Il tesoro più prezioso Antropologia culturale e volontariato

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Pubblicazione trimestrale del servizio volontario internazionale - Anno XXII - Febbraio 2008 - Sped. in abb. post.art. 20/c. - L. 662/96 - Fil. di Brescia Autorizz. del Tribunale di Brescia n° 64/89 del 12/02/1989
In caso di mancata consegna rinviare all’UFFICIO POSTALE DI BRESCIA CMP detentore del conto per la restituzione al mittente che si impegna a pagare la relativa tariffa.
Servizio Volontario Internazionale
esserci
01
Cambio
di Stile
Dossier
Autosviluppo e
autopromozione
Terreno
comune
per un dialogo
Il tesoro più
prezioso
Antropologia
culturale e
volontariato
internazionale
03
esserci
Editoriale
Cambio di stile
PROGETTI
04 News dall’Italia
1. 5 per mille
2. Volontari on the air
3. L’arte si fa pane
4. Abbiamo riso per una cosa seria
05 I progetti
05 Progetto “Brescia per il Mozambico”
05 Piove sull’asciutto
06 Intervista doppia
06 Senegal – La lunga attesa
07 Venezuela – Cambiamenti difficili
08 I progetti
08 Zambia – Una storia dalle lunghe radici
09 Zambia – News from Zambian Lands
10 Zambia – Quale indipendenza in Zambia?
11 Dossier
11 Autosviluppo e autopromozione
15 SVI Italia
15 Paniere solidale SVI – PAN.GAS.SVI.
16 Progetti
16 Uganda – E si prosegue il cammino
18
19
18 Diritti umani
Terreno comune per un dialogo
19 Antropologia
Antropologia culturale e volontariato internazionale
20 Globalizzazione
20 Offensiva dei Paesi africani contro l’UE
Burundi
Riottoso pre-scolar a Mivo
21 Ecologia
21 Il legname
22 Voci d’Oriente
22 Il tesoro più prezioso
23
Suggestioni
Universal Mother
La brava terrorista
Il vento fa il suo giro
www.inAfrica.it
24
Africa
In copertina
Sguardi curiosi sul futuro
[ph De Carolis]
Esserci a cura del
Servizio Volontario Internazionale
S.V.I.
V.le Venezia, 116
25123 Brescia
tel. 030 3367915
fax 030 3361763
http://www.svibrescia.it
email: [email protected]
Gruppo di redazione
Direttore responsabile: Claudio Donneschi;
Coordinamento di redazione: Sandro De
Toni; Progetti: Area progetti, Commissione Zambia, Lidia Calì e Maurizio Pedercini, Gianpietro Gambirasio; Dossier: Mario
Piazza; SVI Italia: Maria Teresa Resconi,
Aldo Ungari; Diritti Umani: Federico Bonzi;
Antropologia Culturale: Lia Guerrini; Globalizzazione: Gabriele Smussi; Ecologia: Gabriele Scalmana; Voci dall’Oriente: Rosario
Manisera; Recensioni: Caterina Pedrana (cd),
Federico Bonzi (libri), Paola Ghezzi (film),
Nicoletta Quartini (web) – Editing: Federico
Bonzi, Paola Ghezzi, Lia Guerrini, Nicoletta
Quartini, Caterina Pedrana, Claudia Pisano,
Terry Rizzini.
Realizzazione grafica: Daniela Mena, Dominique Palumbo (impaginazione), Valentina
Botturi, Alessandro Cucinelli, Elena Viscardi
(progetto grafico), ddt (imaging).
Tipografia:
GAM - Rudiano (Bs)
Come collaborare:
CCP: 10236255
CC bancario n° 000000504030
Banca Etica - filiale di Brescia
IBAN: IT02L0501811200000000504030
EDITORALE
Cambio di stile
Una differente veste grafica e nuove rubriche per Esserci. Diversa solo la forma o anche la sostanza.
Esserci, intreccio di diversità [ph Serenelli]
“Come?”, si sarà chiesto stupito qualche lettore, aprendo la rivista, “Anche Esserci si accoda all’esasperante
rincorsa a nuovi look delle testate «vere»?”.
In effetti la precedente formula grafica era in uso ormai da molto tempo. Ed era necessario introdurre
innovazioni. L’impostazione che vedete è stata data
avvalendosi della collaborazione di tre studenti dell’Accademia “S. Giulia” di Brescia (Valentina Botturi,
che ha curato la copertina, Alessandro Cucinelli, che si
è occupato delle pagine interne, ed Elena Viscardi, che
ha avanzato proposte di dettaglio).
Resta la scelta della stampa in monocromia (una grafica in quadricromia avrebbe comportato ben altri
costi) e dell’adozione del seppia come colore di riferimento, a richiamare le tinte calde delle terre africane
e latino-americane.
E resta, pur nel costante tentativo di “stringere” i contributi, l’ampio spazio dedicato ai testi.
Abbiamo preferito sacrificare parte dell’eleganza di
alcune soluzioni grafiche che avevamo pensato per
privilegiare la possibilità di far circolare idee, da sempre considerate importanti da parte di quanti sono in
vario modo legati allo SVI.
Per questo, e in seguito a due sondaggi condotti il
primo tramite il sito www.svibrescia.it e il secondo
tra i soci dell’organismo, abbiamo aumentato numero e tipologia delle rubriche. Accanto alle classiche
“editoriale”, “intervista”, “news dall’Italia”, “progetti”, “dai
volontari”, “globalizzazione”, “ecologia”, “voci d’oriente”, “suggestioni” compaiono “antropologia culturale”
(con contributi sulle principali caratteristiche delle
comunità presso le quali i volontari SVI intervengono),
“diritti umani” (un tema finora a torto poco approfondito su queste pagine) e “SVI Italia” (la rubrica esisteva
già in precedenza, ma sarà ora ampliata dando voce ai
corsisti e a quanti si impegnano a favore dell’organismo in Italia). Novità assoluta il dossier, quattro pagine
centrali dedicate all’approfondimento di questioni dibattute all’interno della tumultuosa comunità SVI.
Il maggiore spazio garantito ad articoli a tema non
andrà in competizione con i resoconti su quanto i volontari SVI stanno realizzando nelle varie azioni in cui
sono impegnati, né con i loro racconti, a volte davvero
stranianti, su quanto capita loro di vivere nei progetti.
La narrazione e la riflessione sull’esperienza di vita
sono considerate da molti uno dei punti di forza di Esserci “vecchio stile”. Per questo daremo più spazio possibile ai racconti in presa diretta, in forma di intervista.
E per questo la rivista passa da 20 a 24 pagine.
Costante resterà la cura a comunicare a quanti sostengono e finanziano l’organismo i risultati che il loro
contributo permette di raggiungere, così come le problematicità che i volontari nei progetti e in Italia incontrano nel loro impegno. Non c’è evoluzione senza
confronto e senza una considerazione lucida di quanto non è come si desidererebbe, perché possa essere
migliorato.
Certo, ci sarebbe molto da migliorare: caratteri più
grandi e testi più leggibili, foto più belle, contributi di
esperti che illuminino i comuni mortali sulle imperscrutabili vie della salvezza...
E la redazione è sempre aperta a suggerimenti e idee
che consentano di rendere la rivista più interessante e
in linea con le aspettative di lettori e lettrici.
Però pensiamo che sarà impossibile togliere ad Esserci
la sua attuale forma di vago caos non del tutto sopito:
la grafica non sarà mai perfetta, né le idee coerenti, armoniche e pacificate; qualcuno avrà sempre opinioni
diverse da altri e le esprimerà ora in modo pacato, ora
con voce più forte, quasi urlando.
Del resto che cos’altro ci si potrebbe attendere da pagine frutto di una vasta e multiforme comunità alla
ricerca, a volte faticosa, di un mondo diverso?
La redazione
NEWS
VITA DELLO SVI
1
5 per mille
Anche nel 2008 lo SVI è tra le
ONLUS che, per provvedimento
dell’Agenzia delle Entrate, potranno beneficiare del 5 per mille sulla
dichiarazione dei redditi.
Segnaliamo che nel 2006 hanno
destinato il 5 per mille a favore dello SVI 780 contribuenti per un importo di € 24.096,88.
Nel 2007 sono state 695 le persone
che hanno scelto in tal senso. Mancano dati sull’importo corrispondente.
Questa forma di contribuzione alle
attività degli enti di volontariato
è stata stabilita nell’ambito della
legge 27 dicembre 2006, n. 296 e
consente ai contribuenti di destinare una quota pari al 5 per mille
dell’imposta sul reddito delle persone fisiche a finalità di interesse
sociale con una semplice firma sulla dichiarazione dei redditi.
I modelli per la dichiarazione (modello integrativo CUD 2007, del
modello 730/1-bis redditi 2007 e
del modello Unico persone fisiche
2007) presenteranno una sezione
integrativa per indicare il codice
fiscale dell’ente a cui si decide di
destinare il 5 per 1000.
Al momento della compilazione
della dichiarazione, il contribuente può apporre la propria firma a
fianco dell’opzione prescelta (nel
caso degli organismi di volontariato come lo SVI, l’opzione è la casella
“a”), e quindi, avendo scelto lo SVI
come beneficiario, riportare il codice fiscale 80012670172.
L’opportunità di contribuire con il 5
per mille è riservata alle sole persone fisiche e non alle società. L’iniziativa non si sovrappone alla scelta di
destinazione dell’8 per mille.
Info più dettagliate sul sito dell’Agenzia delle Entrate.
La segreteria SVI è a disposizione
per ulteriori chiarimenti.
2
Volontari on the air
A fine dicembre Silvia Mora e Michele Vezzoli sono rientrati in Italia
dopo aver concluso il loro servizio
a Zurite (Perù). Ben tornati e... Buon
reinserimento!
3
ni, miniature, scacchi e dame, vecchi
giochi, vecchie bambole, carte geografiche, cartoline illustrate, ecc…
L’oggetto troverà un appassionato
amatore e riacquisterà nuova vita
grazie alla generosità di chi lo avrà
donato.
Nella stessa sede della mostra mercato allestiremo anche il mercatino dei libri usati, sia vecchi che
recenti, anche in lingua straniera.
NON sono commerciabili libri scolastici.
Molto graditi i libri d’arte, quelli
con illustrazioni e quelli antichi.
La raccolta degli oggetti, già iniziata, durerà fino a metà marzo.
Info presso la Segreteria
Tel 030. 3367915 – e mail [email protected] - c/a Stefano.
L’arte si fa pane
È in fase di lancio la tradizionale
asta benefica a favore dei progetti
SVI, che si terrà dal 12 al 20 aprile
2008 presso la sede SVI.
