Le tappe del pensiero sociologico R. Aron Montesquieu (1689-1755) Sociologo perché tenta di conoscere scientificamente la realtà sociale. Ne Lo spirito delle leggi egli tenta di rendere intelligibile la storia, di comprendere il dato storico che gli si presenta come una diversità quasi infinita di usi, costumi, leggi, istituzioni; come si giungerà, dunque ad un ordine pensato da tutto ciò? In due modi: risalendo alle cause che hanno determinato l’andamento generale degli eventi (spiegando perciò il divenire) ed organizzando la diversità riportandola ad un piccolo numero di tipi o concetti. Teoria politica Distingue tre tipi di governo e li definisce in base ai concetti di natura (ciò che lo fa essere quel che è, la sua struttura) e principio (Il sentimento che deve animare gli uomini in quel tipo di governo perché esso funzioni) del governo: 1. la Repubblica in cui il popolo detiene il potere; essa dipende dalla virtù intesa come rispetto delle Leggi e dedizione degli individui alla collettività. 2. la monarchia in cui uno solo governa ma secondo leggi fisse; essa dipende dall’onore inteso come rispetto nei confronti del rango. 3. il dispotismo in cui uno solo governa senza legge e determina tutto secondo la sua volontà; essa dipende dal timore Ciascuno dei tre tipi risponde ad una certa dimensione della società considerata (in questo sta l’importanza di Montesquieu, nell’aver combinato l’analisi dei regimi con quella del tipo di società): la repubblica può esistere solo in un piccolo territorio, la monarchia ha bisogno di uno Stato medio, mentre un grande impero suppone un’autorità dispotica in chi lo governa. Decisivo è il concetto che la vita sociale si diversifica in relazione al modo in cui è esercitato il potere: nella repubblica l’organizzazione è fondata sull’uguaglianza, nella monarchia sulla disuguaglianza (sebbene il bene della collettività sia assicurato e l’autorità è esercitata secondo le leggi e la moderazione), nel dispotismo si torna all’uguaglianza, ma fondata nella paura, sull’arbitrarietà e sulla violenza. Analizza in particolare la forma di governo inglese che vede come garanzia di libertà; garanzia che dreriva dalla separazione dei poteri legislativo (alle due camere), ed esecutivo (al re che garantisce rapidità di azione e decisione). Allo nbstesso modo vede nelle rivalità tra le classi una fonte di equilibrio di poteri. In sotanza egli sostiene che la condizione del rispetto delle leggi e della sicurezza dei cittadini risiede in un potere che non sia illimitato. Dalla teoria politica alla sociologia Montesquieu identifica determinati aspetti delle società: il clima ed il terreno, l’aspetto economico della vita collettiva, il numero di abitanti, la funzione della religione e le distingue poi in cause fisiche e morali. Ebbene, tutte queste variabili condizionano le istituzioni contribuendo ad orientarle. Lo spirito generale di una nazione è l’aspetto più importante, è la risultante del clima, dei costumi, della religione, degli esempi del passato e costituisce l’originalità e l’unicità della collettività che è stata plasmata nei secoli da tutti questi fattori (é simile al concetto di cultura della nazione degli antropologi americani). 1 I fatti e i valori Per noi moderni il termine legge ha un duplice significato: sia legge come comando che legge come rapporto di causa effetto. Con Lo spirito delle leggi Montesquieu tenta di spiegare quali siano le leggi causali delle leggi comando. Ad una lettura superficiale potrebbe sembrare che M. accetti una visione deterministica per cui le leggi dipendano dallo spirito di ogni nazione; tuttavia va evidenziato come vi siano numerosi passi in cui l’autore formuli consigli al legislatore o condanne morali nei confronti di certe istituzioni (la schiavitù). Inoltre egli crede a principi d’equità e giustizia preesistenti alle leggi ed universalmente validi basati sui concetti di uguaglianza e di reciprocità. Queste leggi le hanno gli uomini così come gli animali o le divinità e la vita stessa; tuttavia quelle degli uomini sono violabili perché esso è intelligente ed in quanto tale libero. Quindi M. passa alla descrizione dell’uomo in quanto uomo, anteriore, per così dire, alla società: esso non è di per se bellicoso, la guerra è un fenomeno sociale. Pertanto non si può sognare la pace assoluta, ma lo scopo della politica sarà di attenuare e moderare la disuguaglianza e la bellicosità. Le diverse interpretazioni possibili L’essenza della filosofia politica di M. è il liberalismo: la società a cui ambisce è eterogenea e gerarchica ed è una società in cui l’equilibrio dei poteri garantisce la moderazione del potere. Dal punto di vista sociologico egli si rende conto, da un lato, della complessità degli aspetti che si ritrovano nell’esame di una collettività, dall’altro ha cercato di trovare un principio unificatore di tale complessità nel concetto di spirito di un popolo. Inoltre, interessante è l’utilizzo contemporaneo di pensiero sincronico e diacronico nella spiegazione di una società (egli tenta di spiegare le parti della società si in rapporto le une alle altre, sia con il passato della società stessa). Egli è contemporaneamente l’ultimo dei filosofi classici (quando ritiene che una società sia definita essenzialmente dal suo regime politico) ed il primo dei sociologi (quando esamina la società globalmente e spiega sociologicamente gli aspetti di una collettività). Auguste Comte (1789-1857) Egli è prima di tutto il sociologo dell’unità umana: tutta l’umanità dovrà arrivare all’unico tipo di società assolutamente valida. Le tre tappe del pensiero di Comte Prima tappa: E’ quella degli Opuscoli di filosofia sociale.E’ una riflessione sulla società del suo tempo: la società teologica e militare sta per morire e sta per nascere la società scientifica ed industriale in cui il pensiero degli scienziati si sostituisce a quello dei teologi e preti come base intellettuale dell’ordine sociale, in cui l’attività più importante non è più la guerra ma la lotta degli uomini con la natura per il suo sfruttamento e i dirigenti industriali ed i banchieri si sostituiscono ai militari. Seconda tappa: E’ quella del Corso di filosofia positiva. L’autore approfondisce i temi già elaborati nella prima tappa, in particolare le due leggi dei tre stadi e la classificazione delle scienze. Secondo la prima legge lo spirito umano sarebbe passato attraverso tre fasi successive: una prima fase (teologica) in cui lo spirito umano spiega i fenomeni attribuendoli ad esseri o forze paragonabili all’uomo; una seconda (metafisica) in cui invoca entità astratte, come la natura; nella terza (positiva) l’uomo si limita ad osservare i fenomeni fissando le connessioni regolari tra essi, 2 cioè, rinuncia a scoprire le cause dei fatti per stabilire le leggi che li comandano (priorità del metodo sintetico su quello analitico). Nei diversi campi della scienza il pensiero positivo si è affermato dapprima nelle discipline più semplici come la matematica, la chimica e la biologia; alla fine esso si affermerà anche nel campo più complesso della politica e porterà alla costituzione di una scienza della società, la sociologia (questa è la legge della classificazione delle scienze). Così come nella biologia non è possibile spiegare un organo e le sue funzioni se non lo si vede all’interno dell’intero organismo, così non si può comprendere un fenomeno sociale se non inserendolo nel contesto del tutto sociale (principio della priorità del tutto sull’elemento). Pertanto, l’oggetto della sociologia sarà la storia del genere umano. Terza fase: E’ quella del Sistema di politica positiva in cui C. tenta di giustificare l’idea dell’unità della storia umana. Gli si pongono tre necessità: che l’uomo possieda in tutte le società una natura riconoscibile e definibile, che ogni società abbia un ordine essenziale reperibile anche nelle diverse organizzazioni sociali, che natura umana e natura sociale siano tali che se ne possano dedurre le caratteristiche più importanti del divenire storico. Nei tre tomi dell’ opera egli affronta appunto questi tre temi: nel primo traccia il c.d. quadro cerebrale in cui individua le caratteristiche attività dell’uomo in quanto tale; nel secondo egli analizza la statica sociale descrivendo l’ordine sociale fondamentale che si può riconoscere attraverso le diversità delle istituzioni; nel terzo analizza la dinamica sociale che è la tendenza della storia a realizzare l’ordine fondamentale di ogni società ed a portare a compimento quanto c’è di meglio nella natura umana. La filosofia di C. suppone dunque tre grandi temi: 1. la società industriale dell’Europa occidentale che diverrà la società dell’umanità; 2. la storia dell’umanità è il cammino di essa stessa verso il positivismo in quanto il pensiero positivo verrà accettato da tutti non appena se ne vedranno i successi; 3. la storia dell’umanità è lo sviluppo ed il dispiegamento della natura umana. La società industriale L’industria è il fatto nuovo del XIX secolo. Aspetti caratteristici sono: 1. 2. 3. 4. 5. 6. l’organizzazione scientifica del lavoro; l’applicazione della scienza all’organizzazione del lavoro; il nuovo fenomeno sociale dell’esistenza delle masse operaie; l’opposizione tra proletari e capitalisti; le crisi di sovrapproduzione e la povertà nell’abbondanza; il sistema economico è fondato sulla libertà degli scambi e sulla ricerca del profitto e non è più strettamente controllabile dallo Stato. I primi tre aspetti interessano Comte. Egli, criticando sia gli economisti liberali (chiamati metafisici perché credono in un sistema autoregolantesi) che i socialisti (perché non credono nell’accordo finale degli interessi e si illudono che sia possibile una società dove la ricchezza non sia concentrata) crede nell’efficienza finale dell’organizzazione. La proprietà privata viene a giustificarsi come l’esercizio di una funzione sociale che il destino o i meriti hanno riservato ad alcuni; e comunque esiste un ordine spirituale fondato non sul potere, ma sui meriti per il quale un proletario può essere migliore di un potente. La guerra non ha più motivo di esistere, è anacronistica e non ha più alcuna funzione da svolgere. L’organizzazione temporale sarà stabilità dal potere spirituale detenuto dagli scienziati e dai filosofi e la giustizia sociale sarà garantita dal fatto che l’organizzazione scientifica del lavoro darà ad ognuno un posto adeguato alle sue capacità. 