facendo diventare gli operai i nuovi consumatori che
accedono al mercato e all'aumento di benessere. In
questo modo la spinta rivoluzionaria si affievolisce e lo
sviluppo della “coscienza di classe” si dovrà spostare sul
piano della lotta ideologica con l'egemonia.

l'egemonia: all'interno della società capitalistica le
classi dominanti esercitano il loro potere con la
coercizione ma anche egemonizzando gli atteggiamenti
delle classi subalterne, cioè imponendo i loro valori e le
loro logiche come facenti parte del “senso comune”
presentandoli come se fossero quelli della cultura di tutti.
Rovesciare il potere per la classe operaia significa allora
sostituire all'egemonia capitalistica un'egemonia
alternativa, sempre partendo dal piano della cultura,
lavorando nelle scuole, nei circoli, nell'editoria, nella vita
quotidiana, in tutta la società civile.

Società civile: è composta da chiese, scuole,
sindacati, associazioni... è l'insieme delle organizzazioni
a cui il cittadino in quanto tale partecipa. Attraverso
queste istituzioni la classe dominante esercita la propria
egemonia sulla società ed è tramite queste stesse
istituzioni che può venire contrastata.
9 – Vienna e dintorni
La Prima Guerra Mondiale fu un brusco risveglio per la cultura
europea che aveva vissuto un periodo di euforia dovuto ad un
progresso materiale e sociale che sembrava inarrestabile.
La guerra mise di fonte i paesi che si consideravano i più civili
del mondo. la guerra di trincea, riportò la barbarie nella civiltà,
con l'uso di armi arcaiche come la baionetta e tecnologiche
come bombe e mitragliatrici. La miscela di brutalità e modernità
fu devastante e lo spirito dell'Europa intera non fu più lo stesso.
Non era più facile considerare della modernità solo i lai positivi.
E non era più facile sentirsi sicuri di qualsiasi cosa.
A Vienna si elaborarono alcune delle teorie che più avrebbero
influenzato il Novecento. C'è una crisi di fondo sulla visione del
mondo. Si scopre la molteplicità delle possibili prospettive a
proposito di ogni fenomeno. Viene meno l'idea di poter definire
la realtà in modo univoco. La realtà non è più ovvia. Questo
accade anche nel pensiero scientifico. Einstein in questo
periodo elabora la teoria della relatività, e le scienze diventano
consapevoli del fatto che la realtà può essere descritta in modo
plausibile da teorie diverse, senza che per questo siano
incompatibili tra loro. Le teorie sono modelli. I modelli sono
come delle mappe. Descrivono il territorio ma potremmo non
trovare dei dettagli in una, ma trovarli in un'altra che si sofferma
su particolari differenti, non per questo le due mappe saranno
sbagliate, solo mostreranno facce diverse di uno stesso
territorio.
Diventa chiaro che non c'è alcun luogo naturale da cui si
possono osservare i fenomeni. La realtà è sempre una
percezione della realtà. La relatività delle concezioni del
mondo nel corso dei secoli, fa porre il problema del relativismo
cioè se le concezioni del mondo sono relative al periodo storico
di cui fanno parte, è possibile avere un punto di vista assoluto
dal quale comprendere le differenze? Anche lo scienziato è
calato nel suo periodo storico relativo.
A queste riflessioni si aggiunge la consapevolezza sempre
maggiore che l'agire umano non è trasparente ma spesso non
ne conosciamo i motivi e tanto meno le conseguenze.
Sigmund Freud (1856-1939).
è il creatore della psicoanalisi, un insieme di tecniche
terapeutiche e teorie scientifiche rivolte alla psiche, cioè i
processi attraverso cui l'individuo fa esperienza del mondo
interiore e si rapporta col mondo esteriore.
Per quanto l'oggetto di studio di Freud sia l'individuo, la
psicoanalisi nasce come pratica clinica per la cura di sintomi
nevrotici) le sue opere illuminano aspetti fondamentali della
sociologia. Tra i cuoi concetti fondamentali ci sono:

la rimozione: l'apparato psichico di ognuno di noi
ha la capacità di rimuovere (cioè allontanare,
nascondere) eventi traumatici che se si dovessero
affrontare nella vita cosciente genererebbero dei conflitti
non sostenibili. Rimuovere è dimenticare, ma ciò che si
dimentica non sparisce, rimane nell'ombra e agisce
attraverso dei sintomi. Non c'è nulla quindi che scompaia
mai definitivamente nel nostro mondo interiore. Allo
stesso modo l'umanità nel suo complesso non dimentica
le fasi precedenti. Nell'umanità moderna, rimangono
nascoste fantasie, impulsi e paure dell'uomo delle età
primitive. L'oblio quindi è un tipo di memoria che però
non è consapevole.

le pulsioni: il desiderio è ciò che maggiormente
viene rimosso, è un'energia pulsionale (la libido). Nei
suoi primi scritti Freud identifica le pulsioni con la
sessualità, (ciò costituì un enorme scandalo). In seguito
con pulsioni descrisse tutte le “spinte” erotiche che ci
portano verso delle mete che, una volte raggiunte fanno
“appagare” la pulsione stessa.
Le pulsioni hanno vari modi di soddisfarsi quando una
metà non è raggiungibile, avviene il processo di
“sublimazione”, cioè nell'esecuzione di attività culturali
e artistiche in cui l'energia pulsionale si appaga.
Successivamente Freud affianca alle pulsioni erotiche, le
pulsioni “distruttive”, o pulsioni di morte ogni uomo è
spinto quindi tra due tipi di pulsioni, quella verso la
propria soddisfazione e quella verso la quiete finale.
 il disagio della società: è l'inconciliabilità permanente
tra pulsioni e morale, cioè il mondo delle pulsioni non conosce
la differenza tra bene e male. È la tendenza degli organismi a
soddisfare se stessi ed è in sostanziale contrasto con le
esigenze morali necessarie alla vita sociale.
Durante la guerra, Freud scrisse un saggio in cui affermava: lo
sviluppo della civiltà (così come dell'individuo) porta ad una
imposizione al controllo e alla negazione degli impulsi istintivi.
Questi impulsi rimangono latenti e spingono per riemergere. La
guerra è una situazione in cui gli impulsi primordiali dell'uomo
possono riemergere per la parziale sospensione delle norme
morali, e la violenza si confonde con il piacere. La guerra fa riemergere l'umanità primitiva
Ciò che più caratterizza la psicoanalisi è la nozione di
inconscio.
L'inconscio è il luogo dove risiedono tutti i sentimenti e i pensieri
rimossi, i meccanismi che ci consentono la rimozione, e le
pulsioni.
Freud inizialmente fa una differenza tra:
conscio: il regno della nostra conoscenza
preconscio: è il posto dove risiede ciò che pur non essendo
alla nostra attenzione resta comunque accessibile alla
coscienza
inconscio: è il luogo oscuro in cui risiede tutto ciò che la
coscienza volontariamente non è in grado di raggiungere.
In seguito propone un nuovo modello:
L'Es (o id): è l'insieme delle pulsioni che mirano alla propria
soddisfazione, indifferenti alla morale, alla realtà, alle
condizioni. Obbedisce al principio del piacere
L'Io: obbedisce al principio della realtà. L'Io presiede alla
consapevolezza all'apprendimento e all'esperienza del mondo.
Il Super-­io: è l'insieme delle norme morali, le regole e i valori
sociali.
I rapporti tra queste tre istanze sono conflittuali e l'io deve
mediare continuamente tra pulsioni e morale.
Il lavoro di Freud sostanzialmente riconosce una componente
irrazionale nell'uomo. La ragione ha una parte nelle vicende
dell'uomo ma molto è dovuto a tensioni irrazionali o al massimo
da razionalizzazioni, cioè il camuffamento in veste razionale di
motivi che razionali non sono. Capire le proprie azioni è così
difficili che l'uomo tende ad autoingannarsi con spiegazioni che
appaiano logiche.
Freud, mosso da uno spirito profondamente scientifico e
razionale, arriva a negare l'onnipotenza della ragione, affossa la
fiducia ingenua dell'Ottocento nella completa autocoprensione
dell'uomo.
Ludwig Wittgenstein (1889-1951)
Importante soprattutto per la sua teoria del “gioco linguistico”.
Il linguaggio è una pratica, cioè un'attività che svolgiamo
intrecciata a tutte le altre nostre attività. L'insieme delle attività
che svolgiamo è una forma di vita. Il linguaggio quindi fa parte
della nostra forma di vita.
Nel linguaggio ordinario una parola ha vari significati che
dipendono dal contesto in cui viene di volta in volta usata. Il
tentativo di ridurla ad un solo significato, non è applicabile alla
lingua corrente. Sono così tante le situazioni e le cerchie di
persone in cui ci possiamo trovare che ogni parola la usiamo in
base al “gioco linguistico” in cui siamo e per comprenderla
dobbiamo conoscere le regole del gioco in cui ci troviamo.
Quando parliamo, seguiamo delle regole, così come le usiamo
quando facciamo un gioco. Le seguiamo perché altrimenti non
potremmo farci capire (o non potremmo giocare) e come un
gioco possiamo sospenderle e altri potrebbero giocare a giochi
diversi.
