VARIAZIONI IN CRESCENDO Sonata in 75 figure per

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VARIAZIONI IN CRESCENDO
Sonata in 75 figure per pianoforte
FABRIZIO ROCCHI
La tesi è la proposizione di cui si vuole accertare la verità.
Il ragionamento che bisogna eseguire per arrivare a tale verità
si chiama dimostrazione.
Formulare una tesi per stimolare la sperimentazione
di sempre nuove applicazioni,
ampliare e ‘portare nel quotidiano’ la pratica,
banale in quanto ovvia l’indissolubilità tra ciò che si è e ciò che si fa…
quanto facile dimenticarlo…
una tesi come stimolo per ricordarlo,
dare sostanza a questa ‘ovvietà’…
nel qui ed ora
INDICE
PREMESSA …………………………………………………………………………. 1
INTRODUZIONE …………………………………………………………………….. 2
1. LA CONDIZIONE DEL MUSICISTA/PRATICANTE …………………………………… 5
2. PERCEZIONE CORPOREA ……………………………………………………….… 7
3. IL RESPIRO, SOFFIO VITALE ……………………………………………………… 8
4. CONSAPEVOLEZZA …………………..…………………………………………. 12
4.1. INTERAZIONE …………………………………………………………. 15
4.2. EQUILIBRIO ……………………………………………………………16
5. PRATICA E PERFORMANCE MUSICALE …………………………………………... 18
6. CHIUSURA/APERTURA ………………………………………………………….. 23
BIBLIOGRAFIA ……………………………………………………………………. 25
‘L’acqua, calma e limpida, riesce nella sua quiete a raggiungere i più remoti e bui interstizi. Con
indifferenza sovrumana conquista qualunque spazio, totalmente, senza alcun gesto violento, senza
intenzione, così, semplicemente; … Noi dobbiamo trasformare le nostre mani, avambracci e dita, in
acqua.
Per far ciò , è necessario prima di ogni cosa immedesimarsi nella sua caratteristica peculiare: la
passiva e calma indifferenza… Ogni tensione muscolare, residuo di durezza solida, lascia spazio
alla fluidità liquida, che è essenzialità dei movimenti, lentezza e velocità e, come per incanto le dita
trovano il loro posto tra i tasti, la giusta distanza, il giusto peso, come l’acqua preme allo stesso
modo su un fondale sconnesso… Noi sottovalutiamo la potenza della passività; e ci ostiniamo a
opporre la nostra energia a quella dell’intero universo. Invece, se impariamo a fare silenzio,
saremo in grado di cogliere l’eterna danza che ci circonda’.1
Giovanni Allevi, nel suo libro La musica in testa, descrive il suo approccio alla Musica, che rivela il
suo approccio alla vita, a qualsiasi manifestazione dell’espressività umana. Parla di capacità di
ascoltare con cedevolezza, dello sviluppare una ricettività creativa che permette di liberare
potenzialità ed energie altrimenti bloccate dalle nostre rigidità, che rimarrebbero dentro di noi,
represse ed inespresse.
Nel Tao Te Ching l’acqua è l’elemento che non giudica, che tutto può conquistare ma che a tutti si
concede. L’immagine dell’acqua come espressione perfetta del concetto di passività che è fluidità e
cedevolezza non debolezza e fragilità, una costante in molti testi e diversi contesti culturali.
Leggendo il libro di Allevi avevo la sensazione di leggere un testo di filosofia orientale, e il
soggetto, la Musica, sembrava essere a tratti il Taijiquan a tratti lo shiatsu o un racconto sul Tao. Un
soggetto così fluido e ‘totale’ da poter essere interpretato con infinite chiavi di lettura, una melodia
su cui danzano l’Universo e l’Uomo. Durante la lettura è scaturita in me la forte curiosità di
approfondire il tema del rapporto tra Taijiquan e Musica, i punti di contatto e come lo studio di
questa particolare arte marziale potesse essere praticamente applicato su uno strumento musicale.
L’occasione di iniziare la sperimentazione è arrivata presto, quando Francesco, un amico pianista
professionista, mi ha parlato delle tensioni muscolari che percepiva chiaramente durante e dopo le
esecuzioni e mi ha chiesto se la pratica del Taijiquan avesse potuto essergli di aiuto.
Da questo incontro sono iniziati momenti di scambio molto interessanti; è stato l’ingresso per me in
un mondo, quello della musica classica, di cui avevo conoscenza solo come fruitore, ed una
competenza limitata all’individuare i miei compositori preferiti. Sentir parlare di struttura musicale,
criteri compositivi e di esecuzione, requisiti posturali e di atteggiamento, tecniche psico-corporee
usate per migliorare le percezioni del musicista, patologie legate a quel tipo di professione, mi ha
incuriosito a tal punto da volerne sapere ogni volta di più.
Nei miei incontri con Francesco (il pianista), confrontandoci, spesso parlando lui di Musica ed io di
Taijiquan sembravamo dire la stessa cosa.
1
Giovanni Allevi, La musica in testa
1
INTRODUZIONE
Non posso e non voglio fare un confronto tra Taijiquan e Musica, perché sarebbe un lavoro
onestamente troppo limitato dalla mia limitata conoscenza in ambedue i campi, soprattutto in quello
musicale. Quello che mi preme fare è descrivere un’esperienza, fissare delle impressioni e, perché
no, divertirmi ad osservare se praticare questa antica disciplina cinese può migliorare la
performance e in qualche modo le patologie professionali, in questo caso, di un pianista classico.
Per far questo, oltre ad illustrare i principi fondamentali della tecnica musicale, inevitabilmente
affronterò le similitudini che ho colto e che mi hanno colpito, durante la pratica o le chiacchierate,
per creare un contesto, una comunione di linguaggi e di intenti, una sola direzione, un solo ritmo.
Il molo di partenza per questo viaggio è sicuramente il nostro corpo che ci rappresenta e ci
presenta agli altri ed il modo in cui lo percepiamo. Il nostro modo di stare e di muoverci è il riflesso
di come viviamo ciò con cui entriamo in contatto, determina le nostre relazioni, la nostra visione del
mondo e ne è allo stesso tempo il risultato.
Il corpo può essere tranquillamente visto come uno strumento musicale e come tale
dobbiamo accordarlo, cioè allinearlo a livello strutturale e posturale, centrarlo come condizione
mentale e armonizzarne il ritmo, cioè il respiro.
Una volta accordati, ogni muscolo e articolazione, ogni pensiero ed emozione, possono essere
sincronizzati e il corpo diventa libero di suonare in un movimento armonico, fatto di continue
alternanze tra veloce e lento, duro e morbido, forte e debole, aperto e chiuso e, come in ogni altra
forma espressiva, usato per farci conoscere.
Allo stesso modo il suono puro e semplice diventa musica quando si hanno delle variazioni nelle
sue componenti, ad esempio la frequenza, la durata, il timbro o l’intensità o in una di esse e la sua
espressività ‘dipende dal grado e dalla qualità delle variazioni apportate’. 2
Fondamentale è la centralità del gesto e del risultato che esso produce. Sono i movimenti del
musicista, i gesti che egli usa per variare il suono, a determinare le modalità di tali modificazioni e
di conseguenza il suo trasformarsi in musica e ciò che la musica stessa esprime. In altre parole,
alla base della Musica c’è il movimento e ogni sfumatura del suono prodotto nasce dai gesti che lo
creano. Che cosa, meglio del Taijiquan, l’arte che si manifesta attraverso il movimento, ascoltato,
vissuto e in continuo cambiamento, può aiutare il musicista a comprendere la totalità di ogni gesto?
Una composizione di musica classica è chiamata discorso ed ha un inizio, uno sviluppo di
tale inizio, una ripresa, o finale. E’ composta da suoni e pause in rapporto armonico tra loro che
gravitano intorno ad un centro di riferimento, la chiave musicale, ed a momenti sospesi si alternano
momenti di appoggio.
Per armonia si intende una naturale relazione di assonanza tra note, verticale o orizzontale,
in una sequenza dove ognuna si lega in maniera appunto naturale, armonica, alla precedente ed alla
successiva, come se tutta l’esecuzione diventasse un solo suono, una sola emozione, un solo gesto.
Tutto ciò viene eseguito dal musicista seguendo un determinato tempo, un contenitore dentro il
quale troviamo il ritmo, cioè il modello di organizzazione di suoni e pause in una partitura, il modo
in cui il tempo viene gestito.
Se facciamo una trasposizione da un brano di musica classica ad una sequenza di Taijiquan,
troviamo le stesse caratteristiche. Abbiamo un inizio, una condizione di “vuoto” da cui si generano
lo yin e lo yang che si dispiegano attraverso la forma, alternandosi e generandosi l’un l’altro, in
movimenti in relazione armonica tra loro, dove la fine dell’uno è il naturale inizio dell’altro.
2
Questo scrive Gyorgy Sandor, pianista ungherese allievo di Bela Bartok, nel suo manuale Come si suona il pianoforte,
la cui lettura ha dato notevoli spunti e conferme a questo lavoro.
2
Troviamo pause, tempo e un ritmo scandito dai mutamenti, tanti gesti che diventano un unico gesto,
un unico suono, il nostro.
In tutte e due gli ambiti è necessario un approfondito studio sulla tecnica. In quello musicale,
specificamente pianistico, la si può definire come ‘una capacità operativa: un sistema ben
coordinato di gesti, condizionato dall’anatomia del corpo e dalla natura del pianoforte … cioè dai
movimenti compiuti dalle dita, dalla mano, dal polso, dal braccio, dal corpo; in una parola
dall’intero complesso anatomico umano’.3 Lo studio risulta estremamente minuzioso, con il fine di
metabolizzare la tecnica e andare oltre, rimanendo però dentro i principi che la guidano, arrivando
ad interpretare il brano, o la forma, dove interpretazione è mettere la propria personalità in ciò che
si esegue, pur rispettandone fedelmente la struttura ed i principi.
Dallo stesso brano suonato da due diversi esecutori, anche se rispettano il “tocco” del compositore,
si percepiscono le loro differenti personalità, come guardando due praticanti impegnarsi sulla stessa
forma si può capire chi sono. In entrambi i casi, il grado e l’intensità delle emozioni si traducono nei
gesti compiuti.
Comune è sicuramente anche il metodo di studio: nella Musica come nel Taijiquan esso è continuo,
dopo anni di pratica si continua a lavorare su tecnica, postura, principi fondamentali, sempre per
tendere a migliorarsi. Il musicista lavora sulle impostazioni fondamentali del suono come il
praticante su quelle del movimento in un percorso continuo. In alcuni campi si studia per
aggiornarsi o specializzarsi in modo settoriale, qui si cerca di perfezionare la struttura di base per
migliorare la capacità di esecuzione. Io mi alleno nella stanza dove Francesco suona la mattina
presto, quando io finisco lui comincia, tutti i giorni. La mia pratica deve essere quotidiana, costante,
la sua pratica deve essere quotidiana, costante… affinare la tecnica, studiare nuovi pezzi o ripetere
quelli che già conosce. Un altro concetto, quello di ripetizione, comune alle due discipline,
ripetizione cosciente che permette di controllare e dominare le componenti tecniche e rendere i vari
movimenti parte innata del proprio bagaglio di gesti.
