salute e qualita` della vita nella societa` del benessere

SALUTE E QUALITA' DELLA VITA NELLA SOCIETA' DEL
BENESSERE
Norma De Piccoli
PARTE PRIMA
SALUTE, EQUITA' E BENESSERE
1. SALUTE E MALATTIA. UNA RIFLESSIONE PSICOSOCIALE
I Diversi Significati di Malattia
E' fondamentale analizzare la Storia dei Concetti di Salute e Malattia, relativa ai differenti modi in
cui esse sono state viste nel tempo. Il documento che costituisce un riferimento ancora attuale per
una definizione integrata della salute, considerata quindi nei suoi aspetti bio-psico-sociali, è la Carta
dell’OMS, approvata il 19/12/1946, ed entrata in vigore il 07/04/1948, in cui la Salute è considerata
come un completo benessere fisico, mentale e sociale, e non solo un caso di assenza di malattia o
d’infermità. In questo senso salute e malattia non sono due concetti di carattere antitetico, dato che ci
sono moltissimi modi di essere malati ma solo uno per essere sani, e non costituiscono i poli opposti
di uno stesso continuum.
Il termine salute, a differenza della malattia, ha solo il singolare, ed è per questo che Bertini (2012)
propone di utilizzare il termine Salute, rivendicando la necessità di considerare le molteplici
sfaccettature con cui la salute si manifesta.
A seconda delle definizioni accordate ai concetti di salute e malattia ne derivano poi diversi modi di
intervento, tra cui la prevenzione della malattia o la promozione della salute, che possono essere
rivolti sia al singolo che ai gruppi.
Partendo da una Definizione di Malattia, essa può essere intesa come fenomeno reale e oggettivo
che consiste sostanzialmente in un’alterazione del funzionamento corporeo, individuabile attraverso
dei parametri oggettivi, le analisi. L’oggettività di un dato clinico non costituisce comunque una
dimensione assoluta in quanto la soglia individuata dalla scienza medica per definire e distinguere ciò
che è sano da ciò che è malato è un limite che si viene a modificare con le progressioni scientifiche.
Visto che la rappresentazione di salute e malattia nel pensiero comune non sempre corrispondono al
pensiero scientifico, l'antropologia medica ha proposto una distinzione tra tre aspetti fondamentali
(Inghilleri, Castiglioni e de Cordova, 2007):
- Illness: esperienza e percezione soggettive di salute/malattia;
- Disease: alterazione fisiologica così come definita dalla scienza medica;
- Sickness: modo in cui la società si rappresenta la malattia.
Quando queste tre valutazioni sono negative si può asserire che la malattia è assente nell’hic et nunc
ma comunque ciò corrisponde solo ad una parte della realtà conoscibile.
Malattia e Dintorni tra Oggettività e Soggettività
Fino a non molto tempo fa la condizione di malato veniva decretata dal soggetto stesso, nel momento
in cui riconosceva la necessità di rivolgersi a un medico (ad es. mal di testa ed insonnia non erano
considerate malattie rilevanti). Nonostante l'importanza degli altri aspetti, nell’epoca moderna
l’accertamento dello stato di malattia è espressione di un valore clinico che sarà sempre più delegato
a una Valutazione Tecnico-Scientifica, la quale si basa su soglie, che determinano quando si può
parlare di patologia o meno, che mutano nel tempo e non solo in relazione alle nuove scoperte
scientifiche ma anche in base alle convenienze politico-economiche. Due esempi rilevanti sono:
- promozione della definizione di malattia da parte dell’industria farmaceutica (disease mongering o
vendita di malattia);
- difficoltà a sostituire i farmaci noti con altri meno noti (ad es. farmaci generici).
L’iperspecializzazione tecnico-scientifica e la manipolazione dell’informazione per ragioni
economiche, fanno si che la possibilità di scelta del cittadino sia ridotta e si deleghi totalmente al
potere scientifico per quanto riguarda l’ambito della salute e della malattia. Questo avviene nonostante
venga promossa la collaborazione del soggetto sotto forma di partecipazione attiva alla propria vita,
considerata ancora un fattore essenziale per il successo terapeutico.
L’idea di un soggetto attivo e il concetto di empowerment assumono quindi dei contorni più sfumati e
ambigui, e l’autodeterminazione dell’individuo andrebbe rivista, dato che spesso il soggetto non
davvero "informato" ma deve affidarsi alle cognizioni scientifiche. Questo porta quindi a creare un
rapporto asimmetrico tra il medico/scienziato e il soggetto, con quest'ultimo che può scegliere di
affrontare la sua situazione ma all’interno di un contesto che è stato previsto da altri.
Nella vita di un individuo la malattia impone dei cambiamenti nell’organizzazione quotidiana, in quanto
dei vincoli esterni riducono la gamma delle azioni del soggetto. Tale rottura, come sottolineato da
Charmaz (1983), produce un cambiamento identitario, collocando il soggetto in una cornice di
incertezza, dato che la malattia irrompe bruscamente e crea confusione colpendo il suo equilibrio.
Medicalizzazione della Vita Quotidiana?
La scienza medica possiede criteri diagnostici e parametri clinici propri per stabilire l’esistenza di una
disfunzione contribuendo così alla costruzione sociale della malattia. Questo particolarmente
evidente nelle malattie asintomatiche che, se scoperte per caso, prevedono un approccio clinico
intensivo che avrebbe potuto, se il "disturbo" non veniva individuato, non essere necessario (ad es. il
tumore alla prostata molto diffuso anche se non sempre diagnosticato, e per questo molti soggetti
vivono una vita normale senza mai rendersene conto. Altro esempio l’aumento di parti cesarei non
sempre necessari, portato però da ragioni economiche).
Questo processo, che definibile come Cascata Clinica comporta inoltre un notevole aumento di
costi e di danni iatrogeni.
Nonostante non si intenda negare l’importanza degli screening preventivi, si rischia però un’eccessiva
medicalizzazione e sanitarizzazione, dovuta spesso alla presenza di interessi politico-economici
sottostanti. Le cure, specialmente quelle non richieste dagli interessati, raggiungono generalmente le
persone che ne hanno meno bisogno, mentre le comunità svantaggiate avrebbero una maggiore
necessità di assistenza sanitaria. Questa quella che Hart (1971) definisce Legge Inversa della
Medicina.
Un’eccessiva medicalizzazione riduce inoltre la capacità delle persone di esercitare un controllo sulla
propria salute, delegando agli esperti degli aspetti dell’esistenza non attinenti alla sfera medica e
creando così delle eccessive aspettative nei confronti della medicina. Tra le cause di questo
fenomeno si possono annoverare sicuramente il potere della scienza medica e il bisogno di risposte
certe e rassicuranti quando ci si affaccia alla vulnerabilità della vita, per cui le diverse scienze
dell’uomo hanno cercato di affrontare queste questioni chiamando in causa i significati sociali, culturali
e personali attribuiti alla vita, alla morte, al corpo e al dolore.
Secondo Inghilleri, Castiglioni e de Cordova (2007) le pratiche di diagnosi, terapia e cura sono
considerate secondo due Approcci:
- Assolutista: considera che il metodo scientifico è in grado di cogliere la verità come dato assoluto;
- Relativista: ritiene che l’approccio biomedico sia il prodotto di una specifica cultura in un dato
momento storico, per cui la malattia diventa un fenomeno co-costruito socialmente.
I Bisogni di Salute alle Soglie del Terzo Millennio
Si rende indispensabile un Cambiamento di Paradigma con cui guardare oggi al tema della salute.
In Italia e nel mondo occidentale, dalla fine della seconda guerra mondiale, le nuove condizioni di vita
hanno portato a una mutazione radicale delle condizioni di salute della popolazione, per cui le malattie
infettive del passato sono state soppiantate da patologie croniche tipiche della società moderna,
conseguenti a stili di vita non precisamente sani (ad es. stress e cattive abitudini alimentari).
Dato il progressivo aumento delle Malattie del Confort e del Benessere ed l'innalzamento costante
dell'età media di vita, elementi che hanno entrambi una forte ricaduta sul sistema socio-sanitario,
anche a livello economico, necessario strutturare un sistema socio-assistenziale che integri tra loro il
paziente, la famiglia e gli operatori sanitari, dato che, come evidenziato da Fattore (2006),
l'iperspecializzazione medica risulta inadeguata per gestire le patologie multiple delle persone
anziane.
E inoltre fondamentale utilizzare un approccio multiprofessionale e multidisciplinare senza che questo
significhi medicalizzare la vita quotidiana delle persone, ma che anzi crei uno sguardo rivolto alla
persona nel suo contesto.
La salute, come diritto sancito dalla stessa Costituzione, oltre a essere un bisogno primario, necessita
di politiche di Welfare che garantiscano forme di assistenza sanitaria secondo il principio di equità. In
questo senso Fattore (2006) analizza anche il paradosso secondo cui il miglioramento delle condizioni
di salute non è collegato a una riduzione della richiesta di servizi per la sua tutela.
La sfida riguarda quindi la creazione di servizi ed interventi che esulino dall’ambito della sanità, visto
che spesso i fattori che influenzano la salute dipendono da scelte che attengono alla responsabilità sia
dei singoli che della collettività.
Salute, Stili di Vita e Politiche Sociali
La prospettiva bio-psico-sociale fa ancora fatica a proporsi come approccio integrato e sistemico e le
teorie fin ora emerse sembrano distinguere i ruoli dei tre aspetti, invece che integrarli.
Se la maggior parte dei modelli teorici ha sviluppato la conoscenza di quei processi socio-cognitivi che
favoriscono o ostacolano l’assunzione di comportamenti riferiti alla salute, si auspica che venga
sfidato progressivamente il dominio dell’ottica biomedica e venga affrontata questa tematica
analizzandone i contesti ecologici. Tale aspetto consentirebbe quindi di assumere che la salute sia il
risultato dell’evoluzione biologica in interazione con le condizioni sociali e ambientali, e dovrebbe
avere come conseguenza l’identificazione di determinanti sociali e ambientali che potrebbero
costituire l’oggetto degli interventi comunitari.
Inoltre è sempre più condivisa l’idea secondo cui è necessario abbandonare la prospettiva che vede i
risultati della salute come esito di scelte individuali, disgiunte dal contesto sociale. Utilizzare questa
nuova ottica richiama alla responsabilità le politiche sociali.
Già nel 1896 l’OMS, con la Carta di Ottawa, ha auspicato che i governi garantiscano la collaborazione
tra i diversi settori, col fine di sviluppare delle politiche pubbliche più favorevoli alla salute, integrando
una prospettiva preventiva con un approccio proattivo (tale approccio denominato Health in All
Politics).
Negli anni ’70 il ministro canadese Lalonde aveva osservato che, a un aumento della spesa sanitaria,
corrispondesse una scarsa riduzione delle malattie, ed da qui che hanno preso avvio quelle riflessioni
che si basano sulle politiche volte alla promozione della salute, secondo cui gli interventi di
prevenzione della malattia sono ritenuti necessari ma non sufficienti.
Inoltre Hunter (2008) osserva che le cosiddette malattie del comfort richiedono un approccio
differente, basato su un nuovo paradigma che, con una concezione olistica di salute, individui le
risorse disponibili (tra cui sociali, finanziarie, condizioni lavorative e risorse naturali), le quali possono
promuovere la stima di sé e ridurre la dipendenza dai servizi.
Come ricorda anche il Portale della Commissione Europea dedicato alla Salute Pubblica il ventaglio
degli indicatori relativi alla salute è molto ampio.
Ed inoltre bisogna anche considerare, come sottolineato da Campbell (2003), che il cambiamento di
un comportamento soggettivo è tanto più difficile quanto meno l’ambiente è in grado di supportare e
sostenere gli sforzi individuali, ed è quindi necessario che le organizzazioni e le comunità in cui il
soggetto vive forniscano sostegni e stimoli per la realizzazione di azioni che permettano di mantenere
e/o aumentare la qualità della vita.
Il comportamento di un soggetto è allora spesso l’esito finale di un processo più complesso, come
teorizzato da Brofenbrenner secondo cui esso è la risultante delle interrelazioni e delle
interdipendenze tra i diversi livelli che interessano la via del soggetto, ed è quindi importante far
interagire più livelli di analisi (Trickett e Rowe, 2012) al fine di ottenere una base per sviluppare
strategie di azione che andranno a incidere sul comportamento individuale.
La Rilevanza della Salute Autoriferita
Da alcuni anni gli studiosi hanno iniziato a considerare anche la Salute Soggettiva, cioè quelle
percezioni e quelle valutazioni che il soggetto dà in merito alla propria salute.
Già con la Dichiarazione di Giacarta nel 1997, l’OMS raccomanda l’utilizzo di tale misura, poiché
permette di rilevare la multidimensionalità e la relatività del concetto di salute. Inoltre, a partire dagli
anni '80, questo dato ha iniziato ad essere oggetto di ricerche epidemiologiche dato che è stata
rilevata la sua correlazione con i tassi di mortalità.
Attualmente diverse banche dati internazionali riportano i dati di salute autoriferita (in Italia si ha il
PASSI e l'ISTAT) e, nonostante l'uso di differenti strumenti renda difficile un confronto diacronico tra i
paesi, generalmente essi sono rilevati con scale Likert che permettono di rilevare la salute soggettiva
a livello psichico e fisico.
In Italia i dati hanno evidenziato come gli uomini percepiscano meglio delle donne il proprio stato di
salute e come questo dato scenda con l’avanzare dell’età. Dal Nord, invece, a scendere, si ha un più
elevato livello di salute percepita, che diminuisce progressivamente al Sud.
I Principali Risultati hanno individuato:
- relazione tra salute oggettiva e soggettiva (la percepita costituisce predittore di sopravvivenza);
- correlazione tra salute percepita e variabili economiche, demografiche e psicosociali;
- correlazione tra salute percepita e mortalità, qualità della vita e benessere.
Gli studiosi ammettono che non è chiaro che cosa esattamente misuri la percezione di salute e perché
abbia una relazione con la mortalità, dato che la dimostrazione empirica è evidente ma sono scarse le
argomentazioni teoriche).
Per Jylha (2009) la percezione della salute costituisce un insieme articolato tra mondo sociale,
informazioni e conoscenze di cui il soggetto dispone, con le sensazioni corporee e gli elementi
soggettivi.
La percezione di salute consisterebbe quindi in un Processo Cognitivo Attivo in cui l’individuo,
attingendo a esperienze e a dati sia oggettivi che soggettivi, costruisce schemi mentali che
costituiscono un riferimento per l’azione e per l’integrazione di nuove conoscenze. Dato che i processi
cognitivi sono frutto di meccanismi razionali e non, la percezione della salute tra origine da processi
cognitivi consapevoli ma anche da processi automatici.
Jylha propone allora un modello teorico che coniuga la prospettiva cognitiva con quella
epidemiologica, al fine di cogliere i processi individuali, le basi biologiche e i contesti sociali/culturali.
In tale modello il soggetto valuta il proprio stato di salute sulla base di differenti informazioni,
contemplando sia quelle ottenute con diagnosi, sia quelle che provengono da stati interni, sia quelle
che provengono dalla propria percezione di essere un soggetto a rischio. Queste informazioni
possono assumere una rilevanza differente per il soggetto anche sulla base di concezioni di salute
storicamente e culturalmente determinate. In quest'ottica quindi la cultura di riferimento e i gruppi
sociali con i quali il soggetto interagisce forniscono modelli normativi, valoriali e comportamentali che
guidano nella determinazione di ciò che è salute.
Il passo successivo si riferisce a esperienze del passato ma anche ad aspettative presenti circa il
proprio stato di salute.
Si può quindi dire che la Valutazione dell’Attuale Stato di Salute è l’esito di:
- processi di confronto sociale;
- processi di confronto con situazioni pregresse;
- disposizioni individuali.
Dopo quanto esposto si può quindi affermare che la Salute Autoriferita è Predittiva della Mortalità
come elemento statistico e non causale, grazie alla sua capacità di riflettere lo stato dell’organismo
umano, la cui precisione dipende dalla comprensione e dall’accuratezza dell’informazione che il
soggetto incorpora nell’autovalutazione. In questo senso tanto più l’informazione che si trae dal corpo
è accurata, tanto più la valutazione sarà vicina all’oggettività.
Accettare che la salute percepita costituisca un ottimo predittore dello stato di salute futuro sottende
l’idea di un soggetto attivo in grado di interpretare i segnali del proprio corpo e del proprio stato
psicofisico.
Questa misura non può però sostituirsi ad altri indicatori poiché le inevitabili distorsioni cognitive
inducono a errori di valutazione (ad es. i vizi dovuti all’umore, al momento o alla situazione) ma
comunque costituisce un ponte tra discipline psicologiche e altre che si occupano di salute. E' inoltre
fondamentale, come sostenuto da Jylha, che la salute autoriferita è un dato legato al contesto di
riferimento e che quindi non si presta a confronti.