Ciò che dice ad esempi un critico d'arte all'interno del “gioco”
della sua disciplina, può essere incomprensibile per un chimico,
anche se entrambe utilizzano il vocabolario italiano per parlare.
I contesti, le regole, gli scopi diversi delle due discipline,
rendono difficile capire le regole usate dall'altro.
Ancor più grave quando si confrontano due discorsi in lingue
diverse derivanti da due culture diverse. Non è sicuro che il
senso di chi parla sia inteso da chi ascolta.
Tutto ciò per le scienze sociali ha due conseguenze:
1.
non esiste una descrizione del mondo “neutrale”. La
descrizione del mondo è semplicemente ciò che le persone
interpretano come il proprio mondo. Il linguaggio è il nostro
mezzo per comunicare ma è anche il nostro limite alle
possibilità che abbiamo di esprimerci.
2.
Ciò che spesso fanno sociologici e antropologi, come la
comparazione tra culture differenti, risulta molto problematico.
Non è detto che i concetti di una cultura siano adatti a
descriverne un'altra. Non si può presumere per es. di
descrivere una tribù indigena con gli stessi parametri con cuisi
potrebbe descrivere una comunità degli stati uniti.
Anche se sembra scontato, prima che questa teoria di
Wittgenstein si diffondesse, era una pratica ordinaria, il non
porsi questi problemi nel confronto tra società o forme di vita.
Karl Mannheim (1893-1947)
La sua sociologia viene chiamata “Sociologia della
conoscenza”.
Il problema cruciale di M. è il relativismo. Già nel XVI secolo si
notava che “ognuno chiama barbarie quello che non è nei sui
usi, perchè non abbiamo altro criterio di ragione che quello
delle opinioni e dei costumi del paese in cui viviamo.” Nel XX
secolo però questo tema si sviluppa enormemente. Lo
storicismo tedesco a cui W. si rifà, sviluppa così il tema:  Sul piano teorico, se epoche differenti sono
caratterizzate da rappresentazioni del mondo diverse, la
conoscenza storica deve affrontare la relatività di queste
rappresentazioni, non negarle, ma evitare verità assolute.
 Sul piano dell'esperienza gli intensi processi di
riorganizzazione sociale costrinsero ciascuno a rendersi conto
delle diversità di usi costumi, lingue religioni esistenti fra gli
uomini, in un modo che mai prima era stato conosciuto.
 Sul piano politico le violente contrapposizioni ideologiche
del dopoguerra (comunismo, fascismo, liberalismo) rendono
difficile l'idea che qualcuno possa avere il monopolio della
verità.
Mannheim riflette proprio sulla compresenza in una stessa
società di correnti politiche differenti, cosa che Marx aveva già
fatto parlando di ideologia e mostrando come le classi
dominanti descrivevano il mondo occultando le contraddizioni e
legittimando i propri privilegi. Le classi dominanti sono quindi
influenzate dalla loro posizione sociale. M si chiede se anche la
classe dominata lo sia. All'ideologia affianca allora l'idea di
“utopia” cioè la visione tipica di chi lotta per rovesciare i
rapporti esistenti ma non si accorge della realtà se non in ciò
che c'è di male e che vogliono negare. L'ideologia e l'utopia
sono quindi parziali deformazioni della realtà. Per M. ideologia
significa nello specifico che ogni individuo esprime la sua realtà
in un modo che rispecchia gli interessi, la cultura, del gruppo
cui appartiene. La realtà che noi percepiamo è quindi legata
alla nostra situazione esistenziale. La risposta di M. a questo problema è il relazionismo: la verità
è solo un limite a cui si può tendere e tanto più si è capaci di
prendere atto delle diverse prospettive esistenti e controllare
con il dialogo le tendenze ideologiche che sono in ognuno di
noi, tanto più ci avviciniamo alla verità. Per Mannheim gli
intellettuali nell'epoca moderna sono un gruppo abbastanza
indipendente dalle appartenenze sociali da poter fare un
confronto avalutativo delle varie prospettive da cui emergono le
diverse ideologie.
10- La scuola di Francoforte
I membri più noti della scuola furono Adorno, Mancuse, Fromm
e Benjamin. La scuola nacque dall’istituto per la ricerca sociale
fondato nel 1923. Anche se questo grupo di studiosi non ha
formazione omogenea (filosofi, psicoanalisti, economisti, ecc.)
quello che li accumunò fu la l’intento di rinnovare la ricerca
sociale di Marx alla luce delle trasformazioni più recenti del
capitalismo e delle sue nuove contraddizioni.
Nel 1933 il regime chiuse l’Istituto ma i suoi membri si
trasferirono a New York. Solo nel 1950 fu riaperto a
Francoforte, e gli studi che erano stati portati avanti negli Stati
Uniti, semisconosciuti, divennero di grande rilevanza. Le loro
idee critiche della società vennero chiamati “teoria critica”,
caratterizzata da un intreccio tra ricerca sociale, psicoanalisi e
filosofia.
Le origini della scuola sono marxiste. Il nucleo del pensiero di
Marx era: nella società capitalistica il fine dell'esistenza degli
uomini diventa produrre, la vita è lavoro, consumo e di nuovo
lavoro. La vita diventa quindi un'appendice della produzione e
non il suo fine. Questo pensiero è anche il centro della scuola.
La riflessione è sullo sviluppo delle forze produttive e i rapporti
sociali. Bisogna rinnovare la teoria marxista però per capire
perché la rivoluzione non avvenga. Quali sono i meccanismi
che fanno si che i conflitti che generano tensione sociale restino
latenti? Bisogna comprendere l'integrazione della classe
operaia nel capitalismo. L'introduzione della psicologia e
psicanalisi aiutò questi studiosi.
L'integrazione della psicoanalisi
Erich Fromm fu il primo ad integrare il pensiero marxista con la
psicoanalisi, utilizzandola per spiegare i processi di
socializzazione dell'individuo. La famiglia è la cerniera tra
l'individuo e la società, il luogo dove il singolo impara ad
integrarsi.
Fromm nota però un graduale indebolimento della capacità
della famiglia di formare individui autoresponsabili. Inizia invece
a favorire lo sviluppo di persone con carattere autoritario.
Questo è il carattere tipico di chi reprime in se stesso gli impulsi
e scarica aggressivamente sugli altri la frustrazione che
accumula. Questi sono particolarmente inclini ad affidarsi
irrazionalmente ad un leader che promette di soddisfare i loro
bisogni, accetta regimi autoritari e forme di socializzazione “di
massa”. Tende a sfuggire all'analisi della realtà, ai fattori che
provocano disagio, ha paura di criticare il proprio governo e il
sistema in cui vive e scarica la colpa su un “capro espiatorio”
di solito gruppi minoritari e impotenti, come le minoranze
etniche.
Si tratta di meccanismi inconsci ma come diceva Freud, ciò che
è inconscio è tutt'altro che inerte.
Con la psicoanalisi la ricerca sociale si arricchisce di nuove
dimensioni precedentemente sconosciute. Il tipo di
socializzazione e la costruzione del carattere, spiega ciò che le
teorie economiciste non possono spiegare.
Marcuse usa la psicanalisi partendo dall'osservazione di freud
che la civilizzazione ha portato ad un forte controllo degli
impulsi libidici. Il motivo è permettere uno sviluppo del dominio
dell'uomo sulla natura.
Il capitalismo ha uno sviluppo delle forze produttive tale che
permette una relativa riduzione di questo controllo permettendo
lo sviluppo di un'umanità capace di conciliarsi con la natura.
Questo è ciò che chiama edonismo, cioè la capacità degli
uomini di godere della propria vita, di essere felici.
Adorno e Horkheimer usano la teoria freudiana per fare una
critica della razionalità.
La razionalizzazione (già in Simmel con la differenza tra
ragione e intelletto e Weber, con il processo di
razionalizzazione) è uno sviluppo dell'intelletto cioè della
capacità di calcolare logicamente mezzi e fini, costi e benefici di
ogni azione.
Gli uomini moderni sono sempre più capaci di fare calcoli
tecnici ma sempre meno di usare le facoltà critiche.
Questo processo lo individuano nel passaggio dall'illuminismo
al positivismo. Le valenze critiche che il richiamo alla ragione
propone nel primo, vengono abbandonate nel secondo che
appiattisce la ragione a strumento di descrizione dei fatti. Viene
abbandonato ciò che è valore e fine e non si ha più la ragione
come guida alla ricerca di un mondo più giusto e libero.
In un saggio “dialettica dell'illuminismo” anche l'illuminismo
stesso sarà oggetto di critica, in quanto punta a rischiarare tutto
con la spiegazione razionale, ma elimina tutto ciò che
razionalmente non può essere spiegato. Dominare con la
ragione significa anche ridurre la natura a mero oggetto di
osservazione.
Horkheimer osservò invece come in alcune religioni popolari ci
fosse una carica critica nei confronti delle istituzioni, al contrario
di ciò che Marx sosteneva, chiamando la religione “l'oppio dei
popoli”.