3 La sociologia scienza dell’umanità Nel Corso di filosofia positiva Comte sostiene che i fenomeni sociali sono soggetti ad un determinismo rigoroso che si presenta come un inevitabile sviluppo della società umana determinato da progresso dello spirito umano (influenza di Montesquieu e di Condorcet). La scienza diventa quasi una nuova versione della provvidenza. La storia umana può essere intesa come quella di un popolo unico, come la tendenza di tutta l’umanità verso il pensiero positivo; essa è essenzialmente il divenire dell’intelligenza umana; le diverse frazioni dell’umanità non hanno conosciuto la stessa evoluzione solo perché non avevano in partenza gli stessi doni ,razza, clima ed azione politica (che non può modificare sostanzialmente il corso della storia, ma può accelerare l’evoluzione e renderla più o meno costosa). Statica e dinamica sono le due categorie centrali dell’analisi sociologica: la statica è lo studio nell’anatomia della società e degli elementi che determinano il consenso, la dinamica studia le tappe dl divenire dello spirito umano e delle società umane. Natura umana e ordine sociale L’uomo vive per agire, ma l’impulso verrà sempre dal cuore, dai sentimenti, mai dall’intelligenza. L’azione, tuttavia, ha bisogno del controllo esercitato dall’intelligenza. Pertanto sentimenti, intelligenza ed azione sono le caratteristiche fondamentali dell’uomo. Tra i sentimenti alcuni portano all’egoismo (istinti nutritivi, materni, sessuali, ecc…), altri all’altruismo o al disinteresse (l’attaccamento di una persona all’altra sul piano di uguaglianza, la venerazione e la bontà). L’intelligenza, invece, può essere scomposta in concezione (attiva o passiva) ed espressione (mimica, orale o scritta). L’uomo è innanzitutto egoista (sebbene in lui ci siano già anche elementi di amore o disinteresse). Solo l’intelligenza che progredisce con la storia gli darà la capacità di moderare i suoi istinti egoistici; tuttavia gli uomini sono mossi solo dai sentimenti La religione nasce dall’esigenza di ordine sociale e riproduce in se stessa le differenziazioni della natura umana: essa comporta un aspetto intellettuale, il dogma, una aspetto sentimentale, l’amore espresso nel culto, un aspetto pratico, il regime che regola la condotta dei credenti. Le istituzioni di proprietà e linguaggio devono essere avvicinate: la proprietà è la proiezione dell’attività nella società, il linguaggio è la proiezione dell’intelligenza ed hanno in comune la legge dell’accumulazione (per cui sia le conquiste materiali che intellettuali non scompaiono nella società quando scompare chi le ha realizzate). Così pure la famiglia e la divisione del lavoro corrispondono ad elementi della natura umana: la prima è l’unità affettiva, mentre il secondo è l’elemento corrispondente all’azione. I rapporti della famiglia sono di uguaglianza (tra fratelli) o di venerazione (tra figli e genitori), di bontà (tra genitori e figli) e di comando ed ubbidienza (marito e moglie); in essa si verifica la trasmissione dei capitali intellettivi e materiali da una generazione all’altra. La divisione del lavoro è improntata alla divisione dei compiti ed alla cooperazione; tuttavia la forza del numero e della ricchezza continueranno a dominare la società. Il potere temporale della forza sarà consacrato ed allo stesso tempo moderato dal potere spirituale che è intellettuale e dei sentimenti. Questo rappresenta lo studio della statica. Per quanto concerne la dinamica: la storia dell’intelligenza va dal feticismo (proiezione sul mondo esterno della realtà della coscienza) al positivismo (determinazione delle leggiche governano i fenomeni che prescinde dal metterne in luc le cause); la storia dell’azione passa dalla fase militare (lotta tra gli uomini) a quella industriale (lotta degli uomini sulla natura); la storia dei sentimenti e quella del progressivo manifestarsi di sentimenti altruistici sebbene l’uomo non cesserà mai di essere fondamentalmente egoista. 4 Dalla filosofia alla religione Visto che le società corrispondono al loro stato di evoluzione verso il positivismo, C. non ritiene che mutando regime o costituzione si possano creare delle variazioni sostanziali. Egli è convinto che la vera riforma sia nella trasformazione del modo di pensare degli uomini e che ciò porterà da se verso la giusta organizzazione dello Stato. Egli diventa, perciò, una specie di profeta che annuncia tempi nuovi. La scienza è la fonte dei dogmi, le sue leggi non si rivolgono alle cause di ciò che avviene, ma all’ordine con cui i fenomeni avvengono; nella natura esiste una gerarchia in cui l’inferiore condiziona il superiore ma non lo determina e tutti gli esseri sono soggetti a leggi; il pericolo della scienza risiede nella specializzazione che comporta una dispersione dell’analisi: è necessario operare una sintesi che avrà il suo centro nella sociologia (la vera scienza è quella dell’intelletto, l’analisi delle capacità dello spirito umano). Comte è il fondatore di una religione: le società hanno bisogno di una religione perché necessitano di un potere spirituale che consacri il potere temporale e nello stesso tempo riconosca i meriti; il Grande essere di questa religione è ciò che trascende gli uomini, ossia ciò che loro stessi hanno fatto di meglio. Karl Marx (1818-1883) Marx è inizialmente e fondamentalmente il sociologo e l’economista del capitalismo: egli ha una teoria di questo regime, della condizione che esso imponeva agli uomini e del suo futuro. Egli è innanzi tutto l’autore del Capitale. L’analisi socioeconomica del capitalismo Punto focale del suo pensiero è il carattere contraddittorio insito nelle società capitalistiche la cui essenza sta nell’antagonismo tra classe operaia e classe imprenditoriale. Ne Il manifesto del partito comunista comincia con un’analisi storica in cui individua come punto centrale la lotta tra gruppi umani che va polarizzando la società in due blocchi, gli oppressori e gli oppressi. L’attuale società capitalistica rispecchia questa divisione, ma presenta due ulteriori contraddizioni: 1. la borghesia produce sempre di più (grazie a mezzi di produzione sempre più potenti), ma i rapporti di produzione (i rapporti di proprietà e la distribuzione dei redditi) non variano così velocemente; 2. le ricchezze aumentano, ma la maggioranza vive una miseria che cresce. Da questa condizione nascerà una crisi rivoluzionaria per cui la maggioranza si costituirà come classe per la conquista del potere e la trasformazione dei rapporti sociali. Marx è consapevole che tra capitalisti e proletariato esistano gruppi intermedi di artigiani, piccolo borghesi, mercanti, ecc.., ma ritiene che a causa della loro mancanza di iniziativa e dinamismo storico, questi si polarizzeranno attorno alle due classi principali. Quando la classe proletaria avrà assunto il potere si verificherà una rottura rispetto al passato: scomparirà il carattere antagonistico della società. La produzione sarà concentrata nelle mani degli individui associati ed il potere pubblico, lo Stato (inteso come lo strumento con cui la classe dominante mantiene il proprio dominio) scomparirà. Questa una teoria semplificata poiché il Manifesto del partito comunista non è un testo scientifico; esso è un opuscolo di propaganda in cui compaiono i tratti principali dello studio (esso si scientifico) contenuto in altri scritti come il Capitale o Per la critica dell’economia politica. In esse, invece, Marx affronta il tema in maniera più approfondita elaborando una teoria generale della società (il materialismo storico) e delle idee economiche più elaborate. 5 Esse sono riassumibili nei seguenti punti: 1. Esistono rapporti sociali che si impongono agli individui prescindendo dalle loro preferenze. Nello studio della storia, dunque, andrà esaminata la struttura della società attraverso rapporti di produzione e non la storia del pensiero degli uomini. 2. In qualsiasi società si può distinguere la struttura essenziale, la base economica (le forze ed i rapporti di produzione) e la sovrastruttura (istituzioni giuridiche e politiche, la filosofia, il modo di pensare); 3. La molla del movimento storico è la contraddizione tra le forze di produzione (la capacità di produrre che deriva dal progresso tecnico, dall’organizzazione del lavoro) ed i rapporti di produzione (principalmente i rapporti di proprietà, ma anche la distribuzione del reddito). 4. Nei periodi rivoluzionari una forza è attaccata agli antichi rapporti di produzione mentre un’altra progressista ne propone degli alternativi che favoriranno al massimo le forze produttive. Da ciò segue la lotta di classe. 5. Le rivoluzioni non sono avvenimenti politici fortuiti, ma manifestazioni di una necessità storica. 