Unicitá e centralitá del nostro pianeta - Il Convivio

I testi del Convivio
UNICITÀ E CENTRALITÀ DEL NOSTRO PIANETA
SOMMARIO
1. La Terra è un granello di sabbia in un deserto: come pensare che non ci siano pianeti
analoghi nei quali pure fiorisca ed evolva la vita?
2. Che replicare? Chiediamoci anzitutto che probabilità si dia di un altro pianeta
all’infuori del nostro sistema solare: una tale probabilità risulta invero esigua
3. Possiamo poi chiederci quanto probabile sia che la vita si generi spontaneamente in
un qualsiasi pianeta dell’universo: tale probabilità risulta praticamente nulla
4. La vita può nascere ed evolvere solo in virtù della sintropia, cioè per la presenza di un
principio attivo organizzante, il quale è, comunque, in grado di operare solo in
situazioni improbabili all’estremo
5. I fenomeni UFO richiedono quindi una spiegazione ben alternativa a quella
dell’esistenza di altri pianeti abitati
6. Come si giustifica una creazione così alla insegna dello spreco?
7. Come potrebbe una Terra all’apice del progresso agire anche sui punti più lontani di
un universo così sterminato?
8. Conclusione: anche se non in termini fisici, moralmente la Terra occupa nell’universo
una posizione unica e centrale.
1. La Terra è un granello di sabbia in un deserto:
come pensare che non ci siano pianeti analoghi
nei quali pure fiorisca ed evolva la vita?
La nostra galassia comprende cento miliardi di stelle, tra cui il Sole. Ma, come
osserva Stephen Hawking, “noi oggi sappiamo che la nostra galassia è solo una delle
centinaia di milioni di galassie che possiamo osservare con i moderni telescopi
(contenenti ciascuna qualche centinaio di milioni di stelle)…
“Noi viviamo in una galassia – che chiamiamo semplicemente la Galassia – che ha
un diametro di circa centomila anni-luce e che è impegnata in un lento movimento di
rotazione; le stelle contenute nelle sue braccia di spirale orbitano attorno al suo centro,
con un periodo di varie centinaia di milioni di anni.
“Il Sole è soltanto una comune stella gialla, di dimensioni medie, in prossimità del
bordo interno di un braccio di spirale” (S.H., Dal big bang ai buchi neri – Breve storia
del tempo, Rizzoli, 4ª ed., Milano 1992, p. 53).
Ora quelli che sostengono l’esistenza degli extraterrestri confutano i negatori col
porre loro questa domanda: “Come potete pensare che in un universo così vasto non ci
siano altri mondi abitati? o, almeno, altre forme di vita?”
Aggiungono poi: “Non sapete che nelle centinaia di milioni di galassie di questo
universo sono sparse centinaia di miliardi di stelle e chissà quale numero veramente
astronomico di pianeti?”
1
In conclusione: “Come potete pensare che tra tanti pianeti non ce ne siano dove
possa darsi la vita? e dove, magari, possano darsi esseri simili a noi umani?”
2. Che replicare? Chiediamoci anzitutto
che probabilità si dia di un altro pianeta
all’infuori del nostro sistema solare:
una tale probabilità risulta invero esigua
Che cosa replicare? Formuliamo, anzitutto, due ipotesi: o che l’evoluzione del cosmo
sia predisposta da una intelligenza a proprio libito; o che tale evoluzione sia dominata
dal caso.
Nella prima ipotesi l’Intelligenza creatrice potrebbe fare quel che vuole, anche le
cose che noi umani giudicassimo impossibili: ed è inutile chiedersi che cosa possa
essere più probabile.
Solo nella seconda ipotesi – o almeno, diciamo, partendo da questa – ha senso
chiedersi quanto un certo fatto sia probabile, o meno.
Prima di porci il problema di come la vita possa avere origine, e secondo quale
probabilità, conviene interrogarsi circa la possibilità che si venga a costituire un
ambiente adatto ad essa. In altre parole: quanto è probabile che si venga a formare un
pianeta idoneo ad ospitare la vita?