Per concludere quindi attualmente si tende a considerare la salute autopercepita come una misura i
cui risultati si integrano con dati e misurazioni più specifiche, con la consapevolezza che una
valutazione positiva sulla propria salute non è garanzia di un buono stato complessivo, mentre uno
stato di salute percepito come debole è certamente un segnale da prendere in considerazione.
La Soggettività Attraverso la Narrazione
L'Approccio Narrativo, il quale consente di guardare all'esperienza soggettiva degli stati di
salute/malattia, si basa sulle concezioni di Jerome Bruner.
Bruner, nella seconda parte della sua vita professionale, si è avvicinato alla scuola sovietica, la quale
riconosce che i processi psicologici sono radicati nelle dinamiche sociali e culturali, e ritiene il
linguaggio uno strumento importante per lo svolgimento delle funzioni psichiche superiori.
Egli utilizza il concetto di “frame” per riferirsi a una struttura narrativa che dà significato e permette la
memorizzazione dell’esperienza, e anche l’inserimento della propria esperienza personale all’interno
di un contesto culturale che ne garantisca la condivisione sociale.
L’approccio narrativo, che nell’ambito della salute/malattia è definibile come Narrative-Based
Medicine (EBM), la quale nasce agli inizi degli anni ’80 ad Harvard grazie a pioneristici studi di
Kleinmann e Good, e si sviluppa contemporaneamente alla Scuola Sociologica delle Narrazioni di
Malattia, in cui le Illness Narratives sono pratiche discorsive sulla malattia che permettono di
esprimere il sapere esperienziale e il vissuto del soggetto, riconoscendo l’importanza di mettere in
luce un sapere emico, quindi un'esperienza così come viene vissuta dall’individuo nella cultura di
appartenenza, che mette quindi in luce i suoi schemi e le sue rappresentazioni
Entrambi questi approcci consentono di rivalutare l'aspetto soggettivo della malattia, integrando il dato
soggettivo esperienziale con il dato oggettivo scientifico e giungendo quindi alla possibilità di
considerare l’essere umano nella sua totalità.
La narrazione inoltre si può riferire sia al soggetto stesso, sia agli altri attori che lo circondano e che
rivestono un ruolo importante.
Tale approccio, nato come critica alla Medicina Evidence-Based, si pone ora come una possibile
integrazione che consente una fondamentale connessione tra soggettivo ed oggettivo.
2. UNA PROSPETTIVA ECOLOGICO-SISTEMICA SULLA SALUTE
Un complesso intreccio di fattori concorre nel determinare la salute. Aspetti contestuali interagiscono
con aspetti individuali i quali, esperiti dai singoli, vengono considerati come fattori da considerare
nell’analisi delle cause che producono salute e/o malattia e dei fattori che co-occorrono nel definire la
qualità della vita di una persona. E' inoltre innegabile che il sistema ecologico in cui l’individuo è
inserito possieda un ruolo rilevante.
Gli aspetti contestuali che verranno presi in considerazione sono scelti in base a due Criteri:
- quelli collocati nella zona di confine tra il soggetto e il suo mondo esterno;
- quelli centrali nell’analisi scientifica e rilevanti da un punto di vista sociale.
Salute e Reti Sociali
L’Interazione Sociale è fondamentale per lo sviluppo dell’essere umano, ed in questo senso lo stesso
sviluppo della neocorteccia sarebbe facilitato dalle esigenze dalla vita sociale e dalle stimolazioni
esterne, come la cura e l’affetto, che influenzano le strutture neuronali.
Studi recenti hanno dimostrato che il sistema nervoso, quelli endocrino e quello immunitario non
funzionano autonomamente al di fuori dell’ambiente sociale, questo perché reagiscono alle realtà
sociali per mezzo dei processi psicosociali (ad es. a sintomi come depressione e stress).
Come già teorizzato da Durkheim nel suo teso "Il Suicidio. Studio di Sociologia" (1897), le reti sociali,
il supporto e i legami concorrono nel definire la salute. In quest'ottica Cassel e Cobb (1976) furono tra
i primi a dimostrare la rilevanza che i legami sociali hanno sulla salute, sia fisica che psichica,
mettendo in luce l’efficacia delle relazioni sociali in qualità di mediatrici tra il soggetto e lo stato di
salute.
Altri riferimenti teorici sul ruolo dei legami sociali nel contribuire alla salute provengono dalla Teoria
dell’Attaccamento di Bowlby, la quale spiega anche l’attaccamento verso il paese, e dalla Teoria delle
Reti Sociali, ripreso come riferimento dalla psicologia di comunità per spiegare gli effetti
dell’urbanizzazione tra i rapporti fra le persone.
Il tema della relazione sociale riferita alla salute è stato quindi sviluppato da diverse angolature
(macro, meso e micro) e questo evidenzia come esista un’ampia mole di dati che dimostri l’efficacia
delle relazioni interpersonali per garantire una buona salute.
Nel 1977 il cardiologo John J. Lynch pubblica il testo "The Medical Consequences of Loneliness" in
cui rilevava come la solitudine sia fonte di malattia dato che le persone isolate sono più soggette a
stress e a problemi di salute dovute a stili di vita più insani.
Uno famoso Studio sul Rapporto tra Reti Sociali e Salute è stato poi condotto dal Beckman e Syme
(1979) presso la Contea di Alameda. Attraverso tale ricerca longitudinale, durata nove anni, essi
hanno dimostrato come gli individui con scarsi legami avessero una probabilità maggiore di mortalità.
Dagli anni ’70 ci sono stati molti altri studi che hanno dimostrato diverse realtà:
- tra gli sposati è minore il tasso di mortalità e morbilità;
- gli uomini sono più vulnerabili se viene a mancare il coniuge piuttosto che il contrario;
- chi si occupa di un familiare malato è più a rischio (generalmente le donne).
E’ scontato quindi dire che anche la qualità della relazione possa incidere sulla salute, dato che essa
fa venir meno il ruolo protettivo dovuto a un rapporto sereno, sorretto da un sostegno emotivo, nel
momento in cui la relazione si incrina.
Tale Funzione Cuscinetto del Sostegno Sociale considera quindi fondamentali le relazioni familiari,
amicali e contestuali, dato che l'Isolamento Sociale agisce come stressor cronico, producendo inoltre
cambiamenti neuro-endocrini, e crea un sostanziale abbassamento dell'autostima e varie carenze
relative al sostegno per il soggetto.
Il Rapporto tra Relazioni Sociali e Salute, lungi dall'essere ancora stato chiarito, viene analizzato
secondo due prospettive:
- Modelli Main-Effect: l’influenza da parte del sostegno sociale sulla salute è diretta ed indipendente
dagli stressor;
- Modelli Stress-Buffering: il sostegno sociale svolge un’azione protettiva in conseguenza degli effetti
dovuti agli stressor.
Cohen (2003) ha individuato quattro principali Modelli Teorici per Indagare gli Effetti
dell’Integrazione Sociale e della Percezione di Sostegno sulla Salute/Malattia e ciascun modello
indaga aspetti specifici che descrivono l’influenza delle relazioni sulla salute considerando sia gli effetti
diretti che quelli indiretti:
- Modelli Basati sulle Informazioni: disporre di un’ampia rete di legami fornisce una molteplicità di
risorse informative, le quali, a loro volta, possono avere degli effetti diretti sul comportamento efficaci
per la salute (ma l’informazione può avere anche un effetto opposto) e/o un ruolo più strettamente
protettivo, ad esempio nel valutare la situazione come più o meno critica;
- Modelli Centrati sull’Identità e sulla Self-Esteem: l’integrazione e il sostegno costituiscono una fonte
di sentimenti positivi e favoriscono una percezione di controllo e di stabilità nella propria vita,
contribuendo inoltre allo sviluppo delle abilità di coping aumentando l’autostima, mentre invece
l’isolamento aumenta le emozioni negative e il sentimento di alienazione, e ciò diminuisce la
percezione di controllo. Studi hanno evidenziato come l’identità sociale influisca sulla salute, poichè
concorre alla definizione dei sintomi e alla messa in atto di risposte, contribuisce a determinare norme
e comportamenti riferiti alla salute, è la base per il sostegno sociale ed infine facilita la relazione di
sostegno reciproco;
- Modelli Basati sull’Influenza Sociale: gli studi di Sherif, Asch e Milgram hanno dimostrato le diverse
forme di influenza che il contesto esercita sul singolo, e bisogna ricordare che il bisogno di
appartenenza risponde a uno dei bisogni psicologici rilevanti, per cui nessuno è esente
dall’influenzamento. Il gruppo, la categoria e i valori sociali di riferimento hanno un potere di
influenzamento sulle condotte degli individui che possono andare sia in direzione di un cambiamento
nei comportamenti nocivi e/o rischiosi che verso l’assunzione di stili di vita sani. Già Lewin (1948)
aveva dimostrato che un cambiamento necessita di una rottura di un equilibrio per spostarsi su nuovi
valori, credenze e atteggiamenti e pervenire a una situazione che si stabilizza. In questo senso il
gruppo, assumendo nuovi valori, può portare ad un cambiamento nell’individuo in quanto tende a
identificarsi col gruppo di appartenenza (ad es. gruppi di auto-aiuto) e ciò favorisce l’assunzione di un
comportamento rinforzando il suo mantenimento e la sua reiterazione con meccanismi di premi e
punizioni;
- Modelli Basati sulle Risorse Tangibili: esiste una relazione tra rete e salute laddove la rete può
fornire un aiuto concreto e allo stesso modo la presenza di risorse materiali può ridurre la probabilità
dell’insorgenza di fenomeni stressogeni.
Relazioni e Integrazione Sociale
Tra gli studi che riguardano il rapporto tra legami sociali, riferimenti socio-culturali e salute, è
necessario ricordare lo studio condotto nella comunità italiana di Roseto, in Pennsylvania, che negli
anni ’60 era caratterizzata da una elevata omogeneità etnica e sociale e da forti legami sociali e da
relazioni comunitarie coese. Dal 1955 al 1965 si presentava con un tasso di mortalità, conseguente a
infarto, molto bassa rispetto ad altre comunità limitrofe, rilevando che i servizi e le condizioni
ambientali comunque risultavano analoghi a quelli di comunità adiacenti. KL'ipotesi che esso fosse
legato alle relazioni intergruppo è stata poi nuovamente sottolineata quando all'inizio degli anni '70 le
nuove generazioni hanno abbandonato queste abitudini e i tassi di mortalità sono risaliti ed entrati
nella media nazionale. Dopo questo studio ce ne sono stati numerosi altri volti ad approfondire la
relazione tra reti sociali e salute, ma è strettamente necessario considerare che a sua volta i legami
sociali sono inseriti in un contesto sociale più ampio e governate quindi da dinamiche
socio-contestuali e culturali.
Per illustrare questo contesto che dà forma alle reti sociali si può fare riferimento al Modello di
Berkman che descrive la catena causale e prefigura la connessione tra fattori macro e micro.
In tale modello si evidenzia come le condizioni socio-strutturali generali (macro) condizionino
l’estensione, la forma e la natura delle reti sociali attraverso processi culturali, economici e politici, e
come le reti, che costituiscono il livello intermedio tra il livello macro e il meso, operino a livello
comportamentale attraverso quattro percorsi:
- sostegno;
- Influenzamento;
- impegno sociale;
- accesso alle risorse materiali.
Tali fattori sono poi in grado di fornire delle opportunità per la salute a livello prossimale.
Per gli autori l’intento di questo modello concettuale era di guidare sia futuri lavori di ricerca che scelte
politiche, dato che il percorso upstream identifica le condizioni che influenzano lo sviluppo e la
struttura delle reti sociali mentre il percorso downstream descrive l’influenza che la rete ha sulla salute
attraverso le funzioni del sostegno sociale.
E’ infine necessario non dimenticare gli effetti negativi delle relazioni sociali quando esse sono basate
sul conflitto o quando un comportamento di aiuto viene percepito come tentativo di esercitare potere.
Contesti e Salute
L’Errore Fondamentale di Attribuzione, cioè quando un osservatore tende a sottostimare gli effetti del
contesto e a sovrastimare gli effetti delle disposizioni individuali, teorizzato da Ross, Shinn e Toohey
(2003) colpisce anche gli psicologi, i quali ritengono che la ricerca psicologica sia caratterizzata da un
errore di minimizzazione del contesto.
La Psicologia di Comunità agisce però in controtendenza rispetto a questo bias, ed è per questo che
in questo capitolo si è deciso di analizzare il Quartiere, inteso come luogo che accoglie le persone e
in cui si dipana la loro quotidianità, ma anche luogo fisico e simbolico in cui si rendono manifesti gli
esiti dei processi di globalizzazione.
La necessità di sviluppare reti di prossimità ha dato luogo a iniziative volte a trasformare il luogo di
residenza in un luogo che favorisca la coesione sociale e che faciliti uno sviluppo del senso di
comunità.
Rispetto al quartiere bisogna analizzare due aspetti principali che, con esso, risultano interconnessi:
1. Quartiere e Neighbourhood: gli studi sul vicinato si sono sviluppati prevalentemente negli Stati
Uniti e questo li rende poco esportabili in Italia per due ragioni:
- Definizione di Neighbourhood (traducibile come quartiere ma anche come vicinato);
- Conformazione dell’Assetto Urbano nelle città Statunitensi Confrontate con le Italiane.
Inoltre il problema per definire neighbourhood è ritenuto rilevante non solo quando si confrontano dati
di paesi diversi ma può essere definito secondo criteri di altro genere, tra cui storici, geografici e
amministrativi, o in base alla percezione delle persone.
Roux (2004) sottolinea inoltre che uno degli aspetti più critici è l’eterogeneità dell’area geografica la
quale può essere più o meno estesa, a seconda degli obiettivi della ricerca. Si può sintetizzare
dicendo che il concetto di neighbourhood si riferisce ad aspetti dell’abitare collocati in un’area
specifica, la cui estensione può avere un’ampia variabilità che va dal quartiere al condominio.
Va infine notato che i quartieri costituiscono degli aggregati omogenei relativamente a status e livello
socio-economico e quindi, questo processo che può essere definito di Segregazione Residenziale,
questo conduce a due effetti:
- acquisizione di schemi psicosociali basati sulle relazioni e produzione di separazione e
ghettizzazione tra gruppi;
- discriminazione nei confronti di chi proviene da zone degradate della città, con la conseguente
generazione di una sorta di etichetta, per cui ai soggetti vengono attribuite caratteristiche proprie di
quella zona.
Nonostante vi siano diversi approcci con cui si può guardare a tale questione (ad es. labelling theory),
non è facile rilevare una relazione di causa-effetto su aspetti così articolati e si preferisce quindi
pensare a forme di reciproco influenzamento.
Guardare alla relazione tra salute e quartiere rientra nell’ambito di indagini che si rifanno a un’analisi
ecologica della salute, dato che l’ambiente in sé può avere un impatto diretto (ad es. l’inquinamento)
ma anche le caratteristiche percepite hanno una loro rilevanza (ad es. la percezione di vivere in un
contesto insicuro limita le relazioni sociali). Tutto ciò che favorisce l’utilizzo del territorio costituisce
inoltre uno stimolo per sviluppare le relazioni sociali di vicinato, il sostegno sociale e la coesione
sociale, e, pur non essendo ancorate al luogo di residenza, lo sviluppo di reti e relazioni di prossimità
è tanto più rilevante quanto più la persona è fragile e limitata negli spostamenti (ad es. bambini e
anziani).
2. Capitale Sociale e Salute: la prospettiva ecologica in relazione al tema della salute si è ampliata
negli ultimi anni e, oltre alle caratteristiche materiali e strutturali, sono state prese in considerazione
dimensioni sociali come la coesione, le norme e i valori, i quali sono aspetti che si influenzano
reciprocamente.
In sostanza l’ambiente e la percezione che ne hanno gli individui incide sui comportamenti e sul
benessere contribuendo ad esasperare un sentimento di vulnerabilità sociale generatore di
insicurezza o favorendo le relazioni di fiducia.
Il concetto di Capitale Sociale è tra quelli maggiormente utilizzati, infatti si inserisce nel dibattito che
esamina le influenze socio-ambientali sulla salute e i meccanismi implicati in questa relazione. Sono
però differenti le definizioni che si danno di questo concetto (ad es. quella di Putnam o quella di
Bordieu).
Una chiave di lettura che però potrebbe essere condivisa è quella di Portes (1998), il quale definisce il
capitale sociale come l’abilità di assicurare dei benefici attraverso l’appartenenza a reti e altre strutture
sociali, le quali vengono qui distinte in una componente relazionale, che risiede nell’organizzazione
sociale di cui il soggetto fa parte, e in una materiale, che riguarda le risorse che rivendica in virtù della
sua appartenenza a un gruppo.
La relazione di gruppo si basa sulla fiducia e sulla reciprocità che generano un sistema di aspettative
e di obblighi, i quali includono componenti strutturali come caratteristiche osservabili
dell’organizzazione sociale e dimensioni cognitive come norme, valori, atteggiamenti e credenze.
