De Chirico e la rappresentazione enigmatica

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Antonio De Lisa
De Chirico e la rappresentazione enigmatica
nella pittura del Novecento
La fascinazione dell’enigma
Uno degli aspetti più interessanti nell’opera del de Chirico metafisico e
surrealista è il rapporto con l’enigma. Prendiamo un esempio, il Canto d’amore (1914),
ora nel Museum of Modern Art di New York: una testa classica (quella dell’Apollo del
Belvedere) accanto a un guanto da cucina di caucciù infisso che pende da un chiodo. Lo
storico Maurizio Calvesi ha notato una derivazione non certa, ma probabile
dall’illustrazione di un trattato di G.A. Panteo del 1530 raffigurante il laboratorio
dell’alchimista. E’ questo accostamento incongruo di oggetti che colpisce, come una
specie di geometrico mistero.
In un’autentica del 2 marzo 1976 de Chirico scrive:
“Per il Maestro Giorgio de Chirico METAFISICA vuol dire al di là delle cose
fisiche: guardando certi oggetti e anche pensando, appaiono delle forme, degli aspetti e
delle prospettive che noi comunemente conosciamo, quindi questo procura al pittore che
ha il dono o la specialità di sentire e vedere queste cose ‘al di là delle cose fisiche’ di
immaginarsi un soggetto che può essere un soggetto che si vede nell’interno di una
camera oppure di Piazza d’Italia come quelle che si vedono a Torino. Alcune immagini
metafisiche appaiono tra il sonno e la veglia, quando non si è proprio addormentati.
L’immagine nell’aspetto fisico procura sempre una gioia mista a sorpresa. Ma salvo
l’aspetto metafisico che hanno certe città come Torino, gli aspetti metafisici più
ricorrenti appaiono sempre in una stanza nella quale sul fondo compare una finestra.
Questi oggetti metafisici hanno sempre aspetti geometrici ben definiti: triangoli,
rettangoli, trapezi, qualche volta si intravede anche la sagoma di un tempio”.
Tutti questi simboli alchemici fanno venire in mente la Melencolia I di Duerer.
La netta figuratività del dipinto, che può cogliere chiunque, cela un percorso
sotterraneo. Questi enigmatici accostamenti di oggetti formano il collegamento della
metafisica dechirichiana alla tradizione ermetica.
Come scrive Antoine Faivre, “da un lato abbiamo tre fiumi, le tre ‘scienze
tradizionali’ che non sembrano appartenere in modo assoluto a nessuna epoca
particolare: alchimia, astrologia, magia (nel senso rinascimentale del termine),
generalmente legate a un’aritmosofia (o scienza dei numeri, cui si collegano
naturalmente le varie forme di esoterismo musicale) (...) D’altra parte, abbiamo un certo
numero di affluenti che hanno scavato il letto in momenti relativamente precisi (spesso
a partire da testi ‘fondatori’); non sono affatto estranei ai tre grandi fiumi, perché il tutto
si compenetra: Questi ‘affluenti’ sono, a partire dalla fine del XV secolo, la cabala
cristiana (adattamento di quella ebraica), l’ermetismo neoalessandrino, i discorsi che si
ispirano all’idea di philosophia perennis e di ‘Tradizione primordiale’, la filosofia della
Natura di tipo paracelsiano e poi romantico (parte della Naturphilosophie tedesca), e dal
XVII secolo la teosofia e le dottrine rosicruciane (inizialmente germaniche), nonché le
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associazioni successive (società iniziatiche più o meno inscritte nel solco dei
‘Rosacroce’).”1
L’ossessione della tecnica, la tecnica come ossessione
Una delle costanti del pensiero dechirichiano è l’ossessione per le tecniche
artistiche, prima di tutte per le tecniche della pittura, ma non mancano anche i saggi
sulla scultura, come per esempio l’importante Brevis Pro Plastica Oratio, dedicato
appunto alla scultura (con un titolo in latino). Non è cosa infrequente per lui
pronunciarsi su temi come l’imprimitura, i diluenti per pittura ad olio, la vernice al
litargirio, le tempere magre e semi-grasse fino a scrivere un trattatello sulle Tecniche
della pittura. Questa maniacale attenzione per tecniche e trattati, a partire da quello
medievale di Cennino Cennini, è profondamente congeniale al suo spirito e anch’essa
un tratto dell’arte d’avanguardia, anche se de Chirico preferiva usarla nel senso opposto,
come “recupero del bel dipingere”, contro l’arte d’avanguardia. Ma se guardiamo
sottotraccia, l’enorme attenzione per i materiali, unita a una rinnovata attenzione per la
teoria, sono caratteristiche peculiari del pittore contemporaneo.
