sintesi e considerazioni conclusive

EVOLUZIONE
DEL MERCATO
FONOGRAFICO: DALLA MUSICA COME
PRODOTTO ALL’ESPERIENZA MUSICALE
Premessa
Questo saggio verte sul settore fonografico, inteso, in via di prima approssimazione, come
l’insieme di soggetti e di attività connessi alla musica registrata (fonogrammi) (F. Silva, G. Ramello
1999). Vi si comprendono anche i supporti che abbinano i video alla musica (come i Dvd) e i servizi
relativi alla musica digitale.
La definizione del peso economico di questo settore risulta alquanto incerta. Innanzitutto,
diverse espressioni del settore sono rilevate solo parzialmente, dato che le istituzioni preposte
restano vincolate alle tradizionali concezioni settoriali. Secondariamente, solo alcune fonti
informative considerano anche le attività indotte dall’utilizzo, diretto o indiretto, di fonogrammi in
altri settori. Inoltre, le stime che vengono effettuate dalle associazioni internazionali delle imprese
del settore non tengono conto di specificità nazionali, come, ad esempio, le vendite tramite il canale
delle edicole in Italia.
Tuttavia, i dati forniti dalle associazioni di categoria (Ifpi e Fimi) consentono di pervenire a
una rappresentazione abbastanza significativa del settore, riguardando la commercializzazione sia di
fonogrammi (musica registrata) e Dvd sia la musica digitale.
Nel 2003 il fatturato mondiale era di circa 30 miliardi di dollari, di cui oltre un terzo realizzato
negli USA. Nello stesso anno, il fatturato italiano è stato pari a circa 314 milioni di euro.
Nell’ultimo triennio il fatturato mondiale fonografico ha subito una contrazione di circa il 14 %. In
Italia il fatturato fonografico è sceso dal 2002 al 2003 del 7,5 %.
In effetti, il settore in esame sta attraversando una fase critica, in cui la flessione del mercato si
accompagna ad una trasformazione del settore a seguito dell’effetto dei generali fattori di
cambiamento ambientale.
Sul piano evolutivo interessa in particolare rilevare il crescente arricchimento immateriale del
prodotto musicale. Benché le rilevazioni statistiche continuino ad essere riferite all’industria
discografica, si è di fronte ad una realtà economica dai nuovi confini ed incentrata su attività ed
oggetti a ridotto contenuto materiale e perciò sempre più assimilabile al mercato del terziario
avanzato.
Con questo studio si mira perciò prima a qualificare il cambiamento in atto nel settore
fonografico e poi a delineare le tendenze che traspaiono nei comportamenti strategici dei soggetti
economici coinvolti.
L’esposizione è articolata in tre parti. La prima riguarda la struttura del mercato fonografico.
La seconda parte muove dallo stato di crisi per focalizzarsi poi sugli effetti dei fattori di
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cambiamento. Con l’ultima parte ci si propone di focalizzare i principali problemi strategici del
settore e a rilevare gli elementi caratterizzanti delle risposte aziendali.
1. IL MERCATO DELLA MUSICA E LA COMPOSIZIONE DEL SETTORE FONOGRAFICO
1.1 Livelli del mercato della musica
Il settore fonografico è un comparto del più ampio mercato della musica. Infatti, la musica, in
quanto prodotto, coinvolge diversi settori. Si considerano quattro livelli di mercato in cui la musica
coinvolge diverse tipologie di consumo (M. Scialò 2003).
Il mercato di primo livello comprende tutti i prodotti industriali e i servizi legati in modo
diretto all'attività del settore musicale. Sono inclusi nella categoria i dischi, i videoclip, l'attività dei
musicisti, il diritto d'autore, di edizione e distribuzione, i CD-Rom e i Dvd degli artisti, i concerti e
gli eventi ai quali gli artisti prendono parte, il merchandising e così via. Si tratta di una serie di
prodotti rivolti ad un consumatore che è interessato ad acquistare direttamente musica nelle sue
varie forme. Il settore fonografico, nell’accezione qui assunta, rientra in questo livello e si trova in
relazione diretta con le diverse componenti che costituiscono questo mercato. Il peso del mercato di
primo livello è esiguo rispetto a quelli di terzo e quarto livello.
Il mercato di secondo livello si compone di servizi e manufatti necessari alla realizzazione dei
prodotti di primo livello. Sono realizzati da quelle aziende che si occupano della progettazione e
della produzione delle attrezzature necessarie alla registrazione e alla stampa di dischi, della
produzione e della commercializzazione di strumenti musicali, delle forniture di supporti logistici,
dell’ideazione di campagne di marketing.
Il terzo livello di mercato è rappresentato da beni che non hanno alcuna affinità merceologica
con la musica, ma, rivolgendosi agli stessi gruppi di consumo, si avvalgono delle immagini offerte
dal sistema-spettacolo per caratterizzare e vendere i loro prodotti. Vi si comprendono, ad esempio,
abbigliamento sportivo e casual, soft drinks, giochi e gadget per un pubblico tra i 15 e i 30 anni.
Il quarto livello, infine, è caratterizzato da prodotti che, pur non condividendo il target delle
produzioni musicali, fruiscono di effetti prodotti da soggetti della musica. Prodotti quali l'auto, la
moda, le assicurazioni si rivolgono a individui benestanti tra i 25 e i 60 anni, non certo ai teenagers,
cui è destinata gran parte della produzione musicale contemporanea. Eppure, si hanno numerose
campagne promozionali basate sul nome e sull’immagine di celebri artisti del bene musicale. Il
nesso va ricercato nel messaggio che una ‘stella’ della musica porta indirettamente a chi di musica
non si interessa: idee che rimandano al rifiuto della quotidianità, all’eterna giovinezza, alla ricerca
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dell’indipendenza. In queste è racchiuso un fascino che colpisce al di là della fama degli artisti e
degli stessi contenuti musicali.
Il peso economico del mercato di primo livello è esiguo rispetto al terzo e al quarto livello, i
quali, grazie alla musica, sono soliti generare ben altre dimensioni di fatturato. Pur in mancanza di
dati precisi, è possibile valutare il suo peso attraverso alcuni casi. Data la base 100 all'intero valore
della produzione discografica e concertistica di Elvis a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta, le
aziende produttrici di jeans e di altri capi di abbigliamento da lui indossati, hanno ottenuto, come
esclusiva conseguenza del suo successo artistico, un incremento di fatturato di 1200-1500. Nel 1999
l'intero fatturato della produzione discografica italiana è stato inferiore di quattro volte a quello di
un'unica marca di occhiali da sole che ha lanciato un modello di montatura con il nome di una star
del rock. Un preventivo accordo tra il gruppo delle Spice Girls e due aziende di macchine
fotografiche e di cosmetici, ipotizzava per queste ultime un guadagno 27 sterline per ogni sterlina
incassata dalla casa fonografica produttrice (M. Scialò 2003).
Nel settore fonografico collaborano soggetti economici e soggetti creativi, come del resto in
ogni settore basato sulla creatività.
Il nucleo economico è costituito dall’attività delle case fonografiche. Il loro ruolo è quello di
produrre fonogrammi, cioè di provvedere all’incisione della musica, di gestire i canali di
distribuzione e le tecniche di promozione per le opere realizzate dagli artisti sotto contratto.
Questi ultimi si occupano invece dell’aspetto creativo, si relazionano con i soggetti economici
e, più in generale, con i soggetti esterni alla loro competenza artistica attraverso la normativa sul
diritto d’autore.
1.2 Majors e indies
Le case fonografiche si distinguono in due categorie: le multinazionali (majors) e le
indipendenti (indies). Le quattro majors (Emi, Sony Bmg, Universal e Warner) nascono come
divisioni musicali di grandi gruppi multinazionali, che operano negli ambiti più disparati:
dall’elettronica alle bevande, dall’editoria alla cinematografia, all’intrattenimento e alla
comunicazione (A. Truffi 2003).
Le majors si trovano ad operare nelle condizioni che derivano dalla loro natura: godono di una
dimensione finanziaria elevata, sono inclini a gestire la varietà per diversificare l’offerta e limitare i
rischi, tendono a realizzare profitti immediati. L’appartenenza a gruppi oligopolistici impone alle
divisioni musicali di riferire periodicamente alle sedi centrali sui risultati raggiunti. Si tratta di un
vincolo operativo, poiché le multinazionali del disco contribuiscono al fatturato dei grandi gruppi
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soltanto nell’ordine del 5-10%.
