STAGIONE 2010/2011 elfo puccini TEATRO D’ARTE CONTEMPORANEA CORSO BUENOS AIRES 33 ELFO PUCCINI STAGIONE 2010/2011 8 – 17 ottobre e 16 – 21 novembre MILANoLTRE Teatro Danza Musica e Oltre XXIV edizione 19 ottobre – 14 novembre | Sala Shakespeare RACCONTO D’INVERNO di William Shakespeare regia, scene e costumi di Ferdinando Bruni e Elio De Capitani TEATRIDITHALIA da 13 anni Repliche per le scuole: 22 e 28 ottobre ore 15 | 3 e 11 novembre ore 15 23 novembre – 5 dicembre | Sala Shakespeare LE SIGNORINE DI WILKO dall’omonimo romanzo di Jaroslaw Iwaszkiewicz adattamento e regia Alvis Hermanis Emilia Romagna Teatro Fondazione, Unione Europea/Progetto Prospero, Teatro Stabile di Napoli, Nuova Scena Arena del Sole, Teatro Stabile di Bologna 27 novembre – 30 dicembre | Sala Bausch IL NATALE DI HARRY di Steven Berkoff regia Ida Marinelli TEATRIDITHALIA 9 dicembre – 9 gennaio | Sala Shakespeare IL MARE due tempi di Paolo Poli da Anna Maria Ortese regia di Paolo Poli Produzioni Teatrali Paolo Poli, ospitalità in collaborazione con Teatro Carcano 10 dicembre – 23 gennaio | Sala Fassbinder THE HISTORY BOYS di Alan Bennett da 16 anni di Alan Bennett regia di Ferdinando Bruni e Elio De Capitani TEATRIDITHALIA Repliche per le scuole: 15 dicembre ore 15 | 20 gennaio ore 15 18 – 30 gennaio | Sala Bausch LE MAMMOLE di Michel Marc Bouchard regia di Lorenzo Fontana Associazione 15febbraio con Sistema Teatro Torino 19 gennaio, ore 10 e ore 21 | Sala Shakespeare VIVA VERDI! Viaggio ai confini del melodramma da 14 anni 21 – 30 gennaio | Sala Shakespeare L’AVARO da 16 anni progetto e regia Francesco Micheli Produzione AsLiCo di Molière ideazione di Marco Martinelli e Ermanna Montanari regia Marco Martinelli Ravenna Teatro 1 – 13 febbraio | Sala Shakespeare SHYLOCK, IL MERCANTE DI VENEZIA IN PROVA testo e regia Roberto Andò e Moni Ovadia da William Shakespeare Nuova Scena Arena del Sole, Teatro Stabile di Bologna, Emilia Romagna Teatro Fondazione da 16 anni 2 – 20 febbraio | Sala Fassbinder TI VOGLIO BENE PIU’ DI DIO testo e regia Mimmo Sorrentino La Corte Ospitale, Compagnia Babygang 15 febbraio – 6 marzo | Sala Shakespeare LA TEMPESTA di William Shakespeare adattamento e regia Andrea De Rosa Teatro Stabile di Napoli, Emilia Romagna Teatro Fondazione, Teatro Eliseo da 15 anni Repliche per le scuole: 17 febbraio ore 15 | 23 febbraio ore 15 22 febbraio – 20 marzo | Sala Fassbinder RED di John Logan regia di Ferdinando Bruni, Francesco Frongia TEATRIDITHALIA 8 – 20 marzo | Sala Shakespeare NUOVO SPETTACOLO di e con Alessandro Bergonzoni 15– 27 marzo | Sala Bausch TRILOGIA HOROVITZ tre atti unici di Israel Horovitz Officina Eclectic Arts, La MAMa Umbria International 22 marzo – 3 aprile | Sala Fassbinder DONNA NON RIEDUCABILE da 15 anni di Stefano Massini coordinamento artistico Silvano Piccardi La Contemporanea Repliche per le scuole: 24 e 31 marzo ore 15 22 – 27 marzo | Sala Shakespeare 18 MILA GIORNI IL PITONE di Andrea Bajani, regia di Giorgio Gallione Produzione Fuorivia 30 marzo – 17 aprile | Sala Shakespeare UN MARITO IDEALE di Oscar Wilde regia Roberto Valerio TEATRIDITHALIA Repliche per le scuole: 6 aprile ore 15 | 14 aprile ore 10.30 5 – 20 aprile | Sala Fassbinder TROIA’S DISCOUNT MACADAMIA NUT BRITTLE PINTER’S ANATOMY Compagnia Ricci/Forte da 17 anni 3 – 29 maggio | Sala Shakespeare IMPROVVISAMENTE L’ESTATE SCORSA da 17 anni di Tennessee Williams regia Elio De Capitani TEATRIDITHALIA 10 – 29 maggio | Sala Fassbinder FINALE DI PARTITA di Samuel Beckett regia Massimo Castri Emilia Romagna Teatro Fondazione, Teatro di Roma, Teatro Metastasio Stabile della Toscana da 17 anni Replica per le scuole: 19 maggio ore 15 3 – 5 giugno | Sala Fassbinder LA DISCESA DI ORFEO di Tennessee Williams, uno studio di Elio De Capitani TEATRIDITHALIA 7 – 19 giugno | Sala Fassbinder CHICAGO BOYS testo e regia Renato Sarti Teatro della Cooperativa INFORMAZIONI E PRENOTAZIONI prezzi gruppi scuola Intero ! 11 Abbonamento scuola (3 spettacoli) ! 27 (! 9 a tagliando)*. * Da concordare presso l’ufficio promozione e scuole. (Viva Verdi! Fuori abbonamento) modalita’ di acquisto e ritiro dei biglietti per i gruppi scuola I posti opzionati devono essere confermati e pagati almeno 15 giorni prima della data scelta per lo spettacolo*. I biglietti possono essere pagati presso il botteghino dell’Elfo Puccini (contanti, assegno, bancomat) o tramite bonifico o vaglia postale. I biglietti acquistati tramite bonifico o vaglia postale potranno essere ritirati direttamente in Teatro mezz'ora prima dell’inizio dello spettacolo. *Per gli spettacoli in scena a gennaio il pagamento deve essere effettuato prima della pausa natalizia. ufficio promozione scuole: Tel. 02. 00.66.06.33/36 Fax 02.00660666 - email: [email protected] biglietteria Teatro Elfo Puccini C.so Buenos Aires 33: tel. 02/00660606 (lunedì 14.30/19.30 | martedì - sabato 11.30/19.30) www.elfo.org FESTIVAL MILANOLTRE 24° EDIZIONE Elfo Puccini/ Spazio Pim Off 8 > 17 OTTOBRE | 16 > 21 novembre 2010 Comune di Milano/Cultura, Regione Lombardia/Cultura, Next – Oltre il Palcoscenico, Provincia di Milano/Beni ed eventi culturali/Fondazione Cariplo La grande danza torna a MilanOltre. La ventiquattresima edizione del Festival propone un decisivo cambio di rotta lavorando sull'approfondimento e dedicando a due degli artisti presentati un'attenzione totale, un'intera settimana di programmazione articolata tra spettacoli, incontri, workshop. L’edizione 2010 propone due eccellenze della danza americana ed una della danza italiana: Stephen Petronio da New York che ha da poco celebrato i 25 anni di storia della Compagnia al Joyce Theatre di New York; in contemporanea la presentazione del nuovo lavoro di Adriana Borriello, Di me in me debuttato il 9 giugno scorso alla Biennale di Venezia e, in novembre, Alonzo King da San Francisco, reduce da lunghissime tournée oltreoceano, in Europa e in Italia e che per la prima volta si esibisce a Milano. Grande attenzione ai giovani sia nella programmazione, grazie alla sezione Vetrina Italia, sia grazie alla proposta di un pass “all inclusive” a un prezzo vantaggioso per gli under 20. STEPHEN PETRONIO DANCE COMPANY venerdì 8 ottobre ore 20 Sala Shakespeare I Drink The Air Before Me prima nazionale sabato 9 ottobre ore 18 Sala Fassbinder “Danza & Moda” conferenza con video condotta da Elisa Guzzo Vaccarino (Balletto Oggi), intervengono Luca Missoni, Michela Gattermayer (Velvet) Roger Salas (El Pais) ore 22 Sala Shakespeare I Drink The Air Before Me domenica 10 ottobre dalle 17 alle 19 sala Bausch Workshop lunedì 11 e martedì 12 ottobre Ore 20 Sala Fassbinder PRELUDE, #3, più titoli da definire mercoledì 13 e giovedì 14 ottobre ore 20 Sala Shakespeare #3, Middlesexgorge, Love Me Tender, Foreign Import, Ghostown prima nazionale ADRIANA BORRIELLO venerdì 8 ottobre ore 22 Sala Fassbinder Di me in me Ore 18:00 sala Bausch Conferenza con video, condotta da Francesca Pedroni (il Manifesto) sabato 9 ottobre ore 20 Sala Fassbinder Di me in me domenica 10 ottobre dalle ore 11:00 alle 14:00 sala Bausch Workshop VETRINA ITALIA 14/17 ottobre 2010 Nicola Russo/Monstera – Elettra, biografia di una persona comune Odemà - A tua Immagine Colaps - xx Fattoria Vittadini – John Doe Bleach Blonde – Ero nuda e mi avete vestita TeatrOfficina Zerogrammi - Inri Zaches Teatro - Mal Bianco Paola Bianchi – Duplica_ primo movimento Keramik Papier/Annika Pannitto – Nord Streamer ALONZO KING LINES BALLET martedì 16 e mercoledì 17 novembre ore 21 Sala Shakespeare Rasa Refraction prima nazionale giovedì 18 novembre ore 21:00 Sala Fassbinder Assoli e passi a due venerdì 19 novembre ore 18 sala Bausch conferenza con video condotta da Valeria Crippa (Corriere della Sera) ore 21 Sala Fassbinder Assoli e passi a due sabato 20 e domenica 21 novembre dalle 11 alle 14 sala Bausch Workshop ore 21 Sala Shakespeare Wheel In The Middle Of The Field prima nazionale Splash prima nazionale The Moroccan Project Prezzi e abbonamenti: Intero 20 Euro – ridotto giovani/anziani 15 Euro Passpartù: 77 euro (vedi tutto quello che vuoi tu) Passpartù under 20: 35 euro (vedi tutto quello che vuoi tu) MiolCard: 50 euro (4 ingressi più una Vetrina in omaggio) www.milanoltre.org Sala Shakespeare | 19 ottobre/14 novembre La compagnia dell’Elfo apre la stagione con una nuova ‘favola’ shakepeariana, Il racconto d’inverno, che nel canone dell’autore rientra nel gruppo delle ultime opere, le cosiddette commedie romanzesche (o tragicommedie con elementi fantastici). di William Shakepseare Ambientata in luoghi dal sapore esotico con una regia, traduzione, scene e costumi trama ricca di colpi di scena, tra viaggi Ferdinando Bruni avventurosi, tempeste, ritrovamenti insperati, la e Elio De Capitani commedia è divisa in due movimenti con Ferdinando Bruni profondamente diversi: i primi tre atti sono tragici Elio De Capitani e cupi, dominati dalla gelosia distruttiva di Leonte, Elena Russo Arman re di Sicilia, che arriva ad annientare la moglie e i Corinna Agustoni, Cristina Crippa propri figli e a distruggere l’amicizia di una vita Luca Toracca, Gabriele Calindri con Polissene, re di Boemia. Sedici anni dopo il Camilla Semino, Federico Vanni quarto atto si apre su di un mondo agreste, Nicola Stravalaci, Giuseppe Amato dominato da motivi di lirica dolcezza per Umberto Petranca raccontare l’amore tra Perdita, che altri non è se non la figlia ripudiata di Leonte e cresciuta da un luci di Nando Frigerio pastore, e Florizel, figlio di Polissene. produzione TEATRIDITHALIA Così Il racconto