STAGIONE 2010/2011
elfo puccini
TEATRO D’ARTE CONTEMPORANEA CORSO BUENOS AIRES 33
ELFO PUCCINI STAGIONE 2010/2011
8 – 17 ottobre e 16 – 21 novembre
MILANoLTRE Teatro Danza Musica e Oltre
XXIV edizione
19 ottobre – 14 novembre | Sala Shakespeare
RACCONTO D’INVERNO
di William Shakespeare
regia, scene e costumi di Ferdinando Bruni e Elio De Capitani
TEATRIDITHALIA
da 13 anni
Repliche per le scuole: 22 e 28 ottobre ore 15 | 3 e 11 novembre ore 15
23 novembre – 5 dicembre | Sala Shakespeare
LE SIGNORINE DI WILKO
dall’omonimo romanzo di Jaroslaw Iwaszkiewicz
adattamento e regia Alvis Hermanis
Emilia Romagna Teatro Fondazione, Unione Europea/Progetto Prospero, Teatro Stabile di Napoli,
Nuova Scena Arena del Sole, Teatro Stabile di Bologna
27 novembre – 30 dicembre | Sala Bausch
IL NATALE DI HARRY
di Steven Berkoff
regia Ida Marinelli
TEATRIDITHALIA
9 dicembre – 9 gennaio | Sala Shakespeare
IL MARE
due tempi di Paolo Poli da Anna Maria Ortese
regia di Paolo Poli
Produzioni Teatrali Paolo Poli, ospitalità in collaborazione con Teatro Carcano
10 dicembre – 23 gennaio | Sala Fassbinder
THE HISTORY BOYS
di Alan Bennett
da 16 anni
di Alan Bennett
regia di Ferdinando Bruni e Elio De Capitani
TEATRIDITHALIA
Repliche per le scuole: 15 dicembre ore 15 | 20 gennaio ore 15
18 – 30 gennaio | Sala Bausch
LE MAMMOLE
di Michel Marc Bouchard
regia di Lorenzo Fontana
Associazione 15febbraio con Sistema Teatro Torino
19 gennaio, ore 10 e ore 21 | Sala Shakespeare
VIVA VERDI! Viaggio ai confini del melodramma
da 14 anni
21 – 30 gennaio | Sala Shakespeare
L’AVARO
da 16 anni
progetto e regia Francesco Micheli
Produzione AsLiCo
di Molière
ideazione di Marco Martinelli e Ermanna Montanari
regia Marco Martinelli
Ravenna Teatro
1 – 13 febbraio | Sala Shakespeare
SHYLOCK, IL MERCANTE DI VENEZIA IN PROVA
testo e regia Roberto Andò e Moni Ovadia
da William Shakespeare
Nuova Scena Arena del Sole, Teatro Stabile di Bologna, Emilia Romagna Teatro Fondazione
da 16 anni
2 – 20 febbraio | Sala Fassbinder
TI VOGLIO BENE PIU’ DI DIO
testo e regia Mimmo Sorrentino
La Corte Ospitale, Compagnia Babygang
15 febbraio – 6 marzo | Sala Shakespeare
LA TEMPESTA
di William Shakespeare
adattamento e regia Andrea De Rosa
Teatro Stabile di Napoli, Emilia Romagna Teatro Fondazione, Teatro Eliseo
da 15 anni
Repliche per le scuole: 17 febbraio ore 15 | 23 febbraio ore 15
22 febbraio – 20 marzo | Sala Fassbinder
RED
di John Logan
regia di Ferdinando Bruni, Francesco Frongia
TEATRIDITHALIA
8 – 20 marzo | Sala Shakespeare
NUOVO SPETTACOLO
di e con Alessandro Bergonzoni
15– 27 marzo | Sala Bausch
TRILOGIA HOROVITZ
tre atti unici di Israel Horovitz
Officina Eclectic Arts, La MAMa Umbria International
22 marzo – 3 aprile | Sala Fassbinder
DONNA NON RIEDUCABILE
da 15 anni
di Stefano Massini
coordinamento artistico Silvano Piccardi
La Contemporanea
Repliche per le scuole: 24 e 31 marzo ore 15
22 – 27 marzo | Sala Shakespeare
18 MILA GIORNI IL PITONE
di Andrea Bajani, regia di Giorgio Gallione
Produzione Fuorivia
30 marzo – 17 aprile | Sala Shakespeare
UN MARITO IDEALE
di Oscar Wilde
regia Roberto Valerio
TEATRIDITHALIA
Repliche per le scuole: 6 aprile ore 15 | 14 aprile ore 10.30
5 – 20 aprile | Sala Fassbinder
TROIA’S DISCOUNT
MACADAMIA NUT BRITTLE
PINTER’S ANATOMY
Compagnia Ricci/Forte
da 17 anni
3 – 29 maggio | Sala Shakespeare
IMPROVVISAMENTE L’ESTATE SCORSA
da 17 anni
di Tennessee Williams
regia Elio De Capitani
TEATRIDITHALIA
10 – 29 maggio | Sala Fassbinder
FINALE DI PARTITA
di Samuel Beckett
regia Massimo Castri
Emilia Romagna Teatro Fondazione, Teatro di Roma, Teatro Metastasio Stabile della Toscana
da 17 anni
Replica per le scuole: 19 maggio ore 15
3 – 5 giugno | Sala Fassbinder
LA DISCESA DI ORFEO
di Tennessee Williams, uno studio di Elio De Capitani
TEATRIDITHALIA
7 – 19 giugno | Sala Fassbinder
CHICAGO BOYS
testo e regia Renato Sarti
Teatro della Cooperativa
INFORMAZIONI E PRENOTAZIONI
prezzi gruppi scuola
Intero ! 11
Abbonamento scuola (3 spettacoli) ! 27 (! 9 a tagliando)*.
* Da concordare presso l’ufficio promozione e scuole. (Viva Verdi! Fuori abbonamento)
modalita’ di acquisto e ritiro dei biglietti per i gruppi scuola
I posti opzionati devono essere confermati e pagati almeno 15 giorni prima della data scelta per lo
spettacolo*.
I biglietti possono essere pagati presso il botteghino dell’Elfo Puccini (contanti, assegno, bancomat)
o tramite bonifico o vaglia postale.
I biglietti acquistati tramite bonifico o vaglia postale potranno essere ritirati direttamente in Teatro
mezz'ora prima dell’inizio dello spettacolo.
*Per gli spettacoli in scena a gennaio il pagamento deve essere effettuato prima della pausa
natalizia.
ufficio promozione scuole:
Tel. 02. 00.66.06.33/36
Fax 02.00660666 - email: [email protected]
biglietteria Teatro Elfo Puccini
C.so Buenos Aires 33: tel. 02/00660606 (lunedì 14.30/19.30 | martedì - sabato 11.30/19.30)
www.elfo.org
FESTIVAL MILANOLTRE 24° EDIZIONE
Elfo Puccini/ Spazio Pim Off
8 > 17 OTTOBRE | 16 > 21 novembre 2010
Comune di Milano/Cultura, Regione Lombardia/Cultura, Next – Oltre il Palcoscenico, Provincia di
Milano/Beni ed eventi culturali/Fondazione Cariplo
La grande danza torna a MilanOltre. La ventiquattresima edizione del Festival propone un decisivo
cambio di rotta lavorando sull'approfondimento e dedicando a due degli artisti presentati un'attenzione
totale, un'intera settimana di programmazione articolata tra spettacoli, incontri, workshop.
L’edizione 2010 propone due eccellenze della danza americana ed una della danza italiana: Stephen
Petronio da New York che ha da poco celebrato i 25 anni di storia della Compagnia al Joyce Theatre di
New York; in contemporanea la presentazione del nuovo lavoro di Adriana Borriello, Di me in me
debuttato il 9 giugno scorso alla Biennale di Venezia e, in novembre, Alonzo King da San Francisco,
reduce da lunghissime tournée oltreoceano, in Europa e in Italia e che per la prima volta si esibisce a
Milano.
Grande attenzione ai giovani sia nella programmazione, grazie alla sezione Vetrina Italia, sia grazie alla
proposta di un pass “all inclusive” a un prezzo vantaggioso per gli under 20.
STEPHEN PETRONIO
DANCE COMPANY
venerdì 8 ottobre
ore 20 Sala Shakespeare
I Drink The Air Before Me
prima nazionale
sabato 9 ottobre
ore 18 Sala Fassbinder
“Danza & Moda” conferenza
con video condotta da Elisa
Guzzo Vaccarino (Balletto
Oggi), intervengono Luca
Missoni, Michela Gattermayer
(Velvet) Roger Salas (El Pais)
ore 22 Sala Shakespeare
I Drink The Air Before Me
domenica 10 ottobre
dalle 17 alle 19 sala Bausch
Workshop
lunedì 11
e martedì 12 ottobre
Ore 20 Sala Fassbinder
PRELUDE, #3, più titoli da definire
mercoledì 13
e giovedì 14 ottobre
ore 20 Sala Shakespeare
#3, Middlesexgorge, Love Me
Tender, Foreign Import,
Ghostown prima nazionale
ADRIANA BORRIELLO
venerdì 8 ottobre
ore 22 Sala Fassbinder
Di me in me
Ore 18:00 sala Bausch
Conferenza con video, condotta
da Francesca Pedroni
(il Manifesto)
sabato 9 ottobre
ore 20 Sala Fassbinder
Di me in me
domenica 10 ottobre
dalle ore 11:00 alle 14:00 sala
Bausch
Workshop
VETRINA ITALIA
14/17 ottobre 2010
Nicola Russo/Monstera – Elettra,
biografia di una persona comune
Odemà - A tua Immagine
Colaps - xx
Fattoria Vittadini – John Doe
Bleach Blonde – Ero nuda e mi
avete vestita
TeatrOfficina Zerogrammi - Inri
Zaches Teatro - Mal Bianco
Paola Bianchi – Duplica_ primo
movimento
Keramik Papier/Annika Pannitto –
Nord Streamer
ALONZO KING LINES
BALLET
martedì 16 e mercoledì 17
novembre
ore 21 Sala Shakespeare
Rasa
Refraction prima nazionale
giovedì 18 novembre
ore 21:00 Sala Fassbinder
Assoli e passi a due
venerdì 19 novembre
ore 18 sala Bausch
conferenza con video condotta
da Valeria Crippa
(Corriere della Sera)
ore 21 Sala Fassbinder
Assoli e passi a due
sabato 20 e domenica 21
novembre
dalle 11 alle 14 sala Bausch
Workshop
ore 21 Sala Shakespeare
Wheel In The Middle
Of The Field prima nazionale
Splash prima nazionale
The Moroccan Project
Prezzi e abbonamenti:
Intero 20 Euro – ridotto giovani/anziani 15 Euro
Passpartù: 77 euro (vedi tutto quello che vuoi tu)
Passpartù under 20: 35 euro (vedi tutto quello che vuoi tu)
MiolCard: 50 euro (4 ingressi più una Vetrina in omaggio)
www.milanoltre.org
Sala Shakespeare | 19 ottobre/14 novembre
La compagnia dell’Elfo apre la stagione con una
nuova ‘favola’ shakepeariana, Il racconto
d’inverno, che nel canone dell’autore rientra nel
gruppo delle ultime opere, le cosiddette commedie
romanzesche (o tragicommedie con elementi
fantastici).