Lo SVI anche quest’anno chiede
la collaborazione, il sostegno e la
solidarietà di tutti per organizzare
l’evento.
La richiesta ai lettori di Esserci è di
donare un oggetto che magari giace dimenticato in qualche cassetto
o soffitta.
Va bene qualsiasi cosa purché abbia almeno 50 anni, sia in buono
stato e sia vendibile.
Può trattarsi di medaglie, monete,
francobolli, banconote fuori corso,
macchine fotografiche, grammofoni, radio, cineprese manuali, binocoli,
ventagli, oggetti di rame, anelli, bicchieri, ricami, soprammobili, immaginette, avori, piccoli mobili, stampe,
quadri, ceramiche, posate d’argento,
tappeti, vecchi strumenti di lavoro,
cornici, macchine da cucire a manovella, bastoni da passeggio dei non-
4
Abbiamo Riso
per una cosa seria…
Anche quest’anno lo SVI aderisce
alla campagna nazionale della
FOCSIV che si terrà sabato 12 e
domenica 13 maggio 2007.
In data che comunicheremo alla
sede dello SVI si terrà un incontro
con tutti i gruppi interessati e gli
incaricati per organizzare al meglio
la campagna.
Abbiamo bisogno di aiuto. Chi intende darci una mano per la gestione delle postazioni di offerta
del riso sul territorio della provincia può chiamare Stefano (0303367864 - 030-3367915) presso la
segreteria SVI o inviare una email a
[email protected], indicando come
oggetto: collaborazione campagna
“Abbiamo riso per una cosa seria”.
PROGETTI
BRESCIA PER IL MOZAMBICO
Brescia si impegna per il Mozambico, con progetti di formazione, agricoltura e sviluppo.
Secondo le Nazioni Unite il Mozambico è uno dei più
poveri paesi al mondo. I dati sullo sviluppo umano collocano il Paese alla 168° posizione su 177.
La condizione di povertà assoluta e il peggioramento
dello stato di salute di una larga parte della popolazione mozambicana sono conseguenza dell’attuale livello
di sviluppo socio-economico e al tempo stesso fattori
che ne condizionano la crescita.
La provincia di Inhambane, nel sud del paese, la settima
per estensione, ha una popolazione di circa 1,2 milioni
di abitanti, di cui circa il 56% donne, con il 43% della
popolazione totale compresa fra 0 e 14 anni. I residenti
delle aree rurali rappresentano l’80% del totale.
L’agricoltura rimane l’attività economica più importante: i lavori sono eseguiti per lo più a mano dai membri
delle famiglie, che non dispongono di mezzi meccanici
e utilizzano tecniche rudimentali.
Le ONG bresciane insieme al Centro Missionario Diocesano e a Cuore Amico Fraternità Onlus si sono unite
per sviluppare un progetto consorziato di sviluppo nella zona. In particolare si sta studiando un intervento in
ambito agricolo articolato a vari livelli.
Le proposte prevedono un intervento di educazione
formale in ambito agricolo (SCAIP) e uno di educazione
informale nello stesso settore (SVI) nelle località di Mocodoene, Morrumbene, Maxixe.
Si svolgerà anche un progetto di formazione di formatori (Fondazione Tovini) e un intervento di sviluppo socio sanitario (Medicus Mundi Italia) per la prevenzione
del virus HIV/AIDS e alla trasmissione verticale dello
stesso.
PIOVE SULL’ ASCIUTTO…
Le ONG bresciane si uniscono per portare l’acqua nei PVS. Fai piovere l’acqua dove non c’è!
Una novità di inizio anno è il lancio dell’iniziativa “Piove
sull’asciutto”, una campagna di sensibilizzazione al risparmio di acqua e di raccolta fondi promossa e realizzata, oltre che dallo SVI, da Gruppo ASM SpA, Fondazione TOVINI, Fondazione SIPEC, CUORE AMICO, MEDICUS
MUNDI Italia e SCAIP. Queste realtà hanno unito le loro
forze per “far piovere l’acqua” dove non c’è, aiutare comunità dei Paesi in via di sviluppo escluse dall’accesso
ad acqua incontaminata, attraverso la realizzazione di
fonti e reti per la sua erogazione.
L’iniziativa, che promuove una sottoscrizione tra i cittadini, è stata avviata da una donazione pilota di ASM
SpA: l’azienda, che si occupa di distribuzione idrica in
Brescia e Provincia, ha devoluto al progetto un importo
di 150.000 euro per il triennio 2007-2009. I fondi raccolti attraverso la mobilitazione dei cittadini verranno
raddoppiati da un ulteriore contributo di ASM.
Il concetto è quello di invitare e coinvolgere tutta la
popolazione a ridurre il proprio consumo di acqua e a
donare una parte del risparmio così ottenuto. Per informazioni sul sito http://www.piovesullasciutto.it troverete anche le realizzazioni e i progetti futuri di SVI nel
settore dell’acqua potabile.
SVI – Area progetti
Per donazioni:
Fondazione Sipec Onlus bresciane acqua per il terzo mondo
c/c bancario 57590 – Banco di Brescia,
Corso Martiri della Libertà, 13 – Brescia
CIN: W – ABI: 03500 – CAB: 11200
Iban: IT63W0350011200000000057590 – Bic: BCABIT21
Rio Caronì, Ciudad Guayana (Venezuela)
INTERVISTA
INTERVISTA DOPPIA
sENEGAL LA LUNGA ATTESA…
“Il protrarsi della fase di riorganizzazione del centro sociale sta creando in noi un forte senso di inutilità”, afferma Cinzia
Tarletti, volontaria SVI a Parcelles Assainies. Ci vuole una pazienza da cacciatori di scimmie.
Che aria si respira in Senegal in
questo periodo?
Aria di festa. La tabaski e il Natale
sono vicini. Anche gli ambulanti, che
qualche settimana fa hanno protestato contro il presidente Wade,
ora pensano soltanto a comprare il
montone per festeggiare.
Qual’ è la vostra giornata tipo?
Attualmente il progetto si trova in
una fase di stand-by. Prima lavoravamo al centro sociale ogni giorno;
c’erano mille attività da seguire, contatti da cercare, persone da incontrare, riunioni a cui partecipare. Ora,
da quando il comitato di gestione
ha chiuso il centro in attesa di riorganizzare sia il personale sia le attività, diamo una mano in parrocchia e
alle suore. Abbiamo sicuramente più
tempo libero, ma spesso ci sentiamo
inutili. Non ci resta che osservare ed
aspettare. In gennaio il centro sociale dovrebbe riaprire, ma riusciremo
a rimanere in secondo piano, senza
agire?
Il progetto ha avuto fasi positive? “Certo: (...) i rapporti umani che abbiamo instaurato...”
ha esortato anche ad essere molto zione più stretta e, a volte, anche di
chiari e decisi con il comitato.
risposte immediate.
Il progetto ha avuto fasi positive?
Certamente: il concorso della biblioteca organizzato con le scuole, il
weekend culturale, il corso di formazione con le donne, le attività dei ragazzi della parrocchia, la collaborazione col comitato di gestione. I rapporti umani che abbiamo instaurato
Vi capita di avere momenti bui?
In questo secondo anno è capitato sono un aspetto molto importante.
spesso. È stato difficile analizzare
quello che stava succedendo, capi- Come valutate il vostro rapporto
re che senza il coinvolgimento della con lo SVI in Italia?
comunità il progetto non aveva un Lo SVI può contare solo su volontari,
senso. È stato faticoso formare il co- il consiglio deve seguire molti promitato di gestione e doloroso affron- getti e la commissione si riunisce
tare la reazione dei collaboratori che una volta al mese. Ma quando si vive
non condividevano i cambiamenti ogni momento della giornata in un
proposti. Solo padre Flavio ci ha so- contesto complesso come la perifestenuti. È stato pesante restare iner- ria di Dakar dove, per essere efficienti
ti in attesa delle decisioni. Ci siamo ed efficaci, oltre ad una conoscenza
chiesti spesso se aveva ancora senso approfondita della realtà locale serrestare. Suor Roberta, che ci ha sem- vono anche competenze specifiche,
pre spronato ad essere pazienti, ci si avrebbe bisogno di una collabora
Pensate di dare continuità al vostro impegno, una volta conclusa
la vostra esperienza di volontariato internazionale?
Ognuno di noi a suo modo continuerà a lottare per un mondo migliore, in Senegal, in Italia, altrove nel
mondo... Ognuno con il suo progetto, con i suoi sogni.
C’è un proverbio o un detto della
comunità presso cui operate che si
addice al vostro stato d’animo attuale?
Ndank ndank mooy japp golo ci ňaay,
lentamente acchiappi la scimmia
nella foresta, ossia ci vuole pazienza
per raggiungere un obiettivo. Tanta,
tanta pazienza!
Cinzia Tarletti
Domande a cura della redazione
INTERVISTA
INTERVISTA DOPPIA
Venezuela cambiamenti difficili...
“Sempre più crediamo che il nostro sia un lavoro di relazioni.
Spesso abbiamo bisogno di raccontarci ad alta voce”, scrivono Marina Moreni e Mario De Carolis da Las Amazonas.
La partecipazione è processo di cui non sempre è facile vedere gli esiti.
L’Italia di oggi è descritta dal New
York Times come un paese depresso, bloccato, incapace di cambiare,
poco vitale. Che aria si respira in
Venezuela in questo periodo?
Il New York Times per una volta ha
ragione. Ci sembra invece che giornali e giornalisti italiani ed europei
non si occupino affatto di ciò che sta
succedendo in Italia, in Venezuela e
in America Latina più in generale.
Le elezioni venezuelane del 2006,
la nascita di un partito socialista, il
problema dell’informazione pubblica, la strutturazione dei consejos
comunales e la recente operazione
Humanitaria sono notizie trattate
con sospetta superficialità.
La situazione è complessa, i cambiamenti lenti e contraddittori, il lavoro di animazione difficile, a volte
frustrante. Ciudad Guayana è la sintesi di tutti i conflitti presenti in Venezuela: inquinamento, sfruttamento, lavoro precario, estrema povertà,
ricchezza di pochi, corruzione e delinquenza… Come volontari agiamo senza nessun riconoscimento:
la visa di cortesia non ci tutela. Non
siamo legittimati a compiere alcuna lavoro con il gruppo di taglio e cuciazione, questo é il vero pericolo che to, prosegue l’analisi partecipata per
corriamo qui.
individuare dove animare il prossimo intervento.
Qual è la vostra giornata tipo, in
questa fase del progetto?
Vi capita di avere momenti bui, duNella vita quotidiana non c’è niente rante il vostro servizio? Se e quanche si ripeta uguale.
do capitano, come li superate?
