Master Universitario di I livello in Professioni Sanitarie Forensi: responsabilità e implicazioni Ed. I a.a. 2009/2010 Università degli Studi di Torino - Facoltà di Medicina e Chirurgia RISCHIO E SICUREZZA IN AREA RADIOLOGICA: RESPONSABILITA' E CONTRIBUTI DEL T.S.R.M. Studente: Marisa Desogus Tutor Accademico: Prof. Claudio Cardellini Tutor Aziendale: Dott. Franco Viazzi DIRETTORE DEL MASTER Prof. Claudio Cardellini INDICE INTRODUZIONE pag. 2 CAPITOLO 1 CONCETTI GENERALI DI RISCHIO E RISCHIO IN SANITA’ pag. 11 CAPITOLO 2 IL RISCHIO IN RADIOLOGIA pag. 18 2.1 Evidenza scientifica: esposizione alla radiazione medica ed i suoi effetti pag. 21 2.2 Esposizione alla radiazione medica in TC: Evidenze scientifiche e riflessioni pag. 31 CAPITOLO 3 LA COMUNICAZIONE DEL RISCHIO IN RADIOLOGIA pag. 37 CAPITOLO 4 PROPOSTE PER RIDURRE IL RISCHIO IN RADIOLOGIA pag. 48 CONCLUSIONI pag. 53 BIBLIOGRAFIA pag. 55 SITOGRAFIA pag. 56 1 INTRODUZIONE L’impiego delle radiazioni ionizzanti, in medicina, costituisce la fonte principale di esposizione della popolazione a sorgenti artificiali ed è in continuo aumento in Italia così come in tutti i Paesi con un elevato grado di assistenza sanitaria. Si è assistito, nel corso degli anni, ad un graduale ammodernamento delle apparecchiature, ad un'evoluzione nelle tecniche d’indagine ed alla diffusione di macchinari sempre più sofisticati come la Tomografia Computerizzata (TC), la Radiologia Interventistica, la Tomografia ad emissione di positroni (PET): tutte metodiche che comportano l’utilizzo di alti valori di dose per le persone esposte. Nella società attuale, i media quotidianamente non mancano di riferire di episodi più o meno gravi di cosiddetta “malasanità”, di danni più o meno gravi che i medici ed i professionisti sanitari in generale, direttamente o indirettamente hanno procurato ai pazienti; dell’assurda lunghezza delle liste di attesa; della spesa sanitaria che pesa sempre di più. Questi esempi credo rendano piuttosto bene l’idea di un’organizzazione sanitaria in crisi che, per vari motivi, come ad esempio l’iperconsumismo dei “generi sanitari”, da un lato non riesce a far fronte alla domanda di salute della popolazione, dall’altro aumenta paradossalmente le possibilità di recare qualche danno alla salute dei cittadini. Inoltre, oltre all’innalzamento dei costi per il continuo ricorso all’innovazione, la sanità dei Paesi industrializzati si caratterizza anche per l’alto tasso di iatrogenicità sociale; pertanto direi che la sanità sta diventando economicamente, ecologicamente e socialmente insostenibile. E’ proprio in questo contesto che si inserisce l’imaging diagnostico, con il suo alto contributo in termini di continuo innalzamento dei costi legato alla crescita della domanda di prestazioni ed anche all’elevato ritmo di obsolescenza delle varie strumentazioni. 2 Ancora più preoccupante è che il costo dell’innovazione tecnologica oltre a non essere giustificato dai benefici clinici spesso sempre più marginali, si associa anche ad un progressivo aumento dei rischi sociali. In questo caso specifico, si tratta soprattutto del fenomeno del forte aumento dell’esposizione della popolazione occidentale alle radiazioni ionizzanti artificiali, agenti cancerogeni di classe I (IARC), a causa dell’elevata diffusione degli esami radiologici e scintigrafici. Gli effetti indesiderati dei raggi x sono emersi a distanza di pochi mesi dalla loro scoperta (1895) e già nei primi anni del 1900 si era a conoscenza che le radiazioni potevano indurre la leucemia. In passato però, esisteva solo la certezza dei rischi ad alte dosi; ma con il passare degli anni sono apparsi a mano, a mano numerosi articoli (specialmente negli ultimi 30 anni) che lanciavano un chiaro segnale di allarme sui rischi da radiazione per i pazienti sottoposti ad esami a basse dosi, di pertinenza della radiologia diagnostica. Gli argomenti sui quali si fondano i molteplici studi effettuati a riguardo sono: oltre 100.000 giapponesi sopravvissuti allo scoppio della “A-bomb” sono stati studiati per oltre 60 anni e i dati sui rischi da bassa dose (35.000 individui esposti) quest’oggi sono acquisiti direttamente, senza bisogno di teorie o varie estrapolazioni; alla luce di tali elementi ci sarebbe un piccolo, ma significativo, rischio individuale di eccesso di neoplasie, durante il corso della vita, nei soggetti irradiati alle dosi comunemente impiegate, per esempio, con la TC; i bambini risulterebbero più sensibili alle radiazioni rispetto ad un adulto di età media secondo un fattore 10 e le femmine sarebbero più sensibili dei maschi secondo un fattore 2. Dalla ricerca sulla “A-bomb” emerge pertanto, un risultato basilare, che contraddice quanti sostenevano che non fosse provato l’effetto carcino-genetico delle radiazioni utilizzate in radiodiagnostica. 3 Nel 2000, la TC rappresentava il 5% dell’imaging da radiazioni, ma determinava il 40% della dose. L’evoluzione tecnologica ha determinato un rapido aumento del numero delle indagini eseguite. L’aumento delle TC “multistrato” ha poi, complicato lo scenario: la tecnica utilizzata rischia di determinare un ulteriore aumento dell’irradiazione sia per la possibilità di eseguire scansioni di aree anatomiche molto ampie a strato sottile (con il conseguente abuso), sia per la possibilità di eseguire esami multifase. In Italia la radioprotezione è regolamentata con il D.lgs n.187 del 2000, nello specifico: “Art. 3.-Principio di giustificazione 1. E' vietata l'esposizione non giustificata. 2. Le esposizioni mediche di cui all'articolo 1, comma 2, devono mostrare di essere sufficientemente efficaci mediante la valutazione dei potenziali vantaggi diagnostici o terapeutici complessivi da esse prodotti, inclusi i benefici diretti per la salute della persona e della collettività, rispetto al danno alla persona che l'esposizione potrebbe causare, tenendo conto dell'efficacia, dei vantaggi e dei rischi di tecniche alternative disponibili, che si propongono lo stesso obiettivo, ma che non comportano un'esposizione, ovvero comportano una minore esposizione alle radiazioni ionizzanti. In particolare: a) tutti i nuovi tipi di pratiche che comportano esposizioni mediche devono essere giustificate preliminarmente prima di essere generalmente adottate; b) i tipi di pratiche esistenti che comportano esposizioni mediche possono essere riveduti ogni qualvolta vengano acquisite prove nuove e rilevanti circa la loro efficacia o le loro conseguenze; c) il processo di giustificazione preliminare e di revisione delle pratiche deve svolgersi nell'ambito dell'attività professionale specialistica tenendo conto dei risultati della ricerca scientifica. 3. Il Ministero della sanità' può vietare, sentito il Consiglio Superiore di Sanità, tipi di esposizioni mediche non giustificate. 4. Tutte le esposizioni mediche individuali devono essere giustificate preliminarmente, tenendo conto degli obiettivi specifici dell'esposizione e delle 4 caratteristiche della persona interessata. Se un tipo di pratica che comporta un'esposizione medica non e' giustificata in generale, può essere giustificata invece per il singolo individuo in circostanze da valutare caso per caso. 5. Il prescrivente e lo specialista, per evitare esposizioni non necessarie, si avvalgono delle informazioni acquisite o si assicurano di non essere in grado di procurarsi precedenti informazioni diagnostiche o documentazione medica pertinenti alla prevista esposizione. 6. Le esposizioni mediche per la ricerca clinica e biomedica sono valutate dal Comitato etico istituito ai sensi della norme vigenti. 7. Le esposizioni di cui all'articolo 1, comma 2, lettera e), che non presentano un beneficio diretto per la salute delle persone esposte, devono essere giustificate in modo particolare e devono essere effettuate secondo le indicazioni di cui all'articolo 4, comma 6. 8. Le esposizioni di cui all'articolo 1, comma 3, devono mostrare di essere sufficientemente efficaci per la salute del paziente, tenendo conto dei vantaggi diretti, dei vantaggi per le persone di cui all'articolo 1, comma 3, nonché del danno che l'esposizione potrebbe causare; le relative giustificazioni e i relativi vincoli di dose sono quelli indicati nell'allegato I, parte I. 9. Le esposizioni di cui all'articolo 1, comma 3, sono vietate nei confronti dei minori di 18 anni e delle donne con gravidanza in atto. Art. 4- Principio di ottimizzazione 1. Tutte le dosi dovute a esposizioni mediche per scopi radiologici di cui all'articolo 1, comma 2, ad eccezione delle procedure radioterapeutiche, devono essere mantenute al livello più basso ragionevolmente ottenibile e compatibile con il raggiungimento dell'informazione diagnostica richiesta, tenendo conto di fattori economici e sociali; il principio di ottimizzazione riguarda la scelta delle attrezzature, la produzione adeguata di un'informazione diagnostica appropriata o del risultato terapeutico, la delega degli aspetti pratici, nonché i programmi per la garanzia di qualità, inclusi il controllo della qualità, l'esame e la valutazione delle dosi o delle attività somministrate al paziente. 2. Per tutte le esposizioni mediche a scopo terapeutico di cui all'articolo 1, comma 2, lettera a), lo specialista deve programmare individualmente l'esposizione dei volumi bersaglio tenendo conto che le dosi a volumi e tessuti non bersaglio 5 devono essere le più basse ragionevolmente ottenibili e compatibili con il fine radioterapeutico perseguita con l'esposizione. 3. Ai fini dell'ottimizzazione dell'esecuzione degli esami radiodiagnostici si deve tenere conto dei livelli diagnostici di riferimento (LDR) secondo le linee guida indicate nell'allegato II. 4. Le procedure di giustificazione e di ottimizzazione della ricerca scientifica comportante esposizioni a radiazioni ionizzanti di cui all'articolo 1, comma 2, lettera d), si conformano a quanto previsto nell'allegato III. Nei casi in cui i programmi di ricerca non siano suscettibili di produrre benefici diretti sulla persona esposta, si applicano comunque le disposizioni di cui all'articolo 99 del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 230. 5. In deroga a quanto stabilito al comma 4, nel caso di pazienti che accettano volontariamente di sottoporsi a trattamento sperimentale terapeutico o diagnostico e che si aspettano di ricevere un beneficio terapeutico o diagnostico da tale trattamento, lo specialista programma su base individuale i livelli massimi delle dosi. 6. Particolare attenzione deve essere posta a che la dose derivante da esposizione medico-legale di cui all'articolo 1, comma 2, lettera e), sia mantenuta al livello più basso ragionevolmente ottenibile. 7. Le procedure di ottimizzazione e i vincoli di dose per le esposizioni di cui all'articolo 1, comma 3, di soggetti che coscientemente e volontariamente collaborano, al di fuori della loro occupazione, all'assistenza ed al conforto di pazienti sottoposti a diagnosi o, se del caso, a terapia, sono quelli indicati nell'allegato I, parte II. 8. Nel caso di un paziente sottoposto ad un trattamento o ad una diagnosi con radionuclidi, se del caso, il medico nucleare o il radioterapista fornisce al paziente stesso o al suo tutore legale istruzioni scritte volte a ridurre, per quanto ragionevolmente conseguibile, le dosi per le persone in diretto contatto con il paziente, nonché le informazioni sui rischi delle radiazioni ionizzanti. Tali istruzioni sono impartite prima di lasciare la struttura sanitaria. 9. Per quanto riguarda l'attività dei radionuclidi presenti nel paziente all'atto dell'eventuale dimissione da strutture protette, si applica, in attesa dell'emanazione del decreto previsto dall'articolo n.105, comma 1, del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 230, quanto previsto nell'allegato I, parte II”. 