Prefazione
Il volume che ho il piacere di presentare costituisce la sintesi teorica e strategica di un
percorso di ricerca iniziato da Andrea Pitasi nel 1998 durante una visiting professorship a Houston, Texas.
Questo volume integra con grande abilità teorica diversi approcci alcuni dei quali
di maggior rilevanza (la teoria dei sistemi evolutivi, l’approccio schumpeteriano
all’economia, la sociologia simmeliana) e altri di sicuro rilievo ma un poco più periferici (la sociologia orteghiana, l’approccio paretiano all’economia, la sociologia di Cristopher Lasch). Questa integrazione offre una mappa concettuale per orientarsi negli
scenari futuri, globali e complessi.
Pitasi conduce un lavoro molto accurato sulle fonti e sistematizza in nove “tesi” il
suo quadro teorico complessivo e sviluppa in una certa misura il modello concettuale
e l’approccio sistemico che ispirarono il mio “Il pericolo e l’opportunità” apparso nei
primi anni Novanta e che non a caso Andrea Pitasi ha voluto recentemente (2008)
rieditare, affidando la curatela scientifica ad Emilia Ferone, nella collana “Teoria dei
Sistemi e Complessità” da egli stesso diretta come ulteriore passaggio di un dialogo
iniziato tra noi già nel 1996.
Il modello concettuale e la relativa strategia di policymaking illustrate da Andrea
Pitasi mi vedono concordare in buona misura ma ovviamente con punti di disaccordo
rispetto alla mia teoria dei sistemi come si conviene in un confronto costruttivo tra
studiosi. Pertanto, considero questo volume uno spin off eterodosso dei miei lavori e
al contempo un contributo originale, intellettualmente ricco, metodologicamente rigoroso e teoreticamente creativo da parte di Andrea Pitasi (e dei suoi allievi tra cui soprattutto la già menzionata Emilia Ferone che del volume stesso è addirittura coautrice) alla comprensione del mondo di oggi e di domani e quindi un lavoro di grande
importanza economico-sociale e al contempo un innovativo contributo scientifico alla
teoria sistemica.
Ervin Laszlo
Presidente
Club of Budapest International
(http://www.clubofbudapest.org/)
Rettore
Globalshift University
(http://www.globalshiftu.org/)
Candidato al Nobel per la Pace
Prologo
La società post-paleolitica
come Tempo Zero del Desiderio
Questo libro conclude un percorso di ricerca essenzialmente teoretica, sviluppatosi in
tre precedenti volumi la cui sintesi concettuale e la cui carica kuhnianamente rivoluzionaria e schumpeterianamente innovativa convergono in questo quarto volume che,
tuttavia, non costituisce un compendio dei precedenti. In ordine di stesura il primo volume, intitolato Universi Paralleli, apparve nel 2003 anche se era stato scritto sostanzialmente tra il 2000 e il 2001, mentre il 2002 fu per lo più un anno di rilettura, aggiornamento e perfezionamento del testo. Il secondo volume dal titolo Un seimiliardesimo di umanità e il terzo Sfide del nostro tempo rappresentano il frutto del mio lavoro scientifico del periodo 2003-2005 e per entrambi l’anno di revisione fu il 2006.
Il 2006 è stato, inoltre, l’anno di sviluppo embrionale del presente testo, concluso nel
2008. I quattro libri, nel loro complesso, toccano i concetti che reputo cardine per lo
sviluppo di una sociologia della società della conoscenza che vada oltre il paleolitico
della società dopo-moderna, ovvero:
a)
processi decisionali (Universi Paralleli)
b)
mappe strategiche (Un seimiliardesimo di umanità)
c)
algoritmi evolutivi per una teoria sistemica del mutamento globale (Sfide del
nostro tempo)
d)
memetica e campo olografico dell’evoluzione (il presente libro) in cui convergono processi decisionali, mappe strategiche e algoritmi evolutivi.
