Desidero dedicare questo lavoro alla giovane

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Jacopo Francini
violoncello
BACH➠DONATONI
Desidero dedicare questo lavoro alla giovane violoncellista Giovannella Berardengo,
alla quale esprimo la massima gratitudine.
Jacopo Francini
J.S. Bach: Suite n.1 in Sol magg. BWV1007
Prélude, Allemande, Courante, Sarabande, Menuet I - Menuet II, Gigue
E. Ysaye: Sonata op. 28 in Do min.
Lento e sempre sostenuto, Poco allegretto e grazioso, Adagio. Lento,
Allegro Tempo fermo. Un poco meno mosso ma non troppo.
F. Donatoni: LAME, due pezzi per violoncello solo
LAME 1, LAME 2
J. Ibert: Ghirlanzana Quasi Adagio
G. Cassado: Suite in Re min.
Preludio (Fantasia), Sardana (Danza), Intermezzo e Danza Finale
Non è mia intenzione scrivere delle note storico musicologiche riguardanti i brani da me eseguiti in questo cd,
cosa che avrei delegato ad un musicologo, ma solo scrivere una breve introduzione all’ascolto ed al significato
da me voluto per questo lavoro.
La mia intenzione di interprete, è stata quella di tracciare un itinerario storico-musicale dedicato al violoncello e
la sua evoluzione tecnico-strumentale, partendo da un monumento quali sono le sei Suites di J. S. Bach, fino ad
un grande compositore italiano del dopoguerra come Franco Donatoni. In questo grande arco di tempo che va
dal 1720 al 1980 il violoncello ha subito una grande evoluzione tecnica e di prassi esecutiva. Questi due
compositori, antitetici come linguaggio musicale, sono il fulcro di questo percorso musicale. Per comprensibili
motivi di spazio in un unico cd, mi sono “limitato” ad inserire brani del primo 900 scritti da compositori di
diversa nazionalità come Ysaye, Ibert, Cassado.
Su Bach, credo sia già stato scritto tutto il possibile, e mi limito a scrivere che non è stata mia intenzione fare un
esecuzione puramente filologica, ma un esecuzione “moderna”, nella quale uso un violoncello moderno con
corde in acciaio, ma accordato a 415 e suonato con un arco barocco copia del 1680. Il modo di suonare,
vorrebbe essere più vicino ad un interpretazione barocca che ad una prassi esecutiva post-romantica tipica dei
grandi violoncellisti del passato da Pablo Casals a Rostropovich, e mi auguro di esserci riuscito. Dopo Bach, ho
scelto una rarità come la Sonata di E. Ysaye op. 28, da lui composta subito dopo le celeberrime 6 Sonate per
violino solo op. 27, perchè per me rappresenta, assieme alle tre suite per violoncello solo di Max Reger, una
“degenerazione” tardo romantica del linguaggio bachiano, con una evoluzione tecnico strumentale e di
linguaggio musicale che mettono a dura prova l’esecutore.
Su Donatoni non voglio aggiungere niente più di quanto sia stato scritto dal maestro e mio grande amico Luca
Cori, allievo del Maestro e suo diretto testimone che ringrazio in modo sentito per la sua collaborazione a
questo progetto, e per il notevole impulso che mi ha dato spingendomi a cimentarmi nello studio di un pezzo
cosi difficile e complesso come Lame. Mi limito ad informare l’ascoltatore che la mia interpretazione è del tutto
personale nella scelta dei tempi, non conformi a quelli indicati dal Maestro Donatoni.
Ho fatto questa scelta sia per motivi musicali, che per privilegiare la pulizia del suono, e la precisione
dell’intonazione con la percezione di ogni dettaglio della scrittura.
Anche se immensamente distanti storicamente e come linguaggio, secondo me si può trovare un’affinità fra due
grandi compositori come Bach e Donatoni, per la loro grande padronanza e maestria di usare e trasformare un
materiale musicale in un procedimento costruttivo di elaborazione, struttura portante di una composizione
musicale di entrambi.
