Cos’è il Quaternario1 A cura di B. Sala La storia della Terra comincia 5 miliardi di anni fa, con il consolidamento della crosta terrestre, e si divide in Ere (Eratemi) e in Periodi (Sistemi). Il Quaternario (Fig. 1), che appartiene all’Era Cenozoica, è il Periodo geologico più recente, che ha avuto inizio 2.588.000 anni fa, secondo quanto dettato nel 2009 dalla Commissione internazionale di Stratigrafia. Il Quaternario (termine creato nel 1829 dal francese Desnoyers) è stato suddiviso in due Epoche, il Pleistocene2 (proposto dall’inglese Lyell nel 1839) che è durato per la maggior parte del tempo fino a circa 11.700 anni fa, e l’Olocene3 (coniato dal francese Gervais nel 1869) che stiamo ancora vivendo. Questo Periodo è caratterizzato da una variabilità climatica molto accentuata che ha avuto notevoli conseguenze sulla crosta terrestre, mari e oceani compresi, e sul mondo biologico che la abita. Un tempo considerato il “periodo delle glaciazioni”, cioè caratterizzato da espansioni e regressioni glaciali, il Quaternario oggi è definito da una “persistente instabilità climatica”. Se si considerano infatti le fasce continentali tropico-equatoriali, queste non hanno subito espansioni glaciali, ma principalmente alternanze di espansioni e di riduzioni di ambienti umidi ed aridi. Preceduto da un lieve declino globale della temperatura, il clima del Quaternario è stato ricostruito grazie allo studio dei sedimenti prelevati da perforazioni eseguite in oltre duemila siti negli oceani di entrambi gli emisferi e nelle calotte glaciali artica ed antartica. Le curve che si sono ricostruite con lo studio degli isotopi dell’ossigeno, conservati nel guscio dei foraminiferi4 marini e nei ghiacci delle calotte polari, sono state confrontate fra loro e hanno fornito un quadro dettagliato delle oscillazioni in senso caldo e freddo del clima globale della Terra. Negli ultimi 2.6 milioni di anni sono stati così riconosciuti 104 stadi isotopici5, cioè 52 cicli principali di alternanza caldo-freddo, o se si vuole interglaciale-glaciale, elencati con numeri progressivi, a partire dal presente, rispettivamente dispari i caldi e pari i freddi. 1 Quaternario, ultimo Periodo dell’Era Cenozoica che comprende anche l’attuale. Pleistocene, epoca più antica del Quaternario che va da 2.580.000 a 11.700 anni fa. 3 Olocene, Epoca più recente del Quaternario che inizia 11.700 anni fa e continua tuttora. 4 Foraminiferi, protozoi marini solitamente microscopici, di ambiente da pelagico a litorale, racchiusi in un guscio carbonatico di forma varia. 5 Stadi isotopici, periodi alternati caldi e freddi del clima terrestre, dedotti dalle variazioni del rapporto tra gli isotopi 16 O e 18O dell'ossigeno contenuti in gusci di foraminiferi o nei ghiacci polari ottenuti da carotaggi di sedimenti. 2 1 Nella catena alpina Penck e Brückner nei primi del ‘900 scoprirono sedimenti glaciali (morene6) alterati in vario modo che fecero loro pensare a testimonianze di tre, poi quattro, glaciazioni quaternarie. In seguito le glaciazioni divennero cinque, ma solo dopo la metà del ‘900 si iniziò a capire che in altre parti della Terra le documentazioni non coincidevano con cinque oscillazioni fredde, ma quelle alpine erano ciò che era rimasto di molte oscillazioni climatiche fredde avvenute nell’ultimo periodo della Terra. Attualmente non si usano più i termini delle glaciazioni alpine di Donau, Gunz, Mindel, Riss e Würm. Durante le fasi climatiche fredde, le acque evaporate dagli oceani e dai mari precipitavano sulle terre emerse in parte sotto forma di neve che si accumulava principalmente nelle due grandi calotte polari e nei ghiacciai montani. L’acqua che non si scioglieva durante l’estate rimaneva sotto forma di ghiaccio nelle aree continentali e creava l’abbassamento dei mari, facendo emergere ampie aree costiere poco profonde (regressione marina7) e creando ponti fra aree in precedenza isolate. Al contrario, durante le fasi climatiche calde, le acque trattenute sotto forma di ghiaccio nelle calotte polari e nei ghiacciai montani si scioglievano in parte e provocavano l’aumento in altezza dei mari che andavano ad allagare le basse fasce continentali costiere (trasgressione marina8) e separando aree in precedenza unite. Nel frattempo, catene montuose come le Alpi e gli Appennini hanno continuato a sollevarsi, a causa della tettonica a zolle9, e l’erosione delle acque meteoriche ha portato a valle una grande quantità di sedimenti che si