6. Non è la coscienza degli uomini che determina la realtà sociale, ma la società che forma la coscienza degli uomini; 7. Marx traccia a grandi linee la storia dell’umanità (sempre secondo la struttura economica della società) ed individua quattro modi di produzione: antico (fondato sulla schiavitù), feudale (fondato sulla servitù della gleba), borghese (fondato sul salario) ed asiatico (fondato sulla subordinazione di tutti i lavoratori allo stato). Il modo di produzione borghese sarà l’ultima formazione sociale antagonistica, l’ultimo dei modi di sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Il Capitale E’ un libro che vuol essere allo stesso tempo un testo di economia, di sociologia del capitalismo e di storia filosofica dell’umanità. Composto di tre libri, il secondo ed il terzo sono stati pubblicati postumi ed essendo incompleti si prestano a contraddizioni. Il primo tra i temi essenziali e che l’essenza del capitalismo sta nella ricerca del profitto: esiste lo scambio di merce con merce che non produce profitto o surplus; ma esiste un secondo tipo di scambio, quello tipico del capitalismo, che va da denaro a denaro passando attraverso la merce e che produce, alla fine un effetto per cui ci si trova di fronte ad una maggiore quantità di denaro. Ma da dove trae origine il profitto? La risposta a queste domande sta nelle teorie di valore, salario e plusvalore: Il valore di una merce è proporzionale alla quantità di valore sociale medio. In sostanza una merce vale in media (salvo le oscillazione determinate da domanda ed offerta) per quanto lavoro sociale si trova cristallizzato in essa; Il valore del lavoro si misura come qualsiasi merce. Il lavoratore vende la sua forza lavoro e ne riceve in cambio un salario.La quantità di lavoro necessaria a produrre la forza lavoro sarà quella delle merci di cui l’operaio e la sua famiglia hanno bisogno per vivere; Il tempo di lavoro necessario ad un operaio per produrre un valore uguale a quello che egli riceve come salario è inferiore al tempo effettivo di lavoro. In sostanza egli lavora la metà del suo tempo per se e l’altra metà per l’imprenditore il quale, dunque, riceve questo plusvalore. I procedimenti per aumentare il plusvalore, cioè il tasso di sfruttamento, sono due: aumentare le ore di lavoro, o ridurre il tempo di lavorazione con l’aumento della produttività. In tal modo egli dimostra, da un lato come nasca il profitto, dall’altra da un fondamento razionale alla protesta contro il tipo di organizzazione economica capitalista. Il meccanismo dello sfruttamento porta la società alla divisione in classi: da una parte i detentori dei mezzi di produzione, dall’altra chi offre la propria forza lavoro. 6 Nel II libro M. sostiene che il carattere concorrenziale anarchico del capitalismo e la necessità di continua circolazione del capitale creano una permanente possibilità di scarto tra la produzione e la distribuzione del potere d’acquisto; equivale a dire che un’economia anarchica comporta delle crisi. Il III libro è una teoria del divenire del sistema capitalistico. Si parte con l’asserzione che, a seguito della teoria del plusvalore, esso cresce all’aumentare del capitale variabile (quello che serve per pagare i salari) in rapporto al capitale totale (composto anche dal capitale costante, quello relativo alle macchine ed alle materie prime, che non produce plusvalore). Tuttavia, se si pensa che, secondo tale legge il plusvalore sarebbe maggiore nelle imprese meno meccanizzate, salta bagli occhi che la realtà è diversa. Marx ritiene, tuttavia, che il tasso di profitto vada calcolato non in rapporto al capitale variabile (come quello di sfruttamento), ma in rapporto al capitale totale. Tutto ciò ha fatto nascere delle critiche tra cui famosa è quella di Schumpeter (la teoria del plusvalore è falsa perché smentita dalla realtà). La risposta di Marx è la seguente: esiste un tasso di profitto medio che si forma grazie alla concorrenza tra le imprese ed i settori dell’economia; la concorrenza spinge il profitto a tendere verso un tasso medio ed è così perché non può essere diversamente. Questa teoria conduce a quella del divenire che M. chiama la legge di caduta tendenziale del tasso di profitto, un fenomeno osservato ma mai spiegato: egli spiega che il tasso di profitto è proporzionale al capitale totale; il plusvalore deriva solo dal capitale variabile; a causa della concorrenza, al fine di aumentare la produttività, la parte del capitale variabile tende a diminuire in favore del capitale costante. Marx conclude che questa modificazione organica del capitale porta all’abbassamento del tasso di profitto: egli spiega come vi sia un meccanismo storico che tende alla distruzione del sistema per l’azione delle leggi stesse che lo governano. Ma la tendenza di cui sopra si manifesterà fino alla distruzione vera e propria del sistema secondo due ipotesi: 1. la proletarizzazione, per cui gli strati intermedi tra proletari e capitalisti verranno logorati e saranno assorbiti dal proletariato, e la pauperizzazione, per cui le masse saranno sempre più povere via via che la produzione si svilupperà, porterà le masse a rivoltarsi (spiegazione sociologica); 2. i redditi distribuiti alle masse popolari saranno insufficienti ad assorbire la produzione crescente (spiegazione economica). Tuttavia non c’è una dimostrazione vera e propria della pauperizzazione se non quella per cui la disoccupazione tecnologica porterà uno squilibrio a sfavore delle classi proletarie che non permetterà l’aumento dei salari. Gli equivoci della filosofia marxista In Marx la storia ha un significato filosofico.Il regime post capitalistico non è un tipo di società tra gli altri, è la fine della ricerca di sé da parte dell’umanità. In Marx si ritrovano influenze di Hegel (la successione delle tappe della società e dei regimi rappresenta contemporaneamente le tappe della filosofia e quelle dell’umanità), degli economisti inglesi (Teoria del valore-lavoro, legge della caduta tendenziale del tasso di profitto), e degli storici e socialisti francesi (concetto di lotta di classe a cui negli, però, aggiunge che la divisione della società in classi non fa parte dell’essenza della società, è soltanto ciò che è stato fino ad oggi e che non sarà più nella società postcapitalistica). L’eredità filosofica di Marx sta nella convinzione che il divenire storico abbia un significato filosofico: un nuovo sistema economico e sociale è una tappa del divenire dell’umanità. Ed allora, cos’è la natura umana? La risposta sta in tre concetti: 1. universalità: l’individuo si realizza come cittadino, quindi partecipa all’universalità, solo nel momento del voto. Per il resto egli non comunica con la totalità perché la società gli impedisce di realizzare questa vocazione universale rinchiudendolo nell’asservimento 7 all’imprenditore se è proletario, al profitto se è imprenditore. Nella democrazia reale la soppressione della proprietà privata permetterebbe il lavoro per la collettività. 2. totalità: l’uomo è mutilato dalla divisione del lavoro, gli sono state amputate delle attitudini al fine di specializzarlo. 3. alienazione: L’uomo diventa estraneo a se stesso perché non si riconosce più nella sua attività e nelle sue opere: il lavoro, invece di essere espressione dell’uomo stesso finisce per essere un mezzo per vivere e l’imprenditore stesso è alienato perché ciò che produce non è fatto più in vista di un bisogno reale degli altri, ma solo in vista del profitto. L’uomo totale è espresso da Marx in due modi: quello per cui egli si realizza attraverso il lavoro o quello per cui la distruzione del capitalismo e l’avvento della nuova società non sono indicati quanto alla data ed al come. Gli equivoci della sociologia marxista L’analisi della società capitalistica fatta da Marx utilizza i concetti di forze di produzione, rapporti di produzione, lotta di classe, coscienza di classe, struttura e sovrastruttura; essi utilizzati criticamente non comportano alcuna visione dogmatica del corso della storia. Tuttavia egli sembra ricollegare a ciò il corso della storia portandolo verso una visione dogmatica che collega diversi ambii della realtà. Tutto ciò ha portato a due interpretazioni, una più flessibile, l’altra più ortodossa che annuncia la fine della civiltà occidentale. Altro equivoco nasce dalla difficoltà di stabilire cosa rientri nell’ambito della struttura ne della sovrastruttura (certe cose sono al limte, come la tecnologia). Altro limite è quello per cui lo sviluppo delle forze di produzione sarebbe impacciato dalla proprietà individuale: se si considera come le grandi aziende siano società per azioni o statali in cui la proprietà individuale è scomparsa, si può considerare valida tale affermazione; se invece si considera che tali società sono l’essenza stessa del capitalismo la contraddizione tra forze di produzione e rapporti di produzione scompare. Fondamentale è il concetto di classe sociale visto non solo in virtù di comuni attività, modi di pensare e forme di vita, ma soprattutto come presa di coscienza dell’unità e senso di separazione dalle altre classi. M. equipara l’ascesa della borghesia nella società feudale a quella del proletariato nella società capitalistica, ma sociologicamente quest’equiparazione è falsa: la borghesia è una minoranza privilegiata che è passata dalla situazione di dominio sociale a quella di esercizio del potere, il proletariato non è né una minoranza né privilegiata. Sociologia ed economia Marx ha fornito un certo numero di ragioni per cui il capitalismo funzionerà sempre peggio, ma non ha chiarito sul piano economico perché esso dovrebbe essere distrutto dalle sue contraddizioni interne. Egli ha inoltre sottovalutato il fatto che in ogni sistema non si può dare ai lavoratori la totalità del valore che producono poiché bisogna riservarne una parte per l’accumulazione collettiva (sebbene vi siano visioni diverse: nei regimi capitalistici l’accumulazione passa per i profitti individuali e per il mercato e la distribuzione dei redditi non è la stessa che nei regimi comunisti). Infine vi è il problema delle relazioni tra sistema economico e regime politico: Marx crede che lo Stato dopo la rivoluzione e l’instaurazione della dittatura del proletariato andrà a scomparire poiché scomparirà anche il sistema classista a cui esso è necessario. Ciò è facilmente confutabile: non esiste in un sistema di economia pianificata la possibilità di eliminare gli organismi centrali che prendano decisioni fondamentali; ciò che può essere eliminato è il carattere classista dello Stato ma non il fatto che alcuni uomini esercitino il potere (sebbene in nome delle masse popolari). Allo stesso modo non si può dedurre che la scomparsa della proprietà privata dei mezzi di produzione porti ad una società senza antagonismi. 