Anche il Capitale Sociale Riferito alla Salute è considerato nei suoi aspetti relazionali dato che rinforza
l’autostima, fornisce sostegno sociale, aiuta le persone ad accedere più facilmente alle risorse e
agisce come moderatore contro gli stressors.
Mentre Lynch e Kaplan (1997) preferiscono una spiegazione basata sugli aspetti materiali del capitale
sociale, vale a dire sulle ineguaglianze di reddito, Kawachi, così come Wilkinson (2006), non distingue
tra elementi relazionari e materiali e considera che l’ineguaglianza esercita la sua influenza attraverso
dei meccanismi psicosociali e cognitivi poiché ha un’influenza fondamentale nel determinare qualità e
quantità delle relazioni sociali e dei rapporti interpersonali.
Se fin qui si ci è concentrati sugli aspetti positivi per la salute, bisogna però anche notare gli Effetti
Negativi, rilevabili principalmente in:
- Coesione Interna: considerata importante per il benessere e per l’azione collettiva, essa permette di
sviluppare un’identità di gruppo e può essere importante per i gruppi svantaggiati in quanto aumenta
la consapevolezza di reagire ai gruppi dominanti e la rete sociale può costituire una risorsa
importante. Però va anche notato che esso è un processo esclusivo, per cui vengono esclusi coloro
che sono portatori di norme e di identità differenti.
Altro aspetto critico della coesione di gruppo è inoltre la pressione esercitata per conformarsi alle
norme del gruppo stesso;
- Controllo Sociale: elemento studiato da Fukuyama (2000), che ritiene che il capitale sociale possa
svilupparsi solo nei casi in cui un gruppo non molto vasto presenti chiari criteri di appartenenza, sia
stabile nel tempo e possieda una cultura condivisa, sottolinea che se le persone possono entrare o
uscire dal gruppo come desiderano, gli individui saranno meno inclini a preoccuparsi della loro
reputazione e si sentiranno meno vincolati al rispetto delle regole sociali e questo costituisce un
ostacolo allo sviluppo della fiducia tra i membri. Diventa quindi necessaria un’attività costante di
vigilanza.
Va quindi infine ricordato che se le reti sociali, il capitale sociale e i rapporti di vicinato sono alcune
delle risorse che concorrono allo sviluppo della qualità della vita e della salute, diversi sono invece i
fattori che contribuiscono a far si che le risorse potenziali si trasformino in minaccia per la salute (ad
es. diseguaglianze sociali).
Diseguaglianze di Salute
Dato che è stato determinato dalle varie ricerche, tra cui quella ISTAT del 2009, che le diseguaglianze
di salute presenti nei nostri contesti sociali sono dovute a differenze sociali, ad esempio, come
evidenziato da Marmot (2004), chi sta in una data posizione della scala sociale gode di miglior salute
di chi viene dopo di lui ma peggiore di colui che lo precede, questi dati confermano la tesi secondo cui
la salute non costituisce un tema di studio e di analisi avulso dal contesto poiché è strettamente
connesso alle caratteristiche bio-psico-sociali degli individui e dei contesti.
In letteratura esistono diversi modelli che si propongono di spiegare i meccanismi alla base delle
diseguaglianze sociali, ma in questo testo si è deciso di considerare il Modello di Mackenbach e
Bakker (2002) proposto da Costa (2009). Esso considera alcuni elementi fondamentali:
- Determinanti Distali: considerabili come le variabili del contesto sociale, esse sono costituite dal
livello macro e si realizzano in quattro aspetti:
- economia;
- lavoro;
- comunità;
- welfare.
- Posizione Sociale: considerata nei suoi aspetti individuali e contestuali in stretta connessione tra
loro;
- Determinanti Prossimali: considerabili come le caratteristiche strutturali, anche in questo caso sia
individuali (ad es. risorse materiali e status) che contestuali (ad es. segregazione e legami deboli),
influenzano la salute poiché hanno una ricaduta diretta sui fattori psicosociali, che sono alla base dello
stress), sui comportamenti a rischio, sui fattori di rischio esterni e anche sull’accesso all’assistenza
sanitaria.
- Esiti.
Nello schema proposto si può quindi osservare come i primi tre fattori prossimali, stress, stili di vita e
fattori ambientali, siano considerati come fattori alla base dell’insorgenza di una patologia, mentre
l’accesso alle risorse e alle strutture socio-sanitarie costituisca invece il fattore principale che può
facilitare il successo della cura o la cronicizzazione della patologia.
Vi sono poi due aspetti fondamentali da approfondire:
1. Differenze di Status: rispetto al perché le differenze nella scala gerarchica portino diversi risultati
in termini di salute, Marmot (2004), noto epidemiologo, ha proposto una spiegazione, la quale porta
l’attenzione sul fatto che le persone attorno a noi presumibilmente hanno un lavoro e vivono in una
casa decente, così come presumibilmente non sono particolarmente ricche. In riferimento a situazioni
non connotate da un particolare degrado, si verifica che a uno status più elevato corrisponde una
salute migliore (è questa quella che viene definita la Status Syndrome).
Muovendo varie critiche alle indagini epidemiologiche classiche, Marmot teorizza che tali differenze
siano rilevabili nel fatto che migliori condizioni di vita portano a una maggiore possibilità di scelta in
termini di beni e servizi, e stimolano l’individuo a una maggiore progettualità e proiezione nel futuro.
Ed è quindi in questo senso che il livello sociale contribuisce a fornire i soggetti di empowerment.
La sua riflessione quindi sottolinea la necessità di trascendere la prospettiva individuale per
focalizzarsi sui contesti in cui le persone vivono, dato che tali elementi interferiscono fortemente sulle
capacità di controllo e di autonomia, le quali a loro volta hanno una diretta influenza sui
comportamenti delle persone.
In conclusione la visione di Marmot offre stimoli che vanno verso un’analisi che intreccia il dato
contestuale con le risposte dell’individuo, terreno in cui l’esperienza psicologica dell’ineguaglianza ha
profondi effetti sul benessere fisico della persona;
2. Equità e Fiducia: la salute riguarda ogni singolo soggetto anche in termini di responsabilità, ma
non può essere solo una questione individuale poiché si è membri di una società e quindi devono
essere tenuti in considerazione quegli elementi e quegli aspetti che hanno un impatto sulla salute.
Marmot sottolinea che l’integrazione sociale incide sulla salute ed elementi come la fiducia e la
cooperazione ne determinano un buon livello. La fiducia costituisce quindi un elemento alla base della
costruzione di buoni legami sociali e costituisce un ingrediente fondamentale del capitale sociale. In
questo senso viene riportato come esempio un'osservazione di Sen, secondo cui l'aspettativa di vita
sarebbe aumentata in Gran Bretagna nel XX nel periodo tra le due guerre grazie all'aumento della
coesione sociale.
Wilkinson e Pickett (2009) sottolineano inoltre che chi si fida degli altri vive più a lungo ed
evidenziando come la fiducia sia generata dall’uguaglianza economica (un bambino nato negli Stati
Uniti ha meno probabilità di vita di uno nato in Grecia, benché quest'ultima abbia un sistema sanitario
peggiore).
Questi autori hanno allora empiricamente dimostrato che la diseguaglianza è associata a una minore
speranza di vita, a tassi di mortalità infantile più elevati, a una minore altezza media e a un peggior
stato di salute autoriferito. I paesi che riportano quindi una minore sperequazione economica invece
presentano una salute migliore per tutti.
Da questo si evince che il confronto sociale è fondamentale per la salute in quanto crea problemi
relativi ad alti livelli di stress, minacce rispetto alla propria identità sociale e numerosi conseguenze
psicosociali, le quali congiuntamente influiscono sui livelli globali di salute/malattia.
In definitiva, come già evidenziato da Zani (2007), bisogna considerare la salute come un bene
comune relazionale e per il suo sviluppo si dovrebbero individuare i processi che favoriscono lo
sviluppo di reti sociali. Ed è di questo che si è occupata negli ultimi anni la Psicologia della Salute di
Comunità.
Per una Psicologia della Salute di Comunità
Data l'importanza di costruire un modello che guardi alla salute sotto gli aspetti biologici, psicologici e
sociali e, come sottolineato da Prilleltensky (2005), vista la necessità di abbandonare il polo volto al
miglioramento della situazione e sostituirlo con un approccio che pone attenzione alla trasformazione
e al cambiamento, si è deciso, all'interno della Psicologia di Comunità, di concentrarsi sulla Comunità,
intesa come il luogo di eccellenza dell’intervento, in quanto in essa sono presenti delle forze sociali
che permettono un processo di cambiamento ed inoltre che costituiscono un mediatore tra soggetto e
contesto sociale in quanto profondamente strutturate dalle relazioni sociali.
Da queste basi si sviluppata un'Analisi Ecologico-Sistemica in cui i diversi elementi di cui un
contesto è costituito interagiscono influenzandosi reciprocamente, come già rilevato dalla teoria del
campo di Lewin e dalla teoria dello sviluppo ecologico di Brofenbrenner, ed in questa prospettiva si
sottolinea l’importanza dei legami, delle relazioni, dei meccanismi di retroazione e interazione tra le
parti dei sistemi.
L'attenzione viene rivolta quindi, come evidenziato da Hawe, Shiell e Riley (2009), non solo ai vari
livelli ma alle interconnessioni presenti tra questi livelli e alle dinamiche attivate dall'intervento.
Per Christens, Hanlin e Speer (2007) si tratta quindi di superare il dualismo individuo/collettività e di
uscire da un modello che colloca il soggetto all’interno di un determinismo culturale e sociale a favore
di una prospettiva che contempli l’articolazione tra soggetto e contesto. Il riferimento è allora a un’idea
secondo cui il cambiamento individuale e quello riferito ai sistemi siano considerati nella loro
interdipendenza.
Questa affermazione richiama il dibattito tra due punti di vista, riduttivi, che, secondo Amerio (2007),
sono:
- Esogamico: in cui l'attività psichica è generata dall’esterno;
- Endogamico: in cui l'attività psichica è derivante da processi interni all’organismo.
Applicare l’analisi sistemica alla prospettiva ecologica significa che le sfide e i cambiamenti individuali,
sociali e sistemici sono visti all’intreccio tra i livelli macro, meso e micro.
A Livello Pratico si deve tenere presente che i sistemi sono dotati di proprietà adattive ed essendo
dinamici non è possibile disgiungere il cambiamento a livello del sistema o riferito al singolo elemento.
L’intervento e i suoi effetti hanno quindi ripercussioni che non sono necessariamente di causa-effetto
poiché si inseriscono in un contesto che ha una propria dinamicità e processualità, e coinvolgono
elementi del sistema non direttamente implicati nell’azione stessa.
Ogni elemento del sistema subisce dei cambiamenti e questo ha delle ripercussioni sul sistema inteso
nella sua totalità. Per questo bisogna quindi distinguere il cambiamento che ha implicazioni e
rilevanza per il sistema nel suo complesso, dal cambiamento che avviene dentro specifici elementi, ed
inoltre è importante distinguere il cambiamento di primo ordine, la naturale progressione del sistema
come dinamismo intrinseco, da quello di secondo ordine che intacca lo status quo.
Mettere in atto interventi di cambiamento significa attivare processi e azioni volti a modificare le
infrastrutture all’interno di una comunità per raggiungere un risultato desiderato.
Considerando la Partecipazione come Processo Psicosociale, essa può essere vista come un
processo di sviluppo che porta ad un bene comune, ed essendo alla base della democrazia deve
essere appresa, come già Lewin aveva evidenziato.
La partecipazione è un concetto complesso e si presenta come un fenomeno multilivello che
coinvolge aspetti individuali, sociali e collettivi, e che può produrre effetti particolari sia sui singoli che
sulla collettività, sia in termini positivi, sviluppando quindi conoscenza, competenze e advocacy, sia
con problematicità.
Alcuni elementi da considerare della partecipazione sono:
- importanza di sviluppare la partecipazione dei soggetti non ancora coinvolti;
- saper contrattare i propri punti di vista giungendo a decisioni comuni;
- sviluppare un buon lavoro di gruppo, integrando e negoziando le differenze.
Come ben chiarisce un documento dell’OMS del 2006, sebbene i processi partecipativi costituiscono
la base dell’empowerment, la partecipazione da sola è insufficiente se non si costruiscono strategie
per sviluppare la capacità delle organizzazioni della comunità nella presa di decisioni e nell’advocacy.
Come esempio pratico si può analizzare il Modello di Analisi Ecologico-Sistemica di Peirson
(2011), il quale consiste in una serie di fasi:
1. Identificazione del Sistema e del Problema: dato che i problemi sociali sono fenomeni complessi e
la loro origine è il risultato di un insieme di fattori diversi, la loro stessa definizione non è un aspetto
semplice. Tra gli obiettivi della partecipazione c’è quello di accogliere le diverse istanze di
cambiamento e giungere, attraverso la negoziazione, a una comprensione condivisa delle situazione
problematiche e agli interventi da attuare (ad es. Action-Research teorizzata da Lewin);
2. Individuazione della Posizione del Problema all'Interno del Sistema: valutare quanto esso è radicato
nella storia e nel tessuto del sistema e delineare confini dell’intervento specificando gli obiettivi e
coinvolgendo le persone;
3. Direzione dell'Intervento per Attuare il Processo di Cambiamento: la direzione può quindi giungere
dall'esterno, come una nuova legislazione, o essere intrinseco al sistema stesso, come una nuova
leadership. Il cambiamento inoltre può essere:
- Reattivo (creazione di una rottura con l'ordine preesistente);
- Proattivo (evoluzione della situazione precedente).
Il modello di Peirson individua inoltre tre Fasi del Processo Ecologico di Cambiamento, ciascuna
caratterizzata dalla ciclicità tra risorse, adattamento e interdipendenza:
- Successione del Contesto: si riferisce al fatto che la situazione presente è conseguenza anche di
quanto è accaduto nel passato, quindi è influenzata dalla storia;
- Successione del Cambiamento: considera le dinamiche evolutive di un sistema. Sono previsti
processi costanti di osservazione e monitoraggio in modo da evitare eventuali ostacoli;
- Successione del Futuro: riguarda sia le potenziali ripercussioni dell’intervento al termine del
processo che l’anticipazione di eventuali nuovi cambiamenti del sistema.
Il modello illustra infine la presenza di una Ciclicità tra Elementi:
- Risorse: le quali possono essere di varia natura. È importante che prima di ogni processo di
cambiamento vengano identificate quantitativamente e qualitativamente, così come si presenta la loro
organizzazione. E’ importante anche individuare le risorse mancanti e quelle nascoste, in modo da
rendere quest'ultime palesi;
- Principio dell'Adattamento: comporta l’esame delle risposte del sistema e dei suoi elementi al
cambiamento. Conoscere i modelli di coping e gli stili comportamentali può produrre una profonda
comprensione del potenziale adattivo del sistema, e questa conoscenza può essere utilizzata per
sviluppare strategie proattive per superare la resistenza potenziale al cambiamento;
- Interdipendenza: un cambiamento sistemico può avere come obiettivo un mutamento relativo alla
interdipendenza tra gli elementi del sistema e può avere origine anche da effetti indiretti di
cambiamento. Dato che l’alterazione su una componente impatta sulle altre, nel caso in cui si dovesse
configurare un mutamento nell’interdipendenza si rende necessario ridisegnare l’organizzazione del
sistema stesso. È importante prevedere le ripercussioni che queste alterazioni potrebbero produrre e
assicurare l’integrità del sistema nel suo insieme.
Gli studi sulla salute, che dimostrano la multifattorialità di queste dimensioni, richiamando la necessità
di considerare l’articolazione tra aspetti soggettivi e oggettivi e l’interdipendenza tra i processi.
Nella complessità che si riscontra nel collegare la teoria alla pratica, l’Action Research offre una
proposta metodologica che si concretizza in un processo circolare e continuo tra ricerca, azione e
valutazione.
Dall'Approccio Evidence-Based a una Valutazione Integrata: Proposta e Sintesi Conclusiva
Fondamentale, considerando le tematiche che riguardano il tema salute/malattia, è ricordare la
Medicina Evidence-Based (EBM), nata in seguito ad una proposta di Sackett (1992) relativa
all'integrare l’evidenza clinica con la competenza clinica, la cui caratteristica principale ridurre la
discrezionalità del medico indirizzando le sue decisioni. Sicuramente tale approccio ha, oltre al parere
favorevole degli epidemiologi, una rilevanza positiva nella pratica clinica, in quanto fornisce basi
scientifiche più solide, e permette di confermare, o meno, alcune delle prassi cliniche.
I Limiti sono però individuabili nel suo essere basato su dati probabilistici, nella sua impossibilità a
sostituirsi al fondamentale rapporto medico-paziente e all'impossibilità di valutare le variabilità
individuali e le reazioni soggettive. Come sostenuto da Plank infatti ciò che può essere misurato è
reale ma non è detto che on lo sia ciò che non può essere misurato.
