Storia della ricerca sulla Fusione Termonucleare Controllata mediante confinamento magnetico Franca MAGISTRELLI Se la libertà significa qualcosa, allora significa il diritto di dire alle persone cose che esse non vogliono sentire. George ORWELL Ottobre 2009 1. INTRODUZIONE 2. IL PROBLEMA DELLA FUSIONE TERMONUCLEARE CONTROLLATA 3. DISPOSITIVI PER LA RICERCA FUSIONISTICA BASATI SUL CONFINAMENTO MAGNETICO 4. IL TOKAMAK 5. VERSO L’ENERGIA DA FUSIONE CON CONFINAMENTO MAGNETICO 6. LA RICERCA SUI PLASMI E SULLA FUSIONE IN ITALIA 7. CONCLUSIONI- “PARADISE LOST” 1-1 1 – INTRODUZIONE Lo studio della fusione nucleare e della ricerca che in proposito si è svolta e si svolge è di grande importanza; e ciò per due differenti motivi. In primo luogo vi è l’interesse di carattere puramente scientifico. Basti in questo senso pensare all’astrofisica; e basti pensare al fatto che a reazioni di fusione è dovuta l’energia irradiata dalle stelle; in particolare dal nostro Sole. C’è poi l’interesse applicativo, in quanto si può pensare di procedere con una ricerca che porti in definitiva alla realizzazione di un reattore a fusione e quindi alla produzione di questo tipo di energia (Fusione Termonucleare Controllata, FTC). Ma proprio per quanto riguarda l’interesse applicativo si deve purtroppo constatare che, malgrado i notevoli finanziamenti che nel mondo vengono destinati a questa ricerca, essa viene condotta in massima parte in modo inadeguato e, a priori, fallimentare. Ad aggravare la situazione c’è poi il fatto che l’informazione che in proposito viene fornita sia da un buona parte degli addetti ai lavori che da varia stampa, anche qualificata, è molto spesso carente, errata e fuorviante. Ci si domanda allora: perché? Con una ragionevole conoscenza del problema ognuno è in grado di fare le sue ipotesi. E ciò che si vuole fare con questo articolo è appunto rendere disponibile una informazione veritiera e, anche se concisa, il più possibile completa circa lo svolgimento della ricerca sulla FTC nel mondo, in Europa, in Italia. Lo si farà limitandosi alla ricerca svolta impiegando dispositivi che usano il confinamento magnetico del plasma. C’è da tenere presente che la ricerca sul confinamento inerziale comporta delle implicazioni belliche, ed è quindi coperta in buona parte da segreto militare. Buona parte di ciò che verrà detto è già stato scritto, da vari autori oltre che da me, in diversi documenti: articoli, note, lettere. In particolare si vuole segnalare l’articolo pubblicato sulla rivista ANALYSIS nel 2006 /1/. Si vuole anche suggerire la lettura degli articoli di E.Pedretti apparsi sulla rivista VUOTO, Scienza e Tecnologia negli anni 1984, 1988, 1991 /2/, /3/, /4/. Tuttavia, poiché il presente articolo, che ha un carattere essenzialmente storico, si rivolge prevalentemente ad un pubblico costituito da non addetti ai lavori, mi è sembrato opportuno premettere, nel prossimo paragrafo, alcuni cenni sul problema della fusione termonucleare controllata, in una maniera il più possibile semplice e senza troppo entrare nei dettagli della fisica che è alla base del funzionamento dei vari dispositivi. Spero che questa ricostruzione storica possa in qualche modo risultare utile, anche se certo non mi illudo che possa, almeno nell’immediato, servire a modificare le cose. Però si può forse guardare con un pò di ottimismo e di speranza ad un futuro più lontano. In questo senso mi pare appropriata una frase di Roberto Saviano presa dal suo recente libro La bellezza e l’inferno: “Lasciare memoria, scrivere, è in qualche modo un attestato di fiducia verso l’uomo, verso le nuove generazioni”. 2-1 2 – IL PROBLEMA DELLA FUSIONE TERMONUCLEARE CONTROLLATA E’ noto che se si fornisce sufficiente energia a dei nuclei di elementi leggeri essi possono “fondersi” e che in questo processo si libera energia che può quindi venire utilizzata. Le reazioni di fusione che realisticamente vengono considerate ai fini pratici coinvolgono gli isotopi dell’idrogeno (il deuterio e il trizio) e l’elio3. Fra queste reazioni quella che ha più possibilità di essere innescata a temperature raggiungibili in un ipotetico reattore a fusione è la reazione deuterio–trizio che genera neutroni con un’energia di circa 14 MeV e particelle α con un’energia di circa 3,5 MeV. Fissiamo quindi per il momento la nostra attenzione su questa reazione. Per risolvere il problema della fusione termonucleare controllata si può quindi pensare di realizzare in un primo tempo un plasma∗ di deuterio-trizio avente una densità di particelle n elevata (≥ 1013cm-3) e una temperatura T sufficientemente alta (100-1000 milioni di gradi centigradi) per dare ai nuclei di deuterio e trizio l’energia necessaria per vincere la repulsione elettrostatica, e di confinarlo per un tempo τ sufficientemente lungo per dare modo alle reazioni di fusione di verificarsi. In un reattore i neutroni generati nelle reazioni di deuterio e trizio sfuggendo dal plasma verrebbero catturati in un mantello posto attorno al plasma stesso, nel quale essi rigenererebbero il trizio per reazione con il litio contenuto nel mantello. Questa rigenerazione si rende necessaria perché il trizio, essendo radioattivo con un tempo di dimezzamento piuttosto breve (∼ 12 anni), non esiste in natura in quantità significative. Il calore prodotto dai neutroni verrebbe prelevato e usato per produrre elettricità con un convenzionale ciclo termico. Le particelle α, elettricamente cariche, possono invece essere confinate all’interno del plasma e quindi cedergli la loro energia, riscaldandolo ulteriormente. Se questa energia viene prodotta in quantità sufficiente, cioè se il numero delle reazioni è abbastanza elevato, è possibile superare le perdite di energia che il plasma subisce verso l’esterno. La situazione in cui la potenza di fusione prodotta uguaglia quella che si deve iniettare per riscaldare e confinare il plasma viene detta pareggio (breakeven). Naturalmente questa condizione va superata perché ciò che conta ai fini pratici è la produzione netta di energia. La situazione da raggiungere in definitiva è quella in cui la potenza fornita al plasma dalle particelle α (che è circa 1/5 della potenza totale di reazione) è sufficiente per compensare le perdite di energia. In queste condizioni di ignizione il plasma è in grado di autosostenersi. Per raggiungere questa situazione è necessario, come è logico e come sopra accennato, che la temperatura, la densità e il tempo di confinamento siano sufficientemente grandi, o lo sia una qualche loro combinazione. Esiste a questo riguardo il ben noto criterio di Lawson che, in base a considerazioni di bilancio energetico e tenendo conto delle perdite,stabilisce per il prodotto nτ un valore non inferiore a circa 1014cm-3s, ferma restando l’esigenza di una temperatura elevata. Si usa spesso dare graficamente i valori di nτ in funzione di T per il pareggio e per l’ignizione con delle curve che sono del tipo di quelle indicate in Fig. 2-1. Sull’uso di questo tipo di grafico avremo modo di parlare più avanti in tema di dispositivi di tipo tokamak (par. 5.4.1). Dimostrare la fattibilità scientifica della fusione termonucleare controllata significa riuscire a portare il plasma in condizioni di ignizione in una esperienza di laboratorio. E ci sembra importante chiarire il significato di questa terminologia, valida per ogni nuova idea ∗ Plasma (detto anche “quarto stato della materia”) è in pratica un gas completamente ionizzato, cioè una miscela globalmente neutra di ioni ed elettroni. 2-2 tecnologica, perché molto spesso essa viene usata in modo improprio. Ed anche su questo torneremo più avanti. Solo dopo avere raggiunto questo fondamentale traguardo si potrebbe pensare al reattore prototipo e successivamente al reattore commerciale. Fig. 2-1 Da anni nelle macchine a fusione esistenti nel mondo e operanti con solo deuterio si producono reazioni di fusione alle quali è ovviamente associata una produzione di energia. Però la fattibilità scientifica della fusione termonucleare controllata resta ancora da dimostrare, nel senso che l’ignizione, come pure il pareggio, non è stata a tuttoggi realizzata. Il confinamento di un plasma, che ha luogo spontaneamente nelle stelle a causa della rilevante forza di gravità connessa con le enormi masse in giuoco, può ottenersi in laboratorio con due diversi sistemi: a) Confinamento inerziale – In questo sistema si comprime a densità elevatissima (maggiore di circa mille volte la densità del liquido) una pallina di deuterio-trizio per mezzo di fasci laser o di particelle cariche. I tempi di compressione sono brevissimi, per modo che il combustibile, vincolato dalla sua stessa inerzia, brucia prima di potersi disperdere. Il criterio di Lawson viene soddisfatto con densità di plasma maggiori di 1024cm-3 e con tempi di confinamento minori 10-10s. b) Confinamento magnetico - Qui il plasma, essendo una miscela di particelle cariche, viene tenuto lontano dalle pareti del contenitore da opportuni campi magnetici. In questo caso si può avere, tipicamente, un tempo di confinamento di 1s con una densità dell’ordine di 1014cm-3. Uno dei problemi più difficili da risolvere in entrambi i tipi di confinamento è quello dell’instabilità. Nel caso del confinamento magnetico si suole dividere le instabilità in due diverse categorie: macroscopiche e microscopiche. Le instabilità macroscopiche si possono spiegare considerando il plasma come un fluido globalmente neutro e fortemente conduttore; e in questo quadro va studiato il suo comportamento sotto l’azione di forze di natura elettromagnetica. Queste instabilità consistono in movimenti globali e osservabili del plasma, che ne alterano la configurazione fino a portarlo in tempi brevissimi, a contatto con le pareti del contenitore. Instabilità macroscopiche sono ad esempio la così detta 2-3 “sausage instability” che si manifesta con rigonfiamenti e restringimenti della colonna di plasma; oppure la “kink instability”. Meno gravi delle macroscopiche, le instabilità microscopiche sono dovute a piccoli scostamenti dalle condizioni di equilibrio termodinamico, i quali comportano il nascere e il crescere di onde interagenti con altre onde e con particelle; il loro effetto dannoso è rappresentato da minuscole fughe intermittenti che determinano una graduale perdita di plasma attraverso le linee del campo magnetico. Proprio per la loro natura le instabilità microscopiche non sono osservabili direttamente; esse vengono rilevate da perturbazioni nei segnali degli strumenti usati per osservare il plasma. Prima di chiudere questo paragrafo torniamo per un momento ad esaminare il problema della scelta del combustibile da impiegare. Come si è detto, è ragionevole pensare di utilizzare la reazione DT –che è più facile da innescare rispetto ad altre reazione coinvolgenti elementi leggeri (deuterio-elio3, protone-litio6, protone-boro11, ecc.) – solo per una fase sperimentale in una macchina progettata per l’ignizione. Ciò perché i neutroni da 14 MeV prodotti nelle reazioni DT, essendo neutri, sfuggono dal plasma e arrivano sulle strutture della macchina attivandole e dando così luogo a problemi di sicurezza ed ambientali. Per cui non si può parlare di energia pulita (senza con questo voler fare confronti con l’energia da fissione). E quanti più neutroni si producono, e quanto più essi sono energetici, tanto meno pulita è l’energia che si produce. Si può pensare però di raggiungere temperature più grandi, cioè sufficienti a portare all’ignizione un plasma di deuterio-elio3 (plasma D3He). La reazione D3He, oltre a non coinvolgere il trizio, non origina neutroni (se non quelli, in numero minore, generati in reazioni collaterali e secondarie) ma solo particelle α e protoni. Non ci sono quindi problemi connessi con l’attivazione dei materiali strutturali. Inoltre le particelle α e i protoni, essendo particelle cariche potrebbero essere utilizzati direttamente per ricavare energia elettrica (conversione diretta), senza passare per un ciclo termico con la conseguente perdita di rendimento della macchina. In questo tipo di reattore non occorrerebbe più quindi circondare il plasma con un mantello e si otterrebbe così una riduzione notevole delle difficoltà tecnologiche. Inoltre, poiché il processo di conversione diretta richiede di convogliare le particelle cariche verso un qualche dispositivo apposito, il carico termico sulle pareti risulterebbe alleggerito. L’ignizione di un plasma di D3He potrebbe essere facilitata usando un plasma DT come innesco. Si tratterebbe cioè di sostituire il trizio con l’elio3 nel plasma ignito DT. La difficoltà si trasferirebbe allora al fatto che l’elio3 è molto scarso in natura e bisogna produrlo partendo da altri elementi. Per esempio, lo si può ottenere dal decadimento del trizio presente nelle testate nucleari; e questo sarebbe sufficiente per sostenere un programma sperimentale. Per quanto riguarda il lungo termine, può essere interessante accennare al fatto che da tempo sono in corso in America, in particolare alla NASA, degli studi per il prelievo dell’elio3 dalla superficie lunare. Negli anni più recenti anche la Cina e l’India si sono impegnate in questo tipo di ricerche. 