di William Shakepseare
Ambientata in luoghi dal sapore esotico con una
regia, traduzione, scene e costumi
trama ricca di colpi di scena, tra viaggi
Ferdinando Bruni
avventurosi, tempeste, ritrovamenti insperati, la
e Elio De Capitani
commedia è divisa in due movimenti
con Ferdinando Bruni
profondamente diversi: i primi tre atti sono tragici
Elio De Capitani
e cupi, dominati dalla gelosia distruttiva di Leonte,
Elena Russo Arman
re di Sicilia, che arriva ad annientare la moglie e i
Corinna Agustoni, Cristina Crippa
propri figli e a distruggere l’amicizia di una vita
Luca Toracca, Gabriele Calindri
con Polissene, re di Boemia. Sedici anni dopo il
Camilla Semino, Federico Vanni
quarto atto si apre su di un mondo agreste,
Nicola Stravalaci, Giuseppe Amato
dominato da motivi di lirica dolcezza per
Umberto Petranca
raccontare l’amore tra Perdita, che altri non è se
non la figlia ripudiata di Leonte e cresciuta da un
luci di Nando Frigerio
pastore, e Florizel, figlio di Polissene.
produzione TEATRIDITHALIA
Così Il racconto d’inverno ci conduce lungo un
percorso di trasformazione e rigenerazione “che
prima nazionale
attraversa le generazioni e il ciclo del tempo”.
Un percorso alla ricerca della propria identità che
attraversa l’intera vita dei personaggi (almeno
quelli più giovani), consumato in un salto temporale che annienta ogni idea di unità di
tempo, luogo o azione.
Ritorna in questo testo il tema dell’incontro/scontro tra vecchie e nuove generazioni, già in
primo piano in altre produzioni di Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani (tra gli spettacoli
più recenti Romeo e Giulietta e Shopping & Fucking firmati da Bruni). Con uno sguardo
più maturo sui misteri dell’esistenza umana, anche il Racconto evidenzia una
contrapposizione violenta tra padri e figli, ma qui saranno proprio i giovani - in una sorta
di Romeo e Giulietta al contrario - a “salvare” gli adulti, riportando armonia e nuova vita
dopo un lungo sonno della ragione e dei sentimenti.
Dialogare, comunicare (nel senso etimologico di ‘rendere comune’), trovare un linguaggio
teatrale universale, ma mai banale, che garantisca la trasmissione di testimonianze e la
condivisione di esperienze, è centrale nel progetto dei due registi e passa tanto attraverso
la scelta di autori e testi, quanto attraverso la ricerca stilistica e il lavoro sul palcoscenico.
L’infinita galleria di personaggi che animano l’opera di Shakespeare, ricchi di vita e
sfumature anche nei ruoli secondari, è un eccezionale banco di prova per ogni attore e offre
continue occasioni, nella concretezza del fare teatro, per far incontrare grandi interpreti e
giovani talenti.
Bruni e De Capitani hanno scelto un’ambientazione che ricorda gli anni Trenta, un mondo
fantastico da operetta costruito con silhouette, che trae ispirazione dalla leggerezza dei film
di Lubisch e dalla magia del mondo di Lotte Reiniger.
Racconto
d’inverno
Repliche per le scuole: 22 e 28 ottobre ore 15 | 3 e 11 novembre ore 15
produzioni
Sala Shakespeare | 23 novembre/5 dicembre
Alvis Hermanis è una delle voci più originali della
scena europea, tanto da essere stato definito il gemello
lettone di Nekrosius. Il suo teatro si colloca tra due
tradizioni teatrali radicate e chiaramente connotate
nella loro diversità come quella russa e quella tedesca.
dall’omonimo romanzo
Nato a metà degli anni Sessanta, e direttore del Teatro
di
Jaroslaw Iwaszkiewicz
di Riga da oltre un decennio, Hermanis cresce tra il
adattamento e regia Alvis Hermanis
declino e la caduta dell’Impero Sovietico e la
rapidissima transizione che ha portato il suo Paese a
con Sergio Romano
diventare parte dell’Unione Europea, segnandone
Laura Marinoni, Patrizia Punzo
fortemente la ricerca scenica. Il suo lavoro registico si
Elena Arvigo, Irene Petris
connota per l’ascolto che egli riserva agli attori con cui
lavora e, il suo essere poliedrico, è tale da rifuggire a
Fabrizia Sacchi, Alice Torriani
qualsiasi etichettatura.
coreografia Alla Sigalova
Le signorine di Wilko è tratto dall’omonimo racconto
scene Andris Freibergs
dello scrittore polacco Jaroslaw Iwaszkiewicz, testo cult
costumi
Gianluca Sbicca
nell’Est Europa (nel 1979 Waida ne fa un film
produzione Emilia Romagna Teatro
nominato agli Oscar). Il testo riserva un’attenzione
Fondazione, Unione Europea
particolare ai temi del ricordo e della memoria, cari ad
nell’ambito del progetto Prospero,
Hermanis che, nella sua lettura scenica, ne ambienta
Teatro Stabile di Napoli, Nuova Scena
gli accadimenti negli anni immediatamente successivi
Arena del Sole
alla Seconda Guerra Mondiale. Una magistrale
Teatro
Stabile di Bologna
riflessione sul tempo che, inesorabile, scorre. Wiktor
Ruben, uomo di mezza età, torna nel villaggio di Wilko
dove, in gioventù, era solito trascorrere il periodo estivo e che ha segnato la sua educazione
sentimentale. Qui reincontrerà le signorine di Wilko, cinque sorelle conosciute da giovane, cui lo
legano numerosi ricordi: era stato fidanzato con una di loro, ora scomparsa, ed era stato l’istitutore
della maggiore. Il loro inatteso ritrovarsi sconvolgerà il già delicato equilibrio emotivo delle sorelle,
ormai adulte, nel lento scorrere delle lunghe e calde giornate estive. Grazie a questo spettacolo,
prodotto da Emilia Romagna Teatro Fondazione nell’ambito del Progetto Prospero e debuttato in
prima assoluta nel gennaio 2010, Hermanis si confronta per la prima volta con attori italiani.
Le signorine di
Wilko
«Il lettone Hermanis affida questa lieve trama di abbandoni e smarrimenti alla potenza delle immagini.
Bellissima, per esempio, è la sequenza iniziale delle mani e dei piedi che spuntano dalle ante socchiuse
dell’armadio: sono le escrescenze (momenti, incontri, sensazioni, profumi) che si formano sulla pelle dei
giorni. (…) Perfetti gli interpreti: intorno al Wiktor di Sergio Romano tessono una rete di timide sensualità e
slanci rassegnati Laura Marinoni (Jola), Patrizia Punzo (Julcia), Elena Arvigo (Kazia), Irene Petris (Fela),
Fabrizia Sacchi (Zosia) e Alice Torriani (Tunia). E dall’armadio traggon «l’odore della nostra vita» rimasto
chiuso là dentro».
Enrico Fiore, Il Mattino
«L’adattamento di Hermanis accentua il peso drammatico. E le pulsioni sentimentali delle ex fanciulle
sembrano trovare un’associazione con Le figlie di Bernarda Alba di Lorca. Tutto quello che nel racconto è
pura rarefazione, qui acquista una coloritura più violenta. Ciò non toglie che lo spettacolo conquisti per la sua
forza visionaria e le ardite trovate. Si vedano quelle simboliche teche che, come bare rinchiudono prigioniere
come farfalle le protagoniste. Sempre in movimento come un balletto metafisico, visto poi che qui molto fa
leva sul gioco coreografico, affidato alla russa Sigalova, che molto attinge al tanz-theater di marca tedesca.
Wiktor è il sensibile, inquieto e un po’ oblomoviano Sergio Romano. Laura Marinoni è la brava, malinconica
corifea delle altre sorelle».
Domenico Rigotti, Avvenire
«Una regia antinaturalistica e di grande fisicità assai apprezzata dal pubblico. Bellissimi i costumi,
protagonisti in scena insieme agli attori, firmati da Gianluca Sbicca, ottime le scelte musicali che ricordano i
malinconici tanghi, i frizzi di canzoni internazionali come O sole mio o quella Parlami d’amore, Mariù tanto
cara ai cuori romantici.
Magnifiche le scene di Andris Freibergs, tutte fieno e barattoli di marmellate fatte in casa e quelle teche di
vetro che sono rifugi per i giochi, luoghi di seduzione e tombe e quel grande armadio usato alla Stanislawskji,
dal quale escono ad una ad una le signorine ad apertura di sipario e che alla fine riappare macabro e fatale.
Giose e narrative le coregrafie di Alla Sigalova. In totale sintonia gli attori in scena, bravissimi tutti».
Franzina Ancona, Rinascita
ospitalità
Sala Bausch | 27 novembre/30 dicembre
Steven Berkoff è un autore ‘di riferimento” per il
Teatro dell’Elfo che lo ha messo in scena, ormai
più di dieci anni fa, proponendo Alla Greca e
Decadenze.
di Steven Berkoff
Non stupisce dunque che anche Ida Marinelli e
traduzione
Manfridi e Clerici
Luca Toracca, quando quattro anni fa hanno
regia Ida Marinelli
deciso di cimentarsi in una produzione esterna alla
compagnia, abbiano guardato al lavoro del
con Luca Toracca
drammaturgo inglese, trovando nel monolgo
Il Natale di Harry un testo perfetto per le loro
produzione TEATRIDITHALIA
sensibilità.
Ora, grazie alle possibilità in più offerte dalla
nuova sede, lo spettacolo viene ripreso sotto
l’egida dell’Elfo.
Il testo affronta il tema della solitudine in una società che ha ridotto i rapporti famigliari e
d’amicizia a formule vuote e grottesche, destinate alla ripetizione di sterili rituali, tanto più
invadenti e ingombranti in momenti come le festività natalizie. L’oleografia del Natale
impone all’individuo comportamenti sociali stereotipati, costringendolo a verifiche
dolorose.