Le quattro majors coprono da sole l’80% circa del fatturato del settore, in tutti i luoghi
geografici in cui sono insediate, seppur con singole differenze legate all’ampiezza del catalogo
nazionale gestito nei diversi paesi. Da quest’ultima dipende la forza delle filiali nell’ambito del
gruppo di appartenenza, e perciò la dimensione del fatturato e, conseguentemente, l’acquisizione di
finanziamenti e premi dalla casa madre. Ad esempio, Sony Italia ha in catalogo una buona parte di
artisti nazionali e ha un peso più grande di Sony Germania, che gestisce pochi artisti tedeschi. Sony
Italia riceve più finanziamenti e premi di Sony Germania dalla sede giapponese, che possono
consentire di rinforzare il posizionamento competitivo (V. Soave 2004).
Le multinazionali del disco, forti della loro potenza finanziaria, hanno creato forti barriere
all’entrata, grazie all'allestimento e al mantenimento di un controllo di una rete distributiva che, per
la musica su supporti fisici, segue il modello tradizionale (produttori, intermediari, consumatori).
Infatti, le majors, il più delle volte, impersonano anche il ruolo di grossisti, potendo contare su
propri centri di distribuzione con una presenza internazionale. Il prodotto arriva poi ai rivenditori
finali, come negozi specializzati, Grande Distribuzione, catene specializzate o meno, venditori per
corrispondenza. Allo stesso modo, controllano la promozione dei dischi, fase cruciale per dare
visibilità e aumentare la percezione di qualità sui prodotti. Si occupano di ottenere i ‘passaggi’ nelle
radio e in televisione, inviano le opere alla stampa per ottenere recensioni, concedono la
disponibilità degli artisti per le interviste, sono in relazione con le agenzie che organizzano i
concerti.
Lo spazio restante nel settore è occupato dalle case fonografiche indipendenti. Queste sono
tradizionalmente piccole e medie imprese per le quali la musica è il core business. Agiscono con
profitti ridotti e alto tasso di rischio, poiché non hanno gli strumenti finanziari per diversificare il
catalogo e devono necessariamente seguire dei progetti a lungo termine. Tuttavia, nel frastagliato
panorama musicale, costituiscono il motore di un grande fermento di innovazione creativa e
culturale. Esse svolgono per le majors gran parte del lavoro di ricerca e sviluppo; sono cioè più
legate alla scena artistica, sono le fucine di talenti, spesso acquisiti dalla parte più ricca
dell’economia.
Data l’impossibilità, per le imprese indipendenti, di superare le barriere all’entrata erette dalle
multinazionali (promozione e distribuzione) e di imporsi in pianta stabile sul mercato, il segmento
indipendente risulta densamente popolato e frammentato, con un alto tasso di natalità e mortalità.
Le indipendenti molto spesso riconoscono una debolezza troppo marcata per affrontare un mercato
così incerto, e si appoggiano alle majors per espletare alcune fasi della filiera. In particolar modo,
tradizionalmente, le indies sfruttano i canali distributivi delle multinazionali, assoggettandosi, per lo
più, alle loro politiche commerciali.
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La configurazione che ne deriva è quella già anticipata: majors e indies operano su due piani
distinti di mercato, non in concorrenza tra di loro. Le quattro multinazionali controllano però un
mercato dove l’innovazione sviluppata dalle indipendenti è relegata ad una posizione marginale
(Fig. 1).
Figura 1. Majors e indies nel mondo: market share 2004
25,1%
25,3%
12,7%
13,4%
Sony BMG
EMI
Universal
Warner
Indies
23,5%
Fonte: elaborazione grafica su dati Fimi 2004
1.3 Il copyright
Il rapporto tra gli artisti e le loro opere, la tutela e lo sfruttamento commerciale delle opere è
regolato dall’istituzione del diritto d’autore (copyright). Questo è il regime legale che tutela la
musica. Annessi a un contratto che vede l’utilizzo di uno spartito musicale o dei fonogrammi incisi
dai produttori di determinate opere vi sono diritti che vanno rispettati e remunerati (Fridge 2000).
La normativa sul diritto d’autore distingue due tipologie di diritti: il diritto d’autore in senso
stretto e i diritti connessi. La differenza tra le due tipologie è concettuale e strategica.
Si ha una differenza concettuale perché il diritto d’autore in senso stretto tutela una
determinata opera, moralmente e patrimonialmente, a prescindere dall’effettivo uso che ne viene
fatto. L’autore ne mantiene la titolarità dal momento in cui decide di proteggerla tramite società di
edizione. I diritti connessi non si riferiscono invece all’opera in sé, non riguardano lo ‘spartito’, e
diventano
di
proprietà della
casa
fonografica
che ha provveduto
all’incisione, alla
commercializzazione e promozione dell’opera.
La differenza è anche strategica perché il diritto d’autore rimane in capo all’artista per tutta la
vita e per 70 anni dopo ai suoi eredi, mentre i diritti connessi vengono venduti alle case
discografiche, affinché queste possano utilizzare il brano nei modi più consoni alle loro esigenze
commerciali, eventualmente cedendo il diritto di utilizzo dell’opera in vari contesti, in vari formati,
per diversi scopi. Si pensi, ad esempio, alla concessione di un brano per le sincronizzazioni
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pubblicitarie o alle radio per la trasmissione nel palinsesto.
Nella figura 2 è schematicamente indicato l’iter seguito dal diritto d’autore per portare a
compimento la sua valorizzazione e la conseguente remunerazione per i legittimi titolari.
Figura 2. Il processo di valorizzazione del diritto d’autore nel settore fonografico
Diritto d’autore
Editore
Artista
Case
fonografiche
Diritti connessi
Valorizzazione
Remunerazione
Fonte: elaborazione grafica su fonte Fridge 2000
Contestualmente alla creazione di un’opera, l’artista, che è il fulcro della normativa, acquista
una serie di diritti morali ed economici. Se egli mantiene per tutta la vita quelli morali, personali e
inalienabili, si rivolge, per la gestione dei diritti economici, alla figura professionale dell’editore.
Questi gestisce per l’artista i diritti d’autore in tutte le sue fasi, a cominciare dal deposito e dalla
registrazione dell’opera. La sua funzione è quella di trovare tutte le possibili vie per sfruttare l’opera
e, conseguentemente, per fare maturare delle royalties del cui recupero si occupa direttamente. Si
assume inoltre la tutela e la protezione giuridica dell’opera da eventuali plagi, frammenti utilizzati
senza autorizzazione, uso illegale, ecc..
Tra i diritti economici dell’artista vi sono anche quelli di registrare l’opera. L’editore si pone
allora come intermediario tra l’artista e i produttori, cedendo in licenza tali diritti alle etichette
produttrici, che diventano titolari dei diritti connessi al diritto d’autore sui propri fonogrammi.
Molte case fonografiche, invece, sviluppano al proprio interno competenze editoriali e sono in
grado di gestire le opere anche in questo senso. La valorizzazione, da parte delle etichette, dei diritti
connessi avviene tramite vie molteplici, tra cui la vendita di fonogrammi: essa remunera gli stessi
produttori, gli editori, per via della licenza, e gli stessi artisti, con cui gli editori spartiscono i
proventi, solitamente in parti eguali.
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2. CAMBIAMENTI NEL SETTORE FONOGRAFICO
2.1 La crisi in atto
Al di là dei fattori congeniti alla sua natura “debole”, il settore affronta da qualche anno una crisi, i
cui segni sono rappresentabili secondo un circolo vizioso (Fig. 3).
Figura 3. La crisi del settore fonografico
Crollo
consumi
Pirateria
Caduta
investimenti
Fonte: elaborazione grafica su dati Fimi 2004
Il segnale più forte della crisi arriva dal mercato parallelo ed illegale della pirateria, che dai
dati ufficiali si assesta tra il 10-15% del fatturato mondiale (in Italia, tra il 25 e il 30%) (Fimi 2003).
Il fenomeno della pirateria, classicamente inteso, si manifesta attraverso la vendita di supporti
fisici copiati o contraffatti, la registrazione abusiva di concerti o trasmissioni radiofoniche e la copia
privata, cioè la copia a stretto uso personale di supporti fonografici di altrui proprietà. A queste
pratiche si è recentemente aggiunta la condivisione di brani digitali tramite il cosiddetto file
sharing, che rifiuta anch’esso le regole stabilite dal copyright (F. Silva, G. Ramello 1999).
