APPUNTI DELLE LEZIONI DI MATEMATICA DISCRETA DONATELLA IACONO Queste note sono state scritte come ulteriore supporto a favore della preparazione dello studente. Sono note integrative alle lezione, contengono solo alcuni argomenti del corso, e questi sono esposti sinteticamente. NON intendono sostituirsi ai libri di testo consigliati, ma al più affiancarsi a questi. Pertanto, NON possono essere usati come unico riferimento nella preparazione dell’esame1. Nonostante l’impegno, errori, sviste e imprecisioni sono sparsi ovunque all’interno delle note (pertanto lo studente deve stare attento!!), la loro segnalazione è molto apprezzata. Inoltre, NON sono autorizzate diffusioni e ripubblicazione di tale materiale (esempio: diffusione e ripubblicazione del pdf degli appunti o di una parte). LIBRI CONSIGLIATI A. FACCHINI: ALGEBRA E MATEMATICA DISCRETA, ed. ZANICHELLI G.M. PIACENTINI CATTANEO: MATEMATICA DISCRETA, ed. ZANICHELLI M.G. BIANCHI, A. GILLIO: INTRODUZIONE ALLA MATEMATICA DISCRETA, ed. McGRAW-HILL L. DI MARTINO, M.C. TAMBURINI: APPUNTI DI ALGEBRA, ed. CLUED 1Esempio: Risolvo un esercizio (sia teorico che computazionale) esattamente come è svolto nlle note. Prendo sicuramente il massimo punteggio? No, perché in queste note potrebbe essere stato svolto con qualche errore o in maniera sintetica non esauriente. 1 2 DONATELLA IACONO Contents 1. Insiemi 1.1. Inclusione, Uguaglianza, Unione e Intersezione di Insiemi 1.2. Complementare, Differenza, Insieme delle parti, Prodotto cartesiano 2. Logica 3. Negazione, Congiunzione, Disgiunzione, Implicazione 3.1. Tecniche di dimostrazione 4. Funzioni 4.1. Funzioni Iniettive 4.2. Funzioni Suriettive 4.3. Funzioni Biettive 4.4. Composizione di Funzioni 4.5. Inversa di Funzioni 5. Contare oggetti di un insieme 6. Principio di Induzione 6.1. Principio di Induzione (prima forma) 6.2. Principio di Induzione (seconda forma) 6.3. Principio di Induzione Generalizzato (prima forma) 6.4. Principio di Induzione Generalizzato (seconda forma) 7. Successioni 7.1. I numeri di Fibonacci 7.2. Le Torri di Hanoi 7.3. Simbolo di Sommatoria 8. Combinatoria 8.1. Regola della Somma 8.2. Principio di inclusione-esclusione 8.3. Regola del Prodotto 9. Combinazioni e disposizioni 9.1. Caso 1) scegliere k elementi distinti 9.2. Caso 2) Scegliere k elementi con ripetizione in un insieme con n elementi 10. Relazioni 11. Relazioni d’ordine 12. Relazioni di equivalenza 13. Classi di equivalenza e Insieme quoziente 14. I Numeri Interi 15. Divisione 16. Massimo Comun Divisore 16.1. Minimo Comune Multiplo 17. I numeri primi 17.1. Crivello di Eratostene 17.2. Metodi di Fattorizzazione 18. Equazioni diofantee 19. Congruenze modulo n 20. Congruenze lineari 21. Sistemi di congruenze lineari 22. Strutture Algebriche 22.1. Esempio: Monoide delle parole 23. Gruppi 23.1. Operazioni compatibili con relazioni di equivalenza 23.2. Sottogruppi 23.3. Gruppi ciclici 24. Gruppo Simmetrico 4 5 7 10 10 14 16 19 20 21 21 23 25 27 27 27 29 29 31 33 34 35 37 37 37 39 40 40 43 46 47 49 50 54 54 56 56 59 61 61 62 65 68 70 73 74 76 77 78 82 84 APPUNTI DELLE LEZIONI DI MATEMATICA DISCRETA 25. Anelli e Campi 26. Campo dei numeri complessi 27. Matrici 28. Grafi 29. Reticoli 29.1. Legame tra reticoli e insiemi parzialmente ordinati 29.2. Diagrammi di Hasse Index 3 90 93 97 104 112 114 114 120 4 DONATELLA IACONO 1. Insiemi In questa sezione ci concentriamo sul concetto di insieme2, impareremo a descrivere gli insieme. Introdurremo molti esempi, descriveremo alcune proprietà e costruiremo insiemi a partire da altri insiemi. Quello di insieme è un concetto primitivo: questo vuol dire che non si può dare la definizione di insieme ricorrendo ad altre definizioni. La stessa cosa vale, per esempio, in geometria per il concetto di punto. Si può pensare ad un insieme come ad una famiglia di oggetti, che vengono chiamati elementi dell’insieme. Quindi, un insieme A è una collezione di oggetti, detti elementi dell’insieme, e per poter dire di aver assegnato l’insieme A, bisogna aver stabilito dei criteri secondo i quali si possa essere in grado di stabilire se un elemento appartenga o meno ad A. Esempio 1. Per esempio hanno senso matematicamente: • A=l’insieme delle lettere che costituiscono la parola ROMA. • B=l’insieme dei cittadini italiani nati nel 2010. • N = insieme dei numeri naturali. • Z = insiemi dei numeri interi. • Q = insieme dei numeri razionali. • R = insiemi dei numeri reali. • C=l’insieme dei numeri interi positivi. • D=l’insieme dei numeri interi pari e dispari. NOTAZIONE Gli insiemi si indicano con la lettere Maiuscola. Gli elementi dell’insieme si denotano con la lettera minuscola. Se un elemento appartiene ad un insieme, si usa il simbolo di appartenenza ∈ ad esempio a ∈ A, si legge: a “appartiene”ad A oppure a “è elemento di”A. Se un elemento a non appartiene ad un insieme A, allora scriveremo a 6∈ A Esempio 2. Nell’Esempio 1. Possiamo scrivere 2 6∈ C. 3 Definizione 1. (INSIEME VUOTO) L’insieme vuoto, si indica con ∅, ed è l’unico insieme che non contiene elementi. 5 ∈ C,10 ∈ C, −2 6∈ C, Esempio 3. Non ci sono numeri interi che siano contemporaneamente pari e dispari, per cui l’insieme D, sebbene sia ben definito, è privo di elementi: D non è altro che l’insieme vuoto, D = ∅. Si osservi che frasi del tipo:“la strada è l’insieme dell’asfalto che contiene”oppure “un litro è l’insieme di 10 decilitri”, non definiscono insiemi. Possiamo descivere un insieme in diversi modi: 1) Elencare i suoi elementi Esempio 4. Alcuni esempi • N = insieme dei numeri naturali={0, 1, 2, 3, . . .} • Z = insiemi dei numeri interi={0, 1, −1, 2, −2, 3, −3, . . .} 2Se vogliamo essere matematicamente corretti, fissiamo un universo che contiene tutti gli insiemi che tratteremo. APPUNTI DELLE LEZIONI DI MATEMATICA DISCRETA 5 • X = {a, b, 3, ∗, −1, 0} • Y = {a, b, c, . . . , u, v, z}= lettere alfabeto italiano. Quindi 0 ∈ N e 0 ∈ Z. c ∈ Y e c 6∈ X. Nota Bene 1. Per indicare un insieme si usano le parentesi graffe. A = {. . .}. Nota Bene 2. Non importa l’ordine in cui elenchiamo gli elementi ed ogni elemento viene scritto una sola volta. Ad esempio X = {a, b, 3, ∗, −1, 0} = {3, ∗, b, −1, a, 0}. 2) Specificare una proprietà caratteristica, ovvero una proprietà verificata da tutti e soli gli elementi di A. In generale, per assegnare un insieme tramite una proprietà caratteristica si scriverà: A = {x | x soddisfa P } oppure A = {x : x soddisfa P } I due punti : o | si leggono “tale che ”, ovvero A è l’insieme di tutti gli x che soddisfano la proprietà P . Esempio 5. Q = insiemi dei numeri razionali={ pq | p, q ∈ Z e q 6= 0} Esempio 6. A insieme dei numeri interi compresi tra −3 e 7, estremi esclusi. A = {a ∈ Z | −3 < a < 7} = {−2, . . . , 6} Notiamo anche che {a ∈ Z | −3 < a < 7} = {x ∈ Z | −3 < x < 7}. 3) Diagrammi di Venn3. Esempio 7. Aggiungere Disegno 1.1. Inclusione, Uguaglianza, Unione e Intersezione di Insiemi. Definizione 2. (INCLUSIONE) Siano A, B insiemi. Si dice che A è incluso in B, oppure A è contenuto in B o anche che A è sottoinsieme di B e si scrive A⊆B se ogni elemento di A è anche elemento di B. Se A non è sottoinsieme di B, scriveremo A 6⊆ B. Osservazione 1. Non confondere il simbolo di appartenenza “∈” di un elemento ad un insieme: con il simbolo di inclusione “⊆” di un insieme in un altro. Sono corrette le scritture: 3 ∈ N; {−5} ⊆ Z; {4, 0, 2} ⊆ Q. Sono invece errate: 1 ⊆ N, {−5} ∈ Z. Esempio 8. Siano A = {n ∈ Z | −1 < n ≤ 5} B = {n ∈ N | n < 5} C = {p ∈ R | −1 < p < 5} dove R denota l’insieme dei numeri reali. Allora A 6⊆ B e B ⊆ A, A 6⊆ C, C 6⊆ A, B ⊆ C, C 6⊆ B Esempio 9. N ⊆ Z ⊆ Q ⊆ R Esercizio 1. Convincersi delle inclusioni degli Esercizi 8 e 9 Osservazione 2. Si osservi che per ogni insieme A l’insieme vuoto ed A stesso risultano essere sottoinsiemi di A: ∅⊆A A ⊆ A. 3 John Venn, matematico inglese che ha introdotto l’uso dei diagrammi nel 1881. 6 DONATELLA IACONO Definizione 3. (INCLUSIONE PROPRIA) Se A è sottinsieme di B ed esiste un elemento di B che non appartiene ad A, diremo che l’ inclusione è propria e scriveremo A ⊂ B o A ( B. Si dice anche che che A è incluso strettamente in B oppure è contenuto propriamente o strettamente in B o anche che A è sottoinsieme proprio di B. Esempio 10. N ⊂ Z ⊂ Q ⊂ R. Nell’ Esempio 8, B ⊂ A e B ⊂ C. Definizione 4. (UGUAGLIANZA) Siano A e B insiemi. Si dice che A e B sono uguali, e si scrive A = B, se A ⊆ B e B ⊆ A. In tak caso, gli insiemi A e B hanno gli stessi elementi. Esempio 11. A = {n ∈ Z | n ≤ 0} B = {−n | n ∈ N} oppure A = {a, b, 3, −1, ∗, 0} B = {3, ∗, 0, b, a, −1} Esempio 12. A = insieme dei residenti a Bari nati nel 2000. B = insieme dei residenti a Bari nati nel 2000 che praticano attività sportiva. Sicuramente sarà B ⊆ A, ma non si può scrivere B ⊂ A se non si è sicuri che almeno un ragazzo tra i residenti a Bari nati nel 2000 non pratichi attività sportiva. È di fondamentale importanza comprendere l’utilizzo dei quantificatori: quantificatore universale : ∀ quantificatore esistenziale : ∃ ∀ si legge per ogni, ∃ si legge esiste. Si usa anche il simbolo ∃! che si legge esiste ed è unico. Inoltre, introduciamo il simbolo di “se e solo se ” se e solo se :⇐⇒ Esempio 13. ∀A insieme si ha che ∅ ⊆ A e A ⊆ A Esempio 14. A ⊆ B ⇐⇒ ∀a ∈ A si ha che a ∈ B. A ⊂ B ⇐⇒ A ⊆ B e A 6= B. oppure A ( B ⇐⇒ ∀a ∈ A si ha che a ∈ B ed ∃ b ∈ B tale che b 6∈ A. Definizione 5. (INTERSEZIONE) Siano A e B insiemi. Si definisce intersezione di A e B e si indica con A ∩ B, l’insieme costituito dagli elementi che appartengono sia ad A che a B, ovvero l’insieme A ∩ B = {x | x ∈ A e x ∈ B}. √ Esempio 15. Siano A = {a, b, 1, 2, 3, +, ∗, ◦}, B = {1, −1, 2, −2, ∗, 5}. Allora A ∩ B = {1, 2, ∗}. APPUNTI DELLE LEZIONI DI MATEMATICA DISCRETA 7 Esempio 16. A = {−1, −2, −3, 1, 2} C = {−1, 2, 1} B = {0, 5, −3, 2} D = {p ∈ Z : −1 < p ≤ 5} Allora A ∩ B = {−3, 2}, A ∩ D = {1, 2}. Esercizio 2. Calcolare A ∩ C, B ∩ C, B ∩ D, D ∩ C dell’Esercizio 16. Definizione 6. (INSIEMI DISGIUNTI) Due insiemi A e B sono disgiunti se la loro intersezione è vuota, ovvero A ∩ B = ∅. Esempio 17. Sono disgiunti, per esempio, gli insiemi P = {n ∈ Z | n è pari} e D = {n ∈ Z | n è dispari}. Definizione 7. (UNIONE) Siano A e B insiemi. Si definisce unione di A e B e si indica con A ∪ B, l’insieme costituito dagli elementi che appartengono ad A oppure a B, ovvero l’insieme A ∪ B = {x | x ∈ A oppure x ∈ B}. √ Esempio 18. Siano A = {a, b, 1, 2, 3, +, ∗, ◦}, B = {1, −1, 2, −2, ∗, 5}. Allora √ A ∪ B = {a, b, 1, −1, 2, −2, 3, +, ∗, ◦, 5}. Esercizio 3. Calcolare le unioni a due a due degli insiemi dell’Esempio 16. Osservazione 3. Descrivere l’intersezione e l’unione con i diagrammi di Venn. Proposizione 1. Siano A, B, C insiemi. Si ha allora: (1) A ∪ ∅ = A (2) A ∩ ∅ = ∅ (3) A ∪ A = A e A ∩ A = A (4) A ⊆ B ⇐⇒ A ∪ B = B ⇐⇒ A ∩ B = A (5) A ⊆ A ∪ B e B ⊆ A ∪ B (6) A ∩ B ⊆ A e A ∩ B ⊆ B (7) (A ∪ B) ∪ C = A ∪ (B ∪ C) proprietà associativa dell’unione (8) (A ∩ B) ∩ C = A ∩ (B ∩ C) proprietà associativa dell’intersezione (9) A ∪ B = B ∪ A proprietà commutativa dell’unione (10) A ∩ B = B ∩ A proprietà commutativa dell’intersezione (11) (A ∪ B) ∩ C = (A ∩ C) ∪ (B ∩ C), A ∩ (B ∪ C) = (A ∩ B) ∪ (A ∩ C) proprietà distributive dell’intersezione rispetto all’unione, (12) (A ∩ B) ∪ C = (A ∪ C) ∩ (B ∪ C), A ∪ (B ∩ C) = (A ∪ B) ∩ (A ∪ C) proprietà distributive dell’unione rispetto all’intersezione. Dimostrazione. Si può trovare su uno qualsiasi dei testi consigliati. Osservazione 4. Si osservi che le Proprietà (1) e (2) della proposizione precedente sono un caso particolare della Proprietà (4), ma si è preferito, in ogni modo, evidenziarle. Anche nelle Proprietà (11) (e (12)) la seconda segue dalla prima per la Proprietà commutativa. 1.2. Complementare, Differenza, Insieme delle parti, Prodotto cartesiano. Definizione 8. (COMPLEMENTARE) Siano A insieme e B ⊆ A. Si definisce il complementare di B rispetto ad A l’insieme di tutti gli elementi di A che non appartengono a B, ovvero l’insieme: {A (B) = {x ∈ A | x ∈ / B}. 8 DONATELLA IACONO Esempio 19. Sia A = {n ∈ Z | n ≥ −4} Allora B = N ⊆ A e {A (B) = {−4, −3, −2, −1}. B=N Proposizione 2. Siano A un insieme e B e C sottoinsiemi di A. Risulta allora: (1) {A (A) = ∅ (2) {A (∅) = A (3) B ∪ {A (B) = A (4) B ∩ {A (B) = ∅ (5) {A (B ∪ C) = {A (B) ∩ {A (C) (6) {A (B ∩ C) = {A (B) ∪ {A (C). Le proprietà (5) e (6) vanno sotto il nome di Leggi di De Morgan4. Dimostrazione. Si può trovare su uno qualsiasi dei testi consigliati. Esercizio 4. Dimostrare le leggi di De Morgan (una fatta in classe). Definizione 9. (INSIEME DIFFERENZA) Siano A, B insiemi. L’ insieme differenza tra l’insieme A e l’insieme B è l’insieme costituito da tutti gli elementi di A, tranne gli elementi di B, ovvero A r B = {x ∈ A | x ∈ / B}. L’insieme differenza tra A e B può anche essere denotato con A − B. Osservazione 5. Questa definizione generalizza la definizione di insieme complementare che si puó dare solo nel caso di sottoinsiemi. Osservazione 6. Si prova che A r B = {A (A ∩ B). Inoltre, se B ⊆ A, allora {A (B) = A r B. Esempio 20. N \ {3}, Q \ {0}. √ Esempio 21. In riferimento all’Esempio 18: A = {a, b, 1, 2, 3, +, ∗, ◦}, B = {1, −1, 2, −2, ∗, 5}, risulta: √ A r B = {a, b, 3, +, ◦}, B r A = {−1, −2, 5}, √ {(A∪B) (A ∩ B) = {a, b, −1, −2, 3, +, ◦, 5}. √ Esempio 22. N \ {0}, Q \ {0}, Q \ { 21 }, R \ { 4}, Osservazione 7. Descrivere il complementare e la differenza con i diagrammi di Venn. Definizione 10. (INSIEME delle PARTI) Sia A un insieme.L’ insieme delle parti di A si indica con P(A) ed è l’insieme formato da tutti i sottoinsiemi di A. In simboli: P(A) = {X | X ⊆ A} = {∅, A, . . .} Osservazione 8. Notiamo che se a ∈ A allora {a} ⊆ A e {a} ∈ P(A). Osservazione 9. Sia A un insieme. Allora: A ∈ P(A) e ∅ ∈ P(A). Esempio 23. 1. Se A = ∅, allora P(∅) = {∅}. 2. Se A = {1}, allora P(A) = {∅, {1}} = {∅, A}. 3. Se A = {a, b}, allora P(A) = {∅, {a}, {b}, {a, b}}. 4. Se A = {1, 2, ∗}, allora P(A) = {∅, {1}, {2}, {∗}, {1, 2}, {1, ∗}, {2, ∗}, A}. Esercizio 5. Determinare P(A) nei seguenti casi: A = {3, 6, 9} e A = {x, y, z, w} 4Augustus De Morgan, 1806-1871, matematico britannico, nato in India APPUNTI DELLE LEZIONI DI MATEMATICA DISCRETA 9 Definizione 11. (PRODOTTO CARTESIANO) Siano A e B due insiemi. Il prodotto cartesiano di A e B, si indica con A × B ed è l’insieme di tutte le coppie ordinate (a, b) con a ∈ A e b ∈ B, ovvero in simboli A × B = {(a, b) | a ∈ A e b ∈ B} Esempio 24. Siano A = {3, 6, 9} e B = {x, y, ∗} Allora A × B = {(3, x), (3, y), (3, ∗), (6, x), (6, y), (6, ∗), (9, x), (9, y), (9, ∗), } Inoltre, ad esempio (2, a) 6∈ A × B e (y, 3) 6∈ A × B Esercizio 6. Dati A = {−1, −2, −3, 1, 2} C = {−1, 2, 1} Calcolare A × B, C × B, D × C. B = {0, 5, −3, 2} D = {p ∈ Z : −1 < p ≤ 5} Check list. In questo capitolo sono stati introdotti vari simboli: ∈, 6∈, ∀, ∃, |, ∩, ∪, = , ⊂, ⊆, A × B, P, {A (A), A \ B 10 DONATELLA IACONO 2. Logica Alla base della logica (matematica) ci sono le cosı̀ dette proposizioni (dichiarative), ovvero le proposizioni (nel senso della logica classica) delle quali (tramite giudizio) si possa affermare con certezza (stabilire senza ambiguità) se sono vere o false. Se una proposizione è vera, ad essa si attribuisce valore di verità V (o 1 o anche T), se è falsa si attribuisce ad essa valore di verità F (o 0). Pertanto una proposizione non può essere contemporaneamente vera e falsa. Esempio 25. Consideriamo P : 8 è un numero dispari. Q: Il cane è un mammifero. Certamente la proposizione P è falsa, la proposizione Q è vera. Quindi il valore di verità di P è F, il valore di verità di Q è V. Esempio 26. Consideriamo: R: le cicorie sono buone. S: x è un numero positivo. Queste non possono essere classificate come proposizioni: R perchè presenta un predicato che non è di carattere oggettivo, per cui ciascuno può attribuire valore di verità V o F secondo i propri gusti; S presenta una variabile e quindi non si può stabilire se è vera o falsa. Ad esempio se x = 4 allora S è vera, se x = −1 oppure x = penna allora S è falsa. Esempio 27. Se si usano i quantificatori, si ha: ∀x ∈ Z allora x è positivo. Questa è una proposizione che ha valore di verità F. ∃x ∈ Z tale che x è positivo. Questa è una proposizione che ha valore di verità V, ad esempio esiste il numero intero x = 2 che è positivo. Esempio 28. P: Parigi è una citta in Puglia. F Esempio 29. P: La bici è verde.( Quale bici? È detrerminata la bici di cui stiamo parlando?) Esempio 30. P: z+2=5. Questa non è una proposizione visto che non si può dire se è vera o falsa. Se z = 3 allora è vera, se z = 4 allora è falsa. 3. Negazione, Congiunzione, Disgiunzione, Implicazione Le proposizioni possono essere combinate tramite i connettivi logici per costruire altre proposizioni. 5 Data una proposizione, con la negazione costruiamo una nuova proposizione. Definizione 12. (NEGAZIONE) Data una proposizione P , la negazione della proposizione P si indica con P̄ oppureqP. Se P è vera allora P̄ è falsa. Se P è falsa allora P̄ è vera. Esempio 31. P : Roma è una citta del Lazio. V P̄ : Roma non è una citta del Lazio. F Esempio 32. P : Parigi è una citta in Puglia. F P̄ : Parigi non è una citta in Puglia. V Dalla definizione si deduce subito la tavola di verità della negazione P P̄ V F F V. 5Inotrodotto dal matematico Inglese George Boole, The Laws of Tought, 1854. APPUNTI DELLE LEZIONI DI MATEMATICA DISCRETA 11 Esempio 33. Scrivere la negazione della seguente proposizione. P: Ogni giorno Marco va a Roma ( ∀). Allora si ha: P̄ : Non è vero che ogni giorno Marco va a Roma = Esiste un giorno in cui Marco non va a Roma (∃). Esempio 34. Scrivere la negazione della seguente proposizione. P: Esiste un numero pari (∃). Allora si ha: P̄ : Non esiste un numero pari = Ogni numero non è pari ( ∀) = Ogni numero è dispari ( ∀). La negazione costruisce da una proposizione una nuova proposizione. Ora introduciamo i connettivi logici, che da due proposizione, costruiscono altre proposizioni. Definizione 13. (CONGIUNZIONE, ∧) Siano P e Q due proposizioni. La proposizione “P e Q ”(congiunzione di P e Q) si denota con P ∧ Q. È vera quando P e Q sono entrambe vere ed è falsa altrimenti (ovvero è falsa quando una delle due è falsa). La tavola di verità della congiunzione è: P Q P∧Q V V V F F V F F V F F F. Esempio 35. Scrivere la congiunzione delle seguenti proposizioni. P : Il cellulare è vecchio. Q: Il cellulare è a led. Allora si ha: P ∧ Q: Il cellulare è vecchio ed è a led. Esercizio 7. Scrivere la congiunzione delle seguenti proposizioni. P : La mosca è un insetto. Q: 4 è un numero dispari. Allora si ha: P ∧ Q: La mosca è un insetto e 4 è un numero dispari. Certamente P ∧ Q ha valore di verità F perchè P ha valore di verità V ma Q ha valore di verità F. Definizione 14. (DISGIUNZIONE, ∨) Siano P e Q due proposizioni. La proposizione “P o Q ”(disgiunzione di P e Q) si denota con P ∨ Q. È falsa quando P e Q sono entrambe false ed è vera altrimenti (ovvero vera quando almeno una delle due è vera). Si deduce la tavola di verità della disgiunzione: 12 DONATELLA IACONO P Q P∨Q V V V F F V F F V V V F. Esempio 36. Scrivere la disgiunzione delle seguenti proposizioni. P : Il cellulare è un iphone. Q: Il cellulare è un lumia. Allora si ha: P ∨ Q: Il cellulare è un iphone o un lumia. Esempio 37. Scrivere la tabella di verità di P ∧ P̄ . P P̄ P ∧ P̄ V F F V La proposizione P ∧ P̄ è sempre falsa. F F Definizione 15. Una proposizione sempre falsa si dice contraddizione. Esempio 38. Scrivere la tabella di verità di P ∨ P̄ . P P̄ P ∨ P̄ V F F V La proposizione P ∨ P̄ è sempre vera. V V Definizione 16. Una proposizione sempre vera si dice tautologia. Esempio 39. P : Ogni giorno vado a Roma. Q: Ogni giorno uso il cellulare. Scrivere P ∧ Q e la sua negazione P ∧ Q. P ∧ Q: Ogni giorno vado a Roma e ogni giorno uso il cellulare P ∧ Q: Non è vero che ogni giorno vado a Roma e ogni giorno uso il cellulare = Esiste almeno un giorno in cui non vado a Roma o esiste almeno un giorno in cui non uso il cellulare. Esempio 40. P : Ogni giorno vado a Roma. Q: Ogni giorno uso il cellulare. Scrivere P ∨ Q e P ∨ Q. P ∨ Q: Ogni giorno vado a Roma o ogni giorno uso il cellulare P ∨ Q: Non è vero che ogni giorno vado a Roma o ogni giorno uso il cellulare = Esiste almeno un giorno in cui non vado a Roma ed esiste almeno un giono in cui non uso il cellulare. Definizione 17. (IMPLICAZIONE, −→) Siano P e Q due proposizioni. La proposizione implicazione “P implica Q ”si denota con P −→ Q ed è falsa quando P è vera e Q è falsa ed è vera altrimenti, (ovvero se P è vera allora Q deve essere vera). Possiamo costruire la tavola di verità della implicazione. P Q P −→ Q V V V F F V F F Se P è falsa tutto può succedere. V F V V APPUNTI DELLE LEZIONI DI MATEMATICA DISCRETA 13 Esempio 41. Scrivere l’implicazione delle seguenti proposizioni: P: La penna bic scrive. Q: La penna bic ha inchiostro. P −→ Q: Se la penna bic scrive allora la penna bic ha inchiostro. Se la penna non scrive non possiamo sapere se ha inchiostro o meno. Esempio 42. P: Mario va negli stati uniti Q: Mario ha il passaporto P −→ Q: Se Mario va negli Stati Uniti allora Mario ha il passaporto. Se Mario non va negli Stati Uniti non possiamo dire nulla Esempio 43. (Differenza con i linguaggi di programmazione) P: 2+4=6 Q: x:=x+1 P −→ Q: if 2+4=6 then x:=x+1 Se assegnamo alla x = 0, allora ci restituisce x = 1. Intanto non sono proposizioni, P è una proposizione mentre Q è un programma da eseguire. Il computer esegue solo se la prima è vera altrimenti non fa nulla. Definizione 18. (DOPPIA IMPLICAZIONE ←→) La doppia implicazione di P e Q è una proposizione che è vera solo se P e Q sono entrambe vere o entrambe false. Si denota con P ←→ Q, e si legge P se e solo se Q. La tavola di verità dell’equivalenza è: P Q P ←→ Q V V V V F F F F V F F V Quindi la doppia implicazione è vera quando sono vere entrambe le implicazioni P −→ Q e Q −→ P Definizione 19. (EQUIVALENZA ⇐⇒) Due proposizioni P e Q si dicono equivalenti e si scrive P ⇐⇒ Q, se P è vera se e soltanto se Q è vera, ovvero se P e Q hanno le stesse tavole di verità. In tal caso diremo P è equivalente a Q. Notiamo che P ⇐⇒ Q se e solo se la proposizione P ←→ Q è una tautologia. Osservazione 10. Qui potrebbe nascere un pó di confusione sulla differenza tra P ←→ Q e P ⇐⇒ Q. La prima è una proposizione con i suoi valori di verità riassunti nella tavola. La seconda P ⇐⇒ Q non è una proposizione ma il simbolo ⇐⇒ rappresenta che le due proposizioni sono equivalenti. Le due proposizioni sono equivalenti quando la loro doppai implicazione è una tautologia. Esercizio 8. Siano P e Q due proposizioni. Dimostrare che le seguenti proposizioni sono equivalenze: P ∧ Q ⇐⇒ P ∨ Q Fare tavole di verità. e P ∨ Q ⇐⇒ P ∧ Q 14 DONATELLA IACONO Esempio 44. Consideriamo le proposizioni: P : Il computer ha Linux (come sistema operativo). Q: Il computer ha 500GB (di hard disk). Le proposizioni negazione di P e di Q sono: P : Non è vero che il computer ha Linux = il computer non ha Linux. Q: Non è vero che il computer ha 500GB= il computer non ha 500GB. Allora abbiamo: P ∨ Q: Il computer ha Linux o 500GB. P ∨ Q: Non è vero che il computer ha Linux o 500GB = il computer non ha Linux e non ha 500GB= P ∧ Q. P ∧ Q: Il computer ha Linux e 500GB. P ∧ Q: Non è vero che il computer ha Linux e 500GB = il computer non ha Linux o non ha 500GB= P ∨ Q. Esempio 45. Consideriamo le Proposizioni degli Esempi 39 e 40. P : Ogni giorno vado a Roma. Q: Ogni giorno uso il cellulare. Abbiamo considerato la negazione P ∧ Q: Non è vero che ogni giorno vado a Roma e ogni giorno uso il cellulare = Esiste almeno un giorno in cui non vado a Roma o esiste almeno un giorno in cui non uso il cellulare. Le proposizioni negazione di P e di Q sono: P : Non è vero che ogni giorno vado a Roma = Esiste almeno un giorno in cui non vado a Roma. Q: Non è vero che giorno uso il cellulare = Esiste almeno un giorno in cui non uso il cellulare. La proposizione P ∨ Q risulta essere P ∨ Q: Esiste almeno un giorno in cui non vado a Roma o esiste almeno un giorno in cui non uso il cellulare = P ∧ Q. La proposizione P ∨ Q risulta essere P ∨ Q: Non è vero che ogni giorno vado a Roma o ogni giorno uso il cellulare = Esiste almeno un giorno in cui non vado a Roma ed esiste almeno un giono in cui non uso il cellulare = P ∧ Q. Esercizio 9. Siano P e Q due proposizioni. Dimostrare che P −→ Q equivale a Q −→ P . P Q P Q P −→ Q Q −→ P V V F F V V V F F V F F F V V F V V F F V V V V 3.1. Tecniche di dimostrazione. Cosa Significa provare un teorema? Un teorema è una affermazione che vogliamo dimostrare essere vera. Generalmente è della forma Se P allora Q. P è detta ipotesi del teorema e Q è la tesi. Quindi vogliamo dimostrare l’implicazione. Poiche è falsa solo nel caso in cui P è vera e Q è falsa, per dimostrare che è vera basta dimostrare che se P è vera allora anche Q è vera. Per questo si dice, nel teorema c’è l’ipotesi vera e vogliamo dimostrare vera anche la tesi. In generale in un teorema useremo la notazione P =⇒ Q, Q è conseguenza logica di P. Dimostrazione diretta: è appunto assumere P vera e usando, definizioni, cose gia note o dimostrate, assiomi e connettivi logici, provare che anche Q vera. APPUNTI DELLE LEZIONI DI MATEMATICA DISCRETA 15 Dimostrazione indiretta: Poichè P −→ Q equivale a qQ −→ qP , allora per dimostrarlo basta dimostrare che qQ −→ qP è vera. Quindi si assume vera qQ e si dimostra vera qP . Per Saperne di più. A cosa serve la logica? La logica è alla base del ragionamento matematico e non solo. È alla base della programmazione, dell’intelligenza artificiale, dei linguaggi di programmazione, etc.. Per capire la matematica, dobbiamo capire cosa è un ragionamento corretto, ovvero una dimostrazione. Una volta che con un ragionamento logico abbiamo provato che una affermazione è vera, allora l’affermazione la chiamiamo teorema e il nostro ragionamento logico la sua dimostrazione. Le dimostrazioni, non sono solo un artificio (o tortura) che piace ai matematici, le dimostrazioni sono fondamentali nella computer science. Le dimostrazioni sono usate nel linguaggio di programmazione per verificare che l’output è corretto per tutti i possibili input. Sono usate per verificare che gli algoritmi usati danno i risultati corretti e ovviamente sono alla base dell’intelligenza artificiale. Inoltre conoscendo una dimostrazione di un teorema, spesso ci suggerisce l’idea di come poterla estendere e modificare per applicarla in nuovi casi. Analizzando varie tecniche dimostrative, implementiamo il nostro bagaglio di strategie da utilizzare per affrontare e superare problemi tecnici nell’ambito dell’Informatica. Vedremo vari metodi di dimostrazioni, e li useremo per prendere pratica con queste tecniche. Uno degli obiettivi principali del corso è capire cosa sia un ragionamento corretto e soprattutto come costruirlo, in modo da poter utilizzare queste tecniche nei campi dell’Informatica. Check list. In questo capitolo abbiamo introdotto tutti i simboli logici che useremo: ∨, ∧, P̄ , −→, =⇒, ←→, ⇐⇒ . 16 DONATELLA IACONO 4. Funzioni Definizione 20. (FUNZIONE) Dati due insieme A e B, una funzione (o applicazione) f dall insieme A all’insieme B è una legge che ad ogni elemento di A associa un unico elemento dell’insieme B. Notazione f : A −→ B. A è l’insieme di partenza ed è anche detto dominio di f . B è l’insieme di arrivo di f . Formalmente, ∀a ∈ A ∃!b ∈ B tale che f (a) = b Se f (a) = b, allora b è il valore della funzione in a, b è detto immagine di a; per definizione b è unico. Per indicare f (a) = b si usa anche la notazione a 7→ b. Fare graficamente con i diagramma di Venn. Esempio 46. Siano A = {a, b, c} e B = {2, 4, 6} e f : A → B la legge che associa ad a 7→ 4, b 7→ 4, c 7→ 2. Tale f è una funzione. Esempio 47. f :N→N ∀n∈N f (n) = n + 3 ovvero f (n) = n + 3 è una funzione. Ad esempio f (1) = 4, f (10) = 13 e f (0) = 3. Esempio 48. f :Z→N ∀n∈N n 7→ n + 3 ovvero f (n) = n + 3 Non è una funzione perché f(-10)= -10+3=-7 che non appartiene ad N. Si puó chiamare la legge anche g, h, etc.. Cosı̀ come anche l’elemento dell’insieme. Esempio 49. Consideriamo g:Q→R ∀x∈Q g(x) = 4 . x−2 Allora g NON è una funzione, perché g(2) non è definito. Esempio 50. Consiedriamo g : Q \ {2} → R ∀ y ∈ Q \ {2} g(y) = 4 . y−2 Allora g è una funzione. Esempio 51. Siano A = {citta0 d0 Italia} e B = {regioni d0 Italia} e f la legge che associa ad ogni città la regione di appartenza, f : A → B è una funzione ben definita. La legge g che associa ad ogni città una regione a cui non appartiene non è ben definita, perché ad una città non corrisponde una unica regione. Definizione 21. (FUNZIONI che COINCIDONO) Due funzioni f e g coincidono (si dice anche sono uguali ) se e solo se hanno lo stesso insieme di partenza A, lo stesso insime di arrivo B, e f (a) = g(a) ∀a ∈ A. Esempio 52. f :N→N ∀n∈N f (n) = 6n + 3 ovvero f (n) = 6n + 3, e g:N→N ∀n∈N g(n) = (1 + 2n)3 coincidono. Infatti ∀n ∈ N si ha 6n + 3 = (1 + 2n)3. APPUNTI DELLE LEZIONI DI MATEMATICA DISCRETA 17 Nota Bene 3. f :N→N ∀n∈N f (n) = 6n + 3 ∀t∈N f (t) = 6t + 3 e f :N→N sono la stessa funzione. Definizione 22. (IMMAGINE) L’immagine (o immagine diretta) di una funzione f : A → B si indica con Im(f ) oppure f (A) ed è il sottoinsieme di B i cui elementi sono le immagini di tutti gli elementi di A, ovvero f (A) ⊆ B f (A) = {b ∈ B | ∃a ∈ A con f (a) = b} = {f (a) | a ∈ A}. In generale, dato un sottoinsieme A0 ⊆ A. L’immagine di A0 è il sottoinsieme f (A0 ) ⊆ B con f (A0 ) ⊆ B f (A0 ) = {b ∈ B | ∃a ∈ A0 con f (a) = b}. Grafico di Venn. Esempio 53. Sia assegnata la seguente funzione g:Z→Z ∀a∈Z g(a) = 4a A0 Calcolare l’immagine g(Z) e di = {1, −1, −3, −4, 0}. Allora, g(Z) = {b ∈ Z | ∃a ∈ A con g(a) = b} = = {b ∈ Z | ∃a ∈ A con b = 4a} = multipli di 4 . g(A0 ) = {b ∈ Z | ∃a ∈ A0 con g(a) = b } g(1)=4, g(-1)=-4, g(-3)=-12, g(-4)=-16, g(0)=0. Quindi g(A0 ) = {−4, 4, 0, −16, −12} Esempio 54. Se consideriamo f :N→N ∀n∈N f (n) = n + 3, allora Im(f ) = f (N) = N \ {0, 1, 2}. Per Saperne di più. Proprietà Sia f : A → B una funzione, e sia X ⊆ A Allora: (1) f (X) = ∅ se e solo se X = ∅ (2) Notazione f ({a}) = {f (a)} Definizione 23. (CONTROIMMAGINE) Sia data una funzione f : A → B e sia Y ⊆ B. La controimmagine di Y (o immagine inversa o immagine reciproca di Y ) è il sottoinsieme di A, e si indica f −1 (Y ), costituito da tutti gli elementi di A la cui immagine appartiene a Y , ovvero f −1 (Y ) ⊆ A f −1 (Y ) = {a ∈ A | f (a) ∈ Y }. In particolare, f −1 (B) = {a ∈ A | f (a) ∈ B} = A. Esempio 55. Sia assegnata la seguente funzione g:Z→Z ∀a∈Z g(a) = 4a Calcolare la controimmagine di Y = {5, 7}, D = {16} e di C = {2, −4, 0}. Allora, g −1 (Y ) = {x ∈ Z | g(x) ∈ Y = {5, 7}} = {x ∈ Z | g(x) = 5 o g(x) = 7} = {x ∈ Z | 4x = 5 o 4x = 7} = ∅. 