Rispetto a questo ora ci sentiamo Sempre più crediamo che il nostro
meno bloccati, abbiamo molta vo- sia un lavoro di relazioni. Spesso abglia di cambiare. E molto si è cam- biamo bisogno di raccontarci ad alta
biati.
voce. Le storie dei vicini, il crescere
Le “visioni” di Rosa, di Hendrix e Pe- dei nostri figli, i conflitti, gli scontri
dro ci aiutano a rompere gli schemi, e gli incontri ci servono a smussare
a cambiare punto di vista e di azio- gli spigoli, a rompere i margini senza
ne. La vita del barrio ci ricorda che la perdere la nostra identità.
partecipazione è un processo e non
una soluzione. Da ottobre le due Come valutate il vostro rapporto
equipo lavorano in parallelo e, con con il consiglio, la segreteria, la
la coordinazione di Laura [Crawford, commissione e, più in generale, con
responsabile di progetto, NdR], ogni lo SVI in Italia?
attività è presentata e discussa nel Ci piace sempre pensare allo SVI
grupo de coordinación general SVI come ad un corpo con mille anime;
en Venezuela (Rosa, Hendrix, Pedro, e a chi è volontario in Italia raccoLaura, Máximo, Marina, Mario).
mandiamo di mettere in azione le
In dicembre si é conclusa la prima stesse dinamiche che si richiedono
parte del progetto in Las Amazonas. ai volontari espatriati.
In gennaio si inizia a scrivere il progetto futuro. A Las Batallas, oltre al E, per concludere, un proverbio o
un detto caratteristico della comunità presso cui operate...
Perro que cóme manteca méte la lengua en tapara.
Chi ha cattive abitudini cerca sempre situazioni per applicarle. I cambiamenti sono sempre difficili da
praticare.
Marina Moreni e Mario De Carolis
Domande a cura della redazione
“Sempre più crediamo che il nostro sia un lavoro di relazioni...”
Una storia
PROGETTI
dalle lunghe radici
Supporto a una cooperativa di profughi rwandesi e burundesi e animazione rurale presso la locale comunità kaonde:
queste le attività principali dei due poli del progetto: Meheba e Matebo-Mumena.
L’équipe di Mumena-Matebo: al centro Gahimbare Maria Goretti, a sx Lidia Calì,
in alto Maurizio Pedercini e a dx Alberto Rocco
Il polo di Meheba
Il primo progetto SVI in Zambia aveva
l’obiettivo di rendere autonoma una
cooperativa agricola di rifugiati rwandesi e burundesi (MRCU) formatasi
spontaneamente all’interno del campo profughi di Meheba.
I volontari hanno cercato di fare
in modo che la cooperativa fosse
in grado di favorire la nascita di altri gruppi produttivi all’interno del
campo. L’azione prevedeva solo vi
Mumena-Matebo
Obiettivo
Al termine dell’intervento si auspica un miglioramento delle condizioni di vita della popolazione
attraverso l’applicazione di tecnologie agro-pastorali appropriate e
sostenibili
site periodiche, nel corso delle quali
membri della Commissione Rwanda e
responsabili della cooperativa MRCU
negoziavano assieme gli obiettivi da
raggiungere e le azioni da realizzare.
Lo SVI si impegnava a supportare la
programmazione e a finanziare le attività.
Il polo di Mumena - Matebo
Il progetto mira al miglioramento delle
competenze agro-zootecniche, all’au-
Azione
Progettare l’azione in modo partecipato;
Differenziare la produzione agricola e zootecnica;
Introdurre attività redditizie compatibili con l’ambiente (piscicoltura, allevamento di maiali, coltivazione di riso, soia, manioca,
fagioli);
mento delle fonti di acqua potabile, all’attivazione di gruppi di cooperazione
e al miglioramento dell’habitat attraverso attività di microcredito, scavo di
pozzi e formazione sul campo con l’ausilio di facilitatori rwandesi, burundesi e
locali. Le azioni proposte nel progetto
sono frutto di un’indagine partecipata
su problemi avvertiti e risorse attivabili
condotta presso le comunità dell’area
interessata. Il progetto formerà e supporterà la popolazione nelle aree di
Mumena e Matebo puntando al miglioramento della produzione di cibo,
allo sviluppo di fonti alternative di reddito e al miglioramento dell’habitat.
Queste le attività previste: formazione
in campo agro-zootecnico e al piccolo
commercio, scavo di pozzi, l’introduzione della fabbricazione e dell’uso dei
coppi, l’istituzione di fondi di rotazione
e di sistemi di microcredito.
Le attività mirano ad assicurare la gestione autonoma delle risorse disponibili da parte della popolazione coinvolta e a garantirne nel lungo periodo
la sovranità alimentare. Per questo lo
SVI punta alla formazione di persone e
di gruppi che si possano assumere la
responsabilità della conduzione autonoma delle azioni di sviluppo intraprese.
La Commissione Zambia
Migliorare i metodi di copertura
delle case;
Creare un’organizzazione comunitaria di base per la prosecuzione
delle attività a progetto concluso.
I Volontari
Maria Gahimbare Goretti, Lidia
Calì e Maurizio Pedercini, Alberto
Rocco
PROGETTI
NEWS FROM
ZAMBIAN LANDS
I volontari incontrano le comunità: il via alla stesura del progetto.
tante e critica di ogni progetto, durante la quale le attività vengono decise
insieme alle comunità coinvolte.
La popolazione è divisa in circa 40 gruppi, rappresentati da capi, spesso
anziani, nominati dal chief locale (Re Mumena o Re Matebo).
Per raggiungere tutti i gruppi, si devono percorrere molte decine di km
su terreni accidentati nei boschi. Gli incontri hanno come primo scopo
far parlare la gente di sé, esprimendo liberamente un’opinione sui propri
disagi. Non ci sono sale congressi o auditorium; la gente arriva dai villaggi sparsi nei boschi e si siede su qualche sgabello, tronco, pietra,
le donne stendono le loro stuoie per terra. Ed ecco
creato il “tavolo della riunione”. Qualcuno apre con
una preghiera, poi l’introduzione del capo villaggio
e il rituale delle presentazioni: ora si può
cominciare. Ma per ascoltare tutti, non
possiamo ignorare l’esistenza di un intreccio di gerarchie (tra giovani ed anziani, per
esempio); per questo ci dividiamo in piccoli
gruppi, all’interno dei quali ascoltiamo e chiediamo
dettagli sui maggiori problemi che affliggono le persone. Spesso ci troviamo di fronte a richieste disperate
di aiuto e assistenza, come se il nostro arrivo fosse riconosciuto come una risposta a preghiere rivolte a Dio. In
molti casi abbiamo riscontrato che le informazioni
vengono nascoste: le persone a volte si fingono
ignoranti, ad esempio su come trattare l’acqua prima di berla o come utilizzare il concime, forse per
timore di perdere il nostro aiuto (magari anche solo
un pozzo o fertilizzante chimico), se dovessero dirci
di conoscere già queste cose.
In effetti non è nostra intenzione agire in questo modo:
AREA micro
vogliamo andare a fondo su quello che serve davvero
Micro 1 – Obiettivo biblioteca comunitaria
alla gente, e non vogliamo essere noi a dirlo; vogliamo
La biblioteca della comunità avrà
aiutare la gente a fare ciò che essa è disposta a fare, e
una più ampia dotazione di libri.
non proporre quello che vogliamo noi. Questo significa
Acquisto libri (2008)
€ 500
non comportarsi da sportello per l’assistenzialismo, ma
lavorare per far crescere le persone ed incoraggiarle inMicro 2 – Obiettivo necessità dei vulnerabili
nanzitutto a impegnarsi per la propria comunità e penAlcuni poveri senza famiglia (disabili, anziani, orfasare a soluzioni sostenibili.
ni) avranno supporto in casi di emergenza.
Fondo caritativo (2008) € 1.500
Lidia Calì e Maurizio Pedercini
Dopo molti mesi di silenzio siamo
di nuovo qui a raccontarvi di questo
Zambia e della sua gente, che tra un
episodio e l’altro non smette mai di
sorprenderci.
Ma lo stupore ora ha anche un’altra
fonte: la consapevolezza che a fine
febbraio 2008, un mini-Pedercini
animerà la nostra vita a Mutanda. Questo ci fa quotidianamente riflettere sulla magia del diventare genitori.
Una delle maggiori sfide di questo periodo
rimane la ricercaazione intrapresa
con le comunità del
grande territorio
di
Mumena
e Matebo,
con lo scopo di scrivere una
proposta
di progetto
da presentare ad
enti finanziatori.
È la fase più impor-
Micro 3 – Obiettivo borse di studio
Alcuni giovani orfani saranno iscritti alle scuole medie inferiori.
Borse di studio (2008) € 4.500
P.S.
Una ragazza della scuola superiore di Mutanda ci chiede
se ci sia qualcuno che voglia iniziare un rapporto di corrispondenza a distanza con lei…
QUALE INDIPENDENZA
PROGETTI
IN ZAMBIA?
Questo è il titolo della monografia scritta da Gabriele Smussi sul Paese africano che ospita il progetto SVI di MumenaMatebo. Il testo è disponibile presso la segreteria SVI al costo di 15 €.
In questa pagina Esserci ospita uno stralcio della nota introduttiva.
Lo Zambia è un paese africano
che non gode delle prime pagine
dei giornali, sia nazionali sia esteri,
preoccupati di destinare il loro spazio soprattutto a catastrofi, guerre
tribali e fatti sensazionali, privilegiando lo straordinario rispetto
all’ordinario. Suscita interesse solo
per le sue attrazioni turistiche.
Terreno privilegiato delle spedizioni di David Livingstone nel XIX
secolo, lo Zambia (ex Rhodesia del
Nord) nasconde i suoi villaggi in un
territorio nel quale coabita tutto
quello che è uscito dall’arca di Noè.
Nel cuore della savana, i villaggi di
capanne di paglia e di terracotta
spesso sono attraversati da gruppi
di piccole giraffe e d’ippopotami. Il
paese (752.614 km2, quando la superficie dell’Italia è di 301.225 km2)
è un deserto verde ed anche uno
dei meno popolati dell’Africa (11,6
milioni di abitanti nel 2005), con soli
13 abitanti per km2.