La sociologia che sto cercando di sviluppare, attraverso un approccio sistemico e
interdisciplinare fondato su un costruttivismo pragmatista, si colloca nell’orizzonte
concettuale dei sistemi evolutivi autorganizzantisi, laddove si considera che, per
quanto complesso, rumoroso e pericoloso possa essere l’ambiente, sia il sistema a
svolgere la funzione di mutamento globale e di mutazione sistemica − sfidando se
stesso ed evolvendo attraverso livelli sempre più raffinati di autorganizzazione − al
fine di consentire l’autopoiesis delle proprie funzioni gestite dalle chiusure operative
della propria autoreferenzialità. I sistemi psichici, sociali o biologici sono appunto autopoietici. I primi due tipi di sistema operano attraverso il senso. Il terzo, quello biologico, funziona in modo assai differente. Tuttavia questa non è ragion sufficiente per
espungere il bios dalla teoria sociologica. Sociale, psichico e biologico vedono
nell’azione strategica, intenzionale e morfogenetica, il loro momento, seppur contingente ed evolutivo, di sintesi. Per questo motivo fondamentale occorre, a mio parere,
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Prologo
dare un contributo alla sociologia, affinché essa evolva una teoria dei sistemi concreti
d’azione; è seccante questa ambivalenza semantica, ma mi auguro che, nelle pagine
del libro, il contesto permetta al lettore di distinguere adeguatamente quando si parla
di sistema come modello concettuale analitico, che consente un livello di chiusura
strategico-tattica del proprio assetto organizzativo (mappe strategiche e algoritmi) dal
sistema come modello autoreferenziale, quando si parla di sistemi concreti d’azione
che selezionano operativamente (processi decisionali, memetica) e che, a tale livello
operativo, attualizzano la propria autoreferenzialità.
I due livelli sistemici non corrispondono a livelli macro e micro e neppure in senso
stretto a modelli olistici e riduzionistici, nel senso più comune e improprio in cui questi termini vengono spesso usati. Essi, piuttosto, sono co-incidenti e compresenti, seppur non simmetrici in ogni azione umana e al contempo evolvono internamente a un
campo olografico che è appunto il luogo fisico − a sua volta evolutivo − della loro coincidenza, non la loro sintesi. Questo campo è indefinito ed enorme, ma non infinito,
il che vuol dire che le combinazioni evolutive sono un numero enorme, elevato
all’ennesima potenza, ma comunque numerabile.
Un’enormità elevata all’ennesima potenza davvero impressionante, quindi, ma non
incommensurabile rispetto alla durata media di una vita umana (650.000 ore circa) è
più che sufficiente per dare agli esseri umani un’illusoria prospettiva d’infinito.
Se il campo olografico è enorme ma non infinito, estremizzando il ragionamento
possiamo affermare che viviamo in un universo deterministico (nel senso che non può
verificarsi nulla che non sia già compreso nell’enorme combinazione di combinazioni
elevate all’ennesima potenza che evolvono nel campo e coevolvono col campo) ma
non pre-determinato (nel senso di vetero-positivistiche ideologie di rigidi causalismi e
di leggi universali che sono state ampiamente confutate da tempo).
Dal punto di vista sociale, tuttavia, l’enormità del campo offre un’ingannevole
sensazione di infinito e di libertà di scelta all’individuo che, come dirò, va rieletto
(coerentemente con Cesareo-Vaccarini, 2006) come persona concreta, vivente, attiva
e inserita in un frame e non come entità astratta (definizione che spesso la sociologia
ha previsto e fatto prevalere nelle sue impostazioni paradigmatiche).