18 DONATELLA IACONO g −1 (D) = {4}. g −1 (C) = {−1, 0}. Osservazione 11. Data la funzione f : A → B, si usa spesso la notazione f −1 ({b}) = f −1 (b) con b ∈ B. In generale non è detto che f −1 (b) sia un insieme con un unico elemento. Esercizio 10. f :R→R Calcolare f −1 (1) e f −1 (−4). ∀x∈R f (x) = x2 Esempio 56. (Funzione COSTANTE) Siano A e B due insieme e sia b0 ∈ B un elemento fissato. Allora possiamo definire la funzione costante f :A→B ∀a ∈ A f (a) = b0 . Tutit gli elementi di A sono mandati in b0 . f −1 (b0 ) = A, f −1 (c) = ∅ per ogni c 6= b0 f (A0 ) = b0 per ogni sottoinsieme A0 non vuoto di A. Diagramma di Venn. Esempio 57. f :R→R ∀x ∈ R f (x) = 3 manda tutto in 3. Esempio 58. (Funzione IDENTITÀ) Sia A un insieme. Allora possiamo definire la funzione identità (o funzione identica) f = idA : A → A ∀a ∈ A f (a) = a. Ogni elemento mandato in se stesso. Si usa anche la notazione IdA . Esempio 59. Consideriamo f :R→R ∀x∈R f (x) = x. Allora f manda ogni elemento in se stesso, ovvero f è la funzione identità. Proprietà Sia f : A → B una funzione, e siano X, X 0 ⊆ A e Y, Y 0 ⊆ B. Allora: (1) f (X ∩ X 0 ) ⊆ f (X) ∩ f (X 0 ) (2) f (X ∪ X 0 ) = f (X) ∪ f (X 0 ) (3) f −1 (Y ∩ Y 0 ) = f −1 (Y ) ∩ f −1 (Y 0 ) (4) f −1 (Y ∪ Y 0 ) = f −1 (Y ) ∪ f −1 (Y 0 ) Dimostrazione. Proviamo la 1 Dobbiamo dimostrare che per ogni z ∈ f (X ∩ X 0 ) allora z ∈ f (X) ∩ f (X 0 ). Sia z ∈ f (X ∩ X 0 ), allora z = f (x) con x ∈ X ∩ X 0 ovvero x ∈ X e x ∈ X 0 . Quindi z = f (x) con x ∈ X ovvero z = f (x) ∈ f (X) e allo stesso modo z = f (x) ∈ f (X 0 ). Quindi z ∈ f (X) ∩ f (X 0 ). Il viceversa non è vero. Esempio 60. f :R→R ∀x ∈ R f (x) = x2 Sia X = {−2, 0} e X 0 = {0, 2} allora f (X) = {0, 4}, f (X 0 ) = {0, 4} e quindi f (X) ∩ f (X 0 ) = {0, 4}. Invece, X ∩ X 0 = {0} e f (X ∩ X 0 ) = {f (0)} = {0}. Utile introdurre grafico di una funzione. APPUNTI DELLE LEZIONI DI MATEMATICA DISCRETA 19 Definizione 24. (GRAFICO) Il grafico di una funzione f : A → B è un sottoinsieme del prodotto cartesiano A × B, costituito dalle coppie ordinate (a, f (a)), al variare di a ∈ A. Ovvero Γ(f ) = {(a, f (a)) ∈ A × B | a ∈ A}. Esempio 61. Consideriamo f :R→R ∀x ∈ R f (x) = x2 . Allora il grafico di f : Γ(f ) = {(x, f (x)) ∈ R × R | x ∈ R} = {(x, x2 ) ∈ R × R | x ∈ R}. Osservazione 12. Nel corso di Analisi studierete in maniera approfondita il concetto di grafico. 4.1. Funzioni Iniettive. Definizione 25. (INIETTIVA) Sia f : A → B una funzione. f è detta funzione iniettiva se elementi distinti di A hanno immagini distinte in B. Ovvero, ∀a, a0 ∈ A con a 6= a0 =⇒ f (a) 6= f (a0 ). Equivalentemente ∀a, a0 ∈ A f (a) = f (a0 ) =⇒ a = a0 . (L’equivalenza è dovuta al fatto che P −→ Q equivale a qQ −→ qP , Esercizio 9.) Digramma di Venn Esempio 62. Consideriamo f :Z→Z ∀n ∈ Z Allora la funzione f è iniettiva. Infatti, che implica n = n0 . ∀n, n0 f (n) = 3n − 4. ∈ Z, se f (n) = f (n0 ) allora 3n−4 = 3n0 −4 Esempio 63. La funzione f :Z→N ∀n ∈ Z f (x) = x2 non è iniettiva. Infatti, f (−2) = 4 = f (2). Esempio 64. La funzione f :Z→N ∀x ∈ Z f (x) =| x | non è iniettiva. La funzione modulo è definita nel seguente modo: ( x se x ≥ 0, |x| = −x se x < 0; Esempio 65. Consideriamo f :N→N ∀x ∈ N f (x) = 2x. Allora f è iniettiva. Esempio 66. La funzione costante è iniettiva? Siano A e B due insieme e sia b0 ∈ B un elemento fissato. Allora possiamo definire la funzione costante f :A→B ∀a ∈ A f (a) = b0 . Tutto mandato in b0 . Quindi la funzione costante è iniettiva se e solo se A contiene un solo elemento. 20 DONATELLA IACONO Esempio 67. In generale, siano a, b ∈ R. Consideriamo la funzione f :R→R ∀x ∈ R f (x) = ax + b. La funzione f è iniettiva? Se a = 0 no perché funzione costante. Altrimenti, se a 6= 0, allora f (x) = f (y) se e solo se ax + b = ay + b se e solo se x = y quindi iniettiva. Nota Bene 4. Se f : A → B è una funzione iniettiva, allora per ogni b ∈ B l’insieme controimmagine f −1 (b) ha al più un elemento. 4.2. Funzioni Suriettive. Definizione 26. (SURIETTIVA) Sia f : A → B una funzione. f è detta funzione suriettiva se Im(f ) = f (A) = B, ovvero se ∀y ∈ B ∃a ∈ A con f (a) = b. Grafico Venn Esempio 68. Consideriamo f :Z→Z ∀n ∈ Zf (n) = 3n − 4. Allora f non è suriettiva. Infatti, ci chiediamo, è vero che ∀b ∈ Z, esiste n ∈ Z tale che f (n) = z? Dire che 3n − 4 = b allora 3n = b + 4 ovvero n = b+4 3 , ma appartiene a Z per ogni scelta di b in Z? non sempre! Quindi non è suriettiva. Esempio 69. Consideriamo f :Q→Q ∀n ∈ Qf (n) = 3n − 4. Allora f è suriettiva. Esempio 70. La funzione costante è suriettiva? Siano A e B due insieme e sia b0 ∈ B un elemento fissato. f :A→B a 7→ b0 ∀a ∈ A. Tutto mandato in b0 . La funzione costante è suriettiva se e solo se B è un elemento. Esempio 71. In generale, siano a, b ∈ R. Consideriamo la funzione f :R→R x 7→ ax + b ∀x ∈ R. La funzione f è suriettiva? Se a=0 no perché funzione costante. Altrimenti, se a 6= 0, allora f è suriettiva se e solo se ∀y ∈ R esiste x ∈ R con f (x) = y. Questo equivale a ax + b = y ovvero x = y−b a ∈ R. Quindi si suriettiva per ogni a 6= 0. Esempio 72. f :Z→N ∀x ∈ Z f (x) = x2 f :Q→Q ∀x ∈ Z f (x) = x4 f :R→R ∀x ∈ R f (x) = x5 non è suriettiva. non è suriettiva. Esempio 73. è suriettiva. Nota Bene 5. Come abbiamo visto la nozione di iniettiva e suriettiva, dipendono anche dall’ insieme di aprtenza e dall’ insieme di arrivo e non solo dalla legge. Nota Bene 6. f : A → B è una funzione suriettiva, se e solo se f −1 (b) 6= ∅, per ogni b ∈ B. APPUNTI DELLE LEZIONI DI MATEMATICA DISCRETA 21 4.3. Funzioni Biettive. Definizione 27. (BIETTIVA) Una funzione f : A → B è detta funzione biettiva se è sia iniettiva che suriettiva. Ovvero ∀b ∈ B, ∃! a ∈ A con f (a) = b Infatti ∀a, a0 ∈ A con a 6= a0 =⇒ f (a) 6= f (a0 ) e ∀b ∈ B, ∃a ∈ A con f (a) = b Allora, per ogni b ∈ B l’insieme controimmagine f −1 (b) è costituito esattamente da un elemento. Osservazione 13. Terminolgia: Una funzione biettiva spesso è chiamata anche corrispondenza biunivoca. Esempio 74. Sia A un insieme non vuoto, allora la funzione identità è biettiva. Esempio 75. Si consideri f :R→R f (x) = x5 − 4. ∀x ∈ R La funzione f è biettiva? Come si dimostra? Esempio 76. f :Z→N ∀x ∈ Z f (x) = x2 non è biettiva, poiché non è ne suriettiva ne iniettiva. f :Q→Q ∀x ∈ Z f (x) = x4 non è suriettiva ne iniettiva e quindi no non è biettiva. Esempio 77. In generale, siano a, b ∈ R. Consideriamo la funzione f :R→R x 7→ ax + b ∀x ∈ R. Se a 6= 0 allora biettiva. 4.4. Composizione di Funzioni. Definizione 28. (COMPOSIZIONE) Date due funzioni f : A → B e g : B → C, la funzione composizione di f e g, si indica con g ◦ f (si legge anche g dopo f , oppure g cerchietto f ) ed è la funzione g ◦ f : A → C tale che ∀a∈A (g ◦ f )(a) = g(f (a)) ovvero f g A −→ B −→ B a 7→ f (a) 7→ g(f (a)) ovvero prima facciamo f e poi facciamo g. Il dominio della funzione composta g ◦ f è uguale al dominio di f , l’insieme di arrivo di g ◦ f è quello di g. Nota Bene 7. In generale si ha g ◦ f 6= f ◦ g, a volte non sono definite entrambe. Esempio 78. Si considerino f :N→N ∀x ∈ N f (x) = x2 , g:N→N ∀x ∈ N g(t) = t + 2. Calcolare se esistono g ◦ f e f ◦ g. Esiste g ◦ f ? Si insieme arrivo di f =dominio g allora g ◦ f : N → N : ∀a ∈ N a 7→ a2 7→ a2 + 2. 22 DONATELLA IACONO Esiste f ◦ g ? Si insieme arrivo di g =dominio f allora f ◦ g : N → N : ∀b ∈ N b 7→ b + 2 7→ (b + 2)2 . Le fuznioni composte sono diverse! Infatti, (g ◦ f )(1) = 3 ed (f ◦ g)(1) = 9. Esempio 79. h : N → Q∗ f : Q∗ → Q ∀x ∈ N ∀y ∈ Q∗ x +1 3 1 g(y) = y h(x) = Calcolare se esistono h ◦ f e f ◦ h. Esiste h ◦ f ? No insieme arrivo di f è diverso dal dominio di g. Esiste f ◦ h ? Si insieme arrivo di h =dominio f allora x 1 3 f ◦h:N→Q: ∀x ∈ N x 7→ + 1 7→ x = . 3 x+3 3 +1 PROPRIETÀ della composizione di funzioni. (1) (ASSOCIATIVA) Siano f : A → B, g : B → C e h : C → D, tre funzioni allora h ◦ (g ◦ f ) = (h ◦ g) ◦ f . (2) Siano f : A → B una funzione e IdA : A → A e IdB : B → B le funzioni identità di A e B, rispettivamente. Allora si ha f ◦ IdA = IdB ◦ f = f. (3) Se f : A → B e g : B → C sono funzioni invettive, allora g ◦ f è iniettiva, ma non è vero il viceversa. (4) Se f : A → B e g : B → C sono funzioni suriettive, allora g ◦ f è suriettiva, ma non è vero il viceversa. (5) Se f : A → B e g : B → C sono funzioni biettive, allora g ◦ f è biettiva, ma non è vero il viceversa. Esempio 80. Dimostriamo la Proprietà (3) per l’iniettività. Siano f : A → B e g : B → C funzioni iniettive. Supponiamo che (g ◦ f )(a) = (g ◦ f )(a0 ) allora per definizione g(f (a)) = g(f (a0 )), ma g è una funzione iniettiva e quindi f (a) = f (a0 ) ma f è iniettiva e quindi a = a0 ovvero g ◦ f è iniettiva. Esercizio 11. Dimostrare la Proprietà (4): se f : A → B e g : B → C sono funzioni suriettive, allora g ◦ f è suriettiva. Dall’Esempio 80 e dall’Esercizio 11 segue la Proprietà (5) : se f : A → B e g : B → C sono funzioni biettive, allora g ◦ f è biettiva. Il viceversa non è vero. Esempio 81. (CONTROESEMPIO: SURIETTIVITÀ) Esempio di g ◦ f è suriettiva, ma f non è suriettiva. Consideriamo f : A → B e g : B → C A = {1}. B = {a, b, c} C = {t} La funzione f manda tutto in a, la funzione g tutto in t. La composizione è una funzione suriettiva ma f non è suriettiva. Esempio 82. (CONTROESEMPIO: INIETTIVITÀ) Esempio di g ◦ f è iniettiva, ma g non è iniettiva. Consideriamo f : A → B e g : B → C A = {1}. B = {a, b, c} C = {t} La funzione f manda tutto in a, la funzione g tutto in t. La composizione è una funzione iniettiva, ma g non lo è. APPUNTI DELLE LEZIONI DI MATEMATICA DISCRETA 23 4.5. Inversa di Funzioni. Definizione 29. (INVERSA) Sia f : A → B una funzione. La funzione f si dice invertibile se esiste g : B → A tale che g ◦ f = IdA e f ◦ g = IdB . La funzione g se esiste è unica e si chiama funzione inversa di f e si denota con f −1 . Quindi f −1 ◦ f = IdA f ◦ f −1 = IdB Dimostriamo l’unicità dell’inversa: Supponiamo che esistano g : B → A e g 0 : A → B tale che g ◦ f = IdA e f ◦ g = IdB e g 0 ◦ f = IdA e f ◦ g 0 = IdB . Allora abbiamo che g = g ◦ IdB = g ◦ (f ◦ g 0 ) = (g ◦ f ) ◦ g 0 = IdA ◦ g 0 = g 0 . Come determiniamo se una funzione è invertibie? Teorema 1. Sia f : A → B una funzione. La fuznione f è invertibile se e solo se f è biettiva. Osservazione 14. Come facciamo a determinare l’inversa di una funzione biettiva? Sia f : A → B una funzione biettiva, quindi ∀b ∈ B, ∃!a ∈ A con f (a) = b Allora f −1 : B → A è tale che f −1 (b) = a se b = f (a). Esempio 83. h : N → Q∗ biettiva. ∀x ∈ N Esempio 84. f : Q∗ → Q ∀y ∈ Q∗ ad immagine), quindi no biettiva. h(x) = f (y) = 1 y x 3 + 1 non è suriettiva quindi no non è suriettiva (0 non appartiene Esempio 85. Consideriamo h : Q → Q ∀x ∈ Q h(x) = x3 + 1. È una funzione biettiva? Quindi dobbiamo capire se h è una funzione iniettiva e suriettiva. È iniettiva? È vero che ∀a, a0 ∈ A se h(a) = h(a0 ) =⇒ a = a0 ? 0 0 Allora h(a) = h(a0 ) implica che a3 + 1 = a3 + 1 che implica a3 = a3 + 1, che implica a = a0 . Quindi h è iniettiva. È suriettiva?È vero che ∀b ∈ Q, esiste a ∈ Q tale che h(a) = b? Quindi h(a) = b implica b = a3 + 1, ovvero b − 1 = a3 , quindi a = 3(b − 1) ∈ Q. Allora h è suriettiva. Ne segue che h è biettiva e pertanto esiste inversa. La funzione inversa è : h−1 : Q → Q ∀y ∈ Q h−1 (b) = 3(b − 1). 1 Esempio 86. Consideriamo h : Q − {1} → Q∗ ∀x ∈ Q − {1} h(x) = x−1 . È in? 1 ∗ si (dimsotrare). È su? Sia y ∈ Q , esiste x ∈ Q tale che h(x) = y? Quindi y = x−1 . Dato che x 6= 1, possiamo moltiplicare. y(x − 1) = 1. Ora sfruttiamo y 6= 0 e otteniamo x − 1 = y1 che è vero se e solo se x = y1 + 1. Allora h è suriettiva. Ne segue che è biettiva e pertantoe siste inversa. La funzione inversa è : 1 h−1 : Q∗ → Q − {1} ∀y ∈ Q∗ h−1 (y) = + 1. y Esempio 87. h : R → R ∀x ∈ R h(x) = x5 È in e su? Si (da dimostrare). Allora h è suriettiva. Ne segue che è biettiva e pertantoe siste inversa. La funzione inversa è : √ h−1 : R → R ∀y ∈ R h−1 (y) = 5 y. PROPRIETÀ (dimostrate) (1) Siano f : A → B e g : B → C funzioni biettive. Allora si ha che g ◦ f : C → A è biettiva (visto prima: è la Proprietà (5) della composizioni di funzioni) e quindi è invertibile. Inoltre (g ◦ f )−1 = f −1 ◦ g −1 : C → A 24 DONATELLA IACONO (2) Se IdA : A → A è la funzione identica, allora (IdA )−1 = IdA . −1 (3) Sia f : A → B una funzione biettiva. Allora (f −1 ) = f. Dimostriamo la 1) basta dimostrare che la funzione (f −1 ◦ g −1 ) soddisfa la definizione di funzione inversa, ovvero (f −1 ◦ g −1 ) ◦ (g ◦ f ) = IdA e (g ◦ f ) ◦ (f −1 ◦ g −1 ) = IdB . Infatti abbiamo (f −1 ◦ g −1 ) ◦ (g ◦ f ) = f −1 ◦ g −1 ◦ g ◦ f = IdA . e (g ◦ f ) ◦ (f −1 ◦ g −1 ) = g ◦ f ◦ f −1 ◦ g −1 = IdB . Dimostriamo la 2) IdA ◦ IdA = IdA Dimostriamo la 3) f −1 ◦ f = IdA f ◦ f −1 = IdB Nella prossima sezione vediamo come applicare la definizione di funzioni biettive per contare gli elementi di un insieme. Per Saperne di più. In Informatica le funzioni sono molto importanti e vengono usate tantissimo. Un esempio è quando si vuole dare un etichetta ad alcuni oggetti. Dare l’etichetta corrisponde a definire una funzione dal nostro insieme degli oggetti a quello delle etichette possibili (ad un oggetto corrisponde una ed una sola etichetta). Se invece vogliamo associare più etichette ad uno stesso oggetto allora si deve generalizzare il concetto di funzione. Un altro esempio è la funzione di hash usata per capire l’integrita’ di un messaggio. L’hash serve per capire l’integrità di un messaggio La parola inglese significa pasticcio, fare confusione. In crittografia, la funziona di hash serve per avere un controllo del messaggio. L’idea è che questa funzione associa ad un messaggio di lunghezza arbitraria un messaggio di lunghezza fissata (valore di hash, hash message digest o somma di controllo) Deve avere 4 proprietà: - calcolare il message digest in modo facile e veloce - deve essere impossibile capire messaggio dal hash - impossibile modificare messaggio senza cambiare hash - impossibile trovare due messaggi con stesso hash Quindi questa funzione è non invertibile, e soprattutto è iniettiva: se cambiamo anche minimamente il messaggio vogliamo grandi cambiamenti nell’hash di controllo. Come si usa in pratica? Alice calcola hash del messaggio. Poi spedisce messaggio cifrato a Bob e in chiaro la hash trovata (tanto dall’hash non si puo’ ritrovare messaggio proprio perché la funzione non è invertibile). Chi riceve il messaggio lo decifra e poi calcola la hash. Se è diversa da quella spedita in chiaro, allora il messaggio è stato modificato o attaccato da qualcuno. La funzione di hash viene anche usata per aumentare la sicurezza: sarebbe sempre meglio conservare la hash e non la password. Check list. In questo capitolo abbiamo introdotto le funzioni e abbiamo studiato varie nozioni tra cui: grafico, immagine, controimmagine, funzioni, iniettive, suriettive, biettive, composta di funzioni, funzioni invertibili ed inversa. APPUNTI DELLE LEZIONI DI MATEMATICA DISCRETA 25 5. Contare oggetti di un insieme In questa sezione vediamo come applicare la definizione di funzioni biettive per contare gli elementi di un insieme. Quanti elementi ha l’insieme {a, b}? Quanti elementi ha l’insieme {a, ∗, n, b}? Vogliamo rispondere formalmente a questa domanda. Contare gli elementi è un procedimento del tutto naturale. Nel contare, associamo ad ogni elemento un numero 1,2,3....e li prendiamo tutti (suriettiva) e non contiamo uno stesso elemento due volte (iniettiva). Definizione 30. (EQUIPOTENTI) Due insieme A e B si dicono equipotenti, oppure che hanno la stessa cardinalità, oppure la stessa potenza, se esiste una funzione biettiva tra A e B. Osservazione 15. Terminologia: Una funzione biettiva spesso è chiamata anche corrispondenza biunivoca. Esempio 88. Sia A = N e P = {numeri naturali pari} = {n ∈ N | ∃t ∈ N tale che n = 2t}. Consideriamo f : N → P la funzione tale che ∀n ∈ N, f (n) = 2n. Allora f è una funzione biettiva e quindi A e B sono equipotenti, ovvero hanno la stessa cardinalità. Lo stesso per C = { numeri naturali dispari}. Esempio 89. Gli insiemi A = N e D = {7n | n ∈ N} sono equipotenti. Esempio 90. Sia A = {., :, >} e B = {1, 2, 3}. Definiamo g : A → B la funzione g(.) = 2, g(:) = 3, g(>) = 1. Allora g è una funzione biettiva e quindi gli insieme A e B sono equipotenti. (Qui abbiamo fatto una scelta di una funzione biettiva, vedremo quante sono le funzioni biettive in seguito.) Fare Diagramma di Venn. Esempio 91. Sia A = {a, b, c, d} e B = {1, 2, 3}. Non sono equipotenti. Consideriamo gli insieme Jn , al variare di n ∈ N e n 6= 0 definiti da Jn = {1, 2, ..., n} ⊆ N, Quindi J1 = {1}, J2 = {1, 2}, J3 = {1, 2, 3}, etc.. Definizione 31. (FINITO) Un insieme A 6= ∅ si dice finito, se per qualche n ∈ N, con n 6= 0, si ha che A è equipotente a Jn . In questo caso, diremo che la cardinalità dell’insieme finito A è n e scriveremo |A| = n. Un insieme che non è finito si dice infinito. Osservazione 16. Alcuni testi usano In = {0, 1, 2, ..., n − 1} sempre con n elementi. Osservazione 17. La cardinalità di Jn : |Jn | = n e se esiste g : A → Jn biunivoca allora |A| = |Jn | = n. Osservazione 18. Usando il simbolo di cardinalità, due insiemi finiti A e B sono equipotenti se e solo se | A |=| B | ovvero hanno la stessa cardinalità. Osservazione 19. Per convenzione: Se A = ∅ allora A è un insieme finito e |A| = 0. Esempio 92. J6 = {1, 2, 3, 4, 5, 6}, |J6 | = 6. Esempio 93. Quale è la cardinalità di A = {x, b, a, d}? è 4. Infatti esiste una funzione biettiva con J4 . (Jn sono insiemi di riferimento e sono tutti non equipotenti tra loro) Definizione 32. (MINORE o UGUALE) Diremo che l’insieme A ha cardinalità minore o uguale a quello di B, e scriveremo |A| ≤ |B| se e solo se esiste f : A → B funzione iniettiva. Esempio 94. Sia X sottoinsieme di A, X ⊂ A, allora l’inclusione X → A è iniettiva e |X| ≤ |A| 26 DONATELLA IACONO Nota Bene 8. Per ogni n ∈ N, gli insiemi Jn = {1, . . . , n}, hanno la proprietà che non contengono sottoinsiemi propri equipotenti, ovvero 6 ∃ C ( Jn sottoinsieme proprio con f : C → Jn biettiva. (cosi i Jn sono tutti non equipotenti tra loro, per n diversi sono uno contenuto propriamente nell’altro. Quindi non esiste corrispondenza biunivoca tra loro.) Esempio 95. J5 = {1, 2, 3, 4, 5} ha 5 elementi, non esistono sottoinsiemi propri con 5 elementi. In generale, si può concludere che un insieme è finito se e solo se non si può mettere in corrispondenza biunivoca con un suo sottoinsieme proprio. Teorema 2. Siano A e B due insiemi finiti. Se |A| = |B| allora per ogni funzione h : A → B si ha h è iniettiva ⇐⇒ h è suriettiva Dimostrazione. Si può trovare su uno qualsiasi dei testi consigliati. Definizione 33. (INFINITO) Un insieme A 6= ∅ è infinito, se e soltanto se non è finito. Equivalentemente se e solo se esiste un suo sottoinsieme proprio che si può mettere in corrispondenza biunivoca con l’insieme stesso. Ovvero A è infinito ⇐⇒ ∃A0 ⊂ A(A0 6= A) e f : A0 → A biunivoca. Equivalentemente A è un insieme infinito se e solo se esiste una applicazione iniettiva ma non suriettiva da A in se. Esempio 96. Consideriamo l’insieme N. Nell’Esempio 88 abbiamo dimostrato che esiste una corrispondenza biunivoca tra N e il sottoinsieme proprio dei numeri pari P . Pertanto N è infinito. Oppure g : N → N, tale che n 7→ 2n + 1. Immagine sono i numeri dispari, applicazione è iniettiva ma non suriettiva, quindi l’insieme N é infinito. Esempio 97. f : Z → N, tale che se x = 0, 0 f (x) = 2|x| se x < 0, 2x − 1 se x > 0; La funzione f è biettiva pertanto N e Z sono equipotenti. Definizione 34. Un insieme A si dice che ha la potenza del numerabile (o che è numerabile) se è equipotente ad N, ovvero se si può mettere in corrispondenza biunivoca con N. Osservazione 20. L’Esempio 97, dimostra che Z è numerabile. Usando il procedimento diagonale di Cantor, si dimostra che anche Q è numerabile. Al contrario, R non è numerabile, si dice che ha la potenza del continuo, che è strettamente maggiore. Check list. In questo capitolo abbiamo introdotto la cardinalità di un insieme e abbiamo definito quando un insieme è finito e quando è infinito. APPUNTI DELLE LEZIONI DI MATEMATICA DISCRETA 27 6. Principio di Induzione Dato definito Se A parti di un insieme A abbiamo visto che è infinito oppure è finito. Se è finito abbiamo la cardinalità di A usando i sottoinsiemi Jn e l’abbiamo denotata con |A|. è un insieme finito, con |A| = n, quale è la cardinalità di P(A), insieme delle A? ovvero |P(A)| =? Esempio 98. Se A = ∅ P(∅) = {∅}. Allora |P(A)| = 20 = 1. Se A = {1}, allora P(A) = {∅, {1}} = {∅, A}. Allora |P(A)| = 21 = 2. Se A = {1, 2} allora P(A) = {∅, {0}, {1}, {0, 1}}. Allora |A| = 2 e |P(A)| = 4 = 22 . Vogliamo dimostrare un risultato che vale per ogni n ∈ N. Teorema 3. Siano n in N e A un insieme finito con |A| = n, allora |P(A)| = 2n . Nota Bene 9. Vogliamo dimostrare l’ugualglianza per ogni n ∈ N, quindi per infiniti casi. Non si può dimostrare con esempi, altrimenti dovremmo fare un numero infinito di conti. Per dimostrarlo introduciamo uno strumento matematico potentissimo: il Principio di Induzione. Supponiamo di avere per ogni intero n ∈ N una proposizione P (n) che dipende da n e di voler dimostrare che P (n) è vera per ogni n ∈ N ovvero ∀n ≥ 0. 6.1. Principio di Induzione (prima forma). Enunciamo il Principio di Induzione (prima forma). Base induzione: Dimostrare che P (0) è vera. Passo induttivo: Dimostrare che ∀k ∈ N si ha che P (k) vera =⇒ P (k + 1) vera Allora P (n) è vera ∀n ≥ 0 ovvero per ogni n ∈ N. Osservazione 21. In alcuni testi il passo induttivo è P (k − 1) vera =⇒ P (k) vera ∀k ≥ 1. 6.2. Principio di Induzione (seconda forma). Enunciamo il Principio di Induzione (seconda forma). Base induzione: Dimostrare che P (0) è vera. Passo induttivo: Dimostrare che P (h) vera ∀h tale che 0 ≤ h ≤ k =⇒ P (k + 1) vera Allora P (n) è vera ∀n ≥ 0 ovvero per ogni n ∈ N. Idea del perché funziona: Ogni sottoinsimee U di N che contiene 0 e ha la proprietà che se k ∈ U allora k+1 ∈ U deve coincidere con N ovvero U = N. Quindi dobbiamo dimostrare due cose: la base di induzione e il passo induttivo. Per la base di induzione dobbiamo dimostrare che una proposizione è vera: P (0) vera. Per il passo induttivo non dobbiamo dimostrare che P (k) è vera ∀k ≥ 0, ma dobbiamo dimostrare solo una implicazione: ∀k ∈ N se P (k) è vera allora P (k + 1) è vera. Torniamo alla nostra dimostrazione del Teorema 3. Teorema 3. Siano n in N e A un insieme finito con |A| = n, allora |P(A)| = 2n . 28 DONATELLA IACONO Dimostrazione. Usiamo il principio di induzione, la prima forma. Vogliamo dimostrare che ∀n ∈ N la seguente proposizione è vera. P (n) : Se |A| = n, allora |P(A)| = 2n . Dobbiamo dimostrare due cose. 1) Base induzione: Dimostrare che P (0) è vera: se |A| = 0, allora |P(A)| = 20 = 1. Se n = 0, |A| = 0, quindi A = ∅ allora P(A) = {∅} Quindi |P(A)| = 1. Quindi P (0) vera. 2) Passo induttivo: assumiamo vera P (k) (per un qualsiasi k ≥ 0) e dimostriamo che P (k + 1) è vera. Quindi supponiamo vera P (k): Se |A| = k, allora |P(A)| = 2k ; e dimostriamo che questa implica P (k + 1): Se |A| = k + 1, allora |P(A)| = 2k+1 . Quindi, sia |A| = k +1 ovvero A ha k +1 elementi: A = {a1 , . . . ak+1 } = {a1 , . . . , ak }∪ {ak+1 } = A0 ∪ {ak+1 }. Ora |A0 | = k. Per contare i sottoinsiemi di A dobbiamo contare tutti i sottoinsiemi di A0 due volte. In effetti, ogni sottoinsieme di A o contiene ak+1 o non lo contiene. Se non contiente ak+1 allora è un sottoinsieme di A0 , se invece contiene ak+1 è ottenuto da un sottoinsieme di A0 a cui abbiamo aggiunto ak+1 . Infatti dobbiamo contare tutti i sottoinsiemi di A0 (che sono anche sottoinsiemi di A) e quelli ottenuti aggiungendo l’elemento ak+1 ad ognuno di questi sottoinsiemi. Quindi contiamo 2 volte i sottoinsiemi di A0 . Quindi quanti sono i sottoinsiemi di A? Sono tanti quanti quelli di A0 contati due volte (una volta per contare quelli senza ak+1 e una volta per contare quelli con ak+1 ). Ora |A0 | = k quindi per il passo induttivo (P (k) vera) sappiamo che |P(A0 )| = 2k ma allora |P(A)| = 2|P(A0 )| = 2k + 2k = 2 · 2k = 2k+1 ovvero P(k+1) è vera. Quindi abbiamo dimostrato che ∀k ≥ 0 si ha che P (k) vera =⇒ P (k + 1) vera. Quindi il principio di induzione ci dice che P (n) vera ∀n ∈ N. Osservazione 22. Daremo altre due dimostrazioni di questo teorema usando tecniche diverse. Esempio 99. (Gauss6) Dimostrare che ∀n ∈ N la somma dei numeri naturali minori o . Quindi: uguali a n è n(n+1) 2 P (n): 0 + 1 + 2 + · · · n = n(n+1) per ogni n ∈ N. 2 1) Base induzione: Dimoostrare che P (0) è vera. P(0): La somma dei numeri naturali ≤ 0 (ovvero 0) è 0. Quindi P (0) è vera. 0(0+1) 2 = 0, ovvero 0 = 0(0+1) 2 = 2) Passo induttivo: Dimsotrare che ∀k ≥ 0, P (k) vera implica P (k + 1) vera. P (k) : 0 + 1 + 2 + . . . + k = k(k+1) è vera 2 Vogliamo dimostrare P (k + 1) : 0 + 1 + 2 + . . . + k + (k + 1) = (k+1)(k+1+1) sia vera 2 Allora k(k + 1) 0 + 1 + 2 + . . . + k + (k + 1) = (0 + 1 + 2 + . . . + k) + (k + 1) = + (k + 1) = 2 k(k + 1) + 2(k + 1) (k + 2)(k + 1) = . 2 2 6K.F. Gauss, 1777-1855, matematico tedesco. APPUNTI DELLE LEZIONI DI MATEMATICA DISCRETA 29 Ovvero P (k + 1) vera. Quindi abbiamo mostrato che P (k) vera implica P (k + 1) vera. Quindi P (n) è vera ∀n ∈ N. Quando si applica il principio di induzione si devono dimostrare due cose che P (0) è vera e poi l’implicazione. Non si puo dire che P (k) vera per ogni k dimostriamo P (k +1). Si deve dire, che per ogni k, se P (k) vera allora P (k + 1) è vera. Prima di fare altri esempi, descriviamo due generalizzazioni del principio di induzione. Vogliamo dimostrare che P (n) è vera per ogni n ∈ N con n ≥ n0 per un certo fissato n0 ∈ N, prima n0 = 0. Ovvero da n0 in poi. 6.3. Principio di Induzione Generalizzato (prima forma). Enunciamo il Principio di Induzione Generalizzato (prima forma). Base induzione: Dimostrare che P (n0 ) è vera. Passo induttivo: Dimostrare che ∀k ≥ n0 si ha che P (k) vera =⇒ P (k + 1) vera Allora P (n) è vera ∀n ≥ n0 . 6.4. Principio di Induzione Generalizzato (seconda forma). Enunciamo il Principio di Induzione Generalizzato (seconda forma). Base induzione: Dimostrare che P (n0 ) è vera. Passo induttivo: Dimostrare che P (h) vera ∀h tale che n0 ≤ h ≤ k =⇒ P (k + 1) vera Allora P (n) è vera ∀n ≥ n0 . Facciamo esempi sbaglaiti : se non si applica il principio di induzione correttamente allora si possono concludere cose false. Esempio 100. Ogni numero naturale è uguale al successivo (sappiamo gia che è sbagliata!!). Vogliamo dimostrare che ∀n ∈ N la proposizione P (n) : n = n + 1 è vera. Passo induttivo: se P (k) vera allora P (k + 1) vera P (k) : k = k + 1 vera vogliamo dimostrare che P (k + 1) : k + 1 = k + 1 + 1 sia vera. P (k) vera, quindi k = k + 1 sommiamo 1 ad entrambi i membri dell’equazione e otteniano k + 1 = k + 1 + 1. Ne segue che P (k + 1) vera. Quindi abbiamo dimostrato l’implicazione, ovvero il passo induttivo. Il problema è che P (0) è falsa!! Ed è falsa per ogni base dell’induzione n0 ∈ N. Quindi è fondamentale fare entrambi i passi del principio di induzione. Esempio 101. Tutti i gatti hanno lo stesso colore. È come dire in ogni insieme di gatti tutti hanno lo stesso colore. Vogliamo dimostrare che ∀n ∈ N, in ogni insieme con n gatti questi hanno tutti lo stesso colore. 1) Base induzione: Mostriamo che P (1) è vera. P (1): In un insieme di un gatto hanno tutti lo stesso colore. Questo è vero, quindi P (1) è vera. 2) Passo Induttivo: Mostriamo che ∀k ≥ 1 P (k) vera implica P (k + 1) vera P (k): In ogni insieme con k gatti questi hanno tutti lo stesso colore. P (k + 1): In ogni insieme con k + 1 gatti questi hanno tutti lo stesso colore. Prendiamo un insieme con k + 1 gatti, numeriamo i gatti da 1 a k + 1. Per induzione quelli numerati da 1 a k hanno tutti lo stesso colore (sono un insieme con k gatti). Ad esempio hanno tutti lo stesso colore del gatto 2. Analogamente per i gatti numerati da 2 a k + 1, questi sono k gatti e quindi hanno tutti lo stesso colore del gatto numero 2. Allora tutti i gatti hanno lo stesso colore..... eppure qualche dubbio rimane.... 30 DONATELLA IACONO Esercizio 12. Dimostrare col principio di induzione che ∀n ∈ N 20 + 21 + · · · + 2n = 2n+1 − 1. Esercizio 13. Dimostrare col principio di induzione che ∀n ∈ N n(n + 1)(2n + 1) 0 + 12 + 22 + . . . n2 = . 6 Esercizio 14. Dimostrare col principio di induzione che ∀n ∈ N n(n + 1) 2 3 3 3 0 + 1 + 2 + ...n = . 2 Esercizio 15. Dimostrare col principio di induzione che per ogni fisato q ∈ N − {1} e ∀n ∈ N si ha 1 − q n+1 . q0 + q1 + · · · qn = 1−q Check list. In questo capitolo abbiamo introdotto il Principio di Induzione matematico, strumento fondamentale. APPUNTI DELLE LEZIONI DI MATEMATICA DISCRETA 31 7. Successioni Dato un insieme, ci ricordiamo che non importa l’ordine in cui sono disposti gli elementi. Abbiamo visto {a, b, c, d} = {b, c, a, d}. Ora siamo interessati a risolvere un altro problema: vogliamo disporre gli elementi ricordandoci l’ordine, (chi viene prima e chi viene dopo). Quindi etichettiamo gli oggetti con i numeri naturali e questa etichetta ci ricorda l’ordine-la posizione. Definizione 35. (Successione) Una successione in un insieme A è una funzione f : N → A oppure f : N∗ → A. Per indicare l’immagine dell’elemento n, ovvero f (n) si usa la notazione an , (l’etichetta n ci ricorda la posizione). Per indicare una successione si usa la notazione {an }n∈N ( oppure {an }n∈N∗ ) e an è detto il termine n-esimo della successione. Osservazione 23. Notazione: N∗ = N \ {0}. Esempio 102. A = N, f : N → N f = IdN , ovvero ∀n ∈ N, f (n) = n. Quindi an = f (n) = n. In questo caso, {an }n∈N = {n}n∈N . Chi è il centesimo termine? a100 = f (100) = 100 Esempio 103. A = Q, f : N∗ → Q tale che ∀n ∈ N∗ 1 { 3n }n∈N∗ . 1 Chi è il centesimo termine? a100 = f (100) = 300 . f (n) = 1 3n . Quindi {an }n∈N∗ = Esempio 104. A = Q, f : N → Q . f (n) = ( 0 1 n se n = 0, se n = 6 0. a0 = f (0) = 0, quindi {an }n∈N = {0, 1, 12 , . . . }. Chi è il centesimo termine? a100 = f (100) = 1 100 . Esercizio 16. Data f : N → R, tale che f (n) = √ n, determinare a4 , a5 , a11 . Esercizio 17. Data la successione {an }n∈N = { 2 }n∈N , 3 + n2 calcolare i termini a4 , a0 , a9 . Nota Bene 10. {an }n∈N = {aj }j∈N Esempio 105. Esempio di successione: {an }n∈N = {2n }n∈N . Ovvero a0 = 20 = 1 a1 = 21 a2 = 22 an = 2n an = 2 · 2n−1 = 2an−1 . Ogni volta moltiplichiamo per due. Quindi “sembrerebbe”uguale a ( a0 = 20 = 1 an = 2 · an−1 , n > 0. Dopo dimostreremo cosa significa “sembrerebbe ”uguale. Per ora vediamo che questa successione è definita in maniera diversa da quella di prima. Ora il termine n + 1 è espresso in funzione del precedente. Esempio 106. {an }n∈N ( a0 = 1 an = an−1 + 3, n > 0. Se chiediamo chi è il termine 1000, ovvero a1000 , dobbiamo calcolare tutti i termini prima per poterlo determinare. 