sono accumulati nelle pianure o nei mari. Fenomeni tettonici locali (neotettonica10) hanno inoltre influenzato varie aree costiere abbassandole o sollevandole. Le linee di riva, quindi, durante il Quaternario hanno continuato a modificarsi e così è cambiato anche il paesaggio geografico e morfologico. Il mondo vegetale, al mutare dell’ambiente fisico e del clima, si è adeguato con la riduzione delle specie temperato-calde tropicali, caratteristiche del Pliocene, il Periodo precedente il Pleistocene, e la comparsa o la maggior distribuzione delle forme più adatte a climi mesotermici o microtermici, quelli che oggi si diffondono alle nostre latitudini. Periodi umidi in cui boschi e foreste coprivano la maggior parte degli ambienti si sostituivano ad altri aridi in cui si diffondevano steppe o, durante momenti caldi, savane. Nei periodi caldi umidi si diffondevano lussureggianti foreste, mentre in 6 Morene, l’insieme dei detriti erosi, trasportati e deposti da un ghiacciaio. Fenomeno che comporta il ritiro del mare, in tempi relativamente brevi, da un’area precedentemente sommersa. 8 Fenomeno che comporta l’avanzamento del mare sulle terre emerse in tempi relativamente brevi. 9 Tettonica a zolle, teoria che formula una sintesi, su scala globale, dei fenomeni geologici conosciuti, ricostruendo la dinamica della parte più superficiale della Terra, partendo dall’espansione dei fondali oceanici e dalla subduzione della litosfera lungo le fosse oceaniche. 10 Neotettonica, branca della tettonica che studia le deformazioni recenti della parte superiore della crosta terrestre riferibili al Cenozoico superiore. Fenomeni sismici e vulcani sono direttamente connessi con questi processi. 7 2 quelli freddi umidi taighe a conifere e betulle. Tutte queste variazioni vegetazionali mettevano in crisi anche la fauna che era costretta ad adeguarsi, con la creazione di nuove specie o l’arrivo di altre forme da paesi lontani. Nel Quaternario possiamo assistere al completo rinnovamento, ad esempio, nei grandi o nei piccoli mammiferi delle associazioni faunistiche per ben tre volte. Le età a grandi mammiferi che si succedono sono il Villafranchiano 11 medio e superiore, il Galeriano12 e l’Aureliano o post-Galeriano13, quelle a piccoli mammiferi sono il Villanyiano superiore14, il Bihariano15 e il Toringiano16. Grandi mammiferi come i mastodonti e i tapiri, che caratterizzavano le faune plioceniche subtropicali, furono sostituiti da elefanti e da cavalli; ma molti altri animali trovarono spazio: i grandi cervi dai palchi a pettine, gli eucladorceri, poi sostituiti dai megaceri; fra i piccoli cervidi prima si diffuse Pseudodama nestii, poi Dama clactoniana e infine Dama dama. I canidi comparvero con la specie Canis etruscus, poi sostituito da Canis mosbachensis e infine dal lupo recente Canis lupus. Così per gli ursidi si passa dalle piccole forme plioceniche forestali di Ursus minimus a Ursus etruscus del Villafranchiano medio e superiore, a Ursus deningeri del Galeriano, e a Ursus spelaeus e Ursus arctos dell’Aureliano. Anche i piccoli mammiferi, Insettivori e principalmente Roditori, si adeguarono ai mutamenti climatici adattandosi ai nuovi ambienti che via via si diffondevano durante il Quaternario. All’inizio di questo Periodo si passa così dagli scoiattoli volanti e le faune a Mimomys pliocaenicus del Villanyiano superiore a quelle a Mimomys savini del Bihariano, a quelle ad Arvicola mosbachensis del Toringiano inferiore fino alle ultime ad Arvicola amphibius del Toringiano superiore. Tutto questo continuo mutare ha reso il Quaternario particolarmente interessante anche perché ha favorito l’arrivo e la diffusione del nostro genere Homo in Europa. 11 Villafranchiano, età a grandi mammiferi, compresa fra il Pliocene superiore e il Pleistocene inferiore pro-parte. Galeriano, Età a grandi mammiferi compresa fra la parte recente del Pleistocene inferiore e la parte media del Pleistocene medio. 13 Aureliano, età a grandi mammiferi compresa tra la parte recente del Pleistocene medio e l’attuale. 14 Villanyiano, età a piccoli mammiferi compresa fra il Pliocene superiore e la parte iniziale del Pleistocene inferiore. E’ caratterizzato dalla presenza di Mimomys pliocaenicus, un roditore arvicolide con denti radicati. 15 Bihariano, età a piccoli mammiferi compresa fra il Pleistocene inferiore, escluso l’inizio, e la prima parte del Pleistocene medio. E’ caratterizzato dalla presenza di Mimomys savini, un roditore arvicolide con denti radicati. 