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Costantino Casilli
Società Italiana di Ipnosi
VERITA'
STORICA
E
VERITA'
NARRATIVA. I RICORDI DI ABUSO ED IL
CASO DEI RITUALI SATANICI.
Riassunto
Con questo lavoro si é voluto analizzare il dibattito, che tanta importanza sta
avendo soprattutto nei paesi anglosassoni, sugli abusi e sui ricordi di abuso.
La conoscenza delle caratteristiche di ciascuna delle due posizioni che hanno
dato vita a tale dibattito può essere utile allo psicoterapeuta per affrontare il
tema dell'abuso con un atteggiamento più "clinico", consapevole ed
equilibrato, raggiungibile solo abbandonando inutili estremismi teorici e
datate modalità di intervento.
Il modello di riferimento proposto é quello "ericksoniano".
Summary
This study intends to analize the dibate, wich is corrently gaining importance
expecially in anglosaxon countries, on the abuse and recovered memories of
abuse. The knoledge of the caracteristics of both positions that are involved in
this debate can be useful to the psychotherapist to treat the argument of abuse
with a more "clinical", aware and balanced attitude, reachebal only by letting
go of useless theoretical extremism and warn-out ways of intervention.
The proposed model of reference is "ericksonian".
1. Premessa
Negli ultimi anni si è verificato, soprattutto negli Stati Uniti, un crescente interesse per
il fenomeno degli abusi psicologici, fisici e sessuali sui bambini (Spence, 1994; AMA, 1995). Il
dibattito che è sorto non è stato affrontato solo dalla letteratura "scientifica" ma anche e
soprattutto dai mass-media, tant'è che oggi ci si chiede se l'interesse per questo tema è la causa
o l'effetto dell'aumento del numero dei casi di persone che ricordano di aver subito abusi
durante l'infanzia (Sarabin, 1995). Queste due letture causali ci permettono di evidenziare
subito le due posizioni oggi prevalenti nel campo della psicoterapia, e soprattutto dell'ipnosi, in
relazione a questo tema : chi "crede" e chi è "scettico" che l'abuso sia stato realmente subito
(Yapko, 1994; Ganaway, 1995; Levitt, 1995). I sostenitori della prima posizione considerano
attendibili i ricordi dei pazienti e veri gli abusi subiti durante l'infanzia; gli "scettici", al
contrario, sono più orientati a considerare falsi i primi ed immaginati i secondi. I vari autori
hanno esposto selettivamente gli elementi in favore di una ipotesi causale ed in sfavore
dell'ipotesi contraria dando così vita ad un dibattito che ha visto il contrapporsi, a volte anche
su posizioni estreme, delle due ottiche. Tuttavia la scelta di ciascun autore di schierarsi a favore
di una delle due ipotesi si è fondata, a nostro giudizio, solo sull'esperienza clinica personale e
su una scelta teorico-esplicativa fatta a priori.
I punti essenziali delle due posizioni che si contrappongono nel dibattito sugli abusi
sono stati analizzati per raggiungere tre obiettivi.
Il primo è quello di comprendere le ragioni degli autori che sostengono tali posizioni in modo
da capire le strategie terapeutiche che questi propongono.
Il secondo è quello di dare al clinico la possibilità di affrontare i casi di ricordi di abuso con
maggiore equilibrio e consapevolezza.
Il terzo obiettivo consiste nello spingere a superare posizioni terapeutiche "datate" in modo da
consentire, soprattutto a coloro i quali lavorano con l'ipnosi, di focalizzare l'attenzione su
argomenti di maggiore utilità clinica e teorica come ad esempio il cambiamento nei contesti
terapeutici, il ruolo del terapeuta e l'utilizzazione delle sue risorse e delle sue caratteristiche
personali come strumenti terapeutici, la ricerca nell'ambito dei processi di influenzamento, dei
fenomeni ipnotici, e dell'efficacia-efficienza degli interventi in psicoterapia.
2. La posizione di chi crede nella "verità storica"
La posizione di chi crede nella verità storica prevede che le memorie riferite dai
pazienti, soprattutto se ottenute con l'ipnosi, siano vere (Yapko, 1994); che ci sia un luogo
chiamato inconscio dove tali memorie vengono represse e che ci sia uno stato ipnotico grazie al
quale è possibile ricordarle (Nash, 1994); che i ricordi, i loro effetti patologici, e la conseguente
diagnosi, siano immuni da influenze culturali o dalle procedure utilizzate in terapia (Ganaway,
1995).