32 DONATELLA IACONO Definizione 36. (RICORRENZA) Una successione si dice definita per ricorrenza, o ricorsivamente o per induzione, se si definiscono i valori iniziali della successione per n ≤ n0 e si definisce una regola per determinare i valori della successione per ogni n ≥ n0 in funzione dei valori dei termini precedenti. Ovvero una successione ricorsiva esprime il termine n-esimo in funzione dei termini precedenti. Osservazione 24. Molti algoritmi in informatica si basano sulla struttura ricorsiva. Esempio 107. {an }n∈N ( a0 = 0 an = an−1 + n, n > 0. a1 = 1 e a4 ? a4 = a3 + 4 = a2 + 3 + 4 = a1 + 2 + 3 + 4 = 1 + 2 + 3 + 4 = 10 (a0 fissato + legge per calcolare i termini in funzione del precedente) Esempio 108. Progressione geometrica: x, d fisati in R∗ , definiamo {an }n∈N {an }n∈N ( a0 = x an = dan−1 , n > 0. Quindi a0 = x , a1 = xd, e sembrerebbe an = xdn . Esempio 109. Progressione aritmetica: siano x, d fissati in R, definiamo {an }n∈N ( a0 = x an = an−1 + d, n > 0. Quindi a0 = x , a1 = x + d, e sembrerebbe an = x + nd. Se d = 0 abbiamo successione costante. Esempio 110. I numeri fattoriali: {an }n∈N ( a0 = 1 an = n · an−1 , n > 0. a0 = 1 , a1 = 1,.. . Definizione 37. (FORMULA CHIUSA) La formula chiusa di una successione ricorsiva è una formula che esprime direttamente il termine n-simo an usando operazioni in funzione di n e non in funzione dei termini precedenti della successione. Osservazione 25. Trovare la formula chiusa di una successione o algoritmo è un procedimento molto complicato: si usa l’analisi matematica, le funzioni generatrici ed equazioni differenziali. Quindi queste cose sono trattate nei corsi di analisi matematica, noi al più verifichiamo una formula chiusa. Osservazione 26. Trovare una formula chiusa per un algoritmo è molto utile dal punto di vista informatico. Infatti è molto più veloce ed economico da un punto di vista computazionale calcolare un algoritmo con la formula chiusa piuttosto che usare la formula ricorsiva. Esempio 111. Progressione geometrica: x, d fissati in R∗ {an }n∈N ( a0 = x an = dan−1 , n > 0. a0 = x , a1 = xd,..Ogni volta moltiplichiamo per d. Consideriamo la successione {bn }n∈N con bn = xdn . Ci chiediamo è la formula chiusa? ovvero le due successioni coincidono? ovvero an = bn per ogni n ∈ N? Bisogna usare principio di induzione. P (n): an = bn e vogliamo dimostrare questa proposizione per ogni n ∈ N. BASE INDUZIONE. Dimostrare che P(0) è vera. APPUNTI DELLE LEZIONI DI MATEMATICA DISCRETA 33 P (0) : a0 = b0 . Vera in quanto a0 = x e b0 = xd0 = x. PASSO INDUTTIVO: Supponiamo P (k) vera, ovvero ak = bk e dimostriamo P (k + 1) : ak+1 = bk+1 . ak+1 = dak = dbk = d xdk = xdk+1 = bk+1 vero. Allora an = bn per ogni n ∈ N. Esempio 112. Progressione aritmetica: {an }n∈N ( a0 = x an = an−1 + d, n > 0. a0 = x , a1 = x + d,.., consideriamo la successione {bn }n∈N con bn = x + nd. Ci chiediamo è la formula chiusa? ovvero le due successioni coincidono? ovvero an = bn per ogni n ∈ N? Bisogna usare principio di induzione. Esempio 113. {an }n∈N ( a0 = 1 an = n · an−1 , n > 0. Introduciamo i numeri fattoriali: 0! = 1 e n! = n · (n − 1) · · · 2 · 1 consideriamo la successione {bn }n∈N con bn = n!. Ci chiediamo è la formula chiusa? ovvero le due successioni coincidono? ovvero an = bn per ogni n ∈ N? Bisogna usare principio di induzione. Esercizio 18. {an }n∈N ( a0 = 0 an = an−1 + n, n > 0. ammette come formula chiusa {bn }n∈N con bn = n(n+1) . 2 Esercizio 19. {an }n∈N : ( a0 = 20 = 1 an = 2 · an−1 , n > 0. ammette come formula chiusa {bn }n∈N = {2n }n∈N . 7.1. I numeri di Fibonacci. I numeri di Fibonacci7 sono definiti ricorsivamente: {fn }n∈N f0 = 0 f1 = 1 fn = fn−1 + fn−2 , n > 1. Ogni termine della successione è somma dei due precedenti f0 f1 f2 f3 f4 f5 f6 f7 · · · 0 1 1 2 3 5 8 13 · · · I numeri di Fibonacci sono molto studiati perché modellano la crescita di una popolazione di conigli. Infatti, supponiamo che: (1) Una coppia di conigli diventa fertile/matura dopo un mese e procrea un’altra coppia dopo un altro mese. 7Leonardo Fibonacci, matematico Italiano di Pisa, circa 1175-1235. 34 DONATELLA IACONO (2) Al mese zero non abbiamo conigli e al primo mese abbiamo una coppia non matura. (3) I conigli non muoiono mai. Quante coppie di conigli abbiamo al mese n? mese 0 = 0 mese 1 = 1, mese 2=1 (fertile), mese 3=2 coppie (una nuova e una vecchia=fertile) mese 4= 3 coppie (una nuova e due vecchie= fertili) quindi tante fertili quanto quelle del passo prima e tante nuove quante quelle di due passi prima che sono fertili dopo un mese e procreano una coppia dopo un altro mese. Quindi al mese n abbiamo tante coppie quante erano al mese n − 1 (non muoiono) e in piu le nuove coppie che sono tante quante le coppie mature al mese n − 1 ovvero tante quante le coppie al mese n − 2. Quindi fn = fn−1 + fn−2 . Quale è la formula chiusa? Proposizione 3. La successione dei numeri di Fibonacci {fn }n∈N f0 = 0 f1 = 1 fn = fn−1 + fn−2 , n > 1, ammette come formula chiusa la successione {bn }n con " √ !n √ !n # 1+ 5 1− 5 1 − bn = √ 2 2 5 ∀ n ≥ 0. √ Il valore 1+2 5 si indica con Φ e si chiama rapporto aureo (Fidia). È sorprendente che nella formula di bn compaiono potenze di numeri irrazionali, ma bn è un numero naturale. La matematica non smette ami di stupirci. Dimostrazione. Si può trovare su uno qualsiasi dei testi consigliati. 7.2. Le Torri di Hanoi. Il gioco delle Torre di Hanoi è stato pubblicato da E. Lucas8 e consiste nel seguente problema. Supponiamo di avere tre aste (A,B,C) e su una di esse (A) siano posti n-dischi di diametro decrescente dal basso verso l’alto (tipo piramide). Scopo del gioco: trasferire i dischi su un’altra asta in modo che formino la stessa piramide. Regole: 1) I dischi vanno spostati uno alla volta. 2) Non può mai accadere che un disco di diametro maggiore sia poggiato su un disco di diamentro inferiore. Quale è il numero minimo delle mosse per raggiungere lo scopo del gioco? Se n = 0, allora 0 mosse; se n = 1 allora 1 mossa, dobbiamo spostare un solo disco. Se n = 2 allora 3 mosse: spostiamo il disco piccolo su un asta vuota, poi spostiamo il disco grande su l’altra asta libera, e infine mettiamo il disco piccolo sul disco grande. Indichiamo con an = numero delle mosse. Allora a0 = 0 {an }n = an = 2an−1 + 1 n ≥ 1. Infatti, consideriamo n − 1 dischi, allora servono an−1 mosse per spostarle su un’altra asta. Poi spostiamo il disco n-esimo (il più grande) e poi rispostiamo sopra gli n − 1 dischi con altre an−1 mosse. Quindi servono an−1 + 1 + an−1 = 2an−1 + 1 mosse. 8 Édouard Lucas, matematico Francese 1841-1891; gioco pubblicato nel 1883. APPUNTI DELLE LEZIONI DI MATEMATICA DISCRETA 35 Proposizione 4. Verificare che la seguente successione {an }n definita per ricorrenza a0 = 0 {an }n = an = 2an−1 + 1 n ≥ 1. ammette come formula chiusa la successione {bn }n con bn = 2n − 1. Dimostrazione. Dobbiamo dimostrare che P (n): an = bn è vera per ogni n in N. Usiamo il Principio di induzione. Pirma cosa il passo base. Poi bisogna verificare il passo induttivo e concludere. P (n): an = bn e vogliamo dimostrare questa proposizione per ogni n ∈ N. BASE INDUZIONE. Dimostrare che P (0) è vera. P (0) : a0 = b0 . Vera in quanto a0 = 0 = b0 . PASSO INDUTTIVO: Dimostrare che ∀k ∈ N P (k) vera implica P (k + 1) vera. Abbiamo: P (k) : ak = bk (supponiamo vera) P (k + 1) : ak+1 = bk+1 (da dimostrare vera). Allora ak+1 = 2ak + 1 = 2bk + 1 = 2 ∗ (2k − 1) + 1 = 2k+1 − 2 + 1 = 2k+1 − 1 = bk+1 vero. Quindi P (k + 1) è vera e il principio di induzione implica che P (n): è vera per ogni n in N, ovvero an = bn per ogni n ∈ N. P 7.3. Simbolo di Sommatoria. Introduciamo il simbolo di sommatoria: . n X i = 0 + 1 + 2 + ··· + n i=0 Dove i = indice. Questo indica solo la somma dall’indice i = 0 (partiamo da i = 0 fino ad i = n (finiamo ad n) ovvero dobbiamo fare la somma di questi termini. Il simbolo non ci dice quanto fa la somma! Osservazione 27. Noi abbiamo dimostrato nell’Esempio 99 che n X i = 0 + 1 + 2 + ··· + n = i=0 n(n + 1) , 2 il simbolo in se non dice il risultato della somma. Esempio 114. Altri esempi: 3 X 2i = 2 · 0 + 2 · 1 + 2 · 2 + 2 · 3(= 12); i=0 n+1 X i2 = (−1)2 + 0 + 12 + 22 + 32 + · · · + n2 + (n + 1)2 i=−1 In generale, n X ai = a0 + a1 + a2 + · · · + an , i=0 è la somma dei primi n + 1 termini della successione {an }n∈N . Proprietà della sommatoria. n n X X (1) ai = aj indice i o j è la stessa cosa; i=0 j=0 36 DONATELLA IACONO (2) n X ai = i=0 X ai altra notazione; 0≤i≤n (3) Per ogni q ∈ R, n X q = q + q + · · · + q = (n + 1) · q sommiamo lo stesso numero i=0 q, n + 1 volte. (4) Per ogni q ∈ R, (5) n X (ai + bi ) = i=0 (6) n X i=0 ai = t X i=0 n X q · ai = q i=0 n X n X i=0 i=0 ai + ai ; i=0 ai + n X n X bi . (Associatività e Commutativita della somma) ai . i=t+1 Esempio 115. (IMPORTANTE) Un’esempio dell’ultima proprietà che useremo freuentemente: n+1 n X X ai = ai + an+1 . i=0 i=0 Osservazione 28. Nel corso di analisi verranno studiate le successioni e le serie numeriche, che non sono altro che sommatorie con un numero infinito di termini, sarete interessati a capire la convergenza della serie. Check list. In questo capitolo abbiamo definito le successioni, successioni definite per ricorrenza e formula chiusa, numeri di Fibonacci, Torre di Hanoi e introdotto il simbolo di sommatoria. APPUNTI DELLE LEZIONI DI MATEMATICA DISCRETA 37 8. Combinatoria Siano A e B insiemi finiti e non vuoti: A 6= ∅, B 6= ∅. Abbiamo definito le cardinalità |A| e |B| (degli insiemi A e B). Adesso vogliamo contare altro: la cardinalità |A ∪ B|, quante sono le funzioni iniettive da A a B, quante quelle biettive, in quanti modi possiamo scegliere elementi di A,... etc. Esempio 116. A= insieme di 8 auto. B=insieme di 5 biciclette Allora |A| = 8 |B| = 5. A ∪ B è un insieme con 8 auto e 5 biciclette. Allora |A ∪ B| = 8 + 5 = 13. Esempio 117. Abbiamo delle penne. Sia A= insieme di 8 penne blu e B=insieme di 5 penne bic. Allora |A| = 8 |B| = 5. A ∪ B è l’unione dei due insiemi |A ∪ B| non è detto sia 13, perché alcune penne bic potrebbero essere blu. Ricordiamo la definizione di insiemi disgiunti (Definizione 6): due insiemi A e B si dicono disgiunti se A ∩ B = ∅. 8.1. Regola della Somma. Proposizione 5. Se A e B sono insiemi finiti disgiunti, allora |A ∪ B| = |A| + |B|. Quindi se |A| = n e |B| = m allora |A ∪ B| = |A| + |B| = n + m. In generale dati m-insiemi A1 , A2 , . . . , Am a due a due disgiunti, ovvero Ai ∩Aj = ∅ ∀i 6= j. Se |Ai | = ni , m X allora |A1 ∪ A2 ∪ · · · ∪ Am | = |A1 | + |A2 | + · · · |Am | = n1 + n2 + · · · + nm = ni . i=1 Esempio 118. In una classe, ci sono 6 Iphone, 11 Nokia, 8 Samsung. Quanti sono in tutto i cellulari? 8.2. Principio di inclusione-esclusione. Dati due insiemi, la cardinalità di |A ∪ B| è data dal seguente risultato. Proposizione 6. Se A e B sono insiemi finiti, allora |A ∪ B| = |A| + |B| − |A ∩ B|. Dimostrazione. Dobbiamo sottrarre gli elementi che contiamo due volte, ovvero gli elementi contenuti nell’intersezione. Fare diagramma di Venn. Esempio 119. Abbiamo delle penne, Sia A= insieme di 8 penne blu. B=insieme di 5 penne bic e ci sono 3 bic blu Allora |A| = 8 |B| = 5, |A ∩ B| = 3. Allora |A ∪ B| = |A| + |B| − |A ∩ B| = 8 + 5 − 3 = 10. Esempio 120. In una autosalone ci sono 13 BMW e 14 auto grigie e 4 sono BMW grigie. Quante sono in tutto le auto BMW o grigie? Allora |A| = 13 |B| = 14, |A ∩ B| = 4. Allora |A ∪ B| = |A| + |B| − |A ∩ B| = 27 − 4 = 23. Esempio 121. Consideriamo i seguenti insiemi: A = {x ∈ N | x è pari e 3 ≤ x < 31} B = {x ∈ N | 0 ≤ x ≤ 65 e x multiplo di 6 } Determinare |A ∪ B|. A = {4, 6, 8, 10, 12, 14, 16, 18, 20, 22, 24, 26, 28, 30} B = {0, 6, 12, 18, 24, 30, 36, 42, 48, 54, 60} Allora |A| = 14 |B| = 11, |A ∩ B| = |{6, 12, 18, 24, 30}| = 5. Allora |A ∪ B| = |A| + |B| − |A ∩ B| = 14 + 11 − 5 = 20. Scrivere esplicitamente A ∪ B. Questo vale per l’unione due insiemi. E se vogliamo studiare casi più generali? Ad esempio |A ∪ B ∪ C|? In tal caso basta generalizzare la Proposizione 6. 38 DONATELLA IACONO Proposizione 7. Siano A, B, C insiemi finiti. Allora |A ∪ B ∪ C| = |A| + |B| + |C| − |A ∩ B| − |C ∩ B| − |A ∩ C| + |A ∩ B ∩ C|. Dimostrazione. Idea della dimostrazione con i diagrammi di Venn. In |A| + |B| + |C| stiamo contando due volte |A ∩ B| e |C ∩ B| e |A ∩ C| quindi li togliamo; in questo modo, togliamo 3 volte gli elementi in A ∩ B ∩ C e quindi dobbiamo riaggiungerli ovvero dobbiamo sommare |A ∩ B ∩ C|. Dimostriamo, usando il caso a due insiemi studiato nella Proposizione 6: |A ∪ B ∪ C| = |(A ∪ B) ∪ C| = |A ∪ B| + |C| − |(A ∪ B) ∩ C| = |A| + |B| − |A ∩ B| + |C| − |(A ∩ C) ∪ (B ∩ C))| = |A| + |B| − |A ∩ B| + |C| − (|(A ∩ C)| + |(B ∩ C)| − |A ∩ B ∩ C|) = |A| + |B| + |C| − |A ∩ B| − |C ∩ B| − |A ∩ C| + |A ∩ B ∩ C|. Esercizio 20. In una autosalone, ci sono solo A= 13 bmw, B= 20 auto grigie, C= 25 auto 4 porte. Quante sono in tutto le auto bmw o grigie o 4 porte (ovvero |A ∪ B ∪ C|), sapendo che 7 bmw sono grigie, 8 bmw sono 4 porte, 2 bmw sono grigie con 4 porte e ci sono 10 auto grigie con 4 porte? Sketch: Allora |A| = 13 |B| = 20 e |C| = 25 |A ∩ B| = 7. |C ∩ B| = 10 |A ∩ C| = 8 e |A ∩ B ∩ C| = 2 Allora |A∪B∪C| = |A|+|B|+|C|−|A∩B|−|C∩B|−|A∩C|+|A∩B∩C| = 13+20+25−7−10−8+2 = 35. Fare anche con diagrammi di Venn. Esercizio 21. Consideriamo i seguenti insiemi: A = {x ∈ N | x è pari e 3 ≤ x < 31} B = {x ∈ N | 0 ≤ x ≤ 65 e x multiplo di 6} C = {x ∈ N | 0 ≤ x ≤ 50 e x multiplo di 4}. Determinare | A ∪ B ∪ C |. Esercizio 22. In una classe ci sono 76 studenti o di Bari o di Brindisi, 35 sono di Brindisi, 20 hanno occhi chiari, 25 sono di Brindisi e hanno occhi scuri. Supponendo che gli occhi possono essere o chiari o scuri: Quanti sono gli studenti di Bari? Quanti sono gli studenti di Bari con occhi chiari? Quanti gli studenti di Bari con occhi scuri? Quanti sono studenti di Brindisi con occhi chiari? Sketch: In tutto ci sono 76 studenti. 76 − 35 = 41 studenti di Bari (|A ∪ B| = |A| + |B|); 76 − 20 = 56 studenti con occhi scuri (|A ∪ B| = |A| + |B|); 56 − 25 = 31 studenti di Bari con occhi scuri; 41 − 31 = 10 studenti di Bari con occhi chiari; 35 − 25 = 10 studenti di Brindisi con occhi chiari. Esercizio 23. In una classe ci sono 90 studenti, 35 sono donne, 20 hanno l’Iphone, 15 donne hanno l’Iphone. Quanti sono gli studenti maschi e senza Iphone? E quanti maschi con l’ Iphone? Quanti sono gli studenti o maschi o con Iphone? Sketch: 90 − 35 = 55 studenti maschi; Maschi con Iphone: 20-15=5; Quindi maschi senza iphone 55-5=50. Gli studenti o Maschi o con Iphone: |M ∪ I| = |M | + |I| − |M ∩ I| = 55 + 20 − 5 = 70. Abbiamo detto che dati m-insiemi A1 , A2 , . . . , Am a due a due disgiunti, ovvero Ai ∩ Aj = ∅ ∀i 6= j. Allora |A1 ∪ A2 ∪ · · · ∪ Am | = |A1 | + |A2 | + · · · |Am |. APPUNTI DELLE LEZIONI DI MATEMATICA DISCRETA 39 Se A1 , A2 , . . . , Am sono insiemi a due a due disgiunti, con |Ai | = ni . In quanti modi distinti possiamo scegliere un elemento? Ovviamente in n1 + n2 + · · · + nm modi. Esempio 122. Abbiamo 3 penne blu, 3 gialle, 4 rosse, 5 verdi. Ogni penna ha solo una colorazione e quindi abbiamo in tutto 15 scelte di penne. 8.3. Regola del Prodotto. Supponiamo ora che A e B siano due insiemi finiti con |A| = n e |B| = m. Abbiamo definito il prodotto cartesiano A × B. Ci chiediamo quale è la cardinalità di |A × B|. Ricordiamo che A × B = {(a, b) | a ∈ A e b ∈ B}. Un elemento a ∈ A può essere scelto in n modi, un elemento b ∈ B può essere scelto in m modi distinti. Quindi possiamo fare n · m scelte: possiamo scegliere a ∈ A in n modi e per ognuna di queste scelte possiamo scegliere un elemento b ∈ B in m modi. Ovvero |A × B| = nm. Esempio 123. Sia A = {l, m} e B = {a, b, c}. A × B = {(l, a), (l, b), (l, c), (m, a), (m, b), (m, c)} Allora |A × B| = 6. Esercizio 24. Sia A = {1, 3, 5, 6, 7} e B = {2, 3, x, y}. Allora |A × B| = 5 · 4 = 20. Anche se abbiamo più insiemi basta moltiplicare le loro cardinalità. A, B e C siano insiemi finiti con |A| = n, |B| = m e |C| = t. Allora |A × B × C| = nmt. Esercizio 25. Abbiamo 5 modelli di cellulare 4s, 5c ,5s ,6, 6plus e abbiamo disponibili 4 colori per ogni modello. Quante scelte di cellulari diversi abbiamo? 20. Esercizio 26. Abbiamo 5 modelli di cellulare 4s, 5c, 5s , 6, 6plus. Abbiamo disponibili 4 colori per ogni modello. Inoltre possiamo scegliere, le versioni 8gb, 16gb, 32gb, 64gb. Quanti scelte di cellulari diversi abbiamo? Esempio 124. In un negozio abbiamo 5 modelli di jeans, 3 colorazioni, 6 taglie. Quanti jeans diversi abbiamo? Check list. In questo capitolo abbiamo studiato la cardinalità dell’unione di insiemi disgiunti o non disgiunti, Regola della somma, Principio di Inclusione-Esclusione, Regola del prodotto. 40 DONATELLA IACONO 9. Combinazioni e disposizioni Nella sezione precedente ci siamo interessati a quanti modi abbiamo per scegliere un elemento con la regola della somma (scegliere un elemento in una unione di insiemi) e con la regola del prodotto (scegliere un elemento nel prodotto cartesiano di insiemi). In questa sezione invece abbiamo un insieme non vuoto e vogliamo scegliere più di un elemento. Sia A un insieme finito non vuoto con n elementi. Obiettivo: Studiare come si possono scegliere k elementi in un insieme con n elementi. Sicuramente dobbiamo fare delle distinzioni: Caso 1) scegliere k elementi senza ripetizioni (2 sottocasi: se l’ordine è importante o no); Caso 2) scegliere k elementi con ripetizioni (2 sottocasi: se l’ordine è importante o no). 9.1. Caso 1) scegliere k elementi distinti. In quanti modi possiamo scegliere k elementi distinti, ovvero senza ripetizioni, in un insieme di ordine n? Importante: Sicuramente k ≤ n, non possiamo scegliere più elementi distinti, di quanti ne possiede l’insieme. Esistono due sottocasi: i) Scegliere k elementi distinti ordine è importante (k-pla ordinata) “disposizione semplice di n oggetti di classe k”. ii) Scegliere k elementi distinti ordine non è importante (k sottoinsiemi) “combinazione semplice di n oggetti di classe k”. La parola semplice è usata per ricordarci senza ripetizioni, nella Sezione 9.2 vedremo il Caso 2) con ripetizioni. 9.1.1. Caso 1) i): Disposizioni semplici di n oggetti di classe k. In un insieme con n elementi, quanti sono i modi distinti per scegliere k elementi distinti ricordandoci l’ordine? Questo numero si indica con D(n, k) e si ha D(n, k) = n · (n − 1) · · · · · (n − (k − 1)). Perchè? 1 2 3 4 5 ··· k n n-1 n-2 n-3 n-4 · · · n-(k-1). Si può scegliere il primo elemento in n modi, il secondo n − 1 (perché deve essere diverso dal primo), il terzo n − 2 (perché deve essere diverso dal primo e dal secondo già scelti) e cosı̀ via. Osserviamo che n − (k − 1) = n − k + 1. Esempio 125. Se k = 4. D(n, k) = D(n, 4) = n · (n − 1) · (n − 2) · (n − 3). Esempio 126. Se n = 6 k = 3. D(6, 3) = 6 · 5 · 4. Esempio 127. Supponiamo A = {x, y, z} allora n = 3, e sia k = 2. Allora D(n, k) = D(3, 2) = 3(3 − (2 − 1)) = 3(3 − 1) = 6. Quindi ci sono 6 modi distinti per scegliere 2 elementi distinti ricordandoci l’ordine, infatti: xy, yx, xz, zx, yz, zy. Esempio 128. Ci sono 50 autovetture in una gara. In quanti modi diversi possiamo assegnare il 1◦ premio, il 2◦ premio e il 3◦ premio (senza parimerito)? Ovviamente l’ordine è importante! In questo caso n = 50 e k = 3. D(n, k) = D(50, 3) = 50(50 − 1)(50−2) = 50·49·48. Il primo premio può essere assegnato ad una tra le 50 autovetture, il secondo ad una tra le 49 autovetture (tutte tranne quella che ha ricevuto il 1◦ premio) e il terzo ad una tra le 48 autovetture (tutte tranne le due che hanno ricevuto il 1◦ e 2◦ premio). APPUNTI DELLE LEZIONI DI MATEMATICA DISCRETA 41 Osservazione 29. D(n, 1) = n che indica in quanti modi distinti possiamo scegliere un elemento in un insieme con n elementi. Infatti in un insieme con n elementi ne possiamo scegleirei uno in n modi distinti. Osservazione 30. Notare che D(n, k) = n! (n−k)! = n·(n−1)·(n−2)·····(n−(k−1))·(n−k)! (n−k)! Osservazione 31. D(n, k) = numero delle funzioni iniettive da un insieme finito A con |A| = k ad un insieme finito B con |B| = n (ricordiamo k ≤ n: Definizione 32). Infatti, se A = {a1 , a2 , . . . , ak } immagine di a1 può essere scelta in n modi, quella di a2 in n − 1 modi etc. (L’ordine è importante per definire una funzione). Osservazione 32. D(n, n) = n·(n−1)·(n−2) · · · (n−(n−1)) = n·(n−1)·(n−2) · · · 1 = n! Ovvero in un insieme di n elementi possiamo scegliere n! disposizioni semplici. Ovvero dati n elementi possiamo ordinarli in n! modi distinti. Un ordinamento di n oggetti è detto permutazione. Quando introdurremo le strutture algebriche, studieremo il gruppo delle permutazioni su n elementi, che è un gruppo finito di cardinalità n! (Sezione 24). Osservazione 33. D(n, n) = n!= numero delle funzioni biettive da un insieme A ad un insieme B con |A| = |B| = n. Infatti, n! è il numero delle funzioni iniettive ma abbiamo visto che sono anche suriettive, avendo gli insiemi la stessa cardinalità (Teorema 2). Analogamente si può dimostrare considerando che l’ immagine di a1 la possiamo scegliere in n modi, l’immagine di a2 in n−1 modi, . . ., l’immagine di an in un unico modo. Quindi in tutto ci sono n! funzioni biettive. Esercizio 27. Abbiamo 12 automobili e 12 autisti, in quanti modi possiamo distribuire gli autisti nelle automobili? 12! Esercizio 28. Abbiamo 7 camicie e dobbiamo andare a 7 feste diverse usando camicie diverse, in quanti modi diversi possiamo andare alla festa? 9.1.2. Caso 1) ii): Combinazioni semplici di n oggetti di classe k. Scegliere k elementi distinti in un insieme con n elementi e l’ordine non è importante. Ricordiamoci sempre che k ≤ n. Il numero di combinazioni semplici di n oggetti di classe k èil numero dei n sottoinsiemi con k elementi in un insieme di cardinalità n. Si indica con e si ha k n! D(n, k) n = . = k k! k!(n − k)! Questo numero si chiama coefficiente binomiale. Non è altro che il numero delle kple ordinate D(n, k) diviso numero di modi di ordinare le k-ple, che è k! come visto nell’Osservazione 32. Analogamente, possiamo anche ragionare considerando n k! = D(n, k), k n infatti indica il numero di sottoinsiemi con k elementi e lo moltiplichiamo per k! k che è il numero degli ordinamenti possibili di k elementi (Osservazione 32). 5! 5 · 4 · 3! 5 Esempio 129. Calcolare = = = 10. 3 3!(5 − 3)! 3!2! Esempio 130. Supponiamo A = {x, y, z}. Quanti sono i stottoinsiemi con 2 elementi? 3! 3 {x, y}, {x, z},{y, z} sono 3 infatti = = 3. Infatti per l’Esempio 127, 2 2!(3 − 1)! abbiamo xy, yx, xz, zx, yz, zy e poi dividiamo per 2. 42 DONATELLA IACONO Esercizio 29. Abbiamo 50 vetture in gara, quanti sono i podi possibili? Adesso non vogliamo distinguere tra 1◦ , 2◦ e 3◦ , ma solo scegliere la terna di auto. Allora dobbiamo scegliere 3 vetture tra 50 ovvero 50! 50 · 49 · 48 · 47! 50 · 49 · 48 50 = = = = 50 · 49 · 8. 3 3!(50 − 3)! 3!47! 3! n Proprietà di con k ≤ n. k n! n (1) = = 1, unico modo per non scegliere nulla; 0 0!n! n! n = n, ovvero n modi per scegliere 1 elemento (= D(n, 1)); (2) = 1 1!(n − 1)! n! n (3) = = 1, ovvero unico modo per scegliere tutto; n n!(n − n)! n! n! n n n (4) = infatti = = uno è k n−k n−k (n − k)!(n − (n − k))! (n − k)!k! scegliere k elementi tra n, l’altro scegliere n − k elementi tra n. n+1 n n (5) = + . k k k−1 Osservazione 34. La Proprietà (4) dipende dal fatto che scegliendo un sottoinsieme di k elementi in un insieme con n elementi, univocamente è determinato il suo compelmentare, ovvero un sottoinsieme con n − k elementi. Quindi possiamo scegliere tanti sottoinsiemi di cardinalità k tante quante sono le scelte per i complementari, ovvero tanti quanti sono i sottoinsiemi di cardinalità n − k. n+1 n n Esercizio 30. Dimostrare che ∀k ≤ n si ha = + . k k k−1 A cosa possono servire i coefficienti binomiali? Perché si chiamano coefficienti binomiali? I coefficenti binomiali sono i coefficienti della formula dello sviluppo delle potenze di un binomio. Formula di Newton: Per ogni n ≥ 0 si ha n X n k n−k n (x + y) = x y . k k=0 Ricordiamo che (x + y)n = (x + y) · · · (x + y) moltiplicato n volte. Ogni termine prodotto di n fattori scelti tra x e y. Se scegliamo x allora non scegliamo y, quindi se x compare k volte, allora y compare n − k volte. Quindi quale è il coefficiente di xk y n−k ? Basta scegliere k volte la x (poi la y per forza scelta n − k volte). Quindi quanti sono i possibili modi di scegliere la x, quando non importa l’ordine? n Esattamente il numero di modi di scegliere k elementi tra n. Ovvero . k Usiamo i coefficenti binomiali per dare una seconda dimostrazione della cardinalità dell’insieme delle parti di un insieme finito. Proposizione 8. Sia A un insieme finito con |A| = n, allora |P(A)| = 2n . APPUNTI DELLE LEZIONI DI MATEMATICA DISCRETA 43 Dimostrazione. (Seconda dimostrazione). Per definizione P(A) è l’insieme dei sottoinsiemi di A. Allora n n X X n n k n−k |P(A)| = = 1 1 = (1 + 1)n = 2n . k k k=0 k=0 n Infatti il numero è il numero dei sottoinsiemi di cardinalità k in un insieme con k n elementi. Sommando tutti i coefficienti binomiali da k = 0 fino ad n, otteniamo il numero dei sottoinsiemi di A. Triangolo di Tartaglia. Nel Triangolo di Tartaglia organizziamo i coefficienti binomiali per ottenere i coefficienti delle potenze di un binomio usando la formula di Newton. Usando la Proprietà (5) ogni coefficiente è somma di quello sopra e quello a sinistra. k = 0k = 1k = 2k = 3k = 4 n=0 1 n=1 1 1 n=2 1 2 1 n=3 1 3 3 1 n=4 1 4 6 4 n = 5 ··· 1 ··· 9.2. Caso 2) Scegliere k elementi con ripetizione in un insieme con n elementi. Sia A un insieme finito con n elementi. Obiettivo: Studiare come si possono scegliere k elementi. Nella Sezione 9.1 abbiamo analizzato la scelta di k elementi distinti, ovvero senza ripetizioni, in un insieme di ordine n. Assunzione fondamentale: k ≤ n. Ora siamo interessati al Caso 2) Scegliere k elementi anche con ripetizione in un insieme finito di ordine n. Osservazione 35. Non serve più l’ipotesi k ≤ n. Poiché possiamo avere ripetizioni possiamo anche scegliere sempre uno stesso elemento e quindi k può anche essere maggiore di n. Quindi vogliamo rispondere alla domanda: Caso 2): In quanti modi possiamo scegliere k elementi (anche con ripetizione) in un insieme di ordine n? Anche in questo Caso 2) esistono due sottocasi: i) Scegliere k elementi con ripetizione ordine è importante: “disposizione con ripetizione di n oggetti di classe k”. ii) Scegliere k elementi con ripetizione ordine non è importante: “combinazione con ripetizione di n oggetti di classe k”. 44 DONATELLA IACONO 9.2.1. Caso 2) i): Disposizioni con ripetizioni di n oggetti di classe k. In un insieme con n elementi, quanti sono i modi distinti per scegliere k elementi ricordandoci l’ordine? Possiamo scegliere il primo elemento in n modi, anche per il secondo abbiamo n scelte (non richiediamo più che sia diverso dal primo elemento scelto), anche per il terzo abbiamo n scelte e cosi via. Quindi abbiamo n · n · · · n = nk . Esercizio 31. Quante targhe esistono della forma LL N N N LL dove N ∈ {1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9} e L appartiene all’alfabeto inglese senza I e O? 24 · 24 · 9 · 9 · 9 · 24 · 24 = 244 · 93 . Infatti, dobbiamo scegliere con ripetizione k = 4 lettere tra le n = 24 e k = 3 numeri tra le n = 9 cifre. Quante senza lettera straniere? al posto di 24 mettiamo 21-2=19. Quante con almeno una lettera straniera? Sono tutte tranne quelle senza lettera straniera. Osservazione 36. Il numero nk è il numero delle funzioni f : A → B da un insieme A ad un insieme B, dove |A| = k e |B| = n. Infatti per il primo elemento abbiamo n scelte possibili per fissare l’ immagine in B, dato che |B| = n. Per il secondo anche n scelte (non richiediamo iniettività) e cosi via per tutti i k elementi di A. Ovvero, in tutto abbiamo nk scelte. Esercizio 32. Calcolare il numero delle funzioni tra A = {x, y} e B = {1, 2, 3}. Dobbiamo scegliere le immagini degli elementi x e y. Per ognuno abbiamo 3 scelte quindi, 32 = 9. Quante sono suriettive? (nessuna) Quante iniettive? D(n, k) = D(3, 2) = 6 Esercizio 33. Calcolare il numero delle funzioni da A = {1, 2, 3} a B = {x, y}, e scriverle esplicitamente. Definizione 38. Sia A0 un sottoinsieme di un insieme A. La funzione caratteristica del sottoinsieme A0 è la funzione 0 se a 6∈ A0 χA0 : A → {0, 1} χA0 (a) = 1 se a ∈ A0 . Quindi χA0 −1 (1) = A0 , χA0 −1 (0) = CA (A0 ). Esercizio 34. Consideriamo A = {a, b, c, d, e, f, g, h, i, l} e A0 = {f, g, h}. Determinare χA 0 . Osservazione 37. Siano A0 e A00 due sottoinsiemi di A, allora A0 = A00 ⇐⇒ χA0 = χA00 : A → {0, 1} −1 Infatti se le funzioni coincidono allora χA0 = χA00 implica che A0 = χ−1 A0 (1) = χA00 (1) = 0 Viceversa se i due insiemi coincidono allora χA0 (a) = 1 se e solo se a ∈ A se e solo se a ∈ A00 se e solo se χA00 (a) = 1 A00 . Proposizione 9. Sia A un insieme finito con |A| = n, allora |P(A)| = 2n . Dimostrazione. (Terza dimostrazione). Per definizione P(A) è l’insieme dei sottoinsiemi di A. Sia B = {0, 1}. Quante sono le funzioni tra A e B? Esattamente 2n . Vogliamo far vedere che P(A) è in corrispondenza biunivoca con l’insieme {f : A → B = {0, 1}}. Ovvero esiste una funzione biettiva tra i due insiemi e questo implica che hanno la stessa cardinalità. APPUNTI DELLE LEZIONI DI MATEMATICA DISCRETA 45 Sia g : P(A) → {f : A → B = {0, 1}} ∀ A0 ⊂ A g(A0 ) = χA0 . Allora g è una funzione. Inoltre, la funzione g è iniettiva: se g(A0 ) = g(A00 ) allora χA0 = χA00 quindi le funzioni caratteristiche coincidono e allora A0 = A00 per l’Osservazione 37. Infine, dimsotriamo che g è suriettiva. Per ogni funzione f : A → B = {0, 1} consideriamo f −1 (1). Questo è un sottoinsieme di A. Gli elementi di C = f −1 (1) sono tutti e soli quelli la cui immagine è 1. Allora f = χC , ovvero g(C) = χC = f . Quindi |P(A)| = |{f : A → B = {0, 1}}| = 2n . Esercizio 35. Estrazione con reimbussolamento. Abbiamo 15 palline, ne dobbiamo estrarre 4, l’ordine è importante, con reimbussolamento. Quante scelte distinte abbiamo? 15 · 15 · 15 · 15 = 154 . Osservazione 38. Possiamo chiederci a cosa serve questo numero e se ha applicazioni nel campo dell’Informatica. Un esempio semplicissimo ci fa vedere che lo usiamo quotidianamente. Infatti, supponiamo che abbiamo un cellulare con un pin numerico di 4 cifre. Quanti sono i pin possibili? Ogni cifra può essere scelta tra 0 e 9 e quindi abbiamo 10 scelte. Quindi in tutto abbiamo 10 · 10 · 10 · 10 = 104 pin possibili. (Chiaramente l’ordine è importante). 9.2.2. Caso 2) ii): Combinazioni con ripetizioni di n oggetti di classe k. In quanti modi si possono scegliere k elementi in un insieme con n oggetti, ammettendo anche ripetizioni e ordine non importante? In tal caso, abbiamo (n + k − 1)! n+k−1 . = k k!(n − 1)! In questo caso l’ordine non è importante quindi consideriamo uguali, le k-ple con gli stessi elementi anche in ordine diverso. La dimostrazione si trova su i testi consiglaiti per il corso. Esempio 131. Calcolare il numero di combinazioni con ripetizione (no ordine) di lunghezza 5 delle lettere a e b. Ovvero A = {a, b} n = 2 e k = 5, quindi: 6! 2+5−1 = = 6. 5 5!1! Queste sono aaaaa, aaaab, aaabb, aabbb, abbbb, bbbbb. Esempio 132. Calcolare il numero di combinazioni con ripetizione (no ordine) di lunghezza 6 in A = {1, 2, 3, 4, 5} n = 5 e k = 6, quindi: 11! 11 · 10 · 9 · 8 · 7 · 6! 11! 5+6−1 = = = 11 · 3 · 2 · 7. = 6 6!5! 6!5 · 4 · 3 · 2 5! Esempio 133. In quanti modi possiamo scrivere il numero 5 come somma di 2 numeri? Quindi a, b ∈ N e a + b = 5. Svolto a lezione. Esempio 134. In quanti modi possiamo scrivere il numero 35 come somma di 5 numeri strettamente positivi? Quindi a, b, c, d, e ∈ N∗ e a + b + c + d + e = 35. La richiesta equivale a dire a, b, c, d, e ∈ N e a + b + c + d + e = 30 (abbiamo sottratto 1 ad ogni fattore e incluso gli zeri). Svolto a lezione. Esercizio 36. In quanti modi possiamo scrivere il numero 40 come somma di 4 numeri strettamente positivi? 46 DONATELLA IACONO 10. Relazioni Definizione 39. Dati A e B insiemi non vuoti. Una relazione (binaria) R dall’insieme A all’insieme B è un sottoinsieme del prodotto cartesiano di A × B. Nel caso A = B, R ⊆ A × A e si dice relazione sull’insieme A. Quindi R ⊆ A × B è un sottoinsieme, ovvero è costituito da coppie ordinate (a, b) ∈ A × B. Oltre alla notazione (a, b) ∈ R useremo piu spesso la notazione aRb e diremo a è in relazione con b (oppure a è associato a b nella relazione R). Osservazione 39. (a, b) 6= (b, a) poiché coppia ordinata, quindi dire aRb non è uguale a dire bRa. Esempio 135. A = {s, t, r, x, v} e B = {5, 6, 7, 8}. Sia R ⊆ A × B con R = {(s, 6), (s, 5), (t, 7), (r, 6), (x, 7), (x, 5)} R è sottoinsieme di A × B ? si, quindi definisce una relazione e abbiamo sR6, sR5, tR7, rR6, xR7, xR5 In tal caso, non ha senso ad esempio dire 6Rs. Esempio 136. Siano A = insieme studenti in questa aula B = inseme dei giorni dell’anno. A × B = {(studente, giorno)} La relazione: aRb se b è il giorno in cui a ha preso la patente di guida. Quindi se a ∈ A esiste al più un b (giorno) in B con aRb. Ma ad esempio non tutti gli studenti hanno la patente, quindi esistono anche elementi di A che non sono in relazione con alcun elemento di B. Esempio 137. A = B = Q. Sia R ⊆ Q × Q definita da ∀ a, b ∈ Q aRb ⇐⇒ 2b − 6a = 4 Quindi R = {(a, b) ∈ Q × Q | 2b − 6a = 4} Osserviamo 2b = (4 + 6a), quindi b = 2 + 3a. Ad esempio (0, 2), (1, 2), (−3, −7). Inoltre, possiamo chiedere 9 è in relazione con 11? ovvero (9, 11) ∈ R ? 