d’inverno ci conduce lungo un percorso di trasformazione e rigenerazione “che prima nazionale attraversa le generazioni e il ciclo del tempo”. Un percorso alla ricerca della propria identità che attraversa l’intera vita dei personaggi (almeno quelli più giovani), consumato in un salto temporale che annienta ogni idea di unità di tempo, luogo o azione. Ritorna in questo testo il tema dell’incontro/scontro tra vecchie e nuove generazioni, già in primo piano in altre produzioni di Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani (tra gli spettacoli più recenti Romeo e Giulietta e Shopping & Fucking firmati da Bruni). Con uno sguardo più maturo sui misteri dell’esistenza umana, anche il Racconto evidenzia una contrapposizione violenta tra padri e figli, ma qui saranno proprio i giovani - in una sorta di Romeo e Giulietta al contrario - a “salvare” gli adulti, riportando armonia e nuova vita dopo un lungo sonno della ragione e dei sentimenti. Dialogare, comunicare (nel senso etimologico di ‘rendere comune’), trovare un linguaggio teatrale universale, ma mai banale, che garantisca la trasmissione di testimonianze e la condivisione di esperienze, è centrale nel progetto dei due registi e passa tanto attraverso la scelta di autori e testi, quanto attraverso la ricerca stilistica e il lavoro sul palcoscenico. L’infinita galleria di personaggi che animano l’opera di Shakespeare, ricchi di vita e sfumature anche nei ruoli secondari, è un eccezionale banco di prova per ogni attore e offre continue occasioni, nella concretezza del fare teatro, per far incontrare grandi interpreti e giovani talenti. Bruni e De Capitani hanno scelto un’ambientazione che ricorda gli anni Trenta, un mondo fantastico da operetta costruito con silhouette, che trae ispirazione dalla leggerezza dei film di Lubisch e dalla magia del mondo di Lotte Reiniger. Racconto d’inverno Repliche per le scuole: 22 e 28 ottobre ore 15 | 3 e 11 novembre ore 15 produzioni Sala Shakespeare | 23 novembre/5 dicembre Alvis Hermanis è una delle voci più originali della scena europea, tanto da essere stato definito il gemello lettone di Nekrosius. Il suo teatro si colloca tra due tradizioni teatrali radicate e chiaramente connotate nella loro diversità come quella russa e quella tedesca. dall’omonimo romanzo Nato a metà degli anni Sessanta, e direttore del Teatro di Jaroslaw Iwaszkiewicz di Riga da oltre un decennio, Hermanis cresce tra il adattamento e regia Alvis Hermanis declino e la caduta dell’Impero Sovietico e la rapidissima transizione che ha portato il suo Paese a con Sergio Romano diventare parte dell’Unione Europea, segnandone Laura Marinoni, Patrizia Punzo fortemente la ricerca scenica. Il suo lavoro registico si Elena Arvigo, Irene Petris connota per l’ascolto che egli riserva agli attori con cui lavora e, il suo essere poliedrico, è tale da rifuggire a Fabrizia Sacchi, Alice Torriani qualsiasi etichettatura. coreografia Alla Sigalova Le signorine di Wilko è tratto dall’omonimo racconto scene Andris Freibergs dello scrittore polacco Jaroslaw Iwaszkiewicz, testo cult costumi Gianluca Sbicca nell’Est Europa (nel 1979 Waida ne fa un film produzione Emilia Romagna Teatro nominato agli Oscar). Il testo riserva un’attenzione Fondazione, Unione Europea particolare ai temi del ricordo e della memoria, cari ad nell’ambito del progetto Prospero, Hermanis che, nella sua lettura scenica, ne ambienta Teatro Stabile di Napoli, Nuova Scena gli accadimenti negli anni immediatamente successivi Arena del Sole alla Seconda Guerra Mondiale. Una magistrale Teatro Stabile di Bologna riflessione sul tempo che, inesorabile, scorre. Wiktor Ruben, uomo di mezza età, torna nel villaggio di Wilko dove, in gioventù, era solito trascorrere il periodo estivo e che ha segnato la sua educazione sentimentale. Qui reincontrerà le signorine di Wilko, cinque sorelle conosciute da giovane, cui lo legano numerosi ricordi: era stato fidanzato con una di loro, ora scomparsa, ed era stato l’istitutore della maggiore. Il loro inatteso ritrovarsi sconvolgerà il già delicato equilibrio emotivo delle sorelle, ormai adulte, nel lento scorrere delle lunghe e calde giornate estive. Grazie a questo spettacolo, prodotto da Emilia Romagna Teatro Fondazione nell’ambito del Progetto Prospero e debuttato in prima assoluta nel gennaio 2010, Hermanis si confronta per la prima volta con attori italiani. Le signorine di Wilko «Il lettone Hermanis affida questa lieve trama di abbandoni e smarrimenti alla potenza delle immagini. Bellissima, per esempio, è la sequenza iniziale delle mani e dei piedi che spuntano dalle ante socchiuse dell’armadio: sono le escrescenze (momenti, incontri, sensazioni, profumi) che si formano sulla pelle dei giorni. (…) Perfetti gli interpreti: intorno al Wiktor di Sergio Romano tessono una rete di timide sensualità e slanci rassegnati Laura Marinoni (Jola), Patrizia Punzo (Julcia), Elena Arvigo (Kazia), Irene Petris (Fela), Fabrizia Sacchi (Zosia) e Alice Torriani (Tunia). E dall’armadio traggon «l’odore della nostra vita» rimasto chiuso là dentro». Enrico Fiore, Il Mattino «L’adattamento di Hermanis accentua il peso drammatico. E le pulsioni sentimentali delle ex fanciulle sembrano trovare un’associazione con Le figlie di Bernarda Alba di Lorca. Tutto quello che nel racconto è pura rarefazione, qui acquista una coloritura più violenta. Ciò non toglie che lo spettacolo conquisti per la sua forza visionaria e le ardite trovate. Si vedano quelle simboliche teche che, come bare rinchiudono prigioniere come farfalle le protagoniste. Sempre in movimento come un balletto metafisico, visto poi che qui molto fa leva sul gioco coreografico, affidato alla russa Sigalova, che molto attinge al tanz-theater di marca tedesca. Wiktor è il sensibile, inquieto e un po’ oblomoviano Sergio Romano. Laura Marinoni è la brava, malinconica corifea delle altre sorelle». Domenico Rigotti, Avvenire «Una regia antinaturalistica e di grande fisicità assai apprezzata dal pubblico. Bellissimi i costumi, protagonisti in scena insieme agli attori, firmati da Gianluca Sbicca, ottime le scelte musicali che ricordano i malinconici tanghi, i frizzi di canzoni internazionali come O sole mio o quella Parlami d’amore, Mariù tanto cara ai cuori romantici. Magnifiche le scene di Andris Freibergs, tutte fieno e barattoli di marmellate fatte in casa e quelle teche di vetro che sono rifugi per i giochi, luoghi di seduzione e tombe e quel grande armadio usato alla Stanislawskji, dal quale escono ad una ad una le signorine ad apertura di sipario e che alla fine riappare macabro e fatale. Giose e narrative le coregrafie di Alla Sigalova. In totale sintonia gli attori in scena, bravissimi tutti». Franzina Ancona, Rinascita ospitalità Sala Bausch | 27 novembre/30 dicembre Steven Berkoff è un autore ‘di riferimento” per il Teatro dell’Elfo che lo ha messo in scena, ormai più di dieci anni fa, proponendo Alla Greca e Decadenze. di Steven Berkoff Non stupisce dunque che anche Ida Marinelli e traduzione Manfridi e Clerici Luca Toracca, quando quattro anni fa hanno regia Ida Marinelli deciso di cimentarsi in una produzione esterna alla compagnia, abbiano guardato al lavoro del con Luca Toracca drammaturgo inglese, trovando nel monolgo Il Natale di Harry un testo perfetto per le loro produzione TEATRIDITHALIA sensibilità. Ora, grazie alle possibilità in più offerte dalla nuova sede, lo spettacolo viene ripreso sotto l’egida dell’Elfo. Il testo affronta il tema della solitudine in una società che ha ridotto i rapporti famigliari e d’amicizia a formule vuote e grottesche, destinate alla ripetizione di sterili rituali, tanto più invadenti e ingombranti in momenti come le festività natalizie. L’oleografia del Natale impone all’individuo comportamenti sociali stereotipati, costringendolo a verifiche dolorose. Così il protagonista di questo monologo si ritrova solo nella scenografia di “un piccolo cubo rosso di quattro metri di lato, pulsante di bisogno d’amore, un asfisiante cubo-cuore che racchiude le sue angosce”. Ida Marinelli e Luca Toracca sono partiti dallo spazio claustrofobico di questa sorta di “prigione” per analizzare ogni frase del testo che si fa via via più ossessivo e doloroso, “accompagnando il personaggio nell’estenuante duetto-duello col proprio io che lo porterà metaforicamente a girare su se stesso sempre più vorticosamente, fino a cadere sfinito e riposare in pace”. Il Natale di Harry «Un lavoro che lo sfrenato “autattore” inglese d’origine russa scrisse agli inizi degli anni Ottanta, trovandosi ad affrontare la pausa natalizia in preda a una reattiva solitudine, uno stato che nella sua pièce trascorre dall’autoironia allo scoramento, in una sorta di “passione” che, sulle prime, gli aveva suggerito il titolo Morte e trasfigurazione. Nell’edizione della Marinelli la stanza di Harry è delineata semplicemente dalle due facce rosse perpendicolari di un cubo a far da appoggio ai movimenti del protagonista, in piedi o seduto per terra, senza arredi a parte il telefono, oggetto di tentazioni, anche se suonerà solo una volta, nonché il modesto collage in forma votiva assemblato con i pochissimi biglietti d’auguri ricevuti. In effetti è il bilancio d’un fallimento relazionale quello che il solitario per forza cerca di stendere ossessivamente, dialogando con se stesso e rispondendo a una sua seconda voce che lo incolpa di vigliaccheria e lo istiga a fare telefonate per programmare i vuoti rituali delle feste obbligatorie da lui respinte. Così una rete di