IL NATALE DEGLI ESCLUSI
«Il Natale mi f a pensare a que lle anf or e romane che ogni tanto i pescatori tira no
fuori dal mare con le loro reti, tutte ricopert e di conchiglie e di incrostazioni marine ch e
le rendono irriconosci bili. Per ritrovar ne la fo rma, bisogna togliere tutte le incrostazioni.
Così il Natale. Per ri trovarne il sign if icato aut entico, bisognerebbe liberarlo da tutte le
incrostazioni consumi sti che, festaiole, abitudinarie, cerimoniose, eccetera, eccetera» . È
un po’ inattesa la f irma apposta a que sto bra no di un articolo: era, infatti, Alberto Mora via
che im pietosament e, ma con verità, a nn i f a r improverava anche ai cristiani la riduzione d e l
Natale a un reperto archeologico-folclorico su l quale si depone la patina del tempo e si
raggrumano le incrostazioni di tante scor ie. È il Natale che ripopola i templi del consu mo,
che pubblici zza viaggi esotici o vacanze sulla neve, che addobba le strade con lumi narie
e, sì, che forse spi nge anche i più renitenti a una Messa di mezzanotte, ma per un rito n on
troppo diver so dal cenone.
Cer to, ci può essere anche la reto rica dell’anti-retorica. Ne era un po’ partecipe
anche un al tro autore “scandaloso” com e Curzio Malaparte, quando nel Natale del 195 4
scriveva: «Tra pochi giorni è Natale e g ià gli uomini si preparano alla suprema ipocri sia…
Vorrei che il gi orno di Natale il panetto ne diventasse carne dolente sotto il nostro coltello
e i l vino diventasse sangue e avessimo tu tti per un istante l’orrore del mondo in bocca …
Vorrei che la not te di Natale in tutte le chiese del mondo un povero prete si levasse
gridando: V ia da quella culla, ipocriti, bugiar di, andate a casa vostra a piangere sulle cu lle
dei vostr i figli. Se il mondo soffre è a nch e pe r colpa vostra, che non osate difendere la
giustizia e la bont à e avete paura di esser e cristiani fino in fondo. Via da questa culla ,
ipocriti! Questo bambino, che è nato p er sa lvar e il mondo, ha orrore di voi!».
Si direbbe che questa è enfasi o m ag niloq uenza oratoria. Eppure è necessario, so tto
il manto corru sco di questi appelli, ritr ova rne la verità nuda e cruda. Certo, innanzitut to, la
verità dei Van geli , esemplari per pacate zza e sobrietà, eppure dotati dell’incandescenza
di un ferro rovent e, per usare una famosa imm agine di Bernanos. Ma c’è anche una ve rità
che sboccia dal le pagine di tanti art ef ici d ella parola, scrittori, poeti e filosofi, per no n
parlare poi della “voce” dei monument i e dei dipinti (e qui ricorriamo a una formula di
uno storico dell’arte come de Jerphanio n che era convinto dell’eloquenza dell’arte). Non
vogliamo e no n possiamo abbozzare o ra una sia pur minima antologia letteraria sul Na tale,
desumendol a da un oceano testuale che ha co perto i secoli cristiani. Lo si è fatto in ta nti
volumi dai titoli espliciti: Natale dei poeti , Na tale d’autore , Natale dei filosofi e così via .
Ad esempio, nel 1995 un docente di f ilo sof ia t eoretica, Giovanni Moretto, nella sua o pera
La stella dei filosofi , edita dalla Que rin iana, aveva convocato attorno alla mangiatoia d i
Betlem me Hegel e Bl och, Schelling e Schopenhauer, Dilthey e Sartre.
Quest’ult imo pensatore – anch’e gli u n po ’ inatteso come i citati Moravia e Malaparte
– ci ha lasciato quel Bariona o il fig lio del tu ono , composto nel lager nazista di Tre viri
per il Natale del 1940, ove si leggono p ar ole emozionanti sui sentimenti di Maria: «Cristo
è suo figlio, carne della sua carne e f rutt o delle sue viscere. Ella lo ha portato per n ove
mesi e gli darà i l seno e il suo latte divente rà il sangue di Dio…Ella sente insieme che il
Cristo è suo f igl io, il suo piccolo, e che e gli è Dio. Ella lo guarda e pensa: “Questo Dio è
mio figlio. Questa carne divina è la m ia ca rne. Egli è fatto di me, ha i miei occhi e que sta
forma della s ua bocca è la forma della m ia. Egli mi assomiglia. È Dio e mi assomiglia !”.