16 Toringiano, età a piccoli mammiferi compresa tra la parte recente del Pleistocene medio e l’attuale. E’ caratterizzata dalla presenza di Arvicola, un roditore arvicolide con denti privi di radici. 12 3 Fig. 1- Cronologia del Quaternario: schema riassuntivo generale relativo alla penisola italiana. Le unità faunistiche sono integrate con la cronologia isotopica della variazione dell’ 18O, la cronologia paleo magnetica, con le magnetozone positive (in nero) e negative (in bianco), e la cronologia geologico-stratigrafica. (Rielaborazione grafica C. Berto, da Masini F. e Sala B., 2011). Informazioni sui metodi di datazione chimico-fisici A cura di C. Peretto Oggi disponiamo di un certo numero di metodi di datazione caratteristici per ambiti cronologici e per i processi chimici e fisici degli elementi utilizzati.. Tra questi le indagini sul decadimento radioattivoError! Bookmark not defined. di svariati elementi quali gli isotopi del carbonio ( 14C), potassio (40K, 39K), argon (40Ar, 39Ar), uranio (231U, 235U, 238U), torio (232Th). Si hanno così datazioni indicate con nomi differenti in riferimento agli elementi utilizzati: carbonio-14, potassio/argon, argon/argon, tracce di fissione, disequilibrio della famiglia dell’uranio. Gli elementi citati decadono nel tempo in modo costante, ma con velocità diseguale per ognuno di essi, dando origine a elementi differenti da quello di partenza, quindi hanno tempi di dimezzamento diversi (per tempo di dimezzamento si intende il tempo necessario perché si riduca della metà la capacità radioattiva iniziale). Sulla base di questo dato, calcolando il rapporto tra gli isotopi decaduti e non, contenuti nel campione, è possibile risalire alla sua età. I margini di errore aumentano in rapporto all’aumento dell’età assoluta del campione. 4 Altre datazioni sono quelle basate sulla termoluminescenza e sulla risonanza elettronica di spin (ESR). Esse tengono conto di un fenomeno naturale dei minerali che, se irradiati da isotopi radioattivi quali quelli dell’uranio, del torio e del potassio, liberano elettroni (ionizzazione) che in parte rimangono imbrigliati all’interno della struttura cristallina. Valutando la dose totale di radiazioni che ha interessato il minerale (paleodose) in rapporto a quella di un anno (dose annuale) è possibile risalire all’età del campione. Una importante scala cronologica del Quaternario deriva dallo studio del rapporto degli isotopi dell’ossigeno 16O e 18O calcolato sui gusci dei foraminiferi4 rinvenuti in sequenze stratigrafiche oceaniche. Le molecole di acqua con 16O, essendo più leggere, tendono più facilmente ad evaporare e ad accumularsi nelle masse glaciali dei rilievi terrestri durante i periodi più freddi. Nei periodi caldi si osserva invece una loro maggiore concentrazione marina in seguito al scioglimento dei ghiacci. Sulla base di queste osservazioni, è stato possibile calcolare la successione delle oscillazioni calde e fredde (stadi isotopici) del Quaternario. Con i numeri dispari sono indicati i periodi interglaciali e con quelli pari i picchi glaciali. Questi ultimi sono oltre una cinquantina a partire da oggi fino a 2,58 milioni di anni fa, data di inizio del Quaternario. Isernia appartiene allo stadio isotopico 15 risalente a circa 600.000. In questo gruppo di metodologie chimnico-fisiche rientra anche il metodo del paleomagnetismo che si basa sulla magnetizzazione che alcuni tipi di depositi, quali quelli fluviali, lacustri, marini e vulcanici, subiscono al momento della loro deposizione in sintonia col magnetismo terrestre di quel momento. E’ una magnetizzazione debole, ma sufficiente per essere calcata in laboratori specializzati. Oggi sappiamo che il campo magnetico terrestre, in più occasioni, è stato inverso rispetto a quello attuale. Gli studi hanno consentito di elaborare una scala cronologica di questa successione; il Pleistocene si caratterizza per numerose inversioni della polarità magnetica (Fig. 1 ), l’ultima della quale è avvenuta circa 780.000 anni fa. Oggi viviamo in una fase a polarità normale con le lancette della bussola orientate verso il Polo Nord, denominata Brunhes (Fig. 1). Per concludere questa breve presentazione di alcuni dei principali metodi chimico-fisici applicati ai contesti preistorici, va sottolineato il fatto che la datazione di un insediamento non dipende dall’applicazione di uno di essi, quanto piuttosto dall’insieme dei dati interdisciplinari derivanti dall’ampio spetro delle metodiche applicate congiuntamente ai contesti geostratigrafici, paleontologici, preistorici e antropologici. 