2∗11−6∗9 6= 4, allora (9, 11) 6∈ R ovvero 9 6 R11. Esempio 138. A = B = R. Sia R ⊆ R × R definita da ∀ a, b ∈ R aRb ⇐⇒ a = b2 + 3 Quindi R = {(a, b) ∈ R × R | a = b2 + 3} Possiamo fissare b e trovare a. √ Ad esempio (4, 1), (4, −1), (5, 2) ∈ R. Esempio, 0 è in relazione con qualcosa? Ovvero esiste b con (0, b) ∈ R ? No, ma (3, 0) ∈ R, ovvero 3R0. Osservazione 40. Ogni sottoinsieme di A × B è una relazione da A a B. (Quindi possiamo anche calcolare quante sono le relazione distinte da A a B). In particolare R = ∅ è detto relazione vuota (nessun elemento di A è in relazione con un elemento di B). R = A×B è detta relazione totale, ogni elemento di A è in relazione con ogni elemento di B. Se A=B. Allora possiamo considerare la relazione R = {(x, x) ∈ A × A}. R è la relazione identica o relazione di uguaglianza su A. APPUNTI DELLE LEZIONI DI MATEMATICA DISCRETA 47 Esempio 139. Sia f : A → B una funzione. Possiamo definire una relazione R su A, ovvero R ⊂ A × A definita da R = {(a, a0 ) ∈ A × A | f (a) = f (a0 )} ovvero aRa0 ⇐⇒ f (a) = f (a0 ). Esempio 140. Sia f : Z → Z definita ∀x ∈ Z f (x) = x2 + 4. Allora f (a) = f (a0 ) se e solo se a = ±a0 (convincersi!). Quindi, ad esempio abbiamo 2R2 e 2R − 2 3R − 3, 0R0, 1 6 R0, 3 6 R − 2, 1 6 R5. Osservazione 41. Se f è iniettiva allora, si può avere solo aRa, ovvero R è la relazione identica. Esempio 141. (Relazione associata ad una funzione) Sia f : A → B, la relazione associata ad f si indica con Rf ⊂ A × B ed è definita da Rf = {(a, b) ∈ A × B | f (a) = b} = {(a, f (a)) ∈ A × B}. Notiamo che f funzione quindi per ogni a in A esiste unico b in B tale che aRb. Notiamo che Rf = Γf , dove Γf è il grafico della funzione f (Definizione 24). Esempio 142. f : Q → Q tale che ∀a ∈ Q, f (a) = 3a − 2 aRb ⇐⇒ b = 3a − 2 Quindi R = {(a, b) ∈ Q × Q | b = 3a − 2} = {(a, 3a − 2) ∈ Q × Q} Osservazione 42. Data una funzione f : A → B, questa definisce una relazione da A a B. Il viceversa non è vero. Non tutte le relazioni sono funzioni. Esempio 143. Alcuni esempi di prima sono relazioni ma non funzioni (“o non è vero per ogni a in A oppure a in relazione con più elementi ”). Introduciamo nelle prossime sezioni due classi importanti di relazioni su un insieme A non vuoto, quindi R ⊆ A × A. 11. Relazioni d’ordine In questa sezione introduciamo una classe importanti di relazioni: le relazioni d’ordine definite su un insieme A non vuoto, quindi R ⊆ A × A. Definizione 40. (ORDINE PARZIALE) Una relazione R definita su un insieme A non vuoto si dice relazione d’ordine parziale se verifica le seguenti proprietà (1) Proprietà RIFLESSIVA: ∀a ∈ A allora aRa. (2) Proprietà ANTISIMMETRICA: (3) Proprietà TRANSITIVA: ∀a, b ∈ A se aRb e bRa allora a = b. ∀a, b, c ∈ A se ha aRb e bRc allora aRc. Osservazione 43. Una relazione di ordine parziale si denota spesso col simbolo ≤. Osservazione 44. Poiché R ⊆ A × A, hanno senso le condizioni: possiamo scambiare i due termini e chiederci sia se aRb che bRa. Osservazione 45. Una relazione R su A: (1) Per non essere riflessiva, basta che ∃a ∈ A tale che (a, a) 6∈ R, ovvero a 6 Ra; (2) Per non essere antisimmetrica, basta che ∃a, b ∈ A tale che aRb e bRa e a 6= b; 48 DONATELLA IACONO (3) Per non essere transitiva, basta che ∃a, b, c ∈ A tale che aRb e bRc ma a 6 Rc; Esempio 144. Sia A = {s, t, r, x, v} . Sia R ⊆ A × A con R = {(s, s), (s, t), (t, t), (r, r), (x, t), (t, s), (t, v)} R è sottoinsieme di A × A ? Si, quindi definisce una relazione. (Sketch) Ci chiediamo è RIFL? ANTISIM? TRANSI? Relazione d’ordine? Prima cosa: è RIFLE? È vero che ∀a ∈ A si ha aRa? se si è riflessiva, altrimenti no. (v, v) 6∈ R quindi non riflessiva. È antisim? No, perchè (s, t), (t, s) ∈ R ma s 6= t. È transitiva? No perchè xRt, tRv ma x 6 Rv. Esempio 145. Sia A = N numeri naturali. Sia R :=≤ ovvero ∀ a, b ∈ N aRb ⇐⇒ ∃x ∈ N tale che b = a + x (b più grande di a, ovvero a ≤ b). Ad esempio 3 ≤ 5, 6 ≤ 12,13 ≤ 25 e 5 6≤ 2, 3 6≤ 2. (Sketch) Ci chiediamo è RIFL? ANTISIM? TRANSI? È una relazione d’ordine? Prima cosa: è RIFLE? È vero che ∀a ∈ N si ha a ≤ a? Se si è riflessiva, altrimenti no. Per definizione: aRa ⇐⇒ ∃x ∈ N tale che a = a + x. Si Riflessiva, basta prendere x = 0 ∈ N. È antisimmetrica? Ci chiediamo è vero che: ∀a, b ∈ A se aRb e bRa allora a = b ? Allora aRb quindi esiste x ∈ N tale che b = a + x, inoltre bRa quindi esiste y ∈ N tale a = b + y. Quindi b = a + x = b + x + y ovvero 0 = x + y ovvero x = y = 0 (siamo in N!). Quindi è antisimmetrica (chiaro: se a ≤ b e b ≤ a allora a = b). È transitiva? Ci chiediamo è vero che: ∀a, b, c ∈ A se ha aRb e bRc allora aRc? Allora aRb implica che esiste x ∈ N tale che b = a + x; bRc implica che esiste y ∈ N tale che c = b + y; Ci chiediamo è vero che aRc? Questo è vero se e solo se esiste z ∈ N con c = z + a. Allora c = b + y = a + x + y, quindi si esiste z = x + y ∈ N. (Chiaro: se a ≤ b e b ≤ c allora a ≤ c.) Esempio 146. Sia A un insieme finito, consideriamo l’insieme delle parti di A: P(A). Definiamo una relazione su P(A), ovvero R ⊆ P(A) × P(A). ∀X, Y ∈ P(A) XRY ⇐⇒ X ⊆ Y ovvero R = {(X, Y ) ∈ P(A) × P(A) | X ⊆ Y }, R =⊆ è la relazione di inlcusione. (Sketch) Ci chiediamo è RIFL? ANTISIM? TRANSI? relazione d’ordine? Prima cosa: è RIFLE? È vero che ∀X ∈ P(A) si ha XRX? Se si è riflessiva, altrimenti no. Vero, ∀X ∈ P(A) si ha X ⊆ X. È antisim? Ci chiediamo è vero che: ∀X, Y ∈ P(A) se XRY e Y RX allora X=Y ? Allora XRY quindi X ⊆ Y ; Y RX quindi Y ⊆ X ma allora X = Y . Quindi è antisimmetrica. Infine, è transitiva? ci chiediamo è vero che: ∀X, Y, Z ∈ P(A) se XRY e Y RZ allora X ⊆ Z? X ⊆ Y e Y ⊆ Z implica X ⊆ Y ⊆ Z quindi X ⊆ Z. Quindi è transitiva. Pertanto è una relazione di ordine parziale. APPUNTI DELLE LEZIONI DI MATEMATICA DISCRETA 49 Definizione 41. (PARZIALMENTE ORDINATO) Un insieme A si dice parzialmente ordinato se è definita su A una relazione R di ordine parziale. In tal caso, scriveremo (A, R) o (A, ≤) è un insieme parzialmente ordinato. Esempio 147. Esempi (N, ≤) e (P(A), ⊆). Definizione 42. (CONFRONTABILI) Sia (A, R) un insieme parzialmente ordinato. Due elementi a e b di A sono confrontabili se aRb oppure bRa. Osservazione 46. Nella definizione di relazione d’ordine non richiediamo che presi comunque due elementi a e b essi siano confrontabili. Definizione 43. (TOTALMENTE ORDINATO) Un insieme A si dice totalmente ordinato se è parzialmente ordinato ed ogni coppia di elementi è confrontabile (ovvero presi comunque due elementi a, b ∈ A, si ha che aRb o bRa). Esempio 148. (N, ≤) è totalmente ordinato. Infatti, presi a, b ∈ N, si ha che a ≤ b o b ≤ a. (Infatti, ∃ x ∈ N tale che b = a + x oppure ∃ y ∈ N tale che a = b + y). Esempio 149. (P(A), ⊆) non è in generale totalmente ordinato (se A ha un elemeno ok). Infatti, in generale non è vero che presi comunque due sottoinsiemi X e Y di A, si ha che X ⊆ Y oppure Y ⊆ X. Esempio 150. A = {a, b, c}, allora P(A) = {∅, A, {a}, {b}, {c}, {a, b}, {a, c}, {b, c}}. Allora ad esempio: {a, b} e {c} non sono confrontabili. 12. Relazioni di equivalenza In questa sezione introduciamo una classe importanti di relazioni: le relazioni di equivalenza definite su un insieme A non vuoto, quindi R ⊆ A × A. Definizione 44. Una relazione R definita su un insieme A si dice relazione d’EQUIVALENZA se verifica le seguenti proprietà (1) Proprietà RIFLESSIVA: ∀a ∈ A allora aRa. (2) Proprietà SIMMETRICA: (3) Proprietà TRANSITIVA: ∀a, b ∈ A se aRb allora bRa. ∀a, b, c ∈ A se ha aRb e bRc allora aRc. Definizione 45. Sia R una relazione di equivalenza su un insieme A. Se due elementi a e b in A sono tali che aRb allora si dice che a è equivalente a b. Osservazione 47. Una relazione R su A: Per non essere simmetrica, basta che ∃a, b ∈ A tale che aRb ma b 6 Ra. Vediamo esempi di prima: Esempio 151. Sia A = {s, t, r, x, v}. Sia R ⊆ A × A con R = {(s, s), (s, t), (t, t), (r, r), (x, t), (t, s), (t, v)} Non è di equivalenza. Non è simmetrica perché (x, t) ∈ R ma (t, x) 6∈ R. Esempio 152. Sia A = N numeri naturali. Sia R :=≤ ovvero ∀ a, b ∈ N aRb ⇐⇒ ∃x ∈ N tale che b = a + x Ci chiediamo se è simmetrica: è vero che ∀a, b ∈ A se aRb allora bRa. Se aRb vuol dire a ≤ b, ma questo non implica b ≤ a. Esempio: 3R5 dato che 3 ≤ 5, ma 5 6≤ 3 non è simmetrica. 50 DONATELLA IACONO Esempio 153. Sia A un insieme finito, consideriamo l’insieme delle parti di A: P(A). Definiamo una relazione su P(A), ovvero R ⊆ P(A) × P(A) ∀X, Y ∈ P(A) XRY ⇐⇒ X ⊆ Y è simmetrica? No. Se XRY allora X ⊆ Y e questo non implica Y ⊆ X. Esempio 154. Sia A = {x, y, z} . Sia R ⊆ A × A con R = {(x, x), (y, y), (z, z), (x, z), (z, x)} Stabilire se è riflessiva, è simmmetrica ed è transitiva. Esempio 155. Sia R la relazione totale su un insieme A (Osservazione 40), allora è riflessiva, simmetrica, transitiva. Esercizio 37. Sia A un insieme. La relazione di uguaglianza su A è una relazione di equivalenza (Osservazione 40. Dove ∀ a, b ∈ A aRb ⇐⇒ a = b Esercizio 38. Sia A = { insieme delle rette nel piano }. Definiamo la relazione ∀ a, b ∈ A aRb ⇐⇒ a è parallela a b : a//b Determinare se la relazione è riflessiva, simmetrica, transitiva, antisimmetrica, d’equivalenza, d’ordine. (Sketch della soluzione) È riflessiva? ∀a ∈ A si ha aRa? Per ogni retta r ∈ A, si ha r//r? si. È SIMMETRICA? È vero che ∀a, b ∈ A se aRb allora bRa? È vero che ∀r, s ∈ A se r//s allora s//r? Si. Quindi è simmetrica. È TRANSITIVA? È vero che ∀a, b, c ∈ A se aRb e bRc allora aRc? Se r//s e s//t allora r//t. Si. (Considerando le direzioni delle rette: dr = ds e ds = dt allora dr = dt ). Quindi R = // è una relazione di equivalenza. È antisimmetrica? ∀a, b ∈ A se aRb e bRa allora a = b se r//s è simmetrica quindi vero s//r ma non è vero che s = r esistono rette parallele ma non coincidenti. 13. Classi di equivalenza e Insieme quoziente Abbiamo definito le relazioni di equivalenza su un insieme A 6= ∅. Definizione 46. Una relazione R definita su un insieme A non vuoto si dice relazione d’EQUIVALENZA se verifica le seguenti proprietà (1) Proprietà RIFLESSIVA: ∀a ∈ A si ha aRa. (2) Proprietà SIMMETRICA: (3) Proprietà TRANSITIVA: ∀a, b ∈ A se aRb allora bRa. ∀a, b, c ∈ A se ha aRb e bRc allora aRc. Inoltre abbiamo detto che se aRb si dice a è equivalente a b (e viceversa vista la simmetria). Definizione 47. (CLASSE di EQUIVALENZA) Sia R una relazione d’equivalenza sull’insieme A. Si definisce classe di equivalenza modulo R di un elemento a ∈ A l’insieme di tutti gli elementi di A che sono equivalenti ad a. Si denota con [a]R (oppure solo [a] quando è chiaro chi sia R), ovvero [a]R = {x ∈ A | aRx} = {x ∈ A | xRa} = {x ∈ A | (a, x) ∈ R} = {x ∈ A | (x, a) ∈ R} dato che R è simmetrica. APPUNTI DELLE LEZIONI DI MATEMATICA DISCRETA 51 Osservazione 48. Tutti gli elementi di una classe di equivalenza sono tutti equivalenti fra loro. Osservazione 49. Per la proprietà riflessiva aRa ovvero a ∈ [a]R (SEMPRE), ovvero ∀a ∈ A si ha che [a]R 6= ∅ ovvero le classi di equivalenza non sono mai vuote. Esempio 156. Si consideri un insieme non vuoto A con R relazione identica su A. Allora R è di equivalenza e [a]R = {x ∈ A | aRx} = {a}. Esempio 157. Si consideri un insieme non vuoto A con R relazione totale su A, ovvero R = A × A. Allora R è di equivalenza e [a]R = {x ∈ A | aRx} = A Esempio 158. A= insieme delle rette del piano con R relazione di parallelismo. Allora R è di equivalenza e [a]R = {x ∈ A | aRx} = { rette parallele ad a}. Teorema 4. Sia R una relazione di equivalenza su un insieme non vuoto. Allora (1) ∀a ∈ A si ha a ∈ [a]R ; (2) ∀a, b ∈ A: aRb ⇐⇒ [a]R = [b]R ; (3) ∀a, b ∈ A: [b]R 6= [a]R ⇐⇒ [a]R ∩ [b]R = ∅. Osservazione 50. 1) Già vista nell’Osservazione 49: ogni elemento appartiene alla sua classe di equivalenza. 2) Se a è equivalente a b allora a e b hanno la stessa classe di equivalenza, ovvero una classe di equivalenza è determinata da un suo qualsiasi elemento. 3) Se le classi sono diverse allora le classi sono disgiunte, ovvero classi distinte non hanno alcun elemento in comune. Quindi le classi di equivalenza o coincidono o sono disgiunte. Dimostrazione. 1) Per la proprietà riflessiva: ∀a ∈ A si ha aRa e quindi a ∈ [a]R . 2) Dimostriamo (⇐=) : ∀a, b ∈ A se [a]R = [b]R =⇒ aRb. Se [a]R = [b]R per la 1) a ∈ [a]R . Allora a ∈ [a]R = [b]R ovvero a ∈ [b]R e quindi aRb. Viceversa dimostriamo (=⇒) : ∀a, b ∈ A aRb =⇒ [a]R = [b]R Se aRb bisogna dimostrare una uguaglianza di insiemi [a]R = [b]R ovvero la doppia inclusione [a]R ⊆ [b]R e [b]R ⊆ [a]R . Sia x ∈ [a]R allora xRa per ipotesi aRb e quindi per la transitività xRb ovvero x ∈ [b]R quindi [a]R ⊆ [b]R . Viceversa se x ∈ [b]R allora xRb, per ipotesi aRb e quindi per simmetria bRa. Applichiamo la transitività e otteniamo xRa ovvero x ∈ [a]R quindi [b]R ⊆ [a]R . 3) ∀a, b ∈ A: [b]R 6= [a]R ⇐⇒ [a]R ∩ [b]R = ∅ Dimostriamo (=⇒) : Se [b]R 6= [a]R allora [a]R ∩ [b]R = ∅. Supponiamo per assurdo [a]R ∩ [b]R 6= ∅ allora esiste x ∈ A con x ∈ [a]R ∩ [b]R allora x ∈ [a]R e x ∈ [b]R . Quindi xRa e xRb. Per la simmetria abbiamo aRx e xRb. Per la transitività otteniamo aRb. Quindi per 2) [b]R = [a]R . Assurdo. Viceversa, dimostriamo (⇐=) : [a]R ∩ [b]R = ∅ =⇒ [b]R 6= [a]R Per assurdo, se [b]R = [a]R . Allora b ∈ [b]R = [a]R e quindi b ∈ [a]R ∩ [b]R 6= ∅. Assurdo. 52 DONATELLA IACONO Esempio 159. A = {insieme rette del piano } e R la relazione di parallelismo che è di equivalenza. La classe di equivalenza di una retta a, è l’insieme di tutte le rette parallele alla retta a. Ogni retta parallela a è parallela a se stessa e quindi appartiene alla sua classe di equivalenza. Se due rette sono parallele allora gli insiemi delle rette parallele all’una o all’altra coincidono. Se due rette non sono parallele allora non esistono rette che sono parallele ad entrambe. Definizione 48. (PARTIZIONE) Sia A un insieme non vuoto. Una partizione dell’insieme A è una collezione di sottoinsiemi {Ai }i∈I dove I è un insieme di indici tali che (1) Ogni sottoinsieme è non vuoto: ∀i ∈ I Ai 6= ∅ (2) Gli insiemi sono disgiunti tra loro ∀i 6= j (3) Gli insiemi ricoprono A ovvero: S i∈I Ai ∩ Aj = ∅. Ai = A. In altre parole ogni elemento di A appartiene ad un unico sottoinsieme della partizione. Gli insieme Ai sono detti elementi della partizione. S Esempio 160. A = N, A1 = { numeri pari }, A2 = { numeri dispari }. N = A1 A2 e A1 6= ∅, A2 6= ∅ e A1 ∩ A2 = ∅. S S Esempio 161. A = N, Ai = {i}, I = N allora N = i∈N Ai = i∈N {i} Come sono legate le partizioni alle relazioni di equivalenza? Teorema 5. Sia R una relazione di equivalenza su un insieme A non vuoto. Le classi di equivalenza di R costituiscono una partizione di A. Osservazione 51. Il teorema dice che ogni relazione di equivalenza su A determina una partizione di A i cui elementi sono le classi di equivalenza. È vero il viceversa? Teorema 6. Ogni partizione di un insieme A determina una relazione di equivalenza R su A le cui classi di equivalenza sono gli elementi della partizione considerata. Definizione 49. (INSIEME QUOZIENTE) Sia R una relazione di equivalenza su un insieme A non vuoto. Si definisce l’insieme quoziente di A rispetto a R, e si indica con A/R l’insieme A/R = {[a]R | a ∈ A} = { classi di equivalenza } (Si deve prendere un rappresentante per ogni classe di equivalenza, ovvero elementi che non sono equivalenti tra loro. Infatti se due elementi sono equivalenti, allora stessa classe di equivalenza, quindi rappresentano lo stesso elemento nell’insieme quoziente, e quindi non lo scriviamo due volte.) Osservazione 52. Elementi equivalenti in A sono uguali in A/R. Esercizio 39. A = {1, 3, 4, 5, 7, 8, 9} definiamo la relazione R su A ∀ a, b ∈ A aRb ⇐⇒ a − b pari Scrivere tutti gli elementi della relazione R dire se è riflessiva, simmetrica, transitiva, d’equivalena e se si calcolare l’insieme quoziente. 1R1 3R1 1R3 3R3 1R5 3R5 4R4 1R7 3R7 4R8 1R9 3R9 APPUNTI DELLE LEZIONI DI MATEMATICA DISCRETA 5R1 7R1 5R3 7R3 5R5 7R5 8R4 5R7 7R7 53 5R9 7R9 8R8 9R1 9R3 9R5 9R7 9R9 Quindi i numeri dispari sono in relazione tra loro e i numeri pari sono in relazione fra loro. È riflessiva? Si. È simmetrica? Si. È transitiva? Si. Pertanto, R è una relazione di equivalenza. Classi di equivalenza [1]R = {x ∈ A | 1Rx} = {1, 5, 3, 7, 9} = [3]R = [5]R = [7]R = [9]R [8]R = {x ∈ A | 8Rx} = {4, 8} = [4]R = [8]R quindi B/R = {[8]R , [5]R }, oppure B/R = {[4]R , [5]R } = {[7]R , [8]R }. Esercizio 40. Si consideri la relazione su A = Z ∀ a, b ∈ Z aRb ⇐⇒ a − b pari. Stabilire se si tratta di una relazione di equivalenza, d’ordine, d’ordine totale. Se si tratta di una relazione di equivalenza stabilire le classi di 0 e 2,1,-2. Descrivere l’insieme quoziente. Esempio 162. A insieme R relazione identica su A ∀ a ∈ A si ha aRa Allora [a]R = {a}. Quindi A/R = A. Esempio 163. A insieme R relazione totale su A ∀ a, b ∈ A si ha aRb. Allora [a]R = A, per ogni ∀ a ∈ A. Quindi A/R = {[a]R } ha un unico elemento. Esercizio 41. Sia fissato n ∈ N e definiamo la relazione su A = Z ∀ a, b ∈ Z aRb ⇐⇒ ∃k ∈ Z tale che a − b = kn ovvero a − b multiplo di n. Stabilire se si tratta di una relazione di equivalenza, d’ordine, d’ordine totale. Se si tratta di una relazione di equivalenza stabilire le classi di 0 e 1 e determinare insieme quoziente. (SVOLTO A LEZIONE) Esercizio 42. Si consideri la relazione su A = Z ∀ a, b ∈ Z aRb ⇐⇒ ∃k ∈ Z tale che 3a + 8b = 11k Stabilire se si tratta di una relazione di equivalenza, d’ordine, d’ordine totale. Se si tratta di una relazione di equivalenza stabilire le classi di 0 e 1. 54 DONATELLA IACONO 14. I Numeri Interi Sappiamo N = {0, 1, 2, 3, . . .} ∀a, b ∈ N, si ha a + b ∈ N e a · b ∈ N Se vogliamo però risolvere x+a = 0, (tipo x+3=0) allora c = −a 6∈ N se a 6= 0. Quindi l’equazione non ammette soluzioni in N. Dobbiamo estendere l’insieme! Consideriamo Z = {0, 1, −1, 2, −2, 3, −3, . . .} Su Z abbiamo somma + e una moltiplicazione · che soddisfano le seguenti proprietà (1) (proprietà commutativa di +) ∀a, b ∈ Z a + b = b + a; (2) (proprietà associativa di +) ∀a, b, c ∈ Z (a + b) + c = a + (b + c); (3) (esistenza elemento neutro di +) ∃!0 ∈ Z tale che a + 0 = 0 + a = a ∀a ∈ Z (4) (esistenza opposto) ∀a ∈ Z ∃! − a ∈ Z tale che a + (−a) = (−a) + a = 0 (non vera in N) (5) (proprietà commutativa di ·) ∀a, b ∈ Z a · b = b · a; (6) (proprietà associativa di ·) ∀a, b, c ∈ Z (a · b) · c = a · (b · c); (7) (esistenza elemento neutro di ·) ∃!1 ∈ Z tale che a · 1 = 1 · a = a ∀a ∈ Z (8) (proprietà distributive del prodotto rispetto alla somma e della somma rispetto al prodotto) ∀a, b, c ∈ Z (a + b) · c = a · c + b · c e a · (b + c) = a · b + a · c. 15. Divisione Definizione 50. Dati a, b ∈ Z diremo che a divide b oppure che a è un divisore di b, e scriveremo a | b, se esiste un intero c ∈ Z tale che b = a · c. Se a non divide b scriveremo a 6| b. Osservazione 53. Se a | b (rispettivamente a 6| b) diremo che b è divisibile per a (rispettivamente b non è divisibile per a) oppure che b è multiplo di a (rispettivamente b non è multiplo di a). Esempio 164. 2 | 100 (100 = 2 · 50), 2 | −60, 5 | 125, 3 6| 100. Osservazione 54. ∀a ∈ Z e per ogni t ∈ Z si ha che a | ta: ogni numero a divide un suo multiplo ta. Osservazione 55. Sia a ∈ Z, se a | 1, allora esiste un intero c ∈ Z tale che 1 = a · c. Ma siamo in Z quindi o a = c = 1 oppure a = c = −1. Quindi a = ±1. I divisorei di 1 in Z sono solo 1 e −1. Osservazione 56. Per ogni a ∈ Z si ha a | 0. Infatti, a | 0 se esiste un intero c ∈ Z tale che 0 = a · c. Basta prendere c = 0. Osservazione 57. Al contrario 0 | a se esiste un intero c ∈ Z tale che a = 0 · c. È possibile solo se a = 0. Osservazione 58. Siano a, b ∈ Z \ {0}. Se a | b e b | a allora a = ±b. In tal caso, a e b si dicono associati. Dimostrazione: se a | b allora ∃h ∈ Z tale che b = ha. Se b | a allora ∃t ∈ Z tale che a = tb. APPUNTI DELLE LEZIONI DI MATEMATICA DISCRETA 55 Allora b = ha = htb, che implica b − htb = 0. Quindi b(1 − ht) = 0 e poiché b 6= 0, possiamo concludere 1 − ht = 0, ovvero 1 = ht. Come visto nell’Osservazione 55, questo implica h = t = 1 oppure h = t = −1, ovvero a = b oppure a = −b. Osservazione 59. Se a | b allora ∀t ∈ Z si ha at | bt. Infatti, se a | b allora esiste un intero c ∈ Z tale che b = a · c. allora bt = at · c e quindi at | bt. Esempio 165. 2 | 4 quindi 200 | 400, infatti 2 · 100 | 4 · 100. Oppure 2 · 25 = 50 | 100 = 4 | 25. Il prossimo risultato è di fondamentale importanza e lo useremo molto spesso. Proposizione 10. Siano a, b, c, ∈ Z se c | a e c | b allora ∀x, y, ∈ Z si ha c | xa + yb. Il numero intero xa + yb è detta combinazione lineare di a e b. (Ovvero se un numero divide a e b allora divide ogni loro combinazione lineare). Dimostrazione. Per ipotesi c | a e c | b, allora ∃h ∈ Z tale che a = hc ed ∃t ∈ Z tale che b = tc. Allora ∀x, y, ∈ Z si ha ax + by = hcx + tcy = c(hx + ty) ovvero c | xa + yb. Teorema 7. Siano a e b interi con b 6= 0. Allora esistono e sono univocamente determinati due interi q ed r tali che a = bq + r e 0 ≤ r < |b| q è detto quoziente, r è detto resto. Osservazione 60. Sottolineamo che il resto r non è un intero qualsiasi ma deve soddisfare la richiesta: 0 ≤ r < |b|. Esempio 166. a=36 b=5 allora 36 = 5 · 7 + 1 quindi q = 7 e r = 1. Dimostrazione. Per i più curiosi la dimostrazione si trova su uno qualunque dei testi consigliati. Vediamo negli esempi come funziona. Esempio 167. Se a = 0, b 6= 0 qualsiasi, allora a = 0 · b + 0. Quindi esistono quoziente e resto e si ha q = r = 0. Osservazione 61. Se b | a allora ∃h ∈ Z con a = hb quindi q = h e r = 0. Esempio 168. Ad esempio a = 100 e b = 20 100 = 20 · 5, quindi q = 5 e r = 0. Adesso studiamo degli esempi in tutti i casi possibili. Esempio 169. CASO 1: a ≥ 0, b > 0. a=73, b=5. 73 = 5 · 14 + 3 quindi q = 14 e r = 3 con 0 ≤ 3 < 5. Divisione come a scuola, il 5 nel 73, è contenuto 14 volte, resto 3. Esempio 170. CASO 2: a ≥ 0, b < 0. a = 111, b = −5. Consideriamo a = 111, b0 = 5. Ora è come nel Caso 1) 111 = 5 · 22 + 1 quindi 111 = (−5)(−22) + 1. Ne segue che q = −22 e r = 1 con 0 ≤ 1 < | − 5|. Esempio 171. CASO 3: a ≤ 0, b > 0. a = −82, b = 4. Consideriamo a0 = 82, b = 4. Ora è come nel Caso 1: 82 = 4 · 20 + 2 con 0 ≤ 2 < |4| quindi −82 = 4 · (−20) − 2 Non va bene cosi!! perchè non è vero che 0 ≤ −2 < |4| aggiungiamo e togliamo -4. Cosı̀ che −82 = 4 · (−21) + 2 con 0 ≤ 2 < |4|. 56 DONATELLA IACONO Esempio 172. CASO 4: a ≤ 0, b < 0. a = −97, b = −6. Consideriamo a0 = 97, b0 = 6. caso 1: 97 = 6 · 16 + 1 con 0 ≤ 1 < |6| quindi −97 = (−6) · 16 − 1 Non va bene cosi!! perchè non è vero che 0 ≤ −1 < | − 6| aggiungiamo e togliamo 6 −97 = (−6) · 17 + 5 con 0 ≤ 5 < | − 6| Esercizio 43. Fare: a = 97, b = 8; a = −57, b = 5. 16. Massimo Comun Divisore Definizione 51. (MASSIMO COMUN DIVISORE) Siano a, b ∈ Z non entrambi nulli. Un massimo comun divisore tra i due interi a e b è un intero d ∈ Z tale che (1) d | a e d | b (d divide a e b); (2) ∀d0 ∈ Z, se d0 | a e d0 | b allora d0 | d (massimo divisore). Esempio 173. a=18 b=12. Allora 3 | 18 e 3 | 12 ma anche 6 | 18 e 6 | 12. Quindi 6 è un massimo comun divisore. Ma anche −6 | 18 e −6 | 12. (Notare che −6 | 6 e 6 | −6). Esempio 174. a=32 b=20. Allora 4 | 32 e 4 | 20 ma anche −4 | 32 e −4 | 20. Quindi 4 e -4 sono un massimo comun divisore. Osservazione 62. Se d è un massimo comun divisore per a e b allora anche −d lo è e sono gli unici interi che soddisfano la Definizione 51 di massimo comun divisore. Infatti, se d0 e d00 sono entrambi massimo comun divisore, allora d0 | d00 e d00 | d0 . Quindi d e d0 sono associati allora d0 = ±d00 (Osservazione 58). Definizione 52. (MCD) Per convenzione il massimo comun divisore tra due interi a e b è il massimo comun divisore positivo e si indica M CD(a, b). È unico!! Prima di studiare un metodo per la sua determinazione, studiamo alcune proprietà. PROPRIETÀ (1) M CD(0, 0) non esiste! non è definito (perché ogni intero divide zero e quindi non esiste massimo). (2) Se a 6= 0 allora M CD(a, 0) =| a |; perchè |a| | 0 e divide a. (3) M CD(a, b) = M CD(b, a) (4) M CD(a, b) = M CD(−a, b) = M CD(a, −b) = M CD(−a, −b) (5) Se b | a allora M CD(a, b) = |b|. (6) Se d = M CD(a, b). Allora M CD( ad , db ) = 1 Definizione 53. (COPRIMI) Due interi a, b ∈ Z non entrambi nulli sono coprimi se M CD(a, b) = 1. Esempio 175. 2 e 7 oppure 11 e 144. 16.1. Minimo Comune Multiplo. Definizione 54. (MINIMO COMUNE MULTIPLO) Siano a, b ∈ Z \ {0}. Un minimo comune multiplo tra i due interi a e b è un intero m ∈ Z tale che APPUNTI DELLE LEZIONI DI MATEMATICA DISCRETA 57 (1) a | m e b | m (m multiplo di a e b); (2) ∀m0 ∈ Z se a | m0 e b | m0 allora m | m0 (m minimo multiplo). Osservazione 63. Anche un minimo comune multiplo è definito a meno del segno, ovvero se m è un minimo comune multiplo tra a e b anche −m lo è. Per convenzione il minimo comune multiplo tra a e b si indica con mcm(a, b) ed è quello positivo. Abbiamo definito il MCD per ogni coppia di interi a, b ∈ Z non entrambi nulli. Vogliamo dimostrare che esiste il MCD e vogliamo descrivere un algoritmo per determinarlo. Teorema 8. Per ogni coppia di interi a, b ∈ Z non entrambi nulli esiste il MCD(a,b) e può essere espresso come combinazione lineare di a e b, ovvero esistono x, y ∈ Z tali che M CD(a, b) = ax + by. Questa equazione si chiama identità di Bézout 9. La dimostrazione è costruttiva e fornisce un metodo per determinare il Massimo Comun Divisore e l’identità di Bézout. Dimostrazione. La dimostrazione si basa sull’ algoritmo di Euclide 10 (algoritmo delle divisioni successive) che fornisce una dimostrazione costruttiva dell’esistenza del MCD (esiste e ci dice come si calcola!). Siano a, b ∈ Z non entrambi nulli. Per le proprietà viste del MCD, possiamo assumere a, b ≥ 0. Se uno dei due interi è zero, ad esempio b = 0, abbiamo fatto: perchè M CD(a, 0) = a (= a · 1 + 0 · 1). Se a = b allora M CD(a, a) = a(= a · 1 + a · 0) Quindi possiamo supporre che entrambi gli interi a e b siano non nulli, positivi e diversi. Quindi, basta studiare il caso a, b ∈ Z con a > b > 0. Idea su cui si basa l’algoritmo: fare le divisioni successive. Per ogni a, b ∈ Z con a > b > 0, possiamo dividere a per b e quindi esistono e sono univocamente determinati due interi q1 ed r1 tali che ∃q1 , r1 ∈ Z a = bq1 + r1 e 0 ≤ r1 < |b|. Se r1 = 0 allora a = bq ovvero b | a e quindi M CD(a, b) = b. Quindi esiste il M CD(a, b). Se r1 = 6 0 continuiamo con le divisioni e dividiamo b per r1 : quindi ∃q2 , r2 ∈ Z b = r1 q2 + r2 e 0 ≤ r2 < |r1 | = r1 . Se r2 6= 0 continuiamo ∃q3 , r3 ∈ Z r1 = r2 q3 + r3 e 0 ≤ r3 < r2 ... ∃qn−1 , rn−1 ∈ Z rn−3 = rn−2 qn−1 + rn−1 e 0 ≤ rn−1 < rn−2 ∃qn , rn ∈ Z rn−2 = rn−1 qn + rn e 0 ≤ rn < rn−1 ∃qn+1 , rn+1 = 0 ∈ Z rn−1 = rn qn+1 I resti delle divisioni successive sono tali che b = |b| > r1 > r2 > · · · > rn ≥ 0, 9Étienne Bézout, matematico francese 1730-1783. 10Euclide, matematico greco vissuto intorno al 300 ac, autore degli: Elementi di Euclide che sono 13 libri. 58 DONATELLA IACONO quindi è una successione strettamente decrescente di numeri positivi e ad un certo punto deve essere zero. Se rn+1 = 0. Allora rn è l’ultimo resto non nullo. Allora rn = M CD(a, b). Dimostriamo che l’ultimo resto non nullo rn è il M CD(a, b). 1) rn è divisore (procedendo dal basso verso l’alto): Infatti, rn divide rn−1 . Dalla “riga”sopra rn dividendo rn e rn−1 allora deve dividere rn−2 , che è combinazione lineare di rn e rn−1 (Proposizione 10). Dalla “riga”sopra rn dividendo rn−1 e rn−2 allora deve dividere rn−3 . Alla fine, rn divide r2 e r1 allora divide b. rn divide b e r1 allora divide a. Quindi rn divide a e b. 2) rn è massimo comun divisore (procedendo dall’alto verso il basso). Se d | a e d | b, allora d | r1 , dato che r1 è combinazione lineare di a e b (Proposizione 10). Dalla “riga”sotto, d | b e d | r1 , allora d | r2 . Procedendo verso il basso, d | rn−2 e d | rn−1 , allora d | rn . Quindi abbiamo dimostrato che rn , che è l’ultimo resto diverso da zero, è il il M CD(a, b). Infine, per ottenere l’identità di Bézout: procediamo dall’alto verso il basso: a = bq1 + r1 b = r1 q2 + r2 =⇒ =⇒ r1 = a − bq1 r2 = b − r1 q2 = b − q2 (a − bq1 ) ... Dalla prima equazione otteniamo a − bq1 = r1 ; sostituiamo nella seconda,quindi r2 combinazione di a e b. Sostituiamo nella terza al posto di r1 e r2 e otteniamo r3 come combinazione di a e b e cosı̀ fino a rn . Esempio 176. Consideriamo a=200 b=16. Trovare il MCD tra 200 e 16 e determinare l’identità di Bézout. Sketch: Prima cosa 16 divide 200? no. a=200 b=16 200= 16 * 12 +8 q1 = 12 e r1 = 8 16=8*2 +0 r2 = 0 allora r1 = 8 è il MCD. 8 divide 16 e 8 divide 200=25*8 Dalla equazione 200= 16 * 12 +8, concludiamo 8 = 200 − 16 ∗ 12 = a ∗ 1 + b ∗ (−12) che è l’identità di Bézout. Esercizio 44. Consideriamo a=420 b=11; trovare il MCD e determinare l’identità di Bézout. Sketch: 420= 11*38+2 b=11 r=2 11=2*5 +1 2=2*1+0 quindi MCD(420,11)=1. allora 2 = a − 38b 1 = 11−2∗5 = b−5(a−38b) = b−5a+38∗5b = −5∗a+(38∗5+1)b = −5∗a+191∗b. Quindi l’identità di Bézout: 1 = −5 ∗ a + 191 ∗ b. Infatti (−5) ∗ 420 + 191 ∗ 11 = −2100 + 2101 = 1. Esercizio 45. a=-3110 b=-580 Sketch: a = 3110 b = 580 3110=580*5+210 580=210*2+160 210=160*1+50 160=50*3+10 APPUNTI DELLE LEZIONI DI MATEMATICA DISCRETA 59 50=10*5 allora 10=MCD(3110,580)=MCD(-3110,-580). 210 = a − 5b 160 = b − 2 ∗ 210 = b − 2a + 10b = −2a + 11b 50 = 210 − 160 = (a − 5b) − (−2a + 11b) = 3a − 16b10 = 160 − 3 ∗ 50 = (−2a + 11b) − 3 ∗ (3a − 16b) = (−11) ∗ a + 59 ∗ b = (−11)(3110) + 59(580) = −34210 + 34220 = 10 quindi 10= (−11)(3110) + 59(580) = 11(−3110) + (−59)(−580) Esercizio 46. MCD(230,8) = 2; MCD(170,370)= 10; MCD(462,702)=6. ed esprimerlo come combinazione lineare. Proposizione 11. Se M CD(a, b) = 1 e a | bc allora a | c. Dimostrazione. Se M CD(a, b) = 1 allora esistono x, y ∈ Z con 1 = ax + by moltiplichiamo per c e otteniamo c = cax + cby. Allora a divide a ed inoltre a divide cb, allora a divide la combinazione lineare (Proposizione 10), ovvero a | c. Possiamo applicare quanto detto per il Massimo Comun Divisore per calcolare il Minimo Comune Multiplo. Osservazione 64. Per ogni a, b ∈ Z \ {0}, esiste sempre mcm(a, b) ed inoltre ab ab = M CD(a, b) · mcm(a, b) =⇒ mcm(a, b) = M CD(a, b) Quindi esiste sempre mcm(a, b). 