Nel magico e nel religioso si conserva il pensiero che non tutto
è dominabile con la ragione. In “dialettica dell'illuminismo”
l'illuminismo diventa tutta la civiltà occidentale come un unico
progetto di razionalizzazione che progetto di dominio sul
mondo. Lo si vuole comprendere per piegare la natura all'uomo.
In questo processo però l'uomo si estrania dalla natura stessa:
il pensiero razionale si separa dalla natura e vi si contrappone.
Questo ha portato ad uno straordinario sapere tecnico, che
però annulla ogni senso della vita che non sia mero dominio
della natura. La conoscenza razionale è inseparabile dal
dominio su di sé, delle forze ancestrali che sono negate.
Questa visione è legata all'esperienza della seconda guerra
mondiale. La società moderna tende ad allontanare l'idea della
barbarie, ma in realtà, la amministra solo più efficacemente.
Dice Adorno: “Cosa c'è di più efficacemente amministrato dello
sterminio degli ebrei con le camere a gas?”.
L'illuminismo non va per questo negato, questa teoria non nega
il valore della ragione. Gli affianca però una continua critica che
ne mostri le contraddizioni.
Nonostante il processo di razionalizzazione ci abbia fatto
sforzare ad adattarci ad una vita estraniata dalla natura, c'è
sempre in ognuno il ricordo di qualcosa che resiste alla
razionalizzazione, è il ricordo del desiderio di felicità che da
speranza per il futuro.
L'industria culturale
Sempre in “dialettica dell'illuminismo” , per industria culturale
Adorno e Horkheim intendono l’amministrazione dello svago.
Comprende cinema, radio, rotocalchi, e, dopo la guerra, la
televisione.
L’industria culturale mira a fornire una compensazione ai
lavoratori dei sacrifici che sono chiamati ad affrontare con il
lavoro, che è una necessità (il sacrificio) costantemente ribadita
dall’industria stessa. L’industria culturale porta la cultura alle masse, che però viene
svuotata del suo senso. Non è più un luogo privilegiato di
elaborazione del pensiero, ma luogo di intrattenimento e
soprattutto mezzo per promuovere l’adattamento di ognuno al
sistema sociale esistente. La manipolazione è insita nella
comunicazione di massa. La comunicazione di massa è
“unidirezionale”. La democrazia apparente nell’informazione
disponibile per tutti, è negata dal fatto che gli utenti non è
previsto che siano “emittenti” ma solo “riceventi”. La
comunicazione di massa è simile alla produzione di massa,
cioè i prodotti, così come i programmi, tendono a
standardizzarsi, si somigliano l’un l’altro e tutti i settori (radio,
cinema…) sono armonizzati tra loro.
La funzione della comunicazione di massa è promuovere
l’adattamento al sistema sociale e quella di sostenere il
mercato invitando ognuno al consumo, tramite la pubblicità
che diventa strumento privilegiato. La cultura diventa essa
stessa merce. Qualsiasi cosa ha valore se si può scambiare e
non in quanto abbia un valore in sé.
Crisi dell’esperienza e semicultura
A parte lo studio di Adorno e Horkheim, chi più si occupò della
critica alla comunicazione di massa nella scuola di Francoforte
fu Lowenthal. Fece una serie di ricerche sulla letteratura di
largo consumo sottolineandone la funzione di promuovere la
sottomissione del singolo alle gerarchie esistenti. L’individuo,
scaricando nell’immaginario i desideri frustrati, rinuncia a
prendere atto nella realtà della divergenza tra la libertà cui
aspira e la società in cui è immerso.
Più complessi gli studi di Benjamin, critico letterario. Nel testo
“opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità” (1936) parla
della perdita di quell’”aura” di unicità di un’opera d’arte, dovuto
alla nuova possibilità di riprodurla. Nell’epoca moderna, si può
ammirare un dipinto o ascoltare una sinfonia senza muoversi
da casa. Questo aumenta la fruizione dell’opera, ma non si ha
più la sensazione dell’unicità che può dare l’andare a teatro ad
ascoltare la sinfonia o trovarsi davvero davanti al quadro.
Diversamente da Adorno, Benjamin non era completamente
contrario a queste trasformazioni anche se era innegabile la
loro radicalità. “autenticità” e “originalità” erano concetti quasi
inafferrabili quando non esistevano le copie. Ora, la
riproducibilità rischia di far sparire il senso di originale (non ha
senso per es. parlare di originale della pellicola di un film.) ma
diventerà un concetto estremamente diffuso.
In un altro saggio. “Di alcuni motivi di Baudlaire” (1939)
Benjamin riprende il concetto di “itellettualizzazione” di Simmel
(la vita moderna è una successione infinita di stimoli riichiede,
per essere affrontata, una forte accentuazione dell’intelletto a
scapito dell’emotività) e osserva che più una coscienza è
continuamente all’erta per difendersi dagli stimoli esterni, e
tanto più ha successo, tanto meno le impresioni penetrano nella
coscienza. La “crisi dell’esperienza” è data dal fatto che le condizioni della
vita moderna ci costringono a tenere le impessioni ai margini
della coscienza, senza lasciare che si imprimano nel profondo.
Un esempio potrebbe essere quello di un viaggiatore che
invece di visitare i posti guarda solo le cartoline.
Le emozioni che una esperienza potrebbe generare, sono
annullate o rese uniformi.
L'esperienza è un accumulo dei materiali vissuti durante la
propria vita;; la persona, rielaborandola, crea la propria storia
con cui può raccontarsi. La sterilizzazione delle impressioni
della vita moderna, non da la possibilità di legare insieme le
esperienze, che rimangono frammentarie e non si uniscono più
a formare la storia individuale.
Anche nelle attività produttive c’è una crisi dell’esperienza:
l’peraio non impara più dal proprio lavoro che è frammentato,
ripetitivo, sempre uguale a se stesso, e la pratica non aumenta
l’esperienza, ma insegna solo all’operaio a trasformarsi in
automa.
Sul lato della cultura, la crisi dell’esperienza corrisponde ad una
preferenza per le informazioni, a discapito delle storie. Le
informazioni però soono slegate tra loro, effimere ed in ogni
momento possono essere sostituite da informazioni successive.
Questa è cio che Adorno chiama “semicultura” una cultura
degradadta a patrimonio di informazioni, una cultura che ha
perso la sua funzione. Le informazioni sganciate
dall’esperienza, non servono più per “”illuminare”. È come se la
vita scorresse senza essere compresa, senza che la cultura
aiuti l’uomo a chiedersi il senso del proprio essere storici e del
proprio posto nel mondo.
Critiche
La scuola di Francoforte, pur insegnando sociologia diffidava di
questa e di tutte le altre scienze accademiche, perché la realtà
è una totalità di uomini immersi nella natura, ed ogni disciplina
è intrinsecamente collegata a tutte le altre.
Soprattutto diffidavano della sociologia positivistica, che vedeva
la realtà come un insieme di dati da osservare e registrare.
Per la scuola, la scienza non deve solo “duplicare” la realtà ma
essere critica, senza separare ragione e valori. Fare questa
distinziona sarebbe una negazione della responsabilità che il
pensare comporta.
Sembra che pensare sia un po’ fuori moda.
È chiaro che gli studi dei francofortesi abbiano suscitato critiche
e reazioni. Vengono accusati di un atteggiamento “elitario”, ma
in un periodo in cui le masse popolari sottoscrivono il fascismo,
dichiarare di aspirare alla libertà è molto più democratico di chi
afferma che la verità sta sempre dalla parte della maggioranza.
Vengono criticati perché attribuiscono troppo potere all’industria
culturale e alle comunicazioni di massa. Paul Lazarsfeld uno
studioso tedesco che aveva inizialmente collaborato con
l’Istituto per la Ricerca sociale, porta avanti degli studi empirici
proprio su questo campo ed osserva che i risultati
contrastavano con quello che affermavano Adorno e Horkheim.
Il grado in cui la pubblicità e la propaganda hanno effetto sulle
coscienze dipende dal contesto in cui si trovano le persone
stesse. Un individuo molto isolato viene influenzato
maggiormente dai contenuti trasmessi. Una persona invece che
è inserita in una comunità o nella società, tende a mediare i
contenuti trasmessi con le convinzioni del suo gruppo, e ne è
per ciò meno dipendente. Le ricerche di Lazarsfeld erano molto
accurate e facevano apparire le teorie dei francofortesi delle
semplici intuizioni. Il potere di costruzione e dell’adattamento
dei membri alla società e quello di persuasione, vengono in
pratica ridimensionati. Lazarsfeld pubblicò anche
un'interessante ricerca sugli effetti psicologici della
disoccupazione). Si trasferì negli stati uniti, dove divenne uno
dei maggiori rappresentanti della ricerca sulle comunicazioni di
massa e dell'opinione pubblica.
La scuola di Francoforte comunque non volle mai creare un
sistema teorico (non credendo nelle scienze accademiche) ma
le loro ricerche e i loro scritti partivano da spunti della vita
quotidiana da cui partivano per le loro riflessioni. Per la scuola, è attraverso il pensiero, che la vita viene mediata
e si trasforma finalmente in esperienza, cioè in una vita capita e
compresa che invita ad agire per modificare lo stato delle cose.
