Lezione 28 Settembre 2000 – Cosmologia 1. Moti delle galassie ed espansione dell’universo In questo ultimo capitolo vengono affrontate le tematiche più salienti dello studio fisico del nostro universo, dal punto di vista della sua possibile nascita, evoluzione e destino finale. Questo tipo di studio è detto cosmologia: da tempi lunghissimi essa è una scienza centrale in molte culture. Il fatto forse più saliente è comunque che la cosmologia, nell’arco di relativamente pochi anni (qualche secolo) ha condotto l’uomo da una visione antropocentrica assoluta dell’universo ad un punto di vista nel quale la terra è un grano di residuo roccioso prossima ad una fra centinaia di miliardi di stelle collocata perifericamente in una fra centinaia di miliardi di galassie, tutte contenenti centinaia di miliardi di stelle. Nessun punto di vista nell’universo è privilegiato: da qualunque parte si osservi ed in qualunque direzione il panorama cosmico è immutato. Si tratta del cosiddetto principio cosmico, che si riferisce a proprietà di omogeneità ed isotropia su scala globale. Vi sono tre scoperte sperimentali fondamentali che permettono di trarre conclusioni di una certa validità generale sulla natura e la dinamica del cosmo. Anzitutto, il nostro universo non è statico ma in espansione. L’universo è poi completamente “riempito” o permeato di radiazione elettromagnetica di caratteristiche note con elevata precisione. Infine, la maggior parte della massa di cui il nostro universo è costituito è invisibile ai nostri sensi, per cui non se ne conosce con certezza né l’ammontare né la natura. Per quanto riguarda l’espansione dell’universo, si tratta di utilizzare la legge fisica a supporto del fenomeno di spostamento Doppler nel caso di corpi celesti osservabili dalla terra. La radiazione (visibile o comunque elettromagnetica) emessa dalle galassie ovvero dalle stelle, inizialmente caratterizzata da spettro continuo, contiene delle righe oscurate dovute dai fenomeni di assorbimento operati dai gas dei quali la stella è costituita. Conoscendo la lunghezza d’onda o frequenza di queste righe di assorbimento (che sono eguali a quelle osservate sulla terra per gli stessi elementi atomici) è possibile calcolare la velocità relativa delle stelle in base allo spostamento delle righe spettrali. Il risultato di queste misure (condotte su un numero elevatissimo di corpi celesti) è molto chiaro e semplice: anche se le galassie o le stelle a noi prossime manifestano moti relativi indifferentemente di allontanamento o di avvicinamento (con velocità dell’ordine di 10 km/sec), le galassie a distanze medie o elevate, con sistematicità totale evidenziano moti di allontanamento con velocità crescenti con la loro distanza. E’ possibile rilevare una soddisfacente legge di proporzionalità diretta fra queste due grandezze, secondo l’espressione dovuta a E. Hubble, v=Hd, nella quale la velocità di allontanamento relativo v (spostamento Doppler verso il rosso) e la distanza d dell’oggetto dalla terra sono collegate dalla costante di Hubble H67 (km/s)/Mpc. L’unità di misura cosmologica della distanza è il (mega)parsec, (M)pc. Un parsec indica un “parallasse secondo”, ossia la distanza che sottende un arco di un secondo a partire dalla terra, ed è dunque dato da 2R/(2), R=raggio orbitale terrestre attorno al sole, =1”, per cui si ottiene che 1 pc=3.26 anni luce=3.081016m. Come vedremo più avanti, la costante di Hubble è collegabile alla vita dell’universo. E’ ora possibile collegare il fenomeno di allontanamento delle galassie con l’idea che l’universo si espanda. A tale scopo, supponiamo che l’universo sia in espansione secondo un modello “a reticolo di coordinate spaziali” in distorsione lineare semplicemente data da xi’=kxi, nella quale si introduce il parametro di distorsione k: nel tempo t tutte le coordinate xi aumentano del fattore k. Dunque la galassia che ad un dato istante dista dalla terra d, all’istante dato più t secondi disterà dalla terra d’=kd. Questo implica che la sua velocità di recessione è data dal suo allontanamento d’d riferito al