17. I numeri primi Definizione 55. (PRIMO) Un numero p ∈ Z p 6= 0, 1, −1 è un numero primo se ogni volta che p divide il prodotto di due numeri interi allora p divide uno dei due fattori, ovvero ∀a, b ∈ Z tale che p | ab =⇒ p | a oppure p | b Equivalentemente p ∈ Z p 6= 0, 1, −1 è primo se p è divisibile solo per ±1 e ±p. Osservazione 65. Se p è primo ∀a, b ∈ Z tale che p | ab se p 6| a allora p | b. Se p è primo e p = ab allora a = ±1 e b = ±p o viceversa a = ±p e b = ±1. Se n non è primo allora ∃a, b ∈ Z con 1 < |a|, |b| < n e n = ab. Teorema 9. (TEOREMA FONDAMENTALE DELL’ARITMETICA) Ogni numero intero n con n 6= 0, 1, −1 può essere scritto come prodotto di un numero finito di numeri primi pj ovvero n = ±ph1 1 ph2 2 · · · phs s dove i pj sono tutti primi distinti e gli esponenti hj sono tutti strettamente positivi (hj > 0). La scrittura è detta: fattorizzazione di n come prodotto di potenze di primi distinti. Inoltre tale fattrizzazione è unica, ovvero se esiste una altra fattorizzazione di n: n = ±q1k1 q2k2 · · · qtkt dove qi sono tutti primi distinti e ki > 0. Allora il numero di fattori è lo stesso (t = s) ed i primi qi coincidono con i primi pj a meno dell’ordine (e del segno). Dimostrazione. Solo esistenza: vogliamo dimostrare che ogni n ∈ Z \ {0, 1, −1} ammette fattorizzazione. Basta dimostrare per ogni n ∈ N con n ≥ 2 la proposizione P (n): P (n): il numero n ammette fattorizzazione in primi, (per i numeri interi negativi possiamo mettere il segno meno). BASE INDUZIONE: Dimostrare che P(2) è vera. n = 2 ammette fattorizzazione in primi: n = 2 = 21 . Allora P(2) è vera. 60 DONATELLA IACONO PASSO INDUTTIVO: Se P(h) vera per ogni 2 ≤ h ≤ k allora P(k+1) è vera. Ovvero stiamo assumendo che ogni intero h con 2 ≤ h ≤ k ammette fattorizzazione e vogliamo dimostrare che anche k + 1 ammette fattorizzazione. Se k + 1 è primo abbiamo già la fattorizzazione, se non è primo per l’Osservazione 65, esistono a, b ∈ Z con 1 < a, b < k + 1 e k + 1 = ab . Per ipotesi induttiva, esiste la fattorizzazione in potenze di primi distinti per a e b (dato che P (a) e P (b) sono vere). Allora e b = q1k1 q2k2 · · · qtkt , a = ph1 1 ph2 2 · · · phs s quindi k + 1 = ph1 1 ph2 2 · · · phs s · q1k1 q2h2 · · · qtkt raccogliamo i primi uguali e sommiamo gli esponenti e abbiamo ottenuto la fattorizzazione di k+1. Quindi P (k + 1) è vera. Per il principio di induzione, concludiamo che P (n) è vera per ogni n ≥ 2. Esempio 177. n=100 100 = 10 · 10, 10 = 2 · 5 ,quindi 100 = 2 · 5 · 2 · 5 = 22 · 52 . n=3600 n = 36 ∗ 100 36 = 62 = 22 ∗ 32 e 100 = 22 · 52 quindi 3600 = 22 · 32 · 22 · 52 = 24 · 32 · 52 A cosa può servire la fattorizzazione? A trovare i divisori e a trovare il MCD. Osservazione 66. Se n = ph1 1 ph2 2 · · · phs s allora i divisori di n a meno del segno sono della forma d = pj11 pj22 · · · pjss con 0 ≤ ji ≤ hi per ogni i = 1, . . . , s Quanti sono a meno del segno? Quante scelte abbiamo per gli indici ji ? Ogni ji può essere scelto in hi + 1 modi, infatti 0 ≤ ji ≤ hi . Quindi, a meno del segno, esistono s Y (hi + 1) = (h1 + 1) · (h2 + 1) · · · · · (hs + 1) i=1 divisori di n. (Il simbolo Q è l’ analogo del simbolo P per il prodotto). Esempio 178. Consideriamo n = 3600 = 24 · 32 · 52 , quanti sono i divisori positivi? 5∗3∗3 = 45 sono della forma 2x ∗3y ∗5z dove x ∈ {0, 1, 2, 3, 4}, y ∈ {0, 1, 2} z ∈ {0, 1, 2}. Esempio 179. Consideriamo n = 22 · 32 · 5, quanti sono i divisori positiv? 3 ∗ 3 ∗ 2 = 18 sono della forma 2x ∗ 3y ∗ 5z dove x ∈ {0, 1, 2}, y ∈ {0, 1, 2}z ∈ {0, 1}. La fattorizzazione serve anche per trovareil massimo comune divisore. Osservazione 67. Dati a e b con a = ph1 1 ph2 2 · · · phs s e b = q1k1 q2k2 · · · qtkt allora il MCD(a,b) ha come fattorizzazione in primi il massimo fattor comune, ovvero i primi in comune con il piu piccolo esponente (che è il piu grande esponente comune). Esempio 180. Siano a = 3600 = 24 · 32 · 52 e b = 36 · 511 · 72 . Allora M CD(a, b) = 32 · 52 . Esempio 181. Siano a = 23 · 32 · 53 ∗ 112 e b = 23 · 36 · 511 · 112 . Allora M CD(a, b) = 23 · 32 · 53 · 112 = a (infatti a | b). Teorema 10. I numeri primi sono infiniti. Dimostrazione. Suppponiamo per assurdo che i numeri primi siano finiti. Siano p1 , p2 , . . . , ps tutti i numeri primi. Sia ora n = p1 · p2 · · · ps + 1, ovvero il prodotto di tutti i numeri primi a cui sommiamo 1. Osserviamo che nessuno dei primi pi divide n, altrimenti se pi dividesse n allora dovrebbe dividere la combinazione lineare n − p1 · p2 · ps = 1, questo implicherebbe che APPUNTI DELLE LEZIONI DI MATEMATICA DISCRETA 61 p | 1, ovvero pi = 1 oppure −1 che è assurdo dato che pi è un numero primo. Quindi pi 6| n per ogni i = 1, . . . , s. Per il teorema fondamentale dell’aritmetica n è primo oppure oppure può essere scritto come prodotto di due o più primi. Quindi esiste un numero primo che non è nella lista. (Questo numero è n oppure un fattore primo di n). Questo è un assurdo in quanto avevamo elencato tutti i numeri primi. Osservazione 68. Il teorema precdente dimostra che esistono infiniti numeri primi, ma non è una dimostrazione costruttiva nel senso che non fornisce un metodo costruttivo per trovarli tutti. Trovare i numeri primi grandi è un problema complesso. Ci sono molte congetture legate ai numeri primi, alla loro frequenza, distribuzione, ai primi gemelli etc. Abbiamo dimostrato che esistono infiniti numeri primi. Come possiamo trovarli? Anche questo è un problema molto complesso. Esistono alcuni algoritmi per trovare i numeri primi, diversi tra loro. Descriviamo un metodo noto con il nome di Crivello di Eratostene.11 17.1. Crivello di Eratostene. Fissato un intero n ≥ 2, come si possono trovare tutti i numeri primi minori o uguali ad n? Un algoritmo che vediamo si chiama crivello di Eratostene. Algoritmo: (1) Scrivere tutti i numeri ≤ n (2) Prendere 2, sottolinearlo e cancellare tutti i suoi multipli. (3) Prendere 3 (che non è stato cancellato) sottolinearlo e cancellare tutti i suoi multipli. (4) Poi sottolineare il prossimo numero non cancellato e cancellare i suoi multipli. (5) Procedere cosı̀ fino a √ n. (6) I numeri sotttolineati e quelli non cancellati sono tutti i primi piu piccoli di n. Esempio 182. n = 41. Osservazione 69. Sia n√≥ 2, se n √ non è primo, allora esistono 1 < a, b < n tale che n =√ a · b. Allora o a ≤ n o b ≤ Infatti se non fosse vero, ovvero se entrambi √ √n. √ a > n e b > n. Allora n =√ab > n · n = n ovvero n > n. Questo è assurdo. Per questo basta procedere fino a n. 17.2. Metodi di Fattorizzazione. A cosa serve conoscere i numeri primi? Serve per trovare la fattorizzazione di un numero intero n. Per trovare la fattorizzazione, possiamo suppore il numero positivo, se fosse negativo, una volta trovata la fattorizzazione, basta cambiare sengo. In generale, trovare la fattorizzazione di un numero è un problema molto difficile e computazionalmente complesso. Questa non è una disgrazia ma una fortuna: sulla complessità di questo problema si basa la sicurezza informatica e la crittografia. Ci sono vari algoritmi per trovare la fattorizzazione di un numero, noi descriviamo quello che si basa sul Crivello di Eratostene. Metodo di Eratostene Sia n un intero maggiore di zero. Con il crivello di Eratostene troviamo tutti √ i primi ≤ n. A questo punto proviamo a dividere n per tutti i primi minori o uguali a n. 11Eratostene di Cirene, matematico greco 275 a.C.- 195 a.C circa. 62 DONATELLA IACONO √ √ Infatti se n = ab allora, per l’Osservazione 69,√a ≤ n o b ≤ n. Se n non è divisibile per i primi minori di n allora n è un numero primo. (Se non lo cancelliamo nell’algoritmo di Eratostene) se invece lo cancelliamo significa che è multiplo di qualcosa, ovvero troviamo un divisore e quindi n = ab, con 1 < a, b < n. Consideriamo ora a e b e cerchiamo la loro fattorizzazione, etc. 18. Equazioni diofantee Dati due interi a, b ∈ Z non entrambi nulli, abbiamo definito il M CD(a, b) ed esistono interi x, y ∈ Z tale che (identità di Bézout) M CD(a, b) = ax + by (Il MCD serve per trovare le soluzioni alle equazioni lineari). Definizione 56. (EQUAZIONE DIOFANTEA) Una equazione della forma ax + by = c con a, b, c ∈ Z interi della quale cerchiamo soluzioni intere (ovvero x, y ∈ Z) è detta equazione diofantea. Una soluzione è una coppia x0 , y0 ∈ Z, tale che ax0 + by0 = c. Notiamo ax + by = c implica by = c − ax e se b 6= 0 allora y = c−ax b , ovvero cerchiamo i punti a coordinate intere della retta. Questi punti non è detto che esistano. Esempio 183. Se c = 0 allora l’equazione diofantea ax + by = 0 ammette sempre soluzione. Infatti, x0 = −b e y0 = a è soluzione. Esempio 184. 10x + 7y = 0, se x0 = −7 e y0 = 10 è soluzione, ma anche x0 = 7 e y0 = −10, oppure x0 = 0, y0 = 0. Esempio 185. 3x + 6y = 6, ammette soluzioni (2,0) oppure (0,1) oppure (4,-1). Esempio 186. 2x + 4y = 3, non ammette mai soluzione, visto che a sinistra è sempre un numero pari e a destra dispari. Come possiamo capire se esistono soluzioni? E soprattutto come possiamo trovarle? Teorema 11. Dati a, b, c ∈ Z l’equazione diofantea ax + by = c ammette soluzioni intere se e soltanto se M CD(a, b) | c. La dimostrazione fornisce un metodo costruttivo per determinare le soluzioni. Dimostrazione. =⇒ Supponiamo ax + by = c ammette soluzioni: ovvero esistono x0 , y0 ∈ Z tale che ax0 + by0 = c. Sia d = M CD(a, b) allora d | a e d | b allora, per la Proposizione 10, d divide combinazione lineare ax0 + by0 = c, ovvero d | c. ⇐= Viceversa: Se d = M CD(a, b) | c allora esiste soluzione. Per l’identità di Bézout, se d = M CD(a, b) allora esistono α, β ∈ Z tale che d = αa + βb (*). Inoltre d = M CD(a, b) | c quindi ∃h ∈ Z tale che dh = c. Allora moltiplichiamo (*) per h e otteniamo c = dh = αha + βhb ovvero x0 = αh e y0 = βh è soluzione. (È questo il metodo per trovarle!) Esempio 187. Esempio di prima M CD(3, 6) = 3 | 6 mentre M CD(2, 4) = 2 6| 3. Come possiamo trovare tutte le soluzioni? APPUNTI DELLE LEZIONI DI MATEMATICA DISCRETA 63 Teorema 12. Siano a, b, c ∈ Z e sia (x0 , y0 ) una soluzione dell’equazione diofantea ax + by = c allora tutte e sole le soluzioni intere di tale equazione sono (1) b a (x, y) = (x0 − t, y0 + t) d d ∀t∈Z dove d = M CD(a, b).(Quindi se ne esiste una allora sono infinite le soluzioni!!) Dimostrazione. Verifichiamo solo che sono soluzioni. Per ipotesi (x0 , y0 ) è soluzione quindi ax0 + by0 = c. Allora a ab ba b a(x0 − t) + b(y0 + t) = ax0 − t + by0 + t = ax0 + by0 = c d d d d Osservazione 70. Nella formula dell’Equazione (1), il numero t appartiena a Z quindi la formula è equivalente alla formula: (2) a b (x, y) = (x0 + t, y0 − t) d d ∀t∈Z Esempio 188. Consideriamo 3x + 6y = 6; abbiamo visto che (2,0) è soluzione. Allora l’Equazione (1) afferma che per ogni t ∈ Z tutte e sole le soluzioni sono: a 6 3 b (x, y) = (x0 − t, y0 + t) = (2 − t, 0 + t) = (2 − 2t, t) d d 3 3 ∀ t ∈ Z. Infatti ritroviamo (0,1), (4,-1) ma scopriamo anche che per t = 100 si ha che (-198, 100) è soluzione. Esempio 189. Consideriamo 10x + 7y = 0. Abbiamo visto che x0 = 0, y0 = 0 è soluzione. Allora b a (x, y) = (x0 − t, y0 + t) = (−7t, 10t) ∀ t ∈ Z. d d sono tutte le soluzioni. Infatti, ritroviamo x0 = −7 e y0 = 10 (pert = 1), ma anche x0 = 7 e y0 = −10 (pert = −1). Esempio 190. Consideriamo 18x + 9y = 81. M CD(18, 9) = 9 e 9 | 81 quindi esistono soluzioni. Ad esempio (x0 , y0 ) = (0, 9) è soluzione quindi tutte le soluzioni sono b a 9 18 (x, y) = (x0 − t, y0 + t) = (0 − t, 9 + t) = (−t, 9 + 2t) d d 9 9 ∀ t ∈ Z. Esercizio 47. Risolvere se possibile la seguente equazione diofantea indicandone tutte le soluzioni 585x + 165y = 15. Sketch: Prima cosa trovare M CD(585, 165). 585 = 165 ∗ 3 + 90, 165 = 90 ∗ 1 + 75, 90 = 75 ∗ 1 + 15 75 = 15 ∗ 5. Quindi M CD(585, 165) = 15. Inoltre 15 | 15 e pertanto l’equazione diofantea ammette soluzioni. Usiamo l’identità di Bézout 90 = a − 3b 75 = b − 90 = 4b − a 15 = 90 − 75 = a − 3b − 4b + a = 2a − 7b = 2 ∗ 585 − 7 ∗ 165; ovvero x0 = 2 e y0 = −7 sono soluzioni e tutte le altre sono b a 165 585 (x, y) = (x0 − t, y0 + t) = (2 − t, −7 + t) = (2 − 11t, −7 + 39t) d d 15 15 ∀ t ∈ Z. 64 DONATELLA IACONO Osservazione 71. Dobbiamo risolvere ax + by = c tale che 0 6= d = M CD(a, b) | c allora dividiamo tutto per d, infatti d | a d | b e d | c e risolviamo l’equazione ottenuta che è piu facile e le soluzioni sono le stesse. È una cosa che abbiamo sempre fatto. Formalmente, se a = a0 d, b = bo d e c = c0 d, consideriamo ax + by = c ⇐⇒ a0 dx + bo dy = c0 d ⇐⇒ a0 x + b0 y = c0 Esercizio 48. Risolvere 585x + 165y = 15. Possiamo dividere per 15 39x+11y = 1, 39 = 11∗3+6; 11 = 6∗1+5; 6= 5 ∗ 1 + 1 quindi 6 = 39 − 11 ∗ 3 5 = 11 − 6 = 11 ∗ 4 − 39 1 = 6 − 5 = 2 ∗ 39 − 7 ∗ 11. Ne segue che una soluzione è (x0 , y0 ) = (2, −7) e tutte e sole le soluzioni sono (x, y) = (2 − 11t, −7 + 39t) ∀ t ∈ Z. Osservazione 72. Analogamente a quanto detto nell’Osservazione 71, se un intero k divide i coefficienti a, d, c di una equazione diofantea ax + by = c, possiamo dividere tutto per k e risolvere una equazione diofantea equivalente ma più semplice. Esercizio 49. Risolvere se possibile la seguente equazione diofantea indicandone tutte le soluzioni 396x + 156y = 24. Dividiamo per 2, 198x+ 78y=12 ancora per due 99 x+ 39y=6 dividiamo per 3 33x+13y=2 Adesso risolviamo questa equazione 33x+13y=2 (come se avessimo diviso per 12 l’equazione di partenza). MCD(33,13)=1 quindi ammette soluzioni. Facciamo le disioni successive: 33 = 2 ∗ 13 + 7, 13 = 1 ∗ 7 + 6, 7 = 1 ∗ 6 + 1 quindi 7 = 33 − 13 ∗ 2 6 = 13 ∗ 3 − 33 1 = 33 ∗ 2 − 13 ∗ 5 quindi 2 = 33 ∗ 4 + 13(−10). Ne segue che una soluzione è x0 = 4 e y0 = −10 e quindi tutte e sole le soluzioni sono (x, y) = (4 − 13t, −10 + 33t) ∀ t ∈ Z. Esercizio 50. Risolvere se possibile la seguente equazione diofantea indicandone tutte le soluzioni 396x + 156y = 12. 385x + 33y = 143 20x + 144y = 99 819x + 221y = 26. APPUNTI DELLE LEZIONI DI MATEMATICA DISCRETA 65 19. Congruenze modulo n A = Z fissiamo n ∈ N con n ≥ 2 Sia fissato n ∈ N e definiamo la relazione su A = Z ∀ a, b ∈ Z aRb ⇐⇒ n | a − b. È equivalente a richiedere: ∃k ∈ Z tale che a − b = kn se e solo se a − b multiplo di n. In tal caso diremo, che a è congruo a b modulo n e scriveremo a ≡ b (mod n). Nell’Esercizio 41, abbiamo già dimostrato che è una relazione di equivalenza. Vogliamo studiare le classi di equivalenza e l’insieme quoziente. Osservazione 73. Sia a ∈ Z. Se a = n · q + r ovvero se r è il resto della divisione di a per n allora aRr ovvero a ≡ r (mod n) Dimostrazione. Dato che a = n · q + r si ha a − r = q · n e quindi n | a − r che implica aRr. Osservazione 74. Si può dimostrare che a ≡ b (mod n) se e solo se a e b hanno lo stesso resto nella divisione per n. Nella relazione di congruenza la classe [a]R si indica con [a]≡n oppure [a]n , inoltre [a]n = {x ∈ Z | xRa} = {x ∈ Z | n | a−x} = {x ∈ Z | x e a stesso resto nella divisione per n } = = {a + tn | t ∈ Z} e la chiameremo classe resto modulo n o classe di congruenza modulo n . Inoltre, per l’Osservazione 73, ogni elemento è equivalente al suo resto, quindi [a]n = [r]n , dove r è il resto della divisione di a per n. I resti possibili nella divisione per n sono 0, 1, 2, . . . , n − 1. Ne segue che Z/R = Z/ ≡n = {[a]n | a ∈ Z} = {[0]n , [1]n , . . . , [n − 1]n } Z/ ≡n si denota anche con Z/nZ o Zn ed ha n elementi. I resti possibili nella divisione per n sono 0, 1, 2, . . . , n − 1. Ne segue che Z/R = Z/ ≡n = {[a]n | a ∈ Z} = {[0]n , [1]n , . . . , [n − 1]n }, Z/ ≡n si denota anche con Z/nZ o Zn ed ha n elementi. Esempio 191. Sia n = 5 abbiamo Z/ ≡5 = {[a]5 | a ∈ Z} = {[0]5 , [1]5 , [2]5 , [3]5 , [4]5 }. Ad esempio, [0]5 = [5]5 = [100]5 . Quale è la classe di 6? [6]5 = [1]5 = [21]5 = {x ∈ Z | x ha resto 1 nella divisione per n = 5 } = {1 + 5t | t ∈ Z} Quale è la classe di -2? Dobbiamo capire resto di −2 nella divisione per n = 5. -2=5 (-1) +3 e quindi il resto è 3, ovvero [−2]5 = [3]5 . Proposizione 12. La relazione di congruenza modulo n è compatibile con le operazioni di somma e prodotto in Z ovvero ∀ a, b, c, d ∈ Z se a ≡ b (mod n) e c ≡ d (mod n) allora (1) a + c ≡ b + d (mod n), (2) a · c ≡ b · d (mod n). Questa proposizione ci permetterà di definire (Sezione 23.1) [a]n + [b]n := [a + b]n [a]n · [b]n := [a · b]n : possiamo fare la somma e il prodotto perché l’operazione non dipende dal rappresentante scelto. 66 DONATELLA IACONO Esempio 192. [6]5 + [−2]5 = [4]5 , [3]5 + [4]5 = [7]5 = [2]5 , Usando la Proposizione 12, possiamo concludere le seguenti proprietà. Proprietà delle congruenze. Se a ≡ b (mod n) allora (1) am ≡ bm (mod n), per ogni m ≥ 1; (2) ac ≡ bc (mod n), per ogni c ∈ Z, dato che c ≡ c (mod n); (3) a + kn ≡ b (mod n) per ogni k ∈ Z, dato che kn ≡ 0 (mod n); (4) a ≡ b + kn (mod n); (5) a − b ≡ 0 (mod n). Esempio 193. Usando la prima proprietà: 1 ≡ 12 (mod 11), quindi per ogni m ≥ 1 si ha 1m ≡ 12m (mod 11). Esempio 194. Usando la terza proprietà: 2 ≡ 7 (mod 5), quindi ad esempio 2 + 25 ≡ 7 (mod 5). Ulteriore Proprietà molto importante per gli esercizi Proposizione 13. Se ac ≡ bc (mod n) allora a ≡ b (mod nd ), dove d = M CD(c, n) e viceversa. In particolare se 1 = M CD(c, n) e ac ≡ bc (mod n) allora a ≡ b (mod n) e viceversa. Esempio 195. Consideriamo 6 ≡ 14 (mod 8). Possiamo vederlo come 3 · 2 ≡ 7 · 2 (mod 4 · 2). Quindi per la Proposizione 13, la conguenza implica 3 ≡ 7 (mod 4) (ma non è vero 3 ≡ 7 (mod 8), bisogna dividere anche 8). 6 ≡ 28 (mod 11) ovvero 2 · 3 ≡ 2 · 14 (mod 11), allora 3 ≡ 14 (mod 11). Osservazione 75. Se a ≡ b (mod n) e inoltre d | n allora a ≡ b (mod d) ma non è vero il viceversa. Ad esempio abbiamo: 2 ≡ 8 (mod 6); inoltre 3 | 6 e quindi 2 ≡ 8 (mod 3) ma non è vero che 1 ≡ 4 (mod 3) implica 1 ≡ 4 (mod 6). Proposizione 14. Se a ≡ b (mod r) e a ≡ b (mod s) allora a ≡ b (mod mcm(r, s)). Teorema 13. (Piccolo Teorema di Fermat) Siano a ∈ Z e p un numero primo. Allora ap ≡ a (mod p). Si chiama piccolo teorema non percheé non sia importante ma perchè esiste il seguente Teorema di Fermat. Teorema 14. L’equazione xn + y n = z n non ammette soluzioni intere non banali per n ≥ 3. Per Per Per Per banali, intendiamo soluzioni come ad esempio x = 0 e y = z. n = 1, abbiamo una retta x + y = z e abbiamo infinite soluzioni intere. n = 2, le soluzioni sono le cosi dette terne pitagoriche, come ad esempio 3,4,5. n ≥ 3, il teorema è stato dimostrato da A. Wiles12 nel 1995. Il Piccolo Teorema di Fermat vale se p primo. Allora, se a ∈ Z e p un numero primo ap ≡ a (mod p). Osservazione 76. Se p primo e M CD(a, p) = 1, allora per la Proposizione 13 dire ap ≡ a (mod p) implica ap−1 ≡ 1 (mod p). 12A. Wiles, matematico nato nel 1953 a Cambridge, Professore presso la Unviersity of Oxford. APPUNTI DELLE LEZIONI DI MATEMATICA DISCRETA 67 Se p non è primo cosa possiamo dire? Dobbiamo introdurre la funzione di Eulero. Definizione 57. (FUNZIONE di EULERO) Sia n ≥ 1. La funzione di Eulero è la funzione ϕ : N∗ → N dove ϕ(1) = 1 e per ogni n ≥ 2 ϕ(n) è il numero degli interi positivi (> 0) strettamenti minori di n e coprimi con n, ovvero conta quanti sono gli a con 1 ≤ a < n tale che M CD(a, n) = 1. Esempio 196. n=2, allora ϕ(2) = 1 n=3, allora ϕ(3) = 2 n=5 ϕ(5) =?, Abbiamo 1,2,3,4, quindi ϕ(5) = 4 n=10 1,3,7,9 ϕ(10) = 4 In generale, dato n ∈ N∗ come possiamo calcolare ϕ(n)? Elenchiamo alcune proprietà della funzione di Eulero che serviranno per il suo calcolo. Proprietà della funzione di Eulero. (1) ∀p primo ϕ(p) = p − 1; (2) ∀p primo e per ogni h ≥ 1, ϕ(ph ) = ph − ph−1 ; (3) ∀a, b ∈ Z se MCD(a,b)=1, allora ϕ(ab) = ϕ(a)ϕ(b). Quindi, ∀n ∈ N \ {0, 1}, se n = ph1 1 ph2 2 · · · phs s è la fattorizzazioni in primi di n, allora ϕ(n) = ϕ(ph1 1 ph2 2 · · · phs s ) = ϕ(ph1 1 ) · ϕ(ph2 2 ) · · · ϕ(phs s ) = s Y (phi i − pihi −1 ). i=1 Esempio 197. ϕ(13) = 12 essendo primo ϕ(30) =? Usando la fattorizzazione 30=2*3*5 quindi ϕ(30) = ϕ(2)ϕ(3)ϕ(5) = 1 ∗ 2 ∗ 4 = 8. ϕ(24 36 115 ) = ϕ(24 )ϕ(36 )ϕ(115 ) = (24 − 23 )(36 − 35 )(115 − 114 ). Teorema 15. (TEOREMA di EULERO FERMAT) Sia a ∈ Z e M CD(a, n) = 1 allora aϕ(n) ≡ 1 (mod n). Osservazione 77. Se n = p primo, riotteniamo il piccolo Teorema di Fermat. Esempio 198. Dire se è vero o falso che 1148 ≡ 1 (mod 104). Allora 104 non è primo quindi non possiamo applicare piccolo Teorema Fermat. MCD(11,104)=1 quindi possiamo applicare teorema di Eulero Fermat. Dobbiamo calcolare ϕ(104). 104 = 52 ∗ 2 = 13 ∗ 4 ∗ 2 = 13 ∗ 23 . Quindi ϕ(104) = ϕ(23 )ϕ(13) = (23 − 22 )12 = 12 ∗ 4 = 48. Quindi la congruenza è vera. Esempio 199. Dire se è vero o falso che 15353 ≡ 7 (mod 8) allora 8 non è primo quindi non possiamo applicare piccolo Teorema Fermat. MCD(15,8)=1 quindi possiamo applicare teorema di Eulero Fermat. Dobbiamo calcolare ϕ(8) = ϕ(23 ) = (23 − 22 ) = 4 (1,3,5,7). Quindi vero che 154 ≡ 1 (mod 8). Vogliamo capire la classe di 353 modulo 4. 353 = 4 · 88 + 1 Quindi 15353 = 154·88+1 = 154·88 · 15. Quindi 15353 = (154 )88 · 15 ≡8 188 · 15 ≡8 1 · 15 ≡ 7 (mod 8). Quindi la congruenza è vera. 68 DONATELLA IACONO 20. Congruenze lineari Definizione 58. (CONGRUENZA LINEARE) Dati a e b interi e n ≥ 2 si definisce una congruenza linearenell’incognita x ogni espressione della forma ax ≡ b (mod n). Una soluzione della congruenza lineare è un intero x0 ∈ Z tale che ax0 ≡ b (mod n). Esempio 200. Data 7x ≡ 1 (mod 3), ad esempio x0 = 1 è soluzione. Esempio 201. Siamo interessati a trovare soluzioni di 30x ≡ 1 (mod 2) oppure 18x ≡ 16 (mod 44) o 104x ≡ 24 (mod 600). Dobbiamo risolvere due problemi. Come capire se esistono soluzioni e soprattutto come trovarle tutte. Teorema 16. (ESISTENZA) La congruenza lineare ax ≡ b (mod n) ammette soluzioni intere se e soltanto se M CD(a, n) | b. Dimostrazione. Risolvere ax ≡ b (mod n) equivale a dire n | ax − b ovvero ∃h ∈ Z tale che nh = ax − b ovvero ax − nh = b. Questa è una equazione diofantea ed ammette soluzioni se e solo se M CD(a, n) | b, vedere Teorema 11. La dimostrazione del teorema è costruttiva, ovvero non solo ci dice se le soluzioni esistono ma ci spiega anche come trovarle: dobbiamo risolvere l’equazione diofantea associata. Esempio 202. 7x ≡ 1 (mod 3). M CD(3, 7) = 1 | 1. 30x ≡ 1 (mod 2). M CD(30, 2) = 2 6| 1 non ha soluzioni. 18x ≡ 16 (mod 44). M CD(18, 44) = 2 | 16 ammette soluzioni. 104x ≡ 24 (mod 600). Abbiamo 104 = 52 ∗ 2 = 13 ∗ 4 ∗ 2 = 13 ∗ 23 , 600 = 6 ∗ 100 = 2 ∗ 3 ∗ 52 ∗ 22 = 23 ∗ 3 ∗ 52 , quindi M CD(104, 600) = 8 | 24: ammette soluzioni. Come possiamo trovare tutte le soluzioni? Teorema 17. (SOLUZIONI) Se x0 è una soluzione della congruenza lineare ax ≡ b (mod n) allora tutte e sole le soluzioni di tale equazione sono n ∀t ∈ Z, x = (x0 + t) d dove d = M CD(a, n). (Quindi se esiste una soluzione allora ne esistono infinite.) Tra queste soluzioni x0 , x0 + nd , x0 + 2 nd , . . . , x0 + (d − 1) nd sono d soluzioni tutte non congruenti fra loro modulo n. Ogni altra soluzione è congrua a queste modulo n. Quindi, la congruenza ax ≡ b (mod n) ammette esattamente d = M CD(a, n) soluzioni non congruenti fra loro modulo n. Osservazione 78. Sappiamo che erano fatte cosi le soluzioni della equazione diofantea per il Teorema 12. Se MCD(a,n)=1 allora la congruenza ax ≡ b (mod n) ammette una unica soluzione modulo n. Tutte le altre soluzioni sono x0 +n, x0 +2n, ... ovvero x = x0 +tn ∀t ∈ Z. Queste sono tutte congruenti modulo n. Esempio 203. 7x ≡ 1 (mod 3). 1 è soluzione, inoltre M CD(1, 3) = 1. Quindi x0 = 1 è soluzione, ed è l’unica soluzione modulo 3. Altre soluzioni sono 4,7, -2, -5... ovvero 1 + 3t, ∀t ∈ Z. Le possiamo scrivere tutte: ovvero x ≡ 1 (mod 3). Esercizio 51. Risolvere 18x ≡ 16 (mod 44) indicandone tutte le soluzioni. M CD(18, 44) = 2 e 2 | 16, quindi ammette soluzioni. Risolvere la congruenza è come risolvere 44 | 18x − 16 ovvero 44t = 18x − 16 ovvero 18x − 44t = 16. Quindi dobbiamo risolvere questa equazione diofantea e trovare x. APPUNTI DELLE LEZIONI DI MATEMATICA DISCRETA 69 Dividiamo per 2 e otteniamo 9x − 22t = 8 MCD(9,22)=1 22 = 9 ∗ 2 + 4 9=4∗2+1 4 = 22 − 2 ∗ 9 = a − 2b; 1 = 9 − 2 ∗ 4 = b − 2a + 4b = 5b − 2a; 1 = −2 ∗ 22 + 5 ∗ 9. Quindi 8 = (−16) ∗ 22 + 40 ∗ 9. Ne segue che x0 = 40 è soluzione. Infatti 18x0 = 18 ∗ 40 = 720 = 704 + 16 = 44 ∗ 16 + 16 ≡ 16 (mod 44). M CD(18, 44) = 2 quindi esistono d = 2 soluzioni non congrue modulo 44. L’altra soluzione è x0 + nd = 40 + 44 2 = 40 + 22 = 62 ovvero 62-44=18. Quindi le soluzioni non congurenti modulo 44 sono 18 e 40, allora tutte le soluzioni sono x ≡ 18 (mod 44) e x ≡ 40 (mod 44). Osservazione 79. La congruenza ax ≡ b (mod n) ha soluzioni se M CD(a, n) = d | b, allora tutto divisibile per d. Dividiamo e semplifichiamo, ottenendo ad x ≡ db (mod nd ). Adesso M CD( nd , ad ) = 1 ovvero ora unica soluzione modulo nd . Esempio 204. Risolvere 18x ≡ 16 (mod 44) indicandone tutte le soluzioni. M CD(18, 44) = 2, quindi ammette soluzioni. Dividiamo per 2 e otteniamo: 9x ≡ 8 (mod 22) Quindi 22 | 9x−8 e allora 9x−22t = 8. Come nell’Esercizio 51. La soluzione abbiamo visto è 8 = (−16) ∗ 22 + 40 ∗ 9. x0 = 40 è soluzione. Esiste una sola soluzione non congruente modulo 22 ed è 40, ovvero tutte le soluzioni sono x ≡ 40 (mod 22). Notiamo che 40 ≡ 18 (mod 22), quindi possiamo anche scrivere che tutte le soluzioni sono x ≡ 18 (mod 22). Attenzione: otteniamo le stesse soluzioni di prima dell’Esercizio 51! Infatti anche x = 40 è congruo a 18 modulo 22. Esercizio 52. 104x ≡ 24 (mod 600). M CD(104, 600) = 8 | 24 dividiamo tutto per 8. 13x ≡ 3 (mod 75). ...... (fatto in classe)... x ≡ 6 (mod 75). Osservazione 80. Supponiamo di avere ax ≡ b (mod n). Dividiamo a per n, quindi a = nq + r allora ax ≡ b (mod n) se e solo se rx ≡ b (mod n). Infatti, notiamo che nq ≡ 0 (mod n) e quindi −nqx ≡ 0 (mod n). Quindi se ax = nqx + rx ≡ b (mod n), sommando ax ≡ b (mod n) con −nqx ≡ 0 (mod n) otteniamo allora rx ≡ b (mod n). Viceversa, se rx ≡ b (mod n), sommando nqx ≡ 0 (mod n), otteniamo nqx + rx ≡ b (mod n) ovvero ax ≡ b (mod n). Lo stesso vale per b. Dividendo b per n, se b = nq + r allora sappiamo che b ≡ r (mod n) e quindi possiamo sostituire b con r. Esempio 205. Risolvere la congruenza 11x ≡ 8 (mod 5). Allora 11 ≡ 1 (mod 5). Quindi possiamo ridurre la congruenza a x ≡ 8 (mod 5). Riduciamo anche 8 e otteniamo x ≡ 3 (mod 5). Ovvero x0 = 3 è soluzione ed è unica soluzione modulo 5. Tutte le altre sono x ≡ 3 (mod 5). Esempio 206. Risolvere la congruenza 14x ≡ 6 (mod 4). Questa congruenza è equivalente a 2x ≡ 2 (mod 4). Dividiamo ora per 2 e otteniamo x ≡ 1 (mod 2). Ovvero x0 = 1 è soluzione ed è unica soluzione modulo 2. Tutte le altre sono x ≡ 1 (mod 2). Esempio 207. Risolvere la congruenza 19x ≡ 3 (mod 8). Questa congruenza è equivalente a 3x ≡ 3 (mod 8). Quindi x ≡ 1 (mod 8). Per n piccolo possiamo anche procedere per tentativi senza risolvere l’equazione diofantea associata. 70 DONATELLA IACONO Esercizio 53. Risolvere la congruenza 3x ≡ 1 (mod 7). La congruenza ammette soluzione e modulo 7 è unica. Quindi, la soluzione è una delle classi modulo 7. Possiamo provare tutti i valori possibili e trvovare la soluzione senza ricorrere alla equazione diofantea associata. 1 no,2 no, 3 no, 4 no, 5 si, quindi x ≡ 5 (mod 7) è la soluzione. Esercizio 54. Risolvere la congruenza 3x ≡ 7 (mod 11). La congruenza ammette soluzione e modulo 11 è unica. Quindi, la soluzione è una delle classi modulo 11. Possiamo provare tutti i valori possibili e trvovare la soluzione senza ricorrere alla equazione diofantea associata. 1 no,2 no, 3 no, 4 no, 5 no, 6 si. Quindi x0 = 6 è soluzione ed è unica soluzione modulo 11. Tutte le altre sono x ≡ 6 (mod 11). Esercizio 55. 13x ≡ 3 (mod 200). M CD(13, 200) = 1 | 3 la soluzione esiste ed è unica modulo 200. Cerchiamola con equazione diofantea. 200 | 13x − 3 ovvero 200t = 13x − 3 ovvero 13x − 200t = 3. Ora dobbiamo risolvere questa equazione diofantea e trovare x. Consideriamo 13x + 200t = 3 200=13*15 +5 13=5*2+3 5=3*1+2 3=2*1+1 a=200, b=13 5=a-15b, 3=b-2*5=b-2a+30b=31b-2a (è la soluzione) 2=5-3= a-15b -31b+2a= 3a-46b 1=3-2=31b-2a-3a+46b= 77b-5a= 77*13-5*200=1001-1000 allora 3= 3*77b -15 a. Quindi x=3*77=231, ovvero x ≡ 231 (mod 200) è l’unica soluzione modulo 200, ovvero x ≡ 31 (mod 200). 21. Sistemi di congruenze lineari Supponiamo di voler risolvere un sistema di congruenze lineari, ovvero a x ≡ b1 (mod n1 ) 1 a2 x ≡ b2 (mod n2 ) ··· ··· ar x ≡ br (mod nr ). Una soluzione del sistema è un intero x0 ∈ Z che risolve tutte le congrueze lineari. Di sicuro è necessario che ogni congruenza sia risolubile, altrimenti non esiste soluzione al sistema. Inoltre, serve anche una compatibilità tra le congruenze. Esempio 208. x ≡ 1 (mod 10) x ≡ 2 (mod 8) Non ammette soluzioni perché la prima ha soluzioni solo dispari e la seconda solo numeri pari. Proposizione 15. Dato un sistema a x ≡ b1 (mod n1 ) 1 a2 x ≡ b2 (mod n2 ) ··· ··· ar x ≡ br (mod nr ). APPUNTI DELLE LEZIONI DI MATEMATICA DISCRETA 71 tale che ogni congruenza ammette soluzione allora il sistema è equivalente ad un sistema della forma x ≡ c1 (mod n01 ) x ≡ c2 (mod n02 ) ··· ··· x ≡ cr (mod n0r ). Dimostrazione. Ogni singola congruenza ai x ≡ bi (mod ni ) ammette soluzione, quindi di = M CD(ai , ni ) | bi . Dividiamo ogni congruenza per di e otteniamo una congruenza equivalente a quella precedente: adi x ≡ bdi (mod ndi ) tale che M CD( ndi , adi ) = 1. Questa congruenza ammette una unica soluzione modulo ndi , esattamente x ≡ ci (mod ndi ). Basta porre ndi = n0i e otteniamo il sistema equivalente richiesto. Esempio 209. 4x ≡ 8 (mod 10) 3x ≡ 3 (mod 9) M CD(4, 10) = 2 | 8 quindi dividendo per 2 abbiamo che 4x ≡ 8 (mod 10) se e solo se 2x ≡ 4 (mod 5). Possiamo ancora dividere per 2 (Proposizione 13) e ottenere x ≡ 2 (mod 5). Nella seconda 3x ≡ 3 (mod 9), M CD(3, 9) = 3 | 3 dividiamo per 3 e otteniamo x ≡ 1 (mod 3). Quindi il sistema è equivalente a x ≡ 2 (mod 5) x ≡ 1 (mod 3) Teorema 18. (TEOREMA CINESE DEI RESTI) Siano n1 , . . . , nr interi positivi tali che M CD(ni , nj ) = 1 ∀i 6= j, allora il sistema di congruenze x ≡ c1 (mod n1 ) x ≡ c2 (mod n2 ) ··· ··· x ≡ cr (mod nr ) ammette soluzione unica modulo n1 · n2 · · · nr . Osservazione 81. Se gli interi non sono coprimi tra loro il teorema non ci dice nulla ma non è detto che non ci siano soluzioni. Dimostrazione. Sia N = n1 · n2 · · · · · nr e Ni = nNi , ovvero il prodotto di tutti gli nj tranne i-esimo. Ne segue che M CD(Ni , ni ) = 1. Consideriamo Ni x ≡ ci (mod ni ). Questa congruenza ha una unica soluzione modulo ni , dato che M CD(Ni , ni ) = 1. Chiamiamo tale soluzione x̄i , ovvero Ni x̄i ≡ ci (mod ni ). Lo facciamo per ogni i e troviamo tutte le varie soluzioni x̄i . Allora x0 = N1 · x̄1 + N2 · x̄2 + · · · + Nr · x̄r è soluzione del sistema e x ≡ N1 · x̄1 + N2 · x̄2 + · · · + Nr · x̄r (mod N ) è l’unica mod N . Mostriamo che è soluzione del sistema. Infatti, x0 = N1 · x̄1 + N2 · x̄2 + · · · + Nr · x̄r ≡ni Ni x̄i ≡ni ci e questo per ogni i. Ne segue che x0 risolve tutte le congruenze. Si dimostra anche che è unica mod N . Q Ricapitolando la soluzione mod N = i ni è unica e si trova come somma x0 = N1 · x̄1 + N2 · x̄2 + · · · + Nr · x̄r dove ogni x̄i risolve Ni x ≡ ci (mod ni ). 