indice - Medico autorizzato n°990 radioprotezione

ASL RMD
RISCHIO BIOLOGICO E
PUNTURE
ACCIDENTALI
NEGLItecnico
OPERATORI
Manuale
operativo
A cura del
SANITARI
Servizio Prevenzione e Protezione
U.O. Medico Competente
INDICE
Prefazione
Introduzione
Capitolo 1
Rischi da esposizione al sangue:
evidenze epidemiologiche
Rischio ed esposizione accidentale
Capitolo 2
Profili di rischio :
Il sangue e le altre possibili fonti di infezione
Maggior livello di rischio, come e perché
Dispositivi medici coinvolti
Le situazioni di maggior pericolo
Capitolo 3
Programma di prevenzione e protezione:
Le precauzioni standard
Informazione, formazione e addestramento
Dispositivi medici per la prevenzione delle punture accidentali
Efficacia dei programmi di prevenzione e protezione
Capitolo 4
Protocollo post esposizione
Procedure immediate
Segnalazione avvenuta esposizione
Immuno e chemioprofilassi post esposizione
Follow up diagnostico post esposizione
Capitolo 5
Diritti e doveri
Responsabilità del datore di lavoro
Responsabilità di dirigenti e preposti
Responsabilità dei lavoratori
Diritti dei lavoratori
Conclusioni
Bibliografia
Appendice
Schede operative
Prefazione
Il rischio biologico è la probabilità che insorga un fenomeno patologico in seguito
ad
una
interazione
tra
un
agente
patogeno
e
una
cellula
ospite.
Il D. Lgs.626/94 (titolo VIII) definisce gli agenti biologici come "qualsiasi microrganismo, anche
geneticamente modificato, endoparassita umano e colture cellulare che potrebbe provocare infezioni,
allergie o intossicazioni" e li classifica in ordine di pericolosità, a secondo del rischio di infezione di cui
sono
o
potrebbero
essere
portatori.
Gli agenti biologici (virus, batteri, parassiti, funghi) sono pertanto distinti in gruppi:
gruppo 1 agenti biologici con nessuna o scarsa probabilità di causare malattia in soggetti
sani.
gruppo 2 agenti biologici con moderato rischio individuale e limitato rischio collettivo, per i
quali sono
disponibili, di norma, efficaci misure profilattiche e terapeutiche (es. Legionella,
Salmonella typhi e
Cytomegalovirus).
gruppo 3 agenti biologici, con elevato rischio individuale e basso rischio collettivo, per i quali
sono di
sponibili, di norma, efficaci misure profilattiche e terapeutiche (es. Virus Epatite B,
C e HIV).
gruppo 4 agenti biologici con elevato rischio individuale e collettivo, in quanto non sono
disponibili, di norma, efficaci misure profilattiche e terapeutiche (es. Virus Ebola). xxxxxxx
x
La vigente normativa impone l'attuazione delle misure di protezione da agenti biologici a tutte quelle attività
lavorative nelle quali vi siano i rischi di esposizione ad agenti patogeni; il Datore di Lavoro pertanto ha
l'obbligo di individuare le attività a rischio e predisporre le necessarie misure preventive utili a ridurre
l'esposizione agli agenti biologici.
In ambito sanitario - scientifico i settori che risultano a potenziale esposizione ad agenti biologici sono gli
ambulatori, i servizi di assistenza e di sterilizzazione, il blocco operatorio e blocco parto e i laboratori
diagnostici, nei quali la presenza degli agenti patogeni come contaminanti degli ambienti di lavoro e dei
materiali non è deliberata bensì involontaria. In altri casi invece la presenza dei patogeni nell'ambiente di
lavoro è volontaria e intenzionale (deliberata) in quanto i microrganismi costituiscono materiale di studio e
di lavoro come avviene nei laboratori di ricerca e nei laboratori di microbiologia e batteriologia.
L'uso deliberato degli agenti biologici di classe 2 o 3 impone al Datore di Lavoro di inviare comunicazione
di utilizzo all'organo di vigilanza territorialmente competente (USL) almeno 30 giorni prima dell'inizio dei
lavori; Nel caso si utilizzino agenti biologici di classe 4 ci deve essere il rilascio dell'autorizzazione da parte
del Ministero della Sanità.