La pirateria rappresenta, dal punto di vista economico, un mercato alternativo a quello legale.
Si ritiene che non possa essere classificata soltanto come causa della crisi, ma soprattutto come
sintomo. In effetti, l’offerta che non solo non soddisfa la sua domanda, ma ne attacca gli
orientamenti e le preferenze, costituisce un fallimento di mercato, un segnale di chiusura
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demagogica al dialogo.
Benché l’esigua dimensione del fatturato sia stata accompagnata da una sostanziale incapacità
di crescita dal 1994 al 2000, negli ultimi tre anni si è assistito ad un vero e proprio crollo nei
consumi. A livello mondiale, dal 2000 al 2003 il settore ha visto una perdita costante nel fatturato di
7 punti circa annui (Fig. 4).
Secondo gli analisti di Morgan Stanley, negli ultimi anni vi sono state rilevanti flessioni dei
ricavi in tutte le grandi etichette. La Universal, ad esempio, ha ridotto nel 2004 i ricavi del 2 %
rispetto all’anno precedente (D. Lepido 2005).
Figura 4. Tendenze nel fatturato mondiale (milioni di dollari)
45.000
40.000
35.803
39.373
39.509 38.581 38.662 38.671
36.936
33.655
35.000
32.228
29.777
30.000
25.000
20.000
15.000
10.000
5.000
0
1994
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
Fonte: elaborazione grafica su dati Fimi 2004
Al crollo dei consumi è seguita una caduta di investimenti. Fimi, in realtà, sostiene che le
industrie discografiche investono in media il 12-13% del proprio fatturato in ricerca. Si tratterebbe
di una della percentuali più elevate in ricerca e sviluppo, se confrontata con altri settori economici
(Fimi 2003).
Tuttavia, tale predisposizione non sembra trovare un riscontro nel mercato, dove la necessità
di badare ai profitti immediati pregiudica lo sviluppo di progetti a lungo termine: l'anno 2003 è
stato, dal punto di vista discografico, un anno svogliato, con poche significative novità. Nei Top100
album il recupero di vecchio materiale di catalogo figura con 14 titoli, mentre il settore
compilations incide per altri 23 titoli. Il che significa che la presenza di album/novità, e quindi di
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innovazione, copre solo il 63% (M. De Luigi 2004).
La mancanza di innovazione, collegata ad un aumento dei prezzi dei supporti per mantenere
invariato il fatturato, ha comportato un’ulteriore disaffezione nei confronti del prodotto musica. Di
conseguenza si ha l’aumento della domanda di prodotti illegali, secondo la legge del circolo vizioso.
2.2 Le nuove tecnologie dell’informazione
Contestualmente alle difficoltà attuali, il settore fonografico si trova a dover affrontare una
serie di cambiamenti epocali, che hanno accelerato il processo di crisi e sottolineato l’urgenza di
adeguamento a nuovi modelli di business. I fattori di cambiamento sono le nuove tecnologie, la
concorrenza allargata, il ruolo degli artisti, il comportamento del consumatore.
La musica digitale si è sviluppata inizialmente tramite il canale Internet, per poi approdare su
altre piattaforme, come i telefoni cellulari. In un primo tempo, l’innovazione consisteva nel
riproporre in Rete meccanismi ampiamente collaudati nel mercato tradizionale, come la vendita di
CD all’interno di siti. La cosiddetta rivoluzione digitale consiste invece nell’aver abbandonato
l’idea di musica come prodotto fisico, per abbracciare l’idea di musica come informazione: i brani
vengono trasmessi come files compressi (il più celebre, l’Mp3) attraverso la Rete, sposando la
natura immateriale dei suoni (G. Di Carlo 2000).
L’imprevedibilità di una tale invenzione ha colto impreparato il business dell’industria
musicale. I programmi messi a disposizione dell’utente per la condivisione gratuita di brani furono
inizialmente Mp3.com e, soprattutto Napster, il cui bacino d’utenza ha toccato i 50 milioni di
individui durante la celebre battaglia legale con le multinazionali del disco. Come risaputo, Napster
è stato chiamato in causa dalla Riaa (Recording Industry Association of America) e ha dovuto
chiudere i battenti, a causa della reiterata violazione di copyright su un numero enorme di brani. Si
è assistito, però, alla proliferazione di ‘degni’ successori, ancora oggi attivi, che consentono di
eludere le leggi sul diritto d’autore (F. Cisternino 2002).
La reazione dell’industria ha riguardato quasi esclusivamente l’esigenza, peraltro legittima, di
vedere remunerati i diritti sui brani scambiati illegalmente. Se però è stato possibile perseguire
Napster a livello legale, poiché possessore di un server centrale di riferimento dove i brani erano
custoditi, i nuovi programmi si avvalgono di una rete decentralizzata e operano secondo la modalità
del peer to peer. Ciò significa che ogni utente collegato ad Internet funge da server e da client, per
cui non è possibile rinvenire una responsabilità oggettiva per quei programmi che consentono lo
scambio.
Internet si dimostrava inizialmente uno strumento incontrollabile da parte dell’industria, ma
pienamente in sintonia con la natura immateriale della musica, libera di fluire sotto forma di
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informazione. Sul modello offerto dalla Rete, l’innovazione tecnologica applicata alla musica passa
per la telefonia mobile. La svolta, per il business della musica sul cellulare, è stata l'ingresso
dell’Umts, un sistema integrato per la trasmissione a banda larga e ad alta velocità di dati
multimediali (voce, testi, suoni, immagini fisse e in movimento), utilizzando reti di comunicazione
terrestri e satellitari, nonché l’avvento dei telefonini di terza generazione, 3G, in grado di navigare
su Internet, di trasmettere e riprodurre contenuti multimediali ad alta velocità di connessione ed
elevata qualità di riproduzione, alla stregua di un PC (A. Marziano 2004).
Gli esperti del settore ritengono che il 2005 sarà l’anno della musica sui cellulari. “La musica
sui telefoni cellulari – ha affermato P. Kennedy (2005), presidente e direttore dell’Ifpi – diventerà
un’importante fonte di reddito per le case discografiche. In Europa con il lancio della tecnologia 3G
il futuro è senz’altro la musica ‘a portata di mano’, con o senza cuffie”.
2.3 La concorrenza allargata
Per il settore fonografico, caratterizzato prima solo da beni fisici, distribuzione e promozione
costituivano le due barriere all’entrata che l’avvento della musica digitale ha disgregato. La rinuncia
alla necessità di una vasta gamma di intermediari, unitamente alla possibilità di fare promozione al
di là di vincoli geografici ed economici, ha consentito l’ingresso ad aziende esterne al settore. Si
configura così uno scenario di ‘concorrenza allargata’.
Le aziende in questione provengono principalmente da settori diversi, quali quello informatico
o delle telecomunicazioni, oppure nascono sul web con una visione internazionale e con l’obiettivo
di presidiare il mercato della musica on-line. Dall’informatica si sono imposti Apple, Microsoft,
RealNetworks, Roxio. Vitaminic, prima della fusione con Buongiorno, e Od2 di Peter Gabriel sono
esempi di un successo nato in Rete, sfruttando la posizione di first mover. A questi si aggiungono
gli operatori legati alla musica digitale su apparecchi cellulari: costruttori di telefonini (Nokia,
Samsung, Siemens, ecc.) e Telecom Companies, come, in Italia, Tim, Vodafone, Wind e H3G;
operatori ed intermediari specializzati in mobile music, entrati grazie alla moda delle suonerie (WS
o Sonera Zed) oppure operanti congiuntamente con l'industria musicale sull'intera gamma di servizi
(Tj Net, la stessa Buongiorno Vitaminic, Musiwave, Sugarnet).
Questi soggetti entrano in concorrenza tra di loro e in rapporto negoziale con le case
fonografiche a causa della configurazione dei servizi che hanno allestito. iTunes di Apple,
Rhapsody di RealNetworks, Napster di Roxio, Rossoalice di Telecom, il portale di Vitaminic, Od2
sono i cosiddetti Music Service Providers (Msp).
.
Gli Msp sono portali generalisti, siti specializzati o media digitali, che acquistano le licenze di
distribuzione da una vasta gamma di artisti, editori e case discografiche, per fornire servizi di
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downloading e streaming ad alto valore aggiunto, servendosi di ampi database musicali. Questi
portali costituiscono, per le stesse etichette, partners industriali, poiché si pongono come
intermediari tra case fonografiche, editori ed artisti ed il pubblico acquirente di musica digitale.