3-1 3 – DISPOSITIVI PER LA RICERCA FUSIONISTICA BASATI SUL CONFINAMENTO MAGNETICO 3.1 Generalità L’effetto di un campo magnetico sul moto delle particelle cariche può essere sfruttato ai fini del confinamento di un plasma. Uno dei primi sistemi per confinare un plasma portandolo ad elevati valori di densità e temperatura, è stato quello basato sull’effetto di compressione (pinch effect). Si sfrutta qui l’interazione tra la corrente che fluisce in un tubo di scarica e il campo magnetico generato dalla corrente stessa. Questa interazione genera, come è noto, una forza che comprime il plasma verso l’asse del tubo. Esistono due tipi di pinch. Nello Z-pinch (Fig. 3-1a) un campo elettrico applicato lungo l’asse del tubo produce una corrente I che a sua volta dà luogo ad un campo magnetico B. Nel θ-pinch invece (Fig. 3-1b) il campo magnetico B è creato da una corrente che fluisce in direzione θ in una bobina posta al di fuori del tubo di scarica. Fig. 3-1 Imponendo l’equilibrio tra la pressione esercitata dal campo magnetico e quella esercitata dal gas, si trovano per la corrente dei valori elevatissimi (dell’ordine dei milioni di ampere). Una ulteriore difficoltà è poi dovuta all’insorgere di quelle instabilità che caratterizzano una scarica soggetta a compressione. Nelle macchine più recenti si è allora adottato un funzionamento pulsato. In questo modo si fa fluire una corrente molto elevata per un tempo molto breve (una piccola frazione di secondo). Si può così riuscire ad ottenere valori elevati della densità e della temperatura del plasma prima dell’insorgere delle instabilità. Per quanto riguarda invece le configurazioni, esse possono essere aperte o chiuse. Vediamole un po’ più in dettaglio. 3.2 Configurazioni aperte Fra i primi tentativi di realizzare il confinamento magnetico del plasma sono da ricordare le configurazioni lineari a specchio e a cuspide (v. Figg. 3-2a e 3-2b). La differenza fra 3-2 queste due consiste nel fatto che mentre nella configurazione a specchio la corrente elettrica circola nello stesso senso in entrambe le bobine, nella configurazione a cuspide circola in sensi opposti. Di conseguenza le linee del campo magnetico B sono quelle rappresentate nelle figure. Nella configurazione a specchio le particelle sono riflesse avanti e indietro fra le due bobine e, se non è soddisfatta una opportuna relazione tra la velocità e il campo magnetico, esse possono sfuggire dalle estremità lungo l’asse z. Nel caso della cuspide le perdite si verificano anche lungo la cuspide anulare. a) b) Fig. 3-2 Per limitare le perdite delle particelle agli estremi sono impiegati dei dispositivi molto complessi, che non vogliamo qui descrivere in dettaglio, costituiti da “tappi terminali” (end-plugs) in combinazione con iniettori di particelle e di onde elettromagnetiche. Il tutto allo scopo di modificare opportunamente il campo magnetico e quello elettrostatico agli estremi /5/. Sono stati impiegati tre tipi di end-plugs, che sono rappresentati nelle Figg. 3-3a, 3-3b, 33c. a) b) c) Fig 3-3 In un primo dispositivo alle due bobine che realizzano lo specchio viene aggiunto un sistema di conduttori lungo l’asse (barre di Ioffe) come mostrato in Fig. 3-3a. Oppure si sostituisce alle bobine circolari un’unica bobina di forma simile a quella della saldatura di una palla da tennis (bobina baseball) (Fig. 3-3b). O ancora un sistema di due bobine la cui forma è mostrata in Fig. 3-3c (bobine Yin – Yang). 3-3 Su questo concetto sono basate le macchine Tandem Mirror che consistono in una serie di bobine coassiali percorse da correnti concordi e corredate appunto di tappi terminali. 3.3 Configurazioni chiuse Per limitare le perdite di plasma parallele al campo magnetico si è pensato di ricorrere a delle configurazioni chiuse, per esempio ripiegando su se stesso un solenoide in modo da ottenere una configurazione toroidale. Però in una tale configurazione il campo magnetico è disuniforme, la sua intensità essendo inversamente proporzionale alla distanza dall’asse di simmetria del toro. In questa situazione appaiono allora due moti di deriva, prodotti uno dalla disuniformità del campo magnetico, e l’altro dalla forza centrifuga dovuta alla curvatura delle linee di forza. Il moto di deriva risultante è verticale, in verso opposto per cariche di diverso segno. La separazione di cariche che così si produce genera un campo elettrico verticale, come indicato in Fig. 3-4; si produce quindi una velocità di deriva che ha la stessa direzione per gli ioni e per gli elettroni per modo tale che tutto il plasma viene spinto verso l’esterno. Fig. 3-4 Per avere confinamento bisogna quindi fare ricorso ad un sistema più complesso. Ciò viene fatto aggiungendo al campo magnetico toroidale BT un campo magnetico poloidale Bp, per modo che le linee di forza risultanti sono delle eliche che si avvolgono su superfici di forma toroidale dette superfici magnetiche (v. Fig. 3-5). Per ogni giro toroidale una linea di forza ruota poloidalmente di un angolo ι (trasformata rotazionale); la grandezza q=2π/ι (fattore di sicurezza) rappresenta il numero di giri toroidali che la linea di forza effettua per ogni giro poloidale completo. Fig. 3-5 3-4 In una configurazione magnetica così fatta la deriva verticale viene compensata dal fatto che una particella carica, seguendo una linea di forza, si trova a passare per punti situati sopra e sotto il piano equatoriale, punti nei quali l’effetto di deriva è contrario; quindi globalmente la deriva viene annullata e così si può avere confinamento. Una configurazione elicoidale del campo magnetico B può ottenersi con due diversi metodi. In un primo metodo si usano avvolgimenti elicoidali posti tra la camera da vuoto e le bobine toroidali. La macchina che utilizza questo metodo è chiamata Stellarator. Uno stellarator classico oltre alle bobine per il campo toroidale è dotato di l coppie di avvolgimenti elicoidali, come è mostrato nella Fig. 3-6 per il caso l = 3 /6/. Fig. 3-6 Fig. 3-7 Una variante è costituita dalla macchina Torsatron che ha solamente l avvolgimenti elicoidali con correnti tutte nella stessa direzione, come rappresentato nella Fig. 3-7. Il secondo metodo consiste nel creare una corrente elettrica toroidale in seno al plasma. Su questo metodo è basato il dispositivo Tokamak sul quale ora non ci soffermiamo in quanto sarà trattato al par.4, nonché lo Z-pinch toroidale stabilizzato (macchina Z che sarà descritta più avanti), e il dispositivo Reversed Field Pinch (RFP). Però, a seconda del valore della densità di corrente si possono avere tre diverse configurazioni. Il parametro più utile per distinguerle è il fattore di sicurezza q , già introdotto, che è funzione crescente del raggio r e che si può scrivere come q(r)= (r/R0)(BT/Bp). Per evitare che si inneschi una instabilità di kink bisogna che il fattore di sicurezza al bordo del plasma, q(a), sia diverso da 1. Si possono allora presentare tre diverse situazioni. Se q(a) è maggiore di 1 la configurazione che si ottiene è un tokamak. Se invece q(a) è, fino ad un certo limite, minore di 1 si ottiene la configurazione che viene chiamata Z-pinch toroidale stabilizzato (vedi macchina Z). Diminuendo ulteriormente il valore di q(a) si ottiene poi la configurazione denominata Reversed Field Pinch. L’idea base di RFP è quella di avere, a parità di campo magnetico toroidale, una densità di corrente più elevata rispetto a quella dello Z-pinch toroidale stabilizzato; ciò allo scopo di migliorare sia il riscaldamento ohmico che il confinamento. Come conseguenza di ciò le condizioni di equilibrio impongono un rovesciamento del campo magnetico toroidale al bordo del plasma, nel senso che esso ha direzioni opposte internamente ed esternamente al plasma. 3-5 Nella Fig. 3-8 è rappresentato l’andamento temporale dei campi Bt e Bp al bordo del plasma (r = a). Nella Fig 3-9 è invece mostrato l’andamento radiale di equilibrio dei due campi. La Fig. 3-10 mostra le linee del campo elicoidale risultante. Fig. 3-8 Fig. 3-9 Fig. 3-10 4-1 4 – IL TOKAMAK 4.1 Che cos’è un tokamak Passiamo ora a descrivere brevemente il principio di funzionamento di un tokamak, che fra i vari dispositivi di confinamento magnetico è quello che finora è sembrato più promettente e che è stato maggiormente studiato. Lo schema di un tokamak è riportato in Fig. 4-1. Fig. 4-1 Il plasma, contenuto in una opportuna camera da vuoto, ha una configurazione toroidale, che può essere a sezione circolare, con raggio minore a e raggio maggiore R0. Si definisce a questo proposito un rapporto di aspetto A = R0/a. Per migliorare alcune caratteristiche di un tokamak però, spesso si fa in modo che la colonna di plasma abbia una sezione elongata del tipo di quella rappresentata in Fig. 4-2. Fig. 4-2 4-2 Attorno alla camera di scarica è posto un sistema di bobine che genera un campo magnetico toroidale BT che può arrivare ad essere dell’ordine di 10 T. Il trasformatore centrale induce nel plasma una corrente toroidale Ip che a sua volta produce il campo magnetico poloidale Bp. Le bobine di controllo producono un campo magnetico con componente verticale prevalente, che ha la funzione di centrare ed eventualmente stabilizzare l’anello di plasma. In Fig. 4-3 sono rappresentati gli andamenti radiali dei campi BT e Bp. Fig. 4-3 Il campo poloidale naturalmente è diverso da zero per il tempo limitato in cui varia la corrente nel primario del trasformatore, quindi difficilmente per più di mezzo minuto. Ne segue che il funzionamento di un tokamak è pulsato. Un impulso tipico è mostrato nella Fig. 4-4 /7/ e corrisponde alla seguente sequenza di eventi. Si vuota la camera ad una pressione di circa 10-10 torr. Si dà poi corrente (iTOR) al magnete toroidale fino a raggiungere il valore di pianerottolo. A questo punto si introduce nella camera la miscela DT a circa 10-3 torr e si dà corrente (iPRI) al primario del trasformatore. Quest’ultima operazione deve avvenire in quattro stadi successivi: AB – Preionizzazione del gas BC – Eccitazione e salita della Corrente di plasma CD – Corrente di plasma costante (flat top) DE – Estinzione della corrente di plasma Il plasma viene confinato durante il flat top; in questo periodo se sono soddisfatte le necessarie condizioni, avvengono le reazioni di fusione. Fig. 4-4 4-3 Come si è visto, bisogna poi, con un qualche sistema, poter portare il plasma a temperature molto elevate, dell’ordine di 100- 1000 milioni. Il sistema