Ripetere e ripetere ancora ciò che hai appena fatto, in maniera minuziosa, esatta, farlo tuo per poter
sentire dove e come migliorarlo. Non si passa oltre, ma piuttosto ad altro, non si da’ per scontato o
completamente acquisito niente, si continua a lavorarci sopra, perché il risultato cambia con il
cambiare della nostra sensibilità. Il Maestro Zen di Shiatsu Carlo Tetsugen Serra dice che uno degli
scopi del kata è allineare l’efficacia alla perfezione tecnica o piuttosto far sentire al praticante che
la prima deriva e fluisce in maniera del tutto naturale dalla seconda Praticando realmente anima e
corpo il praticante sarà condotto dal kata stesso a una presa di coscienza dei meridiani e della
condizione energetica. Il kata è dunque un modello, una forma alla quale bisogna attenersi…
comincerà quindi con essere un esercizio fisico in cui il corpo lavorerà armoniosamente e dove la
tecnica si manifesterà naturalmente. Man mano che le lacune si colmeranno il kata diventerà
sempre più vivo e vero. Così la mente non dovrà più pensare a ciò che deve fare il corpo
liberandosi all’ascolto. Imparare la tecnica per dimenticarsi della tecnica.
Nello studio della musica classica, nello specifico del pianoforte, come nel Tijiquan e in
ogni aspetto della vita, assume un’importanza notevole il respiro, che segue il movimento ed il
suono armonizzandosi con questi.
La postura è inscindibilmente legata al respiro ed ha un rilievo particolare e con essa i concetti di
giusto peso e stabilità, necessari per portare sullo strumento una forza morbida, sensibile alla
resistenza dei tasti, al loro peso che varia da uno all’altro. Un atteggiamento che parte da una
profonda e necessaria consapevolezza corporea, che genera il gesto musicale. Il peso viene portato
dal centro del corpo, stabilmente appoggiato, e la forza impressa ha bisogno di busto, spalle,
braccia, polsi e dita che si facciano attraversare da essa, la riconoscano per poterla poi scaricare sui
tasti. Il momento del contatto del dito su un tasto è come un faijin, l’attimo in cui esso si irrigidisce
3
Sandor
3
per poter imprimere la giusta intensità al contatto e subito torna a rilassarsi pronto alla nota
successiva.
Estremamente importante nello studio del pianoforte è anche la coordinazione, perché le mani
corrono e si rincorrono lungo la tastiera intrecciandosi, alternandosi e sovrapponendosi, in un
rapporto armonico che non conosce intoppi o incertezze: la destra conosce il movimento della
sinistra e viceversa e nessuna delle due, in nessun momento, deve ostacolare l’altra o costringerla a
traiettorie improvvisate. E’ quindi naturale che un pianista dalla tecnica particolarmente brillante ed
espressiva debba avere una coordinazione fisica del massimo livello, di tutto il corpo e di ogni sua
parte, in maniera interdipendente. Oltre a questo, una buona coordinazione, intesa come l’imparare
ad usare i muscoli più forti in aiuto di quelli più deboli, sincronizzandoli nel modo che comporti il
minore sforzo possibile, può prevenire taluni degli inconvenienti, come borsiti, tendiniti, ecc.
derivanti dal continuo abuso dei muscoli, dal forzare e irrigidire le giunture, o dall’eccessiva
pressione sulla tastiera.
Sono necessari postura rilassata, stabilità, morbidezza, energia, percezione e controllo del corpo, di
ogni parte del corpo4: in una sola parola consapevolezza.
‘Tale divina condizione è appesa a un filo di seta sottile, basta la forza del più piccolo dei pensieri
per spezzarlo… ma è in questa direzione che dobbiamo andare’.5
Sgombrare la mente e mantenerla tale, sentire il corpo che entra in contatto con la propria essenza
per poter stabilire una profonda intesa con lo strumento o con il movimento, con se stessi. Anche su
questo aspetto Taijiquan e pianoforte percorrono la stessa strada, hanno la stessa direzione, la stessa
necessaria esigenza: attenzione, presenza, profonda concentrazione da raggiungere e conservare,
una sorta di vigile vuoto, di passiva determinazione da difendere senza irrigidirsi per non interferire
con essa. Ma mentre nella Musica è un mezzo per raggiungere uno scopo, nel Taijiquan è lo scopo
stesso e proprio per questo può rappresentare un valido contributo per un musicista.
In tale “divina condizione” si deve suonare un brano o eseguire una forma, per far si che mente e
corpo corrano su due piani paralleli ma connessi, dove il corpo sa già cosa fare perché il gesto nasce
dall’intenzione della mente, una sorta di anticipo costante, la capacità di sentire il movimento da
fare a livello intenzionale in modo da non arrivare di corsa sul gesto fisico, in maniera affannata o
scoordinata, ma nel rispetto dei principi, perché tutto è stato già intuito un attimo prima.
Solo un movimento chiaro nella sua intenzione, o intuizione, può essere eseguito chiaramente ed il
Taijiquan aiuta a sviluppare questo tipo di abilità, a creare un tempo dell’intenzione ed uno
dell’esecuzione, che si riuniscono nel movimento stesso.
Nessuna azione potrà mai essere rapida come il pensiero che la genera e se quel pensiero è limpido
e consapevole, il messaggio che arriva al corpo lo sarà altrettanto e l’azione estremamente fluida e
controllabile, cioè altrettanto consapevole. Perché queste informazioni scorrano liberamente non
devono trovare ostacoli o tensioni, ma percorsi fluidi e quindi ricettivi.
Nessuno è immune da nodi e spigoli che si sono formati nel corpo, nella mente e nello spirito, frutto
delle esperienze fatte e di come le abbiamo vissute e metabolizzate. Il Taijiquan ha nella propria
natura la potenzialità di sciogliere tali nodi, di smussare gli spigoli e renderli curve, perché permette
di entrare dentro le contraddizioni e viverne il mutamento.
Semplicemente osservando un praticante è facile intuire come egli si muova come dentro una sfera:
i movimenti, le traiettorie delle braccia, tutto richiama cerchi, semicerchi o spirali, le stesse mani
sono dei terminali di espressione della totalità del corpo, della chiarezza e dell’ampiezza della sua
mente. Le curve che disegna non rappresentano fuga o debolezza, ma ammorbidimenti delle linee
rigide e degli spigoli del corpo, che però ne preservano e migliorano la forza. Portare la durezza
4
Il pianoforte ha anche i pedali, generalmente tre, il cui ruolo è quello di legare e fondere le sonorità, su cui vigono le
stesse regole
5
G.Allevi, La musica in testa
4
all’interno, dove diventa struttura e manifestare la morbidezza, che permette ricettività ed ascolto:
“avvolgere una sbarra di ferro nel cotone”. 6
Dopo questa prima parte in cui ho cercato di costruire una casa comune, un luogo in cui far
incontrare Taijiquan e Musica classica, cercando ciò che li unisce, anche se in maniera chiaramente
e volutamente sintetica, affronterò ora il tema di come il primo possa valorizzare la seconda,
partendo dalla convinzione che il Taijiquan abbia la capacità di migliorare la persona nel profondo
e di conseguenza l’approccio e la sensibilità rispetto alle cose che fa, che affronta, che vive. Questo
non significa che cambi le persone, ma le rende sempre più consapevoli di sé, capaci di ascoltarsi,
di accettarsi e vivere più pienamente le esperienze.
Visto che questo lavoro parte dall’esperienza che sto facendo con Francesco, mi
concentrerò specificatamente sui vantaggi che la pratica del Taijiquan può portare ad un pianista
classico, per prevenire o contenere gli eventuali disagi e patologie derivanti dall’enorme impegno
mentale e fisico che comporta questa professione.
Voglio anche affrontare l’aspetto relativo alla tecnica e alle performances del pianista, che la pratica
di questa particolare disciplina cinese può contribuire a migliorare, poiché va direttamente ad
accrescere quelle attitudini che sono alla base della formazione di un musicista, quali la sensibilità,
la coordinazione, la profondità del respiro, l’uso armonico dei muscoli e del movimento, la capacità
di mantenere la concentrazione e, più in profondità, lo sviluppo della propria personalità,
fondamentale per la capacità interpretativa in ambito musicale.
Semplicemente, vorrei spiegare anche ad un pianista classico perché praticare il Taijiquan.
1. LA CONDIZIONE DEL MUSICISTA/PRATICANTE
‘Il violinista Ernesto Sivori, allievo di Paganini, a 93 anni dava un applauditissimo concerto alla
scala di Milano e Pablo Casals ultranovantenne, in piena forza strumentale e musicalmente
ispirato, offriva un concerto al Presidente USA John Kennedy… Questi erano tipi rurali, nati e
cresciuti tra contadini e portuali, dove l’esercizio fisico era obbligatorio e la robustezza ereditaria.
E se dovessi parlare di me (ultimo tra i miei preferiti), indicherei la buona ventura dei miei
genitori, che poco più in là della culla mi esponevano all’aria e al moto, addirittura alla ginnastica
prima e allo sport subito dopo.
Ai giovani che si affacciano alle discipline musicali non dirò dunque mai abbastanza che accanto
alla cura dello spirito abbiano quella del loro fisico’.7
Detto da una tale istituzione musicale non è certo una raccomandazione da prendere alla leggera!
Prova ne è il fatto che moltissimi musicisti, la gran parte, soffrono di diverse problematiche
motorie. Ciò è determinato dal fatto che la maggior parte di essi segue esclusivamente una
preparazione tecnica e strumentale, usando eventualmente l’attività motoria solo come svago e non
per migliorare la prestazione musicale, scegliendo magari sport che non fanno bene alla salute e
possono peggiorare le qualità fisiche necessarie per suonare o cantare.
L’attività motoria è quindi ancora considerata dal musicista come un qualcosa da fare semmai ogni
tanto e che non può fare altro che bene vista la sedentarietà della sua professione. Questa mentalità
‘porta il musicista a rendere la metà e a ipotecare la durata della sua carriera’. 8
Gran parte dei pianisti che fanno concerti da solisti, geni esclusi, arrivati ai 35-40 anni sono costretti
ad abbandonare o ridurre notevolmente l’attività concertistica per l’insorgere di diversi problemi
6
Da una citazione del M° Gianna Sabatelli
Uto Ughi
8
Uto Ughi
7
5
fisici e psicofisici, quasi delle carriere da sportivi. Tendiniti, problemi alla schiena, scoliosi, dolori
vari, incapacità di mantenere la concentrazione, rendono difficile quando non impossibile sostenere
il ritmo di studio e di allenamento che impone una tale attività.
Anni di studio improntati su tecniche che mettono a dura prova le articolazioni e la mente, la
ripetizione continua di movimenti di mano e polso estremi, che contribuiscono quindi a irrigidire il
corpo, facilita l’insorgere di differenti patologie.