8 Alexis de Tocqueville (1815-1859) Toqueville è il sociologo del metodo comparativo : cerca di enucleare ciò che è importante sulla base del confronto di specie diverse di società appartenenti ad uno stesso genere o ad uno stesso tipo. Democrazia e libertà Due opere principali: La democrazia in America e L’antico regime e la Rivoluzione, l’una sull’America e l’altra sulla Francia. Il primo libro si propone di indagare sul perché in America la società democratica è liberale, il secondo sul perché la Francia fa tanta fatica , nel corso della sua evoluzione verso la democrazia, a conservare un regime politico di libertà. La democrazia consiste nell’uguaglianza delle condizioni, cioè nella non esistenza di differenze ereditarie di condizione e nella possibilità per ognuno di accedere ad una determinata professione, ad un onore, ecc.. In una società in cui l’uguaglianza è legge sociale e la democrazia definisce il carattere dello stato lo scopo primario non può che essere il benessere del maggior numero. T. sviluppa il pensiero di Montesquieu sulla monarchia inglese tuttavia lo arricchisce inserendo come fatto fondamentale l’uguaglianza delle condizioni. Le istituzioni più adatte a ciò le trova in America. La libertà viene vista come la mancanza di arbitrio (come Montesquieu) garantita da un potere che si esercita in conformità alle leggi e da una pluralità di organi che equilibrino tra loro. Nelle società moderne egli coglie come caratteri importanti quelli del commercio e dell’industria che non costruiscono un’aristocrazia tradizionale, seppure dispensino fortune in maniera diseguale; tuttavia queste fortune non sono cristallizzate in una famiglia ed egli crede che le disuguaglianze andranno assottigliandosi in una tendenza al generale imborghesimento (una sorta di precursore del Welfare State) quando le società moderne diventeranno più democratiche. L’esperienza americana Nel I tomo egli enumera le cause che rendono liberale la democrazia americana (qui messe in ordine d’importanza): 1. Le abitudini ed i costumi, in particolare quelli religiosi che fanno si che i cittadini, in una società che vuole governarsi da sé, abbiano una disciplina morale a prescindere dalle leggi. Inoltre il decentramento amministrativo fa si che i cittadini siano in continuo contatto con le istituzioni politiche e questo sviluppa in loro un senso di autogoverno che estendono poi agli affari della nazione. 2. le leggi, innanzi tutto la costituzione che nel caso dell’America è di carattere federale e pertanto combina i vantaggi dei grandi stati con quelli piccoli: fa si che vi sia la forza necessaria alla sicurezza, ma nello stesso tempo si adatta alle diversità delle circostanze e degli ambienti. Inoltre la costituzione americana, avendo previsto la divisione del potere legislativo in due assemblee ed avendo stabilito una Presidenza della Repubblica relativamente indipendente, riesce a eliminare i pericoli insiti nella democrazia stessa:l’asservimento del potere legislativo alla volontà del corpo elettorale e la concentrazione dei tutti i poteri in quello legislativo. Infine, altre due circostanze concorrono a garantire la libertà nel sistema americano: la libertà di associazione e l’uso che se ne fa (le organizzazioni volontarie). 3. la situazione accidentale e particolare nella quale si trova la società americana cioè l’assenza di stati vicini nemici e la disponibilità di spazi smisurati che hanno impedito l’affermazione dell’aristocrazia terriera. Il principio (inteso nel senso di Montesquieu) della società americana è l’interesse e non la virtù, ma tra le due cose non vi è netta differenza in quanto anche in America i cittadini devono sottomettersi ad una disciplina morale che garantisca la stabilità dello stato. 9 T. non è affatto un ammiratore soddisfatto della società americana (è un aristocratico) e descrive il pericolo a cui ogni democrazia va incontro: quello del dispotismo della maggioranza che può sfociare nel dispotismo di uno solo. D’altra parte egli è cosciente dei problemi esistenti tra indiani e bianchi e tra bianchi e neri; poiché una volta abolita la schiavitù i bianchi rifiuteranno la mescolanza delle razze sarà inevitabile la separazione che porterà a terribili conflitti. Egli è un sociologo che mentre scrive giudica. Il dramma politico della Francia L’antico regime e la Rivoluzione rappresenta un saggio di spiegazione sociologica di eventi storici. T. comincia con il descrivere il contesto di decadimento in cui versa l’ancien régime prima della rivoluzione che spazzerà via una struttura già in rovina; aggiunge che la rivoluzione si configura quasi come una rivoluzione religiosa perché l’interesse non era tanto affermare i diritti dei cittadini francesi, quanto quelli dell’uomo in generale. Poi descrive il suo metodo: la storia deve occuparsi delle classi, della nobiltà, della borghesia, dei contadini e secondariamente degli operai. T., quindi, pone un primo quesito: perché mentre le strutture dell’ancien régime andavano in rovina in tutta Europa la rivoluzione avviene proprio in Francia? La risposta sta nella struttura accentrata ed uniforme con cui la Francia era governata e nella separazione fra le classi privilegiate data dai privilegi, che impediva quel senso di solidarietà necessario al buon funzionamento dello stato (concezione aristocratica del governo della società). Per cui la Francia che era il paese più democratico di quell’epoca (nel senso che la tendenza all’uniformità delle condizioni ed all’uguaglianza sociale era la più avanzata) era anche quella in cui la libertà politica era la più ristretta entro le vecchie istituzioni tradizionali. Ed anche il fatto che l’economia era in buono stato conferma quel che T. sostiene riguardo al fatto che le rivoluzioni scoppiano quando le cose vanno bene (come poi succederà in Russia). Ai suoi occhi la rivoluzione francese è una necessità nel senso che il movimento democratico doveva prima o poi prevalere sulle istituzioni del vecchio regime. Inoltre, altro fattore importante era l’anticlericalesimo e l’antireligiosità della parte del paese che aveva aderito all’ideologia democratica. Fatto fondamentale del dopo rivoluzione è l’insuccesso della Costituente che non ha saputo costruire una sintesi tra le virtù dell’aristocrazia o della monarchia e il movimento democratico. Il tipo ideale della società democratica Il secondo volume de La Democrazia in America si propone di sviluppare un tipo ideale di società democratica da cui dedurre alcune caratteristiche delle società future, cioè si propone di stabilire in termini di tendenza o nell’ordine dell’alternativa, come evolveranno in una società democratica il movimento intellettuale, i sentimenti, i costumi e la società politica. Nella prima parte del libro T. si occupa di stabilire le conseguenze della società democratica sul movimento intellettuale passando in rassegna l’atteggiamento degli americani nei confronti delle idee, della religione e dei differenti generi letterari: i francesi hanno preso il gusto per l’ideologia perché non si sono mai potuti occupare della cosa pubblica mentre gli americani non si sono mai appassionati di idee politiche perché hanno essi stessi governato. La crescente uniformità degli individui li porta ad una concezione unitaria e del genere umano e del Creatore L’idea di progresso è quasi connaturata in una società democratica poiché essa tende a credere nella perfettibilità indefinita della natura umana in quanto vive in una società in cui migliorare è possibile Gli americani sono portati più per le scienze tecniche che per quelle pure (nelle società aristocratiche le persone più ricche si dedicano alle scienze pure); 10 Gli storici democratici tenteranno di spiegare gli avvenimenti attraverso i meccanismi irresistibili della necessità storica in contrapposizione agli storici aristocratici che sottolineeranno l’importanza dei grandi uomini; Nella seconda parte T. cerca di metter in luce i sentimenti che saranno fondamentali in qualsiasi società democratica: presteranno maggior attenzione all’eliminazione delle disuguaglianze che non al mantenimento della libertà Tutte le professioni saranno onorevoli L’individualismo porterà ognuno ad isolarsi dagli altri La società democratica tende alla centralizzazione e comporta il rischio di una gestione dell’insieme delle attività sociali da parte dell’amministrazione La società democratica è materialista nel senso che gli individui si preoccupano di ottenere il massimo dei beni per far vivere tutti nel miglior modo possibile La terza parte del libro riguarda i costumi: Sono addolciti ed i rapporti tendono ad essere semplici e facili, poco formali Le grandi rivoluzioni diventeranno rare poiché, man mano che le condizioni di vita migliorano, aumenta il numero di coloro che hanno qualcosa da perdere in una rivoluzione Egli non si rende conto che la scienza rappresenta un forte elemento rivoluzionario in seno alle società democratiche e teme che il mondo si appiattisca su aspetti troppo conservatori. 11 Parte seconda La generazione tra i due secoli Per Comte la società moderna era industriale, per Marx capitalista, per Tocqueville democratica. Per Comte la società moderna era caratterizzata dalla scomparsa delle strutture feudali e teologiche ed il problema delle riforme sociali è quello del consenso: si trattava di ristabilire l’omogeneità delle convinzioni religiose e morali per garantire la stabilità della società Per Marx il dato fondamentale della società del suo tempo è la contraddizione interna ad essa intesa come contraddizione tra forze e rapporti di produzione e come contraddizione di classi sociali che sarebbe scomparsa solo con la scomparsa della proprietà privata dei mezzi di produzione. Per Tocqueville la società moderna era definita dal carattere democratico, inteso come attenuazione delle distinzioni di classe e tendenza all’uguaglianza delle condizioni sociali ed alla fine anche economiche. La società democratica poteva essere o liberale, cioè governata da istituzioni rappresentative e conservatrici delle libertà individuali, o dispotica Pareto, Durkheim e Weber appartengono allo stesso momento storico, un momento di pace in cui avvertono la società come in crisi ed in un momento di grandi trasformazioni. Tema fondamentale della loro riflessione è il rapporto tra religione e scienza, tra ragione e sentimento. Tutti e tre, pur volendo essere scienziati, si rendono conto che le società moderne per conservare la loro coerenza hanno bisogno di credenze comuni e che queste credenze trascendenti tradizionali sonno messe in crisi dalla scienza. Emile Durkheim (1858-1917) La divisione del lavoro sociale Netta è l’influenza di Comte. Il tema centrale del libro è il rapporto