Le tappe del pensiero sociologico

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Le tappe del pensiero sociologico
R. Aron
Montesquieu (1689-1755)
Sociologo perché tenta di conoscere scientificamente la realtà sociale.
Ne Lo spirito delle leggi egli tenta di rendere intelligibile la storia, di comprendere il dato storico
che gli si presenta come una diversità quasi infinita di usi, costumi, leggi, istituzioni; come si
giungerà, dunque ad un ordine pensato da tutto ciò? In due modi: risalendo alle cause che hanno
determinato l’andamento generale degli eventi (spiegando perciò il divenire) ed organizzando la
diversità riportandola ad un piccolo numero di tipi o concetti.
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Teoria politica
Distingue tre tipi di governo e li definisce in base ai concetti di natura (ciò che lo fa essere quel che
è, la sua struttura) e principio (Il sentimento che deve animare gli uomini in quel tipo di governo
perché esso funzioni) del governo:
1. la Repubblica in cui il popolo detiene il potere; essa dipende dalla virtù intesa come
rispetto delle Leggi e dedizione degli individui alla collettività.
2. la monarchia in cui uno solo governa ma secondo leggi fisse; essa dipende dall’onore
inteso come rispetto nei confronti del rango.
3. il dispotismo in cui uno solo governa senza legge e determina tutto secondo la sua
volontà; essa dipende dal timore
Ciascuno dei tre tipi risponde ad una certa dimensione della società considerata (in questo sta
l’importanza di Montesquieu, nell’aver combinato l’analisi dei regimi con quella del tipo di
società): la repubblica può esistere solo in un piccolo territorio, la monarchia ha bisogno di uno
Stato medio, mentre un grande impero suppone un’autorità dispotica in chi lo governa.
Decisivo è il concetto che la vita sociale si diversifica in relazione al modo in cui è esercitato il
potere: nella repubblica l’organizzazione è fondata sull’uguaglianza, nella monarchia sulla
disuguaglianza (sebbene il bene della collettività sia assicurato e l’autorità è esercitata secondo le
leggi e la moderazione), nel dispotismo si torna all’uguaglianza, ma fondata nella paura,
sull’arbitrarietà e sulla violenza.
Analizza in particolare la forma di governo inglese che vede come garanzia di libertà; garanzia che
dreriva dalla separazione dei poteri legislativo (alle due camere), ed esecutivo (al re che garantisce
rapidità di azione e decisione). Allo nbstesso modo vede nelle rivalità tra le classi una fonte di
equilibrio di poteri.
In sotanza egli sostiene che la condizione del rispetto delle leggi e della sicurezza dei cittadini
risiede in un potere che non sia illimitato.
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Dalla teoria politica alla sociologia
Montesquieu identifica determinati aspetti delle società: il clima ed il terreno, l’aspetto economico
della vita collettiva, il numero di abitanti, la funzione della religione e le distingue poi in cause
fisiche e morali.
Ebbene, tutte queste variabili condizionano le istituzioni contribuendo ad orientarle.
Lo spirito generale di una nazione è l’aspetto più importante, è la risultante del clima, dei costumi,
della religione, degli esempi del passato e costituisce l’originalità e l’unicità della collettività che è
stata plasmata nei secoli da tutti questi fattori (é simile al concetto di cultura della nazione degli
antropologi americani).
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I fatti e i valori
Per noi moderni il termine legge ha un duplice significato: sia legge come comando che legge come
rapporto di causa effetto. Con Lo spirito delle leggi Montesquieu tenta di spiegare quali siano le
leggi causali delle leggi comando.
Ad una lettura superficiale potrebbe sembrare che M. accetti una visione deterministica per cui le
leggi dipendano dallo spirito di ogni nazione; tuttavia va evidenziato come vi siano numerosi passi
in cui l’autore formuli consigli al legislatore o condanne morali nei confronti di certe istituzioni (la
schiavitù). Inoltre egli crede a principi d’equità e giustizia preesistenti alle leggi ed universalmente
validi basati sui concetti di uguaglianza e di reciprocità. Queste leggi le hanno gli uomini così come
gli animali o le divinità e la vita stessa; tuttavia quelle degli uomini sono violabili perché esso è
intelligente ed in quanto tale libero.
Quindi M. passa alla descrizione dell’uomo in quanto uomo, anteriore, per così dire, alla società:
esso non è di per se bellicoso, la guerra è un fenomeno sociale. Pertanto non si può sognare la pace
assoluta, ma lo scopo della politica sarà di attenuare e moderare la disuguaglianza e la bellicosità.
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Le diverse interpretazioni possibili
L’essenza della filosofia politica di M. è il liberalismo: la società a cui ambisce è eterogenea e
gerarchica ed è una società in cui l’equilibrio dei poteri garantisce la moderazione del potere.
Dal punto di vista sociologico egli si rende conto, da un lato, della complessità degli aspetti che si
ritrovano nell’esame di una collettività, dall’altro ha cercato di trovare un principio unificatore di
tale complessità nel concetto di spirito di un popolo.
Inoltre, interessante è l’utilizzo contemporaneo di pensiero sincronico e diacronico nella
spiegazione di una società (egli tenta di spiegare le parti della società si in rapporto le une alle altre,
sia con il passato della società stessa).
Egli è contemporaneamente l’ultimo dei filosofi classici (quando ritiene che una società sia definita
essenzialmente dal suo regime politico) ed il primo dei sociologi (quando esamina la società
globalmente e spiega sociologicamente gli aspetti di una collettività).
Auguste Comte (1789-1857)
Egli è prima di tutto il sociologo dell’unità umana: tutta l’umanità dovrà arrivare all’unico tipo di
società assolutamente valida.
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Le tre tappe del pensiero di Comte
Prima tappa:
E’ quella degli Opuscoli di filosofia sociale.E’ una riflessione sulla società del suo tempo: la società
teologica e militare sta per morire e sta per nascere la società scientifica ed industriale in cui il
pensiero degli scienziati si sostituisce a quello dei teologi e preti come base intellettuale dell’ordine
sociale, in cui l’attività più importante non è più la guerra ma la lotta degli uomini con la natura per
il suo sfruttamento e i dirigenti industriali ed i banchieri si sostituiscono ai militari.
Seconda tappa:
E’ quella del Corso di filosofia positiva. L’autore approfondisce i temi già elaborati nella prima
tappa, in particolare le due leggi dei tre stadi e la classificazione delle scienze.
Secondo la prima legge lo spirito umano sarebbe passato attraverso tre fasi successive: una prima
fase (teologica) in cui lo spirito umano spiega i fenomeni attribuendoli ad esseri o forze
paragonabili all’uomo; una seconda (metafisica) in cui invoca entità astratte, come la natura; nella
terza (positiva) l’uomo si limita ad osservare i fenomeni fissando le connessioni regolari tra essi,
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cioè, rinuncia a scoprire le cause dei fatti per stabilire le leggi che li comandano (priorità del metodo
sintetico su quello analitico).
Nei diversi campi della scienza il pensiero positivo si è affermato dapprima nelle discipline più
semplici come la matematica, la chimica e la biologia; alla fine esso si affermerà anche nel campo
più complesso della politica e porterà alla costituzione di una scienza della società, la sociologia
(questa è la legge della classificazione delle scienze).
Così come nella biologia non è possibile spiegare un organo e le sue funzioni se non lo si vede
all’interno dell’intero organismo, così non si può comprendere un fenomeno sociale se non
inserendolo nel contesto del tutto sociale (principio della priorità del tutto sull’elemento). Pertanto,
l’oggetto della sociologia sarà la storia del genere umano.
Terza fase:
E’ quella del Sistema di politica positiva in cui C. tenta di giustificare l’idea dell’unità della storia
umana. Gli si pongono tre necessità: che l’uomo possieda in tutte le società una natura riconoscibile
e definibile, che ogni società abbia un ordine essenziale reperibile anche nelle diverse
organizzazioni sociali, che natura umana e natura sociale siano tali che se ne possano dedurre le
caratteristiche più importanti del divenire storico. Nei tre tomi dell’ opera egli affronta appunto
questi tre temi: nel primo traccia il c.d. quadro cerebrale in cui individua le caratteristiche attività
dell’uomo in quanto tale; nel secondo egli analizza la statica sociale descrivendo l’ordine sociale
fondamentale che si può riconoscere attraverso le diversità delle istituzioni; nel terzo analizza la
dinamica sociale che è la tendenza della storia a realizzare l’ordine fondamentale di ogni società ed
a portare a compimento quanto c’è di meglio nella natura umana.
La filosofia di C. suppone dunque tre grandi temi:
1. la società industriale dell’Europa occidentale che diverrà la società dell’umanità;
2. la storia dell’umanità è il cammino di essa stessa verso il positivismo in quanto il pensiero
positivo verrà accettato da tutti non appena se ne vedranno i successi;
3. la storia dell’umanità è lo sviluppo ed il dispiegamento della natura umana.
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La società industriale
L’industria è il fatto nuovo del XIX secolo. Aspetti caratteristici sono:
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l’organizzazione scientifica del lavoro;
l’applicazione della scienza all’organizzazione del lavoro;
il nuovo fenomeno sociale dell’esistenza delle masse operaie;
l’opposizione tra proletari e capitalisti;
le crisi di sovrapproduzione e la povertà nell’abbondanza;
il sistema economico è fondato sulla libertà degli scambi e sulla ricerca del profitto e non è
più strettamente controllabile dallo Stato.
I primi tre aspetti interessano Comte. Egli, criticando sia gli economisti liberali (chiamati metafisici
perché credono in un sistema autoregolantesi) che i socialisti (perché non credono nell’accordo
finale degli interessi e si illudono che sia possibile una società dove la ricchezza non sia
concentrata) crede nell’efficienza finale dell’organizzazione. La proprietà privata viene a
giustificarsi come l’esercizio di una funzione sociale che il destino o i meriti hanno riservato ad
alcuni; e comunque esiste un ordine spirituale fondato non sul potere, ma sui meriti per il quale un
proletario può essere migliore di un potente.
La guerra non ha più motivo di esistere, è anacronistica e non ha più alcuna funzione da svolgere.
L’organizzazione temporale sarà stabilità dal potere spirituale detenuto dagli scienziati e dai filosofi
e la giustizia sociale sarà garantita dal fatto che l’organizzazione scientifica del lavoro darà ad
ognuno un posto adeguato alle sue capacità.
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La sociologia scienza dell’umanità
Nel Corso di filosofia positiva Comte sostiene che i fenomeni sociali sono soggetti ad un
determinismo rigoroso che si presenta come un inevitabile sviluppo della società umana
determinato da progresso dello spirito umano (influenza di Montesquieu e di Condorcet).
La scienza diventa quasi una nuova versione della provvidenza.
La storia umana può essere intesa come quella di un popolo unico, come la tendenza di tutta
l’umanità verso il pensiero positivo; essa è essenzialmente il divenire dell’intelligenza umana; le
diverse frazioni dell’umanità non hanno conosciuto la stessa evoluzione solo perché non avevano in
partenza gli stessi doni ,razza, clima ed azione politica (che non può modificare sostanzialmente il
corso della storia, ma può accelerare l’evoluzione e renderla più o meno costosa).
Statica e dinamica sono le due categorie centrali dell’analisi sociologica: la statica è lo studio
nell’anatomia della società e degli elementi che determinano il consenso, la dinamica studia le tappe
dl divenire dello spirito umano e delle società umane.
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Natura umana e ordine sociale
L’uomo vive per agire, ma l’impulso verrà sempre dal cuore, dai sentimenti, mai dall’intelligenza.
L’azione, tuttavia, ha bisogno del controllo esercitato dall’intelligenza. Pertanto sentimenti,
intelligenza ed azione sono le caratteristiche fondamentali dell’uomo.
Tra i sentimenti alcuni portano all’egoismo (istinti nutritivi, materni, sessuali, ecc…), altri
all’altruismo o al disinteresse (l’attaccamento di una persona all’altra sul piano di uguaglianza, la
venerazione e la bontà).
L’intelligenza, invece, può essere scomposta in concezione (attiva o passiva) ed espressione
(mimica, orale o scritta).
L’uomo è innanzitutto egoista (sebbene in lui ci siano già anche elementi di amore o disinteresse).
Solo l’intelligenza che progredisce con la storia gli darà la capacità di moderare i suoi istinti
egoistici; tuttavia gli uomini sono mossi solo dai sentimenti
La religione nasce dall’esigenza di ordine sociale e riproduce in se stessa le differenziazioni della
natura umana: essa comporta un aspetto intellettuale, il dogma, una aspetto sentimentale, l’amore
espresso nel culto, un aspetto pratico, il regime che regola la condotta dei credenti.
Le istituzioni di proprietà e linguaggio devono essere avvicinate: la proprietà è la proiezione
dell’attività nella società, il linguaggio è la proiezione dell’intelligenza ed hanno in comune la legge
dell’accumulazione (per cui sia le conquiste materiali che intellettuali non scompaiono nella società
quando scompare chi le ha realizzate).
Così pure la famiglia e la divisione del lavoro corrispondono ad elementi della natura umana: la
prima è l’unità affettiva, mentre il secondo è l’elemento corrispondente all’azione. I rapporti della
famiglia sono di uguaglianza (tra fratelli) o di venerazione (tra figli e genitori), di bontà (tra genitori
e figli) e di comando ed ubbidienza (marito e moglie); in essa si verifica la trasmissione dei capitali
intellettivi e materiali da una generazione all’altra. La divisione del lavoro è improntata alla
divisione dei compiti ed alla cooperazione; tuttavia la forza del numero e della ricchezza
continueranno a dominare la società. Il potere temporale della forza sarà consacrato ed allo stesso
tempo moderato dal potere spirituale che è intellettuale e dei sentimenti.
Questo rappresenta lo studio della statica.
Per quanto concerne la dinamica:
la storia dell’intelligenza va dal feticismo (proiezione sul mondo esterno della realtà della
coscienza) al positivismo (determinazione delle leggiche governano i fenomeni che prescinde dal
metterne in luc le cause);
la storia dell’azione passa dalla fase militare (lotta tra gli uomini) a quella industriale (lotta degli
uomini sulla natura);
la storia dei sentimenti e quella del progressivo manifestarsi di sentimenti altruistici sebbene l’uomo
non cesserà mai di essere fondamentalmente egoista.
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Dalla filosofia alla religione
Visto che le società corrispondono al loro stato di evoluzione verso il positivismo, C. non ritiene
che mutando regime o costituzione si possano creare delle variazioni sostanziali. Egli è convinto
che la vera riforma sia nella trasformazione del modo di pensare degli uomini e che ciò porterà da
se verso la giusta organizzazione dello Stato. Egli diventa, perciò, una specie di profeta che
annuncia tempi nuovi.
La scienza è la fonte dei dogmi, le sue leggi non si rivolgono alle cause di ciò che avviene, ma
all’ordine con cui i fenomeni avvengono; nella natura esiste una gerarchia in cui l’inferiore
condiziona il superiore ma non lo determina e tutti gli esseri sono soggetti a leggi; il pericolo della
scienza risiede nella specializzazione che comporta una dispersione dell’analisi: è necessario
operare una sintesi che avrà il suo centro nella sociologia (la vera scienza è quella dell’intelletto,
l’analisi delle capacità dello spirito umano).
Comte è il fondatore di una religione: le società hanno bisogno di una religione perché necessitano
di un potere spirituale che consacri il potere temporale e nello stesso tempo riconosca i meriti; il
Grande essere di questa religione è ciò che trascende gli uomini, ossia ciò che loro stessi hanno fatto
di meglio.
Karl Marx (1818-1883)
Marx è inizialmente e fondamentalmente il sociologo e l’economista del capitalismo: egli ha una
teoria di questo regime, della condizione che esso imponeva agli uomini e del suo futuro.
Egli è innanzi tutto l’autore del Capitale.
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L’analisi socioeconomica del capitalismo
Punto focale del suo pensiero è il carattere contraddittorio insito nelle società capitalistiche la cui
essenza sta nell’antagonismo tra classe operaia e classe imprenditoriale.
Ne Il manifesto del partito comunista comincia con un’analisi storica in cui individua come punto
centrale la lotta tra gruppi umani che va polarizzando la società in due blocchi, gli oppressori e gli
oppressi. L’attuale società capitalistica rispecchia questa divisione, ma presenta due ulteriori
contraddizioni:
1. la borghesia produce sempre di più (grazie a mezzi di produzione sempre più potenti), ma i
rapporti di produzione (i rapporti di proprietà e la distribuzione dei redditi) non variano così
velocemente;
2. le ricchezze aumentano, ma la maggioranza vive una miseria che cresce.
Da questa condizione nascerà una crisi rivoluzionaria per cui la maggioranza si costituirà come
classe per la conquista del potere e la trasformazione dei rapporti sociali.
Marx è consapevole che tra capitalisti e proletariato esistano gruppi intermedi di artigiani, piccolo