Gli operatori maggiormente esposti a rischio biologico sono:
il personale medico-infermieristico addetto alla diagnostica, alla terapia e all'assistenza;
il personale addetto ai prelievi e i laboratori di analisi;
il personale addetto ai servizi di lavaggio disinfezione e sterilizzazione di materiali infetti,
gli addetti alla manutenzione degli impianti di acque di scarico potenzialmente infette.
gli addetti ai laboratori di ricerca che utilizzano materiale infetto o potenzialmente infetto o fanno uso di
agenti patogeni a scopo didattico-scientifico.
Qual è il problema?
Negli ultimi anni è notevolmente cresciuta tra gli operatori sanitari la preoccupazione per
il rischio di contrarre una malattia infettiva a causa della propria attività lavorativa; su
questo atteggiamento ha sicuramente influito la comparsa sulla scena mondiale
dell’epidemia di AIDS, che ha destato non poco allarme anche in questo settore.
In realtà l’esperienza accumulata in questi anni consente di affermare con relativa
tranquillità che il pericolo rappresentato dall’AIDS per gli operatori sanitari è stato
probabilmente sovrastimato in passato.
Negli stessi anni, però, l’introduzione di una valida vaccinazione contro l’epatite B ha
forse indotto qualcuno ad un eccesso di ottimismo nei confronti di una malattia che in
passato ha fatto pagare un pesante tributo agli operatori sanitari e che, verosimilmente,
non sarà così facile debellare. A completare il quadro di luci ed ombre, sempre più vanno
crescendo le preoccupazioni per l’epatite C, malattia ancora per molti versi sfuggente ma
certamente da considerare con estrema serietà. La recrudescenza della tubercolosi e la
comparsa di micobatteri resistenti a diversi chemioterapici, infine, rinnovano antiche
paure forse mai del tutto dissolte.
Questo opuscolo è dedicato all’AIDS, alle epatiti B e C, ed alla tubercolosi; non perché
queste siano le uniche infezioni professionali possibili per gli operatori sanitari, ma
perché sono quelle che a nostro avviso rivestono un maggior interesse pratico e per le
quali gli organismi nazionali ed internazionali che si occupano di prevenzione hanno
suggerito specifiche indicazioni operative. Sporadici casi di altre malattie infettive
contratte sul lavoro dagli operatori sanitari vengono di tanto in tanto segnalati, ma per
prevenirli ci si limita di solito a raccomandare il rigoroso rispetto della buona pratica
d’igiene ospedaliera e di laboratorio.
Qual è la reale portata del rischio che corrono oggi gli operatori sanitari del nostro paese
di contrarre l’epatite B, l’epatite C, l’AIDS, la tubercolosi a causa del loro lavoro?
Modesta per l’epatite B e l’AIDS; un po’ più consistente, per l’epatite C e la tubercolosi.
Ribadiamo la necessità di considerare i valori sopra forniti solo come orientativi, sia
perché le stime su cui si basano non sono sempre particolarmente robuste, sia perché la
diffusione dei soggetti portatori dell’HBV, dell’HCV e dell’HIV varia da una zona all’altra
del paese, non è costante nel tempo, può essere più elevata nei pazienti ospedalizzati
ed in particolare in quelli ricoverati in determinati reparti. Inoltre è opportuno ricordare
che, come non tutte le esposizioni danno infezione, così non a tutte le infezioni segue
necessariamente la malattia.
I tentativi compiuti per stimare l’entità del rischio di tubercolosi si fondano su calcoli di
estrema complessità ed hanno finora dato risultati piuttosto aleatori; in buona sostanza
possiamo affermare che nel nostro paese la tubercolosi contratta dagli operatori sanitari
verosimilmente a seguito di esposizione professionale pur non essendo un’evenienza
frequente non può nemmeno dirsi eccezionale.