6 La Società italiana per la Radiologia Medica (SIRM) fornisce anch'essa il proprio contributo sottolineando con forza la necessità della condivisione delle Linee guida con i medici prescrittori, nonché la promozione del principio di “giustificazione clinica” delle prestazioni, ma sembra che molto debba essere ancora fatto per ridurre la dose negli esami soprattutto di Tomografia Computerizzata. E’ ovvio pertanto che trattare di appropriatezza è questione di tutti: medici , medici di cure primarie, medici radiologi, tecnici di radiologia medica e pazienti che devono conoscere gli effetti dell’esposizione sulla loro salute. Il Codice di deontologia medica 15/06/2009 recita: - CAPO IV- Accertamenti diagnostici e trattamenti terapeutici - Art. 13 - Prescrizione e trattamento terapeutico “La prescrizione di un accertamento diagnostico e/o di una terapia impegna la diretta responsabilità professionale ed etica del medico e non può che far seguito a una diagnosi circostanziata o, quantomeno, a un fondato sospetto diagnostico. Su tale presupposto al medico è riconosciuta autonomia nella programmazione, nella scelta e nella applicazione di ogni presidio diagnostico e terapeutico, anche in regime di ricovero, fatta salva la libertà del paziente di rifiutarle e di assumersi la responsabilità del rifiuto stesso. Le prescrizioni e i trattamenti devono essere ispirati ad aggiornate e sperimentate acquisizioni scientifiche tenuto conto dell'uso appropriato delle risorse, sempre perseguendo il beneficio del paziente secondo criteri di equità. Il medico è tenuto a una adeguata conoscenza (OMISSIS) delle caratteristiche di impiego dei mezzi diagnostici e terapeutici e deve adeguare, nell'interesse del paziente, le sue decisioni ai dati scientifici accreditati o alle evidenze metodo- logicamente fondate. Sono vietate l'adozione e la diffusione di terapie e di presidi diagnostici non provati scientificamente o non supportati da adeguata sperimentazione e documentazione clinico-scientifica, nonché di terapie segrete. 7 In nessun caso il medico dovrà accedere a richieste del paziente in contrasto con i principi di scienza e coscienza allo scopo di compiacerlo, sottraendolo alle sperimentate ed efficaci cure disponibili (OMISSIS)” Art. 16 - Accanimento diagnostico-terapeutico “Il medico, anche tenendo conto delle volontà del paziente laddove espresse, deve astenersi dall'ostinazione in trattamenti diagnostici e terapeutici da cui non si possa fondatamente attendere un beneficio per la salute del malato e/o un miglioramento della qualità della vita”. Quest’oggi riguardo gli indici di appropriatezza e l’incidenza della radioesposizione, c’è un’impressionante carenza di comunicazione infatti, l’invadenza della tecnologia rischia d’impoverire sempre di più la cultura clinica dei medici e soprattutto d’inaridire la relazione tra medico e paziente. Il Codice di deontologia medica 15/06/2009 recita: - TITOLO III-RAPPORTI CON IL CITTADINO - CAPO IV - Informazione e consenso Art. 33 - Informazione al cittadino “Il medico deve fornire al paziente la più idonea informazione sulla diagnosi, sulla prognosi, sulle prospettive e le eventuali alternative diagnosticoterapeutiche e sulle prevedibili conseguenze delle scelte operate. Il medico dovrà comunicare con il soggetto tenendo conto delle sue capacità di comprensione, al fine di promuoverne la massima partecipazione alle scelte decisionali e l'adesione alle proposte diagnostico-terapeutiche. Ogni ulteriore richiesta di informazione da parte del paziente deve essere soddisfatta. Il medico deve, altresì soddisfare le richieste di informazione del cittadino in tema di prevenzione. Le informazioni riguardanti prognosi gravi o infauste o tali da poter procurare preoccupazione e sofferenza alla persona, devono essere fornite con prudenza, usando terminologie non traumatizzanti e senza escludere elementi di speranza. La documentata volontà della persona assistita di non essere informata o di delegare ad altro soggetto l'informazione deve essere rispettata”. 8 E’ necessario perciò recuperare questo “pezzo” del puzzle mancante, mediante l’informazione del cittadino, perché il “tradurre” e “mediare” nei confronti del paziente diventa compito specifico del professionista sanitario. La carta vincente è la cultura dell’apertura, della comunicazione e della collaborazione multidisciplinare e paziente, affinché si affermi sempre più la capacità di gestione del rischio e di promozione della salute. A dimostrazione della suddetta affermazione è significativo il Codice Deontologico del T.S.R.M. (26 Luglio 2008) che recita: - “punto 3 - Rapporti con la persona 3.1 Ridurre la persona ad una patologia, un numero od un segmento corporeo è lesivo della sua dignità personale e sociale. Pertanto, il T.S.R.M si rivolge ad essa utilizzandone nome e cognome personalizzando la dinamica relazionale. Tale atteggiamento assume particolare rilievo nei confronti dei soggetti di età pediatrica. 3.2 Il T.S.R.M. è al servizio della persona. Con essa si impegna ad instaurare una relazione tenendo in considerazione le variabili fisiche, psichiche e sociali. A tal fine, il T.S.R.M. attribuisce una particolare importanza all’ascolto, attraverso il quale è possibile raccogliere informazioni e dati utili alla realizzazione di atti sanitari di qualità appropriata. 3.4 Il T.S.R.M. contribuisce all’educazione terapeutica necessaria a rendere la persona capace di partecipare consapevolmente alle decisioni che riguardano la sua salute. Per lo stesso fine, il T.S.R.M. garantisce un’informazione qualificata, obiettiva e completa, in particolar modo sugli aspetti tecnologici e tecnici del processo. (OMISSIS) 3.5 Il T.S.R.M. fornisce informazioni su tecnologie, tecniche, aspetti radioprotezionistici delle attività radiologiche e, se adeguatamente preparato, su mezzi di contrasto e radiofarmaci; per ciò che non è di sua competenza, indicherà l’interlocutore più qualificato a farlo. 3.6 Al fine di adottare la procedura tecnica più appropriata e garantire prestazioni professionali di qualità, il T.S.R.M. raccoglie informazioni e dati attraverso un’attenta e specifica attività anamnestica”.(OMISSIS) 9 3.10 l T.S.R.M. è consapevole che il consenso ad una prestazione sanitaria è un diritto di ogni cittadino costituzionalmente tutelato. Si adopera pertanto a garantire che la persona, debitamente informato, possa giungere ad un'accettazione libera e consapevole della prestazione propostagli. Ritiene contrario a tale impostazione il ricorso puramente formale alla sottoscrizione di moduli predisposti. Il T.S.R.M. considera il consenso informato un atto di concreta partecipazione alle attività sanitarie e ne contrasta l’uso ai soli fini medico-legali”. 10 CAPITOLO 1 CONCETTI GENERALI DI RISCHIO E RISCHIO IN SANITÀ In questi ultimi anni è stata prestata attenzione sempre più ai rischi connessi all’esercizio delle professioni sanitarie. L’efficienza e l’efficacia delle prestazioni del nuovo secolo non sono sufficienti per garantire un' adeguata qualità delle cure ai cittadini che chiedono sempre di più dei servizi “sicuri”. Normalmente quando si parla di “sicurezza” in un’organizzazione si pensa immediatamente al Decreto Legislativo n. 81/00 Testo Unico coordinato con il Decreto Legislativo 3 agosto 2009, n. 106 (in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro) e spostiamo la nostra attenzione alle strutture, alle tecnologie e agli operatori che ne fanno parte, lasciando in una sorta di incertezza e nebulosità la sicurezza del cittadino-paziente. Il paziente, che si rivolge ad una struttura ospedaliera per avere una risposta ai propri bisogni assistenziali affinché migliori il suo grado di salute, spesso si ritrova vittima di un danno sanitario che va a mettere in discussione non solo la singola prestazione, ma anche la garanzia che il sistema offre. Mettendo in discussione la garanzia che il sistema offre viene in un certo qual modo compromessa anche l'attendibilità della Carta dei Servizi propria della struttura, di seguito la Normativa di riferimento dal Ministero della salute: “Il Decreto legge 12 maggio 1995, n. 163, convertito dalla legge 11 luglio 1995, n. 273, prevedeva l'adozione, da parte di tutti i soggetti erogatori di servizi pubblici, anche operanti in regime di concessione o mediante convenzione, di proprie "Carte dei servizi" sulla base di "schemi generali di riferimento"; per il settore sanitario detto schema di riferimento è stato adottato con DPCM del 19 maggio 1995 (G.U. del 31 maggio 1995, supplemento n.65). 11 In generale ai fini della promozione di una nuova cultura della sicurezza, assume notevole importanza il coinvolgimento dei pazienti nei propri processi di cura. Il ruolo attivo dei pazienti nella definizione delle procedure cliniche ed assistenziali favorisce una maggiore attenzione alla prevenzione dei rischi e rafforza il rapporto di fiducia tra il cittadino e il sistema sanitario. In questa ottica, assume particolare rilievo la Carta dei Servizi Sanitari.” Questa realtà ci spiega che è forse giunto il momento di rileggere il concetto di “sicurezza” come l’elemento cardine del sistema sanitario e “l’evento avverso” come un accadimento in cui hanno interagito fattori tecnici, organizzativi e di processo e non più come un singolo errore umano. Così facendo si promuove un cambiamento culturale già iniziato nel mondo anglosassone e che sta fermentando sempre più anche in Italia negli ultimi anni. Solo dagli inizi del 2000 si sta assistendo in Italia, allo sviluppo di studi volti a misurare con criteri scientifici l’errore, all’elaborazione delle cosiddette mappe del rischio e alla promozione di comportamenti che hanno lo scopo di coniugare la sicurezza con la qualità, fino a dare una identità sempre più definita e meno incerta al settore particolare del “Risk Management” e del “Risk Assessment” che si interessa di sanità. L’attuale sistema sanitario italiano, risulta piuttosto complesso per diverse variabili: presenza di esperienze professionali multiple, diversi modelli gestionali, svariate tipologie dei vari processi assistenziali, elevato numero di procedure sanitarie, complessità degli interventi, “stakeholder” sempre più diversi e numerosi. Negli ultimi venti anni si sta assistendo sempre più all’informatizzazione delle aziende sanitarie, dall’inserimento più semplice di dati (come quello dei dati anagrafici dei pazienti), alle più avanzate tecnologie di diagnostica utilizzate. In effetti, le attività sanitarie sono diventate complesse, si basano su dati certi e sempre di più utilizzano supporti di alta tecnologia, pertanto è maggiore la possibilità che qualche fase del processo di cura e assistenza possa 12 rappresentare un pericolo o rischio per il paziente; tale condizione trova conferma nell’affermazione di J. Wilson “la sanità è un affare rischioso”. Riguardo a quanto detto, va aggiunto pertanto che come tanti altri settori, anche il sistema sanitario, in veste di organizzazione complessa, presenta un discreto numero di incidenti (alcuni anche piuttosto gravi) dovuti a errori umani. Partendo dalla considerazione che l’errore è una componente inevitabile della realtà umana (efficace in questo senso ed esplicativo di una filosofia è il titolo di un importante rapporto pubblicato nel 1999 dall’Institute of Medicine (IOM) “To err is human”), diventa pertanto fondamentale riconoscere che anche un sistema complesso come quello sanitario può sbagliare, creando tutta una serie di circostanze in grado di verificare un errore (stress, tecnologie avanzate e magari ancora poco conosciute, eccetera), che restano latenti fino a quando un errore da parte dell’operatore (active failure) non le rende manifeste. Se non si può eliminare completamente l’errore umano, diventa allora fondamentale favorire le condizioni lavorative ideali e porre in atto un insieme di azioni che rendano difficile per l’uomo sbagliare (Reason, 1992) ed in secondo luogo, attuare delle difese in grado di arginare il più possibile le conseguenze di un errore che si è verificato, cercando di limitare il rischio. Per far sì che predomini sempre più una cultura del “segnalare ed imparare dagli errori” è necessario partire dal dato di fatto che l’errore non può essere evitato, poiché è insito nelle limitate capacità sensoriali, cognitive e razionali della natura umana, ma è invece possibile impedire che giunga a cagionare un danno. Contrariamente a come si è operato fino ad oggi sarebbe molto utile invece implementare un sistema in grado di poter rilevare tutti gli errori, anche quelli che non hanno generato un evento avverso o rischioso, in