Ho poi incluso nel cd un breve ma interessante frammento originale come la Ghirlanzana di J. Ibert, per terminare
con la celeberrima e più famosa suite per violoncello solo del grande violoncellista spagnolo G. Cassadò, pezzo
interessante e di bravura, impregnato di caliente ed affascinante folclore spagnolo, ma con spunti impressionisti
che testimoniano l’influsso che Cassadò ebbe dalla musica francese di Maurice Ravel, suo insegnante di
composizione. Per concludere vorrei ringraziare prima di tutto i miei grandi maestri come Giovanni Sollima, con il
quale ho studiato i brani che ho inciso in questo cd, Mario Brunello, Filippo Fasser, autore del violoncello e Walter
Barbiero. Sono sicuro che questo inedito percorso musicale da me proposto possa risultare interessante
all’ascolto e all’intelletto.
(Jacopo Francini)
***
Franco Donatoni è stato una figura assolutamente unica nel panorama musicale e culturale del secondo ’900, e
non solo per la sua attività di compositore, per la sua importanza come didatta, per la sua intelligenza lucida unita
a una fortissima personalità. Infatti esiste in lui un aspetto che mi ha sempre colpito particolarmente: in Franco, il
percorso artistico e quello umano non sono separati né separabili.
Il suo punto di vista è stato quello di un uomo che ha indagato a lungo e in profondità sé stesso e il proprio
mondo, bevendo il calice fino alla feccia. Franco ha vissuto come e più degli altri compositori della sua
generazione la perdita di senso di un mondo; e dalle ceneri di quel mondo disfatto ha saputo alchemicamente far
rinascere non solo uno stile, un linguaggio: soprattutto un compositore nuovo.
Questo esempio vivente è ancora per me la sua lezione più grande.
Il percorso compositivo donatoniano è fra i più complessi e affascinanti e riflette, nelle dimensioni di un
microcosmo personale, ciò che è successo ad una generazione intera di compositori dopo la metà del '900.
Gli inizi del giovane Donatoni sono bartokiani, improntati a un neoclassicismo raffinato e per nulla di maniera.
Già al principio del suo percorso Donatoni dimostra infatti di possedere un artigianato musicale perfetto e
tecnicamente assai avanzato, ma è l'incontro con Bruno Maderna la porta per la conoscenza di ciò con cui non
ha avuto fino a quel momento quasi nessun contatto: l'avanguardia postweberniana.
In ritardo di parecchi anni rispetto ai suoi colleghi e quasi coetanei, Donatoni si immerge nella pratica del
nuovo linguaggio; ma quando arriva a padroneggiarlo, fra la fine degli anni '50 e i primi '60 (momento
testimoniato da stupende e già mature opere come For Grilly), l’irrompere di Cage ha già irrimediabilmente
sconvolto ogni certezza sulle magnifiche sorti e progressive del pensiero strutturalista. Ciò che è stato appena
appreso perde importanza nei confronti del pesante emergere di una componente irrazionale che mina le
fondamenta stesse, fortemente razionalizzate, della Neue Musik: quasi ogni compositore reagisce a questa
forza centrifuga, chi cercando di addomesticare l'alea, chi modificando profondamente il proprio pensiero
formale, chi facendosi cageano tout court.
Donatoni si dedica, con la coerenza di sempre, all'unica via che gli appare praticabile: la distruzione
dell'espressione della volontà individuale del compositore per mezzo di un artigianato sempre meno
compositivo e sempre più da inventore. Le opere di questo periodo allontanano sempre più il compositore dal
risultato finale, quello puramente sonoro. Sono esiti che dipendono da complesse strategie formali spesso
articolate da elementi casuali o combinate in maniera da produrre la massima indeterminazione. È una sorta di
discesa verso gli inferi, che sembra voler coincidere con una tensione verso l'annullamento personale.
Fortunatamente, questo percorso si arresta nei primi anni '70 e cede il passo a una risalita che si configura
sempre più come una vera e propria rinascita.La riscoperta del valore positivo dell'artigianato, l'esercizio
compositivo come esaltazione della fantasia e non più come sua umiliazione, il riscatto del piacere come una
delle possibilità insite nell'atto del comporre: gli ultimi trent'anni di attività di Donatoni sono un esempio
luminoso di come una riconciliazione con il passato non debba essere intesa necessariamente in senso
regressivo (per esempio neoclassicamente), ma sia sempre possibile anche in senso progressivo.