tempo t, v=(d’d)/t=d(k1)/t. Confrontando le velocità di recessione di due galassie si ha subito che v1/v2=d1/d2, che è esattamente la legge di Hubble, ossia che la velocità di recessione è proporzionale alla distanza dell’oggetto cosmico. E’ anche consuetudine rappresentare il nostro universo in espansione come un panettone (lo spazio) nel quale le uvette (le galassie) si allontanano reciprocamente mentre il panettone lievita o si espande. Cosmologia - 1 Se è vero che l’universo si espande, vi sono comunque due possibili interpretazione della sua evoluzione. Secondo la prima, la densità del cosmo è in continua diminuzione perché esso si espande da un evento iniziale a densità infinita (teoria del big bang, “scuola” di G.Gamow). Nella seconda ipotesi, la densità è costante perché l’universo viene continuamente, anche se tenuemente, alimentato di materia creata ovunque. In questo caso l’universo è stazionario, come la sua densità, e non c’è bisogno di chiamare in causa eventi di creazione iniziale (“scuola” di F.Hoyle). Nel paragrafo seguente si presenta il fatto sperimentale che depone a favore della teoria “esplosiva” nella genesi cosmica. 2. Radiazione di fondo, l’eco del big bang Nel 1965, i ricercatori Penzias e Wilson scoprono che da ogni parte si “ascolti” il nostro cielo è percepibile un rumore (un “soffio”) di fondo nell’intervallo delle microonde elettromagnetiche (lunghezze d’onda da qualche decimo di mm a qualche decina di cm). La distribuzione della densità di energia elettromagnetica di questo “rumore”, ottenuta con elevatissima precisione negli ultimi anni con sonde collocate in orbita (COBE, Cosmic Background Explorer), segue rigorosamente la legge di corpo nero di Planck già descritta e discussa all’inizio di questo corso. La spiegazione di questo fenomeno è, di fatto, piuttosto clamorosa: si tratta del “residuo”, del “fossile elettromagnetico” dell’esplosione iniziale dalla quale è nato il cosmo, l’evento di big bang. Questa affermazione è facilmente sostenibile ammettendo una dinamica di raffreddamento (adiabatico) dell’universo dopo la sua nascita: da densità di radiazione/energia illimitata all’inizio si deve avere, per espansione, un raffreddamento della mistura di particelle di materia e di fotoni. Le particelle possono essere decadute se instabili, oppure accoppiate ad altre per formare stati differenti di materia stabile. I fotoni sono rimasti, ma le loro lunghezze d’onda sono via via aumentate (le energie diminuite) a causa della continua espansione. Ora questi fotoni, che ancora riempiono l’universo, sono stati rivelati nell’esperimento di cui si parla e sono dunque evidenza chiara di questo evento iniziale. Modelli statistici a vari livelli di sofisticazione permettono di stimare che i fotoni del big bang debbano possedere una temperatura dell’ordine di qualche grado kelvin (energia dell’ordine dei meV, lunghezza d’onda millimetrica). La legge di corpo nero di Planck può essere facilmente elaborata per fornire, fra l’altro, le R() seguenti grandezze o proprietà: si ottiene la legge dello spostamento di Wien (collocazione del picco di massima densità di energia in T3 lunghezza d’onda, maxT=2.9103 mK; la legge di Stefan per la densità d’energia elettromagnetica radiante totale, U=4(/c)T4, T2 dove =5.67108 W/(m2K4). Se in seguito al big bang la lunghezza d’onda della radiazione aumenta, si deduce che la densità d’energia T1 diminuisce come la quarta potenza del rapporto di aumento di lunghezza d’onda, la temperatura cala dello stesso rapporto, la distribuzione resta con la stessa forma di legge di corpo nero. Dei rapidi calcoli conducono infine al valore del numero totale di fotoni per unità di volume in funzione della temperatura, N(2107fotoni/m3K3)T3, per cui la densità di energia radiante si scrive (nella legge di Stefan) come U=(4.73107eV/m3K4)T4, e l’energia media per fotone, sempre in funzione della temperatura, è data da Em=U/N(2.33104eV/K)T. L’adattamento di queste formule ai dati di misurazione di radiazione micrometrica di fondo conduce all’identificazione di fotoni alla temperatura