ASL RMD RISCHIO BIOLOGICO E PUNTURE ACCIDENTALI NEGLItecnico OPERATORI Manuale operativo A cura del SANITARI Servizio Prevenzione e Protezione U.O. Medico Competente INDICE Prefazione Introduzione Capitolo 1 Rischi da esposizione al sangue: evidenze epidemiologiche Rischio ed esposizione accidentale Capitolo 2 Profili di rischio : Il sangue e le altre possibili fonti di infezione Maggior livello di rischio, come e perché Dispositivi medici coinvolti Le situazioni di maggior pericolo Capitolo 3 Programma di prevenzione e protezione: Le precauzioni standard Informazione, formazione e addestramento Dispositivi medici per la prevenzione delle punture accidentali Efficacia dei programmi di prevenzione e protezione Capitolo 4 Protocollo post esposizione Procedure immediate Segnalazione avvenuta esposizione Immuno e chemioprofilassi post esposizione Follow up diagnostico post esposizione Capitolo 5 Diritti e doveri Responsabilità del datore di lavoro Responsabilità di dirigenti e preposti Responsabilità dei lavoratori Diritti dei lavoratori Conclusioni Bibliografia Appendice Schede operative Prefazione Il rischio biologico è la probabilità che insorga un fenomeno patologico in seguito ad una interazione tra un agente patogeno e una cellula ospite. Il D. Lgs.626/94 (titolo VIII) definisce gli agenti biologici come "qualsiasi microrganismo, anche geneticamente modificato, endoparassita umano e colture cellulare che potrebbe provocare infezioni, allergie o intossicazioni" e li classifica in ordine di pericolosità, a secondo del rischio di infezione di cui sono o potrebbero essere portatori. Gli agenti biologici (virus, batteri, parassiti, funghi) sono pertanto distinti in gruppi: gruppo 1 agenti biologici con nessuna o scarsa probabilità di causare malattia in soggetti sani. gruppo 2 agenti biologici con moderato rischio individuale e limitato rischio collettivo, per i quali sono disponibili, di norma, efficaci misure profilattiche e terapeutiche (es. Legionella, Salmonella typhi e Cytomegalovirus). gruppo 3 agenti biologici, con elevato rischio individuale e basso rischio collettivo, per i quali sono di sponibili, di norma, efficaci misure profilattiche e terapeutiche (es. Virus Epatite B, C e HIV). gruppo 4 agenti biologici con elevato rischio individuale e collettivo, in quanto non sono disponibili, di norma, efficaci misure profilattiche e terapeutiche (es. Virus Ebola). xxxxxxx x La vigente normativa impone l'attuazione delle misure di protezione da agenti biologici a tutte quelle attività lavorative nelle quali vi siano i rischi di esposizione ad agenti patogeni; il Datore di Lavoro pertanto ha l'obbligo di individuare le attività a rischio e predisporre le necessarie misure preventive utili a ridurre l'esposizione agli agenti biologici. In ambito sanitario - scientifico i settori che risultano a potenziale esposizione ad agenti biologici sono gli ambulatori, i servizi di assistenza e di sterilizzazione, il blocco operatorio e blocco parto e i laboratori diagnostici, nei quali la presenza degli agenti patogeni come contaminanti degli ambienti di lavoro e dei materiali non è deliberata bensì involontaria. In altri casi invece la presenza dei patogeni nell'ambiente di lavoro è volontaria e intenzionale (deliberata) in quanto i microrganismi costituiscono materiale di studio e di lavoro come avviene nei laboratori di ricerca e nei laboratori di microbiologia e batteriologia. L'uso deliberato degli agenti biologici di classe 2 o 3 impone al Datore di Lavoro di inviare comunicazione di utilizzo all'organo di vigilanza territorialmente competente (USL) almeno 30 giorni prima dell'inizio dei lavori; Nel caso si utilizzino agenti biologici di classe 4 ci deve essere il rilascio dell'autorizzazione da parte del Ministero della Sanità. Gli operatori maggiormente esposti a rischio biologico sono: il personale medico-infermieristico addetto alla diagnostica, alla terapia e all'assistenza; il personale addetto ai prelievi e i laboratori di