modo da consentire l’analisi e la ricerca delle cause che lo hanno prodotto con la finalità di prevenire il ripetersi delle stesse condizioni di rischio e/o limitarne il danno quando questo si è ormai verificato. Va detto però che nella maggior parte dei casi, gli errori potenziali o effettivi non vengono segnalati dal professionista che è frenato il più delle volte, dal 13 timore di essere giudicato in maniera negativa riguardo il proprio operato dai colleghi e anche dal timore delle eventuali ripercussioni medico-legali. Tutto questo va a contrapporsi alla voglia ed al bisogno di cambiamento. Dobbiamo imparare dall’errore per anticipare l’errore: “…riconoscere gli errori e correggerli il più presto possibile, prima che facciano troppo danno. L’unico peccato imperdonabile è nascondere un errore” (Tolleranza e responsabilità intellettuale K. R. Popper). La sicurezza del paziente deriva pertanto, dalla capacità di progettare e gestire organizzazioni in grado di ridurre la probabilità che si verifichino errori (prevenzione), sia di recuperare e contenere tutti quelli effetti degli errori che comunque si verificano (protezione). Il fenomeno “rischio sanitario” ha ormai raggiunto una portata tale da non poter più essere ignorato, basti pensare solo ad alcune delle cifre presentate in proposito: da uno degli ultimi rapporti dell’IOM (Institute of Medicine) risulta che circa un milione di americani, ogni anno, riportano danni dalle cure che vengono loro prestate dalle strutture sanitarie e almeno 100.000 che muoiono; gli errori nelle cure comportano anche dei costi aggiuntivi che ammontano, solo negli USA, a circa 38 miliardi di dollari l’anno. Il National Health Service (NHS) ha diffuso negli ultimi anni i seguenti dati: circa 400 morti all’anno per il malfunzionamento di apparecchiature mediche; 10.000 persone che denunciano il NHS per danni ricevuti nelle cure; intanto le spese causate dagli errori sono notevoli. Anche in Italia negli ultimi anni, il contenzioso sta subendo una crescita quasi esponenziale (circa 12.000 nuovi casi all’anno) in quanto su 8 milioni di persone che ogni anno vengono ricoverate negli ospedali italiani, ben 320.000 ne escono con danni, lesioni e malattie che non correlate con il motivo che le ha portate al ricovero, ma sono dovute agli errori nelle cure, ai disservizi ospedalieri ed alle carenze organizzative. 14 Tra questi 320.000 danneggiati, il numero dei morti oscillerebbe tra 14.000 e 50.000. Considerando nel suo insieme i dati sopra riportati, va detto tuttavia, che a contraddistinguere la situazione italiana è che il problema del rischio sanitario è stato avvertito notevolmente in ritardo ed è soltanto negli ultimi anni che ha attirato l’attenzione della stampa, del mondo politico e degli stessi operatori sanitari. Molti altri Paesi, invece, hanno già apportato iniziative di misure correttive al sistema. Nonostante il notevole ritardo con cui l’Italia ha preso coscienza della gravità del fenomeno “rischio sanitario”, proprio negli ultimi anni ha avuto inizio uno spiccato fermento attorno a tale argomento ed in particolare, direi che la situazione del nostro Paese risulta essere caratterizzata da un momento di molteplici e significativi cambiamenti che portano alla diffusione di una cultura il cui interesse primario è quello di orientarsi verso una riorganizzazione essenzialmente negli aspetti gestionali ed organizzativi del sistema. Partendo dalla consapevolezza che il rischio in sanità è inteso come la probabilità che un paziente sia vittima di un evento avverso, cioè subisca un qualsiasi “danno o disagio imputabile, anche se in modo involontario, alle cure mediche prestate durante il periodo di degenza, che causa un prolungamento del periodo di degenza, un peggioramento delle condizioni di salute o la morte” (Kohn, IOM 1999); esso può dunque essere arginato mediante iniziative di Risk Management messe in atto a livello di singola struttura sanitaria, a livello aziendale, regionale e nazionale. Il Risk Management, in termini strettamente aziendali, può essere definito come una “funzione aziendale con il compito di identificare, valutare, gestire e sottoporre a controllo economico i rischi di un'azienda”. La sicurezza è una componente fondamentale della qualità dell’assistenza socio-sanitaria. 15 L’Institute of Medicine americano la definisce come “assenza di danni o lesioni accidentali” o ancora come “evitare ai pazienti danni derivanti da attività sanitarie che hanno lo scopo di aiutarli”. Quest’ultima definizione esprime, direi, in modo piuttosto efficace la responsabilità riguardo al concetto di sicurezza, che distingue un’organizzazione sanitaria da qualsiasi altro tipo di organizzazione. Va detto però che non tutti gli errori si traducono in danno o fonte di rischio, ma quando purtroppo questo accade, si verifica un “evento indesiderato prevenibile”, cioè un danno evitabile causato o non impedito da un intervento sanitario anziché dalla condizione clinica del paziente. Il sistema può e deve per questo attrezzarsi, di modo che si possa prevenire e contenere l’errore. Come dice Reason “non possiamo cambiare la natura umana, ma possiamo cambiare le condizioni in cui gli esseri umani lavorano”. Parlare di errore in medicina significa in questa ottica parlare di sicurezza dell’ambiente sanitario e questo è il modo migliore per affrontare l’argomento e non cadere nel facile equivoco di caccia al colpevole che il termine “errore” evoca inevitabilmente. Per rendere esplicite in maniera più chiara le modalità di generazione dell’errore, è utile presentare il modello “svizzero” proposto da Reason. Se immaginiamo l’organizzazione del nostro servizio sanitario come costituita da una serie di settori d’intervento che agiscono in serie (immaginiamoli come delle fette di formaggio), allora in ciascuna fetta vi possono essere dei buchi che rappresentano gli errori attivi o latenti. I primi dobbiamo pensarli come fori molto mobili, che si aprono e si chiudono molto velocemente e che si spostano in vari punti della stessa fetta. Questi buchi mobili coincidono con errori individuali (errori attivi) che però di solito non lasciano tracce né conseguenze rilevanti. Diversamente invece sono gli errori latenti che vengono raffigurati come dei fori nel formaggio più duraturi e poco mobili. 16 Si tratta di errori fondamentalmente legati alla progettazione organizzativa di un reparto, l’insieme delle regole che determinano le modalità lavorative. Tutte le fette di formaggio che nell’insieme rappresentano le varie fasi del percorso diagnostico, terapeutico e assistenziale del paziente, possono contenere occasioni di errore, ovvero i cosiddetti errori “latenti” che non aspettano altro che di poter emergere. Ma ciò non accade molto frequentemente, se non quando i fori nelle varie fette si allineano tra di loro e non esistono più meccanismi di tolleranza e compenso nelle varie fasi del percorso del paziente. Così, per puro caso, l’allineamento dei fori determina il passaggio da “rischio” ad “evento” (figura 1). Figura 1 Negli ultimi anni la sicurezza del paziente è diventata una questione centrale per le strutture sanitarie di molti Paesi e rappresenta oggi una primaria preoccupazione da parte degli utenti, degli operatori sanitari ed anche degli amministratori dei servizi sanitari nazionali. Il ricorso alla gestione del rischio sta diventando sempre più un imperativo per le strutture sanitarie : “negli ultimi tempi è andata progressivamente aumentando la sensibilità e l’attenzione di coloro che hanno responsabilità organizzative all’interno degli ospedali alle tecniche di Risk Management”. 17 CAPITOLO 2 IL RISCHIO IN RADIOLOGIA Tutto è iniziato il 28 Dicembre del 1895 quando Roentgen comunicò alla società fisico-medica di Wurzburg la sua scoperta dei raggi X. Successivamente il 12 Gennaio del 1896, il Corriere della Sera scriveva: “…con un simile processo sarà agevole riconoscere la natura, l’importanza delle fratture, le ferite delle armi, specie di quelle da fuoco. Nell’estrazione delle pallottole soprattutto il nuovo metodo d’investigazione risparmierà al ferito il metodo attuale così tormentoso nel sondaggio operato a caso…”. Così, la tecnologia iniziava il suo lungo percorso accanto alla medicina per aiutarla ad offrire cure migliori ai cittadini, anche se di lì a poco, già allora, nascevano i primi contraccolpi negativi dei successi tecnologici in ambito diagnostico. Oggi si parla di una Radiologia sempre più precisa e sofisticata: le tecnologie radiologiche utilizzate sono in grado di “fotografare” l’organismo fin nei minimi dettagli. Risonanza magnetica, TC, Ecografia e i tradizionali raggi X, sono entrati quasi con prepotenza nella routine sanitaria e insieme al balzo tecnologico e scientifico si sta diffondendo già da qualche anno, una sorta di preoccupazione da parte dei professionisti sanitari e non solo. Tutto questo è dovuto al fatto che gli esami radiologici sono in costante aumento, tanto che negli ultimi anni ci stiamo soffermando sempre più sull’emergente e importante “fenomeno dell’abuso” di esami radiologici, partendo dal fatto che probabilmente si tratta di un particolare aspetto dell’attuale società post-moderna, che sempre più è caratterizzata da un lato, 18 dalla tendenza al consumismo esteso ai “generi”sanitari, dall’altro, da una marcata dipendenza dai media elettronici e tecnologicamente avanzati. Riguardo ciò, trovo doveroso ricordare che il Decreto Legislativo n.187 del 2000 sottolinea l’importanza di ben due concetti fondamentali nell’utilizzo clinico delle radiazioni ionizzanti. Il primo è il principio di giustificazione, il quale sancisce il divieto all’esposizione non giustificata e soprattutto ribadisce in maniera chiara: “…Il prescrivente e lo specialista, per evitare esposizioni non necessarie, si avvalgono delle informazioni acquisite o si assicurano di non essere in grado di procurarsi precedenti informazioni diagnostiche o documentazione medica pertinenti alla prevista esposizione”. L’altro punto cardine del D.lgs n.187/2000 è il principio di ottimizzazione: “…tutte le dosi dovute a esposizioni mediche per scopi radiologici…ad eccezione delle procedure radioterapiche, devono essere mantenute al livello più basso ragionevolmente ottenibile e compatibile con il raggiungimento dell’informazione diagnostica”. Nella società odierna, questi principi che dovrebbero essere ben conosciuti e applicati, il più delle volte, sono invece disattesi nella pratica quotidiana. Il rischio è che radiologi e tecnici, costretti ad un numero eccessivo di prestazioni sempre più complesse e ricche di informazioni, pure se supportati da mezzi di elevata tecnologia, si trasformino in “cottimisti” dell’immagine, sfociando nell’alimentare il cosiddetto “consumismo radiologico” sempre più dilagante e a mio avviso, in parte responsabile della “malpractice” in radiologia. Questo fenomeno è stato già recepito nel 2001 dalla European Commission Referral Guidelines for Imaging Radiation Protection: “Un numero significativo di indagini radiologiche non è utile e quindi comporta un’esposizione superflua a radiazioni ionizzanti”. 19 Dunque, questo è il vero problema che negli ultimi anni affligge il mondo radiologico, forse in misura superiore rispetto alle altre discipline sanitarie e contrapposto alla necessità di contenere la spesa sanitaria. Tutti noi che operiamo nell’ambito della diagnostica per immagini, ci rendiamo conto che quotidianamente si esegue un’alta percentuale di esami superflui o addirittura inutili, che non hanno alcuna incidenza sullo stato complessivo di salute e cura dei pazienti e che spesso la loro inappropriatezza è determinata in aggiunta da una sempre più diffusa logica di medicina difensiva. E’ ormai reso noto che annualmente in tutto il mondo si eseguono intorno ai 5 miliardi di esami radiologici e che negli ultimi 10 anni il numero di prestazioni di radiodiagnostica è aumentato del 10% all’anno. Secondo i dati dell’UNSCEAR (United Nations Scientific Committee on the Effects of Atomic Radiation), ogni anno nei Paesi industrializzati vengono eseguiti dai 200 ai 2.000 esami ogni 1.000 abitanti. Inoltre si stima che nel 30-50% dei casi, gli esami radiologici sembrano risultare parzialmente o totalmente inappropriati ai fini clinici. Questi dati ci riportano a quanto già detto sopra, ovvero che il fenomeno del loro abuso che si sta via, via affermando, riflette senza dubbio la tendenza iperconsumista della nostra società, dominata fondamentalmente, dai media e dalla cultura delle immagini che affermano la supremazia dell’apparire sull’essere, del “look” e delle mode effimere, ma soprattutto dell’egoismo sul bene comune. La Commissione Europea per gli Effetti Biologici delle Radiazioni ionizzanti (BEIR) dichiara che l’esposizione della popolazione a una dose di 10 milliSievert (mSv) comporta un extra-rischio di cancro o leucemia di 1 caso ogni 1.000 abitanti. La soluzione a quanto i dati affermano quest’oggi, è affidata all’attuazione nella pratica del “principio di giustificazione” già citato, mediante una minuziosa sorveglianza dell’appropriatezza delle prestazioni radiologiche. 