Pubblicazione trimestrale del servizio volontario internazionale - Anno XXII - Febbraio 2008 - Sped. in abb. post.art. 20/c. - L. 662/96 - Fil. di Brescia Autorizz. del Tribunale di Brescia n° 64/89 del 12/02/1989 In caso di mancata consegna rinviare all’UFFICIO POSTALE DI BRESCIA CMP detentore del conto per la restituzione al mittente che si impegna a pagare la relativa tariffa. Servizio Volontario Internazionale esserci 01 Cambio di Stile Dossier Autosviluppo e autopromozione Terreno comune per un dialogo Il tesoro più prezioso Antropologia culturale e volontariato internazionale 03 esserci Editoriale Cambio di stile PROGETTI 04 News dall’Italia 1. 5 per mille 2. Volontari on the air 3. L’arte si fa pane 4. Abbiamo riso per una cosa seria 05 I progetti 05 Progetto “Brescia per il Mozambico” 05 Piove sull’asciutto 06 Intervista doppia 06 Senegal – La lunga attesa 07 Venezuela – Cambiamenti difficili 08 I progetti 08 Zambia – Una storia dalle lunghe radici 09 Zambia – News from Zambian Lands 10 Zambia – Quale indipendenza in Zambia? 11 Dossier 11 Autosviluppo e autopromozione 15 SVI Italia 15 Paniere solidale SVI – PAN.GAS.SVI. 16 Progetti 16 Uganda – E si prosegue il cammino 18 19 18 Diritti umani Terreno comune per un dialogo 19 Antropologia Antropologia culturale e volontariato internazionale 20 Globalizzazione 20 Offensiva dei Paesi africani contro l’UE Burundi Riottoso pre-scolar a Mivo 21 Ecologia 21 Il legname 22 Voci d’Oriente 22 Il tesoro più prezioso 23 Suggestioni Universal Mother La brava terrorista Il vento fa il suo giro www.inAfrica.it 24 Africa In copertina Sguardi curiosi sul futuro [ph De Carolis] Esserci a cura del Servizio Volontario Internazionale S.V.I. V.le Venezia, 116 25123 Brescia tel. 030 3367915 fax 030 3361763 http://www.svibrescia.it email: [email protected] Gruppo di redazione Direttore responsabile: Claudio Donneschi; Coordinamento di redazione: Sandro De Toni; Progetti: Area progetti, Commissione Zambia, Lidia Calì e Maurizio Pedercini, Gianpietro Gambirasio; Dossier: Mario Piazza; SVI Italia: Maria Teresa Resconi, Aldo Ungari; Diritti Umani: Federico Bonzi; Antropologia Culturale: Lia Guerrini; Globalizzazione: Gabriele Smussi; Ecologia: Gabriele Scalmana; Voci dall’Oriente: Rosario Manisera; Recensioni: Caterina Pedrana (cd), Federico Bonzi (libri), Paola Ghezzi (film), Nicoletta Quartini (web) – Editing: Federico Bonzi, Paola Ghezzi, Lia Guerrini, Nicoletta Quartini, Caterina Pedrana, Claudia Pisano, Terry Rizzini. Realizzazione grafica: Daniela Mena, Dominique Palumbo (impaginazione), Valentina Botturi, Alessandro Cucinelli, Elena Viscardi (progetto grafico), ddt (imaging). Tipografia: GAM - Rudiano (Bs) Come collaborare: CCP: 10236255 CC bancario n° 000000504030 Banca Etica - filiale di Brescia IBAN: IT02L0501811200000000504030 EDITORALE Cambio di stile Una differente veste grafica e nuove rubriche per Esserci. Diversa solo la forma o anche la sostanza. Esserci, intreccio di diversità [ph Serenelli] “Come?”, si sarà chiesto stupito qualche lettore, aprendo la rivista, “Anche Esserci si accoda all’esasperante rincorsa a nuovi look delle testate «vere»?”. In effetti la precedente formula grafica era in uso ormai da molto tempo. Ed era necessario introdurre innovazioni. L’impostazione che vedete è stata data avvalendosi della collaborazione di tre studenti dell’Accademia “S. Giulia” di Brescia (Valentina Botturi, che ha curato la copertina, Alessandro Cucinelli, che si è occupato delle pagine interne, ed Elena Viscardi, che ha avanzato proposte di dettaglio). Resta la scelta della stampa in monocromia (una grafica in quadricromia avrebbe comportato ben altri costi) e dell’adozione del seppia come colore di riferimento, a richiamare le tinte calde delle terre africane e latino-americane. E resta, pur nel costante tentativo di “stringere” i contributi, l’ampio spazio dedicato ai testi. Abbiamo preferito sacrificare parte dell’eleganza di alcune soluzioni grafiche che avevamo pensato per privilegiare la possibilità di far circolare idee, da sempre considerate importanti da parte di quanti sono in vario modo legati allo SVI. Per questo, e in seguito a due sondaggi condotti il primo tramite il sito www.svibrescia.it e il secondo tra i soci dell’organismo, abbiamo aumentato numero e tipologia delle rubriche. Accanto alle classiche “editoriale”, “intervista”, “news dall’Italia”, “progetti”, “dai volontari”, “globalizzazione”, “ecologia”, “voci d’oriente”, “suggestioni” compaiono “antropologia culturale” (con contributi sulle principali caratteristiche delle comunità presso le quali i volontari SVI intervengono), “diritti umani” (un tema finora a torto poco approfondito su queste pagine) e “SVI Italia” (la rubrica esisteva già in precedenza, ma sarà ora ampliata dando voce ai corsisti e a quanti si impegnano a favore dell’organismo in Italia). Novità assoluta il dossier, quattro pagine centrali dedicate all’approfondimento di questioni dibattute all’interno della tumultuosa comunità SVI. Il maggiore spazio garantito ad articoli a tema non andrà in competizione con i resoconti su quanto i volontari SVI stanno realizzando nelle varie azioni in cui sono impegnati, né con i loro racconti, a volte davvero stranianti, su quanto capita loro di vivere nei progetti. La narrazione e la riflessione sull’esperienza di vita sono considerate da molti uno dei punti di forza di Esserci “vecchio stile”. Per questo daremo più spazio possibile ai racconti in presa diretta, in forma di intervista. E per questo la rivista passa da 20 a 24 pagine. Costante resterà la cura a comunicare a quanti sostengono e finanziano l’organismo i risultati che il loro contributo permette di raggiungere, così come le problematicità che i volontari nei progetti e in Italia incontrano nel loro impegno. Non c’è evoluzione senza confronto e senza una considerazione lucida di quanto non è come si desidererebbe, perché possa essere migliorato. Certo, ci sarebbe molto da migliorare: caratteri più grandi e testi più leggibili, foto più belle, contributi di esperti che illuminino i comuni mortali sulle imperscrutabili vie della salvezza... E la redazione è sempre aperta a suggerimenti e idee che consentano di rendere la rivista più interessante e in linea con le aspettative di lettori e lettrici. Però pensiamo che sarà impossibile togliere ad Esserci la sua attuale forma di vago caos non del tutto sopito: la grafica non sarà mai perfetta, né le idee coerenti, armoniche e pacificate; qualcuno avrà sempre opinioni diverse da altri e le esprimerà ora in modo pacato, ora con voce più forte, quasi urlando. Del resto che cos’altro ci si potrebbe attendere da pagine frutto di una vasta e multiforme comunità alla ricerca, a volte faticosa, di un mondo diverso? La redazione NEWS VITA DELLO SVI 1 5 per mille Anche nel 2008 lo SVI è tra le ONLUS che, per provvedimento dell’Agenzia delle Entrate, potranno beneficiare del 5 per mille sulla dichiarazione dei redditi. Segnaliamo che nel 2006 hanno destinato il 5 per mille a favore dello SVI 780 contribuenti per un importo di € 24.096,88. Nel 2007 sono state 695 le persone che hanno scelto in tal senso. Mancano dati sull’importo corrispondente. Questa forma di contribuzione alle attività degli enti di volontariato è stata stabilita nell’ambito della legge 27 dicembre 2006, n. 296 e consente ai contribuenti di destinare una quota pari al 5 per mille dell’imposta sul reddito delle persone fisiche a finalità di interesse sociale con una semplice firma sulla dichiarazione dei redditi. I modelli per la dichiarazione (modello integrativo CUD 2007, del modello 730/1-bis redditi 2007 e del modello Unico persone fisiche 2007) presenteranno una sezione integrativa per indicare il codice fiscale dell’ente a cui si decide di destinare il 5 per 1000. Al momento della compilazione della dichiarazione, il contribuente può apporre la propria firma a fianco dell’opzione prescelta (nel caso degli organismi di volontariato come lo SVI, l’opzione è la casella “a”), e quindi, avendo scelto lo SVI come beneficiario, riportare il codice fiscale 80012670172. L’opportunità di contribuire con il 5 per mille è riservata alle sole persone fisiche e non alle società. L’iniziativa non si sovrappone alla scelta di destinazione dell’8 per mille. Info più dettagliate sul sito dell’Agenzia delle Entrate. La segreteria SVI è a disposizione per ulteriori chiarimenti. 2 Volontari on the air A fine dicembre Silvia Mora e Michele Vezzoli sono rientrati in Italia dopo aver concluso il loro servizio a Zurite (Perù). Ben tornati e... Buon reinserimento! 3 ni, miniature, scacchi e dame, vecchi giochi, vecchie bambole, carte geografiche, cartoline illustrate, ecc… L’oggetto troverà un appassionato amatore e riacquisterà nuova vita grazie alla generosità di chi lo avrà donato. Nella stessa sede della mostra mercato allestiremo anche il mercatino dei libri usati, sia vecchi che recenti, anche in lingua straniera. NON sono commerciabili libri scolastici. Molto graditi i libri d’arte, quelli con illustrazioni e quelli antichi. La raccolta degli oggetti, già iniziata, durerà fino a metà marzo. Info presso la Segreteria Tel 030. 