Jürgen Habermas (1929-?)
È il principale esponente di quella che venne chiamata la
“seconda generazione della scuola di Francoforte”. Inizialmente
porta avanti dei lavori in linea con l’interesse della prima scuola,
cioè sull’opinione pubblica che nella società di massa si sta
impoverendo. Le istituzioni moderne all’inizio sembrano
incarnare la possibilità di sviluppo di una “ragione critica” che
però poi viene disattesa. Habermas vede la modernità come un
“progetto incompiuto”.
Più in là i suoi studi si allontaneranno da quelli della prima
scuola, pur tenendone l’atteggiamento critico. Basandosi sui
nuovi studi di linguistica e filosofia del linguaggio, riconosce che
gli uomini sono sempre legati tra loro dalla continua ricerca
della comprensione reciproca, che avviene tramite il linguaggio.
Come per Wittengstein, il linguaggio è un elemento essenziale
per la vita sociale. Su questa base critica il marxismo che studia
la società solo dal punto di vista economico-­lavorativo. A questa
sfera, per Habermas, bisogna affiancare l’interazione
linguistica.
La società moderna ha una contraddizione forte in sé, cioè
l’aver creato le condizioni per lo sviluppo di una comunicazione
libera consapevole e responsabile, ma ha bloccato questa
potenzialità con lo sviluppo dell’agire strumentale.
Norbert Elias (1897-1994)
Elias, studioso tedesco non appartiene alla scuola di
Francoforte. Il suo studio più famoso è “Sul processo di
civilizzazione” (1939), in cui, ispirandosi a Simmel, Weber,
Ferud, ricostruisce i processi che hanno dato luogo alla società
moderna, che per lui hanno radici nelle ultime trasformazioni
che subì la società feudale.
Alla divisione simmeliana tra razionalità di scopo e razionalità di
valore, trova una razionalità intermedia che adottarono i
cortigiani: le spese superiori al proprio patrimonio erano
sostenute per il prestigio e l’ostentazione el lusso, ma che
servivano anche a raggiungere o difendere uno status che
permetteva l’acquisizione di nuovi beni. Questa ipotesi si
affianca anche a quella di Weber che vedeva nella religione
protestante l’origine della società moderna.
Un altro punto fondamentale per Elias è il rapporto tra
civilizzazione e violenza.
La creazione degli stati europei aveva portato nel XVII secolo
una progressiva pace nella vita sociale. La violenza viene
estromessa dalla vita esteriore, che viene però interiorizzata.
Per conformarsi agli standard della società moderna, i propri
impulsi devono essere controllati. Il processo di civilizzazione
prevede quindi una pacificazione del mondo esterno, sociale
ma anche di quello interno all’uomo. Si creano le nuove “buone
maniere” moderne che corrispondono ad un occultamento delle
passioni, si innalza il senso del pudore e dell’autocontrollo, più
di quanto si facesse in età premoderna.
È un processo a due facce: ci identifichiamo molto più
facilmente negli altri (il dolore altri non è più qualcosa di cui
godere), ma contemporaneamente tendiamo ad allontanare
cose naturali come la morte, che è socialmente rimossa. Il
moribondo viene isolato proprio quando è più penoso essere
soli. Nel medio evo era più frequente morire, ma la solitudine
non era così marcata. La deritualizzazione della vita sociale
moderna, mette in difficoltà i cittadini che non hanno più rituali
per esprimere il lutto e quindi sta alla creatività di ognuno,
trovare il modo di elaborare questa sensazione che ci mette
davanti alla nostra mortalità, ma non tutti gli uomini sono
all’altezza di un compito del genere.
Elias fu un sociologo che non concepì mai la sociologia
separata dalla storia. Un atteggiamento che nel XX secolo
diventa sempre più raro, ma a cui non bisognerebbe rinunciare.
11- La sociologia americana tra gli anni ’30 e ‘50
Negli anni Venti e Trenta la sociologia americana era stata
influenzata dalla scuola di Chicago. Tra il 1930 e il 1960, invece
la figura dominante sarà quella di Parsons, ma il panorama
americano è comunque ricco e variegato, tanto da essere in
quegli anni, il cuore della sociologia del XX secolo.
Con la ricerca empirica, in America si portarono avanti
importanti studi sulle comunità, ad es. quello dei coniugi Lynd
su una cittadina media americana, la sua stratificazione sociale,
stili di vita e comportamenti, Middletown (1929).
Si svilupparono molto anche studi sul lavoro e le
organizzazioni, finanziate da compagnie che volevano avere
ricerche sui fattori che influenzavano la produttività dei
dipendenti.
Il risultato fu che grande importanza hano le relazioni umane
all'interno dell'azienda, e che a fianco dell'organizzazione
formale, tende a svilupparsene una “informale”.
Anche le tecniche di ricerca quantitative si svilupparono molto,
con procedure di tipo statistico (analisi multivariata) che
trovarono ampie applicazioni nella ricerca di mercato.
Il grande interesse degli uomini politici e delle imprese
commerciali e militari per la propaganda, stimolarono e
finanziarono la ricerca sociale americana dove gli scienziati
sono tuttora all'avanguardia. (Hoover fu il primo presidente
eletto che spese quasi tutto il suo budget per la propaganda
elettorale).
Furono portate avanti ricerche sulle motivazioni e gli
atteggiamenti dei soldati e dei reduci, The American soldier
(1949), e una ricerca sul razzismo tra bianchi e neri in America,
che sottolineò il dilemma della società americana, divisa tra i
valori universali che vi si affermano e i pregiudizi che
discriminano la gente di penne nera, An American Dilemma
(1944).
Charles Mills, portò avanti ricerche universitarie (non finanziate
quindi da istituzioni esterne all'università) sui nuovi ceti medi,
Colletti bianchi (1951), e d uno, L'Elite del potere (1956) che
dimostrava come nonostante l'apparente mobilità della società
americana, in realtà a dominare è una piccola élite di persone
legate tra loro che operano nella politica, nell'industria e nelle
forze armate.
Talcott Parsons (1902-1979)
dal 1927 inizia ad insegnare ad Harvard e da lì esercitò per
trent'anni un'enorme influenza sulla sociologia americana ma
anche europea del secondo dopoguerra.
Le sue opere principali: La struttura dell'azione sociale (1937),
Il sistema sociale (1951) Famiglia e socializzazione (1955) e
Sistemi e società (1971).
L'approccio di Parsons viene chiamato “strutturalfunzionalista”, nel senso che si propone di individuare la
struttura di fondo della società e di comprenderla mostrando le
funzioni che le sue parti assolvono.
Si può definire però anche un approccio “sistemico” cioè il
sistema è il concetto cruciale delle ricerche di Parsons. Lui
cerca di integrare le idee di Weber e Durkheim, cioè da un lato,
capire in cosa consista l'azione degli individui, dall'altro, vedere
come si inseriscano le azioni individuali in un contesto di vincoli
che sono al di sopra dell'individuo.
Azione sociale e sistema
Parsons considera l'azione, o meglio, l'atto, come l'unità
elementare di cui si occupa la sociologia.
La descrizione di un'azione richiede:
1.
un attore, cioè colui che compie l'atto.
2.
Un fine, cioè una situazione futura verso la quale è
orientato l'atto.
3.
Una situazione, più o meno differente da quella futura
verso cui è orientato l'atto. Questa si può analizzare in base a
due elementi:
 le condizioni, cioè gli elementi nei confronti dei quali
l'attore non ha controllo
 i mezzi, cioè quelli sopra il quale ha un controllo.
4.
Un orientamento normativo, i motivi al di sopra
dell'individuo che fanno scegliere un mezzo piuttosto che un
altro.
Nel contesto della cultura americana, Parsons lottava contro il
comportamentismo, (la tendenza a ridurre l'azione umana ad un
semplice meccanismo di risposta agli stimoli) e contro
l'utilitarismo (che riduceva ogni azione ad un interesse). In
questa lotta Parsons cerca con le sue definizioni a dare un
peso alla libertà di scelta dell'attore, e alle norme che ne
vincolano e governano l'azione.
Le norme sono il collegamento tra la personalità e
l'insieme sociale di cui l'individuo fa parte. A loro volta
sono l'espressione di un insieme di valori, cioè di una
“cultura”.
Perché un sistema sociale funzioni, è necessario che i membri
abbiano una personalità, che abbiano fatto propri i valori e le
norme della cultura comune.
Il sistema sociale, così come ogni sistema è un insieme di parti
che è capace di autoregolarsi, ogni parte svolge una funzione,
necessaria alla riproduzione del sistema stesso.
In questo meccanismo si possono osservare 4 funzioni, svolte
nel sistema sociale, da altrettanti sottosistemi:
1.
adattamento all'ambiente, compito del sottosistema
economico
2.
definizione degli obiettivi, compito del sottosistema
politico
3.
trasmissione e conservazione dei modelli di
organizzazione, compito di famiglie e sistemi scolastici
4.
integrazione delle varie parti e controllo dei membri,
compito dei sottosistemi giuridico e religioso.