Diversamente da quanto immaginano i nostri amici appassionati agli extraterrestri,
Pierre Teilhard de Chardin osserva che la presenza dei pianeti nell’universo è un fatto
estremamente raro e del tutto casuale. Solo le stelle visibili col telescopio sono, scrive
Teilhard nel 1945, quindicimila per dieci alla sesta potenza.
Facendo propria un’ipotesi già accolta con favore da tanti astronomi, Teilhard
immagina che abbia avuto luogo un grosso incidente fortuito: un’altra stella avrebbe
potuto sfiorare il nostro Sole alla distanza minore di tre diametri e, agendo su di esso
con la propria forza di attrazione, gli avrebbe strappato un lungo filamento fusiforme;
questo, poi, si sarebbe frammentato in una sorta di rosario di globi separati, ruotanti
attorno al Sole ad una serie di immense distanze.
Quale che sia il valore dell’ipotesi fatta propria da Teilhard de Chardin, possiamo
con lui dire che “noi rimaniamo confusi dinanzi alla rarità e all’improbabilità di astri
simili a questo che ci porta” (Oeuvres de P. T. de Ch., V, Éditions du Seuil, Paris, p.
142 e più in gen. 130-142).
Nel sistema di Laplace ogni stella, o quasi, doveva avere i suoi bravi pianeti, mentre,
nel secolo XX, si ritiene piuttosto che la probabilità di avere pianeti sia di uno a
centomila, secondo James Jeans, se non di uno a vari milioni, secondo la stima di Arthur
Eddington.
3. Possiamo poi chiederci quanto probabile sia
che la vita si generi spontaneamente
in un qualsiasi pianeta dell’universo:
tale probabilità risulta praticamente nulla
Ci siamo fatti almeno un’idea di quanto sia improbabile che venga a formarsi un
altro pianeta simile al nostro, che possa ospitare un fenomeno analogo a quello che noi
chiamiamo vita.
Passiamo, ora, a chiederci quanto sia probabile che venga a generarsi un tale
fenomeno in una qualsiasi forma o in una qualsiasi parte dell’universo.
2
I dati su cui fondare una risposta chiara li trovo nel libro Dio e la scienza (Bompiani,
Milano 1997), che contiene un dialogo tra il filosofo Jean Guitton e due uomini di
scienza, i fratelli Grichka e Igor Bogdanov.
Guitton osserva che nell’evoluzione del cosmo la vita deve aprirsi un ben difficile
varco tra mille ostacoli prima di potere emergere. Lo spazio vuoto è incredibilmente
freddo. La sua temperatura scende a meno 273 gradi e in quell’istante il vivente anche
più semplice rimarrebbe congelato.
D’altra parte, all’estremo opposto, la materia delle stelle è così rovente che nessun
vivente potrebbe resistervi. Nell’universo ci sono, infine, radiazioni e bombardamenti
cosmici continui. Così l’universo “è la Siberia, è il Sahara, è Verdun”; esso “è come il
freddo esteso all’infinito, il caldo esteso all’infinito, i bombardamenti ripetuti”.
Dal canto suo, Grichka muove da un esempio molto concreto. Egli premette che una
cellula vivente è composta da una ventina di aminoacidi, i quali vengono a formare una
catena compatta. Dice inoltre che, a propria volta, la funzione di questi aminoacidi
dipende da circa duemila specifici enzimi. Ora, secondo i calcoli dei biologi, “la
probabilità che un migliaio di enzimi differenti si raggruppino in modo ordinato fino a
formare una cellula vivente (nel corso di un’evoluzione di diversi miliardi di anni) è
dell’ordine di 10 alla millesima potenza contro uno”.
Jean Guitton commenta: “È come dire che questa probabilità è nulla”.
E a questo punto Igor Bogdanov cita un’affermazione di Francis Crick, che ha
conseguito il premio Nobel con la scoperta del DNA: “Un uomo qualsiasi, con tutto il
bagaglio di conoscenze oggi a nostra disposizione, potrebbe affermare solo che l’origine
della vita sembra allo stato presente appartenere all’ordine del miracolo, tante sono le
condizioni che dovrebbero trovarsi riunite per poterla realizzare”.