20 Nella realtà però, sembra congiurare contro l’attuazione di tale principio, in quanto la sua applicazione trova resistenza in alta percentuale negli operatori sanitari non appartenenti all’ambito radiologico che spesso, anche per motivi di “difensivismo” medico-legale, eccedono nelle richieste. Da quanto detto fin qui, viene da dire che negli ultimi anni i “raggi X” sono tornati sul banco degli imputati e se conosciamo i dati fino ad oggi elaborati e a nostra disposi-zione, tale affermazione direi che è ancora più reale e credibile. Innanzitutto va detto che il dato secondo cui il 30-50% degli esami di diagnostica per immagini risulti parzialmente appropriato (cioè, esami che si potevano evitare) o completamente inappropriato (ovvero, esami che si dovevano evitare) è da valutare attentamente se si pensa per un attimo agli effetti sociali negativi che può comportare come: il danno morale e materiale alla salute del cittadino, che si espone inutilmente ad esami potenzialmente cancerogeni; l’allungamento delle liste di attesa, che impedisce a chi ha più bisogno di accedere in modo tempestivo alle cure; l’elevato contributo alla crescita eccessiva della spesa sanitaria (negli USA oggi rappresenta circa il 15% del PIL); l’aumento delle possibilità di errori diagnostici. Tutto questo si può tradurre pertanto, ad una ridotta qualità del servizio sanitario. 2.1. Evidenza scientifica: esposizione alla radiazione medica ed i suoi effetti Il riconoscimento degli effetti patologici delle radiazioni ebbe inizio poco dopo la loro scoperta : Nel 1901 Henri Becquerel mostrò un eritema della cute in corrispondenza della tasca del vestito nella quale aveva tenuto per qualche tempo una fiala di vetro contenente dei sali di Radio. Nel 1903 fu riconosciuto che l’esposizione a raggi X poteva indurre sterilità negli animali da laboratorio. 21 Pertanto, già dopo circa 10 anni dalla scoperta di Roentgen una gran parte della patologia da dosi elevate e intense di radiazioni ionizzanti era stata riconosciuta e sommariamente descritta. Successivamente, un altro genere di effetti cominciò ad essere conosciuto sul finire degli anni '20, quando H.J. Muller (genetista) dimostrò nel 1927 che i raggi X potevano produrre mutazioni genetiche e cromosomiche nel moscerino dell’aceto e che possono essere trasmesse ai discendenti secondo le leggi dell’eredità biologica. La radioprotezione però, solamente dopo la seconda guerra mondiale, comincia ad occuparsi in maniera rilevante degli effetti genetici radio indotti e cioè quando furono considerati come i più insidiosi e gravi dell’esposizione alle radiazioni. Oggi, il crescente e massiccio ricorso all’utilizzo della radiologia, è tale che l’esposizione della popolazione alle radiazioni artificiali mediche, è arrivata ad equiparare l’esposizione dovuta al fondo naturale (crosta terrestre + radiazione solare e cosmica), che a seconda delle zone geografiche varia da 1 a 20 mSv all’anno. Infatti, l’esposizione alla “radiazione medica” era circa 1/5 dell’esposizione dovuta al fondo ambientale nel 1987, intorno al 50% nel 1993 e circa il 100% della radiazione naturale nel 1997 nei Paesi industrializzati (figura 2). I dati a disposizione accertano pertanto, che circa 10 anni fa ciascun cittadino dei Paesi occidentali riceveva mediamente per anno, l’equivalente circa di oltre 100 radiografie del torace. Figura. 2: Il grafico rappresenta una visione della dose radiologica del cittadino medio. L’esposizione media a radiazioni mediche ammonta già nel 1997 a circa 100 radiografie toraciche per anno, pari all’intera dose ricevuta da fonti naturali (dati elaborati delle Nazioni Unite). 22 Negli ultimi anni, le prestazioni radiologiche, comprese soprattutto quelle che comportano un’elevata esposizione come le procedure d’interventistica, la TC e la scintigrafia (soprattutto quella cardiaca), sono continuate ad aumentare ad un ritmo almeno di circa il 10% all’anno. A questo proposito dobbiamo considerare con attenzione che la TC e le procedure di radiologia interventistica (in particolar modo quelle in campo cardiologico), contribuiscono per il 6% e il 12% rispettivamente alla frequenza degli esami, ma soprattutto contribuiscono al 47% e al 18% della dose collettiva, visto che ciascun esame corrisponde a centinaia di volte la dose di una singola radiografia. Le rappresentazioni grafiche (figure 3a-3b-3c) ci danno un’idea alquanto chiara sulla crescita del numero di esami che comportano un’alta esposizione a radiazioni (dati originali della Società Americana di Radiologia, di Cardiologia Nucleare e Società Europea di Cardiologia). Figura 3(a): Rappresentazione delle curve di crescita delle procedure di radiologia interventistica (ambito cardiologico) dal 1992 al 2001 nei Paesi industrializzati europei. 23 Figura 3(b): Rappresentazione della curva di crescita di scintigrafie cardiache dal 1991 al 2002 negli USA. Figura 3(c): Rappresentazione della curva di crescita di prestazioni TC dagli inizi degli anni’80 al 2004 in USA. In Italia è stimato che ogni anno vengono eseguite da 36 milioni a 43 milioni di prestazioni radiologiche, in media una per ogni cittadino, bambini compresi. Al Pronto Soccorso circa il 35% degli esami avviene mediante l’utilizzo di prestazioni di radiologia tradizionale, in circa il 10% dei casi viene richiesta una 24 prestazione con TC (produce immagini di elevata qualità, ma emette dosi alte rispetto alla tecnica tradizionale). Nel panorama europeo, il nostro Paese è uno dei maggiori “consumatori” di esami diagnostici che comportano l’uso di radiazioni ionizzanti. A tale proposito è stata avviata dai Radiologi italiani un’indagine in base ai risultati di un censimento della Società italiana di Radiologia medica (SIRM) insieme all’Associazione italiana di Neuroradiologia e al sindacato nazionale dei radiologi. I risultati si basano sui dati rilevati in 6 regioni e province autonome d’Italia (Marche, Toscana, Sicilia, provincia di Trento, di Bolzano e Valle d’Aosta). L’indagine ha rilevato che in 1 anno, tra ASL e ambulatori, sono pervenute ben circa 8 milioni di prestazioni radiologiche: un dato molto alto rispetto alla popolazione considerata e che ci riporta ancora una volta a riflettere. Gli specialisti sostengono che dei 40-50 milioni di esami che attualmente si effettuano ogni anno nel nostro Paese, il 75% può essere considerato appropriato, mentre il resto potrebbe essere evitato. Tale fenomeno, ovvero la crescita esponenziale della domanda di esami radiologici è dovuto in buona parte al sempre maggiore ricorso a quella che oggi viene definita “medicina difensiva”, da parte dei medici prescrittori, soprattutto nelle aree di emergenza e Pronto Soccorso. Secondo un articolo riportato sul sito “italiasalute.it” 25/2009: “La così detta “medicina difensiva” consiste in un comportamento diagnostico orientato a ridurre il livello di esposizione del medico ad un conflitto giudiziale iniziato dal paziente; si differenzia in medicina difensiva positiva, se si concretizza in più test o procedure, e in medicina negativa, se si concretizza, invece, nell’evitare pazienti o procedure diagnostiche ad alto rischio. Gli ultimi dati rivelano che a praticare questa scorretta forma di “autotutela” sono il 40% dei dottori italiani. Il fenomeno della medicina difensiva origina principalmente dal crescente volume di cause legali intentate dai pazienti contro i medici: circa 30mila l’anno, con un costo per il settore della Sanità di 500 milioni di euro solo per le 25 polizze di assicurazione professionale; l’incidenza sulla spesa sanitaria complessiva del Paese invece è stimabile tra un minimo del 12,3% ad un massimo del 19,5%. In gioco però non ci sono solo i soldi dei privati e dello Stato, ma la salute stessa dei cittadini e l’identità, il ruolo e l’immagine della professione medica. Essere chiamati in Tribunale a seguito di una “malpractice litigation” ha, infatti, conseguenze per il medico sotto il profilo professionale, morale e psicologico e la consapevolezza di questi possibili effetti negativi contribuisce a rafforzare la propensione del medico a praticare la medicina difensiva. Per conoscere con esattezza le dimensioni del fenomeno nel nostro Paese, l’Ordine dei Medici e Odontoiatri (OMCEO) di Roma ha realizzato un'indagine, la prima in Italia, avvalendosi di qualificati esperti sia del mondo accademico che della ricerca scientifica. È stato distribuito un questionario a 800 medici di Roma e provincia allo scopo di evidenziare il quadro delle loro paure rispetto al proprio rischio professionale e alle conseguenze che ricadono sui costi della sanità pubblica. I risultati sono stati illustrati a Roma, nella sede dell’Enpam, da Mario Falconi, Presidente dell’OMCEO-Roma, co-autore della ricerca e da Aldo Piperno, professore Ordinario di Scienze dell’Organizzazione all’Università Federico II di Napoli. All’incontro è intervenuto anche Ferruccio Fazio, Sottosegretario di Stato con delega alla Salute che ha affermato come “Il problema della medicina difensiva sia legato allo “sfarinamento” del rapporto di fiducia tra medico e paziente. E gli effetti sono molto pesanti sia per il paziente che per il servizio pubblico, basti pensare - ha aggiunto - all'aumento dei ricoveri e del consumo dei farmaci. I costi per il servizio sono stimati fra i 12 e i 20 miliardi di euro, che se recuperati potrebbero risolvere in pochi anni il contenzioso con le Regioni. E’ necessario quindi – ha sottolineato Fazio - intervenire con nuove regole sulla responsabilità professionale del medico. In merito a ciò al Senato è stato presentato un disegno di legge firmato dal presidente della commissione Sanità, Antonio Tomassini, ma ampiamente condiviso da tutto il Parlamento, che propone la regolamentazione della copertura assicurativa dei medici con massimali fissati in tutte le strutture, un maggior ricorso all'arbitrato e uno snellimento dei tempi per il risarcimento dei danni. Ciò non esclude, in 26 futuro – ha concluso – l’avvio di un percorso di depenalizzazione, così come indicato anche dall'Ordine Nazionale che ne chiede la definizione come reato specifico: quello, appunto, di colpa medica”. Rimane comunque difficile per ogni medico conciliare i doveri di curare efficacemente i propri pazienti, con i rischi, legali e di salute del malato, connessi alla pratica di terapie innovative e che non danno notevole sicurezza d'efficacia.” In campo diagnostico ne deriva che 1 esame su 4 sarebbe superfluo e l’aumento del 8% della spesa sanitaria si deve proprio a queste indagini. Non sono poi da dimenticare le cifre rilevate dalla radiologia interventistica in campo cardiologico: se l’esposizione a radiazioni in una procedura di angioplastica con impianto di “stent” corrisponde a circa 1.000 radiografie del torace, non sorprende che nei pazienti cardiologici la dose radiologica media cumulativa stimata, raggiunge i 60 mSv (3.000 radiografie toraciche), in gran parte derivanti dall’uso delle procedure più “pesanti” dal punto di vista radioprotezionistico come TC, radiologia invasiva e medicina nucleare. Le rappresentazioni grafiche sottostanti rendono chiaramente evidente come la radiologia interventistica, la TC e la medicina nucleare rappresentano circa il 20% di tutti gli esami ionizzanti in pazienti cardiologici, ma quasi il 90% della dose totale (figura 4 e 5). Frequenza degli esami Radiologia convenzionale 5% 4% 12% Radiologia interventistica 79% Medicina nucleare TAC Figura 4: Fonti di esposizione nel paziente cardiologico adulto contemporaneo. 