analisi; il personale addetto ai servizi di lavaggio disinfezione e sterilizzazione di materiali infetti, gli addetti alla manutenzione degli impianti di acque di scarico potenzialmente infette. gli addetti ai laboratori di ricerca che utilizzano materiale infetto o potenzialmente infetto o fanno uso di agenti patogeni a scopo didattico-scientifico. Qual è il problema? Negli ultimi anni è notevolmente cresciuta tra gli operatori sanitari la preoccupazione per il rischio di contrarre una malattia infettiva a causa della propria attività lavorativa; su questo atteggiamento ha sicuramente influito la comparsa sulla scena mondiale dell’epidemia di AIDS, che ha destato non poco allarme anche in questo settore. In realtà l’esperienza accumulata in questi anni consente di affermare con relativa tranquillità che il pericolo rappresentato dall’AIDS per gli operatori sanitari è stato probabilmente sovrastimato in passato. Negli stessi anni, però, l’introduzione di una valida vaccinazione contro l’epatite B ha forse indotto qualcuno ad un eccesso di ottimismo nei confronti di una malattia che in passato ha fatto pagare un pesante tributo agli operatori sanitari e che, verosimilmente, non sarà così facile debellare. A completare il quadro di luci ed ombre, sempre più vanno crescendo le preoccupazioni per l’epatite C, malattia ancora per molti versi sfuggente ma certamente da considerare con estrema serietà. La recrudescenza della tubercolosi e la comparsa di micobatteri resistenti a diversi chemioterapici, infine, rinnovano antiche paure forse mai del tutto dissolte. Questo opuscolo è dedicato all’AIDS, alle epatiti B e C, ed alla tubercolosi; non perché queste siano le uniche infezioni professionali possibili per gli operatori sanitari, ma perché sono quelle che a nostro avviso rivestono un maggior interesse pratico e per le quali gli organismi nazionali ed internazionali che si occupano di prevenzione hanno suggerito specifiche indicazioni operative. Sporadici casi di altre malattie infettive contratte sul lavoro dagli operatori sanitari vengono di tanto in tanto segnalati, ma per prevenirli ci si limita di solito a raccomandare il rigoroso rispetto della buona pratica d’igiene ospedaliera e di laboratorio. Qual è la reale portata del rischio che corrono oggi gli operatori sanitari del nostro paese di contrarre l’epatite B, l’epatite C, l’AIDS, la tubercolosi a causa del loro lavoro? Modesta per l’epatite B e l’AIDS; un po’ più consistente, per l’epatite C e la tubercolosi. Ribadiamo la necessità di considerare i valori sopra forniti solo come orientativi, sia perché le stime su cui si basano non sono sempre particolarmente robuste, sia perché la diffusione dei soggetti portatori dell’HBV, dell’HCV e dell’HIV varia da una zona all’altra del paese, non è costante nel tempo, può essere più elevata nei pazienti ospedalizzati ed in particolare in quelli ricoverati in determinati reparti. Inoltre è opportuno ricordare che, come non tutte le esposizioni danno infezione, così non a tutte le infezioni segue necessariamente la malattia. I tentativi compiuti per stimare l’entità del rischio di tubercolosi si fondano su calcoli di estrema complessità ed hanno finora dato risultati piuttosto aleatori; in buona sostanza possiamo affermare che nel nostro paese la tubercolosi contratta dagli operatori sanitari verosimilmente a seguito di esposizione professionale pur non essendo un’evenienza frequente non può nemmeno dirsi eccezionale. E’ legittimo chiedersi, a questo punto, come mai ci si preoccupi tanto di rischi che paiono essere molto piccoli. A questa domanda ci sono numerose valide risposte: la prima, e forse la più importante è che se i rischi sono piccoli, le malattie che comunque ne possono seguire sono tutte decisamente serie, sia nelle loro manifestazioni immediate, sia nelle conseguenze a distanza nel tempo. Nel caso dell’AIDS, poi, ci si trova davanti ad una malattia fino ad oggi ancora ad esito prevalentemente infausto. In secondo luogo