Così il protagonista di questo monologo si ritrova solo nella scenografia di “un piccolo cubo
rosso di quattro metri di lato, pulsante di bisogno d’amore, un asfisiante cubo-cuore che
racchiude le sue angosce”. Ida Marinelli e Luca Toracca sono partiti dallo spazio
claustrofobico di questa sorta di “prigione” per analizzare ogni frase del testo che si fa via
via più ossessivo e doloroso, “accompagnando il personaggio nell’estenuante duetto-duello
col proprio io che lo porterà metaforicamente a girare su se stesso sempre più
vorticosamente, fino a cadere sfinito e riposare in pace”.
Il Natale di
Harry
«Un
lavoro che lo sfrenato “autattore” inglese d’origine russa scrisse agli inizi degli anni
Ottanta, trovandosi ad affrontare la pausa natalizia in preda a una reattiva solitudine, uno
stato che nella sua pièce trascorre dall’autoironia allo scoramento, in una sorta di
“passione” che, sulle prime, gli aveva suggerito il titolo Morte e trasfigurazione.
Nell’edizione della Marinelli la stanza di Harry è delineata semplicemente dalle due facce
rosse perpendicolari di un cubo a far da appoggio ai movimenti del protagonista, in piedi o
seduto per terra, senza arredi a parte il telefono, oggetto di tentazioni, anche se suonerà
solo una volta, nonché il modesto collage in forma votiva assemblato con i pochissimi
biglietti d’auguri ricevuti.
In effetti è il bilancio d’un fallimento relazionale quello che il solitario per forza cerca di
stendere ossessivamente, dialogando con se stesso e rispondendo a una sua seconda voce
che lo incolpa di vigliaccheria e lo istiga a fare telefonate per programmare i vuoti rituali
delle feste obbligatorie da lui respinte. Così una rete di nervosi movimenti da insetto
attratto dalla carta moschicida conduce Luca Toracca senza trucco, in preda a una
ragnatela di parole ritornanti, dall’ironia sarcastica verso una società più legata ai gadget
che ai contenuti a un rifiuto totale vissuto con trasporto, fino alla decisione di cedere a una
pace da sonniferi…».
Franco Quadri, la Repubblica
produzioni
Sala Shakespeare | 9 dicembre/9 gennaio
I racconti di Anna Maria Ortese composti nel lungo
arco di tempo che va dagli anni trenta ai settanta,
affiancando la produzione dei grandi romanzi,
due tempi di Paolo Poli
riflettono sorprendentemente la complessa
personalità della autrice. Storie quasi senza storia
da Anna Maria Ortese
che dipingono una realtà tragica come attraverso un
regia di Paolo Poli
sogno. Spesso sono stati paragonati al fantastico
con Paolo Poli e altri attori da definire
viaggio dantesco nell'aldilà.
Ad una rilettura odierna sembrano piuttosto
scene di Emanuele Luzzati
rievocare la teatrale tenerezza del Tasso o la
Costumi di Santuzza Calì
cinematografica leggerezza dell'Ariosto.
Gli avvenimenti narrati sono visti attraverso il
Produzioni Teatrali Paolo Poli
ricordo struggente: l'infanzia infelice, ma luminosa,
l'adolescenza insicura, ma traboccante, l'amore
sfiorato, ma mai posseduto. Sentimenti che
ricordano il dispettoso rifiuto di Kafka e le
illuminazioni improvvise di Joyce.
Figure e figurine di una italietta arrancante nella
storia dove le canzonette fanno la parte del leone.
Accanto a Poli gli attori che da sempre lo accompagnano in un tipo di teatro personalissimo.
Le scene del grande Luzzati enfatizzano la pittura novecentesca. I costumi fantasiosi di Calì
sorprendono ancora una volta. Le musiche di Perrotin persuadono arditamente.
Insomma una nuova produzione della premiata ditta Sorrisi e Veleni.
Il mare
ospitalità
Sala Fassbinder| 10 dicembre/23 gennaio
Alan Bennett, conosciuto in Italia soprattutto per i suoi
divertentissimi romanzi, è nato nel nord
dell’Inghilterra, vicino a Leeds, nello Yorkshire.
di Alan Bennett
La sua fuga dalla provincia è avvenuta riuscendo a
traduzione Salvatore Cabras e
penetrare - benché figlio di un macellaio - le maglie
Maggie Rose
molto strette del sistema educativo britannico.
regia Ferdinando Bruni
Approdato ad Oxford con una borsa di studio presso
e Elio De Capitani
l’Exeter College, si è laureato in storia ed ha insegnato
per diversi anni, finché non ha abbandonato il mondo
con Elio De Capitani, Ida Marinelli,
accademico per dedicarsi al teatro e alla letteratura,
Ferdinando
Bruni, Gabriele Calindri
con grande successo.
e 8 giovani in via di definizione
Con The history boys Bennet torna a quel momento
cruciale della sua vita, spostando però gli avvenimenti
video di Francesco Frongia
nel bel mezzo degli anni 80 e immaginando che, in una
luci di Nando Frigerio
cittadina simile alla sua, gli otto allievi dell’ultimo anno
produzione TEATRIDITHALIA
di una Grammar School (per intenderci, il nostro liceo
classico), multientica ma maschile, siano promossi a
prima nazionale
pieni voti e possano quindi ambire all’Oxbrige, ovvero
agli esclusivi college di Oxford e di Cambridge. Sono
ragazzi molto diversi da tra loro ma affiatati: dal leader
della classe, il donnaiolo Dakin, fino al fragilissimo
Posner, innamorato per nulla segretamente di lui.
Il merito dei voti è in primo luogo loro, ma anche dei bravi insegnanti che li hanno preparati,
soprattutto l’insegnante di inglese, Hector (interpretato da Elio De Capitani) e quella di storia, Mrs
Lintott (Ida Marinelli). Hector li fa recitare poesie di Auden e di Whitman e scene di film come
Breve incontro, creando connessioni originali su modello dei suoi personalissimi gusti, dalla
musica al cinema, dalla letteratura all’arte. Mrs Lintott, professoressa di grande umanità, ha
un’idea molto concreta della storia e della necessità della memoria, come ricostruzione della verità
fattuale. L’ambiziosissimo, mellifluo preside (Gabriele Calindri) intuisce però la grande chance –
farli tutti ammettere alle due prestigiose Università - non tanto per i ragazzi, ma per la fama della
sua scuola. Sa però che i due simpatici e coinvolgenti professori hanno dato una solidissima
preparazione agli studenti, ma che questa non basta per competere negli esami di ammissione. I
ragazzi sono intelligenti e preparati, ma sono provinciali, non hanno charme, non sono per niente
cool. Quello che conta, al giorno d’oggi, è essere “brillanti”.
Ci penserà un nuovo professore (Irwin, interpretato da Ferdinando Bruni) a dare quello che manca
ai ragazzi. Il nuovo arrivato non perde tempo: “la verità non serve a nulla, l’originalità è tutto”.
Non contano i fatti, ma un’interpretazione originale, l’importante è non dire mai cose risapute, dire
qualcosa di nuovo su ogni argomento, Hitler compreso. Anche se la “tecnica Irwin” scandalizza Mrs
Lintott (“è giornalismo, non storia”) e deprime Hector, di fatto funziona: tutti i ragazzi passano gli
esami e la loro vita prende un nuovo corso.
Ma The history boys, scritta e rappresentata nel 2004, vincitrice di 6 Tony Award e trasformata in
film nel 2006, non avrebbe ottenuto in tutto il mondo un grande successo se non avesse saputo
trattare con humour, delicatezza e sensibilità di scrittura anche l’altro piano, quello degli intrecci
personali, a partire dal momento in cui gli sguardi innamorati di Posner verso Dakin incrociano
quelli del professor Irwin, rivolti nella stessa direzione. E fino alla passione di Hector per la moto,
con la quale accompagna a casa gli allievi approfittandone per allungare le mani dove non
dovrebbe. I ragazzi non apprezzano – a fine lezione c’è il fuggi fuggi per evitare la moto di Hector –
ma non avendo la cosa mai sconfinato, non sono più di tanto imbarazzati. Quando la debolezza di
Hector diverrà pubblica e il professore sarà inevitabilmente licenziato, il testo vira verso altri toni, a
partire dalla scena, tra le più toccanti, del pianto disperato del professore davanti ai suoi studenti
attoniti e commossi.
The history boys
Repliche per le scuole: 15 dicembre ore 15 | 20 gennaio ore 15
produzioni
Sala Bausch | 18/30 gennaio
In una prigione del Quebec, nel 1952, un gruppo di
carcerati mette in scena la storia di uno di loro, il
vecchio Simon, accusato di omicidio. Simon non
ricorda nulla dei momenti precedenti l'accaduto.
Ad assistere alla messinscena viene chiamato
l'unico testimone del fatto avvenuto quarant'anni
prima, diventato col tempo un alto prelato. Sarà
lui, confessando la sua colpa, a liberare Simon dal
peso di aver creduto, per tutto quel tempo, di
essere il responsabile della morte del suo primo
amore.
Le mammole
(prova o ripetizione
di un dramma romantico)
di Michel Marc Bouchard
traduzione Francesca Moccagatta
regia Lorenzo Fontana
con Nicola Bortolotti, Fausto Caroli
Andrea Collavino, Lorenzo Fontana
Giancarlo Judica Cordiglia
Luigi Valentini
Le mammole, prova o ripetizione di un dramma
romantico è un testo che ho letto molti anni fa,
luci Cristian Zucaro
incuriosito dalla versione cinematografica.
assistente alla regia/dramaturg
Col tempo la mia percezione di quella
Valentina Diana
drammaturgia è molto cambiata e trovandomi
produzione
dopo anni ad avere l’occasione di metterlo in scena
15febbraio
con il sostegno di
ho capito che la mia urgenza, rispetto a quella che
Sistema Teatro Torino
poteva essere anni fa, era radicalmente differente.
Quello che ho pensato, immaginando il gruppo al
lavoro, è stato un impatto il più crudo e spoglio
possibile, sia con lo spazio che con la storia. Ho
chiesto agli attori di lavorare con l’assenza degli elementi, con un’idea di teatralità
essenziale, esattamente l’opposto, in qualche modo, di quello che è la materia
drammaturgica, ricca di rimandi barocchi, di dialoghi spesso lunghi e articolati.
Con Valentina Diana e gli interpreti abbiamo cercato di arrivare a rendere tutto il più
“necessario” possibile, a volte anche spaventandoci per le scelte drastiche che la strada
scelta ci obbligava a fare. Ma era proprio questo il senso del lavoro: la ricerca di una
rappresentazione fatta di relazioni e di conflitti. Abbiamo tralasciato tutti gli aspetti
melodrammatici, cercando di concentrare la nostra attenzione sul percepire in ogni
momento il fatto che stessimo rappresentando qualcosa, cercando di osservare quello che
succedeva, lasciando più spazio ai silenzi e all’improvvisazione.