E’ legittimo chiedersi, a questo punto, come mai ci si preoccupi tanto di rischi che paiono
essere molto piccoli. A questa domanda ci sono numerose valide risposte: la prima, e
forse la più importante è che se i rischi sono piccoli, le malattie che comunque ne
possono seguire sono tutte decisamente serie, sia nelle loro manifestazioni immediate,
sia nelle conseguenze a distanza nel tempo. Nel caso dell’AIDS, poi, ci si trova davanti
ad una malattia fino ad oggi ancora ad esito prevalentemente infausto. In secondo luogo
occorre ricordare, accanto ai danni fisici, le importanti ripercussioni psicologiche che
anche il solo sospetto di poter sviluppare una di queste infezioni determina non soltanto
nei diretti interessati, ma anche nei loro colleghi di lavoro, negli amici, nei familiari. Infine
le misure che verranno suggerite più avanti in questa monografia hanno un’efficacia
anche nei confronti di molti altri microorganismi oltre a quelli di cui qui ci si occupa.
Chi interessa?
Il rischio di epatite B, epatite C ed AIDS deve essere preso in considerazione per la
quasi totalità degli operatori sanitari a diretto contatto con i pazienti.
Ciò dipende dal combinarsi di due fattori: è di fondamentale importanza pratica
considerare tutti i pazienti potenzialmente infettanti, perché la ricerca di quelli che lo
sono davvero è più facile da affermare che da praticare e, quando si cerca di attuarla,
risulta estremamente inaffidabile esponendo così gli operatori sanitari a rischi
inaccettabili; il più comune veicolo dell’infezione per queste tre malattie è rappresentato
dal sangue, e la possibilità di venire a contatto col sangue dei pazienti riguarda una
svariatissima gamma di attività sanitarie.
Il rischio di tubercolosi è invece più circoscritto perché l’obiettivo di identificare i pazienti
potenzialmente infettanti è praticabile, tanto che proprio da qui prendono avvio le misure
preventive a tutela degli operatori sanitari.
I pazienti potenzialmente infettanti sono riconoscibili perché buona parte di essi accede
alle strutture sanitarie per curare la tubercolosi (o l’AIDS) o, pur accedendo alle strutture
sanitarie per ragioni differenti, presenta una sintomatologia che unitamente ad altri indizi
(età, area di provenienza, immunodepressione ecc.) induce a sospettare la tubercolosi.
Da cosa dipende?
Si è già ricordato che l’esposizione professionale all’HBV, HCV e HIV deriva nella gran
maggioranza dei casi dal contatto col sangue dei pazienti.
Anche altri liquidi e materiali biologici sono però in grado di trasmettere questi virus (vedi
tabella 1) ed anch’essi vanno pertanto trattati con le stesse precauzioni che saranno
suggerite per il sangue.
Tabella 1 - Liquidi e materiali biologici che possono contenere l’HBV, l’HCV e l’HIV a concentrazioni
infettanti
SEMPRE
SOLO SE CONTAMINATI DA
SANGUE VISIBILE
Liquido cerebro spinale
Feci
Liquido sinoviale
Urine
Liquido peritoneale
Lacrime
Liquido pleurico
Vomito
Liquido pericardico
Sudore
Liquido amniotico
Latte
Sperma
Secrezioni vaginali
Tessuti solidi (biopsie, pezzi chirurgici)
La possibilità di infettarsi dipende fondamentalmente dall’interazione tra due elementi:
la suscettibilità del singolo operatore, che può essere protetto dalle difese immunitarie
aspecifiche o dall’immunità specifica naturale o acquisita (quest’ultima riguarda solo
l’epatite B);
l’entità dell’esposizione, che dipende non solo dal liquido o dal materiale biologico con
cui si viene a contatto ma anche da altri fattori; alcuni tra i più rilevanti sono riportati in
tabella 2.
Tabella 2 - Fattori che aumentano il rischio d’infezione a seguito di un’esposizione professionale
Ferita o lesione profonda, spontaneamente sanguinante
Puntura con ago cavo utilizzato in un vaso del paziente
Presenza di sangue in quantità visibile sullo strumento con cui ci si punge o taglia
Contaminazione congiuntivale massiva
Ovviamente, quanto più numerose sono le occasioni in cui si può venire a contatto col
sangue dei pazienti o con altri liquidi o materiali biologici potenzialmente infettanti, tanto
maggiore è il rischio d’infezione (vedi tabella 3).
Tabella 3 - Esempi di possibili occasioni di contatto col sangue dei pazienti o con altri liquidi o
materiali potenzialmente infettanti
Attività di pronto soccorso
Attività chirurgica
Medicazione di ferite chirurgiche
Prelievi di sangue
Indagini invasive (toracentesi, paracentesi, artrocentesi, etc.)