72 DONATELLA IACONO Esempio 210. Consideriamo il sistema dell’Esempio 209: 4x ≡ 8 (mod 10) 3x ≡ 3 (mod 9) Abbiamo visto che il sistema è equivalente a x ≡ 2 (mod 5) x ≡ 1 (mod 3) Applichiamo roa il Teorema Cinese dei Resti per risolverelo, infatti M CD(3, 5) = 1. Consideriamo le due congruenze: 3x ≡ 2 (mod 5) e 5x ≡ 1 (mod 3) La prima ha come soluzione x1 ≡ 4 (mod 5); la seconda x2 ≡ 2 (mod 3). Quindi x0 = 3 · 4 + 5 · 2 = 22 è soluzione e tutte le soluzioni sono x ≡ 22 (mod 15) ovvero x≡7 (mod 15). APPUNTI DELLE LEZIONI DI MATEMATICA DISCRETA 73 22. Strutture Algebriche Definizione 59. (OPERAZIONE) Sia A un insieme non vuoto (finito o infinito). Una operazione su A è una qualunque funzione: ∗:A×A→A ∀ a, b ∈ A ∗ (a, b) = a ∗ b ∈ A. La coppia ordinata (A, ∗) si chiama struttura algebrica. Esempio 211. A = N, ∗ = +. + : N × N → N, tale che ∀ a, b ∈ N con +(a, b) = a + b. Infatti a + b ∈ N. È ben definita. Allora (N, +) è una struttura algebrica e + è l’operazione di somma. Esempio 212. A = N, ∗ = −. − : N × N → N, tale che ∀ a, b ∈ N con −(a, b) = a − b. Non è una operazione. Esempio 213. A = Z, ∗ = −. − : Z × Z → Z, tale che ∀ a, b ∈ Z con −(a, b) = a − b. Infatti a − b ∈ Z, ∀ a, b ∈ Z, quindi è ben definita. Allora (Z, −) è una struttura algebrica. Esempio 214. Esempi di strutture algebriche: (N, +), (Z, +), (Q, +), (R, +), (N, ·), (Z, ·), (Q, ·), (R, ·), (Z, −), (Q, −), (R, −). Esempio 215. Consideriamo A = Q e definiamo ∗ : Q × Q → Q, tale che ∀ a, b ∈ Q con ∗(a, b) = 2a2 − 4b3 . Questa operazione è ben definita, infatti a ∗ b ∈ Q. Allora (Q, ∗) è una struttura algebrica. Esempio 216. Consideriamo A = Z e definiamo ∗ : Z × Z → Z, tale che ∀ x, y ∈ Z con ∗(x, y) = 2xy + x + y. Questa operazione è ben definita, infatti x ∗ y ∈ Z. Allora (Z, ∗) è una struttura algebrica. Definizione 60. (ASSOCIATIVA) Sia (A, ∗) una struttura algebrica. L’operazione ∗ è associativa su A se ∀x, y, z ∈ A, si ha (x ∗ y) ∗ z = x ∗ (y ∗ z). In tal caso, diremo che (A, ∗) è una struttura algebrica associativa. Esempio 217. (Z, +), (Z, ·) sono strutture algebriche associative, già visto (Sezione 14). Esempio 218. (Q, ·) è una struttura algebrica associativa: ·:Q×Q→Q · (a, b) = a · b è associativa: ∀ a, b, c ∈ Q si ha a · (b · c) = (a · b) · c. Esempio 219. (N, +) (Q, +), (Q, ·), (R, +) (R, ·) sono strutture algebriche associative. Esempio 220. Consideriamo (R, −) con −:R×R→R − (a, b) = a − b. E ci chiediamo è associativa? Calcoliamo (x ∗ y) ∗ z e x ∗ (y ∗ z): (x ∗ y) ∗ z = (x − y) − z = x − y − z x ∗ (y ∗ z) = x − (y − z) = x − y + z, e i risultati non sono uguali, per ogni scelta di x, y e z ∈ R. Ad esempio se x = 0, y = 0 e z = 1, allora x − y − z = −1; x − y + z = 1. Quindi (R, −) è una struttura algebrica non associativa. Esempio 221. Sia B un insieme fissato non vuoto e A = {f : B → B} l’insieme delle funzioni da B in B. La composizione ◦:A×A→A ◦ (f, g) = g ◦ f è una operazione su A ed abbiamo già visto che è associativa: ∀f, g, h ∈ A si ha che f ◦ (g ◦ h) = (f ◦ g) ◦ h (Sezione 4.4). Quindi (A = {f : B → B}, ◦) è una struttura algebrica associativa. 74 DONATELLA IACONO Definizione 61. (ELEMENTO NEUTRO) Una struttura algebrica (A, ∗) ammette elemento neutro se ∃e∈A tale che ∀x ∈ A x ∗ e = e ∗ x = x. Osservazione 82. Nella definizione: ∃e ∈ A tale che ∀x ∈ A; ovvero esiste un elemento e che “va bene”per ogni elemento x di A. Esempio 222. Consideriamo A = Z con ∗ = +, dove + : Z × Z → Z, tale che ∀ a, b ∈ Z con +(a, b) = a + b ∈ Z. Allora ∃e = 0 ∈ Z tale che ∀a ∈ Z si ha a + 0 = 0 + a = a. Osservazione 83. Se esiste un elemento neutro e in (A, ∗), allora è unico. Infatti, se ne esistessero due: e1 e e2 in (A, ∗). Allora e1 = e1 ∗ e2 = e2 . Nella prima uguaglianza, sfruttiamo che e2 è elemento neutro, nella seconda che e1 è elemento neutro. Definizione 62. (MONOIDE) Una strutura algebrica (A, ∗) associativa e dotata di elemento neutro, si chiama monoide. Esempio 223. Esempi di Monoide: (N, +), (Z, +), (Q, +), (R, +), associative ed e = 0 è elemento neutro. (N, ·), (Z, ·),(Q, ·),(R, ·), associative ed e = 1 è elemento neutro. (A = {f : B → B}, ◦) associativo ed e = IdB è elemento neutro. Esempi di Non Monoide: (Z, −),(Q, −),(R, −), (perché sono strutture algebriche non associative). 22.1. Esempio: Monoide delle parole. Sia L un insieme finito non vuoto, detto alfabeto (esempio lettere dell’alfabeto italiano o inglese o altro). Gli elementi dell’insieme L sono dette lettere dell’alfabeto. Una parola nell’alfabeto L è una sequenza (finita) di elementi di L: w = a1 a2 . . . an con ai ∈ L, ∀ i = 1, . . . n; w è una parola di lunghezza n (n =numero delle lettere della parola). Notiamo che non è un prodotto, scriviamo le lettere vicino per formare una parola. Poi abbiamo parola vuota e la indichiamo con ∅ ed è la sequenza vuota, quindi parola di lunghezza zero. Definiamo A = insieme delle parole nell’alfabeto L, è un insieme infinito. Esempio 224. Sia L = {a, b, c}. Allora possiamo fare i seguenti esempi di parole: ∅, a, b, aa, bb, aaabbbccacbabcbabbcc. Definiamo una struttura algebrica su A definendo la seguente operazione su A: ∗:A×A→A ∗ (w1 , w2 ) = w1 w2 dove w1 w2 è la giustapposizione (o concatenazione) di parole, ovvero scriviamo una parola dopo l’altra. Se w1 = a1 a2 . . . an e w2 = b1 b2 . . . bm allora w1 ∗ w2 = a1 a2 . . . an b1 b2 . . . bm . Esempio 225. L = {a, b, c}; w1 = aabcaa w2 = abbb allora w1 w2 = aabcaaabbb. Oppure w2 w1 = abbbaabcaa. Proprietà della struttura algebrica (A, ∗) (1) ∀w ∈ A si ha che w ∗ ∅ = ∅ ∗ w = w (ovvero ∅ è l elemento neutro). (2) ∀w1 , w2 , w3 ∈ A si ha che (w1 ∗ w2 ) ∗ w3 = w1 ∗ (w2 ∗ w3 ) (ovvero ∗ è associativa). APPUNTI DELLE LEZIONI DI MATEMATICA DISCRETA 75 Quindi (A, ∗) è una struttura algebrica associativa con elemento neutro e = ∅. Quindi (A, ∗) è un monoide: il monoide (libero) delle parole nell’alfabeto L. Osservazione 84. Il monoide delle parole su un alfabeto L è usato nei linguaggi di programmazione. Ad esempio, se L = {a, b, c} allora a volte è chiamato monoide libero con 3 generatori. Studieremo il significato della parola generatori, quando affronteremo i gruppi. Definizione 63. (COMMUTATIVA) Sia (A, ∗) una struttura algebrica. L’operazione ∗ soddisfa la proprietà commutativa se ∀a, b, ∈ A si ha a ∗ b = b ∗ a. Se in un monoide l’operazione è commutativa, allora si dice monoide commutativo. Esempio 226. Esempi di Monoide Commutativo: (N, +), (Z, +),(Q, +),(R, +), (N, ·), (Z, ·),(Q, ·),(R, ·) Esempi di Monoide Non Commutativo: (A = {f : B → B}, ◦), se B ha almeno due elementi. Il monoide delle parole, se l’alfabeto è costituito da almeno due lettere. Esercizio 56. Stabilire se ∗ : Z × Z → Z con ∀x, y ∈ Z, x ∗ y = 2xy + x + y è una operazione associativa, ammette elemento neutro, è commutativa. Esercizio 57. Stabilire se ∗ : Z × Z → Z con ∀x, y ∈ Z, x ∗ y = xy + x è una operazione associativa, ammette elemento neutro, è commutativa. Esercizio 58. Stabilire se ∗ : Q × Q → Q con ∀x, y ∈ Q, x ∗ y = xy − x − y + 3 è una operazione associativa, ammette elemento neutro, è commutativa. Definizione 64. (elemento INVERTIBILE) Sia (A, ∗) una struttura algebrica dotata di elemento neutro e. Un elemento a ∈ A si dice invertibile, se esiste a0 ∈ A con a ∗ a0 = a0 ∗ a = e L’elemento a ∈ A si dice inverso di a e si denota con a−1 . Se ∗ = + si denota con −a e si chiama anche opposto. Proposizione 16. Sia (A, ∗) un monoide. Se un elemento a ∈ A ammete inverso esso è unico. Dimostrazione. Supponiamo che a ammetta due inversi, a0 e a00 . Allora, per definizione: e = a ∗ a0 = a0 ∗ a e = a ∗ a00 = a00 ∗ a. Quindi a00 inv ass a0 inv a0 = a0 ∗ e = a0 ∗ (a ∗ a00 ) = (a0 ∗ a) ∗ a00 = e ∗ a00 = a00 Osservazione 85. Se a è invertibile ed a−1 è inverso, allora (a−1 )−1 = a. Infatti, a ∗ a−1 = a−1 ∗ a = e. Ma allora l’inverso di a−1 è a. Osservazione 86. Sia (A, ∗) un monoide. Se a e b sono invertibili, allora a ∗ b è invertibile e (a ∗ b)−1 = b−1 ∗ a−1 . Infatti (a ∗ b) ∗ (b−1 ∗ a−1 ) = e e (b−1 ∗ a−1 ) ∗ (a ∗ b) = e. Quindi (a ∗ b)−1 = b−1 ∗ a−1 . Esempio 227. Consideriamo la struttura algebrica (Q, ·). Allora l’elemento neutro è 1. Se a = 3, allora a−1 = 31 . Allora (a−1 )−1 = ( 31 )−1 = 3 = a. Se b = 4, allora b−1 = 14 . Allora (b−1 )−1 = ( 14 )−1 = 4. 1 Allora a · b = 12 e (a · b)−1 = 12 = 14 · 13 . 76 DONATELLA IACONO Osservazione 87. Sia (A, ∗) una struttura algebrica con elemento neutro e, allora e è inverso di se stesso. SEMPRE! Osservazione 88. Sia (A, ∗) un monoide. Se usiamo la notazione moltiplicativa allora (A, ·), ovvero ∗ = ·, elemento neutro e = 1 e l’inverso si indica con a−1 . Se usiamo la notazione additiva allora (A, +), ovvero ∗ = +, elemento neutro e = 0 e l’opposto si indica con −a. Esempio 228. (N, +) (monoide) a + a0 = a0 + a = 0 vero solo se a = 0, e a0 = 0. Quindi 0 è l’unico elemento che ammette opposto (N, +). (N, ·) (monoide) a · a0 = a0 · a = 1 vero solo se a = 1 e in tal caso esiste a0 = 1 inverso. Quindi 1 è l’unico elemento che ammette inverso in (N, ·) ed è 1. (Z, +) (monoide) ogni elemento ha opposto. Infatti a + a0 = 0 = a0 + a ha soluzione per ogni a ∈ Z, basta prendere a0 = −a. Analogamente ogni elemento in (Q, +),(R, +) ammette opposto. (Z, ·) (monoide) a · a0 = 1 = a0 · a ammette soluzione se e solo se a = 1 o a = −1. Se a = 1 allora inverso a0 = 1. Se a = −1 allora inverso a0 = −1. (Q, ·) (monoide) a · a0 = 1 = a0 · a ammette soluzione per ogni a 6= 0 basta prendere a−1 = a1 . Analogmanete, in (R, ·), ogni elemento a 6= 0 è invertibile e l’inverso è a−1 = a1 . (A = {f : B → B}, ◦). Le funzioni biettive sono tutti e soli gli elementi invertibili. 23. Gruppi Definizione 65. (GRUPPO) Una struttura algebrica (A, ∗) è un gruppo se è un monoide in cui ogni elemento è invertibile, ovvero è una struttura algebrica associativa dotata di elemento neutro e ogni elemento ha inverso. Esplicitamente (1) ∗ è associativa: ∀x, y, z ∈ A, si ha (x ∗ y) ∗ z = x ∗ (y ∗ z). (2) Esiste elemento neutro: ∃e ∈ A tale che ∀x ∈ A x ∗ e = e ∗ x = x. (3) Ogni elemento è invertibile: ∀x ∈ A, ∃x0 ∈ A con x ∗ x0 = x0 ∗ x = e. Notazione. Per le strutture algebriche scriviamo (A, ∗), per i gruppi si usa la notazione (G, ∗). Osservazione 89. Nella notazione di gruppo non si richiede che l’operazione sia commutativa. Definizione 66. (Gruppo abeliano) Un gruppo (G, ∗) si dice gruppo commutativo o gruppo abeliano 13, se ∗ è commutativa, ovvero se ∀a, b, ∈ A si ha a ∗ b = b ∗ a. Esempio 229. (N, +), (N, ·), (Z, ·) non sono gruppi. (Z, +), (Q, +),(R, +) sono gruppi abeliani. (Q, ·),(R, ·) non sono gruppi, perché 0 non è invertibile. (Q − {0}, ·),(R − {0}, ·) sono gruppi abeliani. B insieme non vuoto, (A = {f : B → B | f biettiva }, ◦) è un gruppo (non abeliano per |B| ≥ 3). La Sezione 24 è dedicata a questo gruppo. 13N.H. Abel, 1802-1829. Matematico Norvegese. APPUNTI DELLE LEZIONI DI MATEMATICA DISCRETA 77 23.1. Operazioni compatibili con relazioni di equivalenza. Definizione 67. Sia (A, ∗) una struttura algebrica. Una relazione di equivalenza R su A si dice compatibile con ∗ se: ∀a, b, c, d ∈ A aRb e cRd =⇒ a ∗ c R b ∗ d ovvero se (a, b) ∈ R e (c, d) ∈ R allora (a ∗ c, b ∗ d) ∈ R. Ricordiamo che abbiamo visto la seguente proposizione (Proposizione 12): Proposizione. 12 La relazione di congruenza modulo n è compatibile con le operazioni di somma e prodotto in Z ovvero ∀ a, b, c, d ∈ Z se a ≡ b (mod n) e c ≡ d (mod n) allora (1) a + c ≡ b + d (mod n), (2) a · c ≡ b · d (mod n). Esempio 230. 1) Sia (A, ∗) = (Z, +) e ∀n ≥ 2 sia R= congruenza modulo n, ovvero ≡ (mod n). Allora per la Proposizione 12, la relazione di congruenza modulo n è compatibile con la somma + su Z. 2) Sia (A, ∗) = (Z, ·) e ∀n ≥ 2 sia R= congruenza modulo n, ovvero ≡ (mod n). Allora per la Proposizione 12, la relazione di congruenza modulo n è compatibile con i prodotto · su Z. Teorema 19. Sia (A, ∗) una struttura algebrica e R una relazione di equivalenza su A compatibile con ∗. Allora è possibile definire sull’insieme quoziente A/R una legge di composizione ∗R . Ovvero, sull’insieme quoziente A/R = {[a]R | a ∈ A} = { classi di equivalenza } è definita l’operazione ∗R : A/R × A/R → A/R ([a]R , [b]R ) 7−→ [a]R ∗R [b]R = [a ∗ b]R . Scriveremo (A/R, ∗) al posto di (A/R, ∗R ). Si verifica che ∗ è una operazione ben definita sull’insieme quoziente A/R e gode delle proprietà di ∗: (1) Se (A, ∗) è un monoide allora (A/R, ∗) è un monoide. (2) Se (A, ∗) è un gruppo allora (A/R, ∗) è un gruppo. (3) Se (A, ∗) è un gruppo commutativo allora (A/R, ∗) è un gruppo commutativo . ESEMPIO FONDAMENTALE 1) Sia (A, ∗) = (Z, +) e ∀n ≥ 2 sia R= congruenza modulo n, ovvero ≡ (mod n). R è compatibile con la somma + su Z, quindi per il Teorema 19 è ben definita l’operazione di somma + su Z/ ≡n . Usiamo la notazione Z/ ≡n = Zn : + : Zn × Zn → Zn tale che ∀[a]n , [b]n ∈ Zn si ha [a]n + [b]n = [a + b]n . (La somma di due classi di equivalenza è la classe di equivalenza della somma). Notiamo che (Z, +) è un gruppo abeliano quindi (Zn , +) è un gruppo abeliano. 78 DONATELLA IACONO Esempio 231. n=7, consideriamo (Z7 , +); Z7 = {[0]7 , [1]7 , . . . , [6]7 } [3]7 + [5]7 = [3 + 5]7 = [8]7 = [1]7 , [6]7 + [1]7 = [6 + 1]7 = [7]7 = [0]7 . Osservazione 90. Nel gruppo abeliano (Zn , +), l’elemento neutro è [0]n . Infatti: ∀[a]n ∈ Zn [a]n + [0]n = [0]n + [a]n = [0 + a]n = [a]n . ESEMPIO FONDAMENTALE 2) Sia (A, ∗) = (Z, ·) e ∀n ≥ 2 sia R= congruenza modulo n, ovvero ≡ (mod n). R è compatibile con il prodotto · su Z. Quindi per il Teorema 19 è ben definita l’operazione di prodotto · su Zn : · : Zn × Zn → Zn tale che ∀[a]n , [b]n ∈ Zn si ha [a]n · [b]n = [a · b]n . (Il prodotto di due classi di equivalenza è la classe di equivalenza del prodotto). Notiamo che (Z, ·) è un monoide commutativo, quindi (Zn , ·) è un monoide commutativo. Esempio 232. Ad esempio per n = 8, consideriamo (Z8 , ·); Z8 = {[0]8 , [1]8 , . . . , [7]8 } [3]8 · [5]8 = [3 · 5]8 = [15]8 = [7]8 ; [3 · 3]8 = [9]8 = [1]8 . [2]8 · [4]8 = [2 · 4]8 = [8]8 = [0]8 , [3]8 · [3]8 = Osservazione 91. Nel monoide commutativo (Zn , ·), l’elemento neutro è [1]n . Infatti: ∀[a]n ∈ Zn [a]n · [1]n = [1]n · [a]n = [1 · a]n = [a]n . 23.2. Sottogruppi. Definizione 68. (SOTTOGRUPPO) Un sottogruppo di un gruppo (G, ∗) è un sottoinsieme non vuoto H dell’insieme G, che è un gruppo rispetto a ∗, ovvero rispetto alla stessa operazione di G: quindi ∗ : H × H → H. Esplicitamente, H 6= ∅ è un sottogruppo di G se e solo se (1) ∀h, k ∈ H =⇒ h ∗ k ∈ H (H è chiuso rispetto alla operazione ∗, ovvero ∗ è una operazione su H). (2) e ∈ H (l’elemento neutro di G appartiene ad H). (3) ∀ h ∈ H =⇒ h−1 ∈ H. Notazione. Per indicare un sottogruppo si usa la notazione H ≤ G. Osservazione 92. La condizione 1) implica che ∗ è una operazione su H, l’associatività è automatica, ereditata da ∗ su G. Il seguente teorema fornisce una caratterizzazione dei sottogruppi. Teorema 20. (Caratterizzazione dei sottogruppi) Un sottoinsieme non vuoto H di un gruppo (G, ∗) è un sottogruppo se e soltanto se ∀ h, k ∈ H =⇒ h ∗ k −1 ∈ H. Esempio 233. Per ogni n ∈ Z si ha che H = nZ = {n · t | t ∈ Z} è sottogruppo di (Z, +). Basta applicare il Teorema 20. Infatti, siano h, k ∈ H, quindi esistono a e b in Z tale che h = na e k = nb. Quindi l’inverso di k è −nb = n(−b). Pertanto h ∗ k −1 = h + (−k) = na + n(−b) = n(a − b) ∈ H. APPUNTI DELLE LEZIONI DI MATEMATICA DISCRETA 79 Esempio 234. (Z, +) è un gruppo. Consideriamo H = 2Z = {2n | n ∈ Z} ⊆ Z, ovvero il sottoinsieme dei numeri pari. Allora (H, +) è un sottogruppo. Esempio 235. (Z, +) è un gruppo. Consideriamo K = {2n + 1 | n ∈ Z}, ovvero sottoinsieme numeri dispari. Allora (K, +) è un gruppo? 1)+ : K × K → K? Sia h, k ∈ K, allora h = 2n + 1 e k = 2m + 1. Quindi h + k = 2n + 1 + 2m + 1 = 2(n + m + 1) 6∈ K. Ne segue che + NON è una operazione su K. Quindi K non è un sottogruppo. Potevamo anche osservare che 0 6∈ K, quindi K non è un sottogruppo. Esempio 236. In ogni gruppo (G, ∗): - il sottoinsieme costituito dal solo elemento neutro e, ovvero {e}, è un sottogruppo (SEMPRE!). - G ≤ G, ovvero ogni gruppo è sottogruppo di se stesso (SEMPRE!). Definizione 69. (ORDINE o CARDINALITÀ) Sia (G, ∗) un gruppo. Si dice ordine o cardinalità del gruppo la cardinalità dell’insieme G, e la indichiamo con |G|. Se |G| = +∞, allora diremo che (G, ∗) è un gruppo infinito. Se |G| = n, con n ∈ N∗ allora diremo che (G, ∗) è un gruppo finito di ordine o cardinalità n. Esempio 237. (Z, +), (Q, +), (R, +) sono gruppi abeliani infiniti. (Q − {0}, ·), (R − {0}, ·) sono gruppi abeliani infiniti. (Zn , +) gruppo abeliano finito di ordine o cardinalità n. (Z11 , +) ha cardinalità 11. Sia B un insieme con n elementi, allora (A = {f : B → B | f biettiva }, ◦) è un gruppo (non abeliano se |B| ≥ 3) finito con n! elementi (Osservazione 32). La Sezione 24 è dedicata a questo gruppo. Teorema 21. (Lagrange14) Sia (G, ∗) un gruppo finito, e H ≤ G sottogruppo di G, allora l’ordine di H divide l’ordine di G ovvero |H| | |G|. Quindi se |G| = n e H ≤ G, allora |H| = h e h | n. Esempio 238. Consideriamo (Z8 , +). H = {[0]8 , [1]8 , [3]8 }, allora |H| = 3 6| 8, quidi H non può essere sottogruppo. Osservazione 93. Non è vero il viceversa, se un sottoinsieme H ⊆ G ha ordine h e h | n non è detto che H sia sottogruppo. Esempio 239. Consideriamo (Z8 , +) e H = {[1]8 , [3]8 }. Ordine di H è 2 e 2 | 8 ma H non è un sottogruppo (ad esempio perché non ammette elemento neutro). Proposizione 17. Sia (G, ∗) un gruppo. Il sottoinsieme di G: < g >= {g t | t ∈ Z} è un sottogruppo di G e si chiama sottogruppo ciclico di G generato da g. Con la notazione g t indichiamo le potenze di g in G. Se e denota l’elemento neutro, e g 0 l’inverso di g, allora ∀t ∈ Z le potenze t-esime di g sono g 0 = e, t g = g ∗ g ∗ g · · · ∗ g (t − volte) ∀t > 0, −t g = (g 0 )t = g 0 ∗ g 0 ∗ g 0 · · · ∗ g 0 (t − volte) ∀t > 0. Se usiamo la notazione moltiplicativa, cioè il gruppo è (G, ·), allora l’elemento neutro lo indichiamo con 1, l’opposto di un elemento g lo indichiamo con g −1 . Allora ∀t ∈ Z, 14 Joseph Louis Lagrange circa 1736-1813 matematico nato a Torino. 80 DONATELLA IACONO le potenze t-esime di g sono g 0 = 1G g t = g · g · g · · · · g (t − volte) ∀t > 0, −t −1 g = (g )t = g −1 · g −1 · g −1 · · · · g −1 (t − volte) ∀t > 0. Se usiamo la notazione additiva, cioè il gruppo è (G, +), allora l’elemento neutro lo indichiamo con 0, l’opposto di un elemento g lo indichiamo con −g. Allora ∀t ∈ Z, le potenze t-esime di g di dicono multipli t-esimi di g e sono 0·g =0 t · g = g + g + g · · · + g (t − volte) ∀t > 0 (−t)g = t(−g) = (−g) + (−g) + · · · + (−g) (t − volte) ∀t > 0 Quindi, in un gruppo (G, ·) con la notazione moltiplicativa < g >= {g t | t ∈ Z} = {g 0 = 1, g, g −1 , g 2 , g −2 , . . .} è il sottogruppo ciclico di(G, ·) generato da g. Esempio 240. Consideriamo il gruppo (Q∗ , ·), 1 ∈ Z. Allora < 1 >= {1n | n ∈ Z} = {1}, gruppo finito di ordine 1. < −1 >= {(−1)n | n ∈ Z} =potenze di (-1)={1, −1}, gruppo finito di ordine 2. In generale, per ogni elemento h ∈ Q∗ , abbiamo < h >= {hn | n ∈ Z} = potenza di h. Ad esempio < 3 >= {3n | n ∈ Z} = {3, 1, 31 , ..}, che è un gruppo infinito. Analogamente, in un gruppo (G, +) con la notazione additiva < g >= {tg | t ∈ Z} = {0g = 0, g, −g, 2g, −2g, 3g, . . .} è il sottogruppo ciclico di(G, +) generato da g. Esempio 241. Consideriamo il gruppo (Z, +). Se fissiamo g = 2 ∈ Z, allora < 2 >= {t · 2 | t ∈ Z} = insieme dei multipli di due= insieme numeri pari=2Z. < 5 >= {t · 5 | t ∈ Z} = insieme dei multipli di cinque=5Z. Per ogni elemento n ∈ Z fissato, < n >= {t · n | t ∈ Z} =multipli di n = nZ. Per l’Esempio 233, sapevamo che era un sottogruppo. Ora possiamo concludere che è un sottogruppo ciclico generato da n. < 1 >= {n · 1 | n ∈ Z} =multipli di 1= Z. < −1 >= {n · (−1) | n ∈ Z} =multipli di -1= Z. < 0 >= {0}. Osservazione 94. In ogni gruppo (G, ∗), il sottogruppo generato dall’elemento neutro e, contiene solo e. Ovvero, < e >= {e}. Definizione 70. (Periodo o ordine di un elemento) Siano (G, ∗) un gruppo e g ∈ G. L’ordine o periodo dell’elemento g è l’ordine del sottogruppo generato dall’elemento g e si indica con o(g), ovvero o(g) = | < g > |. Se < g > ha ordine finito, ovvero se | < g > | = n, allora diremo che l’elemento g ha periodo n (o ordine n) e scriviamo o(g) = n. Se < g > ha ordine infinito, ovvero | < g > | = ∞, allora diremo che l’elemento g ha periodo infinito (o ordine infinito) e scriviamo o(g) = ∞. Esempio 242. In (Z, +), o(0) = | < 0 > | = |{0}| = 1, o(1) = | < 1 > | = |Z| = ∞ o(2) = ∞, o(3) = ∞. In (Z, +), tutti gli elementi non nulli hanno ordine infinito. Esempio 243. In (Q∗ , ·), abbiamo che o(1) = 1, o(−1) = 2, o(a) = ∞, ∀a 6= 1, −1 (Esempio 240). APPUNTI DELLE LEZIONI DI MATEMATICA DISCRETA 81 Osservazione 95. Se G è finito, diciamo |G| = n. Poiché il sottogruppo < g > generato da g è sottogruppo di G, per il Teorema di Lagrange (Teorema 21), si ha che | < g > | = h|n. Quindi nei gruppi finiti, l’ordine o(g) di un qualsiasi elemento g è un divisore dell’ordine del gruppo. Osservazione 96. L’ordine dell’elemento neutro è 1 (SEMPRE!). Infatti, sia e l’elemento neutro in un gruppo (G, ∗), sappiamo che < e >= {e} (Osservazione 94). Quindi: o(e) =|< e >|= |{e}| = 1. Inoltre, l’elemento neutro è l’unico elemento in qualsiasi gruppo ad avere ordine 1. Proposizione 18. Sia (G, ∗), un gruppo g ∈ G. Allora valgono le seguenti proprietà: (1) Se o(g) è infinito, allora ∀h, k ∈ Z se h 6= k, allora g h 6= g k , ovvero tutte le potenze sono distinte. Analogamente in (G, +), se o(g) è infinito, allora hg 6= kg, multipli distinti. (2) Se o(g) è finito e o(g)=n. Allora n è il più piccolo naturale tale che g n = e (e elemento neutro di G). Inoltre, le potenze distinte di g sono esattamente n: g 0 , g 1 , . . . , g n−1 . Infine, ∀h, k ∈ Z allora g h = g k , se e solo se h ≡ k (mod n). Analogamente, in (G, +), se o(g) = n, allora hg = kg se e solo se h ≡ k (mod n). Osservazione 97. Per definizione, preso g in un gruppo (G, ∗): o(g) = | < g > |, ovvero l’ordine di un elemento g è l’ordine del sottogruppo generato dall’elemento g. La Proposizione 18 ci dice che se o(g) = n, allora n è il più piccolo intero tale che g n = e, dove e indica l’elemento neutro del gruppo (G, ∗) e < g >= {g 0 = e, g 1 , . . . , g n−1 }. Esercizio 59. In (Z6 , +), calcolare l’ordine di g = [2]6 , [3]6 , [5]6 . SKETCH: |Z6 | = 6, quindi è un gruppo finito. Allora per il Teorema di Lagrange (Teorema 21) e l’Osservazione 95, l’ordine di ogni elemento è un divisore di 6, ovvero, può essere 1, 2, 3 o 6. Ricordiamo che < g >= {hg | h ∈ Z} e o(g) = | < g > |. Dobbiamo calcolare o([2]6 ). Per definizione o([2]6 ) = | < [2]6 > |. Quindi dobbiamo determinare il sottogruppo < [2]6 > e contare i suoi elementi. Si ha che < [2]6 >= {[0]6 , [2]6 , [4]6 }. Questo è il sottogruppo generato da [2]6 (ad esempio −[2]6 = [4]6 ). Quindi si ha che | < [2]6 > | = 3 da cui concludiamo che o([2]6 ) = | < [2]6 > | = 3. Dobbiamo calcolare o([3]6 ). Per definizione o([3]6 ) = | < [3]6 > |. Quindi dobbiamo determinare il sottogruppo < [3]6 >. Abbiamo che < [3]6 >= {[0]6 , [3]6 } Quindi: o([3]6 ) = | < [3]6 > | = 2 Dobbiamo calcolare o([5]6 ) = | < [5]6 > |. Quindi < [5]6 >= {[0]6 , [5]6 , [4]6 , [3]6 , [2]6 , [1]6 } o([5]6 ) = | < [5]6 > | = 6. (Potevamo fermarci anche dopo aver calcolato 3 · [5]6 = [3]6 . Infatti questo ci dice che l’ordine di [5]6 non è ne 1, ne 2, ne 3. Poiché abbiamo detto che l’ordine può essere 1, 2, 3 o 6, possiamo concludere che l’ordine di [5]6 è 6). Esempio 244. 4[2]6 = [8]6 = [2]6 . Infatti, le potenze 4 e 1 di [2]6 sono equivalenti modulo o([2]6 ) = 3: 4 ≡ 1 (mod 3). Esempio 245. In (Z12 , +), consideriamo [4]12 . I multipli di [4]12 sono: [0]12 , [4]12 , [8]12 , [12]12 = [0]12 . Quindi o([4]12 ) = 3 e < [4]12 >= {[0]12 , [4]12 , [8]12 }. 82 DONATELLA IACONO 23.3. Gruppi ciclici. Definizione 71. (CICLICO) Un gruppo (G, ∗) si dice ciclico se esiste un elemento g con < g >= G ovvero se il sottogruppo generato da g è G. In tal caso, g è detto generatore del gruppo. Osservazione 98. Dire che G è un gruppo ciclico generato da g significa dire < g >= G, quindi ogni elemento h di G è una potenza di g: ∀h ∈ G ∃t ∈ Z tale che h = g t . Esempio 246. Il gruppo (Z, +) è ciclico. Infatti, < 1 >=< −1 >= Z. Sia 1 che -1 sono generatori: (Z, +) ha 2 generatori. - (Z6 , +) è ciclico, abbiamo visto nell’Esercizio 59 che [5]6 è generatore. Osservazione 99. Per ogni n ≥ 2, la classe [1]n è generatore in (Zn , +). Infatti < [1]n >= {[0]n , [1]n , . . . [n − 1]n } = Zn . Quindi, (Zn , +) è un gruppo ciclico per ogni n. Proprietà dei gruppi CICLICI (1) Ogni gruppo ciclico (G, ∗) è un gruppo abeliano: ∀ g h , g k ∈ G g k+h = g k ∗ g h . g h ∗ g k = g h+k = (2) Siano (G, ∗) un gruppo ciclico di ordine n e g un generatore. Allora, l’elemento g h di G ha ordine: n . |< g h >|= o(g h ) = M CD(h, n) Esempio 247. In (Z8 , +), calcolare o([2]8 ) e o([3]8 ). Allora Z8 =< [1]8 >. Quindi, [2]8 = 2[1]8 e [3]8 = 3[1]8 . Ne segue che o([2]8 ) = 8 =4 M CD(2, 8) o([3]8 ) = 8 =8 M CD(3, 8) Scrivere sottogruppo generato. Il sottogruppo generato da [2]8 contiene 4 elementi ed è < [2]8 >= {[0]8 , [2]8 , [4]8 , [6]8 }. Il sottogruppo generato da [3]8 contiene 8 elementi ed è tutto Z8 : < [3]8 >= {[0]8 , [3]8 , [6]8 , [1]8 , [4]8 , [7]8 , [2]8 , [5]8 }. Corollario 1. Sia (G, ∗) gruppo ciclico finito di ordine n generato da g. Allora, i generatori sono tutti gli element g h tali che M CD(h, n) = 1. Quindi ci sono ϕ(n) generatori, dove ϕ(n) è la funzione di Eulero. Esempio 248. In (Zn , +) i generatori sono tutti e soli gli elementi di Zn che sono coprimi n con n, ovvero [h]n ∈ Zn tali che M CD(h, n) = 1. Infatti, o([h]n ) = M CD(h,n) = n1 = n. Quindi in (Zn , +) ci sono ϕ(n) generatori, dove ϕ(n) è la funzione di Eulero. In particolare, se n = p primo (Zp , +), allora ogni elemento [h]p 6= [0]p è un generatore. Esempio 249. Consideriamo (Z16 , +). Sappiamo che è un gruppo ciclico generato da [1]16 . Inoltre, la funzione di Eulero ϕ(16) = ϕ(24 ) = 24 − 23 = 16 − 8 = 8, quindi esistono 8 generatori e sono le classi [h]16 tali che M CD(h, 16) = 1. Quindi, gli elementi [1]16 , [3]16 , [5]16 , [7]16 , [9]16 , [11]16 , [13]16 , [15]16 sono tutti e soli i generatori. Esercizio 60. In (Z12 , +) calcolare ordine di ogni elemento. Chi sono i generatori e quanti sono? APPUNTI DELLE LEZIONI DI MATEMATICA DISCRETA 83 Fino ad ora gli unici gruppi abeliani finiti che abbiamo studiato sono (Zn , +), con n ∈ N e i suoi sottogruppi. Consideriamo ora (Zn , ·) monoide commutativo: · è associativa, commutativa, esiste elemento neutro [1]n ma non tutti gli elementi hanno inverso. Consideriamo un elemento in [a]n ∈ Zn ? Ammette inverso? Esiste [x]n ∈ Zn tale che [a]n · [x]n = [1]n ? Teorema 22. Un elemento [a]n in (Zn , ·) ammette inverso se e solo se M CD(a, n) = 1. Dimostrazione. Un elemento [a]n in (Zn , ·) ammette inverso se e solo se esiste [x]n in Zn , tale che [a]n · [x]n = [1]n . Quindi, dobbiamo risolvere [ax]n = [1]n ovvero la congruenza lineare ax ≡ 1 (mod n). Questa congruenza ammette soluzioni se e solo se M CD(a, n) | 1, ovvero se e solo se M CD(a, n) = 1 (Teorema 16). Notiamo che se il M CD(a, n) = 1, allora la soluzione della congruenza è unica, giusto! Infatti, nei monoidi se l’inverso esiste è unico, come abbiamo dimostrato nella Proposizione 16. Teorema 23. Per ogni numero primo p, (Z∗p , ·) è un gruppo abeliano. Dimostrazione. Osserviamo che · è una operazione su Z∗p : il prodotto di due classi non nulle in Z∗p è ancora non nulla per la definizione di numero primo: ∀[a]p , [b]p ∈ Z∗p allora [a]p · [b]p = [ab]p ∈ Z∗p . Infatti, se [a]p , [b]p ∈ Z∗p , allora [a]p 6= [0]p e [b]p 6= [0]p . Quindi, p 6| a e p 6| b. Allora poiché p è un numero primo, si ha che p 6| ab (p | ab se e solo se p divide uno dei due fattori). Quindi [ab]p 6= [0]p , ovvero [ab]p ∈ Z∗p . Inoltre, l’operazione · è associativa, commutativa ed esiste elemento neutro [1]p . Infine, ogni elemento non nullo ha inverso: essendo p primo, ogni elemento [a]p ∈ Z∗p è tale che M CD(a, p) = 1 e quindi è invertibile per il Teorema 22. Esempio 250. (Z∗5 , ·) è un gruppo abeliano. L’ordine è |Z∗5 | = 4. Determinare generatori e ordine di ogni elemento. Determinare ordine di [2]5 . Può essere 1,2 o 4. [2]5 0 = [1]5 , [2]5 1 = [2]5 , [2]5 2 = [4]5 6= [1]5 . Allora ordine di [2]5 non è né 1 né 2, quindi è necessariamente 4. Infatti [2]5 3 = [8]5 = [3]5 , [2]5 4 = [1]5 . Quindi o([2]5 ) = 4 e pertanto [2]5 è un generatore. Possiamo anche determinare tutti gli altri ordini, usando la formula dell’ordine nei gruppi ciclici. 4 = 4. Quindi anche [3]5 è un generatore. o([1]5 ) = 1. o([3]5 ) = o([2]5 3 ) = M CD(3,4) o([4]5 ) = o([2]5 2 ) = 4 M CD(2,4) = 2, infatti < [4]5 >= {[1]5 , [4]5 } ha 2 elementi. Esempio 251. (Z∗7 , ·) è un gruppo abeliano. L’ordine è |Z∗7 | = 6. Determinare generatori e ordine di ogni elemento. Svolto a lezione. 84 DONATELLA IACONO 24. Gruppo Simmetrico In questa sezione, approfondiamo l’analisi del gruppo simmetrico. Sia B un insieme. Abbiamo visto che (A = {f : B → B | f biettiva }, ◦) è un gruppo: la composizione ◦ è associativa, esiste l’elemento neutro che è la funzione identità ed inoltre ogni elemento è invertibile (Sezione 4, Esempio 229). Se |B| = n, allora possiamo elencare elementi di B da 1 a n, ovvero: B = {1, 2, 3, . . . , n − 1, n} Esempio 252. Sia n = 8, allora B = {1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8}. Allora un elemento di A è una funzione biettiva (o una corrispondenza biunivoca) f : B → B; ad esempio f : B → B, definita da f (1) = 1, f (2) = 3, f (3) = 4, f (4) = 5, f (5) = 8, f (6) = 7, f (7) = 2, f (8) = 6. Definizione 72. (GRUPPO SIMMETRICO o GRUPPO DI PERMUTAZIONI) Il gruppo delle funzioni biettive di un insieme con n elementi è detto gruppo di permutazioni di n elementi, o gruppo simmetrico di n elementi e si indica con Sn . La cardinalità di Sn è |Sn | = n!. Se n ≥ 3, allora il gruppo NON è abeliano. Ci ricordiamo che le funzioni biettive vengono anche dette corrispondenze biunivoche in un insieme di n elementi o anche permutazioni. Notazione Dato un elemento f ∈ Sn , f si indica nel seguente modo: 1 2 3 ··· n f= . f (1) f (2) f (3) · · · f (n) Ovvero sopra tutti elementi ordinati da 1 a n, sotto le immagini tramite f . Osserviamo che nella seconda riga compaiono tutti e soli gli elementi da 1 a n una ed una sola volta, al più cambiamo solo ordine. Notazione Spesso si usa la notazione σ ∈ Sn , o τ ∈ Sn , ovvero gli elementi di Sn si indicano con le lettere greche: 1 2 3 ··· n σ= . σ(1) σ(2) σ(3) · · · σ(n) Esempio 253. Sia n = 8, allora B = {1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8} un corrispondenza biunivoca f : B → B definita da f (1) = 1, f (2) = 3, f (3) = 4, f (4) = 5, f (5) = 8, f (6) = 7, f (7) = 2, f (8) = 6. Allora corrisponde a f ∈ S8 1 2 3 4 5 6 7 8 f= . 1 3 4 5 8 7 2 6 Sia g ∈ S8 data da 1 2 3 4 5 6 7 8 g= . 2 6 7 5 8 1 3 4 Significa che g è la corrispondenza biunivoca tale che g(1) = 2, g(2) = 6, g(3) = 7, g(4) = 5, g(6) = 1, g(7) = 3, g(8) = 4. Esempio 254. L’elemento identità di Sn è 1 2 3 ··· Id = 1 2 3 ··· n . n Esempio 255. (n=2). Se n = 2 allora |S2 | = 2! = 2 Ci sono due elementi. B = {1, 2} ovvero due modi di ordinare 2 elementi. Quindi i due elementi di S2 sono: 1 2 1 2 Id = f= . 1 2 2 1 APPUNTI DELLE LEZIONI DI MATEMATICA DISCRETA Esempio 256. (n=3). Se n = 3 allora |S3 | = modi di ordinare gli elementi {1, 2, 3}. 1 2 3 1 2 Id = f1 = 1 2 3 1 3 1 2 3 1 2 f3 = f4 = 2 3 1 3 1 85 3! = 6 Ci sono sei elementi. Ovvero sei 3 2 3 2 1 f2 = 2 1 f5 = 3 2 3 1 3 2 3 . 2 1 Esercizio 61. Scrivere gli elementi di S4 . Abbiamo detto che Sn è un gruppo, quindi è ben definita l’operazione ◦ di composizione e ogni elemento ammette inverso. La scrittura introdotta è comoda per determinare la composizione e l’inverso. Definizione 73. (COMPOSIZIONE) Siano f, g ∈ Sn 1 2 3 ··· n 1 2 3 ··· f= g= f (1) f (2) f (3) · · · f (n) g(1) g(2) g(3) · · · n . g(n) Allora la composizione f ◦ g ∈ Sn è la composizione delle funzioni ovvero (f ◦ g)(i) = f (g(i)), per ogni i = 1, . . . , n. Quindi i 7→ g(i) 7→ f (g(i)). Quindi consideriamo l’elemento i, vediamo l’immagine di i con g e poi applichiamo f . Esempio 257. In S8 abbiamo definito: 1 2 3 4 5 6 7 8 f= 1 3 4 5 8 7 2 6 Allora f ◦ g prima applichiamo g e 1 2 3 4 5 6 f ◦g = 1 3 4 5 8 7 1 2 = 3 7 1 2 3 4 5 6 7 8 g= . 2 6 7 5 8 1 3 4 dopo f (muovendoci da destra verso sinistra): 7 8 1 2 3 4 5 6 7 8 ◦ = 2 6 2 6 7 5 8 1 3 4 3 4 5 6 7 8 . 2 8 6 1 4 5 Calcoliamo l’altra composizione g ◦ f , in questo caso prima applichiamo f e poi applichiamo g: 1 2 3 4 5 6 7 8 1 2 3 4 5 6 7 8 g◦f = ◦ = 2 6 7 5 8 1 3 4 1 3 4 5 8 7 2 6 1 2 3 4 5 6 7 8 = . 