Dunque, infinito e libertà di scelta decisione e azione. Il guaio è che senso comune
e ideologie politico-normative (che sono appunto forme elementari di chiusura operativa tramite risparmio cognitivo) abboccano all’amo sia della libertà individuale, sia
del controllo sociale, cioè dei due tratti più immediatamente classificabili e misurabili
dell’azione sociale e dei suoi vincoli strutturali. Libertà e controllo sociale sono i due
concetti antitetici per eccellenza della sociologia del paleolitico (tengo a precisare che
anche lo scrivente sa di essere un uomo del paleolitico e abitante di una società paleolitica, per cui non si sente un Übermensch nietzschiano).
Uomo, società e sociologia del paleolitico in che senso?
Be’, la lezione impietosa a riguardo ci viene da I. Eibl-Eibesfeldt che scrive: “l’uomo
della società di massa, civilissima sul piano tecnologico, si trova a dover superare, per
adattarsi, difficoltà non lievi derivanti dal fatto che la sua eredità biologica conserva
tratti arcaici, frutto di adattamenti prodottisi nella lunghissima fase in cui visse, in
gruppi poco numerosi, come cacciatore-raccoglitore. Tutti i nostri moduli comportamentali innati si sono sviluppati in tale fase, che rappresenta in termini temporali, il
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98 percento della nostra storia. Nella restante parte di essa, in proporzione assai più
breve, costituita dagli ultimi diecimila anni, non siamo più mutati sul piano biologico
(...) in poche parole ciò significa che uomini col bagaglio emozionale del paleolitico
guidano oggi, come presidenti, le superpotenze (...) Ci troviamo trapiantati con la nostra mentalità da paleolitici, nel groviglio della società moderna” (Eibl-Eibesfeldt,
1992: 10). Oggi viviamo in una società per la quale non siamo evolutivamente adatti e
che stiamo gestendo ignorandone la complessità, mentre impugnamo la clava − pardon la ventiquattro ore − per andare a caccia − pardon al lavoro.
La domanda “come si può uscire dal paleolitico?”, passa da un altro grande interrogativo, un po’ più operativo: come può una società che si autodefinisce della conoscenza e dell’informazione accettare di essere governata da una classe politica provvista di categorie mentali di tipo confessionale, ideologico o di senso comune. La risposta è in parte implicita nelle mie righe precedenti, in parte dipende dallo scollamento
tra le forme sociali attuali e la loro, sovente assai modesta, capacità di auto osservazione ed autodescrizione. Uno dei più importanti fondatori della sociologia italiana,
nel 1988 pubblicò per Laterza il suo splendido “Per una sociologia oltre il postmoderno”. Se Ardigò, poteva ambire a sviluppare una sociologia oltre il postmoderno, io
mi riterrei soddisfatto se riuscissi a evolvere una sociologia che vada oltre il paleolitico.
Come anzidetto, il mio approccio è interdisciplinariamente sistemico: sul fronte
sociologico il mio modello sistemico è la variante luhmanniana. Nel caso specifico, la
riflessione della sociologia giuridica sulla funzione allocativa del diritto, la riflessione
sull’innovazione radicale e i cicli economici sviluppata dalla variante schumpeteriana
della sociologia economica, la riflessione sulla funzione strategica della comunicazione nell’evoluzione di un’autentica società della conoscenza (tema al bivio tra la sociologia dei processi culturali e la sociologia organizzativa).