borghesi, mercanti, ecc.., ma ritiene che a causa della loro mancanza di iniziativa e dinamismo
storico, questi si polarizzeranno attorno alle due classi principali.
Quando la classe proletaria avrà assunto il potere si verificherà una rottura rispetto al passato:
scomparirà il carattere antagonistico della società. La produzione sarà concentrata nelle mani degli
individui associati ed il potere pubblico, lo Stato (inteso come lo strumento con cui la classe
dominante mantiene il proprio dominio) scomparirà.
Questa una teoria semplificata poiché il Manifesto del partito comunista non è un testo scientifico;
esso è un opuscolo di propaganda in cui compaiono i tratti principali dello studio (esso si
scientifico) contenuto in altri scritti come il Capitale o Per la critica dell’economia politica.
In esse, invece, Marx affronta il tema in maniera più approfondita elaborando una teoria generale
della società (il materialismo storico) e delle idee economiche più elaborate.
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Esse sono riassumibili nei seguenti punti:
1. Esistono rapporti sociali che si impongono agli individui prescindendo dalle loro preferenze.
Nello studio della storia, dunque, andrà esaminata la struttura della società attraverso
rapporti di produzione e non la storia del pensiero degli uomini.
2. In qualsiasi società si può distinguere la struttura essenziale, la base economica (le forze ed i
rapporti di produzione) e la sovrastruttura (istituzioni giuridiche e politiche, la filosofia, il
modo di pensare);
3. La molla del movimento storico è la contraddizione tra le forze di produzione (la capacità di
produrre che deriva dal progresso tecnico, dall’organizzazione del lavoro) ed i rapporti di
produzione (principalmente i rapporti di proprietà, ma anche la distribuzione del reddito).
4. Nei periodi rivoluzionari una forza è attaccata agli antichi rapporti di produzione mentre
un’altra progressista ne propone degli alternativi che favoriranno al massimo le forze
produttive. Da ciò segue la lotta di classe.
5. Le rivoluzioni non sono avvenimenti politici fortuiti, ma manifestazioni di una necessità
storica.
6. Non è la coscienza degli uomini che determina la realtà sociale, ma la società che forma la
coscienza degli uomini;
7. Marx traccia a grandi linee la storia dell’umanità (sempre secondo la struttura economica
della società) ed individua quattro modi di produzione: antico (fondato sulla schiavitù),
feudale (fondato sulla servitù della gleba), borghese (fondato sul salario) ed asiatico
(fondato sulla subordinazione di tutti i lavoratori allo stato). Il modo di produzione borghese
sarà l’ultima formazione sociale antagonistica, l’ultimo dei modi di sfruttamento dell’uomo
sull’uomo.
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Il Capitale
E’ un libro che vuol essere allo stesso tempo un testo di economia, di sociologia del capitalismo e di
storia filosofica dell’umanità. Composto di tre libri, il secondo ed il terzo sono stati pubblicati
postumi ed essendo incompleti si prestano a contraddizioni.
Il primo tra i temi essenziali e che l’essenza del capitalismo sta nella ricerca del profitto: esiste lo
scambio di merce con merce che non produce profitto o surplus; ma esiste un secondo tipo di
scambio, quello tipico del capitalismo, che va da denaro a denaro passando attraverso la merce e
che produce, alla fine un effetto per cui ci si trova di fronte ad una maggiore quantità di denaro.
Ma da dove trae origine il profitto? La risposta a queste domande sta nelle teorie di valore, salario e
plusvalore:
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Il valore di una merce è proporzionale alla quantità di valore sociale medio. In sostanza una
merce vale in media (salvo le oscillazione determinate da domanda ed offerta) per quanto
lavoro sociale si trova cristallizzato in essa;
Il valore del lavoro si misura come qualsiasi merce. Il lavoratore vende la sua forza lavoro e
ne riceve in cambio un salario.La quantità di lavoro necessaria a produrre la forza lavoro
sarà quella delle merci di cui l’operaio e la sua famiglia hanno bisogno per vivere;
Il tempo di lavoro necessario ad un operaio per produrre un valore uguale a quello che egli
riceve come salario è inferiore al tempo effettivo di lavoro. In sostanza egli lavora la metà
del suo tempo per se e l’altra metà per l’imprenditore il quale, dunque, riceve questo
plusvalore.
I procedimenti per aumentare il plusvalore, cioè il tasso di sfruttamento, sono due: aumentare le ore
di lavoro, o ridurre il tempo di lavorazione con l’aumento della produttività.
In tal modo egli dimostra, da un lato come nasca il profitto, dall’altra da un fondamento razionale
alla protesta contro il tipo di organizzazione economica capitalista.
Il meccanismo dello sfruttamento porta la società alla divisione in classi: da una parte i detentori dei
mezzi di produzione, dall’altra chi offre la propria forza lavoro.
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Nel II libro M. sostiene che il carattere concorrenziale anarchico del capitalismo e la necessità di
continua circolazione del capitale creano una permanente possibilità di scarto tra la produzione e la
distribuzione del potere d’acquisto; equivale a dire che un’economia anarchica comporta delle crisi.
Il III libro è una teoria del divenire del sistema capitalistico.
Si parte con l’asserzione che, a seguito della teoria del plusvalore, esso cresce all’aumentare del
capitale variabile (quello che serve per pagare i salari) in rapporto al capitale totale (composto
anche dal capitale costante, quello relativo alle macchine ed alle materie prime, che non produce
plusvalore). Tuttavia, se si pensa che, secondo tale legge il plusvalore sarebbe maggiore nelle
imprese meno meccanizzate, salta bagli occhi che la realtà è diversa. Marx ritiene, tuttavia, che il
tasso di profitto vada calcolato non in rapporto al capitale variabile (come quello di sfruttamento),
ma in rapporto al capitale totale.
Tutto ciò ha fatto nascere delle critiche tra cui famosa è quella di Schumpeter (la teoria del
plusvalore è falsa perché smentita dalla realtà). La risposta di Marx è la seguente: esiste un tasso di
profitto medio che si forma grazie alla concorrenza tra le imprese ed i settori dell’economia; la
concorrenza spinge il profitto a tendere verso un tasso medio ed è così perché non può essere
diversamente.
Questa teoria conduce a quella del divenire che M. chiama la legge di caduta tendenziale del tasso
di profitto, un fenomeno osservato ma mai spiegato: egli spiega che il tasso di profitto è
proporzionale al capitale totale; il plusvalore deriva solo dal capitale variabile; a causa della
concorrenza, al fine di aumentare la produttività, la parte del capitale variabile tende a diminuire in
favore del capitale costante. Marx conclude che questa modificazione organica del capitale porta
all’abbassamento del tasso di profitto: egli spiega come vi sia un meccanismo storico che tende alla
distruzione del sistema per l’azione delle leggi stesse che lo governano.
Ma la tendenza di cui sopra si manifesterà fino alla distruzione vera e propria del sistema secondo
due ipotesi:
1. la proletarizzazione, per cui gli strati intermedi tra proletari e capitalisti verranno logorati e
saranno assorbiti dal proletariato, e la pauperizzazione, per cui le masse saranno sempre più
povere via via che la produzione si svilupperà, porterà le masse a rivoltarsi (spiegazione
sociologica);
2. i redditi distribuiti alle masse popolari saranno insufficienti ad assorbire la produzione
crescente (spiegazione economica).
Tuttavia non c’è una dimostrazione vera e propria della pauperizzazione se non quella per cui la
disoccupazione tecnologica porterà uno squilibrio a sfavore delle classi proletarie che non
permetterà l’aumento dei salari.
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Gli equivoci della filosofia marxista
In Marx la storia ha un significato filosofico.Il regime post capitalistico non è un tipo di società tra
gli altri, è la fine della ricerca di sé da parte dell’umanità.
In Marx si ritrovano influenze di Hegel (la successione delle tappe della società e dei regimi
rappresenta contemporaneamente le tappe della filosofia e quelle dell’umanità), degli economisti
inglesi (Teoria del valore-lavoro, legge della caduta tendenziale del tasso di profitto), e degli storici
e socialisti francesi (concetto di lotta di classe a cui negli, però, aggiunge che la divisione della
società in classi non fa parte dell’essenza della società, è soltanto ciò che è stato fino ad oggi e che
non sarà più nella società postcapitalistica).
L’eredità filosofica di Marx sta nella convinzione che il divenire storico abbia un significato
filosofico: un nuovo sistema economico e sociale è una tappa del divenire dell’umanità.
Ed allora, cos’è la natura umana? La risposta sta in tre concetti:
1. universalità: l’individuo si realizza come cittadino, quindi partecipa all’universalità, solo nel
momento del voto. Per il resto egli non comunica con la totalità perché la società gli
impedisce di realizzare questa vocazione universale rinchiudendolo nell’asservimento
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all’imprenditore se è proletario, al profitto se è imprenditore. Nella democrazia reale la
soppressione della proprietà privata permetterebbe il lavoro per la collettività.
2. totalità: l’uomo è mutilato dalla divisione del lavoro, gli sono state amputate delle attitudini
al fine di specializzarlo.
3. alienazione: L’uomo diventa estraneo a se stesso perché non si riconosce più nella sua
attività e nelle sue opere: il lavoro, invece di essere espressione dell’uomo stesso finisce per
essere un mezzo per vivere e l’imprenditore stesso è alienato perché ciò che produce non è
fatto più in vista di un bisogno reale degli altri, ma solo in vista del profitto.
L’uomo totale è espresso da Marx in due modi: quello per cui egli si realizza attraverso il lavoro o
quello per cui la distruzione del capitalismo e l’avvento della nuova società non sono indicati
quanto alla data ed al come.
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Gli equivoci della sociologia marxista
L’analisi della società capitalistica fatta da Marx utilizza i concetti di forze di produzione, rapporti
di produzione, lotta di classe, coscienza di classe, struttura e sovrastruttura; essi utilizzati
criticamente non comportano alcuna visione dogmatica del corso della storia. Tuttavia egli sembra
ricollegare a ciò il corso della storia portandolo verso una visione dogmatica che collega diversi
ambii della realtà. Tutto ciò ha portato a due interpretazioni, una più flessibile, l’altra più ortodossa
che annuncia la fine della civiltà occidentale.
Altro equivoco nasce dalla difficoltà di stabilire cosa rientri nell’ambito della struttura ne della
sovrastruttura (certe cose sono al limte, come la tecnologia).
Altro limite è quello per cui lo sviluppo delle forze di produzione sarebbe impacciato dalla proprietà
individuale: se si considera come le grandi aziende siano società per azioni o statali in cui la
proprietà individuale è scomparsa, si può considerare valida tale affermazione; se invece si
considera che tali società sono l’essenza stessa del capitalismo la contraddizione tra forze di
produzione e rapporti di produzione scompare.
Fondamentale è il concetto di classe sociale visto non solo in virtù di comuni attività, modi di
pensare e forme di vita, ma soprattutto come presa di coscienza dell’unità e senso di separazione
dalle altre classi.
M. equipara l’ascesa della borghesia nella società feudale a quella del proletariato nella società
capitalistica, ma sociologicamente quest’equiparazione è falsa: la borghesia è una minoranza
privilegiata che è passata dalla situazione di dominio sociale a quella di esercizio del potere, il
proletariato non è né una minoranza né privilegiata.
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Sociologia ed economia
Marx ha fornito un certo numero di ragioni per cui il capitalismo funzionerà sempre peggio, ma non
ha chiarito sul piano economico perché esso dovrebbe essere distrutto dalle sue contraddizioni
interne.
Egli ha inoltre sottovalutato il fatto che in ogni sistema non si può dare ai lavoratori la totalità del
valore che producono poiché bisogna riservarne una parte per l’accumulazione collettiva (sebbene
vi siano visioni diverse: nei regimi capitalistici l’accumulazione passa per i profitti individuali e per
il mercato e la distribuzione dei redditi non è la stessa che nei regimi comunisti).
Infine vi è il problema delle relazioni tra sistema economico e regime politico: Marx crede che lo
Stato dopo la rivoluzione e l’instaurazione della dittatura del proletariato andrà a scomparire poiché
scomparirà anche il sistema classista a cui esso è necessario. Ciò è facilmente confutabile: non
esiste in un sistema di economia pianificata la possibilità di eliminare gli organismi centrali che
prendano decisioni fondamentali; ciò che può essere eliminato è il carattere classista dello Stato ma
non il fatto che alcuni uomini esercitino il potere (sebbene in nome delle masse popolari).
Allo stesso modo non si può dedurre che la scomparsa della proprietà privata dei mezzi di
produzione porti ad una società senza antagonismi.
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Alexis de Tocqueville (1815-1859)
Toqueville è il sociologo del metodo comparativo : cerca di enucleare ciò che è importante sulla
base del confronto di specie diverse di società appartenenti ad uno stesso genere o ad uno stesso
tipo.
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Democrazia e libertà
Due opere principali: La democrazia in America e L’antico regime e la Rivoluzione, l’una
sull’America e l’altra sulla Francia. Il primo libro si propone di indagare sul perché in America la
società democratica è liberale, il secondo sul perché la Francia fa tanta fatica , nel corso della sua
evoluzione verso la democrazia, a conservare un regime politico di libertà.
La democrazia consiste nell’uguaglianza delle condizioni, cioè nella non esistenza di differenze
ereditarie di condizione e nella possibilità per ognuno di accedere ad una determinata professione,
ad un onore, ecc.. In una società in cui l’uguaglianza è legge sociale e la democrazia definisce il
carattere dello stato lo scopo primario non può che essere il benessere del maggior numero.
T. sviluppa il pensiero di Montesquieu sulla monarchia inglese tuttavia lo arricchisce inserendo
come fatto fondamentale l’uguaglianza delle condizioni. Le istituzioni più adatte a ciò le trova in
America. La libertà viene vista come la mancanza di arbitrio (come Montesquieu) garantita da un
potere che si esercita in conformità alle leggi e da una pluralità di organi che equilibrino tra loro.
Nelle società moderne egli coglie come caratteri importanti quelli del commercio e dell’industria
che non costruiscono un’aristocrazia tradizionale, seppure dispensino fortune in maniera diseguale;
tuttavia queste fortune non sono cristallizzate in una famiglia ed egli crede che le disuguaglianze
andranno assottigliandosi in una tendenza al generale imborghesimento (una sorta di precursore del
Welfare State) quando le società moderne diventeranno più democratiche.
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L’esperienza americana
Nel I tomo egli enumera le cause che rendono liberale la democrazia americana (qui messe in
ordine d’importanza):
1. Le abitudini ed i costumi, in particolare quelli religiosi che fanno si che i cittadini, in una
società che vuole governarsi da sé, abbiano una disciplina morale a prescindere dalle leggi.
Inoltre il decentramento amministrativo fa si che i cittadini siano in continuo contatto con le
istituzioni politiche e questo sviluppa in loro un senso di autogoverno che estendono poi agli
affari della nazione.
2. le leggi, innanzi tutto la costituzione che nel caso dell’America è di carattere federale e
pertanto combina i vantaggi dei grandi stati con quelli piccoli: fa si che vi sia la forza
necessaria alla sicurezza, ma nello stesso tempo si adatta alle diversità delle circostanze e
degli ambienti. Inoltre la costituzione americana, avendo previsto la divisione del potere
legislativo in due assemblee ed avendo stabilito una Presidenza della Repubblica
relativamente indipendente, riesce a eliminare i pericoli insiti nella democrazia
stessa:l’asservimento del potere legislativo alla volontà del corpo elettorale e la
concentrazione dei tutti i poteri in quello legislativo. Infine, altre due circostanze concorrono
a garantire la libertà nel sistema americano: la libertà di associazione e l’uso che se ne fa (le
organizzazioni volontarie).
3. la situazione accidentale e particolare nella quale si trova la società americana cioè l’assenza
di stati vicini nemici e la disponibilità di spazi smisurati che hanno impedito l’affermazione
dell’aristocrazia terriera.
Il principio (inteso nel senso di Montesquieu) della società americana è l’interesse e non la virtù, ma
tra le due cose non vi è netta differenza in quanto anche in America i cittadini devono sottomettersi
ad una disciplina morale che garantisca la stabilità dello stato.
9
T. non è affatto un ammiratore soddisfatto della società americana (è un aristocratico) e descrive il
pericolo a cui ogni democrazia va incontro: quello del dispotismo della maggioranza che può
sfociare nel dispotismo di uno solo. D’altra parte egli è cosciente dei problemi esistenti tra indiani e
bianchi e tra bianchi e neri; poiché una volta abolita la schiavitù i bianchi rifiuteranno la mescolanza
delle razze sarà inevitabile la separazione che porterà a terribili conflitti.
Egli è un sociologo che mentre scrive giudica.

