Etnocrazia. La politica della giudaizzazione di Israele-Palestina

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Etnocrazia. La politica della giudaizzazione di Israele-Palestina - I parte
Di: Oren Yiftachel (prof. di geografia e politica pubblica alla Ben Gurion University del Negev)
Durante il cinquantesimo anno dell'indipendenza di Israele (1997-98), la Corte suprema di giustizia si è trovata alle
prese con un ricorso noto come caso Katzir. Il ricorrente era un cittadino arabo al quale, in quanto non ebreo, era stato
impedito di acquistare terreni di proprietà dello Stato nel villaggio di Katzir. Fino a oggi la Corte ha rinviato ogni
decisione in merito. Il presidente, giudice Aharon Barak, noto come paladino dei diritti civili, ha osservato che questo
caso è stato uno dei più ardui della sua carriera legale.
Il fatto che durante il cinquantesimo anniversario di Israele la massima autorità giuridica dello Stato trovi ancora
diffìcile difendere un diritto civile fondamentale quale il pari accesso ai terreni dello Stato è un efficace punto di
partenza per le tesi che svilupperò in questo saggio. Nelle pagine che seguono intendo fornire un nuovo prisma
concettuale che consenta di spiegare come si siano formati il regime di Israele e le relazioni etniche che lo
caratterizzano. L'esame teorico ed empirico del regime israeliano mi porta ad affermare che esso andrebbe classificato
come «etnocrazia».
Il mio saggio parte da una descrizione teorica dei regimi etnocratici, che non sono né autoritari né democratici. Tali
regimi sono Stati che conservano una forma di governo relativamente aperta, favorendo tuttavia il sequestro
non-democratico del paese e della comunità politica da parte di un solo gruppo etnico. Passa quindi a elaborare una
distinzione concettuale chiave tra regimi etnocratici e democratici. Le etnocrazie, pur mostrando numerosi tratti
democratici, mancano di una struttura democratica. Esse tendono pertanto a venir meno ad alcune prerogative
democratiche fondamentali: la pari cittadinanza, l'esistenza di una comunità politica territoriale (il demos), il suffragio
universale, e la tutela dalla tirannia della maggioranza.
L'analisi teorica procede con la descrizione del farsi dell'etnocrazia israeliana, concentrandosi in particolare sul nucleo
centrale del progetto sionista: la giudaizzazione di Israele-Palestina. Il predominio del progetto della giudaizzazione ha
generato una struttura istituzionale e politica che mina la percezione diffusa che Israele sia al contempo ebraico e
democratico. Il processo di giudaizzazione costituisce inoltre un asse fondamentale per spiegare i rapporti tra le tante
etnoclassi ebraiche e arabe. Le sezioni empiriche del testo esaminano le conseguenze del progetto etnocratico di
giudaizzazione sulle tre principali divisioni in seno alla società israeliana: arabi/ebrei, askenaziti/sefarditi, e laici/
ortodossi.
L'analisi che segue pone una particolare enfasi sulla geografia politica di Israele. Questa prospettiva richiama
l'attenzione sul contesto materiale del cambiamento geografico, affermando che discorso e spazio si costituiscono
reciprocamente in un incessante processo di costruzione sociale. La prospettiva critica politico-geografica problematizza
questioni che tra gli analisti di Israele vengono spesso date per scontate, per esempio insediamenti, separazione,
confini, sovranità. Essa mira dunque a integrare altre analisi critiche della società israeliana.
Teorizzare l'etnocrazia
La teorizzazione dell'etnocrazia si rifà alle principali forze politiche e storiche che hanno modellato le politiche e il
territorio di questo regime. Al centro di tale analisi vi sono tre importanti processi storico-politici: a) la formazione di una
società colonizzatrice (coloniale), b) il potere di mobilitazione dell'etnonazionalismo e e) la «logica etnica» del
capitale. In Israele-Palestina la fusione di queste tre forze chiave ha portato alla creazione dell'etnocrazia israeliana e ne
ha determinato i tratti specifici. L'instaurarsi di una etnocrazia non è tuttavia un fenomeno che riguarda solo Israele. Lo
si incontra ogni volta che un'etnonazione cerca di espandere o conservare il proprio eccessivo controllo su territori
contesi e su una o più nazioni rivali. Generalmente questo sistema politico finisce per dare vita anche a una
stratificazione di etnoclassi all'interno di ciascuna nazione. La lista dei casi degni di nota include Malesia, Sri Lanka,
Estonia, Lituania, Irlanda del Nord (pre-1971) e Serbia. Ma torniamo brevemente alle tre forze strutturali appena
identificate.