Parsons intende l'individuo come dotato di personalità, che gli
permette di avere un ruolo nella società (ruolo: un sistema di
comportamenti orientati ad una funzione, es, ruolo di madre, di
insegnante di giudice...). Esercitando il nostro ruolo in base alle norme, ognuno di
noi entra in relazione con gli altri e contribuisce alla
riproduzione del sistema, ci comportiamo come gli altri si
aspettano e a nostra volta contribuiamo a rinforzare le
norme stesse, con il fatto che vi aderiamo.
Famiglia e socializzazione
Che le nostre azioni siano in linea con le aspettative degli altri,
è dato dal fatto che sia noi che gli altri abbiamo interiorizzato i
principi della cultura comune.
L'interiorizzazione, è per Parsons, ripresa da Freud, la
formazione del “Super-­io” che riproduce dentro di noi l'autorità
che inizialmente ci è imposta dall'esterno.
L'interiorizzazione corrisponde con la socializzazione, e si
realizza nella prima infanzia all'interno della famiglia.
La famiglia ha quindi un ruolo fondamentale.
L'evoluzione della società comporta normalmente una
differenziazione (cioè un processo di moltiplicazione dei ruoli)
e una specializzazione (cioè i ruoli sempre più differenziati
hanno compiti sempre più ristretti e quindi sempre più efficaci).
Insieme differenziazione e specializzazione comportano una
maggiore complessità del sistema sociale.
La famiglia rispetto al passato perde alcuni compiti
tradizionali come la cura della salute, la produzione
dell'autoconsumo, e si differenzia e specializza nello
svolgimento del compito di aiutare la
socializzazione dei bambini e di stabilizzare la
personalità degli adulti.
La famiglia moderna ha delle caratteristiche peculiari: è
nucleare, cioè genitori e figli, che risiedono in un'abitazione
indipendente. Il ruolo di moglie/madre è quello di casalinga e di
leader espressiva, cioè dirige la dimensione affettiva;; il
marito/padre è colui che procura il denaro e gestisce i rapporti
della famiglia con l'esterno. La posizione della famiglia
all'interno della società dipende dalla professione del padre.
I ruoli di madre e padre sono complementari e sostengono uno
la personalità dell'altro. I genitori cooperano alla socializzazione
dei figli attraverso il loro esempio, che i bambini osservano e
apprendono.
Questa descrizione è buona per la famiglia media americana
del tempo, ma non coincide perfettamente con quelle degli altri
posti, ma visto che la società americana viene considerata la
più sviluppata, questa descrizione sarà ampliata alla “famiglia
moderna” in generale.
Termini sociologici in Parsons
Parsons rivede e rielabora alcuni termini:
 le norme, sono dei modelli di condotta e chi non vi si
adegua subisce delle sanzioni
 i valori, sono ciò a cui le norme si ispirano
 i ruoli, insieme di comportamenti regolati da norme. I
ruoli sono complementari: marito/moglie, insegnante/alunno,
medico/paziente. L'insieme dei ruoli che un individuo ricopre,
crea il suo status,cioè la posizione che occupa all'interno della
società
 le istituzioni, sottosistemi del sistema sociale (famiglia,
scuola, ecc..)
 la socializzazione è il processo attraverso cui l'uomo
interiorizza i valori e le norme.
Parsons provò anche a dare dei parametri (chiamati “variabili
strutturali”) per distinguere società differenti. In base a come gli
individui si dispongono rispetto a questi parametri,
permetterebbe di descrivere i caratteri fondamentali di una
società rispetto alle altre.
Questi parametri sono:
 particolarismo e universalismo: il primo è: ciò che si fa
per una persona non si fa per altre (es. comportamento verso
un amico);; il secondo: quello che si fa per uno vale per tutti (es.
comportamento di un giudice)
 specificità e diffusione: il primo: un funzionario si
relaziona all'altro solo per quanto riguarda gli aspetti specifici
del suo ruolo (es. funzionario, utente), il secondo: ci si relaziona
considerando vari aspetti propri e dell'altro (es. amicizia)
 ascrizione e acquisizione : nel primo ci comportiamo nei
confronti di una persona in base a tratti che lo caratterizzano
dalla nascita (es. colore, etnia, status della famiglia);; il secondo,
in base a cosa la persona è stata capace di realizzare (es.
status personale raggiunto o abilità particolari)
 affettività e neutralità affettiva: differenza tra la
gratificazione affettiva nell'azione (es. in famiglia) o assenza di
gratificazione nell'azione (es. tra avvocato e cliente)
 interessi collettivi e interessi privati: nel primo l'azione
è orientata per l'interesse di tutti (es. un medico);; nel secondo
l'azione è per interesse privato (es. imprenditore).
Le società moderne tenderebbero all'universalità e
acquisizione, le tradizionali al particolarismo e all'ascrizione.
Critiche
Parsons ebbe un enorme successo grazie al fatto che la sua
sociologia forniva una grande teoria capace di dare un punto di
riferimento unitario alle ricerche empiriche.
Per molti anni quello di Parsons fu il “pensiero ortodosso” del
pensiero sociale, ma fu bersaglio di molte critiche.
Innanzitutto i limiti del funzionalismo: concentrandosi solo su ciò
che è funzionale al sistema sociale, non ne considera i conflitti,
visti solo come disfunzioni. Parsons infatti non riesce a dare
una spiegazione chiara ai motivi del mutamento sociale. Per molti Parsons ha creato uno specchio degli ideali della
società americana del tempo. Le teorie sulla modernizzazione
parte dal fatto che tutte le società devono prima o poi
conformarsi alle società occidentali prese come modello e che
quindi la modernizzazione sia sempre uguale.
Questo significherebbe anche che i paesi in via di sviluppo
dovrebbero avere lo stesso percorso di quelli sviluppatisi prima.
La teoria della dipendenza, invece, basata su studi dei paesi
dell'America latina, fa emergere che questi paesi sono vincolati
ai paesi più sviluppati che hanno puntato sullo sfruttamento,e
rimangono ancora oggi nella loro morsa.
Valide rimangono invece le “variabili strutturali”, che una volta
ripulite dalla visione incentrata sugli stati uniti, possono essere
applicate a studi sul campo rivelandosi ottimi strumenti per la
descrizione delle varie società.
Di buono Parsons fece anche la constatazione che la famiglia è
un nucleo sempre in mutamento e in evoluzione nella storia. Ma
la famiglia di Parsons assomiglia troppo a quella americana,
bianca, di ceto medio nordamericana. Le famiglie raramente nel
mondo sono così. Forti critiche gli vennero mosse dal
femminismo in quanto P. relegava la donna a figura secondaria
in quanto chi non ha indipendenza economica è meno libero.
Per Parsons, chi non è simile al suo modello, è “anormale”.
Infine Parsons parla di “azione” come se fosse una cosa, un
qualcosa con un inizio e una fine, da scomporre per descriverla,
ma difficilmente si può dire quando un'azione veramente è
iniziata o finita, siamo piuttosto immersi in una catena di azioni.
L'interpretazione dell'azione passa in secondo piano. Inoltre si
limita alle azioni razionali rispetto allo scopo.
Comunque, proprio dalle critiche mosse a Parsons, sono nati
alcuni degli orientamenti contemporanei più interessanti, e lo
sforzo teorico di Parsons è di un livello altamente ambizioso.
Robert Merton (1910insegnò sempre alla Columbus University di New York, viene
avvicinato a Parsons perché anche per lui il concetto di
funzione è centrale, ma ha differenze marcatissime.
Innanzitutto Merton osserva che la sociologia era divisa tra chi
proponeva grandi teorie inverificabili e ricerche accurate ma
irrilevanti. Diceva: i sociologi sono o del tipo che afferma: “non
so se quello che dico è vero, ma so che è importante” e quelli
che dicono “non so se quello che dico è importante ma so che è
vero”. A questa divisione lui propone una via intermedia, la
“teoria a medio raggio” una serie di concetti logicamente
collegati che possono illuminare le ricerche senza dover essere
considerati universali.
Per Merton il concetto di funzione è uno strumento utile alla
ricerca, ma non è la chiave di volta di una teoria totale della
sociologia. Merton infatti parla di analisi funzionale, e critica
invece il funzionalismo di Parsons. Critica innanzitutto che ogni
elemento del sistema debba essere considerato sempre e
comunque funzionale a tutto il sistema. Ciò che può essere
funzionale per alcuni può non esserlo per altri. Inoltre Merton rifiuta l'idea che tutti gli elementi di un sistema
sociale debbano avere una funzione, e che ogni istituzione
abbia una funzione indispensabile. In realtà la società ha molti
fenomeni che hanno perso la loro funzione, o devono ancora
trovarla, o ne hanno più di una. Le stesse funzioni poi, nel corso
della storia, non state svolte da istituzioni diverse.
Infine, Merton distingue tra funzioni manifeste e funzioni latenti.