Il de Chirico pittore di regime, un boccone difficile da inghiottire
Nel 1926-28 de Chirico consuma la frattura con i surrealisti, che era nell’aria da
tempo. Si avvicina al gruppo Novecento, in Italia e all’estero. Nella sua pittura
cominciano ad emergere temi come i nuovi Manichini, gli Archeologi, i Cavalli in riva
al mare, i Trofei, i Paesaggi nella stanza, i Mobili nella valle, i Gladiatori, insieme a
temi di aperta polemica culturale nei confronti delle avanguardie artistiche del primo
Novecento, di cui lui stesso è stato un protagonista (si vedano gli articoli contenuti in G.
de Chirico, Commedia dell’arte moderna, con Isabella Far, Traguardi, Nuove Edizioni
Italiane, Roma 1945). Nel 1933 de Chirico si iscrive al Partito Fascista, lo stesso anno
in cui esegue per la “V Triennale di Milano” l’affresco Cultura italiana. Comincia a
lavorare su un concetto di “pittura al quadrato”, cioè pittura che si rifà ad altra pittura,
per lo più pre-esistente, quella della grande tradizione quattrocentesca italiana, in un
modo non dissimile dal compositore Igor Stravinskij, che recupera la tradizione di
Pergolesi e della musica barocca. Non a caso de Chirico si presterà come costumista e
scenografo ad illustrare in quegli anni il Pulcinella del compositore russo. Era un po’
l’aria del tempo, aria tuttavia mefitica, non metafisica.
1
A. Faivre, L’ésotérisme, Presses Universitaires de France, Paris 1992 (tr. it. L’esoterismo. Storie e significati, SugarCo, Carnago
(Va) 1992, pp. 21-2.
2
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L’ironia negli autoritratti dell’artista nudo
Quando de Chirico riemerge dalla seconda guerra mondiale si presenta nudo
sulla scena: si veda Autoritratto nudo seduto, del 1942. In pieno cataclisma lui si siede e
si denuda. Non è significativo? Non si può condannarlo, come altri hanno voluto fare,
specie alla luce delle sue Memorie della mia vita (1945; seconda edizione ampliata
1962; ne esiste una edizione in commercio nei Tascabili Bompiani, Milano 2002), in cui
emerge con tutta evidenza che il suo scotto alle sofferenze della vita lui le aveva già
pagate, insieme al fratello Andrea, in arte Alberto Savinio.
Piuttosto è l’ironia che interessa. Se proviamo a considerare tutto quello che è
successo in arte dalla fine degli anni Cinquanta in poi, soprattutto nel filone Neo-Dada,
troviamo di nuovo questi elementi dell’ironia e del paradosso. Dopo aver anticipato il
Surrealismo di una quindicina di anni, de Chirico ha anticipato anche il NeoSurrealismo?
“La tranquilla e insensata bellezza della materia”
Ha scritto la compagna di de Chirico, Isabella Far: “Per giorni interi, alzandosi a
volte persino di notte, il pittore, come un alchimista nel suo laboratorio, cercava la
materia meravigliosa”.
Secondo Paracelso2 - che interpreta nel Rinascimento la versione magicoscientifica dell’ermetismo - l’uomo è fatto di tre cose o ‘sostanze’ (la triade o Tria
Prima), le quali costituiscono l’intero uomo, sono lui stesso, ed egli è esse, e da esse
riceve tutto ciò che è buono o cattivo per lui. Questa è la triade di Paracelso, raffigurata
iconologicamente come il Drago a tre teste. Ogni stato in cui l’uomo può entrare è
determinato da numero, misura e peso. Le Tre Sostanze sono le tre forme o modi di
azione in cui l’universale Volontà primordiale si manifesta nella natura; perché tutte le
cose sono una trinità nell’Unità. “Mercurius est spiritus, Sulphur est anima, Sal est
corpus”
Il “Sale” rappresenta il principio di corporificazione, la qualità astringente o
contrattiva o solidificante, o, in altre parole, il corpo (corpus). Lo “Zolfo” rappresenta il
potere espansivo, la forza centrifuga in contrasto col moto centripeto della prima
qualità: è ciò che “brucia”, ossia l’ anima o luce in tutte le cose (anima); Il “Mercurio” è
la Vita, ossia il principio o forma della volontà, che si manifesta come vitalità (spiritus).
