Trapianti dentali pratica ancora attuale

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FOCUS ON
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Trapianti dentali
pratica ancora attuale
Autotrapianto invece dell'impianto: una tecnica poco utilizzata
anche a causa dello scetticismo di molti. Ma in realtà le evidenze
in letteratura non mancano e nemmeno le esperienze personali
Affrontiamo con il dottor Luca Boschini, libero
professionista di Rimini, un argomento di cui
si parla pochissimo: i trapianti dentali, ossia
lo spostamento di un dente al posto di uno ormai irreversibilmente compromesso o già
mancante. Si tratta di una tecnica chirurgica
proposta già negli anni Cinquanta, ma con
l'avvento dell'implantologia non è più stata
coltivata se non da una manciata di clinici e
qualche centro di cura universitario.
Come ci spiega il dentista riminese, i trapianti dentali vengono suddivisi in autologhi
o autotrapianti, isologhi o isotrapianti, allogenici o omotrapianti, eterologhi o xenotrapianti.
In questi giorni il dottor Boschini ha pubblicato un caso clinico sul portale DentalAcademy
(www.dentaljournal.it) dal titolo "Duplice autotrapianto dentale di 3.8 in 4.6 e 4.8 in 4.7 in
paziente adulto".
Dottor Boschini, possiamo
entrare più nel dettaglio?
Gli autotrapianti sono realizzati nello stesso individuo,
ossia donatore e ricevente sono la stessa persona.
Gli isotrapianti sono realizzati tra individui con lo stesso
corredo genetico, ossia gemelli omozigoti.
Gli allotrapianti vengono realizzati tra individui della stessa specie ma con corredo cromosomico differente, mentre
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gli xenotrapianti sono tra
specie differenti.
Gli isotrapianti e gli xenotrapianti hanno senso più che
altro a livello sperimentale,
ma gli autotrapianti trovano
applicazione nella clinica
quotidiana. Gli isotrapianti,
per quanto teoricamente applicabili, sono difficilmente
proponibili.
Quali sono gli obiettivi di
questi trattamenti?
L'obiettivo è di sostituire un
dente funzionalmente superfluo con uno perso strategicamente più utile. I denti che
meglio si prestano a questo
scopo sono gli ottavi.
Nella mia pratica clinica l'intervento di autotrapianto più
comune è quello di un ottavo
inferiore al posto di un primo
o secondo molare.
Un altro caso di autotrapianto, frequentemente rappresentato anche da altri colleghi
che si occupano di questa tecnica, è quello del secondo
premolare al posto di un incisivo centrale. Questa è una
delle soluzioni cliniche che
ritengo migliori nel caso di
perdita di un incisivo permanente in soggetto che debba
estrarre i premolari per finalità ortodontiche.
Con questa tecnica chirurgica
si può dunque riabilitare una
edentulia con un proprio
dente anziché con un impianto o altro dispositivo
protesico.
Quali sono le indicazioni
principali?
L'indicazione massima è la
sostituzione di un dente
compromesso in un paziente
che necessita anche dell'estrazione di un altro dente per
motivi strategici o prognostici. In tal caso, anche se l’autotrapianto dovesse fallire, non
si è avuto nessun costo biologico significativo.
Le percentuali di successo
presenti in letteratura sono
variabili da circa l’80% fino
al 100%, perciò si tratta comunque di una tecnica chirurgica affidabile. L'ampia
variabilità nelle percentuali
è sicuramente legata anche
alle molteplici situazioni cliniche. Infatti gli interventi
possono essere più o meno
complessi a seconda delle
varie condizioni cliniche e
Luca Boschini
anatomiche, sia del dente
estratto che del trapiantando. Inoltre il sito ricevente
può essere un alveolo naturale post-estrattivo o un
neo-alveolo creato chirurgicamente. Infatti anche gli
autotrapianti, come gli impianti, possono essere immediati (contestuali all'estrazione del dente compromesso), ritardati (a 15/30
giorni dall'estrazione del
dente compromesso) o posticipati (a guarigione ossea
avvenuta). Ovviamente la
variabilità non aiuta nelle
valutazioni statistiche.
Morrees ha già proposto una
classificazione basata sugli
stadi di sviluppo dei denti. A
mio avviso questa classificazione risulta poco immediata
e clinicamente poco rilevante. Personalmente ho creato
una classificazione che è sì
basata sugli stadi di eruzione
dei denti, ma tiene conto anche dell'operatività clinica.
Per ogni classe è consigliabile
un protocollo operativo differente.
Seguendo una classificazione
è più semplice codificare e fare analisi statistiche. La classificazione che propongo ha
quattro stadi (è riassunta nel
caso clinico pubblicato su
DentalAcademy, ndr).
Per quanto riguarda le mie
percentuali di successo personali nei casi di classe IV, che
sono quelli che ho maggiormente trattato (dente completamente formato con apice chiuso, quindi in pazienti
adulti) ho il 100% a un massimo di sette anni, ossia da
quando ho effettuato il primo autotrapianto.
Quali sono le controindicazioni assolute?
Non ci sono controindicazioni assolute che non siano
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4.8 estratto
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quelle legate a un intervento
di estrazione.
Personalmente sconsiglierei
di utilizzare come dente trapiantando un elemento che
abbia un qualche ruolo nell'equilibrio dell'apparato stomatognatico.