3367915 – e mail [email protected] - c/a Stefano. L’arte si fa pane È in fase di lancio la tradizionale asta benefica a favore dei progetti SVI, che si terrà dal 12 al 20 aprile 2008 presso la sede SVI. Lo SVI anche quest’anno chiede la collaborazione, il sostegno e la solidarietà di tutti per organizzare l’evento. La richiesta ai lettori di Esserci è di donare un oggetto che magari giace dimenticato in qualche cassetto o soffitta. Va bene qualsiasi cosa purché abbia almeno 50 anni, sia in buono stato e sia vendibile. Può trattarsi di medaglie, monete, francobolli, banconote fuori corso, macchine fotografiche, grammofoni, radio, cineprese manuali, binocoli, ventagli, oggetti di rame, anelli, bicchieri, ricami, soprammobili, immaginette, avori, piccoli mobili, stampe, quadri, ceramiche, posate d’argento, tappeti, vecchi strumenti di lavoro, cornici, macchine da cucire a manovella, bastoni da passeggio dei non- 4 Abbiamo Riso per una cosa seria… Anche quest’anno lo SVI aderisce alla campagna nazionale della FOCSIV che si terrà sabato 12 e domenica 13 maggio 2007. In data che comunicheremo alla sede dello SVI si terrà un incontro con tutti i gruppi interessati e gli incaricati per organizzare al meglio la campagna. Abbiamo bisogno di aiuto. Chi intende darci una mano per la gestione delle postazioni di offerta del riso sul territorio della provincia può chiamare Stefano (0303367864 - 030-3367915) presso la segreteria SVI o inviare una email a [email protected], indicando come oggetto: collaborazione campagna “Abbiamo riso per una cosa seria”. PROGETTI BRESCIA PER IL MOZAMBICO Brescia si impegna per il Mozambico, con progetti di formazione, agricoltura e sviluppo. Secondo le Nazioni Unite il Mozambico è uno dei più poveri paesi al mondo. I dati sullo sviluppo umano collocano il Paese alla 168° posizione su 177. La condizione di povertà assoluta e il peggioramento dello stato di salute di una larga parte della popolazione mozambicana sono conseguenza dell’attuale livello di sviluppo socio-economico e al tempo stesso fattori che ne condizionano la crescita. La provincia di Inhambane, nel sud del paese, la settima per estensione, ha una popolazione di circa 1,2 milioni di abitanti, di cui circa il 56% donne, con il 43% della popolazione totale compresa fra 0 e 14 anni. I residenti delle aree rurali rappresentano l’80% del totale. L’agricoltura rimane l’attività economica più importante: i lavori sono eseguiti per lo più a mano dai membri delle famiglie, che non dispongono di mezzi meccanici e utilizzano tecniche rudimentali. Le ONG bresciane insieme al Centro Missionario Diocesano e a Cuore Amico Fraternità Onlus si sono unite per sviluppare un progetto consorziato di sviluppo nella zona. In particolare si sta studiando un intervento in ambito agricolo articolato a vari livelli. Le proposte prevedono un intervento di educazione formale in ambito agricolo (SCAIP) e uno di educazione informale nello stesso settore (SVI) nelle località di Mocodoene, Morrumbene, Maxixe. Si svolgerà anche un progetto di formazione di formatori (Fondazione Tovini) e un intervento di sviluppo socio sanitario (Medicus Mundi Italia) per la prevenzione del virus HIV/AIDS e alla trasmissione verticale dello stesso. PIOVE SULL’ ASCIUTTO… Le ONG bresciane si uniscono per portare l’acqua nei PVS. Fai piovere l’acqua dove non c’è! Una novità di inizio anno è il lancio dell’iniziativa “Piove sull’asciutto”, una campagna di sensibilizzazione al risparmio di acqua e di raccolta fondi promossa e realizzata, oltre che dallo SVI, da Gruppo ASM SpA, Fondazione TOVINI, Fondazione SIPEC, CUORE AMICO, MEDICUS MUNDI Italia e SCAIP. Queste realtà hanno unito le loro forze per “far piovere l’acqua” dove non c’è, aiutare comunità dei Paesi in via di sviluppo escluse dall’accesso ad acqua incontaminata, attraverso la realizzazione di fonti e reti per la sua erogazione. L’iniziativa, che promuove una sottoscrizione tra i cittadini, è stata avviata da una donazione pilota di ASM SpA: l’azienda, che si occupa di distribuzione idrica in Brescia e Provincia, ha devoluto al progetto un importo di 150.000 euro per il triennio 2007-2009. I fondi raccolti attraverso la mobilitazione dei cittadini verranno raddoppiati da un ulteriore contributo di ASM. Il concetto è quello di invitare e coinvolgere tutta la popolazione a ridurre il proprio consumo di acqua e a donare una parte del risparmio così ottenuto. Per informazioni sul sito http://www.piovesullasciutto.it troverete anche le realizzazioni e i progetti futuri di SVI nel settore dell’acqua potabile. SVI – Area progetti Per donazioni: Fondazione Sipec Onlus bresciane acqua per il terzo mondo c/c bancario 57590 – Banco di Brescia, Corso Martiri della Libertà, 13 – Brescia CIN: W – ABI: 03500 – CAB: 11200 Iban: IT63W0350011200000000057590 – Bic: BCABIT21 Rio Caronì, Ciudad Guayana (Venezuela) INTERVISTA INTERVISTA DOPPIA sENEGAL LA LUNGA ATTESA… “Il protrarsi della fase di riorganizzazione del centro sociale sta creando in noi un forte senso di inutilità”, afferma Cinzia Tarletti, volontaria SVI a Parcelles Assainies. Ci vuole una pazienza da cacciatori di scimmie. Che aria si respira in Senegal in questo periodo? Aria di festa. La tabaski e il Natale sono vicini. Anche gli ambulanti, che qualche settimana fa hanno protestato contro il presidente Wade, ora pensano soltanto a comprare il montone per festeggiare. Qual’ è la vostra giornata tipo? Attualmente il progetto si trova in una fase di stand-by. Prima lavoravamo al centro sociale ogni giorno; c’erano mille attività da seguire, contatti da cercare, persone da incontrare, riunioni a cui partecipare. Ora, da quando il comitato di gestione ha chiuso il centro in attesa di riorganizzare sia il personale sia le attività, diamo una mano in parrocchia e alle suore. Abbiamo sicuramente più tempo libero, ma spesso ci sentiamo inutili. Non ci resta che osservare ed aspettare. In gennaio il centro sociale dovrebbe riaprire, ma riusciremo a rimanere in secondo piano, senza agire? Il progetto ha avuto fasi positive? “Certo: (...) i rapporti umani che abbiamo instaurato...” ha esortato anche ad essere molto zione più stretta e, a volte, anche di chiari e decisi con il comitato. risposte immediate. Il progetto ha avuto fasi positive? Certamente: il concorso della biblioteca organizzato con le scuole, il weekend culturale, il corso di formazione con le donne, le attività dei ragazzi della parrocchia, la collaborazione col comitato di gestione. I rapporti umani che abbiamo instaurato Vi capita di avere momenti bui? In questo secondo anno è capitato sono un aspetto molto importante. spesso. È stato difficile analizzare quello che stava succedendo, capi- Come valutate il vostro rapporto re che senza il coinvolgimento della con lo SVI in Italia? comunità il progetto non aveva un Lo SVI può contare solo su volontari, senso. È stato faticoso formare il co- il consiglio deve seguire molti promitato di gestione e doloroso affron- getti e la commissione si riunisce tare la reazione dei collaboratori che una volta al mese. Ma quando si vive non condividevano i cambiamenti ogni momento della giornata in un proposti. Solo padre Flavio ci ha so- contesto complesso come la perifestenuti. È stato pesante restare iner- ria di Dakar dove, per essere efficienti ti in attesa delle decisioni. Ci siamo ed efficaci, oltre ad una conoscenza chiesti spesso se aveva ancora senso approfondita della realtà locale serrestare. Suor Roberta, che ci ha sem- vono anche competenze specifiche, pre spronato ad essere pazienti, ci si avrebbe bisogno di una collabora Pensate di dare continuità al vostro impegno, una volta conclusa la vostra esperienza di volontariato internazionale? Ognuno di noi a suo modo continuerà a lottare per un mondo migliore, in Senegal, in Italia, altrove nel mondo... Ognuno con il suo progetto, con i suoi sogni. C’è un proverbio o un detto della comunità presso cui operate che si addice al vostro stato d’animo attuale? Ndank ndank mooy japp golo ci ňaay, lentamente acchiappi la scimmia nella foresta, ossia ci vuole pazienza per raggiungere un obiettivo. Tanta, tanta pazienza! Cinzia Tarletti Domande a cura della redazione INTERVISTA INTERVISTA DOPPIA Venezuela cambiamenti difficili... “Sempre più crediamo che il nostro sia un lavoro di relazioni. Spesso abbiamo bisogno di raccontarci ad alta voce”, scrivono Marina Moreni e Mario De Carolis da Las Amazonas. La partecipazione è processo di cui non sempre è facile vedere gli esiti. L’Italia di oggi è descritta dal New York Times come un paese depresso, bloccato, incapace di cambiare, poco vitale. Che aria si respira in Venezuela in questo periodo? Il New York Times per una volta ha ragione. Ci sembra invece che giornali e giornalisti italiani ed europei non si occupino affatto di ciò che sta succedendo in Italia, in Venezuela e in America Latina più in generale. Le elezioni venezuelane del 2006, la nascita di un partito socialista, il problema dell’informazione pubblica, la strutturazione dei consejos comunales e la recente operazione Humanitaria sono notizie trattate con sospetta superficialità. La situazione è complessa, i cambiamenti lenti e contraddittori, il lavoro di animazione difficile, a volte frustrante. Ciudad Guayana è la sintesi di tutti i conflitti presenti in Venezuela: inquinamento, sfruttamento, lavoro precario, estrema povertà, ricchezza di pochi, corruzione e delinquenza… Come volontari agiamo senza nessun riconoscimento: la visa di cortesia non ci tutela. Non siamo legittimati a compiere alcuna lavoro con il gruppo di taglio e cuciazione, questo é il vero pericolo che to, prosegue l’analisi partecipata per corriamo qui. individuare dove animare il prossimo intervento. Qual è la vostra giornata tipo, in questa fase del progetto? Vi capita di avere momenti bui, duNella vita quotidiana non c’è niente rante il vostro servizio? Se e quanche si ripeta uguale. do capitano, come li superate? Rispetto a questo ora ci sentiamo Sempre più crediamo che il nostro meno bloccati, abbiamo molta vo- sia un lavoro di relazioni. Spesso abglia di cambiare. E molto si è cam- biamo bisogno di raccontarci ad alta biati. voce. Le storie dei vicini, il crescere Le “visioni” di Rosa, di Hendrix e Pe- dei nostri figli, i conflitti, gli scontri dro ci aiutano a rompere gli schemi, e gli incontri ci