27 Dose collettiva totale 17% 14% Radiologia convenzionale Radiologia interventistica 21% 48% Medicina nucleare TAC Figura 5 : Dose cumulativa nel paziente cardiologico adulto contemporaneo. Estremamente fondamentale è ridurre il numero degli esami radiologici “inappropriatamente” richiesti ed eseguiti, ovvero evitare che il paziente, quando non sia realmente necessario, venga sottoposto all’esposizione di radiazioni ionizzanti, visto che gli standard di radioprotezione assieme alle pratiche radiologiche, si basano sul fatto che qualunque dose di radiazione (non importa quanto piccola), può avere effetti negativi sulla salute. Questi effetti negativi comprendono lo sviluppo a lungo termine di cancro e danno genetico trasmesso alla prole. Stime recenti riguardo all’esposizione da radiazioni mediche nei primi anni’90, hanno rilevato che dal 1% al 3% dei cancri quest’oggi osservati nei Paesi occidentali siano causati proprio da tale tipologia di esposizione. E’ chiaro che tali stime se rapportate ad oggi, sono sottostimate, in quanto rispetto ai primi anni’90, l’esposizione a radiazioni mediche è attualmente quasi sestuplicata. Tuttavia come sappiamo, le radiazioni ionizzanti possiedono energia sufficiente a “strappare” un elettrone dagli atomi che incontrano nel loro percorso nei tessuti, tanto da produrre dei rischi/effetti biologici assolutamente non trascurabili. Questi rischi/effetti biologici provocati, dipendono dalle dosi che vengono rilasciate agli organi/tessuti irradiati; pertanto gli effetti nocivi da radiazioni vengono distinti fondamentalmente come mostrato in tabella I. 28 Tabella I: Gli effetti nocivi delle radiazioni ionizzanti EFFETTO CARATTERISTICHE Deterministico - Grosse dosi (incidenti TIPO DI DANNO - Esposizione in utero: nucleari,attività lavorative); a) morte dell’embrione - Si presentano al di sopra di b) malformazioni fetali un valore soglia; c) deficit mentali nei - immediati o ritardati; bambini - gravità proporzionale alla - Danni tissutali: dose assorbita. Vasculiti, dermatiti, ustioni, cataratta, infertilità,ecc. -Sindrome da pan-irradiazione o “male da raggi” Stocastico e/o -Per basse dosi(radiazione - Cancro probabilistico naturale, esami radiologici); (anche a carico del prodotto) -Non esiste un valore soglia - Leucemie al di sotto del quale non si - Mutazioni genetiche e manifestano; aberrazioni genetiche -Tardivi (possono cromosomiche trasmesse alla manifestarsi anche dopo prole. diverso tempo dall’esposizione); -Gravità dell’effetto svincolata dalla dose; -Frequenza proporzionale alla dose. L’ipotesi della proporzionalità diretta tra dose ed effetto è stata assunta dalle principali istituzioni internazionali che si occupano di radioprotezione UNSCEAR (United Nations Scientific Committee on the Effects of Atomic Radiation) e ICRP (International Commission on Radiological Protection) come misura cautelativa, per evitare che il rischio derivante dalle basse dosi venisse sottostimato. 29 Tale ipotesi, anche se talvolta è stata oggetto di discussione, fino ad oggi nessun studio epidemiologico l’ha smentita. Gli studi attuali affermano che la probabilità di contrarre leucemie o tumori letali sia del 5% per una dose di 1 Sievert, ovvero di 5 su 100.000 per una dose di 1 mSv, nell’arco della vita. Questo significa che su 100mila persone esposte, ciascuna alla dose di 1 mSv, in media 5 di esse contrarranno la malattia nel corso della vita. Quando ci si sottopone ad indagini radiologiche, dovrebbe essere ben chiaro che non tutte le indagini comportano gli stessi rischi di una semplice radiografia del torace. Gli studiosi hanno elaborato una tabella (tabella II) che mette in evidenza la relazione che c’è fra le più comuni indagini radiologiche e a quante radiografie toraciche esse equivalgono. Tabella II PROCEDURA DIAGNOSTICA Dose efficace (mSv) A quante radiografie toraciche equivale Torace 0,02 1,0 Cranio 0,07 3,5 Bacino 0,7 35,0 Addome 1,3 65,0 Col. Dorsale 7,0 350,0 Col. Lombare 1,7 Clisma opaco 1,7 85 INDAGINI TAC 4,4 85 Cranio 5,1 Col. Cervicale 7,7 220 Col. Dorsale 7,8 255 Col. Lombare 8,8 385 Torace 0,3 390 Addome 1 440 Pelvi 1 INDAGINI RADIOLOGICHE 30 Dalla tabella si ha un’idea concreta di quanto siano “pesanti” alcune indagini e come necessariamente debbano essere giustificate. E’ interessante anche il confronto con l’esposizione a radiazione naturale, mostrato nella tabella sottostante (tabella III), nella quale vengono riportati una serie di indagini comunemente effettuate, il rischio aggiuntivo d’insorgenza di neoplasia durante il corso della vita ed il periodo di esposizione alle radiazioni naturali che comporta un rischio di pari entità. Tabella III INDAGINE Rischio aggiuntivo di neoplasia durante la vita Periodo di esp.a rad.naturali che comporta un rischio di pari entità Rx torace 1/milione 3 giorni Rx cranio 1/300.000 11 giorni Rx anca 1/67.000 7 settimane Rx addome 1/30.000 4 mesi Rx col. Lombare 1/15.000 7 mesi Tc cranio 1/10.000 1 anno Tc torace 1/2.500 3,6 anni Tc addome/pelvi 1/2.000 4,5 anni 2.2. Esposizione alla radiazione medica in TC: evidenze scientifiche eriflessioni Negli ultimi anni, grazie al progresso tecnologico, sono stati introdotti macchinari di nuova generazione che hanno consentito di ottenere buoni risultati diagnostici abbattendo ulteriormente le dosi di radiazioni necessarie. In Italia però, come negli altri Paesi industrializzati, l’utilizzo di nuove procedure diagnostiche che rilasciano comunque alte dosi come la TC e la PET, sono in aumento e spesso vengono usate anche quando potrebbero 31 essere sfruttate altre tecniche che utilizzano dosi minori o addirittura che non impiegano radiazioni con risultati soddisfacenti. Da alcuni anni, negli Stati Uniti, la comunità scientifica sta rivalutando il rapporto rischio/beneficio delle procedure diagnostiche che utilizzano radiazioni ionizzanti, in particolare della TC, soprattutto alla luce dell’uso massiccio che ne è stato fatto nel corso degli ultimi decenni. Dati recenti di un interessante lavoro realizzato dal National Council on Radiation Protection e pubblicato ad Aprile 2008 sul New England Journal of Medicine, calcola che negli USA sono state eseguite ben 62 milioni di indagini TC nel 2006, contro i 3 milioni del 1980 (un dato 20 volte superiore) e 1/3 delle quali, non giustificate da necessità cliniche. A somme fatte, risulta che circa 20 milioni di cittadini (oltre 1 milione di bambini), sono stati irradiati senza motivi adeguati. In termini poi di quantità di radiazioni assorbite, le TC sono responsabili della metà della dose collettiva a cui è esposta la popolazione statunitense, pur rappresentando solo il 12% di tutte le indagini di radiodiagnostica medica, rispetto agli esami di medicina nucleare come la PET che contribuiscono alla dose collettiva per il 25%. C’è da dire che il rischio se visto dal punto di vista individuale resta bassissimo, quasi da non essere di fatto determinabile, ma in compenso si può rilevare un rischio statistico sui grandi numeri e il boom di un certo tipo di procedure che va sempre crescendo in una popolazione, merita un attimo di attenzione e riflessione da parte di chi si occupa di salute pubblica. Si stima che tra l’1.5% e il 2% di tutti i tumori negli USA, può essere ricondotto all’utilizzo sfrenato e sempre maggiore di TC (all’inizio degli anni’90 era lo 0.4%). Ben due studi pubblicati qualche anno fa sulla più importante rivista americana di radiologia (l’American Journal of Roentgenology), sostengono che l’uso fortemente eccessivo e scorretto della TC, stia mettendo a rischio la salute dei bambini americani, che verrebbero sottoposti all’esame troppo spesso e con dosi di radiazioni fino a 5 volte più alta del necessario. 32 I dati ottenuti riferiscono che su 1 milione e 600mila bambini statunitensi che ogni anno vengono sottoposti ad un’indagine TC, ben 1.500 potrebbero sviluppare in età adulta un tumore provocato dalle radiazioni. Inoltre, affermano che la TC negli USA viene utilizzata sui bambini anche per situazioni cliniche non gravi come calcoli renali o appendicite e che la somministrazione di raggi è pari a quella adottata per gli adulti, quando invece ne basterebbero assai meno per ottenere immagini di ottima qualità. Dando un’occhiata alla situazione italiana, è stato rilevato che il numero delle TC inutili è senza dubbio inferiore rispetto a quello degli USA, ma affermano che per quanto riguarda l’ottimizzazione dell’esame, la situazione è del tutto simile e i rischi per i bambini non sono assolutamente da sottovalutare. A riguardo bisogna anche ricordare che negli USA rispetto ad altri Paesi, è ormai affermata e diffusa (e forse presto lo sarà anche in Italia), la cosiddetta “medicina difensiva”, una condotta medica che come sappiamo, non è mirata al bene del paziente, ma a tutelare il medico, per cui di fronte alle conseguenze legali di una mancata o ritardata diagnosi, si tende a richiedere in modo eccessivo esami spesso non giustificati. E’ da sottolineare inoltre che l’introduzione sempre maggiore anche in Italia di apparecchiature TC multistrato (MDTC) ha portato ad una maggiore sensibilità e specificità dell’esame diagnostico permettendo di evidenziare con più accuratezza e certezza l’eventuale presenza e il tipo di patologia, sottoponendo però, inevitabilmente il paziente ad una dose sensibilmente maggiore di radiazioni con conseguente aumento del rischio di effetti dannosi. Inoltre, l’introduzione delle nuove MDTC negli ultimi tempi, sta incrementando ulteriormente la richiesta di prestazioni TC: l’uso della tecnica si sta estendendo sempre più anche nello studio di patologie comuni quali, per esempio, la calcolosi renale e si è già iniziato a studiarne sperimentalmente l’applicazione in studi di screening in popolazioni a rischio (per esempio ricerca di calcificazioni coronariche, tumori polmonari, del colon, eccetera). 33 Con le nuove MDTC, l’esame è ancora più rapido e fornisce sempre maggiori informazioni, tanto che sta diventando una modalità diagnostica “familiare” nella medicina moderna. Su queste basi, secondo alcune ricerche, se la situazione continua di questo passo, la conseguenza più ipotizzabile e certa è che il numero delle prestazioni TC aumenterà nei prossimi anni in maniera esponenziale. Nella letteratura scientifica, sono stati pubblicati dati elaborati da diversi centri di ricerca, sulla potenziale tossicità ormai affermata della TC (vedi tabella IV ). Tabella IV: TC e rischi biologici Il rischio di cancro dovuto ad una TC dell’addome equivale a quello di un anno di fumo di sigaretta; quello di una TC del torace è uguale a fumare 700 sigarette o al rischio di avere un incidente automobilistico ogni 4000 Km. Per ogni TC dell’addome il rischio di morte per cancro è annualmente di 1,25 per mille. Ogni anno muoiono per cancro radiogeno dalle 700 alle 1800 persone, di cui 310 per esami TC eseguiti in età pediatrica. Per ogni 600.000 TC eseguite annualmente in pz. con meno di 15 anni, si attendono 400 morti per cancro. Una TC dell’addome in un bambino con meno di un anno aumenta il rischio di cancro dello 0,18%. Un pz. di 45 anni che si sottopone annualmente ad una TC Total Body ha un rischio di morire per cancro del 2%. In quest’ottica, sono fondamentali i concetti di giustificazione ed ottimizzazione degli esami, infatti dati recenti affermano che se da una riduzione del 10% delle prestazioni TC si stima un’altrettanta diminuzione del rischio, l’ottimizzazione delle procedure darebbe un risultato ancora migliore: si avrebbe il dimezzamento della dose di esposizione con conseguente riduzione del rischio del 50%. In Europa c’è una legislazione avanzata in termini di radioprotezione (in Italia, D.Lgs. n. 187 del 2000) ed esistono anche linee guida dedicate alla TC (EUR 16262EN), ma deve essere fatto ancora molto, affinché la dose d’esposizione negli esami di Tomografia Computerizzata sia ridotta. 