Nessuna donn a ha avuto in questo mo do il suo Dio per lei sola. Un Dio piccolissimo ch e
si può pr endere tra le braccia e coprire di ba ci, un Dio tutto caldo che sorride e resp ira,
un Dio che si può toccare e vive».
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Certo , Sartre ri mane fuori dal cono di luce del Natale: «Io resto nella grand e
notte terrestre, nella notte tropicale dell’o dio e della sventura. Ma – potenza illusoria de lla
fede! – s’inna lza in questa stalla alla luce di una candela, il primo mattino del mo ndo .
Io sono sulla strada nella parte del m on do che finisce e loro in quella che comincia ».
Ecco, vorr emmo conti nuare a procede re anche noi su questa via “agnostica” o, come si
è soliti dire oggi, “lai ca” del Natale co involg endo in maniera del tutto casuale solta n to
qualche altr a voce, apparentemente e str an ea alla festa cristiana. Ascoltiamone una forse
lievemente i ronica eppure sorprenden te: «O ggi siamo seduti, alla vigilia di Natale / n o i,
gente miser a, / in una gelida stanzetta , / il vento corre di fuori, / il vento entra. / Vie n i,
buon Signor e Gesù, da noi, / volgi lo sg ua rdo: / perché Tu ci sei davvero necessario».
Chi so spett erebbe che questi ver si sono di Brecht, il drammaturgo che ci aveva
invitato a irridere ogni i llusione e sed uzione r eligiosa perché «non esiste ritorno, / morite
come le besti e / e non c’è niente, dopo»? Il Na tale dei poveri che aspettano un salvatore ,
a differenza di chi è ri pieno di cose come un ca ppone, costringe anche l’autore dell’Op era
da tre soldi a giudi care “necessario ” il «buon Signore Gesù». Il filosofo Wittgenstein
giustamente ri cordava nei suoi Pensier i d iver si che «il cristianesimo non è una dottrina ,
non è una teo ria di ciò che è stato e sarà nell’an ima umana, ma la descrizione di un even to
reale nella vita dell’uomo». Infatti, se Crist o è anche Verbo, Parola, lo è però nel senso
biblico di atto, di evento appunto, è il logos che si fa sarx , cioè carne, storia, uman ità,
accogliendo in sé per redimerle pove rt à, sof f er enza, caducità, mortalità.
Non per nulla l’ icona della Nativit à che appare a Novgorod a partire dal XV secolo
e che continu erà nei secoli, lambendo anche l’arte occidentale, non mette il Bambi no in
una culla m a lo adagi a nel sepolcro pasquale , e il convertito Max Jacob nei suoi Po e mi
del gaelico M orven scriveva: «La Verg ine d iceva lavando il Bambino: / “Una nuova spu g na
mi ci vuole / uno smaltato catino”. / O gni cosa a suo tempo, / replica il bambino Ge sù, /
la spugna per il fi ele, / il catino per il sangue! ». Già cola il sangue della crocifission e in
quel catino di abl uzioni . Deviando dalla st ra da oscura a cui accennava Sartre, per sta re
nel tema del dolore che s’avviluppa al Nata le, è spontaneo pensare ai versi del mistico
della “notte oscura”, san Giovanni de lla Cr oce : «Dio, nel presepio, piangeva e gemeva , /
poiché erano questi i gioielli / portati alle nozze della sposa. / La madre soffriva a ve dere
tale scam bio: / il pianto dell’uomo in Dio / e la gioia di Dio nell’uomo, / cose che erano
prima così estranee all ’uno e all’altro».