occorre ricordare, accanto ai danni fisici, le importanti ripercussioni psicologiche che anche il solo sospetto di poter sviluppare una di queste infezioni determina non soltanto nei diretti interessati, ma anche nei loro colleghi di lavoro, negli amici, nei familiari. Infine le misure che verranno suggerite più avanti in questa monografia hanno un’efficacia anche nei confronti di molti altri microorganismi oltre a quelli di cui qui ci si occupa. Chi interessa? Il rischio di epatite B, epatite C ed AIDS deve essere preso in considerazione per la quasi totalità degli operatori sanitari a diretto contatto con i pazienti. Ciò dipende dal combinarsi di due fattori: è di fondamentale importanza pratica considerare tutti i pazienti potenzialmente infettanti, perché la ricerca di quelli che lo sono davvero è più facile da affermare che da praticare e, quando si cerca di attuarla, risulta estremamente inaffidabile esponendo così gli operatori sanitari a rischi inaccettabili; il più comune veicolo dell’infezione per queste tre malattie è rappresentato dal sangue, e la possibilità di venire a contatto col sangue dei pazienti riguarda una svariatissima gamma di attività sanitarie. Il rischio di tubercolosi è invece più circoscritto perché l’obiettivo di identificare i pazienti potenzialmente infettanti è praticabile, tanto che proprio da qui prendono avvio le misure preventive a tutela degli operatori sanitari. I pazienti potenzialmente infettanti sono riconoscibili perché buona parte di essi accede alle strutture sanitarie per curare la tubercolosi (o l’AIDS) o, pur accedendo alle strutture sanitarie per ragioni differenti, presenta una sintomatologia che unitamente ad altri indizi (età, area di provenienza, immunodepressione ecc.) induce a sospettare la tubercolosi. Da cosa dipende? Si è già ricordato che l’esposizione professionale all’HBV, HCV e HIV deriva nella gran maggioranza dei casi dal contatto col sangue dei pazienti. Anche altri liquidi e materiali biologici sono però in grado di trasmettere questi virus (vedi tabella 1) ed anch’essi vanno pertanto trattati con le stesse precauzioni che saranno suggerite per il sangue. Tabella 1 - Liquidi e materiali biologici che possono contenere l’HBV, l’HCV e l’HIV a concentrazioni infettanti SEMPRE SOLO SE CONTAMINATI DA SANGUE VISIBILE Liquido cerebro spinale Feci Liquido sinoviale Urine Liquido peritoneale Lacrime Liquido pleurico Vomito Liquido pericardico Sudore Liquido amniotico Latte Sperma Secrezioni vaginali Tessuti solidi (biopsie, pezzi chirurgici) La possibilità di infettarsi dipende fondamentalmente dall’interazione tra due elementi: la suscettibilità del singolo operatore, che può essere protetto dalle difese immunitarie aspecifiche o dall’immunità specifica naturale o acquisita (quest’ultima riguarda solo l’epatite B); l’entità dell’esposizione, che dipende non solo dal liquido o dal materiale biologico con cui si viene a contatto ma anche da altri fattori; alcuni tra i più rilevanti sono riportati in tabella 2. Tabella 2 - Fattori che aumentano il rischio d’infezione a seguito di un’esposizione professionale Ferita o lesione profonda, spontaneamente sanguinante Puntura con ago cavo utilizzato in un vaso del paziente Presenza di sangue in quantità visibile sullo strumento con cui ci si punge o taglia Contaminazione congiuntivale massiva Ovviamente, quanto più numerose sono le occasioni in cui si può venire a contatto col sangue dei pazienti o con altri liquidi o materiali biologici potenzialmente infettanti, tanto maggiore è il rischio d’infezione (vedi tabella 3). Tabella 3 - Esempi di possibili occasioni di contatto col sangue dei pazienti o con altri liquidi o materiali potenzialmente infettanti Attività di pronto soccorso Attività chirurgica Medicazione di ferite chirurgiche Prelievi di sangue Indagini invasive (toracentesi, paracentesi, artrocentesi, etc.) Emodialisi Diagnostica di laboratorio Cure odontoiatriche L’esame della tabella, peraltro non esaustiva, è d’aiuto