tra gli individui e la collettività. Distingue due forme di solidarietà: Solidarietà meccanica o per somiglianza in cui gli individui differiscono poco gli uni dagli altri. E’ tipica delle società arcaiche in cui gli individui sono intercambiabili; Solidarietà organica in cui gli individui non sono più simili e la solidarietà si fonda sul consenso. Altra distinzione è quella tra società segmentarie (in cui un gruppo sociale composto da individui molto integrati fra loro è autosufficiente ed isolato) e società nelle quali compare la moderna divisione del lavoro. Idee fondamentali sono: Il concetto di coscienza collettiva intesa come “l’insieme delle credenze e dei sentimenti comuni alla media dei membri di una società”. Essa possiede una sua vita propria indipendente dalle individualità da cui nasce. Comporta una maggiore estensione e forza nelle società a solidarietà meccanica dove la coscienza individuale è simile a quella collettiva e dove la maggior parte delle azioni è dominata da imperativi o divieti Centrale è il concetto per cui l’individuo nasce dalla società e non la società dagli individui: le società a solidarietà meccanica sono storicamente anteriori e perciò non è possibile spiegare il fenomeno della solidarietà organica partendo dall’individuo. La sociologia viene pertanto ad essere la priorità del tutto sulle parti da cui discende che i fenomeni individuali andranno spiegati con lo stato della collettività e non viceversa. Il metodo di studio è quello di studiare il fenomeno sociale obiettivamente, cioè dall’esterno cercando di trovare l’espediente per cui stati di coscienza che non possiamo cogliere direttamente ci si chiariscano. Nella divisione del lavoro sociale queste espressioni dei fenomeni di coscienza sono giuridiche: egli distingue il diritto repressivo, diffuso nelle società a solidarietà meccanica in cui la sanzione ha lo scopo di dare soddisfazione alla coscienza collettiva, dal diritto restituivo la cui essenza sta nel ricostruire le cose nel loro stato (es. chi non ha saldato il suo debito deve pagare). 12 Si potrebbe pensare alla società moderna come fondata sul contratto (Spencer), ma l’idea di D. è che il contratto si collochi in un contesto sociale che non è determinato dagli individui: la divisione del lavoro per differenziazione costituisce la base primordiale della sfera contrattuale. La società moderna è dunque caratterizzata in modo prioritario dalla differenziazione sociale. La divisione del lavoro, fenomeno sociale è spiegabile solo con un altro fenomeno sociale che dipende dalla combinazione di volume (numero di individui che appartengono alla collettività), densità materiale (numero di individui su una superficie data) e densità morale (l’intensità dalle comunicazioni e degli scambi tra gli individui). Egli parte dal fatto che più sono gli individui che cercano di vivere insieme, più si fa intensa la lotta per la vita; la differenziazione sociale è la soluzione pacifica della lotta per la vita (gli individui sopravvivono differenziandosi). La libertà individuale nasce dalla differenziazione sociale: solo in una società in cui la solidarietà meccanica ha perso la sua rigidità intransigente si può fruire di un minimo di autonomia di valutazione e di azione. Il suicidio (1897) Il problema delle società moderne è il rapporto tra l’individuo ed il gruppo: l’uomo è divenuto troppo cosciente per accettare ciecamente qualsiasi imperativo sociale. Con questo libro Durkheim tenta di dimostrare quanto la realtà collettiva sia determinante per gli individui e prende in esame proprio quello che sembra esser un fenomeno tipicamente individuale: la scelta di togliersi la vita. Il metodo seguito è quello di: 1. individuare l’oggetto della ricerca definendo il fenomeno; 2. confutare le teorie precedenti; 3. determinare i vari tipi di suicidio; 4. elaborare una teoria generale del fenomeno studiato. 1.) Il suicidio è qualsiasi caso di morte derivata direttamente o indirettamente da un’azione positiva o negativa compiuta dalla vittima stessa e che quest’ultima sapeva che avrebbe dovuto produrre questo risultato. 2.) D. attraverso il metodo delle variazioni concomitanti studia le variazione del tasso di suicidi nelle diverse popolazioni e cerca di provare che non esiste correlazione tra la frequenza degli stati psicopatologici e quella dei suicidi (es, tra gli ebrei la proporzione di alienati è alta ma il tasso di suicidi è basso). Scarta anche la possibilità che il suicidio prenda le mosse dall’imitazione e liquida Tarde dichiarando che egli confonde la fusione delle coscienze (la folla rivoluzionaria), l’individuo che si adatta alla collettività (la moda) e l’imitazione vera e propria (la tosse durante una conferenza) o da un vero e proprio contagio per cui la mappa dei suicidi mostrerebbe un centro da cui si diffonde (e ciò non è). 3.) D. identifica tre tipi di suicidio: quello egoistico ( in cui il suicida pensa esclusivamente a se stesso, non è integrato in un gruppo), quello altruistico (es. il comandante della nave che affonda con essa. Egli ha interiorizzato un imperativo sociale impostogli dal gruppo) e quello anomico (caratteristico della società moderna, determinato dallo scompenso tra aspirazioni e soddisfazioni, aumenta con l’aumento dei divorzi). 4.) Il suicidio è un fenomeno individuale le cui cause sono sostanzialmente sociali Ancora una volta si ritrova il concetto per cui le società sono di per se eterogenee agli individui. La società moderna presenta, pertanto, alcuni sintomi patologici (il cui ricorrere è superiore al normale) primo fra tutti l’insufficiente integrazione dell’individuo nella collettività. L’unico gruppo che possa favorire l’integrazione dell’individuo nella collettività è la corporazione (gruppi di lavoratori e datori di lavoro abbastanza vicini all’individuo da poter costituire scuole di disciplina). 13 Le forme elementari della vita religiosa (1912) L’opera più importante di D. ha per oggetto l’elaborazione di una teoria generale della religione ricavata dallo studio delle istituzioni religiose più semplici. Egli parte dal principio per cui si può cogliere l’essenza di un fenomeno sociale osservandone le forme più semplici. Egli vuole dimostrare che l’oggetto della religione altro non è che la trasfigurazione della società. Il metodo è sempre lo stesso: 1). definizione del fenomeno 2). confutazione delle teorie precedenti 3). dimostrazione della natura essenzialmente sociale delle religioni. 1) l’essenza della religione sta nella divisione del mondo in fenomeni sacri e profani; quando le cose sacre costituiscono un insieme unitario, l’insieme delle credenze e dei riti costituisce una religione; 2) l’animismo viene confutato perché se la religione consistesse nell’amare spiriti si configurerebbe come un’allucinazione collettiva; la confutazione del naturismo si basa ugualmente sull’impossibilità di dissolvere l’oggetto. 3) Per l’analisi del totemismo, la religione più semplice, D. utilizza i concetti di clan (gruppo di parentela non legato da legami di consanguineità, uno dei più semplici gruppi umani) e di totem. Le realtà del clan è divisa in due categorie: cose profane (quotidiane) e cose sacre (diverse per natura). Questa distinzione affiora alla coscienza dei primitivi perché essi hanno il sentimento diffuso che esiste qualcosa di superiore alla loro individualità, la società a cui, senza saperlo, rendono un culto. La società ha di per se qualcosa di sacro, è superiore all’individuo e lo condiziona così come un Dio. Le società sono macchine che fabbricano divinità nel momento in cui si trovano nello stato di esaltazione collettiva che risulta dall’estrema intensità della stessa vita collettiva. D. pone l’accento su due importanti fenomeni sociali: i simboli ed i riti ( negativi se impongono dei divieti, positivi come quelli per la fecondità, espiatori. In tutti i casi i riti hanno il senso di ravvivare il sentimento di appartenenza al gruppo, la fede). Infine D. deduce dallo studio del totemismo una sociologia della conoscenza: la religione è il nodo originario da cui sono uscite regole morali e religiose, ma anche la scienza. Questa teoria viene svolta in tre preposizioni: 1. noi classifichiamo gli esseri dell’universo in gruppi chiamati generi perché avevamo l’esempio delle società umane; non facciamo altro che estendere alle cose della natura la pratica del raggruppamento perché pensiamo il mondo ad immagine della società. 2. l’idea di causalità nasce dalla società. L’esperienza della vita collettiva fa nascere l’idea di forza ed è proprio la società che fornisce agli uomini l’idea di una forza superiore a quella degli individui 3. Questa teoria sociologica della conoscenza permette di superare la divisione tra apriorismo (le categorie sono date nello stesso spirito dell’uomo) ed empirismo (le categorie derivano dall’esperienza). E’ la vita collettiva che permette di spiegare i concetti: essi sono rappresentazioni impersonali perché sono collettivi e sono generali proprio perché derivano dalla società. Le regole del metodo sociologico (1895) Lo sviluppo del pensiero di D. segue sempre lo stesso pensiero, quello gia descritto sopra La concezione di D. della sociologia è fondata sul fatto sociale: esso è il vero oggetto della sociologia e va osservato dall’esterno così come si scoprono i fatti fisici. Il fatto sociale è una cosa, data di per sé che si impone all’osservazione. Altra affermazione importante è quella per cui è un fatto sociale qualsiasi modo di faresuscettibile di esercitare sull’individuo una costrizione esterna: riconosceremo un fenomeno sociale dal fatto che esso si impone all’individuo. Il pericolo del suo metodo sta nel fatto che dato un fenomeno (es. il suicidio) e classificatolo in una categoria (es. suicidio anomico) D. ammette una ed una sola causa. 