Il suo "terzo stile" dimostra come Donatoni sia da considerare un grande classico non perché appartenga
ormai al passato, ma perché con la sua opera ha marcato un'epoca, anche in senso intellettuale: dopo
l’inaridimento ideologico degli anni ’50 - ’70, ha indicato una via coerente e soprattutto tanto ricca di
possibilità quanto cosciente della propria storia.
Ciò che illumina la concezione del comporre dell’ultimo Donatoni è, per usare le stesse parole di Franco,
l'esercizio ludico dell'invenzione.
Benché sia una caratteristica poetica costante, questo gioco è particolarmente trasparente nei suoi lavori per
strumento solo - che hanno come firma formale la bipartizione; sono lavori in cui l'esecutore deve confrontarsi
non soltanto con esigenze tecniche il più delle volte virtuosistiche, ma anche con uno scintillante labirinto
formale ed espressivo da ricostruire con tutta l'intelligenza, la profondità e la partecipazione che si possano
richiedere ad un interprete.
Altra caratteristica squisitamente donatoniana è la costituzione di più opere in gruppi o cicli; opere basate
tutte sullo stesso materiale il quale viene manipolato, indagato, riletto fino alle sue ultime conseguenze
rendendo così evidente il principio di variazione continua quale vero motore della tecnica compositiva
donatoniana.
(Luca Cori)
Jacopo Francini, nato a Firenze nel 1968, ha iniziato lo studio del violoncello a dieci anni. Dopo aver studiato
con il M° Franco Rossi al Conservatorio “L.Cherubini” di Firenze, si è poi diplomato con il massimo dei voti e
la lode al Conservatorio “B. Marcello” di Venezia con il M° A.Vendramelli.
Ha partecipato a corsi di perfezionamento con YoYo Ma, K. Geogian, D. Geringas, R. Filippini, P. Muller, A.
Nannoni, per cinque anni alla Fondazione “R. Romanini” di Brescia con Mario Brunello e attualmente con
Giovanni Sollima.
Vincitore di concorsi violoncellistici quali Vittorio Veneto, Chieti, Biella, ha svolto un intensa attività cameristica
che lo ha portato ad avere affermazioni in concorsi quali Vittorio Veneto (Premio Speciale per Duo), Casale
Monferrato, Pinerolo, Stresa, Bari, Trieste, Busalla, Palmi.
Come solista si è esibito in molteplici occasioni eseguendo con l’Orchestra del Teatro Verdi di Trieste il
concerto di E. Elgar diretto dal M. L. Zagrosek, il concerto di F. Margola diretto dal M° P. Longo, il concerto di
N. Rota diretto dal M° C. Rovaris, il Triplo Concerto di Beethoven con la Filarmonica di Zagabria ed il concerto
di Schumann con l’orchestra giovanile di Friburgo.
Per venti anni ha ricoperto il ruolo di primo violoncello presso la “Fondazione Teatro Verdi” di Trieste oltre ad
aver collaborato nel medesimo ruolo con l’Orchestra Nazionale Rai, l’Orchestra del Maggio Musicale
Fiorentino, l’Orchestra Regionale Toscana, l’Orchestra Filarmonica Marchigiana, l’Orchestra Sinfonica de
Tenerife, l’Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma, suonando con direttori quali Zubin Metha, S. Bichkov, R.
Muti, W. Sawallish, G. Bertini, E. Inbal, Y. Aronovich, Fedoseyev, D. Oren, D. Renzetti, S. A. Reck, W. Nelson, P.
Steinberg, N. Santi, U. Sudan, ecc.
Ultimamente insieme al M° Mauro Muraro, primo contrabbasso del Teatro Verdi, ha fondato il Duo Rossini,
formazione inusuale con la quale ha effettuato numerosi concerti in Italia e all’estero.
Attualmente è docente di Musica da Camera presso il Conservatorio "E. R. Duni"di Matera.
CREDITI
Registrato e mixato da Dario Caroli a Terzo di Aquileia (Gorizia)
Jacopo Francini suona uno strumento copia Maggini del M° Mario Brunello
costruito dal M° Filippo Fasser nel 2010.
Foto di Jacopo Francini di Phocus Agency
Grafica e produzione: Amadeus Arte
© 2014 Amadeus Arte. N. Cat. AA14001
www.amadeusarte.com
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