più naturale di riscaldamento del un plasma di un tokamak è quello che sfrutta la corrente stessa del plasma (riscaldamento ohmico). Però, poiché la resistività del plasma decresce all’aumentare della temperatura, al di là di un certo valore di T il meccanismo di riscaldamento ohmico perde efficacia e può essere necessario ricorre a dei sistemi di riscaldamento addizionale. Fra questi sistemi di riscaldamento citiamo: l’iniezione di particelle neutre e il riscaldamento con onde elettromagnetiche. Esaminiamole sommariamente. Iniezione di neutri – Si fa passare un fascio di ioni ad alta energia in una camera di neutralizzazione dove gli ioni vengono neutralizzati senza perdere molta energia. Le particelle neutre così ottenute, non subendo l’azione del campo magnetico, possono penetrare nel plasma dove vengono nuovamente ionizzate e si termalizzano riscaldando il plasma. Esistono problemi tecnici relativi sia all’intensità e alla collimazione del fascio, che al rendimento del trasferimento di energia dal fascio al plasma. Riscaldamento con onde elettromagnetiche – Si lanciano nel plasma onde elettromagnetiche a certe frequenze caratteristiche del plasma (frequenza di ciclotrone ionica ed elettronica, frequenze ibride superiore e inferiore) che sono funzioni del campo magnetico e anche della densità di plasma (nel caso delle frequenze ibride). Queste frequenze possono cadere nel campo delle radiofrequenze o delle microonde. Il plasma sarà in grado di assorbire energia mediante dei fenomeni di interazione con le onde elettromagnetiche, fenomeni che sono molto complessi. E’ importante che la potenza assorbita venga termalizzata, altrimenti possono avere luogo instabilità. In effetti, il degrado del confinamento all’aumentare della potenza di riscaldamento costituisce un serio problema. Nel tokamak l’instabilità macroscopica più preoccupante è quella di kink alla quale si è già fatto cenno al par. 2. Quando essa si innesca la colonna di plasma comincia a contorcersi e finisce con il dare luogo ad una disrupzione. Per evitare questa instabilità è necessario che il campo magnetico toroidale sia o al di sopra o al di sotto di una certa fascia di valori. I ricercatori fusionisti hanno preferito fin dall’inizio orientarsi verso i campi magnetici al di sotto di detta fascia. E su questo importante argomento torneremo tra breve. Tanto l’iniezione di atomi neutri che l’iniezione di una radiofrequenza possono servire per ottenere il funzionamento continuo di un tokamak (current drive). Si tratta cioè di riuscire a far circolare la corrente di plasma anche dopo l’azione induttiva del trasformatore. Nel caso di una radiofrequenza accade che, a certe frequenze, l’onda cede parte della sua energia agli elettroni facendoli circolare, e quindi producendo una corrente in direzione toroidale. Vediamo perché il funzionamento continuo è importante. Riferendosi alla Fig. 4-4 ed indicando con TFT la durata del flat top e con TC la durata dell’intero ciclo, si definisce un duty cycle come FDC = T FT /TC. Per evitare problemi derivanti da sollecitazioni termomeccaniche dovute alle contrazioni ed espansioni provocate dalle variazioni cicliche di temperatura, FDC dovrebbe essere circa il 100%. Ciò può essere molto importante in un reattore. 4.2 Grandi tokamak e tokamak compatti Non esiste in realtà un criterio preciso per stabilire se un tokamak debba considerarsi grande o piccolo. Comunque, prendendo come parametro di riferimento R0, può essere ragionevole la seguente suddivisione: grandi tokamak R0≥2m ; tokamak medi 1,2<R0<2m ; piccoli tokamak R0≤1,2 m 4-4 Ciò premesso per ottenere le condizioni di ignizione di un plasma in un dispositivo tokamak si può pensare di seguire due diverse linee; linee che corrispondono a due diversi modi per ottenere valori elevati del prodotto nτ. Si può infatti cercare di realizzare tempi di confinamento lunghi con densità basse. Ciò richiede macchine di grandi dimensioni e conduce di conseguenza a tempi di costruzione e a costi molto elevati. Inoltre le incognite a cui si va incontro in termini di comportamento fisico del plasma e di probabilità di ignizione sono rilevanti. La linea alternativa è quella di realizzare tempi di confinamento più brevi con densità elevate. Le minori dimensioni del dispositivo rendono qui possibile l’applicazione di campi magnetici più alti; si possono quindi sostenere maggiori densità della corrente che circola nel plasma, da cui la possibilità di ottenere più elevate densità di plasma. Vengono così prodotti “plasmi termonucleari”, nei quali il riscaldamento è dovuto essenzialmente alle particelle α. Nelle macchine più grandi ed a più bassa densità, è necessario l’impiego di fonti esterne di riscaldamento (fasci di neutri, radiofrequenze, etc.); e questo fa sì che il plasma prodotto non sia effettivamente un plasma termonucleare. Si può fra l’altro vedere che valori elevati del campo magnetico e dimensioni compatte della macchina rendono possibile spingere la corrente di plasma a valori piuttosto elevati senza incorrere in instabilità. E’ poi di grandissima importanza il fatto, verificato sperimentalmente, che in macchine ad elevata densità il grado di impurezza del plasma (cioè la percentuale di elementi pesanti in esso presenti) è praticamente trascurabile. Poiché prevalentemente agli elementi pesanti sono collegate le perdite di energia per irraggiamento, una presenza apprezzabile di questi elementi può, da sola, pregiudicare il raggiungimento delle condizioni di ignizione. Naturalmente la necessità di operare con campi magnetici e con correnti elevate comporta problemi tecnologici che divengono importanti qualora si abbia a che fare con un reattore anziché con una macchina sperimentale. D’altra parte è logico assumere come obiettivo prioritario la dimostrazione della fattibilità scientifica della fusione nonché lo studio del comportamento, attualmente incognito, di un plasma ignìto, rimandando ad una fase successiva la trattazione dei problemi reattoristici. E in questa strategia è evidente il vantaggio delle macchine compatte. In base a quanto detto ci si sarebbe dovuti aspettare che la ricerca con i tokamak si fosse orientata prevalentemente sui dispositivi compatti; e invece quello che è avvenuto è esattamente il contrario. Nel prossimo paragrafo, dedicato allo svolgimento, in ambito internazionale, della ricerca fusionistica con confinamento magnetico, si cercherà di capire quali siano state le ragioni che hanno condotto a tale scelta. 5-1 5 – VERSO L’ENERGIA DA FUSIONE CON CONFINAMENTO MAGNETICO 5-1 Gli inizi Nella storia della fisica la fusione nucleare fa il suo ingresso negli anni ’20. Nel 1920 infatti l’astronomo inglese Eddington avanzò l’ipotesi che l’energia emanata dal sole fosse dovuta a reazioni di fusione. Successivamente, nel 1929, Atkinson e Houtermans /8/ pubblicarono un lavoro scientifico in proposito. La loro teoria fu successivamente perfezionata da Weizsäker /9 /, da Gamov e Teller /10 / e da Bethe /11/. Negli anni ’30 gli scienziati presero quindi in considerazione la possibilità di ottenere anche sulla Terra energia da fusione nucleare. Però le reazioni di fusione che avvengono nelle stelle hanno tempi caratteristici dell’ordine di miliardi di anni e la potenza liberata per unità di massa è molto piccola. Se la potenza totale da esse liberata è enorme, ciò è dovuto al fatto che anche la loro massa è enorme. Per produrre sulla Terra energia da fusione devono quindi essere prese in considerazione altre reazioni con tempi caratteristici molto più brevi. E poiché comunque bisogna poter portare i nuclei interagenti ad energie elevatissime, la cosa sembrò impossibile. Sono però stati i progressi successivamente ottenuti nello sviluppo di energia da fissione a riportare l’interesse sulla possibilità di ottenere energia da processi di fusione nucleare. Infatti, com’è ben noto, nel 1945 venne realizzata la prima bomba atomica (bomba A); e successivamente, nel 1952, negli USA sotto la guida di Teller venne realizzata la prima esplosione termonucleare (bomba H). In essa veniva utilizzata l’energia prodotta da una esplosione atomica per innescare reazioni di fusione. Nel 1953 anche i russi realizzarono una esplosione termonucleare. Le prime ricerche sulla fusione furono quindi effettuate a scopo militare, ed erano coperte di conseguenza da segreto. E in ogni caso si trattava di realizzare la produzione di energia da fusione sotto forma esplosiva, cioè incontrollata. Ciò però fece sì che avessero inizio anche ricerche riguardanti la fusione termonucleare controllata (FTC), che anche esse in un primo tempo vennero condotte secondo programmi protetti da segreto. Queste ricerche iniziarono negli anni ’50 in USA, URSS, Gran Bretagna, Francia. Però alla conferenza di Ginevra del 1958 fu deciso di abolire ogni vincolo di segretezza sulla ricerca fusionistica con confinamento magnetico. Negli Stati Uniti la ricerca sulla FTC venne condotta fondamentalmente negli anni ’50 nel contesto del “Progetto Sherwood” svolto dalla Commissione Americana per l’Energia Atomica /12/. Vogliamo qui appresso dare un cenno sui principali dispositivi che sono stati realizzati nel mondo, elencandoli per quanto possibile nell’ordine secondo il quale nei paragrafi 3 e 4 sono stati descritti i loro principi di funzionamento. 5-2 Configurazioni aperte Per quanto riguarda le configurazioni aperte o lineari, vogliamo iniziare con il citare la macchina Scylla (a specchio) e la Picket Fence (a cuspide), entrambe realizzata a Los Alamos negli anni 50 /13/. Per entrambe queste macchine la lunghezza della camera da vuoto era di circa 1 m. Un pò più grande (270 cm di lunghezza e 45 cm di diametro) era la camera da vuoto della macchina Pyrotron (a specchio) costruita a Livermore circa negli stessi anni /14/. A causa delle perdite dagli estremi, il plasma introdotto nella camera da vuoto restava confinato nella regione centrale per un tempo troppo breve. Di conseguenza, queste configurazioni molto semplici oggi non sono più usate. Esse, tuttavia, continuano ad essere 5-2 importanti perché costituiscono gli elementi fondamentali di numerose macchine di ricerca fusionistica nelle quali la configurazione a specchio e quella a cuspide in una grande varietà di combinazioni, anche non lineari. Le macchine lineari più recenti sono caratterizzate dal funzionamento pulsato e dall’ausilio di speciali iniettori di particelle; esse hanno fornito risultati incoraggianti ma non ancora sufficienti. A Livermore, in una macchina a specchio denominata 2XII-B (in cui le due bobine distavano 1,5 m l’una dall’altra) è stata raggiunta una temperatura ionica Ti ≅ 10 keV ( oltre 100 milioni di gradi centigradi), con un parametro di confinamento nτ ≅ 5 x 1010 s/cm3 /15/. Anche se il parametro nτ ottenuto nell’esperienza 2XII-B è sensibilmente inferiore a quello richiesto dal criterio di Lawson, le prestazioni della macchina hanno indotto all’ottimismo gli sperimentatori di Livermore, che hanno cercato nuovi metodi per aumentare il confinamento del plasma nella configurazione lineare. Vogliamo infine concludere questa breve rassegna di macchine lineari dando una sia pur rapida descrizione della macchina MFTF-B (Mirror Fusion Test Facility) che è stata realizzata a Livermore negli anni dal 1982 al 1986, per un costo totale di 352 milioni di dollari. Ci sembra importante parlarne perché si tratta del più grande dispositivo per fusione a confinamento magnetico che sia mai stato costruito. La lunghezza della sua camera da vuoto è di 58 m e il suo diametro varia da 8 m nella regione centrale a 10 m nelle celle terminali. Il volume totale, che va vuotato ad una pressione di 2×10-8 torr, è di 4200 m3. Se al peso della macchina, di più di 1250 tonnellate, si aggiunge il peso di tutte le varie apparecchiature si arriva ad un peso totale di 2000 tonnellate. Tutta l’apparecchiatura deve resistere non solo all’alto vuoto, ma anche agli sforzi di natura elettromagnetica; e deve anche poter sopportare eventuali terremoti, non certo improbabili in California. In Fig. 5-1 è data la rappresentazione schematica della versione finale di MFTF-B /16/. Ma ci sembra anche interessante mostrare nelle Figg. 5-2 e 5-3 rispettivamente le foto delle bobine centrali e delle bobine Yin-Yang che sono poste nelle zone terminali della macchina. Fig. 5-1 La macchina avrebbe dovuto operare con solo deuterio con impulsi di 30 s ogni 5 minuti (duty cycle del 10%) ed era prevista per ottenere: ni ≅ 5x1013 cm -3, Ti ≅ 15 keV, nτ ≅ 1013 s cm-3 /17/. Ma purtroppo, per mancanza di fondi, essa non è mai entrata in funzione. 