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Una società colonizzatrice
Le società colonizzatrici, come la comunità ebraica in Israele-Palestina, portano avanti una deliberata strategia di
migrazione e insediamento etnici che mira ad alterare la struttura etnica del paese. Le società colonizzatrici coloniali
hanno tradizionalmente favorito la migrazione europea in altri continenti, e legittimato lo sfruttamento del suolo, della
manodopera e delle riserve naturali locali. Altre società colonizzatrici, soprattutto non europee, creano migrazioni e
insediamenti interni al fine di modificare l'equilibrio demografico di specifiche regioni. In ogni tipo di società
colonizzatrice si sviluppa una «cultura della frontiera», che glorifica e incrementa la colonizzazione ed estende il
controllo del gruppo dominante alle regioni vicine .
Vi è un tipo comune di società colonial-colonizzatrice, descritto come «pura colonia di insediamento», che è stato
presentato come il più appropriato al caso israeliano-sionista. Nuovi studi hanno rivelato che le società colonizzatrici
«pure» sono in genere caratterizzate da un'ampia stratificazione in tre principali etnoclassi: a) il gruppo fondatore
privilegiato, per esempio gli anglo-protestanti in America del Nord e in Australia; b) il gruppo successivo di migranti, per
esempio gli europei meridionali in America del Nord; e e) i gruppi indigeni espropriati, per esempio gli aborigeni in
Australia, i maori in Nuova Zelanda, i nativi americani in America del Nord e i palestinesi in Israele-Palestina. Il gruppo
privilegiato dà vita allo Stato in base a una «propria visione», istituzionalizza il proprio dominio e crea un sistema che
lo separa dalle altre etnoclassi. Controllo e divisione, tuttavia, non seguono un modello paritario, poiché i nuovi
immigranti sono gradualmente assimilati nel gruppo dominante attraverso quello che Soysal ha definito un processo di
«incorporazione disuguale». Di norma tale sistema riproduce per generazioni il dominio del gruppo privilegiato.
La formazione di società colonizzatrici «pure» mette in evidenza l'importanza politica ed economica dei vincoli etnici
extraterritoriali, che sono cruciali per il successo della maggior parte dei progetti coloniali. In genere essi connettono la
società colonizzatrice a uno Stato metropolitano co-etnico o a diaspore etniche di sostegno. Come si vedrà più avanti, i
vincoli etnici extraterritoriali sono uno dei tratti peculiari delle etnocrazie. Per mantenere il proprio dominio sui gruppi di
minoranza, tali regimi fanno massicciamente affidamento su un meccanismo chiave: il sostegno e l'immigrazione da
bacini etnici esterni.
La logica etnica del capitale
La terza forza strutturale che agisce sulla geografia politica di Israele-Palestina e sulla natura del suo regime è stata
associata al nascente capitalismo e ai suoi effetti etnici e sociali. Costituirsi di una società colonizzatrice ed
etnonazionalismo concorrono a creare una specifica logica di flusso di capitale, di sviluppo e di formazione di classe
soprattutto su due piani. In primo luogo i mercati del lavoro e lo sviluppo sono segmentati su base etnica. Si crea così
una struttura etnica di classe che tende ad accordarsi con la gerarchla fondatori-immigranti-indigeni già ricordata.
Generalmente il gruppo dominante occupa nicchie di privilegio in seno al mercato del lavoro, mentre gli immigranti,
quantomeno inizialmente, sono emarginati dai centri del potere economico, e rientrano dunque nei ranghi della classe
operaia o della piccola borghesia. La popolazione indigena è di norma esclusa da ogni accesso al capitale o da
qualsiasi forma di mobilità all'interno del mercato del lavoro, ed è dunque di fatto «rinchiusa» nel sottoproletariato .
In secondo luogo, l'accelerata globalizzazione dei mercati e del capitale hanno indebolito il potere economico dello
Stato. Ciò si è accompagnato all'adozione di politiche neoliberiste, che hanno prodotto la deregolamentazione delle
attività economiche e la privatizzazione di molte funzioni pubbliche. Per lo più queste forze hanno allargato il divario
socioeconomico tra le etnoclassi dei privilegiati, dei migranti e degli indigeni. Non è tuttavia escluso che, a fronte
dell'instaurarsi di un etnonazionalismo militante, oggi prevalente in Israele-Palestina, la globalizzazione del capitale e il
conseguente proliferare di organizzazioni commerciali sovranazionali possano anche mettere un freno
all'etnonazionalismo e all'espansionismo, in precedenza alimentati da rivalità etniche territoriali.
Particolarmente significativa in questo processo è la globalizzazione delle classi dirigenti all'interno dell'etnonazione
dominante, che è sempre più alla ricerca di opportunità e mobilità nel quadro di una economia regionale e globale più
aperta e accessibile. Viene dunque alla luce un evidente contrasto tra globale e locale, che potrebbe intensificare le
tensioni intranazionali, e al contempo alleviare i conflitti internazionali, come si è visto di recente in Sudafrica, Spagna e
Irlanda del Nord.
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Etnocrazia: regime politico nel quale i diritti politici fondamentali sono riconosciuti esclusivamente agli appartenenti al
gruppo etnico predominante; nel caso di israele: agli Ebrei
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Testo: Progetto Novecento
Metaredazione: Donatella Piacentino
Editore: BBN
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