“Ciò che arde è Zolfo, ciò che produce fumo è Mercurio, quanto resta in cenere è
Sale”.Ognuna di queste forme di volontà è un potere individuale; nondimeno esse sono
forme sostanziali; perché “materia” e “forza” sono una cosa sola e hanno origine dalla
stessa causa; Le tre sostanze, tenute insieme in armoniose proporzioni, costituiscono la
salute; la loro disarmonia costituisce la malattia
2
Philippus Aureolus Theophrastus Bombast di Hoheneim nacque nel 1493 nelle vicinanze di una località chiamata Maria-Einsiedeln,
un villaggio a circa due ore di cammino da Zurigo, in Svizzera. Suo padre, Guglielmo Bombast di Hoheneim, era un discendente
dell’antica e celebre famiglia Bombast detta di Hohenheim dalla sua antica residenza, conosciuta come Hohenheim, un castello presso
il villaggio di Plinningen, nelle vicinanze di Stoccarda, nel Württemberg. A sedici anni fu mandato a studiare all’Università di
Basilea. In seguito fu istruito dal celebre Johann Trithemius di Spanheim, abate di San Giacomo a Würzburg (1461-1516), uno dei
maggiori adepti della magia, dell’alchimia e dell’astrologia del periodo. Dopo una vita randagia morì a Salisburgo nel 1541, dove era
stato invitato dal Principe Palatino, il duca Ernst di Baviera, grande amante delle arti segrete.
La filosofia paracelsiana sintetizza diversi influssi e ascendenze, unendo in sé teorie metafisiche dell’antichità (gli archetipi platonici)
e affermazioni rinascimentali (il libero arbitrio umano, la facoltà dell’uomo di dominare il mondo, come pure quella di essere artefice
del proprio destino).
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“Inserito in questa prospettiva, il paracelsismo rappresenta una vasta corrente
dalle molteplici ramificazioni, dal magnetismo animale all’omeopatia passando per tutte
le forme di magia naturalis (concetto complesso a metà tra magia e scienza). Più che le
pratiche propriamente dette è la conoscenza - nel senso di “gnosi”- che sembra
contribuire a fondare il concetto di posizione esoterica3; la conoscenza nel senso in cui
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“Nell’Occidente moderno chiamiamo ‘esoterismo’ una forma di pensiero identificabile con la presenza di sei caratteri fondamentali
o componenti, distribuiti secondo un dosaggio variabile entro il suo vasto contesto storico e concreto (...)”. Questi sei caratteri
fondamentali, secondo lo storico dell’esoterismo Antoine Faivre, sono: 1) Le corrispondenze; 2) La natura viva; 3) Immaginazione e
mediazioni; 4) L’esperienza della trasmutazione; 5) La pratica della concordanza; 6) La trasmissione. Vediamoli più da vicino.
I) Le corrispondenze - Esisterebbero corrispondenze simboliche e reali (qui non c’è posto per l’astrazione!) tra tutte le parti
dell’universo visibile e invisibile (‘Ciò che è in alto come ciò che è in basso; ciò che è in basso è come ciò che è in alto...’).
Ritroviamo qui l’idea antica del microcosmo e del macrocosmo o, se si preferisce, il principio di interdipendenza universale. Queste
corrispondenze sono considerate più o meno velate a un primo sguardo, quindi destinate ad essere lette, decifrate. L’intero universo è
un grande teatro di specchi, un insieme di geroglifici da decifrare, in esso tutto è segno, tutto racchiude e diffonde mistero, ogni
oggetto nasconde un segreto. I princìpi di non contraddizione e del terzo escluso, di linearità causale sono soppiantati da quello del
terzo incluso e della sincronia. Si possono distinguere due tipi di corrispondenze. Innanzitutto quelle che esistono nella natura visibile
o invisibile, per esempio tra i sette metalli e i sette pianeti, tra i pianeti e le parti del corpo umano o il carattere (o la società), e ciò è la
base dell’astrologia; tra il mondo naturale e le regioni invisibili del mondo celeste e sopraceleste, ecc. Poi ci sono le corrispondenze
tra la natura (il cosmo) o addirittura la storia e i testi rivelati: così nella cabala, ebraica e cristiana, e in certe varietà di phisica sacra;
secondo questa forma di concordismo ispirato, si tratta di ‘vedere’ che la Scrittura (ad esempio la Bibbia) e la Natura sono
necessariamente in armonia, poiché la conoscenza dell’una favorisce la conoscenza dell’altra. In definitiva, la scena del mondo è un
fenomeno linguistico. Ma non per questo corrispondenze o concordismo significano ‘esoterismo’; essi sono presenti anche in molte
correnti filosofiche e religiose, ciascuna delle quali delimita più o meno la natura delle proprie reti di analogia e di similitudine.