Per il clinico l'importanza di questa posizione sta nel fatto che viene teorizzata (in realtà è solo
ipotizzata e non verificata - Levitt, 1995; Ganaway, 1995) una relazione causa-effetto tra
l'abuso subito durante l'infanzia ed una serie di psicopatologie : ansia, depressione, uso di
droghe, somatizzazioni, disordine post-traumatico da stress, difficoltà dell'apprendimento,
disturbi della condotta, difficoltà nelle relazioni interpersonali, disturbi dell'alimentazione,
disturbi nella sfera sessuale, e soprattutto disturbi dissociativi.
In termini generali si può dire che il ricordo di un abuso viene "represso", non viene ricordato
ma neanche elaborato dalla coscienza, e diventa la causa di una sintomatologia; questo accade
perchè gli eventi percepiti ed "immagazzinati" in modo non consapevole tendono a formare
quei comportamenti-pensieri-emozioni-preferenze-attitudini-... che caratterizzano il problema
psicologico di cui il paziente si lamenta nel presente. Il processo terapeutico consisterà quindi
nel fare in modo che il paziente si riappropri di tali memorie, al fine di poterle affrontare in
2
modo più adattivo, e cioè senza esserne "schiacciato" e allo stesso tempo senza negarne
l'importanza, per poi poter trovare nuove soluzioni non sintomatiche (in raltà neanche la
connessione abreazione-miglioramento é stata provata - Leavitt, 1995).
E' la posizione, questa, attenta soprattutto a salvaguardare i pazienti che si presentano come
falsi negativi, quei pazienti cioé che pur essendo stati abusati non ricordano di esserlo stato
(Nash, 1994).
Il ruolo svolto dall'ipnosi all'interno di questa posizione è sicuramente tra i più rilevanti.
Gli studi sulla reversibilità dell'amnesia ne costituiscono un esempio. Ma ancora più importanti
risultano le ipotesi sulla dissociazione e sulla fantasy proneness [inclinazione alla fantasia]
intese come metodi naturali di difesa contro il dolore fisico, psicologico, e di relazione, e
contemporaneamente come meccanismi psicologici alla base del tipo di patologia lamentata
(più comunemente un disturbo dissociativo, soprattutto il disturbo da personalità multiple).
2.1. L'autoipnosi e l'ipotesi dissociativa
La connessione tra abusi subiti durante l'infanzia - o meglio il ricordo di questi - ,
l'ipnosi (intesa nell'accezione neo-dissociativa di Hilgard, 1977) e la sindrome di personalità
multiple é ben riassunta da Bliss (1986). L'ipotesi da cui questo autore parte è che una
situazione di abuso psicologico, emotivo, fisico e sessuale possa portare il bambino ad
interagire con compagni di gioco immaginari come se questi fossero davvero reali. Il realismo,
inteso come una caratteristica dello stato ipnotico, predispone all'uso del meccanismo
dissociativo dell'auto-ipnosi; quest'ultimo può variare da un semplice "distacco" alla totale
amnesia. Il passaggio successivo vede la nascita, a partire da compagni di gioco immaginari
così reali, delle "personalità" (multiple); grazie ad esse sarebbe possibile al bambino e poi
all'adulto delegare il problema del far fronte alla solitudine, infelicità, esperienze traumatiche,
paura, rabbia, senso di inadeguatezza, ... e diminuire così le responsabilità individuali.
Inizialmente queste "personalità" avrebbero quindi la funzione etologica di permettere la
sopravvivenza, fisica e psicologica, del bambino. Tuttavia in un secondo momento il costo per
queste persone diviene molto alto : «Le esperienze ed i traumi non possono essere elaborati se
vengono isolati, dato che non vengono integrati nella corrente continua della coscienza. [...] Se
tale esperienza viene cancellata ipnoticamente essa rimane una forza irrazionale, dolorosa ed
immutabile» (pag. 133). Secondo Bliss questo non intenzionale cattivo uso dell'autoipnosi
sembra essere quindi il meccanismo primario del disordine.
Tali pazienti, come può essere ovvio aspettarsi, sono degli ottimi soggetti ipnotici. Questa loro
abilità rende possibile un lavoro psicoterapeutico svolto in uno stato di trance, per cui l'ipnosi
viene considerata il trattamento d'elezione per queste forme di psicopatologia. Le strategie
usate seguono due orientamenti di massima. La prima consiste nel tentativo di fondere ed
integrare questi aspetti diversi del sé del paziente. La seconda consiste nel cercare, lentamente e
con cura, di far sì che la principale personalità sia consapevole che ci sono altre personalità che
convivono nello stesso corpo, per poi fare in modo che tutte queste comincino a comunicare e a
"collaborare" tra loro (Madeleine, 1992).
