Arbitrato rituale- Contratto di intermediazione immobiliare

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CONTRATTO DI INTERMEDIAZIONE IMMOBILIARE
Arbitrato rituale- Contratto di intermediazione immobiliare- Proposta di acquisto immobiliare con persona da
nominare- Contratto preliminare di compravendita- Estensione degli effetti di un contratto nei confronti di
terzi- Interpretazione art. 1755 c.c.- Inadempimento- Risarcimento danni
Una società che si occupava di intermediazione immobiliare, regolarmente iscritta nel ruolo dei mediatori,
conveniva in sede arbitrale un consorzio per ottenere il pagamento dell’opera da essa prestata per l’acquisto
di un capannone.
I fatti sono i seguenti: la società di intermediazione veniva contattata da un’altra società al fine di provvedere
alla vendita di un capannone di sua proprietà. A seguito della sua attività di mediazione, la società
promuoveva la sottoscrizione di una proposta di acquisto del bene da parte di una persona fisica, la quale
firmava quale promettente acquirente per sé o per persona o ente da nominare. Successivamente davanti al
notaio viene sottoscritto un contratto preliminare di compravendita, le cui parti erano la società proprietaria
dell’immobile e un consorzio. In seguito, però, con scrittura privata, le parti stipulanti il preliminare di vendita
convenivano di ritenere la predetta promessa di vendita del tutto priva di effetti giuridici.
In seguito a tali fatti, la società di intermediazione immobiliare richiedeva alla società acquirente
dell’immobile quanto ad essa dovuto in forza della previsione contrattuale, dall’altra parte il consorzio si
rifiutava di darle il compenso in quanto l’affare non si era concluso perché l’immobile non risultava essere in
regola con le norme urbanistiche, e anzi richiedeva il rigetto della domanda della società immobiliare e, in via
riconvenzionale, il risarcimento dei danni da essa patiti a causa della mancata conclusione del contratto.
L’arbitro, prima di entrare nel merito delle domanda ed eccezioni proposte dalle parti, riteneva indispensabile
prendere posizione su due questioni che, pur non essendo state sollevate dalle parti, tuttavia attendevano
all’ammissibilità di detta procedura, e dunque erano rilevabili d’ufficio. La prima questione riguardava
l’effettivo stipulante la promessa d’acquisto, che non era il consorzio, ma un diverso soggetto. Pur essendo
vero che suddetta persona si era riservata la nomina di terzi “alla stipulazione notarile”, ma questa non era
mai intervenuta, e quindi si poteva lecitamente ritenere che il rapporto continuasse a rimanere in capo agli
originari stipulanti. Ma ogni dubbio era fugato dalla stessa difesa del consorzio, il quale dichiarava lo
stipulante vice presidente della società. L’altra questione sollevata dall’arbitro era legata al fatto che la
proposta di acquisto dell’immobile e la conseguente promessa di vendita successiva erano intercorse tra il
consorzio e il proprietario dell’immobile, quindi la società di intermediazione agiva in arbitrato invocando una
clausola arbitrale che era inserita in un contratto in cui essa non era parte. L’arbitro riteneva corretta l’azione
della società, in quanto il contratto contemplava una obbligazione a favore di terzi (il mediatore). In
particolare specificava il principio secondo cui “se il terzo vuol acquistare un diritto sulla base di un contratto
stipulato tra altri soggetti, lo acquisisce con tutti gli accessori, comprese le modalità di esercizio”(in maniera
conforme Cass. 2384/1997 in Giur. It. 1998, I, 29).
Risolte le questioni preliminari, poi, l’arbitro passava ad esaminare le domande delle parti. In primo luogo
constatava come dei medesimi fatti venissero date due configurazioni diverse, interpretazioni che
derivavano da una differente approccio dell’art. 1755 c.c., il quale prevede che “il mediatore ha diritto alla
provvigione da ciascuna delle parti, se l’affare è concluso per effetto del suo intervento”. L’arbitro rilevava,
riprendendo le posizioni dottrinali e giurisprudenziali dominanti, che , ai fini della mediazione, il contratto “si
ha per concluso” quando esso sia stato stipulato in modo giuridicamente idoneo a determinare gli effetti
voluti. L’arbitro riteneva che si fossero verificati tali effetti, non ritenendo, invece, rilevante, l’opposizione
della parte resistente, il quale sosteneva che era dovuto addivenire alla risoluzione del preliminare per
irregolarità urbanistica dell’immobile. L’arbitro sottolineava che, poiché nessuna delle due difese, in particolar
modo quella del convenuto, aveva mai parlato di nullità, si verteva in una ipotesi di irregolarità che esigeva
una sanatoria. Affermava, inoltre, che il consorzio era a conoscenza dell’irregolarità quando sottoscrisse il
contratto alla presenza del notaio.
Infine l’arbitro si pronunciava sul quantum debeatur. Ritenendo legittimo il richiamo fatto dalla parte attrice
della clausola contenuta nella promessa di vendita (clausola sulla quale si basava la competenza arbitrale,
la quale stabiliva che in caso in cui l’affare non potesse essere concluso per causa imputabile a un
contraente, la società immobiliare aveva comunque diritto a un risarcimento danni pari al 50% sul valore
della provvigione concordata), liquidava il risarcimento nell’ammontare in essa contenuta, rilevando che la
clausola pattizia si sovrapponeva alla normativa generale del codice civile.
Conseguentemente rigettava la domanda riconvenzionale della parte convenuta.
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