5-3 Fig. 5-2 Fig. 5-3 5-4 5-3 Configurazioni chiuse (diverse dal tokamak) Stellarator Come già anticipato nel par.3, un primo metodo per ottenere una configurazione chiusa consiste nell’uso di avvolgimenti elicoidali posti fra la camera da vuoto e le bobine toroidali (v. Fig. 3-4). La macchina che utilizza questo metodo viene chiamata stellarator ed è stata ideata e realizzata per la prima volta da L. Spitzer nel 1951 presso il PPPL di Princeton. La foto di Fig. 5-4 mostra appunto L. Spitzer accanto al suo stellarator. Fig. 5-4 Gli studi sugli stellarator sono andati avanti, con la realizzazione di diversi dispositivi, fino alla fine degli anni ‘60, quando sembrò che i dispositivi tokamak offrissero superiori prestazioni. Più tardi però il lavoro sugli stellarator è ripreso in diverse nazioni: in Russia, in Giappone, negli USA e, in particolare, in Germania. Nei laboratori di Garching, vicino Monaco, nel 1980, G. Grieger realizzò uno stellarator che venne chiamato Wendelstein-AS. Heppenheimer, nel suo libro “The man-made sun” /18/, riporta che, in una conferenza che si tenne a Los Alamos nel settembre del 1980, egli dichiarò di aver ottenuto con esso un confinamento cinque volte superiore a quello raggiunto in un tokamak di uguali dimensioni. Heppenheimer prosegue il suo racconto dicendo che nella stessa conferenza Grieger mostrò un cartello sul cui sfondo apparivano due persone che sorreggevano, una un tubo chiuso che stava a rappresentare un tokamak, e l’altra un tubo rettilineo, di minor sezione agli estremi, che stava a rappresentare un tandem-mirror. Dietro di loro, in alto come un grande sole, appariva lo schema delle bobine a spirale di uno stellarator. Alla fine della sua presentazione Grieger così si espresse: “So you see stellarators are not so bad after all” /19/. 5-5 Attualmente in Germania, a Greifswald, è in costruzione per opera del Max- PlanckInstitut fur Plasmaphysik (IPP) lo stellarator Wendelstein 7-X /19/ che si prevede sarà completato nel 2015. La sua pianificazione fu iniziata nel 1980; nel 1994 il progetto fu sottoposto alla UE per approvazione. Il suo scopo è quello di studiare le componenti principali di un futuro reattore a fusione che impieghi la tecnologia degli stellarator anche se esso non è di per sè un impianto economicamente conveniente. Una volta realizzato esso sarà il più grande dispositivo fusionistico di tipo stellarator. Si prevede che esso potrà funzionare con scarica continua per un tempo fino a 30 minuti. La Fig. 5-5 mostra lo schema delle bobine per il campo magnetico e del plasma. Fig. 5-5 Dati caratteristici della macchina sono: raggio maggiore 5,5 m raggio minore 0,35 m volume 30 m3 campo magnetico 3T tempo di scarica fino a 30 minuti plasma H/D densità di plasma fino a 3x1021 m-3 temperatura fino a 106 K E’ invece stato realizzato in Giappone, nei pressi di Nagoya, lo stellarator LHD (Large Helical Device) che usa un campo magnetico superconduttore del tipo “heliotron”; dispositivo che è appunto stato realizzato in Giappone /20/ (v. Fig. 5-6). Fig. 5-6 5-6 Alcuni dati caratteristici di LHD sono: diametro toroidale del plasma ~8m diametro poloidale del plasma 1- 1,2 m campo magnetico 3T 13,6 keV massima temperatura ionica Ti massima densità elettronica ne 1,1x 1021 m-3 Si tratta del più grande dispositivo superconduttore per confinamento magnetico attualmente operante nel mondo. La Fig. 5-7 dà una veduta di insieme della macchina. Fig. 5-7 ZETA Passiamo ora a descrivere un altro tipo di configurazione chiusa che a suo tempo suscitò notevole interesse. Nel 1954, infatti, nei laboratori inglesi di Harwell iniziarono gli esperimenti con la macchina denominata ZETA (Zero Energy Thermonuclear Assembly). Si trattava di uno Z-pinch toroidale stabilizzato che può essere considerato il precursore sia del tokamak che del Reversed Field Pinch. Essa consisteva infatti in una camera da vuoto toroidale contenente un gas a bassa pressione che veniva opportunamente ionizzato. Impiegando un trasformatore si faceva poi passare una corrente toroidale che aveva la doppia funzione di riscaldare il plasma e di confinarlo per azione del campo magnetico poloidale creato dalla corrente stessa. Per la stabilità però, come si sa, era necessaria la presenza di un campo magnetico toroidale che veniva fornito da bobine poste attorno alla camera di scarica. Dopo una prima fase turbolenta il plasma nella camera raggiungeva la cosiddetta “fase quiescente” in cui i campi torodidale e poloidale, variabili lungo il raggio minore del toro, avevano valore massimo uguale e il campo toroidale si rovesciava alla parete. Dopo aver eseguito diverse osservazioni impiegando diversi gas, fra cui miscele isotopiche atte a dare luogo a reazioni di fusione, nel 1958 i ricercatori di Harwell rivelarono neutroni in quantità significative, che potevano quindi indicare un risultato di grande importanza. Dopo qualche incertezza i ricercatori inglesi decisero di annunciare alla comunità scientifica internazionale il successo del loro esperimento, senza avere prima eseguito tutte le necessarie verifiche, che avrebbero richiesto dei tempi piuttosto lunghi. 5-7 Alla fine risultò che i neutroni rivelati erano effettivamente generati da reazioni di fusione nucleare, ma non erano termonucleari nel senso che non erano prodotti da una distribuzione maxwelliana di velocità dei nuclei, ma solo da alcuni nuclei di alta energia prodotti in seno al plasma per interazione tra particelle ed onde. Le motivazioni di questo annuncio prematuro sono ben descritte nell’articolo di A. Sestero /21/ pubblicato sul Nuovo Saggiatore, dove si attribuisce questa fretta al timore del mondo occidentale, in particolare dell’Inghilterra, di essere superati dalla Russia anche in questa campo, come era già capitato in altri campi (ordigni termonucleari, primo satellite artificiale, primo uomo nello spazio). Timore basato sul fatto che, malgrado la declassificazione delle ricerche sulla fusione nucleare, esisteva sempre da parte degli scienziati russi una notevole riservatezza a riguardo dei risultati ottenuti. Si trattò in effetti di una scelta infelice da parte dei ricercatori inglesi; scelta che ha senz’altro influito negativamente sull’opinione pubblica nei confronti della ricerca sulla fusione termonucleare controllata. Reversed Field Pinch E diamo ora un cenno sulla ricerca relativa ai dispositivi Reversed Field Pinch (RFP). La Fig. 5-8 riporta le caratteristiche geometriche di alcuni dispositivi del tipo RFP attualmente presenti. Di questi il più grande è l’RFX di Padova del quale , unitamente alla macchina ETA-BETA II, parleremo nel prossimo paragrafo in tema di ricerca fusionistica svolta in Italia. Fig. 5-8 5-8 5-4 Sviluppo della ricerca fusionistica con i tokamak Come si è visto, fra i vari dispositivi per fusione impieganti il confinamento magnetico, il tokamak è quello che è stato maggiormente studiato. Vediamone la storia iniziando dai tokamak che sono già stati realizzati. Il tokamak è stato ideato da Sakharov e Tamm nel 1951. Nel 1968 Artsimovich dell’Istituto Kurchatov di Mosca nonché direttore del programma russo della fusione, durante la 4a Conferenza Internazionale sulla Fisica del Plasma e della Fusione Termonucleare Controllata a Novosibirsk, presentò i risultati raggiunti con il tokamak T-3, suscitando un grande interesse. Da allora moltissimi tokamak sono stati realizzati nel mondo e alcuni di essi hanno fornito risultati interessanti riguardanti la fisica del plasma e della fusione. Nella Tabelle che seguono ne vengono riportati alcuni dei più “importanti”. Intendendo, si badi bene, con “importanti” non solo quelli che hanno fornito risultati significativi, ma anche quelli che, indipendentemente dal loro valore scientifico, hanno richiesto notevoli sforzi sia in termini lavorativi che economici. Le Tabelle sono tre e riguardano: i grandi e medi tokamak, i tokamak compatti ad alto campo magnetico, i tokamak sferici. Per ognuno di essi vengono date le principali caratteristiche. Parlando di tokamak realizzati, ci sembra opportuno spendere qualche parola di commento su di un tipo di grafico che spesso viene usato appunto per rappresentare i progressi conseguiti nel tempo con le varie macchine, in termini di avvicinamento al traguardo dell’ignizione, o quanto meno del pareggio (breakeven). A titolo di esempio riportiamo in Fig. 5-9 uno di questi grafici preso da un testo liceale /22 /. Fig. 5-9 In un grafico di questo tipo vengono riportati i punti sperimentali relativi ai diversi tokamak unitamente alle curve teoriche corrispondenti al pareggio e all’ignizione così come ricavate in base al criterio di Lawson e che sono state trattate al par. 2. Osservando un grafico di questo genere si può avere l’impressione che le macchine cui corrispondono i punti sperimentali con valori più elevati di nτ e di T abbiano prodotto plasmi molto vicini alle condizione di ignizione, o almeno di pareggio. Ma non è così; e un grafico così concepito è in realtà fuorviante. Infatti le curve di pareggi e di ignizione sono quelle 5-9 Tabella I – GRANDI E MEDI TOKAMAK A CAMPO MAGNETICO MODERATO Nazione Città UE - Culham UE - Culham USA-Princeton USA-San Diego Giappone Giappone Giappone Germania-Garching Francia-Cadarache Russia Periodo R0 (m) JET 1983-1992 3 JET 1992 2,96 TFTR 1982-1997 2,40 DIII-D 1980 1,66 JT-60 1984-1989 3 JT-60U 1991 3,40 JTF-2M 1983-2004 1,3 ASDEX-UP 1991 1,65 Tore Supra 1988 2,25 T-15 1989-1995 2,43 ∗La sperimentazione prevede vari valori per la b del plasma a (m) a; b (m;m) 1,26 ; 2,1 0,96 ; 2,1 0,80 0,67;∗ 0,95 1,60 0,36 0,5 ; 0,8 0,70 0,70 Ip (MA) BT (T) 7 6 3 3 2,7 5 0,5 1,4 2 2 3,45 4 6 2,2 4,5 4,2 2,2 3,9 4,5 4,5 Tabella II – TOKAMAK COMPATTI AD ALTO CAMPO MAGNETICO ALCATOR A FT FTU ALCATOR C USA Italia - Frascati Italia - Frascati USA 1969-1982 1977-1989 1990 1978 0,54 0,83 0,93 0,64 0,10 0,20 0,30 0,165 0,4 0,6 1,6 0,8 10 10 8 12 1991-1998 1999 1999 1,25 1,4 1,4 0,3 0,85 0,85 0,31 1,4 1,4 0,5 0,5 0,6 Tabella III –TOKAMAK SFERICI START MAST NSTX Inghilterra - Culham Inghilterra – Culham USA-Princeton 5 – 10 calcolate per gli isotopi dell’idrogeno, quindi per un numero atomico Z = 1. Dette curve derivano però da un bilancio energetico in cui ovviamente compaiono le perdite di energia che sono in un tokamak fondamentalmente quelle dovute all’irraggiamento (bremsstrahlung) che come è noto sono proporzionali a Z2. Ma in un tokamak reale, anche se funzionante con deuterio o deuterio- trizio è impossibile, malgrado ogni precauzione, evitare la presenza di impurezze pesanti. Per cui nelle equazioni relative, al posto di Z va introdotta la grandezza Zeff = ∑i ni Zi2/ ne, in cui ne è la densità elettronica e ni e Zi sono la densità ed il numero atomico della i-esima specie ionica presente. Se non si riesce, con tutti i possibili accorgimenti, ad ottenere un valore di Zeff abbastanza prossimo a 1, le curve teoriche, che sono comunque diverse per ogni macchina, si pongono molto più in alto nel grafico in questione. Detto in altre parole, per