di 2.735 K, per la quale si hanno circa 4108 fotoni per metro cubo, ciascuno con energia media di circa 0.6 meV, per un totale di densità di energia di circa 250 keV/m3. Cosmologia - 2 3. La materia mancante Un terzo elemento sperimentale a supporto di una peculiare caratteristica del cosmo è collegato alle velocità di rotazione delle stelle in una galassia. Le osservazioni nel visibile ci presentano le galassie come aggregati di materia stellare con una presumibile distribuzione di materia con densità decrescente dal centro verso il bordo galattico. Si può applicare la legge di Keplero sul rapporto fra periodo di rotazione orbitale e raggio orbitale, T2=(42/GM)r3, nell’intento di descrivere i parametri cinetici del sole o di una qualunque altra stella nel suo moto attorno al centro galattico, nell’ipotesi dunque che in esso sia concentrata una massa M di materia (la parte più luminosa della galassia, di fatto). La velocità periferica orbitale è data ovviamente da v=2R/T, per cui si ricava che v=(GM/R)1/2. In parole, se vale l’ipotesi in oggetto, allontanandosi dalla massa centrale M le stelle devono avere velocità periferica decrescente lentamente, come R1/2. Ad esempio, nel caso del sole, la velocità misurata (le velocità si misurano, come già specificato, con tecniche di analisi Doppler velocità periferica spettrometriche) assegna una massa galattica centrale di circa 100 miliardi di masse solari. Un’analisi sistematica delle velocità orbitali stellari però conduce ad una situazione che non è in accordo con vr1/2 l’ipotesi di massa concentrata: le velocità sono essenzialmente costanti o addirittura aumentano leggermente al crescere della distanza dal centro galattico. Questo si potrebbe ottenere solamente se la distanza dal centro massa galattica responsabile del moto orbitale delle stelle aumentasse linearmente con R. La spiegazione più largamente accettata è che la maggior parte della massa cosmica sia invisibile, detta infatti materia oscura, e più precisamente oggetti di due categorie ipotetiche: MACHO (“Massive compact halo objects”, oggetti compatti, pesanti ed opachi, come buchi neri, stelle di neutroni, stelle nane bianche esaurite), WIMP (“weakly interacting massive particle”, particelle pesanti debolmente interagenti, come neutrini – se hanno massa - o monopoli magnetici – se esistono). Le uniche evidenze sperimentali di oggetti MACHO sono da collegarsi ad osservazioni di fenomeni nei quali oggetti appunto massivi ed invisibili si manifestano come lenti gravitazionali. E’ da sottolineare anche il fatto che la materia scura sembra avere un ruolo determinante anche su scale cosmiche ben più vaste di quelle galattiche, nel senso che anche ammassi e superammassi di galassie seguono moti in accordo con l’esistenza di materia invisibile e sconosciuta che deve costituire il 90% dell’intero universo! . . . . .. .. . . . .. .. .. .. .................... .... . . 4. Parametri cosmologici La relatività generale è una teoria che bene si adatta al problema di descrivere l’universo come sistema fisico a densità variabile nel tempo, fornendo una soluzione per la dimensione in funzione del tempo a partire dal big bang. Ci si interessa ad una scala spaziale per la quale le distanze tipiche fra galassie sono relativamente piccole: si ottiene dunque una descrizione di un “universo medio”, nel quale le concentrazioni locali di massa sono mediate nello spazio. L’equazione relativistica di curvatura in funzione della densità di massa o energia conduce alla cosiddetta equazione di Friedmann per la dipendenza temporale della dimensione dell’universo, R(t): 8 dR GR 2 kc 2 , 3 dt 2 Cosmologia - 3 nella quale compare la costante k che determina il modello geometrico di universo prescelto: per k=0 l’universo è piatto, per k=+1 è curvo e chiuso, per k=1 è curvo ed aperto. Notiamo che solo per k=1 (universo chiuso) la grandezza R dà direttamente il raggio del cosmo, mentre negli altri casi, essendo l’universo infinitamente esteso, l’interpretazione di R non è più intuitiva: si può dire che R assegna la scala dimensionale