Il dramma politico della Francia
L’antico regime e la Rivoluzione rappresenta un saggio di spiegazione sociologica di eventi storici.
T. comincia con il descrivere il contesto di decadimento in cui versa l’ancien régime prima della
rivoluzione che spazzerà via una struttura già in rovina; aggiunge che la rivoluzione si configura
quasi come una rivoluzione religiosa perché l’interesse non era tanto affermare i diritti dei cittadini
francesi, quanto quelli dell’uomo in generale. Poi descrive il suo metodo: la storia deve occuparsi
delle classi, della nobiltà, della borghesia, dei contadini e secondariamente degli operai.
T., quindi, pone un primo quesito: perché mentre le strutture dell’ancien régime andavano in rovina
in tutta Europa la rivoluzione avviene proprio in Francia? La risposta sta nella struttura accentrata
ed uniforme con cui la Francia era governata e nella separazione fra le classi privilegiate data dai
privilegi, che impediva quel senso di solidarietà necessario al buon funzionamento dello stato
(concezione aristocratica del governo della società). Per cui la Francia che era il paese più
democratico di quell’epoca (nel senso che la tendenza all’uniformità delle condizioni ed
all’uguaglianza sociale era la più avanzata) era anche quella in cui la libertà politica era la più
ristretta entro le vecchie istituzioni tradizionali. Ed anche il fatto che l’economia era in buono stato
conferma quel che T. sostiene riguardo al fatto che le rivoluzioni scoppiano quando le cose vanno
bene (come poi succederà in Russia).
Ai suoi occhi la rivoluzione francese è una necessità nel senso che il movimento democratico
doveva prima o poi prevalere sulle istituzioni del vecchio regime. Inoltre, altro fattore importante
era l’anticlericalesimo e l’antireligiosità della parte del paese che aveva aderito all’ideologia
democratica.
Fatto fondamentale del dopo rivoluzione è l’insuccesso della Costituente che non ha saputo
costruire una sintesi tra le virtù dell’aristocrazia o della monarchia e il movimento democratico.