Zeff anche di poco superiore a 1 le condizioni di ignizione non sono in pratica raggiungibili. Vogliamo ora completare la descrizione della ricerca svolta con i tokamak dando alcune informazioni su quelli che non sono stati realizzati, o perché abbandonati, o perché ancora in studio o in costruzione. Lo si farà dando particolare attenzione alla ricerca condotta in ambito europeo (EURATOM). Dei programmi italiani però si darà solo un breve cenno perché alla ricerca sulla fisica del plasma e della fusione svolta in Italia verrà dedicato tutto il prossimo paragrafo. Prima però, è opportuno descrivere brevemente i fatti che hanno portato alla definizione del progetto JET. Lo si farà riportando qui di seguito testualmente un passo preso dal già citato articolo di Sestero /21/, e che è il seguente. “L’esperimento JET, costruito a Cullham in Inghilterra, rappresentò uno sforzo comune dell’area europea. L’iniziativa fu preparata con cura. Fu nominata una commissione cui fu affidato l’incarico di indicare la combinazione di parametri di macchina che poteva consentire l’impiego più proficuo delle risorse a disposizione. Per il campo toroidale fu raccomandato il valore di 5T. Completata l’indagine preparatoria, fu costituito il gruppo di progetto, incaricato di elaborare i disegni costruttivi dell’esperimento. Questo gruppo si trovò da subito in disaccordo con quanto raccomandato in precedenza dalla commissione di studio. L’opinione che vi prevalse fu che il nuovo dispositivo avrebbe dovuto essere soprattutto molto grande e con un campo magnetico toroidale piuttosto ridotto (così da non debordare troppo nei costi, vista la scelta alquanto liberale fatta con le dimensioni). Iniziò a questo punto un braccio di ferro al termine del quale il gruppo di progetto riuscì di fatto ad imporsi. Fu così dato il via alla progettazione e quindi alla costruzione del JET, con il campo magnetico toroidale stabilito al valore di 2,8 T. Quando giunse il momento dell’avvio delle attività operative sull’esperimento, tuttavia, si dovette quasi subito ammettere che, forse, si era un po’ esagerato nel tenere basso il campo. Il nuovo dispositivo infatti non si comportava in modo sufficientemente muscolare. A malincuore, e con un certo imbarazzo, si dovettero richiamare gli ingegneri ai loro tavoli da disegno, e commissionare una riedizione potenziata del magnete toroidale. Naturalmente, coi vincoli che derivavano dall’essere le altre componenti di macchina già costruite, il valore di 5T inizialmente raccomandato dalla commissione di studio era a questo punto irraggiungibile. Gli ingegneri riuscirono comunque a portare il campo toroidale al valore 3,5T. Il JET a 3,5 T ha prodotto nella sua lunga vita un’interessante messe di risultati. Alla luce delle vicende sopra ricordate, tuttavia, non possiamo evitare di chiederci quali risultati avrebbe potuto produrre se si fosse rispettata l’indicazione iniziale”. Alla realizzazione del JET dei laboratori di Culham (vedi Tabella I) avrebbe dovuto seguire quella della macchina NET, il cui studio ebbe inizio nel 1978. Però essa fu accantonata per passare allo studio di INTOR, a sua volta abbandonato per passare al 5 - 11 progetto ITER (International Thermonuclear Experimental Reactor). Questo progetto, scaturito da un incontro tra Reagan e Gorbachev nel 1985, considerava la costruzione di una macchina gigantesca (raggio maggiore uguale a circa 6 metri) con costo dichiarato di 10 miliardi di dollari, ed era stata presentata dai proponenti come un dispositivo con spiccate caratteristiche reattoristiche ed inoltre capace di raggiungere l’ignizione. Venne però dimostrato che ciò sarebbe stato impedito dall’insorgere di instabilità /23/, /24/. Gli studi successivi si sono allora spostati su un nuovo dispositivo chiamato ITER-FEAT, versione ridimensionata dell’originale ITER che però non era concepito per l’ottenimento dell’ignizione; il che naturalmente trasformava a priori questa impresa in un grosso spreco di tempo e di denaro. Nell’estate del 2002 fu tenuto a Snowmass (Colorado) il “Burning Plasma Physics Panel” nel quale furono esaminate le proposte di tre tokamak, e precisamente: ITER-FEAT, FIRE, Ignitor. Di ITER si è già parlato ed ancora si parlerà. FIRE avrebbe dovuto essere un tokamak caratterizzato dai seguenti parametri: R0=2,14 m; a=0,595 m; B=10 T; Ip=7,7 MA. Ignitor è un tokamak compatto ad alto campo magnetico del quale, data la sua importanza, si parlerà ampiamente nel prossimo paragrafo. Ma vogliamo dire fin da subito che, fra i vari tokamak progettati o esistenti nel mondo, esso è l’unico previsto per il conseguimento dell’ignizione del plasma. Nei documenti preparatori del Panel di Snowmass /25/, però, non si parla di ignizione ma piuttosto di “burning plasma”, introducendo a questo proposito la frazione fα=Pα/ (Pext+ Pα), dove Pα è la potenza associata alle particelle α e Pext è la potenza fornita al plasma dall’esterno, stabilendo che per avere un burning plasma questa frazione deve superare il valore 2/3 (per l’ignizione deve essere fα=1). E veniamo ora ai tempi più recenti. In data 29/6/05 il giornale francese Le Monde /26/ annunciava la decisione di costruire un ITER (ormai con questo acronimo si indica un qualunque tokamak purchè abbastanza grande ed abbastanza costoso) in Francia nel centro nucleare di Cadarache. Questo ITER, avente un raggio maggiore di 6,2 m, e raggio minore a= 2,0 m, una corrente di plasma Ip=15 MA e un campo magnetico toroidale BT=5,3 T, con un riscaldamento ausiliario di circa 50 Mwatt dovrebbe, a detta dei progettisti, produrre una potenza di circa 500 Mwatt. Quindi il rapporto tra potenza rilasciata e quella fornitagli dall’esterno è Q=10 (per l’ignizione si dovrebbe avere Q=∞). Il tempo di bruciamento previsto è di 300-500 s. Attualmente all’impresa concorrono 7 partner: UE (che si accolla più del 45% della spesa), Giappone, Cina, Russia, Corea del Sud, India (ultima ad entrare), USA. Gli USA però si ritirarono nel 1998 durante la presidenza Clinton per rientrare con G.W. Bush nel 2008, poco prima della guerra in Iraq; ma di recente il Congresso americano ha azzerato il contributo previsto per il 2008. Il costo dell’impresa era stato stimato inizialmente a 5 miliardi di euro per la costruzione e altrettanto per la sua operazione per venti anni. Ma le variazioni di progetto e l’aumento dei costi dovuto all’inflazione fanno attualmente prevedere circa un raddoppio del costo di produzione /27/, /28/. La decisione di costruire ITER a Cadarache fu accolta in Francia con notevole entusiasmo da parte di varia stampa filo-governativa, e lo stesso presidente Chirac la definì un enorme successo. Molto meno entusiasta è stata però la reazione in ambito scientifico, anche nella stessa Francia /29/, /30/, /31/, /32/, /33/. In particolare C. Allègre, già ministro per la scienza e la tecnologia, ha definito questa impresa “just another prestige project with very few chances of success”. 5 - 12 E tuttavia è purtroppo da notare che anche in tutta questa letteratura la possibilità di procedere per la strada dei tokamak compatti ad alto campo magnetico viene completamente ignorata. Di ITER tuttavia non esiste a tuttoggi un progetto definitivo. Attualmente, connesso a ITER vi è il programma cosiddetto “Broader Approach”, con il Giappone. Tra le attività incluse nel Broader Approach ci sono quelle di convalida e di progettazione (EVEDA), intese a produrre un progetto completo per l’impianto internazionale di irraggiamento dei materiali per la fusione (IFMIF); quella del Centro Internazione di Ricerca sull’Energia da Fusione (IFERC), al fine di contribuire al progetto ITER ed alla rapida realizzazione del futuro reattore dimostrativo DEMO, che prevede l’utilizzo di un supercomputer che permetterà di comprendere come verrà svolta questa ricerca; quella relativa al programma “Tokamak Satellite” ( JT-60SA), una macchina satellite di ITER per l’avanzamento del progetto. Questi progetti sono coordinati dall’impresa comune europea istituita per il programma ITER denominata F4E, con la contribuzione volontaria di 5 paesi: Italia, Francia, Spagna, Germania e Belgio che, insieme alla Svizzera, partecipano tutti con contributi volontari. L’agenzia F4E, con sede a Barcellona, ha autonomia finanziari dal 16 marzo 2008, conta circa 100 funzionari ed ha un budget di 240 milioni di euro per il 2008, 40 destinati a contratti di ricerca e 115 a contratti industriali. Le prime gare di appalto di ricerca e sviluppo per i componenti di ITER sono state già indette e per quanto riguarda il Broader Approach è stato siglato un primo accordo per la costruzione degli edifici per l’acceleratore IFMIF a Rokkasho in Giappone. Sono in corso negoziati con i contributori volontari per stabilire la contribuzione in natura. 6-1 6 – LA RICERCA SUI PLASMI E SULLA FUSIONE IN ITALIA 6.1 Operatori italiani nella ricerca fusionistica La ricerca in Italia è stata ed è condotta con il contributo scientifico, tecnico ed economico di università, industrie, ed enti nazionali di ricerca (ENEA, CNR, INFN). Sembra opportuno a questo proposito precisare quale è stato in particolare il ruolo svolto dall’ENEA in questa impresa dal momento che esso è stato ed è oggetto di una notevole confusione. Confusione generata dallo stesso ENEA che da tempo ha fatto insistentemente credere di essere stato incaricato, con delibera CIPE del 19/10/1983, di gestire tutti i programmi italiani riguardanti la fusione nucleare. Per confutare questa affermazione basta andarsi a leggere il testo di questa delibera. I fatti in realtà si sono svolti in ben altro modo; un’analisi attenta della documentazione esistente in proposito porta infatti alla ricostruzione di una sequenza di eventi che viene riassunta qui appresso: - Delibera CIPE del 22/12/82 Questa Delibera, citata nella successiva Delibera CIPE del 19/10/1983, non demanda all’ENEA la gestione dei programmi fusionistici italiani. Solo vi si raccomanda di “effettuare una valutazione aggiornata dei progetti nel campo della fusione termonucleare al fine di ridefinire una strategia nazionale di intervento nel settore e di predisporre le opportune iniziative con particolare riferimento agli aspetti finanziari del problema e tenendo conto delle possibili cooperazioni europee come quella già assicurata per RFX”. - Nota del Ministero della Ricerca Scientifica del 7/10/83 Prendendo le mosse dalla suddetta Raccomandazione, questa Nota riferisce su un’intesa raggiunta fra ENEA e CNR circa il coordinamento delle ricerche sulla fusione. La gestione ENEA di tali ricerche appare solo come risultato di questi accordi. - Nota del Ministero dell’Industria del 12/10/83 In particolare dai primi due capoversi si deduce la seguente sequenza di eventi: 1) L’ENEA ha chiesto al Ministero Industria di sollecitare il CIPE ad emettere una delibera su RFX, in attuazione degli accordi ENEA-CNR sui ruoli dei due enti. 2) Il Ministero Industria trasmette al CIPE la delibera e gli accordi esprimendo parere positivo, in particolare sulle responsabilità dell’ENEA circa i programmi fusionistici italiani. - Delibera CIPE del 19/10/83 In questo documento il CIPE ha deliberato solo su RFX, senza affatto demandare all’ENEA la ricerca fusionistica italiana. Solo successivamente nella Delibera CIPE del 26/7/90 viene indicato quanto segue: “Nel settore della fusione nucleare è confermata la responsabilità primaria dell’ENEA sia per l’effettuazione delle ricerche svolte in Italia, dall’ENEA stesso, dal CNR e da altri organismi pubblici di ricerca, sia per la gestione della partecipazione italiana ai programmi europei ed internazionali”. Si direbbe quindi che, solo a partire da questa data e sulla base di non chiari precedenti, venga attribuito all’ENEA un certo potere decisionale sui programmi fusionistici italiani svolti in ambito pubblico. A parte le perplessità che inevitabilmente insorgono a causa del significato alquanto oscuro della terminologia “responsabilità primaria”. Attualmente esiste una Associazione Italiana per la Fusione, rappresentata dall’ENEA, comprendente il Consorzio RFX di Padova, l’Istituto di Fisica del Plasma del CNR di Milano, il Consorzio Universitario CREATE del Politecnico di Torino, e le Università di Catania e di Roma Tor Vergata. Qui di seguito vogliamo dare una sia pur breve storia della ricerca che in queste sedi è stata svolta. 