nervosi movimenti da insetto attratto dalla carta moschicida conduce Luca Toracca senza trucco, in preda a una ragnatela di parole ritornanti, dall’ironia sarcastica verso una società più legata ai gadget che ai contenuti a un rifiuto totale vissuto con trasporto, fino alla decisione di cedere a una pace da sonniferi…». Franco Quadri, la Repubblica produzioni Sala Shakespeare | 9 dicembre/9 gennaio I racconti di Anna Maria Ortese composti nel lungo arco di tempo che va dagli anni trenta ai settanta, affiancando la produzione dei grandi romanzi, due tempi di Paolo Poli riflettono sorprendentemente la complessa personalità della autrice. Storie quasi senza storia da Anna Maria Ortese che dipingono una realtà tragica come attraverso un regia di Paolo Poli sogno. Spesso sono stati paragonati al fantastico con Paolo Poli e altri attori da definire viaggio dantesco nell'aldilà. Ad una rilettura odierna sembrano piuttosto scene di Emanuele Luzzati rievocare la teatrale tenerezza del Tasso o la Costumi di Santuzza Calì cinematografica leggerezza dell'Ariosto. Gli avvenimenti narrati sono visti attraverso il Produzioni Teatrali Paolo Poli ricordo struggente: l'infanzia infelice, ma luminosa, l'adolescenza insicura, ma traboccante, l'amore sfiorato, ma mai posseduto. Sentimenti che ricordano il dispettoso rifiuto di Kafka e le illuminazioni improvvise di Joyce. Figure e figurine di una italietta arrancante nella storia dove le canzonette fanno la parte del leone. Accanto a Poli gli attori che da sempre lo accompagnano in un tipo di teatro personalissimo. Le scene del grande Luzzati enfatizzano la pittura novecentesca. I costumi fantasiosi di Calì sorprendono ancora una volta. Le musiche di Perrotin persuadono arditamente. Insomma una nuova produzione della premiata ditta Sorrisi e Veleni. Il mare ospitalità Sala Fassbinder| 10 dicembre/23 gennaio Alan Bennett, conosciuto in Italia soprattutto per i suoi divertentissimi romanzi, è nato nel nord dell’Inghilterra, vicino a Leeds, nello Yorkshire. di Alan Bennett La sua fuga dalla provincia è avvenuta riuscendo a traduzione Salvatore Cabras e penetrare - benché figlio di un macellaio - le maglie Maggie Rose molto strette del sistema educativo britannico. regia Ferdinando Bruni Approdato ad Oxford con una borsa di studio presso e Elio De Capitani l’Exeter College, si è laureato in storia ed ha insegnato per diversi anni, finché non ha abbandonato il mondo con Elio De Capitani, Ida Marinelli, accademico per dedicarsi al teatro e alla letteratura, Ferdinando Bruni, Gabriele Calindri con grande successo. e 8 giovani in via di definizione Con The history boys Bennet torna a quel momento cruciale della sua vita, spostando però gli avvenimenti video di Francesco Frongia nel bel mezzo degli anni 80 e immaginando che, in una luci di Nando Frigerio cittadina simile alla sua, gli otto allievi dell’ultimo anno produzione TEATRIDITHALIA di una Grammar School (per intenderci, il nostro liceo classico), multientica ma maschile, siano promossi a prima nazionale pieni voti e possano quindi ambire all’Oxbrige, ovvero agli esclusivi college di Oxford e di Cambridge. Sono ragazzi molto diversi da tra loro ma affiatati: dal leader della classe, il donnaiolo Dakin, fino al fragilissimo Posner, innamorato per nulla segretamente di lui. Il merito dei voti è in primo luogo loro, ma anche dei bravi insegnanti che li hanno preparati, soprattutto l’insegnante di inglese, Hector (interpretato da Elio De Capitani) e quella di storia, Mrs Lintott (Ida Marinelli). Hector li fa recitare poesie di Auden e di Whitman e scene di film come Breve incontro, creando connessioni originali su modello dei suoi personalissimi gusti, dalla musica al cinema, dalla letteratura all’arte. Mrs Lintott, professoressa di grande umanità, ha un’idea molto concreta della storia e della necessità della memoria, come ricostruzione della verità fattuale. L’ambiziosissimo, mellifluo preside (Gabriele Calindri) intuisce però la grande chance – farli tutti ammettere alle due prestigiose Università - non tanto per i ragazzi, ma per la fama della sua scuola. Sa però che i due simpatici e coinvolgenti professori hanno dato una solidissima preparazione agli studenti, ma che questa non basta per competere negli esami di ammissione. I ragazzi sono intelligenti e preparati, ma sono provinciali, non hanno charme, non sono per niente cool. Quello che conta, al giorno d’oggi, è essere “brillanti”. Ci penserà un nuovo professore (Irwin, interpretato da Ferdinando Bruni) a dare quello che manca ai ragazzi. Il nuovo arrivato non perde tempo: “la verità non serve a nulla, l’originalità è tutto”. Non contano i fatti, ma un’interpretazione originale, l’importante è non dire mai cose risapute, dire qualcosa di nuovo su ogni argomento, Hitler compreso. Anche se la “tecnica Irwin” scandalizza Mrs Lintott (“è giornalismo, non storia”) e deprime Hector, di fatto funziona: tutti i ragazzi passano gli esami e la loro vita prende un nuovo corso. Ma The history boys, scritta e rappresentata nel 2004, vincitrice di 6 Tony Award e trasformata in film nel 2006, non avrebbe ottenuto in tutto il mondo un grande successo se non avesse saputo trattare con humour, delicatezza e sensibilità di scrittura anche l’altro piano, quello degli intrecci personali, a partire dal momento in cui gli sguardi innamorati di Posner verso Dakin incrociano quelli del professor Irwin, rivolti nella stessa direzione. E fino alla passione di Hector per la moto, con la quale accompagna a casa gli allievi approfittandone per allungare le mani dove non dovrebbe. I ragazzi non apprezzano – a fine lezione c’è il fuggi fuggi per evitare la moto di Hector – ma non avendo la cosa mai sconfinato, non sono più di tanto imbarazzati. Quando la debolezza di Hector diverrà pubblica e il professore sarà inevitabilmente licenziato, il testo vira verso altri toni, a partire dalla scena, tra le più toccanti, del pianto disperato del professore davanti ai suoi studenti attoniti e commossi. The history boys Repliche per le scuole: 15 dicembre ore 15 | 20 gennaio ore 15 produzioni Sala Bausch | 18/30 gennaio In una prigione del Quebec, nel 1952, un gruppo di carcerati mette in scena la storia di uno di loro, il vecchio Simon, accusato di omicidio. Simon non ricorda nulla dei momenti precedenti l'accaduto. Ad assistere alla messinscena viene chiamato l'unico testimone del fatto avvenuto quarant'anni prima, diventato col tempo un alto prelato. Sarà lui, confessando la sua colpa, a liberare Simon dal peso di aver creduto, per tutto quel tempo, di essere il responsabile della morte del suo primo amore. Le mammole (prova o ripetizione di un dramma romantico) di Michel Marc Bouchard traduzione Francesca Moccagatta regia Lorenzo Fontana con Nicola Bortolotti, Fausto Caroli Andrea Collavino, Lorenzo Fontana Giancarlo Judica Cordiglia Luigi Valentini Le mammole, prova o ripetizione di un dramma romantico è un testo che ho letto molti anni fa, luci Cristian Zucaro incuriosito dalla versione cinematografica. assistente alla regia/dramaturg Col tempo la mia percezione di quella Valentina Diana drammaturgia è molto cambiata e trovandomi produzione dopo anni ad avere l’occasione di metterlo in scena 15febbraio con il sostegno di ho capito che la mia urgenza, rispetto a quella che Sistema Teatro Torino poteva essere anni fa, era radicalmente differente. Quello che ho pensato, immaginando il gruppo al lavoro, è stato un impatto il più crudo e spoglio possibile, sia con lo spazio che con la storia. Ho chiesto agli attori di lavorare con l’assenza degli elementi, con un’idea di teatralità essenziale, esattamente l’opposto, in qualche modo, di quello che è la materia drammaturgica, ricca di rimandi barocchi, di dialoghi spesso lunghi e articolati. Con Valentina Diana e gli interpreti abbiamo cercato di arrivare a rendere tutto il più “necessario” possibile, a volte anche spaventandoci per le scelte drastiche che la strada scelta ci obbligava a fare. Ma era proprio questo il senso del lavoro: la ricerca di una rappresentazione fatta di relazioni e di conflitti. Abbiamo tralasciato tutti gli aspetti melodrammatici, cercando di concentrare la nostra attenzione sul percepire in ogni momento il fatto che stessimo rappresentando qualcosa, cercando di osservare quello che succedeva, lasciando più spazio ai silenzi e all’improvvisazione. Stando in scena così, quasi senza appigli, era davvero solo il pubblico il nostro interlocutore, come nel testo per i carcerati/attori lo è Monsignor Bilodeau. Il pubblico è posizionato a stretto contatto con lo spazio scenico e gli attori così da preservare gli aspetti di intimità della storia e dei rapporti, che in un’ altra condizione sarebbero andati perduti. Lorenzo Fontana ospitalità Sala Shakespeare | 19 gennaio “L’Opera lirica è un posto dove un uomo viene pugnalato e, invece di morire, canta.” Leopold Fetchner Viva Verdi! Viaggio ai confini del melodramma Il progetto Opera it, frutto dell’esperienza pluriennale dell’Associazione Lirico e Concertistica Italiana progetto e regia Francesco Micheli (AsLiCo) in materia di sensibilizzazione dei giovani verso la musica, si pone l’intento di avvicinare gli soprano Monica Colonna adolescenti all’opera lirica, un genere di spettacolo dal pianoforte Debora Chiantella vivo considerato dai più desueto perchè lontano dalla modernità e dalla tecnologia attuali. L’obiettivo è di conduzione Francesco Micheli abbattere i pregiudizi che la riguardano, conducendo gli studenti in un