Perché geni esclusi (in ogni ambito!): perché loro hanno meno bisogno di studiare, lo fanno con
meno difficoltà e soprattutto suonano in maniera naturale, hanno la musica in testa e la testa in
armonia con il corpo, pensano in musica, la vedono, la vivono senza sforzo… e sono un’esigua
minoranza.
La maggior parte dei comuni mortali, per raggiungere buoni risultati ha bisogno di impegnarsi
molto intensamente e costantemente e ciò vale in ogni ambito, per ogni professione o passione.
Nella musica classica, molti studenti di pianoforte, già a 25-30 anni, accusano problemi che ne
rallentano la crescita professionale o impongono loro lunghe e dannose pause.
Il consiglio migliore che danno i grandi maestri è quello di praticare una qualche attività fisica che
contribuisca a scaricare e rilassare mente e corpo e a riportare in una condizione di equilibrio, nella
convinzione che l’educazione motoria ha una notevole importanza al fine di un’ottima prestazione
musicale.
L’idea che lavorare su tutto il corpo e sui diversi piani della persona possa migliorare il
rendimento su una specifica applicazione non è nuova nel campo delle arti e non solo e negli ultimi
anni in giro per la rete, sui siti internet di diversi conservatori, viene promossa l’istituzione di corsi
di yoga o meditazione. Già da decenni vengono usate differenti tecniche psico-corporee, la più
conosciuta delle quali è sicuramente la tecnica Alexander, che, fondandosi sul principio che corpo e
mente sono un’unità e non due entità separate, si propone di sviluppare il controllo dell’organismo
umano durante qualsiasi attività attraverso l’eliminazione di abitudini radicate che, originando
numerosi malesseri, condizionano il rendimento.
Un’attività capace di stimolare il corpo nella totalità delle sue funzioni senza affaticarlo
ulteriormente, ma al contrario rigenerandolo e aiutandolo a recuperare, diventa per il musicista non
solo terapeutica, ma anche un ulteriore mezzo di preparazione, che può contribuire a evitare o
risolvere le differenti problematiche che possono manifestarsi a livello sia fisico che mentale,
instaurando una condizione generale di buona salute che permette di massimizzare lo studio sullo
strumento ed il rendimento e di crescere professionalmente.
Risulta riduttivo descrivere i benefici che il Taijiquan ha su chi lo pratica rispetto a specifiche
problematiche o ambiti, in quanto la medicina cinese tutta considera la persona nella propria totalità
in tutti i piani, fisico mentale e spirituale, e ognuno di questi interagisce ed influenza gli altri e degli
altri è causa, effetto e riflesso.
Si può creare quindi un circolo virtuoso che diffonde i propri benefici effetti sull’intera qualità della
vita.
Ad un corpo agile e sciolto si accompagna una maggiore elasticità mentale e duttilità emotiva e per
unificare corpo e mente è necessario imparare a pensare il movimento e a muovere il pensiero.
Tenendo fermo questo presupposto si possono però individuare delle problematiche che interessano
il musicista o delle attitudini che gli sono necessarie e sulle quali la pratica del Taijiquan può
direttamente intervenire in modo positivo: sicuramente, come ho già scritto, difficoltà motorie,
posturali, respiratorie e riguardanti il rilassamento, la capacità di concentrazione e di ascolto, di non
ostacolare il cambiamento, di profonda interazione con lo strumento.
Il Taijiquan è capace di dare risposte esaurienti su ognuno di questi aspetti senza sovraccaricare
ulteriormente chi già passa ore ogni giorno, come i musicisti, in attività molto impegnative, perché
lavora sulla consapevolezza del corpo e delle sue tensioni, del respiro e del suo fluire, del
movimento e delle sue dinamiche. Ogni miglioramento nella tecnica è determinato da un aumento
6
di consapevolezza, fino a che diventa la consapevolezza stessa a guidare la tecnica liberandola dal
filtro delle tensioni corporee generando il trait d’union tra intenzione e movimento.
2. PERCEZIONE CORPOREA
Parlando delle problematiche motorie del pianista è necessario premettere che l’attività prolungata
sullo strumento comporta l’aumento del tono muscolare della parte posteriore del corpo, dei
muscoli sospensori delle spalle, delle braccia, degli avambracci, delle mani e dei muscoli
inspiratori.
Tale attività tonica continua tende però ad accorciare questi gruppi muscolari rispetto ad altri che
non vengono sollecitati, generando una condizione di squilibrio ed una muscolatura ipertonica
(trapezio, spleni del collo, spinali del collo e del torace, lunghissimi della colonna vertebrale, ecc.)
ed una ipotonica (addominali, glutei, quadricipiti, ecc.).
Questo tipo di squilibrio muscolare provoca tra l’altro dolori alla colonna vertebrale, sia in alto che
in basso, tendiniti, dolori articolari e una riduzione dell’ampiezza respiratoria, determinata dal fatto
che l’ipertonia posteriore incarcera i pilastri diaframmatici determinando di conseguenza una scarsa
resistenza nelle lunghe esecuzioni e limitazioni alla tecnica strumentale. Inoltre gli addominali
ipotonici non sostengono la respirazione diaframmatica e non possono fare da collegamento
dinamico tra movimenti delle braccia e delle gambe.
La pratica costante del Taijiquan permette di prendere coscienza del proprio corpo, delle tensioni
che lo attraversano, della postura, di come il peso si scarica sui piedi e della qualità del nostro
appoggio.
Aiuta a riconoscere quei blocchi e quelle spezzature che impediscono di sentire il corpo
come “uno”, tutto collegato, tutto attraversato dal respiro, dove ogni parte non genera il movimento,
ma lo riceve in un moto circolare e curvilineo di traiettorie senza spigoli, consapevolmente e,
quindi, in maniera altamente controllabile.
Lavora rinforzando i muscoli profondi che ad esempio sostengono la colonna vertebrale,
aiutandola a mantenere una normale morfologia, e allungando quelli superficiali di movimento
sviluppando potenza ed elasticità.
La testa come appesa ad un filo che la sostiene distendendo la nuca senza irrigidire il collo,
le spalle e tutte le articolazioni rilassate, il bacino ben allineato rispetto all’appoggio delle gambe e
al tronco permette di liberare addominali e glutei dagli irrigidimenti che limitano il movimento
diaframmatico e di conseguenza la respirazione.
Intervenendo in maniera dolce su questi aspetti, ascoltando, il corpo tende ad un equilibrio, sia in
posizioni statiche che in movimento, che usa il naturale allineamento delle ossa limitando il lavoro
di compensazione dei muscoli che possono così permettersi un po’ di meritato riposo, mentre nello
stesso tempo si potenziano e si allungano. Tutti quei dolori o problemi che nascono da postura e
tensioni, su cui magari si inserisce anche usura da movimento, trovano in questa disciplina
possibilità di notevole miglioramento.
Con la pratica costante del Taijiquan si impara infatti ad usare lo scheletro nella sua naturale
ed ideale funzione di portare il peso corporeo: i muscoli dovrebbero solo dirigere i movimenti dello
scheletro, in modo tale da assicurargli una configurazione ottimale per il trasporto del peso in tutti i
momenti. Questo purtroppo raramente accade nella quotidianità ed i muscoli si fanno spesso carico
di gran parte del lavoro di sostegno del peso svolto dallo scheletro, assorbendo energia, indurendosi
e perdendo così molta della loro precisione di guida, anche se questa continua attività gli impedisce
di perdere tono, afflosciarsi e iniziare a degenerare.
Sforzi intensi o prolungati possono danneggiare i muscoli causando fatica, dolori o crampi.
Una corretta pratica del Taijiquan aiuta ad insegnare ai muscoli come dividersi equamente il carico
7
del peso del corpo, ottenendo un tono ottimale ed un alto grado di percezione del movimento, aiuta
a sviluppare ‘muscoli intelligenti’, che sottoposti ad uno sforzo moderato e attraverso esso,
crescono, si rigenerano e sviluppano buoni riflessi e resistenza.
Il Taijiquan contribuisce a sviluppare una muscolatura armoniosa, resistente e flessibile, con
alta precisione di guida e straordinaria sensibilità motoria. Si ottiene un miglioramento della forza
muscolare e delle facoltà coordinative attraverso la pratica di movimenti dolci e gradevoli, non
caricando ed affaticando il corpo, grazie all’allungamento delle strutture miofasciali segmentarie
profonde, alla base della rapidità, della potenza e dell’elasticità.
Diminuisce così anche la fatica, perché si impara a percepire il corpo come unità: il
movimento di un braccio non è più solo il movimento di quel braccio, ma è tutto il corpo che si
muove in armonia con esso. L’asse primario del movimento diventa il bacino, il centro del nostro
essere, le articolazioni si alleggeriscono, diventando snodi, punti attraversati da un movimento nato
altrove. La forza della spalla diventa quindi la sua reattività e sensibilità al movimento del bacino,
la morbidezza comincia a prevalere sulla rigidità, a differenziarsi ed alternarsi ad essa, aumentano
l’elasticità e la velocità e così diminuiscono i fattori di dolore e di tensione. Il movimento è dettato
dalle ossa, scandito dal respiro ed il muscolo segue, quasi passivamente.
Chen Fake, maestro della diciassettesima generazione Chen, sottolineava l’importanza di sciogliere
ogni singola articolazione, allungando ed estendendo i muscoli a loro associati, migliorando la forza
e la flessibilità dei tendini all’interno dell’articolazione stessa e tale distensione avrebbe dovuto
interessare tutto il corpo fino alla punta delle dita.
3. IL RESPIRO, SOFFIO VITALE
Un altro importante aspetto che la pratica del Taijiquan va ad educare è quello relativo alla
respirazione che, ad esclusione delle funzioni prettamente vegetative come il battito del cuore,
rappresenta l’atto fondamentale per la sopravvivenza.
Non parliamo quindi semplicemente di Musica, ma di Vita, ed in essa della funzione egemonica del
respiro, che beneficia del rinforzo muscolare più importante, forte e centrale nell’organismo e che
può influenzare positivamente o negativamente il sistema ‘uomo’.
Il principale muscolo respiratorio è il diaframma, la cui mobilità ha un ruolo fondamentale
oltre che sul piano respiratorio, anche su quello circolatorio, digestivo e nelle attività del fegato e,
tramite il legamento centrale,9 esercita una notevole influenza anche sulla postura.
Le fibre muscolari che compongono il diaframma sono stabilizzatrici lombari, costali, sternali e una
sua restrizione di mobilità, causata anche da stress e stati ansiosi, si trasmette dunque ad altre
strutture determinando postura e morfologia della persona e di conseguenza le sue prestazioni.