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2.2. L'ipotesi della fantasy proneness
L'altro elemento sottolineato dagli studi nell'ambito dell'ipnosi e che si riferisce al
problema dei ricordi di abusi è la cosiddetta fantasy proneness. Wilson e Barber (1981) a
conclusione della loro ricerca su ottimi soggetti ipnotici hanno scoperto un gruppo di persone le
quali sembrano condividere un'unica costellazione di esperienze di vita e di tratti di personalità
e che, fondamentalmente, hanno una notevole capacità di coinvolgersi nelle proprie fantasie.
Queste persone, definite fantasy prone personalities [personalità inclini alla fantasia], sono
"virtuosi" dell'ipnosi, riferiscono di passare molto tempo mentre sono assorti nelle loro fantasie,
dicono di aver fatto esperienze paranormali, a volte trovano una certa difficoltà nel
differenziare la realtà da ciò che é frutto della loro fantasia. E' interessante notare come ci sia
una certa sovrapposizione tra tendenze immaginative sane e tendenze ad un processo ideativo
patologico. Ad esempio questi soggetti fantasy prone evidenziano, se sottoposti al Rorschach,
un adeguato test di realtà, una vita affettiva e cognitiva ricca, e una certa versatilità cognitiva ed
emotiva. In questo senso la fantasia non rappresenterebbe un ritiro autistico. Eppure gli stessi
soggetti, esaminati con l'MMPI, ottengono punteggi piuttosto preoccupanti ¹ (Rhue & Lynn
1987a).
Le esperienze durante l'infanzia che in un certo modo indirizzano alcune persone verso le
caratteristiche della fantasy prone personality sono di tre tipi. Il primo si riferisce
all'incoraggiamento a lasciarsi andare alle fantasie da parte di adulti significativi; il secondo é
relativo allo svolgere attività (ballare, suonare strumenti musicali, recitare) che implicano un
coinvolgimento sul piano della fantasia; il terzo collega il perdersi nelle fantasie alla solitudine,
all'isolamento, e ad un ambiente familiare "ostile".
L'ipotesi causale che lega l'abuso all'ipnotizzabilità, ma anche abuso e fantasy proneness (Nash
& Lynn, 1986; Bryant, 1995), è senz'altro interessante ai fini del nostro discorso. C'è infatti da
evidenziare come i soggetti fantasy prone ricordino un più alto numero di punizioni e
riferiscano di essere stati abusati fisicamente quando erano bambini (bruciature, ferite, ossa
rotte) più di altri soggetti (Rhue & Lynn, 1987a). Inoltre sembra che minore é l'età in cui é stato
subito un abuso e maggiore è il livello di fantasy proneness (Bryant, 1995). C'è anche da
aggiungere che, mentre una tendenza a perdersi nelle fantasie non è di per sè patologica, una
storia di abusi combinata con la fantasy proneness può predisporre questi soggetti a gravi
problemi di adattamento nelle vita adulta; inoltre le donne fantasy prone riferiscono un
numero di abusi sessuali da parte di persone esterne alla famiglia maggiore di quello che fanno
in generale i soggetti moderatamente fantasy prone (Lynn & Rhue, 1988; Nash & Lynn 1986).
Anche l'interpretazione che viene data a quest'uso massiccio della fantasia è simile a quello che
abbiamo trovato per i soggetti con disturbo da personalità multiple dato da Bliss (1986) : la
fantasia (l'autoipnosi per Bliss) serve per difendersi, per "fuggire", per minimizzare il dolore
fisico e la sofferenza psicologica, e per preservare il più possibile un'opinione positiva, o
almeno relativamente positiva, dell'ambiente soprattutto quello familiare. (Bryant, 1995)
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3. La posizione degli "scettici" : la verità narrativa
Questa seconda posizione prevede che le memorie riferite dai pazienti, anche quelle
ottenute con l'ipnosi, siano potenzialmente false e che i ricordi "repressi", i loro ipotizzati
effetti patologici, le diagnosi esplicative ed i metodi di cura siano largamente influenzabili da
fattori culturali, dai modelli di psicologia clinica di riferimento dello psicoterapeuta, dai
preconcetti e dalle credenze di questi. (Yapko, 1994; Lynn & Nash, 1994)
Per il clinico l'importanza di questa posizione sta nel fatto che viene rigettata come troppo
semplicistica la relazione causale lineare trauma-psicopatologia (ci sono troppe persone
effettivamente abusate durante l'infanzia che non hanno mai sofferto di problemi psichici;
Levitt, 1995); che i concetti di dissociazione - repressione - inconscio sono soltanto delle
metafore e che quindi non vanno "concretizzate"; che non esiste uno stato ipnotico ma un
contesto psicosociale (Sarabin, 1995). Il processo terapeutico prevederà quindi un interesse
maggiormente centrato sulla sofferenza del presente poiché è possibile che la sintomatologia
lamentata dal paziente abbia altri significati oltre a quello ipotizzato di effetto di un abuso
(Yapko, 1994).