Per spiegare questi concetti, parte dal lavoro di Veblen sul
“consumo vistoso”, in cui mostra che il fenomeno consumo può
avere un significato diverso da quello apparente. Consumare
serve per soddisfare dei bisogni, ma può servire anche a scopi
diversi come il prestigio sociale. Il fenomeno è lo stesso, ma
una funzione è manifesta, mentre l'altra è latente. A volte
sfugge anche agli attori stessi che non sono sempre coscienti
degli scopi che perseguono. Stesso discorso è per le istituzioni.
La funzione della scuola, a parte quella manifesta, può a volte
essere quella latente di alleggerire la pressione sul mercato,
“parcheggiando” i giovani prima del loro inserimento nel lavoro.
Merton contribuisce in vari modi alla sociologia. Conscio
dell'importanza della tradizione e dell'eredità, estrae concetti da
autori precedenti a lui e li amplia e li sviluppa.
Ad esempio, riprende il concetto importantissimo della
“deprivazione relativa” ripresa dal lavoro “American Soldier”
di Stouffer. La deprivazione relativa indica in questo saggio,
l'insoddisfazione provata nei confronti della propria carriera da
parte di militari che in realtà si trovano in una posizione di
prestigio. Il sentimento di essere “privati” non ha a che fare con
la realtà oggettiva, ma con le percezioni soggettive. Merton
mostra che ogni individuo si rapporta con almeno due gruppi: il
gruppo di appartenenza e il gruppo di riferimento. Se il gruppo
di riferimento propone bisogni che l'individuo non può
soddisfare nel proprio gruppo, egli si sente frustrato, a
prescindere da quanto bene o male viva.
Un'altra rielaborazione di Merton, è sulla devianza e
sull'anomia. Per lui la devianza si può riferire a varie cose:

devianti rispetto agli scopi, prefiggendosi scopi
non considerati “normali”

rispetto ai mezzi, scopi normali ma con mezzi che
normalmente vengono sanzionati Con queste basi si individuano almeno 4 tipi di devianti:
1. gli innovatori: si conformano agli scopi dominanti ma
usando mezzi devianti
2. i ritualisti: rimangono fedeli ai mezzi ma si prefiggono
scopi diversi che normalmente dovrebbero essere
raggiunti con quei mezzi
3. i rinunciatari: rifiutano sia i mezzi che gli scopi dominanti
4. i ribelli anche loro mettono in discussione mezzi e scopi,
ma non si ritirano dalla scena sociale ma lottano per
affermare mezzi e scopi diversi.
In questo quadro, l'anomia, più che un'incertezza o assenza di
norme, è una situazione in cui sono disgiunti gli scopi proposti
dalla cultura e le possibilità concrete di raggiungerli attraverso
mezzi “normali”. Quando in una società molti sono ostacolati in
questo senso, si tendono a sviluppare comportamenti devianti e
illegali.
La sociologia della scienza
Tra i vari interessi, Merton si occupò della sociologia della
scienza, anzi , può essere considerato l'iniziatore. Parla della
reciprocità tra scienza e società. Fino a quel momento si era
parlato molto dell'influenza che la scienza aveva dato alla
società, ma mai del contrario. In realtà invece, molti dei temi su
cui si interroga la scienza, sono definiti dagli interessi del
mondo circostante. (esigenze di produzione, o militari che
influenzano una ricerca piuttosto che un'altra.)
inoltre, l'idea che una verità sia qualcosa di accertabile
razionalmente tramite l'esperimento e l'osservazione
sistematica, è l'idea senza la quale la scienza non esisterebbe,
ma quest'idea non nasce dalla scienza, ma dalla cultura in cui è
inserita. Perché la scienza si sviluppi è necessario che nella
cultura ci sia l'idea che possa esistere, che venga attribuita agli
scienziati lo status per poter dare risposte. Se i presupposti
della scienza stanno nella cultura che la legittima, allora la
scienza è un'istituzione sociale come le altre. Merton studia
anche le tensioni tra la logica della comunità scientifica e la
società.
Una comunità scientifica ha dei principi: si basa su delle
procedure caratteristiche, sul dubbio sistematico, cioè che ogni
affermazione sia verificabile da chiunque. Questo impone un
dialogo aperto tra scienziati e implica la disponibilità universale
dei risultati. Infine ogni scienziato deve essere valutato in base
ai sui meriti sul lavoro.
Quest'etica può entrare in conflitto con la società, quando ad
es. una azienda che commissiona una ricerca pretende che
essa rimanga segreta, o un'azienda pubblica non vuole dare
rilevanza all'incertezza dei risultati di una ricerca. Infine è raro
che gli scienziati facciano carriera solo in base ai propri meriti.
La scienza rimane scienza solo fino a quando mantiene dentro
di sé un'organizzazione che permetta al dubbio di esprimersi.
La sociologia della scienza, è per Merton, una ricerca empirica
in cui si analizzano nella storia le richieste che via via sono
state fatte agli scienziati, e da chi, e come gli scienziati si sono
organizzati e reclutati.
A Merton è stato criticato un atteggiamento positivista, perché
solo questo può spiegare la fiducia che ha nel fatto che i
risultati della scienza siano sempre cumulabili e confrontabili tra
loro.
Infatti non sempre le scienze si basano su logiche simili. La
fisica classica ad esempio si basa su una logica completamente
diversa da quella della fisica atomica, e i risultati non sono
paragonabili o messi sullo stesso piano.
12- le teorie della vita quotidiana
Dopo la seconda guerra mondiale, lo sviluppo dei consumi
privati e la percezione di ampie possibilità di mobilità sociale,
generano la percezione di una libertà personale senza
precedenti.
Lo sviluppo delle tecnologie porta progresso, che porta
benessere. Gli stati diventano sostegno dell'economia (Keynes)
ma danno anche assistenza ai cittadini con i servizi sociali.
Nel blocco comunista, l'incapacità di creare benessere e libertà
individuale simile a quella dei paesi occidentali, sarà uno dei
motivi del crollo del comunismo. I paesi del Terzo mondo
scoprono l'indipendenza che però comporta problemi nuovi
insospettati.
Le scienze sociali, ormai istituzionalizzate in tutti i paesi,
studiano principalmente i nuovi problemi portati dagli sviluppi
della società. La stratificazione, il declino dei contadini,
l'aumento dei colletti bianchi e degli operai, provocano una
trasformazione notevole. La grande mobilità apparente non
elimina le disuguaglianze e i destini restano spesso legati
all'origine della famiglia di ognuno. Lo sfaldamento della teoria di Parsons negli anni 60 è dovuta a
motivi morali: i movimenti di neri e studenti, le lotte per i diritti
civili e contro la guerra in Vietnam, portano una nuova
sensibilità per le disuguaglianze della povertà. Parsons, come
si è detto, non sa dare una spiegazione al mutamento.
Rinasce l'attenzione per la vita quotidiana, per le dinamiche
soggettive.
Alfred Schutz (1899-1959)
elabora la sociologia fenomenologica. L'idea fondamentale
della fenomenologia è che il soggetto non è semplicemente nel
mondo ma costituisce il mondo. La costruzioni di “tipi ideali” che
Weber intendeva come metodo per lo scienziato sociale, è in
realtà qualcosa che facciamo tutti, sempre.
Tipizzare significa ridurre la complessità del reale a un insieme
di “tipi di cose”, “tipi di persone”, “tipi di situazioni”. Sono una
sorta di classificazione della realtà. Ognuno li classifica in base
al modo in cui sono classificati nel mondo in cui vive. L'utilità dei
“tipi” è che possono essere condivisi e permettono quindi
l'interazione sociale. Se infatti ci dovessimo continuamente
chiedere “cosa fa quella persona” o come debbo intendere
questa situazione, o questo gesto, non riuscirei a svolgere le
mie attività quotidiane. Classificando invece la realtà che mi si
pone allo sguardo in categorie, posso capire cosa succede e
continuare nelle mie attività senza dover continuamente
chiedermi cosa fare. Ogni sfera della vita sociale comporta
delle tipologie. La sfera che più interessa a Schutz è la vita
quotidiana, ma ci sono varie sfere, varie realtà, in cui
trascorriamo la nostra esistenza. C'è il mondo dei sensi, quello
delle cose materiale, della scienza, i mondi sovrannaturali,
dell'opinione individuale... la mente considera questi mondi in
base all'attenzione. Se poniamo attenzione ad una sfera della
realtà, la percepiamo, ma quando ci distraiamo da essa,
scompare. Il mondo ordinario è quello della vita quotidiana a cui
diamo attenzione maggiormente, è il mondo in cui il scompare il
dubbio che le cose possano non essere come le vediamo.
Almeno fino a quando un problema o una crisi non ci costringa
a rivedere ciò che davamo fino a quel momento per scontato.
Il senso comune
Come dice Schutz, il pensiero in cui siamo immersi
quotidianamente è il senso comune, è il pensiero dell'ovvio.
Preserva ciascuno dal dover continuamente risolvere problemi
che hanno già trovato soluzioni soddisfacenti. Pensare secondo
il senso comune è pensare come al solito, senza farsi domande
non necessarie alla continuità della nostra esistenza.
Il senso comune è un meccanismo che tende a tenere i dubbi
fuori dalla porta.