Stando in scena così, quasi senza appigli, era davvero solo il pubblico il nostro
interlocutore, come nel testo per i carcerati/attori lo è Monsignor Bilodeau.
Il pubblico è posizionato a stretto contatto con lo spazio scenico e gli attori così da
preservare gli aspetti di intimità della storia e dei rapporti, che in un’ altra condizione
sarebbero andati perduti.
Lorenzo Fontana
ospitalità
Sala Shakespeare | 19 gennaio
“L’Opera lirica è un posto dove un uomo viene
pugnalato e, invece di morire, canta.”
Leopold Fetchner
Viva Verdi!
Viaggio ai confini del
melodramma
Il progetto Opera it, frutto dell’esperienza pluriennale
dell’Associazione Lirico e Concertistica Italiana
progetto e regia Francesco Micheli
(AsLiCo) in materia di sensibilizzazione dei giovani
verso la musica, si pone l’intento di avvicinare gli
soprano Monica Colonna
adolescenti all’opera lirica, un genere di spettacolo dal
pianoforte Debora Chiantella
vivo considerato dai più desueto perchè lontano dalla
modernità e dalla tecnologia attuali. L’obiettivo è di
conduzione Francesco Micheli
abbattere i pregiudizi che la riguardano, conducendo
gli studenti in un mondo ricco ed inedito, antico e
scene e costumi Federica Parolina
luci Pietro Paroletti
moderno, guidati in un percorso a tappe. Una
video
Francesca
Biral e corso di tecniche
conferenza spettacolo in classe, interattiva e stimolante,
digitali
dell’Accademia
di Brera
per fornire loro gli strumenti per capire gli ingredienti
del melodramma romantico ottocentesco e per saggiare
produzione AsLiCo
il contributo fondamentale di Verdi alla cultura
italiana. Ad integrare il lavoro a scuola saranno
disponibili approfondimenti e materiali didattici
scaricabili dal sito internet del progetto con la possibilità di scambiare idee e suggestioni su
un’apposita community. Il percorso di preparazione culminerà nella visione dello spettacolo, così
descritto dal suo ideatore, Francesco Micheli:
«Lo scopo è preciso: far uscire la Signora Opera dall’ovattata, lussuosa e claustrofobica dimora
dove ormai ama soggiornare. Portarla a spasso per prendere aria, in altri luoghi, farle vedere gente
diversa, vecchi amici, parenti… che so, la letteratura, la pop music, la storia, il cinema, la politica, il
teatro… per scoprire che un tempo se la sono spassata questi qua, tutti insieme. Una bella cura
fisioterapica per la nostra nonnina Melodramma e come al solito un’occasione per noi per
conoscerla davvero, per apprezzarne l’eredità che, in fondo, è destinata a noi. La genealogia della
nostra ava affonda le sue radici in tempi antichi ed è impossibile ripercorrerli tutti in poco tempo.
Tuttavia riteniamo che con Giuseppe Verdi l’opera abbia vissuto una stagione felice, piena, ricca. Il
nostro lavoro assomiglia molto alla navigazione internet sia perché allo spettatore è richiesta quella
stessa partecipazione attiva che deve porgere chi si pone di fronte a un computer, sia perché il
processo narrativo dello spettacolo muove per nessi analogici, esattamente come quando si saltella
da un sito a un altro dentro la grande grotta di google. Partendo, per esempio, dal duetto Germont Violetta dalla Traviata, grazie alla presenza viva e vera di canto e pianoforte, ci si imbatte nel
romanzo di Dumas, La Signora delle Camelie da qui si passa a un video di Bjork, per arrivare poi ad
una canzone di Mina. Un mosaico contemporaneo dell’antica arte lirica.»
Progetto di Teatro Musicale per le scuole secondarie di II grado
Biglietto unico 11 euro – spettacolo fuori abbonamento
Iscrizioni al progetto su www.operait.org
Sala Shakespeare | 21/30 gennaio
La più celebre delle commedie di Moliere nella
graffiante versione di una delle compagnie più
premiate del teatro italiano, il Teatro delle Albe che ha
fatto della reinvenzione dell’antico, tra tradizione e
visionarietà, uno dei segni distintivi del proprio lavoro.
“Non si entra in Molière senza conseguenze”, ha scritto
Cesare Garboli, il più grande traduttore ed esegeta
italiano dell’autore, che Martinelli asseconda in tutti e
cinque gli atti. La lezione di Molière è più che mai
attuale, con quella netta capacità di penetrare il male in
tutte le sue forme, sociali e psichiche, facendo ricorso
alle armi della satira e della comicità, diretta eredità
della farsa antica e della commedia dell’arte. Il
drammaturgo francese regalava nuova vita a
personaggi teatrali della tradizione che nelle sue mani
rinascevano come veri e propri emblemi: fra questi
proprio L’Avaro è uno dei più noti.
Nell’allestimento delle Albe, debuttato nell’aprile 2010,
la particolarità sta anche nel fatto che qui Arpagone –
antico avaro che si va trasformando in un moderno
finanziere – è Ermanna Montanari, che interpreta
questo fantasma come un risibile angelo sterminatore
e, insieme alla sapiente regia di Marco Martinelli
imprime al gioco scenico un ritmo vitale e travolgente.
L’Avaro
di Molière
traduzione Cesare Garboli
ideazione Marco Martinelli
e Ermanna Montanari
con Loredana Antonelli, Alessandro
Argnani, Luigi Dadina, Laura Dondoli,
Luca Fagioli, Roberto Magnani,
Michela Marangoni, Marco Martinelli,
Ermanna Montanari, Alice Protto,
Massimiliano Rassu, Laura Redaelli
spazio Edoardo Sanchi
luci Francesco Catacchio e Enrico Isola
musiche originali Davide Sacco
costumi Paola Giorni
produzione: Ravenna Teatro in
collaborazione con AMAT
(Associazione Marchigiana Attività
Teatrali) e Emilia Romagna Teatro
Fondazione
«Si, è inaspettato l'Arpagone dell'Avaro di Molière secondo il Teatro delle Albe. E non tanto perché a
interpretarlo è una donna. Soprattutto se si tratta di Ermanna Montanari, un'attrice che prima o poi ci
aspettiamo di vedere in Amleto nel ruolo del titolo. È inaspettato perché, usando la magnifica traduzione di
Cesare Garboli, tutta giocata sui chiaroscuri della modernità, Marco Martinelli e i suoi attori ci hanno
proposto un Avaro che ha le stigmate del nostro confuso e contradditorio presente.
(…) Chiusa nel suo abito nero - giacca e pantaloni - la Montanari non ci propone un avaro a una dimensione,
ma un Arpagone costruito su diversi segmenti di suggestioni: ingenuo, beffardo, crudele, svampito, padre
padrone».
Maria Grazia Gregori, Delteatro.it
«Che quello di Molière sia un mondo per nulla sorridente, ma in realtà dominato da umori cupi, feroci, lo si
sapeva da tempo. Ma Marco Martinelli, in questo suo Avaro non si limita a evidenziare gli aspetti "neri" del
testo: lo raggela, lo disarticola, lo fa esplodere in una serie di spezzoni allusivi che si espandono in tante
direzioni diverse - dal rapporto fra denaro e potere all'invadenza dei mezzi di comunicazione di massa restando tuttavia come interrogativi aperti, suggestioni sospese. (…) Ciò che è certo è che in questo Avaro il
teatro è finito, superato da tempo: ne restano solo frammentari ricordi che emergono dal buio di una cultura
degradata. Il palco è occupato da pezzi di scenografia sistemati a caso, i personaggi indossano costumi della
stessa stoffa delle fodere dei divani, e vengono spostati come oggetti dagli inservienti. Tutti i bravi attori
adottano una recitazione meccanica, svuotata: e infatti l'epilogo è affidato al regista stesso, che chiude la
vicenda arrivando dalla platea, dalla realtà, dalla vita di ogni giorno».
Renato Palazzi, Il Sole 24 ore
«E' nero che più nero non si può L'avaro di Molière secondo il Teatro delle Albe. La regia di Marco Martinelli
gioca sul grottesco: l'avidità perde i connotati anestetizzati della caricatura per diventare malattia metafisica
e affezione sociale molto attuale, passione gretta e quasi spirituale, egoismo, idolatria assoluta del denaro,
fede cieca in essa come prolungamento di sé, come altro sé. L'interesse, il particulare, è sempre quello che
domina, in ogni situazione. (…) Tutto è spigoloso in questa commedia, anche la risata, basata sui un
meccanismo caro a Martinelli, quello della ripetizione, ossessiva, che muta gli esseri umani in pupazzi, una
volta avviati incapaci di fermarsi, ripetitivi, inadatti a imparare dall'esperienza. Con una nota più tagliente
del solito, impietosa: nulla e nessuno si salva. (…) Tra gli attori da segnalare l'energia compressa in una
vacuità devastante dei giovani in generale (…). Su tutti Ermanna Montanari, rattenuta nella voce, nei gesti,
affilata nella crudele avarizia, un coltello che vuole incidere una ferita, almeno piccola, nella crudele, paurosa
impaurita avidità che ci aspetta fuori dalla porta del teatro: dove chi paga la retta degli asili fa scioperi perché
un ignoto benefattore ha colmato i debiti dei bambini più poveri che un'amministrazione voleva espellere per
insolvenza».
Massimo Marino, Controscene
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Sala Shakespeare | 1/13 febbraio
Scritto e diretto a quattro mani da Roberto Andò e
Moni Ovadia e ispirato al Mercante di Venezia di
Shakespeare, questo spettacolo s’inserisce a pieno
titolo nel solco di quel teatro musicale su cui Moni
Ovadia ha da sempre incentrato la propria ricerca
espressiva, fondendo l’esperienza di attore e di
musicista.
In scena, nel ruolo di Shylock, un interprete di
eccezione: Shel Shapiro. Pioniere della musica
rock in Europa e, a partire dagli anni Sessanta,
leader dei The Rokes, ha proseguito la sua carriera
come autore arrangiatore e produttore per
approdare negli ultimi anni sulle scene teatrali con
il recital Sarà una bella società su testi di
Edmondo Berselli.
Shylock,
Il mercante di
Venezia in prova
di Roberto Andò e Moni Ovadia
da William Shakepseare
regia Roberto Andò e Moni Ovadia
con Moni Ovadia e Shel Shapiro
e con Ruggero Cara, Lee Colbert,
Roman Siwulak, Maksym Shamkov
Federica Vincenti
e Moni Ovadia Stage Orchestra
scene Gianni Carluccio
costumi Elisa Savi
In una sorta di hangar, che potrebbe essere un
luci
Gigi Saccomandi
mattatoio o un teatro, un regista attende di
suono
Mauro Pagiaro
incontrare un misterioso uomo di affari che l’ha
produzione
ingaggiato per proporgli di mettere in scena un
Arena
del
Sole
- Nuova Scena - Teatro
testo che ha lungamente e vanamente inseguito, Il
Stabile di Bologna
Mercante di Venezia di William Shakespeare.