Una buona funzionalità diaframmatica acquista ulteriore importanza nell’attività musicale e non
soltanto in chi suona strumenti a fiato o nei cantanti. In realtà chi ‘non si allena anche in questa
direzione, non potrà mai raggiungere né una buona postura, che gli permetta più resistenza e meno
danni fisici, né una buona concentrazione’.10
Osservando esecutori di strumenti diversi, è possibile notare come il respiro spesso non sia regolare
e addirittura si registrino parecchi momenti di apnea, che favoriscono l’errore o l’amnesia e sono
dovuti soprattutto a tensioni provocate dai passaggi difficili dello spartito. In generale si può
osservare che il corpo, e di conseguenza il movimento, non sono accordati con il respiro, che
9
Una formazione fasciale composta da più strutture in sequenza, dal diaframma fino al cranio
Brasso
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dovrebbe essere invece il tappeto su cui si appoggia tutta la nostra gestualità e gli permette di non
rimanere sospesa ed insicura.
Un respiro profondo, addominale, dove la pompa diaframmatica si abbassa durante l’inspirazione e
risale nell’espirazione, liberando il movimento toracico e modificando continuamente il tono
addominale, genera una condizione in cui tutto il corpo si appoggia e si radica saldamente
scaricando il peso.
Il ritmo calmo e profondo del respiro permette di raggiungere e mantenere alti stati di
concentrazione e rilassamento. In questo modo i gesti diventano fluidi, così come i rami di un
albero possono ondeggiare al vento perché innestati su un solido tronco.
L’unico mezzo per educare il diaframma è l’esercizio respiratorio, ”praticare il respiro”. Nel
TJQ, come nella vita, la respirazione ha un ruolo fondamentale. Un respiro lento e profondo è il filo
che lega i movimenti, il pentagramma sul quale si articolano i suoni delle forme, è qualcosa che
segue e nello stesso tempo dirige i movimenti, li enfatizza, ne descrive il colore ed il carattere. Il
respiro non è pensato, non ci si deve ricordare di farlo profondamente, o di non andare in apnea,
dobbiamo solamente liberarlo e lasciare che ci accompagni. E’ un automatismo vitale che, in
maniera corretta, dovrebbe coinvolgere il diaframma. Il problema è che noi siamo portati a perdere
il contatto con il nostro corpo e con il soffio che continuamente lo percorre, espandendolo o
contraendolo e a perdere coscienza del nostro appoggio, della solidità del bacino, che raccorda la
parte superiore del corpo con quella inferiore, a vivere sospesi e spezzati. Di conseguenza il respiro
sale al torace e si accorcia, non vengono continuamente massaggiati gli organi addominali,
diminuisce la ventilazione polmonare ed il sangue viene meno ossigenato. Salgono così anche le
spalle, la zona della vita non è più un fulcro, ma una dogana, un confine tra due parti dello stesso
corpo che si riconoscono e dialogano un po’ meno e che non si fidano troppo l’una dell’altra. In
conclusione si vive peggio e di conseguenza risultano peggiori anche le nostre prestazioni.
Particolare importanza assume nella pratica del TJQ anche il rilassamento del torace,11 che viene
mantenuto leggermente tirato in dentro, senza naturalmente incurvare la schiena. In questo modo
l’area diaframmatica si rilassa così come le spalle, che tornano a cadere in posizione naturale,12 si
allenta la tensione nelle costole e si libera il respiro, che diventa morbido e naturale. Con il
rilassamento graduale del torace i movimenti del Taijiquan risultano armoniosi e ben coordinati con
il ritmo respiratorio e la respirazione stessa, resa più agevole e naturale, è in grado di esplicare
pienamente le sue funzioni.
Accade frequentemente che quando i muscoli del torace, delle spalle e dei gomiti sono sottoposti a
sforzo, come ad esempio in lunghe esecuzioni musicali, la ventilazione viene ostacolata dalla
costrizione toracica, provocando una relativa ostruzione nella circolazione sanguigna, un aumento
dell'afflusso di sangue al viso e la conseguente pulsazione delle vene del collo e una maggiore
difficoltà a mantenere la concentrazione.
Nel Taijiquan non si manifestano mai simili sintomi e i movimenti regolari del diaframma e dei
muscoli mantengono una fluttuazione costante della pressione addominale: quando essa aumenta, si
ha una compressione delle pareti venose e il sangue viene spinto con maggior vigore nell'atrio
destro, quando la pressione si riduce, il sangue refluisce verso l'addome. In questo modo, la
respirazione ritmica dell'esercizio migliora la circolazione sanguigna nel suo complesso e il
nutrimento del muscolo cardiaco in particolare. In aggiunta, i movimenti del diaframma producono
11
La medicina tradizionale cinese, ai cui principi il TJQ fa riferimento, attribuisce ad uno specifico punto
dell’agopuntura su cui è necessario portare l’attenzione durante la pratica, la funzione di intervenire sulla condizione del
torace, aiutando a rilassare clavicole e spalle. Si Tratta del primo punto superficiale del canale energetico del polmone,
zhong fu, il Palazzo Centrale, sulla parete laterale toracica all’altezza del primo spazio intercostale, capace, se
mantenuto in una condizione rilassata, di regolare il Qi del polmone e stimolarne la discesa eliminando la sensazione di
pienezza e i dolori del torace.
12
Le spalle sollevate, come appese, provocano la chiusura del torace, un respiro corto, toracico, poco profondo con
mancanza di stabilità in tutto il corpo. Nella giusta condizione le spalle seguono i movimenti del corpo e del torace e di
conseguenza possono muoversi liberamente.
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un massaggio costante del fegato, che contribuisce a risolvere il "sangue stagnante nel fegato"
migliorando la funzionalità epatica.
Test di valutazione della funzionalità polmonare eseguiti su gruppi di praticanti di TJQ in diverse
università nel mondo, soprattutto in Cina e negli Stati Uniti, hanno dimostrato che la pratica
costante di questa disciplina determina un aumento dell'elasticità del polmone e della capacità
toracica, che ritarda il processo d'ossificazione delle cartilagini costali, un aumento della capacità
ventilatoria polmonare ed un incremento degli scambi metabolici di ossigeno e di anidride
carbonica. Comparando i risultati con quelli di un altro gruppo di pazienti non praticanti, si è
osservato che la capacità respiratoria dei primi è risultata molto più ampia, il che indica chiaramente
una maggiore validità dei muscoli respiratori e del diaframma, una maggiore elasticità polmonare,
un ridotto grado d'ossidificazione delle cartilagini costali e quindi un minore impedimento
all'attività toracica.
Ho parlato della respirazione da un punto di vista fisiologico, dei limiti vitali che può dare una
cattiva respirazione e di conseguenza di quelli pratici che ne conseguono anche a livello di
performance musicale. Ho sottolineato la grande importanza della funzione del diaframma nell’atto
respiratorio e di come la pratica del TJQ contribuisca a liberarne il movimento e tolga tensione dal
torace con un respiro profondo, ma naturale e spontaneo, che si accordi con i movimenti del corpo
senza forzature.
Adesso voglio invece sottolineare l’importanza musicale del respiro, come praticamente va a
migliorare l’esecuzione o a rischiare di comprometterla.
Sicuramente respirare correttamente permette una buona ossigenazione del corpo e quindi anche del
cervello. Di conseguenza in pratiche in cui la concentrazione deve essere ai massimi livelli, una
buona respirazione diventa un fattore imprescindibile e, nello stesso tempo, accompagna
l’esecuzione, la sostiene ed è determinante nell’interpretazione.
La musica infatti ha una propria grammatica, fatta di lettere, parole e frasi. Nel linguaggio parlato le
pause sono indicate dalla punteggiatura, le frasi di senso compiuto sono incernierate all’interno di
essa e anche se non ce ne rendiamo conto il respiro viene preso a cavallo di punti e virgole, usati
anche per rendere il senso del discorso enfatizzando o meno il concetto che vogliamo trasmettere.
La domanda sorge spontanea: dove è che un cantante respira? Non certo all’interno di una frase, ma
tra una e l’altra. E uno strumentista a fiato? Tra una frase musicale e l’altra. Lo stesso vale per chi
suona strumenti ad arco e non ha necessità di fiato, ma deve cambiare la direzione dell’archetto e
quindi mettere inizio e fine ad un gesto, ad una frase. Il pianista non ha apparentemente la necessità
di respirare con il giusto ritmo, suona con le dita e non deve soffiare né cantare, per cui questo
aspetto della sua preparazione diventa meno importante: respirare correttamente non sembra
necessario. Francesco mi ha raccontato di come pochi docenti pongano l’accento su questo aspetto.
L’interprete deve raccontare quello che il compositore scrive dando il giusto senso e significato alle
frasi, che devono esistere con il proprio inizio e la propria fine. Sarebbe come leggere una poesia
tutta d’un fiato, respirando a casaccio e rischiando di cambiarne struttura logica e significato
spostando una sospensione (punteggiatura). Lo stesso vale per il pianista che deve respirare in
accordo con il brano che vuole trasmettere, per poter rispettare un corretto criterio interpretativo.
Oltre a questo il respiro è anche un valido aiuto dal punto di vista “organizzativo” della partitura
musicale, perché scandisce l’alternarsi delle frasi e da’ la possibilità di appoggiarsi e ripartire tra
l’una e l’altra, come nel Taijiquan al termine di ogni singola postura della forma, quando il respiro
fissa e nello stesso tempo indirizza verso la figura successiva. Il pianista che non respira vede di
fronte a sé mille note, il pianista che respira dieci frasi.
All’interno alleni il respiro, all’esterno i tendini, dicono i classici del TJQ. Allenare non solo per
migliorarne la qualità, ma per “scoprire e riconoscere” il respiro, farlo divenire il nostro metronomo
interno, una sicura certezza a cui fare riferimento e un valido aiuto per uscire da quei vuoti, “letali”
10
per un musicista, che si possono verificare durante un’esecuzione a causa dello stress o del panico
da palcoscenico.
Ho letto diversi testi su questo, ma soprattutto Francesco mi ha descritto veri e propri momenti di
buio totale in cui il respiro si blocca, il corpo si irrigidisce e la mente si offusca: il rischio è quello di
rimanere seduti davanti al pianoforte con le mani inchiodate sulla tastiera, incapaci di muoverle, con
l’impellente necessità di riprendere completo contatto con il corpo, il respiro e lo strumento.
Allevi nel suo libro racconta un incontro ravvicinato con il panico come un’esperienza sconvolgente
che voglio qui riportare:
“Ora è il momento …e non respiro… Sono terrorizzato l’ansia è soffocante e il cuore batte forte.
Mi accade una cosa terribile.
Non ricordo come inizia il brano.
Non mi è mai successa una cosa del genere. Com’è quell’accordo strano con cui si apre lo
“Scherzo”?
Niente… ho un vuoto totale.
Sistemo di nuovo lo sgabello. Pulisco la tastiere con un fazzoletto, frugando nella mia mente in
cerca di quelle maledette note: una settima senza preparazione. Riporto le mani tremanti sui tasti,
ma le dita non riconoscono le note per iniziare…
Decido di sbloccare la situazione! Prendo un bel respiro e butto giù le mani. Va bene qualunque
cosa esca fuori”.