del problema, e solamente le sue variazioni nel tempo sono interessanti. E’ conveniente (per semplicità) prendere k=0 per risolvere l’equazione di Friedmann; i casi restanti (k=1) si possono poi aggiungere. La densità include sia il contributo di materia che quello di radiazione, ma nell’universo attuale (come verrà richiamato più avanti) predomina la parte di materia, la cui densità decresce con il volume ossia matR3. L’equazione di Friedmann conduce subito alla R(t)t2/3, per cui, sostituendo, t=(6Gmat)1/2. Nell’universo molto giovane, invece, predomina la radiazione, la cui densità (come si calcola a partire dall’espressione ottenuta per il gas di fotoni) varia con la dimensione R secondo la radR4. Inserendo questo risultato nell’equazione di Friedmann si ottiene che R(t)t1/2, per cui, sostituendo, t=(32Grad/3)1/2. Il parametro di Hubble H viene definito in base alla relazione H=(dR/dt)/R. Supponendo che l’universo si sia espanso a ritmo costante (R=at) si ottiene che H=1/t, ossia il parametro di Hubble è l’inverso dell’età del cosmo. Per un universo dominato da materia si ha che la vita dell’universo è pari a 2/(3H), mentre per la densità dominata da radiazione la vita è 1/(2H). In ogni caso 1/H è grossolanamente legato alla vita dell’universo. Un altro parametro di interesse rilevante per gli astrofisici e cosmologi è detto parametro di decelerazione, definito in base alla relazione q=R(d2R/dt2)/(dR/dt)2. Si vede che un universo ad espansione lineare nel tempo risulta q=0, nel caso di densità di materia predominante q=1/2, nel caso di densità di radiazione predominante q=1. Si ricava poi, nel caso di universo dominato da materia, che q=4Gmat/(3H2). L’insieme di queste grandezze (parametro geometrico k, parametro di scala R, densità di energiamateria, parametro di Hubble H e di decelerazione q) permettono una definizione abbastanza precisa delle dinamiche nell’evoluzione dell’universo. La sfida per i cosmologi, astronomi ed astrofisici è quella di porre in appropriato rilievo le misure ed i dati sperimentali (spesso di difficile ottenimento) e da essi ottenere stime attendibili di questi parametri. 5. Evoluzione dell’universo Se si accetta l’ipotesi di universo in espansione, è conseguenza inevitabile accettare che risalendo indietro nel tempo si debba trovare un universo sempre più caldo e denso. A temperature più elevate certe forme di materia che oggi sono dominanti (atomi e molecole) non potevano esistere, per cui ci si aspetta di poter definire una sequenza di “ere cosmiche” caratterizzate da stati della materia tanto più dissociati e non strutturati quanto maggiore è la temperatura. A temperature crescenti non possono esistere prima atomi stabili, poi nuclei stabili, e così via, fino a giungere ad un istante nel quale solo quark e leptoni popolano un universo piccolo e caldissimo. Prima di questo istante non possiamo dire nulla: c’è mescolanza irrisolta di fenomeni quantistici, relativistici, gravitazionali alla quale le nostre teorie più avanzate non hanno ancora accesso. L’istante “critico”, a circa 1043 secondi dal big bang, è detto tempo di Planck. Dall’istante di Planck in poi, invece, le nostre teorie sono capaci di fornire una descrizione consistente con molte osservazioni sperimentali sulla sequenza di eventi che caratterizza l’evoluzione dell’universo. Nei primi istanti di vita, siamo in presenza di una mescolanza calda di particelle, antiparticelle e fotoni: la radiazione è il termine predominante nel bilancio di densità di Cosmologia - 4 energia. Possiamo stimare la relazione fra tempo intercorso e temperatura dell’universo unendo le relazioni già introdotte per la densità di energia dei fotoni, U=(4.73107eV/m3K4)T4=radc2 e la soluzione dell’equazione di Friedmann, t=(32Grad/3)1/2 ed ottenere che T=(1.51010 sec1/2 K)/t1/2. La situazione è tale che i fotoni creano coppie particella/antiparticella oppure le coppie materia/antimateria annichilano per fornire fotoni. Ad esempio, la creazione di coppie protone/antiprotone oppure neutrone/antineutrone può avvenire con fotoni di energia almeno