servono a smussare a cambiare punto di vista e di azio- gli spigoli, a rompere i margini senza ne. La vita del barrio ci ricorda che la perdere la nostra identità. partecipazione è un processo e non una soluzione. Da ottobre le due Come valutate il vostro rapporto equipo lavorano in parallelo e, con con il consiglio, la segreteria, la la coordinazione di Laura [Crawford, commissione e, più in generale, con responsabile di progetto, NdR], ogni lo SVI in Italia? attività è presentata e discussa nel Ci piace sempre pensare allo SVI grupo de coordinación general SVI come ad un corpo con mille anime; en Venezuela (Rosa, Hendrix, Pedro, e a chi è volontario in Italia raccoLaura, Máximo, Marina, Mario). mandiamo di mettere in azione le In dicembre si é conclusa la prima stesse dinamiche che si richiedono parte del progetto in Las Amazonas. ai volontari espatriati. In gennaio si inizia a scrivere il progetto futuro. A Las Batallas, oltre al E, per concludere, un proverbio o un detto caratteristico della comunità presso cui operate... Perro que cóme manteca méte la lengua en tapara. Chi ha cattive abitudini cerca sempre situazioni per applicarle. I cambiamenti sono sempre difficili da praticare. Marina Moreni e Mario De Carolis Domande a cura della redazione “Sempre più crediamo che il nostro sia un lavoro di relazioni...” Una storia PROGETTI dalle lunghe radici Supporto a una cooperativa di profughi rwandesi e burundesi e animazione rurale presso la locale comunità kaonde: queste le attività principali dei due poli del progetto: Meheba e Matebo-Mumena. L’équipe di Mumena-Matebo: al centro Gahimbare Maria Goretti, a sx Lidia Calì, in alto Maurizio Pedercini e a dx Alberto Rocco Il polo di Meheba Il primo progetto SVI in Zambia aveva l’obiettivo di rendere autonoma una cooperativa agricola di rifugiati rwandesi e burundesi (MRCU) formatasi spontaneamente all’interno del campo profughi di Meheba. I volontari hanno cercato di fare in modo che la cooperativa fosse in grado di favorire la nascita di altri gruppi produttivi all’interno del campo. L’azione prevedeva solo vi Mumena-Matebo Obiettivo Al termine dell’intervento si auspica un miglioramento delle condizioni di vita della popolazione attraverso l’applicazione di tecnologie agro-pastorali appropriate e sostenibili site periodiche, nel corso delle quali membri della Commissione Rwanda e responsabili della cooperativa MRCU negoziavano assieme gli obiettivi da raggiungere e le azioni da realizzare. Lo SVI si impegnava a supportare la programmazione e a finanziare le attività. Il polo di Mumena - Matebo Il progetto mira al miglioramento delle competenze agro-zootecniche, all’au- Azione Progettare l’azione in modo partecipato; Differenziare la produzione agricola e zootecnica; Introdurre attività redditizie compatibili con l’ambiente (piscicoltura, allevamento di maiali, coltivazione di riso, soia, manioca, fagioli); mento delle fonti di acqua potabile, all’attivazione di gruppi di cooperazione e al miglioramento dell’habitat attraverso attività di microcredito, scavo di pozzi e formazione sul campo con l’ausilio di facilitatori rwandesi, burundesi e locali. Le azioni proposte nel progetto sono frutto di un’indagine partecipata su problemi avvertiti e risorse attivabili condotta presso le comunità dell’area interessata. Il progetto formerà e supporterà la popolazione nelle aree di Mumena e Matebo puntando al miglioramento della produzione di cibo, allo sviluppo di fonti alternative di reddito e al miglioramento dell’habitat. Queste le attività previste: formazione in campo agro-zootecnico e al piccolo commercio, scavo di pozzi, l’introduzione della fabbricazione e dell’uso dei coppi, l’istituzione di fondi di rotazione e di sistemi di microcredito. Le attività mirano ad assicurare la gestione autonoma delle risorse disponibili da parte della popolazione coinvolta e a garantirne nel lungo periodo la sovranità alimentare. Per questo lo SVI punta alla formazione di persone e di gruppi che si possano assumere la responsabilità della conduzione autonoma delle azioni di sviluppo intraprese. La Commissione Zambia Migliorare i metodi di copertura delle case; Creare un’organizzazione comunitaria di base per la prosecuzione delle attività a progetto concluso. I Volontari Maria Gahimbare Goretti, Lidia Calì e Maurizio Pedercini, Alberto Rocco PROGETTI NEWS FROM ZAMBIAN LANDS I volontari incontrano le comunità: il via alla stesura del progetto. tante e critica di ogni progetto, durante la quale le attività vengono decise insieme alle comunità coinvolte. La popolazione è divisa in circa 40 gruppi, rappresentati da capi, spesso anziani, nominati dal chief locale (Re Mumena o Re Matebo). Per raggiungere tutti i gruppi, si devono percorrere molte decine di km su terreni accidentati nei boschi. Gli incontri hanno come primo scopo far parlare la gente di sé, esprimendo liberamente un’opinione sui propri disagi. Non ci sono sale congressi o auditorium; la gente arriva dai villaggi sparsi nei boschi e si siede su qualche sgabello, tronco, pietra, le donne stendono le loro stuoie per terra. Ed ecco creato il “tavolo della riunione”. Qualcuno apre con una preghiera, poi l’introduzione del capo villaggio e il rituale delle presentazioni: ora si può cominciare. Ma per ascoltare tutti, non possiamo ignorare l’esistenza di un intreccio di gerarchie (tra giovani ed anziani, per esempio); per questo ci dividiamo in piccoli gruppi, all’interno dei quali ascoltiamo e chiediamo dettagli sui maggiori problemi che affliggono le persone. Spesso ci troviamo di fronte a richieste disperate di aiuto e assistenza, come se il nostro arrivo fosse riconosciuto come una risposta a preghiere rivolte a Dio. In molti casi abbiamo riscontrato che le informazioni vengono nascoste: le persone a volte si fingono ignoranti, ad esempio su come trattare l’acqua prima di berla o come utilizzare il concime, forse per timore di perdere il nostro aiuto (magari anche solo un pozzo o fertilizzante chimico), se dovessero dirci di conoscere già queste cose. In effetti non è nostra intenzione agire in questo modo: AREA micro vogliamo andare a fondo su quello che serve davvero Micro 1 – Obiettivo biblioteca comunitaria alla gente, e non vogliamo essere noi a dirlo; vogliamo La biblioteca della comunità avrà aiutare la gente a fare ciò che essa è disposta a fare, e una più ampia dotazione di libri. non proporre quello che vogliamo noi. Questo significa Acquisto libri (2008) € 500 non comportarsi da sportello per l’assistenzialismo, ma lavorare per far crescere le persone ed incoraggiarle inMicro 2 – Obiettivo necessità dei vulnerabili nanzitutto a impegnarsi per la propria comunità e penAlcuni poveri senza famiglia (disabili, anziani, orfasare a soluzioni sostenibili. ni) avranno supporto in casi di emergenza. Fondo caritativo (2008) € 1.500 Lidia Calì e Maurizio Pedercini Dopo molti mesi di silenzio siamo di nuovo qui a raccontarvi di questo Zambia e della sua gente, che tra un episodio e l’altro non smette mai di sorprenderci. Ma lo stupore ora ha anche un’altra fonte: la consapevolezza che a fine febbraio 2008, un mini-Pedercini animerà la nostra vita a Mutanda. Questo ci fa quotidianamente riflettere sulla magia del diventare genitori. Una delle maggiori sfide di questo periodo rimane la ricercaazione intrapresa con le comunità del grande territorio di Mumena e Matebo, con lo scopo di scrivere una proposta di progetto da presentare ad enti finanziatori. È la fase più impor- Micro 3 – Obiettivo borse di studio Alcuni giovani orfani saranno iscritti alle scuole medie inferiori. Borse di studio (2008) € 4.500 P.S. Una ragazza della scuola superiore di Mutanda ci chiede se ci sia qualcuno che voglia iniziare un rapporto di corrispondenza a distanza con lei… QUALE INDIPENDENZA PROGETTI IN ZAMBIA? Questo è il titolo della monografia scritta da Gabriele Smussi sul Paese africano che ospita il progetto SVI di MumenaMatebo. Il testo è disponibile presso la segreteria SVI al costo di 15 €. In questa pagina Esserci ospita uno stralcio della nota introduttiva. Lo Zambia è un paese africano che non gode delle prime pagine dei giornali, sia nazionali sia esteri, preoccupati di destinare il loro spazio soprattutto a catastrofi, guerre tribali e fatti sensazionali, privilegiando lo straordinario rispetto all’ordinario. Suscita interesse solo per le sue attrazioni turistiche. Terreno privilegiato delle spedizioni di David Livingstone nel XIX secolo, lo Zambia (ex Rhodesia del Nord) nasconde i suoi villaggi in un territorio nel quale coabita tutto quello che è uscito dall’arca di Noè. Nel cuore della savana, i villaggi di capanne di paglia e di terracotta spesso sono attraversati da gruppi di piccole giraffe e d’ippopotami. Il paese (752.614 km2, quando la superficie dell’Italia è di 301.225 km2) è un deserto verde ed anche uno dei meno popolati dell’Africa (11,6 milioni di abitanti nel 2005), con soli 13 abitanti per km2. Lo Zambia è un puzzle: sono state recensite 73 etnie e 272 capi tribali; e la sua terra non si vende, ma si negozia. Disperse in tutto il paese, lussuose proprietà dagli anni 1950 accolgono i turisti per safari dove l’osservazione ha sostituito la caccia. La fauna è un patrimonio in pericolo, ma anche una posta molto importante per un paese che tenta di aprirsi verso l’esterno. Se la terra appartiene alle tribù, dalla colonizzazione britannica le sue risorse sono rimaste in mano ad alcuni benestanti, industriali e politici. “I due terzi della popolazione sopravvivono con meno di un dollaro al giorno, 10 mentre un bufalo al mercato nero di Lusaka si negozia a 600 dollari”, spiegava su Le Monde del 10 febbraio 2007 Mark Harvey, proprietario del lodge di Kapysha. “Nel 1964, all’indipendenza del paese, eravamo uno dei più ricchi paesi africani. Oggi siamo fra i più poveri”. Classificato, secondo l’Indice di Sviluppo Umano della Banca Mondiale nel 2004, al 164° posto su 175, sembra che lo Zambia abbia voltato le spalle allo sviluppo. Nel 2006 il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e la Banca Mondiale hanno approvato l’annullo del suo debito. La popolazione sparsa sul territorio si è ormai urbanizzata, concentrandosi a Livingstone e Lusaka, la vecchia e la nuova capitale, e nel Copperbelt, dove sono raggruppate le produttive miniere di rame, di cui lo Zambia è il quarto produttore mondiale. Dappertutto nel paese ogni famiglia ha un fratello, un figlio, uno zio che è partito a cercare lavoro nella zona mineraria del Copperbelt. Secondo esportatore mondiale di rame e quarto di cobalto, lo Zambia appartiene a quei paesi ricchi che non hanno mai realmente approfittato delle loro risorse. Il prezzo del rame batte i record, più di 6.100 dollari la tonnellata, ma come ricordava Mark Harvey, “il prezzo di un bufalo ha spesso più valore di quello di un uomo!”