2 7 5 8 4 3 6 1 Notiamo che f ◦ g 6= g ◦ f . Esercizio 62. Calcolare g ◦ g e f ◦ f . Definizione 74. (INVERSO) Sia f ∈ Sn , allora sappiamo che f −1 ∈ Sn , infatti inverso di una funzione biettiva esiste sempre ed è una funzione biettiva. Sia 1 2 3 ··· n f= . f (1) f (2) f (3) · · · f (n) Allora f −1 è data da f (1) f (2) f (3) · · · σ= 1 2 3 ··· f (n) n che poi riordiniamo affinché la prima riga sia 1, 2, . . . , n. 86 DONATELLA IACONO Esempio 258. Consideriamo f ∈ S8 : 1 2 3 4 5 6 7 8 f= 1 3 4 5 8 7 2 6 Allora f −1 è 1 3 4 5 8 f = 1 2 3 4 5 Consideriamo g ∈ S8 : 1 g= 2 −1 7 2 6 1 2 3 4 5 6 7 8 = 6 7 8 1 7 2 3 4 8 6 5 2 3 4 5 6 7 8 . 6 7 5 8 1 3 4 Allora g −1 è g −1 2 6 7 5 8 1 3 4 1 2 3 4 5 6 7 8 = = 1 2 3 4 5 6 7 8 6 1 7 8 4 2 3 5 Siamo ora interessati a determinare l’ordine di un qualsiasi elemento di Sn . Definizione 75. (CICLO) Consideriamo il gruppo Sn e sia k ≤ n. Un ciclo di lunghezza k si indica con (a1 a2 . . . ak ), dove ai ∈ {1, . . . , n} sono tutti elementi distinti e senza virgole15, ed è la permutazione f tale che: f (a1 ) = a2 , . . . , f (ai ) = ai+1 , f (ak ) = a1 inoltre f (aj ) = aj , per tutti gli aj non appartenenti al ciclo. I cicli di lunghezza 2 sono detti trasposizioni o scambi. Esempio 259. Sia n = 8 e k = 4 e consideriamo il ciclo di lunghezza 4 in S8 : (2481). Questo ciclo a quale permutazione corrisponde? 1 2 3 4 5 6 7 8 2 4 3 8 5 6 7 1 Esempio k=5, consideriamo il ciclo (13546) in S8 . Il ciclo corrisponde alla permutazione: 1 2 3 4 5 6 7 8 3 2 5 6 4 1 7 8 Esempio k=2, il ciclo (87) in S8 corrisponde alla permutazione: 1 2 3 4 5 6 7 8 1 2 3 4 5 6 8 7 Esercizio 63. In S7 scrivere le permutazioni associate a (2345) e a (675412) Osservazione 100. Il ciclo (a1 a2 . . . ak ) di lunghezza k può scriversi anche come (a2 . . . ak a1 ) oppure (a3 a4 . . . ak a1 a2 ). In tutto ci sono k modi per scrivere uno stesso ciclo di lunghezza k. Esempio 260. In S8 , ad esempio il ciclo (13546) di lunghezza k = 5 corrisponde alla permutazione: 1 2 3 4 5 6 7 8 3 2 5 6 4 1 7 8. Questa permutazione corrisponde anche al ciclo 35461) = (54613) = (46135) = (61354). Quindi dato un ciclo abbiamo una permutazione. Possiamo moltiplicare i cicli tra loro. 15Noi non metteremo le virgole, ma alcuni testi usano la notazione con le virgole. APPUNTI DELLE LEZIONI DI MATEMATICA DISCRETA 87 Osservazione 101. Dati due cicli possiamo considerare il loro prodotto, come prodotto delle permutazioni associate. Esempio 261. Siano g = (231) e f = (453) due cicli in S5 , quindi 1 2 3 4 5 1 2 3 4 5 g= f= . 2 3 1 4 5 1 2 4 5 3 Allora g ◦ f 1 2 3 4 5 g◦f = . 2 3 4 5 1 Osservazione 102. Si può calcolare direttamente il prodotto con i cicli e ottenere cicli disigunti: (a1 a2 . . . ak ) · (b1 b2 . . . bt ) = (b1 ..), dove si considera b1 , e procedendo da destra a sinistra si controlla dove viene mandato nel ciclo di destra e poi si controlla dove va questo elemento con il ciclo di sinistra. Esempio 262. In S5 , siano g = (231) e f = (453); allora g ◦ f = (231)(453) = (45123) Muoviamoci da destra a sinistra. f ◦ g = (453)(231) = (24531) distinti. Esempio 263. Siano (1256) e (6431) due cicli in S7 . Allora (1256)(6431) = (64325). Esercizio 64. Verificare che in S9 , gli elementi g = (13456) e h = (28) commutano. Teorema 24. Ogni permutazione è un ciclo oppure può essere scritta come prodotto di cicli disgiunti. Non dimostriamo il teorema in generale ma vediamo come funziona negli esempi. Osservazione 103. In particolare, i cicli di lughezza 1 fissano l’elemento, ad esempio (a) fissa l’elemento a, e possono essere omessi. Esempio 264. In S8 abbiamo definito: 1 2 3 4 5 6 f= 1 3 4 5 8 7 f corrisponde ad un ciclo di lunghezza 7. 1 2 3 4 5 6 g= 2 6 7 5 8 1 7 8 = (1)(2345867), 2 6 7 8 = (126)(37)(458), 3 4 g corrisponde ad un prodotto di cicli di lunghezza 3,2,3. Esempio 265. In S10 abbiamo: 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 f= = (1)(23)(48)(5 10)(67)(9) 1 3 2 8 10 7 6 4 9 5 Osservazione 104. Se i cicli sono disgiunti, ovvero gli elementi che compaiono nei cicli sono distinti allora i cicli commutano tra loro. Equivalentemente se due permutazioni agiscono su elementi distinti commutano. Finalmente, usando la scrittura in cicli possiamo determinare l’ordine di una permutazione in Sn . Teorema 25. - Un ciclo di lunghezza k ha ordine k (sapevamo già che aveva ordine finito, poichè siamo in un gruppo finito) - L’ordine di una qualsiasi permutazione è il minimo comune multiplo della lunghezza dei suoi cicli disgiunti (nella scrittura come prodotto di cicli). 88 DONATELLA IACONO Esempio 266. In S8 abbiamo: 1 2 3 f= 1 3 4 quindi f ha ordine 7. 1 2 3 g= 2 6 7 4 5 6 7 8 = (1)(2345867), 5 8 7 2 6 4 5 6 7 8 = (126)(37)(458), 5 8 1 3 4 quindi g ha ordine mcm(3, 2, 3) = 6, ovvero l’ordine di g è 6. Che significa o(g) = 6? Significa che g 6 = g ◦ g ◦ g ◦ g ◦ g ◦ g = Id. Verifichiamo 1 2 3 4 5 6 7 8 2 g =g◦g = = (162)(3)(7)(485) 6 1 3 8 4 2 7 5 1 2 3 4 5 6 7 8 3 g =g◦g◦g = = (37) 1 2 7 4 5 6 3 8 1 2 3 4 5 6 7 8 4 g = = (126)(458) 2 6 3 5 8 1 7 4 1 2 3 4 5 6 7 8 5 g = = (162)(37)(485) 6 1 7 8 4 2 3 5 Usando i cicli possiamo studiare un altra proprietà. Teorema 26. Ogni ciclo di lunghezza k > 1 può essere scritto (in maniera non unica) come prodotto di trasposizioni, ovvero di cicli di lunghezza 2. Dimostrazione. (a1 a2 . . . ak ) = (a1 ak )(a1 ak−1 )(a1 a3 )(a1 a2 ). Esempio 267. In S8 abbiamo: 1 f= 1 1 g= 2 2 3 4 5 6 7 8 = (1)(2345867) = (27)(26)(28)(25)(24)(23) 3 4 5 8 7 2 6 2 3 4 5 6 7 8 = (126)(37)(458) = (16)(12)(37)(48)(45) 6 7 5 8 1 3 4 Esempio 268. In S8 , (458) = (48)(45) oppure (458) = (584) = (54)(58). In particoalre, non è unico il modo. Osservazione 105. CONSEGUENZA: Ogni permutazione può essere scritta come prodotto di trasposizioni: per il Teorema 24 ogni permutazione la possiamo scrivere come prodotto di cicli disgiunti e poi, per il Teorema 26 ogni ciclo prodotto di trasposizioni. Definizione 76. (PARI) Una permutazione si dice pari se è prodotto di un numero pari di trasposizioni. Si dice dispari se è prodotto di un numero dispari di trasposizioni. Osservazione 106. La scrittura non è unica come prodotto di trasposizioni, come abbiamo visto nell’Esempio 268, ma si può dimostrare che la parità è ben definita ovvero non dipende dalla scelta della scrittura in trasposizioni. Esempio 269. In S8 abbiamo: 1 2 3 4 5 6 7 8 f= = (1)(2345867) = (27)(26)(28)(25)(24)(23), 1 3 4 5 8 7 2 6 ne segue che f è pari. Consideriamo 1 2 3 4 5 6 7 8 g= = (126)(37)(458) = (16)(12)(37)(48)(45) 2 6 7 5 8 1 3 4 APPUNTI DELLE LEZIONI DI MATEMATICA DISCRETA ne segue che g è dispari. Esercizio 65. Si consideri in S7 la seguente permutazione 1 2 3 4 5 6 7 h= . 7 6 5 2 3 4 1 (1) (2) (3) (4) (5) Scrivere h come prodotto di cicli disgiunti. Stabilire se h è pari o dispari. Calcolare l’ordine di h in S7 . Calcolare h−1 . Calcolare l’ordine degli elementi del sottogruppo H generato da h. Esercizio 66. Si considerino in S9 le seguenti permutazioni: h= (1) (2) (3) (4) (5) (6) (7) 1 2 3 4 5 6 7 8 9 1 5 9 7 4 6 2 8 3 g= 1 2 3 4 5 6 7 8 9 5 3 4 2 7 9 1 6 8 Scrivere h come prodotto di cicli disgiunti. Stabilire se h è pari o dispari. Scrivere l’immagine di 3 e 8 tramite g. Calcolare h−1 . Calcolare h ◦ g e g ◦ h. Calcolare l’ordine di h. Calcolare l’ordine del sottogruppo generato da h. 89 90 DONATELLA IACONO 25. Anelli e Campi Nelle sezioni precedenti abbiamo studiato le strutture algebriche, che sono insiemi non vuoti su cui è definita una operazione. In particolare, ci siamo interessati allo studio dei gruppi. In questa sezione ci dedichiamo allo studio degli anelli e dei campi, che sono insiemi con due operazioni. Definizione 77. (ANELLO) Un anello (A, +, ·) è un insieme A dotato di due operazioni + : A × A → A e · : A × A → A tale che (1) (A, +) è un gruppo abeliano (quindi l’operazione + è associativa, commutativa, ∃0 elemento neutro e ∀a ∈ A esiste inverso-opposto). (2) (A, ·) è una struttura algebrica associativa. (3) Valgono le leggi distributive del prodotto rispetto alla somma: ∀a, b, c ∈ A si ha che a(b + c) = ab + bc, (a + b)c = ac + bc. Osservazione 107. In un anello (A, +, ·) è importante l’ordine in cui scriviamo le operazioni! Si richiede che (A, +) sia un gruppo abeliano, mentre basta che (A, ·) sia una struttura algebrica associativa. Definizione 78. (ANELLO UNITARIO) Sia (A, +, ·) un anello, se (A, ·) è un monoide, ovvero se ∃1 ∈ A tale che ∀a ∈ A, a · 1 = 1 · a = a, l’anello si dice anello unitario. Osservazione 108. Gli anelli unitari possiedono sia lo 0 che l’1 che sono gli elementi neutri di + e ·. Definizione 79. (ANELLO COMMUTATIVO UNITARIO) Sia (A, +, ·) un anello unitario, se se (A, ·) è un monoide commutativo, ovvero se l’operazione · è commutativa (oltre ad essere associativa e ad ammettere elemento neutro), allora (A, +, ·) si dice un anello commutativo unitario. Esempio 270. (Z, +, ·) è un anello commutativo unitario. Infatti, (Z, +) è gruppo e (Z, ·) è un monoide commutativo e valgono le proprietà distriutive. Analogamente, (Q, +, ·) e (R, +, ·) sono anelli commutativi unitari. (N, +, ·) non è un anello, perché (N, +) non è un gruppo. (Z, ·, +) (con operazioni scambiate) non è un anello, perché (Z, ·) non è un gruppo. (Zn , +, ·) è un anello commutativo unitario, finito. Esempio 271. Nel Capitolo 27 studieremo l’anello delle matrici. Definizione 80. (DIVISORE dello ZERO) In un anello (A, +, ·), un elemento a ∈ A, con a 6= 0 si dice divisore dello zero se ∃ b ∈ A con b 6= 0 e a · b = b · a = 0. In tal caso anche b è divisore dello zero. Esempio 272. Consideriamo l’anello (Z, +, ·) e ci chiediamo se esistono divisori dello zero, ovvero esiste a ∈ Z∗ tale che esiste b ∈ Z∗ con a·b=b·a=0 Non esistono: se il prodotto di due interi è zero uno dei due interi deve essere zero! Analogamente, anche in (Q, +, ·),(R, +, ·) non esistono divisori dello zero. APPUNTI DELLE LEZIONI DI MATEMATICA DISCRETA 91 Esempio 273. Consideriamo (Z8 , +, ·) e ci chiediamo se esistono divisori dello zero? Ovvero esiste [a]8 ∈ Z∗8 tale che esiste [b]8 ∈ Z∗8 con [a]8 · [b]8 = [0]8 Per verificare questa condizione, basta che ab ≡ 0 (mod 8). Ad esempio, a = [2]8 6= [0]8 e b = [4]8 6= [0]8 , e [2]8 · [4]8 = [0]8 . Oppure a = [4]8 e b = [6]8 . Quindi [2]8 , [4]8 e [6]8 sono divisori dello zero in Z8 . Osservazione 109. In (Zn , +, ·) con n non primo esistono SEMPRE dei divisori dello zero. In fatti se n non è primo allora n = a · b con 1 < a, b < n quindi [a]n 6= 0 e [b]n 6= 0 con [a]n · [b]n = [n]n = [0]n . Il caso di n numero primo lo studiamo nell’Osserervazione 111. Definizione 81. (INVERTIBILE) In un anello unitario (A, +, ·), un elemento a ∈ A, con a 6= 0 si dice invertibile (o unitario) se ammette un inverso rispetto al prodotto, ovvero se ∃ a0 ∈ A con a0 6= 0 e a · a0 = a0 · a = 1 In tal caso, l’inverso lo denotiamo con a−1 . Osservazione 110. La definizione è la stessa di quella data per la struttura algebrica (A, ·) (Definizione 64). In particolare, poiché (A, ·) è un monoide, l’inverso se esiste è unico (Proposizione 16). Esempio 274. Consideriamo (Z, +, ·) e ci chiediamo se esistono elementi invertibili? Si sono solo 1 e -1 (Esempio 228). Esempio 275. In (Q, +, ·),(R, +, ·) ogni elemento non nullo è invertibile (Esempio 228). Esempio 276. In (Zn , +, ·) gli elementi inveritibili sono le classi [a]n con M CD(a, n) = 1 (Teorema 22). In (Zp , +, ·) con p numero primo, ogni elemento non nullo è invertibile. Proposizione 19. In un anello unitario (A, +, ·), se un elemento è invertibile allora non è un divisore dello zero. Dimostrazione. Sia a invertibile, allora ∃a−1 tale che a · a−1 = a−1 · a = 1 Se a fosse un divisore dello zero, per definizione esisterebbe un elemento b 6= 0 ∈ A tale che a · b = b · a = 0. Moltiplicando l’equazione a · a−1 = 1 per b ottentiamo b · (a · a−1 ) = b · 1 = b e quindi (b · a) · a−1 = b. Dato che b · a = 0, ne segue 0 = 0 · a−1 = b, che implica b = 0 che è un assurdo. Osservazione 111. Dato che in (Zp , +, ·) con p numero primo, ogni elemento non nullo è invertibile allora non ci sono divisori dello zero. Osservazione 112. Il viceversa della Proposizione 19 non è sempre vero: se un elemento non è divisore dello zero non implica che è un elemento invertibile: esempio in (Z, +, ·) 3 non è né invertibile, né divisore dello zero. Proposizione 20. Sia (A, +, ·) un anello unitario finito, ovvero |A| < +∞, Allora ogni elemento non nullo o è invertibile o è un divisore dello zero. Esempio 277. In (Z8 , +, ·), ogni elemento non nullo o è invertibile o è un divisore dello zero: Gli invertibili, sono le classi [a]8 con M CD(a, 8) = 1, quindi [1]8 , [3]8 , [5]8 , [7]8 . I divisore dello zero sono [2]8 , [4]8 , [6]8 . Infatti [2]8 · [4]8 = [0]8 e [6]8 · [4]8 = [0]8 . Se vogliamo determinare inversi degli elementi invertibili abbiamo che [1]8 è inverso di se stesso. Inoltre, l’inverso di [3]8 è [3]8 dato che [3]8 · [3]8 = [9]8 = [1]8 ; l’inverso di [5]8 è [5]8 dato che [5]8 ·[5]8 = [25]8 = [1]8 ; l’inverso di [7]8 è [7]8 dato che [7]8 ·[7]8 = [49]8 = [1]8 . 92 DONATELLA IACONO Esercizio 67. Determinare i divisori dello zero e gli invertibili negli anelli: (Z11 , +, ·) (Z12 , +, ·) (Z14 , +, ·). Inoltre calcolare gli inversi. Definizione 82. (CAMPO) Un anello commutativo unitario in cui ogni elemento non nullo è invertibile, si dice CAMPO. Si usa la notazione (K, +, ·). Osservazione 113. Ovvero in un campo (K, +, ·), anche (K∗ , ·) è un gruppo abeliano Osservazione 114. Se in un anello c’è almeno un divisore dello zero allora l’anello non è un campo. Esempio 278. (Q, +, ·),(R, +, ·) sono campi. (Z, +, ·) non è un campo, esistono elementi non invertibili. (Zn , +, ·) con n non primo non è un campo, esistono divisori dello zero. (Zp , +, ·) con p primo è un campo. Nel Capitolo 26, studieremo il campo (C, +, ·) dei numeri complessi. APPUNTI DELLE LEZIONI DI MATEMATICA DISCRETA 93 26. Campo dei numeri complessi Questa sezione è dedicata allo studio di un esempio di campo: il campo dei numeri complessi. Vogliamo definire un campo (C, +, ·). Sia C = R×R ovvero ogni elemento dell’insieme C è una coppia di numeri reali. Definiamo le due operazioni: +:C×C→C ·:C×C→C ((a, b), (c, d)) 7→ (a, b) + (c, d) = (a + c, b + d) ((a, b), (c, d)) 7→ (a, b) · (c, d) = (ac − bd, bc + ad) Esercizio 68. Verificare le seguenti proprietà : (1) + e · sono commutative e associative; (2) + ammette elemento neutro (0, 0), infatti ∀(a, b) ∈ C si ha che (a, b) + (0, 0) = (a + 0, b + 0) = (a, b); (3) · ammette elemento neutro (1, 0), infatti ∀(a, b) ∈ C si ha che (a, b)·(1, 0) = (a, b); (4) ∀ (a, b) ∈ C, esiste opposto (inverso rispetto a +) ed è (−a, −b) ∈ C, infatti (a, b) + (−a, −b) = (a − a, b − b) = (0, 0); (5) valgono le proprietà distributive: ∀(a, b), (c, d), (s, t) ∈ C si ha che (a, b)((c, d)+(s, t)) = (a, b)(c, d)+(a, b)(s, t) ((a, b)+(c, d))(s, t) = (a, b)(s, t)+(c, d)(s, t) Quindi affinché (C, +, ·) sia un campo, dobbiamo dimostrare che ∀(a, b) ∈ C∗ = C \ {(0, 0)} = R × R \ {(0, 0)} esiste inverso, ovvero ∃(x, y) ∈ C = R × R tale che (a, b)(x, y) = (x, y)(a, b) = (1, 0). Verfichiamo: ax − by = 1 (a, b)(x, y) = (ax − by, bx + ay) = (1, 0) ⇐⇒ bx + ay = 0 Se b = 0 (di sicuro a 6= 0) allora basta prendere x = 1 , y = 0 infatti a 1 (a, 0)( , 0) = (1, 0) a ax − 1 Se b 6= 0 allora dalla prima y = sostituiamo nella seconda b ax − 1 b2 x + a2 x − a bx + ay = bx + a( ) = 0 ⇐⇒ = 0 ⇐⇒ x(a2 + b2 ) = a ⇐⇒ b b 2 2 2 a a −a −b a( a2 +b a ax − 1 −b 2) − 1 2 2 x= 2 y= = = a +b = 2 . 2 a +b b b b a + b2 (Notiamo che a2 + b2 6= 0 quindi è tutto ben definito.) Quindi inverso di (a, b) 6= (0, 0) ∈ C è −1 (3) (a, b) = a −b , 2 2 2 a + b a + b2 . Quindi (C, +, ·) è un campo, detto il campo dei numeri complessi. Ci chiediamo ora perché il campo dei numeri complessi è considerato come estensione √ dei numeri reali, oppure è il campo che contiene l’unità immaginaria i o dove esiste −1. 94 DONATELLA IACONO Gli elementi della forma (a, 0) ∈ C sono identificati con i numeri reali a ∈ R. L’elemento (0, 1) viene detto unità immaginaria e viene denotato con la lettera i. Quindi ogni numero complesso z = (a, b) ammette la seguente scrittura (a, b) = (a, 0) + (0, b) = a + ib = a + bi, dove abbiamo identificato (a, 0) con a ∈ R e (0, b) = b · (0, 1) = bi. La scrittura a + bi è detta scrittura in forma algebrica di un numero complesso. Il numero reale a è detto parte reale, il numero reale b è detto parte immaginaria. ovvero Se z = a + ib allora Re(z) = a, Im(z) = b. Esempio 279. Ad esempio z = (4, 5) = 4 + i5 = 4 + 5i, Re(z) = 4, z = (2, −1) = 2 + i(−1) = 2 − i, Re(z) = 2, Im(z) = −1 Im(z) = 5 Adesso consideriamo il numero complesso i, allora abbiamo che (1) i=(0,1) (2) i2 = (0, 1)(0, 1) = (−1, 0) = −1 (3) i3 = (−1, 0)(0, 1) = (0, −1) = −i (4) i4 = (−1, 0)(−1, 0) = (1, 0) = 1 Dato che i2 = −1, si puó dire che che i è radice di −1. Usando la forma algebrica dei numeri complessi, possiamo anche fare la somma: ∀z1 = a + ib, z2 = (c + id) ∈ C abbiamo z1 + z2 = (a + ib) + (c + id) = a + c + i(b + d). Notiamo che coincide con la definizione di prima, infatti a + c + i(b + d) = (a + c, b + d). Usando la forma algebrica dei numeri complessi, possiamo fare la moltiplicazione: ∀z1 = a + ib, z2 = (c + id) ∈ C abbiamo (a + ib)(c + id) = ac + iad + ibc + i2 bd = ac + iad + ibc − bd = (ac − bd) + i(ad + bc). Notiamo che coincide con la definizione di prima, infatti (ac − bd) + i(ad + bc) = (ac − bd, ad + bc). Esempio 280. Siano z1 = 3 + i e z2 = 2 + 4i, allora z1 + z2 = 5 + 5i z1 z2 = (3 + i)(2 + 4i) = 6 + 12i + 2i − 4 = 2 + 14i e Siano z1 = allora √ z1 + z2 = ( 2 − 4) + i e √ 2−i e z2 = 2i − 4, √ √ √ z1 z2 = ( 2 − i)(2i − 4) = (−4 2 + 2) + i(2 2 + 4). Definizione 83. (CONIUGATO) Dato un numero complesso z = a + ib, si definisce coniugato di z e si indica con z il numero complesso z = a − ib Ovvero, si cambia segno alla sola parte immaginaria. APPUNTI DELLE LEZIONI DI MATEMATICA DISCRETA 95 Esempio 281. Nei seguenti numeri complessi abbiamo: z1 = 3 + i, √ z3 = − 2 − i z1 = 3 − i √ z3 = − 2 + i z2 = 2 − 4i z4 = 2i − 4 z2 = 2 + 4i. z4 = −2i − 4. Proprietà del coniugato: ∀ z, z1 , z2 ∈ C abbiamo (1) z + z = 2Re(z) (2) z − z = 2iIm(z) (3) z1 + z2 = z1 + z2 (4) z1 z2 = z1 z2 Definizione 84. (MODULO) Il modulo di un numero complesso z = a + ib si indica con |z| ed è il numero reale p |z| = a2 + b2 ∈ R Esempio 282. Calcolare il modulo: √ z1 = 3 + i, |z1 | = 9 + 1 √ z1 = 3 − i, |z1 | = 9 + 1 √ √ z3 = 2 − i |z3 | = 2 + 1 √ z5 = 2i |z5 | = 4 = 2 z2 = 2 + 4i |z2 | = z2 = 2 − 4i |z2 | = √ 4 + 16. √ 4 + 16. √ z4 = 2i − 4 |z4 | = 4 + 16. √ z6 = −3 |z6 | = 9 = 3 Proprietà del modulo: ∀ z ∈ C si ha (1) |z| = |z|, (2) zz = |z|2 , (3) |z| ≥ 0 e |z| = 0 ⇐⇒ z = 0. Per quanto riguarda la seconda proprietà, se z = a + ib ∈ C si ha che z · z = (a + ib)(a − ib) = a2 + b2 = |z|2 . Infine dato z = a + ib vogliamo calcolare la forma algebrica dell’inverso. Esempio 283. z = 3 + i allora inverso z −1 = ovvero del tipo a + ib. Come facciamo? 1 z = 1 3+i questo non è in forma algebrica Proposizione 21. Sia z ∈ C∗ allora z −1 = 1 z z 1 1 z = ·1= · = = 2. z z z z zz |z| Il denominatore è un numero reale non nullo, quindi ha senso. Inoltre, se z = a + ib = (a, b), allora z a − ib a ib a −b −1 = 2 − = , , z = 2 = 2 |z| a + b2 a + b2 a2 + b2 a2 + b2 a2 + b2 ovvero coincide con la formula data dall’Equazione (3). 96 DONATELLA IACONO Esempio 284. Sia z = 3 + i ∈ C∗ , allora la forma algebrica dell’inverso è 1 1 3−i 3−i 3 1 z −1 = = = = = − i. z 3+i (3 + i)(3 − i) 10 10 10 Controlliamo di aver fatto i conti correttamente: 1 3 z · z −1 = (3 + i)( − i) = 1. 10 10 Esercizio 69. Dati i seguenti numeri complessi: √ z1 = 2 − i, z2 = 2i − 4. (1) Determinare il modulo di z1 e z2 . (2) Scrivere in forma algebrica i numeri complessi z1 e z2 . 1 z2 (3) Scrivere in forma algebrica i numeri complessi z1 z2 , e . z2 z1 APPUNTI DELLE LEZIONI DI MATEMATICA DISCRETA 97 27. Matrici Questa sezione è dedicata alle matrici come esempio di anello unitario (non commutativo). Definizione 85. Una matrice a coefficenti in un campo (K, +, ·) di tipo (m, n) è una tabella di m × n elementi di K organizzati in m righe ed n colonne. L’insieme delle matrici di tipo (m, n) a coefficenti in K si indica con Mm×n (K). Osservazione 115. A volte, soprattutto in alcuni linguaggi di programmazione, al posto diMm×n (K) si usa M (m, n, K). Esempio 285. Matrice 3 × 3 a coefficenti in R, 1 2 3 6 0 1 ∈ M3×3 (R), −1 1 2 Matrice 2 × 5 a coefficenti in C, 0 i 2 −1 1 ∈ M2×5 (C) 3 1 i 2 2 Matrice 5 × 2 a coefficenti in C, 0 −4 3 1 i 1 −1 ∈ M5×2 (C) 1 −1 −1 4 In generale un elemento di A ∈ Mm×n (K) a11 a12 a21 a22 ··· ··· A = (aij ) = ai1 ai2 ··· ··· am1 am2 è una tabella ··· ··· ··· ··· ··· ··· a1j a2j ··· aij ··· amj · · · a1n · · · a2n ··· · · · ain ··· · · · amn di m righe e n colonne. Il termine aij ∈ K indica l’elemento al posto (i, j) ovvero riga i e colonna j. Notazione: Possiamo indicare in modo compatto una matrice A = (aij ) ∈ Mm×n (K), i = 1, . . . m, j = 1, . . . n. Esempio 286. 1 2 3 6 0 1 ∈ M3×3 (R), −1 1 2 a33 = 2, a13 = 3, a31 = −1. Definizione 86. Se n = m allora la matrice si dice quadrata. L’insieme Mn×n (K) si indica con Mn (K). Definizione 87. Sia A ∈ Mn (K) una matrice quadrata. Gli elementi aii ∈ K (ovvero i = j) costituiscono la diagonale principale. Definizione 88. (SOMMA) Sull’insieme delle matrici Mm×n (K) è possibile definire l’operazione di somma: + : Mm×n (K) × Mm×n (K) → Mm×n (K) + (A, B) = A + B Data A = (aij ) e B = (bij ) allora A + B = (aij + bij ), ovvero sommiamo termine a termine. 98 DONATELLA IACONO Osservazione 116. Le matrici sono dello stesso tipo (m, n). Esempio 287. Siano 1 2 3 1 2 3 1 2 A = 6 0 1 , B = 2 4 6 e C = , 1 0 −1 1 2 1 1 0 con A, B ∈ M3×3 (R) e C ∈ M2×2 (R). Allora A + C e B + C non 1 2 3 1 2 3 2 4 6 0 1 + 2 4 6 = 8 4 A+B = −1 1 2 1 1 0 0 2 esistono. 6 7 2 Esercizio 70. (Per casa) Data −3 0 0 D = −2 3 −1 ∈ M3×3 (R) 0 3 0 Calcolare A + D, B + D e D + C. Proprietà della somma di matrici in Mm×n (K): (1) + è commutativa: ∀A, B ∈ Mm×n (K), A + B = B + A (2) + è associativa ∀A, B, ∈ Mm×n (K), (A + B) + C = A + (B + C) (3) Esiste in Mm×n (K) l’elemento neutro che si indica con 0 ed è la matrice nulla, ovvero tutti i coefficenti 0: ∃0 ∈ Mm×n (K) tale che A + 0 = 0 + A. (4) Ogni elemento ammette inverso (opposto): ∀A = (aij ) ∈ Mm×n (K), ∃ − A tale che A + (−A) = (−A) + A = 0, dove −A = (−aij ), ovvero la matrice opposta è ottenuta dalla matrice A cambiando il segno a tutti i suoi coefficienti. Quindi (Mm×n (K), +) è un gruppo abeliano. Esempio 288. Consideriamo M2×4 (C): 0 i 2 −1 A= −3 1 i 2 0 0 0 0 A + (−A) = . 0 0 0 0 −A= 0 −i −2 +1 3 −1 −i −2 Definizione 89. (TRASPOSTA) Data A = (aij ) ∈ Mm×n (K). La matrice trasposta di A si denota con t A ed è la matrice t A = (aji ) in Mn×m (K) ottenuta scambando le righe e le colonne di A. Esempio 289. Ad esempio 0 3 i 1 0 i 2 −1 1 t 2 i A= ∈ M2×5 (C) =⇒ A = ∈ M5×2 (C) 3 1 i 2 2 −1 2 1 2 1 0 1 2 3 A= ∈ M2×3 (Q) =⇒ t A = 2 −1 ∈ M3×2 (Q) 0 −1 −2 3 −2 −5 4 −5 21 t A= 1 ∈ M2×2 (Q) =⇒ A = ∈ M2×2 (Q) − 43 4 − 34 2 APPUNTI DELLE LEZIONI DI MATEMATICA DISCRETA 99 Definizione 90. (IDENTITÀ) In Mn×n (K), la matrice identità è la matrice tale che aii = 1 e aij = 0 se i 6= j, ovvero ha tutti 1 sulla diagonale principale e zero altrove. 1 0 0 1 0 Id = ∈ M2×2 (K) Id = 0 1 0 ∈ M3×3 (K) 0 1 0 0 1 1 0 ··· 0 0 1 ··· 0 Id = · · · · · · · · · · · · ∈ Mn×n (K). 0 0 ··· 1 Osservazione 117. La matrice identità è una matrice quadrata. Definizione 91. Per ogni λ ∈ K e per ogni A = (aij ) ∈ Mm×n (K). Si definisce il prodotto λA = (λaij ), la matrice ottenuta moltiplicando per λ ogni coefficiente di A. Esempio 290. Siano λ = 2 ∈ Q e 1 2 3 A= ∈ M2×3 (Q) 0 −1 −2 Allora 2 4 6 λA = 2A = ∈ M2×3 (Q) 0 −2 −4 Definizione 92. (PRODOTTO) 1) Due matrici A e B sono moltiplicabili se e soltanto se il numero delle colonne di A è uguale al numero delle righe di B, ovvero se e solo se A ∈ Mm×n (K) B ∈ Mn×s (K) e 2) Date due matrici moltiplicabili A ∈ Mm×n (K) e B ∈ Mn×s (K), il prodotto A · B è una matrice A · B ∈ Mm×s (K), ottenuta moltiplicando le righe di A per le colonne di B, ovvero n X (A · B)ij = ait btj . t=1 Quindi al posto (i, j) abbiamo il prodotto tra la riga i e la colonna j, ovvero la somma di tutti i prodotti ait btj , per ogni t = 1, . . . , n. Esempio 291. 1 2 3 A= M2×3 (Q) 0 −1 −2 −5 −14 −23 M2×3 (Q) B= 1 7 3 2 4 A · B non esiste! Esempio 292. Siano date le seguenti matrici a coefficenti in R −5 4 1 2 3 A= 1 ∈ M2×2 (R) B= ∈ M2×3 (R) 0 −1 −2 − 34 2 Allora A · B ∈ M2×3 (R) è: −5 A·B = 1 2 4 − 34 −5 −14 −23 1 2 3 = 1 . 7 0 −1 −2 3 2 4 Esempio 293. Siano date le seguenti matrici a coefficenti in C 0 −4 3 1 i 0 i 2 −1 1 A= , B = 1 −1 . 3 1 i 2 2 1 −1 −1 4 100 DONATELLA IACONO Allora A·B = i 2 . 1+i 2 Esempio 294. Siano date le seguenti matrici a coefficenti in C −4 0 3 1 i 0 i 2 −1 A= , B= 1 −1 . 3 1 i 2 1 −1 Allora i + 1 −2 A·B = . 3 + i −6 −4 −4 −4 − 38 0 −4 3 3 3 i 3i 1 i 0 i 2 −1 2i 1 −1 + 2i . B·A= 1 −1 3 1 i 2 = −3 i − 1 −i + 2 −3 1 −1 −3 i − 1 −i + 2 −3 Da qui capiamo che la moltiplicazione non è commutativa, può non esistere e può essere diversa. Osservazione 118. ∀n ≥ 1, tutte le matrici in Mn×n (K) sono moltiplicabili tra loro, e il prodotto è ancora una matrice in Mn×n (K), ovvero esiste un prodotto · : Mn×n (K) × Mn×n (K) → Mn×n (K) · (A, B) = A · B Proprietà del prodotto in Mn×n (K): (1) · è associativa ∀A, B, ∈ Mn×n (K), (A · B) · C = A · (B · C) (2) Esiste Identità Id ∈ Mn×n (K) tale che A · Id = Id · A = A. (3) Valgono le proprietà distributive della somma rispetto al prodotto. CONCLUSIONE: (Mn×n (K), +, ·) è un anello unitario non commutativo (per n > 1). In particolare, non è un campo perché non è commutativo. Vogliamo capire se esistono divisori dello zero e elementi invertibili. Esempio 295. 0 0 2 0 0 0 2 0 0 0 · = = · 3 2 −3 0 0 0 −3 0 3 2 Definizione 93. (MATRICE INVERTIBILE) Sia A ∈ Mn×n (K) una matrice quadrata, allora A è invertibile se e solo se esiste A0 ∈ Mn×n (K), tale che A0 A = AA0 = Id. Se è invertibile si dimostra che la matrice A0 è unica e si chiama matrice inversa di A e si denota con A−1 . Problema: 1) Capire se una matrice è inveritible. 2) Determinare la matrice inversa. Risposta al Problema 1: Teorema 27. Sia A ∈ Mn×n (K), allora A è invertibile se e solo se il determinate di A è diverso da zero: det(A) 6= 0 Allora dobbiamo capire chi è il determinante di una matrice quadrata. Se n = 1 A = (a), allora det(A) = a Se n = 2 a b A= det(A) = ad − bc c d APPUNTI DELLE LEZIONI DI MATEMATICA DISCRETA 101 Esempio 296. A= 1 2 4 6 det(A) = ad − bc = 6 − 8 = −2 i −2 A= det(A) = 2i + 2(1 + i) = 4i + 2 1+i 2 1 2 A= det(A) = −4 + 4 = 0 −2 −4 Se n > 2? Definizione 94. (COMPLEMENTO ALGEBRICO) Data A ∈ Mn×n (K) matrice quadrata, il complemento algebrico del suo elemento aij è il prodotto (−1)ij det(Aij ) dove Aij è ottenuta da A togliendo la riga i e la colonna j. Esempio 297. 3 −3 31 A= 0 4 1 −1 −1 −1 4 1 1+1 il complemento algebrico di a11 = (−1) det = −4 + 1 = −3 −1 −1 0 1 1+2 il complemento algebrico di a12 = (−1) det = −1 −1 −1 3 13 il complemento algebrico di a32 = (−1)3+2 det = −3 0 1 Definizione 95. (DETERMINANTE) Sia A ∈ Mn×n (K) una matrice quadrata. Il determinante di A, si indica con det(A), ed è l’elemento di K (ovvero det(A) ∈ K), dato dalla formula, per ogni i fissato det(A) = n X aij (−1)ij det(Aij ) j=1 oppure per ogni j fissato da det(A) = n X aij (−1)ij det(Aij ), i=1 ovvero il determinante della matrice A è ottenudo sommando su una qualsiasi riga (prima formula) o su una qualsiasi colonna (seconda formula) il prodotto di ogni elemento per il suo complemento algebrico. Questa formula viene chiamata Regola di Laplace. Osservazione 119. Si dimostra che non dipende dalla scelta della riga o della colonna. Esempio 298. Verifichiamo formula per 2, sviluppando rispetto prima riga a b A= det(A) = ad + (−b)c = ad − bc. c d Sia data la seguente matrice, sviluppando rispetto prima riga otteniamo i −2 A= det(A) = 2i + 2(1 + i) = 4i + 2; 1+i 2 sviluppo rispetto prima colonna, otteniamo i −2 det = i(2) − (i + 1)(−2) = 4i + 2. 1+i 2 102 DONATELLA IACONO Esempio 299. Sviluppiamo rispetto prima riga 3 −3 31 det 0 4 1 = −1 −1 −1 1 0 4 4 1 0 1 1+3 1+1 1+2 = 3(−1) det + (−3)(−1) det + (−1) det −1 −1 −1 −1 −1 −1 3 = 3(−3) + 3 + 13 4 = −8 + 34 = − 14 3 Se avessimo scelto di sviluppare rispetto alla prima colonna 3 −3 13 4 1 −3 31 = det 0 + (−1)(−1)3+1 det 4 1 = 3(−1)1+1 det −1 −1 4 1 −1 −1 −1 = −9 − (−3 − 43 ) = −9 + 13 3 = − 14 3 Risposta al Problema 2: Definizione 96. (MATRICE INVERSA) Sia A ∈ Mn×n (K) con det(A) 6= 0. Allora la matrice inversa di A è A−1 dove 1 (trasposta matrice complementi algebrici) A−1 = det(A) ovvero 1 1 (−1)(i+j) det(Aji ) = ∗ complemento algebrico di aji (A−1 )ij = det(A) det(A) Osservazione 120. Quindi per calcolare l’inversa: DA IMPARARE a MEMORIA (1) Matrice deve essere quadrata (2) il determinante deve essere diverso da zero Quindi: 1) calcolo determinante 2) calcolo complementi algebrici 3) calcolo matrice 4) faccio trasposta 5) divido per determinante (Possiamo anche fare prima la divisione per il determiannte e poi trasposta). Esempio 300. 1 −2 A= 2 3 Quindi è invertibile. Inversa è complemento algerbico di a11 è 3 complemento algerbico di a12 è -2 complemento algerbico di a21 è 2 complemento algerbico di a22 è 1 dividiamo per det(a) e otteniamo det(A) = 3 + 4 = 7 6= 0 −2 7 1 7 3 7 2 7 facciamo trasposta allora A −1 = 3 7 −2 7 2 7 1 7 APPUNTI DELLE LEZIONI DI MATEMATICA DISCRETA Controlliamo AA−1 = 3 1 −2 7 −2 2 3 7 2 7 1 7 = 103 1 0 0 1 Esempio 301. A= i −2 1+i 2 det(A) = 2i + 2(1 + i) = 4i + 2 Quindi è invertibile. Inversa è complemento algerbico di a11 è 2 complemento algerbico di a12 è -i-1 complemento algerbico di a21 è 2 complemento algerbico di a22 è i dividiamo per det(a) e otteniamo 2 4i+2 2 4i+2 −i−1 4i+2 i 4i+2 allora trasposta A −1 = 2 4i+2 −i−1 4i+2 2 4i+2 i 4i+2 Controlliamo −1 AA 2 i −2 4i+2 −i−1 1+i 2 4i+2 = 2 4i+2 i 4i+2 1 0 = 0 1 Esempio 302. −6 1 −4 3 4 . C= 0 −2 −1 −2 3 4 1 −4 det(C) = −6det − 2det = −6(−6 + 4) − 2(4 + 12) = +12 − 32 = −1 −2 3 4 −20, complemento algebrico di a11 è -2 complemento algebrico di a12 è -8 complemento algebrico di a13 è 6 complemento algebrico di a21 è 6 complemento algebrico di a22 è 4 complemento algebrico di a23 è -8 complemento algebrico di a31 è 16 complemento algebrico di a32 è 24 complemento algebrico di a33 è -18 Quindi −2 −8 6 6 4 −8 . 16 24 −18 Poi trasposta −2 6 16 −8 4 24 . 6 −8 −18 Infine dividendo per det(C) = −20 otteniamo C −1 = 1 10 2 5 −3 10 −3 10 −1 5 2 5 −4 5 −6 . 5 9 10 104 DONATELLA IACONO 28. Grafi Definizione 97. (GRAFO) Un grafo (semplice) G è una coppia (V, L) dove (1) V è un insieme non vuoto, i cui elementi si chiamano vertici del grafo, o nodi o punti. (2) L è sottoinsieme dell’insieme costituito da due elementi di V , ovvero L = {{v, w} | v, w ∈ V }. Gli elementi di L sono detti lati (o archi o spigoli) del grafo; v e w sono detti estremi del lato. Al posto di L si usa anche la notazione E, per indicare edges. Osservazione 121. Siamo interessati ai grafi finiti ovvero V è un insieme finito,pos n siamo assumere |V | = n ≥ 2. Quindi anche L è un insieme finito, dato che |L| ≤ . 2 n Infatti, è il numero di sottoinsiemi con due elementi Sezione 9.1.2. 