pari all’energia a riposo del nucleone, 940 MeV. La temperatura del fotone è data da T=E/kB=1.11013K e l’età corrispondente dell’universo, per la relazione sopra scritta, è data da t=2106 sec. Ciò significa che nei primi due microsecondi di vita la temperatura dell’universo cala fino a rendere poco probabile, poi impossibile, la creazione di coppie di nucleoni ad opera dei fotoni. E’ anche possibile utilizzare l’espressione sopra al contrario, ossia ottenere le temperature al variare del tempo di vita dell’universo. Nel primo microsecondo la temperatura è di 1.51013K e l’energia termica equivalente (kT) è di 1300 MeV. Questa temperatura, confrontata con quella attuale di spostamento verso il rosso (2.7 K), ci spiega che le dimensioni (il fattore di scala) dell’universo erano 1013 volte di quelle attuali (1026 m), in pratica (se l’universo è chiuso), circa 1013 m, ovvero un sistema solare attuale. La composizione del cosmo è data da protoni, neutroni, elettroni, muoni, pioni con le rispettive antiparticelle (notare che i quark si sono già tutti fusi per formare i vari barioni e mesoni), nonché fotoni e neutrini. Questo è ancora il regno della forza forte, che domina nel definire (assieme a quella elettromagnetica e debole) gli schemi di interazione tipici. La popolazione di neutroni, protoni, fotoni ed elettroni è essenzialmente la stessa in numero. Che vi siano tanti protoni quanti neutroni è stabilito in base a tre fatti: c’è il fattore statistico di Boltzmann, che assegna popolazioni relative fra protoni e neutroni pari a eE/kT=e1.3MeV/kT. Per T1013 K il fattore è circa pari ad 1. Vi sono inoltre reazioni nucleari che favoriscono il bilancio pari fra i due nucleoni (n+ep+e, ad esempio). Infine, il neutrone decade con una emivita di circa 11 minuti. E’ chiaro che nel primo microsecondo il decadimento del neutrone non può avere dato contributi rilevanti al depopolamento. Fra 106 sec e 102 sec la temperatura scende di un fattore 100, l’energia media va a 13 MeV ed anche il parametro di dimensione aumenta di un fattore 100. Con questa energia pioni e muoni non possono più essere creati dai fotoni. Queste particelle, con vite medie molto minori di 102 sec, sono tutte decadute in elettroni e neutrini. Le reazioni che restano importanti sono le annichilazioni fra nucleoni ed antinucleoni, che conducono alla scomparsa quasi totale della materia: una piccola frazione rimane a causa di una differenza di proporzione iniziale fra materia ed antimateria. Il rapporto fra neutroni e protoni rimane ancora prossimo ad 1. Fra 102 sec ed il primo secondo di vita dell’universo, la temperatura cade ulteriormente a 1.51010K (energia media dei fotoni pari a 1.3 MeV). Il rapporto fra neutroni e protoni, a causa del fattore di Boltzmann, comincia ad essere sensibilmente differente da 1 (in effetti, ci si aspetta il 73% di protoni sulla totalità dei nucleoni). Anche i neutrini, raffreddati a questa temperatura, non sono più capaci di attivare la cattura del protone per la trasformazione in neutrone ( e p n e ), per cui si parla di disaccoppiamento dei neutrini da questo istante in poi. Tra 1 sec e 6 sec di vita (quando la temperatura scende a 6109 K, energia termica di 0.5 MeV), anche la creazione di coppie elettrone/positrone si interrompe (la soglia è a 1 MeV circa). Le annichilazioni invece continuano, sempre con la piccolissima differenza in popolazione fra materia ed antimateria (fra elettroni e positroni). A questo punto fra i nucleoni la frazione dell’84% è di protoni. In pratica, si rimane con un numero di protoni pari a quello degli elettroni, molto meno neutroni e nessun positrone o antinucleone. I fotoni invece sono in numero molto maggiore (circa un miliardo per ogni protone). Cosmologia - 5 Il passo successivo nella genesi cosmica è quello della formazione di elementi (nuclei) pesanti. Una possibile reazione è la formazione del deutone (nucleo di deuterio) dato dall’unione di un protone ed un neutrone. Il fatto è però che l’alta densità di fotoni permette la reazione di fissione data da d+p+n, per cui i deutoni si scindono