Una volta formate, le primissime cellule dovevano riprodursi. Ora, dice Guitton, “il
problema è... di sapere che cosa sia successo a questo stadio: come hanno fatto queste
primissime cellule a inventare gli innumerevoli stratagemmi che hanno portato a questo
prodigio: la riproduzione?”
La riproduzione delle cellule si effettua attraverso la trascrizione del famoso DNA in
un RNA a singolo filamento. Ciascun filamento è una molecola composta di tanti
nucleotidi di quattro tipi, di quattro sostanze diverse chiamate adenina, timina, guanina,
citina, che in varia maniera si avvicendano.
Ecco, allora, un esempio che adduce Grischka Bogdanov. Lo riporto con le sue stesse
parole: “Affinché la formazione dei nucleotidi portasse ‘per caso’ all’elaborazione di
una molecola di RNA utilizzabile, sarebbe necessario che la natura moltiplicasse i
tentativi a casaccio nello spazio di anni 10 alla quindicesima potenza, ossia per un
tempo centomila volte più esteso dell’età complessiva del nostro universo”.
Grischka Bogdanov ci offre, poi un altro esempio: se l’oceano primitivo avesse
posto in essere tutte le varianti suscettibili di venire elaborate “per caso” a partire da una
sola molecola contenente qualche centinaio di atomi, saremmo giunti alla costruzione di
possibili varianti in numero maggiore di 10 alla ottantesima potenza. Ora è fuor di
dubbio che gli stessi atomi contenuti nell’intero universo sono in numero minore.
3
4. La vita può nascere ed evolvere solo
in virtù della sintropia, cioè per la presenza
di un principio attivo organizzante
il quale è, comunque, in grado di operare
solo in situazioni improbabili all’estremo
Vorrei, ora, dare la parola a due scienziati italiani: Luigi Fantappiè e Giuseppe
Arcidiacono. Vorrei, però, premettere un cenno a quell’ipotesi secondo cui i fenomeni
biologici, o della vita, si generano dai fenomeni fisico-chimici senza soluzione di
continuità, senza alcun bisogno di un principio intelligente che li ponga in atto.
Una tale ipotesi viene così espressa, in brevi parole, dal biologo Emanuele Padoa:
“Dal punto di vista fisicochimico, molecolare, le strutture viventi ci si presentano,
essenzialmente, come una associazione di proteine, che sono polimeri di aminoacidi, o,
come anche si dice, catene polipeptidiche; e di acidi nucleici, polimeri di
mononucleotidi, o catene polinucleotidiche” (Padoa, Storia della vita sulla Terra,
Feltrinelli, 3ª ed., Milano 1978, p. 15).
Luigi Fantappiè e Giuseppe Arcidiacono si schierano proprio in opposizione a un
concetto del genere. Essi rilevano che i fenomeni della vita, come tali, non hanno affatto
un carattere deterministico ed entropico, ma rivelano, all’opposto, un intimo finalismo
ed un netto carattere sintropico (G. A., Fantappiè e gli universi, Il Fuoco, Roma 1986,
p. 76).
Lasciata a sé, la materia si lascia andare alla propria inerzia, che ne imprigiona lo
slancio iniziale che l’ha posta in essere e l’avvia a un disordine crescente e, al limite,
alla disgregazione totale. Se tutto è materia e solo materia, tutto è destinato, in ultimo,
alla distruzione. Questa è l’entropia, cui si può contrapporre efficacemente solo la
presenza attiva di un principio organizzante: di quella che viene chiamata entropia
negativa e che Fantappiè preferisce chiamare sintropia.
Paul Davies osserva che, in opposizione alla seconda legge della termodinamica che
stabilisce un costante aumento del disordine, “l’origine e l’evoluzione della vita
costituiscono un esempio classico di ordine in aumento”. E ritiene che “non vi sarebbe
ordine affatto se l’universo non fosse nato con una considerevole riserva di entropia
negativa” (P. D., Dio e la nuova fisica, 2ª ed., Mondadori, Milano 1986, pp. 96 e 231).