Lo Zambia è un puzzle: sono state
recensite 73 etnie e 272 capi tribali; e la sua terra non si vende, ma si
negozia. Disperse in tutto il paese,
lussuose proprietà dagli anni 1950
accolgono i turisti per safari dove
l’osservazione ha sostituito la caccia. La fauna è un patrimonio in pericolo, ma anche una posta molto
importante per un paese che tenta
di aprirsi verso l’esterno. Se la terra
appartiene alle tribù, dalla colonizzazione britannica le sue risorse
sono rimaste in mano ad alcuni benestanti, industriali e politici. “I due
terzi della popolazione sopravvivono con meno di un dollaro al giorno,
10
mentre un bufalo al mercato nero
di Lusaka si negozia a 600 dollari”,
spiegava su Le Monde del 10 febbraio 2007 Mark Harvey, proprietario del lodge di Kapysha. “Nel 1964,
all’indipendenza del paese, eravamo uno dei più ricchi paesi africani.
Oggi siamo fra i più poveri”.
Classificato, secondo l’Indice di Sviluppo Umano della Banca Mondiale
nel 2004, al 164° posto su 175, sembra che lo Zambia abbia voltato le
spalle allo sviluppo. Nel 2006 il Fondo Monetario Internazionale (FMI)
e la Banca Mondiale hanno approvato l’annullo del suo debito. La popolazione sparsa sul territorio si è
ormai urbanizzata, concentrandosi
a Livingstone e Lusaka, la vecchia e
la nuova capitale, e nel Copperbelt,
dove sono raggruppate le produttive miniere di rame, di cui lo Zambia è il quarto produttore mondiale.
Dappertutto nel paese ogni famiglia ha un fratello, un figlio, uno zio
che è partito a cercare lavoro nella
zona mineraria del Copperbelt.
Secondo esportatore mondiale di
rame e quarto di cobalto, lo Zambia
appartiene a quei paesi ricchi che
non hanno mai realmente approfittato delle loro risorse. Il prezzo
del rame batte i record, più di 6.100
dollari la tonnellata, ma come ricordava Mark Harvey, “il prezzo di un
bufalo ha spesso più valore di quello di un uomo!”.
Il presente lavoro si propone di presentare una serie di informazioni
che consentano al lettore di avvicinarsi a questo paese dell’Africa australe con maggior ragione di causa ed è stato predisposto in modo
particolare per chi, per una ragione
o per l’altra, è interessato ad approfondire le sue diverse problematiche. Spesso, poi, ho approfittato del
“caso Zambia” come trampolino di
lancio per accennare od affrontare
tematiche più generali. Se contribuirà, anche minimamente, a chiarire qualche dubbio ed a stimolare
la ricerca e l’approfondimento, il
suo scopo sarà stato raggiunto.
Gabriele Smussi
Victoria Falls
DOSSIER
AUTOSVILUPPO ED
AUTOPROMOZIONE
Per dare un quadro di sfondo ai successivi dossier tematici, il primo contributo di Esserci nuovo formato è un
approfondimento di Mario Piazza, direttore dell’équipe di formazione, sul concetto di autopromozione, un
argomento su cui il dibattito in questi ultimi mesi si è fatto via via più forte all’interno dello SVI.
Mi sono trovato a cercare un senso
nei resoconti di decine di volontari
rientrati e in servizio che raccontavano dei loro tentativi di attivare
processi di autosviluppo in comunità del sud del mondo, fra mille
difficoltà e con esiti non sempre
correlati alla buona volontà. Su questa azione positiva della volontà si
sofferma la riflessione di queste righe. Non perché non contino i fattori esterni all’azione; anzi la loro
influenza è esorbitante: presente e
passato di una data popolazione e
di un determinato problema vanno
sicuramente conosciuti a fondo. Ma
è altrettanto vero che si rintracciano
alcune costanti di stile o di metodo
fra i diversi interventi; su queste formulerò alcune - sempre ridiscutibili
- generalizzazioni.
Autopromozione e intervento
esterno
I due concetti sembrerebbero in
contraddizione fra loro.
Ma non è forse situazione analoga
a quella in cui si trova ogni genitore, ogni insegnante, ogni terapeuta,
ogni dirigente che tiene allo sviluppo dei suoi uomini, ogni politico cui
stia a cuore l’emancipazione o anche solo l’impegno appassionato di
chi lo sostiene? Aiutare, informare,
favorire, correggere, stimolare sono
verbi la cui declinazione si concretizza in un intervento che corre sul
filo di un rasoio: da un lato il rischio
di negare assistenza a chi non ce la
fa da solo, dall’altro il sostituirsi a
chi potrebbe far da sé mobilitando
risorse nascoste ed inattese.
La povertà di mezzi e competenze spesso ci aiuta o ci costringe ad
essere rigorosi in tale percorso; ma
autopromotivi si è per scelta metodologica, e quindi filosofica: e lo si
può essere o no nella povertà come
nella ricchezza di mezzi o di competenze. Spesso ci capitano volon-
tari con elevate specializzazioni; a
volte ci viene accolta una richiesta
di finanziamento. In entrambi i casi
l’espressione della nostra ricchezza
non deve inibire lo sforzo altrui di
crescere.
Che cosa è lo sviluppo?
Nel linguaggio corrente politico/
giornalistico, per sviluppo si intende “l’aumento dei beni materiali,
della loro produzione e del loro
consumo”, senza considerare i beni
immateriali, né i limiti del pianeta
nei suoi delicati equilibri compromessi da una crescita indefinita.
Con maggior completezza, il programma delle Nazioni Unite sullo
sviluppo umano scrive che “... il fine
dello sviluppo è di creare un ambiente idoneo per le persone, affinché possano godere di una vita
lunga, salutare e creativa...”. L’indice
di sviluppo umano si basa su variabili che comprendono non solo
Partecipazione: attorno a un tavolo per discutere di problemi comuni (incontro tra volontari SVI in America Latina 2006, San Felix, Venezuela)
11
DOSSIER
il reddito per abitante, ma anche la
speranza di vita alla nascita, le condizioni di salute, il livello di istruzione, la diffusione dei mezzi di comunicazione, ecc..
Possiamo quindi definire sviluppo
“il processo tramite il quale una società si costruisce a partire dalle risorse che ha a disposizione: ricchezza naturale, infrastrutture, storia ed
esperienza del popolo, capacità,
tecnologie, ecc.”. Infatti i benefici di
cui parlano le Nazioni Unite hanno
ricadute sulla vita dei singoli individui; ma la loro acquisizione passa
attraverso il modo in cui una comunità umana riesce ad organizzarsi,
fra potenzialità e limiti storici e geografici. In questo senso il concetto di
sviluppo incontra quello di cultura,
intesa come il patrimonio comune
di conoscenze e valori formatosi
nella storia.
Non ci sogneremmo mai di giudicare sottosviluppata la società greca
del periodo di Pericle (la cui letteratura e filosofia è oggetto di studio
nei nostri licei) benché afflitta da
guerre, limitatezza tecnologica, pre-
giudizi sociali e loro conseguenze;
allo stesso modo dovremmo essere
prudenti nell’etichettare con leggerezza come sottosviluppate le
comunità diverse dalla nostra.
Le definizioni di sviluppo e sottosviluppo possono in buona misura
apparire relativistiche: la percezione di inadeguatezza di chi non ce
la fa nasce dal confronto sulla risoluzione di problemi. Analogamente
chi non ha diritti riconosciuti ne
prende coscienza confrontandosi
con chi ne gode, e si interroga sui
meccanismi che lo escludono. Questo confronto avviene grazie al contatto con la diversità culturale. In un
mondo divenuto piccolo e globalizzato ciò avviene in continuazione: l’isolamento è quasi impossibile.
Spinte al cambiamento (e autoritarie difese da esso) sono pertanto
situazione comune. Una di queste
spinte è attiva anche dall’interno:
una generazione rispetto ad un’altra può avere accesso a risorse ed
informazioni prima indisponibili. Si
crea in tal modo una discontinuità
che ridiscute le soluzioni preceden-
ti e modifica o abbandona tradizioni. Le società umane evolvono.
A contatto con una cultura molto
lontana dalla nostra dovremmo saper cogliere queste evoluzioni.
Che cosa è autopromozione?
Lo sviluppo ha a che fare con la
costruzione e la crescita di una società; quindi i meccanismi decisionali interni ad essa influenzano lo
sviluppo. Chi decide le priorità nei
problemi di una popolazione o di
un paese? L’esclusione dalla sovranità di vaste fasce sociali di una popolazione comporta uno sviluppo
parziale.
A questo livello si gioca il significato di un aiuto internazionale. In
situazione di emergenza non vi è
dubbio alcuno sulle priorità; in tutti
gli altri casi un aiuto non concordato è un’imposizione. Poiché quasi
nessuno ha forza sufficiente per
rifiutare un aiuto, il donatore impone di che cosa ci si deve occupare e
come farlo.
A partire da riflessioni analoghe
a questa si giunge a concepire di
L’autopromozione è affidare al
beneficiario il ruolo di decisore...
12
DOSSIER
Metodologia: instaurare relazioni di dialogo, scambio interculturale
porre il beneficiario al centro delle
decisioni da prendere. L’autopromozione non è altro che affidare
al beneficiario il ruolo di decisore
rispetto a priorità, luogo, tempi di
intervento e di cambiamento. Fin
dai tempi dei conquistadores che
regalavano specchietti e collanine
per ottenere fiducia e quindi libero
accesso a risorse ben più preziose,
il dono non ha mai dismesso la sua
natura ambigua.
Quando l’autopromozione?
Innanzitutto potremmo chiederci
quando essa non è utile. Abbiamo
in parte risposto parlando di emergenza. Aggiungiamo: le situazioni in
cui occorre formazione, consulenza, assistenza con servizi costosi; in
questi casi sembrano inevitabili interventi assistenziali (citiamo come
paradigmatico l’esempio dei livelli
minimi di assistenza sanitaria). Allo
stesso modo laddove si sottostimino gravità e urgenza di certi problemi sembra non servire l’autopromozione, ma interventi sensibilizzativi
(pensiamo a titolo di esempio all’importanza di convincere alla potabilizzazione l’acqua o ad aderire a
campagne vaccinali o a mandare i
bimbi alle scuole primarie).
In realtà, pure nelle situazioni appena citate in cui appare utile una
azione sensibilizzativa o assistenziale, può essere comunque concepito un intervento autopromotivo
se si ha tempo a sufficienza per dedicarvisi; ad esempio sostenendo
un piccolo gruppo già sensibile
ad un problema su cui si vorrebbe
diffondere attenzione o aiutando
un’équipe di persone competenti
che gestiscono un servizio assistenziale così che lo facciano nel modo
migliore.