6-2 6.2 Il Laboratorio Gas Ionizzati di Frascati – Le origini – La ricerca sui plasmi Partiamo quindi dagli inizi. Parliamo cioè della formazione, nel 1957, del Laboratorio Gas Ionizzati dell’allora CNRN (Comitato Nazionale per le Ricerche Nucleari, divenuto successivamente CNEN e poi ancora ENEA), che si è poi evoluto nel tempo fino a diventare l’attuale Dipartimento Fusione di ENEA-EURATOM. Ci sembra importante parlarne non solo perché si tratta del primo e più grande complesso italiano di ricerca fusionistica, ma anche perché la sua è una storia assai complessa, fatta di luci e di ombre, di un succedersi di eventi positivi e negativi. Ed è importante darne un resoconto dettagliato e veritiero anche perché la storia di questi Laboratori viene purtroppo spesso riferita in modo distorto e non corrispondente alla realtà. In una sequenza temporale si possono distinguere due fasi evolutive: una prima fase dagli inizi fino a verso la fine degli anni ‘60, riguardante ricerca sulla fisica del plasma; e una seconda fase riguardante la ricerca sulla fusione termonucleare controllata. La storia ha inizio nel 1956 all’Istituto di Fisica dell’Università di Roma. La cattedra di Fisica Superiore era tenuta all’epoca dal professor Enrico Persico. Annesso a questa cattedra era un laboratorio dove operavano due ricercatori: Bruno Brunelli e Franca Magistrelli. In particolare era stata realizzata in questo laboratorio una sorgente di ioni a radiofrequenza, nel contesto di studi di ottica elettronica ai quali in quel periodo il professor Persico era interessato. Il plasma contenuto nella sorgente era quindi solo un mezzo per poter estrarne un fascetto di ioni con convenienti caratteristiche. E tuttavia c’era un plasma in laboratorio. E fu per questo che Persico, anche avendo letto della macchina ZETA inglese, suggerì che l’attività del laboratorio si spostasse sullo studio dei plasmi. Egli intendeva con questo iniziare a riempire il vuoto culturale esistente in Italia a questo riguardo. Ben sappiamo infatti che per anni ed anni la ricerca italiana si è fondamentalmente orientata verso la fisica delle particelle elementari e delle alte energie, penalizzando così altri importanti settori della fisica che invece venivano investigati in altre parti del mondo. Non essendovi quindi in Italia alcuna competenza in proposito, Brunelli, che era il ricercatore più anziano, andò per il mondo in cerca di esperti, invitandone alcuni a tenere seminari e corsi presso l’Istituto di Fisica, e altri (sono da ricordare in quei primi anni J. Allen, J. Linhart, F. Rasetti) a venire a lavorare presso il Laboratorio di Fisica Superiore. Però nel frattempo Persico era passato alla cattedra di Fisica Teorica, il che comportò purtroppo la chiusura del laboratorio di Fisica Superiore. Per proseguire su questa ricerca bisognava quindi trovare un altro “sponsor”; e Brunelli, attivandosi in proposito, trovò, nella persona del professor F. Ippolito, la disponibilità del CNRN ad inserire l’attività sui plasmi nei programmi del Comitato. Si formò inizialmente un piccolo gruppo di ricercatori con programmi sperimentali contenibili in un laboratorio universitario. Però nel 1959 furono presi contatti con EURATOM e di conseguenza quello che nell’estate del 1960 si spostò da Roma a Frascati era il Laboratorio Gas Ionizzati dell’EURATOM-CNEN, composto da alcune decine di persone, con programmi di ricerca ben definiti ed articolati in gruppi, con efficienti servizi tecnici ed amministrativi, completamente autonomo (a parte i servizi di Centro come mensa, guardiania, riscaldamento, etc.) rispetto ai preesistenti Laboratori di Frascati dell’INFN. Direttore di questo Laboratorio era Bruno Brunelli, suo fondatore; e questa situazione rimase immutata fino all’estate del 1970. In realtà la sede definita inizialmente prevista per il Laboratorio era il Centro CNEN della Casaccia. Lo spostamento di questa sede da Casaccia a Frascati altro non avrebbe dovuto essere che il presupposto per poi inglobare il Laboratorio Gas Ionizzati nei Laboratori di Frascati dell’INFN. Questa operazione però non andò in porto anche —ma 6-3 non solo— per il fatto che, come si è detto, il Laboratorio Gas Ionizzati era sotto contratto con EURATOM. A questo punto del discorso è però opportuno fare un salto in avanti nel tempo per riferire su un evento recente che si riallaccia strettamente con quanto appena detto. Il giorno 7 dicembre 2007 si è svolta, organizzata dall’INFN, una commemorazione della nascita dei Laboratori di Frascati. Questa manifestazione è stata annunciata ufficialmente con un avviso /34/ nel quale si parlava della ricerca sui plasmi e sulla fusione come se fosse stata parte dei programmi dell’INFN. Di più, nel programma dettagliato sono stati inseriti interventi riguardanti la ricerca nel Laboratorio Gas Ionizzati, anche qui facendola apparire come attività dell’INFN. Si è ritenuta necessaria questa precisazione perché, essendo trascorso più di mezzo secolo, chi oggi si trovasse a leggere questi documenti potrebbe credere alla loro veridicità. E si vuole a questo proposito far rilevare che chi scrive questo articolo è attualmente l’unica persona ancora in vita che quegli eventi ha fin dall’inizio non solo visti, ma vissuti da protagonista. Riprendiamo a questo punto il filo del nostro discorso raccontando per sommi capi quale è stata la ricerca svolta nel Laboratorio Gas Ionizzati durante tutti gli anni ‘60. C’era la ricerca portata avanti dai dipendenti EURATOM che consisteva essenzialmente in due esperimenti. In uno di essi (Plasma Focus) venivano prodotti, in scariche in un plasma di deuterio, neutroni fino alla 1011 n/shot. In un altro esperimento (MAFIN) elevati campi magnetici venivano prodotti con l’impiego di esplosivi. Questo esperimento naturalmente non veniva condotto nei locali dei laboratori di Frascati, ma in un apposito bunker costruito a Colleferro. E veniamo poi agli esperimenti condotti dai ricercatori CNEN. Vi erano delle attività riguardanti la conversione diretta di energia, sia per via termoionica che per via magnetoidrodinamica. Alla fine solo quest’ultimo metodo fu tirato avanti e costituì l’attività di un Laboratorio a sè stante; per cui il Laboratorio Gas Ionizzati si trasformò nei Laboratori Gas Ionizzati. A seguito di questo i ricercatori che costituivano il gruppo conversione termoionica abbandonarono i Laboratori Gas Ionizzati. Esisteva poi fin dai primi tempi un altro esperimento, chiamato CARIDDI, consistente in un θ-pinch in cui veniva studiata la propagazione di onde d’urto senza collisioni in un campo magnetico. Alcuni esperimenti avevano poi riguardato fin dall’inizio le condizioni al contorno di un plasma (guaine) in presenza di campo magnetico; studi che venivano condotti prevalentemente in archi a vapori di mercurio. Successivamente il lavoro di questo gruppo di ricerca si orientò su esperimenti riguardanti le onde nei plasmi, eseguiti su plasmi quiescenti. Di notevole importanza era poi la ricerca condotta in quello che era nato nel 1958 come il Gruppo di Ottica e Spettroscopia, nel quale per diverso tempo era venuto a lavorare il professor Franco Rasetti. In questo gruppo fu realizzato un esperimento “Hot-Ice”, nel quale si studiava l’interazione con la materia costituita da un cilindretto di deuterio solido con un fascio laser di potenza. Questa ricerca si pone nel filone degli studi sulla produzione di energia da fusione mediante confinamento inerziale; studi che sono proseguiti negli anni a Frascati. In realtà, verso la fine degli anni ‘60 tutta l’attività del Laboratorio Gas Ionizzati cominciò a spostarsi verso lo studio della Fusione Termonucleare Controllata, in particolare orientandosi sulla progettazione di un tokamak. Di ciò vale la pena di parlare con un certo dettaglio; cosa che sarà fatta nel paragrafo che segue. 6-4 6-3 La ricerca sulla fusione con confinamento magnetico a Frascati FT- Nel 1968 era apparso chiaro dalla ricerca che si svolgeva nel mondo che, nell’ambito del confinamento magnetico, le configurazioni toroidali, in particolare i tokamak, avevano superiori qualità e permettevano di studiare importanti aspetti della fisica dei plasmi termonucleari. In questo anno il prof. Brunelli unitamente al prof. Carlo Salvetti, allora vice-presidente del CNEN (data la dipendenza del CNEN dal Ministero dell’Industria, presidente ne era automaticamente il Ministro dell’Industria in carica) cominciò a prendere contatti con il prof. Bruno Coppi del MIT di Boston, il quale propose di realizzare a Frascati una macchina avanzata compatta ad alto campo magnetico per il confinamento di plasmi di interesse termonucleare. Questa proposta venne anche presentata dal prof. Coppi, appunto nel ’68, in un seminario tenuto all’Istituto di Fisica dell’Università di Roma; seminario nel quale egli scherzosamente chiamò “Frascamak” il tokamak che sarebbe poi divenuto l’FT (Frascati Torus). Coppi aveva già realizzato, al MIT, la progettazione e la costruzione del dispositivo ALCATOR A, capostipite del filone delle macchine termonucleari compatte ad alto campo magnetico; e ad esso è complementare l’FT. La decisione di costruire un tokamak comportava naturalmente una modifica dell’organizzazione del Laboratorio. Rimanendo inalterata l’organizzazione del laboratorio Hot-Ice, si trattava infatti di passare da una struttura comprendente alcuni esperimenti relativamente piccoli ad un’altra concentrata su un’unica macchina piuttosto grande, sulla quale le attività dei ricercatori e dei tecnici dovevano convergere. Purtroppo però, ciò che di per sé avrebbe dovuto costituire una svolta positiva si andò a scontrare con un ambiente lavorativo che da un po’ di tempo si stava deteriorando, per normale crisi di crescita, per alcuni malumori, per ambizioni insoddisfatte. E c’è poi da tener presente—fatto importantissimo— che era intanto arrivato il ’68, con tutto il suo carico di ben noti eventi politici e sociali, che investirono tutta la nazione, e quindi anche le università e i laboratori di ricerca, con effetti destabilizzanti. Per dirne una, quelle che erano le Commissioni Interne (apolitiche) furono sostituite dapprima dai Comitati di Base (politicizzati) e successivamente dai sindacati. E fu partitocrazia; fu cioè l’inizio di un’epoca oscura, che a tutt’oggi permane e che, salvo rarissime eccezioni, non consente più a chi lavora di affermarsi sulla base, soltanto, dei propri valori personali. E Brunelli non era uomo per questi tempi; e non riuscì a procedere per un cammino irto di ostacoli assurdi, estranei alla logica scientifica, e su un terreno che gli veniva sistematicamente scavato sotto i piedi. Di fatto, nel 1970, egli cadde in un serio esaurimento nervoso che lo costrinse ad allontanarsi dal Laboratorio; il che fu buona occasione per estrometterlo dalla sua carica di Direttore. In questo contesto fu compiuta questa volta, ma in ambito CNEN, l’operazione che nel 1960 l’INFN aveva tentato senza successo. In conseguenza di ciò andò purtroppo in buona parte distrutto quanto di valido e di pulito era stato realizzato in tanti anni di lavoro onesto ed intelligente. Ebbero inizio comunque nei primi anni ‘70 i lavori per la realizzazione del tokamak FT. Nell’estate del ‘71 Coppi ebbe una