Emodialisi
Diagnostica di laboratorio
Cure odontoiatriche
L’esame della tabella, peraltro non esaustiva, è d’aiuto nell’identificare i reparti
ospedalieri e le attività sanitarie che si svolgono al di fuori dell’ospedale che presentano i
rischi più elevati per gli operatori di contrarre un’infezione da HBV, HCV o HIV.
Anche l’esame degli incidenti che si verificano in ospedale fornisce utili informazioni in
proposito: le punture accidentali da ago e le lesioni per contatto con strumenti taglienti o
pungenti costituiscono la più comune causa di contatto col sangue dei pazienti. A questo
proposito ricordiamo, non senza una certa meraviglia, che un numero per nulla
trascurabile di punture accidentali è causato da manovre ormai da tempo unanimemente
sconsigliate, quali il reincappucciamento degli aghi dopo il loro impiego.
Di rilievo risultano anche le esposizioni attraverso la cute. Se è vero che la cute integra
impedisce il passaggio dei virus, solo di rado la cute risulta del tutto integra; microlesioni,
specialmente a livello del letto ungueale, sono infatti estremamente comuni. Se poi sono
presenti più ampie soluzioni di continuità o lesioni essudative il passaggio dei virus
attraverso la cute risulta ancor più facile.
Grande attenzione va posta anche alle manovre che possono produrre schizzi di sangue
(chirurgia vasale o su zone riccamente vascolarizzate, prelievi arteriosi, punture
esplorative, etc.), per il possibile imbrattamento delle mucose oculari, orali o nasali, che
rappresentano una possibile porta d’entrata per l’HBV, l’HCV e l’HIV.
L’esposizione professionale al micobatterio della tubercolosi avviene invece per via
aerea: i pazienti che presentano lesioni tubercolari comunicanti con l’esterno emettono
parlando, e assai di più starnutendo o tossendo, una grande quantità di micobatteri che
si disperdono in aria.
L’effettiva suscettibilità degli operatori sanitari è difficile da stabilire per la grande
complessità che hanno gli aspetti immunologici della tubercolosi; a tale proposito occorre
tenere presente che la vaccinazione antitubercolare, soprattutto negli adulti, non è
sempre capace di offrire un adeguato grado di protezione.
Come lo si affronta?
Le strategie per affrontare da un lato il rischio professionale di epatite B, C ed AIDS e
dall’altro quello di tubercolosi seguono, come si è già avuto modo di accennare, due
opposte strade.
Epatite B e C, AIDS - Le precauzioni universali
Per ridurre quanto più possibile il rischio professionale di epatite B, C e di AIDS esiste un
insieme di misure da adottare sempre, vale a dire nel corso dell’assistenza di tutti i pazienti
che vanno sempre considerati potenzialmente infetti, anche quando risultano sieronegativi.
Per questa ragione si parla di "precauzioni universali", il cui obiettivo ideale è impedire
sempre il contatto tra operatori sanitari e sangue o altri liquidi o materiali biologici
potenzialmente infetti (vedi tabella 1).
Elaborate in origine dal più autorevole centro mondiale di sorveglianza delle malattie
infettive, i Centers for Disease Control and Prevention (CDC) di Atlanta, sono state
progressivamente adottate da un gran numero di paesi, compresa l’Italia, come linee-guida
per la prevenzione delle infezioni professionali da HBV, HCV ed HIV.
All’opposto, le misure da adottare contro il rischio professionale di tubercolosi scattano a
partire dall’identificazione dei pazienti potenzialmente infettanti; perché risultino efficaci è
perciò indispensabile che tale identificazione sia la più precoce possibile.
Epatite B e C, AIDS - La vaccinazione
Mentre non esiste ancora la possibilità di vaccinarsi contro l’AIDS e l’epatite C, è invece
disponibile ormai da diversi anni un vaccino contro l’epatite B che possiede soddisfacenti
caratteristiche di efficacia e di sicurezza. Gli operatori sanitari rientrano tra le categorie di
persone per le quali la vaccinazione è raccomandata.