Elaborano servizi on-line a pagamento, in cui è possibile reperire la musica trasversalmente alle
singole etichette di appartenenza (L. Dainesi, C. Negri 2003).
Oltre a fungere da intermediari tra le case discografiche e il consumatore finale, gli Msp
incorporano nel loro modello di business soluzioni b2b (business to business) orientate a diversi
soggetti, il cui interesse è fruire della musica contenuta nei loro vasti database ed utilizzarla, da
parte di ciascuno, per sviluppare la propria attività. Tra costoro sono inclusi, per esempio, i
produttori di film, stazioni radio, aziende che si occupano di pubblicità, programmatori di palinsesti
televisivi, nonché altre aziende che necessitano di partners infrastrutturali per offrire musica a loro
volta. Od2 è partner di CocaCola e MTV, che hanno allestito negozi virtuali di musica digitale.
2.4 Il ruolo degli artisti
Un fattore di cambiamento importante, che per l’industria può rappresentare una forma
imprevista di concorrenza, riguarda proprio gli artisti.
Caratteristica del settore è la difficoltà di veder consolidato il marchio dell'azienda di
produzione nei confronti del prodotto commercializzato. In altri comparti produttivi, un’impresa
può promuovere i suoi prodotti sapendo che la sua offerta viene recepita da clienti che ne
riconoscono determinati livelli di qualità. Così si sviluppa la cosiddetta brand loyalty, ossia la
fedeltà al marchio.
Per quanto riguarda la commercializzazione di prodotti musicali, l'unico vero marchio mai in
discussione e garanzia di qualità sono gli artisti. Gli artisti rendono unici beni merceologicamente
identici come i fonogrammi e sono il centro di tutti i processi economici in seno al mercato
fonografico. Essi rappresentano infatti il motore creativo di tutte le opere, nonché il marchio
attraverso il quale il settore della musica si propone al consumatore finale. Il richiamo da loro
generato è così forte che le case discografiche, nella fattispecie, non possono utilizzare come leve
competitive la propria reputazione e la propria professionalità, e si trovano ad operare nelle retrovie
di un mercato apparentemente governato dagli artisti (M. Scialò 2003). Ad esempio, il marchio Pink
Floyd si rende visibile, oltre che agli occhi dei consumatori, al di là di chi ha prodotto il gruppo
musicale (Emi), ai membri stessi che appartengono al gruppo. Questo spiega la continuità di
successo del brand anche dopo l’abbandono del leader creativo, il bassista Roger Waters (J. Rich
1994).
Molti artisti adottano una visione imprenditoriale, escludendo di fatto le grandi case
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fonografiche e gli editori dalla gestione della loro attività. Alcuni, tramite Internet e le nuove
tecnologie, si rivolgono con la propria etichetta al mercato; altri migrano verso la produzione
indipendente.
Il possesso di una fan base collaudata è stato il vantaggio strategico di un gruppo musicale
come i Marillion, che si è fatto finanziare la produzione dell’ultimo disco tramite Internet dai suoi
stessi fans. Il pubblico ha coperto in tal modo le spese di registrazione e contribuito alla creazione di
un conto bancario d’oltre mezzo milione di euro, impiegato per la pubblicità e la promozione. Gli
stessi Marillion hanno riconosciuto il ruolo di supporto dei finanziatori, inserendo i loro singoli
nomi all’interno dei crediti del disco, alla stregua di collaboratori del progetto (Rockol 2004).
Un altro valido esempio è dato dalla DavidBowie Community (www.davidbowie.com), in cui
diventano fondamentali la presenza dell’artista e i benefit offerti dal sito (brani inediti, immagini in
studio di registrazione, backstage, chat ad accesso privilegiato con Bowie, merchandising
esclusivo, ecc.): qui i ricavi non derivano dalla sola distribuzione di musica.
La capacità di sfruttare al meglio le leggi del mezzo digitale riguarda anche i piccoli artisti,
che, dal punto di vista distributivo e promozionale, possono potenzialmente ridurre le distanze
rispetto ai colleghi più famosi. L’esempio più calzante è fornito dalla musica elettronica, che trova
la sua forza nella creazione di comunità di interesse su Internet, nel segno dell’aggregazione.
Gli artisti produttori stanno dandosi dei modelli organizzativi del tutto inediti per il
fonografico. Intanto incidono i loro brani direttamente sul loro personal computer, o in studi di
registrazione allestiti in maniera molto casalinga. Per la distribuzione dei loro prodotti si avvalgono
di strutture indipendenti. Chiaramente, si rivolgono ad un pubblico di nicchia e utilizzano Internet
sia per promuovere la propria musica sia per dialogare quotidianamente con i propri fans. Fondano
una propria etichetta e non instaurano alcun rapporto con le case discografiche. Essi si configurano
insomma come soggetti economici autonomi, assimilabili a vere e proprie piccole aziende. Questi
artisti saranno i primi a poter tranquillamente fare a meno dei CD. Già oggi la maggior parte del
loro fatturato deriva dalle attività live (spesso anche come DJ) e, in molti, vivono la musica
registrata come un canale promozionale più che come fonte vera di reddito. Sono contenti se la
gente scarica, anche illegalmente, i loro brani: tutta pubblicità a costo zero. Per questo saranno, e in
molti già sono, i primi ad utilizzare Internet e la telefonia mobile in chiave di licensing, o anche solo
promozionale, perché per primi hanno capito che il mondo è cambiato (A. Marconetto 2003).
A ben vedere dette figure professionali sono anche dei laboratori di marketing virale, dato che
seguono una strategia atta a stimolare e ad incoraggiare degli individui a trasmettere ad altri e a
diffondere un messaggio di marketing, generando così il potenziale per una crescita esponenziale
sia della notorietà che dell’influenza del messaggio stesso. Il marketing virale trova nei canali
digitali il culmine della propria potenzialità applicativa.
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A dire il vero, però, i pionieri di tale strategia applicata alla musica furono, a loro insaputa, i
Grateful Dead, un gruppo rock storico che pratica dette strategie da più di quarant’anni, molto
prima dunque dell’avvento dell’era Internet. John Perry Barlow, l’autore dei testi dei Deads in
quegli anni, spiega: “I Grateful Dead hanno inventato il marketing virale senza volerlo…
Regalavamo la nostra musica. A quel tempo lo facevamo perché ci sembrava impossibile impedire
ai fans di registrarla. Non lo facevamo per i soldi, e non stavamo guadagnandone. Ma quei nastri
sono diventati il generatore del nostro successo. Hanno sparso il virus dappertutto, e al tempo in cui
ho smesso eravamo l’artista a più alto fatturato dell’entertainment business, principalmente, ma non
solo, grazie ai concerti” (A. Cottica, T.M. Fabbri 2004).
La produzione indipendente in senso gestionale trova dei punti in comune con le
autoproduzioni. Come l’Internet fuori dalle leggi del periodo Napster, i piccoli produttori si
ponevano come i baluardi della ‘scelta’.
La possibilità di avere un controllo sul processo creativo delle proprie opere e un controllo
commerciale sulla loro diffusione ha portato molti artisti di fama a rifiutare il condizionamento e la
pressione delle multinazionali del disco. Oltre alla tutela della libertà espressiva, rivolgendosi a
strutture indipendenti capaci di curare con precisione tutte le fasi di un progetto, gli artisti famosi
possono avere benefici economici di livello pari o superiore a quelli fruibili dall’appartenenza ad
una delle majors. La testimonianza è fornita dai Simply Red, prodotti e promossi dalla NuN in
Italia, capaci di vendere quasi 250 mila copie con l’ultimo album ‘Home’, tra i dischi più venduti al
mondo nel 2003 (Rockol 2004).
2.5 I nuovi comportamenti di consumo
Nel processo di innovazione, di estrema importanza è il rinnovamento dei modelli di
consumo. Il consumatore ha cambiato il suo modo di relazionarsi alla musica sotto la spinta di
fattori ambientali e delle nuove opportunità distributive. Il cambiamento è determinato dai modelli
di distribuzione (la Gdo), dalla tecnologia in senso lato, dal file sharing.
Fimi rileva, attraverso un confronto tra il 1997 e il 2002 per fasce di età, le differenze nei
consumi in Italia. Il trend rispecchia pienamente quello mondiale (Fig. 5).
Nella generale contrazione dei consumi si registra una crescita degli acquisti tra i 24 e i 35
anni, e, soprattutto, tra i 45 e i 64 anni. La spiegazione, in primo luogo, si trova nell’indipendenza
economica e in radici generazionali diverse, per le quali la musica resta un valore forte.