. Il presente lavoro si propone di presentare una serie di informazioni che consentano al lettore di avvicinarsi a questo paese dell’Africa australe con maggior ragione di causa ed è stato predisposto in modo particolare per chi, per una ragione o per l’altra, è interessato ad approfondire le sue diverse problematiche. Spesso, poi, ho approfittato del “caso Zambia” come trampolino di lancio per accennare od affrontare tematiche più generali. Se contribuirà, anche minimamente, a chiarire qualche dubbio ed a stimolare la ricerca e l’approfondimento, il suo scopo sarà stato raggiunto. Gabriele Smussi Victoria Falls DOSSIER AUTOSVILUPPO ED AUTOPROMOZIONE Per dare un quadro di sfondo ai successivi dossier tematici, il primo contributo di Esserci nuovo formato è un approfondimento di Mario Piazza, direttore dell’équipe di formazione, sul concetto di autopromozione, un argomento su cui il dibattito in questi ultimi mesi si è fatto via via più forte all’interno dello SVI. Mi sono trovato a cercare un senso nei resoconti di decine di volontari rientrati e in servizio che raccontavano dei loro tentativi di attivare processi di autosviluppo in comunità del sud del mondo, fra mille difficoltà e con esiti non sempre correlati alla buona volontà. Su questa azione positiva della volontà si sofferma la riflessione di queste righe. Non perché non contino i fattori esterni all’azione; anzi la loro influenza è esorbitante: presente e passato di una data popolazione e di un determinato problema vanno sicuramente conosciuti a fondo. Ma è altrettanto vero che si rintracciano alcune costanti di stile o di metodo fra i diversi interventi; su queste formulerò alcune - sempre ridiscutibili - generalizzazioni. Autopromozione e intervento esterno I due concetti sembrerebbero in contraddizione fra loro. Ma non è forse situazione analoga a quella in cui si trova ogni genitore, ogni insegnante, ogni terapeuta, ogni dirigente che tiene allo sviluppo dei suoi uomini, ogni politico cui stia a cuore l’emancipazione o anche solo l’impegno appassionato di chi lo sostiene? Aiutare, informare, favorire, correggere, stimolare sono verbi la cui declinazione si concretizza in un intervento che corre sul filo di un rasoio: da un lato il rischio di negare assistenza a chi non ce la fa da solo, dall’altro il sostituirsi a chi potrebbe far da sé mobilitando risorse nascoste ed inattese. La povertà di mezzi e competenze spesso ci aiuta o ci costringe ad essere rigorosi in tale percorso; ma autopromotivi si è per scelta metodologica, e quindi filosofica: e lo si può essere o no nella povertà come nella ricchezza di mezzi o di competenze. Spesso ci capitano volon- tari con elevate specializzazioni; a volte ci viene accolta una richiesta di finanziamento. In entrambi i casi l’espressione della nostra ricchezza non deve inibire lo sforzo altrui di crescere. Che cosa è lo sviluppo? Nel linguaggio corrente politico/ giornalistico, per sviluppo si intende “l’aumento dei beni materiali, della loro produzione e del loro consumo”, senza considerare i beni immateriali, né i limiti del pianeta nei suoi delicati equilibri compromessi da una crescita indefinita. Con maggior completezza, il programma delle Nazioni Unite sullo sviluppo umano scrive che “... il fine dello sviluppo è di creare un ambiente idoneo per le persone, affinché possano godere di una vita lunga, salutare e creativa...”. L’indice di sviluppo umano si basa su variabili che comprendono non solo Partecipazione: attorno a un tavolo per discutere di problemi comuni (incontro tra volontari SVI in America Latina 2006, San Felix, Venezuela) 11 DOSSIER il reddito per abitante, ma anche la speranza di vita alla nascita, le condizioni di salute, il livello di istruzione, la diffusione dei mezzi di comunicazione, ecc.. Possiamo quindi definire sviluppo “il processo tramite il quale una società si costruisce a partire dalle risorse che ha a disposizione: ricchezza naturale, infrastrutture, storia ed esperienza del popolo, capacità, tecnologie, ecc.”. Infatti i benefici di cui parlano le Nazioni Unite hanno ricadute sulla vita dei singoli individui; ma la loro acquisizione passa attraverso il modo in cui una comunità umana riesce ad organizzarsi, fra potenzialità e limiti storici e geografici. In questo senso il concetto di sviluppo incontra quello di cultura, intesa come il patrimonio comune di conoscenze e valori formatosi nella storia. Non ci sogneremmo mai di giudicare sottosviluppata la società greca del periodo di Pericle (la cui letteratura e filosofia è oggetto di studio nei nostri licei) benché afflitta da guerre, limitatezza tecnologica, pre- giudizi sociali e loro conseguenze; allo stesso modo dovremmo essere prudenti nell’etichettare con leggerezza come sottosviluppate le comunità diverse dalla nostra. Le definizioni di sviluppo e sottosviluppo possono in buona misura apparire relativistiche: la percezione di inadeguatezza di chi non ce la fa nasce dal confronto sulla risoluzione di problemi. Analogamente chi non ha diritti riconosciuti ne prende coscienza confrontandosi con chi ne gode, e si interroga sui meccanismi che lo escludono. Questo confronto avviene grazie al contatto con la diversità culturale. In un mondo divenuto piccolo e globalizzato ciò avviene in continuazione: l’isolamento è quasi impossibile. Spinte al cambiamento (e autoritarie difese da esso) sono pertanto situazione comune. Una di queste spinte è attiva anche dall’interno: una generazione rispetto ad un’altra può avere accesso a risorse ed informazioni prima indisponibili. Si crea in tal modo una discontinuità che ridiscute le soluzioni preceden- ti e modifica o abbandona tradizioni. Le società umane evolvono. A contatto con una cultura molto lontana dalla nostra dovremmo saper cogliere queste evoluzioni. Che cosa è autopromozione? Lo sviluppo ha a che fare con la costruzione e la crescita di una società; quindi i meccanismi decisionali interni ad essa influenzano lo sviluppo. Chi decide le priorità nei problemi di una popolazione o di un paese? L’esclusione dalla sovranità di vaste fasce sociali di una popolazione comporta uno sviluppo parziale. A questo livello si gioca il significato di un aiuto internazionale. In situazione di emergenza non vi è dubbio alcuno sulle priorità; in tutti gli altri casi un aiuto non concordato è un’imposizione. Poiché quasi nessuno ha forza sufficiente per rifiutare un aiuto, il donatore impone di che cosa ci si deve occupare e come farlo. A partire da riflessioni analoghe a questa si giunge a concepire di L’autopromozione è affidare al beneficiario il ruolo di decisore... 12 DOSSIER Metodologia: instaurare relazioni di dialogo, scambio interculturale porre il beneficiario al centro delle decisioni da prendere. L’autopromozione non è altro che affidare al beneficiario il ruolo di decisore rispetto a priorità, luogo, tempi di intervento e di cambiamento. Fin dai tempi dei conquistadores che regalavano specchietti e collanine per ottenere fiducia e quindi libero accesso a risorse ben più preziose, il dono non ha mai dismesso la sua natura ambigua. Quando l’autopromozione? Innanzitutto potremmo chiederci quando essa non è utile. Abbiamo in parte risposto parlando di emergenza. Aggiungiamo: le situazioni in cui occorre formazione, consulenza, assistenza con servizi costosi; in questi casi sembrano inevitabili interventi assistenziali (citiamo come paradigmatico l’esempio dei livelli minimi di assistenza sanitaria). Allo stesso modo laddove si sottostimino gravità e urgenza di certi problemi sembra non servire l’autopromozione, ma interventi sensibilizzativi (pensiamo a titolo di esempio all’importanza di convincere alla potabilizzazione l’acqua o ad aderire a campagne vaccinali o a mandare i bimbi alle scuole primarie). In realtà, pure nelle situazioni appena citate in cui appare utile una azione sensibilizzativa o assistenziale, può essere comunque concepito un intervento autopromotivo se si ha tempo a sufficienza per dedicarvisi; ad esempio sostenendo un piccolo gruppo già sensibile ad un problema su cui si vorrebbe diffondere attenzione o aiutando un’équipe di persone competenti che gestiscono un servizio assistenziale così che lo facciano nel modo migliore. Rischi Nel definire che cosa è emergenza dobbiamo innanzitutto imparare a correggere percezioni fuorviate derivanti dal raffronto col nostro stile di vita. Quindi sembrerebbe ovvio affidarsi ai beneficiari. Ma chi fra i beneficiari si assume la responsabilità di rifiutare un rapido ricco aiuto a favore di un intervento diluito nel tempo, per dar modo ad una popolazione di partecipare alle decisioni circa le priorità? Non è scontato che la risposta