Ma ri torniamo agli “altri” rispe tto ai credenti, a coloro che sono forse alla
ricerca della stella di Betlemme, come lo era certamente Quasimodo. Eccolo davan ti al
tradizionale p resepio: «Guardo il presepe sco lpito, / dove sono i pastori appena giunti / alla
povera stalla di B etlemme…/ Pace ne lla finzione e nel silenzio / delle figure di legno: e cco
i vecchi / del villaggio e la stella che risp lende, / e l’asinello di colore azzurro. / Pac e nel
cuore di Cristo in eterno; / ma non v’è p ace ne l cuore dell’uomo. / Anche con Cristo, e so n o
venti secoli, / il fratel lo si scaglia sul fr at ello. / Ma c’è chi ascolta il pianto del bamb ino /
che morirà po i in croce fra due ladri?» . Forse aveva un po’ ragione un poeta apparta to
come Giovanni A ngelo Abbo quando, nel suo Natale 1987 , scriveva: «Travestiti da pastori /
o scorta volontaria dei re Magi / andia mo a Betlemme cianciando / di grazia d’amore d i
pace, / comunque nascondendo / sotto il ma nt ello per ogni evenienza / un kalashnikov be n
oliato».
Appelli severi, quindi, per ritrovare l’anima autentica del Natale, che ha perciò
un suo valor e emblematico per tutti, co n b uo na pace di coloro che vorrebbero abbatte re
tutti i simboli religiosi, creando un mondo così neutro e senza segni da divenire inc olore
o solo grigio. Il vero concetto di “laic it à” ( term ine per altro di genesi religiosa) è fatto, sì,
di distinzione , di aut onomia, di ident it à d ei due ambiti, il politico e lo spirituale, ma n on
di separatezza o negazione o antitesi. È, allora, con la voce di un poeta “laico”, ma di
forte tensione interi ore, che concludia mo q ue sto nostro particolare viaggio natalizio. Tale
citazione s’intrecci a con un ricordo per son ale. Eravamo alle soglie del Natale 1989 e il
direttore di Fa miglia Cristiana di allora m i aveva chiesto qualche nome non “scontato ” di
poeta a cui domandare un testo natalizio. Su gg erii subito un autore che mi aveva semp re
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impressionato per l ’i ntensità e la forza de lla sua poesia, anche nelle forme più aspre di
contesa col mistero, G iorgio Caproni. Lo feci col sospetto, però, che declinasse l’invito .
E invece egli inviò la poesia che ora ripropongo (e che è entrata anche n e l
“Meridiano” a lui dedicato da Mondadori n el 1 998). Il titolo della composizione era lu ngo
e significativo : «D inanzi al Bambin Gesù, / pensando ai troppi innocenti / che nascon o ,
derelitti, nel mondo» (i l poeta aveva chiest o successivamente di mutare il titolo nella fin a le
così: «…che appaiono, reietti, nel mo nd o» ). Nei versi dal tono quasi colloquiale che o ra
citeremo, vorremmo sol o sottolineare l’appello che è rivolto a noi credenti: «Almeno tu, in
nome del piccolo S alvatore cui, così ar de nt em ente, credi…». È a noi che tocca, più de l
poeta e più d egli altri che festeggiano b an alm ente o quasi ignorano l’anima genuina del
Natale, di invocare e seminare nel mo nd o quel “grano di carità” che sostenga l’immensa
folla dei “derelitti” e “reietti” che s’af faccia no su questa “Terra guasta”. Una nota a
margine: un mese dopo, il 22 gennaio 1 99 0, Caproni moriva. Queste, allora, divenivan o
forse le sue u lt ime ri ghe:
«Nel gelo del disamore… / sen za asinello né bue… / quanti, con le stesse Sue /
fragili membr a, quant i / Suoi simili, in tr emo re, / nascono ogni giorno in questa / Terra
guasta!... / Sol i / e indifesi, non basta / a sa lvarli il candore / del sorriso. / La Bestia /
è spietata. Spietato / l’Erode ch’è in t ut t i n oi. / Vedi tu, che puoi / avere ascolto. Ve d i /
almeno tu, in nome / del piccolo Salva tore / cui, così ardentemente, credi / d’invocare per
loro / un grano di carit à. / A che mai ser ve il pianto / – posticcio – del poeta? / Meno ch e
a nulla. È soltanto / vano orpello. È vilt à».
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