La vaccinazione ha oggi un ruolo di primaria importanza per la prevenzione dell’epatite B ed
è quindi bene valutare l’immunità specifica nei confronti dell’HBV di ogni persona che inizia la
sua attività in una struttura sanitaria e, in difetto, proporre la vaccinazione seguendo le
procedure basate sul consenso informato. Come per ogni altra vaccinazione, occorre
rispettare il programma vaccinale e tenere le registrazioni del caso.
Gli operatori sanitari, anche quando sono vaccinati devono comunque adottare tutte le
restanti precauzioni, perché le modalità con cui si trasmette in ambito professionale l’epatite
B sono esattamente le stesse dell’epatite C e dell’AIDS.
Capitolo 1
I rischi da esposizione al sangue:
Nelle strutture sanitarie l'esposizione al rischio biologico è un problema di grande
rilevanza, dato che la particolare tipologia lavorativa comporta una frequente esposizione
degli operatori ad un elevata varietà di microrganismi.
L'attuazione, di norma, di specifiche procedure igieniche garantiscono il controllo della
maggioranza degli agenti biologici presenti negli ambienti di lavoro, trasmissibili per via
parenterale quali il virus dell'epatite B (HBV), C (HCV) virus dell'aids (HIV), oltre a quelli
trasmissibili per via aerea quale al Mycobacterium tuberculosis (agente eziologico della
tubercolosi).
Questi rischi interessano, sia pure in misura diversa, tutti quegli operatori la cui
professionalità li espone ad un eventuale contatto con materiali biologici infetti o
potenzialmente infetti quali:
sangue intero o frazionato,
liquidi biologici (Pleurico, sinoviale, pericardico, amniotico),
vomito, saliva, lacrime, urine se mischiati a sangue,
tessuti solidi o frammenti ossei derivante da interventi chirurgici o biopsie.
Il problema, noto già dal secolo scorso, venne alla risalta negli anni 80 in seguito alla
preoccupazione del rischio contagio da HIV.
Attualmente il problema sembra notevolmente ridimensionato, sebbene questo posa portare
spesso nella pratica ad una sottostima del rischio, sia da parte degli operatori della
prevenzione che non dispongono di dati attendibili relativi agli incidenti occupazionali, ma
soprattutto degli operatori stessi per quella che viene definita come “assuefazione al rischio”
In realtà l’Epatite B non dovrebbe più rappresentare un rischio occupazionale, in seguito
all’introduzione della vaccinazione, come testimoniato dai dati SIROH per cui dal 1986 al
2002 è stato segnalato un solo caso di sieroconversione dopo esposizione a sangue infetto
da parte di un operatore sanitario.
Come già detto tale valutazione corrisponde a vero solo in parte, in quanto, non tutti gli
operatori sanitari, specie di reparti a rischio (lab. Analisi, centro prelievi, dialisi, blocco
operatorio, chirurgia e anestesia e rianimazione) hanno compreso in pieno l’utilità della
vaccinazione e pertanto c’è ancora del personale non protetto.
In questa direzione, i numerosi sforzi del Medico Competente per garantire loro la copertura
vaccinale , non hanno ottenuto il risultato sperato, tanto che il D.Lgs. 626/94, la magistratura
e l’Istituto di Sanità hanno dovuto più volte ribadire il concetto della obbligatorietà per il
Datore di lavoro di mettere a disposizione vaccini ……… laddove esistenti ( art…..),
l’obbligatorietà all’effettuazione degli stessi da parte del Lavoratore (per quanto ad oggi la
vaccinazione sia consigliata), la possibilità per il Medico Competente di negare l’idoneità
lavorativa.
Per l’Epatite C, rappresenta invece un vero problema, specie per gli operatori sanitari, sia
per l’assenza di vaccini e di protocolli terapeutici efficaci al 100%, che al tempo stesso per la
crescente diffusione nella popolazione generale, fonte di infezione.
Ad oggi in Italia, nel periodo 1994-2002, i casi certi di sieroconversione negli operatori
sanitari sono stati 14, di cui 8 hanno sviluppato un epatite cronica HCV-correlata.
Ogni anno nel nostro paese sono attese oltre 70.000 esposizioni occupazionali al rischio
biologico negli operatori sanitari.