a questa domanda sia “l’autorità locale” oppure “un’élite locale”: è probabile che tali soggetti, pur di non perdere un’opportunità, garantiscano la correttezza nella gestione dei beni. Ma l’esperienza ci insegna prudenza. In Karamoja abbiamo visto nascere una mafia nella gestione di aiuti internazionali. In Burundi la affrettata programmazione di un autorevole donatore lo portava a “regalare” beni ad una comunità batwa, distruggendo quel che i nostri volontari faticosamente da anni stavano cercando di costruire in termini di relazioni sociali ed organizzazione. In Perù e in Senegal i collaboratori locali più diretti intendevano la corresponsabilità nella gestione delle strutture del progetto come arricchimento personale. Sono pertanto possibili conseguenze indesiderate ad una miope generosità. Per questo si impone da parte dei donatori un’accortezza ed un’intelligenza che non coincide con i semplici impulsi di un cuore generoso. Lavorare a favore dell’autopromozione implica farsi “facilitatore” di tale processo, il che comporta una preparazione personale ed orga13 DOSSIER nizzativa, assumendo atteggiamenti non sostitutivi e adottando strategie che aiutino chi non ha voce a divenire soggetto sociale rispettato ed ascoltato. Si delineano in queste poche righe i tratti di una filosofia di intervento che spinge a discernere fra le situazioni (fra emergenza e no), fra gli interlocutori (élite potenti ed emarginati) e a governare il nostro impulso a ricevere la gratificazione che il ruolo di donatore regala a chi lo assume. Come fare autopromozione? Vi è autopromozione se sono i beneficiari più bisognosi a decidere le priorità. Ma una delle maggiori povertà di questi purtroppo è quella di non essere abituati a prendere decisioni con implicazioni a medio/lungo termine: in genere queste persone hanno di che arrivare a sera; e qualsiasi aiuto essi ricevano viene gestito nel medesimo arco temporale. In questo caso il donatore ha il compito nel compito di riuscire a concepire percorsi che aiutino il beneficiario a divenire soggetto in grado di prendere decisioni e non di subirle. La più semplice strategia applicabile in questo caso consiste nell’appoggiare contesti decisionali esistenti: i gruppi, le organizzazioni, le comunità, i villaggi, le cooperative, le associazioni… tutto ciò che riunisce le persone attorno a problemi e alle decisioni per uscirne. Talvolta l’isolamento, impedendo il sorgere naturale di tali soggetti sociali, costituisce il problema principale. Ne sono esempi la dispersione dei contadini in estese aree rurali, ma pure l’immensa densità di una periferia urbana in cui l’incapacità di ciascuno a far fronte alle necessità di base viene vissuta come una sconfitta personale e non come un problema su cui unirsi. In questi casi il compito del facilitatore dell’autopromozione è aiutare a far nascere gruppi, ossia ambiti in cui i bisogni non siano più una disgrazia individuale, ma pro14 blemi, oggetto di confronto, scambio di riflessioni e risorse. Far nascere e crescere gruppi ed organizzazioni popolari non è compito di pochi mesi; ma il suo valore è di assoluta rilevanza per un processo autopromotivo che produca effetti ben oltre la durata di un aiuto esterno. In un piccolo gruppo si può prendere coscienza di un problema ed aprirsi alla possibilità di un eventuale cambiamento. Il piccolo gruppo è il contesto in cui ognuno può imparare ad esprimersi e quindi ad influenzare gli altri, riconoscendosi dotato di potere in relazione ai cambiamenti da affrontare. Un piccolo gruppo è destinato a durare nel tempo quale freccia scagliata nel futuro, poiché, se sufficientemente consolidato, è in grado di sostituire chi per qualche motivo viene a mancare. Infine i piccoli gruppi possono essere cellule di organizzazioni capaci di porsi problemi di livello superiore, riguardanti lo sviluppo di un’area regionale. percorso verso lo sviluppo è quanto lo SVI ha cercato e sta cercando di fare al meglio delle proprie possibilità. È una strada che concretizza ed organizza, di fatto, l’attenzione e il rispetto per le persone che l’ispirazione cristiana ci stimola a mantenere: quando una persona sta parlando, per lei il tempo si ferma finché non ha espresso tutto ciò che voleva dire. Fare gruppo è dare importanza alle persone, fermare il tempo, annullare la fretta. Del resto l’umanità dovrà fronteggiare per il futuro problemi di dimensioni tali che richiederanno una guida sempre più unitaria e centralizzata, ma in un mondo globalizzato il potere degli individui di dire no si accrescerà inevitabilmente (si pensi al peso immenso di piccoli gruppi terroristici). Pertanto nessuna direttiva potrà avere efficacia se non si troverà il modo di far partecipare chi deve attuare i cambiamenti. Mario Piazza Conclusioni Lavorare per la crescita di comunità in grado di determinare il proprio World Social Forum 2006: il laboratorio proposto dallo SVI e da JOC Venezuela SVI ITALIA Paniere solidale Svi - PAN.GAS.SVI. Se qualcuno ha ancora l’abitudine di guardare le stelle potrà scoprire una nuova costellazione. Il suo nome è Solidale. Una delle stelle che la compongono, piccola, quasi invisibile a occhio nudo, si chiama GAS (Gruppo Acquisto Solidale). Le altre della stessa costellazione, che per la verità è molto ai margini della volta celeste, si chiamano con nomi strani come CeS, TuRes, MAG (commercio equo e solidale, turismo responsabile, mutua auto gestita), Bilanci di giustizia, Consumo critico, Finanza etica. Vuoi “Esserci” anche tu? Gruppi di Acquisto Solidale: un ponte diretto tra produttore e consumatore Lo scorso anno, volendo fare 30 regalucci ad altrettante persone, ho pensato di donare loro un piccolo paniere con i prodotti del GAS di Calvagese. Ebbene, parecchie persone hanno trovato che i formaggi, la pasta biologica, integrale e al kamut, il vino, l’olio, le salse di pomodoro, il miele, i salami ed altri prodotti erano molto buoni. Mi hanno chiesto se potevo procurarne ancora, a pagamento. Così è nato il PanGas che ha sede allo SVI. Per tentare di farmi capire un po’ meglio trascrivo alcuni messaggi che in questi mesi ho messo nei panieri (robuste sporte di carta riciclata). 1. “Il PAN.GAS.SVI si propone di fornire a prezzi vantaggiosi prodotti ottenuti nel rispetto dell’ambiente. Non mira a nessun profitto dei promotori, ma fa risparmiare i consumatori. Come tutti i GAS d’Italia, si limita a coprire i costi: neanche un centesimo in più! Il rapporto qualità-prezzo è decisamente buono. L’agricoltura biologica, con il suo modo lieve di trattare Madre Terra è un tassello del mosaico che ha per disegno complessivo la salvaguardia del Creato. Alcuni prodotti di piccole aziende, anche se non sono biologici, hanno il pregio di essere artigianali, genuini, confezionati da ditte locali, quindi senza dispendio di energia dovuta ai lunghi trasporti. Assai bella è anche la combinazione fra GAS e CES. Fra loro non c’è rivalità o concorrenza, entrambi concorrono al medesimo scopo: favorire i piccoli produttori e avvantaggiare i consumatori. Insomma fare acquisti con PAN.GAS. SVI è utile per sé e per l’ambiente”. 2.“Non dimenticare che NON siamo commercianti, ma volontari e quindi può verificarsi che un prodotto giunga in ritardo o sia esaurito... Ti chiedo di entrare nello spirito del GAS, che non è lasciato all’improvvisazione, ma non può avere una funzionalità rigida... Ricorda sempre che il tuo acquisto, per quanto piccolo, consente di migliorare l’ambiente. Non facciamo beneficenza ma facciamo una cosa utile... Ti chiediamo un po’ di tolleranza perché il nostro rapporto non è commerciale ma “commensale”, un vincolo amica- le con un risvolto concreto”. 3. “NON serve lo scontrino fiscale perché l’acquisto di gruppo è documentato dalle fatture conservate agli atti del GAS di Calvagese. Questo nel rigoroso rispetto della legge. Giuridicamente si tratta di acquisto collettivo. Poiché non viene fatto alcun ricarico il GAS non fa attività commerciale. Non si paga nulla in più del costo delle merci, ci si dà una mano a vicenda. Le telefonate, i fax, e le altre spese vive sono un omaggio di chi ha la gioia di poterlo fare o dello SVI”. Concludendo, e rubo il concetto al prof. Leonardo Becchetti dell’Università di Roma, anche i GAS, come il Commercio equo e la Finanza etica non hanno un semplice valore di nicchia ma manifestano la tendenza a porre al centro dell’agire economico il valore delle relazioni interpersonali piuttosto che l’utilitarismo individualista. Vuoi “Esserci” anche tu nel PAN.GAS. SVI? Telefonaci. Aldo Ungari e Mariateresa Rubagotti 15 E SI PROSEGUE PROGETTI IL CAMMINO! Relazione dei primi sei mesi di volontario SVI in Uganda di Gianpietro Gambirasio, partito per Iriiri nel maggio 2007. Maggio e giugno 2007: si parte, si torna… e si riparte! Partenza in fretta e furia, con il MAE che vuole un volontario in Uganda entro il 20 maggio 2007 e con i miei studi che mi vogliono a Brescia il 28 giugno 2007. Decido, con Federica, di fare una visita di tre settimane al progetto, per poi tornarvi a luglio. L’impatto iniziale è stato soft: oltre a sapere di star lì solo tre settimane, non mi ero costruito nessuna aspettativa riguardo a Iriiri. Una toccata e fuga non è certo il massimo per il volontario, e soprattutto per la comunità che si vede arrivare un nuovo volontario che parte subito. Tuttavia credo che una pre-visita sia importante, fosse solo per partire più sereni. Un volontario convinto rimane tale anche se in una eventuale pre-visita vive un impatto-scontro con il contesto in cui si troverà ad operare. Luglio e agosto 2007: Kampala, la bella e viva capitale ugandese. Sono stato a Kampala per un intenso corso di inglese; non mi sono annoiato. Le lezioni occupavano solo la mattinata; e nel pomeriggio