Secondariamente, possono incidere le modalità dell’offerta dei prodotti musicali. La presenza dei
dischi in punti vendita quali supermercati, grandi magazzini e catene, ove la ‘fascia adulta’ ricerca i
beni di prima necessità ha consentito un incremento degli acquisti. Si può, a quest’ultimo riguardo,
13
ipotizzare un conclusione da riproporre anche in un contesto digitale: una diffusa disponibilità del
prodotto provoca un naturale aumento delle vendite.
Tuttavia, sono i giovani il target cui le imprese fonografiche rivolgono la propria offerta.
Negli anni Settanta il settore fonografico viveva con essi un rapporto di scambio proficuo, poiché la
musica rappresentava in quegli anni un’identificazione, un ideale di contestazione, il
riconoscimento di una posizione sociale antagonista. La prima considerazione, quindi, riguarda la
presunta crisi della figura carismatica degli artisti, presenza determinante negli anni Settanta, la cui
stanchezza creativa ha indirizzato altrove le tendenze di consumo dei giovani. La mancanza di
innovazione nel settore musicale ha condotto una parte del pubblico a rifiutare un modello in cui
non si identificava.
Il rave party è uno spettacolo giovanile moderno che vede immense folle adunarsi per
ascoltare musica elettronica ad alto volume e danzare liberamente per tempi prolungati. In questo
caso, è il pubblico stesso ad assumere la leadership dell'evento; l'importanza della celebrazione non
fa capo ad una star e, sostanzialmente, non è nemmeno giustificata dalla presenza della musica. E'
la folla stessa a porsi come centro di gravità e trascinatore della celebrazione. La crisi dell'artista
tocca così il suo apogeo e il modello costruitogli attorno rivela tutti i suoi limiti (M. Scialò 2003).
Figura 5. Consumi in Italia per fasce di età (confronto tra 1997 e 2002)
35
28
30
26
25
%
consumi
31
età - 02
23
21
18
20
15
10
età - 97
12
11 12
9
5
5
2
0
14-17
18-24
25-34
35-44
Età
Fonte: Fimi 2003
14
45-54
55-64
Un altro segnale che relega l’ascolto di musica in una posizione subordinata e collaterale ad
altre attività è il modello di fruizione. L’ascolto di musica tramite il PC è sempre più diffusa,
nonostante il più delle volte le apparecchiature non siano in grado di riprodurre i suoni come un
impianto ad alta fedeltà. Creative Labs, società che si occupa di audio e video, sostiene che i propri
prodotti sono ormai destinati per lo più ad utenti informatici che vogliono ascoltare musica per
accompagnare altre attività (M. Gazzola 2001).
In questo contesto cultural-tecnologico, l’avvento dei servizi di condivisione gratuita di brani
è stata accolta con entusiasmo dai consumatori. Le motivazioni dell’apprezzamento del file sharing
vanno ricercate senz’altro nella gratuità del servizio, ma sono determinate anche dalla politica delle
stesse majors, finalizzata alla produzione di musica di consumo che contribuisce al fatturato
nell’immediato. Il passivo ricevere quello che alle spalle si è strategicamente deciso di fargli
ascoltare ha frustrato la soggettività dell’ascoltatore, in quanto la scelta non era più consentita. Da
qui, evidentemente, è scaturita la reazione verso situazioni più aperte, come Internet, in cui
muoversi. Un sito come Napster, in particolare, rendeva soggettivo al massimo il rapporto con la
musica, poiché diventavano a portata di mano, allo stesso modo e sotto le sembianze di files, brani
storici o presenti, di ogni genere e linguaggio. Gli utenti del sito creavano una comunità virtuale, i
cui membri erano legati dalla volontà di sperimentare o reperire ogni tipo di musica.
La moltiplicazione dell’interesse verso la musica digitale, la crescita del valore potenziale
della domanda anche fuori da Internet, in nome dell’affiliazione e della relazione create dalla
diffusione di brani in Rete, sono fattori che l’industria tradizionale non è riuscita a percepire. La
perdita di fiducia nei confronti dell’offerta e la vocazione ad essere parte interattiva del processo
fanno confluire le scelte del consumatore nella dimensione di convenienza. Questa comprende una
serie di parametri, inevitabilmente influenzati dall’esperienza del file sharing, di cui gli offerenti di
musica digitale legale devono tenere conto: selezione, libertà d’uso, riduzione dei costi, ubiquità,
qualità dei files, interattività e personalizzazione.
3. I PROBLEMI STRATEGICI PER L’INDUSTRIA FONOGRAFICA
3.1. La pirateria
Le associazioni fonografiche, per contrastare la pirateria fisica e digitale, hanno agito, da una
parte, con iniziative legali e con la messa a punto di tecnologie protettive, dall’altra, con campagne
informative e di sensibilizzazione.
La potente associazione americana Riaa ha agito legalmente, prima contro i siti che
15
permettevano la condivisione di files, in seguito contro gli stessi utenti rei di possedere e di mettere
a disposizione brani protetti da diritti. Nel giro di pochi mesi negli Usa migliaia di avvisi di garanzia
sono stati spediti a privati cittadini. All’inizio del 2004, operazioni analoghe hanno coinvolto anche
Italia, Danimarca, Germania e Canada. Nell’ambito dell’attività sono stati posti sotto sequestro una
moltitudine di computer e hard disk, periferiche di archiviazione, migliaia di files illegali.
L’originalità di tale azione, dal punto di vista economico, sta nel fatto che l’offerta si è scagliata
contro la domanda, un caso singolare che ha ingigantito nel lungo periodo i risvolti della crisi.
La pirateria di supporti fisici trova collocazione in differenti mercati geografici, ma le azioni
vengono decise a livello nazionale. In Italia, Fimi nel 1996 ha fondato la Fpm, Federazione contro
la Pirateria Musicale, che si occupa di rilevare l’entità del fenomeno e di proteggere la musica ‘a
valle’, con specifiche operazioni. Nel 2002 sono stati sequestrati più di 2 milioni di CD illegalmente
commercializzati e 784 masterizzatori, sono stati effettuati 1496 arresti e 1354 denunce. Le
operazioni hanno riguardato per il 78% venditori ambulanti, per il 15% privati, per il 3% negozi,
per il 3% centrali di masterizzazione, per l'1% il canale Internet (Fimi 2003).
Per ovviare alla scarsa efficacia ed alla ancor più dubbia efficienza delle operazioni suddette,
il fonografico da tempo investe nel perfezionamento di strumenti di Drm. Il Digital Rights
Management consiste in una gestione congiunta di aspetti legali (copyright) e tecnologici della
distribuzione/erogazione via web. Esso consente anche di proteggere il contenuto di supporti digitali
come il CD: ciò avviene tramite l'identificazione dei titolari dei diritti coinvolti nell'utilizzo della
musica digitale, nella raccolta degli introiti relativi, nella sicurezza e nell'individuazione di modelli
di business alternativi legati alle nuove modalità di distribuzione on-line. Si tratta di una protezione
‘a monte’, che consente di gestire i diritti contestualmente alla sicurezza delle transazioni, di
stabilire delle restrizioni di utilizzo applicate ai files scaricati, di limitare la possibilità di copiare i
CD, di effettuare una raccolta di dati sul consumatore ai fini di analisi e ricerche sul suo
comportamento. Il Drm è dunque uno strumento prezioso per il pagamento dei diritti, per la
sicurezza e per il marketing, ancorché adottato non uniformemente dai soggetti fonografici
economici.
Le imprese fonografiche si occupano anche di sensibilizzare il pubblico al concetto di
copyright e alla sua tutela. A questo scopo è stata ideata, all’inizio del 2003, l’alleanza Emca,
European Music Copyright Alliance, che annovera molti tra i Paesi europei (l'Italia tramite l'Afi ne
è stata uno dei promotori) e si propone di coinvolgere tutte le forze del settore. Una prima iniziativa
è stata l'istituzione dell'European Copyright Week, una serie di incontri tra operatori della musica e
studenti delle scuole di ogni grado, sulle tematiche collegate al diritto d'autore a livello europeo
(Musica & Dischi 2003).