Recenti studi di valutazione stimano che ogni anno 100 dei 300.000 infermieri
professionali italiani contraggono l’epatite C (HCV) a seguito di un’esposizione
occupazionale a materiale biologico infetto e che gli incidenti da punture accidentali
rappresentano la seconda causa di infortunio tra gli operatori sanitari.
Stima del rischio di contrarre l'epatite B, C o l’AIDS a seguito di esposizione
professionale
Epatite B
Sono state prodotte stime di rischio d’infezione notevolmente difformi che vanno dal 6%
al 30%; in pratica ciò significa che secondo certi studiosi un operatore sanitario che
avesse sempre a che fare con pazienti certamente infettanti svilupperebbe un’infezione
ogni 15 contatti col sangue dei pazienti (stima del 6%) oppure ogni 3 contatti (stima del
30%). Considerando che non tutti i pazienti sono in realtà infettanti, in quanto si stima
che solo tra l’1.5% ed il 3% degli italiani sia portatore del virus dell’epatite B (HBV), il
rischio effettivo d’infezione dopo un contatto con sangue risulta più basso di circa 50
volte.
Ciò significa che si rischierebbe un caso di infezione da HBV ogni 750 contatti con
sangue dei pazienti secondo le stime più rassicuranti, o ogni 150 secondo le più
pessimiste.
A completare il quadro si ricorda che per i soggetti vaccinati il rischio d’infezione è
praticamente azzerato.
Epatite C
Le stime di rischio d’infezione oscillano in un ambito più ristretto, tra il 2% ed il 10%;
avendo a che fare sempre con pazienti certamente infettanti un operatore sanitario
svilupperebbe un’infezione ogni 50 contatti con sangue (stima del 2%) oppure ogni 10
(stima
del
10%).
In Italia i portatori del virus dell’epatite C (HCV) sono anch’essi stimati tra l’1.5% ed il 3%
di
tutta
la
popolazione.
Procedendo in analogia a quanto si è sopra esposto per l’epatite B, il reale rischio
d’infezione per gli operatori sanitari a seguito di contatti col sangue dei pazienti sarebbe
pertanto di un caso d’infezione ogni 2500 contatti secondo le stime più ottimistiche ed
ogni 500 secondo le più pessimistiche.
AIDS
Si stima un rischio d’infezione tra lo 0.3% e lo 0.1% a seconda della modalità di contatto
col sangue (il valore più basso è quello riferito al contatto attraverso le mucose oculari,
della bocca e del naso); nell’ipotesi che tutti i pazienti siano infettanti si avrebbe un caso
d’infezione ogni 300 contatti con sangue, oppure ogni 1.000 se il contatto è per via
mucosa.
Poichè la diffusione del virus dell’AIDS (HIV) è stimata attorno al 2 per mille nella
popolazione
italiana
i
valori
precedenti
vanno
moltiplicati
per
500.
Il reale rischio d’infezione da HIV per gli operatori sanitari sarebbe pertanto di un caso
ogni 150.000 contatti col sangue dei pazienti che diviene un caso ogni 500.000 se i
contatti avvengono per via mucosa.
Negli USA i casi di sieroconversione documentata da HIV in operatori sanitari al 1994
sono 39 (fonte CDC).
Il Programma di Prevenzione e Protezione
Affinché un intervento a tutela dei lavoratori possa ritenersi efficace è necessario che si articoli attraverso tre punti
significativi:
Il rispetto delle precauzioni standard;
L’informazione e la formazione permanente (D.Lgs. 626/94)
La disponibilità e l’utilizzo dei Dispositivi di Protezione e Protezione (individuali e collettivi)
LE PRECAUZIONI STANDARD
Con la definizione di Precauzioni Standard si intendono l’insieme di indicazioni per la gestione del rischio biologico
sia in relazione alle attività che vengono svolte sul paziente che sull’ambiente. All’interno di tali disposizioni, sono
indicati anche i DPI che devono essere utilizzati e soprattutto le loro modalità di utilizzo.
Definite come Precauzioni Universali nel 1983, sono state poi successivamente definite come Precauzioni Standard,
con particolare riguardo per la prevenzione di patogeni trasmissibili con il sangue, come HIV e virus patitici B e C.
Gli aspetti principali, validi per tutti i pazienti, riguardano: il lavaggio delle mani, le misure barriera (soprattutto l’uso
dei guanti), e le cautele nell’utilizzo di aghi e altri oggetti taglienti.