nell’identificare i reparti ospedalieri e le attività sanitarie che si svolgono al di fuori dell’ospedale che presentano i rischi più elevati per gli operatori di contrarre un’infezione da HBV, HCV o HIV. Anche l’esame degli incidenti che si verificano in ospedale fornisce utili informazioni in proposito: le punture accidentali da ago e le lesioni per contatto con strumenti taglienti o pungenti costituiscono la più comune causa di contatto col sangue dei pazienti. A questo proposito ricordiamo, non senza una certa meraviglia, che un numero per nulla trascurabile di punture accidentali è causato da manovre ormai da tempo unanimemente sconsigliate, quali il reincappucciamento degli aghi dopo il loro impiego. Di rilievo risultano anche le esposizioni attraverso la cute. Se è vero che la cute integra impedisce il passaggio dei virus, solo di rado la cute risulta del tutto integra; microlesioni, specialmente a livello del letto ungueale, sono infatti estremamente comuni. Se poi sono presenti più ampie soluzioni di continuità o lesioni essudative il passaggio dei virus attraverso la cute risulta ancor più facile. Grande attenzione va posta anche alle manovre che possono produrre schizzi di sangue (chirurgia vasale o su zone riccamente vascolarizzate, prelievi arteriosi, punture esplorative, etc.), per il possibile imbrattamento delle mucose oculari, orali o nasali, che rappresentano una possibile porta d’entrata per l’HBV, l’HCV e l’HIV. L’esposizione professionale al micobatterio della tubercolosi avviene invece per via aerea: i pazienti che presentano lesioni tubercolari comunicanti con l’esterno emettono parlando, e assai di più starnutendo o tossendo, una grande quantità di micobatteri che si disperdono in aria. L’effettiva suscettibilità degli operatori sanitari è difficile da stabilire per la grande complessità che hanno gli aspetti immunologici della tubercolosi; a tale proposito occorre tenere presente che la vaccinazione antitubercolare, soprattutto negli adulti, non è sempre capace di offrire un adeguato grado di protezione. Come lo si affronta? Le strategie per affrontare da un lato il rischio professionale di epatite B, C ed AIDS e dall’altro quello di tubercolosi seguono, come si è già avuto modo di accennare, due opposte strade. Epatite B e C, AIDS - Le precauzioni universali Per ridurre quanto più possibile il rischio professionale di epatite B, C e di AIDS esiste un insieme di misure da adottare sempre, vale a dire nel corso dell’assistenza di tutti i pazienti che vanno sempre considerati potenzialmente infetti, anche quando risultano sieronegativi. Per questa ragione si parla di "precauzioni universali", il cui obiettivo ideale è impedire sempre il contatto tra operatori sanitari e sangue o altri liquidi o materiali biologici potenzialmente infetti (vedi tabella 1). Elaborate in origine dal più autorevole centro mondiale di sorveglianza delle malattie infettive, i Centers for Disease Control and Prevention (CDC) di Atlanta, sono state progressivamente adottate da un gran numero di paesi, compresa l’Italia, come linee-guida per la prevenzione delle infezioni professionali da HBV, HCV ed HIV. All’opposto, le misure da adottare contro il rischio professionale di tubercolosi scattano a partire dall’identificazione dei pazienti potenzialmente infettanti; perché risultino efficaci è perciò indispensabile che tale identificazione sia la più precoce possibile. Epatite B e C, AIDS - La vaccinazione Mentre non esiste ancora la possibilità di vaccinarsi contro l’AIDS e l’epatite C, è invece disponibile ormai da diversi anni un vaccino contro l’epatite B che possiede soddisfacenti caratteristiche di efficacia e di sicurezza. Gli operatori sanitari rientrano tra le categorie di persone per le quali la vaccinazione è raccomandata. La vaccinazione ha oggi un ruolo di primaria importanza per la prevenzione dell’epatite B ed è quindi bene valutare l’immunità specifica nei confronti dell’HBV di ogni persona che inizia la sua