34 La radioprotezione è una disciplina che crea delle norme per proteggere dalle radiazioni ionizzanti. I fattori della radioprotezione sono: tempo , distanza e schermatura. La formula utilizzata per calcolare la Dose assorbita si esprime con il rapporto tra E (energia) ceduta dalle radiazioni della materia di un dato V (volume) e la M (massa) di tale volume, lo scopo di tale calcolo è quello di preservare i tessuti sani. Nella disciplina della radioprotezione un ruolo fondamentale è quello del medico specializzato Fisica sanitaria. L'Associazione italiana di fisica medica definisce quanto segue: “la fisica medica applicata in ambito sanitario comprende tutte le attività che comportano la soluzione di problemi di fisica nell’impiego di sorgenti di radiazioni, ionizzanti e non ionizzanti, in diagnostica ed in terapia e, in generale, le attività di collaborazione con medici specialisti per la soluzione di problemi che richiedono specifiche professionalità nelle metodologie proprie della fisica. Le attività del fisico medico in Diagnostica per Immagini In diagnostica per immagini, sia nel campo di applicazione delle radiazioni ionizzanti che non ionizzanti, assume la responsabilità, dal punto di vista fisico, del corretto funzionamento delle apparecchiature ad elevato contenuto tecnologico. Dispone la revisione delle apparecchiature non rispondenti ai requisiti e procede al collaudo di quelle di nuova acquisizione. Promuove e mantiene appositi programmi di controllo di qualità. Fornisce prestazioni in applicazione del DLgs. n.187/00, relative alla radioprotezione dei pazienti e, in tale ambito, valuta le dosi di radiazioni agli organi critici, o all’embrione in caso di donne in gravidanza, conseguenti ad indagini o trattamenti radiologici ed esegue misure periodiche mirate alla valutazione delle dosi o attività somministrate ai pazienti nel campo della diagnostica e medicina nucleare, per il rispetto dei livelli diagnostici di riferimento previsti dalla normativa vigente. Le attività del fisico medico in Radioprotezione In Radioprotezione, risponde della organizzazione della sorveglianza fisica della radioprotezione per garantire la sicurezza degli operatori, della popolazione e dei 35 pazienti. Coordina il personale tecnico nelle attività di supporto alle funzioni di Esperto Qualificato DLgs. n.230/95 e s. m. e i. Gestisce le operazioni di carico e scarico delle sostanze radioattive e garantisce gli adempimenti di Legge. Provvede al controllo dei parametri radioprotezionistici degli impianti radiologici in fase di progettazione, collaudo e verifiche periodiche.” Secondo la normativa di riferimento ( DLgs. n.187/00), l'ambiente di lavoro in Radiologia prevede una ben specifica suddivisione: ZONA CONTROLLATA: è la zona dove la dose di radiazioni ionizzanti è compresa fra 6 e 20 mSievert/annui. ZONA SORVEGLATA: è la zona dove la dose di radiazioni ionizzanti è compresa fra 1 e 6 mSievert/annui. ZONA LIBERA: è la zona dove la dose di radiazioni ionizzanti è inferiore a 1 mSievert/annua. In Radiologia non solo l'ambiente è suddiviso, è anche prevista una classificazione a norma per gli operatori addetti al campo radiologico: LAVORATORI DI CATEGORIA “A”: sono gli operatori cosiddetti “esposti” in quanto per loro è prevista un'esposizione massima annua di 6 mSievert e comunque non possono superare i 100 mSievert/5anni oppure i 50 mSievert/anno solare. LAVORATORI DI CATEGORIA “B”: sono gli operatori cosiddetti “non esposti” in quanto per loro è prevista un'esposizione massima fra 1 e 6 mSievert/annui. POPOLAZIONE: tutti coloro per i quali è prevista un'esposizione inferiore a 1 mSievert/annua 36 CAPITOLO 3 LA COMUNICAZIONE DEL RISCHIO IN RADIOLOGIA Indubbiamente l’elevato progresso tecnologico e l’affermata digitalizzazione delle immagini in radiologia hanno portato a notevoli progressi in termini di flessibilità d’impiego delle immagini stesse, muovendosi contemporaneamente nella direzione dell’ottimizzazione, che rappresenta il motivo guida principale che ha segnato l’evoluzione della tecnologia applicata alle apparecchiature radiologiche. In aggiunta, si è assistito, nel corso degli anni, ad un'evoluzione delle tecniche d’indagine ed alla diffusione di apparecchiature sempre più evolute in grado di fornire informazioni dettagliate come la Tomografia Computerizzata (TC), la Radiologia Interventistica e la Tomografia ad emissione di positroni (PET) : tutte metodiche che comportano alti valori di dose per i pazienti esposti. Va detto però, che questo meraviglioso progresso delle tecnologie nel campo della diagnostica per immagini da una parte ha messo a disposizione del clinico un “armamentario” diagnostico sempre più dettagliato ed accurato, ma dall’altra parte, in un certo senso, non è stato accompagnato da una crescita di qualità e di razionalità nel suo utilizzo e dalla consapevolezza dei rischi. Una recentissima ricerca, compiuta dal CNR di Pisa, ha rivelato infatti che 1 esame di diagnostica per immagini su 3 è inappropriato. A tale proposito il Dottor Eugenio Picano, direttore dell’Istituto di Fisiologia Clinica del CNR di Pisa ha dichiarato: “…l’utilizzo massiccio delle nuove tecniche di radiodiagnostica pone il problema della loro ottimizzazione. Oggi, viviamo nel paradosso dell’abbondanza diagnostica, dell’obesità diagnostica, che non ha nulla a che vedere con il criterio dell’appropriatezza”. 37 Quando si parla di questi aspetti, non vanno dimenticati i 2 principi cardine dell’attuale normativa radioprotezionistica, ovvero quello della giustificazione e quello dell’ottimizzazione. Come noto, l’art.3 del Dlgs n°187 del 2000 è intitolato “Principio di giustificazione” e chiarisce che: “…è vietata l’esposizione non giustificata”. Ricordare tali principi, può sembrare addirittura scontato a distanza ormai di alcuni anni dell’entrata in vigore dei D.L 230/95 e Dlgs n.187/00, ma non lo è se negli ultimi anni sta emergendo una scarsa consapevolezza dei rischi da radiazioni ionizzanti e alla base della diffusa “presunzione” di innocuità sta l’ignorare le nozioni di base di radiobiologia e radiopatologia. La mancata percezione del rischio può portare ad esempio a ripetere in maniera seriata ogni 6 mesi o 12 mesi l’esame (TC o Scintigrafia) in paziente con malattia cronica come una coronaropatia o controllo di cisti renale. Ma una Scintigrafia cardiaca da stress o la TC addome danno un’esposizione radiologica equivalente a 500 radiografie del torace e ad una perdita di aspettativa di vita (in termini statistici) di 2 giorni. Il piccolo rischio individuale si moltiplica per milioni di esami l’anno (60 milioni di TC e 10 milioni di Scintigrafie miocardiche da stress solo negli U.S.A) e diventa un’importante rischio per la popolazione. Alcune statistiche rilevano che i medici di medicina generale nel 20% dei casi, ritengono che la Risonanza Magnetica utilizzi radiazioni ionizzanti; i cardiologi, nel 70% dei casi sottostimano da 300 a 1.000 volte la dose di una Scintigrafia cardiaca; infine, i radiologi nella stragrande maggioranza dei casi, sottostimano di 50-500 volte dosi e rischi di un comune esame TC. In aggiunta studi recenti rivelano che sono pochi i medici che realmente conoscono l’esposizione radiologica dell’esame che prescrivono ai pazienti: tutto questo è senza dubbio causa di un'inefficace comunicazione della cultura di radioprotezione. Il grafico sottostante rende bene l’idea di come molti medici non siano consapevoli della dose reale che comporta l’indagine scintigrafia da stress che loro stessi prescrivono (Figura 7). 38 Figura 7: Conoscenza della dose di una scintigrafia da stress 9% 29% 500 Radiografie torace 1/2 Radiografie torace 1 Radiografia torace 13% 3 Radiografie torace 49% ERRORE Corretto Ancora Lieve interessanti e Medio curiose sono le Grave informazioni riportate nella rappresentazione grafica sottostante (dati raccolti da fonti di ricerca), che dimostra come la non comunicazione e informazione sul rischio da radiazioni, dilaga anche tra gli specialisti della radiologia (Figura 8 ). Figura 8: gli specialisti della radiologia 60 RADIOLOGI % 50 40 30 20 10 0 Infer. di 1 da 1 a 10 da 10 a 100 da 100 a 500 Magg.di 500 TAC addome = 500 radiografie del torace Fonte: Lee et al, Radiology, 2004 39 La causa di tutto ciò, secondo alcuni studiosi, consiste anche nel fatto che l’informazione radiologica essenziale spesso è difficile da reperire e anche quando si trova, per molti risulta non facile comprendere le informazioni riguardo alle dosi ed ai rischi: “…sommersa com’è in un dantesco velame de li versi strani, dove tutto si legge di misure largamente esoteriche (milliAmpere e MegaBecquerel, milli-Curie e e Rad, Coulomb e centiGray) e niente si capisce in termini di dose equivalente in multipli di radiografie del torace e rischio di cancro ogni mille esposti”. Per i medici, risulta piuttosto difficile capire e trasferire correttamente l’informazione ai pazienti, pertanto diventa una priorità medica ma anche soprattutto sociale l’aumento di una maggiore consapevolezza radiologica. Una soluzione all'informazione inefficace del rischio, potrebbe essere quella di esprimere il cosiddetto “costo radiologico” degli esami in termini di multipli di radiografie del torace, in modo da aumentare la consapevolezza di ciò che prescrivono i medici e soprattutto di ciò che i pazienti stessi spesso richiedono al fine di ottenere da entrambe le parti una maggiore informazione di quello che fanno. E’ chiaro pertanto che comunicare il rischio radiologico diventa ancora più problematico se si considera che gran parte dei medici ignora o sottostima gli effetti radiobiologici, mentre quelli più volenterosi finiscono magari per arrendersi di fronte a simboli e formule: l’informazione resta il punto cardine per trasformare la direzione dell’attuale tecnologia d’imaging, verso un nuovo imaging della responsabilità e della sicurezza. Secondo alcuni esperti: “…la cultura dello spreco domina la sanità moderna. Più esami fai, meglio credi di curare o di essere curato. E così si consumano risorse con disinvolta arroganza, a beneficio solo dell’industria sanitaria”. 40 La crescita della spropositata richiesta di indagini di diagnostica per immagini ha come conseguenze l’innalzamento incontrollato della spesa sanitaria, l’allungamento delle liste di attesa, il possibile incremento della dose radiante alla popolazione e l’innalzamento del rischio di errore diagnostico. In una società come l’attuale, per garantire la qualità della medicina e la sicurezza del paziente, bisognerebbe modificare le cattive abitudini, ma soprattutto sostenere scelte sicure e responsabili condivise tra medico e paziente. Negli ultimi anni sta divulgando il sospetto che la gran parte degli esami radiologici (secondo le statistiche si parla del 30%) sono inutili. Risulta pertanto fondamentale ridurre il numero delle prestazioni radiologiche “inappropriatamente” richieste ed eseguite, ovvero evitare che il paziente quando non sia realmente necessario, sia sottoposto all’esposizione di radiazioni ionizzanti. A tale fine sono state elaborate le “Linee guida per la diagnostica per immagini” da un’apposita Commissione dell’Agenzia per i servizi Sanitari Regionali (ASSR) che propone di fornire ai medici radiologi e di medicina nucleare, “uno strumento formativo” allo scopo di individuare gli esami più appropriati da effettuare per ogni tipo di patologia, cercando di ridurre al minimo i casi di “malpractice dell’imaging”. L’evoluzione tecnologica rischia d’impoverire la cultura clinica e inaridire sempre più la relazione umana che ci deve essere tra medico-paziente e tra operatore sanitario T.S.R.M.-paziente, mentre l’importanza dei rischi legati alla sovraesposizione della popolazione alle radiazioni mediche ionizzanti è sempre più un problema emergente. In questa realtà è necessario a mio parere, accrescere la consapevolezza degli operatori sanitari e dei cittadini riguardo al sempre più affermato “consumismo radiologico”, stimolando loro una riflessione su aspetti come quelli di radiobiologia, radioprotezione e medico legali che spesso vengono trascurati se non, ignorati; per dimostrare come in appropriatezze e sprechi possono essere cause della crisi generale del sistema sanitario. 