14 Il fatto che il sociologo per D. abbia la funzione di migliorare la società lo porta a distinguere i fenomeni normali (quelli che si incontrano normalmente in una società, compreso un certo tasso di reati) da quelli patologici e solo questi ultimi devono essere indagati. Le cause dei fenomeni sociali vanno ricercate nell’ambiente sociale e non nel passato. Le prove della spiegazione si ottengono con il metodo delle variazioni concomitanti. Sociologia e socialismo Il vero problema sociale sta nella necessità di fare dell’individuo un membro della collettività di inculcargli quegli obblighi necessari alla vita collettiva. Egli è socialista nel senso che il socialismo è un’organizzazione migliore, più consapevole della vita collettiva in cui gli individui sono inseriti in quadri sociali dotati di autorità morale ed in grado di assolvere una funzione educativa. In questo senso il socialismo di D. è quello di Comte: organizzazione e moralizzazione. Egli non è marxista perché non crede nei mezzi violenti né nella lotta di classe come molla del divenire storico. Gli appetiti degli uomini sono insaziabili ed essi saranno eternamente insoddisfatti e le funzioni economiche nella società moderna non sono regolamentate. Esse devono essere, secondo D., ricondotte sotto un potere politico e morale, le corporazioni, i gruppi professionali. Per riassumere: il socialismo è visto essenzialmente come una reazione all’anarchia economica ed il suo vero scopo è di creare organismi intermedi tra l’individuo e lo Stato dotati di autorità sociale e morale. Tema centrale è dunque l’organizzazione e non il possesso dei mezzi di produzione. Sociologia e filosofia …………… Vilfredo Pareto (1848-1923) L’azione non-logica e la scienza Lo studio parte dal Trattato di sociologia. La comprensione del sistema paretiano esige la comprensione di due concetti fondamentali: Azione logica: quella in cui i mezzi ed i fini hanno una concatenazione sia nella realtà oggettiva che nella coscienza di chi agisce (es. l’ingegnere che costruisce un ponte). E schematicamente definita dalla proposizione si-si. Azione non logica: tutte le altre azioni in cui la concatenazione mezzi –fini: non si verifica nè oggettivamente nè soggettivamente (no-no, I genere, possibile ma molto improbabile nella realtà); non si verifica oggettivamente ma si verifica soggettivamente (no-si, II genere, estremamente diffuso, es. la danza della pioggia); si verifica oggettivamente ma non soggettivamente (si-no, III genere, es chiudo le palpebre per non essere colpito dalla polvere); si verifica oggettivamente e soggettivamente ma non nel senso voluto (si-si, IV genere, es. i rivoluzionari che prendono il potere per la liberta del popolo ma poi sono portati a stabilire un regime autoritario). Le azioni non logiche non sono necessariamente illogiche. La sociologia, contrariamente all’economia dovrà trattare essenzialmente delle azioni non logiche. I due tipi più importanti saranno quelli del II genere, tipici delle azioni religiose, e quelli del IV, tipici delle condotte dettate da illusioni, specialmente negli uomini politici e negli intellettuali. Lo scopo del sociologo in questo studio non sarà l’utilità (contrariamente a Durkheim) ma la verità. Il metodo sarà solo quello per cui nulla di ciò che va al di la dell’esperienza trova posto nella scienza; più precisamente la scienza sarà logico-sperimentale: logica nel senso che è legittimo, partendo da definizioni poste o da fenomeni osservati, dedurre conseguenze che risultano da premesse, sperimentale nel senso che è scientifica la proposizione che comporta dimostrazione o confutazione con l’esperienza. In breve, la scienza logico sperimentale si propone di scoprire quelle 15 che Pareto chiama uniformità sperimentali, cioè le relazioni regolari tra i fenomeni. Essa non può spiegarci qual è, ad esempio, la migliore società possibile, può solo dimostrare che le condotte degli uomini sono essenzialmente non logiche e che, sebbene essi si sforzino di dargli un’apparenza logica, in realtà queste condotte sono dettate dai sentimenti. Dalle espressioni ai sentimenti C (teorie morali o religiose) A (stati d’animo) B (atti) Lo schema serve a spiegare le condotte non logiche. Di una condotta noi conosciamo C (le espressioni dei sentimenti che si sviluppano in teorie morali o religiose) e B (l’atto), ma non conosciamo A (lo stato psichico del soggetto agente). Mentre in genere si tende a giustificare gli atti (B) con le teorie religiose e morali (C), la realtà è che A determina sia B che C. I ragionamenti per agire sugli uomini hanno bisogno di trasformarsi in sentimenti. A questo punto Pareto distingue i residui e le derivazioni: analizzando l’omicidio egli si rende conto che ad un elemento costante del fenomeno (il rifiuto della condotta omicida) la cui origine è in uno stato psichico, in un sentimento, corrispondono una miriade di spiegazioni logiche (è Zeus che proibisce il delitto, la ragione universale non tollera attentati alla dignità della persona umana, ecc..). L’elemento costante verrà definito residuo e le spiegazioni logiche saranno chiamate derivazioni. I residui si riferiscono agli istinti dell’uomo ma non li comprendono tutti: al di fuori restano appetiti, gusti, disposizioni che non danno luogo a ragionamenti (come prima parlavamo delle palpebre che istintivamente si chiudono per evitare la polvere); anche l’interesse non fa parte dei residui. Bisogna fare attenzione al fatto che i residui non sono i sentimenti veri e propri, ma i concetti analitici ad uso del sociologo a cui i sentimenti corrispondono. Residui e derivazioni P. distingue sei classi di residui e suddivide ognuna in vari generi (poi ulteriormente suddivisi in specie). Le prime due classi sono di gran lunga le più importanti. I residui sono: 1. l’istinto delle combinazioni (la tendenza a stabilire relazioni tra le idee e le cose che comporta il bisogno di sviluppi logici) 2. La persistenza degli aggregati (la tendenza umana a mantenere le combinazioni che sono state formate, a rifiutare i cambiamenti, ad accettare una volta per tutte gli imperativi) 3. il bisogno di manifestare sentimenti con atti esteriori (es. l’applauso) 4. i residui in relazione con la socialità (la tendenza a creare associazioni, il bisogno di uniformità,i fenomeni di pietà e crudeltà, la dedizione che spinge gli individui a sacrificarsi per gli altri, i sentimenti legati alla gerarchia, i fenomeni di ascetismo) 5. l’integrità dell’individuo e delle sue dipendenze (i riti di purificazione, i sentimenti per cui si tende a punire chi commette atti contrari alla società) 6. i residui sessuali (al limite dell’istinto, lo interessano per una descrizione della religione virtuista). 16 Quindi si passa alle derivazioni e più precisamente alla forza persuasiva che esse possono avere. P. le divide in quattro classi: 1. le semplici affermazioni (obbedisci perché bisogna obbedire raggiunge il suo scopo solo se detto con un certo tono) 2. l’argomentazione basata sul principio d’autorità (obbedisci perché papa lo vuole) 3. l’argomentazione basata sul ricorso ad un essere soprannaturale 4. l’argomentazione basata su prove verbali (usata nella gran parte dei discorsi politici essa è ottenuta mediante l’utilizzo di termini di senso indefinito) P. ironizza sul carattere non logico delle derivazioni, ma ripete che con ciò non desidera che gli uomini politici si comportino in modo logico sperimentale quando fanno politica: egli capisce perfettamente che non ha alcuna utilità essere razionali o logici; ciò che conta è dar l’impressione di ragionare. Quindi Pareto parte da un’analisi della teoria dei tre stadi di Comte (teologico, metafisico e positivo) per illustrare il suo pensiero secondo il quale i tre modi di pensare non sarebbero successivi l’uno all’altro, ma convivrebbero in gradi diversi in tutte le epoche. La sintesi sociologica Negli ultimi tre capitoli del Trattato di sociologia Pareto analizza il funzionamento della società considerata nel suo insieme. Cause decisive delle trasformazioni storiche e del buon funzionamento della società sono le oscillazioni della forza relativa ai residui della I e della II classe. Il funzionamento della società è comprensibile attraverso i residui, le derivazioni, gli interessi e l’eterogeneità sociale (sebbene l’ambiente naturale necessiti un certo adattamento). Gli interessi sono le tendenze che fanno si che gli individui e le collettività siano spinte dall’istinto e dalla ragione ad impadronirsi dei beni materiali utili alla vita e piacevoli ed a ricercare considerazione ed onori. A questo punto sarà necessario introdurre il concetto di ofelimità, cioè dei benefici che l’individuo vuole raggiungere in funzione della sua gerarchia di preferenze. Per la società il concetto di utilità non è univoco perciò: Non esiste soluzione logico-sperimentale al problema sociale, al modo in cui un individuo deve comportarsi perché non è possibile determinare in maniera univoca gli scopi del comportamento La nozione d’utilità è equivoca e diviene chiara solo se l’osservatore sceglie il criterio d’utilità Si può, in teoria, misurare precisamente il grado di ofelimità di un individuo ma sollo ammettendo in maniera aprioristica la sua scala delle preferenze Anche se si ammette un criterio definito di utilità risulta importante distinguere l’utilità diretta (quella che consegue direttamente da un atto) da quella indiretta (quella che risulta dagli effetti dell’atto su coloro che circondano l’agente) che può esser positiva o negativa. Ulteriore distinzione sarà quella tra il massimo di utilità per una collettività (che arriva fino a dove è possibile aumentare l’utilità di uno senza danneggiare un altro) ed il massimo di utilità di una collettività. Non esiste il massimo di ofelimità di una collettività perché sarebbe la somma di quantità eterogenee. Se invece si considera il massimo di utilità di una collettività, dando un criterio (es. quello di favorire la maggioranza a spese della minoranza), esso si può perseguire. I sistemi di valori degli individui sono eterogenei e per questo la società non può essere considerata come una persona. Esse sono organizzate secondo la separazione tra masse di individui governati ed un’elite ristretta dominante (concetto di tradizione machiavelliana). 