Questo principio interviene anche nei metodi di divinazione, nella poesia, nella stregoneria, che pure non sono sinonimi di
esoterismo.
II) La Natura viva - Il cosmo è complesso, plurale, gerarchizzato - come abbiamo visto a proposito dell’idea di corrispondenza. La
Natura vi occupa quindi un posto essenziale. Stratificata, ricca di rivelazioni potenziali di ogni tipo, dev’essere letta come un libro. Il
termine magia, così importante nell’immaginario del Rinascimento, indica efficacemente questa idea di una Natura vista, conosciuta,
sentita essenzialmente viva in tutte le sue parti e spesso abitata, attraversata da una luce o da un fuoco nascosto che circola in essa. In
questa accezione la ‘magia’ è al tempo stesso la conoscenza delle reti di simpatie e di antipatie che uniscono le cose della Natura e
l’applicazione concreta di tali conoscenze (pensiamo alle virtù astrali di cui il mago investe i talismani, all’orfismo in tutte le sue
forme, soprattutto musicali, all’uso di pietre, metalli, piante propizie al ripristino di un’armonia fisica o psicologica perturbata).
III) Immaginazione e mediazioni - I due concetti sono legati, complementari. L’idea di corrispondenza suppone già una forma di
immaginazione incline a individuare e a utilizzare mediazioni di ogni tipo, come rituali, immagini simboliche, mandala, spiriti
intermedi. Da qui l’importanza dell’angelologia o=in questo contesto, ma anche del ‘trasmettitore’ nel senso di ‘iniziatore’, ‘guru’.
Forse è stata soprattutto questa nozione di mediazione a distinguere ciò che è mistico da ciò che è esoterico. Semplificando un po’,
potremmo affermare che il mistico - nel senso classico - aspira alla soppressione più o meno completa delle immagini e degli
intermediari, perché essi diventano per lui ostacoli all’unione con Dio. Invece l’esoterista sembra interessato di più agli intermediari
rivelati al suo sguardo interriore dalla virtù della sua immaginazione creatrice, piuttosto che tendere essenzialmente all’unione con il
diviono; preferisce soggiornare sulla scala di Giacobbe, dove salgono e scendono gli angeli, piuttosto ceh andare oltre (...)
E’ l’immaginazione che permette di utilizzare questi intermediari, questi simboli, queste immagini per fini di gnosi, di
penetrare i geroglifici della Natura, di mettere in pratica attiva la teoria delle corrispondenze e di scorgere, vedere, conoscere le entità
mediatrici tra il mondo divino e la Natura. Sarebbe istruttivo fare la storia dell’immaginazione in Occidente, cioè del suo statuto. Si
metterebbe in luce così l’importanza del tipo di immaginazione di cui ci occupiamo. Non la semplice facoltà psicologica confinata
come in Kant tra la percezione e il concetto, o la creatura folle, la maestra dell’errore e della falsità di cui sono vittime coloro che
fuggono il mondo rimanendo intrappolati nel loro universo interiore. Ma una sorta di organo dell’anima grazie al quale l’uomo
potrebbe stabilire un rapporto cognitivo e visionario con un mondo intermedio, con un microcosmo - quello che Henry Corbin ha
proposto di chiamare mundus imaginalis. L’influsso arabo (Avicenna, Sohravardhî, Ibn Arabî) ha potuto esercitare un influsso
determinante in Occidente, ma indipendentemente da esso il paracelsismo è arrivato a categorie molto simili. Ed è soprattutto per la
suggestione del Corpus hermeticum riscoperto alla fine del XV secolo che memoria e immaginazione sono associate al punto di
confondersi, poiché parte dell’insegnamento di Ermete Trismegisto consiste nell’interiorizzare il mondo nella nostra mens; da qui le
‘arti di memoria’ coltivate in una luce magica, prima e dopo il Rinascimento.