Questo porta a rilevare che la critica che viene effettuata è diretta all’applicazione riduttiva
dell’approccio, e in sua risposta si sta diffondendo un Approccio Focalizzato sul Paziente
Considerato Soggetto Attivo nel/del Processo di Cura, in cui prende corpo la necessità di rilevare
anche la sua soddisfazione, la qualità della vita e altre dimensioni che lo riguardano. E’ stato inoltre
dimostrato come un approccio centrato maggiormente sul paziente possa recare dei benefici ai diversi
attori coinvolti.
La necessità di integrare un’analisi evidence-based con una valutazione dell’esperienza soggettiva si
fa più cogente in alcuni ambiti della sanità (ad es. umanizzazione della medicina con il ricorso alla
psicoterapia e alla meditazione) e vari studi di ricerca stanno cercando di indagare i benefici che le
tecniche allopatiche possono avere sulla salute in modo da incrementare la conoscenza sull’uomo.
Per comprendere se queste pratiche sono efficaci bisogna strutturare delle Analisi
Ecologico-Sistemiche, che siano in grado di contestualizzare gli interventi, dato che i programmi
sociali possono non essere altamente riproducibili ed efficaci, come evidenziato da Lombi (2008).
La proposta è quindi quella di sviluppare una valutazione integrata che sia in grado di monitorare la
relazione individuo/contesto.
Pawson, Wong e Owen (2011) ritengono inoltre che l’obiettivo della valutazione non è sapere se il
programma ha funzionato, ma sapere cosa ha funzionato, contemplando anche le opinioni dei
cittadini. Si tratta quindi di definire e applicare un sistema di valutazione che includa l’analisi del
benessere e della qualità della vita percepiti, a livello individuale e a livello sociale, considerando la
specificità dei contesti e delle situazioni e analizzando sia i dati oggettivi che quelli prettamente
soggettivi.
Anche Bertini (2012) asserisce che nell’ambito della salute la pluralità dei metodi è il percorso più
valido, ed in questo senso la prospettiva ecologica, la quale riconosce che i soggetti sono allocati
all’interno di un vasto contesto sociale e che il gruppo è in grado di essere un efficace strumento di
cambiamento poiché ogni cambiamento è anche un cambiamento valoriale (Lewin), sembra
l'approccio più rilevante.
3. FELICITA', BENESSERE E QUALITA' DELLA VITA
Introduzione
Analizzato il tema della salute e delle sue interconnessioni con altri aspetti contestuali, risulta ora utile
considerare come i concetti di Benessere, Felicità e Qualità della Vita, indagati in maniera importante
negli ultimi vent'anni dalla psicologia, siano rilevanti e quali condizioni sociali, culturali ed istituzionali
concorrano alla loro definizione.
Come dimostrato da una ricerca del 2011, basata su un confronto tra diversi Stati nazionali, il
benessere è determinato dalla soddisfazione dei bisogni, ottenuta sia a livello individuale che
societario. I dati hanno dimostrato inoltre che il reddito incide sul benessere meno della soddisfazione
dei bisogni.
La letteratura scientifica ha prodotto molte riflessioni e report di ricerca su temi legati al benessere,
alla qualità della vita e della felicità intesi a diversi livelli, tra cui soggettivo, sociale e organizzativo,
però questi concetti sono stati misurati con strumenti differenti e questo ha reso difficile stabilire se le
differenze riscontrate siano dovute effettivamente ai contesti o agli strumenti utilizzati.
Anche nell’ambito della ricerca psicologica il tema del benessere costituisce un costrutto eterogeneo.
E’ infatti necessario distinguere il benessere psicologico, quello soggettivo e quello sociale, che si
riferiscono a tre specifici approcci e strumenti di misurazione.
Felicità
Davidson (2012) ha osservato che il concetto di felicità viene utilizzato in riferimento a una vasta
gamma di stati emozionali positivi, denunciando che tra tutte le emozioni, la felicità è la meno
compresa. Pertanto si è sviluppato nei suoi confronti un crescente interesse da parte di diverse
discipline.
L’interesse scientifico suscitato della Felicità può essere riconducibile a due motivazioni:
- necessità di considerare l’esperienza soggettiva dell’individuo, integrando i dati oggettivi che
descrivono le condizioni di salute e di benessere di un gruppo, anche con elementi di
valutazione soggettivi;
- il fatto di ritenere che il benessere di una nazione non possa essere considerato solamente
utilizzando indicatori economici, ma è doveroso integrare queste valutazioni, con altri dati, come ad
esempio il benessere percepito.
Attualmente dagli studi compiuti bisogna valutare la Felicità tra Edonismo e Eudaimonia. In questo
senso bisogna quindi distinguere tra i due approcci:
- Approccio Edonico: considera il benessere in termini di ottenimento del piacere personale legato a
sensazioni ed emozioni positive;
- Approccio Eudaimonico: si riferisce invece alla realizzazione delle potenzialità dell’essere umano,
dato che l'eudaimonia è ciò che è utile all’individuo e che ne arricchisce la personalità.
Il benessere eudaimonico si riferisce quindi alla misura in cui una persona è messa nelle condizioni di
poter sviluppare le proprie potenzialità all’interno del contesto sociale a cui appartiene. La felicità non
è quindi un piacere passeggero ma una conseguenza di un’azione portata a buon fine, e sta a
indicare un’esistenza realizzata.
La felicità può quindi essere, come già sottolineato da Aristotele nella "Politica, un obiettivo politico,
come previsto dalla Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti (1776) e dalla Costituzione del
Buthan, ma è considerata comunque una dimensione che riguarda l’individuo. Galimberti (2009)
ritiene che la felicità resta una condizione esistenziale a cui tutti ambiscono e, incapaci di
raggiungerla, attribuiscono il fallimento agli altri o alle circostanze del mondo esterno e a tutta una
serie di fattori su cui non esercitiamo alcun potere di controllo. Eppure la propensione alla felicità è
accessibile a ogni essere umano, perché dipende dalla piena accettazione di sé.
Galimberti afferma anche che la felicità è uno stato d’animo connesso con la realizzazione di sé che si
basa sulla capacità di fruire di ciò che è ottenibile e non di desiderare ciò che è irraggiungibile.
Se da un lato la felicità prescinde dalla ricchezza e dal benessere, dall’altro viene proposto uno
sguardo sulla felicità di tutt’altro tenore e si ritrova un pensiero sociale sulla felicità che trascende una
prospettiva soggettiva e individualistica, nella tradizione cattolica, in Russeau e nei socialisti che
ipotizzavano la maggiore felicità possibile per il più alto numero possibile di persone.
Rispetto alle possibilità di Studiare e Misurare la Felicità, le prime ricerche empiriche si sono
sviluppate, seguendo sia logiche soggettive che oggettive, intorno agli anni '60.
Esse hanno considerato la felicità come una dimensione valutativa generale, interente alla
soddisfazione attuale per la propria vita.
I primi mezzi utilizzati sono stati le interviste cliniche, spesso corredate dall'utilizzo di metodi proiettivi
(ad es. TAT), abbandonati successivamente a favore di domande più dirette. Entrambi questi metodi
hanno però delle limitazioni in quanto vi è difficoltà di definizione del termine e le ricerche non
sembrano riuscire a cogliere gli elementi di causa-effetto.
Elemento fondamentale della felicità sembra però essere la Soddisfazione dei Bisogni Primari e la
Possibilità di Realizzare una Vita Densa di Significato.
Veenhoven (204), sociologo e psicologo olandese, ha creato una banca dati relativa agli studi sulla
felicità e ha permesso di distinguere tra due Informazioni Principali sulla Felicità:
- Piano Emotivo: costituisce la componente edonica della felicità, per cui riflette la gratificazione delle
esigenze fondamentali per la sopravvivenza della specie e spinge l’individuo al soddisfacimento dei
bisogni;
- Piano Cognitivo: basato su una valutazione che si riferisce al confronto che il soggetto fa tra la vita
vissuta e quella che dovrebbe essere.
La componente emotiva della felicità ha una funzione adattiva e non necessariamente registro
emotivo e quello cognitivo coincidono.
Diversi studi, relativi alle differenze tra paesi, dimostrano che la felicità è correlata:
- con la ricchezza del paese;
- con uno stato di diritto basato su cittadinanza multietnica e libertà.
Per quanto riguarda le differenze interne agli Stati, i dati rilevano come la felicità sia in relazione alla
partecipazione sociale e all’essere inseriti in una rete di relazioni informali significative, evocando la
rilevanza attribuita al capitale sociale.
Altre ricerche evidenziano come la salute sia un fattore determinante per la felicità. Non si è ancora
però giunti ad ottenere una spiegazione valida del perché.
Altre correlazioni sono state descritte tra benessere e caratteristiche psicologiche. In particolare le
persone più felici sarebbero maggiormente in grado di controllare il proprio ambiente utilizzando
strategie di coping adattive, presenterebbero maggiori abilità sociali e di resistenza psicologica
nonché livelli di autostima più elevati, questo perché le persone felici sono più propense a riconoscere
in sé stesse l’origine degli eventi che riguardano la loro vita, mentre quelle infelici si percepiscono
maggiormente in balia degli eventi.
Un grande Paradosso sulla Felicità riguarda il fatto che essa si presente anche in soggetti che
presentano situazioni soggettive (ad es. un handicap) difficoltose. Questi dati sarebbero da ricondurre
ad una spiegazione che vede una base genetica della felicità, la quale però si esprimerebbe in
interazione con l'ambiente, come teorizzato da Lykken (1999) secondo cui essa incide al 50% .
L'essere umano sarebbe quindi spinto da una grande capacità di adattamento e anche gravi
problematiche, una volta affrontate, possono condurre il soggetto ad un ritorno allo stato emotivo di
base.
Rispetto alla Felicità nel Terzo Millennio, nel Rapporto 2012 di "Osservasalute" si evidenzia come
anche quest’anno prosegua il trend di aumento del consumo dei farmaci antidepressivi che
difficilmente vedrà un’inversione di tendenza.
Nei paesi occidentali quindi la qualità della vita sembra in declino e sembra anche indebolirsi la
capacità del soggetto di fronteggiare le situazioni di criticità. Inoltre si stima che nell’arco di 15 anni la
depressione grave sarà la seconda malattia debilitante nel mondo.
Tale aumento esponenziale avvenuto dagli inizi del ‘900 a oggi viene spiegato con un aumento del
disagio esistenziale dovuto agli stili di vita che caratterizzano la vita moderna.
Vi sono però ancora attualmente dei limiti metodologici che rendono difficile la valutazione della felicità
e, sopratutto, il confronto dei dati a livello cross-culturale, dato che non risulta semplice nemmeno
stabilire una definizione internazionalmente accettata di felicità.
Esempio importante che deve essere citato lo stato del Buthan, il quale risulta tra i primi venti per
livello di felicità nonostante la grave condizione di povertà che lo colpisce. In questo stato le politiche
nazionali hanno deciso di sostituire il PIL (prodotto interno lordo) con il FIL (felicità interna lorda),
basato su uno sviluppo societario che si fonda sullo sviluppo materiale e spirituale, a cui tale politiche
devono mirare.
Già molti politici e studiosi, tra cui si può ricordare il discorso di Robert Kennedy nel 1968 alla Kansas
University, hanno quindi portato varie Critiche al PIL considerato non in grado di valutare l'effettivo
benessere sociale ma solo il potere d'acquisto. La stessa Commission on the Measurement of
Economic Performace and Social Progress (CMEPSP), richiesta da Sarkozy nel 208 e presieduta da
Stiglitz, Sen e Fitoussi sostiene che il PIL debba essere utilizzato solo per quello che riesce a rilevare,
e che necessiti di altri strumenti per una valutazione più globale.
Oggi un crescente numero di persone, di organizzazioni e di governi concorda quindi sul fatto che sia
necessario dotarsi di nuove misure per rilevare il progresso, misure che siano in grado di considerare
aspetti importanti sino ad ora ignorati.
Le critiche rivolte al PIL conducono alla necessità di comprendere Se il Benessere Economico sia
Connesso alla Felicità (per dirlo con un modo di dire, se i soldi facciano la felicità). Già Durkheim
aveva messo in discussione la presunta relazione tra ricchezza economica e felicità sociale,
attraverso la registrazione dei suicidi dell’epoca e, secondo il Paradosso Esterline (1974, 2004), non
esiste alcun legame tra i livelli di crescita economica e la felicità dei membri di una società. Questo
autore ritiene che le persone tenderebbero ad investire troppe risorse per aumentare i propri beni
materiali e questo porterebbe a degli effetti negativi su altri fronti, come ad esempio sulla vita
familiare.
Veenhoven e Inglehart (1997) hanno quindi dimostrato che la relazione tra reddito e felicità sia
curvilinea, per cui l’effetto del reddito diminuisce quando il punto di saturazione è stato raggiunto. In tal
senso raggiunti i bisogni di base un ulteriore aumento di reddito non incrementa il livello di felicità.
Partendo dal paradosso della felicità di Easterline alcuni economisti ritengono che la tensione
psicologica verso la realizzazione delle proprie aspirazioni sono inversamente proporzionali alla
quantità e alla qualità di relazioni sociali e interpersonali, andando quindi a ridurre il benessere che
deriva da un eventuale successo in ambito economico e professionale.
Il confronto sociale che spinge le persone all’acquisizione di beni su cui costruire la propria immagine
sociale le allontana dalla cura delle relazioni e gli effetti positivi sul benessere dovuti al miglioramento
nel tempo delle condizioni economiche sono stati compensati dagli effetti negativi dovuti al
peggioramento delle relazioni tra le persone (Bartolini, 2010). Questo spiegherebbe anche il
paradosso felicità-suicidio dello studio di Daly (2011) che evidenzia la presenza di tassi di suicidio più
elevati in zone abitate da persone con un alto livello di soddisfazione per la loro vita: Questo dato si
spiega con il fatto che le persone scontente in un luogo felice possono percepire come la vita sia
particolarmente severa nei loro confronti e questo contrasto può portare a scelte estreme come il
suicidio.
Alcuni studiosi interessati a verificare se il benessere sia maggiore nelle culture che favoriscono
l’autonomia delle persone hanno realizzato delle ricerche volte a confrontare le culture
individualistiche con quelle collettivistiche. Dai dati discordanti emersi si può sottolineare come troppa
autonomia e libertà rischi di portare solitudine, perdita di identità e svuotamento del self, e come un
eccessivo individualismo può portare a comportamenti antisociali.
In sintesi si può affermare che la ricerca eccessiva di benessere e l’individualismo esasperato
costituiscono delle minacce alla qualità della vita e a valori come la partecipazione. Una vita
soddisfacente risiede anche nella possibilità di appagare la necessità di autonomia e di
autodeterminazione, le quali vanno però integrate con buone relazioni sociali. Inoltre tutte queste
dimensioni sono comunque sempre mediate culturalmente.
Il Tema del Benessere, che spesso si interconnette con la felicità, al centro dell’attenzione anche di
numerosi politici in questi anni in quanto il suo legame con la salute è innegabile e quindi sviluppare
strumenti in grado di rilevare tali caratteristiche (felicità, qualità della vita e benessere) possono
risultare fondamentali per una sostanziale riduzione della spesa sanitaria.
Benessere
Quello del Benessere è un concetto polisemico. Per lo sviluppo di tale concetto il contributi maggiori
derivano da:
- chi ha realizzato numerose indagini per determinare l’incidenza dei fattori demografici;
- ricercatori che, indagando la salute mentale, hanno incluso la felicità e la soddisfazione per la vita
come dimensioni in grado di descrivere la percezione e la valutazione che il soggetto attribuisce alla
propria esistenza;
- dalla psicologia della personalità e dalla psicologia sociale e cognitiva.
Attualmente la letteratura psicologica distingue tra:
- Benessere Soggettivo: è la valutazione che i soggetti esprimono nei confronti della propria vita ed è
costituito da una componente cognitiva che equivale alla soddisfazione per la propria vita, e da un
aspetto emozionale. Tra gli autori che hanno sviluppato degli studi a riguardo il principale è Diener;
- Benessere Psicologico: descrive gli aspetti che contribuiscono a una salute mentale positiva, e non
si intende come un’assenza di malessere. Tra gli studiosi che hanno contribuito a chiarire questo
concetto è da ricordare ricordiamo la Ryff (1989), la quale perviene a un modello teorico e misurabile
di benessere psicologico individuando sei dimensioni, tra cui l’autonomia, le relazioni positive, la
crescita personale, l’accettazione di sé, lo scopo nella vita e il controllo ambientale. Limite del modello
riguarda che queste dimensioni rappresentano i valori della classe media occidentale, per cui non
sono generalizzabili;
- Benessere Sociale: descrive il benessere di un soggetto situato in un contesto, si riferisce al tipo di
relazione che il soggetto esperisce nei confronti della comunità più allargata. Keyes (1998) lo definisce
come la valutazione delle proprie condizioni di vita e del proprio funzionamento nella società. Di esso
sono state individuate cinque dimensioni, tra cui l’integrazione sociale, l’accettazione sociale, il
contributo sociale, l’attualizzazione sociale e la coerenza sociale.