Emilia Romagna Teatro Fondazione
In un moderno gioco meta-teatrale, il Regista, che
in collaborazione con Estate Teatrale Veronese
vorrebbe cambiare il finale del testo restituendo a
Shylock la libbra di carne che gli è stata negata
cinquecento anni fa, e l’Impresario, che vorrebbe ottenere la sua personale libbra
appropriandosi del cuore di un artista, si fronteggiano, vestendo ciascuno alternativamente
ora i panni di Shylock ora quelli di Antonio. Attraverso la vicenda del Mercante di Venezia,
i due protagonisti, affiancati da musicisti, attori e attrici che entrano ed escono dal proprio
personaggio, daranno il via a riflessioni sull’antisemitismo e sulla storia, sul denaro e sul
teatro, sul concetto stesso di arte, con suggestioni che spaziano dalla cultura ebraica a
quella pop, grazie anche a un variegato repertorio di canzoni inserite in quella che tra le
opere di Shakespeare è annoverata come commedia, anche se possiede tutti i connotati di
una tragedia.
«Si parte da Shakespeare, ovviamente, per tradirlo senza tradirlo, anzi mettendo in pratica il suo
metodo: guardare al lavoro degli altri per poi ricrearlo. Così questo Mercante si sofferma
soprattutto sulla figura dell’ebreo più famoso del mondo, Shylock appunto, ma gli crea attorno un
mondo immaginario, un incubo che parte da lui e a lui ritorna. In questa ipotetica villa della
scalogna pirandelliana dove i personaggi vivono come fantasmi, Shylock è un vecchio possente al
quale un inedito Shel Shapiro regala forte fisicità e presenza».
Maria Grazia Gregori, l’Unità
«Parlare di antisemitismo e di cosa significa essere ebreo, parlare di una società dove, ieri come
oggi, l’“ornamento” è la falsa verità che “i tempi astuti indossano per intrappolare i saggi”. Parlare
del significato ultimo di essere uomo, della vendetta, arma spuntata contro chi si reputa nemico.
Parlare della legge e della giustizia piegate al denaro e al potere. Parlare di argomenti dolorosi
facendo spettacolo, tra rito, musica e canzoni, commedia e tragedia, è la difficile impresa riuscita a
Moni Ovadia, con Roberto Andò, autore e regista dell’interessante Shylock. Il mercante di Venezia
alla prova».
Magda Poli, Corriere della Sera
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Sala Fassbinder | 2/20 febbraio
«Quando la compagnia Baby Gang mi ha chiesto
se ero disponibile a lavorare con loro, ho subito
accettato. Sono convinto che la loro sensibilità
artistica possa contribuire a perfezionare la mia
ricerca sull’attore. E che quindi la collaborazione
testo e regia
possa diventare strumento di crescita collettiva.
Mimmo Sorrentino
Ho chiesto loro di indicarmi i temi che avrebbero
con
gli
attori della compagnia Baby
voluto trattare nella convinzione che un testo,
Gang (Federico Bonaconza,
prima che per l’autore, debba essere necessario
Carolina
De La Calle Casanova,
per l’attore. Non avevo dubbi che mi proponessero
Valentina
Scuderi)
un tema forte: la pedofilia. Con spavento ho
e con Veronica Cruciani
iniziato ad ascoltarli e ascoltarmi e ho scritto per
e
la
partecipazione
straordinaria di
loro, calandomi nell’incandescente magma della
Cochi Ponzoni
libertà emotiva, nella ribellione al dolore, come
elemento della crisi. Il risultato è una galleria di
La Corte Ospitale
personaggi di sofferenza estrema, vittime di una
e Compagnia Baby Gang
radicale incoscienza, potenti come le tragedie.
in
collaborazione
con Progetto Être
Poi la drammaturgia ha imposto come personaggi
di Fondazione Cariplo
una madre nonna, segnata nell’anima, e un
anziano padre. Per la madre ho chiesto la
disponibilità a Veronica Cruciani, perché sono
convinto che per raccontare la bellezza del
disfacimento morale e fisico di questo personaggio
ci sia bisogno di una sensibilità artisitica sincera e di enigmatica violenza.
La terribile drammaticità del padre imponeva invece un volto adamantino, poetico, così si
è chiesto a Cochi Ponzoni di essere del gruppo, perché l’arte di Cochi è poesia del profondo,
la cui visibilità è possibile solo con acque pulite.
Ringrazio entrambi per aver accettato, come ringrazio La Corte Ospitale per avermi
permesso di incontrare tutti questi artisti e sperimentare con loro il mestiere e la necessità
di raccontare».
Mimmo Sorrentino
Ti voglio bene
più di Dio
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Sala Shakespeare | 15 febbraio/6 marzo
Con alle spalle un percorso di studi e regie di
testi tragici – soprattutto nelle riscritture di
autori come Hofmannsthal (Elettra) e Schiller
(Maria Stuart) – Andrea De Rosa ha affrontato
per la prima volta il teatro di Shakespeare con
questa Tempesta.
Insieme a Umberto Orsini, che interpreta il
personaggio di Prospero, recitano Flavio Bonacci
(Antonio), Rino Cassano (Ariel), Gino De Luca
(Ferdinando), Francesco Feletti (Sebastiano),
Carmine Paternoster (Marinaio), Rolando
Ravello (Calibano), Enzo Salomone (Gonzalo),
Federica Sandrini (Miranda), Francesco Silvestri
(Alonzo), Salvatore Striano (Marinaio).
«Mentre altri colleghi, anche più giovani, restano
La tempesta
di William Shakespeare
adattamento e regia
Andrea De Rosa
con Umberto Orsini
Flavio Bonacci, Rino Cassano
Francesco Feletti, Carmine
Paternoster, Rolando Ravello
Enzo Salomone, Federica Sandrini
Francesco Silvestri, Salvatore Striano
spazio scenico
Alessandro Ciammarughi
Andrea De Rosa, Pasquale Mari
scene e costumi
Alessandro Ciammarughi
luci Pasquale Mari
suono Hubert Westkemper
musica Giorgio Mellone
produzione Teatro Stabile di Napoli
Emilia Romagna Teatro Fondazione
Teatro Eliseo
uguali, ancorati a un'immagine eterna, lui non smette
di cercare il nuovo, di osare. A 75 anni, aria severa,
corpo dritto, asciutto, Umberto Orsini consuma tutta
questa minacciosa energia con chi ha anche 40, 50
anni meno di lui, giovani artisti con cui - mission
impossible - riesce a parlare, dialogare, a farsi
ascoltare, a lavorare senza i ricatti dell'età. Attore di
una generazione scomparsa e irripetibile, colto,
appassionato di letteratura, lettore avido, anni fa si
mise in gioco col teatro esagerato di Pippo Delbono, poi con Elio De Capitani, Mauro Avogadro...
E ora è insieme a un ventisettenne, il regista Andrea De Rosa, direttore del Teatro Stabile di Napoli,
che Orsini si misura con il suo spettacolo più maturo, la Tempesta di Shakespeare, il suo primo
vero classico anche se pieno di novità, che si aggiunge a una carriera strabiliante iniziata nel ' 57, da
giovanotto bello e vincente e già dalla vetta, con la Compagnia dei Giovani, poi punteggiata da
capolavori come Chi ha paura di Virginia Woolf? (1963), Old Times, L'Arialda, L'Uomo difficile,
film come La dolce vita (1959), La caduta degli dei (1969), registi come Fellini, Visconti, Ronconi,
Patroni Griffi, Pasolini, Lavia, Castri... «In cinquant'anni di carriera sono riuscito a evitare i classici
- dice - perché ho preferito testi più particolari, Harwood, Bernhard, Schiller... Per come sono fatto
fisicamente, poi, sono un attore borghese, perfetto per Miller, Morte di un commesso viaggiatore.
A Prospero, il protagonista della Tempesta, avrei preferito volentieri Riccardo III che è più
maschera. Mi ha convinto Andrea De Rosa, la sua chiave di lettura beckettiana e il fatto di non
farne un Babbo Natale». (...)
È per questo che lavora con i giovani? «Lo trovo naturale. Non è restyling personale. Mi piace
quello che fanno. A me piace il teatro di Delbono con cui tornerò a lavorare. Mi piace De Rosa con
cui ho già fatto Molly Sweeney. Mi piacciono perché negli altri cerco quello che non so fare, quello
che mi nutre, la squadra, l'alchimia».
Racconti questa Tempesta. «Abbiamo tagliato il testo. Ariel, lo spiritello, non vola. Calibano non è
un mostro, ma il matto del paese con le mani sul pisello e il sorriso da angelo. C'è una bella
compagnia. E poi è uno spettacolo incredibile, tra Fellini e un incubo alla Lynch». Cioè? «Prospero
non è il mago con la bacchetta e la tempesta è una tempesta mentale: niente fulmini e mare agitato,
ma uno spazio claustrale e pieno di incongruenze temporali. Prospero sono io, con su un pastrano,
se vuole un intellettuale anche poco gradevole. Un uomo che guarda la vita e soprattutto la morte».
Dall’intervista di Anna Bandettini, la Repubblica, 28/10/2009
Repliche per le scuole: 17 febbraio ore 15 | 23 febbraio ore 15
ospitalità
Sala Fassbinder| 22 febbraio/20 marzo
Il testo di Logan, inedito in Italia, negli Stati
Uniti è già un caso: attualmente in scena al
Golden Theater di Brodway, dopo i successi a
Donmar Warehouse di Londra, si è aggiudicato 7
di John Logan
candidature per i Tony Award 2010 (miglior
spettacolo, miglior attore protagonista per Alfred
traduzione Ferdinando Bruni
Molina, attore non protagonista per Eddie
uno spettacolo di Ferdinando
Redmayne, miglior regia per Michael Grandage,
Bruni e Francesco Frongia
scenografia, disegno luci e suono) ed è stato
recensito in termini entusiastici: “elettrizzante”,
con Ferdinando Bruni
“irresistibile”, “intenso ed eccitante, impossibile
e un attore in via di definizione
non sentirsi profondamente scossi”, “i più
produzione TEATRIDITHALIA
stimolanti 90 minuti in scena a Brodway”.
La pièce è ispirata alla biografia del pittore
prima nazionale
americano Mark Rothko, maestro
dell’espressionismo astratto, che alla fine degli
anni Cinquanta ottenne la più importante
commissione della storia dell’arte moderna, una
serie di murales per il ristorante Four Season di New York.