41 E’ per quest’ovvio motivo che, anche se ultimamente la percezione del rischio da radiazioni è diventata quasi evanescente al punto da far dimenticare gli aspetti radioprotezionistici della professione, non bisogna mai perdere di vista l’applicazione dei criteri di ottimizzazione e giustificazione negli esami radiologici, al fine di fornire indagini radiologiche sempre più appropriate ed utili a diagnosi adeguate e garantire ai pazienti la riduzione del rischio da esposizione a radiazioni e degli errori sanitari. Infatti, se l’operatore T.S.R.M. così come il medico radiologo sottovaluta gli effetti biologici delle radiazioni e gli accorgimenti radio protezionistici, come potrà a sua volta, ottimizzare le prestazioni radiologiche sul paziente? E’ necessario pertanto, sviluppare ancora di più la cultura della radioprotezione, visto che le dosi possono provocare rischi ormai evidenti e denunciati da diverse ricerche scientifiche. Sempre secondo il Dottor Eugenio Picano, che negli ultimi anni si è interessato molto a tale fenomeno: “…la strada da percorrere è quella della sostenibilità, dell’informazione e del rispetto della Buona Pratica Medica, che impone la giustificazione e la responsabilizzazione sia di chi prescrive l’indagine radiologica sia di chi la realizza”. Se riflettiamo su quanto affermato dal Dottor Picano, si capisce che bisogna cominciare fin dalla fase iniziale della prescrizione degli esami, pertanto i primi interlocutori sono i medici di medicina generale che devono prima di tutto interloquire in modo più specifico con i colleghi della radiologia e recuperare il rapporto con il paziente sottoforma di comunicazione. A tale proposito, la tabella riportata sotto (tab.V), fa emergere chiaramente come pochi o addirittura nessuno, informi adeguatamente la persona che si sottopone ad un’indagine radiologica. 42 Tabella V: Comunicare il rischio: quando, dove e chi? Preventivamente Scuola Operatori sanitari Durante la visita Ambulatorio Medico di cure primarie Al momento della prenotazione CUP Medici specialisti di area radiologica Al momento dell’esame Radiologie T.S.R.M. Va sottolineato però, che non è sempre semplice realizzare una comunicazione efficace e comprensibile che consenta ai cittadini di conoscere i rischi ai quali vengono esposti. Inoltre, esistono svariate problematiche che ostacolano la realizzazione di una “buona” informazione e una “buona” pratica. Tra le numerose problematiche se ne possono ricordare alcune che hanno maggior rilevanza : 1. Complessità dell’argomento che non sempre è di facile comprensione a causa dell’utilizzo di termini fisici e tecnici riguardo a dosi e a concetti di radiobiologia come probabilità dei danni, rischi biologici, eccetera. 2. Difficoltà di tipo organizzativo, ovvero realizzare una codifica chiara ed inequivocabile su chi, come, dove e quando deve effettuare l’informazione del rischio al quale è esposto l’utente-cittadino. 3. Motivi medico-legali che quest’oggi stanno diventando uno dei maggiori problemi legati all’eccessiva richiesta di esami radiodiagnostici. Occorrerebbe cercare di utilizzare un filtro a monte, ovvero al momento della richiesta di esami diagnostici, ma tutto questo non è così semplice come sembra. 4. Esistono logiche di mercato, che spesso hanno lo scopo primario di consumare risorse a beneficio solo dell’industria sanitaria. Come già detto tra le problematiche, quest’oggi si devono fare i conti anche con la cosiddetta medicina difensiva che è un problema proprio legato all’eccessiva richiesta di esami radiodiagnostici e soprattutto di alcune unità 43 operative come quella del Pronto Soccorso, che ne fa un uso piuttosto significativo che va sempre più crescendo. E’ necessario anche in questo caso, cercare con i medici del Pronto Soccorso di aprire una finestra di dialogo, affinché le prestazioni richieste siano più appropriate visto che sono in continuo aumento gli sprechi nell’abuso di esami diagnostici spesso proposti dai medici a puro scopo “difensivo” e senza calcolarne a pieno gli effetti iatrogeni. Avvalersi della comunicazione anche in questo caso è fondamentale affinché si informi che l’appropriatezza è una tutela legale, visto che un errore può ripercuotersi in maniera negativa sull’operatore sanitario. Senza dubbio, l’universo radiologico in questi ultimi decenni è cambiato in modo impressionante e proprio per questo che è importante che ci sia una collaborazione sempre più stretta tra i medici delle altre discipline ed il personale di area radiologica (medici e T.S.R.M.), affinché si possano effettuare scelte più corrette per la gestione del paziente allo scopo anche di ridurre l’esposizione alle radiazioni. Di pari passo con il progresso tecnologico bisogna acquisire la capacità di comunicare per sensibilizzare i cittadini all’informazione, perché se la responsabilità è condivisa, medici e pazienti saranno in grado di selezionare in accordo esami diagnostici essenziali, valutandone costi e benefici, sia individuali che collettivi. E’ necessario che le informazioni siano spiegate con chiarezza, completezza e disponibilità ai cittadini e il consenso informato trasparente può diventare lo strumento efficace per consentire il paziente ad essere più conscio dei rischi previsti; il medico più consapevole delle dosi radiologiche di ciò che prescrive. Le caratteristiche dell'informazione data deve essere comprensibile (in relazione al livello culturale del paziente) deve essere completa circa: a) gli effetti indesiderati / collaterali b) eventuali ipotesi alternative c) le possibili conseguenze del rifiuto partecipativa (aspetti psicologici del rapporto medico / paziente) 44 Con il termine di Consenso informato si intende l’espressione della volontà dell’avente diritto che, opportunamente informato, autorizza il professionista ad effettuare uno specifico trattamento sanitario. Con l’eccezione di talune condizioni normativamente previste, il consenso è indispensabile in quanto i trattamenti sanitari sono, dalla legge, garantiti in forma volontaria; l’acquisizione del consenso costituisce pertanto concreta traduzione del rispetto di diritti di libertà della persona (artt. 12 e 32 Costituzione)1. Il consenso informato non deve essere visto come un “pezzo di carta” in più da firmare in una medicina sempre più burocratica e difensiva, ma come il mezzo ideale per affermare la nuova cultura della responsabilità. Prendendo spunto dai riferimenti legislativi è opportuno porre l’attenzione su ciò che costituisce una delle maggiori peculiarità del lavoro in ambito radiologico: la comunicazione-informazione della persona. Il paziente per qualche minuto o più, a seconda dell’esame e della specialità diagnostica cui afferisce, si viene a trovare a contatto con il tecnico di radiologia. Tale incontro è finalizzato all’esecuzione tecnica di tutti quegli atti necessari alla realizzazione corretta dell’esame richiesto dal medico; pertanto il T.S.R.M. è tenuto ad operare con scrupolosa attenzione e competenza visto che la sua preparazione professionale è stata finalizzata a questo scopo. Il profilo professionale del TSRM è normato con DM n.746/94: “art. 1.1. E ' individuata la figura del tecnico sanitario di radiologia medica con il seguente profilo: il tecnico sanitario di radiologia è l'operatore sanitario che in possesso del diploma universitario abilitante e dell'iscrizione all'albo professionale, è responsabile degli atti di sua competenza ed è autorizzato ad espletare indagini e prestazioni radiologiche. art. 1.2. Il tecnico sanitario di radiologia medica è l'operatore sanitario abilitato a svolgere, in conformità a quanto disposto dalla legge 31 gennaio 1983, n. 25, in 1 La giurisprudenza non ha definito contenuti e caratteristiche specifiche del consenso informato. Si utilizzano indicazioni di buona prassi. 45 via autonoma, o in collaborazione con altre figure sanitarie, su prescrizione medica tutti gli interventi che richiedono l'uso di sorgenti di radiazioni ionizzanti, sia artificiali che naturali, di energie termiche, ultrasoniche, di risonanza magnetica nucleare nonchè gli interventi per la protezionistica fisica o dosimetria. art. 1.3. Il tecnico sanitario di radiologia medica: a) partecipa alla programmazione e organizzazione del lavoro nell'ambito della struttura in cui opera nel rispetto delle proprie competenze; b) programma e gestisce l'erogazione di prestazioni polivalenti di sua competenza in collaborazione diretta con il medico radiodiagnosta, con il medico nucleare, con il fisico radioterapista e con il fisico sanitario, secondo protocolli diagnostici e terapeutici preventivamente definiti dal responsabile della struttura; c) è responsabile degli atti di sua competenza, in particolare controllando il corretto funzionamento delle apparecchiature a lui affidate, provvedendo alla eliminazione di inconvenienti di modesta entità e attuando programmi di verifica e controllo a garanzia della qualità secondo indicatori e standard predefiniti; d) svolge la sua attività nelle strutture sanitarie pubbliche o private, in rapporto di dipendenza o libero professionale. art. 1.4. Il tecnico sanitario di radiologia medica contribuisce alla formazione del personale di supporto e concorre direttamente all'aggiornamento relativo al proprio profilo professionale e alla ricerca”. Il D.lgs n.230 e successivamente il D.lgs n.187, sono decreti che come sappiamo hanno ripercussioni di carattere giuridico sia civile che penale ed anche il T.S.R.M. è coinvolto in queste responsabilità. E’ importante, tuttavia, che in quanto professionista egli sia certamente attento agli aspetti normativi della radioprotezione ma, soprattutto, prenda coscienza che nell’esercizio della sua professione può irradiare in modo “non giustificato” il paziente. 46 Tali aspetti e problematiche richiamano il ruolo del T.S.R.M. in quanto educatore sanitario nei confronti della persona-paziente, un educatore che deve avere le sue massime competenze proprio sulla radioprotezione e deve sempre più trasformare il suo ruolo con una diversa concezione della professionalità imparando ad oltrepassare la sua dimensione tecnico scientifica. La prestazione del Tecnico di radiologia deve cessare di essere intesa come atto puramente tecnico : il T.S.R.M. non è uno “schiaccia-bottoni” ma deve anche contemplare la relazione ed essere consapevole che comunicare è parte integrante della professione. Il Tecnico di radiologia è l’operatore che incontra la persona sottoposta a indagine radiologica e proprio su questo incontro che il T.S.R.M. ha costruito il suo ruolo professionale in tutti questi anni. Tale scelta è testimoniata nel Codice deontologico che oltre a contribuire all’orientamento delle scelte professionali, riconosce la centralità della persona come punto di partenza per una partecipazione diretta e responsabile del professionista T.S.R.M. alle varie dinamiche relazionali, con una certa attenzione ai processi comunicativi e soprattutto alla qualità dell’informazione fornita alla persona (prima, durante e dopo l’indagine specifica). L’andare verso la persona, il contatto relazionale e fare della comunicazione “l’anima profonda” dell’informazione sono gli strumenti necessari per assicurare qualità e sicurezza della prestazione e per accrescere l’identità professionale del T.S.R.M. “ …Si può essere totalmente razionali con una macchina, ma se si lavora con le persone spesso la logica deve dare spazio alla comprensione…” (Akio Morita). 