Tutti e tre contribuiscono a sviluppare una riflessione che richiama la scienza psicologica allo studio di
ciò che può concorrere a sviluppare il potenziale umano.
Rispetto al Benessere Soggettivo, elemento più indagato negli ultimi anni anche grazie alle ricerche
di Diener (che lo ha studiato dal 1984 a oggi), bisogna definire alcune Implicazioni Psicologiche e
Sociali:
- Soddisfazione per la Vita e Valutazioni Emotive: nell’accezione di Diener il benessere soggettivo
comprende la soddisfazione per la vita e i sentimenti negativi e positivi connessi a un periodo della
vita o a certe situazioni esistenziali. I suoi studi hanno dimostrato che la componente cognitiva e
quella emotiva possono essere correlate dimostrando che alcune variabili interagiscono
differentemente con l’una o con l’altra dimensione. Riferendosi ad autori come Maslow, secondo cui
alcuni bisogni umani sono universali e il loro soddisfacimento sviluppa il sentimento di benessere di
una persona, Diener intende precisare quale sia il contributo della soddisfazione dei bisogni ai fini del
benessere soggettivo in riferimento ad altre dimensioni, come il reddito, e se i diversi bisogni
universali individuati concorrano equamente a determinare tutte le dimensioni del benessere.
In uno studio recente (2011) è stato dimostrato che il soddisfacimento di diversi bisogni contribuisce a
diversi aspetti del benessere. Lo studio considera anche il reddito, rilevando che incide sulla
soddisfazione per la vita, ma non sugli aspetti emotivi del benessere. Si potrebbe quindi affermare che
il reddito permette di acquistare la soddisfazione per la vita, appagando aspetti cognitivi ma non la
felicità;
- Caratteristiche Personali e Psicologiche: il benessere soggettivo è determinato anche da
predisposizione interne e innate, come per la felicità, ma il ruolo della componente genetica varia da
ricerca a ricerca.
Oltre ad aver dimostrato che il benessere soggettivo è piuttosto stabile nel tempo, molti studi hanno
evidenziato la sua correlazione con i tratti di personalità, specialmente estroversione e neuroticismo, e
con dimensioni psicologiche (ad es. avere importanti scopi da seguire). Resta però attuale il problema
della causalità tra processi;
- Caratteristiche Contestuali: il benessere delle persone dipende sia dal successo per la propria vita
che dal benessere di coloro che la circondano.
Morrison, Tay e Diener (2011) si sono proposti di colmare una lacuna negli studi sul benessere
soggettivo, cioè il fatto che questo sia stato scarsamente messo in relazione con gruppi sovraordinati
(ad es. nazione o società), e viene quindi ipotizzata una relazione positiva tra soddisfazione per la vita
e soddisfazione nazionale.
Tale processo ha una maggiore influenza tra le persone con basso reddito, in quanto ai fattori esterni
viene data maggiore rilevanza, conducendo a una valorizzazione positiva anche del self del soggetto.
Inoltre gli autori hanno riscontrato una maggiore relazione tra soddisfazione nazionale e soddisfazione
per la vita nei paesi non occidentali.
Tay e Diener (2011) hanno inoltre dimostrato che il concetto di benessere è cross-culturale, poiché ha
origine dal soddisfacimento dei bisogni che sono riconosciuti come universali, ma è il rango di
importanza a cambiare, e questo elemento rende difficoltosi i confronti.
Il problema quindi potrebbe essere superato solo introducendo altri strumenti di analisi.
Rispetto invece alla connessione tra Benessere e Giustizia, basato sulle critiche di degli economisti
Stewart e McClosky rispetto all'importanza della felicità rispetto al benessere soggettivo, è stata
sviluppata da Amartya Sen (2009), premio Nobel per l’economia, secondo cui il benessere si spiega
attraverso i concetti di:
- Functionings: intesi come funzionalità o stati primari dell’essere che rappresentano i costituenti base
del benessere e consistono in ciò che una persona realizza per lo sviluppo dell’identità personale e
permettono l’espressione di ciò che i soggetti sono e di ciò che riescono a fare;
- Capabilities: intese come capacità, comprendono l’insieme delle funzionalità potenzialmente
disponibili nell’ambiente e riflettono il grado di libertà, autonomia e controllo dell’individuo nel proprio
contesto sociale e la possibilità quindi di scegliere tra diverse funzionalità.
La definizione di benessere per la Sen comprende quindi la soddisfazione dei bisogni per la
sopravvivenza e l’acquisizione di altre funzionalità che variano in base agli individui e alle culture.
Altro fattore importante che identifica la Sen è l’Agency, intesa come essere attivi, un costrutto che
verrà ripreso dalla Nussbaum. Per agency si intende il perseguimento attivo di scopi rilevanti per la
persona tenendo conto delle relazioni che il soggetto intrattiene con il contesto sociale e con i valori e i
bisogni di altri individui.
Prilleltensky (2012), attento a considerare i vari aspetti socio-contestuali, ritiene che la psicologia
abbia sovrastimato l’importanza del benessere e dedicato poca attenzione al tema della giustizia.
La proposta di Prilleltensky, basata sulla necessità di integrare aspetti interpersonali, organizzativi e
comunitari, è di considerare il benessere come un insieme positivo di diversi aspetti conseguenti alla
possibilità di soddisfare differenti bisogni sia oggettivi, sia soggettivi. I bisogni delle persone e dei
sistemi in cui interagiscono devono quindi progredire simultaneamente e in equilibrio tra loro.
Si tratta allora di individuare degli Indicatori Potenziali (Prilleltensky ne ipotizza 48) che rappresentano
le condizioni necessarie per lo sviluppo umano, e per ciascuna unità di analisi vengono specificati sei
indicatori oggettivi e sei soggettivi.
Questi indicatori costituiscono una sintesi di quanto gli studi hanno sviluppato sul tema del benessere.
Limite della proposta di Prilleltensky potrebbe porsi a livello operativo, poiché risulta complesso
sviluppare ricerche in grado di articolare un’analisi empirica connettendo le diverse unità di analisi.
Qualità della Vita
Anche il concetto di Qualità della Vita, a seconda degli ambiti disciplinari e dei riferimenti
epistemologici, assume delle sfumature differenti oppure viene assimilato ad altri termini. Sicuramente
esso però non sinonimo di felicità o benessere.
Nell’ambito della salute sono centinaia gli studi che descrivono la qualità della vita di soggetti portatori
di una qualche patologia, con l’obiettivo di rilevare sia in che misura la malattia incida sul normale
decorso del quotidiano e interferisca sull’autonomia delle persone, sia il modo in cui il soggetto si è
adattato ad essa. E' inoltre necessario valutare quanto gli interventi sanitari concorrano allo sviluppo
della qualità della vita, considerazione che deriva dalla prospettiva che critica il modello
meccanicistico in medicina e ritiene fondamentale occuparsi anche degli aspetti psicologici e
relazionali del soggetto.
La qualità della vita riferita alla salute è definita tecnicamente Health-Related Quality of Life
(HRQoL) ed è il risultato delle relazioni tra diverse determinanti.
I Piani che Concorrono alla Determinazione della Qualità della Vita sono:
- Ambiente: comprende ciclo della vita, prosperità economica, assistenza sanitaria, ambiente sociale e
fisico e cultura;
- QoL Related: comprende manifestazioni e sintomi, status funzionale, percezione della salute e
opportunità della salute;
- Individuo: comprende genetica e biologia, personalità e motivazioni, valori e preferenze e percezioni
della salute.
Secondo Patrick (2001), quando una persona è ammalata i concetti di HRQoL e di QoL possano
diventare sinonimi poiché lo spazio di vita del soggetto è condizionato dalla malattia che permea la
sua esistenza.
In alcuni paesi la valutazione della qualità della vita è entrata a fare parte delle misure politiche. Agli
inizi degli anni ’90, l’OMS ha istituito un gruppo di lavoro per fare chiarezza e pervenire a una
definizione di qualità della vita volta a integrare gli aspetti soggettivi con quelli ambientali e per
giungere ad uno strumento di misura che permettesse un confronto tra culture diverse.
Secondo l’OMS la qualità della vita è la percezione soggettiva che un individuo ha della propria
posizione nella vita, nel contesto di una cultura e di un sistema di valori nei quali è inserito, anche in
relazione ai propri obiettivi, aspettative e preoccupazioni. E’ un concetto che integra in maniera
complessa la salute fisica della persona, il suo stato psicologico, il suo livello di indipendenza, le sue
credenze personali, le sue relazioni sociali, così come la sua relazione con gli elementi essenziali del
suo ambiente.
Lo strumento che permette la sua misurazione è il WHOQOL-100, costituito da 25 sezioni, composte
ciascuna da 4 item, per un totale di 100. Contempla molti aspetti che riguardano la vita delle persone.
Per il difficile utilizzo nella pratica clinica, è stata messa a punto una versione breve ed entrambe le
versioni hanno dimostrato buone proprietà psicometriche.
Una caratteristica dello strumento è di studiare il benessere della popolazione e non la QoL di
categorie di persone sanitarizzate, ed inoltre di prestarsi a esaminare differenze o similarità tra
popolazioni o categorie differenti.
Sirgy (2011) ha proposto una sistematizzazione delle Principali Prospettive Teoriche della Qualità
della Vita:
1. Sviluppo Socio-Economico: si fonda sull’idea che lo sviluppo economico sia alla base dello sviluppo
sociale. Gli indicatori riferiti alla qualità della vita sono in questo caso il PIL, il reddito familiare e i tassi
di disoccupazione. Questo concetto non può certo catturare l’intero ambito della qualità della vita, ma
può aiutare a definire e ad articolare gli indicatori di benessere economico;
2. Utilità Personale: una comunità, intesa come area geografica, che presenti alti livelli di qualità della
vita è una comunità i cui membri valutano positivamente le loro condizioni esistenziali, le condizioni di
comunità, i servizi e le istituzioni, pubblici e privati. Questo concetto si riferisce alla percezione di
quanto i servizi e le opportunità presenti nella comunità siano utili alla collettività. Si tratta allora della
percezione della qualità della vita riferita alla comunità, quindi sia soggettiva che oggettiva;
3. Concetto di Giustizia Sociale: si può ritenere che una società può essere considerata giusta quando
esiste uguaglianza nell’assegnazione dei diritti e dei doveri, e quando le ineguaglianze sono
giustificate perché vanno a vantaggio dei membri meno avvantaggiati;
4. Concetto di Sviluppo Umano: la promessa sottesa al concetto di soddisfazione dei bisogni umani è
l’idea secondo cui una comunità caratterizzata da un’alta QoL gioca un ruolo significativo proprio nella
soddisfazione dei bisogni evolutivi delle persone;
5. Concetto di Sostenibilità: la World Commission on Environmente and Development definisce
sostenibilità lo sforzo di appagare i bisogni del presente senza compromettere la possibilità di
soddisfare i bisogni delle generazioni che verranno. Sirgy individua due principali filoni considerando
la loro interrelazione, con da un lato il benessere ambientale e dall’altro quello riferito alla sostenibilità
umana e a quella ambientale. In altri termini lo sviluppo sostenibile è una combinazione di benessere
umano e ambientale;
6. Capabilities e Funzionamento: basato sul pensiero della Sen che si ispira ad alcuni fondamenti
teorici di base tra cui la focalizzazione sui fini umani e sull’importanza di rispettare le abilità e le
competenze delle persone per perseguire e realizzare gli scopi considerati di valore, il rifiuto del
modello economico di un uomo che agisce per massimizzare il proprio self-interest e un’enfasi sulle
complementarietà tra le diverse capabilities della stessa persona e sulla loro dipendenza dalle
caratteristiche degli altri e dall’ambiente in cui le persone vivono. Un ultimo aspetto riguarda il ruolo
giocato dalle considerazioni morali, dai principi etici e dal senso di giustizia, sia di assicurare
opportunità eque per tutti.
In sintesi, da un punto di vista applicativo, la rilevazione della qualità della vita è utile per riorientare le
attività svolte dall’ente pubblico, dando così alla persona un ruolo rilevante e considerando essenziale
tener conto anche della sua esperienza e della sua valutazione. Si auspica quindi che la rientri a far
parte degli obiettivi delle politiche.
Conclusioni
Vista la confusione terminologica rispetto ai temi prima trattati, può essere utile fare chiarezza:
1. Benessere Soggettivo: si riferisce alla valutazione circa la propria vita e comprende una
valutazione cognitiva, relativa alla soddisfazione per la propria vita, e una emotiva sia essa positiva o
negativa. Quindi la soddisfazione per la vita, le emozioni positive e le emozioni negative costituiscono
aspetti separati del benessere soggettivo. La soddisfazione prefigura un giudizio valutativo circa la
propria vita mentre l’emozione si riferisce all’esperienza edonica in un tempo specifico.
Diener ha cercato di rispondere ai problemi di ordine metodologico realizzando una serie di studi e
proponendo la valutazione della soddisfazione con una scala graduata e rilevando le emozioni
chiedendo ai soggetti di specificare, in un tempo definito, se abbiano vissuto o meno determinati tipi di
reazioni emotive.
Questo strumento è molto utilizzato, ma è lontano dall’essere ritenuto valido. Ad esempio in Italia
l’ISTAT, pur riconoscendo il concetto di benessere come costituito da una dimensione cognitiva e da
una affettiva, ha inserito tra le domande un solo item riferito alla soddisfazione, ritenendo che la
dimensione affettiva proposta da Diener necessiti di approfondimenti;
2. Soddisfazione per la Vita: rappresenta una generale valutazione del soggetto sulla propria vita,
considerata la componente cognitiva del benessere soggettivo, per cui secondo Diener i due termini
non sono sinonimi.
Essa viene rilevata tramite un unico item o attraverso una scala costituita da 5 item su una scala Likert
da 1 a 7;
3. Qualità della Vita: distinta dalla HRQoL, prima citata, viene considerata una misura
multidimensionale.
Le scale che misurano questo aspetto spesso includono item che considerano anche il benessere
percepito riferito a specifici ambiti della vita, includendo quindi anche il benessere.
In sintesi si può dire che se la soddisfazione per la vita può essere considerata come la componente
cognitiva del benessere, e che quest’ultimo fa parte invece del costrutto della qualità della vita. La
felicità invece è un concetto che fa riferimento al benessere delle persone, a una buona qualità della
vita e a una valutazione positiva data all’esistenza.
Le ricerche attuate hanno però spesso usato concetti non omogenei e scansioni temporali differenti,
per cui ancora molto difficoltoso un confronto tra esse.
Il campo di ricerca su questi temi presenta molti altri Aspetti da Esplorare. E’ necessario modificare il
modo con cui si guarda alle condizioni di vita, al benessere/malessere di una popolazione e non si
possono separare le vite delle persone dalle condizioni esterne. Ad esempio un aumento di risorse
materiali non porta a un incremento del benessere soggettivo e le ineguaglianze sociali interferiscono
sulla qualità della vita e costituiscono anche una variabile che spiega meglio di altri indici, come il
reddito, la salute e il benessere.
Il capitale sociale poi agisce come un buffer che permette di attutire gli effetti di una precaria qualità
della vita e di un debole benessere soggettivo.
Le caratteristiche psicologiche stabili si incrociano quindi con i dati esistenziali, per cui, anche se la
capacità di adattamento dell’uomo può portare a modificazioni della felicità e del benessere percepito
di fronte a certe situazioni, nel tempo il soggetto tende a tornare alla propria percezione di benessere.
La soddisfazione per la vita, secondo Sachs (2012), non si può spiegare allora solamente facendo
riferimento ai tratti di personalità e a caratteristiche innate, ma i cambiamenti sociali hanno un ruolo
significativo nel determinare il benessere, ed i cambiamenti possono essere spiegati andando oltre le
misure economiche convenzionali.
Come ben evidenziato da Diener (2006) gli indicatori di benessere necessitano di essere integrati con
altre misure, al fine di creare politiche migliori.
PARTE SECONDA
SALUTE, QUALITA' DELLA VITA E RUOLI SOCIALI: ESSERE GENITORI, ESSERE
DONNE ED ESSERE ANZIANI
4. GENITORIALITA' E PRATICHE DI CURA. UN CONFRONTO TRA PEDIATRI E
GENITORI
Il Senso della Salute e della Malattia nella Costruzione della Genitorialità
Sono molti gli studi condotti sulle caratteristiche del rapporto tra pediatra e genitori, dato che la
complessa costruzione di senso condiviso e negoziato nel rapporto terapeutico si complica laddove i
pazienti sono minori in tenera età.