16
3.2 La musica digitale
Il secondo problema strategico, complementare al primo, consiste, per gli operatori, nel
trasformare ciò che considerano una minaccia in un’opportunità nel nuovo ambiente competitivo. Il
motivo per cui le grandi case fonografiche non hanno saputo aprirsi immediatamente alle
opportunità offerte dal free download, e, ancora oggi, guardano con sospetto alla musica digitale, è
da ricercarsi nel timore di non poter assoggettare al pieno controllo il nuovo modello di business,
perdendo oltretutto i privilegi oligopolistici acquisiti nel tempo sul mercato ‘fisico’.
Paradossalmente, ciò che ha portato le imprese fonografiche ad una serie di errori di
interpretazione del cambiamento ambientale odierno è insito negli orientamenti espressi dal
consumatore. Questi, come visto, domandava a gran voce musica gratuita, creando grandi comunità
laddove era possibile condividere brani coperti da copyright.
Per le imprese del settore, la presa di posizione netta e non incline al dialogo e allo studio
delle opportunità deriva da una mancanza di consapevolezza circa l’importanza di quel
‘consumatore indiretto’ che è invece al centro delle analisi e delle politiche di marketing della
maggior parte delle aziende di terzo e quarto livello (proprio l’industria dei videogiochi fornisce la
testimonianza principale). L’utilizzo di un sistema come Napster, in grado di avvicinare al settore,
in tempi brevissimi, milioni di potenziali acquirenti, avrebbe dovuto essere, se non incoraggiato,
compreso e volto ad assecondare lo sviluppo dello stesso fonografico. Tanto più il bene musicale si
rivela in grado di rimanere l’oggetto principale del tempo libero dei giovani, tanto più questi
indirizzeranno i loro consumi verso chi lo produce (G. Di Carlo 2000).
Focalizzata l’essenza della minaccia, le opportunità per l’industria derivano da due punti
critici: gli artisti e il database.
La maggior parte degli artisti non ha ancora i mezzi imprenditoriali, né la volontà di produrre
autonomamente le proprie opere. Le case discografiche devono mettere a disposizione degli artisti
le loro infrastrutture, le risorse finanziarie e l'organizzazione per curarne l'immagine, per
accompagnarne la crescita artistica e di mercato, soprattutto, per garantirne la presenza presso i
fans, e la possibilità di interagire con questi in tempo reale e da remoto. Utilizzando gli artisti come
attrattiva, consentendo, tramite collaborazioni con intermediari tecnologici, l'acquisto in tempo reale
e l'accesso ad un'offerta corredata da servizi informativi, anteprime, assaggi gratuiti di musica, le
case fonografiche implementerebbero un modello finalizzato al risparmio di costi, a maggiori
profitti, ma soprattutto alla creazione di una coscienza di marketing, strumento necessario per
maturare un rapporto di scambio proficuo con il consumatore nel lungo periodo.
Una sinergia con gli Msp consentirebbe agli operatori tradizionali di entrare in possesso dei
dati sul comportamento dei consumatori, un asset su cui si giocherà gran parte della competizione.
17
La collaborazione con i soggetti di cui sopra assume un'importanza strategica fondamentale, dal
momento che questi sono in vantaggio di alcuni anni sulle case discografiche per quanto riguarda la
gestione del marketing diretto. Essi detengono inoltre in portafoglio database clienti molto vasti e
già segmentati in base a svariati criteri, strumenti essenziali per elaborare offerte personalizzate.
Grazie ai dati, le case fonografiche sarebbero potenzialmente in grado di creare, con l’ausilio
tecnologico e di marketing dei nuovi intermediari, un’offerta per ogni singolo utente.
Le linee strategiche da seguire per attuare questi propositi coinvolgono entrambe le aree di
mercato: quella della musica digitale e quella della musica come prodotto.
Compito delle imprese discografiche è innanzitutto quello di riposizionare il prodotto
musicale nei canali tradizionali, di modo che questo risulti innovativo e appetibile dal consumatore.
La risposta del pubblico a prodotti innovativi è testimoniata dal risultato del segmento Dvd, che nei
primi sei mesi dell’anno 2004 ha registrato vendite per circa 700 mila pezzi, una volta e mezzo
l’intero volume dell’anno precedente (C. Fotina 2004). Il Dvd rinnova i contenuti, si presta ad un
utilizzo significativo delle risorse offerte dal supporto digitale, in termini di audio, video e materiale
extra. Le sue potenzialità non sono ancora del tutto svelate, ma in futuro potrebbe generare un
nuovo modo di concepire un’opera musicale.
La distribuzione di musica digitale per ora avviene tramite il downloading e lo streaming a
pagamento. Il primo consiste nello scaricamento di brani sul computer dell’utente, il secondo
implica la trasmissione di dati audio e video direttamente via web dal sito, senza doverli scaricare
sul PC. La natura dello streaming comporta il suo utilizzo ai fini promozionali, per fornire assaggi
di brani agli utenti, ma anche un nuovo modo di concepire la fruizione di musica.
La convergenza delle piattaforme e dei luoghi di promozione con quelli di distribuzione e di
vendita, l’assenza di un supporto fisico, la nascita di servizi anziché prodotti determineranno
l’affermazione graduale di una nuova categoria di strumenti di marketing, capaci di generare
attenzione non più attorno a una ‘uscita discografica’, ma alla disponibilità di una serie di
opportunità riguardanti gli artisti. In questo senso, ci si baserà su eventi.
Richiederà tempo, per la massa di consumatori, l’adattamento ad una idea di ‘fruizione di un
servizio’ su abbonamento mensile o annuale, concepito come un circuito musicale
omnicomprensivo con informazioni, video promozionali, possibilità di ascoltare brani in anteprima,
di interagire con gli altri utenti e con gli stessi artisti, di acquistare musica e merchandising, di
assistere ad eventi esclusivi in webcasting. Per abbracciare l’idea di vivere un’esperienza musicale
totale in Rete dal “pay per download/streaming” (altrimenti detto “à la carte”) si dovrebbe passare,
dunque, ad un modello “subscription based” (N. Di Molfetta 2004).
La percezione di convenienza del consumatore deriva ancora dalla cultura del ‘possesso’,
ereditata dai programmi di file sharing: le canzoni scaricate gratuitamente e messe in condivisione
18
diventavano di piena proprietà dell’utente. Il consumatore poteva utilizzarle copiandole su CD
diverse volte, passarle agli amici, ascoltarle su PC o su lettori portatili per un numero virtualmente
infinito di volte. Così le sue richieste sono per ora incentrate sulla possibilità di scaricare brani o
album a pagamento, ma con l’aggiunta della garanzia di qualità e della possibilità di piena libertà di
utilizzo.
Questo spiega i risultati delle previsioni per i prossimi anni, per cui il modello di acquisto à la
carte’ verrebbe preferito a quello subscription based dai consumatori. Nel 2004, secondo Informa
Media Group, il primo modello avrebbe generato 99 milioni di dollari contro gli 88 del secondo; nel
2008 il divario crescerà ulteriormente: 1088 milioni contro 746 (N. Di Molfetta 2004).
Un discorso analogo si può fare per la musica digitale sul cellulare. Per ora, il business
riguarda le suonerie, l’appropriazione di simboli per caratterizzare la personalità. In futuro, le
iniziative attivabili sugli apparecchi saranno, analogamente al PC: promozione di eventi, campioni
di musica a scopo promozionale, possibilità di scaricare brani o ascoltarli in streaming, ascolto e
visione di videoclip, possibilità di acquistare biglietti per i concerti, merchandising, informazioni di
ogni genere.
La novità rappresentata dal cellulare è l’ubiquità: se lo desidera, il consumatore può essere
raggiunto da questi servizi ovunque si trovi, in ogni momento della giornata. Si comprende come la
personalizzazione dell’offerta possa essere disegnata anche su questa importante variabile. Un
cliente può essere interessato a ricevere informazioni sui concerti in programma nell’area
geografica ove egli trascorrerà la sera.
3.3 Le risposte degli operatori
Le case fonografiche hanno cercato solo in parte di adeguarsi alle suddette minacce ambientali
e in particolare alle innovazioni tecnologiche. Hanno per lo più agito singolarmente, investendo in
tecnologie collaudate (Napster per Bmg, Mp3.com per Universal le principali) o collaborando
parzialmente nel lancio di piattaforme come MusicNet (elaborata da Emi, Warner e Bmg ) e
Pressplay (da Sony e Universal), tramite cui le majors offrivano in formato digitale a pagamento i
loro cataloghi. Il principale scopo delle operazioni era di fornire una propria alternativa legale per
limitare il potere contrattuale degli Msp.