Il tipo ideale della società democratica
Il secondo volume de La Democrazia in America si propone di sviluppare un tipo ideale di società
democratica da cui dedurre alcune caratteristiche delle società future, cioè si propone di stabilire in
termini di tendenza o nell’ordine dell’alternativa, come evolveranno in una società democratica il
movimento intellettuale, i sentimenti, i costumi e la società politica.
Nella prima parte del libro T. si occupa di stabilire le conseguenze della società democratica sul
movimento intellettuale passando in rassegna l’atteggiamento degli americani nei confronti delle
idee, della religione e dei differenti generi letterari:
 i francesi hanno preso il gusto per l’ideologia perché non si sono mai potuti occupare della
cosa pubblica mentre gli americani non si sono mai appassionati di idee politiche perché
hanno essi stessi governato.
 La crescente uniformità degli individui li porta ad una concezione unitaria e del genere
umano e del Creatore
 L’idea di progresso è quasi connaturata in una società democratica poiché essa tende a
credere nella perfettibilità indefinita della natura umana in quanto vive in una società in cui
migliorare è possibile
 Gli americani sono portati più per le scienze tecniche che per quelle pure (nelle società
aristocratiche le persone più ricche si dedicano alle scienze pure);
10

Gli storici democratici tenteranno di spiegare gli avvenimenti attraverso i meccanismi
irresistibili della necessità storica in contrapposizione agli storici aristocratici che
sottolineeranno l’importanza dei grandi uomini;
Nella seconda parte T. cerca di metter in luce i sentimenti che saranno fondamentali in qualsiasi
società democratica:
 presteranno maggior attenzione all’eliminazione delle disuguaglianze che non al
mantenimento della libertà
 Tutte le professioni saranno onorevoli
 L’individualismo porterà ognuno ad isolarsi dagli altri
 La società democratica tende alla centralizzazione e comporta il rischio di una gestione
dell’insieme delle attività sociali da parte dell’amministrazione
 La società democratica è materialista nel senso che gli individui si preoccupano di ottenere il
massimo dei beni per far vivere tutti nel miglior modo possibile
La terza parte del libro riguarda i costumi:
 Sono addolciti ed i rapporti tendono ad essere semplici e facili, poco formali
 Le grandi rivoluzioni diventeranno rare poiché, man mano che le condizioni di vita
migliorano, aumenta il numero di coloro che hanno qualcosa da perdere in una rivoluzione
 Egli non si rende conto che la scienza rappresenta un forte elemento rivoluzionario in seno
alle società democratiche e teme che il mondo si appiattisca su aspetti troppo conservatori.
11
Parte seconda
La generazione tra i due secoli
Per Comte la società moderna era industriale, per Marx capitalista, per Tocqueville democratica.
Per Comte la società moderna era caratterizzata dalla scomparsa delle strutture feudali e teologiche
ed il problema delle riforme sociali è quello del consenso: si trattava di ristabilire l’omogeneità
delle convinzioni religiose e morali per garantire la stabilità della società
Per Marx il dato fondamentale della società del suo tempo è la contraddizione interna ad essa intesa
come contraddizione tra forze e rapporti di produzione e come contraddizione di classi sociali che
sarebbe scomparsa solo con la scomparsa della proprietà privata dei mezzi di produzione.
Per Tocqueville la società moderna era definita dal carattere democratico, inteso come attenuazione
delle distinzioni di classe e tendenza all’uguaglianza delle condizioni sociali ed alla fine anche
economiche. La società democratica poteva essere o liberale, cioè governata da istituzioni
rappresentative e conservatrici delle libertà individuali, o dispotica
Pareto, Durkheim e Weber appartengono allo stesso momento storico, un momento di pace in cui
avvertono la società come in crisi ed in un momento di grandi trasformazioni.
Tema fondamentale della loro riflessione è il rapporto tra religione e scienza, tra ragione e
sentimento. Tutti e tre, pur volendo essere scienziati, si rendono conto che le società moderne per
conservare la loro coerenza hanno bisogno di credenze comuni e che queste credenze trascendenti
tradizionali sonno messe in crisi dalla scienza.
Emile Durkheim (1858-1917)