Pare abbastanza evidente che l’universo, per ordinarsi, per vivere, per progredire, per
ascendere alle espressioni più alte dell’essere e del valore, ha bisogno di alimentarsi a
una riserva di sintropia. E non è detto che debba trattarsi di una riserva limitata. Mi
sentirei di esprimerla, più che con l’immagine di una cisterna, con quella di una
sorgente inesauribile.
Davies ad un certo punto si chiede se la realtà, nell’universo, di una riserva di
entropia negativa non dimostri l’esistenza di un Dio creatore (ivi, p. 231).
Osserva Arcidiacono che “i fenomeni della Vita, che potrebbero essere di tipo
sintropico, non è stato possibile ridurli a puri fenomeni fisico-chimici” (op. cit., p. 76).
Così Fantappiè e, sulla sua scia, Arcidiacono sviluppano quello che è, nel merito, il
loro pensiero: fin “nelle prime fasi di sviluppo dei viventi si ha una netta prevalenza dei
fenomeni sintropici e quindi un continuo aumento dei processi di differenziazione della
materia, che si organizza in tessuti ed organi” (p. 86).
Ora “tale estrema differenziazione all’interno delle molecole delle proteine ha una
probabilità di formazione, dal punto di vista termodinamico [cioè dell’entropia], di 10
alla potenza di -600 circa ed è quindi praticamente impossibile”. Ne consegue che
hanno natura sintropica non solo i fenomeni vitali in genere, ma la formazione stessa di
una proteina (ivi).
Sono fenomeni impossibili a spiegarsi in un contesto puramente fisico-chimico, di
4
una causalità meramente entropica: “…La formazione di una singola molecola proteica
ha una probabilità così piccola da risultare impossibile, anche se consideriamo un
periodo dell’ordine dell’età dell’Universo. A maggior ragione diventa del tutto
impossibile la formazione dei viventi, anche i più semplici, rimanendo entro lo schema
causale” cioè nell’ambito della spiegazione deterministica (pp. 88-89).
Come già si diceva, presupposto perché la vita possa trarre origine e svilupparsi, è
che si formi un ambiente cosmico adeguato, che la possa ospitare: è che, cioè, il pianeta
Terra assuma consistenza nelle condizioni favorevoli. Nel 1953 Stanley Miller e Harold
Urey, di Chicago, simularono in una pozza d’acqua le possibili condizioni della Terra di
miliardi di anni fa e dopo alcuni giorni trovarono che vi si erano formate sostanze
importanti per la vita.
“Si tratta di un risultato senza dubbio incoraggiante”, commenta Paul Davies, “ma
che non ci autorizza affatto a concludere che un ‘brodo’ cosiffatto possa, lasciato a se
stesso, generare spontaneamente la vita soltanto provando ogni combinazione chimica
possibile anche per milioni e milioni di anni. Basta un semplice calcolo statistico per
dimostrare che il DNA – la complessa molecola che reca impresso il codice genetico –
ha scarsissime – o, meglio, infinitesimali – probabilità di costituirsi spontaneamente. Le
combinazioni possibili sono così numerose che le probabilità di imbroccare per caso
quella giusta sono praticamente zero” (op. cit., p. 102).
5. I fenomeni UFO richiedono quindi
una spiegazione ben alternativa
a quella dell’esistenza di altri pianeti abitati
Questa improbabilità estrema che il fenomeno della vita possa prodursi per caso,
questo suo carattere “miracoloso” fa sì che sia ancor più improbabile che, su qualche
altro pianeta, la vita pervenga per puro caso ad esprimersi in date forme precise: per
esempio evolvendo fino a generare esseri umanoidi simili a quelli umani della terra e
magari con gli stessi lineamenti, con i medesimi comportamenti e addirittura con vestiti
di taglio analogo secondo l’idea che ci siamo fatti di una moda futuribile ricalcata un
poco sulla presente.
Se registrabili in maniera obiettiva, gli UFO vanno certamente studiati come
fenomeni. Come darne ragione? Non certo con una spiegazione casualistica la cui
probabilità sia ridotta a misura infinitesimale: non certo con una ipotesi la cui
probabilità infinitesimale confini con l’assoluta improbabilità. Ammesso che quei
fenomeni si diano, bisognerà cercarne una spiegazione alternativa.