E' la posizione, questa, attenta soprattutto a salvaguardare i terapeuti dagli "abbagli"
diagnostici, i pazienti "falsi positivi" (quelli che pur non essendo stati abusati ricordano tale
esperienza) dai falsi ricordi, e soprattutto i familiari di questi pazienti dalle accuse infondate
(Nash 1994).
Per avvalorare la posizione degli "scettici" sono fondamentali le ricerche sulla
psicologia dello sviluppo e quelle sulla memoria; sono inoltre interessanti alcune riflessioni che
è possibile fare sui casi di ricordo di abuso subito durante (ipotetici) rituali satanici.
3.1. La psicologia dello sviluppo
L'insieme di dati legato alla ricerca in psicologia dello sviluppo è importante soprattutto
perché molti dei casi di abuso riportati in letteratura si riferiscono ad un'età compresa tra i due
ed i cinque anni. Può essere utile, ad esempio, ricordare che il forte disagio emotivo provato dai
bambini e le enormi difficoltà che essi si trovano ad affrontare a causa di una qualsiasi forma di
abuso possono portare a ricercare forme di controllo della realtà anche quando le posibilità
sono fuori dalla loro effettiva portata. Tra le forme di controllo quella legata al pensiero magico
é sicuramente tra le più efficaci : permette rapidamente, seguendo particolari connessioni
causali e una logica tutta sua (la "prelogica"), di raggiungere ciò che desideriamo (Piaget,
1966). E' interessante notare come la difficoltà a differenziare la realtà dalla propria fantasia
manifestata da alcuni soggetti fantasy prone ricordi molto da vicino il concetto di "realismo"² e
di "egocentrismo" piagettiano, due caratteristiche del pensiero prelogico che ritroviamo nei
bambini tra i due ed i cinque anni (Spence, 1994). Inoltre, sempre su questa linea, noi sappiamo
che ai bambini fantasy prone piace più che agli altri coetanei il giocare da soli e l'immergersi in
giochi di fantasia. Questo, se unito al problema di una madre rifiutante e a quello di un
ambiente poco ricco di stimoli, potrebbe essere paragonato alle esperienze di
depersonalizzazione e derealizzazione legate a momenti o situazioni in cui minori sono gli
input sensoriali (sera tardi, ambienti particolari come grotte o cattedrali). In questi casi, e questa
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é l'ipotesi di Persinger (1992, 1993, 1994), é più che possibile il sentire "una presenza" (esseri
spirituali, apparizioni di morti) o il "sentire due sé" ("out-of-body experiences"). Tali esperienze
"transpersonali", soprattutto quelle vissute tra i due ed i cinque anni, sono spesso state citate e
studiate da vari autori (ad esempio da S. Freud ne «Il disagio della civiltà», 1929).
L'interpretazione di questi fenomeni non è univoca ma per noi comunque interessante : è stato
ipotizzato che possano indicare un'abilità cognitiva astratta (intelligenza post-formale basata su
capacità immaginistiche) oppure una modalità per difendersi da un trauma o da un deficit di
holding familiare (Hunt, 1992).
Questo insieme di magia, prelogica, fantasia, auto-ipnosi, desideri-bisogni insoddisfatti, traumi
ed abusi, si inserisce in un quadro psicologico che tra i due e i cinque anni è caratterizzato da
un pensiero simbolico che non è in contatto con il reale; da una simbolizzazione "prelogica" in
cui c'è la messa a confronto di due estremi sempre contrapposti (la fata e la strega); da una
necessità "fisiologica" di tinte forti (buono-buono, bianco-bianco, il lupo che é brutto e cattivo
...); da una tendenza all'estremizzazione nell'assunzione di ruoli; da una sorta di cultura
trasversale fatta di filastrocche, storie, gesti ripetitivi.
3.2. La memoria
I dati della ricerca sulla memoria non prevedono la possibilità dell'esistenza di
meccanismi come quello della repressione. La memoria, così come la percezione, non é
oggettiva e sicuramente, a prescindere dalle posizioni epistemologiche che possono essere
prese, non ci dà un quadro preciso di ciò che avviene o è avvenuto. Oggi sappiamo che la
memoria implica un processo cognitivo attivo nella fase di immagazzinamento, che i ricordi
subiscono una notevole influenza dalla rilevanza-congruenza-incongruenza del materiale, che
sono distorti da interpretazioni - abbellimenti - distorsioni - conoscenze - credenze - ... che
variano a seconda del contesto in cui vengono rievocati, che possono degradarsi o scomparire
(Kihlstrom, 1994; Lynn & Nash 1994).