mondo ricco ed inedito, antico e scene e costumi Federica Parolina luci Pietro Paroletti moderno, guidati in un percorso a tappe. Una video Francesca Biral e corso di tecniche conferenza spettacolo in classe, interattiva e stimolante, digitali dell’Accademia di Brera per fornire loro gli strumenti per capire gli ingredienti del melodramma romantico ottocentesco e per saggiare produzione AsLiCo il contributo fondamentale di Verdi alla cultura italiana. Ad integrare il lavoro a scuola saranno disponibili approfondimenti e materiali didattici scaricabili dal sito internet del progetto con la possibilità di scambiare idee e suggestioni su un’apposita community. Il percorso di preparazione culminerà nella visione dello spettacolo, così descritto dal suo ideatore, Francesco Micheli: «Lo scopo è preciso: far uscire la Signora Opera dall’ovattata, lussuosa e claustrofobica dimora dove ormai ama soggiornare. Portarla a spasso per prendere aria, in altri luoghi, farle vedere gente diversa, vecchi amici, parenti… che so, la letteratura, la pop music, la storia, il cinema, la politica, il teatro… per scoprire che un tempo se la sono spassata questi qua, tutti insieme. Una bella cura fisioterapica per la nostra nonnina Melodramma e come al solito un’occasione per noi per conoscerla davvero, per apprezzarne l’eredità che, in fondo, è destinata a noi. La genealogia della nostra ava affonda le sue radici in tempi antichi ed è impossibile ripercorrerli tutti in poco tempo. Tuttavia riteniamo che con Giuseppe Verdi l’opera abbia vissuto una stagione felice, piena, ricca. Il nostro lavoro assomiglia molto alla navigazione internet sia perché allo spettatore è richiesta quella stessa partecipazione attiva che deve porgere chi si pone di fronte a un computer, sia perché il processo narrativo dello spettacolo muove per nessi analogici, esattamente come quando si saltella da un sito a un altro dentro la grande grotta di google. Partendo, per esempio, dal duetto Germont Violetta dalla Traviata, grazie alla presenza viva e vera di canto e pianoforte, ci si imbatte nel romanzo di Dumas, La Signora delle Camelie da qui si passa a un video di Bjork, per arrivare poi ad una canzone di Mina. Un mosaico contemporaneo dell’antica arte lirica.» Progetto di Teatro Musicale per le scuole secondarie di II grado Biglietto unico 11 euro – spettacolo fuori abbonamento Iscrizioni al progetto su www.operait.org Sala Shakespeare | 21/30 gennaio La più celebre delle commedie di Moliere nella graffiante versione di una delle compagnie più premiate del teatro italiano, il Teatro delle Albe che ha fatto della reinvenzione dell’antico, tra tradizione e visionarietà, uno dei segni distintivi del proprio lavoro. “Non si entra in Molière senza conseguenze”, ha scritto Cesare Garboli, il più grande traduttore ed esegeta italiano dell’autore, che Martinelli asseconda in tutti e cinque gli atti. La lezione di Molière è più che mai attuale, con quella netta capacità di penetrare il male in tutte le sue forme, sociali e psichiche, facendo ricorso alle armi della satira e della comicità, diretta eredità della farsa antica e della commedia dell’arte. Il drammaturgo francese regalava nuova vita a personaggi teatrali della tradizione che nelle sue mani rinascevano come veri e propri emblemi: fra questi proprio L’Avaro è uno dei più noti. Nell’allestimento delle Albe, debuttato nell’aprile 2010, la particolarità sta anche nel fatto che qui Arpagone – antico avaro che si va trasformando in un moderno finanziere – è Ermanna Montanari, che interpreta questo fantasma come un risibile angelo sterminatore e, insieme alla sapiente regia di Marco Martinelli imprime al gioco scenico un ritmo vitale e travolgente. L’Avaro di Molière traduzione Cesare Garboli ideazione Marco Martinelli e Ermanna Montanari con Loredana Antonelli, Alessandro Argnani, Luigi Dadina, Laura Dondoli, Luca Fagioli, Roberto Magnani, Michela Marangoni, Marco Martinelli, Ermanna Montanari, Alice Protto, Massimiliano Rassu, Laura Redaelli spazio Edoardo Sanchi luci Francesco Catacchio e Enrico Isola musiche originali Davide Sacco costumi Paola Giorni produzione: Ravenna Teatro in collaborazione con AMAT (Associazione Marchigiana Attività Teatrali) e Emilia Romagna Teatro Fondazione «Si, è inaspettato l'Arpagone dell'Avaro di Molière secondo il Teatro delle Albe. E non tanto perché a interpretarlo è una donna. Soprattutto se si tratta di Ermanna Montanari, un'attrice che prima o poi ci aspettiamo di vedere in Amleto nel ruolo del titolo. È inaspettato perché, usando la magnifica traduzione di Cesare Garboli, tutta giocata sui chiaroscuri della modernità, Marco Martinelli e i suoi attori ci hanno proposto un Avaro che ha le stigmate del nostro confuso e contradditorio presente. (…) Chiusa nel suo abito nero - giacca e pantaloni - la Montanari non ci propone un avaro a una dimensione, ma un Arpagone costruito su diversi segmenti di suggestioni: ingenuo, beffardo, crudele, svampito, padre padrone». Maria Grazia Gregori, Delteatro.it «Che quello di Molière sia un mondo per nulla sorridente, ma in realtà dominato da umori cupi, feroci, lo si sapeva da tempo. Ma Marco Martinelli, in questo suo Avaro non si limita a evidenziare gli aspetti "neri" del testo: lo raggela, lo disarticola, lo fa esplodere in una serie di spezzoni allusivi che si espandono in tante direzioni diverse - dal rapporto fra denaro e potere all'invadenza dei mezzi di comunicazione di massa restando tuttavia come interrogativi aperti, suggestioni sospese. (…) Ciò che è certo è che in questo Avaro il teatro è finito, superato da tempo: ne restano solo frammentari ricordi che emergono dal buio di una cultura degradata. Il palco è occupato da pezzi di scenografia sistemati a caso, i personaggi indossano costumi della stessa stoffa delle fodere dei divani, e vengono spostati come oggetti dagli inservienti. Tutti i bravi attori adottano una recitazione meccanica, svuotata: e infatti l'epilogo è affidato al regista stesso, che chiude la vicenda arrivando dalla platea, dalla realtà, dalla vita di ogni giorno». Renato Palazzi, Il Sole 24 ore «E' nero che più nero non si può L'avaro di Molière secondo il Teatro delle Albe. La regia di Marco Martinelli gioca sul grottesco: l'avidità perde i connotati anestetizzati della caricatura per diventare malattia metafisica e affezione sociale molto attuale, passione gretta e quasi spirituale, egoismo, idolatria assoluta del denaro, fede cieca in essa come prolungamento di sé, come altro sé. L'interesse, il particulare, è sempre quello che domina, in ogni situazione. (…) Tutto è spigoloso in questa commedia, anche la risata, basata sui un meccanismo caro a Martinelli, quello della ripetizione, ossessiva, che muta gli esseri umani in pupazzi, una volta avviati incapaci di fermarsi, ripetitivi, inadatti a imparare dall'esperienza. Con una nota più tagliente del solito, impietosa: nulla e nessuno si salva. (…) Tra gli attori da segnalare l'energia compressa in una vacuità devastante dei giovani in generale (…). Su tutti Ermanna Montanari, rattenuta nella voce, nei gesti, affilata nella crudele avarizia, un coltello che vuole incidere una ferita, almeno piccola, nella crudele, paurosa impaurita avidità che ci aspetta fuori dalla porta del teatro: dove chi paga la retta degli asili fa scioperi perché un ignoto benefattore ha colmato i debiti dei bambini più poveri che un'amministrazione voleva espellere per insolvenza». Massimo Marino, Controscene ospitalità Sala Shakespeare | 1/13 febbraio Scritto e diretto a quattro mani da Roberto Andò e Moni Ovadia e ispirato al Mercante di Venezia di Shakespeare, questo spettacolo s’inserisce a pieno titolo nel solco di quel teatro musicale su cui Moni Ovadia ha da sempre incentrato la propria ricerca espressiva, fondendo l’esperienza di attore e di musicista. In scena, nel ruolo di Shylock, un interprete di eccezione: Shel Shapiro. Pioniere della musica rock in Europa e, a partire dagli anni Sessanta, leader dei The Rokes, ha proseguito la sua carriera come autore arrangiatore e produttore per approdare negli ultimi anni sulle scene teatrali con il recital Sarà una bella società su testi di Edmondo Berselli. Shylock, Il mercante di Venezia in prova di Roberto Andò e Moni Ovadia da William Shakepseare regia Roberto Andò e Moni Ovadia con Moni Ovadia e Shel Shapiro e con Ruggero Cara, Lee Colbert, Roman Siwulak, Maksym Shamkov Federica Vincenti e Moni Ovadia Stage Orchestra scene Gianni Carluccio costumi Elisa Savi In una sorta di hangar, che potrebbe essere un luci Gigi Saccomandi mattatoio o un teatro, un regista attende di suono Mauro Pagiaro incontrare un misterioso uomo di affari che l’ha produzione ingaggiato per proporgli di mettere in scena un Arena del Sole - Nuova Scena - Teatro testo che ha lungamente e vanamente inseguito, Il Stabile di Bologna Mercante di Venezia di William Shakespeare. Emilia Romagna Teatro Fondazione In un moderno gioco meta-teatrale, il Regista, che in collaborazione con Estate Teatrale Veronese vorrebbe cambiare il finale del testo restituendo a Shylock la libbra di carne che gli è stata negata cinquecento anni fa, e l’Impresario, che vorrebbe ottenere la sua personale libbra appropriandosi del cuore di un artista, si fronteggiano, vestendo ciascuno alternativamente ora i panni di Shylock ora quelli di Antonio. Attraverso la vicenda del Mercante di Venezia, i due protagonisti, affiancati da musicisti, attori e attrici che entrano ed escono dal proprio personaggio, daranno