Rischi
Nel definire che cosa è emergenza
dobbiamo innanzitutto imparare a
correggere percezioni fuorviate derivanti dal raffronto col nostro stile
di vita. Quindi sembrerebbe ovvio
affidarsi ai beneficiari. Ma chi fra i
beneficiari si assume la responsabilità di rifiutare un rapido ricco aiuto
a favore di un intervento diluito nel
tempo, per dar modo ad una popolazione di partecipare alle decisioni
circa le priorità? Non è scontato che
la risposta a questa domanda sia
“l’autorità locale” oppure “un’élite
locale”: è probabile che tali soggetti, pur di non perdere un’opportunità, garantiscano la correttezza nella
gestione dei beni. Ma l’esperienza
ci insegna prudenza. In Karamoja
abbiamo visto nascere una mafia
nella gestione di aiuti internazionali. In Burundi la affrettata programmazione di un autorevole donatore
lo portava a “regalare” beni ad una
comunità batwa, distruggendo
quel che i nostri volontari faticosamente da anni stavano cercando
di costruire in termini di relazioni
sociali ed organizzazione. In Perù e
in Senegal i collaboratori locali più
diretti intendevano la corresponsabilità nella gestione delle strutture
del progetto come arricchimento
personale. Sono pertanto possibili
conseguenze indesiderate ad una
miope generosità.
Per questo si impone da parte dei
donatori un’accortezza ed un’intelligenza che non coincide con i semplici impulsi di un cuore generoso.
Lavorare a favore dell’autopromozione implica farsi “facilitatore” di
tale processo, il che comporta una
preparazione personale ed orga13
DOSSIER
nizzativa, assumendo atteggiamenti non sostitutivi e adottando strategie che aiutino chi non ha voce a
divenire soggetto sociale rispettato
ed ascoltato. Si delineano in queste
poche righe i tratti di una filosofia di
intervento che spinge a discernere
fra le situazioni (fra emergenza e
no), fra gli interlocutori (élite potenti
ed emarginati) e a governare il nostro impulso a ricevere la gratificazione che il ruolo di donatore regala
a chi lo assume.
Come fare autopromozione?
Vi è autopromozione se sono i beneficiari più bisognosi a decidere le
priorità. Ma una delle maggiori povertà di questi purtroppo è quella di
non essere abituati a prendere decisioni con implicazioni a medio/lungo termine: in genere queste persone hanno di che arrivare a sera; e
qualsiasi aiuto essi ricevano viene
gestito nel medesimo arco temporale. In questo caso il donatore ha
il compito nel compito di riuscire
a concepire percorsi che aiutino il
beneficiario a divenire soggetto in
grado di prendere decisioni e non
di subirle.
La più semplice strategia applicabile in questo caso consiste nell’appoggiare contesti decisionali esistenti: i gruppi, le organizzazioni, le
comunità, i villaggi, le cooperative,
le associazioni… tutto ciò che riunisce le persone attorno a problemi
e alle decisioni per uscirne. Talvolta
l’isolamento, impedendo il sorgere
naturale di tali soggetti sociali, costituisce il problema principale. Ne
sono esempi la dispersione dei contadini in estese aree rurali, ma pure
l’immensa densità di una periferia
urbana in cui l’incapacità di ciascuno a far fronte alle necessità di base
viene vissuta come una sconfitta
personale e non come un problema
su cui unirsi. In questi casi il compito
del facilitatore dell’autopromozione
è aiutare a far nascere gruppi, ossia
ambiti in cui i bisogni non siano più
una disgrazia individuale, ma pro14
blemi, oggetto di confronto, scambio di riflessioni e risorse.
Far nascere e crescere gruppi ed
organizzazioni popolari non è compito di pochi mesi; ma il suo valore
è di assoluta rilevanza per un processo autopromotivo che produca effetti ben oltre la durata di un
aiuto esterno. In un piccolo gruppo
si può prendere coscienza di un
problema ed aprirsi alla possibilità
di un eventuale cambiamento. Il
piccolo gruppo è il contesto in cui
ognuno può imparare ad esprimersi e quindi ad influenzare gli altri,
riconoscendosi dotato di potere in
relazione ai cambiamenti da affrontare. Un piccolo gruppo è destinato
a durare nel tempo quale freccia
scagliata nel futuro, poiché, se sufficientemente consolidato, è in grado di sostituire chi per qualche motivo viene a mancare. Infine i piccoli
gruppi possono essere cellule di organizzazioni capaci di porsi problemi di livello superiore, riguardanti
lo sviluppo di un’area regionale.
percorso verso lo sviluppo è quanto lo SVI ha cercato e sta cercando
di fare al meglio delle proprie possibilità. È una strada che concretizza
ed organizza, di fatto, l’attenzione e
il rispetto per le persone che l’ispirazione cristiana ci stimola a mantenere: quando una persona sta
parlando, per lei il tempo si ferma
finché non ha espresso tutto ciò
che voleva dire. Fare gruppo è dare
importanza alle persone, fermare il
tempo, annullare la fretta.
Del resto l’umanità dovrà fronteggiare per il futuro problemi di
dimensioni tali che richiederanno
una guida sempre più unitaria e
centralizzata, ma in un mondo globalizzato il potere degli individui
di dire no si accrescerà inevitabilmente (si pensi al peso immenso di
piccoli gruppi terroristici). Pertanto
nessuna direttiva potrà avere efficacia se non si troverà il modo di
far partecipare chi deve attuare i
cambiamenti.
Mario Piazza
Conclusioni
Lavorare per la crescita di comunità
in grado di determinare il proprio
World Social Forum 2006: il laboratorio proposto dallo SVI e da JOC Venezuela
SVI ITALIA
Paniere solidale
Svi - PAN.GAS.SVI.
Se qualcuno ha ancora l’abitudine di guardare le stelle potrà scoprire una nuova costellazione. Il suo nome è Solidale.
Una delle stelle che la compongono, piccola, quasi invisibile a occhio nudo, si chiama GAS (Gruppo Acquisto Solidale). Le
altre della stessa costellazione, che per la verità è molto ai margini della volta celeste, si chiamano con nomi strani come
CeS, TuRes, MAG (commercio equo e solidale, turismo responsabile, mutua auto gestita), Bilanci di giustizia, Consumo
critico, Finanza etica. Vuoi “Esserci” anche tu?
Gruppi di Acquisto Solidale: un ponte diretto tra produttore e consumatore
Lo scorso anno, volendo fare 30 regalucci ad altrettante persone, ho
pensato di donare loro un piccolo
paniere con i prodotti del GAS di
Calvagese. Ebbene, parecchie persone hanno trovato che i formaggi, la pasta biologica, integrale e al
kamut, il vino, l’olio, le salse di pomodoro, il miele, i salami ed altri
prodotti erano molto buoni. Mi
hanno chiesto se potevo procurarne ancora, a pagamento. Così è
nato il PanGas che ha sede allo SVI.
Per tentare di farmi capire un po’
meglio trascrivo alcuni messaggi
che in questi mesi ho messo nei
panieri (robuste sporte di carta riciclata).
1. “Il PAN.GAS.SVI si propone di fornire a prezzi vantaggiosi prodotti
ottenuti nel rispetto dell’ambiente.
Non mira a nessun profitto dei promotori, ma fa risparmiare i consumatori. Come tutti i GAS d’Italia, si
limita a coprire i costi: neanche un
centesimo in più! Il rapporto qualità-prezzo è decisamente buono.
L’agricoltura biologica, con il suo
modo lieve di trattare Madre Terra
è un tassello del mosaico che ha
per disegno complessivo la salvaguardia del Creato. Alcuni prodotti
di piccole aziende, anche se non
sono biologici, hanno il pregio di
essere artigianali, genuini, confezionati da ditte locali, quindi senza
dispendio di energia dovuta ai lunghi trasporti. Assai bella è anche la
combinazione fra GAS e CES. Fra
loro non c’è rivalità o concorrenza,
entrambi concorrono al medesimo
scopo: favorire i piccoli produttori
e avvantaggiare i consumatori. Insomma fare acquisti con PAN.GAS.
SVI è utile per sé e per l’ambiente”.
2.“Non dimenticare che NON siamo
commercianti, ma volontari e quindi può verificarsi che un prodotto
giunga in ritardo o sia esaurito... Ti
chiedo di entrare nello spirito del
GAS, che non è lasciato all’improvvisazione, ma non può avere una
funzionalità rigida... Ricorda sempre
che il tuo acquisto, per quanto piccolo, consente di migliorare l’ambiente. Non facciamo beneficenza
ma facciamo una cosa utile... Ti chiediamo un po’ di tolleranza perché il
nostro rapporto non è commerciale
ma “commensale”, un vincolo amica-
le con un risvolto concreto”.
3. “NON serve lo scontrino fiscale
perché l’acquisto di gruppo è documentato dalle fatture conservate
agli atti del GAS di Calvagese. Questo nel rigoroso rispetto della legge.
Giuridicamente si tratta di acquisto
collettivo. Poiché non viene fatto
alcun ricarico il GAS non fa attività
commerciale. Non si paga nulla in
più del costo delle merci, ci si dà
una mano a vicenda. Le telefonate,
i fax, e le altre spese vive sono un
omaggio di chi ha la gioia di poterlo fare o dello SVI”.
Concludendo, e rubo il concetto al
prof. Leonardo Becchetti dell’Università di Roma, anche i GAS, come
il Commercio equo e la Finanza etica non hanno un semplice valore
di nicchia ma manifestano la tendenza a porre al centro dell’agire
economico il valore delle relazioni
interpersonali piuttosto che l’utilitarismo individualista.
Vuoi “Esserci” anche tu nel PAN.GAS.
SVI? Telefonaci.
Aldo Ungari
e Mariateresa Rubagotti
15
E SI PROSEGUE
PROGETTI
IL CAMMINO!
Relazione dei primi sei mesi di volontario SVI in Uganda di Gianpietro Gambirasio,
partito per Iriiri nel maggio 2007.
Maggio e giugno 2007: si parte, si
torna… e si riparte!
Partenza in fretta e furia, con il MAE
che vuole un volontario in Uganda
entro il 20 maggio 2007 e con i miei
studi che mi vogliono a Brescia il 28
giugno 2007. Decido, con Federica,
di fare una visita di tre settimane al
progetto, per poi tornarvi a luglio.
L’impatto iniziale è stato soft: oltre
a sapere di star lì solo tre settimane, non mi ero costruito nessuna
aspettativa riguardo a Iriiri.
Una toccata e fuga non è certo il
massimo per il volontario, e soprattutto per la comunità che si vede
arrivare un nuovo volontario che
parte subito. Tuttavia credo che una
pre-visita sia importante, fosse solo
per partire più sereni.
Un volontario convinto rimane tale
anche se in una eventuale pre-visita
vive un impatto-scontro con il contesto in cui si troverà ad operare.