Per avvalorare la tesi degli "scettici", e cioè che i ricordi di abuso subito nell'infanzia non
corrispondono al vero, può essere utile parlare di due sistemi di memoria, quello semantico e
quello episodico³ (Tulving, 1972), che si formano tra i due ed i cinque anni.
La memoria semantica codifica le rappresentazioni verbali dell'esperienza; «come per le parole,
si può presumere che questi modelli
siano
all'inizio
costruiti
a
partire dalle
generalizzazioni offerte da altri. Non c'é bisogno di dire che questi modelli semantici
precoci rappresentano la realtà dal punto di vista delle figure genitoriali. [...] Per esempio, i
modelli semantici precoci del sé sono in parte basati sulle affermazioni fatte dalle madri ai figli
che dicono che essi sono "buoni", "cattivi", ecc.» (Crittenden, 1994, pag. 64).
La memoria episodica consiste invece di episodi specifici di esperienza (ad esempio : "il giorno
in cui ..." , e non "tutti i giorni ..."), codificati da mezzi multipli tra cui quelli verbali, uditivi e
visivi. Questi ricordi sono richiamati come episodi ordinati in modo sequenziale con
personaggi, movimenti, suoni, odori (Tulving, 1972).
A proposito del tema dei ricordi di abuso possiamo dire con la Crittenden (1994) che «come i
ricordi semantici, i ricordi episodici sono suscettibili di distorsione. Siccome i bambini
preoperatori non comprendono la natura propositiva delle parole, cioè che le parole possono
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rappresentare cose che non esistono, essi sono facilmente fuorviati. Le domande che vengono
loro fatte sugli eventi possono cambiare i loro ricordi dell'evento, o anche creare ricordi di
eventi che non hanno avuto luogo. Allo stesso modo, storie, desideri e sogni possono essere
codificati come ricordi. Il risultato é che i ricordi più precoci possono contenere aspetti di
desideri, paure, esagerazioni, espansioni, ed esperienze di altre persone» (pag. 165). Se poi
consideriamo il fatto che nella memoria episodica sono immagazzinati solo quegli eventi che
sono unici e particolarmente importanti risulta che questi eventi sono selezionati proprio perché
affettivamente attivanti. «Siccome gli eventi più attivanti sono quelli irrisolti, ci sarà una
predisposizione a che la memoria episodica contenga esperienze traumatiche e, per alcuni
bambini, esperienze che è loro impedito di esprimere» (Crittenden 1994, pag 65). Questo tipo
di episodi sono tra quelli memorizzati i più vulnerabili alle distorsioni sistematiche.
Gli studi sulla memoria hanno quindi sottolineato come la difficoltà che hanno i bambini a
distingure i dati percepiti da quelli immaginati li può portare ad una certa confusione tra ricordi
di esperienze realmente vissute, quelli di eventi immaginati, e quelli costruiti sulla base di
racconti di esperienze di altre persone.
Le conclusioni che possono essere tratte sono fondamentalmente tre : la prima é che il bambino
non mente quando dice di ricordare di aver vissuto un evento che in realtà é stato solo
immaginato; la seconda è che i bambini in età prescolare, ancor più degli adulti, possono essere
portati da una persona (madre, psicoterapeuta, poliziotto) a credere di aver vissuto eventi non
reali, e a fare questo con una convinzione ed una nitidezza che aumentano nel tempo; la terza é
che lo psicoterapeuta non può essere capace di discernere tra i racconti falsi e quelli veri
basandosi solo sui dati raccolti durante il colloquio clinico (Ceci, 1994).
4. I "riscontri oggettivi" ed i rituali satanici
A favore della posizione degli "scettici", Nash (1994) cita il caso degli abusi sessuali
subiti durante un rituale satanico poichè l'improbabilità dell'evento rafforza la tesi delle
pseudomemorie. Gli abusi satanici sono «abusi che avvengono in un contesto legato a qualche
simbologia o attività di gruppo che abbia una connotazione religiosa, magica o supernaturale,
ed in cui l'uso di questi simboli o di queste attività viene ripetuto più volte nel corso del tempo
ed usato per spaventare ed intimidire i bambini» (Jones, 1991; pag. 164). Questi rituali
sarebbero anche parte di un programma che si propone di indottrinare le persone alle pratiche e
alle credenze legate al satanismo (Leavit, 1994).