Gli UFO (Unidentified Flying Objects, oggetti volanti non identificati) nella sostanza
appaiono riducibili a creazioni mentali collettive. Osservati con attenzione, appaiono
realtà mentali alquanto evanescenti e fantomatiche, ma a un tempo capaci di
materializzarsi in varia misura, fino ad attingere una consistenza ben solida.
Questa loro natura mentale suscettibile di materializzarsi risulta confermata da un
esame delle dimensioni che gli UFO assumono, dei loro colori, movimenti e velocità,
oltre che dei loro apparenti occupanti.
I fenomeni UFO si rivelano regolati da una intrinseca intelligenza, che dà ai
fenomeni stessi consistenza, dinamismo e autonomia; però di un livello tale che rende
loro impossibile di superarsi più di tanto e li condanna a una ripetitività monotona,
sterile e inconcludente.
Ho sviluppato questa interpretazione nel n. 23 dei Quaderni della Speranza, il quale
si intitola La mente plasma la materia, ne è autonoma e le sopravvive. Ora il quarto
capitolo di quel Quaderno si intitola, a propria volta, In che senso gli stessi fenomeni
5
UFO vadano interpretati quali creazioni mentali capaci di raggiungere una certa
consistenza fisica.
È un discorso abbastanza complesso, che il detto capitolo svolge con una certa
chiarezza e compiutezza, e che l’intero Quaderno inquadra nell’insieme della
fenomenologia paranormale. Non rimane che affidarlo alla benevola attenzione dei
lettori volenterosi.
6. Come si giustifica una creazione
così all’insegna dello spreco?
Un altro problema si viene a porre, poi: questa volta in un più stretto contesto
metafisico-religioso. Riferendoci ai dati proposti all’inizio di questo scritto, ci si può
chiedere che bisogno avesse il buon Dio di creare centinaia di migliaia di trilioni di
stelle per porre in essere la vita e l’evoluzione in un solo pianeta: in un solo puntolino
appena percettibile di un pulviscolo di corpi celesti decisamente sproporzionato.
La soluzione del quesito potrebbe essere questa che segue. L’operare di Dio appare
condizionato dalle forze che sono in atto nell’universo. L’evoluzione che Egli promuove
si può realizzare solo dove ci siano condizioni favorevoli.
L’origine della vita presenta un che di miracoloso. Ora, però, gli stessi interventi
miracolosi della Divinità sono relativi e progressivi.
La vita poteva apparire ed evolvere solo dove, in qualche maniera, se ne generassero
i presupposti. Ma abbiamo visto quale probabilità minima, infinitesimale, avessero le
premesse della vita di venir poste in essere. L’improbabilità estrema del risultato
giustifica una così immane e sterminata molteplicità di tentativi.
7. Come potrebbe una Terra
all’apice del progresso
agire anche sui punti più lontani
di un universo così sterminato?
Per quanto si possa affermare l’onnipotenza di Dio, ciò non significa per nulla che la
divina onnipotenza debba esprimersi tutta e subito ed in assoluta pienezza. Se volgiamo
l’attenzione sul nostro pianeta, nulla, proprio nulla ci può dare conferma che vi sia
stabilito il regno di Dio. Questo può apparire, piuttosto, una realtà in germe, un granello
di senapa, ovvero la semente del grano, in fase di germinazione e di sviluppo, come del
resto la definisce lo stesso Vangelo (Mt. 13, 31-32: Mc. 4, 26-32; Lc. 13, 18-19).
A chi alimenti in sé un’esperienza di fede, nulla impedisce di credere che questa
Terra sia destinata in futuro a trasformarsi in regno di Dio via via per gradi. Al culmine
della sua manifestazione, l’azione creatrice di Dio potrebbe giungere a trasformare
interamente l’uomo e ancora quell’ambiente, che è da considerare come il
prolungamento del corpo umano. Alla fine l’universo intero potrebbe essere tutto
trasformato e deificato.