Luglio e agosto 2007: Kampala, la
bella e viva capitale ugandese.
Sono stato a Kampala per un intenso corso di inglese; non mi sono annoiato. Le lezioni occupavano solo
la mattinata; e nel pomeriggio giravo Kampala per commissioni varie.
È stato un breve e intenso periodo,
ma positivo.
Vivendo insieme, Claudio, Lucia ed
io abbiamo iniziato un ottimo rapporto di dialogo e comunicazione.
Mi sono adattato alla guida all’inglese (viaggiare sulla corsia di sinistra) e alla guida all’ugandese (non
c’è un vero e proprio codice della
strada che i guidatori rispettano),
riuscendo ad orientarmi.
Ho conosciuto altri italiani (e soprattutto italiane) che vivono a Kampala e che lavorano per altre ONG. Ho
iniziato così a intessere la mia rete
di relazioni con l’intenzione di allargarla il più possibile, sia perché mi
servirà per ammortizzare eventuali
cadute morali, sia perché credo che
la ricchezza di un uomo stia nella
qualità e nella quantità delle relazioni che costruisce durante la sua
vita.
Il piacevole soggiorno capitolino è
finito con l’arrivo di Enrica dall’Italia
e di Fausto dal Karamoja: destinazione Iriiri.
Gianpietro Gambirasio fa conoscenza con i granai karimojong
Iriiri e Namalu – Karamoja
Uganda
Obiettivo
Al termine dell’intervento la zona
sarà autosufficiente dal punto di
vista alimentare grazie alla diffu16
sione di tecniche agricole e agrozootecniche sostenibili
Azione
Erogare corsi su tecniche agricole
sostenibili e veterinaria presso il
centro formativo di Iriiri
Stoccare foraggi e distribuire pian-
Settembre, ottobre, novembre e dicembre 2007.
Dopo introduzione e premessa,
ecco finalmente il primo capitolo.
Da settembre sono a Iriiri per inizia-
te da frutta, da ardere, da costruzione e sementi selezionate ai
contadini coinvolti nel progetto
I Volontari
Lucia Cancarini, Fausto Conter,
Gianpietro Gambirasio, Pierluigi
Sinibaldi
Vivai - Iriiri (Uganda)
re a pieno il servizio SVI nel progetto. Le giornate si sono riempite tra
meeting con i gruppi, field visit per
visionare il lavoro dei farmer, lavoro
con il committee che gestisce il silo,
commissioni varie a Moroto, Soroti
e Kampala. Ho iniziato così a conoscere gli animatori che ci aiutano
nel progetto, e ad ambientarmi nella sub county di Iriir. Il tutto è stato
condito dalle spiegazioni di Fausto.
Il passaggio della consegna tecnica può essere fatta in poco tempo,
credo un mese. Ma la condivisione
dell’atteggiamento da tenere con i
lavoratori e con la comunità di Iriir
impegna molto più tempo. La mia
sovrapposizione con Fausto, di soli
tre mesi, è bastata appena a com-
pletare questo passaggio; qualche
mese in più sarebbe stato positivo.
Le difficoltà incontrate sono state...
spiazzanti. Dal punto di vista fisico
non ho avuto alcuna difficoltà ad
adattarmi, se non fosse per un paio
di giorni a riposo e digiuno per una
diarrea batterica. Anche a livello
di adattamento psico-sociale non
ho riscontrato alcun problema.
La comunità di Iriiri mi ha accolto
come… diciamo come un bianco
in un villaggio del Karamoja. Se ho
avuto difficoltà, le ho incontrate nel
relazionarmi con Fausto ed Enrica,
a vivere con loro. Lavoriamo ogni
giorno per formare gruppi di lavoro nella comunità, li aiutiamo a crescere e osserviamo i cambiamenti
Un abbraccio di pace.
Gianpietro Gambirasio
Per commenti, complimenti o insulti,
o per soddisfare eventuali curiosità:
[email protected] e
gianpigambi.blogspot.com.
AREA micro
Micro 1 - Obiettivo piantine di semenzaio
60 famiglie di agricoltori di Iriiri e Namalu copriranno
30 acri di terreno con specie di piante che favoriranno la salvaguardia dei terreni, preverranno l’erosione
del suolo, agiranno da fertilizzanti naturali dei terreni,
da barriere frangivento, ombreggianti e forniranno
foraggio e legno.
Micro 2 - Obiettivo cassava
90 famiglie di agricoltori di Iriiri e Namalu metteranno a dimora cassava in 30 acri di terreno, garantendo
una maggiore varietà produttiva e un minor impoverimento del terreno.
Costo di 40.000 piantine
Costo di 1 fascina di cassava
Costo di 350 fascine
€ 6.000
PROGETTI
in loro. Ma - sembra buffo - noi tre
non formavamo un gruppo. Abbiamo iniziato ad esserlo nel momento in cui ci siamo ritrovati sotto lo
stesso tetto, iniziando a relazionarci
anche solo sul piano formale. Condividiamo la stessa casa, gli stessi
spazi, lavoriamo insieme; le nostre
giornate sono scandite dagli stessi
orari. Ma - diciamoci la verità - non
ci siamo scelti; e iniziare a vivere e
convivere con persone che nemmeno si conoscono è una bella sfida. Mi spiace solo che fino ad ora
non sono riuscito ad avere con loro
uno scambio pieno e sincero a livello personale. Forse ho sbagliato
nel costruirmi in Italia, come unica
aspettativa prima della partenza, il
trovarmi subito bene con gli altri
volontari con cui convivere questi
tre anni. Ma sono fiducioso e credo
che riusciremo a costruire un buon
rapporto.
Ringrazio il Signore per questa strada, che ha tracciato per me e che mi
fa conoscere giorno dopo giorno.
Lo ringrazio per le difficoltà perché
mi donano umiltà e forza. Per i fallimenti, perché mi fanno sentire limitato. Per i bisogni degli altri, che mi
spingono ad essere servo loro.
€3
€ 1.050
17
DIRITTI UMANI
TERRENO COMUNE
PER UN DIALOGO
Seguendo una suggestione di Bobbio, potremmo ridurre a tre i principali problemi che l’umanità deve affrontare:
povertà, diritti umani, ambiente. Esserci da anni dedica uno spazio a quest’ultima tematica; e mi sono sempre stupito
che non ve ne fosse uno relativo ai diritti umani...
Il motivo del moi stupore è da ricercare nel compito principale di
Esserci: informare sui progetti dello
SVI. Esserci non persegue obiettivi politici; e il dibattito su problemi d’attualità stretta (ad esempio
quello che sta succedendo in Kenya) non rientra nei suoi intenti (si
pensi a Emergency; la differenza è
palese). Tuttavia il tema dei diritti umani, malgrado l’apparenza, è
strettamente implicato in quanto si
fa nei progetti SVI.
Per inciso vale la pena segnalare il
nesso tra questi e la tematica ambientale: se la fame nel mondo è il
dato di fatto scandaloso che – data
l’indifferenza dei governi locali
– può richiedere l’intervento dei
volontari, lo SVI intende rendere
autonoma una comunità nel rispetto dell’ambiente. Quest’ultimo
si configura come una cartina di
tornasole del cammino del mondo
preso nella sua globalità; e infatti in
questi ultimi anni anche i paesi del
Nord hanno dovuto iniziare ad affrontare il problema ambientale: il parlarne è un’ammissione
dell’esistenza, il riconoscerne
l’urgenza. Però rendere autonoma una comunità implica
perlomeno – anche se non solo
– la convinzione che tutti gli
uomini abbiano il diritto
di nutrirsi. Possiamo affermare, più in generale,
che l’idea di uguaglianza di tutti gli uomini sia
un assunto implicito
dell’azione di ogni
volontario SVI, e di
ogni persona che si
18
interessi a progetti di sviluppo.
Che cosa siano i diritti umani è tematica ampia e articolata.
Anziché presentare una suddivisione “scolastica” di ciascuno di essi,
perché ci si possa rendere conto di
che cosa stiamo parlando può essere sufficiente consultare un rapporto di Amnesty international.
Le principali rubriche sono: pena di
morte (si pensi alla recente moratoria), condizione della donna, libertà
(in tutte le sue forme), condizione
dei carcerati, dei profughi, dei prigionieri politici, maltrattamenti da
parte della polizia, uccisioni illegali...
Ciascun Paese presenterà gradi diversi di rispetto dei diritti e differenti forme di violazione dei principi che vi sottostanno: ad esempio,
in Italia è importante il tema della
condizione dei carcerati, ma non
quello relativo alla pena di morte.
I diritti umani afferiscono all’uomo
considerato nella sua universalità, cercando di
astrarre il più possibile da determinazioni più precise.
Perché?
In questo modo si mira ad attribuire a tutti alcuni diritti che, non
dipendendo dalla legge positiva, a
tutti possano essere riconosciuti.
Nonostante l’attuale, apparente
ovvietà del fatto che l’uomo nasca
con alcuni diritti inalienabili, questa
presa di coscienza ha richiesto riflessioni e dibattiti iniziati nel 1500
e che perdurano tutt’ora. Questo
avviene perché i diritti umani sono
un “prodotto” del pensiero occidentale: ciò che a noi appare scontato è dovuto all’ambiente in cui
siamo cresciuti e non è così scontato presso altri popoli.
Il fine che i sostenitori - in senso
esteso - dei diritti umani perseguono è che questi ultimi vengano riconosciuti in ogni parte del
mondo, e che si configurino come
il terreno comune e condivisibile
su cui possa essere innestato un
dialogo fecondo per le varie parti
coinvolte.
Termino questa introduzione segnalando che lo SVI, perseguendo
l’autonomia di una comunità, agisce in conformità al diritto di autodeterminazione dei popoli.
Ricordo infine che,
oltre ai diritti individuali, esistono anche
quelli propri di
gruppi sociali,
quali minoranze, emarginati
(anziani, donne) e
esclusi (malati, carcerati).
Federico Bonzi
ANTROPOLOGIA
ANTROPOLOGIA CULTURALE E
VOLONTARIATO INTERNAZIONALE
Che cos’è l’antropologia culturale? E perché parlarne su Esserci?
“Un individuo che vive a casa sua, vive
nella dimensione profana;
vive invece nel sacro quando se ne va
e si trova come straniero in un luogo
abitato da sconosciuti”
Van Gennep
Ricordo la mia prima lezione di antropologia culturale.
Il docente, seduto sulla cattedra,
indicava una scritta alla sue spalle:
“Gli antropologi sono i primi pettegoli della storia”.
Beh, se partiamo dal presupposto
che l’antropologo è un appassionato e curioso studioso di culture,
ma soprattutto di comportamenti
dell’uomo, probabilmente il mio
professore aveva ragione.