47 CAPITOLO 4 PROPOSTE PER RIDURRE IL RISCHIO IN RADIOLOGIA Anche se negli ultimi anni sono parecchie le iniziative proposte per diffondere una buona comunicazione sul rischio dell’esposizione a radiazioni ionizzanti nella pratica medica, siamo ancora all’inizio di un lungo percorso e sembra che tanto debba ancora essere fatto. Per questo motivo, a partire dal singolo professionista sanitario, è necessario che sia lui per primo, a continuare la promozione dell’informazione al paziente che incontra quando si verificano situazioni di non appropriatezza. Non dimentichiamoci che già da anni i T.S.R.M. si battono per un’informazione chiara e completa ai pazienti ed ai cittadini, infatti i collegi T.S.R.M. di tutta Italia intraprendono iniziative negli ospedali e nei poliambulatori pubblici e privati, per evidenziare le procedure ed i protocolli sanitari più adatti a limitare il danno al paziente associato all’esposizione alle radiazioni. Affinché ciò continui a realizzarsi è importante proporre adeguati percorsi formativi e di sensibilizzazione per i professionisti sanitari anche con il contributo dell’Educazione Continua in Medicina (ECM). L’organizzazione di corsi di formazione continua periodici in materia di Radioprotezione è di fondamentale importanza per divulgare l’acquisizione di conoscenze radioprotezionistiche, procedure e norme, da parte di tutto il personale sanitario ed è alla base di un miglioramento nei comportamenti che garantiscono sia l’efficacia che l’efficienza, ma anche e soprattutto l’appropriatezza e la sicurezza di molte prestazioni diagnostiche e terapeutiche. A livello ospedaliero riguardo al tema di radioprotezione è importante che sia sempre più costantemente effettuata la verifica della qualità delle apparecchiature e della dose di radiazioni erogata, grazie alla cooperazione con la Fisica sanitaria. 48 Ottimale sarebbe anche realizzare nell’ambito dei dipartimenti di Diagnostica per Immagini, incontri che abbiano lo scopo di ottimizzare i protocolli diagnostici erogando le dosi di radiazioni più basse possibili e proporre incontri più frequenti anche a livello interdisciplinare per sensibilizzare circa queste problematiche di fondamentale importanza e per cercare di promuovere una collaborazione più stretta nella scelta degli esami più idonei. Inoltre iniziative di questo tipo è necessario promuoverle con maggior frequenza (rispetto a quello che già è stato fatto) anche al di fuori dell’ambiente ospedaliero, dirette in primis ai medici di medicina generale. Compito delle società scientifiche è quello di diffondere la cultura della medicina basata sull’EBM (medicina basata sull’evidenza) e produrre linee guida condivise per l’appropriatezza ed efficacia delle prestazioni, mediante un uso più razionale delle risorse. Tutti questi concetti (EBM, linee guida) devono essere sempre più divulgati attraverso manifestazioni, corsi e convegni anche nell’ambito degli ordini professionali e della Federazione Nazionale dei Collegi dei T.S.R.M., i quali hanno l’onere di sorvegliare il comportamento deontologicamente corretto degli iscritti ove necessario sanzionando abusi ed inadempienze. Riaffermare l’importanza del “buon uso” del consenso informato, spesso visto solo come una noiosa procedura cartacea “perditempo”, può essere per esempio un modo d’informazione efficace ed allo stesso tempo anche una proposta di “consumo responsabile” dell’indagine. Vista la complessità e la difficile comprensione (anche da un punto della terminologia adottata) dei concetti in materia di radioprotezione, per far sì che l’informazione raggiunga i cittadini, devono essere promosse adeguate “campagne di informazione” sulla popolazione circa i rischi e i danni provocati dagli esami inappropriatamente richiesti, talvolta pretesi, ed eseguiti. A tale scopo potrebbe essere proposta in tutte le strutture sanitarie, la distribuzione di manifesti, depliant e cartellonistica che in maniera molto semplice fornisca messaggi d’informazione sul rischio dell’esposizione a 49 radiazioni mediche, mediante magari, un linguaggio ricco di immagini e metafore, cercando di evitare un uso eccessivo del “gergo medico”. Uno strumento per comunicare ai cittadini i concetti di radioprotezione potrebbe essere quello di divulgare l’informazione attraverso l’uso dei media: “campagne pubblicitarie” vere e proprie che giorno dopo giorno, sensibilizzano sempre più il cittadino e accrescono nella popolazione la curiosità di informarsi a riguardo. Interessante e utile potrebbe essere adottare la proposta del Dottor Picano, che ha lo scopo di rendere più immediato e maggiormente comprensibile ai cittadini il “peso” che hanno certe tipologie di indagini (PET, TC, Scintigrafia e Radiologia interventistica, eccetera), equiparando 1 radiografia del torace ad 1 Euro. Questa rappresentazione “metaforica” del concetto della “pericolosità” in particolar modo di alcune tipologie di indagini radiologiche, potrebbe essere un’idea per far si che il messaggio sia chiaro e venga recepito ad ampio spettro nella popolazione. Alla frequente domanda “come contenere la dose?” si può cercare di trovare varie proposte di soluzione come per esempio : 1. Cercare prima di tutto di aver chiaro il concetto che la tecnologia è importante, ma ancora più importante è di non farsene travolgere. 2. L’utilizzo di adeguati accorgimenti di protezione radiologica efficace dovrebbe comprendere l’eliminazione di ogni forma non necessaria di esposizione alle radiazioni. 3. Ricordiamoci sempre che le Linee guida europee suggeriscono che: “un’indagine si può definire utile quando il suo risultato - positivo o negativo che sia - cambierà la gestione del paziente o confermerà la diagnosi del medico. Un numero significativo di indagini radiologiche non rispetta questo principio e può, quindi, comportare un’esposizione inutile del paziente alle radiazioni ionizzanti”. 4. Valutare sempre per ogni indagine che viene erogata,il rapporto rischiobeneficio, ovvero realizzare un compromesso accettabile fra la riduzione dell’esposizione ai livelli ragionevolmente più bassi (principio di ALARA) 50 e l’efficacia diagnostica dell’esame : si riduce la dose ma non si compromette la qualità diagnostica. Al fine di contenere la dose, alcune possibili proposte di come sia possibile intervenire sia a livello clinico che tecnico possono essere : 1. A livello clinico : Selezione appropriata dei pazienti. Non eseguire indagini che non modificano la diagnosi clinica. Respingere richieste non motivate. Utilizzare linee guida e protocolli codificati (modulabili in base all’età ed al quesito clinico del paziente). Cercare di standardizzare le metodiche al fine di ottenere indagini qualitativamente uniformi (richiamo all’etica e al rispetto delle norme: principio di giustificazione). 2. A livello tecnico : Ottimizzare sempre i parametri tecnici (milliamperaggio, corrente del tubo, kilovoltaggio, spessore di scansione, eccetera) Utilizzare i sistemi di modulazione automatica della corrente del tubo di cui sono fornite le più moderne apparecchiature. Eseguire periodicamente i controlli di qualità sulle apparecchiature. Promuovere con ogni mezzo la cultura di apertura all’informazione per accrescere e divulgare sempre di più l’educazione sanitaria sugli effetti indesiderati delle radiazioni ionizzanti, non è mai abbastanza, per questo non dobbiamo mai rallentare nella ricerca di modi e mezzi per evitare inutili e dispendiose prestazioni. Ogni mezzo, anche il più piccolo e semplice può essere buono, ovvero efficace, per contrastare fermamente la divulgazione di una medicina basata sul profitto e sulla produttività, estranea al bene dei cittadini. In una realtà sanitaria come l’attuale basata fondamentalmente sul “consumismo”, non dobbiamo perdere la capacità di proporre l’informazione, che resta sempre “l’anima profonda” di qualsiasi organizzazione, dove gli 51 strumenti comunicativi vanno orientati verso i punti cardine del sistema, ovvero, i cittadini-pazienti. Partendo dalla centralità del cittadino-paziente, bisogna impegnarsi per promuovere la qualità dei processi e dei servizi sanitari, dove “qualità” è prima di tutto guadagno di salute e sicurezza del paziente, ovvero: Più sicurezza del paziente = più qualità = meno sprechi 52 CONCLUSIONI Il problema ampiamente trattato riguardante l’appropriatezza della prescrizione, a mio avviso si innesca su una crisi più profonda della professione medica, se si pensa che in un’era come la nostra, dominata dalla medicina tecnologica, ci si aspetta che la diagnosi sia un fatto quasi automatico che può essere ottenuto dall’uso di una qualche sofisticata apparecchiatura. Dall’altra parte invece, è sempre minore il tempo dedicato all’ascolto del paziente, all’analisi dei sintomi, che come sappiamo è necessario per indirizzare la persona ad un corretto iter diagnostico strumentale anche per quanto riguarda le prestazioni radiologiche. Dal mio punto di vista, sostengo che nonostante i numerosi e indiscutibili vantaggi delle nuove apparecchiature nell’esercizio della professione radiologiche di alta tecnologia radiologica, va sottolineato però che si impiegano comunque sempre radiazioni ionizzanti (potenzialmente lesive da un punto di vista radiobiologico) e che pertanto il vantaggio della riduzione della dose, spesso eccessivamente enfatizzato rispetto alle reali prestazioni e condizioni d’uso, non svincola i professionisti che impiegano le apparecchiature diagnostiche dall’osservanza dei principi radio-protezionistici fondamentali e dalle norme di buona pratica professionale. In aggiunta, risulta chiaro che sono pochi i medici che conoscono realmente le vere potenzialità dell’imaging diagnostico e la dose ricevuta dal paziente durante l’esame; come sono pochi i pazienti che dichiarano di essere stati informati dei rischi di un esame diagnostico. Tutto questo fa riflettere che basterebbe una maggiore consapevolezza del livello di accettabilità dei rischi biologici, una maggiore attenzione alle norme, alla buona prassi radiologica e responsabilità per far sì che si possa ridimensionare il fenomeno divulgante del “consumismo” e dello “spreco” radiologico, allo scopo di ottenere migliore qualità, sicurezza, sostenibilità dell’assistenza sanitaria, ma soprattutto per recuperare il rapporto umano con il 53 paziente attualmente messo sempre più in crisi dalla crescita “invadente” della tecnologia. E’ pertanto, dovere di tutti i professionisti sanitari, considerare tutte le forme di comunicazione utili per consentire una corretta e adeguata informazione dei cittadini sulle implicazioni che possono derivare dall’impiego delle tecnologie radiologiche a scopo medico. Anche se la comunicazione del rischio da radiazione è ancora uno dei numerosi capitoli incompiuti della sanità, è necessario continuare instancabilmente a promuovere una buona comunicazione con il paziente per costruire una relazione efficace con esso e una medicina sempre più a “misura d’uomo”. La buona pratica clinica e quindi anche la radioprotezione del paziente, sono questione di cultura e professionalità che, né le linee guida, né i relativi protocolli possono rimediare a carenze in questi ambiti; pertanto riguardo alla responsabilità nei confronti del paziente, il T.S.R.M. deve pretendere l’applicazione del principio di giustificazione per riaffermare prima di tutto il valore etico del diritto alla salute da parte del cittadino ed in secondo luogo per evitare una sua responsabilità penale e civile. Attuare i principi del “coinvolgere”, ”condividere”, ”collaborare”, ”comunicare”, significa dare rilievo alle persone, più che alle strutture e ancora questa strada è lunga da percorrere, così anche l’appello ad un maggior senso di responsabilità, temo rimarrà ancora tristemente inascoltato. Mi sembra appropriato concludere questo lavoro con una riflessione di Frush: “Se tu somministri una dose non corretta di antibiotico, è un errore. Se tu somministri una dose non corretta di chemioterapia, è un errore. Se tu somministri una dose non corretta di radiazioni, è un errore?”. 54 BIBLIOGRAFIA DoctorNews.it.Radiologia,inutile il 20%degli esami.4 nivembre 2004; PDB.Radiologia all’appropriatezza.Il Sole 24 Ore.12-18 ottobre 2004 pag.11; Picano E.Sustainability of medical imaging.BMJ 2004; Picano.E.Informed consent and communication of risk from radiologi-cal and nuclear medicine examinations: how to escape from a communication inferno.BMJ 2004; European Commission.Referral guidelines for imaging.Rad Protect 2001; Coggle JE. Effetti biologici delle radiazioni. Ed. Minerva Medica,Torino,1998; Picano E.,Lombardi M.,Neglia D.,Lazzari m. La sostenibilità delle immagini in cardiologia.Recenti Prog Med 2006; DL 187/2000: Attuazione della direttiva 97/43/Euratom in materia di protezione sanitaria delle persone contro i pericoli delle radiazioni ionizzanti connesse a esposizioni mediche; Picano E. 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