Solo una piccola parte della nostra conoscenza del mondo è
data dall'esperienza individuale, per la maggior parte deriva
socialmente dalle persone che mi circondano. Il senso comune
è un insieme di “ricette” per vivere, in modo che gli aspetti della
vita quotidiana siano considerati “ovvi”.
Non sempre affidarsi al senso comune è sufficiente: lo straniero
che si trova in un paese in cui niente è “ovvio”, e quello che
dava per scontato nel suo gruppo d'origine non è più tale, entra
in crisi in quanto deve abbandonare un senso comune e
impararne un altro.
Esistono quindi tanti sensi comuni.
Il mio senso comune è vero fino a quando funziona, cioè fino a
quando anche chi mi circonda lo condivide, fino a che la realtà
viene percepita da me e da chi mi circonda, nello stesso modo.
Il senso comune è quello che tutti credono che gli altri
credano.
Il senso comune deriva in parte dalla tradizione del gruppo, in
parte viene costantemente riprodotto e confermato dalle azioni
di ognuno. Senza di esso, la vita quotidiana precipiterebbe nel
caos. La realtà è una costruzione sociale , è ciò che
intersoggetivamente viene chiamato reale.
Schutz si occupa molto della sociologia della vita quotidiana
perché per lui non se ne può fare a meno per fare poi scienza
sociale. La sociologia da interpretazione dell'agire degli
individui, perché già gli individui stessi, nella vita quotidiana
interpretano continuamente il significato delle azioni proprie e
degli altri. Bisogna quindi prima capire come agisce
l'interpretazione spontanea della vita quotidiana per poi darne
spiegazione scientifica. In entrambi i casi si interpretano le
azioni con dei “tipi”. La differenza è che la tipizzazione del
singolo non si pone il problema di essere incongruente o
approssimativa. La tipizzazione scientifica invece si interroga
continuamente sulla validità delle sue affermazioni. Le
tipizzazioni della scienza sono solo ulteriori tipi fatti su quelli già
creati dagli individui.
Peter Berger e Thomas Luckmann
Sono i due continuatori dell'opera di Schutz. Scrivono un libro
insieme, La realtà come costruzione sociale (1966). è uno
sviluppo del pensiero di Schutz visto come sociologia della
conoscenza quotidiana, vista come pietra fondamentale
dell'intera sociologia, che consente, con il suo approccio di
combinare le due prospettive fondamentali di Durkheim
(apparente oggettività dei fatti sociali) e di Weber (importanza
del senso che gli individui danno all'agire).
Bisogna vedere innanzitutto come la realtà venga prodotta
dall'interazione degli individui come realtà oggettive e come sia
poi interiorizzata soggettivamente dal singolo.
Oggettivazione: 1. ogni volta che si risolve un problema, questo smette di
essere un problema e le soluzioni efficaci diverranno
modi tipici di comportarsi, cioè diventeranno abitudini.
2. Condividere le abitudini, le tipizzazioni, significa creare
una routine.
3. Chi entra a far parte di un gruppo (un neonato per es.)
trova le routine già costituite, sono un'istituzione già
esistente.
Quindi la costruzione comune della realtà è un processo di
oggettivazione. Le forme della realtà appaiono come fatti
(Durkheim).
Socializzazione: quando veniamo al mondo, la realtà è già stata codificata per
noi. Doppiamo solo imparare, apprendere il senso comune che
ci viene da chi ci circonda, che lo considerano naturale e
diventa naturale anche per noi. (Weber)
La realtà è una costruzione sociale che sembra avere
un'esistenza propria, ma si riproduce solo se ognuno impara a
darle lo stesso senso degli altri. Come si verifica il mutamento? Quando si generano dei
movimenti sociali, cioè quando alcuni membri della società non
danno più per “ovvio” il mondo. Le tecnologie possono porre
nuovi problemi o aspettative;; certi gruppi possono sentire
frustrazione che li spinge a mobilitarsi, ecc.. infine, il mondo
moderno mette sempre più a confronto realtà sociali differenti
che costringono a fare i conti con vari sensi comuni, che
rielaborati danno come risultato un nuovo senso comune
diverso dai due precedenti. La percezione del fatto che la realtà
è una costruzione e ce ne sono altre oltre a quella che
conosciamo, può creare disorientamento, che rappresenta la
principale causa di disagio della modernità. Ogni ordinamento
sociale è arbitrario.
L’etnometodologia
termine coniato da Garfinkel, che parte sempre dagli studi di
Shutz. Il senso comune era per quest'ultimo “un modo per
sospendere ogni dubbio”, ma allora, si chiede Garfinkel, se il
dubbio è sospeso, significa che da qualche parte esiste. Il
pensiero quotidiano ne è costantemente minacciato. Con i suoi
studi cerca di mostrare come il dubbio sia sempre in agguato e
come ogni volta, venga fugato.
Avere un atteggiamento non considerato “normale” provoca
disagio, a volte addirittura panico. Questo perché più si è
convinti che il proprio modo di vedere e di comportarsi sia
l'unico possibile, più il dubbio che non sia così crea panico. Come si fugano i dubbi? Quando ci spieghiamo, non abbiamo
la garanzia che quello che diciamo venga capito cosi come noi
lo intendiamo. Solo ad un certo punto decidiamo che ci siamo
spiegati abbastanza. È un accordo tacito, che è ricorrente ma
non è esplicito, e non ha una regola fissa. Ogni volta sarà la
situazione a dettarci quando e se ci saremo spiegati. Le regole,
le norme, per Garfikel, non esistono infatti. Al contrario del suo
maestro Parsons, per lui la ricorrenza degli accordi che da
l'illusione di norme consolidate. Anche le regole scritte vanno
sapute usare, in base al contesto, non a priori. La realtà e le
sue norme apparenti sono costruzioni che si riproducono
costantemente. Il come questo avvenga è studio della
etnometodologia.
L’interazionalismo
un approccio teorico degli anni '60 che si basa sull'interazione
(cioè l'azione sociale reciproca di più individui) e il suo carattere
simbolicamente mediato (comprensibile cioè solo se si fa
riferimento all'interpretazione che gli attori fanno della
situazione). Si concentra soprattutto sui processi di formazione
dell'identità personale.
L'identità personale è il risultato del soggetto che si confronta
con le definizioni di se stesso che sente nei discorsi degli altri,
che interiorizza e d elabora.
La teoria dell'etichettamento è che la devianza sia l'etichetta
che viene data ad un comportamento ritenuto offensivo delle
regole basilari della vita comune, e che il deviato sia uno a cui
questa etichetta sia stata applicata con successo.
Se uno studente durante una manifestazione dice “criminali” ai
poliziotti, difficilmente sarà creduto, mentre se i poliziotti fanno il
contrario, saranno più facilmente creduti.
Ci sono infatti istituzioni specifiche preposte a dare etichette
che trasformano concretamente la vita del singolo. Polizia e
sistema giudiziario sono due di queste. Se i giornalisti
chiamano qualcuno “mostro” sarà difficile per quella persona
dimostrare il contrario. L'etichetta infatti porta ad una proiezione
dell'aspettativa ad es. se un ragazzo viene etichettato come
vagabondo o delinquente dagli insegnanti, anche le azioni che
in altri ragazzi sarebbero considerate con indulgenza, in lui
saranno viste come causa del suo carattere. Se una persona
ha commesso un reato e quindi in passato è stato etichettato
come criminale, se ci sarà un nuovo crimine, sarà sospettato
per primo. Questo trasforma la sua identità perché tutti lo
vedranno per “quello che si dice che sia”. L'etichetta viene
spesso interiorizzata e se mi chiamano criminale è probabile
che io sia spinto a comportarmi come tale.
Erving Goffman (1927-1982)
Nella sua sociologia Goffman si occupa principalmente del
ruolo di “attore” che ognuno di noi interpreta nella vita sociale e
delle “metacomunicazioni”.
Una metacomunicazione è parlare di ciò di cui ho parlato. Ad
es. se dico: “nel quadro del nostro discorso è importante parlare
di Goffman”. E poi aggiungo: “Attenzione perché la parola
'quadro' appena utilizzata non è casuale ma è stata scelta per
un motivo”.
Nella prima frase faccio una comunicazione, nella seconda
spiego qualcosa che ho detto nella prima, esco quindi fuori dal
discorso principale, per specificare qualcosa già detto.
Nella sociologia Goffman ritiene che gli attori sociali, intesi
come persone che compiono l'azione, siano attori anche nel
senso teatrale del termine. In pubblico, quando interagiamo,
cerchiamo di dare una certa impressione, di sostenere un ruolo,
di “salvare la faccia”. In privato però siamo diversi, abbiamo
momenti di autoriflessione, e abbandoniamo il ruolo che
recitiamo in pubblico.
Nella società succede un po come a teatro. L'attore finge e gli
spettatori sanno che eglli finge, ma c'è un comune accordo, per
cui viene preso per buono quello che l'attore interpreta. Quando
si abbassa il sipario, l'accordo non vale più.