Trattandosi di Allevi, che sarebbe diventato uno dei più grandi pianisti del mondo, possiamo
immaginare che sia venuto fuori qualcosa di estremamente buono, ma il dato resta: l’unico modo è
“riprendersi tutto”, corpo, respiro e concentrazione e, se siamo ben allenati al contatto con noi stessi
e ad aderire alla nostra essenza, è sicuramente più facile farlo.
Purtroppo, problemi di questo tipo possono verificarsi frequentemente vista la quantità di fattori di
stress cui è sottoposto un musicista; concorsi, concerti, incisioni discografiche, sono tutti potenziali
fattori di attivazione, dal punto di vista medico, del sistema ortosimpatico, il nostro “acceleratore
nervoso”, che genera, se troppo eccitato, aumento della frequenza cardiaca e della pressione,
agitazione e ansia.
E’ necessaria, perciò l’attivazione del suo antagonista, il sistema parasimpatico, il nostro “freno”,
che ha invece un’azione rilassante e consente di ritrovare la quiete all’organismo.
La respirazione del Taijiquan è in grado di stimolare l’attività parasimpatica, insegnando a rimanere
concentrati e centrati su sé stessi, ma in relazione dinamica con il tutto che ci circonda.
Durante la pratica delle forme questa attenzione è e deve rimanere costante, presente in ogni
movimento, perché non è una condizione accessoria, è il cuore del Taijiquan stesso; un’ora di
pratica diventa un’ora di profondo ascolto di sé, di ogni parte e ad ogni livello, cercando di
percepire tutto quel che si muove all’interno del corpo.
All’inizio è difficile lasciare i pensieri, non ci si sa schermare dai fattori di distrazione, ma poi, con
il tempo e il respiro si riesce a trovarsi, e sentirsi morbidi e duri, aperti e chiusi, contratti e rilassati e
non è faticoso mantenere una tale condizione, ma naturale e piacevole.
Quando si diventa padroni di questo tipo di concentrazione mentale, nutrita dal respiro e dal
rilassamento, possiamo goderne i frutti in ogni campo, perché sono notevolmente migliorate le
capacità attentive, la memoria e l’apprendimento, nonché la capacità di scindere il superfluo da
quello che è realmente indispensabile.
La memoria, ecco un altro aspetto che mi preme affrontare data l’importanza che questa ha per i
pianisti, la maggior parte dei quali ha l’abitudine di non usare lo spartito. Quella di suonare a
memoria è una consuetudine introdotta da Listz più di cento anni fa e ancora oggi divide tra
sostenitori e detrattori, che la vedono come un ulteriore aggiunta di stress e tensione. Per i primi,
invece, non dover tenere lo sguardo sullo spartito, permette al pianista una maggiore libertà
espressiva.
11
Per un musicista la memorizzazione non implica soltanto la capacità di immaginare la musica, ma
anche quella di riprodurla durante un’esecuzione. Sandor cita quattro “ingredienti” che entrano in
gioco nel processo di memorizzazione e attribuisce particolare importanza alla necessità di allenarli
per poterli migliorare: la memoria visiva, acustica, intellettuale e cinetica.
Tutte e quattro sono in teoria ugualmente importanti, ma il loro ruolo varia a seconda delle
caratteristiche di ogni persona, che tende, in genere, ad affidarsi in modo prevalente soltanto a due
di essi, con minore ricorso agli altri due.
E’ evidente come anche nel Taijiquan la memoria assuma un ruolo centrale, dato dalla necessità di
ricordare una notevole quantità di piccoli e grandi movimenti, ognuno con una precisa collocazione
all’interno di ogni figura e delle forme, e ognuno con determinate caratteristiche. E’ proprio questa
estrema attenzione al dettaglio, che lo rende uno straordinario strumento capace di stimolare e
migliorare tutte e quattro le componenti del processo di memorizzazione.
Rispetto a quella cinetica, il contributo che il Taijiquan può dare è evidente, e va anche aggiunto
che questo tipo di memoria è della massima importanza per ogni strumentista, che deve partire
dall’esecuzione attenta e cosciente di un determinato gesto per poterlo comprendere, passare allo
studio approfondito per renderlo naturale e alla fine può immagazzinarlo nella memoria. Solo dopo
questo percorso è possibile suonare senza alcuna esitazione, in modo fluido e scorrevole ed è questo
particolare tipo di memoria che garantisce l’esecuzione di passaggi molto difficili.
L’analisi e la comprensione della struttura armonica, la maggiore o minore tensione emotiva, gli
abbellimenti, la necessità di contare battute, ripetizioni o pause; tutto ciò richiede invece l’uso della
componente intellettuale, o analitica, della memoria, ed è lo stesso tipo di impegno che viene
richiesto nel Taijiquan, dove si contano le posture, il numero dei movimenti che le compongono e si
devono memorizzare non solo gesti, ma sequenze di gesti, spostamenti e continui e precisi
cambiamenti.
Una buona memoria visiva permette invece al musicista di ricordare la posizione di un passaggio
nella pagina, o addirittura l’intera pagina e quella acustica gli da’ la capacità di “riconoscere” un
suono o la relazione esistente tra suoni diversi.
Lo studio del Taijiquan usa moltissimo la visualizzazione per riconoscere il corpo o specifiche parti
di esso, per dare consistenza o colore al respiro e al Qi che circolano all’interno o per immaginare
un movimento per poterlo eseguire fisicamente, come ho già scritto.
Credo però che l’aiuto più importante che non solo un pianista, ma chiunque, possa trovare nel
Taijiquan rispetto al miglioramento del grado di memoria, non sia legato a ciascuno di questi
quattro “ingredienti” analizzati separatamente, ma al concetto stesso di memoria, che diventa
globale, del corpo, della mente e dello spirito.
Con questo voglio dire che un aumento delle capacità percettive, della sensibilità, dell’attenzione, in
una sola parola della consapevolezza, produce un miglioramento della memoria e lo stesso sentire
non rimane più di pertinenza esclusiva dell’orecchio, ma è un’ esperienza di tutto il corpo, che, con
tutti i sensi, ascolta il proprio suono in maniera profonda e dinamica.
Memoria e concentrazione, se viste sotto questa luce, sono nutrite e rafforzate perché la persona
nella propria globalità vive e scopre nuovi e numerosi stimoli, fisici, intellettuali, razionali o
emozionali, che ne valorizzano le potenzialità.
4. CONSAPEVOLEZZA
Nel Taijiquan la consapevolezza è principio fondante, fondamentale scopo, condizione necessaria e
risultato. Percezione e ascolto di ogni parte del corpo e del corpo tutto, di ciò che ci circonda e con
cui interagiamo, del respiro, del mutamento.
Abbiamo un numero notevole di muscoli e decine di articolazioni di cui spesso non afferriamo
l’esistenza e il lavoro. Il TJQ ci abitua a sentirli, e con il tempo a trovare le stonature, le parti rigide
12
che bloccano la mobilità del nostro corpo e quindi del nostro essere. Il livello di percezione e di
consapevolezza corporea sviluppato è altissimo; la lentezza dell’esecuzione permette alla mente di
pensare con cura ad ogni parte, di dirigerla, mutarne la condizione e i movimenti in maniera rapida
e precisa, ma mai sconnessa dal resto del corpo, dal respiro e dall’attenzione, mentre i movimenti
veloci allenano il controllo.
Ogni parte acquista un valore interdipendente all’interno del complesso “Uomo”, in una scala
crescente, come ogni suono o pausa compone la partitura di uno strumento, il quale andrà poi ad
armonizzarsi in un’orchestra in cui tanti e differenti strumenti, con diverse caratteristiche,
concorrono ad un risultato comune.
Il maestro Chen Zhaokui individua alcuni requisiti che è necessario sperimentare ed affinare
attraverso la pratica in ogni singola postura: 13
- movimento degli occhi (direzione degli occhi)
- la forma delle mani e come la mano cambia mentre si esegue il movimento
- il bozzolo di seta nelle braccia (la circolazione dell’energia interna, il Qi)
- lavoro di gambe (come eseguire i cambiamenti quando si fanno i passi)
- il bozzolo di seta nelle gambe
- apertura e chiusura del torace e della schiena
- alzarsi e abbassarsi delle natiche
- rotazione del dantian (vita e basso addome)
- spostamento del peso
- punti iniziali e finali, come anche i movimenti di transizione degli arti superiori ed inferiori
- quanta forza e dove concentrare la forza
- posizione e direzione della postura
- inizio e fine del movimento a spirale (coordinazione della parte superiore ed inferiore)
- cambiamenti di ritmo (alternare il lento ed il veloce)
- respirazione (coordinazione di respirazione e movimento)
- ascolto
Ho citato queste attenzioni che si devono sperimentare e la direzione a cui si deve tendere non per
descriverle, ma per far comprendere come ogni atto, letteralmente ogni passo, nel TJQ sia
consapevole. Negli spostamenti, ad esempio, si appoggia prima il tallone e poi gradualmente tutto il
piede fino alle dita, come a sondare in ogni momento il terreno su cui ci si muove e la qualità del
nostro appoggio. Si ascoltano e si percepiscono testa, orecchie, naso, bocca, collo, gola, torace,
spalle, gomiti, colonna vertebrale e giù giù fino ai piedi, osservando, come con lo sguardo rivolto
verso l’interno, come vengono nutrite dal respiro e ne viene ridotta la tensione, come si rilassano
senza però infiacchirsi. Si armonizza l’interno con l’esterno.
Perché ciò avvenga è necessaria l’unità di corpo e mente e la mente deve essere calma e rilassata
affinché l’intenzione e la consapevolezza riescano ad emergere.
‘Respira lentamente, il cuore(mente) diverrà quieto; dall’acquietarsi del cuore diverrai rilassato’.14
‘Una mente calma aumenta la consapevolezza, ed un corpo rilassato favorisce la sensibilità. La
combinazione dei due alla fine unirà il corpo e la mente.’15
Unire mente e corpo, intenzione ad azione, il gesto all’idea e all’immagine che lo genera, farli
aderire, avere perfettamente chiara la prima perché il secondo si manifesti naturalmente.
Nella mia esperienza con il TJQ ho potuto constatare come la difficoltà nel muovere certe parti del
corpo o eseguire certi movimenti non fosse data dallo scioglimento o dall’elasticità fisica, quanto
13
David Gaffney, Dividine Siaw-Voon Sim, Taijiquan stile Chen
Da una poesia della famiglia Chen
15
David Gaffney
14
13
dal non riuscire “a sentire e vedere” mentalmente quelle articolazioni o quel movimento, come se
mancasse qualcosa, un qualche tipo di informazione che me ne facesse prendere coscienza.
Provando a visualizzare le varie parti del corpo, a scansionarlo, mi apparivano davanti zone chiare e
altre più nebulose, altre ancora buie e la difficoltà a muoverle e a modificarne la condizione
aumentava con il diminuire della loro nitidezza. Con il tempo e la pratica, molte le ho prima intuite,
poi messe a fuoco, “viste” e assimilate, ne ho ripreso possesso e solo dopo ho cominciato a gestirle.
Altre sono ancora confuse e nuove percezioni fanno capolino, di altre scoprirò l’esistenza ed è
questo il bello.