il via a riflessioni sull’antisemitismo e sulla storia, sul denaro e sul teatro, sul concetto stesso di arte, con suggestioni che spaziano dalla cultura ebraica a quella pop, grazie anche a un variegato repertorio di canzoni inserite in quella che tra le opere di Shakespeare è annoverata come commedia, anche se possiede tutti i connotati di una tragedia. «Si parte da Shakespeare, ovviamente, per tradirlo senza tradirlo, anzi mettendo in pratica il suo metodo: guardare al lavoro degli altri per poi ricrearlo. Così questo Mercante si sofferma soprattutto sulla figura dell’ebreo più famoso del mondo, Shylock appunto, ma gli crea attorno un mondo immaginario, un incubo che parte da lui e a lui ritorna. In questa ipotetica villa della scalogna pirandelliana dove i personaggi vivono come fantasmi, Shylock è un vecchio possente al quale un inedito Shel Shapiro regala forte fisicità e presenza». Maria Grazia Gregori, l’Unità «Parlare di antisemitismo e di cosa significa essere ebreo, parlare di una società dove, ieri come oggi, l’“ornamento” è la falsa verità che “i tempi astuti indossano per intrappolare i saggi”. Parlare del significato ultimo di essere uomo, della vendetta, arma spuntata contro chi si reputa nemico. Parlare della legge e della giustizia piegate al denaro e al potere. Parlare di argomenti dolorosi facendo spettacolo, tra rito, musica e canzoni, commedia e tragedia, è la difficile impresa riuscita a Moni Ovadia, con Roberto Andò, autore e regista dell’interessante Shylock. Il mercante di Venezia alla prova». Magda Poli, Corriere della Sera ospitalità Sala Fassbinder | 2/20 febbraio «Quando la compagnia Baby Gang mi ha chiesto se ero disponibile a lavorare con loro, ho subito accettato. Sono convinto che la loro sensibilità artistica possa contribuire a perfezionare la mia ricerca sull’attore. E che quindi la collaborazione testo e regia possa diventare strumento di crescita collettiva. Mimmo Sorrentino Ho chiesto loro di indicarmi i temi che avrebbero con gli attori della compagnia Baby voluto trattare nella convinzione che un testo, Gang (Federico Bonaconza, prima che per l’autore, debba essere necessario Carolina De La Calle Casanova, per l’attore. Non avevo dubbi che mi proponessero Valentina Scuderi) un tema forte: la pedofilia. Con spavento ho e con Veronica Cruciani iniziato ad ascoltarli e ascoltarmi e ho scritto per e la partecipazione straordinaria di loro, calandomi nell’incandescente magma della Cochi Ponzoni libertà emotiva, nella ribellione al dolore, come elemento della crisi. Il risultato è una galleria di La Corte Ospitale personaggi di sofferenza estrema, vittime di una e Compagnia Baby Gang radicale incoscienza, potenti come le tragedie. in collaborazione con Progetto Être Poi la drammaturgia ha imposto come personaggi di Fondazione Cariplo una madre nonna, segnata nell’anima, e un anziano padre. Per la madre ho chiesto la disponibilità a Veronica Cruciani, perché sono convinto che per raccontare la bellezza del disfacimento morale e fisico di questo personaggio ci sia bisogno di una sensibilità artisitica sincera e di enigmatica violenza. La terribile drammaticità del padre imponeva invece un volto adamantino, poetico, così si è chiesto a Cochi Ponzoni di essere del gruppo, perché l’arte di Cochi è poesia del profondo, la cui visibilità è possibile solo con acque pulite. Ringrazio entrambi per aver accettato, come ringrazio La Corte Ospitale per avermi permesso di incontrare tutti questi artisti e sperimentare con loro il mestiere e la necessità di raccontare». Mimmo Sorrentino Ti voglio bene più di Dio ospitalità Sala Shakespeare | 15 febbraio/6 marzo Con alle spalle un percorso di studi e regie di testi tragici – soprattutto nelle riscritture di autori come Hofmannsthal (Elettra) e Schiller (Maria Stuart) – Andrea De Rosa ha affrontato per la prima volta il teatro di Shakespeare con questa Tempesta. Insieme a Umberto Orsini, che interpreta il personaggio di Prospero, recitano Flavio Bonacci (Antonio), Rino Cassano (Ariel), Gino De Luca (Ferdinando), Francesco Feletti (Sebastiano), Carmine Paternoster (Marinaio), Rolando Ravello (Calibano), Enzo Salomone (Gonzalo), Federica Sandrini (Miranda), Francesco Silvestri (Alonzo), Salvatore Striano (Marinaio). «Mentre altri colleghi, anche più giovani, restano La tempesta di William Shakespeare adattamento e regia Andrea De Rosa con Umberto Orsini Flavio Bonacci, Rino Cassano Francesco Feletti, Carmine Paternoster, Rolando Ravello Enzo Salomone, Federica Sandrini Francesco Silvestri, Salvatore Striano spazio scenico Alessandro Ciammarughi Andrea De Rosa, Pasquale Mari scene e costumi Alessandro Ciammarughi luci Pasquale Mari suono Hubert Westkemper musica Giorgio Mellone produzione Teatro Stabile di Napoli Emilia Romagna Teatro Fondazione Teatro Eliseo uguali, ancorati a un'immagine eterna, lui non smette di cercare il nuovo, di osare. A 75 anni, aria severa, corpo dritto, asciutto, Umberto Orsini consuma tutta questa minacciosa energia con chi ha anche 40, 50 anni meno di lui, giovani artisti con cui - mission impossible - riesce a parlare, dialogare, a farsi ascoltare, a lavorare senza i ricatti dell'età. Attore di una generazione scomparsa e irripetibile, colto, appassionato di letteratura, lettore avido, anni fa si mise in gioco col teatro esagerato di Pippo Delbono, poi con Elio De Capitani, Mauro Avogadro... E ora è insieme a un ventisettenne, il regista Andrea De Rosa, direttore del Teatro Stabile di Napoli, che Orsini si misura con il suo spettacolo più maturo, la Tempesta di Shakespeare, il suo primo vero classico anche se pieno di novità, che si aggiunge a una carriera strabiliante iniziata nel ' 57, da giovanotto bello e vincente e già dalla vetta, con la Compagnia dei Giovani, poi punteggiata da capolavori come Chi ha paura di Virginia Woolf? (1963), Old Times, L'Arialda, L'Uomo difficile, film come La dolce vita (1959), La caduta degli dei (1969), registi come Fellini, Visconti, Ronconi, Patroni Griffi, Pasolini, Lavia, Castri... «In cinquant'anni di carriera sono riuscito a evitare i classici - dice - perché ho preferito testi più particolari, Harwood, Bernhard, Schiller... Per come sono fatto fisicamente, poi, sono un attore borghese, perfetto per Miller, Morte di un commesso viaggiatore. A Prospero, il protagonista della Tempesta, avrei preferito volentieri Riccardo III che è più maschera. Mi ha convinto Andrea De Rosa, la sua chiave di lettura beckettiana e il fatto di non farne un Babbo Natale». (...) È per questo che lavora con i giovani? «Lo trovo naturale. Non è restyling personale. Mi piace quello che fanno. A me piace il teatro di Delbono con cui tornerò a lavorare. Mi piace De Rosa con cui ho già fatto Molly Sweeney. Mi piacciono perché negli altri cerco quello che non so fare, quello che mi nutre, la squadra, l'alchimia». Racconti questa Tempesta. «Abbiamo tagliato il testo. Ariel, lo spiritello, non vola. Calibano non è un mostro, ma il matto del paese con le mani sul pisello e il sorriso da angelo. C'è una bella compagnia. E poi è uno spettacolo incredibile, tra Fellini e un incubo alla Lynch». Cioè? «Prospero non è il mago con la bacchetta e la tempesta è una tempesta mentale: niente fulmini e mare agitato, ma uno spazio claustrale e pieno di incongruenze temporali. Prospero sono io, con su un pastrano, se vuole un intellettuale anche poco gradevole. Un uomo che guarda la vita e soprattutto la morte». Dall’intervista di Anna Bandettini, la Repubblica, 28/10/2009 Repliche per le scuole: 17 febbraio ore 15 | 23 febbraio ore 15 ospitalità Sala Fassbinder| 22 febbraio/20 marzo Il testo di Logan, inedito in Italia, negli Stati Uniti è già un caso: attualmente in scena al Golden Theater di Brodway, dopo i successi a Donmar Warehouse di Londra, si è aggiudicato 7 di John Logan candidature per i Tony Award 2010 (miglior spettacolo, miglior attore protagonista per Alfred traduzione Ferdinando Bruni Molina, attore non protagonista per Eddie uno spettacolo di Ferdinando Redmayne, miglior regia per Michael Grandage, Bruni e Francesco Frongia scenografia, disegno luci e suono) ed è stato recensito in termini entusiastici: “elettrizzante”, con Ferdinando Bruni “irresistibile”, “intenso ed eccitante, impossibile e un attore in via di definizione non sentirsi profondamente scossi”, “i più produzione TEATRIDITHALIA stimolanti 90 minuti in scena a Brodway”. La pièce è ispirata alla biografia del pittore prima nazionale americano Mark Rothko, maestro dell’espressionismo astratto, che alla fine degli anni Cinquanta ottenne la più importante commissione della storia dell’arte moderna, una serie di murales per il ristorante Four Season di New York. Red Il testo inquadra il momento in cui, dopo due anni di lavoro febbrile, il suo giovane assistente Ken, conquistata una maggiore confidenza, inizia a metter in discussione le sue scelte inducendolo a considerare con angoscia la possibilità che l’impresa che dovrebbe coronare la sua carriera possa trasformarsi nella sua rovina. Red porta in scena un dibattito tra generazioni di artisti teso e provocatorio e il ritratto di un uomo ambizioso e vulnerabile che tenta di creare il proprio capolavoro, incalzato dai giovani emergenti e assillato dalla fama dei grandi maestri. Per Ferdinando Bruni è l’occasione per una nuova intensa prova d’attore e per tornare a riflettere su temi centrali nelle sue ultime produzioni: l’esigenza di trasmettere l’esperienza umana e artistica, il ritrovare una possibilità di dialogo e