a ritmi molto elevati. L’energia di legame del nucleo d è di 2.22 MeV. Per inibire i processi di scissione si devono avere fotoni meno energetici di questa soglia, tenendo ovviamente presente il fatto che nessun fotone deve superare il valore di 2.22 MeV. In altre parole, solamente avendo una frazione di fotoni (con energia maggiore di 2.22 MeV) minore di circa 109 /6 (c’è una frazione di 1/6 di neutroni per nucleone), si può essere sicuri di non attivare reazioni di fissione del deutone. Utilizzando la statistica appropriata, si ottiene che questa condizione è realizzata a partire dalla temperatura di 9108 K, ossia da circa 250 sec. Da questo istante in poi, la situazione evolve in modo piuttosto drammatico, in quanto la temperatura è sufficientemente bassa da permettere altre reazioni di fusione, come le 2H+p3He+ e 2 H+n3H+, nonché le 3He+n4He+ e 3H+p4He+. E’ possibile verificare che altre specie nucleari non possono venire formate (essenzialmente perché si ottengono nuclidi altamente instabili) in questa fase. Dunque questo universo si popola di nuclei di idrogeno e di elio. Le popolazioni di protoni e di neutroni, calcolabili in base alle considerazioni già illustrate poco sopra, conducono ad una stima diretta della proporzione fra nuclei di idrogeno e di elio, che si assestano attorno al 76% e 24% (percentuali di massa). La storia dell’interazione forte nell’universo (nel senso di un suo ruolo diretto nella genesi cosmica) ha termine dopo questa manciata di 250 secondi: per qualche centinaia di migliaia di anni (comunque non meno di 200000 anni: si tratterebbe di modificare le equazioni tempo-temperatura perché da un certo punto in poi e sempre di più la densità predominante è quella di materia, non più di radiazione come fatto fino a questo istante) l’unica cosa che accade (essenzialmente) è il raffreddamento per espansione. Dopo questo periodo, si giunge alla temperatura di 6000K, energia media per fotone di 13.6eV. Tali fotoni iniziano a non essere più attivi nei processi di ionizzazione del sistema legato p+e, l’atomo di idrogeno neutro. Inizia dunque la formazione della massa di idrogeno la cui evoluzione in stella e la successiva sintesi di elementi pesanti è stata illustrata nel precedente capitolo. Nel frattempo il campo di radiazione (i fotoni raffreddati) sono oramai completamente disaccoppiati dalla materia e procedono nel loro viaggio che li condurrà ad essere rilevati come eco fossile del big bang dai rivelatori di microonde sulla terra. Oltre a questa importantissima e spettacolare testimonianza della nascita dell’universo, vi sono altri segni tangibili del fatto che il cosmo si sia evoluto a partire da un singolare evento esplosivo (che ha visto la nascita non solo della materia e della radiazione, ma anche – e forse soprattutto – del tempo e dello spazio stessi). I più importanti sono i seguenti (a) fondo di neutrini: anche se le prove non sono state ancora acquisite con certezza, dovrebbe essere possibile studiare la distribuzione energetiche di queste (elusive) particelle in modo analogo a quanto fatto per i fotoni; (b) abbondanza di elio: in buon accordo con la stima sopra riportata del 24%, si calcola che la massa dell’universo è composta per una percentuale variabile fra il 23% ed il 25% di elio. Questo dato è importante: nonostante molta materia dell’universo sia stata “rimescolata” in vari modi dai tempi immediatamente seguenti il big bang, esistono vari motivi per credere che in certe galassie la composizione di materia (essenzialmente elio/idrogeno) rispecchi quella primordiale. Inoltre, teorie che coinvolgono aspetti sofisticati della teoria delle particelle elementari, depongono a favore di una relazione fra numero di famiglie di leptoni e percentuale di massa dell’elio nell’universo: se quest’ultima è vicina al 24%, ciò escluderebbe che potessero esistere più di tre famiglie di leptoni (elettroni, muoni, tau): (c) antimateria: la scomparsa completa della materia e dell’antimateria nel corso dell’evoluzione primordiale dell’universo è evitata dalla piccolissima antisimmetria