17 Di tale elite P. da due definizioni: 1. essa è composta da quel piccolo numero di individui che, nella loro sfera di attività, sono arrivati ad un grado elevato della gerarchia 2. l’elite di governo raggruppa un piccolo numero di individui, facenti parte dell’elite, che esercitano funzioni di direzione politica e sociale. In questo senso i meno governano i più con l’astuzia e la forza: il governo è legittimo quando la classe dominante riesce a persuadere la massa che è conforme ai loro interessi. Altra teoria importante è quella della ripartizione dei redditi esposta nel Corso di economia politica per cuila curva di distribuzione dei redditi sarebbe rappresentatala una retta sul piano cartesiano espressa dalla relazione log N = log A - log x (numero d’individui con reddito (A ed sono delle costanti determinate dalle statistiche uguale o superiore ad x) ed x è la dimensione del reddito) Le statistiche dimostrano che in quasi tutti i paesi =1,5; ne consegue che la differente ripartizione dei redditi dipende non tanto dall’organizzazione della società quanto dalla natura stessa degli uomini. Da qui la conclusione che l’aumento del benessere delle classi inferiori non è un problema di ripartizione dei beni, ma di aumento di produzione. La riserva è che nelle società socialiste la formula non è valida. Quindi Pareto analizza Marx e sostiene che egli ha ragione a sostener che il dato fondamentale del corso della storia sia la lotta di classe, ma che sbagli quando crede che essa sia finalizzata solo al possesso dei mezzi di produzione: essa può benissimo riguardare il possesso dello stato o delle forze militari. Se anche la rivoluzione marxista portasse una nuova società in essa si verificherebbe il dominio di alcuni che parlano in nome del proletariato e non la dittatura del proletariato. Per P. il fenomeno storico più importante è quello della vita e della morte delle minoranze di governo (la storia è un cimitero di aristocrazie). Le cause di mortalità di una aristocrazia sono: 1. le aristocrazie militari sono decimate in combattimento 2. dopo alcune generazioni l’aristocratico erede perde la capacità di esercitare la forza e la vitalità 3. Non si può essere sicuri che i figli di coloro che hanno avuto il comando sapranno come i loro padri praticarlo (nell’elite esiste anche gente che non merita di farne parte) Perciò condizione per la stabilità sarà necessario trovare nella massa un piccolo numero di membri che meriti di appartenere all’elite ed eliminarli o assorbili. Nel caso in cui la società risulti abbondante di residui della prima classe ed ancor più di residui della seconda essa sarà stabile e poco esposta ad i rischi di rivoluzione (le masse dovranno avere residui della seconda mentre le elite dovranno possedere più residui della prima). Nel quadro delle società dell’Europa occidentale del suo tempo P. vede, nelle elite di governo, troppi residui della II classe (l’istinto delle combinazioni) nel fatto che le economie tendono sempre più alla statalizzazione. Inoltre ritiene che nelle elite fossero più cospicue le volpi (che usano l’astuzia) dei leoni (che usano la forza) ed in questo vede il nascere di nuove elite fondate sull’uso della forza. Da ultimo la burocratizzazione tende a soffocare la libera iniziativa e da ciò la tendenza all’evoluzione verso società fondate su economie collettiviste e cristallizzate. Scienza e politica Il pensiero di P. è una reazione alle speranze razionalistiche del XIX secolo: è assurda l’idea che la scienza possa razionalizzare la società; l’evoluzione della scienza potrà aumentare lo spazio nella società dedicato al ragionamento, ma il pensiero logico-sperimentale non può stabilire i fini, gli 18 scopi individuali e collettivi della società. Perciò la critica dello scientismo di Durkheim (la scienza potrebbe formare una dottrina politica, una religione). Egli, in campo economico è un liberale che ammette alcuni interventi dello Stato nella misura in cui favoriscono il mercato, in campo politico vuole un regime autoritario e moderato, un governo forte e liberale che sappia decidere ed allo stesso tempo lasciare indipendenza agli intellettuali. In questo senso non è impossibile vedere una sua simpatia nei confronti del fascismo del primo periodo, ma ancora più definirlo come un liberale Un’opera contestata Se lo spirito dell’opera di Pareto sta nel fatto che la verità non è utile alla società, anzi potrebbe essere nociva, si capisce come egli sia sempre rimasto isolato tra i professori ed i sociologi. Pareto, visto in rapporto agli psicanalisti, rinuncia all’esplorazione del subconscio e dell’inconscio per rimanere ad un livello intermedio tra l’interiorità e gli atti esterni. Il suo uomo è fondamentalmente eterno. Max Weber (1864-1920) Si possono classificare i lavori di W. in quattro categorie: 1. Studi di metodologia, critica e filosofia, sullo spirito, l’oggetto ed i metodi delle scienze umane, la storia e la sociologia (una raccolta intitolata Il metodo delle scienze storicosociali) 2. Le opere propriamente storiche di storia economica e di storia dell’agricoltura. 3. I lavori di sociologia della religione (in particolare lo studio su L’etica protestante e lo spirito del capitalismo) 4. La sua opera principale, un trattato di sociologia generale (Economia e società) Teoria della scienza Come Pareto partiva dalla distinzione tra azione logica e non-logica, W parte dalla distinzione dell’azione in: Azione razionale in rapporto a un fine (l’autore concepisce chiaramente il fine e combina i mezzi per il suo conseguimento; es. l’ingegnere che costruisce un ponte) Azione razionale in rapporto ad un valore (il soggetto agisce razionalmente non per conseguire un risultato ma per rimanere fedele alla sua idea di onore; es. il capitano che cola a picco con la sua nave) Azione affettiva (dettata direttamente dallo stato d’animo, è una reazione emotiva, es. il pugno dato da un giocatore all’altro durante una partita di calcio) Azione tradizionale (dettata dalle abitudini, il soggetto obbedisce a riflessi radicati in lui da una lunga pratica) W. vede queste azioni non in rapporto all’osservatore (come Pareto), ma in rapporto al significato che il soggetto agente da al proprio agire. Egli si rende conto che l azioni della società moderne sono sempre più del primo tipo (in rapporto ad un fine) e che la società vive un momento di razionalizzazione. L’azione dello scienziato dovrà essere un’azione razionale rispetto a un fine (che è la verità), ma questo stesso fine impone un giudizio di valore; essa è dunque una combinazione di azione razionale in rapporto ad un fine ed in rapporto ad un valore. I suoi caratteri distintivi so l’incompiutezza (la scienza moderna non può essere conclusa, è per essenza in divenire; specialmente la storia e la sociologia potrebbero essere concluse solo se il divenire umano fosse 19 giunto alla sua fine) e l’oggettività (la validità universale della scienza esige che lo scienziato non proietti nella ricerca i suoi giudizi di valore, le sue preferenze estetiche o politiche). Le scienze della storia e della società, pur avendo lo stesso carattere razionale di quelle della natura sono diverse da esse: esse sono caratterizzate dal fatto che sono comprendenti (cioè intelligibili intrinsecamente a causa del fatto che gli uomini sono dotati di coscienza, comprensibili immediatamente senza dover passare attraverso concetti mediatori), storiche (nel senso che i fenomeni singolari possono essere spiegati senza far riferimento alle proposizioni generali) e sono scienze della cultura (nel senso che tentano di spiegare i valori che gli uomini hanno scelto e le opere che hanno prodotto). Ma come si possono esaminare opere che si definiscono come creazioni di valori senza dare giudizi di valore? W. risponde distinguendo il giudizio di valore (personale e soggettivo, es. il cittadino che considera la libertà essenziale) dal concetto di rapporto ai valori (il sociologo, in rapporto all’esempio precedente studierà la libertà come un oggetto per il quale gli uomini sono venuti in conflitto). La sociologia weberiana è ispirata da una filosofia esistenziale che prima della ricerca pone una duplice negazione:nessuna scienza potrà dire agli uomini come devono organizzarsi, né quale sarà il loro avvenire (la prima affermazione lo contrappone a Durkheim, la seconda a Marx). I risultati scientifici devono esser conseguiti, partendo da una scelta soggettiva, con procedimenti soggetti a verifica e che si impongono a tutte le menti (grazie a ciò la scienza sarà universale). La sociologia è una scienza del comportamento umano per quel tanto che esso è sociale e per com’è osservabile. Storia e sociologia Le scienze storiche e sociologiche vogliono nel contempo interpretare i fenomeni e spiegarli in termini di causalità storica (per quali circostanze uniche quel fenomeno è accaduto) e sociologica (Qual è il fenomeno A che favorisce il fenomeno B?). Prima regola nello studio è quello di definire con precisione l’oggetto che si vuole studiare. Poi si passerà all’analisi dei vari elementi che lo compongono; quindi si proverà a supporre cosa sarebbe successo se uno degli antecedenti non si fosse verificato; infine si confronterà il divenire irreale di cui sopra con gli avvenimenti reali per concludere che l’avvenimento fu una delle cause che generarono il fenomeno esaminato. Benché sia stato deriso dagli storici per questo schema, W. controbatteva che l’operazione da lui descritta era quella che loro facevano normalmente, altrimenti la storia sarebbe stato solo un racconto. Le relazioni causali comportano un carattere di probabilità (es. è probabile che un determinato sistema politico favorisca quel tipo di organizzazione economica) e di parzialità (non è detto che quel sistema politico porti a quel tipo di organizzazione economica). Tuttavia esse non trascurano le proposizioni generali. Nasce a questo punto in concetto di tipo ideale: un modo parziale di cogliere un insieme globale attraverso l’isolamento delle caratteristiche tipiche. La ricostruzione dei tipi ideali è il mezzo della ricerca scientifica, non il fine. Weber, in realtà chiama tipi ideali tre tipi di concetti: I tipi ideali di individualità storiche (es. il capitalismo) I tipi ideali che designano elementi astratti della realtà storica (es. la burocrazia che si presenta in diversi tipi di società) Le ricostruzioni razionalizzanti