Chi suona il pianoforte, ma questo vale per tutti gli strumenti, si trova a dover assumere
durante lo studio e le esecuzioni, delle specifiche posture che possono provocare inconsapevoli
sbilanciamenti del corpo che ne alterano l’equilibrio e ne influenzano il rendimento, ma di cui non
c’è appunto coscienza.
Il TJQ rappresenta in questo senso un percorso di (ri)scoperta del proprio corpo che può assumere
una notevole importanza nell’accrescimento della preparazione di un musicista e contribuire in
maniera significativa ad ottimizzare la sua performance attraverso un miglioramento della qualità e
della fluidità del movimento e del suono, una maggiore e migliore interazione con lo strumento, un
alto e costante livello di attenzione e concentrazione.
Con il crescere delle capacità percettive e sensoriali si acquista inoltre una maggiore capacità e
disponibilità all’ascolto e diventa più facile riconoscere e liberare la propria espressività.
Parlando poi specificatamente di studio della tecnica pianistica, esistono una quantità di esercizi
volti a sciogliere e rinforzare le dita. Secondo Francesco e secondo il suo metodo di studio, il loro
movimento va invece sciolto a livello mentale, liberato in testa, immaginato, sentito, percependo la
loro qualità e fisicità, il loro essere singole entità interdipendenti e nello stesso tempo estensione
dell’avambraccio e del braccio, terminali corporei.
Per quanto riguarda l’aspetto dell’irrobustimento, io credo che già sentire le dita, respirare con le
dita, possa contribuire ad ottenerlo, perché portarvi attenzione e consapevolezza significa portarvi
energia e vitalità e la forza che si acquista si crea e si consolida dall’interno.
Solo tale consapevolezza rende naturali e privi di sforzo i continui aggiustamenti che il polso e
tutto il braccio devono necessariamente fare per adeguarsi all’esigenza e alla particolarità di ogni
singolo dito e permettergli di muoversi liberamente per esempio in scale ed arpeggi.
Soltanto le dita sono fisicamente in contatto con i tasti e potremmo dire che tutti i movimenti del
corpo e delle braccia non hanno altro scopo che quello di aiutarle e collaborare con loro, scrive
Sandor. Nel TJQ l’attenzione rivolta ad esse è notevole, alla loro posizione e condizione, a come
diventano perno dei movimenti di rotazione del polso, a come tutto il corpo si adegua al movimento
delle mani e nello stesso tempo lo imposta, mani che esprimono esternamente il grado di
consapevolezza e la condizione interna del praticante.
Immaginare un movimento, visualizzarlo, è il primo passo per poterlo eseguire. Capire che il corpo
può muoversi in tutte le direzioni e ogni sua parte può fare altrettanto e far diventare questa una
naturale attitudine, un normale atteggiamento gestuale, un modo di pensare, il nostro muoverci,
permette di liberare il movimento.
Tutto ciò deriva dal fatto che, come è stato ampiamente dimostrato e sperimentato scientificamente,
il TJQ rientra in quelle discipline che vanno ad “allenare” la propriocezione, cioè ‘l’integrazione in
corrispondenza delle stazioni centrali superiori, della moltitudine di segnali provenienti dai livelli
articolari, cutanei, tendinei e muscolari …Queste informazioni vengono trasmesse e trasformate in
input nervosi, gestiti dal sistema nervoso centrale per la realizzazione di una risposta motoria
appropriata e una postura eretta sempre meno approssimativa’.16
16
Salvatore Antonio Cassarino, Tai chi chuan antico moderno allenamento
14
Allenare la propriocezione favorisce un notevole aumento delle facoltà percettive e consente di
ridurre i tempi di reazione e di intervento dei sistemi adibiti al mantenimento dell’equilibrio.
Ritornando al pianoforte, con un buon grado di consapevolezza corporea, l’apprendimento di tutti
gli aggiustamenti, rotazioni e spostamenti da eseguire in maniera coordinata e perfettamente
sincronizzata, risulta più semplice, perché essi già ci appartengono, non sono vincolati ad una
specifica attività, ma alla quotidianità e quindi vengono continuamente allenati, fino a divenire
naturali automatismi mentali e quindi fisici.
Conseguenza della consapevolezza corporea è la coordinazione, un requisito fondamentale per il
pianista che, nell’esecuzione di ogni tecnica, ha la necessità di coinvolgere più articolazioni fino
all’intero complesso corporeo. Nello staccato, ad esempio, caratterizzato da un’estrema velocità di
esecuzione e un grande volume di suono, la mano è lanciata dall’avambraccio, l’avambraccio dal
braccio, il braccio dai potenti muscoli del busto in modo perfettamente coordinato e privo di sforzo,
sincronizzando in senso verticale l’intero apparato. Nel legato, invece, per produrre l’affievolirsi del
suono e il suo sfumare nella nota successiva, è essenziale coordinare la velocità con la quale le dita
abbandonano i tasti a quella con cui lo smorzatore ricade sulle corde per interromperne la
vibrazione, utilizzando quindi in coordinazione tra loro dita, braccio e smorzatore azionato dal
piede.
Nel TJQ la coordinazione si esprime in tutte le direzioni e lo scopo della pratica è quello di far
lavorare il corpo in maniera integrata, unendo l’interno con l’esterno e sincronizzando i movimenti
della parte superiore del corpo con quelli della parte inferiore.
Non voglio rischiare di ripetermi o perdermi elencando tecniche pianistiche e requisiti necessari per
eseguirle, perché come tanti fiumi tutti portano allo stesso mare, quello della consapevolezza, il
punto da cui sono partito e dove è necessario tornare, da cui tutto ha origine, dove nascono
percezione, gestione e organizzazione motoria e coordinazione.
La consapevolezza corporea (e non solo) è fondamentale per un pianista ai fini di un’ottima
esecuzione ed è TJQ, semplicemente conoscersi e trovare il proprio centro da cui poter muovere.
4.1. INTERAZIONE
‘Che la sensibilità del tuo corpo sia tale da avvertire la più piccola piuma che ti sfiora la pelle.
L'avversario non avrà modo di scoprirti o di controllarti, sarai tu a sentirlo e a controllarlo.
Se puoi ottenere questo livello di sensibilità, non c'è forza fisica che possa sconfiggerti’.17
Lo studio del TJQ prevede anche il lavoro in coppia, con il metodo della Spinta con le Mani,
caratterizzato dall’adesione e dal continuo contatto tra due praticanti che ascoltano ed esplorano le
reciproche energie, eseguendo movimenti che mantengono i requisiti fisici e mentali propri della
forma.
Questo tipo di esercizio va a coinvolgere in modo molto importante anche il senso del tatto perché
le due persone devono muoversi utilizzando i movimenti a spirale del TJQ in modo da aderire e
seguire, né disconnettersi né resistere: connettersi con l’avversario, non perdere mai il contatto con
il suo braccio e non opporsi alla sua spinta, ma cedere ad essa mantenendo postura, radicamento e
quindi equilibrio. Si sviluppa così una notevole sensibilità dell’intero corpo, che permette di
percepire e reagire istantaneamente ai più sottili cambiamenti nell’avversario.
Il pianoforte non è sicuramente un avversario, ma come la capacità di ascolto della forza
dell’avversario permette di controllarla, una profonda interazione con lo strumento può essere
utilizzata per gestire il tocco e le qualità del suono e anche per trovare qualche aiuto, come
17
Gran Maestro Chen Xiaowang
15
approfittare del rimbalzo che opera il tasto18 in passaggi suonati “forte” e” veloce”. In questo caso
il contraccolpo che il pianista riceve è considerevole e, se mano e braccio sono elastici e sensibili a
questa spinta generata dal fondo sul quale il tasto batte, ‘in certi passaggi eseguiti con grande
velocità e al massimo della forza, lo staccato può ridursi allo slancio dall’alto verso il basso,
perché al ritorno verso l’alto provvede a sufficienza questa reazione del rimbalzo’. 19
4.2. EQUILIBRIO
Il TJQ aiuta a trovare maggiore equilibrio, il proprio centro, a nutrire le proprie radici per creare un
forte fondamento e mantenere la stabilità in posizioni statiche come in movimento. Sono necessari
requisiti molto precisi e studiati dal praticante nel dettaglio per raggiungere un equilibrio fermo e
solido, per evitare al centro di gravità del corpo fisico di sbilanciarsi negli spostamenti come al
centro mente/cuore nel mutamento.
In qualsiasi tipo di esecuzione musicale, nei più ardui e spericolati passaggi come nelle più semplici
e agevoli melodie, il pianista ha la necessità di essere seduto in modo da sentirsi stabile e allo stesso
tempo in una posizione che gli consenta di muoversi liberamente e senza sforzo. Gran parte del
peso infatti si scarica sullo sgabello, ma una parte poggia sui piedi, specialmente quando il corpo è
in movimento e si sposta leggermente per cercare la posizione più vantaggiosa per ogni specifico
passaggio (il piede aiuta spostandosi o ruotando leggermente).
Un corpo che non riesce ad effettuare velocemente questi aggiustamenti e a mantenere una
posizione di equilibrio e stabilità, è destinato ad avvertire durante l’esecuzione una certa tensione
nel torso, nelle braccia e nelle gambe che può influire negativamente sul rendimento della
performance, anche in termini di tenuta della concentrazione.
Da una posizione di stabilità ed equilibrio è possibile per il pianista sperimentare pienamente un
altro importante concetto, quello del peso. Francesco mi ha spiegato che la gestione peso è una
componente della tecnica pianistica descritta e spiegata in molti modi e con differenti
interpretazioni e proprio per questo rimane spesso essenzialmente solo un concetto. Molta
confusione è stata infatti creata in materia di peso, massa, forza, energia e rilassamento e io credo
che questo ancora oggi succeda perché il peso va “sentito” e solo in questo modo può essere gestito,
perché è semplicemente il peso dell’arto, portato sulla tastiera da nessun altra forza che quella di
gravità, ma con determinate attenzioni.
La necessità di affrontare questo problema si manifestò con l’ingresso sulla scena musicale del
moderno pianoforte da concerto, dove il suono si produce mediante martelletti che, attivati dai tasti,
colpiscono le corde e il volume dipende esclusivamente dalla velocità con cui tale impatto avviene.
La vecchia scuola pianistica poneva invece particolare enfasi solo sulla forza delle dita, date le
caratteristiche meccaniche e tecniche degli “antenati” di questo strumento, il clavicordo e il
clavicembalo e dell’organo.
Nel pianoforte moderno, e con la nuova letteratura pianistica, la vecchia ‘tecnica delle dita’ si rivelò
insoddisfacente, perché lo sforzo richiesto ai muscoli era notevole, per cui fu necessario trovare un
nuovo approccio, chiamato appunto ‘tecnica del peso’ dato che sfruttava il peso dell’arto anziché la
sua forza.