Negli ultimi anni medici e psicologi si sono trovati di fronte un numero sempre maggiore di
bambini che hanno riferito di essere stati sottoposti a pratiche particolarmente sadiche, perverse
e talvolta bizzarre (Yong et al., 1991). In alcuni di questi casi i bambini hanno fatto riferimento
alla particolarità delle maschere o degli abiti indossati dagli abusatori, hanno descritto abusi
svolti in gruppo, addirittura hanno riferito di essere stati torturati e di essere stati testimoni di
sacrifici umani o animali. A volte tutti questi elementi erano coordinati in un rituale satanico o
in un sistema di credenze in cui questi bambini venivano costretti a partecipare e a subire abusi
fisici e sessuali come parte integrante di un culto religioso.
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Sembrerebbe che circa il 25% dei pazienti in trattamento per il disturbo da personalità multipla
ricordi di essere stato torturato in orge sataniche ritualizzate in cui adulti e bambini venivano
uccisi e mangiati (Braun & Gray, 1987).
L'idea che solitamente viene condivisa in alcuni ambienti della psicologia é che quando
il problema è grave le sue cause sono profonde e radicate nel passato, e quindi il processo
terapeutico sarà lungo e difficile. La trasposizione di questa legge nel campo che stiamo
affrontando è l'ipotesi secondo la quale i pazienti che ricordano di aver subito un abuso durante
rituali satanici, se paragonati a quelli che ricordano di aver subito abusi in "condizioni
normali", presentano una più alta frequenza di disturbi dissociativi ed una sintomatologia più
severa; nel caso di diturbo da personalità multiple i primi avrebbero a che fare con personalità
create appositamente - con lo scopo di controllarne a distanza la mente - da persone della setta
satanica in questione (Mulhern, 1994), mentre i secondi creerebbero le varie personalità in
modo spontaneo e come reazione ad un trauma. Inoltre sembra che il primo gruppo abbia
subito abusi prima degli altri e per un tempo più prolungato (4 anni e mezzo di più - Leavitt,
1994). Questo è in linea con la relazione diretta, ipotizzata da alcuni autori, tra la quantità e la
qualità del trauma subito nell'infanzia e la gravità del disturbo dissociativo valutato ad esempio
in base al numero di personalità emerse (Putnam, 1994). L'ipotesi eziologica, anche in questi
casi, è relativa all'inconscia distorsione dei ricordi per proteggersi da memorie fortemente
ansiogene di abusi particolarmente gravi. Questi bambini abusati durante rituali satanici
sarebbero quindi pazienti particolarmente gravi all'occhio del clinico perché è ovvio aspettarsi
problemi di personalità, conseguenze devastanti sul sé e sull'autostima, rabbia, depressione,
ansia, difficoltà nelle relazioni interpersonali, comportamenti autoaggressivi, problemi nella
sfera sessuale, oltre che forme psicopatologiche gravi tra cui disturbi di depersonalizzazione,
amnesie psicogene, fughe psicogene, e ovviamente disturbi da personalità multiple.
Un fattore interessante da sottolineare a questo punto è che - nonostante le
testimonianze dirette di bambini, i ricordi spesso coerenti di adulti abusati durante l'infanzia, le
ammissioni degli abusanti, le accuse di testimoni - gli investigatori della polizia non sono mai
riusciti a trovare una singola prova in favore dell'ipotesi degli abusi perpetuati durante rituali
satanici. La mancanza di queste prove ha definitivamente diviso gli osservatori di questo
fenomeno in due gruppi : chi crede che si tratti di fatti realmente accaduti così come sono stati
descritti (verità storica e verità narrativa si sovrapporrebbero), e chi invece propende per
l'ipotesi che i fatti non siano accaduti e che quindi i racconti siano del tutto o in parte inventati
e frutto della fantasia. Perlomeno in questi casi è più facile orientarsi verso la seconda ipotesi a
cui, tra l'altro, recenti ricerche sviluppate da una prospettiva sociostorica e psicosociale hanno
dato una chiave di lettura interessante (Mulhern, 1994; Coons, 1994).