giravo Kampala per commissioni varie. È stato un breve e intenso periodo, ma positivo. Vivendo insieme, Claudio, Lucia ed io abbiamo iniziato un ottimo rapporto di dialogo e comunicazione. Mi sono adattato alla guida all’inglese (viaggiare sulla corsia di sinistra) e alla guida all’ugandese (non c’è un vero e proprio codice della strada che i guidatori rispettano), riuscendo ad orientarmi. Ho conosciuto altri italiani (e soprattutto italiane) che vivono a Kampala e che lavorano per altre ONG. Ho iniziato così a intessere la mia rete di relazioni con l’intenzione di allargarla il più possibile, sia perché mi servirà per ammortizzare eventuali cadute morali, sia perché credo che la ricchezza di un uomo stia nella qualità e nella quantità delle relazioni che costruisce durante la sua vita. Il piacevole soggiorno capitolino è finito con l’arrivo di Enrica dall’Italia e di Fausto dal Karamoja: destinazione Iriiri. Gianpietro Gambirasio fa conoscenza con i granai karimojong Iriiri e Namalu – Karamoja Uganda Obiettivo Al termine dell’intervento la zona sarà autosufficiente dal punto di vista alimentare grazie alla diffu16 sione di tecniche agricole e agrozootecniche sostenibili Azione Erogare corsi su tecniche agricole sostenibili e veterinaria presso il centro formativo di Iriiri Stoccare foraggi e distribuire pian- Settembre, ottobre, novembre e dicembre 2007. Dopo introduzione e premessa, ecco finalmente il primo capitolo. Da settembre sono a Iriiri per inizia- te da frutta, da ardere, da costruzione e sementi selezionate ai contadini coinvolti nel progetto I Volontari Lucia Cancarini, Fausto Conter, Gianpietro Gambirasio, Pierluigi Sinibaldi Vivai - Iriiri (Uganda) re a pieno il servizio SVI nel progetto. Le giornate si sono riempite tra meeting con i gruppi, field visit per visionare il lavoro dei farmer, lavoro con il committee che gestisce il silo, commissioni varie a Moroto, Soroti e Kampala. Ho iniziato così a conoscere gli animatori che ci aiutano nel progetto, e ad ambientarmi nella sub county di Iriir. Il tutto è stato condito dalle spiegazioni di Fausto. Il passaggio della consegna tecnica può essere fatta in poco tempo, credo un mese. Ma la condivisione dell’atteggiamento da tenere con i lavoratori e con la comunità di Iriir impegna molto più tempo. La mia sovrapposizione con Fausto, di soli tre mesi, è bastata appena a com- pletare questo passaggio; qualche mese in più sarebbe stato positivo. Le difficoltà incontrate sono state... spiazzanti. Dal punto di vista fisico non ho avuto alcuna difficoltà ad adattarmi, se non fosse per un paio di giorni a riposo e digiuno per una diarrea batterica. Anche a livello di adattamento psico-sociale non ho riscontrato alcun problema. La comunità di Iriiri mi ha accolto come… diciamo come un bianco in un villaggio del Karamoja. Se ho avuto difficoltà, le ho incontrate nel relazionarmi con Fausto ed Enrica, a vivere con loro. Lavoriamo ogni giorno per formare gruppi di lavoro nella comunità, li aiutiamo a crescere e osserviamo i cambiamenti Un abbraccio di pace. Gianpietro Gambirasio Per commenti, complimenti o insulti, o per soddisfare eventuali curiosità: [email protected] e gianpigambi.blogspot.com. AREA micro Micro 1 - Obiettivo piantine di semenzaio 60 famiglie di agricoltori di Iriiri e Namalu copriranno 30 acri di terreno con specie di piante che favoriranno la salvaguardia dei terreni, preverranno l’erosione del suolo, agiranno da fertilizzanti naturali dei terreni, da barriere frangivento, ombreggianti e forniranno foraggio e legno. Micro 2 - Obiettivo cassava 90 famiglie di agricoltori di Iriiri e Namalu metteranno a dimora cassava in 30 acri di terreno, garantendo una maggiore varietà produttiva e un minor impoverimento del terreno. Costo di 40.000 piantine Costo di 1 fascina di cassava Costo di 350 fascine € 6.000 PROGETTI in loro. Ma - sembra buffo - noi tre non formavamo un gruppo. Abbiamo iniziato ad esserlo nel momento in cui ci siamo ritrovati sotto lo stesso tetto, iniziando a relazionarci anche solo sul piano formale. Condividiamo la stessa casa, gli stessi spazi, lavoriamo insieme; le nostre giornate sono scandite dagli stessi orari. Ma - diciamoci la verità - non ci siamo scelti; e iniziare a vivere e convivere con persone che nemmeno si conoscono è una bella sfida. Mi spiace solo che fino ad ora non sono riuscito ad avere con loro uno scambio pieno e sincero a livello personale. Forse ho sbagliato nel costruirmi in Italia, come unica aspettativa prima della partenza, il trovarmi subito bene con gli altri volontari con cui convivere questi tre anni. Ma sono fiducioso e credo che riusciremo a costruire un buon rapporto. Ringrazio il Signore per questa strada, che ha tracciato per me e che mi fa conoscere giorno dopo giorno. Lo ringrazio per le difficoltà perché mi donano umiltà e forza. Per i fallimenti, perché mi fanno sentire limitato. Per i bisogni degli altri, che mi spingono ad essere servo loro. €3 € 1.050 17 DIRITTI UMANI TERRENO COMUNE PER UN DIALOGO Seguendo una suggestione di Bobbio, potremmo ridurre a tre i principali problemi che l’umanità deve affrontare: povertà, diritti umani, ambiente. Esserci da anni dedica uno spazio a quest’ultima tematica; e mi sono sempre stupito che non ve ne fosse uno relativo ai diritti umani... Il motivo del moi stupore è da ricercare nel compito principale di Esserci: informare sui progetti dello SVI. Esserci non persegue obiettivi politici; e il dibattito su problemi d’attualità stretta (ad esempio quello che sta succedendo in Kenya) non rientra nei suoi intenti (si pensi a Emergency; la differenza è palese). Tuttavia il tema dei diritti umani, malgrado l’apparenza, è strettamente implicato in quanto si fa nei progetti SVI. Per inciso vale la pena segnalare il nesso tra questi e la tematica ambientale: se la fame nel mondo è il dato di fatto scandaloso che – data l’indifferenza dei governi locali – può richiedere l’intervento dei volontari, lo SVI intende rendere autonoma una comunità nel rispetto dell’ambiente. Quest’ultimo si configura come una cartina di tornasole del cammino del mondo preso nella sua globalità; e infatti in questi ultimi anni anche i paesi del Nord hanno dovuto iniziare ad affrontare il problema ambientale: il parlarne è un’ammissione dell’esistenza, il riconoscerne l’urgenza. Però rendere autonoma una comunità implica perlomeno – anche se non solo – la convinzione che tutti gli uomini abbiano il diritto di nutrirsi. Possiamo affermare, più in generale, che l’idea di uguaglianza di tutti gli uomini sia un assunto implicito dell’azione di ogni volontario SVI, e di ogni persona che si 18 interessi a progetti di sviluppo. Che cosa siano i diritti umani è tematica ampia e articolata. Anziché presentare una suddivisione “scolastica” di ciascuno di essi, perché ci si possa rendere conto di che cosa stiamo parlando può essere sufficiente consultare un rapporto di Amnesty international. Le principali rubriche sono: pena di morte (si pensi alla recente moratoria), condizione della donna, libertà (in tutte le sue forme), condizione dei carcerati, dei profughi, dei prigionieri politici, maltrattamenti da parte della polizia, uccisioni illegali... Ciascun Paese presenterà gradi diversi di rispetto dei diritti e differenti forme di violazione dei principi che vi sottostanno: ad esempio, in Italia è importante il tema della condizione dei carcerati, ma non quello relativo alla pena di morte. I diritti umani afferiscono all’uomo considerato nella sua universalità, cercando di astrarre il più possibile da determinazioni più precise. Perché? In questo modo si mira ad attribuire a tutti alcuni diritti che, non dipendendo dalla legge positiva, a tutti possano essere riconosciuti. Nonostante l’attuale, apparente ovvietà del fatto che l’uomo nasca con alcuni diritti inalienabili, questa presa di coscienza ha richiesto riflessioni e dibattiti iniziati nel 1500 e che perdurano tutt’ora. Questo avviene perché i diritti umani sono un “prodotto” del pensiero occidentale: ciò che a noi appare scontato è dovuto all’ambiente in cui siamo cresciuti e non è così scontato presso altri popoli. Il fine che i sostenitori - in senso esteso - dei diritti umani perseguono è che questi ultimi vengano riconosciuti in ogni parte del mondo, e che si configurino come il terreno comune e condivisibile su cui possa essere innestato un dialogo fecondo per le varie parti coinvolte. Termino questa introduzione segnalando che lo SVI, perseguendo l’autonomia di una comunità, agisce in conformità al diritto di autodeterminazione dei popoli. Ricordo infine che, oltre ai diritti individuali, esistono anche quelli propri di gruppi sociali, quali minoranze, emarginati (anziani, donne) e esclusi (malati, carcerati). Federico Bonzi ANTROPOLOGIA ANTROPOLOGIA CULTURALE E VOLONTARIATO INTERNAZIONALE Che cos’è l’antropologia culturale? E perché parlarne su Esserci? “Un individuo che vive a casa sua, vive nella dimensione profana; vive invece nel sacro quando se ne va e si trova come straniero in un luogo abitato da sconosciuti” Van Gennep Ricordo la mia prima lezione di antropologia culturale. Il docente, seduto sulla cattedra, indicava una scritta alla sue spalle: “Gli antropologi sono i primi pettegoli della storia”. Beh, se partiamo dal presupposto che l’antropologo è un appassionato e curioso studioso di culture, ma soprattutto di comportamenti dell’uomo, probabilmente il mio professore aveva ragione. Nel corso dei miei studi ho sentito dare le più svariate interpretazioni sul significato di questa disciplina, da interlocutori basiti appena dicevo loro di che cosa mi occupavo (“Ah certo, studi i dinosauri!”, “Praticamente sei un medico!”, “Curi la menopausa degli uomini?”), e mi sono resa conto che l’antropologia – almeno in Italia – non è così conosciuta e diffusa. Non è mia intenzione tediare con noiose e intricate definizioni scientifiche, ma credo sia doveroso fare un breve accenno alla storia della disciplina. L’antropologia culturale è uno dei campi dell’antropologia, che si è occupata di promuovere e sviluppare la cultura come oggetto di studio scientifico, approfondendo le differenze culturali tra gruppi di uomini e interessandosi di una sistematica comparazione delle società umane. Gli studiosi sono concordi nel far risalire l’origine dell’antropologia culturale al XIX secolo. Fu E. B. Tylor il primo a definire antropologicamente il termine cultura nel 1871, durante un discorso all’Università di Oxford, come l’insieme di “... tutte le capacità e i moduli di comportamento acquisiti dall’uomo in quanto membro di una società...”