In effetti, da parte di tutte le etichette è stata espressa una notevole resistenza al cambiamento
ambientale, non riscontrandosi al momento, tra le stesse, approcci innovativi. Come è stato rilevato,
“tutte intendono comunque resistere quanto più possibile sul vecchio supporto, per gli elevati
capitali investiti e per non ridisegnare l’intera catena del valore. Ma tutte sono intimamente
convinte che il futuro sia digitale. Il problema è che non si cambierà veramente finché il
19
management non troverà un revenue model adeguato (A. Ordanini 2005).
L’insuccesso iniziale di talune iniziative ha portato ben presto a una serie di dismissioni.
Pressplay è stata ceduta da Sony e Univesal alla società Roxio, così come la stessa società ha
acquisito il marchio Napster da Bmg; Universal è stata costretta a cedere Mp3.com. L’ammissione
del fallimento ha portato le grandi case fonografiche a temporeggiare ulteriormente sul mercato
digitale e a operare sul fronte dei costi, con ristrutturazioni, cambi di proprietà, tagli di organico e
fusioni (Musica & Dischi 2002).
Aol Time Warner si è disfatto nel 2003 di Warner Music, ceduta ad un magnate canadese. Il
gruppo ha così dimostrato di considerare la divisione musicale come una voce di costo non
trascurabile, a fronte dei profitti erosi dalla crisi (D. Roveda 2003).
Sony e Bmg hanno disegnato un progetto di fusione, che ha ricevuto recentemente il benestare
delle Commissioni Antitrust americana e europea, in quanto non ci sarebbero né rischio per le
condizioni concorrenziali nel mercato discografico, né un danno evidente per gli interessi dei
consumatori. La prima iniziativa annunciata dalla nuova società comporta un notevole taglio di
posti di lavoro (si parla di 2000), corrispondente a circa un quarto dei loro organici combinati
(Musica & Dischi 2004).
La capacità di interpretare la tecnologia come un’opportunità per il lungo periodo anziché
come una minaccia per i profitti a breve termine coinvolge, come detto, i nuovi intermediari, i
Music service providers. Le case fonografiche dovrebbero avvalersi del loro know how tecnologico
e di marketing diretto per sfruttare le opportunità del mercato digitale.
Con Internet si è entrati definitivamente nell’era del licensing: i titolari dei diritti ‘licenziano’
l'intero repertorio e i licenziatari lo usano quanto più possibile, rendendo una percentuale sulle
revenues. Tuttavia, case fonografiche e editori concedono con troppa difficoltà le licenze agli Msp e
ai nuovi entranti. I nuovi intermediari sono costretti a sostenere costi eccessivi per fornire un
servizio musicale on-line.
Etichette ed editori valutano, per ora, il ritorno dei diritti dal punto di vista del prodotto:
attendono una remunerazione per ogni brano dato in licenza, proprio come accade nel canale
tradizionale con la vendita di CD. Nell'ottica del licensing, la ripartizione fisica tra prodotti (numero
di dischi/download effettuati dall'utente) perde valore e ci si concentra sull'Arpu (Average Revenue
Per User), ossia sulla quota di licenze 'consumate' dal fruitore. Per quanto riguarda la
valorizzazione economica dell'indotto, è necessario mettere a disposizione di ognuno tutta la musica
registrata a monte, valutando il ritorno economico secondo l’utilizzazione effettiva dell'intero
catalogo licenziato (A. Marconetto 2003).
Tramite un accordo-quadro sulle licenze, cui ogni sito possa aderire, i possessori dei diritti
assisterebbero ad un naturale aumento delle vendite dovuto a maggior disponibilità del prodotto;
20
eviterebbero l'affermarsi di leaders di mercato tra gli Msp e gli altri nuovi soggetti operanti nel
settore, mantenendo una posizione negoziale privilegiata. Darebbero vita a un nuovo modello di
business, fondato sulla sinergia con nuovi intermediari e sull'outsourcing, con riduzione dei costi e
strutture più flessibili. Contribuirebbero altresì in maniera proattiva alla lotta contro la pirateria
digitale, incontrando i favori dei consumatori attraverso un servizio subscription based
omnicomprensivo, il cui prezzo sia già incluso nell'abbonamento a Internet, in collaborazione con
gli Internet Service Provider.
La necessità di superare la concezione del diritto fondata sul prodotto fisico è manifesta anche
nel mutamento dei modelli artistici, poiché qualcuno ha iniziato a minare ‘dall’interno’ il sistema
tradizionale del copyright. I bootleggers sono dei giovani DJ, produttori in proprio che, nelle loro
case, creano nuove composizioni utilizzando brani già editi (per esempio un pezzo di Bjork mixato
con un pezzo degli Strokes). Senza, ovviamente, chiedere il permesso ai discografici e agli editori,
le mettono subito in Rete, in puro spirito Internet. Oggi, costoro sono ancora relativamente pochi,
ma se questo fenomeno prendesse piede, di fatto, tutto il concetto di diritto d’autore, a partire dal
diritto morale, sarebbe rimesso in discussione. Dal momento che si preannuncia ostico governare
legalmente il fenomeno perseguendo coloro che smembrano le opere, diventa fondamentale
ridisegnare uno scenario legislativo che sia in linea con le mutate condizioni del mercato: dalla
centralità dei diritti sul prodotto si sta passando alla centralità dei diritti sui contenuti. La
trasmissione sicura di contenuti e il legittimo pagamento di quanto spetta a artisti e produttori
possono essere assicurati soltanto da una rivisitazione delle leggi necessarie a tutelare il copyright.
Tali leggi andrebbero poi armonizzate su base globale, poiché questa è la dimensione dell’utenza di
musica digitale.
Considerazioni conclusive
L’evoluzione in atto nel settore della musica è riconducibile senz’altro ad un mix di fattori di
cambiamento ma trova un innesco basilare nelle nuove tecnologie. Le innovazioni digitali sono
potenzialmente in grado di sconvolgere la tradizionale concezione della fruizione della musica.
Eppure, quella che da molti è stata battezzata come ‘rivoluzione digitale’ seguirà nei prossimi anni
un’evoluzione piuttosto lineare. Secondo una ricerca effettuata da Forrester per Ifpi intesa a valutare
in prospettiva l’impatto della musica digitale sul mercato europeo (Ifpi 2004), tuttavia, tra il 2004 e
il 2007, l’incidenza percentuale delle vendite on-line sul totale delle vendite di musica passerebbe
dall’1,4 % al 13 %. Analogamente, negli Usa, il mercato digitale dovrebbe passare dai 250 milioni
di dollari nel 2004 a 1,9 miliardi nel 2007. Sia in Europa che negli Stati Uniti, l’indotto derivante
21
dalla musica digitale dovrebbe coprire, nel 2007, il 10% circa del fatturato del settore fonografico
(Ifpi 2004).
Il fatto che il cambiamento si compia con relativa gradualità, se non nei rapporti tra gli attori
almeno nei numeri, non è dovuto solo ai problemi di approccio strategico evidenziati, ma anche a
impedimenti di natura più tecnologica. I fattori che limitano ulteriormente il coinvolgimento
dell’industria e dei nuovi intermediari riguardano l’adozione di massa della cosiddetta banda larga e
la ricerca di standard relativi ai formati di compressione e al Digital rights management (G. Di
Carlo 2000).
La banda larga consente un’ampia trasmissione di dati sul PC e sul cellulare, l’utilizzo dei
servizi digitali ai massimi livelli di interattività e la fruizione potenzialmente illimitata di servizi di
vario tipo. In ambito musicale, essa permette un utilizzo semplice e veloce delle modalità di
streaming e downloading, la trasmissione di una notevole mole di dati, come per esempio i
videoclip e gli eventi in webcasting. Consente, poi, la soluzione di problemi di instabilità della Rete,
dovuti ai tempi richiesti per scaricare brani, alle interruzioni causate da sovraffollamento. Essa è
una chiave fondamentale per i servizi subscription based, che coinvolgono l’utente in un’esperienza
totale ma dispendiosa in termini di banda utilizzata.
Tra le recenti innovazioni tecnologiche vanno assumendo un ruolo pure “rivoluzionario” i
nuovi lettori musicali, soprattutto per i loro effetti sul comportamento dei giovani consumatori.
Come era stato ben colto da Steve Jobs, l’iPod (il player audio Apple) è il sensore di una tendenza
già ben presente in Rete. Da ciò si può dedurre che “la fruizione della musica è sempre meno legata
al prodotto da consumare su supporto fisico, è sempre più smaterializzata e centrata sulla scelta
personale all’interno di una disponibilità infinita di titoli sempre accessibili in Rete” (M. S. Matter
2005).