Il lavoro di Mulhern (1994), ad esempio, cerca di mettere a fuoco il motivo per cui, negli ultimi
tempi, si sta assistendo negli Stati Uniti ad una «continua epidemia di persone in terapia per il
disturbo da personalità multiple che hanno apparentemente ricordato che durante la loro
infanzia sono stati torturati ed hanno subito il lavaggio del cervello mediante culti satanici»
(pag. 266), e dei motivi per cui l'epidemia continua a crescere nonostante il fatto che ricercatori
sociali da un lato e polizia dall'altro abbiano definitivamente messo in crisi l'ipotesi che tali
abusi perpetuati durante riti satanici siano effettivamente stati compiuti. La tesi di Mulhern è
che ci stiamo trovando di fronte «all'emergenza di una teoria della cospirazione [conspiracy
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theory] come nucleo di un consistente schema di interpretazione clinica» (pag. 266). Tale teoria
è costruita intorno ad un limitato numero di storie che si tramandano di generazione in
generazione, che rappresentano l'elemento centrale di tradizioni religiose - racconti folcloristici
- romanzi, e che rappresentano una rilettura contemporanea di idee precristiane sui rituali
notturni, sulle depravazioni sessuali, sui sacrifici umani e sul cannibalismo. Tuttavia la vera
novità e la tesi più interessante di questo articolo è -dal nostro punto di vista- quella di aver
messo in risalto, coerentemente con la filosofia della psicologia sociale ma in contrasto con la
maggior parte degli articoli di psicologia clinica e purtroppo anche di ipnosi, il ruolo del clinico
con i suoi limiti dettati dall'essere un osservatore interno non solo alla relazione terapeutica ma
anche e soprattutto all'ambiente culturale, sociale e storico in cui vive.
Mentre secondo Mulhern il maggior numero di abusi satanici è quindi da ricercare nel terapeuta
ed in questa cospiracy theory, per Coons (1994) l'epidemia di tali abusi è dovuta all'influenza
del contagio sociale : secondo il suo studio più del 90 % di abusi riferiti ad inverificabili rituali
satanici nello stato americano dell'Indiana è avvenuto nel giro dei due giorni che seguirono
l'interessamento al fenomeno delle sette sataniche da parte dei mass-media.
Se questa forma di influenza psicosociale influisce notevolmente sui pazienti (epidemie di
abusi, rituali satanici, possessioni demoniache, ...), sembra quantomeno fuori luogo pensare ad
un clinico che ne sia immune. Basti ricordare a questo proposito come oggi ci sia un rinnovato
interesse per il lavoro di Charcot, di Janet e del primo Freud, evidenziando allo stesso tempo
come «alcune decisive osservazioni cliniche di Janet e di Freud - in modo particolare quelle che
offrono segnali verso una limitazione delle descrizioni contemporanee delle "personalità" e
delle tecniche legate al riportare in luce le memorie traumatiche - appaiano essere state
selettivamente dimenticate» (Mulhern, 1994, pag. 271).
A questo riguardo sembra che ci si stia dimenticando addirittura il fattore della dissonanza
cognitiva nel terapeuta : il deteriorarsi delle condizioni di questi pazienti (si aggiungono
sempre più ricordi ed il numero delle personalità aumenta) è letto come un chiaro segno sia
della correttezza del percorso diagnostico e sia del positivo procedere della terapia; inoltre la
mancanza di prove concrete sulla verità storica dei ricordi di questi rituali è stata interpretata
come la capacità magica delle sette sataniche di occultare eventuali indizi, oppure come un
rifiuto della società a voler aprire gli occhi di fronte all'orrore di questi eventi emersi soltanto
"grazie" ad un percorso psicoterapico lungo e doloroso.
Questo atteggiamento, per dirla con Popper, offre l'indubbio vantaggio di permettere alla teoria
di autoimmunizzarsi dalla possibilità di falsificazione, e al terapeuta di mettersi al riparo dagli
insuccessi terapeutici.
5. Conclusioni
Anche se vari autori hanno cominciato a sottolineare che nel contesto terapeutico il fatto
che i ricordi siano o meno veri ha poca utilità clinica (Levitt, 1995; Nash 1994; Lynn & Nash
1994), la maggior parte dei lavori sull'argomento, abbiamo visto, si focalizza sulle trappole
della memoria, dei processi di influenzamento, e dei modelli di psicoterapia di riferimento,
sottolineando indirettamente l'importanza che ancora riveste nella nostra professione l'insight, i
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traumi, e le cause del passato. Anche quando ci si lamenta che i clinici raramente riferiscono
prove e riscontri che supportino i ricordi dei loro pazienti (Ganaway, 1995) e quindi si
consiglia di cercare una verifica oggettiva oppure prove concrete in grado di disconfermare lo
scenario riportato dal paziente (AMA, 1995; Lynn & Nash, 1994; Kihlstrom, 1994; Frankel
1994), in definitiva non facciamo altro che scambiare il contesto clinico con quello forense.
Quando poi si rende necessario il ricordare agli psicoterapeuti che non c'è modo di decidere se i
ricordi sono veri o falsi solo sulla base del colloquio clinico e che c'è bisogno di prove ed
evidenze oggettive anche nei casi dei rituali satanici, allora il discorso si deve automaticamente
spostare sul problema della formazione del clinico (Graviz, 1994) e sul problema delle priorità
cliniche (Bloom, 1994).