E’ nota la difficoltà degli adulti di comprendere le manifestazioni di malessere dei bambini così come
sono conosciute le difficoltà di comunicazione presenti nella relazione terapeutica. E’ necessario
quindi porre attenzione ad alcuni Nodi Critici che condizionano questa costruzione di senso condiviso
in ambito pediatrico:
1. Gruppi di Rappresentazioni: nel rapporto tra pediatra, paziente e genitori interagiscono tre
tipologie di rappresentazioni:
- rappresentazioni riferite alla salute, alla malattia e alla cura proprie dei sistemi di riferimento profani e
professionali, rappresentazioni che rispondono in parte a quelle utilizzate per gli adulti. Ne discende
che coloro che intendono occuparsi del rapporto terapeutico in ambito pediatrico sono obbligati a una
fase istruttoria riguardante le rappresentazioni del corpo infantile;
- rappresentazioni riferite alla genitorialità ritenuta adeguata;
- rappresentazioni che rimandano a un nucleo centrale, inteso nel bambino come bene in sé.
2. Funzione Normalizzatrice della Costruzione del Senso di Salute: ciò si realizza a livello
macrosociale, con il contributo del sapere medico alla determinazione collettiva delle caratteristiche
della genitorialità adeguata, e a livello microsociale, nella ricostruzione di senso attuata in uno
specifico rapporto terapeutico dove giocano un ruolo
fondamentale i giudizi morali espressi sulla genitorialità adeguata dai genitori impegnati nel rapporto
stesso. Lo studio di Ehrich (2003) dimostra che le domande di salute nascono e si manifestano in un
complesso contesto relazionale in cui prevalgono i giudizi di natura morale sulle considerazioni di
carattere scientifico.
In questa prospettiva si può ritenere il senso attribuito alla salute e alla malattia dei bambini come un
ambito relazionale nel quale è possibile rintracciare una funzione normalizzatrice della genitorialità;
3. Pratiche Poste in Essere dai Genitori per il Mantenimento della Salute e per il Superamento
della Malattia: esse possono essere considerate un altro luogo sociale nel quale è possibile
negoziare sia la costruzione di senso attribuita alla salute e alla malattia che la legittimità attribuibile
alle singole rappresentazioni della genitorialità adeguata (ad es. le pratiche relative all’igiene,
all’alimentazione e al sonno racchiudono molti aspetti relativi allo sviluppo cognitivo ed emotivo del
bambino, nonché valoriale e normativo).
Obiettivi e Metodi della Ricerca
Una ricerca pilota del 2010, svolta nel Comune di Torino e nella Val di Susa, ha inteso indagare
l’interazione tra saperi esperti e saperi di senso comune, nella costruzione della genitorialità adeguata.
Le informazioni sono state raccolte mediante l’utilizzo di strumenti di carattere qualitativo come le
interviste semistrutturate, per i genitori, al fine di rilevare narrazioni di pratiche quotidiane e opinioni
circa quei saperi che i genitori attingono per assolvere il proprio compito di cura verso i figli. Sono
state indagate tre macroaree tematiche:
- alimentazione;
- sonno;
- stato di malattia.
Dalle interviste sono emersi degli aspetti che hanno costituito l’ossatura dei temi sottoposti alla
discussione critica dei pediatri mediante focus group.
E’ stata posta inoltre attenzione alla percezione che i pediatri hanno di concorrere alla costruzione
delle rappresentazioni di genitorialità adeguata.
In questo lavoro sono state considerate specifiche variabili, ed è stato individuato un campione di
genitori con capitale culturale medio-alto, dato che, secondo la letteratura, risulterebbe importante in
quanto costituisce uno degli strumenti grazie al quale i genitori hanno la possibilità di individuare un
ampio ventaglio di informazioni tra cui scegliere, anche per la definizione di quella che considerano
come genitorialità adeguata.
Salute, Malattia e Genitorialità
Il passaggio dallo stato di salute a quello di malattia è il frutto di un percorso di attribuzione di senso
socialmente costruito di stati di malessere (Good, 2006).
Questo complesso percorso si connette con la scelta del percorso di trattamento, sia che si tratti di
pratiche di cura fondate su saperi esperi, sia che siano fondate su saperi di senso comune, sia che
riguardino una mescolanza di questi saperi.
Nelle interviste condotte con i genitori sui percorsi che conducono dallo stato di malessere alla cura è
possibile individuare ciò che essi ritengono essere costitutivo delle pratiche connesse con la
responsabilità genitoriale, individuato nella capacità di prendersi cura e di curare i figli, le quali sono
percepite come parte fondamentale dei compiti e delle responsabilità genitoriali.
Rispetto al Curare bisogna distinguere tra:
1. Sapere Esperto: nelle interviste svolte emerge come il sapere esperto è quello a cui i genitori
dimostrano di attribuire la maggiore legittimazione. La maggior parte dei genitori intervistati dichiara di
fare ricorso al pediatra quando:
- risulta troppo complicato attribuire al malessere lo statuto di sintomo certo;
- per curare uno stato patologico ritenuto non gestibile;
- quando un sintomo è certo ma viene ritenuto dai genitori allarmante;
- per essere rassicurati in merito all’accuratezza del proprio agire.
La Fiducia pare essere un elemento centrale, dato che è una fiducia che percorre i due livelli nei quali
si struttura la “salute che pensiamo” (Ingrosso, 1994), quindi quel gioco di rimandi fra rappresentazioni
individuali e collettive che origina le forme mentali che riguardano la salute ed evolvono in modelli di
salute sul piano collettivo e si esprimono sul piano individuale in comportamenti e emozioni.
La fiducia nel sapere esperto di tipo pediatrico si manifesta sia nell’accettazione del modello di salute
proposto sia dal piano collettivo che dal livello individuale e micro relazionale, come fiducia nel singolo
professionista, e ciò a due Condizioni:
- che il professionista si dimostri professionale;
- che ciò che egli propone sia agganciabile e riconoscibile come un’attribuzione appropriata dai
genitori stessi.
Questo doppio livello di fiducia può rappresentare un elemento per la comprensione del fenomeno del
cosiddetto “shopping pediatrico”, dato che l’incertezza riguardante la diagnosi e l’inefficacia delle cure
non paiono essere ragioni sufficienti per abbandonare il modello di salute generale proposto.
Anche la negoziazione tra i genitori per l’intervento del pediatra pare confermare la prevalente
reazione normativa, per cui secondo l’orientamento prevalente il padre esplicita in misura maggiore la
necessità di ricorrere al parere esperto mentre la madre fa maggiore riferimento al parere specialistico
in generale e all’esperienza di relazione col pediatra. Entrambi i genitori confermano la propria fiducia
nel sapere pediatrico in generale e nel loro pediatra in particolare, richiamando, da parte del padre, la
co-primarietà e co-titolarietà nella diade madre/pediatra nella salute dei bambini.
Le ragioni per cui i genitori si rivolgono al pediatra consentono di delineare alcuni tra gli elementi
costitutivi della rappresentazione della fiducia riposta nel singolo professionista.
Nella quasi totalità delle interviste viene richiamato il riferimento alla professionalità come elemento
costituente della fiducia. I genitori per professionalità intendono la presenza del sapere medico e la
capacità relazionale.
Le ragioni addotte per fare ricorso al parere del pediatra possono rivelare inoltre le caratteristiche
dell’assetto delle relazioni in ambito familiare (ad es. il preferire il sapere specialistico del pediatra al
sapere derivante al senso comune dei propri genitori, non considerato utilizzabile);
2. Saperi di Senso Comune: hanno una valenza prevalentemente relazionare e, nelle interviste, si
rintracciano due Gruppi di Significato attribuiti al ricorso a tali saperi:
- sapere di senso comune che il genitore sente di aver elaborato a partire dalla propria esperienza o
dalla propria natura di genitore;
- sapere di senso comune a cui il genitore sente di poter attingere sulla scorta dei legami relazionali e
delle competenze sulla cura dei bambini che riconosce a chi appartiene alla propria rete.
Alcune testimonianze ritengono importante la non intrusione di pratiche appartenenti al senso comune
mentre in altre, al contrario, viene ribadita la centralità. In ogni testimonianza, inoltre, si può cogliere la
natura relazionale del rifiuto o dell’accoglimento del suggerimento.
Dalle interviste emerge che le madri si definiscono più indipendenti dai saperi di senso comune delle
loro reti familiari di quanto non le percepiscano i mariti. Nelle testimonianze maschili è presente un
orientamento che riconosce alle madri un ruolo centrale nella costruzione e nell’utilizzo dei saperi di
senso comune.
Le testimonianze delle madri e dei padri chiariscono che si ricorre ai saperi esperti dei familiari
soprattutto perché il consiglio viene offerto perché “vogliono bene”.
Le interviste illustrano come ricevere e seguire i consigli ricevuti significhi autorizzare o impedire che
alla definizione della genitorialità adeguata partecipino i genitori o altri a loro affettivamente vicini,
ribadendo la centralità delle pratiche di cura per la costruzione della genitorialità secondo modelli
condivisi.
Infine le testimonianze rilevano che anche nell’utilizzo dei saperi di senso comune sono le madri ad
avere un ruolo centrale.
3. Saperi Esperti e Saperi di Senso Comune. Negoziazione e Co-costruzione della Cura: varie
testimonianze illustrano come la storia della malattia propria o presente nelle reti familiari e amicali
influenzi profondamente la costruzione della storia individuale e il senso di sé. Essa illustra anche lo
sforzo delle persone nel porsi in relazione con il sapere esperto, per ottenere ascolto e cure adeguati,
e costruire strategie comunicative che permettano di dare un senso compiuto alla propria esperienza
della malattia.
Il percorso che conduce alla rilevazione dal malessere fino ad arrivare alle cure necessarie è quindi
l’esito di un complesso lavoro sociale che vede molti attori in azione.
Anche per quanto riguarda le cure emerge come siano le madri le principali artefici dell’opera di
co-costruzione del percorso terapeutico e della sua applicazione, e sono affiancate dai padri che
sembrano sostenerle in misura maggiore nella co-costruzione con i saperi esperti.
La molteplicità di stimoli che i genitori raccolgono per comporre e applicare percorsi terapeutici dotati
di senso riguarda anche aspetti del “dover essere” concernenti la genitorialità adeguata, la quale sa
attendere la manifestazione completa del sintomo, attingere alla propria esperienza o da quella di altri,
utilizzare saperi che provengono dal senso comune o eseguire perfettamente le direttive del sapere
esperto.
Nello studio del medico l’opera di negoziazione terapeutica e do co-costruzione del percorso di cura
supera ogni esigenza di compliance e di asimmetria di potere.
Infine, dalle interviste, non emerge un ruolo attivo attribuito dai genitori ai propri figli, i quali sono
presenti come oggetto di osservazione e di cure.
La Costruzione della Genitorialità Adeguata: il Punto di Vista dei Pediatri
Il punto di vista dei pediatri è di primaria importanza per comprendere i criteri oggi dominanti per
definire la genitorialità adeguata. Sono portatori di un sapere professionale che contribuisce a
costruire i criteri per l’adeguatezza genitoriale e sono artefici di un ruolo importante educativo, tanto
più pervasivo, quanto più risulta essere rilevante il rapporto che riescono a instaurare con i genitori.
Rispetto all'Adeguatezza/Inadeguatezza genitoriale bisogna distinguere tra:
1. Adeguatezza Genitoriale: il primo nucleo di argomentazioni che riguardano la genitorialità
adeguata fa riferimento alla capacità dei genitori di assumersi le proprie responsabilità in ambito
sanitario ed educativo, capacità che viene declinata dai medici con l’indicazione di tre Abilità
Specifiche:
- saper mettere in pratica alcune competenze di base riguardanti il benessere dei figli. E' quindi un
genitore adeguato chi è capace di graduare la gravità dei sintomi secondo congrui tempi di
osservazione e sa attendere prima di richiedere l’intervento di un sapere esperto e sa rispettare i ritmi
di vita e di guarigione del bimbo, così come chi sa applicare a menadito la cura consigliata dal
pediatra;
- saper organizzare i propri tempi in ragione delle necessità di benessere dei figli. E' quindi un genitore
adeguato chi sa anteporre le necessità del figlio alle contingenze di conciliazione dei tempi di lavoro e
della famiglia, senza scordare le esigenze psicologico-relazionali;
- saper evolvere nei compiti genitoriali sulla base di un rapporto di carattere educativo con il pediatra e
con le fonti accreditate di informazione scientifica. E' quindi un genitore adeguato chi è disposto a un
ascolto attento del medico e delle informazioni specialistiche.
2. Inadeguatezza Genitoriale: le rappresentazioni che danno forma all’inadeguatezza genitoriale
rimandano a diversi criteri che si riferiscono alla responsabilità genitoriale. Per l’ambito sanitario è
ritenuto genitore inadeguato chi non sa attendere e fa intervenire l’esperto per delle banalità o che
pone richieste anticipate perché in preda all’ansia. O ancora colui che non sa attendere i tempi di
guarigione e antepone i tempi di lavoro alla salute dei figli e chi non è costante nell’applicazione della
cura. Infine colui che è informato male e, proponendo diagnosi e cure, mescola rimedi di vario tipo e
chiede farmaci inutili.
Parlando più in generale, un genitore inadeguato è colui che tende a delegare la risoluzione di
questioni di senso comune al pediatra, all’insegnante o ad un’altra figura esperta.
Nel corso dei focus la trascuratezza viene rilevata una sola volta ma è presente in misura maggiore
l’overcaring.
Si rileva che i pediatri partecipanti ai focus group propongono una visione della genitorialità fortemente
maternocentrica per cui, pur riconoscendo un cambiamento nella genitorialità contemporanea,
considerano adeguata una paternità che si caratterizza per un ruolo di sostegno emotivo nei confronti
della maternità, considerata naturalmente appropriata a svolgere le funzioni di cura.
In questa visione anche il bambino ha un ruolo satellitare rispetto alla relazione primaria
madre/medico ed è infatti riconosciuto come corpo sano da crescere o malato da curare, ma non è
ritenuto soggetto attivo e partecipe alla costruzione del processo di cura, anche quando l’età lo
consentirebbe. Solo una pediatra ha rilevato l’importanza di una comunicazione diretta col bambino,
considerando che tale mancanza deriverebbe da una eccessiva intromissione da parte delle madri
nella comunicazione tra pediatra e bambino.
Rispetto alla Genitorialità Adeguata e alla Negoziazione Terapeutica bisogna distinguere tra:
1. Sapere Esperto in Campo Pediatrico e Saperi di Senso Comune: la sovralegittimazione di cui
godono i saperi esperti nella costruzione della genitorialità da una parte si ritiene abbia prodotto un
aumento di informazioni nei genitori e dall’altra ha generato un indebolimento nei confronti dei saperi
di senso comune, soprattutto quelli trasmessi per via generazionale, elemento che incide anche
sull’autostima dei genitori nei confronti delle proprie capacità.
Il sapere esperto gode di una maggiore legittimità in quanto è verificabile, adattabile, mutevole,
universalista e relativizzabile. I saperi di senso comune, essendo rivolti al passato, paiono essere
percepiti come meno adatti a dare risposte al percorso di crescita e alle esigenze di cura del bambino.
Una fonte di saperi di senso comune è data dalle reti di prossimità, ed è facile immaginare come nelle
città le reti sociali più attive sembrano essere quelle parentali piuttosto che l’intera comunità;
2. Funzioni Attribuite ai Saperi di Senso Comune: gli attori della co-costruzione del senso che
viene attribuito all’esperienza della malattia secondo i pareri del sapere di senso comune, sono ritenuti
dai pediatri dei validi interlocutori quando svolgono due funzioni:
- fornire sostegno relazionale ai genitori per contenere l’ansia;
- aiuto offerto al genitore per aiutarlo a discriminare la gravità dei sintomi, favorendo un corretto
accesso al sapere esperto.
I pediatri lamentano che spesso sono le vecchie generazioni a spingere le nuove a recarsi per cose
banali dal medico.
Nel corso del focus è stata anche evidenziata la volontà dei pediatri di collaborare a costruire con altri
attori delle alleanze proficue per il benessere dei bambini, alleanze mobili e temporanee tra pediatri e
genitori, per contrastare la forza di altri saperi esperti o di senso comune ritenuti invadenti, e pediatri e
altri saperi esperti;
3. Sapere Esperto e Medicalizzazione della Vita Quotidiana: la centralità del sapere esperto di
carattere biomedico ha prodotto una sorta di medicalizzazione della vita quotidiana e, per quanto
riguarda i bambini, attraverso questi saperi si scandiscono le tappe della buona crescita e del
trattamento degli stati di malattia, valutando anche l’adeguatezza genitoriale.
In questo paradigma si possono riscontrare due dinamiche interpretative che contribuiscono sia a
definire in modo diverso i contenuti dell’adeguatezza genitoriale, sia a concretizzarla nella quotidianità.
L’analisi dei pediatri ha permesso di riscontrare come costruiscano le pratiche di genitorialità
attraverso una spartizione tra pratiche di puericultura, che rientrano nei compiti educativi e informativi
della pediatria accompagnando i genitori ad acquisire quelle pratiche di cura dal periodo che va dalla
nascita fino a poco dopo lo svezzamento, e pratiche di cura relative agli stati di malattia.
Il periodo successivo allo svezzamento pone una limitazione alla disponibilità all’assistenza assidua
da parte del pediatra e vede l’inizio del distacco tra madre e bambino, così come, simbolicamente,
potrebbe raffigurare l’acquisita autonomia del genitore dal pediatra.