La divisione del lavoro sociale
Netta è l’influenza di Comte. Il tema centrale del libro è il rapporto tra gli individui e la collettività.
Distingue due forme di solidarietà:
 Solidarietà meccanica o per somiglianza in cui gli individui differiscono poco gli uni dagli
altri. E’ tipica delle società arcaiche in cui gli individui sono intercambiabili;
 Solidarietà organica in cui gli individui non sono più simili e la solidarietà si fonda sul
consenso.
Altra distinzione è quella tra società segmentarie (in cui un gruppo sociale composto da individui
molto integrati fra loro è autosufficiente ed isolato) e società nelle quali compare la moderna
divisione del lavoro.
Idee fondamentali sono:
 Il concetto di coscienza collettiva intesa come “l’insieme delle credenze e dei sentimenti
comuni alla media dei membri di una società”. Essa possiede una sua vita propria
indipendente dalle individualità da cui nasce. Comporta una maggiore estensione e forza
nelle società a solidarietà meccanica dove la coscienza individuale è simile a quella
collettiva e dove la maggior parte delle azioni è dominata da imperativi o divieti
Centrale è il concetto per cui l’individuo nasce dalla società e non la società dagli individui: le
società a solidarietà meccanica sono storicamente anteriori e perciò non è possibile spiegare il
fenomeno della solidarietà organica partendo dall’individuo. La sociologia viene pertanto ad essere
la priorità del tutto sulle parti da cui discende che i fenomeni individuali andranno spiegati con lo
stato della collettività e non viceversa.
Il metodo di studio è quello di studiare il fenomeno sociale obiettivamente, cioè dall’esterno
cercando di trovare l’espediente per cui stati di coscienza che non possiamo cogliere direttamente ci
si chiariscano.
Nella divisione del lavoro sociale queste espressioni dei fenomeni di coscienza sono giuridiche: egli
distingue il diritto repressivo, diffuso nelle società a solidarietà meccanica in cui la sanzione ha lo
scopo di dare soddisfazione alla coscienza collettiva, dal diritto restituivo la cui essenza sta nel
ricostruire le cose nel loro stato (es. chi non ha saldato il suo debito deve pagare).
12
Si potrebbe pensare alla società moderna come fondata sul contratto (Spencer), ma l’idea di D. è
che il contratto si collochi in un contesto sociale che non è determinato dagli individui: la divisione
del lavoro per differenziazione costituisce la base primordiale della sfera contrattuale.
La società moderna è dunque caratterizzata in modo prioritario dalla differenziazione sociale.
La divisione del lavoro, fenomeno sociale è spiegabile solo con un altro fenomeno sociale che
dipende dalla combinazione di volume (numero di individui che appartengono alla collettività),
densità materiale (numero di individui su una superficie data) e densità morale (l’intensità dalle
comunicazioni e degli scambi tra gli individui).
Egli parte dal fatto che più sono gli individui che cercano di vivere insieme, più si fa intensa la lotta
per la vita; la differenziazione sociale è la soluzione pacifica della lotta per la vita (gli individui
sopravvivono differenziandosi).
La libertà individuale nasce dalla differenziazione sociale: solo in una società in cui la solidarietà
meccanica ha perso la sua rigidità intransigente si può fruire di un minimo di autonomia di
valutazione e di azione.

Il suicidio (1897)
Il problema delle società moderne è il rapporto tra l’individuo ed il gruppo: l’uomo è divenuto
troppo cosciente per accettare ciecamente qualsiasi imperativo sociale.
Con questo libro Durkheim tenta di dimostrare quanto la realtà collettiva sia determinante per gli
individui e prende in esame proprio quello che sembra esser un fenomeno tipicamente individuale:
la scelta di togliersi la vita. Il metodo seguito è quello di:
1. individuare l’oggetto della ricerca definendo il fenomeno;
2. confutare le teorie precedenti;
3. determinare i vari tipi di suicidio;
4. elaborare una teoria generale del fenomeno studiato.
1.)
Il suicidio è qualsiasi caso di morte derivata direttamente o indirettamente da un’azione
positiva o negativa compiuta dalla vittima stessa e che quest’ultima sapeva che avrebbe dovuto
produrre questo risultato.
2.)
D. attraverso il metodo delle variazioni concomitanti studia le variazione del tasso di suicidi
nelle diverse popolazioni e cerca di provare che non esiste correlazione tra la frequenza degli stati
psicopatologici e quella dei suicidi (es, tra gli ebrei la proporzione di alienati è alta ma il tasso di
suicidi è basso). Scarta anche la possibilità che il suicidio prenda le mosse dall’imitazione e liquida
Tarde dichiarando che egli confonde la fusione delle coscienze (la folla rivoluzionaria), l’individuo
che si adatta alla collettività (la moda) e l’imitazione vera e propria (la tosse durante una
conferenza) o da un vero e proprio contagio per cui la mappa dei suicidi mostrerebbe un centro da
cui si diffonde (e ciò non è).
3.)
D. identifica tre tipi di suicidio: quello egoistico ( in cui il suicida pensa esclusivamente a se
stesso, non è integrato in un gruppo), quello altruistico (es. il comandante della nave che affonda
con essa. Egli ha interiorizzato un imperativo sociale impostogli dal gruppo) e quello anomico
(caratteristico della società moderna, determinato dallo scompenso tra aspirazioni e soddisfazioni,
aumenta con l’aumento dei divorzi).
4.)
Il suicidio è un fenomeno individuale le cui cause sono sostanzialmente sociali
Ancora una volta si ritrova il concetto per cui le società sono di per se eterogenee agli individui.
La società moderna presenta, pertanto, alcuni sintomi patologici (il cui ricorrere è superiore al
normale) primo fra tutti l’insufficiente integrazione dell’individuo nella collettività.
L’unico gruppo che possa favorire l’integrazione dell’individuo nella collettività è la corporazione
(gruppi di lavoratori e datori di lavoro abbastanza vicini all’individuo da poter costituire scuole di
disciplina).
13

Le forme elementari della vita religiosa (1912)
L’opera più importante di D. ha per oggetto l’elaborazione di una teoria generale della religione
ricavata dallo studio delle istituzioni religiose più semplici. Egli parte dal principio per cui si può
cogliere l’essenza di un fenomeno sociale osservandone le forme più semplici. Egli vuole
dimostrare che l’oggetto della religione altro non è che la trasfigurazione della società.
Il metodo è sempre lo stesso: 1). definizione del fenomeno 2). confutazione delle teorie precedenti
3). dimostrazione della natura essenzialmente sociale delle religioni.
1) l’essenza della religione sta nella divisione del mondo in fenomeni sacri e profani; quando le
cose sacre costituiscono un insieme unitario, l’insieme delle credenze e dei riti costituisce una
religione;
2) l’animismo viene confutato perché se la religione consistesse nell’amare spiriti si
configurerebbe come un’allucinazione collettiva; la confutazione del naturismo si basa ugualmente
sull’impossibilità di dissolvere l’oggetto.
3) Per l’analisi del totemismo, la religione più semplice, D. utilizza i concetti di clan (gruppo di
parentela non legato da legami di consanguineità, uno dei più semplici gruppi umani) e di totem. Le
realtà del clan è divisa in due categorie: cose profane (quotidiane) e cose sacre (diverse per natura).
Questa distinzione affiora alla coscienza dei primitivi perché essi hanno il sentimento diffuso che
esiste qualcosa di superiore alla loro individualità, la società a cui, senza saperlo, rendono un culto.
La società ha di per se qualcosa di sacro, è superiore all’individuo e lo condiziona così come un
Dio. Le società sono macchine che fabbricano divinità nel momento in cui si trovano nello stato di
esaltazione collettiva che risulta dall’estrema intensità della stessa vita collettiva.
D. pone l’accento su due importanti fenomeni sociali: i simboli ed i riti ( negativi se impongono dei
divieti, positivi come quelli per la fecondità, espiatori. In tutti i casi i riti hanno il senso di ravvivare
il sentimento di appartenenza al gruppo, la fede).
Infine D. deduce dallo studio del totemismo una sociologia della conoscenza: la religione è il nodo
originario da cui sono uscite regole morali e religiose, ma anche la scienza. Questa teoria viene
svolta in tre preposizioni:
1. noi classifichiamo gli esseri dell’universo in gruppi chiamati generi perché avevamo
l’esempio delle società umane; non facciamo altro che estendere alle cose della natura la
pratica del raggruppamento perché pensiamo il mondo ad immagine della società.
2. l’idea di causalità nasce dalla società. L’esperienza della vita collettiva fa nascere l’idea di
forza ed è proprio la società che fornisce agli uomini l’idea di una forza superiore a quella
degli individui
3. Questa teoria sociologica della conoscenza permette di superare la divisione tra apriorismo
(le categorie sono date nello stesso spirito dell’uomo) ed empirismo (le categorie derivano
dall’esperienza). E’ la vita collettiva che permette di spiegare i concetti: essi sono
rappresentazioni impersonali perché sono collettivi e sono generali proprio perché derivano
dalla società.

Le regole del metodo sociologico (1895)
Lo sviluppo del pensiero di D. segue sempre lo stesso pensiero, quello gia descritto sopra
La concezione di D. della sociologia è fondata sul fatto sociale: esso è il vero oggetto della
sociologia e va osservato dall’esterno così come si scoprono i fatti fisici. Il fatto sociale è una cosa,
data di per sé che si impone all’osservazione.
Altra affermazione importante è quella per cui è un fatto sociale qualsiasi modo di faresuscettibile
di esercitare sull’individuo una costrizione esterna: riconosceremo un fenomeno sociale dal fatto
che esso si impone all’individuo.
Il pericolo del suo metodo sta nel fatto che dato un fenomeno (es. il suicidio) e classificatolo in una
categoria (es. suicidio anomico) D. ammette una ed una sola causa.
14
Il fatto che il sociologo per D. abbia la funzione di migliorare la società lo porta a distinguere i
fenomeni normali (quelli che si incontrano normalmente in una società, compreso un certo tasso di
reati) da quelli patologici e solo questi ultimi devono essere indagati.
Le cause dei fenomeni sociali vanno ricercate nell’ambiente sociale e non nel passato. Le prove
della spiegazione si ottengono con il metodo delle variazioni concomitanti.