Nel corso dei miei studi ho sentito
dare le più svariate interpretazioni
sul significato di questa disciplina,
da interlocutori basiti appena dicevo loro di che cosa mi occupavo
(“Ah certo, studi i dinosauri!”, “Praticamente sei un medico!”, “Curi la
menopausa degli uomini?”), e mi
sono resa conto che l’antropologia
– almeno in Italia – non è così conosciuta e diffusa.
Non è mia intenzione tediare con
noiose e intricate definizioni scientifiche, ma credo sia doveroso fare
un breve accenno alla storia della
disciplina.
L’antropologia culturale è uno dei
campi dell’antropologia, che si è occupata di promuovere e sviluppare
la cultura come oggetto di studio
scientifico, approfondendo le differenze culturali tra gruppi di uomini
e interessandosi di una sistematica
comparazione delle società umane.
Gli studiosi sono concordi nel far
risalire l’origine dell’antropologia
culturale al XIX secolo. Fu E. B. Tylor
il primo a definire antropologicamente il termine cultura nel 1871,
durante un discorso all’Università
di Oxford, come l’insieme di “... tutte
le capacità e i moduli di comportamento acquisiti dall’uomo in quanto membro di una società...”.
Insieme a Tylor, padri di questo
ramo della disciplina sono considerati Lewis Henry Morgan e James
Frazer, che svolsero le loro ricerche
in Inghilterra e negli Stati Uniti, diffondendole poi in tutta l’Europa. I
primi dati su cui lavorarono erano
soprattutto materiali raccolti da altri, di solito missionari, esploratori, o
ufficiali coloniali, che avevano avuto la possibilità di raccogliere informazioni “sul campo”.
Un antropologo culturale, detto in
poche parole, si interessa principalmente dell’”Altro”, del “diverso da
noi”.
Quale posto migliore dello SVI allora per parlare di antropologia?
Credo che la cosa più importante
per qualcuno che desidera avvicinarsi ad un altro popolo sia conoscere i suoi costumi, le tradizioni, le
strutture sociali.
A maggior ragione un volontario
intenzionato ad aiutare l’”Altro”,
come potrebbe muoversi correttamente senza comprendere la cultura altra?
L’antropologia culturale può fornire i mezzi per muoversi in maniera
rispettosa in una comunità che non
è la propria, per agire nel modo più
corretto ed essere veramente d’aiuto a qualcuno.
Arrivare in un paese straniero con
un buon bagaglio di preparazione
su chi si va a incontrare, è – sempre per citare il mio amato docente
- come andare a casa di qualcuno
con un delizioso piatto di pasticcini:
mette a proprio agio il nostro ospite ed è un ottimo biglietto di presentazione per noi.
Lia Guerrini
Fausto Conter beve birra locale in un villaggio karimojong: “come potrebbe un volontario
intenzionato ad aiutare l’Altro muoversi correttamente senza comprendere la cultura altra?”
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GLOBALIZZAZIONE
OFFENSIVA DEI PAESI
AFRICANI CONTRO L’UE
I nuovi Accordi di Partenariato Economico (APE) sono uno strumento di cooperazione multilaterale che dovrebbe
sostituire gli accordi di Cotonou (in scadenza al 31/12/2007), che da 7 anni accordano a Stati d’Africa, Caraibi e Pacifico
(i cosiddetti ACP) un regime derogatorio al principio di libero scambio e di preferenze commerciali unilaterali. In assenza
della firma di questi nuovi accordi ci sarebbe il vuoto fra l’Unione Europea (UE) e l’Africa.
La prospettiva sarebbe catastrofica:
scomparirebbe il dispositivo alla base
dell’aiuto europeo, vitale per l’Africa:
il rialzo del prezzo del petrolio ha trascinato quello delle derrate di prima
necessità, scatenando dappertutto lo
scontento popolare. Gli esperti riconoscono il fallimento degli accordi di
Cotonou e, prima, di quelli di Yaoudé
e di Lomé che li avevano preceduti. Se
l’obiettivo era aumentare le esportazioni dell’Africa verso l’Europa, il risultato è stato il contrario: le esportazioni
dell’Europa verso l’Africa sono aumentate del 6,5% dal 2000, mentre le esportazioni africane verso l’Europa si sono
deteriorate.
Gli APE non sono comunque accettabili per varie ragioni. Innanzitutto
l’Europa vuole cambiare partner: se
fino ad oggi negoziava con l’Unione
Africana, ora vorrebbe trattare distintamente con ciascuna delle 5 sottoregioni, attuando così un sistema di
disintegrazione, mentre afferma di
voler rafforzare l’integrazione africana.
In secondo luogo, gli APE pretendono
di smantellare le protezioni tariffarie,
instaurando una concorrenza perfetta
fra le economie europee e quelle africane, asimmetriche. Questo modo di
procedere accentuerebbe lo squilibrio
e consegnerebbe i mercati africani ai
prodotti europei sovvenzionati. Non
solo l’industria africana non ha capacità e strutture adeguate per far fronte ad
un’eventuale forte domanda europea,
ma il libero scambio del nuovo dispositivo di disarmo tariffario causerebbe
la perdita di ingenti introiti doganali,
che rappresentano dal 35% al 70% dei
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budget degli Stati africani. A eventuali
somme date a titolo di compensazione
è preferibile la protezione delle proprie
economie.
Come ricordava Abdoulaye Wade, presidente del Senegal, per queste ragioni la
maggior parte dei paesi africani respinge gli APE: “È una questione di sopravvivenza per le nostre popolazioni e per
le nostre economie, già molto provate
dalle sovvenzioni agricole praticate dai
paesi industrializzati, della dimensione
di un miliardo di dollari al giorno e che,
per esempio, gettano nella miseria da
12 a 15 milioni di produttori di cotone:
evitiamo loro la mazzata!”. I partigiani
di un’alleanza Europa-Africa dovrebbero progettare un’alternativa, piuttosto
che una reazione difensiva di fronte
all’arrivo di nuovi concorrenti asiatici
sul continente africano. Gli analisti ipotizzano un mondo di domani dominato da Stati Uniti, Brasile, Cina ed India,
escludendo l’Europa. Attraverso l’Africa, l’Europa potrebbe smentire queste
previsioni, costruendo un’alleanza strategica, fondata sulla complementarietà,
unendo scienza, tecnologia e capacità
finanziarie europee con il potenziale
umano e le immense risorse naturali
dell’Africa. Problemi acuti come l’immigrazione clandestina potrebbero
ridimensionarsi, perché gli africani troverebbero lavoro nei loro Paesi.
L’8 ed il 9 dicembre 2007 a Lisbona i
paesi africani hanno difeso i loro interessi. Ma nei due giorni di incontri nessuna delle crisi aperte ha conosciuto
soluzione. Gli africani sono riusciti ad
affrontare il problema che li toccava
più da vicino: la liberalizzazione del
commercio che gli europei vorrebbero imporre all’Africa. (...) Alpha Oumar
Konaré, presidente della Commissione
dell’Unione Africana, ha evidenziato
come “l’Africa intenda oggi elaborare
essa stessa la sua agenda”.
Alcune fratture fra africani sono state
ben visibili: mentre Konaré proclamava la responsabilità degli stessi africani
nelle difficili condizioni dei Paesi africani, dirigenti come il sudafricano Thabo
M’beki o il senegalese Wade prendevano la difesa del regime di Robert Mugabe. Addirittura, il presidente senegalese affermava: “Chi può sostenere che
in Zimbabwe si violino i diritti umani
più che in altri paesi africani?”. La fronda contro gli APE ha comunque avuto
la meglio; e il presidente della Commissione europea, Jose Manuel Barroso,
ha dovuto impegnarsi a “proseguire il
dibattito” e a riprendere i negoziati in
febbraio 2008.
Gabriele Smussi
... il rialzo del prezzo del petrolio ha
trascinato in alto quello delle derrate di
prima necessità, scatenando lo scontento
popolare...
ECOLOGIA
IL LEGNAME
Una risorsa naturale fondamentale è il legno. Il suo uso aumenta velocemente. Il prelievo del legname però provoca
deforestazione e impoverimento delle popolazioni.
La quantità di legno usata dall’umanità è enorme, difficile da valutare: forse
più di 3 miliardi di metri cubi l’anno.
Tale quantità viene impiegata per circa
il 50% come combustibile, per il 40%
nelle costruzioni (case, mobili, serramenti, imballaggi), per il 10% nell’industria della carta.
Più di un terzo dell’umanità, ancor
oggi, usa la legna come principale fonte di energia: cottura del cibo, riscaldamento, artigianato. In molti paesi, a
causa dell’aumento della popolazione
e della deforestazione, essa sta pericolosamente diminuendo. In Guatemala,
Turchia, Burkina Faso, Nigeria, Etiopia,
Nepal, Deccan (India) il lavoro delle
donne e dei bambini alla ricerca di
legna da ardere si fa sempre più lungo e penoso. Spesso viene utilizzato
come combustibile lo sterco di mucca,
togliendolo dalla concimazione dei
campi che quindi perdono in fertilità.
A volte la gente mangia cibo poco cotto con danni notevoli alla salute.
Il legno cosiddetto “duro” è impiegato
nelle costruzioni. Grandi fornitrici di
legno duro sono le foreste tropicali:
Amazzonia, Congo, Indonesia. Grandi
acquirenti sono il Giappone, la Cina,
l’Unione Europea, gli Stati Uniti. È
fiorentissimo, purtroppo, il mercato
illegale che disbosca la foresta, con
perdite sia culturali (i popoli indigeni)
che naturali (biodiversità). Molti paesi
tropicali hanno promosso lo sfruttamento razionale delle foreste e la diffusione delle monocolture di legno
d’opera (soprattutto eucalipto) onde
salvaguardare le foreste, ma la pressione demografica e la corruzione degli
apparati di controllo, vanifica spesso
le buone intenzioni. Anche noi abbiamo grosse responsabilità. Quando, ad
esempio, cambiamo i mobili senza
vera necessità, ma solo per capriccio,
distruggiamo un po’ di foresta. Esistono certificazioni etiche internazionali
sul legname: dovremmo andare alla
ricerca dei relativi “bollini” quando acquistiamo oggetti di legno.