. Insieme a Tylor, padri di questo ramo della disciplina sono considerati Lewis Henry Morgan e James Frazer, che svolsero le loro ricerche in Inghilterra e negli Stati Uniti, diffondendole poi in tutta l’Europa. I primi dati su cui lavorarono erano soprattutto materiali raccolti da altri, di solito missionari, esploratori, o ufficiali coloniali, che avevano avuto la possibilità di raccogliere informazioni “sul campo”. Un antropologo culturale, detto in poche parole, si interessa principalmente dell’”Altro”, del “diverso da noi”. Quale posto migliore dello SVI allora per parlare di antropologia? Credo che la cosa più importante per qualcuno che desidera avvicinarsi ad un altro popolo sia conoscere i suoi costumi, le tradizioni, le strutture sociali. A maggior ragione un volontario intenzionato ad aiutare l’”Altro”, come potrebbe muoversi correttamente senza comprendere la cultura altra? L’antropologia culturale può fornire i mezzi per muoversi in maniera rispettosa in una comunità che non è la propria, per agire nel modo più corretto ed essere veramente d’aiuto a qualcuno. Arrivare in un paese straniero con un buon bagaglio di preparazione su chi si va a incontrare, è – sempre per citare il mio amato docente - come andare a casa di qualcuno con un delizioso piatto di pasticcini: mette a proprio agio il nostro ospite ed è un ottimo biglietto di presentazione per noi. Lia Guerrini Fausto Conter beve birra locale in un villaggio karimojong: “come potrebbe un volontario intenzionato ad aiutare l’Altro muoversi correttamente senza comprendere la cultura altra?” 19 GLOBALIZZAZIONE OFFENSIVA DEI PAESI AFRICANI CONTRO L’UE I nuovi Accordi di Partenariato Economico (APE) sono uno strumento di cooperazione multilaterale che dovrebbe sostituire gli accordi di Cotonou (in scadenza al 31/12/2007), che da 7 anni accordano a Stati d’Africa, Caraibi e Pacifico (i cosiddetti ACP) un regime derogatorio al principio di libero scambio e di preferenze commerciali unilaterali. In assenza della firma di questi nuovi accordi ci sarebbe il vuoto fra l’Unione Europea (UE) e l’Africa. La prospettiva sarebbe catastrofica: scomparirebbe il dispositivo alla base dell’aiuto europeo, vitale per l’Africa: il rialzo del prezzo del petrolio ha trascinato quello delle derrate di prima necessità, scatenando dappertutto lo scontento popolare. Gli esperti riconoscono il fallimento degli accordi di Cotonou e, prima, di quelli di Yaoudé e di Lomé che li avevano preceduti. Se l’obiettivo era aumentare le esportazioni dell’Africa verso l’Europa, il risultato è stato il contrario: le esportazioni dell’Europa verso l’Africa sono aumentate del 6,5% dal 2000, mentre le esportazioni africane verso l’Europa si sono deteriorate. Gli APE non sono comunque accettabili per varie ragioni. Innanzitutto l’Europa vuole cambiare partner: se fino ad oggi negoziava con l’Unione Africana, ora vorrebbe trattare distintamente con ciascuna delle 5 sottoregioni, attuando così un sistema di disintegrazione, mentre afferma di voler rafforzare l’integrazione africana. In secondo luogo, gli APE pretendono di smantellare le protezioni tariffarie, instaurando una concorrenza perfetta fra le economie europee e quelle africane, asimmetriche. Questo modo di procedere accentuerebbe lo squilibrio e consegnerebbe i mercati africani ai prodotti europei sovvenzionati. Non solo l’industria africana non ha capacità e strutture adeguate per far fronte ad un’eventuale forte domanda europea, ma il libero scambio del nuovo dispositivo di disarmo tariffario causerebbe la perdita di ingenti introiti doganali, che rappresentano dal 35% al 70% dei 20 budget degli Stati africani. A eventuali somme date a titolo di compensazione è preferibile la protezione delle proprie economie. Come ricordava Abdoulaye Wade, presidente del Senegal, per queste ragioni la maggior parte dei paesi africani respinge gli APE: “È una questione di sopravvivenza per le nostre popolazioni e per le nostre economie, già molto provate dalle sovvenzioni agricole praticate dai paesi industrializzati, della dimensione di un miliardo di dollari al giorno e che, per esempio, gettano nella miseria da 12 a 15 milioni di produttori di cotone: evitiamo loro la mazzata!”. I partigiani di un’alleanza Europa-Africa dovrebbero progettare un’alternativa, piuttosto che una reazione difensiva di fronte all’arrivo di nuovi concorrenti asiatici sul continente africano. Gli analisti ipotizzano un mondo di domani dominato da Stati Uniti, Brasile, Cina ed India, escludendo l’Europa. Attraverso l’Africa, l’Europa potrebbe smentire queste previsioni, costruendo un’alleanza strategica, fondata sulla complementarietà, unendo scienza, tecnologia e capacità finanziarie europee con il potenziale umano e le immense risorse naturali dell’Africa. Problemi acuti come l’immigrazione clandestina potrebbero ridimensionarsi, perché gli africani troverebbero lavoro nei loro Paesi. L’8 ed il 9 dicembre 2007 a Lisbona i paesi africani hanno difeso i loro interessi. Ma nei due giorni di incontri nessuna delle crisi aperte ha conosciuto soluzione. Gli africani sono riusciti ad affrontare il problema che li toccava più da vicino: la liberalizzazione del commercio che gli europei vorrebbero imporre all’Africa. (...) Alpha Oumar Konaré, presidente della Commissione dell’Unione Africana, ha evidenziato come “l’Africa intenda oggi elaborare essa stessa la sua agenda”. Alcune fratture fra africani sono state ben visibili: mentre Konaré proclamava la responsabilità degli stessi africani nelle difficili condizioni dei Paesi africani, dirigenti come il sudafricano Thabo M’beki o il senegalese Wade prendevano la difesa del regime di Robert Mugabe. Addirittura, il presidente senegalese affermava: “Chi può sostenere che in Zimbabwe si violino i diritti umani più che in altri paesi africani?”. La fronda contro gli APE ha comunque avuto la meglio; e il presidente della Commissione europea, Jose Manuel Barroso, ha dovuto impegnarsi a “proseguire il dibattito” e a riprendere i negoziati in febbraio 2008. Gabriele Smussi ... il rialzo del prezzo del petrolio ha trascinato in alto quello delle derrate di prima necessità, scatenando lo scontento popolare... ECOLOGIA IL LEGNAME Una risorsa naturale fondamentale è il legno. Il suo uso aumenta velocemente. Il prelievo del legname però provoca deforestazione e impoverimento delle popolazioni. La quantità di legno usata dall’umanità è enorme, difficile da valutare: forse più di 3 miliardi di metri cubi l’anno. Tale quantità viene impiegata per circa il 50% come combustibile, per il 40% nelle costruzioni (case, mobili, serramenti, imballaggi), per il 10% nell’industria della carta. Più di un terzo dell’umanità, ancor oggi, usa la legna come principale fonte di energia: cottura del cibo, riscaldamento, artigianato. In molti paesi, a causa dell’aumento della popolazione e della deforestazione, essa sta pericolosamente diminuendo. In Guatemala, Turchia, Burkina Faso, Nigeria, Etiopia, Nepal, Deccan (India) il lavoro delle donne e dei bambini alla ricerca di legna da ardere si fa sempre più lungo e penoso. Spesso viene utilizzato come combustibile lo sterco di mucca, togliendolo dalla concimazione dei campi che quindi perdono in fertilità. A volte la gente mangia cibo poco cotto con danni notevoli alla salute. Il legno cosiddetto “duro” è impiegato nelle costruzioni. Grandi fornitrici di legno duro sono le foreste tropicali: Amazzonia, Congo, Indonesia. Grandi acquirenti sono il Giappone, la Cina, l’Unione Europea, gli Stati Uniti. È fiorentissimo, purtroppo, il mercato illegale che disbosca la foresta, con perdite sia culturali (i popoli indigeni) che naturali (biodiversità). Molti paesi tropicali hanno promosso lo sfruttamento razionale delle foreste e la diffusione delle monocolture di legno d’opera (soprattutto eucalipto) onde salvaguardare le foreste, ma la pressione demografica e la corruzione degli apparati di controllo, vanifica spesso le buone intenzioni. Anche noi abbiamo grosse responsabilità. Quando, ad esempio, cambiamo i mobili senza vera necessità, ma solo per capriccio, distruggiamo un po’ di foresta. Esistono certificazioni etiche internazionali sul legname: dovremmo andare alla ricerca dei relativi “bollini” quando acquistiamo oggetti di legno. Un grande mercato in espansione che usa molto legno è quello della carta: da scrivere (40%), da imballaggi (50%), da igiene personale (10%). Il legno viene prelevato o nelle foreste o nelle monocolture apposite. Le specie vegetali più usate sono il pioppo e alcune varietà di pini. Non tutta la carta viene prodotta però da polpa legnosa vergine; circa il 40% proviene dal riciclo di carta o da altri detriti vegetali. L’industria della carta tuttavia consuma molta acqua ed è fortemente inquinante (oltre che maleodorante) perché usa acidi, cloro, coloranti. È urgente riciclare sempre più carta, ma soprattutto diminuirne i consumi, in particolare quelli pubblicitari e quelli legati agli imballaggi eccessivi. Ciò salverebbe molti ettari di foresta tropicale e permetterebbe di trasferire più carta ai paesi poveri che ne hanno poca a disposizione (pochi libri, giornali, carta da pacco). Anche questo è un modo per creare più giustizia tra i popoli e più rispetto verso la natura. Gabriele Scalmana Vegetazione tropicale 21 VOCI D’ORIENTE “Il tesoro più prezioso...” “...