attività in una struttura sanitaria e, in difetto, proporre la vaccinazione seguendo le procedure basate sul consenso informato. Come per ogni altra vaccinazione, occorre rispettare il programma vaccinale e tenere le registrazioni del caso. Gli operatori sanitari, anche quando sono vaccinati devono comunque adottare tutte le restanti precauzioni, perché le modalità con cui si trasmette in ambito professionale l’epatite B sono esattamente le stesse dell’epatite C e dell’AIDS. Capitolo 1 I rischi da esposizione al sangue: Nelle strutture sanitarie l'esposizione al rischio biologico è un problema di grande rilevanza, dato che la particolare tipologia lavorativa comporta una frequente esposizione degli operatori ad un elevata varietà di microrganismi. L'attuazione, di norma, di specifiche procedure igieniche garantiscono il controllo della maggioranza degli agenti biologici presenti negli ambienti di lavoro, trasmissibili per via parenterale quali il virus dell'epatite B (HBV), C (HCV) virus dell'aids (HIV), oltre a quelli trasmissibili per via aerea quale al Mycobacterium tuberculosis (agente eziologico della tubercolosi). Questi rischi interessano, sia pure in misura diversa, tutti quegli operatori la cui professionalità li espone ad un eventuale contatto con materiali biologici infetti o potenzialmente infetti quali: sangue intero o frazionato, liquidi biologici (Pleurico, sinoviale, pericardico, amniotico), vomito, saliva, lacrime, urine se mischiati a sangue, tessuti solidi o frammenti ossei derivante da interventi chirurgici o biopsie. Il problema, noto già dal secolo scorso, venne alla risalta negli anni 80 in seguito alla preoccupazione del rischio contagio da HIV. Attualmente il problema sembra notevolmente ridimensionato, sebbene questo posa portare spesso nella pratica ad una sottostima del rischio, sia da parte degli operatori della prevenzione che non dispongono di dati attendibili relativi agli incidenti occupazionali, ma soprattutto degli operatori stessi per quella che viene definita come “assuefazione al rischio” In realtà l’Epatite B non dovrebbe più rappresentare un rischio occupazionale, in seguito all’introduzione della vaccinazione, come testimoniato dai dati SIROH per cui dal 1986 al 2002 è stato segnalato un solo caso di sieroconversione dopo esposizione a sangue infetto da parte di un operatore sanitario. Come già detto tale valutazione corrisponde a vero solo in parte, in quanto, non tutti gli operatori sanitari, specie di reparti a rischio (lab. Analisi, centro prelievi, dialisi, blocco operatorio, chirurgia e anestesia e rianimazione) hanno compreso in pieno l’utilità della vaccinazione e pertanto c’è ancora del personale non protetto. In questa direzione, i numerosi sforzi del Medico Competente per garantire loro la copertura vaccinale , non hanno ottenuto il risultato sperato, tanto che il D.Lgs. 626/94, la magistratura e l’Istituto di Sanità hanno dovuto più volte ribadire il concetto della obbligatorietà per il Datore di lavoro di mettere a disposizione vaccini ……… laddove esistenti ( art…..), l’obbligatorietà all’effettuazione degli stessi da parte del Lavoratore (per quanto ad oggi la vaccinazione sia consigliata), la possibilità per il Medico Competente di negare l’idoneità lavorativa. Per l’Epatite C, rappresenta invece un vero problema, specie per gli operatori sanitari, sia per l’assenza di vaccini e di protocolli terapeutici efficaci al 100%, che al tempo stesso per la crescente diffusione nella popolazione generale, fonte di infezione. Ad oggi in Italia, nel periodo 1994-2002, i casi certi di sieroconversione negli operatori sanitari sono stati 14, di cui 8 hanno sviluppato un epatite cronica HCV-correlata. Ogni anno nel nostro paese sono attese oltre 70.000 esposizioni occupazionali al rischio biologico negli operatori sanitari. Recenti studi di valutazione stimano che ogni anno 100 dei 300.000 infermieri professionali italiani contraggono l’epatite C (HCV) a seguito di un’esposizione occupazionale