Giustizia sociale e opportunità delle persone di Amartya Sen

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Giustizia sociale e opportunità delle persone
di Amartya Sen
1. Sebbene non ci sia nulla di esclusivamente «occidentale»
nell’idea di giustizia (è un’idea che ricorre ripetutamente
in ogni parte del mondo), vi sono pochi dubbi sul fatto che
le discipline della filosofia politica, in generale, e della
giustizia, in particolare, abbiano conosciuto un forte impulso durante l’Illuminismo europeo nel XVIII e XIX secolo. Il tema è stato largamente favorito anche dal clima
politico di ribellione e dalle trasformazioni sociali ed economiche in corso all’epoca, sia in Europa che in America,
di cui la Rivoluzione francese è forse l’esempio più eclatante.
Ma i leader del pensiero illuminista non hanno parlato
con una sola voce. Esiste, infatti, una significativa dicotomia, certo meritevole di un’attenzione maggiore di quanto
non ne riceva, tra le linee di ragionamento sulla giustizia
che possono essere colte nei due gruppi dei più importanti
filosofi del pensiero radicale dell’Illuminismo. Uno di questi approcci si concentrava sull’individuazione degli assetti
sociali perfettamente giusti, assumendo la caratterizzazione delle «istituzioni giuste» come il principale – e spesso
unico e identificato – compito della teoria della giustizia.
Tale visione della giustizia s’intreccia in modi diversi con
l’idea di un ipotetico «contratto sociale» – un contratto
immaginario dove una delle parti contraenti sarebbe il
popolo di uno Stato sovrano. Importanti contributi a questa linea di pensiero sono venuti da Thomas Hobbes nel
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XVII secolo e successivamente da John Locke, Jean-Jacques
Rousseau ed Immanuel Kant, tra gli altri.
In antitesi con questo approccio, basato sulla ricerca
delle «istituzioni idealmente giuste», un certo numero di
teorici dell’Illuminismo (tra cui Adam Smith, il marchese
de Condorcet e Mary Wollstonecraft, e successivamente
anche Karl Marx e John Stuart Mill, tra gli altri) hanno
adottato approcci diversi al concetto di giustizia che non
sono tesi all’individuazione di istituzioni idealmente giuste, ma che hanno in comune la scelta di confrontare le diverse direzioni che la vita delle persone stesse può prendere, sotto l’influenza del funzionamento delle istituzioni,
dell’effettivo comportamento delle persone stesse, dalle
loro interazioni sociali, nonché di altri fattori che hanno
un impatto significativo su ciò che accade effettivamente
nel mondo, sull’esito delle nostre vite e sulle libertà e capacitazioni delle persone.
Oggi, le principali teorie della giustizia della filosofia
politica contemporanea, tra cui soprattutto la teoria della
«giustizia come equità» di John Rawls, attingono, in un
modo o nell’altro, all’approccio contrattualista e si concentrano sulla ricerca delle istituzioni sociali ideali. Lo
stesso vale per le altre principali teorie della giustizia,
avanzate, ad esempio, da Robert Nozick, Ronald Dworkin,
David Gauthier e da un certo numero di altri importanti
filosofi moderni. A differenza della grande attenzione ricevuta dall’approccio contrattualista, nel mio libro L’Idea
di Giustizia ritengo che il mio compito sia quello di attingere al secondo approccio, ovvero quello della valutazione
comparativa della giustizia e dell’ingiustizia, direttamente
in termini della vita che le persone sono in grado di condurre1.
Mi sento veramente onorato dall’interesse espresso dai
sindacati in varie parti del mondo per il mio tentativo di
1
L’Idea di Giustizia, London, Penguin - Cambridge, MA, Harvard University Press, 2009; traduzione in italiano curata da Mondadori, 2010.
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presentare una teoria della giustizia che riguardi direttamente la vita delle persone, il loro benessere e le loro libertà. L’interesse dei movimenti sindacali per questo approccio avallano quanto da me sostenuto, poiché la filosofia su cui poggia il mio lavoro attinge dalla tradizione del
ragionamento pubblico e dei movimenti popolari nel
mondo, così rilevante da tempo per le organizzazioni sindacali, con un’attenzione particolarmente forte a migliorare la vita che le persone sono in grado di condurre.