Quali sono vantaggi e svantaggi rispetto a tecniche alternative?
Il vantaggio più evidente è
quello di avere un proprio
dente al posto di una protesi.
Anche per quanto concerne
l'aspetto economico, il paziente ha un onere minore,
poiché non si ricorre a materiali o dispositivi specifici per
lo svolgimento di questo tipo
di intervento.
Lo svantaggio maggiore è di
poter essere effettuato solo in
casi selezionati. Infatti bisogna fare una valutazione
preoperatoria della congruità
del dente trapiantando con il
sito ricevente. In casi complessi è anche possibile che
non si riesca a estrarre l'elemento trapiantando integro.
Esistono in letteratura dati di
follow-up?
Al di là del follow up che indicavo per i miei casi personali, in letteratura esistono
molti studi che attestano l'efficacia di questo tipo di riabilitazione. Tra gli operatori del
settore c'è scetticismo in merito agli autotrapianti per le
analogie che riportano con i
reimpianti post-traumatici.
Molti dentisti sono portati,
per traslazione, a imputare le
probabili complicanze dei
reimpianti post-traumatici
agli autotrapianti. È inequivocabile che ci siano alcune
analogie, ma l'autotrapianto
è eseguito in ambiente controllato, dall’estrazione dell’elemento trapiantando all'innesto nel sito ricevente,
passando per la sua conservazione durante il corso dell'intervento chirurgico. Nel caso
del reimpianto post-traumatico, invece, l’elemento viene
gestito direttamente dal soggetto traumatizzato o da soccorritori che non possono
avere né le conoscenze né i
mezzi più idonei.
Il padre degli studi sulla traumatologia dentale, il danese
Andreasen, grande conoscitore della materia in generale
e dei reimpianti in particolare, ha consigliato gli autotrapianti degli ottavi in molteplici condizioni cliniche, a dimostrazione del fatto che
molte credenze in merito alle
potenziali complicanze degli
autotrapianti sono notevolmente da ridimensionare.
Come si può favorire la buona guarigione?
Ho stilato un protocollo con
il quale non ho mai avuto
problemi. Ho codificato tutti
i passaggi chirurgici delle
quarte classi.
Essenzialmente si tratta di
evitare di ledere in alcuna
maniera la superficie del legamento parodontale, poiché
è dalle cellule del legamento
che parte il processo di rigenerazione dell'attacco. Il resto
lo fa la biologia. Già a partire
dal settimo-decimo giorno
dall'intervento, è possibile
constatare la presenza di attacco connettivale e dopo due
settimane la scomparsa del
sondaggio parodontale lungo
tutta la circonferenza del
dente.
Che problemi può comportare il prolungamento del periodo trascorso dall'estrazione del dente compromesso
all'intervento di trapianto
dentale?
Come accennavo prima, esiste la possibilità di realizzare
un neo-alveolo chirurgico
(un po' come avviene per gli
impianti). L'unico problema,
in quest'ultimo caso, è che la
cresta alveolare si atrofizza
tanto più tempo trascorre dal
momento dell'estrazione, per
cui è possibile che il dente
trapiantando non possa più
essere adeguatamente sostenuto.
Oltre ai trapianti convenzionali esistono trapianti intraalveolari, quando il dente
viene spostato all’interno del
proprio alveolo. Ce ne può
parlare?
Tsukiboshi annovera tra gli
autotrapianti anche i trapianti intra-alveolari e i reimpianti intenzionali. I primi consistono nell'estrazione e nel riposizionamento dei denti per
finalità ortodontiche, ad
esempio per estrusioni, intrusioni o rotazioni severe. I
secondi consistono nell'estrazione dei denti allo scopo di
effettuare una apicectomia
per poi reimpiantare il dente,
evitando l'intervento di chirurgia endodontica tradizionale.
Per precisione, il termine trapianto indica uno spostamento di sede anatomica,
quindi credo sia più opportuno parlare di reimpianti intenzionali identificandoli, in
base alla finalità, in reimpianto ortodontico e reimpianto
endodontico.
Ci può parlare delle problematiche connesse ai reimpianti intenzionali, effettuati
per risolvere problemi endodontici?
I reimpianti intenzionali, secondo alcuni autori, hanno
percentuali di successo ancora superiori a quelle degli autotrapianti, perché c'è anche
FOCUS ON
la componente cellulare parodontale del versante osseo
ad aiutare nel processo di
guarigione. L'unico rischio
reale, a mio avviso, nel reimpianto intenzionale endodontico è la frattura della radice durante l'estrazione.
Come appare evidente è
molto più facilmente realizzabile nei denti monoradicolari, anche se in queste zone è
particolarmente agevole anche la chirurgia endodontica
tradizionale. È molto più
complesso negli elementi dei
settori posteriori, pluriradicolati e con radici curve o divergenti.
Il reimpianto intenzionale
ortodontico, se realizzato in
denti vitali, ne compromette
la vitalità, a meno che non si
tratti di elementi con apice
immaturo. Ma credo sia comunque rischioso.
Renato Torlaschi
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Alloggiamento dell'elemento 3.8 all'interno del sito 4.6 e del 4.8 all'interno del sito 4.7
Da DentalAcademy (www.dentaljournal.it), caso clinico documentato dal dottor Luca Boschini dal titolo "Duplice autotrapianto dentale di 3.8 in 4.6 e 4.8 in 4.7 in paziente adulto".