permanenza di circa due mesi a Frascati alla fine della quale si arrivò alla definizione di tutti i parametri essenziali della macchina. Principale collaboratore di Coppi in questo lavoro fu G.B. Righetti. Questi sono i fatti. Tuttavia la paternità di Coppi relativamente ad FT, nonché la sua opera di guida nella definizione del progetto /35/, /36/, /37/ vengono in genere taciute o addirittura negate. E qui vale la pena di riportare due fatti a dir poco sconcertanti. Un primo fatto è che i rapporti di attività dei primi anni del Laboratorio Gas Ionizzati, che fin 6-5 dall’inizio erano stati redatti anche su richiesta della Sede, e che esistevano in copia nel Laboratorio, sono scomparsi; e quindi con essi è scomparsa sia la documentazione delle origini del Laboratorio Gas Ionizzati che la storia della progettazione della macchina FT. Un secondo fatto, che in parte si riallaccia al primo, è che nelle pubblicazioni riguardanti il progetto FT, che esistono attualmente, non appaiono i nomi degli autori. E allora sembra opportuno precisare che a Frascati all’epoca non esisteva alcuna competenza su argomenti essenziali per la progettazione della macchina; argomenti che sono descritti con molta chiarezza nella lettera scritta da Coppi al prof. Paganetto, Presidente dell’ENEA, in data 14/04/08. E quindi, al di là di ogni ricostruzione storica e di ogni possibile documentazione, è evidente che solo a Coppi sono attribuibili sia l’impostazione che la conduzione di questi lavori. La macchina FT è entrata in funzione nel 1977 (v. Tabella II). Dal 1981 al 1983 FT ha detenuto il record di parametro di confinamento più elevato: circa 4x1013 s/cm3 con una temperatura ionica un po’ superiore ad 1 keV. FTU- Alla fine degli anni ‘80 venne varato il progetto FTU (FT Upgrade) avente lo scopo di studiare il riscaldamento del plasma con sistemi a microonde. FTU è entrato in funzione nel 1990 ed è tuttora operante (vedi Tabella II). Omitron- Per quanto riguarda la realizzazione di un plasma in condizioni di ignizione, al momento esiste solo, anche in ambito mondiale, il progetto Ignitor, sul quale ci soffermeremo qui di seguito un pò diffusamente. Prima però, sempre nell’ambito dei tokamak compatti ad alto campo magnetico, si vuole ancora accennare alla proposta da parte di A. Sestero /38/ di un tokamak compatto con campo magnetico particolarmente elevato denominato Omitron. Ignitor- E veniamo quindi a parlare di Ignitor. Come già detto al par. 5, in tema di svolgimento della ricerca con i tokamak, nel 1976 Coppi concepì l’idea di proseguire sulla sua linea dei dispositivi compatti ad alto campo magnetico, andando oltre la realizzazione della macchina ALCATOR A del MIT, con la realizzazione di una macchina, da lui chiamata Ignitor, il cui scopo è quello, importantissimo, di realizzare e studiare un plasma in condizioni di ignizione. Per una ricostruzione storica può essere interessante leggere alcune pagine del Cap. 7 (“The entrepreneurs”) del libro “The man-made sun” di T. A. Heppenheimer /18/. In queste pagine, con la piacevole vivacità che caratterizza tutto il libro, Heppenheimer racconta appunto quando e come Coppi concepì l’idea di Ignitor. E’ interessante in particolare riportare testualmente un passo preso dalla pagina 167, e che è il seguente: “ Coppi was a man who could easily bubble over with ideas, and right then he was particularly ebullient. He wanted to follow up his Alcator success by building a new tokamak, which he called the Ignitor”. Coppi, nel 1976, propose la realizzazione di questa macchina in Italia, e per la sua progettazione mise insieme un gruppo di individui di diverse affiliazioni (enti scientifici, università, industrie) sia italiane che estere. Questo gruppo, di cui egli era il “principal investigator” e del quale dirigeva quindi tutto il lavoro scientifico-tecnico, faceva capo sul piano gestionale all’allora CNEN (attualmente ENEA). Questa situazione è rimasta immutata nel tempo anche se, naturalmente, la composizione del gruppo è cambiata con il passare degli anni. A questo proposito si riporta una tabella che dà la composizione del gruppo Ignitor alla data del 19/01/1981. Passiamo ora ad una breve descrizione della macchina riportando le sue caratteristiche principali e il suo stato di avanzamento. Ignitor è concepito per produrre plasmi ad alta densità. Quello delle macchine ad alta densità è uno dei maggiori filoni di ricerca negli Stati Uniti ed il maggiore in Italia. Ora questa linea è stata riscoperta sperimentalmente in Giappone ed è intensamente seguita per 6-6 6-7 lo studio di reattori di potenza funzionanti in questi regimi. Attualmente Ignitor è l’unico dispositivo in grado di raggiungere e studiare sperimentalmente le condizioni di ignizione in un plasma deuterio-trizio con l’impiego di tecnologie oggi disponibili e sulla base di attuali conoscenze di fisica del plasma. Un successo di questo esperimento equivarrebbe quindi alla dimostrazione della fattibilità scientifica della Fusione Termonucleare Controllata. E vogliamo ancora insistere sul significato della terminologia “fattibilità scientifica” ―terminologia valida per una qualunque nuova idea― dal momento che essa viene spesso usata erroneamente nel campo della fusione, applicandola a dispositivi che non sono in grado di produrre un plasma ignìto. Un esperimento inteso a produrre un plasma ignìto, quale appunto è Ignitor, deve necessariamente precedere la progettazione di un reattore a fusione. In macchine compatte ad alta densità ed alto campo magnetico, quali ALCATOR ed Ignitor, vengono prodotti “plasmi termonucleari”, nei quali il riscaldamento è dovuto essenzialmente alle particelle α. Nelle macchine più grandi a più bassa densità si devono invece usare fonti di riscaldamento esterne (fasci di neutri, radiofrequenze, etc.); e questo fa sì che il plasma non sia effettivamente termonucleare. Una critica che spesso viene fatta, erroneamente, a Ignitor è che in esso il tempo di bruciamento è troppo breve per essere di interesse reattoristico. E qui sta appunto l’equivoco. In una critica di questo tipo si ignora il fatto che Ignitor non è un reattore, bensì un esperimento concepito in modo che il suo tempo di bruciamento superi tutti gli intrinseci tempi fisici /39/. I parametri principali di Ignitor sono: R0= 1,32 m a= o,47 m b= o,86 m BT=13 T Ip=11 MA La Fig. 6.1 ne mostra una veduta di insieme. Fig. 6-1 6-8 Attualmente di Ignitor esiste un progetto e sono stati costruiti, in scala 1:1, i prototipi dei suoi principali componenti. E veniamo ora ad accennare ad altre possibilità che verrebbero offerte dall’esperimento Ignitor. Vi sarebbe intanto un interesse puramente scientifico riguardante studi di astrofisica. Infatti dagli esperimenti di accensione di cui Ignitor è il prototipo, ci si può attendere, sulla base di passate esperienze, anche importanti contributi alla comprensione di fenomeni di rilievo in astrofisica, per esempio nell’ambito dei brillamenti solari e della dinamica dei plasmi con alte energie che costituiscono la principale componente di materia luminosa negli ammassi di galassie. Nella prospettiva, poi, di identificare e costruire un reattore che produca energia è evidente che la “Fisica del Reattore”(usando una terminologia ben nota nel campo dei reattori a fissione) che emergerà dagli esperimenti con Ignitor sarà direttamente applicabile al reattore di potenza. Una prospettiva simile esiste per le soluzioni tecnologiche trovate ed adottate per Ignitor nel suo insieme (per esempio il sistema di riscaldamento applicato dall’esterno). Basti pensare al sistema per la produzione dei campi magnetici poloidali ( noto come “air core transformer”) inventato e costruito per ALCATOR ed ora adottato su tutte le macchine per esperimenti avanzati di confinamento magnetico dei plasmi. Infine, una possibile utilizzazione a termine relativamente breve di un reattore a fusione può essere la produzione di neutroni al fine di generare materiale fissile. Un’analisi riguardante gli sviluppi dei reattori a fissione condotta da V. Rees, un alto funzionario del DOE degli Stati Uniti, indica un sistema di tipo Ignitor come uno dei tre dispositivi a fusione considerati per questo scopo. Dove poter costruire Ignitor in Italia e qual’è il suo costo? Esistono in realtà diversi siti dotati di nodi di potenza a cui poter allacciare una macchina come Ignitor che ha bisogno di potenze elevate. Uno dei siti privilegiati è Caorso, nei pressi di Piacenza, dove c’è un reattore smontato nonché un edificio dove, con opportune modifiche, si potrebbe alloggiare la macchina. Quindi Caorso si presenta come il sito naturale per realizzare un tokamak capace di accendere. Quanto poi al costo di Ignitor, quello previsto dall’industria italiana per la costruzione del nocciolo della macchina è di 65 M€. Non esiste al momento un approccio meno costoso e più rapido capace di arrivare a studiare plasmi in condizione di accensione. Infatti, i costi dichiarati di ITER sono circa due ordini di grandezza maggiori di quelli previsti per la costruzione di Ignitor in un sito come Caorso. La filiera delle macchine con alti campi magnetici rappresentata da Ignitor offre, al momento, l’unica possibilità di svilupparsi in una linea di reattori che minimizzano l’uso del trizio (cosiddetti “tritium poor”). Infatti le difficoltà associate a miscele combustibili al 50/50 deuterio-trizio sono ben note (80% dell’energia fornita attraverso neutroni veloci, incertezza sulla fattibilità di un metodo affidabile per la produzione di trizio, ecc.). Inoltre rimane attraente anche l’idea di sviluppare reattori a deuterio-elio3, come dimostrato dalle recenti dichiarazioni di interesse dei gruppi cinesi ed indiani responsabili per le due rispettive missioni di esplorazioni del suolo lunare. Uno degli scopi dichiarati è infatti l’estrazione di elio3, il combustibile più “appetibile” per la fusione nucleare. Si noti a questo riguardo che Coppi ha dedicato molto tempo allo studio del dispositivo da lui chiamato Candor, tokamak compatto ad alto campo magnetico funzionante con deuterio-elio3. Partecipazione a JET ed ITER- Non si vuole in queste note entrare nei dettagli del contributo italiano a questi due programmi; contributo che è stato ed è notevole, impegnando laboratori, enti di ricerca, industrie, sia in termini di mezzi che di persone. 6-9 Negli ultimi anni il contributo italiano ha riguardato: a) la fisica del plasma; b) la superconduttività; c) lo studio dei materiali; d) la telemanipolazione; e) la neutronica; f) il riscaldamento e i controlli; g) la sicurezza; h) le attività di sviluppo per DEMO. I laboratori ENEA di Frascati in particolare, oltre alla sperimentazione portata avanti su FTU, sono attualmente impegnati in attività riguardanti ITER. Altre proposte (FT3 – FAST)- Dopo una prima proposta, nel 2006, del tokamak FT3 /40/, nel 2008 l’ENEA propose la realizzazione di un tokamak, simile ad FT3 denominato FAST (Fusion Advanced Studies Torus) /41/. Questo tokamak dovrebbe funzionare con solo deuterio ed avrebbe lo scopo di simulare la dinamica delle particelle α usando deuteroni veloci accelerati con riscaldamento ausiliario o con sistemi current drive. I parametri che caratterizzano questa macchina dovrebbero essere: R0= 1,82 m a= 0,64 m BT=7,5 T Ip=6,5 MA Si tratterebbe, secondo i proponenti, di una facility satellite di ITER, da realizzarsi prima di questo e quindi entro il 2019, che dovrebbe poi funzionare in parallelo con esso. Sempre secondo i proponenti, FAST dovrebbe abbreviare il tempo necessario ad ITER per effettuare il suo programma scientifico. Il costo di FAST sarebbe di 326 M€; ma è probabile che un’analisi dei costi aggiornata che tenga anche conto di tutto quanto è necessario per questo impianto (p. es. il potenziamento della rete elettrica di connessione del Centro di Frascati con la rete elettrica nazionale) porti a cifre ben maggiori di questa. Il progetto è attualmente all’esame presso la Commissione Europea. Si tratta di valutare se i vantaggi ottenibili dalla sperimentazione su FAST giustifichino un tale onere economico solo parzialmente (25%) sostenuto da EURATOM. Comunque, a parte ogni considerazione di carattere economico, sulla proposta di questa macchina si possono fare diverse obiezioni. A questo proposito si vuole riportare, nella pagina che segue, una scheda che il professor Bruno Coppi mostrò al Senato il 19/06/08 durante lo svolgimento di un’indagine conoscitiva sulle ricerche italiane relative alla fusione nucleare. Sono anche interessanti due lettere scritte a proposito di FAST da E. Mazzucato, una in data 16/05/06 riguardante il rapporto prodotto su FT3 nel 2006; l’altra spedita a R. Conversano in data 9/11/08. 