Nella velocizzazione della “rivoluzione” in atto gioca altresì un peso determinante il progresso
di adatti standard. La ricerca di uno standard riguardo ai formati di compressione deriva dalla
natura dell’Mp3 e da quella dei soggetti da poco entrati nel mercato. L’Mp3 è stato ostacolato e
rifiutato dall’industria, poiché il suo codice sorgente è stato reso ‘aperto’ dai suoi inventori ed è a
completa disposizione degli utenti, perché non controllabile da parte degli operatori del settore. Per
questo, gran parte del settore vorrebbe imporre come standard un formato di compressione
‘proprietario’, assoggettabile a pieno controllo e generatore di profitti esclusivi. Dal momento che i
formati non sono compatibili tra di loro, è sorta una contesa che vede come protagonisti diversi poli
di interesse: Microsoft con il suo Wma, Apple che utilizza Aac, e RealNetworks con il suo
22
RealAudio (M. Miccoli 2004).
La popolarità e la prevalenza di un formato sull’altro passano attraverso l’affermazione di un
player destinato a leggere i files audio/video sul computer. Quicktime (Aac) e Real Player
(RealAudio) non sono in grado di contrastare il grado di diffusione di Windows Media Player di
Microsoft, incluso nel sistema operativo. L’Antitrust ha giudicato la suddetta inclusione di default
come motivo di abuso di posizione dominante, e l’azienda di Gates è stata costretta a pagare una
multa pesante e a rilasciare una versione di windows per il mercato europeo che non includa il
Media Player. Tuttavia, già in molti adottano Wma e pare difficile invertire la tendenza. La contesa
però continua e non sarà possibile nel breve termine sostituire del tutto l’Mp3.
L’affermazione di un formato ha valenza strategica anche per la ricerca di uno standard di
Drm, strumento fondamentale per una nuova concezione di copyright a tutela dei contenuti. Nel
caso della scelta di un formato di compressione universale, il Drm sarebbe gestito in buona
autonomia dal proprietario di tale formato, in grado di controllare il mercato della musica digitale.
Per il consumatore, ma anche per le imprese fonografiche, questo può tradursi in una minaccia:
un'eccessiva regolamentazione e un eccessivo controllo potrebbero ancora una volta allontanare il
pubblico dal processo di sviluppo dei modelli adottati dal settore della fonografico.
I nuovi comportamenti dei giovani, quelli della cosiddetta D-generation, stanno cambiando
modo di ascoltare musica, modo di comprarla e anche il modo di venderla.
I ragazzi di oggi, ha rilevato M. Canevacci (2005), esperto di culture giovanili, “hanno un
approccio alla musica che è totalmente nuovo… Ogni ragazzo ha esperienze di questi ritmi, di
queste pulsazioni, di queste alterazioni, ma dimentichiamo che è una generazione che viene fuori da
un universo dominato dai media ma anche da esperienze di sostanza che sono diverse da quelle di
una generazione precedente, hanno sistemi percettivi e corporali che rispondono a stimoli differenti,
hanno una sensibilità più accentuata, attenti alle differenze timbriche, soniche e anche visive, e ai
frammenti, ai piccoli pezzi che compongono un’immagine completa”.
In effetti, un tale scenario di medio-lungo termine, caratterizzato ora anche dal boom
dell’iTunes (anch’esso realizzato da Apple), quale piattaforma legale ed economica per la
distribuzione dei cataloghi, la conseguenza più interessante “sarà la fusione della discografia, che si
è retta fino ad ora sull’esistenza del disco fisico, con l’editoria musicale, che si fonda invece sullo
sfruttamento dei contenuti musicali tout court. Ovviamente, dovremo mettere in conto anche una
completa revisione del canale commerciale” (A. Ordanini 2005).
Si può ipotizzare in prospettiva un rafforzamento della performance degli artisti a seguito,
23
paradossalmente, dell’affermazione degli iPod. Questi sono caratterizzati per la quantità di brani
musicali che possono contenere. In un iPod da 40 gigabyte ci possono stare più di 10mila canzoni.
Dal punto di vista del compositore, ciò vuol dire che la sua nuova composizione può essere
confrontata con tutta la musica composta precedentemente accessibile al pubblico. “La forza
soverchiante della quantità può certamente fare sì che la musica registrata (inventata e prodotta per
essere registrata) perda tutta l’individualità che l’aveva sostenuta dai tempi delle prime incisioni di
Caruso, e soprattutto dall’epoca del rock, rovesciando nuovamente a favore dell’esecuzione dal vivo
il primato della novità” (F. Fabbri 2005).
La configurazione strutturale della musica è cambiata radicalmente a seguito delle nuove
tecnologie. La trasformazione fisico-immateriale può essere ben colta da questa sintetica
descrizione che ne evidenzia l’impatto sul modo di immaginare e fare musica: “Al posto degli
strumenti c’è un software in grado di simulare i suoni di un’intera orchestra, al posto del vecchio
registratore a cassette c’è un programma per computer che consente di avere sul proprio tavolo uno
studio di registrazione che non teme confronti con i grandi studi di Londra o New York. E al posto
delle case discografiche c’è Internet” (E. Assante 2005).
E’ auspicabile, tuttavia, che la moltiplicazione delle possibilità di ascoltare e trasmettere suoni
non porti alla saturazione di ogni ambiente vivibile, sottraendo all’arte la sua visione, e, di
conseguenza il suo fascino originario, la sua vocazione al divino: “Quando la musica era rara, il suo
richiamo era sconvolgente e la sua seduzione vertiginosa. Quando il richiamo è incessante, la
musica diviene repellente ed è il silenzio a divenire attraente e solenne” (P. Quignard 1996, p. 280).
La natura ha insegnato all’uomo la musica, nell’alternare canti e quiete su sfondi di bellezza. La
tecnologia, nel rendere terrificanti ordine e disordine, ha separato rumore e silenzio. All’uomo è
riservato l’eterno compito di trovare l’equilibrio tra il suo evolversi vorticoso e l’amoroso rispetto
per la preziosa voce, per i sovrumani silenzi della ‘madre’.
Sommario
Il settore fonografico sta vivendo una crisi i cui sintomi si identificano nel fenomeno della
pirateria, nel crollo dei consumi, nella caduta degli investimenti. Questi elementi concorrono ad
alimentare un circolo vizioso, che rende la situazione ancora più precaria.
Contemporaneamente il settore vive un periodo di cambiamenti decisivi tanto che le imprese
fonografiche, che sfruttavano barriere all’entrata da loro stesse create, solo ora iniziano a reagire,
dopo aver fatalmente subito gli eventi. I fattori che determinano il cambiamento sono le nuove
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tecnologie, la concorrenza allargata, il ruolo degli artisti, il comportamento del consumatore; in
questo ambito, gli operatori tradizionali devono confrontarsi con nuovi modi di concepire
distribuzione, promozione, nonché creazione e ‘consumo’ di un contenuto musicale.
Per le case discografiche, il problema strategico consiste, innanzitutto, nel combattere la
pirateria, e ciò attraverso iniziative istituzionali, tecnologiche ed educative. “Una pirateria che ora i
fonografici estendono dai soggetti via web ad altri soggetti, con peso ben superiore: chi non paga i
diritti per usare i brani come sottofondo nei negozi, radio e televisioni” (G. Chiodaroli – Presidente
Scf – 2005). Secondariamente, è necessario trasformare l’impatto derivante da detti fattori di
cambiamento da minaccia a opportunità. Su questi due punti, strettamente connessi, dovrebbero
vertere le linee strategiche delle imprese interessate.
Nel mercato fisico, è auspicabile rendere il prodotto più attraente e più ricco di contenuti,
come accade ora con i supporti digitali Dvd. Nel mercato strettamente digitale (fonogrammi come
files compressi), appare opportuna una collaborazione con i soggetti tecnologici entrati nel settore,
affinché i fonografici possano valorizzare i loro punti di forza, ovvero gli artisti, allestendo
un’offerta completa e di qualità. Il consumatore potrebbe così accedere ad un servizio
omnicomprensivo, dove sia possibile quella “esperienza musicale totale” che supera, assorbendola,
la concezione di musica come ‘prodotto’.
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Febbraio 2004
Valentino Gandolfi e Simone Marengo
- Università degli Studi di Parma-
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