Si formò così la ‘scuola del rilassamento’, che non fu però sufficiente ad esaltare le caratteristiche
del nuovo strumento in quanto il beneficio si limitava ad una minore fatica, mentre i muscoli
“rilassati” tendevano a suonare in maniera flaccida e diseguale, privi di quella precisione che
davano invece i muscoli tenuti in tensione.
18
19
Una reazione data dal grado di elasticità dei tasti, che si ha quando le dita li spingono fino in fondo.
Sandor
16
Si torna quindi e ancora una volta alla consapevolezza corporea, alla capacità di “formare muscoli
intelligenti”, elastici ed estremamente reattivi, la cui condizione deve essere continuamente
cambiata, perché alcuni sono a volte sotto sforzo e altre volte no, altri ancora si rilassano e
l’esecutore deve avere le capacità e la percezione necessarie per individuare quelli che vanno
attivati. Vanno quindi combinate la forza di gravità e l’energia muscolare, sviluppando la capacità
di cedere e abbandonarsi al peso senza infiacchirsi, mantenendo tensione vitale ed energia ed
alternando continuamente momenti di parziale rilassamento all’attività muscolare.
Il TJQ stile Chen aiuta molto a comprendere tutto questo, la combinazione di duro (gang) e morbido
(rou) rappresenta la sua essenza ed il primo non significa semplicemente l’uso della forza, come il
secondo non significa l’assenza di forza. 20
Il TJQ rappresenta la scoperta del proprio limite, più correttamente del proprio potenziale, ed in
questo specifico ambito insegna ad afferrare, fissare e quindi usare quel momento prima che la
giusta ed efficace tensione diventi inutile sforzo e fatica, ed il giusto, consapevole e comunque
vitale rilassamento si trasformi in mollezza e abbandono, e solo la presenza di queste condizioni
permette di passare agevolmente dall’uno all’altro.
Questa particolare abilità rappresenta sicuramente una delle prerogative fondamentali che devono
appartenere ad un pianista perché è da essa, alla resa dei conti, che nasce e si sviluppa la qualità
del suono ed il suo colore e si manifesta la capacità espressiva dell’esecutore.
Infatti sia nella tecnica della caduta libera, cui ho accennato parlando del rimbalzo, che in quella
della spinta, di cui parlerò tra poco, la rapidità nel cambiare atteggiamento muscolare e quindi
anche mentale, è essenziale.
Nella prima, da una condizione di rilassamento durante la caduta prodotta dalla forza di gravità e
dal peso, si passa ad una momentanea tensione dei muscoli dell’avambraccio nell’ istante del
contatto con la tastiera, trasmettendo ai vari tasti, attraverso le dita, tutta l’energia della caduta.
Dopo questo brevissimo momento quei muscoli si rilassano nuovamente, mentre quelli della spalla
e del busto sollevano il braccio per poi cedere ad una nuova caduta.
La spinta, invece, prevede l’uso esclusivo della forza muscolare con l’esclusione di peso e forza di
gravità. In questo caso le dita sono costantemente appoggiate sulla tastiera e spingono i tasti verso il
basso, esercitando una pressione, una spinta, con una improvvisa e momentanea contrazione di
alcuni muscoli del corpo (pettorali, muscoli dello stomaco, tricipite e flessori dell’avambraccio),
una sorta di scossa elettrica che produce un guizzo di velocità alla punta del dito, ed è quest’ultima
che imprime volume al suono. Dopo questa minima frazione di secondo, i muscoli devono tornare
immediatamente nella loro condizione originaria, pronti per una nuova contrazione ed una nuova
spinta, per evitare che, se la contrazione non è breve e istantanea, il suono risulti duro e forzato.
I classici del TJQ dicono che ‘dallo scioglimento si diviene morbidi; avendo accumulato la
morbidezza si manifesta la durezza; quando la durezza si esprime ritorna alla morbidezza’ .21
Chiudo questa parte relativa alla consapevolezza corporea prodotta dalla pratica del TJQ e gli
aspetti in cui può manifestarsi, non perché non ve ne siano altri, ma perché credo di aver descritto i
più importanti per un pianista.
Non ho volutamente affrontato il tema della consapevolezza in termini più profondi e totalizzanti,
che il TJQ risveglia e fa emergere. Questa disciplina, in accordo con il pensiero cinese in cui si è
sviluppata, è globale e la sua stessa definizione tocca e raccoglie in sé piani e dimensioni diversi,
armonizza il respiro dell’Uomo con quello dell’Universo e quel respiro può essere chiamato anche
soffio, essenza, suono, energia, vibrazione che tutto genera e attraversa.
Il TJQ entra nel profondo perché parte dal profondo, dove non c’è differenza fra fisico, emozionale
o mentale, c’è solo il wuji, il nulla da cui si originano e separano lo yin e lo yang e verso il quale
ritornano, c’è il potenziale di ognuno e di tutte le diecimila cose.
20
21
Gaffney
Gaffney
17
Diventa quindi chiaro come la consapevolezza corporea non arrivi sola ma insieme ad altro e non
sia ascrivibile al solo corpo ma penetri in profondità chiunque la raggiunga, cosi che il praticante
cambierà il modo di praticare e il pianista quello di suonare, nello stesso modo in cui tutti e due
cambiano l’immagine di sé.
Tutto questo è troppo grande per essere descritto, almeno per me, ma soprattutto credo che
appartenga all’esperienza, alle convinzioni e alle finalità di ognuno.
Queste stesse motivazioni mi hanno portato a non parlare del Qi e di come attraverso la pratica del
TJQ la forza vitale vada a sostituire in maniera progressiva quella puramente muscolare. Sarebbe
stato interessante provare a rapportarla all’ambito musicale, ma sarebbe stato un puro esercizio
teorico. Questo tipo di abilità si sviluppa dopo anni di intensa pratica e con il TJQ come fulcro della
propria vita, non basta allenarsi in palestra o frequentare corsi e questo lavoro ha essenzialmente un
fine pratico, immediatamente riconoscibile ed è diretto a persone che la loro via l’hanno già scelta
ed è ugualmente totalizzante. Il rischio era quindi di scrivere di qualcosa che fosse magari
affascinante, ma rimanesse solo concettuale e non verificabile neanche in minima parte da me e dai
miei amici musicisti Francesco e Maurizio, un contrabbassista che si è aggregato in corsa. Niente ha
lo stesso valore dell’esperienza, del sentire col corpo ciò che si dice a parole e tutto ciò che ho
finora scritto loro due l’hanno percepito, nei limiti del poco tempo che abbiamo avuto per lavorare
insieme. Sono professionisti abituati allo studio, artisti sensibili al dettaglio e persone disposte a
mettere in gioco loro stessi e il loro metodo di studio, le loro convinzioni musicali e ciò che gli è
stato insegnato in anni di conservatorio. Si sono accorti di qualcosa su cui dovranno lavorare molto,
ma che hanno potuto mettere subito in pratica, ne hanno visto il potenziale e mi hanno aiutato a
capire dove poteva essere applicato. Questo era ciò che mi interessava e se qualcos’altro arriverà
dovranno accorgersene da soli se andranno avanti con il TJQ, sentendo il bisogno di scendere più in
profondità, perché qualcosa spinge per venire in superficie.
5. PRATICA E
PERFORMANCE MUSICALE
Ho analizzato vari aspetti separatamente soltanto per maggior chiarezza nell’esposizione, ma, come
ho già detto, è impossibile e sbagliato estrapolare delle parti di questa disciplina dal suo complesso,
come è innegabile che già un miglioramento delle condizioni generali di salute comporti un miglior
risultato nelle cose fatte.
Risulta evidente dunque la relazione che intercorre anche tra la pratica del TJQ, che allena
specificatamente attitudini fondamentali per il musicista (in questo caso pianista), ed il
miglioramento delle performaces musicali.
In questa parte voglio verificare come le considerazioni fatte finora insieme a Francesco possano
effettivamente trasmettersi nella sua attività musicale almeno a livello potenziale, dato che pratica
da poco tempo.
Francesco ha cominciato a sperimentare suonando delle scale di note in cui si parte dal pollice e si
arriva al mignolo, passando da un impegno solo meccanico e articolare delle dita ad un movimento
gestito invece dal peso delle dita stesse e dalla rotazione del polso, cercando di sentire rilassati
spalle e gomiti e portando attenzione alla sua stabilità. Il risultato è stato un suono più morbido ed
un aumento della velocità di esecuzione.
Sono presenti, nello studio del pianoforte, degli esercizi in cui una mano deve saltare da una parte
all’altra della tastiera e poi tornare ad un accordo dal lato di partenza. Usando le traiettorie del
Taijiquan, Francesco ha trovato tali esercizi più semplici da eseguire e anche esteticamente il gesto
musicale è risultato migliore, più intenso ed avvolgente, come se il contatto con lo strumento non
fosse mai perso.
Ha potuto osservare come qualsiasi movimento sulla tastiera, verticale o orizzontale, possa essere
ricondotto a linee curve e circolari e, in caso di salti orizzontali (“movimento di va e vieni” da un
18
lato all’altro del pianoforte), se il movimento dell’intero braccio (spalla, braccio, avambraccio e
polso) prende un moto circolare altrettanto continuo, l’esecuzione risulta più sciolta, tranquilla
(anche in tempi molto rapidi) e sicura.
La traiettoria circolare presenta numerosi vantaggi rispetto al movimento comunemente usato, fatto
di tre gesti, alzare verticalmente la mano, spostarla orizzontalmente sulla tastiera, riabbassarla sul
punto d’arrivo. Uno spostamento di questo tipo, secondo Francesco, risulta più macchinoso,
dispersivo ed insicuro rispetto ad uno circolare che invece richiede un solo gesto, da’ una maggiore
coscienza del punto di arrivo, maggiore precisione, risparmio di energie e aumento di velocità.
Se poi questo “va e vieni” diventa continuo, un valido aiuto per affrontare questo tipo di esecuzioni
lo da’ al pianista la possibilità mentale di continuare la curva chiudendo il cerchio per ritornare al
punto di partenza, usando anche il movimento del busto.
Più in generale ha percepito l’utilità di un corpo mai completamente fermo, una difficoltà ulteriore
per il pianista se una composizione ha molte pause e le braccia e le mani si fermano spesso. In quel
caso c’è il rischio di ritardare l’attacco, perché tra la decisione e l’azione c’è un minimo tempo di
scarto e la necessità di far ripartire le mani, a volte precipitosamente, può dare un suono troppo
aggressivo o approssimativo. Suonando con un approccio legato al Taijiquan, ha provato a non
sentirsi mai fermo, a continuare a seguire e ascoltare anche nelle pause un movimento interno ed
un’”intenzione attiva” che gli ha permesso di non perdere il ritmo di quello esterno. Attimi in cui il
corpo continua a suonare, semplicemente non trasmette quel suono alla strumento. In questo modo
gli attacchi e la gestione del tempo sono risultati molto più gestibili.
Grazie ad una maggiore consapevolezza corporea, ha potuto “guardarsi suonare” e notare
atteggiamenti o porsi domande su problematiche strumentali magari studiate, ma non sperimentate
fisicamente, come la difficoltà nell’aumentare la velocità senza aumentare la pressione sui tasti, per
non modificare, se non è necessario, il carattere del suono. Riuscire quindi a controllare la propria
energia ed il peso che si porta sul tasto, anche ad un ritmo sostenuto, o comunque variabile da lento
a veloce.