Tuttavia sembra che per i genitori l’apprendistato all’adeguatezza si strutturi in tempi più lunghi.
L’importanza di questo apprendistato è testimoniata dall’influenza attribuita all’ordine di nascita dei
figli, questo per due ragioni:
- la possibilità di sedimentare l’esperienza che può generare esiti contrapposti;
- ragione che concerne la possibilità di un ampliamento delle reti ritenute competenti, amicali e di
vicinato, composte dai genitori.
Secondo i pediatri il risultato può essere duplice:
- il contenimento dell’ansia di chi ha meno esperienza;
l’aumento dell’ansia e l’accumulo di informazioni non adeguate.
Rispetto invece al Ruolo del Pediatra bisogna distinguere tra:
1. Percezione del Proprio Ruolo, Competenze e Funzioni: i pediatri si rappresentano come
portatori di un sapere esperto consolidato e socialmente legittimato, ma i genitori spesso tendono ad
attribuire loro delle competenze improprie.
Le funzioni richiamate da queste rappresentazioni riguardano in primis il “curare con competenza” e
ciò significa curare in modo adeguato secondo i dettami della medicina, e anche secondo le esigenze
dei genitori, al fine di contenere le ansie.
Sempre riferibili all’ambito medico sono le funzioni dell’informare i genitori ed educarli sia alle buone
pratiche per il benessere del proprio figlio, sia per una relazione corretta col pediatra. In queste
funzioni informative si svelano gli elementi che costituiscono i criteri per definire la genitorialità
adeguata, che da un lato viene ritenuta istintiva e naturale ma che dall’altro viene considerata
necessaria una educazione fondata scientificamente.
L’espletamento di queste funzioni implica il prestare attenzione agli aspetti della comunicazione
terapeutica, sopratutto nell'ascolto del genitore, utile per stabilire una relazione di buona qualità con i
genitori fondata sulla fiducia reciproca e indispensabile per il rapporto terapeutico. La relazione
dovrebbe inoltre modularsi rispetto alle caratteristiche del genitore, del pediatra e del contesto di
azione;
2. Negoziazione Terapeutica: nella co-costruzione del percorso che va dal malessere alla cura, il
ruolo del pediatra sembra essere sollecitato dalla necessità di negoziare, con i genitori, tale
costruzione. Emerge che i pediatri sembrano distribuirsi lungo un continuum che va da coloro che
permettono ampi spazi di negoziazione, polo maggiormente incentrato sulla relazione, a coloro che
pensano che questi spazi debbano essere ridotti, polo maggiormente incentrato sulla prestazione.
I pediatri a loro volta sembrano distribuire i genitori lungo un continuum che va da quello più adeguato
alla negoziazione in ambito terapeutico a quello per nulla adeguato alla negoziazione, che si pone in
modo conflittuale e diffidente (generalmente il padre).
La negoziazione pare altresì complicata dai rischi insiti nel dover utilizzare un mediatore adulto nel
rapporto tra medico e piccolo paziente, mediatore indicato solitamente come portatore di stati di ansia
difficili da contenere, che possono falsare il corretto riferimento dei sintomi e la somministrazione delle
cure, oppure possono impedire un accesso reale del pediatra alla comunicazione diretta con il
bambino.
Infine una delle possibili risposte individuate per contrastare l’inadeguatezza alla negoziazione
terapeutica è offrire soluzioni di carattere organizzativo, come predisporre il tempo di visita su
appuntamento.
Conclusioni
I temi che emergono dalle analisi delle esperienze di vita quotidiana, quando irrompe lo “star male” nei
bambini, segnalano l’esistenza di una continua attività di ricerca di un equilibrio nei modi in cui si
intendono le pratiche in cui si esplica la genitorialità adeguata. E' quindi un costante lavoro sociale che
ha come scopo il prendersi cura dei bambini, svolto anche dagli altri attori.
Alcuni elementi rilevabili sono:
- funzione educativa che i pediatri riconoscono essere insita nella loro professione, finalizzata alla
realizzazione di un rapporto terapeutico, ma anche al mantenimento della salute secondo i dettami del
paradigma biomedico;
- riconoscersi titolati nel prestare attenzione al benessere globale del bambino;
- funzione di parte attiva nella negoziazione terapeutica, laddove si incontrano i differenti saperi allo
scopo di porre in essere buone pratiche per il benessere.
Le funzioni che i pediatri attribuiscono al proprio ruolo sono riconosciute dai medesimi genitori
intervistati e le uniche crisi di fiducia sono più basate sul singolo professionista che sul ruolo in se.
Il rapporto e la negoziazione paiono costruirsi sulla base di una comunicazione a doppio legame, in
cui il genitore vive in un contesto che legittima il ricorso ai saperi esperti, ritenuti i più validi in ogni
campo, per definire modelli comportamentali e stili di vita adeguati e ciò può ingenerare fiducia nei
confronti delle proprie capacità di attore competente nelle situazioni sociali. Contestualmente i saperi
esperti contengono il mandato rivolto a ogni soggetto di divenire autonomo nelle scelte e nelle
pratiche che riguardano il proprio stile di vita.
Nelle interviste emerge come ai genitori venga richiesto di essere fiduciosi nelle proprie capacità di
osservazione, di discriminazione e di individuazione dei sintomi e nella somministrazione delle cure,
così come di essere inseriti all’interno dei paradigmi interpretativi propri del campo biomedico e di
aderirvi.
E’ così che pediatri e genitori sembrano essere protagonisti di una comunicazione e di forme di
negoziazione terapeutica.
In questa prospettiva sembra doversi superare il concetto di compliance a favore di una visione del
rapporto terapeutico fondata sulla negoziazione e sulla co-costruzione di tutto il percorso che va
dall’individuazione del sintomo alla guarigione. Tale co-costruzione non si esaurisce nella relazione tra
genitore e medico, ma comprende una molteplicità di attori, e la maggior parte di questi porta dei
saperi appartenenti al senso comune, capaci di influenzare la costruzione del percorso.
Nelle interviste ai genitori è emerso che la centralità attribuita al ruolo materno nella co-costruzione di
questi percorsi, centralità che si manifesta nella relazione diadica con il medico e nella regia per
l’integrazione tra i diversi saperi.
I padri sembrano avere un ruolo di comprimari nella determinazione del sintomo certo e nel processo
decisionale che porta a vagliare l’opportunità del ricorso al sapere medico, ma sembrano meno
presenti nella gestione quotidiana delle pratiche di cura, dimostrandosi meno disposti a compiere un
loro lavoro di integrazione tra i vari saperi, optando maggiormente per quelli esperti.
Sempre dalle testimonianze emerge l’assenza del ruolo attivo dei bambini nel partecipare alla
costruzione delle pratiche quotidiane per il mantenimento della salute.
L’insieme delle testimonianze fa trasparire l’esistenza della consapevolezza relativa alla titolarità di
definizione e di espressione del proprio stato di salute e di malattia riconoscibile ai bambini e quindi
della modalità di ascolto dei piccoli che, alcuni pediatri e le madri, paiono sforzarsi di utilizzare.
5. SALUTE IN UNA PROSPETTIVA DI GENERE
L'Incidenza del Genere sulla Salute e sulla Qualità della Vita: Approcci Teorici e Interpretativi
Per molti decenni le differenze di salute tra uomini e donne sono state considerate prettamente legate
al genere sessuale, ma negli ultimi anni è stato registrato un crescente interesse per la relazione tra
sesso, genere e salute, con il genere inteso come costruzione sociale. E' stato inoltre rilevato che le
donne vivono più a lungo ma in modo peggiore rispetto agli uomini. Inoltre il genere femminile è più
sensibile al tema della salute e alle pratiche di prevenzione.
Le principali Spiegazioni riguardano differenti approcci:
1. Prospettiva Femminista: negli anni '70 il movimento femminista ha teorizzato che la sottrazione
del controllo rispetto al proprio corpo delle donne da parte della medicina fosse la responsabile dei
problemi di salute, dato che forniva una visione della femminilità connessa ai temi della vulnerabilità e
dell'instabilità.
Negli anni ’80 e ’90, anche grazie agli studi di Doyal (1995) il discorso sul genere in relazione alla
salute si amplia giungendo a chiamare in cause delle diseguaglianze strutturali. La più alta incidenza
di patologie deriverebbe quindi dalle differenze di privilegi fornite agli uomini (ad es. lavori migliori e
più pagati) e non alle donne.
Una posizione meno radicale ha suggerito che la maggiore morbilità femminile può essere spiegata a
partire dalla desiderabilità sociale. Sembra infatti che ammettere la propria vulnerabilità e cercare
aiuto, siano azioni socialmente più accettate se compiute da una donna, almeno seguendo gli
stereotipi di genere;
2. Approccio Poststrutturalista: cercando di abbandonare una suddivisione categoriale tra
mascolinità e femminilità, ottenuta tramite metodi quantitativi, tale approccio, basato sulle teorizzazioni
di Foucault (1978) e di Deridda (1968), si concentra sul modo in cui i significati associati alle
appartenenze identitarie vengano originati attraverso pratiche discorsive e attraverso la simbologia
che connota qualunque aggregato sociale. Sarebbero quindi le pratiche discorsive e simboliche a
costruire l’identità personale, la quale risulta fluida e frammentata.
La dicotomia maschile/femminile sarebbe quindi un effetto del linguaggio e il genere non viene
ritenuto espressivo ma performativo, per cui non è alla base dell’azione ma è l’esito che si costituisce
con i comportamenti che si compiono e per il fatto che si è considerati o uomini o donne.
L’ottica poststrutturalista ha permesso di comprendere meglio le pratiche discorsive che costituiscono
la realtà sociale ma si è dimostrata poco incisiva nel momento in cui ha dovuto ispirare politiche e
azioni strategiche;
3. Analisi Sociologica: uno dei modelli teorici maggiormente accreditati per spiegare le differenze di
genere nell’ambito della salute deriva dalla teorizzazione di Denton (2004) e prende le mosse da una
concezione di genere quale misura di differenze biologiche/genetiche e sociali, postulando che le
diseguaglianze di salute tra uomini e donne riflettano l’incidenza di fattori biologici e sociali e dalla loro
interrelazione. Nel dettaglio il benessere fisico e psicologico sarebbe considerato l’esito dell’influenza
di tre fattori:
- determinanti socio-economiche;
- determinanti comportamentali;
- determinanti psicosociali (risorse psicologiche).
Denton e il suo gruppo (2004) avanzano due ipotesi non alternative, che permettono di spiegare le
differenze di genere rispetto al benessere:
- Ipotesi dell’Esposizione Differenziale: questa ipotesi suggerisce che i due generi sono esposti in
modo diverso alle determinanti di salute e questa differenza origina maggiori problemi di salute nei
confronti delle donne, le quali hanno una ridotta possibilità di accesso a condizioni materiali e sociali
rispetto agli uomini e hanno inoltre un carico maggiore di lavoro domestico. Per quanto riguarda i ruoli
sociali invece sono sottoposte a obblighi più stringenti connessi con la dimensione della cura che
porta a una percezione maggiore di stress. Gli uomini disporrebbero invece di risorse psicologiche più
alte, come ad esempio un livello di autostima maggiore;
- Ipotesi della Vulnerabilità Differenziale: suggerisce che quel che cambia tra uomini e donne è la
reazione alle condizioni materiali, comportamentali e psicosociali che incrementano il benessere. Il
genere avrebbe quindi un effetto moderatore perché le determinanti non avrebbero lo stesso peso per
tutti.
Sia l’ipotesi dell’esposizione differenziale sia quella della vulnerabilità differenziale sono state
empiricamente testate in riferimento agli effetti dell’ambiente sulla salute di uomini e donne. Secondo
gli studiosi l’ipotesi della vulnerabilità differenziale sembra spiegare le differenze di genere in termini di
salute e di qualità della vita, ma non è comunque esaustiva, dato che alcuni predittori di salute sono
più significativi per un genere o per l’altro, ma non si spiega il perché.
Una possibile spiegazione si può rintracciare nel paradigma della socializzazione di ruolo da cui ha
preso le mosse anche la teoria della congruità dei ruoli (Karau, 2002).
4. Approccio Psicologico e Modello Multidimensionale: per superare i limiti dovuti al riduzionismi
in psicologia, Marrie Bekker (2003) ha proposto un Modello Multidimensionale di Genere e Salute con
l’intento di esaminare simultaneamente le relazioni tra sesso, genere e ripercussioni di questi sulla
salute e sul benessere. Questo modello prende le mosse dall’influenza del sesso biologico, che
condiziona la salute in modo genere-specifico.
La relazione tra corpo, genere e salute sarebbe quindi mediata da tre ordini di fattori:
- Differente Posizionamento Sociale: rientrano in questa categoria le caratteristiche lavorative (ad es.
tipo di lavoro e orario). L'impatto che queste dimensioni hanno sulla salute è stato accertato da
numerose ricerche empiriche. Va inoltre ricordato che spesso nelle donne la conciliazione tra ruolo
lavorativo e familiare incrementa la soddisfazione per la propria vita e il livello di benessere;
- Differenze nelle Caratteristiche Personali: rientrano in questa categoria le strategie di coping e i tratti
di personalità. E' stato rilevato che l’insoddisfazione corporea è più diffusa tra le donne e costituisce
uno dei predittori principali dello sviluppo di disordini alimentari;
- Procedure Diagnostiche e Terapeutiche: varie ricerche hanno dimostrato che gli stereotipi di genere
inducono aspettative ben specifiche nell’interazione medico/paziente, per cui ad esempio le donne
tendono a parlare della loro vita in generale e gli uomini tendono a rimanere concentrati sul problema
di salute che pongono. Ricerche condotte sui medici hanno riscontrato invece che a parità di
condizioni cliniche, un professionista uomo tende a prescrivere sedativi più spesso alle donne che agli
uomini.
Tale modello ha il pregio di evidenziare che le differenze di salute e di benessere tra i generi non
possono essere spiegate da una sola tipologia di fattori. Sarebbe però auspicabile che alcune lacune
vengano colmate (ad es. non vengono specificati quali fattori personali siano più rilevanti).
Uomini e Donne di Fronte al Nuovo Paradigma della Promozione della Salute
Dagli anni ’70 il focus si è spostato dalla prevenzione e dalla cura alla promozione della salute, quindi
verso logiche che incrementino il livello di benessere e la qualità della vita.
L’idea della promozione è diventata un vero paradigma ampiamente sostenuto ma tuttavia non è
esente da alcune Critiche:
- il concetto di salute, e le pratiche per promuoverla, sono socialmente costruiti e quindi valevoli solo in
una specifica epoca (Foucault, 1976);
- maggiore responsabilizzazione individuale sui comportamenti da tenere per promuovere la salute,
colpevolizzando coloro che si ammalano. Inoltre in quest'ottica, come sostenuto da Nettletton (1996),
le donne vengono considerate come responsabili della propria salute e di quella dei loro familiari;
- paradosso secondo cui importante la scelta di comportamenti salutari ma comunque il corpo sia
biologicamente arbitrario, per cui non vi sarebbe una possibilità di evitare la malattia (Moore, 2010);
- oggettivazione del corpo, propria di un modello più femminile, che verrebbe estesa a tutti con il
rischio di problematiche tra cui insoddisfazione corporea, disordini alimentari, ansia e vergogna per il
proprio corpo, alcune forme di depressione e atteggiamenti sessisti.
Rispetto al paradigma della promozione è quindi bene prestare attenzione ai processi psicologici che
comporta senza cercare di incentivare processi con effetti iatrogeni.
Il Disagio Psicologico in una Prospettiva di Genere
Guardando alla salute in un'ottica di genere può essere rilevante considerare la Depressione in
quanto a livello statistico essa è una delle principali patologie psichiche che viene attribuita di più alle
donne che agli uomini (3 donne su 5 ne soffrirebbero in Italia).
La letteratura di Matrice Medico-Psichiatrica chiama spesso in causa fattori genetici e ormonali, anche
se essi non sembrano in grado di spiegare il problema, dato che i fattori ormonali sono differenti in
adolescenza ma non nel resto della vita e il grado di vulnerabilità tra uomini e donne sembra uguale.
Gli Approcci Psicologici si sono invece concentrati sulle caratteristiche individuali tra cui:
- Autostima: più alta negli uomini. Nelle donne invece sarebbe frutto delle relazioni sociali che, se
falliscono, possono creare depressione;
- Ruminazione: processo che si verifica quando, di fronte a un problema, si hanno pensieri negativi,
continui e circolari che comportano immobilismo e autodegenerazione. La ricerca ha dimostrato una
chiara relazione tra ruminazione, a cui le donne sembrerebbero più propense, e sintomi depressivi;
- Help Seeking: fattore sociale secondo cui le donne presenterebbero minori resistenze psicologiche
nel chiedere aiuto;
- alcuni autori ritengono che la più alta incidenza di fenomeni depressivi tra le donne sia dovuta a
esperienze tipicamente femminili come un’eccessiva enfasi sul proprio corpo, la considerazione del
corpo come oggetto sessuale, l’aspirazione al raggiungimento di modelli di perfezione estetica
ineguagliabili, comportando numerose conseguenze psicologiche negative.