di comportamenti che hanno un carattere particolare (es. la teoria economica che ricostruisce il mondo in un quadro in cui i soggetti sono puri soggetti economici) 20 Le antinomie della condizione umana I valori non sono dati né nel mondo sensibile né in quello trascendente, sono creati dalle decisioni umane. A Durkheim che pensava che i valori provenissero dalla società W avrebbe risposto che la creazione dei valori è anche sociale, ma nel senso che ognuno di noi risponde con la sua coscienza ad un ambiente; a Pareto che cercava nei residui le forze che portavano all’affermazione dei valori, W avrebbe risposto che la parte più interessante dell’esame non è la staticità dei residui,la ricerca di ciò che è costante, quanto le caratteristiche particolari di ogni società. Secondo W. l’antinomia fondamentale dell’azione sta nel contrasto tra la morale della responsabilità (quella che deve adottare l’uomo d’azione nello scegliere i mezzi adatti a raggiunger un fine; è l’etica del cittadino di Machiavelli che condanna la propria anima per il bene della propria città) e la morale della convinzione (che ci incita ad agire secondo i nostri sentimenti senza riferimento alle conseguenze; es. il pacifista che pur di non prendere le armi lascia la propria città in mano al nemico). La sociologia della religione Il problema di W. nel rapporto tra sociologia e religione sta nello stabile in quale misura la religione influenza il comportamento economico nelle diverse società. L’argomento è trattato in L’etica protestante e lo spirito del capitalismo. W. comincia con l’identificare un tipo ideale di capitalismo definito dalle imprese il cui scopo è il profitto, ed il cui mezzo è l’organizzazione razionale del lavoro e della produzione. Un’impresa capitalistica mira al massimo profitto (più precisamente all’accumulazione infinita del profitto) utilizzando un’organizzazione burocratica in cui ogni soggetto è definito per le funzioni che esercita. La differenza con Marx sta nel fatto che W. pensa che la caratteristica fondamentale delle società moderne sia proprio la burocratizzazione che si sviluppa indipendentemente da chi è in possesso dei mezzi di produzione (come sostenevano i saintsimoniani). W. procede partendo dall’analisi di statistiche che gli mostrano come in Germania, nelle regioni dove coesistono diverse religioni, i protestanti detengono la stragrande maggioranza delle fortune; egli si propone, perciò di verificare come una concezione religiosa possa influenzare un certo modo d’agire dell’uomo. L’etica protestante a cui W. fa riferimento è essenzialmente quella calvinista secondo la quale la salvezza sarebbe un dono gratuito di Dio a cui l’uomo non può accedere mediante le proprie opere; all’uomo non resta che lavorare per la gloria di Dio e per creare il regno di Dio su questo mondo; il Dio non è conoscibile dallo spirito finito dell’uomo. Il calvinista non potendo sapere se sarà salvato o meno tenterà, con un processo psicologico, di trovare i segni della sua elezione in questo mondo, cercherà nel successo economico il segno della sua predestinazione ad essere salvato; egli, inoltre, è solo di fronte a Dio e ciò favorisce l’individualismo. Inoltre si realizza un’altra incredibile coincidenza con una necessità della logica capitalistica: l’etica protestante ingiunge al credente di adottare una condotta ascetica, cioè, in termini economici, di non consumare il profitto ricavato, ma di reinvestirlo. In tal modo Weber riesce a dimostrare che l’attitudine economica degli uomini può dipendere dal loro sistema di credenze (allo stesso modo in cui il sistema di credenze, ad un certo momento, può dipendere dal sistema economico, no c’è causalità esclusiva). Nel proseguire con gli studi religiosi Weber constata che il sistema economico capitalistico si è sviluppato solo nel mondo occidentale e che sebbene in altre civiltà, come quella cinese, fossero presenti molte delle condizioni necessarie allo sviluppo di questo fenomeno, carente era la variabile religiosa. W. in Economia e società riprenderà il tema di una sociologia generale delle relazioni tra le religioni ed i comportamenti economici, studiando la Cina e L’india e spiegherà come il capitalismo non sia nato in Cina perché nella rappresentazione del mondo di quel paese è tipico il concetto di razionalità materiale che fa si che si produca quanto è necessario ma non di più, per conseguire una 21 felicità che sta nell’equilibrio. Per l’India, invece, la causa sfavorevole viene individuata nel ritualismo, fonte di conservazione sociale. In una storia delle religioni il punto di partenza sta in un mondo popolato di sacro; il punto d’arrivo, nella nostra epoca è il disincantamento del mondo in cui il sacro è stato cacciato. La stessa scienza positiva ha cacciato il sacro lasciandoci un mondo utilizzabile ma vuoto di senso. Economia e società Oggetto dell’opera è la storia universale, tuttavia essa è un’opera di sociologia. Lo scopo di W. sta nel rendere intelligibili le diverse forme di economia, diritto, potere e religione inserendole in un unico sistema concettuale. LA sociologia, per W., è la scienza dell’azione sociale che egli vuole comprendere (cioè coglierne i significati) interpretandola (organizzando in concetti il senso soggettivo) e di cui vuol spiegare socialmente lo svolgersi (vuole mettere in luce le regolarità dei comportamenti). L’azione è sociale quando si riferisce al comportamento di altre persone (l’insegnante compie un’azione sociale quando parla lentamente per farsi capire dagli alunni); l’azione sociale si organizza in relazione sociale (insegnante ed allievi vivono una relazione sociale). I comportamenti dei soggetti agenti sono reciprocamente orientati in modo regolare grazie all’usanza ( è usanza che quando il professore parla gli alunni siano in silenzio) ed al costume (se la regolarità dipende dalla tradizione); la regolarità non è assoluta, è espressa in termini di probabilità (è probabile che gli alunni stiano zitti). Alla regolarità del rapporto sociale concorrono la convenzione ed il diritto che compongono l’ordinamento legittimo: si ha convenzione quando la sanzione che colpisce chi la viola è la disapprovazione collettiva, si ha diritto quando la sanzione è la costrizione fisica. I tipi di ordinamento legittimo sono quattro:affettivi o emotivi, razionali in rapporto a valori, religiosi e determinati dall’interesse. Le società non sono un insieme armonico: esse sono in perenne lotta quanto sono in accordo;quando la lotta non comporta l’impiego di forza fisica si parla di concorrenza, quando la posta in gioco è l’esistenza stessa si parla di selezione. Il processo d’integrazione dei soggetti agenti può portare alla costituzione di una comunità (se il fondamento del gruppo è un sentimento d’appartenenza) o di una società ( se il fondamento del gruppo risiede in legami di interessi); il processo d’integrazione si conclude con la creazione del gruppo sociale (aperto o chiuso a seconda che l’ingresso sia accessibile o meno a tutti) che aggiunge alle comunità ed alle società un organo amministrativo ed un ordinamento regolato. Dopo il gruppo sociale viene l’impresa caratterizzata dall’azione continua di più soggetti agenti e dalla razionalità in vista di un fine. Altri concetti chiave sono unione (in cui le regole sono accettate volontariamente e consapevolmente dai partecipanti) ed istituzione (in cui le regole sono imposte da decreti); due altri sono potenza (in cui il soggetto agente impone il proprio valore ad un altro in un rapporto di disuguaglianza) e potere (in cui un soggetto che detiene il potere impone la propria volontà in virtù dell’obbedienza che gli è dovuta); infine i concetti di gruppo politico (che comporta i concetti di territorio, di continuità del gruppo e di minaccia di applicazione della forza fisica, es. lo Stato) e di gruppo sacro o ierocratico (nel quale il potere appartiene a chi possiede gli oggetti sacri). La sociologia di Weber si fonda sulla distinzione tra essenza dell’economia ed essenza della politica: l’economia si riferisce alla soddisfazione dei bisogni come al fine che determina l’organizzazione razionale della condotta, la politica è caratterizzata dal potere esercitato da uno o da pochi uomini su altri uomini. I tipi di potere sono tre: Potere tradizionale (fondato sulla tradizione vista quasi come cosa sacra) Potere razionale (fondato sulla legittimità dei comandi e sulla legittimità di chi lo esercita) Potere carismatico (fondato sulla devozione verso un uomo a cui vengono riconosciute qualità eccezionali). 22 La distinzione è quasi parallela a quella fatta per i vari tipi di azione (potere tradizionale = azione tradizionale, potere razionale = azione razionale rispetto ad un fine, potere carismatico = azione affettiva) ma manca il tipo di potere che si richiamerebbe all’azione razionale in rapporto ai valori. L’analisi del potere carismatico è esemplare: esso comporta all’origine qualcosa di eccezionale che esula dalla normalità, ma poiché la società non può vivere a lungo fuori dall’usuale il primo passo sarà il ritorno alla pratica quotidiana; quindi si porrà il problema della successione. Esso può essere risolto o con la ricerca di un altro portatore di carisma (teocrazia tibetana), il carisma può supporsi inseparabile dal sangue ed il regime si trasforma allora in tradizionale oppure il carisma può essere trasmesso attraverso formalità magiche o religiose. L’esempio serve ad illustrare come W. tenti di organizzare in un quadro concettuale unico fenomeni diversi cercando, nello stesso tempo, di non eliminarne le singolarità. In politica Weber è un nazional-liberale che crede nella grandezza della nazione e nella potenza dello stato, condizioni che considera al di sopra di tutto; certamente è attaccato alle libertà, ma non crede né alla volontà generale né al diritto dei popoli di disporre di sé: non crede nell’ideologia democratica. Vede come un problema il fatto che i ministri siano scelti tra i funzionari dell’alta burocrazia perché essi sono abituati ad applicare la legge ed educati alla disciplina, ma non sono dotati dell’iniziativa necessaria. Weber nostro contemporaneo 23