Un grande mercato in espansione che
usa molto legno è quello della carta:
da scrivere (40%), da imballaggi (50%),
da igiene personale (10%). Il legno
viene prelevato o nelle foreste o nelle
monocolture apposite. Le specie vegetali più usate sono il pioppo e alcune
varietà di pini. Non tutta la carta viene
prodotta però da polpa legnosa vergine; circa il 40% proviene dal riciclo di
carta o da altri detriti vegetali. L’industria della carta tuttavia consuma molta acqua ed è fortemente inquinante
(oltre che maleodorante) perché usa
acidi, cloro, coloranti. È urgente riciclare sempre più carta, ma soprattutto
diminuirne i consumi, in particolare
quelli pubblicitari e quelli legati agli
imballaggi eccessivi. Ciò salverebbe
molti ettari di foresta tropicale e permetterebbe di trasferire più carta ai
paesi poveri che ne hanno poca a disposizione (pochi libri, giornali, carta
da pacco). Anche questo è un modo
per creare più giustizia tra i popoli e
più rispetto verso la natura.
Gabriele Scalmana
Vegetazione tropicale
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VOCI D’ORIENTE
“Il tesoro
più prezioso...”
“...è nelle palme delle nostre mani...”
Questo famoso detto giapponese è un invito a riflettere su una verità fondamentale: la felicità non la si trova in paesi
distanti o lontano dalla vita di tutti i giorni, ma è soprattutto all’interno del proprio cuore.
Anche la fatica della ricerca, però, conserva il suo valore.
Esiste una serie di cartoni animati
giapponesi intitolata “L’uccellino azzurro”. I 26 episodi di anime, come
vengono comunemente chiamati i cartoni animati, sono prodotti
da Hiroshi Sasagawa e risalgono
al 1980 quando furono trasmessi
dalla Fuji Television. L’opera si rifà
al lavoro teatrale L’Oiseau Bleu del
drammaturgo e poeta simbolista
belga Maurice Maeterlinck (1862–
1949), premio Nobel per la letteratura nel 1909. La storia è molto
semplice. Tyltyl di 12 anni e la sorellina Mytyl di 9 sono figli di un boscaiolo e vivono in povertà. La loro
madre è gravemente ammalata.
Comprensibili, quindi, sono il desiderio di guarigione della mamma e
l’aspirazione a un pezzetto di felicità. Addormentatisi la notte di Natale nella capanna in cui vivono, essi
riescono a volare, nel regno della
fantasia, alla ricerca dell’uccellino
azzurro che solo può realizzare le
loro speranze. Attraversano il paese del ricordo, il palazzo della notte,
il giardino della felicità e il paese
dell’avvenire. Affrontano pericoli
di ogni genere, ma non riescono a
L’arduo cammino verso la felicità [ph Manisera]
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trovare l’uccellino azzurro. Solo al
risveglio si accorgono che l’uccello
a lungo cercato vive nella loro capanna: il ristabilimento della salute
materna e il ritrovamento della felicità autentica non avvengono in regioni remote, ma sono a portata di
mano, hanno luogo vicino a loro.
Questo racconto di sapore fiabesco
viene spesso citato in Giappone dai
maestri zen contemporanei. Serve
a spiegare una verità importante,
semplice da capire ma estremamente difficile da fare propria. Tutti
noi vogliamo essere felici. Il desiderio della felicità è innato e nessuno
può estirparlo dal nostro cuore.
Ogni cosa che facciamo è in vista
della felicità che perseguiamo. Per
realizzare questo supremo ideale
la via da percorrere – pensiamo – è
assai lunga ed irta di ostacoli. Forse richiederà il cammino dell’intera
esistenza. Eccoci, quindi, alla ricerca della felicità. Per essa non lesiniamo denaro. Spendiamo tutte le
nostre energie. Esigiamo i maestri
più saggi. Perlustriamo città e campagne, negli angoli più sperduti del
pianeta, per scoprire il più picco-
lo indizio di felicità. Come Tyltyl e
Mytil andiamo nel paese dei ricordi,
scandagliando il nostro passato. Ci
avventuriamo nel paese dell’avvenire, scrutando il nostro futuro. Ma
della felicità non troviamo traccia:
non gustiamo la felicità nei bagordi
delle feste; non c’è cenno di felicità
nei sacrifici e nella mortificazione.
Sembra proprio che il sentiero della
felicità sia inaccessibile. E poi, all’improvviso, l’illuminazione! La gemma
preziosa che cercavamo lontano è,
invece, accanto a noi, dentro di noi,
nella parte più profonda del nostro
cuore. La felicità è nel palmo delle
nostre mani.
Vale, allora, la pena affrontare tante
difficoltà per qualcosa che abbiamo a portata di mano? È mediante
l’atteggiamento di ricerca, grazie
alle esperienze acquisite, attraverso
l’ascesi e il silenzio, che l’animo si
arricchisce spiritualmente e il cuore
si rende sensibile alla percezione di
una realtà non sempre tangibile. La
felicità, vicina, la si raggiunge con
una ricerca che parte da lontano!
Rosario Manisera
SUGGESTIONI
Come un fiume in piena...
RECENSIONI
ASCOLTARE
SINEAD O’CONNOR
Universal Mother
Emi
1994
LEGGERE
Doris Lessing
La brava terrorista
Milano
Feltrinelli
2007
VEDERE
Giorgio Diritti
Il vento fa il suo giro
Italia
2005
VEDERE
NAVIGARE
www.inAfrica.it
In questo cd Sinéad, il mio mito adolescenziale, dà prova
della sua poliedricità.
La traccia più struggente ed esplosiva è Fire on Babylon,
nel quale la sua voce cristallina, dopo un crescendo di
rabbia, esplode in un acuto finale: una stalattite lanciata
dal cielo, di uno spessore oscuro e profondo.
Cantante rock, dalla sua voce trapela tenerezza in testi
melodici come John I Love You e My Darling Child.
La sensazionale Red Football, iniziando in modo sommesso con parole di libertà e indipendenza, culmina in una
memorabile graffiata rock.
Segnalo anche una cover dei Nirvana, All Apologies, in
versione acustica, che Sinéad ha voluto dedicare a Kurt
Cobain, morto proprio nel 1994 e la commovente e mistica A Perfect Indian, con un piano che a tratti ricorda la
marea di un oceano, triste e potente.
La traccia finale, Thank You for Hearing Me, è
un ringraziamento che Sinéad innalza a chi la
ascolta, ma anche per il male infertole e per
il suo cuore rotto, perché dal dolore ha saputo
trarre forza e umiltà.
Grazie Sinéad.
Ascoltarti è il minimo per rispondere alle tue
parole!
Alice, protagonista della vicenda, vive come occupante abusiva in una casa abbandonata di Londra insieme
a pochi altri militanti “comunisti” – così si definiscono.
L’utopia del comunismo rivoluzionario, di un ricominciare da capo dopo aver distrutto tutto e tutti i borghesi, sorprende il lettore d’oggi per la sua palese irrealizzabilità. Così non è all’epoca in cui è ambientato il
romanzo: tutti gli occupanti della casa vivono una specie di “psicosi sociale di massa” basata su un malinteso:
leggendo La brava terrorista ci si rende conto che Alice
e i suoi compagni mirano ad avere una casa, un lavoro,
una famiglia – tutti obiettivi “borghesi”. A condizione,
però, che tutti possano avere uno standard di vita pari
al loro.
Se il fine era irrealizzabile a breve termine, se la via – il
distruggere - era sbagliata e inadeguata, a mio avviso è
da riconoscere nei protagonisti un sincero interesse per
gli altri a scapito della propria tranquilla vita “borghese”; il divario tra questo atteggiamento e il dilagante
individualismo odierno non può certo sfuggire. Ciò che
oggi sembra venuto meno non è la consapevolezza
dei problemi, bensì l’interesse per il cambiamento e un disinteresse allarmante. E a volte disarmante.
The Good Terrorist.
Sì, Alice era una persona buona. L’atto è da giudicare, e in questo caso da condannare. Ma non la
persona che, del resto, avremmo potuto essere
forse anche noi.
Autoprodotto e autodistribuito, è stato visto solo recentemente in poche sale gremite grazie ad un passaparola
di cui vi porto l’eco. Un film intenso, crudo, coinvolgente, onesto, raro. Nel paesaggio montano splendido e
vero di Chersogno, Alta Valle Moira, provincia di Cuneo
(dove si parla ancora l’occitano), giungono Philippe, ex
professore dedito alla pastorizia, e famiglia. Le rigidità,
le incomprensioni, le ostilità tra la maggior parte della
comunità e “lo straniero” crescono sino a costringere
quest’ultimo ad andarsene, in un finale più che amaro. Basato su fatti realmente accaduti ed interpretato
da attori non professionisti, è un film complesso sulla
diversità e sulla differenza tra tolleranza ed accoglienza. “A me la parola tolleranza
non piace. Se tu devi tollerare
qualcuno, non c’è il senso di
uguaglianza”, dice Philippe.
L’apertura ad un’altra occasione è data dal detto popolare
“Il vento fa il suo giro… e prima o poi
ritorna”.
InAfrica.it è il portale dei popoli africani in Italia. Un tam
tam ricco di colori che raccontano l’Africa e la sua gente,
la loro cultura e le tradizioni. Raccoglitore di link, notizie, curiosità sull’Africa, una vera guida dove si trovano
indirizzi di market alimentari, ristoranti, negozi d’arte,
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Tutto questo anche grazie al tuo contributo.
Infatti registrandosi al sito ci si può creare una
pagina personale dove inserire racconti eventi e
quant’altro. Tutti possono intervenire con informazioni sull’Africa e su manifestazioni organizzate dal popolo africano in Italia.
Caterina Pedrana
Federico Bonzi
Legor
Nicoletta Quartini
Rubrica curata in collaborazione con: CSAM (Centro Saveriano di Animazione Missionaria) - Via Piamarta, 9 - 25121 Brescia - www.saveriani.bs.it
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PROGETTI
AFRICA
Africa, Africa mia
Africa fiera di guerrieri nelle ancestrali savane
Africa che la mia ava canta
In riva al fiume lontano
Mai t’ho veduta
Ma del sangue tuo colmo ho lo sguardo
Il tuo bel sangue nero sui campi versato
Sangue del tuo sudore
Sudore del tuo lavoro
Lavoro di schiavi
Schiavitù dei tuoi figli
Africa dimmi Africa
Sei dunque tu quel dorso che si piega
E si prostra al peso dell’umiltà
Dorso tremante striato di rosso
Che acconsente alla frusta sulle vie del Sud
Allora mi rispose grave una voce
Figlio impetuoso il forte giovane albero
Quell’albero laggiù
Splendidamente solo fra i bianchi fiori appassiti
È l’Africa l’Africa tua che di nuovo germoglia
Pazientemente ostinatamente
E i cui frutti a poco a poco acquistano
L’amaro sapore della libertà.
Ndjock Ngana
con lo SVI per vivere da protagonisti
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la solidarietà tra i popoli
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