Innanzi tutto bisogna uscire da un'ovvia e desiderata causalità lineare (Nash, 1994), anche
perchè questa ci spige verso due posizioni, la "fede" (verità storica) e lo "scetticismo" (verità
narrativa), di cui é piena la letteratura sui fenomeni paranormali. «La letteratura di psicologia
sociale é sazia di esempi di persone che credono negli UFO, nelle esperienze psichiche, nelle
visioni religiose, e così via anche quando tali spiegazioni possono essere oggettivamente
confutate» (Yapko, 1994b, pag. 186); diventa grave allora quando é possibile dividere gli
psicoterapeuti in "sheeps" e "goats" (pecore e capre) come avviene tra i "creduloni" e gli
"scettici" della letteratura sul paranormale. Ancora più grave quando è possibile fare ciò con gli
ipnoterapeuti (Yapko, 1994a), e questo soprattutto perchè l'ipnoterapeuta deve conoscere i
processi di influenzamento, deve essere consapevole dell'importanza del contesto in cui opera e
della relazione con il paziente, deve essere "irriverente" (Cecchin et al. 1992) nei confronti
della propria teoria di riferimento, più di quanto debbano o possano fare i colleghi che lavorano
con altri modelli : a chi lavora con l'ipnosi non é dato avere miti, pregiudizi, credenze,...
(Loftus et al., 1994) perchè questi, per l'ipnosi, sono storicamente connessi ad un mondo
magico, occulto, religioso e satanico che di scientifico non ha proprio niente (Ellemberger,
1976).
Per quanto riguarda invece il problema delle priorità cliniche ci sembra importante sottolineare,
soprattutto da un punto di vista ericksoniano, l'importanza del passaggio dall'analisi delle
cause del problema lamentato dal paziente alle soluzioni terapeutiche, del passaggio da
un'ottica centrata sul passato ad una focalizzata sul futuro, dello spostamento di interesse,
anche e soprattutto nelle fasi conoscitive di una psicoterapia, dai deficit alle risorse del
paziente.
Inoltre, sempre su questa linea, sarebbe auspicabile che il dibattito si spostasse (anche
all'interno del mondo dell'ipnosi) sul ruolo del terapeuta non più visto come il depositario di
una teoria esplicativa o come il veicolo di suggestioni o di una semplice serie di tecniche, ma
come colui il quale, utilizzando i suoi problemi - la sua storia - le sue risorse, consenta nuove
definizioni del problema lamentato. Ciò permetterebbe l'emergere di una verità conarrata che
apra al problema del paziente più possibilità di soluzione.
Note
¹ Può essere utile, oltre che interessante, fare un esempio più esplicito e chiaro facendo riferimento diretto
al significato clinico dei valori medi ottenuti mediante l'interpretazione per punte di due scale : quella dell'isteria
(Hy) e quella della Schizofrenia (Sc). Se Hy ha come valore (medio) 77.95 allora : «Il soggetto esplicita i propri
eventuali conflitti emotivi in forme somatiche [...], é possibile l'utilizzazione dei sintomi fisici in vista di vantaggi
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secondari. I contatti interpersonali, se pure inadeguati ed insoddisfacenti, vengono attivamente ricercati»
(Mosticoni R. e Chiari G. 1984). Se Sc ha come valore (medio) 83.80 allora : «I tratti di isolamento dagli altri e di
chiusura in sé sono accentuati. E' presente una netta preferenza da parte del soggetto per il fantasticare piuttosto
che per l'agire. Il soggetto sembra trovare particolari giustificazioni nella propria realtà interna, senza sentire
l'esigenza di confrontarla e di verificarla» (Mosticoni R. e Chiari G. 1984).
² Nel 1986 Wellman e Estes hanno pubblicato un articolo in cui il concetto di realismo viene riesaminato.
In base alle loro ricerche i bambini, anche quelli di due anni e mezzo, sono capaci ad esempio di distinguere tra il
contenuto di un sogno o di un pensiero e la "realtà".
³ Oltre a questi va citato il sistema di memoria procedurale (Tulving, 1972), definito anche "memoria
implicita"; si ritiene che tale sistema codifichi informazioni riguardanti configurazioni ricorrenti di stimoli
sensoriali e risposte comportamentali strutturando dei modelli (o rappresentazioni di interazione che sono state
generalizzate [Stern, 1987]) che funzioneranno lungo tutto l'arco della vita regolando il comportamento quotidiano
(Levenson, 1992). Ai fini del discorso sulla verità storica e sulla verità narrativa dei ricordi, comunque, riteniamo
siano più importanti gli altri due sistemi di memoria.
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