fra le due forme. Non sappiamo né il motivo di questa antisimmetria, né se esistano nel cosmo porzioni consistenti formate da antimateria. C’è un primo esperimento (che coinvolge un mesone K) nel quale si osserva la violazione della simmetria materia/antimateria; Cosmologia - 6 (d) irregolarità nel fondo a microonde: le misure fornite dal satellite COBE evidenziano che il fondo di radiazione elettromagnetica residuo del big bang non è perfettamente uniforme in temperatura ma possiede piccole variazioni (dell’ordine di millesimi di kelvin). Queste “ondulazioni”, la cui origine non è chiarita (ma potrebbero essere legate agli effetti collassanti di oggetti WIMP responsabili di parte della materia oscura), riuscirebbero a spiegare parte dei meccanismi che hanno condotto alla formazione delle stelle e delle galassie stesse, che in effetti necessitano di centri di condensazione, o piccole disomogeneità nel gas primordiale. 6. Destino dell’universo Un’altra domanda centrale della cosmologia (oltre alle motivazioni del big bang) riguarda il destino dell’universo, ossia se esso è destinato ad espandersi indefinitamente, ed è di conseguenza destinato ad una morte termica ed entropica, oppure se le forze di gravità saranno in grado di prendere il sopravvento ed iniziare un processo di contrazione cosmica: la temperatura ricomincerà ad aumentare con la densità, e si arriverà ad un’implosione, un big bang alla rovescia, detto anche big crunch. Da quest’ultimo potrebbe cominciare un nuovo ciclo cosmico (pensando dunque ad un modello universale di tipo big bounce, rimbalzare eterno di energie immani). Le differenti modalità evolutive dell’universo possono venire riassunte dall’equazione di Friedmann riscritta in funzione del parametro di decelerazione q, ossia dalla 2 dR 2 (1 2q ) kc , dr nella quale distinguiamo ancora una volta l’universo piatto (k=0, dunque q=1/2, in espansione continua), l’universo curvo aperto (k=1, per cui 0<q<1/2 ancora in espansione continua) e l’universo curvo chiuso (k=1, con q>1/2, destinato a contrarsi fino ad un punto dopo avere raggiunto un’espansione massima). Un modo per tentare di stabilire il tipo del nostro universo è quello di confrontare le velocità di recessione di galassie di differente età: le più lontane sono le più datate e, se l’universo è in espansione frenata, tali galassie devono presentare spostamenti verso il rosso molto più marcati di quelli osservati per galassie vicine (a causa del differente frenamento di galassie vicine e lontane). I risultati sperimentali sono del tutto inconclusivi: l’universo presenta una risposta a questo tipo di misura molto vicina al valore critico, q=1/2. E’ anche possibile studiare il problema dal punto di vista della densità: valori elevati a sufficienza di quest’ultima devono piuttosto ovviamente far pensare ad una tendenza al big crunch. La densità critica corrispondente al valore critico di decelerazione, q=1/2, è di 1026kg/m3. La densità dovuta alle galassie visibili è pari a 1028kg/m3. Aggiungendo la materia oscura si arriva a circa 31027kg/m3. Manca ancora una quantità non indifferente di materia, che potrebbe provenire dalla massa dei neutrini. La cosa comunque che ancora è senza risposta è l’elevatissima precisione con la quale l’universo è “nato” essenzialmente piatto (la sua evoluzione non lo ha allontanato troppo da questa caratteristica). Teorie dette “inflazionistiche” danno spiegazioni ragionevoli su questo comportamento, anche se non sono ancora sufficientemente chiarite nei loro dettagli. 7. Esercizi (a) Usare la legge di Hubble per stimare la lunghezza d’onda del sodio a 590 nm emessa da stelle distanti rispettivamente un milione, 100 milioni e 10 miliardi di anni luce. (b) Calcolare la lunghezza d’onda di picco per il fondo a microonde a 2.7K. (c) Calcolare a quale temperatura e quale età l’universo si è raffreddato in modo da non permettere la creazione di coppie di mesoni/antimesoni. Letture consigliate: J. Boslough, “I signori del tempo”, Garzanti. Molti articoli delle Scienze sono dedicati alla cosmologia. Cosmologia - 7