a materiale biologico infetto e che gli incidenti da punture accidentali rappresentano la seconda causa di infortunio tra gli operatori sanitari. Stima del rischio di contrarre l'epatite B, C o l’AIDS a seguito di esposizione professionale Epatite B Sono state prodotte stime di rischio d’infezione notevolmente difformi che vanno dal 6% al 30%; in pratica ciò significa che secondo certi studiosi un operatore sanitario che avesse sempre a che fare con pazienti certamente infettanti svilupperebbe un’infezione ogni 15 contatti col sangue dei pazienti (stima del 6%) oppure ogni 3 contatti (stima del 30%). Considerando che non tutti i pazienti sono in realtà infettanti, in quanto si stima che solo tra l’1.5% ed il 3% degli italiani sia portatore del virus dell’epatite B (HBV), il rischio effettivo d’infezione dopo un contatto con sangue risulta più basso di circa 50 volte. Ciò significa che si rischierebbe un caso di infezione da HBV ogni 750 contatti con sangue dei pazienti secondo le stime più rassicuranti, o ogni 150 secondo le più pessimiste. A completare il quadro si ricorda che per i soggetti vaccinati il rischio d’infezione è praticamente azzerato. Epatite C Le stime di rischio d’infezione oscillano in un ambito più ristretto, tra il 2% ed il 10%; avendo a che fare sempre con pazienti certamente infettanti un operatore sanitario svilupperebbe un’infezione ogni 50 contatti con sangue (stima del 2%) oppure ogni 10 (stima del 10%). In Italia i portatori del virus dell’epatite C (HCV) sono anch’essi stimati tra l’1.5% ed il 3% di tutta la popolazione. Procedendo in analogia a quanto si è sopra esposto per l’epatite B, il reale rischio d’infezione per gli operatori sanitari a seguito di contatti col sangue dei pazienti sarebbe pertanto di un caso d’infezione ogni 2500 contatti secondo le stime più ottimistiche ed ogni 500 secondo le più pessimistiche. AIDS Si stima un rischio d’infezione tra lo 0.3% e lo 0.1% a seconda della modalità di contatto col sangue (il valore più basso è quello riferito al contatto attraverso le mucose oculari, della bocca e del naso); nell’ipotesi che tutti i pazienti siano infettanti si avrebbe un caso d’infezione ogni 300 contatti con sangue, oppure ogni 1.000 se il contatto è per via mucosa. Poichè la diffusione del virus dell’AIDS (HIV) è stimata attorno al 2 per mille nella popolazione italiana i valori precedenti vanno moltiplicati per 500. Il reale rischio d’infezione da HIV per gli operatori sanitari sarebbe pertanto di un caso ogni 150.000 contatti col sangue dei pazienti che diviene un caso ogni 500.000 se i contatti avvengono per via mucosa. Negli USA i casi di sieroconversione documentata da HIV in operatori sanitari al 1994 sono 39 (fonte CDC). Il Programma di Prevenzione e Protezione Affinché un intervento a tutela dei lavoratori possa ritenersi efficace è necessario che si articoli attraverso tre punti significativi: Il rispetto delle precauzioni standard; L’informazione e la formazione permanente (D.Lgs. 626/94) La disponibilità e l’utilizzo dei Dispositivi di Protezione e Protezione (individuali e collettivi) LE PRECAUZIONI STANDARD Con la definizione di Precauzioni Standard si intendono l’insieme di indicazioni per la gestione del rischio biologico sia in relazione alle attività che vengono svolte sul paziente che sull’ambiente. All’interno di tali disposizioni, sono indicati anche i DPI che devono essere utilizzati e soprattutto le loro modalità di utilizzo. Definite come Precauzioni Universali nel 1983, sono state poi successivamente definite come Precauzioni Standard, con particolare riguardo per la prevenzione di patogeni trasmissibili con il sangue, come HIV e virus patitici B e C. Gli aspetti principali, validi per tutti i pazienti, riguardano: il lavaggio delle mani, le misure barriera (soprattutto l’uso dei guanti), e le cautele nell’utilizzo di aghi e altri oggetti taglienti. INFORMAZIONE, FORMAZIONE E ADDESTRAMENTO. L’analisi dell’andamento degli infortuni ha confermato