Uscire dal paleolitico significa introdurre massicciamente nella sociologia
un’adeguata riflessione sul fatto che l’evoluzione strettamente biologica dell’essere
umano è giunta al capolinea. L’umano (dunque la persona umana) si trova sempre più
davanti a sfide evolutive mortali (da Ebola a una possibile mutazione del virus
dell’Aviaria, dall’AIDS alle più subdole forme tumorali, dalle sfide ecologiche planetarie allo spaventoso incremento demografico sul pianeta) che non può gestire con la
mentalità paleolitica della politica, dell’ideologia e del senso comune. Non sarà certo
una cieca fiducia nella scienza e nella tecnologia a farci uscire dal paleolitico; tuttavia
l’umanità dotata di una buona Bildung è cosciente del fatto che scienza e tecnologia,
certamente non infallibili, sono le risorse più importanti di cui disponiamo per uscire
dal paleolitico. Dal 26 giugno 2000, ossia da quando il DNA è stato completamente
mappato, noi siamo la prima specie a potersi riprogettare e rimodulare. Ciò implica
rischi e pericoli, ma anche opportunità e chances evolutive che credo vadano considerate attentamente. Oggi vale la pena chiedersi come sia possibile uscire dal paleolitico
attraverso usi strategicamente viabili della scienza e della tecnologia e non se sia possibile uscire dal paleolitico. Se non ne usciamo ci estinguiamo, se siamo morfostatici
ci estinguiamo; se esitiamo ci estinguiamo. Essere vivi nella forma di persone umane
è una normalissima improbabilità, assai preziosa, che richiede amore, cura, rispetto e
protezione verso la persona umana e una sociologia oltre il paleolitico non può che
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essere una sociologia dell’evoluzione strategica della persona umana, protagonista
attiva dei mondi nuovi che potrebbero prendere forma sul nostro vecchio pianeta dopo una probabile ribellione delle elite.
Trovare un titolo a questo libro non è stato immediatissimo perché nel suo sviluppo mi sono venuti via via in mente titoli che ne sottolineassero un aspetto a cui stavo
dedicandomi a quel punto della stesura. Ecco che avevo in origine pensato a “Per una
sociologia oltre il paleolitico” sulla scorta della prestigiosa lezione ardigoiana (1988)
per evidenziare l’esigenza di uscire da una concezione ancora molto semplicistica,
rozzamente emotivo-rettiliana della persona e facilitarne l’evoluzione neocorticale.
Poi col titolo “Elite Post-Umane” mi ero focalizzato su una rilettura di Cristopher
Lasch per comprendere come le grandi innovazioni e/o invenzioni epocali siano sempre più elitarie assai lontane dai riflettori della comunicazione di massa perché come
scriveva saggiamente Manfred Eigen: “le acquisizioni del tutto nuove vengono conseguite in solitudine (...) la solitudine di uno studio è premessa di uno slancio intellettuale” (Eigen, 1991: 23) dopodiché tornando alla rilettura di alcune splendide pagine
luhmanniane il sociologo di Bielefeld con una sua celebre frase: “Che lo vogliamo o
no, noi non saremo più quelli che eravamo e non saremo più quelli che siamo” (Luhmann, 1995: 11) mi aveva ispirato appunto come titolo “Noi non saremo più chi
siamo” che avrebbe dovuto a mio parere riassumere i titoli precedenti in un concetto
relativamente semplice: uscendo dal paleolitico, attivando in modo elitario rapide diffusioni di innovazioni ad alto valore aggiunto avremmo avuto accesso a un nuovo
modo di vivere in cui saremmo stati assolutamente altro da come siamo oggi. Ma a
quel punto, rivendendo alcuni miei vecchi scritti, è venuta l’idea che avrebbe messo a
sistema l’intero percorso di ricerca non solo di questa quadrilogia bensì della mia intera produzione saggistica a oggi: azzerare il tempo del desiderio tra domanda e offerta, diagnosi e terapia. Azzerare il tempo del desiderio significa comprendere che non
c’è sfida evolutiva che non ci richieda maggior velocità evolutiva ma una società veloce è una società già ampiamente disillusa, che concentra molte risorse su procedure
di agevolazione, ottimizzazione e che progetta e modellizza una varietà di futuri alternativi con una certa abilità strategica e un sostanziale distacco dal cervello rettiliano.
A questo punto ho capito che il lavoro che chiude la mia quadrilogia avrebbe dovuto illustrare come la società post paleolitica sia quella che compie il Tempo Zero
del Desiderio e siccome desideravo valorizzare la più brillante delle mie allieve ho
immediatamente arricchito questo mio libro dando spazio alle sue rielaborazioni teoriche affinché divenisse nostro.
Ascona (Locarno), agosto 2008