INFORMAZIONE, FORMAZIONE E ADDESTRAMENTO.
L’analisi dell’andamento degli infortuni ha confermato il ruolo centrale della formazione e informazione, specie se
riguardante l’utilizzo di dispositivi specifici, nella strategia di prevenzione.
Tale centralità è d’altra parte ribadita ance dal D.Lgs. 626/94, al capo VI, art. 21 e 22 che la impone come un obbligo
del datore di lavoro.
INFORMAZIONE: attività di comunicazione tesa a divulgare direttive, indicazioni e novità;
FORMAZIONE: acquisizione e aggiornamento continuo delle conoscenze, ottenuta in genere mediante incontri
didattici.
ADDESTRAMENTO: acquisizione di abilità operative specifiche, perseguibile solo attraverso sessioni/prove
pratiche e da periodi di affiancamento e/o supervisione.
Questi tre momenti rappresentano dei passaggi essenziali nel processo di crescita culturale aziendale.
Le precauzioni universali per la prevenzione delle infezioni professionali da HBV,
HCV, HIV
Nello svolgimento di qualsiasi operazione in cui si prevede la possibilità di venire a
contatto col sangue dei pazienti o con gli altri loro liquidi o materiali biologici
potenzialmente infettanti gli operatori sanitari devono indossare idonei dispositivi
individuali di protezione che vengono complessivamente denominati come mezzi di
barriera.
Quelli cui si deve fare ricorso più frequentemente sono i guanti, dal momento che le
mani sono le parti del corpo che più facilmente possono entrare in contatto col sangue
dei pazienti. Ovviamente i guanti nulla possono contro le ferite da ago o da altri oggetti
acuminati o taglienti, mentre sono in grado di fornire un’efficace protezione quando
l’esposizione a sangue avviene per contatto incruento.
Prima di indossarli è necessario togliere anelli, bracciali, orologi ed altri simili oggetti che
ne facilitano la rottura; inoltre ci si deve lavare accuratamente le mani prima e dopo il
loro impiego. Quando si indossano i guanti non vanno toccati telefoni, rubinetti, maniglie
ed altri oggetti di uso promiscuo. Quando si rompono, i guanti vanno sostituiti
immediatamente. Dopo l’uso, i guanti vanno tolti avendo cura di non toccare la loro
superficie esterna e vanno eliminati negli appositi contenitori per i rifiuti ospedalieri.
Più limitate sono invece le indicazioni per i mezzi di protezione delle mucose oculari,
nasali ed orali (occhiali, visiere, maschere) il cui impiego è limitato a quelle attività nel
corso delle quali è possibile avere proiezione di schizzi di sangue o di altri liquidi o
materiali potenzialmente infetti.
Si ricorda che:
- gli occhiali devono essere chiusi sui lati e che le comuni montature non danno sufficiente
protezione;
- oltre a proteggere il volto, nelle attività in cui si può avere proiezione di schizzi ed in quelle
in cui si può avere abbondante sanguinamento (chirurgia dei vasi, assistenza al parto,
etc.) è bene proteggere con indumenti impermeabilizzati gli avambracci ed il tronco;
- quando si impiegano oggetti acuminati e taglienti (aghi, strumenti chirurgici, rasoi, etc.)
occorre adottare tutte le procedure operative utili a prevenire possibili incidenti;
- le superfici imbrattate di sangue vanno tempestivamente ripulite, utilizzando allo scopo
soluzioni di ipoclorito;
- il trattamento e l’eliminazione dopo l’uso dei vari materiali venuti a contatto con sangue o
altri liquidi o materiali biologici potenzialmente infetti deve avvenire nella massima
sicurezza; i materiali privi di parti pungenti o taglienti vanno riposti negli appositi
contenitori per rifiuti ospedalieri. I materiali pungenti o taglienti vanno riposti negli
appositi contenitori a pareti rigide immediatamente dopo l’uso;
- per quanto riguarda infine ogni tipo di materiale riutilizzabile tutte le operazioni destinate al
loro successivo impiego, variabili a seconda del tipo di materiale, devono avvenire nel
rispetto di rigorose procedure di sicurezza.