di ascolto con chi ci appare lontano dalla nostra cultura. produzioni Sala Shakespeare | 8/20 marzo Un autore che in scena può far scomparire in un attimo il senso comune e sostituirlo con panorami fino ad oggi impensabili, un affabulatore che non ha imitatori proprio perché non si ferma di fronte al linguaggio ma vi si immerge fino a vivisezionarne i concetti fondanti. Un Bergonzoni anarchicamente comico ma, questa volta, sicuramente molto più polemico e metafisicamente critico verso la realtà che quotidianamente ci soffoca. NUOVO SPETTACOLO (titolo da definire) di e con Alessandro Bergonzoni produzione Allibito srl organizzazione e distribuzione Progetti Dadaumpa ospitalità Sala Bausch| 15/20 e 22/27 marzo Debuttato a Spoleto nel settembre 2009 in occasione dei 70 anni del regista statunitense, il progetto è nato dalla collaborazione di diverse realtà internazionali: oltre al La MaMa Umbria International, sede italiana del teatro newyorkese dove Horovitz ha esordito con The Line, Officina Eclectic Arts, giovane realtà produttiva, la compagnia newyorkese Monk Parrots, la compagnia C-virus di Seoul, l’Università del Texas a Austin e l’Università Dankook a Seoul. Dei tre atti unici che compongono la trilogia, due sono inediti in Italia - Beirut Rocks (2006) e Effetto Muro (2009) - mentre L’indiano vuole il Bronx era stato proposto a Spoleto nel 1968 quando Horovitz era solo un giovane promettente drammaturgo, invitato a presentare nuovi testi nel programma del Festival dei Due Mondi, con un cast di attori che comprendeva, tra gli altri, Al Pacino e John Cazale. I tre testi sono affidati a registi dalle provenienze eterogenee proprio perché il filo rosso che li lega è il tema del pregiudizio razziale che si ripropone uguale a tutte le latitudini. In via di definizione anche le repliche dello spettacolo di Andrea Paciotto Suite Horovitz, sei atti unici scritti tra il 2006 e il 2009, tutti ambientati all’interno di un hotel. Trilogia Horovitz Tre atti unici di Israel Horovitz traduzione Andrea Paciotto supervisione e adattamento Edoardo Erba 15/20 marzo L’indiano vuole il Bronx regia Luke Landrik Leonard 22/27 marzo Beirut Rocks regia Hyunjung Lee Effetto Muro regia Andrea Paciotto con Francesco Bolo Rossini, Giorgio Marchesi, Simonetta Solder Enrico Salimbeni musiche originali Rolando Macrini produzione Officina Eclectic Arts e La MaMa Umbria International «Lo spettacolo ha un ché di esplosivo, forse perché in Italia non siamo abituati, neanche con i nostri drammaturghi importanti, a vedere rappresentata in modo così trasparente la nostra realtà, da quella del piccolo razzismo che può arrivare ad uccidere, a quella politica che ci lascia inerti e ignavi anche davanti al check point di Ramallah. Horovitz invece ci parla proprio di noi, e di quel che ci portiamo dentro di meno confessabile, intreccio di luoghi comuni e crudeltà. Con la Trilogia di Spoleto però i riferimenti per noi si fanno davvero impressionanti, perfino violenti. L'indiano vuole il Bronx potrebbe titolarsi nella nostra odierna quotidianità Il bengalese vuole Torbellamonaca. A una fermata d'autobus affacciata sulla notte (come avvenuto ripetutamente in questi mesi nel quartiere di Roma sud) due giovani perditempo dalla biografia difficile non trovano di meglio che infastidire sempre più pesantemente l'indiano del titolo, arrivato da poco a New York, ignaro della lingua, che vorrebbe raggiungere figli e famiglia nella casa dove questi abitano al Bronx. Finale tragico, e premonitore, visto che il testo risale agli anni ‘60. Appena di due anni fa è invece Beirut rocks. Si svolge nell'albergo della capitale libanese dove gli Stati uniti raccoglievano i giovani americani presenti a Beirut, per rimpatriarli, nella notte in cui i missili d'Israele bombardavano dal mare. E tra i quattro studenti in una stanza, un’americana di origine araba cresciuta dagli zii presso Boston, è in realtà stata lasciata sola da un bombardamento israeliano in Palestina. I sospetti del giovane wasp che lei possa essere imbottita di esplosivo, la portano fatalmente nel vicolo cieco di sognare davvero il “martirio”. Infine l'ultimo testo, scritto quest'anno dopo l'isolamento di Gaza, Effetto muro. Un effetto paradossale e atroce quando si capisce lentamente al checkpoint, che anche un giovane ebreo vuol farsi kamikaze per vendicare la famiglia che gli è stata appena sterminata. Un piccolo gruppo di attori generosi danno vita a quei problematici personaggi, e sono molto convincenti e privi di ogni retorica. Fortissima è l'emozione per il pianeta Horovitz: il dolce scrittore americano, dalle evidenti radici ebraiche, che riesce a mettere in discussione tanti luoghi comuni e pigrizie mentali, e che oltre i muri ideologici ci stimola a plasmare un mondo meno crudele e ingessato nella sua violenza». Gianfranco Capitta, il manifesto ospitalità Sala Fassbinder | 22 marzo/3 aprile Ottavia Piccolo arriva all’Elfo Piccini con Donna non rieducabile, il monologo di Stefano Massini, messo in scena con il coordinamento artistico di Silvano Piccardi. Il lavoro è un adattamento in forma teatrale di brani autobiografici e articoli di Anna Politkovskaya, la giornalista trovata morta il 7 ottobre del 2006 nell'androne della sua casa moscovita, uccisa da quattro colpi di arma da fuoco. Come un album di immagini, il drammaturgo fiorentino compone una carrellata di esperienze in presa diretta, restituendo al pubblico nella forma più semplice e antiretorica possibile il senso della scelta di verità di questa giornalista che guardò nel profondo gli eventi. Non una beatificazione laica ma, come precisa lo stesso Massini: «l’unico obiettivo era restituire dignità teatrale ad una sensazione che mi aveva colpito nel primo avvicinamento ai testi della Politkovskaja: la loro feroce immediatezza». Donna non rieducabile di Stefano Massini con Ottavia Piccolo musiche per arpa eseguite dal vivo Floraleda Sacchi coordinamento artistico Silvano Piccardi produzione La Contemporanea «Dopo il crollo del Regime sovietico, la Russia sembrava avviata verso una nuova democrazia. L’assassinio di Anna Politkovskaja ha allungato un’ombra terribile su questa illusione. Anna non era una militante politica, era una giornalista. Il suo fu uno sguardo aperto, senza prevenzioni né compromessi, su quanto avveniva nel suo paese, partendo dalla lontana Cecenia, per arrivare a incontrare i momenti più terribili della recente storia russa (dalla strage al Teatro Dubrovka di Mosca, a quella nella scuola di Beslan). Se il vecchio potere sovietico, per imporre il proprio controllo su ogni forma di dissenso o, più semplicemente, di libero pensiero, si sentiva in dovere di costruire leggi, tribunali e processi speciali, che legittimassero in qualche modo l’accanimento repressivo, istituzionalizzandolo - il nuovo sistema di potere, per eliminare la presenza scomoda del “punto di vista” libero di questa donna, ha agito come un qualsiasi potere mafioso, affidandosi clandestinamente a dei sicari, a dei killer senza volto. Come nell’Argentina dei colonnelli (dove gli oppositori venivano fatti “sparire”, senza che ufficialmente nessuno ne dovesse rispondere), anche nel caso di Anna Politkovskaja, chi godeva della sua eliminazione, poteva nel contempo mostrarsi con le mani formalmente “pulite”. La vita di Anna è diventata qualcosa di unico e di emblematico, in cui la vicenda personale e professionale ha finito con l’assumere di per sé un meta-significato, un valore simbolico di qualcosa che ancora sembra sfuggire alla comprensione e alla coscienza contemporanea. (…) Affrontando il testo di Stefano Massini, mi resi conto che non si trattava di mettere in scena il “personaggio” di Anna Politkovskaja, né, tanto meno, di farne un’eroina da feullieton politico. Mettere in scena uno sguardo, quindi: questo il compito mio e di Ottavia. Suggerendo il contesto realistico, evocando la persona attraverso le sue testimonianze, ricreando la condizione di solitudine che mano a mano la circondò, fino a soffocarla. E Ottavia Piccolo ha dato voce allo smarrimento, all’orrore, alla dignità e anche all’ironia di questa donna indifesa e tenace, con il rigore e l’intensa partecipazione di una attrice che in quei valori di libertà si identifica fino in fondo. Costruito come una serie di istantanee, il percorso seguito da Anna (scandito dall’intervento dell’arpa di Floraleda Sacchi, che diventa volta volta l’eco della guerra, lo spappolarsi dell’inno sovietico, un rumore di ferraglia inquietante, una momento di pace...), veniva quindi ricreato dall’attrice, in simbiosi con quanto visto e vissuto dalla giornalista. Un semplice tavolino, le scarne azioni sceniche, il variare delle atmosfere sottolineate dai mutamenti spaziali suggeriti dalle luci, era dunque tutto ciò cui ci saremmo affidati, per evocare, dalla ristretta postazione di un palcoscenico, un intero mondo di eventi e di emozioni. Fino alla tragedia». Silvano Piccardi, dalle note di regia Repliche per le scuole: 24 e 31 marzo ore 15 ospitalità Sala Shakespeare | 22/27 marzo Un 18 mila giorni corrispondono a 50 anni. È curioso come la prospettiva e il senso del tempo possano cambiare a seconda del criterio col quale lo si organizzi: gli anni o i giorni. testo originale Andrea Bajani Il pitone è un animale che prima se ne sta buono e regia Giorgio Gallione ti prende le misure e poi, quando ha raggiunto la tua stessa lunghezza o la tua stessa forza, ti fa con Giuseppe Battiston fuori. e Gianmaria Testa Il nostro spettacolo parte da