5 La scheggiatura della pietra nella preistoria A cura di . Arzarello Col termine metodo di scheggiatura si intende la sequenza delle azioni messe in atto per il distacco di frammenti (schegge17) da un blocco di materia prima (nucleo18). I metodi utilizzati dagli artigiani paleolitici nel corso della Preistoria sono molteplici e vedono una sempre maggiore importanza della fase di preparazione dei nuclei alfine di prevedere con crescente precisione la morfologia, oltre alle dimensioni, delle schegge da ottenere. Tra questi ricordiamo il metodo Levallois già presente in Europa a partire da 300.000 anni. Con il termine tecnica di scheggiatura si indicano le modalità impiegate per il distacco di una scheggia dal nucleo. Durante il Paleolitico, l’uomo preistorico ha utilizzato differenti tecniche in funzione delle caratteristiche della materia prima utilizzata e della morfologia dei prodotti da realizzare. La tecnica più antica, che compare in Africa circa 2,5 milioni di anni fa, è la percussione diretta con la pietra dura in cui si usa un ciottolo per percuotere il blocco di materia prima da scheggiare. Di poco più recente è la percussione bipolare per la quale il blocco da scheggiare viene posto su un incudine e poi percosso con un altro ciottolo (Fig. 10.26); questa tecnica non permette di prevedere con precisione la morfologia dei prodotti, ma consente lo sfruttamento anche di rocce di cattiva qualità. A partire da circa 35 mila anni fa le tecniche di percussione si differenziano notevolmente, in corrispondenza del successo del metodo di scheggiatura laminare19: fanno la loro apparizione la percussione diretta con il percussore in pietra tenera, che permette un maggior controllo della morfologia dei prodotti ottenuti, e la percussione diretta con il percussore organico (in legno, corno o osso). Quest’ultima era stata già utilizzata durante l’Acheuleano20 (circa 1 milione di anni fa) per la lavorazione dei bifacciali. Al Mesolitico risalgono le prime testimonianze della percussione indiretta: uno scalpello viene 17 Scheggia, frammento di roccia distaccato con la scheggiatura Nucleo, blocco di roccia dal quale, tramite la scheggiatura, sono distaccate schegge o lame che possono poi essere successivamente ritoccate. Convenzionalmente sono considerate lame le schegge che hanno una lunghezza doppia della larghezza. 19 La scheggiatura laminare è adottata in modo sistematico da Homo sapiens che, originatosi in Africa almeno 150 mila anni fa, si diffonde in Europa a partire da circa 40.000 anni fa. Questa tecnica consente la produzione di supporti allungati, piatti e relativamente stretti a partire da un nucleo opportunamente preparato, sovente di forma sub piramidale. 20 Col termine Acheuleano, dal sito francese Saint Acheul sobborgo di Amiens, viene indicato un periodo cronologico molto ampio compreso all’incirca tra 1,8 e 300.000 anni fa. Si caratterizza per la presenza di un particolare strumento, il bifacciale, di forma spesso ovalare e appuntita, di dimensioni ragguardevoli, talvolta con lunghezza superiore ai 20 cm. 18 6 interposto tra il blocco da scheggiare e il percussore alfine di evitare le componenti legate al movimento e quindi prevedere in modo preciso la morfologia delle lame. Sempre a partire dal Mesolitico diventa frequente la pressione, sporadicamente attestata durante il Maddaleninano (circa 17.000 anni fa), che vede l’applicazione diretta della forza sul punto prescelto del nucleo tramite l’utilizzo di un pressore in osso o in corno. Le schegge e le lame ottenute con la scheggiatura possono essere utilizzate senza successive modificazioni (soprattutto nel caso in cui le azioni da svolgere siano legate al taglio), oppure ritoccate. Il ritocco21 è finalizzato alla modificazione dei margini di una scheggia alfine di ripristinarne il filo o di modificare la funzionalità del bordo attivo. Le operazioni di ritocco, adottate fin dalle prime fasi della preistoria, permettono di ottenere strumenti di forma differente, tipologicamente classificati in base alla posizione, delineazione, profondità e morfologia del ritocco stesso. Si annoverano, così, punte, raschiatoi, denticolati, grattatoi, bulini, ecc. 21 Ritocco, modificazione intenzionale di uno o più bordi di una scheggia o di una lama per renderle più confacenti al lavoro da svolgere. 7