è nelle palme delle nostre mani...” Questo famoso detto giapponese è un invito a riflettere su una verità fondamentale: la felicità non la si trova in paesi distanti o lontano dalla vita di tutti i giorni, ma è soprattutto all’interno del proprio cuore. Anche la fatica della ricerca, però, conserva il suo valore. Esiste una serie di cartoni animati giapponesi intitolata “L’uccellino azzurro”. I 26 episodi di anime, come vengono comunemente chiamati i cartoni animati, sono prodotti da Hiroshi Sasagawa e risalgono al 1980 quando furono trasmessi dalla Fuji Television. L’opera si rifà al lavoro teatrale L’Oiseau Bleu del drammaturgo e poeta simbolista belga Maurice Maeterlinck (1862– 1949), premio Nobel per la letteratura nel 1909. La storia è molto semplice. Tyltyl di 12 anni e la sorellina Mytyl di 9 sono figli di un boscaiolo e vivono in povertà. La loro madre è gravemente ammalata. Comprensibili, quindi, sono il desiderio di guarigione della mamma e l’aspirazione a un pezzetto di felicità. Addormentatisi la notte di Natale nella capanna in cui vivono, essi riescono a volare, nel regno della fantasia, alla ricerca dell’uccellino azzurro che solo può realizzare le loro speranze. Attraversano il paese del ricordo, il palazzo della notte, il giardino della felicità e il paese dell’avvenire. Affrontano pericoli di ogni genere, ma non riescono a L’arduo cammino verso la felicità [ph Manisera] 22 trovare l’uccellino azzurro. Solo al risveglio si accorgono che l’uccello a lungo cercato vive nella loro capanna: il ristabilimento della salute materna e il ritrovamento della felicità autentica non avvengono in regioni remote, ma sono a portata di mano, hanno luogo vicino a loro. Questo racconto di sapore fiabesco viene spesso citato in Giappone dai maestri zen contemporanei. Serve a spiegare una verità importante, semplice da capire ma estremamente difficile da fare propria. Tutti noi vogliamo essere felici. Il desiderio della felicità è innato e nessuno può estirparlo dal nostro cuore. Ogni cosa che facciamo è in vista della felicità che perseguiamo. Per realizzare questo supremo ideale la via da percorrere – pensiamo – è assai lunga ed irta di ostacoli. Forse richiederà il cammino dell’intera esistenza. Eccoci, quindi, alla ricerca della felicità. Per essa non lesiniamo denaro. Spendiamo tutte le nostre energie. Esigiamo i maestri più saggi. Perlustriamo città e campagne, negli angoli più sperduti del pianeta, per scoprire il più picco- lo indizio di felicità. Come Tyltyl e Mytil andiamo nel paese dei ricordi, scandagliando il nostro passato. Ci avventuriamo nel paese dell’avvenire, scrutando il nostro futuro. Ma della felicità non troviamo traccia: non gustiamo la felicità nei bagordi delle feste; non c’è cenno di felicità nei sacrifici e nella mortificazione. Sembra proprio che il sentiero della felicità sia inaccessibile. E poi, all’improvviso, l’illuminazione! La gemma preziosa che cercavamo lontano è, invece, accanto a noi, dentro di noi, nella parte più profonda del nostro cuore. La felicità è nel palmo delle nostre mani. Vale, allora, la pena affrontare tante difficoltà per qualcosa che abbiamo a portata di mano? È mediante l’atteggiamento di ricerca, grazie alle esperienze acquisite, attraverso l’ascesi e il silenzio, che l’animo si arricchisce spiritualmente e il cuore si rende sensibile alla percezione di una realtà non sempre tangibile. La felicità, vicina, la si raggiunge con una ricerca che parte da lontano! Rosario Manisera SUGGESTIONI Come un fiume in piena... RECENSIONI ASCOLTARE SINEAD O’CONNOR Universal Mother Emi 1994 LEGGERE Doris Lessing La brava terrorista Milano Feltrinelli 2007 VEDERE Giorgio Diritti Il vento fa il suo giro Italia 2005 VEDERE NAVIGARE www.inAfrica.it In questo cd Sinéad, il mio mito adolescenziale, dà prova della sua poliedricità. La traccia più struggente ed esplosiva è Fire on Babylon, nel quale la sua voce cristallina, dopo un crescendo di rabbia, esplode in un acuto finale: una stalattite lanciata dal cielo, di uno spessore oscuro e profondo. Cantante rock, dalla sua voce trapela tenerezza in testi melodici come John I Love You e My Darling Child. La sensazionale Red Football, iniziando in modo sommesso con parole di libertà e indipendenza, culmina in una memorabile graffiata rock. Segnalo anche una cover dei Nirvana, All Apologies, in versione acustica, che Sinéad ha voluto dedicare a Kurt Cobain, morto proprio nel 1994 e la commovente e mistica A Perfect Indian, con un piano che a tratti ricorda la marea di un oceano, triste e potente. La traccia finale, Thank You for Hearing Me, è un ringraziamento che Sinéad innalza a chi la ascolta, ma anche per il male infertole e per il suo cuore rotto, perché dal dolore ha saputo trarre forza e umiltà. Grazie Sinéad. Ascoltarti è il minimo per rispondere alle tue parole! Alice, protagonista della vicenda, vive come occupante abusiva in una casa abbandonata di Londra insieme a pochi altri militanti “comunisti” – così si definiscono. L’utopia del comunismo rivoluzionario, di un ricominciare da capo dopo aver distrutto tutto e tutti i borghesi, sorprende il lettore d’oggi per la sua palese irrealizzabilità. Così non è all’epoca in cui è ambientato il romanzo: tutti gli occupanti della casa vivono una specie di “psicosi sociale di massa” basata su un malinteso: leggendo La brava terrorista ci si rende conto che Alice e i suoi compagni mirano ad avere una casa, un lavoro, una famiglia – tutti obiettivi “borghesi”. A condizione, però, che tutti possano avere uno standard di vita pari al loro. Se il fine era irrealizzabile a breve termine, se la via – il distruggere - era sbagliata e inadeguata, a mio avviso è da riconoscere nei protagonisti un sincero interesse per gli altri a scapito della propria tranquilla vita “borghese”; il divario tra questo atteggiamento e il dilagante individualismo odierno non può certo sfuggire. Ciò che oggi sembra venuto meno non è la consapevolezza dei problemi, bensì l’interesse per il cambiamento e un disinteresse allarmante. E a volte disarmante. The Good Terrorist. Sì, Alice era una persona buona. L’atto è da giudicare, e in questo caso da condannare. Ma non la persona che, del resto, avremmo potuto essere forse anche noi. Autoprodotto e autodistribuito, è stato visto solo recentemente in poche sale gremite grazie ad un passaparola di cui vi porto l’eco. Un film intenso, crudo, coinvolgente, onesto, raro. Nel paesaggio montano splendido e vero di Chersogno, Alta Valle Moira, provincia di Cuneo (dove si parla ancora l’occitano), giungono Philippe, ex professore dedito alla pastorizia, e famiglia. Le rigidità, le incomprensioni, le ostilità tra la maggior parte della comunità e “lo straniero” crescono sino a costringere quest’ultimo ad andarsene, in un finale più che amaro. Basato su fatti realmente accaduti ed interpretato da attori non professionisti, è un film complesso sulla diversità e sulla differenza tra tolleranza ed accoglienza. “A me la parola tolleranza non piace. Se tu devi tollerare qualcuno, non c’è il senso di uguaglianza”, dice Philippe. L’apertura ad un’altra occasione è data dal detto popolare “Il vento fa il suo giro… e prima o poi ritorna”. InAfrica.it è il portale dei popoli africani in Italia. Un tam tam ricco di colori che raccontano l’Africa e la sua gente, la loro cultura e le tradizioni. Raccoglitore di link, notizie, curiosità sull’Africa, una vera guida dove si trovano indirizzi di market alimentari, ristoranti, negozi d’arte, musica, e tutto ciò che è Africa. InAfrica consiglia letture ricette e acconciature per giorni speciali. Nella galleria fotografica si possono trovare moltissime foto suddivise in tematiche; e in primo piano vi è sempre un album fotografico nuovo. Il sito offre molte possibilità e stimoli sia dal punto di vista turistico che sociale: recapiti di agenzie di viaggio, ambasciate e società per immigrati. Lettere poesie racconti vari, proverbi, musei, riviste, quotidiani e commercio! Tutto questo anche grazie al tuo contributo. Infatti registrandosi al sito ci si può creare una pagina personale dove inserire racconti eventi e quant’altro. Tutti possono intervenire con informazioni sull’Africa e su manifestazioni organizzate dal popolo africano in Italia. Caterina Pedrana Federico Bonzi Legor Nicoletta Quartini Rubrica curata in collaborazione con: CSAM (Centro Saveriano di Animazione Missionaria) - Via Piamarta, 9 - 25121 Brescia - www.saveriani.bs.it 23 PROGETTI AFRICA Africa, Africa mia Africa fiera di guerrieri nelle ancestrali savane Africa che la mia ava canta In riva al fiume lontano Mai t’ho veduta Ma del sangue tuo colmo ho lo sguardo Il tuo bel sangue nero sui campi versato Sangue del tuo sudore Sudore del tuo lavoro Lavoro di schiavi Schiavitù dei tuoi figli Africa dimmi Africa Sei dunque tu quel dorso che si piega E si prostra al peso dell’umiltà Dorso tremante striato di rosso Che acconsente alla frusta sulle vie del Sud Allora mi rispose grave una voce Figlio impetuoso il forte giovane albero Quell’albero laggiù Splendidamente solo fra i bianchi fiori appassiti È l’Africa l’Africa tua che di nuovo germoglia Pazientemente ostinatamente E i cui frutti a poco a poco acquistano L’amaro sapore della libertà. Ndjock Ngana con lo SVI per vivere da protagonisti 24 la solidarietà tra i popoli