Così intesa, l’immaginazione (imaginatio è parente di magnet, magia, imago) è lo strumento della conoscenza di sé, del
mondo, del Mito, l’occhio di fuoco che trapassa la scorza delle apparenze per far scaturire significati, ‘rapporti’, per rendere visibile
l’invisibile, il ‘mundus imaginali’ al quale il solo occhio di carne non permette di accedere, e per riportare indietro un tesoro che
contribuisca a un’estensione della nostra visione prosaica. L’accento è posto sulla visione e sulla certezza piuttosto che sulla credenza
e sulla fede. Questa immaginazione fonda una filosofia visionaria. Soprattutto, innerva il discorso teosofico in cui essa si esercita e vi
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Goethe fa dire al suo Fasut che arde dal desiderio di “conoscere il mondo / nella sua
intima struttura / Di contemplare le forze attive e gli elementi primi”. A ciò si aggiunge
spesso; carica di implicazioni per l’alchimia e per una Naturphilosophie di carattere
esoterico, un’interpretazione di un insegnamento di san Paolo (Romani, 8, 19-22)
secondo la quale anche la natura malata, costretta all’esilio e alla vanità, aspetta di
partecipare alla salvezza. Così si trovano fondate una scienza della Natura, una gnosi
carica di elementi soteriologici, una teosofia che lavora sul triangolo ‘Dio-UomoNatura’ da cui il teosofo fa scaturire corrispondenze di tipo drammaturgico sempre
nuove e complementari tra loro”.4
De Chirico, che disprezzava tanto i pittori “di ricerca”, cercava anche lui
qualcosa, attraversando tre quarti di un secolo impetuoso. Ci sarebbe da chiedersi che
cosa ci ha lasciato delle sue ricerche, a parte una tomba senza nome, il 22 novembre
1978. Enigma, sogno, coraggio e forza nell’uso dei colori, uso delle ombre dirette e
portate, ironia e auto-ironia. Infine verrebbe da chiedersi a chi porlo accanto nella
galleria dei ritratti di maestri italiani che possono ancora dirci qualcosa. La risposta,
forse, non è difficile: Umberto Boccioni, Giorgio Morandi, Lucio Fontana, Alberto
Burri. Fare i conti con de Chirico e con costoro significa fare i conti col Novecento.
Maestri cultori dell’“insensata bellezza della materia”.
Conclusioni
Sarebbe difficile giudicare quanto abbiano in comune le esperienze che abbiamo
preso in considerazione. Meno difficile stabilire che abbiano effettivamente qualcosa in
comune. Potrebbe trattarsi di una concezione legata al concetto di pittura come “scienza
occulta” o di Arcanum. Un Arcanum, secondo la concezione paracelsiana, è incorporeo,
indistruttibile, vita eterna, superumano e al di là della natura. In noi vi sono l’ Arcanum
Dei e l’Arcanum Naturae; l’Arcanum è la virtù di una cosa nella sua più alta potenza;
l’Arcanum Hominis è quel potere dell’uomo, che è eterno in lui (Archidoxes, De
si dispiega a partire da meditazioni sui versetti del Libro, rivelato: così nella cabala ebraica, con lo Zohar, o nella grande corrente
teosofica occidentale che si sviluppa in Germania all’inizio del XVII secolo.
IV) L’esperienza della trasmutazione - Se non considerassimo l’esperienza della trasmutazione una componente essenziale, ciò a cui
si accenna qui non oltrepasserebbe i limiti di una forma di spiritualità speculativa. E’ nota l’importanza dell’elemento iniziatico in ciò
che, anche sul piano più familiare, è associato a termini come esoterismo, gnosi, alchimia. Trasformazione non sarebbe un vocabolo
adeguato perché non significa necessariamente passaggio da un piano a un altro, né modificazione del soggetto nella sua stessa
natura. ‘Trasmutazione’, termine preso a prestito nel nostro contesto dall’alchimia, sembra più appropriato. Intendiamolo anche come
‘metamorfosi’. Si tratta di non separare conoscenza (gnosi) ed esperienza interiore, o attività intellettuale e immaginazione attiva, se
si vuole che il piombo diventi argento o l’argento oro. Quella che spesso nelle correnti esoteriche occidentali moderne è chiamata
gnosi nel senso generale e moderno del termine è la conoscenza illuminata che favorisce la ‘seconda nascita’ - concetto capitale in
questo contesto, soprattutto nella teosofia. Pare che una parte importante del corpus alchimistico, soprattutto dall’inizio del XVII
secolo, miri meno a descrivere esperimenti di laboratorio che a presentare figurativamente questa trasmutazione secondo un percorso
a tappe: nigredo (morte, decapitazione della materia prima o del vecchio io), albedo (opera al bianco), rubedo (opera al rosso, pietra
filosofale). Si è suggerito il confronto con le tre fasi della via mistica tradizionale: purgazione, illuminazione, unificazione. E’ spesso
sottinteso in tali contesti che la trasmutazione può essere sia quella di una particella della Natura che quella dello stesso
sperimentatore.