Red
Il testo inquadra il momento in cui, dopo due anni di lavoro febbrile, il suo giovane
assistente Ken, conquistata una maggiore confidenza, inizia a metter in discussione le sue
scelte inducendolo a considerare con angoscia la possibilità che l’impresa che dovrebbe
coronare la sua carriera possa trasformarsi nella sua rovina.
Red porta in scena un dibattito tra generazioni di artisti teso e provocatorio e il ritratto di
un uomo ambizioso e vulnerabile che tenta di creare il proprio capolavoro, incalzato dai
giovani emergenti e assillato dalla fama dei grandi maestri.
Per Ferdinando Bruni è l’occasione per una nuova intensa prova d’attore e per tornare a
riflettere su temi centrali nelle sue ultime produzioni: l’esigenza di trasmettere l’esperienza
umana e artistica, il ritrovare una possibilità di dialogo e di ascolto con chi ci appare
lontano dalla nostra cultura.
produzioni
Sala Shakespeare | 8/20 marzo
Un autore che in scena può far scomparire in un
attimo il senso comune e sostituirlo con panorami
fino ad oggi impensabili, un affabulatore che non
ha imitatori proprio perché non si ferma di fronte
al linguaggio ma vi si immerge fino a
vivisezionarne i concetti fondanti.
Un Bergonzoni anarchicamente comico ma, questa
volta, sicuramente molto più polemico e
metafisicamente critico verso la realtà che
quotidianamente ci soffoca.
NUOVO
SPETTACOLO
(titolo da definire)
di e con
Alessandro Bergonzoni
produzione Allibito srl
organizzazione e distribuzione
Progetti Dadaumpa
ospitalità
Sala Bausch| 15/20 e 22/27 marzo
Debuttato a Spoleto nel settembre 2009 in
occasione dei 70 anni del regista statunitense, il
progetto è nato dalla collaborazione di diverse
realtà internazionali: oltre al La MaMa Umbria
International, sede italiana del teatro newyorkese
dove Horovitz ha esordito con The Line, Officina
Eclectic Arts, giovane realtà produttiva, la
compagnia newyorkese Monk Parrots, la
compagnia C-virus di Seoul, l’Università del Texas
a Austin e l’Università Dankook a Seoul.
Dei tre atti unici che compongono la trilogia, due
sono inediti in Italia - Beirut Rocks (2006) e
Effetto Muro (2009) - mentre L’indiano vuole il
Bronx era stato proposto a Spoleto nel 1968
quando Horovitz era solo un giovane promettente
drammaturgo, invitato a presentare nuovi testi nel
programma del Festival dei Due Mondi, con un
cast di attori che comprendeva, tra gli altri, Al
Pacino e John Cazale.
I tre testi sono affidati a registi dalle provenienze
eterogenee proprio perché il filo rosso che li lega è
il tema del pregiudizio razziale che si ripropone
uguale a tutte le latitudini.
In via di definizione anche le repliche dello spettacolo
di Andrea Paciotto Suite Horovitz, sei atti unici
scritti tra il 2006 e il 2009, tutti ambientati all’interno
di un hotel.
Trilogia
Horovitz
Tre atti unici di
Israel Horovitz
traduzione Andrea Paciotto
supervisione e adattamento
Edoardo Erba
15/20 marzo
L’indiano vuole il Bronx
regia Luke Landrik Leonard
22/27 marzo
Beirut Rocks
regia Hyunjung Lee
Effetto Muro
regia Andrea Paciotto
con Francesco Bolo Rossini, Giorgio
Marchesi, Simonetta Solder
Enrico Salimbeni
musiche originali Rolando Macrini
produzione Officina Eclectic Arts e
La MaMa Umbria International
«Lo spettacolo ha un ché di esplosivo, forse perché in Italia non siamo abituati, neanche con i nostri
drammaturghi importanti, a vedere rappresentata in modo così trasparente la nostra realtà, da quella del
piccolo razzismo che può arrivare ad uccidere, a quella politica che ci lascia inerti e ignavi anche davanti al
check point di Ramallah. Horovitz invece ci parla proprio di noi, e di quel che ci portiamo dentro di meno
confessabile, intreccio di luoghi comuni e crudeltà.
Con la Trilogia di Spoleto però i riferimenti per noi si fanno davvero impressionanti, perfino violenti.
L'indiano vuole il Bronx potrebbe titolarsi nella nostra odierna quotidianità Il bengalese vuole
Torbellamonaca. A una fermata d'autobus affacciata sulla notte (come avvenuto ripetutamente in questi
mesi nel quartiere di Roma sud) due giovani perditempo dalla biografia difficile non trovano di meglio che
infastidire sempre più pesantemente l'indiano del titolo, arrivato da poco a New York, ignaro della lingua,
che vorrebbe raggiungere figli e famiglia nella casa dove questi abitano al Bronx.
Finale tragico, e premonitore, visto che il testo risale agli anni ‘60. Appena di due anni fa è invece Beirut
rocks. Si svolge nell'albergo della capitale libanese dove gli Stati uniti raccoglievano i giovani americani
presenti a Beirut, per rimpatriarli, nella notte in cui i missili d'Israele bombardavano dal mare. E tra i quattro
studenti in una stanza, un’americana di origine araba cresciuta dagli zii presso Boston, è in realtà stata
lasciata sola da un bombardamento israeliano in Palestina. I sospetti del giovane wasp che lei possa essere
imbottita di esplosivo, la portano fatalmente nel vicolo cieco di sognare davvero il “martirio”.
Infine l'ultimo testo, scritto quest'anno dopo l'isolamento di Gaza, Effetto muro. Un effetto paradossale e
atroce quando si capisce lentamente al checkpoint, che anche un giovane ebreo vuol farsi kamikaze per
vendicare la famiglia che gli è stata appena sterminata.
Un piccolo gruppo di attori generosi danno vita a quei problematici personaggi, e sono molto convincenti e
privi di ogni retorica. Fortissima è l'emozione per il pianeta Horovitz: il dolce scrittore americano, dalle
evidenti radici ebraiche, che riesce a mettere in discussione tanti luoghi comuni e pigrizie mentali, e che oltre
i muri ideologici ci stimola a plasmare un mondo meno crudele e ingessato nella sua violenza».
Gianfranco Capitta, il manifesto
ospitalità
Sala Fassbinder | 22 marzo/3 aprile
Ottavia Piccolo arriva all’Elfo Piccini con Donna non
rieducabile, il monologo di Stefano Massini, messo in
scena con il coordinamento artistico di Silvano Piccardi.
Il lavoro è un adattamento in forma teatrale di brani
autobiografici e articoli di Anna Politkovskaya, la
giornalista trovata morta il 7 ottobre del 2006
nell'androne della sua casa moscovita, uccisa da quattro
colpi di arma da fuoco.
Come un album di immagini, il drammaturgo fiorentino
compone una carrellata di esperienze in presa diretta,
restituendo al pubblico nella forma più semplice e antiretorica possibile il senso della scelta di verità di questa
giornalista che guardò nel profondo gli eventi.
Non una beatificazione laica ma, come precisa lo stesso
Massini: «l’unico obiettivo era restituire dignità teatrale
ad una sensazione che mi aveva colpito nel primo
avvicinamento ai testi della Politkovskaja: la loro feroce
immediatezza».
Donna non
rieducabile
di Stefano Massini
con Ottavia Piccolo
musiche per arpa eseguite dal vivo
Floraleda Sacchi
coordinamento artistico
Silvano Piccardi
produzione La Contemporanea
«Dopo il crollo del Regime sovietico, la Russia sembrava avviata verso una nuova democrazia.
L’assassinio di Anna Politkovskaja ha allungato un’ombra terribile su questa illusione.
Anna non era una militante politica, era una giornalista. Il suo fu uno sguardo aperto, senza
prevenzioni né compromessi, su quanto avveniva nel suo paese, partendo dalla lontana Cecenia,
per arrivare a incontrare i momenti più terribili della recente storia russa (dalla strage al Teatro
Dubrovka di Mosca, a quella nella scuola di Beslan).
Se il vecchio potere sovietico, per imporre il proprio controllo su ogni forma di dissenso o, più
semplicemente, di libero pensiero, si sentiva in dovere di costruire leggi, tribunali e processi
speciali, che legittimassero in qualche modo l’accanimento repressivo, istituzionalizzandolo - il
nuovo sistema di potere, per eliminare la presenza scomoda del “punto di vista” libero di questa
donna, ha agito come un qualsiasi potere mafioso, affidandosi clandestinamente a dei sicari, a dei
killer senza volto.
Come nell’Argentina dei colonnelli (dove gli oppositori venivano fatti “sparire”, senza che
ufficialmente nessuno ne dovesse rispondere), anche nel caso di Anna Politkovskaja, chi godeva
della sua eliminazione, poteva nel contempo mostrarsi con le mani formalmente “pulite”.
La vita di Anna è diventata qualcosa di unico e di emblematico, in cui la vicenda personale e
professionale ha finito con l’assumere di per sé un meta-significato, un valore simbolico di qualcosa
che ancora sembra sfuggire alla comprensione e alla coscienza contemporanea.
(…) Affrontando il testo di Stefano Massini, mi resi conto che non si trattava di mettere in scena il
“personaggio” di Anna Politkovskaja, né, tanto meno, di farne un’eroina da feullieton politico.
Mettere in scena uno sguardo, quindi: questo il compito mio e di Ottavia. Suggerendo il contesto
realistico, evocando la persona attraverso le sue testimonianze, ricreando la condizione di
solitudine che mano a mano la circondò, fino a soffocarla. E Ottavia Piccolo ha dato voce allo
smarrimento, all’orrore, alla dignità e anche all’ironia di questa donna indifesa e tenace, con il
rigore e l’intensa partecipazione di una attrice che in quei valori di libertà si identifica fino in fondo.
Costruito come una serie di istantanee, il percorso seguito da Anna (scandito dall’intervento
dell’arpa di Floraleda Sacchi, che diventa volta volta l’eco della guerra, lo spappolarsi dell’inno
sovietico, un rumore di ferraglia inquietante, una momento di pace...), veniva quindi ricreato
dall’attrice, in simbiosi con quanto visto e vissuto dalla giornalista.
Un semplice tavolino, le scarne azioni sceniche, il variare delle atmosfere sottolineate dai
mutamenti spaziali suggeriti dalle luci, era dunque tutto ciò cui ci saremmo affidati, per evocare,
dalla ristretta postazione di un palcoscenico, un intero mondo di eventi e di emozioni. Fino alla
tragedia».
Silvano Piccardi, dalle note di regia
Repliche per le scuole: 24 e 31 marzo ore 15
ospitalità
Sala Shakespeare | 22/27 marzo
Un 18 mila giorni corrispondono a 50 anni.