2. Permettetemi, prima di tutto, di fare alcune considerazioni sulla differenza tra i due approcci. L’approccio basato sulle «istituzioni ideali», proposto inizialmente da
Thomas Hobbes e poi da altri nel periodo dell’Illuminismo europeo e seguito oggi da importanti filosofi politici
contemporanei, come John Rawls, può essere letto in termini di quattro diverse caratteristiche2.
Prima di tutto, l’approccio Hobbes-Rawls concentra l’attenzione su ciò che può essere accettato come giustizia perfetta, piuttosto che sui confronti relativi tra giustizia e ingiustizia, e sulle modalità e sui mezzi per rimuovere casi
riconosciuti di grande ingiustizia nel mondo. L’accento
non è tanto sul miglioramento della vita delle persone qui
e oggi, bensì sulla caratterizzazione di ciò che può essere
inteso, in un certo senso, come un mondo ideale.
In secondo luogo, nel ricercare la perfezione, l’approccio basato sul «contratto sociale» si concentra soprattutto
sulle istituzioni e sugli assetti e non sulle società che alla
fine ne emergerebbero, né sulla vita che le persone sono
in grado di condurre. Vi è chiaramente un divario nel passaggio dalla giustizia e dalle realizzazioni sociali, in generale, alle vite umane, in particolare. Nonostante l’importanza che le istituzioni hanno nella nostra vita, la vita che
siamo in grado di condurre dipende anche da aspetti di
2
John Rawls, Una Teoria della Giustizia, Cambridge, MA, Harvard University Press, 1971.
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tipo non istituzionale, come ad esempio dall’effettivo comportamento delle persone e dalle loro interazioni sociali.
In terzo luogo, l’approccio contrattualista richiede unanimità e consenso assoluto in merito ai principi di giustizia, in quanto non lascia alcuno spazio per una pluralità di
concezioni della giustizia. Nello stato immaginario di
uguaglianza primordiale il contratto sociale viene adottato
unanimemente. Sarebbe difficile far rientrare in questo
approccio il fatto che possiamo essere d’accordo su molte
cose, soprattutto dopo averci ragionato assieme, pur essendo in disaccordo sulle priorità da assegnare a istanze
alternative di giustizia.
La quarta caratteristica non riguarda il tema del ragionamento sulla giustizia, ma i punti di vista di cui bisognerebbe tener conto in tale ragionamento. Nella tradizione
del contratto sociale, le opinioni a cui occorre prestare attenzione devono essere espresse da coloro che possono essere immaginati come parti contraenti di tale contratto.
Stante che, secondo l’impianto autorevole di Thomas Hobbes, fatto poi proprio dalla filosofia politica contemporanea predominante, il contratto sociale si struttura a livello
di paese e di nazione, nella tradizione del contratto sociale
il dibattito tende a essere ristretto ai membri di una società
organizzata, e in particolare ai cittadini di un dato paese,
impegnati a decidere quali siano le istituzioni ideali e i relativi valori per quel particolare Stato sovrano. L’esigenza
di imparzialità nel trattare cittadini diversi all’interno di
uno stesso paese viene accettata e celebrata, ma in questa
concezione della giustizia manca un fondamento robusto
per spingersi oltre i cittadini di un particolare Stato.
3. Io ritengo che l’approccio contrattualista debba essere
abbandonato a favore dell’approccio alternativo delle realizzazioni sociali comparate. Trovo infatti che ciascuna
delle quattro caratteristiche enunciate poc’anzi presenti dei
problemi. In particolare, consideriamo l’importanza del
ragionamento pluralistico e l’inaccettabilità di una teoria
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della giustizia che sia fondata sull’individuazione di una
soluzione perfettamente giusta. Parte della mia difficoltà a
fondare l’intera teoria della giustizia sulla ricerca di una
giustizia perfetta deriva dallo scetticismo sulla possibilità
di trovare un accordo ragionevole sulla natura della «società giusta»: possono esserci significative differenze di
principio che superano una disamina critica e attentamente ragionata, ad esempio, in merito al peso relativo da
assegnare all’uguaglianza distributiva, da una parte, e al
miglioramento complessivo o aggregato, dall’altra. Oppure, in merito all’esatta linea da tracciare tra le priorità
dell’equità economica e della libertà personale.