Nella prospettiva cristiana l’agire divino si avvale anche dell’opera umana,
esprimendosi attraverso l’agire di uomini eletti a suoi veicoli di grazia. Una
trasformazione totale dell’universo può, così, essere attuata da Dio attraverso uomini
deificati.
Ora come potrebbero gli uomini trasformare l’universo intero agendo, dalla terra,
fino alle distanze più astronomiche, sterminate, incommensurabili?
6
Bisogna tener conto che, nell’universo, ogni punto contiene anche tutti gli altri:
quindi in ogni punto prossimo a noi sono contenuti anche tutti i punti più distanti,
perfino quelli siti a distanze astronomiche ed oltre.
Questa coincidenza in termini spaziali fa sì che i punti più immensamente distanti
siano talmente a portata di mano, che noi possiamo conoscere tutto quel che c’è ed
anche agire su tutto quel che vi si dà.
Un esempio della nostra facoltà, almeno potenziale, di conoscere quel che è sito a
lontananze anche sterminate in maniera indipendente dalla distanza ci è dato dai
fenomeni di telepatia e di chiaroveggenza nel presente.
Un discorso analogo si può fare a proposito di quegli eventi che accadono a distanza
di tempo da noi. Pure qui la parapsicologia soccorre a offrirci qualche argomento, a
conferma che la cosa è possibile. Si danno, in proposito, i fenomeni di chiaroveggenza
nel passato e nel futuro. Un sensitivo può avere visioni di eventi passati e anche di
eventi futuri, con una certa ricchezza di particolari.
Tutti questi fenomeni suggeriscono con chiarezza che sia lo spazio, sia il tempo sono
qualcosa di relativo. Sotto un certo aspetto spazio e tempo risultano aboliti.
Come tutti i punti dello spazio (compresi quelli siti alle distanze più vertiginose)
sono compresenti in ogni punto più vicino a noi, così tutti gli attimi successivi del
tempo sono compresenti nell’attimo che ora viviamo.
Come gli spazi finiti e relativi null’altro sono che espressioni dell’infinito, così i
successivi tempi null’altro sono che espressioni dell’eternità, di un eterno presente.
Si è accennato a telepatia e chiaroveggenza come ad esempi di una nostra capacità
almeno potenziale di conoscere quel che accade anche a immense distanze superando
ogni limite di spazio. Vediamo, ora, se ci può soccorrere un esempio di una nostra
facoltà, almeno potenziale, anche di agire a distanza. Questo secondo esempio ci è dato
dai fenomeni di psicocinesi.
Per quanto nel loro sviluppo attuale questi perloppiù si limitino ad agire a distanze
brevi, noi possiamo già trovare qui una conferma almeno in linea di principio della
possibilità che la mente possa non solo conoscere ma anche agire a distanza
indipendentemente dalla distanza stessa.
8. Conclusione: anche se non in termini fisici
moralmente la Terra occupa nell’universo
una posizione unica e centrale
Come si è visto, Hawking localizza il nostro Sole alla periferia della nostra Galassia:
in prossimità del bordo interno di un suo braccio di spirale. Quale, poi, sia la posizione
della nostra Galassia rispetto alla totalità dell’universo è problema, per forza di cose,
tuttora insoluto. Se però la Terra fosse l’unico astro ad ospitare la vita e l’evoluzione,
saremmo necessitati ad attribuirle una centralità nell’universo, in termini morali, quale
che fosse la sua posizione in termini fisici.
Nell’antichità Tolomeo affermò la posizione centrale della Terra nell’universo anche
in termini fisici. Fu, poi, pochi secoli fa, Copernico a negarle tale ubicazione,
imponendo la sua nuova teoria cosmologica malgrado ogni opposizione di teologia e
filosofia tradizionali.
Se però – come si prospettava – la Terra dovesse rivelarsi l’unico astro ad ospitare
l’evoluzione della vita e poi dello spirito, essa mostrerebbe di essere il prodotto più
maturo dell’evoluzione cosmica intera, l’anima dell’universo e il suo ultimo fine, quindi
il suo centro morale. Riscossa morale del vecchio Tolomeo?
7