il ruolo centrale della formazione e informazione, specie se riguardante l’utilizzo di dispositivi specifici, nella strategia di prevenzione. Tale centralità è d’altra parte ribadita ance dal D.Lgs. 626/94, al capo VI, art. 21 e 22 che la impone come un obbligo del datore di lavoro. INFORMAZIONE: attività di comunicazione tesa a divulgare direttive, indicazioni e novità; FORMAZIONE: acquisizione e aggiornamento continuo delle conoscenze, ottenuta in genere mediante incontri didattici. ADDESTRAMENTO: acquisizione di abilità operative specifiche, perseguibile solo attraverso sessioni/prove pratiche e da periodi di affiancamento e/o supervisione. Questi tre momenti rappresentano dei passaggi essenziali nel processo di crescita culturale aziendale. Le precauzioni universali per la prevenzione delle infezioni professionali da HBV, HCV, HIV Nello svolgimento di qualsiasi operazione in cui si prevede la possibilità di venire a contatto col sangue dei pazienti o con gli altri loro liquidi o materiali biologici potenzialmente infettanti gli operatori sanitari devono indossare idonei dispositivi individuali di protezione che vengono complessivamente denominati come mezzi di barriera. Quelli cui si deve fare ricorso più frequentemente sono i guanti, dal momento che le mani sono le parti del corpo che più facilmente possono entrare in contatto col sangue dei pazienti. Ovviamente i guanti nulla possono contro le ferite da ago o da altri oggetti acuminati o taglienti, mentre sono in grado di fornire un’efficace protezione quando l’esposizione a sangue avviene per contatto incruento. Prima di indossarli è necessario togliere anelli, bracciali, orologi ed altri simili oggetti che ne facilitano la rottura; inoltre ci si deve lavare accuratamente le mani prima e dopo il loro impiego. Quando si indossano i guanti non vanno toccati telefoni, rubinetti, maniglie ed altri oggetti di uso promiscuo. Quando si rompono, i guanti vanno sostituiti immediatamente. Dopo l’uso, i guanti vanno tolti avendo cura di non toccare la loro superficie esterna e vanno eliminati negli appositi contenitori per i rifiuti ospedalieri. Più limitate sono invece le indicazioni per i mezzi di protezione delle mucose oculari, nasali ed orali (occhiali, visiere, maschere) il cui impiego è limitato a quelle attività nel corso delle quali è possibile avere proiezione di schizzi di sangue o di altri liquidi o materiali potenzialmente infetti. Si ricorda che: - gli occhiali devono essere chiusi sui lati e che le comuni montature non danno sufficiente protezione; - oltre a proteggere il volto, nelle attività in cui si può avere proiezione di schizzi ed in quelle in cui si può avere abbondante sanguinamento (chirurgia dei vasi, assistenza al parto, etc.) è bene proteggere con indumenti impermeabilizzati gli avambracci ed il tronco; - quando si impiegano oggetti acuminati e taglienti (aghi, strumenti chirurgici, rasoi, etc.) occorre adottare tutte le procedure operative utili a prevenire possibili incidenti; - le superfici imbrattate di sangue vanno tempestivamente ripulite, utilizzando allo scopo soluzioni di ipoclorito; - il trattamento e l’eliminazione dopo l’uso dei vari materiali venuti a contatto con sangue o altri liquidi o materiali biologici potenzialmente infetti deve avvenire nella massima sicurezza; i materiali privi di parti pungenti o taglienti vanno riposti negli appositi contenitori per rifiuti ospedalieri. I materiali pungenti o taglienti vanno riposti negli appositi contenitori a pareti rigide immediatamente dopo l’uso; - per quanto riguarda infine ogni tipo di materiale riutilizzabile tutte le operazioni destinate al loro successivo impiego, variabili a seconda del tipo di materiale, devono avvenire nel rispetto di rigorose procedure di sicurezza. Ricordiamo che sono disponibili in commercio presidi (siringhe e simili) dotati di aghi retrattili o autoreincappuccianti o comunque dotati di coperture protettive; - il frequente lavaggio delle mani costituisce una