Ricordiamo che sono disponibili in commercio presidi (siringhe e simili) dotati di aghi
retrattili o autoreincappuccianti o comunque dotati di coperture protettive;
- il frequente lavaggio delle mani costituisce una misura aggiuntiva a quelle fin qui
ricordate, spesso ingiustamente trascurata, ma che conserva intatta la sua utilità;
- l’affissione del segnale internazionale di rischio biologico può svolgere un’utile
funzione di richiamo al rispetto delle procedure di sicurezza.
Il trasporto dei campioni dai reparti di degenza ai diversi laboratori è una fase durante la
quale si possono verificare spandimenti di sangue o altri liquidi biologici o
infortuni.Operativamente, prima che ogni provetta o altro venga inviata al laboratorio si
dovrà aver cura di verificare che:
- il liquido contenuto non sia sovrabbondante (in genere le provette hanno una tacca che
indica il limite di riempimento);
- il tappo sia ben serrato;
- che non sia contaminata la superficie esterna dei campioni.
I primi due compiti vengono facilitati se non addirittura resi superflui dall’impiego di
sistemi di prelievo sottovuoto.I campioni devono essere trasportati all’interno di
contenitori rigidi che consentano di disporre le provette una separata dall’altra, dotati di
sistemi di raccolta di eventuali percolamenti di liquido. Nel caso si debba trasportare una
sola provetta questa può in alternativa essere inserita all’interno di una busta di plastica
sigillata.
Prescrizioni minime per le manovre invasive
- la cateterizzazione cardiaca e le procedure di angioplastica;
- il parto cesareo o vaginale, ed ogni altra procedura ostetrica invasiva che può
determinare il sanguinamento;
- la manipolazione, il taglio o la rimozione di ogni tessuto periorale inclusi i denti, in cui si
verifica o può verificarsi il sanguinamento.
Quelle che seguono sono le prescrizioni minime che tutti gli operatori che eseguono
delle manovre invasive debbono rispettare:
- tutti gli operatori che partecipano all’effettuazione di manovre invasive debbono
adottare routinariamente le misure per prevenire il contatto di cute e mucose con il
sangue e altri liquidi biologici di tutti i pazienti.
- guanti e maschere chirurgiche debbono essere indossati nel corso di tutte le
procedure invasive;
- occhiali o maschere facciali debbono essere impiegate durante l’esecuzione di
manovre che determinano comunemente schizzi di sangue o altri liquidi biologici, o la
produzione di frammenti ossei;
- camici e grembiuli di materiali che forniscono una efficace protezione (gomma –
plastica) debbono essere indossati sempre durante l’esecuzione di manovre che
possono determinare schizzi di sangue o di altri liquidi biologici;
- tutti gli operatori che seguono parti vaginali o cesarei, o assistono ad essi, debbono
indossare guanti e camici durante la manipolazione della placenta o del neonato, fino a
che il sangue o il liquido amniotico non siano stati rimossi dalla cute del neonato e
durante l’assistenza al cordone ombelicale;
- se un guanto si rompe, o si verifica una puntura o un altro incidente, il guanto deve
essere rimosso e sostituito con un nuovo guanto appena le condizioni del paziente lo
rendono possibile; l’ago o lo strumento dell’incidente debbono essere rimossi dal campo
sterile.
A Riassunto delle precauzioni standard
B Pratiche operative di sicurezza
B1
Il prelievo venoso con sistema sottovuoto e ago di sicurezza per la prevenzione delle
punture
accidentali
B2
Il prelievo venoso con sistema sottovuoto e ago emicranico di sicurezza per la
prevenzione del
le punture accidentali
B3
Il prelievo arterioso con siringa eparinata e dispositivo di sicurezza per la
prevenzione delle
punture accidentali
B4
Il cateterismo venoso periferico con dispositivo infusionale integrato di sicurezza
B5
Il cateterismo venoso periferico con agocannula con valvola di iniezione di sicurezza
C Misure di primo intervento in caso di:
C1
Puntura accidentale o ferita
C2
Contaminazione delle mucose
D Trattamento delle esposizioni occupazionali a HBV, HCV e HIV
A Riassunto delle precauzioni standard
QUANDO SI APPLICANO
Le precauzioni standard si applicano in tutti i casi di contatto con materiali biologici, specie se umani.
LAVAGGIO DELLE MANI