Sociologia e socialismo
Il vero problema sociale sta nella necessità di fare dell’individuo un membro della collettività di
inculcargli quegli obblighi necessari alla vita collettiva. Egli è socialista nel senso che il socialismo
è un’organizzazione migliore, più consapevole della vita collettiva in cui gli individui sono inseriti
in quadri sociali dotati di autorità morale ed in grado di assolvere una funzione educativa. In questo
senso il socialismo di D. è quello di Comte: organizzazione e moralizzazione.
Egli non è marxista perché non crede nei mezzi violenti né nella lotta di classe come molla del
divenire storico.
Gli appetiti degli uomini sono insaziabili ed essi saranno eternamente insoddisfatti e le funzioni
economiche nella società moderna non sono regolamentate. Esse devono essere, secondo D.,
ricondotte sotto un potere politico e morale, le corporazioni, i gruppi professionali.
Per riassumere: il socialismo è visto essenzialmente come una reazione all’anarchia economica ed il
suo vero scopo è di creare organismi intermedi tra l’individuo e lo Stato dotati di autorità sociale e
morale. Tema centrale è dunque l’organizzazione e non il possesso dei mezzi di produzione.

Sociologia e filosofia
……………
Vilfredo Pareto (1848-1923)

L’azione non-logica e la scienza
Lo studio parte dal Trattato di sociologia.
La comprensione del sistema paretiano esige la comprensione di due concetti fondamentali:
 Azione logica: quella in cui i mezzi ed i fini hanno una concatenazione sia nella realtà
oggettiva che nella coscienza di chi agisce (es. l’ingegnere che costruisce un ponte). E
schematicamente definita dalla proposizione si-si.
 Azione non logica: tutte le altre azioni in cui la concatenazione mezzi –fini: non si verifica
nè oggettivamente nè soggettivamente (no-no, I genere, possibile ma molto improbabile
nella realtà); non si verifica oggettivamente ma si verifica soggettivamente (no-si, II genere,
estremamente diffuso, es. la danza della pioggia); si verifica oggettivamente ma non
soggettivamente (si-no, III genere, es chiudo le palpebre per non essere colpito dalla
polvere); si verifica oggettivamente e soggettivamente ma non nel senso voluto (si-si, IV
genere, es. i rivoluzionari che prendono il potere per la liberta del popolo ma poi sono
portati a stabilire un regime autoritario). Le azioni non logiche non sono necessariamente
illogiche.
La sociologia, contrariamente all’economia dovrà trattare essenzialmente delle azioni non logiche.
I due tipi più importanti saranno quelli del II genere, tipici delle azioni religiose, e quelli del IV,
tipici delle condotte dettate da illusioni, specialmente negli uomini politici e negli intellettuali.
Lo scopo del sociologo in questo studio non sarà l’utilità (contrariamente a Durkheim) ma la verità.
Il metodo sarà solo quello per cui nulla di ciò che va al di la dell’esperienza trova posto nella
scienza; più precisamente la scienza sarà logico-sperimentale: logica nel senso che è legittimo,
partendo da definizioni poste o da fenomeni osservati, dedurre conseguenze che risultano da
premesse, sperimentale nel senso che è scientifica la proposizione che comporta dimostrazione o
confutazione con l’esperienza. In breve, la scienza logico sperimentale si propone di scoprire quelle
15
che Pareto chiama uniformità sperimentali, cioè le relazioni regolari tra i fenomeni. Essa non può
spiegarci qual è, ad esempio, la migliore società possibile, può solo dimostrare che le condotte degli
uomini sono essenzialmente non logiche e che, sebbene essi si sforzino di dargli un’apparenza
logica, in realtà queste condotte sono dettate dai sentimenti.

Dalle espressioni ai sentimenti
C (teorie morali o religiose)
A
(stati d’animo)
B
(atti)
Lo schema serve a spiegare le condotte non logiche. Di una condotta noi conosciamo C (le
espressioni dei sentimenti che si sviluppano in teorie morali o religiose) e B (l’atto), ma non
conosciamo A (lo stato psichico del soggetto agente). Mentre in genere si tende a giustificare gli atti
(B) con le teorie religiose e morali (C), la realtà è che A determina sia B che C. I ragionamenti per
agire sugli uomini hanno bisogno di trasformarsi in sentimenti.
A questo punto Pareto distingue i residui e le derivazioni: analizzando l’omicidio egli si rende
conto che ad un elemento costante del fenomeno (il rifiuto della condotta omicida) la cui origine è
in uno stato psichico, in un sentimento, corrispondono una miriade di spiegazioni logiche (è Zeus
che proibisce il delitto, la ragione universale non tollera attentati alla dignità della persona umana,
ecc..). L’elemento costante verrà definito residuo e le spiegazioni logiche saranno chiamate
derivazioni. I residui si riferiscono agli istinti dell’uomo ma non li comprendono tutti: al di fuori
restano appetiti, gusti, disposizioni che non danno luogo a ragionamenti (come prima parlavamo
delle palpebre che istintivamente si chiudono per evitare la polvere); anche l’interesse non fa parte
dei residui. Bisogna fare attenzione al fatto che i residui non sono i sentimenti veri e propri, ma i
concetti analitici ad uso del sociologo a cui i sentimenti corrispondono.

Residui e derivazioni
P. distingue sei classi di residui e suddivide ognuna in vari generi (poi ulteriormente suddivisi in
specie). Le prime due classi sono di gran lunga le più importanti.
I residui sono:
1. l’istinto delle combinazioni (la tendenza a stabilire relazioni tra le idee e le cose che
comporta il bisogno di sviluppi logici)
2. La persistenza degli aggregati (la tendenza umana a mantenere le combinazioni che
sono state formate, a rifiutare i cambiamenti, ad accettare una volta per tutte gli
imperativi)
3. il bisogno di manifestare sentimenti con atti esteriori (es. l’applauso)
4. i residui in relazione con la socialità (la tendenza a creare associazioni, il bisogno di
uniformità,i fenomeni di pietà e crudeltà, la dedizione che spinge gli individui a
sacrificarsi per gli altri, i sentimenti legati alla gerarchia, i fenomeni di ascetismo)
5. l’integrità dell’individuo e delle sue dipendenze (i riti di purificazione, i sentimenti
per cui si tende a punire chi commette atti contrari alla società)
6. i residui sessuali (al limite dell’istinto, lo interessano per una descrizione della
religione virtuista).
16
Quindi si passa alle derivazioni e più precisamente alla forza persuasiva che esse possono avere. P.
le divide in quattro classi:
1. le semplici affermazioni (obbedisci perché bisogna obbedire raggiunge il suo scopo solo se
detto con un certo tono)
2. l’argomentazione basata sul principio d’autorità (obbedisci perché papa lo vuole)
3. l’argomentazione basata sul ricorso ad un essere soprannaturale
4. l’argomentazione basata su prove verbali (usata nella gran parte dei discorsi politici essa è
ottenuta mediante l’utilizzo di termini di senso indefinito)
P. ironizza sul carattere non logico delle derivazioni, ma ripete che con ciò non desidera che gli
uomini politici si comportino in modo logico sperimentale quando fanno politica: egli capisce
perfettamente che non ha alcuna utilità essere razionali o logici; ciò che conta è dar l’impressione di
ragionare.
Quindi Pareto parte da un’analisi della teoria dei tre stadi di Comte (teologico, metafisico e
positivo) per illustrare il suo pensiero secondo il quale i tre modi di pensare non sarebbero
successivi l’uno all’altro, ma convivrebbero in gradi diversi in tutte le epoche.