qui: dal tempo e da disegno luci Andrea Violato una metafora. musiche originali Protagonista un uomo di 50 anni che perde il Gianmaria Testa lavoro. produzioni Riflessioni personali e epocali si intrecciano a Fuorivia e Teatro Stabile di Torino sottolineare come in soli 18 mila giorni siano radicalmente mutate le prospettive e le aspettative sociali in Italia. Dalla dignità del lavoro del gruista della “Chiave a stella” di Primo Levi, da un’epoca in cui il lavoro era un diritto e elemento fondante dell’umana dignità, al trionfo dell’odierno precariato, divenuto persino forma più o meno palese di ricatto sociale. Protagonista Giuseppe Battiston, pluripremiato attore del nostro cinema e del nostro teatro (per il monologo Orson Welles’ Roast ha messo a segno la tripletta del teatro italiano: Premio Hystrio, UBU e Eti-Olimpici del teatro). Accanto a lui, a fare da contrappunto musicale, il cantautore Gianmaria Testa, non nuovo a incursioni nel teatro e nella letteratura e collaborazioni eterogenee con altri musicistie attori (tra gli altri Guarda che luna!, dedicato a Fred Buscaglione e il Progetto Saramago) Anche in questa occasione comporrà canzoni nuove e inedite per questo spettacolo. Il testo, originale, sarà dello scrittore Andrea Bajani, torinese d’adozione, autore di romanzi e reportage, spesso dedicati al tema del lavoro o a indagare il sociale (Cordiali saluti, Mi spezzo ma non m’impiego, Domani niente scuola). La regia è di Giorgio Gallione, le luci di Andrea Violato. 18 mila giorni Il Pitone ospitalità Sala Shakespeare | 30 marzo/17 aprile Scritta nel 1893, Il marito ideale compone con altre due commedie (Il ventaglio di Lady Windermere e Una donna di nessuna importanza) la trilogia detta dei Society dramas di Oscar Wilde che precede il titolo più famoso di Wilde, regia Roberto Valerio L’importanza di essere onesto. Venne con Valentina Sperlì rappresentata nel 1895 per 111 repliche allo Roberto Valerio e Alarico Salaroli Haymarket Theatre, per venire poi cancellata, scene e costumi di Carlo Sala nonostante il successo, a causa dello scandalo in produzione TEATRIDITHALIA cui Oscar Wilde si era andato a cacciare querelando per diffamazione Lord Queensberry prima nazionale che lo aveva pubblicamente tacciato di sodomia. Se in questi tre testi Wilde non introduce sostanziali innovazioni formali e ripropone i cliché dei drammi salottieri francesi - con i più tipici personaggi l’inevitabile avventuriera, la cosiddetta “donna con un passato”, il figlio illegittimo, il dandy cinico, la moglie leale ma poco elastica ecc – la sua genialità è già evidente nelle conversazioni brillanti, nelle osservazioni irriverenti e frivole, che, sebbene ininfluenti sull’intreccio, insinuano di straforo critiche sulla società borghese che sembravano celebrare. Nel Marito Ideale la “donna con un passato”, al corrente della grave scorrettezza con cui Sir Chiltern, sottosegretario agli Affari Esteri in predicato di diventare ministro, fondò la sua fortuna economica, ricompare per ricattarlo e costringerlo ad avvallare una speculazione con denaro pubblico. È proprio il tema della corruzione politica, centrale in questa commedia, ad aver catalizzato l’interesse di Roberto Valerio, regista e attore quarantenne che nella stagione 2008 aveva messo a segno un bel successo con il pasoliniano Vantone, coprodotto da Teatridithalia. Partendo da questa idea ha scarnificato il testo che ridotto all'essenziale offre un'ottima sponda per interrogativi di sconcertante attualità: è possibile una politica senza compromessi? la questione morale è un fatto privato o pubblico ? esiste ancora un limite oltrepassato il quale si prova vergogna delle proprie azioni ? Un marito ideale Repliche per le scuole: 6 aprile ore 15 | 14 aprile ore 10.30 produzioni Sala Fassbinder | 5/10 aprile Una “personale” dedicata a Ricci/Forte, la dissacrante coppia romana di autori teatrali (anche sceneggiatori televisivi con al loro attivo episodi de I Cesaroni e la prima e seconda serie di HOT, scritta e diretta per il canale digitale Jimmy di SKY), che nella scorsa stagione ha scosso le piccole ribalte milanesi. Troia’s discount Oggi. Il sacrificio d’Amore di due casseurs, Eurialo e Niso. Tre donne, Didone, Creusa e Lavinia, legate dall’incontro fortuito con lo stesso uomo. In una consumistica ballata di fantasmi evocatrice di sesso. Santificazione. Contagio. Sudore. Ferite. Campionario di vite cloroformizzate, abitate da un senso di attesa che mai si realizza. Ragazzi di vita che hanno mancato l’appuntamento col destino; che hanno fallito. Protagonisti della notte. (…) Allora, giù. Verso gli inferi. (…) Fino al grado zero della voglia di vivere. Fino a vivere, forse, per la prima volta. Troia’s Discount regia Stefano Ricci con Anna Gualdo, Fausto Cabra Chiara Cicognani, Alberto Onofrietti Giuseppe Sartori movimenti scenici Marco Angelilli style concept Simone Valsecchi light designer Danila Blasi benvenuti produzione in collaborazione con festival internazionale Castel dei mondi/Asti teatro Sala e atrio Fassbinder | 12/17 e 18/20 aprile Macadamia nut brittle è un omaggio all’universo letterario di Dennis Cooper. Una fiaba crudele sull’adolescenza. Una scarna e disincantata disamina del mondo dei reality show che si spingono oltre gli schermi, della logica del discount applicata a ogni aspetto della vita, tra maschere dei Simpson, photo shooting di moda e citazioni pop. Senza catarsi. «Questa disperata vitalità, questa febbrile e ingenua mancanza dell'Altro, questa solitudine rumorosissima e dolente, gioiosa e insolente è al centro di un bellissimo lavoro dal titolo accattivante: Macadamia nut brittle. È uno dei gelati Haagen Dazs: e serve per calare subito lo spettatore in un clima che è contemporaneo, consumistico, marginale». (Andrea Porcheddu) Pinter’s Anatomy è un'analisi approfondita dell'universo del drammaturgo inglese Harold Pinter tra ambiguità, falsità e violenza. I corpi e i ricordi personali degli attori diventano spazio scenico sul quale ridisegnare l'anatomia di un'assenza: «un universo non solo concentrazionario ma segnato dalla violenza e dagli scontri dei corpi, dalla provocazione verso il pubblico sbattuto contro il muro, catturato in una claustrofobica stanzetta che ha per confine uno specchio e una porta talvolta agognata. Una ricreazione personale dell'universo di Pinter, dove la normalità fasulla di White Christmas cantato da Bing Crosby si sposa allaviolenza della musica techno, al mondo di cartapesta popolato di esseri che portano maschere di famosi personaggi disneyani nella violenza reale dei corpi nudi, degli insulti, di morti in diretta o immaginarie» (Maria Grazia Gregori) Macadamia Nut Brittle regia Stefano Ricci con Anna Gualdo, Andrea Pizzalis Giuseppe Sartori, Mario Toccafo movimenti scenici Marco Angelilli style concept Simone Valsecchi light designer Danila Blasi Benvenuti produzione in collaborazione con Garofano Verde / Festival internazionale Castel dei Mondi Pinter’s Anatomy regia Stefano Ricci con Marco Angelilli, Pierre Lucat Giuseppe Sartori, Anna Terio style concept Simone Valsecchi Benvenuti produzione in collaborazione con CSS Udine ospitalità Sala Shakespeare | 3/29 maggio L’intera pièce sarà giocata da De Capitani all’interno della lussureggiante serra esotica della signora Venable (Cristina Crippa), opera vivente di suo figlio Sebastian, morto “improvvisamente, l’estate scorsa”. Qui un giovane e brillante di Tennessee Williams neurologo (Cristian Giammarini), che sperimenta regia Elio De Capitani con successo cure psichiatriche d’avanguardia, riceve dalla ricca signora l’offerta di un congruo con Cristina Crippa, Corinna finanziamento per l’ospedale pubblico di New Agustoni Elena Russo Arman, Orleans. Ben presto capisce che la donna vuole Cristian Giammarini, qualcosa in cambio: gli chiede di operare sua nipote Sara Borsarelli, Edoardo Ribatto Catherine (Elena Russo Arman), affetta – secondo lei - da allucinazioni e crisi isteriche violente. Le scene Carlo Sala cure d’avanguardia, infatti, non sono altro che la luci Nando Frigerio famigerata lobotomia. Prima di praticare produzione TEATRIDITHALIA l’intervento, il dottore vuole formulare una diagnosi più precisa e inizia a sottoporre la paziente a prima nazionale colloqui che indagano l’origine delle crisi. C’è stato un evento traumatico: Catherine ha assistito alla morte di suo cugino Sebastian durante un viaggio Sala Fassbinder 3 / 5 giugno all’estero, ma non ne riesce a ricordarne le circostanze, anche se via via, nelle sedute con il dottore, emergono particolari violenti e scabrosi. uno studio di Elio De Capitani Cosa si nasconde dietro a questa rimozione? con Cristina Crippa, Edoardo Ribatto Nessuno della famiglia Venable sembra volerlo Corinna Agustoni, Elena Russo scoprire, né la madre (Corinna Agustoni) e il Arman, Cristian Giammarini, fratello della ragazza (Edoardo Ribatto), né tanto Sara Borsarelli meno la zia, impegnata con ogni mezzo a mantenere immacolata la memoria del figlio. La vicenda del testo riverbera l’orrore familiare dell’autore, la cui sorella Rose fu lobotomizzata per volontà della madre, mai perdonata da Williams. Rose perse ogni capacità di agire in maniera autonoma e venne rinchiusa in una clinica psichiatrica fino alla morte, all’età di 96 anni. Williams stigmatizzava in modo estremo quel miscuglio di perbenismo, rimozione auto-indulgente, pruderie ipocrita, sessuofobia paranoica che soffocava la società americana. Il testo non poteva che restare vittima dei movimenti