Se non si può quindi ignorare che i fattori ereditari concorrono all’insorgenza di un disagio psichico
come la depressione, è altresì vero che fattori psicosociali e condizioni esistenziali costituiscono
spesso fattori scatenanti.
Medicina e Salute di Genere
Solo dagli anni '80 è stato iniziato un processo basato sulla Medicina di Genere che, mettendo in
discussione la supposta equivalenza tra uomini e donne, consideri le differenze relative alla
appartenenze ad uno dei due sessi in termini di funzionalità di trattamenti farmacologici e medici.
Sembra dunque che si stia facendo strada un approccio diverso da quello del passato, e l’auspicio è
che la prospettiva di genere sulla salute e sulla qualità della vita venga sempre più ritenuta un punto di
vista fecondo.
6. L'INVECCHIAMENTO ATTIVO
Negli ultimi dieci anni il tema dell’invecchiamento è entrato nel dibattito scientifico in quanto è evidente
un forte aumento demografico, a livello mondiale, della popolazione anziana. Questo fenomeno
riguarda soprattutto i paesi occidentali.
Dal 2002 secondo l’OMS la proporzione di persone con più di 65 anni è aumentata e si ipotizza un
incremento ovunque (da 1 su 5 si arriverà a 1 su 3 residenti nel 2051).
Non vi è un accordo univoco sulla cronologia dell’età anziana e si può distinguere tra:
- Vecchiaia Burocratica: fissata a 65 in corrispondenza del pensionamento;
- Vecchiaia Fisiologica: fissata diversamente a seconda degli autori;
- Vecchiaia Soggettiva (Bobbio, 1996): valutazione soggettiva.
L’invecchiamento è quindi l’esito naturale di un percorso che comincia dalla nascita e prosegue per
vie diverse, da individuo a individuo, e può essere esaminato secondo un approccio
multidimensionale, che consideri aspetti non solo psicofisici e sociali ma anche eventi storici e culturali
passati che incidono sul presente e incideranno sul futuro.
L'allungamento della speranza di vita rappresenta un successo e una sfida soprattutto a livello
socio-politico, in quanto promuovere l'autonomia e l'indipendenza è un obiettivo utilitaristico che
permette una riduzione dei costi ma anche funzionale per una prospettiva orientata a un
invecchiamento attivo, creando così un'ottica positiva relativa all’invecchiamento e al ruolo
dell’anziano come soggetto attivo (Walker, 2002, 2005).
Il concetto è complesso perché integra dimensioni soggettive (soddisfazione della propria vita,
indipendenza e autonomia) e oggettive (condizioni socio-economiche), le quali devono essere
integrate per creare programmi e progetti davvero funzionali.
La Prospettiva del Ciclo di Vita
L’idea che le esperienze di vita influiscano sul percorso di sviluppo delle persone, è stata descritta per
la prima volta da Cain (1964). Contemporaneamente tra gli psicologi si è sviluppata, tra gli anni ’60 e
gli anni ’70, la Prospettiva dell’Arco della Vita, teorizzata principalmente da Baltes, basata sull’idea
che i cambiamenti evolutivi siano parte di un percorso caratterizzato da continui cambiamenti cognitivi
e comportamentali. Lo sviluppo individuale prosegue quindi in modo dinamico e flessibile
esprimendosi come un potenziale riferito a un percorso possibile e auspicabile di sviluppo, che
riconosce la capacità di acquisire nuove conoscenze.
Così diviene possibile superare gli stereotipi negativi che fanno corrispondere l’invecchiamento a una
fase di declino e risulta necessario assumere una visione più positiva basata sull’immagine di un
anziano autonomo e artefice della propria vita.
Secondo l’Approccio Salutogenico ripreso da Baltes (1990) non è la crisi di per sé ad assumere
importanza quanto piuttosto le strategie utilizzate per farvi fronte, per cui la psicologia positiva ha
cominciato a occuparsi delle varie forme del vivere bene, della qualità della vita e dell’ottimizzazione
delle risorse personali e della realizzazione di sé.
In quest'ottica Seligman (2001) sostiene una prospettiva multidimensionale che consideri sia le
esperienze personali passate, in termini di soddisfazione, presenti, in termini di gioia e future, in
termini di ottimismo, sia le caratteristiche personali positive in relazione al contesto sociale.
Anche a livello empirico è emerso come la rappresentazione stessa della vecchiaia non è risultata
caratterizzata dall’idea del declino ma anche dalle risorse e dalle potenzialità utili nel fare fronte alle
possibili mancanze.
E' da queste basi che si è partito per sviluppare l'Approccio dell'Invecchiamento Attivo.
Active Ageing
All'inizio degli anni '60 negli Stati Uniti è stato promosso il concetto di Successfull Ageing, che
incentivava gli anziani a mantenere stili di vita propri dei periodi precedenti. Visto che questo modello
si rivelato inattuabile, negli anni '80 è stato sviluppato il concetto di Invecchiamento Produttivo, il
quale considerava che l'età cronologica non un buon predittore della performances, considerando
però gli anziani solo dal punto di vista lavorativo-produttivo.
E' solo all'inizio degli anni '90 che viene formulata la concezione di Active Ageing (Invecchiamento
Attivo) la quale, combinando i costrutti di invecchiamento di successo e invecchiamento produttivo,
punta al mantenimento della qualità della vita, dell’autonomia e dell’indipendenza dell’anziano. Per
invecchiamento attivo si intende quindi il processo di ottimizzazione delle opportunità di salute,
partecipazione e sicurezza allo scopo di accrescere la qualità della vita delle persone anziane (OMS,
2002). L’essere attivi sta a indicare anche la continua partecipazione alla vita sociale, economica,
culturale e spirituale.
L’ottimizzazione di queste tre aree di azione e la valorizzazione del ruolo dell’anziano dipendono dalla
possibilità di utilizzare le risorse disponibili a proprio favore, partecipare alla vita di comunità in
relazione ai propri bisogni, capacità e desideri, e dall’assistenza nei momenti di difficoltà.
Le Determinanti dell’Active Ageing possono essere descritte in termini relazionali, distinguendo tra
individui, famiglie e nazioni e sono:
- genere e livello culturale;
- aspetti economici;
- salute e servizi sociali;
- abitudini e comportamenti;
- differenze individuali;
- ambiente fisico;
- caratteristiche sociali.
Queste elencate sarebbero determinanti di qualsiasi fascia di età.
In definitiva sono gli individui però che stabiliscono il proprio concetto di qualità della vita attraverso la
percezione della propria posizione all’interno del contesto culturale e valoriale, in relazione ai propri
obiettivi e alle proprie aspettative.
Secondo alcune prospettive l’invecchiamento, per essere definito positivo, deve essere caratterizzato
da uno stato ottimale del funzionamento globale dell’individuo e dalla capacità di adattamento e
partecipazione alla vita di comunità. Per altri autori sarebbero le relazioni sociali e il supporto emotivo
a rendere positivo il processo di invecchiamento.
A prescindere dall’approccio seguito si è concordi nel considerare l’invecchiamento attivo come un
processo che si riferisce alla relazione che l’individuo instaura con sé stesso, con gli altri e con il
mondo. Affinché questo sia reso possibile è necessario che si sviluppino strategie e programmi a
livello locale, nazionale e globale che permettano di riconoscere a tutti le stesse opportunità, al fine di
innalzare la qualità della vita dell’anziano.
Gli Stereotipi come Rischio Psicosociale per la Salute
Gli stereotipi negativi possono accrescere la vulnerabilità della salute. Essere derisi e apostrofati
come “anziani” sono esperienze che, secondo alcuni studi sperimentali, possono costituire un fattore
di rischio per la salute (Levy, 2000). I rischi possono essere più pervasivi se si considera che spesso
vi è una unanime acquiescenza verso tali stereotipi. Alcuni studi infatti dimostrano che persone che
hanno una percezione di sé fortemente stereotipata muoiono in media 7,5 anni prima di chi ha una
rappresentazione di sé più positiva.
Secondo il Modello della Minaccia dello Stereotipo (Steele, 1997), nel conformarsi agli stereotipi
negativi le persone provano ansia, diminuendo così l’efficacia della propria prestazione. Stesso
discorso vale per gli effetti pervasivi del pensiero automatico (Bargh, Chen e Burrows, 1996), secondo
cui è stato osservato come le persone, sollecitate a pensare all’invecchiamento, si comportassero in
modo conforme al pregiudizio diminuendo le proprie prestazioni a livello cognitivo e comportamentale.
L’accrescimento dello stereotipo negativo è legato ad altri tre Processi che possono avere delle
conseguenze negative per la salute:
- Profezia del Declino che si Autoavvera: le persone si creano delle aspettative nei confronti di un
declino fisico e cognitivo, pertanto adatteranno i loro comportamenti a queste credenze, pur non
avendo un motivo biologico;
- Tendenza a Confermare la Dipendenza Indotta: spinge i soggetti a un'impotenza appresa per cui le
persone delegano altri per il controllo della propria situazione;
- Circolazione di Credenze Stereotipate: la quale aumenta la loro forza in quanto finiscono per essere
accettate per acquiescenza e adottate dalla popolazione senza essere problematizzate.
Ne emerge che le stesse istituzioni non sono immuni dalla pervasività dello stereotipo e possono
concorrere ad alimentare quei bias che accrescono i fattori di rischio.
Evidenze empiriche hanno mostrato che i contenuti degli stereotipi relativi agli anziani sono
caratterizzati da una certa ambivalenza, per cui il soggetto è visto come portante di maggiore calore
umano ma meno abile in termini di competenza (Fiske, 2002).
Spesso l’impatto degli stereotipi negativi nei confronti degli anziani può emergere attraverso
comportamenti discriminatori che possono avere delle ripercussioni negative sulla vita dell’anziano.
Anche l’ambiente può costituire un fattore di rischio, veicolando particolari credenze, come ad
esempio le istituzioni create appositamente per assicurare le cure necessarie all’anziano.
Liberarsi dello stereotipo permetterebbe di riconoscere le opportunità dell’invecchiamento,
prefiggendosi nuovi scopi, e puntare a mantenere attive le capacità del soggetto, utilizzando anche
risorse socio-culturali adeguate ai bisogni dell'anziano.
Nuove Politiche Sociali per un Nuovo Approccio all'Invecchiamento
Non è possibile descrivere sinteticamente tutte le politiche e tutti i programmi necessari a sostegno
dell’invecchiamento positivo ma sicuramente si può affermare che esistono ottime ragioni economiche
per attuare questo tipo di programmi.
Tali programmi devono essere sviluppati prima di tutto con l’obiettivo di supportare l’individuo nel
mantenimento della qualità della vita e della propria autonoma, con conseguente riduzione dei costi
legati alle cure e all’assistenza.
La prospettiva del ciclo di vita, che permette di sviluppare un nuovo paradigma teorico in ambito
geriatrico e gerontologico, continua a costituire una grave mancanza nell’ambito delle politiche sociali
(Rother, 2009), le quali riconoscono le diversità che caratterizzano soprattutto la popolazione anziana,
così come anche l’educazione alla salute e al benessere, ma guardando solo agli individui sopra una
certa età, mentre invece questo deve interessare tutti, perché tutti sono soggetti a invecchiamento.
Nel 2002 l’OMS ha stabilito che si dovrà riuscire a sviluppare dei programmi in grado di seguire i tre
principi basilari dell’approccio dell’invecchiamento attivo:
- salute;
- partecipazione;
- sicurezza.
Bisogna ora infine analizzare le politiche sociali che seguono i dettami dell'OMS:
1. Salute e Indipendenza: obiettivo principale delle nuove politiche di salute dovrebbe essere quello
di realizzare una serie di linee guida rivolte a tutta la popolazione per la riduzione dei fattori di rischio,
associati al disagio e legati allo stile di vita e all’isolamento, cercando di aumentare i fattori di
protezione attraverso lo sviluppo dei programmi rivolti alla promozione del benessere.
E’ necessario che il sistema socio-sanitario e politico riconosca e analizzi bisogni e risorse della
popolazione anziana per assicurare risposte adeguate e accessibili a tutti, ed evitare sprechi inutili.
L’Assemblea mondiale sui problemi dell’invecchiamento promossa dall’ONU nel 1982 ha sottolineato
l’importanza di una valutazione multidimensionale dello stato di salute, attraverso la rivelazione di
fattori soggettivi e oggettivi, nonché della percezione relativa alla propria salute. La valutazione
dovrebbe prevedere le componenti fisiologiche, psicologiche, cognitive di adattamento, sociali e
socio-economiche e contestuali (De Beni, 2009), dato che le interpretazioni in ambito clinico e
diagnostico potrebbero essere falsate dagli stereotipi negativi legati alla vecchiaia.
Il versante soggettivo della salute diventa sempre più importante in relazione al prendersi cura di sé
stessi. La rete di persone e istituzioni che si dispiega intorno all’individuo svolge un ruolo
fondamentale per il mantenimento della salute, per questo motivo la diagnosi integrata diventerà
sempre più indispensabile e dovrà considerare anche il punto di vista di familiari e conoscenti.
Un intervento sanitario particolare, ma comunque importante, è l’intervento domiciliare, che porta
l’operatore all’interno del domicilio dell’anziano. La casa rappresenta la storia stessa dell’individuo, ed
è quindi vista come un intervento volto a favore di un cambiamento e a offrire un aiuto che non si
distacchi dalla soggettività dell’individuo stesso. Gli operatori si troveranno quindi a svolgere un
compito in un ambiente fisico-storico-relazionale dotato di significato.
L’assistenza domiciliare integrata si riferisce alle diverse prestazioni offerte dai vari servizi che
comportano la realizzazione di un intervento mirato alla persona.
In questo scenario l’intervento sanitario e l’intervento socio-assistenziale devono riuscire a integrarsi in
quanto, spesso, il primo prevarica sul secondo;
2. Partecipazione, Produttività e Sicurezza: l’OMS (2002) ha sostenuto l’importanza di continuare a
dare un contributo produttivo all’interno della società e di mettere le persone nella condizione di
poterlo fare.
Arrivati al pensionamento ci sono individui che desiderano continuare la propria attività lavorativa e il
primo passo da fare sarebbe riuscire a eliminare qualsiasi forma di discriminazione legata all’età.
Rispetto al volontariato è bene precisare che le persone anziane spesso contribuiscono con le loro
esperienze e abilità alla vita comunitaria anche senza retribuzione. Purtroppo l’impiego in tali attività
spesso si traduce in una sorta di passatempo. Risulta importante quindi un lavoro congiunto con le
politiche e con le amministrazioni locali per evidenziare le reali aree di bisogno e le competenze
individuali al fine di creare una sinergia tra volontariato e obiettivi auspicabili.
Un lavoro di questo tipo, che permette di definire un ruolo sociale significativo, non può che migliorare
la vita dell’anziano, mettendo in luce le sue capacità e permettendogli di diventare una risorsa
riconosciuta.
Famiglie e comunità dovranno inoltre essere supportate nell’impegno di aiutare e farsi carico degli
anziani.
Conclusioni
I cambiamenti demografici che vedono protagonista il mondo occidentale hanno portato alla necessità
di considerare sotto una nuova luce l’invecchiamento.
Si è iniziato a porre l’accento sulle peculiarità di ogni fase della vita e sulle capacità che ognuno può
esprimere a prescindere dall’età cronologica.
E’ necessario considerare sia le risorse che derivano dal contesto che le peculiarità individuali, con il
fine di promuovere il benessere della persona e l’integrazione tra le diverse generazioni.
Le sfide relative all’aumento della popolazione anziana in Europa riguarderanno anche le azioni
politiche volte allo sviluppo di programmi appropriati.
L’obiettivo dell’invecchiamento attivo è un percorso che va interpretato attraverso una collaborazione
multidisciplinare in grado di apportare i cambiamenti necessari in ogni area finalizzata al benessere e
alla qualità della vita.
Attraverso l’impegno e le responsabilità personali, insieme al supporto di un contesto sociale e politico
attento alle esigenze di ogni fascia della popolazione, sarà possibile sviluppare un nuovo paradigma
che veda gli anziani come partecipanti attivi nella società.
Gli enti pubblici e locali, hanno il compito di promuovere e offrire sostegno e opportunità di crescita per
far si che gli individui possano essere autonomi nella gestione della propria vita.
Risorse e competenze, se accessibili e utilizzate in modo appropriato, consentiranno di affrontare
positivamente e con successo l’invecchiamento.
L’interazione tra individuo e ambiente è fondamentale in quanto viene riconosciuto a entrambi, un
ruolo attivo, in cui il primo prendendo decisioni e interagisce con gli altri mentre il secondo offre
opportunità e risorse.
L’obiettivo non è quindi aggiungere anni alla vita, ma aggiungere vita agli anni.