La sintesi sociologica
Negli ultimi tre capitoli del Trattato di sociologia Pareto analizza il funzionamento della società
considerata nel suo insieme. Cause decisive delle trasformazioni storiche e del buon funzionamento
della società sono le oscillazioni della forza relativa ai residui della I e della II classe.
Il funzionamento della società è comprensibile attraverso i residui, le derivazioni, gli interessi e
l’eterogeneità sociale (sebbene l’ambiente naturale necessiti un certo adattamento).
Gli interessi sono le tendenze che fanno si che gli individui e le collettività siano spinte dall’istinto e
dalla ragione ad impadronirsi dei beni materiali utili alla vita e piacevoli ed a ricercare
considerazione ed onori.
A questo punto sarà necessario introdurre il concetto di ofelimità, cioè dei benefici che l’individuo
vuole raggiungere in funzione della sua gerarchia di preferenze.
Per la società il concetto di utilità non è univoco perciò:
 Non esiste soluzione logico-sperimentale al problema sociale, al modo in cui un individuo
deve comportarsi perché non è possibile determinare in maniera univoca gli scopi del
comportamento
 La nozione d’utilità è equivoca e diviene chiara solo se l’osservatore sceglie il criterio
d’utilità
 Si può, in teoria, misurare precisamente il grado di ofelimità di un individuo ma sollo
ammettendo in maniera aprioristica la sua scala delle preferenze
 Anche se si ammette un criterio definito di utilità risulta importante distinguere l’utilità
diretta (quella che consegue direttamente da un atto) da quella indiretta (quella che risulta
dagli effetti dell’atto su coloro che circondano l’agente) che può esser positiva o negativa.
Ulteriore distinzione sarà quella tra il massimo di utilità per una collettività (che arriva fino
a dove è possibile aumentare l’utilità di uno senza danneggiare un altro) ed il massimo di
utilità di una collettività. Non esiste il massimo di ofelimità di una collettività perché
sarebbe la somma di quantità eterogenee. Se invece si considera il massimo di utilità di una
collettività, dando un criterio (es. quello di favorire la maggioranza a spese della
minoranza), esso si può perseguire.
I sistemi di valori degli individui sono eterogenei e per questo la società non può essere considerata
come una persona. Esse sono organizzate secondo la separazione tra masse di individui governati ed
un’elite ristretta dominante (concetto di tradizione machiavelliana).
17
Di tale elite P. da due definizioni:
1. essa è composta da quel piccolo numero di individui che, nella loro sfera di attività, sono
arrivati ad un grado elevato della gerarchia
2. l’elite di governo raggruppa un piccolo numero di individui, facenti parte dell’elite, che
esercitano funzioni di direzione politica e sociale.
In questo senso i meno governano i più con l’astuzia e la forza: il governo è legittimo quando la
classe dominante riesce a persuadere la massa che è conforme ai loro interessi.
Altra teoria importante è quella della ripartizione dei redditi esposta nel Corso di economia politica
per cuila curva di distribuzione dei redditi sarebbe rappresentatala una retta sul piano cartesiano
espressa dalla relazione
log N
=
log A -  log x
(numero d’individui con reddito
(A ed  sono delle costanti determinate dalle statistiche
uguale o superiore ad x)
ed x è la dimensione del reddito)
Le statistiche dimostrano che in quasi tutti i paesi =1,5; ne consegue che la differente ripartizione
dei redditi dipende non tanto dall’organizzazione della società quanto dalla natura stessa degli
uomini. Da qui la conclusione che l’aumento del benessere delle classi inferiori non è un problema
di ripartizione dei beni, ma di aumento di produzione.
La riserva è che nelle società socialiste la formula non è valida.
Quindi Pareto analizza Marx e sostiene che egli ha ragione a sostener che il dato fondamentale del
corso della storia sia la lotta di classe, ma che sbagli quando crede che essa sia finalizzata solo al
possesso dei mezzi di produzione: essa può benissimo riguardare il possesso dello stato o delle
forze militari. Se anche la rivoluzione marxista portasse una nuova società in essa si verificherebbe
il dominio di alcuni che parlano in nome del proletariato e non la dittatura del proletariato.
Per P. il fenomeno storico più importante è quello della vita e della morte delle minoranze di
governo (la storia è un cimitero di aristocrazie).
Le cause di mortalità di una aristocrazia sono:
1. le aristocrazie militari sono decimate in combattimento
2. dopo alcune generazioni l’aristocratico erede perde la capacità di esercitare la forza e la
vitalità
3. Non si può essere sicuri che i figli di coloro che hanno avuto il comando sapranno come i
loro padri praticarlo (nell’elite esiste anche gente che non merita di farne parte)
Perciò condizione per la stabilità sarà necessario trovare nella massa un piccolo numero di membri
che meriti di appartenere all’elite ed eliminarli o assorbili.
Nel caso in cui la società risulti abbondante di residui della prima classe ed ancor più di residui
della seconda essa sarà stabile e poco esposta ad i rischi di rivoluzione (le masse dovranno avere
residui della seconda mentre le elite dovranno possedere più residui della prima).
Nel quadro delle società dell’Europa occidentale del suo tempo P. vede, nelle elite di governo,
troppi residui della II classe (l’istinto delle combinazioni) nel fatto che le economie tendono sempre
più alla statalizzazione. Inoltre ritiene che nelle elite fossero più cospicue le volpi (che usano
l’astuzia) dei leoni (che usano la forza) ed in questo vede il nascere di nuove elite fondate sull’uso
della forza. Da ultimo la burocratizzazione tende a soffocare la libera iniziativa e da ciò la tendenza
all’evoluzione verso società fondate su economie collettiviste e cristallizzate.

Scienza e politica
Il pensiero di P. è una reazione alle speranze razionalistiche del XIX secolo: è assurda l’idea che la
scienza possa razionalizzare la società; l’evoluzione della scienza potrà aumentare lo spazio nella
società dedicato al ragionamento, ma il pensiero logico-sperimentale non può stabilire i fini, gli
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scopi individuali e collettivi della società. Perciò la critica dello scientismo di Durkheim (la scienza
potrebbe formare una dottrina politica, una religione).
Egli, in campo economico è un liberale che ammette alcuni interventi dello Stato nella misura in cui
favoriscono il mercato, in campo politico vuole un regime autoritario e moderato, un governo forte
e liberale che sappia decidere ed allo stesso tempo lasciare indipendenza agli intellettuali.
In questo senso non è impossibile vedere una sua simpatia nei confronti del fascismo del primo
periodo, ma ancora più definirlo come un liberale

Un’opera contestata
Se lo spirito dell’opera di Pareto sta nel fatto che la verità non è utile alla società, anzi potrebbe
essere nociva, si capisce come egli sia sempre rimasto isolato tra i professori ed i sociologi.
Pareto, visto in rapporto agli psicanalisti, rinuncia all’esplorazione del subconscio e dell’inconscio
per rimanere ad un livello intermedio tra l’interiorità e gli atti esterni.
Il suo uomo è fondamentalmente eterno.
Max Weber (1864-1920)
Si possono classificare i lavori di W. in quattro categorie:
1. Studi di metodologia, critica e filosofia, sullo spirito, l’oggetto ed i metodi delle scienze
umane, la storia e la sociologia (una raccolta intitolata Il metodo delle scienze storicosociali)
2. Le opere propriamente storiche di storia economica e di storia dell’agricoltura.
3. I lavori di sociologia della religione (in particolare lo studio su L’etica protestante e lo
spirito del capitalismo)
4. La sua opera principale, un trattato di sociologia generale (Economia e società)

Teoria della scienza
Come Pareto partiva dalla distinzione tra azione logica e non-logica, W parte dalla distinzione
dell’azione in:
 Azione razionale in rapporto a un fine (l’autore concepisce chiaramente il
fine e combina i mezzi per il suo conseguimento; es. l’ingegnere che
costruisce un ponte)
 Azione razionale in rapporto ad un valore (il soggetto agisce razionalmente
non per conseguire un risultato ma per rimanere fedele alla sua idea di
onore; es. il capitano che cola a picco con la sua nave)
 Azione affettiva (dettata direttamente dallo stato d’animo, è una reazione
emotiva, es. il pugno dato da un giocatore all’altro durante una partita di
calcio)
 Azione tradizionale (dettata dalle abitudini, il soggetto obbedisce a riflessi
radicati in lui da una lunga pratica)
W. vede queste azioni non in rapporto all’osservatore (come Pareto), ma in rapporto al significato
che il soggetto agente da al proprio agire.
Egli si rende conto che l azioni della società moderne sono sempre più del primo tipo (in rapporto
ad un fine) e che la società vive un momento di razionalizzazione.
L’azione dello scienziato dovrà essere un’azione razionale rispetto a un fine (che è la verità), ma
questo stesso fine impone un giudizio di valore; essa è dunque una combinazione di azione
razionale in rapporto ad un fine ed in rapporto ad un valore. I suoi caratteri distintivi so
l’incompiutezza (la scienza moderna non può essere conclusa, è per essenza in divenire;
specialmente la storia e la sociologia potrebbero essere concluse solo se il divenire umano fosse
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giunto alla sua fine) e l’oggettività (la validità universale della scienza esige che lo scienziato non
proietti nella ricerca i suoi giudizi di valore, le sue preferenze estetiche o politiche).
Le scienze della storia e della società, pur avendo lo stesso carattere razionale di quelle della natura
sono diverse da esse: esse sono caratterizzate dal fatto che sono comprendenti (cioè intelligibili
intrinsecamente a causa del fatto che gli uomini sono dotati di coscienza, comprensibili
immediatamente senza dover passare attraverso concetti mediatori), storiche (nel senso che i
fenomeni singolari possono essere spiegati senza far riferimento alle proposizioni generali) e sono
scienze della cultura (nel senso che tentano di spiegare i valori che gli uomini hanno scelto e le
opere che hanno prodotto).
Ma come si possono esaminare opere che si definiscono come creazioni di valori senza dare giudizi
di valore? W. risponde distinguendo il giudizio di valore (personale e soggettivo, es. il cittadino che
considera la libertà essenziale) dal concetto di rapporto ai valori (il sociologo, in rapporto
all’esempio precedente studierà la libertà come un oggetto per il quale gli uomini sono venuti in
conflitto).
La sociologia weberiana è ispirata da una filosofia esistenziale che prima della ricerca pone una
duplice negazione:nessuna scienza potrà dire agli uomini come devono organizzarsi, né quale sarà il
loro avvenire (la prima affermazione lo contrappone a Durkheim, la seconda a Marx).
I risultati scientifici devono esser conseguiti, partendo da una scelta soggettiva, con procedimenti
soggetti a verifica e che si impongono a tutte le menti (grazie a ciò la scienza sarà universale). La
sociologia è una scienza del comportamento umano per quel tanto che esso è sociale e per com’è
osservabile.

Storia e sociologia
Le scienze storiche e sociologiche vogliono nel contempo interpretare i fenomeni e spiegarli in
termini di causalità storica (per quali circostanze uniche quel fenomeno è accaduto) e sociologica
(Qual è il fenomeno A che favorisce il fenomeno B?).
Prima regola nello studio è quello di definire con precisione l’oggetto che si vuole studiare.
Poi si passerà all’analisi dei vari elementi che lo compongono; quindi si proverà a supporre cosa
sarebbe successo se uno degli antecedenti non si fosse verificato; infine si confronterà il divenire
irreale di cui sopra con gli avvenimenti reali per concludere che l’avvenimento fu una delle cause
che generarono il fenomeno esaminato.
Benché sia stato deriso dagli storici per questo schema, W. controbatteva che l’operazione da lui
descritta era quella che loro facevano normalmente, altrimenti la storia sarebbe stato solo un
racconto.
Le relazioni causali comportano un carattere di probabilità (es. è probabile che un determinato
sistema politico favorisca quel tipo di organizzazione economica) e di parzialità (non è detto che
quel sistema politico porti a quel tipo di organizzazione economica).
Tuttavia esse non trascurano le proposizioni generali.
Nasce a questo punto in concetto di tipo ideale: un modo parziale di cogliere un insieme globale
attraverso l’isolamento delle caratteristiche tipiche.
La ricostruzione dei tipi ideali è il mezzo della ricerca scientifica, non il fine.
Weber, in realtà chiama tipi ideali tre tipi di concetti:
 I tipi ideali di individualità storiche (es. il capitalismo)
 I tipi ideali che designano elementi astratti della realtà storica (es. la burocrazia che si
presenta in diversi tipi di società)
 Le ricostruzioni razionalizzanti di comportamenti che hanno un carattere particolare (es. la
teoria economica che ricostruisce il mondo in un quadro in cui i soggetti sono puri soggetti
economici)
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
Le antinomie della condizione umana
I valori non sono dati né nel mondo sensibile né in quello trascendente, sono creati dalle decisioni
umane. A Durkheim che pensava che i valori provenissero dalla società W avrebbe risposto che la
creazione dei valori è anche sociale, ma nel senso che ognuno di noi risponde con la sua coscienza
ad un ambiente; a Pareto che cercava nei residui le forze che portavano all’affermazione dei valori,
W avrebbe risposto che la parte più interessante dell’esame non è la staticità dei residui,la ricerca di
ciò che è costante, quanto le caratteristiche particolari di ogni società.
Secondo W. l’antinomia fondamentale dell’azione sta nel contrasto tra la morale della
responsabilità (quella che deve adottare l’uomo d’azione nello scegliere i mezzi adatti a raggiunger
un fine; è l’etica del cittadino di Machiavelli che condanna la propria anima per il bene della propria
città) e la morale della convinzione (che ci incita ad agire secondo i nostri sentimenti senza
riferimento alle conseguenze; es. il pacifista che pur di non prendere le armi lascia la propria città in
mano al nemico).