misura aggiuntiva a quelle fin qui ricordate, spesso ingiustamente trascurata, ma che conserva intatta la sua utilità; - l’affissione del segnale internazionale di rischio biologico può svolgere un’utile funzione di richiamo al rispetto delle procedure di sicurezza. Il trasporto dei campioni dai reparti di degenza ai diversi laboratori è una fase durante la quale si possono verificare spandimenti di sangue o altri liquidi biologici o infortuni.Operativamente, prima che ogni provetta o altro venga inviata al laboratorio si dovrà aver cura di verificare che: - il liquido contenuto non sia sovrabbondante (in genere le provette hanno una tacca che indica il limite di riempimento); - il tappo sia ben serrato; - che non sia contaminata la superficie esterna dei campioni. I primi due compiti vengono facilitati se non addirittura resi superflui dall’impiego di sistemi di prelievo sottovuoto.I campioni devono essere trasportati all’interno di contenitori rigidi che consentano di disporre le provette una separata dall’altra, dotati di sistemi di raccolta di eventuali percolamenti di liquido. Nel caso si debba trasportare una sola provetta questa può in alternativa essere inserita all’interno di una busta di plastica sigillata. Prescrizioni minime per le manovre invasive - la cateterizzazione cardiaca e le procedure di angioplastica; - il parto cesareo o vaginale, ed ogni altra procedura ostetrica invasiva che può determinare il sanguinamento; - la manipolazione, il taglio o la rimozione di ogni tessuto periorale inclusi i denti, in cui si verifica o può verificarsi il sanguinamento. Quelle che seguono sono le prescrizioni minime che tutti gli operatori che eseguono delle manovre invasive debbono rispettare: - tutti gli operatori che partecipano all’effettuazione di manovre invasive debbono adottare routinariamente le misure per prevenire il contatto di cute e mucose con il sangue e altri liquidi biologici di tutti i pazienti. - guanti e maschere chirurgiche debbono essere indossati nel corso di tutte le procedure invasive; - occhiali o maschere facciali debbono essere impiegate durante l’esecuzione di manovre che determinano comunemente schizzi di sangue o altri liquidi biologici, o la produzione di frammenti ossei; - camici e grembiuli di materiali che forniscono una efficace protezione (gomma – plastica) debbono essere indossati sempre durante l’esecuzione di manovre che possono determinare schizzi di sangue o di altri liquidi biologici; - tutti gli operatori che seguono parti vaginali o cesarei, o assistono ad essi, debbono indossare guanti e camici durante la manipolazione della placenta o del neonato, fino a che il sangue o il liquido amniotico non siano stati rimossi dalla cute del neonato e durante l’assistenza al cordone ombelicale; - se un guanto si rompe, o si verifica una puntura o un altro incidente, il guanto deve essere rimosso e sostituito con un nuovo guanto appena le condizioni del paziente lo rendono possibile; l’ago o lo strumento dell’incidente debbono essere rimossi dal campo sterile. A Riassunto delle precauzioni standard B Pratiche operative di sicurezza B1 Il prelievo venoso con sistema sottovuoto e ago di sicurezza per la prevenzione delle punture accidentali B2 Il prelievo venoso con sistema sottovuoto e ago emicranico di sicurezza per la prevenzione del le punture accidentali B3 Il prelievo arterioso con siringa eparinata e dispositivo di sicurezza per la prevenzione delle punture accidentali B4 Il cateterismo venoso periferico con dispositivo infusionale integrato di sicurezza B5 Il cateterismo venoso periferico con agocannula con valvola di iniezione di sicurezza C Misure di primo intervento in caso di: C1 Puntura accidentale o ferita C2 Contaminazione delle mucose D Trattamento delle esposizioni occupazionali a HBV, HCV e HIV A Riassunto delle precauzioni standard QUANDO SI APPLICANO Le precauzioni standard si applicano in tutti i casi di contatto con materiali biologici, specie se umani. LAVAGGIO DELLE MANI