6.4 Istituto di Fisica del Plasma “Piero Caldirola”, Milano L’Istituto venne costituito nel 1970 come Laboratorio di Fisica del Plasma ed Elettronica Quantistica sotto la direzione del professor Piero Caldirola, con due sezioni distinte, una dedicata al plasma presso l’Università di Milano, e una all’elettronica quantistica presso il Politecnico di Milano. Nel 1975 le due sezioni divennero autonome e quella dei plasmi mantenne la denominazione di Laboratorio di Fisica del Plasma. Nel 1976 iniziò la collaborazione europea nell’ambito della associazione EURATOM-CNR, costituita insieme all’Istituto Gas Ionizzati di Padova. Nell’ambito di questa associazione fu realizzato il tokamak THOR /41 / che operò fino al 1989, e che era caratterizzato dai Ip=0,05 MA. Nel 1985 si seguenti parametri: R0= 0,52 m a= 0,16 m BT=1,1 T costituì l’associazione EURATOM-ENEA-CNR. Nell’ottobre 2001 l’Istituto venne confermato nella denominazione attuale di Istituto di Fisica del Plasma “Piero Caldirola” (IFP). L’Istituto comprende attualmente venti ricercatori/tecnici, dieci collaboratori tecnici, cinque amministrativi, 8 assegnisti/contrattisti e 7 collaboratori esterni. 6 - 10 6 - 11 L’esperienza acquisita su THOR ha consentito di progettare, realizzare e gestire scientificamente e tecnologicamente l’esperimento di riscaldamento addizionale del tokamak FTU, con finanziamento prioritario EURATOM. Oltre allo studio, teorico e sperimentale, dell’interazione di onde millimetriche di grande potenza con il plasma, l’IFP si è dedicato allo studio dell’aspetto fisico-chimico dell’interazione plasma-materia per processi di trattamento dei materiali. Per quanto attiene alla ricerca fusionistica con dispositivi tokamak è stata consistente l’attività riguardante la progettazione di Ignitor nell’ambito del gruppo di lavoro, guidato da Coppi, del quale si è già parlato a proposito di Ignitor; in particolare richiamiamo l’attenzione sulla tabella riportata a pag. 6-6. 6.5 Consorzio RFX, Padova Il Consorzio RFX di Padova, /42/, è stato costituito alla fine degli anni ’70 dall’ENEA, dal CNR (in particolare dall’Istituto Gas Ionizzati, IGI), dall’Università di Padova e dalle Acciaierie Venete S.p.A., nel quadro dell’associazione con EURATOM. Attualmente operano nel Consorzio 150 persone (80 ricercatori). Nel 2006 sono entrate nel Consorzio 20 persone dell’INFN. Scopo di questo Consorzio era quello di sperimentare su un dispositivo del tipo RFP. Negli anni dal 1974 al 1984 erano state realizzate le macchine ETA-BETA I e ETA-BETA II. In questa seconda in particolare si è studiata la cosiddetta “fase quiescente”, precedentemente apparsa nella macchina ZETA inglese. I risultati ottenuti hanno incoraggiato la costruzione della macchina RFX (Reversed Field eXperiment), più grande. Nel 1984 la realizzazione di RFX fu approvata con il supporto di EURATOM; i finanziamenti furono assicurati per il 45% da EURATOM e per il 55% da ENEA. La costruzione è durata dal 1985 al 1991 ed ha comportato una spesa di 100 miliardi di lire. Parametri caratteristici sono: raggio maggiore del toro 2m; raggio minore del toro 0,5 m; massima corrente di plasma 1MA; massimo campo magnetico toroidale 0,7 T. RFX è la prima macchina di tipo RFP di grandi dimensioni che raggiunge una corrente di plasma di 1 MA e la sostiene per qualche decimo di secondo. Nel 1999 un incendio distrusse buona parte degli impianti elettrici di alimentazione. Nel 2004, dopo la ricostruzione, si è realizzato l’RFX mod. Con questa macchina è stata acquisita una notevole esperienza nella tecnologia del controllo attivo della instabilità magnetoidrodinamica del plasma; controllo realizzato mediante opportuno sistema di bobine magnetiche disposte sulla camera toroidale. Il Consorzio contribuisce poi al programma ITER con lo studio del Neutral Beam Test Facility (NBTF) riguardante il riscaldamento del plasma; un progetto di circa 200 milioni di euro per i prossimi 8/10 anni, con un impiego di 50/70 esperti per anno. 7-1 7 – CONCLUSIONI – “PARADISE LOST” ∗ In questo lavoro si è ripercorsa la storia della ricerca sulla fusione termonucleare controllata con confinamento magnetico, in modo sommario e semplice, accennando solo alle principali macchine costruite, in corso di costruzione o non realizzate. Nel corso di questa esposizione sono già state fatte alcune considerazioni ed altre possono venire spontanee al lettore. E’comunque opportuno concludere questo lavoro con un’analisi critica relativa sia allo svolgimento dei programmi che all’informazione che su di essi viene di solito fornita; anche se ciò comporta necessariamente la ripetizione di cose già dette. Partiamo dallo svolgimento dei programmi. Da tutto ciò che è già stato detto risulta evidente la preferenza che è sempre stata data alla linea dei grandi tokamak. Però questa linea si presta a varie critiche fondamentali. Infatti il programma ITER con annesso Broader Approach, non consentendo la realizzazione dell’ignizione, non permette di proseguire per una strada che porti in definitiva alla produzione di energia da fusione. Fra l’altro in questo programma viene del tutto trascurata l’opportunità di passare all’impiego di combustibili avanzati; in particolare deuterio-elio3. Inoltre, i costi e i tempi associati con l’impresa ITER sono inaccettabilmente smisurati. E viene allora spontanea l’amara considerazione che, una volta trascorsi i citati decenni, nessuno potrà più chiamare gli operatori di questa impresa a rendere conto dell’inevitabile fallimento. Essi saranno ormai tutti o pensionati o, per la maggior parte, passati a miglior vita. I programmi FTU e RFX, d’altra parte, pur avendo senz’altro una loro validità, non producendo un plasma ignìto, hanno in pratica costituito un ostacolo allo svolgimento di un programma interessante da un punto di vista energetico oltre che scientifico. La giusta procedura dovrebbe essere quella di riuscire ad ottenere l’ignizione, così dimostrando la fattibilità scientifica della fusione nucleare, dapprima in un plasma deuterio-trizio (Ignitor) per passare successivamente alla più difficile realizzazione di un plasma ignìto di deuterio-elio3 (Candor). Ignitor quindi non è un reattore. Un ipotetico futuro reattore a fusione potrebbe anche essere assai diverso; magari non essere neppure un tokamak. Potrebbe per esempio essere del tipo stellarator; dispositivo questo che è tornato alla ribalta da alcuni anni (si pensi agli Stellarator W7-X tedesco e LHD giapponese già descritti). E’ pur vero che di Ignitor, anche se non ancora realizzato, esiste un progetto. Però l’enorme tempo trascorso dalla proposta e dall’inizio dei lavori di progettazione ad oggi fa nascere non poche perplessità circa l’efficacia della gestione dei lavori da parte dell’ENEA. E passiamo ora a qualche commento sul problema dell’informazione. L’informazione che viene fornita ai non addetti ai lavori, anche da stampa qualificata e dagli stessi operatori nel settore, è spesso carente o addirittura fuorviante. L’ottenimento di energia da fusione viene infatti in genere collegato strettamente alla realizzazione di macchine gigantesche del tipo di ITER, anche qui ignorando la possibilità di procedere sulla linea dei tokamak compatti. Per modo che i tanti che, con ragione, sono scettici circa la riuscita di ITER sono portati a credere, erroneamente, che non sia possibile di conseguenza giungere alla produzione di energia da fusione. Viene poi completamente ignorata l’opportunità di passare, una volta ottenuta l’ignizione di un plasma di deuterio-trizio, all’impiego di combustibili avanzati (come ad esempio il ∗ John MILTON, “Paradise Lost”, 1667 7-2 deuterio-elio3). La qual cosa, come si è visto, renderebbe l’energia prodotta decisamente più pulita. L’avere idee chiare sulla possibilità di un cammino verso la realizzazione di energia da fusione sarebbe importante in un momento in cui è forte il dibattito circa la possibilità di un ritorno all’energia nucleare da fissione. E invece nelle discussioni, piuttosto frequenti in questi ultimi tempi, riguardanti il problema del futuro energetico nel mondo, o non si parla affatto di fusione, oppure se ne parla come di una cosa che riguarda un futuro troppo lontano e che non può quindi essere presa in considerazione per delle scelte immediate. E in effetti, se si seguiterà a procedere in questo modo, l’energia da fusione rimarrà un obiettivo non lontano ma addirittura irraggiungibile. E’ evidente che i motivi per questa condotta devono essere di natura politico-economica, non certo scientifica; come se a livello di “decisori” esistesse la precisa volontà di non procedere verso l’ottenimento di energia da fusione. Purtroppo questa situazione viene accettata da molti in modo acritico. In parte inconsapevolmente, per mancanza appunto di una corretta informazione; ma in parte coscientemente, o per condizionamenti di natura politica o per il comprensibile timore di compromettere la propria carriera. A questo proposito vogliamo citare un passo dell’articolo di Glanz e Lawler su Science; “Planning a future without ITER” /24/, dove gli autori riportano una osservazione fatta da Navratil della Columbia University e che riportiamo testualmente “We can have frank discussions in private with people in Europe; but it’s almost impossible to get them to talk about it even with few others present. They can get into serious difficulty if they take positions out of line with the official policy”. Possedendo una ragionevole conoscenza del problema ed avendo la mente sgombra da ogni suggestione e da qualsiasi tipo di condizionamento, non si può fare a meno di chiedersi dove saremmo al momento attuale se si fosse fin dall’inizio intrapreso un percorso tendente in definitiva alla realizzazione di un reattore adottando la linea delle macchine compatte e dando assoluta priorità all’ottenimento dell’ignizione. Questa scelta programmatica avrebbe fra l’altro posto l’Italia in una posizione di leadership mondiale in tema di fusione nucleare. In un futuro, che però non sembra purtroppo essere molto vicino, il vento potrebbe anche cambiare. La comunità scientifico-tecnica mondiale potrebbe cioè decidere finalmente di orientarsi verso la produzione di energia da fusione. Per cui tutto il lavoro svolto sulla linea dei tokamak compatti potrebbe non essere stato vano. Ma anche così come porre rimedio al danno prodotto dal tanto tempo perduto, dallo spreco di denaro e di energia in programmi insensati, dal conseguente deterioramento o fuga di cervelli? E si viene assaliti da un senso misto di malinconia e di rabbia se si pensa a come sarebbe stato bello quello che invece si è ormai trasformato in una sorta di “Paradiso Perduto”. BIBLIOGRAFIA /1/ /2/ /3/ /4/ /5/ /6/ /7/ /8/ /9/ /10/ /11/ /12/ R. Conversano, F. Magistrelli, Analysis, 8, n°2 (2006)22 E. Pedretti, Vuoto, Sci. Tecnol., 14(1984)111 E. 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