2 Definizione 98. Se v e w sono vertici distinti e l = {v, w} ∈ L, allora i vertici si dicono adiacenti. Se l e l0 sono lati di G e l ∩ l0 6= ∅, ovvero l ed l0 hanno un vertice in comune, allora l ed l0 sono detti incidenti. Esempio 303. Rappresentazione dei grafi: un punto per ogni vertice e una linea tra due punti se esiste il lato. Esempio 304. V = {v1 , v2 , v3 , v4 , v5 , v6 , v7 } e L = {l1 = {v1 , v6 }, l2 = {v1 , v5 }, l3 = {v2 , v3 }, l4 = {v7 , v4 }, l5 = {v2 , v7 }} • v1 • v7 • v2 • v3 • v4 • v5 • v6 Allora lati incidenti l1 e l2 , l3 e l5 , l4 e l5 . vertici adiacenti: 1,6; 1,5; e 2,3; 7,4; 2,7. Esempio 305. Determinare vertici adiacenti e lati incidenti nei seguenti grafi. • • C C C • • Q C Q C QQC QC• • @ @ @• •b " b" b" "" bb • • Definizione 99. (ISOMORFISMO) Un isomorfismo di grafi G = (V, L) → G0 = (V 0 , L0 ) è una biezione di insiemi, f : V → V 0 tale che ∀v, w ∈ V si ha {v, w} ∈ L ⇐⇒ {f (v), f (w)} ∈ L0 ovvero due vertici sono adiacenti in G se e solo se le immagini sono adiacenti in G0 . (In particolare hanno lo stesso numeri di vertici e di lati.) Osservazione 122. Quindi il grafo non dipende dalla rappresentazione usata. Esempio 306. Queste sono rappresentazioni di uno stesso grafo. APPUNTI DELLE LEZIONI DI MATEMATICA DISCRETA 105 • • , T l , Tll •, T • HH HH T HHT HT L L L • L @L @L • •b • bb "" " " bb •" • • • Osservazione 123. Per come abbiamo dato la definizione di grafo semplice, stiamo considerando sottoinsiemi {v, w} di due elementi. Quindi v 6= w, ovvero il grafo non contiene lati della forma {v} = {v, v}, quelli che vengono chiamati loop. Inoltre, {v, w} = {w, v}, quindi non abbiamo un verso di percorrenza del lato. Infine, fissati due vertici in un grafo, allora esiste al piu un lato tra essi, una coppia {v, w} è presa al più una volta, ovvero non abbiamo i cosidetti lati multipli. Per questo abbiamo detto grafo semplice. Vediamo come si può generalizzare la definizione includendo lati multipli e loops. Definizione 100. (MULTIGRAFO) Un multigrafo è una tripla (V, L, f ) dove f : L → {sottoinsiemi di due elementi di V }. Osservazione 124. Cosı̀ se f non è iniettiva abbiamo lati multipli, se iniettiva otteniamo un grafo semplice. Quindi i multigrafi ammettono lati multipli ma non loop. Come facciamo ad includere i loop? Definizione 101. (GRAFO ORIENTATO) Un grafo orientato è una coppia G = (V, L) con L ⊆ V × V . Osservazione 125. Un grafo orientato si chiama anche digrafo, dato che in inglese grafo orientato si dice directed graph. Osservazione 126. Nei grafi orientati includiamo i loop, basta scegliere (v, v) ∈ V × V . Inoltre, stiamo orientando ogni lato, che quindi diventa una freccia. Alla coppia ordinata (v, w) ∈ V × V , associamo il lato che va da v verso w. Questo è diverso dal lato (w, v) ∈ V × V , che è il lato che va da w verso v. Non è ancora il caso piu generale, in cui possiamo avere più loop su un vertice o tanti lati tra due vertici. Definizione 102. (MULTIGRAFO ORIENTATO) Un multigrafo orientato è una tripla G = (V, L, f ) con f : L → V × V . In tal caso includiamo i loops e i lati multipli. Osservazione 127. Noi studiamo solo grafi semplici. Con la parola grafo intendiamo un grafo semplice e quindi senza loops e senza lati multipli. Definizione 103. (GRADO o VALENZA) Siano G = (V, L) un grafo finito e v ∈ V vertice di G. Diremo che v ha grado n o v ha valenza n, e scriveremo d(v) = n se v appartiene ad n lati. Inoltre, v si dice pari o dispari se d(v) è pari o dispari, rispettivamente. Se d(v) = 0, allora v è detto vertice isolato. Esempio 307. Determinare le valenze nei seguenti grafi. •3 •2 , T l , Tll 3 •, T •3 HH HH T HHT HT 3 • 3• 3• bb u "" b•" " 4 bb " " b •3 •3 •v 3@ @• w 2 • 1 106 DONATELLA IACONO Nel primo grafo tutti i vertici hanno valenza 3. Nel secondo grafo tutti i vertici hanno valenza 3 tranne il vertice u che ha valenza 4. Infine, nel terzo grafo il vertice v ha valenza 3, il vertice w ha valenza 1 e i due vertici restanti hanno valenza 2. Osservazione 128. Se due grafi sono isomorfi, allora i vertici che sono in biezione hanno la stessa valenza. Esempio 308. I seguenti grafi non sono isomorfi in quanto nel primo grafo c’è un vetice di grado 4 mentre nel secondo grafo non esistono vertici con tale valenza. • •b • " bb "" • "" 4 bbb " • • @ @ @• • bb "" " b "" bb • • Teorema 28. (Teorema delle strette di Mano) Il numero dei lati in un grafo finito è tale che: X 2 | L |= d(v). v∈V Dimostrazione. Contiamo gli estremi dei lati: ogni lato ha due estremi, quindi ci sono 2 | L | estremi. Contiamo ora gli estremi, contando i vertici: ogni vertice è estremo P di d(v) lati. Quindi, ogni estremo lo abbiamo contato d(v) volte. Quindi in tutto v∈V d(v). Pertanto, X 2 | L |= d(v). v∈V Corollario 2. Ogni grafo finito G = (V, L) ha un numero pari di vertici dispari. P Dimostrazione. Per il Teorema delle strette di mano (Teorema 28), v∈V d(v) deve essere un numero pari. Esempio 309. Ad esempio, nel grafo 3• 3• •3 bb " b•"" " 4 bb "" b •3 Abbiamo 2 | L |= 2 · 8 = 16 X d(v) = 3 + 3 + 3 + 3 + 4 = 16. v∈V Esempio 310. Esiste un grafo con solo 3 vertici di grado tre? No. Definizione 104. (COMPLETO) Un grafo si dice completo se tutti i suoi vertici sono a due a due adiacenti, ovvero per ogni coppia di vertici v, w esiste un lato che li congiunge. Osservazione 129. ∀n ≥ 1 esiste unico (a meno di isomorfismi) grafo completo con n vertici e si denota con Kn . Quindi K1 è il grafo con solo unvertice e senza lati. Per n ogni n ≥ 2, Kn ha il massimo numero di lati possibile ovvero lati. 2 Esempio 311. Esempio K1 , K2 , K3 , K4 . APPUNTI DELLE LEZIONI DI MATEMATICA DISCRETA • • • 107 • • A A A A A A L L L • L @L @L • • • • Esercizio 71. Disegnare K5 , K6 e K7 . Definizione 105. (CAMMINO) Sia G = (V, L) un grafo. Un cammino dal vertice v al vertice w è una successione finita di lati distinti tra v e w: l1 = {v, v2 }, l2 = {v2 , v3 }, · · · , ln = {vn , w}. In tal caso diremo che n è la lunghezza del cammino tra v e w e i vertici v e w s ono detti vertici o estremi del cammino. Esempio 312. Cammino da u a v, percorrendo i lati 1, 2, 3, 4 e 5. • 2 A@ 3 A@ 4 A @• • b 5b "A" bb A 1 "" " bA u• •v Osservazione 130. Se i lati non sono distinti si chiama percorso. Definizione 106. (CIRCUITO) Un circuito è un cammino di lunghezza n > 0, i cui estremi coincidono. Esempio 313. Esempio di circuto, percorrendo i lati 1, 2, 3, 4 e 5. • 2 A@ 3 @ AA @ •b • b "A" bb A 4 1 "" " bA • 5 • Definizione 107. (CONNESSO) Un grafo si dice connesso se per ogni v e w esiste un cammino tra v e w. Altrimenti il grafo si dice sconnesso. Esempio 314. Esempio di grafo sconnesso • • A A A A A A • • Osservazione 131. 1) Se in un grafo esistono vertici con d(v)=0 allora il grafo non è connesso. 2) Un grafo connesso con n vertici ha almeno n − 1 lati. Definizione 108. (CAMMINO EULERIANO) Sia G = (V, L) un grafo. Un cammino Euleriano è un cammino l1 , l2 , . . . , ln che passa per tutti i lati del grafo, una unica volta. 108 DONATELLA IACONO Definizione 109. (CIRCUITO EULERIANO) Sia G = (V, L) un grafo. Un circuito Euleriano è un circuito che passa per tutti i lati del grafo una unica volta (ovvero cammino euleriano con estremi che coincidono). Esempio 315. Esistono cammini euleriani nei seguenti grafi? circuiti? • • C C C • • Q C Q C QQC QC @ @ @• •b " b" b" " bb " • • • • Come facciamo a capire se esistono? Teorema 29. (di Eulero) Un grafo finito connesso con almeno due vertici ammette un circuito euleriano se e solo se tutti i suoi vertici sono pari. Corollario 3. (di Eulero) Un grafo finito connesso con almeno due vertici ammette un cammino euleriano se e solo se ha al più due vertici dispari (quindi o 0 o 2). Infatti, se non ci sono vertici dispari allora esiste circuito euleriano, che è un particolare cammino euleriano. Se ci sono due vertici dispari, allora sono obbligatoriamente gli estremi del cammino euleriano. Esempio 316. Esempio • • • C C C • • Q C Q C QQC QC• • @ @ @• • @ @ @ • • • Definizione 110. (CAMMINO HAMILTONIANO) Sia G = (V, L) un grafo. Un cammino Hamiltoniano 16è un cammino l1 , l2 , . . . , ln che passa esattamente una volta per ogni vertice del grafo. Esempio 317. Esistono cammini euleriani o hamiltoniani nei seguenti grafi? • • • • • • • •H • • • • HH HH • • • HH H H • • Definizione 111. (BIPARTITO) Un grafo G = (V, L) si dice bipartito se esiste una partizione (V1 , V2 ) di V tale che ogni lato di G ha un estremo in V1 e l’altro in V2 . Quindi, V1 , V2 ⊆ V non vuoti, V1 ∩ V2 = ∅, V1 ∪ V2 = V e due vertici di V1 o di V2 non sono adiacenti tra loro. Esempio 318. Esempio K1 , K2 , K3 , K4 . 16W.R.Hamilton, 1805-1865, scienziato Irlandese. APPUNTI DELLE LEZIONI DI MATEMATICA DISCRETA • • 109 • • A A A A A A L L L • L @L @L • • • • Il primo grafo è bipartito, negli altri due grafi non riusciamo a trovare partizione. Teorema 30. Un grafo è bipartito se e solo se non ammette circuiti di lunghezza dispari. Osservazione 132. Per ogni n, m ≥ 1, esistono i grafi Kn,m che sono grafi bipartiti (completi) di n + m vertici, con |V1 | = n e |V2 | = m, ovvero per ogni elemento di V1 e per ogni elemento di V2 esiste un lato. Esempio 319. I grafi K1,1 , K1,2 , K2,2 , K3,2 . • • • A A A A • • • • @ @ @ @ @• • • • • AQQ A A QQ A A Q A A QQA • • Esercizio 72. Disegnare K3,3 , K4,3 . Definizione 112. (PLANARE) Un grafo si dice planare se può essere disegnato su un piano senza incroci, ovvero se i lati si incontrano al più nei vertici in comune. Quindi un grafo è planare se è isomorfo ad un grafo i cui lati distinti si intersecano al più nel loro estremi. Esempio 320. Stabilire se i seguenti grafi sono planari. • • • • • • • • • • AQQ A A QQ A A Q A A QQA • • • Osservazione 133. Per capire se un grafo è planare, dobbiamo capire se può essere rappresentato da un “disegno senza incroci”. La raprpesentazione scelta potrebbe non essere quelal giusta. Quindi abbiamo bisogno di alcuni risultati che ci aiutino nella scelta. Teorema 31. (Teorema di Kuratowski17) Un grafo G = (V, L) finito è planare se e solo se non contiene come sottografi K5 o K3,3 (o una loro espansione). Un sottografo di G è un grafo che ha tutti i vertici e i lati in G. Formalmente: sia G = (V, L) un grafo, un sottografo di G è un grafo G0 = (V 0 , L0 ) con V 0 ⊆ V e L0 ⊆ L, tale che ogni l0 ∈ L0 ha estremi in V 0 . Un espansione di un grafo è ottenuta aggiungendo uno o più vertici su un lato. Quindi un grafo G non è planare se è ottenuto a partire da K5 (o da K3,3 ), aggiugnendo nuovi vertici e nuovi lati o aggiungendo uno o più vertici su un lato di K5 (o di K3,3 ). 17 K. Kuratowski 1896-1980, matematico Polacco, il Teorema è del 1930. 110 DONATELLA IACONO Definizione 113. (ALBERO) Un’albero è un grafo connesso privo di circuiti. Esempio 321. Esempio di un albero. "•b " b " b " b b• •" %S A • A •% S• A A • A• A• • A• • T• Osservazione 134. Il nome deriva dalla rappresentazione. Possiamo fissare un qualsiasi vertice (detto anche radice). Poi si dispongono tutti gli altri vertici ad un livello più basso (risp. più alto), prima quello a distanza 1, poi ad un livello più basso (risp. più alto) quelli a distanza 2 e cosı̀ via. Esempio 322. Esempio dei numeri di Fibonacci (Sezione 7.1). Teorema 32. Sia G = (V, L) un grafo con | V |= n. Le seguenti affermazioni sono equivalenti: (1) G è un albero. (2) ∀v, w ∈ V , esiste ed unico il cammino tra v e w. (3) G è privo di circuiti ed ha n − 1 lati, ovvero | L |=| V | −1. (4) G è un grafo connesso ed ha n − 1 lati. Osservazione 135. Ogni albero è bipartito, dato che non ha circuiti (Teorema 30). Si può vedere esplicitamente: fissato v ∈ V , allora esiste unico il cammino per ogni altro vertice. Posso dividere i vertici in due gruppi, il primo dato dai vertici che hanno distanza pari da v, il secondo costituito dai vertici che hanno distanza dispari da v. Esempio 323. Esiste un albero avente 9 vertici, con solo 3 vertici di grado 3 e solo 3 vertici di grado 2 e nessuno di ordine maggiore? Albero è connesso; |V | = 9, quindi |L| = 8 poi X 16 = 2 | L |= d(v) = 3 · 3 + 3 · 2 + d(v) + d(w) + d(z) v∈V ovvero 16= 15+ d(v)+d(w)+d(z). Ma albero connesso quindi maggiori di 1, impossibile. Esempio 324. Esiste un albero avente 9 vertici, con solo 2 vertici di grado 3 e solo 3 vertici di grado 2 e nessuno di ordine maggiore? Albero è connesso; |V | = 9, quindi |L| = 8. Inoltre, 16 = 2 | L |= X d(v) = 2 · 3 + 3 · 2 + d(v1 ) + d(v2 ) + d(v3 ) + d(v4 ). v∈V Quindi, 16 = 12 + d(v1 ) + d(v2 ) + d(v3 ) + d(v4 ). Un albero è connesso, ne segue che d(vi ) è maggiore o uguale ad 1, ovvero 1. Quindi è un albero con 9 vertici: con solo 2 vertici di grado 3, solo 3 vertici di grado 2 e gli altri 4 vertici di valenza 1. Non abbiamo contraddizioni, quindi tale albero esiste. ad esempio APPUNTI DELLE LEZIONI DI MATEMATICA DISCRETA 3 • •3 \ \ \ 2 2 • • 1 • 111 \ \ \ 1 2 • • •1 1 • oppure, un altro albero, non isomorfo a quello precedente è 1 • 2 • 2 • 2 3 • 1 3 • • • •1 1 • Per Saperne di più. In Informatica, i grafi hanno numerose applicazioni. Ad esempio, intervengono Per rappresentare una computer network, communication network, per studiare percorsi di logistica, per studiare mappe. Nel software design, per capire come differenti moduli interagiscono tra loro. Il problema dei grafi planari, sono di fondamentale importanza nella progettazione dei circuiti elettrici. Check list. In questo capitolo abbiamo introdotto i grafi, abbiamo definito la valenza di un vertice, i cammini, i circuiti, grafi conessi, completi, cammini Elureiani, circuiti euleriani, cammini hamiltoniani, grafi bipartiti, planari e alberi. 112 DONATELLA IACONO 29. Reticoli In questa sezione studiamo i reticoli e il loro legame con gli insiemi parzialmente ordinati. Definizione 114. (RETICOLO ALGEBRICO) Una struttura algebrica (R, ∧, ∨) costituita da un insieme non vuoto R 6= ∅ e da due operazioni ∧ : R × R → R, detta intersezione, e ∨ : R × R → R, detta unione, si dice reticolo algebrico se valgono le seguenti proprietà: (1) le operazioni ∧ e ∨ sono commutative: ∀a, b ∈ R, a ∧ b = b ∧ a e a ∨ b = b ∨ a; (2) le operazioni ∧ e ∨ sono associative: ∀a, b, c ∈ R, (a ∧ b) ∧ c = a ∧ (b ∧ c) e (a ∨ b) ∨ c = a ∨ (b ∨ c); (3) ∀a, b ∈ R a ∨ (a ∧ b) = a a ∧ (a ∨ b) = a Le equazioni nella Proprietà (3) sono dette leggi di assorbimento. Visto che le operazioni ∧ e ∨ commutano, valgono anche le simmetriche (a ∧ b) ∨ a = a e (a ∨ b) ∧ a = a. Osservazione 136. ∨ e ∧ sono simmetriche, nel senso che godono delle stesse proprietà, non come negli anelli. Esempio 325. L’anello (R, +, ·) non è un reticolo 2+(3·2) = 8 6= 2, perchè non valgono le leggi di assorbimento. Esempio 326. Sia A un insieme finito e R = P(A), l’insieme delle parti di A. Definiamo ∨ = ∪ unione e ∧ = ∩ intersezione. Queste due operazioni sono commutative e associative, già visto. Inoltre per ogni X e Y ∈ P(A) abbiamo che X ∩ (X ∪ Y ) = X e X ∪ (X ∩ Y ) = X. Sono uguaglianze di insiemi infatti sono vere le doppie inclusioni, per le proprietà viste nella Proposizione 1, si ha che X ⊂ X ∪ Y e X ∩ Y ⊂ X. Osservazione 137. Sia (R, ∧, ∨) un reticolo algebrico. • ∀ a ∈ R si ha • ∀ a, b ∈ R si ha a∧a=a a ∨ a = a (Legge di Idempotenza); a ∧ b = a ⇐⇒ a ∨ b = b. Esempio 327. In R = P(A), sappiamo X ∪ X = X ∩ X = X, ∀X ∈ P(A). Inoltre, ∀X, Y ∈ P(A), abbiamo che X ∩ Y = X ⇐⇒ X ⊆ Y ⇐⇒ X ∪ Y = Y. Un reticolo algebrico (R, ∧, ∨) è un insieme con due operazioni, vediamo ora alcune proprietà analoghe a quelle viste per gli anelli. Definizione 115. (DISTRIBUTIVO) Un reticolo algebrico (R, ∧, ∨) si dice distributivo se ∀a, b, c ∈ R si ha che a ∨ (b ∧ c) = (a ∨ b) ∧ (a ∨ c) e a ∧ (b ∨ c) = (a ∧ b) ∨ (a ∧ c). Queste equazioni vengono anche dette leggi distributive. Esempio 328. Il reticolo (P(A), ∪, ∩) è distributivo. Infatti, ∀ X, Y, Z ∈ P(A), si ha che X ∩(Y ∪Z) = (X ∩Y )∪(X ∩Z). Anche l’altra è vera: X ∪(Y ∩Z) = (X ∪Y )∩(X ∪Z). APPUNTI DELLE LEZIONI DI MATEMATICA DISCRETA 113 Definizione 116. (ELEMENTO NEUTRO) Sia (R, ∧, ∨) un reticolo algebrico, se esiste l’elemento neutro rispetto a ∨ esso si indica con 0̂. Se esiste l’elemento neutro rispetto a ∧ esso si indica con 1̂. Quindi se esiste 0̂ si ha che ∀a ∈ R: a ∨ 0̂ = 0̂ ∨ a = a. Quindi se esiste 1̂ si ha che ∀a ∈ R: a ∧ 1̂ = 1̂ ∧ a = a. Esempio 329. In (P(A), ∪, ∩) abbiamo che l’elemento neutro per ∨ esiste ed è l’insieme vuoto: 0̂ = ∅, infatti ∀X ∈ P(A) si ha X ∨ ∅ = X. L’elemento neutro per ∧ esiste ed è l’insieme A: 1̂ = A, infatti ∀X ∈ P(A) si ha X ∧ A = X. Definizione 117. (COMPLEMENTO) Sia (R, ∧, ∨) un reticolo algebrico che ammette 0̂ e 1̂. Sia a ∈ R un elemento a0 ∈ R si dice complemento di A se a ∨ a0 = 1̂ e a ∧ a0 = 0̂. Osservazione 138. Devono essere verificate entrambe. Esempio 330. In (P(A), ∪, ∩) abbiamo gli elementi neutri 0̂ = ∅ 1̂ = A. Sia X ∈ P(A), esiste X 0 ∈ P(A) tale che X ∪ X 0 = A = 1̂ X ∩ X 0 = ∅ = 0̂? Si ∀X ∈ P(A) si ha X 0 = {A (X) insieme complementare di X. Infatti, si ha X ∪ {A (X) = A = 1̂ X ∩ {A (X) = ∅ = 0̂ Esempio 331. In ogni (R, ∧, ∨) un reticolo algebrico che ammette 0̂ e 1̂, 0̂ e 1̂ sono uno il complementare dell’altro. Infatti 0̂ ∨ 1̂ = 1̂ e 0̂ ∧ 1̂ = 0̂ perché elementi neutri. Osservazione 139. Non è detto che esista il complemento e, in generale, non sappiamo niente sull’unicità. Proposizione 22. Sia (R, ∧, ∨) un reticolo algebrico distributivo che ammette 0̂ e 1̂. Se un elemento ammette complemento, esso è unico. Osservazione 140. Se in (R, ∧, ∨) un elemento ammette due complementi allora il reticolo non è distributivo. Definizione 118. (BOOLE18) Un reticolo algebrico (R, ∧, ∨) si dice reticolo di Boole se: (1) è distributivo, (2) esistono 0̂ e 1̂, (3) ogni elemento ammette complemento. Osservazione 141. Se (R, ∧, ∨) è di BOOLE, allora ogni elemento ammette un unico complemento (esiste ed è unico). Esempio 332. Per ogni insieme A 6= ∅, il reticolo (P(A), ∪, ∩) è di Boole, infatti ammette 0̂ = ∅ e 1̂ = A, è distributivo ed il complemento è unico. 18George Boole, 1815-1864, Matematico e logico inglese, considerato uno dei fondatori della logica matematica. 114 DONATELLA IACONO 29.1. Legame tra reticoli e insiemi parzialmente ordinati. Nella Sezione ??, abbiamo già dato la definizione di insieme parzialmente ordinato. Definizione 119. (Definizione 41) Un insieme A 6= ∅ si dice parzialmente ordinato, e scriviamo (A, R), se su A è definita una relazione di ordine parziale, ovvero riflessiva, antisimmetrica e transitiva. Definizione 120. (MASSIMO e MINIMO) In un insieme parzialmente ordinato (A, R) (1) un elemento x ∈ A si dice minimo se xRa, per ogni a ∈ A; (2) un elemento y ∈ A si dice massimo se aRy, per ogni a ∈ A. Esempio 333. Consideriamo (N, ≤), dove per ogni x e y ∈ N si ha xRy ⇐⇒ x ≤ y ⇐⇒ ∃c ∈ N, con y = x + c (Esempio 145). Allora, 0 è minimo infatti 0 ≤ x, per ogni x ∈ N, ma non esiste massimo. Esempio 334. In (Z, ≤) non esiste né massimo né minimo. Esempio 335. Fissiamo un intero n ≥ 2 e consideriamo l’insieme Dn dei divisori di n. Ad esempio, D4 = {1, 2, 4}, D18 = {1, 2, 3, 6, 9, 18} , D24 = {1, 2, 3, 4, 6, 8, 12, 24}. Consideriamo su Dn la relazione di divisibilità R =|: per ogni x, y ∈ Dn si ha xRy se e solo se x | y, quindi se x divide y o equivalentemente y multiplo di x. Si può verificare che l’insieme (Dn , |) è un insieme parzialmente ordinato. In tal caso, si ha che 1 è minimo e n è il massimo. Negli esempi abbiamo: in D4 il minimo è 1 e il massimo è 4; in D18 il minimo è 1 e il massimo è 18; in D24 il minimo è 1 e il massimo è 24. Esempio 336. In (P(A), ⊆), l’elemento minimo è ∅ e il massimo è A. 29.2. Diagrammi di Hasse. Ogni insieme parzialmente ordinato (A, R), con |A| finito può essere rappresentato graficamente usando i diagrammi di Hasse19. Regole: (1) un punto per ogni elemento di A; (2) se aRb allora il punto corrispondente ad a è rappresentato sotto il punto b; (3) se aRb con (a 6= b) e non esistono c, con a < c < b allora congiungiamo a e b. Osservazione 142. Dalla rappresentazione grafica possiamo capire il massimo e il minimo. Esempio 337. Consideriamo D4 = {1, 2, 4}. •4 •2 •1 19Helmut Hasse, 1898-1979, matematico tedesco. APPUNTI DELLE LEZIONI DI MATEMATICA DISCRETA 115 Esempio 338. Consideriamo D18 = {1, 2, 3, 6, 9, 18}. 18 • @ 6 @ • • 9 @ 2 @ • • 3 @ @ •1 Esempio 339. Consideriamo D24 = {1, 2, 3, 4, 6, 8, 12, 24}. 24 • @ 12 @ • • 8 @ 6 @ • • 4 3 @@ • •2 @ @• 1 Esempio 340. Sia A = {1, 2, 3}, e consideriamo P(A) che ha 8 elementi. Allora {1,2,3} • @ {2,3} {1,2} @ • • @ {2} @• •{1,3} @ {1} @• • {3} @ @• {∅} Esercizio 73. Per casa, disegnare D14 , D12 . Definizione 121. (RETICOLO ORDINATO) Un insieme parzialmente ordinato (A, R) si dice reticolo ordinato se ogni coppia di elementi ammette estremo inferiore ed estremo superiore, ovvero ∀x, y ∈ A, esiste inf{x, y} e sup{x, y}. Cosa sono inf{x, y} e sup{x, y}? Definizione 122. (ESTREMO INFERIORE) Siano (A, R) un insieme parzialmente odinato e x, y ∈ A. Allora l’estremo inferiore tra x e y si denota con inf{x, y} ed è un elemento di A, inf{x, y} ∈ R, tale che: (1) inf{x, y}Rx e inf{x, y}Ry; (2) ∀t ∈ A con tRx e tRy, allora tR inf{x, y}. (Quindi, l’estremo inferiore è il più grande tra i più piccoli.) Definizione 123. (ESTREMO SUPERIORE) Siano (A, R) un insieme parzialmente odinato e x, y ∈ A. Allora l’estremo superiore tra x e y si denota con sup{x, y} ed è un elemento di A, sup{x, y} ∈ A, tale che: 116 DONATELLA IACONO (1) xR sup{x, y} e yR sup{x, y}; (2) ∀t ∈ A e xRt e yRt, allora sup{x, y}Rt. (Quindi, l’estremo superiore è il più piccolo tra i più grandi.) Esempio 341. (N, ≤), sia x = 2, y = 5, allora inf{2, 5} = 2 e sup{2, 5} = 5. Esempio 342. In generale, in (Dn , |) insieme dei divisori di un dato n, allora l’estremo inferiore è inf{x, y} = M CD(x, y) e l’estremo superiore è sup{x, y} = mcm(x, y). Infatti, la definzione di estremo inferiore tra x e y coincide esattamente con la definizione di M CD(x, y) che abbiamo gia dato (Definizione 51: (1) M CD(x, y) | x e M CD(x, y) | y; (2) ∀t ∈ Dn con t | x e t | y, allora t | M CD(x, y). Analogamente la definzione di estremo superiroe tra x e y coincide esattamente con la definizione di mcm(x, y) che abbiamo gia dato (Definizione 54): (1) x | mcm(x, y) e y | mcm(x, y); (2) ∀t ∈ A e x | t e y | t, allora mcm(x, y) | t. Esempio 343. D18 = {1, 2, 3, 6, 9, 18}, inf{2, 9} =?, oppure sup{3, 9} =? Possiamo capirlo dalla rappresentazione grafica. 18 • @ 6 @ • • 9 @ 2 @ • • 3 @ @ •1 Allora, ad esempio inf{2, 9} = 1, sup{3, 9} = 9, sup{3, 6} = 6, inf{2, 6} = 2. Osservazione 143. Sia (A, R) un insieme parzialmente ordinato. Se x è minimo, allora xRa, per ogni a ∈ A. Quindi inf{a, x} = x e sup{a, x} = a, per ogni x ∈ A. Se x è massimo, allora aRx, per ogni a ∈ A. Quindi inf{a, x} = a e sup{a, x} = x, per ogni a ∈ A. Che legame c’è tra reticoli algebrici e insiemi parzialmente ordinati? Teorema 33. Sia (R, ∧, ∨) un reticolo algebrico. Definiamo ∀a, b ∈ R aRb se e solo se a ∧ b = a (⇐⇒ 20 a ∨ b = b). Allora (R, R) è un insieme parzialmente ordinato tale che ∀a, b ∈ A sup{a, b} = a ∨ b e inf{a, b} = a ∧ b. Teorema 34. Sia (A, R) un reticolo ordinato, ovvero insieme parzialmente ordinato tale che ∀a, b ∈ A esiste estremo superiore sup{a, b} ed estremo inferiore inf{a, b}. Definiamo due operazione ∧ : A × A → A, tale che ∀a, b ∈ A, a ∧ b := inf{a, b} e ∨ : A × A → A, tale che ∀a, b ∈ A, a ∨ b := sup{a, b} Allora (A, ∧, ∨) è un reticolo algebrico, ovvero le due operazioni soddisfano le proprietà. 20Osservazione 137. APPUNTI DELLE LEZIONI DI MATEMATICA DISCRETA 117 Esempio 344. Sia (Dn , |) l’insieme dei divisori di un dato n, allora esistono l’estremo inferiore è inf{x, y} = M CD(x, y), l’estremo superiore è sup{x, y} = mcm(x, y). Quindi abbiamo definito un reticolo algebrico, (Dn , ∧, ∨), dove x ∧ y := inf {x, y} = M CD(x, y) e x ∨ y := sup{x, y} = mcm(x, y). Quindi, i reticoli ordinati, ovvero gli insiemi parzialmente ordinati che ammettono inf e sup per ogni coppia di elementi sono reticoli algebrici. Per gli insiemi parzialmente ordinati abbiamo visto che possiamo usare le rappresentazioni grafiche e quindi possiamo usarle anche per i reticoli algebrici. Inoltre, dalla rappresentazione grafica possiamo capire inf e sup e quindi le operazioni. Esempio 345. Consideriamo D18 = {1, 2, 3, 6, 9, 18}. Allora 18 è massimo e 1 è minimo. Fare rappresentazione grafica. Determinare 2 ∨ 6 =? 2 ∨ 18 =? 18 • @ 6 @• • 9 2 @@ • •3 @ @ •1 Allora 2 ∨ 6 = m.c.m(2, 6) = 6 2 ∨ 18 = m.c.m(2, 18) = 18. Osservazione 144. Sia (A, R) un reticolo ordinato con x minimo e y massimo. Se x è minimo, abbiamo visto che (Osservazione 143) sup{a, x} = a, per ogni a ∈ A. Allora sup{a, x} = a ∀x ∈ A ⇐⇒ a ∨ x = a ∀x ∈ A. Ma questa è la definizione di elemento neutro di ∨, ovvero il minimo è 0̂ elemento neutro di ∨. Se y è massimo, abbiamo visto che (Osservazione 143) inf{a, y} = a, per ogni a ∈ A. Allora inf{a, y} = a ∀a ∈ A ⇐⇒ a ∧ y = a ∀a ∈ A Ma questa è la definizione di elemento neutro di ∧, ovvero il massimo è 1̂ elemento neutro di ∧. Quindi quando facciamo la rappresentazione, l’elemento minimo e massimo ci dicono chi sono gli elementi neutri. Inoltre, dalla rappresentazione grafica possiamo anche capire i complementari. Esempio 346. D18 = {1, 2, 3, 6, 9, 18} 18 è massimo e 1 è minimo. Fare rappresentazione grafica. Determinare elementi neutri ed eventuali complementi. 18 • @ 6 @ • • 9 @ 2 @ • • 3 @ @ •1 118 DONATELLA IACONO Esempio 347. Consideriamo il reticolo associato a (R, ≤) dove R = {a, b, c, d} e il reticolo è dato dal seguente diagramma di Hasse: •a , , b •, T T T T T T e e e e• c d • Allora, ∀x ∈ R si ha che a ∧ x = x allora a = massimo = 1̂. ∀x ∈ R si ha che d ∨ x = x allora d = minimo = 0̂. b ∧ c = inf{b, c} = d e b ∨ c = sup{b, c} = a, quindi uno è il complementare dell’altro. Inoltre a e d sono complementari uno dell’altro. Esempio 348. Sia N5 il reticolo pentagolnale associato a (R, ≤) dove R = {0̂, a, b, c, 1̂} descritto dal seguente diagramma di Hasse • 1̂ , e , e b •, e e• c a• l l l•0̂ Allora, 0̂ e 1̂ sono complementari uno dell’altro. L’elemento a ha come complementare c, l’elemento b ha come complementare c, l’elemento c ha due complementari a e b. Pertanto, il reticolo non è distributivo. Esempio 349. Sia M3 il reticolo associato a (R, ≤) dove R = {0̂, a, b, c, 1̂} descritto dal seguente diagramma di Hasse Stabilire se il reticolo è distributivo. • 1̂ % e e % e % a •% • b e• c S S S S S 0̂ • Allora, 0̂ e 1̂ sono complementari uno dell’altro. L’elemento a ha come complementare b e c, l’elemento b ha come complementare a e c, l’elemento c ha come omplementare a e b. Pertanto, il reticolo non è distributivo. Teorema 35. Un reticolo è distributivo se e solo se non contiente sottoreticoli isomorfi ad M3 o N5 . APPUNTI DELLE LEZIONI DI MATEMATICA DISCRETA 119 Dove per sottoreticolo si intende un sottoinsieme chiuso rispetto alle operazioni. Formalmente, sia (R, ∧, ∨) un reticolo algebrico. Un sottoinsieme T di R con T 6= ∅ è un sottoreticolo, se T è chiuso rispetto alle operazioni ∧ e ∨, ovvero ∀x, y ∈ T si ha x∨y ∈ T e x ∧ y ∈ T. Osservazione 145. Il reticolo algebrico, (Dn , ∧, ∨), dove x ∧ y := inf {x, y} = M CD(x, y) e x ∨ y := sup{x, y} = mcm(x, y) è sempre distributivo, ma non sempre è di Boole. Esempio 350. Il reticolo dell’Esempio 347, è un reticolo di Boole. Index ∩ intersezione, 6 ∪ unione, 7 ∃ esiste, 6 ∀ Pper ogni, 6 sommatoria, 35 Identica, 18 Imamgine, 17 Iniettiva, 19 Inversa, 23 Numero funzioni biettive tra insiemi finiti, 41 Numero funzioni iniettive tra insiemi finiti, 41 Numero funzioni tra insiemi finiti, 44 Suriettiva, 20 Algoritmo di Euclide, 57 Anelli, 90 Campo, 92 Commutativo unitario, 90 Divisore dello zero, 90 Invertibile, 91 Unitario, 90 Grafo, 104 Albero, 110 Bipartito, 108 Cammino, 107 Cammino Euleriano, 107 Cammino Hamiltoniano, 108 Circuito, 107 Circuito Euleriano, 108 Completo, 106 Connesso, 107 Digrafo, 105 Grado, 105 Isomorfismo, 104 Loop, 105 Multigrafo, 105 Multirafo Orientato, 105 Orientato, 105 Percorso, 107 Planare, 109 Teorema delle strette di Mano, 106 Valenza, 105 Gruppi, 76 Abeliano, 76 Ciclici, 82 Finito, 79 Gruppo di permutazioni, 84 Gruppo Simmetrico, 84 Infinito, 79 Ordine, 79 Ordine di un elemento, 80 Sottogruppo, 78 Sottogruppo Ciclico, 79 Gruppo di permutazioni, 84 Ciclo, 86 Composizione, 85 Inverso, 85 Ordine di una permutazione, 87 Permutazione pari, 88 Trasposizioni, 86 Campo dei numeri complessi, 93 Coniugato, 94 forma algebrica, 94 Inverso, 95 Modulo, 95 Parte Immaginaria, 94 Parte reale, 94 unità immaginaria, 94 Cardinalità di un Insieme, 25 Principio di Inclusione-Esclusione, 37 Regola del Prodotto, 39 Regola della Somma, 37 Classe di equivalenza, 50 Coefficiente Binomiale, 41 Proprietà, 42 Combinatoria, 40 Combinazioni con ripetizioni, 45 Combinazioni semplici, 41 Disposizioni con ripetizioni, 44 Disposizioni semplici, 40 Congruenze, 65 Classe di congruenza, 65 Classe resto, 65 Congruenza lineare, 68 Esistenza soluzioni congruenza lineare, 68 Proprietà delle congruenze, 66 Sistema di congruenze, 70 Soluzioni congruenza lineare, 68 Teorema Cinese dei Resti, 71 Diagrammi di Hasse, 114 Equazioni Diofantee, 62 Esistenza Soluzione, 62 Soluzioni, 63 Formula di Newton, 42 Funzione di Eulero, 67 Proprietà, 67 Funzioni, 16 Biettiva, 21 Composizione, 21 Controimmagine, 17 Costante, 18 Funzione caratteristica, 44 Grafico, 19 hash, 24 Identità di Bézout, 57 Insieme, 4 Cardinalità insieme della parti, dim.1, 27 Cardinalità insieme della parti, dim.2, 42 Cardinalità insieme della parti, dim.3, 44 Cardinalità, 25 Complementare, 7 Diagrammi di Venn, 5 Differenza, 8 Disgiunti, 7 120 APPUNTI DELLE LEZIONI DI MATEMATICA DISCRETA Equipotenti, 25 Finito, 25 Inclusione, 5 Inclusione propria, 6 Infinito, 26 Insieme delle Parti, 8 Insieme quoziente, 52 Intersezione, 6 Leggi di De Morgan, 8 Numerabile, 26 Partizione di un insieme, 52 Parzialmente ordinato, 49 Potenza del continuo, 26 Prodotto Cartesiano, 9 Totalmente ordinato, 49 Unione, 7 Vuoto, 4 Insieme Parzialmente Ordinato, 49 Diagrammi di Hasse, 114 Estremo Inferiore, 115 Estremo Superiore, 115 Massimo, 114 Minimo, 114 Reticolo Ordinato, 115 Matrici, 97 Complemento Algebrico, 101 Determinante, 101 Diagonale Principale, 97 Identità, 99 Inversa, 102 Invertibile, 100 Moltiplicabili, 99 Prodotto, 99 Quadrate, 97 Somma, 97 Trasposta, 98 Monoide, 74 Numeri di Fibonacci, 33 Numeri interi, 54 Algoritmo di Euclide, 57 combinazione lineare, 55 Crivello di Eratostene, 61 divisione con resto, 55 divisore, 54 divisori di 1, 54 Fattorizzazione di Eratostene, 61 Identità di Bézout, 57 massimo comun divisore, 56 minimo comune multiplo, 56 multiplo, 54 numeri associati, 54 numeri coprimi, 56 numero dei divisori, 60 numero primo, 59 Numero primo, 59 Partizione di un insieme, 52 Permutazione, 41 Principio di Induzione, 27 Generalizzato, 29 Proposizioni, 10 Congiunzione, 11 Connettivi logici, 10 Disgiunzione, 11 Doppia Implicazione, 13 Equivalenza, 13 Implicazione, 12 negazione, 10 Relazioni su un insieme, 46 Classe di equivalenza, 50 Elementi confrontabili, 49 Elementi equivalenti, 49 Insieme quoziente, 52 Proprietà antisimmetrica, 47 Proprietà riflessiva, 47 Proprietà simmetrica, 49 Proprietà transitiva, 47 Relazione associata ad una funzione, 47 Relazione d’equivalenza, 49 Relazione d’ordine, 47 Relazione identica, 46 Relazione totale, 46 Relazione vuota, 46 Reticoli, 112 Reticolo Algebrico, 112 Reticolo Ordinato, 115 Reticolo Algebrico, 112 Complemento, 113 Distributivo, 112 Elemento Neutro, 113 Reticolo di Boole, 113 Simbolo di Sommatoria, 35 Strutture Algebriche, 73 Anelli, 90 Associativa, 73 Campo, 92 Commutativa, 75 Elemento Neutro, 74 Gruppo, 76 Gruppo Abeliano, 76 Invertibili, 75 Monoide, 74 Monoide commutativo, 75 Monoide delle Parole, 74 Operazione, 73 Sottogruppo, 78 Successione, 31 definita per ricorrenza, 32 formula chiusa, 32 Numeri di Fibonacci, 33 Torre di Hanoi, 34 Teorema Piccolo Teorema di Fermat, 66 Teorema Cinese dei Resti, 71 Teorema dei numeri primi, 60 Teorema di Eulero Fermat, 67 Teorema di Fermat, 66 Teorema di Lagrange, 79 Teorema fondamentale dell’aritmetica, 59 Torre di Hanoi, 34 Triangolo di Tartaglia, 43 121