La sociologia della religione
Il problema di W. nel rapporto tra sociologia e religione sta nello stabile in quale misura la religione
influenza il comportamento economico nelle diverse società.
L’argomento è trattato in L’etica protestante e lo spirito del capitalismo.
W. comincia con l’identificare un tipo ideale di capitalismo definito dalle imprese il cui scopo è il
profitto, ed il cui mezzo è l’organizzazione razionale del lavoro e della produzione. Un’impresa
capitalistica mira al massimo profitto (più precisamente all’accumulazione infinita del profitto)
utilizzando un’organizzazione burocratica in cui ogni soggetto è definito per le funzioni che
esercita. La differenza con Marx sta nel fatto che W. pensa che la caratteristica fondamentale delle
società moderne sia proprio la burocratizzazione che si sviluppa indipendentemente da chi è in
possesso dei mezzi di produzione (come sostenevano i saintsimoniani).
W. procede partendo dall’analisi di statistiche che gli mostrano come in Germania, nelle regioni
dove coesistono diverse religioni, i protestanti detengono la stragrande maggioranza delle fortune;
egli si propone, perciò di verificare come una concezione religiosa possa influenzare un certo modo
d’agire dell’uomo. L’etica protestante a cui W. fa riferimento è essenzialmente quella calvinista
secondo la quale la salvezza sarebbe un dono gratuito di Dio a cui l’uomo non può accedere
mediante le proprie opere; all’uomo non resta che lavorare per la gloria di Dio e per creare il regno
di Dio su questo mondo; il Dio non è conoscibile dallo spirito finito dell’uomo.
Il calvinista non potendo sapere se sarà salvato o meno tenterà, con un processo psicologico, di
trovare i segni della sua elezione in questo mondo, cercherà nel successo economico il segno della
sua predestinazione ad essere salvato; egli, inoltre, è solo di fronte a Dio e ciò favorisce
l’individualismo.
Inoltre si realizza un’altra incredibile coincidenza con una necessità della logica capitalistica: l’etica
protestante ingiunge al credente di adottare una condotta ascetica, cioè, in termini economici, di non
consumare il profitto ricavato, ma di reinvestirlo.
In tal modo Weber riesce a dimostrare che l’attitudine economica degli uomini può dipendere dal
loro sistema di credenze (allo stesso modo in cui il sistema di credenze, ad un certo momento, può
dipendere dal sistema economico, no c’è causalità esclusiva).
Nel proseguire con gli studi religiosi Weber constata che il sistema economico capitalistico si è
sviluppato solo nel mondo occidentale e che sebbene in altre civiltà, come quella cinese, fossero
presenti molte delle condizioni necessarie allo sviluppo di questo fenomeno, carente era la variabile
religiosa.
W. in Economia e società riprenderà il tema di una sociologia generale delle relazioni tra le
religioni ed i comportamenti economici, studiando la Cina e L’india e spiegherà come il capitalismo
non sia nato in Cina perché nella rappresentazione del mondo di quel paese è tipico il concetto di
razionalità materiale che fa si che si produca quanto è necessario ma non di più, per conseguire una
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felicità che sta nell’equilibrio. Per l’India, invece, la causa sfavorevole viene individuata nel
ritualismo, fonte di conservazione sociale.
In una storia delle religioni il punto di partenza sta in un mondo popolato di sacro; il punto d’arrivo,
nella nostra epoca è il disincantamento del mondo in cui il sacro è stato cacciato.
La stessa scienza positiva ha cacciato il sacro lasciandoci un mondo utilizzabile ma vuoto di senso.

Economia e società
Oggetto dell’opera è la storia universale, tuttavia essa è un’opera di sociologia. Lo scopo di W. sta
nel rendere intelligibili le diverse forme di economia, diritto, potere e religione inserendole in un
unico sistema concettuale.
LA sociologia, per W., è la scienza dell’azione sociale che egli vuole comprendere (cioè coglierne i
significati) interpretandola (organizzando in concetti il senso soggettivo) e di cui vuol spiegare
socialmente lo svolgersi (vuole mettere in luce le regolarità dei comportamenti).
L’azione è sociale quando si riferisce al comportamento di altre persone (l’insegnante compie
un’azione sociale quando parla lentamente per farsi capire dagli alunni); l’azione sociale si
organizza in relazione sociale (insegnante ed allievi vivono una relazione sociale). I comportamenti
dei soggetti agenti sono reciprocamente orientati in modo regolare grazie all’usanza ( è usanza che
quando il professore parla gli alunni siano in silenzio) ed al costume (se la regolarità dipende dalla
tradizione); la regolarità non è assoluta, è espressa in termini di probabilità (è probabile che gli
alunni stiano zitti).
Alla regolarità del rapporto sociale concorrono la convenzione ed il diritto che compongono
l’ordinamento legittimo: si ha convenzione quando la sanzione che colpisce chi la viola è la
disapprovazione collettiva, si ha diritto quando la sanzione è la costrizione fisica. I tipi di
ordinamento legittimo sono quattro:affettivi o emotivi, razionali in rapporto a valori, religiosi e
determinati dall’interesse.
Le società non sono un insieme armonico: esse sono in perenne lotta quanto sono in
accordo;quando la lotta non comporta l’impiego di forza fisica si parla di concorrenza, quando la
posta in gioco è l’esistenza stessa si parla di selezione.
Il processo d’integrazione dei soggetti agenti può portare alla costituzione di una comunità (se il
fondamento del gruppo è un sentimento d’appartenenza) o di una società ( se il fondamento del
gruppo risiede in legami di interessi); il processo d’integrazione si conclude con la creazione del
gruppo sociale (aperto o chiuso a seconda che l’ingresso sia accessibile o meno a tutti) che aggiunge
alle comunità ed alle società un organo amministrativo ed un ordinamento regolato.
Dopo il gruppo sociale viene l’impresa caratterizzata dall’azione continua di più soggetti agenti e
dalla razionalità in vista di un fine.
Altri concetti chiave sono unione (in cui le regole sono accettate volontariamente e
consapevolmente dai partecipanti) ed istituzione (in cui le regole sono imposte da decreti); due altri
sono potenza (in cui il soggetto agente impone il proprio valore ad un altro in un rapporto di
disuguaglianza) e potere (in cui un soggetto che detiene il potere impone la propria volontà in virtù
dell’obbedienza che gli è dovuta); infine i concetti di gruppo politico (che comporta i concetti di
territorio, di continuità del gruppo e di minaccia di applicazione della forza fisica, es. lo Stato) e di
gruppo sacro o ierocratico (nel quale il potere appartiene a chi possiede gli oggetti sacri).
La sociologia di Weber si fonda sulla distinzione tra essenza dell’economia ed essenza della
politica: l’economia si riferisce alla soddisfazione dei bisogni come al fine che determina
l’organizzazione razionale della condotta, la politica è caratterizzata dal potere esercitato da uno o
da pochi uomini su altri uomini.
I tipi di potere sono tre:
 Potere tradizionale (fondato sulla tradizione vista quasi come cosa sacra)
 Potere razionale (fondato sulla legittimità dei comandi e sulla legittimità di chi lo esercita)
 Potere carismatico (fondato sulla devozione verso un uomo a cui vengono riconosciute
qualità eccezionali).
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La distinzione è quasi parallela a quella fatta per i vari tipi di azione (potere tradizionale = azione
tradizionale, potere razionale = azione razionale rispetto ad un fine, potere carismatico = azione
affettiva) ma manca il tipo di potere che si richiamerebbe all’azione razionale in rapporto ai valori.
L’analisi del potere carismatico è esemplare: esso comporta all’origine qualcosa di eccezionale che
esula dalla normalità, ma poiché la società non può vivere a lungo fuori dall’usuale il primo passo
sarà il ritorno alla pratica quotidiana; quindi si porrà il problema della successione. Esso può essere
risolto o con la ricerca di un altro portatore di carisma (teocrazia tibetana), il carisma può supporsi
inseparabile dal sangue ed il regime si trasforma allora in tradizionale oppure il carisma può essere
trasmesso attraverso formalità magiche o religiose.
L’esempio serve ad illustrare come W. tenti di organizzare in un quadro concettuale unico fenomeni
diversi cercando, nello stesso tempo, di non eliminarne le singolarità.
In politica Weber è un nazional-liberale che crede nella grandezza della nazione e nella potenza
dello stato, condizioni che considera al di sopra di tutto; certamente è attaccato alle libertà, ma non
crede né alla volontà generale né al diritto dei popoli di disporre di sé: non crede nell’ideologia
democratica.
Vede come un problema il fatto che i ministri siano scelti tra i funzionari dell’alta burocrazia perché
essi sono abituati ad applicare la legge ed educati alla disciplina, ma non sono dotati dell’iniziativa
necessaria.
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Weber nostro contemporaneo
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