Allo stesso modo, tra individui che interagiscono, c'è un
“inquadramento” della situazione, esterna alla comunicazione
vera e propria, che ci fa capire di cosa si tratta. Un ragazzo che
sferra un pugno ad un amico per gioco, e questi non reagisce,
perchè capisce che l'attacco non è reale ma è stata fatta una
“metacomunicazione”, non esplicita, che ha fatto capire che si
trattava di un gioco. Capiamo e ci facciamo capire con i
metamessaggi, con un accordo implicito, cosi come fa un attore
con il pubblico, utilizzando elementi di contorno al messaggio
che vogliamo dare, che lo accompagnano e lo definiscono, lo
“inquadrano”. È una cosa che tutti facciamo, ed anche se è
qualcosa di non esplicito, senza di essa non si potrebbe attivare
l'interazione sociale.
Ogni volta che qualcuno fa qualcosa di imbarazzante, quando
si espone al ridicolo, si esce fuori dallo schema, e cerchiamo di
ripristinare la nostra immagine “ufficiale”, ma questo non toglie
che tutti sappiamo che la realtà è una finzione.
Il libro più noto di Goffman è “Asylum” (1961), è basato su una
ricerca empirica. Si fece assumere per un anno come
infermiere in un ospedale psichiatrico, che definisce una
“istituzione totale” cioè chi vi è rinchiuso è tagliato fuori dal resto
del mondo (come prigioni, caserme, conventi di clausura). La
persona all'interno alla fine, non può fare a meno di
considerarsi alla fine, esattamente come viene descritto
dall'istituzione, per cui in un manicomio alla fine la persona non
potrà che credersi malato di mente, con risultati devastanti
invece che curativi, così come sarebbe l'obiettivo primario
dell'istituzione. (teorie dell'etichettamento).
Osservazioni
A Goffman è stato rimproverato di non prendere in
considerazione la dimensione strutturale della società, cioè
l'economia, la stratificazione, ecc.. Goffman però sa benissimo
che la sua teoria “drammaturgica” on spiega ogni cosa. La
decisione di concentrarsi su questo aspetto, non ha implicato il
fatto che gli altri aspetti non fossero importanti. Questa critica è
stata fatta un po' a tutte le teorie della vita quotidianae la difesa
di Goffman potrebbe essere applicata a tutte. L'importanza di
queste teorie, sta nel fatto che hanno proposto un approccio
diverso alla sociologia. I punti comuni che si possono
riscontrare nelle varie teorie, sono la valorizzazione della vita
quotidiana, vista dalle teorie classiche solo come l'esternazione
di comportamenti determinati da fattori non quotidiani,
(strutture, norme, cultura) e che quindi non meritano di essere
studiate.
Per le teorie della vita quotidiana invece, gli attori, con le loro
azioni quotidiane, i loro discorsi, i loro gesti, permettono la
riproduzione della società.
Il punto debole però è che passare dallo studio della vita
quotidiana a quello dei fenomeni più globali e generali, è molto
difficile. Ciò a cui comunque invitano queste teorie, è di tener conto che
la riproduzione sociale, è un ripetersi di pratiche, che vanno
interpretate in quanto il nostro comportamento presuppone una
realtà che da senso al nostro agire, e non si può non tenerne
conto nello studio sociologico.
George Homans
Sviluppa la “teoria dello scambio”, in contrapposizione a
Parsons, che per lui non vede che, al di sotto di tutte le
differenze tra le varie culture, c'è una “natura umana” di fondo,
comune a tutti, universale.
Partendo dalla teoria di uno studioso, Skinner, (che affermava
che l'uomo, come ogni altro essere vivente, agisce
principalmente in base alla ricerca del suo utile, e reagisce agli
stimoli esterni in base alle “ricompense” che incontra.
Comportamenti che ripetuti vengano confermati da ricompense,
tendono a farsi stabili, mentre quelli che comportano troppi costi
o risposte negative, tendono ad essere abbandonati.), Homans
afferma che l'uomo agisce in base ad uno scambio, nel quale
ognuno cerca di massimizzare le ricompense e minimizzare i
costi. Gli individui sono esseri razionali che agiscono
scegliendo in modo razionale tra varie opzioni. Anche qui,
Homans non da per assoluta la sua teoria, ma la propone come
ragionamento da tener conto nello studio della società.
Partendo dalla sua teoria, vari studiosi hanno portato avanti
ricerche interessanti, volte soprattutto a definire il
“comportamento razionale” che è sempre e comunque limitato
soprattutto dalle informazioni disponibili.
La scuola di Palo Alto
Comprende molti studiosi di varie discipline, tra cui psichiatri,
psicologi, antropologi e filosofi.
Molti contributi nella psicoterapia che sono importanti anche per
la sociologia in quanto studiano i motivi delle malattie mentali in
base alle relazioni sociali dell'individuo.
Bateson è uno dei più importanti. Cruciale è per lui il contesto in
cui avviene la comunicazione, il metamessaggio (come in
Goffman), le istruzioni per l'uso che noi diamo della nostra
comunicazione. In base alle sue ricerche empiriche, notò che
anche gli animali mandano dei metamessaggi, in quanto sanno
giocare, il che significa che sanno far capire che il loro
atteggiamento all'apparenza aggressivo, non è da ritenere tale.
A parte gli studi sulle affinità uomo-­animale, questa
osservazione lo portò a studiare a fondo le comunicazioni
interpersonali verbali e non verbali (in quest'ultima normalmente
si situa la metacomunicazione).
In collaborazione con gli altri studiosi di Palo Alto, arrivarono a
teorizzare che la schizofrenia e altri disturbi mentali, possono
spiegarsi in base ad eventuali comunicazioni patogene nella
famiglia (che per la scuola è un sistema in cui l'identità di
ciascuno si costituisce e si mantiene nelle comunicazioni
all'interno della famiglia.).
Quando almeno uno dei membri da continuamente messaggi
contrastanti, come ad es. una madre che dice sempre al figlio
che gli vuole bene ma nella comunicazione non verbale,
(nell'espressione, nei gesti) comunica il contrario. Gli effetti di
questo comportamento sul figlio possono essere devastanti in
quanto per credere a quello che la madre dice, il figlio deve
negare ciò che vede, o viceversa, se crede a ciò che vede deve
considerare che la madre stia mentendo. Comunicazioni contraddittorie avvengono continuamente ma
solo quelle all'interno di gruppi chiusi legati da affettività
possono portare a comportamenti disturbati, in quanto è
l'affettività che non permette al figlio di negare apertamente ciò
che dice la madre, né smettere di comunicare.
Quando la comunicazione e la metacomunicazione si
contraddicono, il messaggio è distorto.
Società e comunicazione
la comunicazione è un aspetto fondamentale delle relazioni
sociali, e hanno quindi acquisito un ruolo sempre più importante
nel pensiero sociale. Fino agli anni '50 non erano molto studiati
dai sociologi i mezzi di comunicazione, ma poi, visto il successo
di radio e televisione, non se ne è potuto più fare a meno.
Non tutti i mezzi di comunicazione sono di massa (non lo è il
telefono). Il primo mass media fu il libro stampato, ma il suo impatto fu
lento perchè presupponeva la diffusione dell'istituzione. Dal XIX
secolo, è cresciuta perchè è cresciuto il pubblico interessato a
discutere della cosa pubblica, e l'istruzione. Dal 1900 la radio
non necessitava più della capacità di leggere ma solo di
ascoltare. Infine dagli anni '40/'50 la televisione presupponeva il
vedere e sentire.
Harold Innis avanzò l'idea che le epoche della storia fossero
state caratterizzate dai “modi di comunicazione” e non dai
“modi di produzione”. Il modo si comunicare favorisce di volta in
volta certe strutture sociali piuttosto che altre, influenzando i
modi di produzione e i modi di gestione del potere, così come la
mentalità degli uomini.
McLuhan, proseguendo la strada di Innis, più che ricerche
empiriche, propone intuizioni e affermazioni.
Cerca di descrivere gli effetti che il passaggio da una cultura
basata sulla carta stampata a quelli audiovisivi hanno sulla
percezione e sulla sensibilità degli uomini contemporanei.
McLhuan propone anche di guardare ai mezzi di
comunicazione di massa come mezzi che a prescindere dal
messaggio che inviano, danno anche altri messaggi in base alle
loro caratteristiche, che sono indipendenti,non sono quindi solo
dei veicoli di comunicazione.
Sua è la definizione di “villaggio globale”, per intendere
come i mezzi come la tv mettono quotidianamente in contatto le
parti più distanti del mondo come una sorta di villaggio
mondiale.
Le ricerche sui mass-­media si sono poi concentrate
prevalentemente in 3 direzioni:

lo studio di diversi contenuti trasmessi, come ad
es. l'effetto di una pubblicità sui consumatori, o la
propaganda politica sugli elettori

l'effetto che l'insieme dei media ha sulla società
nel corso del tempo, in quanto influenzano grande parte
del “senso comune”

il rapporto con la cultura. L'ambiente che ci
circonda influenza la nostra esperienza e quindi alla
lunga non possiamo non venire influenzati dai media
nella percezione del mondo.
….FINE....
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