È curioso come la prospettiva e il senso del tempo
possano cambiare a seconda del criterio col quale
lo si organizzi:
gli anni o i giorni.
testo originale Andrea Bajani
Il pitone è un animale che prima se ne sta buono e
regia Giorgio Gallione
ti prende le misure e poi, quando ha raggiunto la
tua stessa lunghezza o la tua stessa forza, ti fa
con Giuseppe Battiston
fuori.
e Gianmaria Testa
Il nostro spettacolo parte da qui: dal tempo e da
disegno luci Andrea Violato
una metafora.
musiche originali
Protagonista un uomo di 50 anni che perde il
Gianmaria Testa
lavoro.
produzioni
Riflessioni personali e epocali si intrecciano a
Fuorivia e Teatro Stabile di Torino
sottolineare come in soli 18 mila giorni siano
radicalmente mutate le prospettive e le aspettative
sociali in Italia. Dalla dignità del lavoro del gruista della “Chiave a stella” di Primo Levi, da
un’epoca in cui il lavoro era un diritto e elemento fondante dell’umana dignità, al trionfo
dell’odierno precariato, divenuto persino forma più o meno palese di ricatto sociale.
Protagonista Giuseppe Battiston, pluripremiato attore del nostro cinema e del nostro
teatro (per il monologo Orson Welles’ Roast ha messo a segno la tripletta del teatro
italiano: Premio Hystrio, UBU e Eti-Olimpici del teatro).
Accanto a lui, a fare da contrappunto musicale, il cantautore Gianmaria Testa, non nuovo a
incursioni nel teatro e nella letteratura e collaborazioni eterogenee con altri musicistie
attori (tra gli altri Guarda che luna!, dedicato a Fred Buscaglione e il Progetto Saramago)
Anche in questa occasione comporrà canzoni nuove e inedite per questo spettacolo.
Il testo, originale, sarà dello scrittore Andrea Bajani, torinese d’adozione, autore di
romanzi e reportage, spesso dedicati al tema del lavoro o a indagare il sociale (Cordiali
saluti, Mi spezzo ma non m’impiego, Domani niente scuola).
La regia è di Giorgio Gallione, le luci di Andrea Violato.
18 mila giorni
Il Pitone
ospitalità
Sala Shakespeare | 30 marzo/17 aprile
Scritta nel 1893, Il marito ideale compone con
altre due commedie (Il ventaglio di Lady
Windermere e Una donna di nessuna
importanza) la trilogia detta dei Society dramas
di Oscar Wilde
che precede il titolo più famoso di Wilde,
regia Roberto Valerio
L’importanza di essere onesto. Venne
con Valentina Sperlì
rappresentata nel 1895 per 111 repliche allo
Roberto Valerio e Alarico Salaroli
Haymarket Theatre, per venire poi cancellata,
scene e costumi di Carlo Sala
nonostante il successo, a causa dello scandalo in
produzione TEATRIDITHALIA
cui Oscar Wilde si era andato a cacciare
querelando per diffamazione Lord Queensberry
prima nazionale
che lo aveva pubblicamente tacciato di sodomia.
Se in questi tre testi Wilde non introduce
sostanziali innovazioni formali e ripropone i
cliché dei drammi salottieri francesi - con i più tipici personaggi l’inevitabile avventuriera,
la cosiddetta “donna con un passato”, il figlio illegittimo, il dandy cinico, la moglie leale ma
poco elastica ecc – la sua genialità è già evidente nelle conversazioni brillanti, nelle
osservazioni irriverenti e frivole, che, sebbene ininfluenti sull’intreccio, insinuano di
straforo critiche sulla società borghese che sembravano celebrare.
Nel Marito Ideale la “donna con un passato”, al corrente della grave scorrettezza con cui
Sir Chiltern, sottosegretario agli Affari Esteri in predicato di diventare ministro, fondò la
sua fortuna economica, ricompare per ricattarlo e costringerlo ad avvallare una
speculazione con denaro pubblico.
È proprio il tema della corruzione politica, centrale in questa commedia, ad aver
catalizzato l’interesse di Roberto Valerio, regista e attore quarantenne che nella stagione
2008 aveva messo a segno un bel successo con il pasoliniano Vantone, coprodotto da
Teatridithalia.
Partendo da questa idea ha scarnificato il testo che ridotto all'essenziale offre un'ottima
sponda per interrogativi di sconcertante attualità: è possibile una politica senza
compromessi? la questione morale è un fatto privato o pubblico ? esiste ancora un limite
oltrepassato il quale si prova vergogna delle proprie azioni ?
Un marito ideale
Repliche per le scuole: 6 aprile ore 15 | 14 aprile ore 10.30
produzioni
Sala Fassbinder | 5/10 aprile
Una “personale” dedicata a Ricci/Forte, la
dissacrante coppia romana di autori teatrali (anche
sceneggiatori televisivi con al loro attivo episodi de I
Cesaroni e la prima e seconda serie di HOT, scritta e
diretta per il canale digitale Jimmy di SKY), che nella
scorsa stagione ha scosso le piccole ribalte milanesi.
Troia’s discount Oggi. Il sacrificio d’Amore di due
casseurs, Eurialo e Niso. Tre donne, Didone, Creusa e
Lavinia, legate dall’incontro fortuito con lo stesso
uomo. In una consumistica ballata di fantasmi
evocatrice di sesso. Santificazione. Contagio. Sudore.
Ferite. Campionario di vite cloroformizzate, abitate
da un senso di attesa che mai si realizza. Ragazzi di
vita che hanno mancato l’appuntamento col destino;
che hanno fallito. Protagonisti della notte. (…) Allora,
giù. Verso gli inferi. (…) Fino al grado zero della
voglia di vivere. Fino a vivere, forse, per la prima
volta.
Troia’s Discount
regia Stefano Ricci
con Anna Gualdo, Fausto Cabra
Chiara Cicognani, Alberto Onofrietti
Giuseppe Sartori
movimenti scenici Marco Angelilli
style concept Simone Valsecchi
light designer Danila Blasi
benvenuti produzione
in collaborazione con festival
internazionale Castel dei
mondi/Asti teatro
Sala e atrio Fassbinder | 12/17 e 18/20 aprile
Macadamia nut brittle è un omaggio all’universo
letterario di Dennis Cooper. Una fiaba crudele
sull’adolescenza. Una scarna e disincantata disamina
del mondo dei reality show che si spingono oltre gli
schermi, della logica del discount applicata a ogni
aspetto della vita, tra maschere dei Simpson, photo
shooting di moda e citazioni pop. Senza catarsi.
«Questa disperata vitalità, questa febbrile e ingenua
mancanza dell'Altro, questa solitudine rumorosissima e
dolente, gioiosa e insolente è al centro di un bellissimo
lavoro dal titolo accattivante: Macadamia nut brittle. È
uno dei gelati Haagen Dazs: e serve per calare subito lo
spettatore in un clima che è contemporaneo,
consumistico, marginale». (Andrea Porcheddu)
Pinter’s Anatomy è un'analisi approfondita
dell'universo del drammaturgo inglese Harold Pinter
tra ambiguità, falsità e violenza. I corpi e i ricordi
personali degli attori diventano spazio scenico sul
quale ridisegnare l'anatomia di un'assenza: «un
universo non solo concentrazionario ma segnato dalla
violenza e dagli scontri dei corpi, dalla provocazione
verso il pubblico sbattuto contro il muro, catturato in una
claustrofobica stanzetta che ha per confine uno specchio e
una porta talvolta agognata. Una ricreazione personale
dell'universo di Pinter, dove la normalità fasulla di White
Christmas cantato da Bing Crosby si sposa allaviolenza
della musica techno, al mondo di cartapesta popolato di
esseri che portano maschere di famosi personaggi
disneyani nella violenza reale dei corpi nudi, degli insulti,
di morti in diretta o immaginarie» (Maria Grazia Gregori)
Macadamia Nut
Brittle
regia Stefano Ricci
con Anna Gualdo, Andrea Pizzalis
Giuseppe Sartori, Mario Toccafo
movimenti scenici Marco Angelilli
style concept Simone Valsecchi
light designer Danila Blasi
Benvenuti produzione
in collaborazione con Garofano
Verde / Festival internazionale
Castel dei Mondi
Pinter’s
Anatomy
regia Stefano Ricci
con Marco Angelilli, Pierre Lucat
Giuseppe Sartori, Anna Terio
style concept Simone Valsecchi
Benvenuti produzione
in collaborazione con CSS Udine
ospitalità
Sala Shakespeare | 3/29 maggio
L’intera pièce sarà giocata da De Capitani
all’interno della lussureggiante serra esotica della
signora Venable (Cristina Crippa), opera vivente di
suo figlio Sebastian, morto “improvvisamente,
l’estate scorsa”. Qui un giovane e brillante
di Tennessee Williams
neurologo (Cristian Giammarini), che sperimenta
regia Elio De Capitani
con successo cure psichiatriche d’avanguardia,
riceve dalla ricca signora l’offerta di un congruo
con Cristina Crippa, Corinna
finanziamento per l’ospedale pubblico di New
Agustoni Elena Russo Arman,
Orleans. Ben presto capisce che la donna vuole
Cristian Giammarini,
qualcosa in cambio: gli chiede di operare sua nipote
Sara
Borsarelli,
Edoardo Ribatto
Catherine (Elena Russo Arman), affetta – secondo
lei - da allucinazioni e crisi isteriche violente. Le
scene Carlo Sala
cure d’avanguardia, infatti, non sono altro che la
luci
Nando Frigerio
famigerata lobotomia. Prima di praticare
produzione TEATRIDITHALIA
l’intervento, il dottore vuole formulare una diagnosi
più precisa e inizia a sottoporre la paziente a
prima nazionale
colloqui che indagano l’origine delle crisi. C’è stato
un evento traumatico: Catherine ha assistito alla
morte di suo cugino Sebastian durante un viaggio
Sala Fassbinder 3 / 5 giugno
all’estero, ma non ne riesce a ricordarne le
circostanze, anche se via via, nelle sedute con il
dottore, emergono particolari violenti e scabrosi.
uno studio di Elio De Capitani
Cosa si nasconde dietro a questa rimozione?
con Cristina Crippa, Edoardo Ribatto
Nessuno della famiglia Venable sembra volerlo
Corinna Agustoni, Elena Russo
scoprire, né la madre (Corinna Agustoni) e il
Arman, Cristian Giammarini,
fratello della ragazza (Edoardo Ribatto), né tanto
Sara Borsarelli
meno la zia, impegnata con ogni mezzo a
mantenere immacolata la memoria del figlio.