Possiamo concordare sul fatto che entrambe le priorità
sono importanti – e in tal modo, prendere con facilità
molte decisioni – ed essere invece in disaccordo sull’effettivo peso da assegnare all’una e all’altra quando esse si trovano in conflitto. Possono esserci molte di queste differenze ragionevoli e non sono mai stato convinto che nella
«posizione originaria» di Rawls ci sarà unanimità in merito
alle priorità dominanti su cui fare affidamento nel passare
dall’equità alla giustizia.
Al cuore del problema vi è la possibilità di sostenere
molteplici principi ragionevoli di giustizia, in concorrenza
fra loro. Vorrei illustrare la questione utilizzando un esempio che riguarda il problema di decidere quale di tre bambini che si contendono un flauto debba averlo – si tratta di
decidere in base alle diverse rivendicazioni avanzate. La
bambina A rivendica il flauto affermando che è l’unica dei
tre in grado di suonarlo (gli altri non lo negano). Se questa
fosse l’unica informazione a disposizione, la tesi che il
flauto vada assegnato alla prima bambina sarebbe robusta.
In un altro scenario, è il bambino B a parlare e a esporre le sue ragioni per avere il flauto, sottolineando che è
l’unico dei tre a essere talmente povero da non possedere
giocattoli. Il flauto gli darebbe la possibilità di giocare con
qualcosa (le altre due ammettono di essere più abbienti e
meglio rifornite di giocattoli). Se aveste ascoltato solo il
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bambino B e nessuno degli altri, la tesi che il flauto vada
assegnato a lui sarebbe robusta.
In un ulteriore scenario, è la bambina C a parlare sottolineando di aver lavorato diligentemente per molti mesi
per poter costruire il flauto con le proprie mani (gli altri
confermano), e proprio quando aveva finito di lavorare,
«proprio allora», si lamenta, «arrivano questi che cercano
di togliermi il flauto». Se aveste ascoltato solo le dichiarazioni di C, sareste inclini a decidere di darle il flauto, riconoscendo la sua comprensibile rivendicazione di qualcosa
costruito con le proprie mani.
Tuttavia, avendo ascoltato tutte e tre le loro diverse linee di ragionamento, ci si trova dinanzi a un problema. Il
punto centrale qui non è la differenza tra gli interessi acquisiti dei tre bambini (sebbene tale differenza esista), bensì che le tre argomentazioni contrastanti denotano differenti tipi di ragionamento imparziale e non arbitrario. Questo
problema riguarda non solo la disciplina dell’equità nella
posizione originaria di Rawls, ma anche altri requisiti di
imparzialità, come ad esempio il requisito di Tim Scanlon,
ovvero che i nostri principi soddisfino «ciò che gli altri non
potrebbero ragionevolmente rifiutare»3. Naturalmente, i
teorici di orientamenti diversi, come gli utilitaristi, o gli
egualitaristi economici, o i teorici dei diritti dei lavoratori
o i liberisti «no nonsense», potrebbero ritenere che vi sia
un’unica decisione giusta che può essere facilmente individuata, ma ognuno sosterebbe argomentazioni a favore di
decisioni totalmente diverse, presentandole come quelle ovviamente giuste. Pertanto, potrebbe non essere possibile
individuare alcuna soluzione perfettamente giusta su cui
converga un consenso imparziale.
3. La possibile inesistenza di un assetto sociale perfettamente giusto limita la capacità di questo approccio di per3
Si veda Thomas Scanlon, What We Owe to Each Other, Cambridge, MA,
Harvard University Press, 1996.
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