V) La pratica della concordanza - Questo concetto non è proprio dell’esoterismo occidentale nel suo insieme ma segna più
particolarmente l’inizio dei Tempi moderni (fine del XV e del XVI secolo) per riapparire alla fine del secolo scorso in forma diversa e
prorompente. Si tratta di una tendenza che consiste nel voler stabilire denominatori comuni tra due o più tradizioni diverse, se non tra
tutte le tradizioni, nella speranza di ottenere un’illuminazione, una gnosi di qualità superiore.
VI) La trasmissione - Porre l’accento sulla trasmissione implica che un insegnamento esoterico può e deve essere trasmesso da
maestro a discepolo seguendo un canale già scavato, rispettando un percorso già tracciato.
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A. Faivre, L’ésotérisme, Presses Universitaires de France, Paris 1992 (tr. it. L’esoterismo. Storie e significati, SugarCo, Carnago
(Va) 1992,
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Arcanis). Così l’Arcanum della pittura è quel potere interno alla sua sfera d’azione che
si tratterebbe di rivelare, portare a compimento. “Scienza occulta” significa, in questo
contesto, al di fuori della sfera discorsiva. Una prescrizione o un’indicazione che può
essere appresa dai libri non è un Arcanum; un segreto che può essere comunicato
intellettualmente da una persona a un’altra non è un mistero divino o spirituale. Qui la
tradizione si riallaccia al suo sottofondo orfico-pitagorico, che riprese vigore nel
Rinascimento con la rivalutazione della figura di Ermete Trismegisto e del Corpus
Hermeticum.5
Colui che non è rinato nello spirito, aggiunge Paracelso, non può produrre o
dotare cose di potere spirituale. L’uomo deve essere lui stesso quello che desidera
produrre. Il primo Arcanum è il Mercurius vivus; il secondo la Prima Materia; il terzo è
il Lapis Philosophorum e il quarto è la Tinctura. Questi rimedi sono piuttosto di
carattere angelico che umano (Archidoxes, IV).
5
Ermete Trismegisto è una figura mitica che indica il dio Thoth degli antichi Egiziani, considerato inventore delle lettere
dell’alfabeto e della scrittura, scriba degli dèi, e quindi rivelatore e profeta e interprete della divina sapienza e del divino logos.
Quando i Greci vennero a conoscenza di questo Dio egiziano, trovarono che egli presentava molte analogie col loro dio Errmete (= il
dio Mercurio dei Romani), interprete e messaggero degli Dei, e lo qualificarono con l’aggettivo “Trismegisto”, che significa “Tre
volte grandissimo” (trismégistos = termaximus).
Fra i numerosi scritti attribuiti ad Ermete Trismegisto il gruppo di gran lunga più interessante è costituito da diciassette
trattati (di cui il primo reca il titolo di Pimandro), più uno scritto pervenutoci solo in una versione Ilatina (in passato attribuito ad
Apuleio) di un trattato dal titolo Asclepio (forse composto nel IV secolo d.C.). E’ appunto questo gruppo di scritti che viene
denominato “Corpus Hermeticum” (= Corpo degli scritti che vanno sotto il nome di Ermete).
Dal corpus ermetico Marsilio Ficino agli albori del Rinascimento prese l’idea che “uno spirito cosmico” fluisse come un vento (il
pneuma, o respiro, del divino) attraverso il creato. Questo spirito armonico costituiva il canale d’influenza fra il sopra e il sotto, fra il
cielo e la terra, fra il macrocosmo e il microcosmo. Ficino sosteneva che lo spirito di un individuo era nutrito, sorretto e purificato
“attraendo e assorbendo” lo spirito cosmico; di questo processo di attrazione e assorbimento, la musica era il mezzo supremo, ed era
attraverso di essa che l’energia cosmica poteva infondersi in un individuo. La musica era paragonabile alla preghiera, una preghiera
pervasa da una potenza dinamica e attiva.
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