di censura di quei tempi, specialmente della Legione della Decenza, che costrinsero Gore Vidal, sceneggiatore della celeberrima versione cinematografica diretta da Joseph Mankiewicz, a rimuovere ogni riferimento all'omosessualità. Elio De Capitani torna a Tennessee Williams e ai suoi temi, a quasi vent’anni dall’allestimento del Tram chiamato desiderio con Mariangela Melato per il Festival dei Due Mondi di Spoleto nel 1993, per continuare l’indagine su quanto della società americana del secolo scorso si rifletta sulla nostra storia attuale, dopo la splendida avventura di Angels in America. Improvvisamente, l’estate scorsa La discesa di Orfeo Anche Orpheus descending, affascinate inedito per l’Italia di cui Elio De Capitani proporrà uno studio, rimanda all’oggi, alle convulsioni degli anni attuali narrando l’incontro impossibile tra un giovane outsider - con chitarra e una giacca di pelle - e la grettezza di in un piccolo paese di provincia che respinge violentemente tutto ciò che è estraneo e diverso. Una sola anima gli verrà incontro: Lady, una donna italiana dal carattere forte, temprato dalle ferite di una vita tormentata. Val, come nel mito di Orfeo, finirà fatto letteralmente a pezzi dai fanatici del paese, guidati dal marito di Lady. produzioni Sala Fassbinder | 10/29 maggio Nella sua lunga ed eccellente carriera Massimo Castri non ha mai lavorato su testi di Samuel Beckett: lo fa in questa occasione scegliendo Finale di Partita, testo il cui titolo deriva da una mossa del gioco degli scacchi. di Samuel Beckett Protagonisti in scena Hamm, cieco e condannato a traduzione Carlo Fruttero trascorrere i suoi giorni su una sedia a rotelle e Clov, il suo servo. I due vivono un rapporto conflittuale, in cui si consumano litigi ma anche una reciproca regia Massimo Castri dipendenza. Clov vive nell’eterna tentazione di con Vittorio Franceschi, andarsene ma pare non esserne capace. L’incalzante Milutin Dapcevic, Diana Hobel scambio di battute tra Hamm e il suo servitore Antonio Giuseppe Peligra sembrano un infinito alternarsi di mossa e contromossa scacchistica. In scena incombe la scene e costumi Maurizio Balò presenza dei due “maledetti progenitori” di Hamm, Emilia Romagna Teatro Fondazione Nagg e Nell, entrambi privi di arti inferiori costretti a Teatro di Roma trascorrere la loro esistenza nei bidoni della Teatro Metastasio Stabile della Toscana spazzatura. Lo stesso Beckett, nel corso di alcune prove dello spettacolo allo Schiller Theatre di Berlino disse: “Hamm è il re in questa partita a scacchi persa fin dall’inizio. Nel finale fa delle mosse senza senso che soltanto un cattivo giocatore farebbe. Un bravo giocatore avrebbe già rinunciato da tempo. Sta cercando soltanto di rinviare l’inevitabile fine.” Se in Aspettando Godot si riesce a intravedere un’ambientazione quasi realistica, Finale di partita si svolge in uno scenario che oggi potremmo definire post-atomico: tutto lascia presagire che sia avvenuta una catastrofe che ha cancellato pressoché ogni traccia di vita sulla terra. Finale di partita «Scartata l’idea di fare del luogo metafisico una grigia tana, la scena bellissima di Maurizio Balò diventa questa volta un nudo salone di segno vittoriano e il pavimento viene trasformato in una grande simbolica scacchiera dove gli accaniti giocatori Hamm e Clov si sfidano nella loro ultima partita. E in questa scena Castri realizza uno dei suoi spettacoli più rigorosi e tra i suoi ultimi forse il più riuscito. Muovendosi tra lettura simbolica e psicanalitica, alleggerendo la tragica materia con un soffice umorismo (pur sempre nero), Castri si avvicina a Finale di partita come se fosse una grande partitura musicale e ne fa vibrare ogni frase, ogni battuta. Gli attori a eseguirla in maniera perfetta. Immobile nella sua sedia a rotelle come da copione, occhialoni neri da cieco, quell’eccellente attore che è Vittorio Franceschi disegna il suo Hamm con una ricchezza infinita di sfumature, beffardo e querulo e surreali guizzi sogghignanti, ma alla fine terribilmente umano. Ben gli tiene testa Milutin Dapcevic nei panni del remissivo Clov, dal passo lento e claudicante e dai movimenti a tratti burattineschi. Ma bene, a provocare stupefatta ilarità, anche Diana Hobel e Antonio Peligra nei ruoli minori dei due genitori(…)». Domenico Rigotti, Avvenire «Quei personaggi che Samuel Beckett fece simboli di verità, di disperazione e, forse, di fede, sono sempre lì, immutati e immutabili nel tempo.(…) Tutto hanno già detto e tutto di loro è stato detto. Sembrerebbe. E invece, perché sia possibile riscoprire, anzi scoprire, nell’intreccio assurdo e nei gesti di quei quattro automi, qualcosa di nuovo, il senso stesso della nostra vita, basta che a loro si accosti un regista come Massimo Castri. Il quale affonda la lama della sua ricerca nell’umanità dei personaggi: un’umanità senza speranza, senza luce, eppure, si direbbe, illuminata dal profluvio delle parole che diventano poesia». Carlo Maria Pensa, Libero «Giocando sulle sfumature, la regia sembra mettere in secondo piano le componenti di «teatro nel teatro» tipiche della pièce, per farne invece risaltare alcuni tratti febbrilmente patologici. (…) Al suo primo confronto con l’autore irlandese, Massimo Castri rimane sostanzialmente fedele al copione, e al tempo stesso strappa Beckett a Beckett, lo sposta verso una maniacalità quasi bernhardiana, come a sancire il superamento di certi traumi novecenteschi individuando invece nella paura della realtà, nella chiusura verso l’esterno una più adeguata chiave di lettura della nostra epoca». Renato Palazzi, Il Sole 24 Ore Repliche per le scuole: 19 maggio ore 15 ospitalità Sala Fassbinder | 7/19 giugno “Ad un miracolo economico corrispondono schiavitù e miseria per la popolazione? Sì!” Con questa frase comincia Chicago boys, una specie di conferenza “strampalata, senza lieto fine” che si svolge testo e regia Renato Sarti in un rifugio antiatomico. Un’esaltazione surreale del capitalismo, del consumismo e della liberalizzazione più sfrenata. con Renato Sarti, Elena Novoselova I Chicago boys sono stati un gruppo di economisti scene e costumi Carlo Sala formatosi negli anni Settanta all'Università di Chicago, video realizzati in collaborazione sotto l'egida del grande guru del liberismo, Milton con Fabio Bettonica Friedman, nobel per l'economia nel 1976. Friedman e i e N.A.B.A. - Nuova Accademia di Belle suoi seguaci esercitarono una profonda influenza sulle Arti di Milano politiche economiche di molti stati, primi fra tutti gli USA di Reagan e l'Inghilterra del primo ministro produzione Teatro della Thatcher e poi dal Cile all'Argentina, dal Brasile alla Cooperativa con il sostegno di Polonia, dalla Cina alla Russia, ecc. Regione Lombardia - Progetto Next Le grandi multinazionali hanno avuto un ruolo di primissimo piano in questo processo che ha portato in collaborazione con La Corte allo smantellamento dello stato sociale, visto e Ospitale combattuto come un virus infettivo, come un arto in cancrena da amputare. Chiamare privatizzazioni le grandi razzie compiute nei confronti dei paesi poveri è un eufemismo. Queste politiche economiche hanno significato per una vasta parte delle popolazioni di quei paesi licenziamenti, diminuzione degli stipendi, delle pensioni, degli ammortizzatori e delle garanzie sociali, ma anche aumento dell'alcoolismo, delle tossicodipendenze, dei malati di AIDS, della prostituzione minorile, della miseria, della malavita, degli omicidi e dei suicidi. Che negli ultimi decenni le grandi multinazionali abbiano puntato l'attenzione pure su materie prime, come l'acqua, i cui titoli in borsa crescono mediamente del 30%, non è un dato meramente economico o finanziario: un rapporto delle Nazioni Unite sulla povertà mondiale rivela che ogni giorno muoiono 4.900 bambini per mancanza di acqua potabile. Il nostro protagonista sguazza (mangia e si disseta) in una vasca, stile catafalco, piena d'acqua imputridita dai suoi stessi rifiuti. Al suo fianco una prostituta/cameriera russa, che, dopo venti anni di schiavitù cerca il riscatto. Fra le anguste pareti del rifugio si consuma fra i due una lotta senza esclusione di colpi, una sorta di paradossale, e letale, guerra fredda, formato mignon. Chicago Boys «Un cabaret tragico che gronda umor nero come da miglior tradizione grottesca. Snocciola in 9 fulminanti lezioni (più la decima, che riserva il colpo di scena finale) tutto il peggio di un sistema regolato dal profitto e riassunto alla perfezione dal motto “libera volpe in libero pollaio”. Uno spettacolo volutamente disturbante che arriva dritto alla pancia del pubblico, risvegliando l’indignazione». Sara Chiappori, la Repubblica «Immerso in una vasca di acqua putrida, con avanzi di cibo e altro galleggianti, Renato Sarti dà in questa Chicago Boys una prova attorale di grande forza e spessore. Sarti incarna il capitalismo più ‘sporco’, quello senza remore etiche o morali. Spietato, con gli uomini e con l’ambiente. E lo fa, coadiuvato da Elena Novoselova che, se all’inizio sembra essere solo una ‘bella’ spalla, alla fine diviene protagonista con una buona performance che ben si adatta al clima surreale della pièce. Una ‘contro-storia’ degli ultimi decenni, dall’Argentina dei desaparecidos, al crollo del Muro (anche questo una scelta economica), ma più ancora sino ai giorni nostri, con la privatizzazione dell’acqua potabile, e (perché no? basta un altro piccolo passo in avanti) al futuro: la privatizzazione dell’aria». Luca Vido, Il Giorno ospitalità