La vicenda del testo riverbera l’orrore familiare
dell’autore, la cui sorella Rose fu lobotomizzata per volontà della madre, mai perdonata da
Williams. Rose perse ogni capacità di agire in maniera autonoma e venne rinchiusa in una clinica
psichiatrica fino alla morte, all’età di 96 anni. Williams stigmatizzava in modo estremo quel
miscuglio di perbenismo, rimozione auto-indulgente, pruderie ipocrita, sessuofobia paranoica che
soffocava la società americana. Il testo non poteva che restare vittima dei movimenti di censura di
quei tempi, specialmente della Legione della Decenza, che costrinsero Gore Vidal, sceneggiatore
della celeberrima versione cinematografica diretta da Joseph Mankiewicz, a rimuovere ogni
riferimento all'omosessualità.
Elio De Capitani torna a Tennessee Williams e ai suoi temi, a quasi vent’anni dall’allestimento del
Tram chiamato desiderio con Mariangela Melato per il Festival dei Due Mondi di Spoleto nel 1993,
per continuare l’indagine su quanto della società americana del secolo scorso si rifletta sulla nostra
storia attuale, dopo la splendida avventura di Angels in America.
Improvvisamente,
l’estate scorsa
La discesa di Orfeo
Anche Orpheus descending, affascinate inedito per l’Italia di cui Elio De Capitani proporrà uno
studio, rimanda all’oggi, alle convulsioni degli anni attuali narrando l’incontro impossibile tra un
giovane outsider - con chitarra e una giacca di pelle - e la grettezza di in un piccolo paese di
provincia che respinge violentemente tutto ciò che è estraneo e diverso. Una sola anima gli verrà
incontro: Lady, una donna italiana dal carattere forte, temprato dalle ferite di una vita tormentata.
Val, come nel mito di Orfeo, finirà fatto letteralmente a pezzi dai fanatici del paese, guidati dal
marito di Lady.
produzioni
Sala Fassbinder | 10/29 maggio
Nella sua lunga ed eccellente carriera Massimo Castri
non ha mai lavorato su testi di Samuel Beckett: lo fa in
questa occasione scegliendo Finale di Partita, testo il
cui titolo deriva da una mossa del gioco degli scacchi.
di Samuel Beckett
Protagonisti in scena Hamm, cieco e condannato a
traduzione Carlo Fruttero
trascorrere i suoi giorni su una sedia a rotelle e Clov, il
suo servo. I due vivono un rapporto conflittuale, in cui
si consumano litigi ma anche una reciproca
regia Massimo Castri
dipendenza. Clov vive nell’eterna tentazione di
con Vittorio Franceschi,
andarsene ma pare non esserne capace. L’incalzante
Milutin
Dapcevic, Diana Hobel
scambio di battute tra Hamm e il suo servitore
Antonio
Giuseppe Peligra
sembrano un infinito alternarsi di mossa e
contromossa scacchistica. In scena incombe la
scene e costumi Maurizio Balò
presenza dei due “maledetti progenitori” di Hamm,
Emilia Romagna Teatro Fondazione
Nagg e Nell, entrambi privi di arti inferiori costretti a
Teatro di Roma
trascorrere la loro esistenza nei bidoni della
Teatro Metastasio Stabile della Toscana
spazzatura. Lo stesso Beckett, nel corso di alcune prove
dello spettacolo allo Schiller Theatre di Berlino disse:
“Hamm è il re in questa partita a scacchi persa fin
dall’inizio. Nel finale fa delle mosse senza senso che soltanto un cattivo giocatore farebbe. Un bravo
giocatore avrebbe già rinunciato da tempo. Sta cercando soltanto di rinviare l’inevitabile fine.”
Se in Aspettando Godot si riesce a intravedere un’ambientazione quasi realistica, Finale di partita
si svolge in uno scenario che oggi potremmo definire post-atomico: tutto lascia presagire che sia
avvenuta una catastrofe che ha cancellato pressoché ogni traccia di vita sulla terra.
Finale di partita
«Scartata l’idea di fare del luogo metafisico una grigia tana, la scena bellissima di Maurizio Balò diventa
questa volta un nudo salone di segno vittoriano e il pavimento viene trasformato in una grande simbolica
scacchiera dove gli accaniti giocatori Hamm e Clov si sfidano nella loro ultima partita. E in questa scena
Castri realizza uno dei suoi spettacoli più rigorosi e tra i suoi ultimi forse il più riuscito. Muovendosi tra
lettura simbolica e psicanalitica, alleggerendo la tragica materia con un soffice umorismo (pur sempre nero),
Castri si avvicina a Finale di partita come se fosse una grande partitura musicale e ne fa vibrare ogni frase,
ogni battuta. Gli attori a eseguirla in maniera perfetta. Immobile nella sua sedia a rotelle come da copione,
occhialoni neri da cieco, quell’eccellente attore che è Vittorio Franceschi disegna il suo Hamm con una
ricchezza infinita di sfumature, beffardo e querulo e surreali guizzi sogghignanti, ma alla fine terribilmente
umano. Ben gli tiene testa Milutin Dapcevic nei panni del remissivo Clov, dal passo lento e claudicante e dai
movimenti a tratti burattineschi. Ma bene, a provocare stupefatta ilarità, anche Diana Hobel e Antonio
Peligra nei ruoli minori dei due genitori(…)».
Domenico Rigotti, Avvenire
«Quei personaggi che Samuel Beckett fece simboli di verità, di disperazione e, forse, di fede, sono sempre lì,
immutati e immutabili nel tempo.(…) Tutto hanno già detto e tutto di loro è stato detto. Sembrerebbe. E
invece, perché sia possibile riscoprire, anzi scoprire, nell’intreccio assurdo e nei gesti di quei quattro automi,
qualcosa di nuovo, il senso stesso della nostra vita, basta che a loro si accosti un regista come Massimo
Castri. Il quale affonda la lama della sua ricerca nell’umanità dei personaggi: un’umanità senza speranza,
senza luce, eppure, si direbbe, illuminata dal profluvio delle parole che diventano poesia».
Carlo Maria Pensa, Libero
«Giocando sulle sfumature, la regia sembra mettere in secondo piano le componenti di «teatro nel teatro»
tipiche della pièce, per farne invece risaltare alcuni tratti febbrilmente patologici. (…) Al suo primo confronto
con l’autore irlandese, Massimo Castri rimane sostanzialmente fedele al copione, e al tempo stesso strappa
Beckett a Beckett, lo sposta verso una maniacalità quasi bernhardiana, come a sancire il superamento di certi
traumi novecenteschi individuando invece nella paura della realtà, nella chiusura verso l’esterno una più
adeguata chiave di lettura della nostra epoca».
Renato Palazzi, Il Sole 24 Ore
Repliche per le scuole: 19 maggio ore 15
ospitalità
Sala Fassbinder | 7/19 giugno
“Ad un miracolo economico corrispondono schiavitù e
miseria per la popolazione? Sì!”
Con questa frase comincia Chicago boys, una specie di
conferenza “strampalata, senza lieto fine” che si svolge
testo e regia Renato Sarti
in un rifugio antiatomico. Un’esaltazione surreale del
capitalismo, del consumismo e della liberalizzazione
più sfrenata.
con Renato Sarti, Elena Novoselova
I Chicago boys sono stati un gruppo di economisti
scene e costumi Carlo Sala
formatosi negli anni Settanta all'Università di Chicago,
video realizzati in collaborazione
sotto l'egida del grande guru del liberismo, Milton
con Fabio Bettonica
Friedman, nobel per l'economia nel 1976. Friedman e i
e
N.A.B.A.
- Nuova Accademia di Belle
suoi seguaci esercitarono una profonda influenza sulle
Arti di Milano
politiche economiche di molti stati, primi fra tutti gli
USA di Reagan e l'Inghilterra del primo ministro
produzione Teatro della
Thatcher e poi dal Cile all'Argentina, dal Brasile alla
Cooperativa
con il sostegno di
Polonia, dalla Cina alla Russia, ecc.
Regione Lombardia - Progetto Next
Le grandi multinazionali hanno avuto un ruolo di
primissimo piano in questo processo che ha portato
in collaborazione con La Corte
allo smantellamento dello stato sociale, visto e
Ospitale
combattuto come un virus infettivo, come un arto in
cancrena da amputare.
Chiamare privatizzazioni le grandi razzie compiute nei
confronti dei paesi poveri è un eufemismo. Queste politiche economiche hanno significato per una
vasta parte delle popolazioni di quei paesi licenziamenti, diminuzione degli stipendi, delle pensioni,
degli ammortizzatori e delle garanzie sociali, ma anche aumento dell'alcoolismo, delle
tossicodipendenze, dei malati di AIDS, della prostituzione minorile, della miseria, della malavita,
degli omicidi e dei suicidi.
Che negli ultimi decenni le grandi multinazionali abbiano puntato l'attenzione pure su materie
prime, come l'acqua, i cui titoli in borsa crescono mediamente del 30%, non è un dato meramente
economico o finanziario: un rapporto delle Nazioni Unite sulla povertà mondiale rivela che ogni
giorno muoiono 4.900 bambini per mancanza di acqua potabile.
Il nostro protagonista sguazza (mangia e si disseta) in una vasca, stile catafalco, piena d'acqua
imputridita dai suoi stessi rifiuti. Al suo fianco una prostituta/cameriera russa, che, dopo venti
anni di schiavitù cerca il riscatto. Fra le anguste pareti del rifugio si consuma fra i due una lotta
senza esclusione di colpi, una sorta di paradossale, e letale, guerra fredda, formato mignon.
Chicago Boys
«Un cabaret tragico che gronda umor nero come da miglior tradizione grottesca. Snocciola in 9
fulminanti lezioni (più la decima, che riserva il colpo di scena finale) tutto il peggio di un sistema
regolato dal profitto e riassunto alla perfezione dal motto “libera volpe in libero pollaio”.
Uno spettacolo volutamente disturbante che arriva dritto alla pancia del pubblico, risvegliando
l’indignazione».
Sara Chiappori, la Repubblica
«Immerso in una vasca di acqua putrida, con avanzi di cibo e altro galleggianti, Renato Sarti dà in
questa Chicago Boys una prova attorale di grande forza e spessore.
Sarti incarna il capitalismo più ‘sporco’, quello senza remore etiche o morali. Spietato, con gli
uomini e con l’ambiente. E lo fa, coadiuvato da Elena Novoselova che, se all’inizio sembra essere
solo una ‘bella’ spalla, alla fine diviene protagonista con una buona performance che ben si adatta
al clima surreale della pièce. Una ‘contro-storia’ degli ultimi decenni, dall’Argentina dei
desaparecidos, al crollo del Muro (anche questo una scelta economica), ma più ancora sino ai
giorni nostri, con la privatizzazione dell’acqua potabile, e (perché no? basta un altro piccolo passo
in avanti) al futuro: la privatizzazione dell’aria».
Luca Vido, Il Giorno
ospitalità