Questo tipo di attenzione alla condizione del corpo, modifica anche il carattere del suono, che
risulta secco, vuoto e destinato a spegnersi in breve tempo nel caso di movimento meccanico di un
dito, ma pieno e durevole se il tasto viene suonato portandovi consapevolmente il peso della mano
o del corpo.
Allo stesso modo, se è necessario un suono soffuso deve calare la pressione portata sul tasto, ma
non la velocità: non va quindi premuto il tasto lentamente, altrimenti il martelletto non va a battere
sulla corda, ma vi si appoggia, non generando alcun suono, o uno appena udibile.
Va poi considerato il fatto che ogni dito ha una diversa potenza, forza e peso rispetto all’altro,
quindi è compito del polso gestire l’intensità di come ognuno arriva sul tasto, ruotando e portando il
peso della mano sul dito che preme.
Suonare usando soltanto la meccanica e il peso delle dita in sospensione, tenendo quindi dalle
spalle, oltre a richiedere un notevole sforzo fisico, dal punto di vista della performance permette un
numero relativamente limitato di possibilità e di variazioni del suono, sicuramente molto inferiore a
quelle che offre il suonare usando il peso di tutto il braccio e del corpo, fino all’ appoggio sullo
sgabello. Una maggiore consapevolezza corporea aumenta la sensibilità sullo strumento poiché le
dita possono rilassarsi e nel tempo irrobustirsi, visto che viene scaricato sopra il polpastrello il peso
di tutto il braccio. Cambia quindi anche il tipo di contatto sul tasto, accarezzato, premuto o colpito
da un dito non teso, ma robusto e forte che riceve l’impulso del gesto dal movimento del polso,
delle spalle e del busto e su cui si riflette una gestione del peso nata altrove… nella mente,
nell’intenzione che diventa il movimento e, senza il filtro delle rigidità, lascia emergere il suono
immaginato.
Il suono che nasce dal solo movimento delle dita, o da quello delle spalle, risulta meno versatile e
soprattutto non è un suono pieno, vivo e capace di trasmettere il proprio carattere.
Quando il suono si libera e si unisce all’intenzione, le potenzialità diventano infinite. Credo sia
quello che Francesco in linguaggio tecnico chiama “il cambiare colore al suono”, la capacità che
19
hanno i grandi pianisti di far addirittura nascere in chi ascolta la sensazione che alcuni suoni siano
prodotti da altri strumenti.
Tutto questo aiuta a capire la dinamica stessa del suono e la fondamentale importanza della
percezione delle dita, della loro forza, del loro muoversi in accordo guidate da un polso che
ruotando gestisce e distribuisce pesi e suoni, ricevendo il peso del braccio rilassato e fluido nel
movimento perché sostenuto da spalle e tronco appoggiate sul bacino. Conoscenze o intuizioni a cui
Francesco non riusciva a dare piena concretezza e che, con l’ascolto profondo del corpo, ha potuto
fisicamente sperimentare negli esercizi del Taijiquan.
Altra importante osservazione riguarda il rilassamento rispetto al panico da palcoscenico: un grosso
problema di Francesco è sempre stato quello di sentire molto il pubblico, non riuscire a porre un
netto confine tra se e chi lo ascolta. Ciò lo porta ad irrigidirsi e nei casi più pesanti a bloccarsi, a
non raggiungere la “divina condizione” richiesta. L’irrigidimento toglie elasticità, morbidezza e
fluidità al movimento, blocca il respiro e annebbia la percezione gravando sulla performance.
I suoi insegnanti gli hanno sempre detto di partire dal respiro per uscire dall’ impasse: “Ascolta il
respiro, respira lentamente, rilassalo e si rilasserà il corpo”. Lui ha provato ad invertire il
processo. Ha cominciato ad ascoltare il corpo, riconoscendo le rigidità e le tensioni che si erano in
un attimo create. Le spalle appese, il sedere non seduto, i piedi non appoggiati, il collo indurito e le
scapole inchiodate. Ha fatto scorrere il proprio “sguardo” attraverso i muscoli, ha viaggiato dentro
gli spigoli, visualizzandoli, e questi, stanati e messi a nudo, hanno cominciato ad addolcirsi,
lasciandosi penetrare dal respiro che come acqua si è fatto strada con forza tranquilla. Tutto il corpo
ha cominciato a tornare gestibile in ogni sua manifestazione e gli è stato molto più facile suonare. È
un buon inizio.
Un’altra cosa estremamente positiva è stata la scoperta per Francesco delle molteplici possibilità di
movimento che il corpo può avere durante l’esecuzione. Lo studio, la tecnica e l’impostazione
tendono a limitare la libertà corporea sullo strumento. Posizione dei gomiti, movimenti dei polsi e
delle dita sulla tastiera, specifici modi per eseguire determinati passaggi, impongono a volte faticose
e innaturali manovre al pianista. Ognuno di noi attraverso le esperienze, i limiti che ci imponiamo,
le insicurezze, i rifiuti ricevuti, le paure che incontriamo nel nostro percorso di persone nel mondo,
tende a limitare l’ampiezza della propria visione, la libertà di esprimersi e quindi la libertà dei
movimenti corporei. Con il tempo ne perdiamo la coscienza, non riusciamo più a vederli o
immaginarli e se a questo vissuto, che ci riguarda tutti, aggiungiamo un modo di lavorare, una
tecnica che, in nome di un migliore risultato, ci impone altri paletti, finiamo per non accorgercene
nemmeno.
Sia chiaro che con questo lavoro, superficiale e non scientifico, non è mia intenzione confutare i
metodi dei conservatori, le mie sono solo riflessioni, curiosità che con l’aiuto di un amico cerco di
soddisfare.
Detto questo, è stato interessante notare come Francesco abbia trovato utile riscoprire che le
diverse articolazioni delle braccia possano muoversi insieme, ruotare su un asse, in maniera
naturale, invece di obbligare magari la mano ed il polso ad un gesto che lasci fermo il gomito.
Io credo che, oltre ad essere utile a limitare fastidiose e dolorose patologie, questo atteggiamento
rappresenti una riconquista di spazi, fisici e mentali, che con il tempo si sono persi. Una conferma
di questo viene dai bambini a cui Francesco insegna, fra cui mia nipote di nove anni, che ho quindi
modo di osservare spesso. Mi ha fatto notare, da insegnante, che un pianista bambino, se deve fare
un passaggio sulla tastiera in cui non basta la rotazione del polso o l’inclinazione del busto, in
maniera spontanea sposta tutto il braccio, o alza il gomito, o ruota sulla spalla, o più cose insieme e
il risultato non cambia: una sorta di coordinazione istintiva. Più gli allievi sono grandi più questa
disponibilità a muoversi diminuisce e cresce il bisogno di regole, come nella vita.
Ma la Musica, l’Arte, aggiungo io, non sono altro dalla vita e seguono gli stessi percorsi.
20
Noi non siamo mai altro da ciò che facciamo, soprattutto se amiamo farlo e lui cerca di non togliere
questa libertà ai suoi allievi, ma di integrarla insieme alle necessarie indicazioni che un insegnante
di pianoforte deve dare.
Francesco sta in questo momento perfezionando il suo percorso artistico frequentando l’Accademia
di Pianoforte di Pier Narciso Masi, un prestigioso pianista. Si aspettava di trovare risposte
‘illuminanti’ per migliorare tecnica ed esecuzione, ma ha constatato che i grandi vivono la musica
su un altro piano, oltre la tecnica, la descrivono, la dipingono, ne sfumano i canoni ed i confini, la
liberano dagli spartiti e la suonano spesso con molta più libertà di quella che viene insegnata.
Voglio aprire, a questo punto, una parentesi su un altro musicista che si è aggregato ai nostri
allenamenti e alle conversazioni, all’inizio con curiosità, poi con grande entusiasmo. Si chiama
Maurizio, anche lui è un professionista, suona il contrabbasso e mi sta sorprendendo per i benefici
che riconosce come derivanti dalla pratica del Taijiquan.
Anche nel suo caso la prima scoperta è stata quella del proprio corpo, dell’appoggio, visto che
suona in piedi, e dei vizi posturali che gli trasmettono le ore passate sullo strumento. Questo
strumento, infatti, impone a chi lo suona una postura asimmetrica con il contrabbasso appoggiato
sull’anca, causa di forti dolori al collo ed alla spalla che tiene l’arco.
Ha potuto rendersi conto, cominciando ad ascoltare il corpo, di suonare con quella spalla
costantemente tesa e sollevata, riuscendo così a visualizzare un atteggiamento posturale diverso.
Stare con quella spalla sollevata non era necessario, ma non ne aveva mai preso coscienza, non
sentiva di tenerla in quel modo.
Altro vantaggio che ha trovato è quello nella stabilità. Suonare in piedi con uno strumento di grosse
dimensioni appoggiato addosso è più semplice, meno faticoso e da migliori risultati se ci sono
equilibrio e un buon radicamento a terra, che permettono alla parte superiore del corpo e alle
braccia di muoversi con maggiore libertà, fluidità velocità e sicurezza.
Sempre lavorando sull’appoggio, ha preso coscienza del disagio al ginocchio destro, che durante le
esecuzioni viene tenuto teso e con un grosso carico di peso22. Provando a sedersi sul bacino e
flettendo leggermente il ginocchio ha notato che aumenta la sensazione di presa a terra e la
sensazione di dolore al ginocchio ha cominciato ad attenuarsi.
Un suo problema dal punto di vista dell’esecuzione musicale, è che quando suona un ‘fortissimo’ o
comunque un suono forte, aumenta la forza sull’avambraccio, per imprimere maggiore pressione
sull’arco e quindi sulle corde. Il risultato è un suono forte ma “schiacciato”. Ha usato proprio questo
termine: il suono si schiaccia, cioè si spegne subito perché la vibrazione è compressa dalla rigidità
del braccio che preme. Portando invece peso e non forza ciò non succede e scaricando il peso dalla
spalla al braccio e quindi all’arco il suono risulta forte e duraturo, vibrante e migliora così la
gestione dell’arco.
Ascoltando il corpo ha intuito che la forza non ha bisogno di rigidità, che diventa sforzo e limita il
movimento. Ha così potuto liberare anche il vibrato, un particolare tipo di suono ottenuto con
movimenti, appunto vibrati, della mano sinistra, quella senza archetto.
Mi ha detto che più scendeva lungo il manico dello strumento, alzando l’estensione delle ottave, più
diventava difficile ottenere un vibrato fluido ed intenso. Nel Taijiquan il miglioramento è aumento
di consapevolezza e questo lui ha fatto: si è ascoltato, scoprendo, dopo anni, che più scendeva verso
il basso, più spalla e tricipite si irrigidivano, al punto di bloccare il movimento dell’avambraccio,
del polso e delle dita, generando un suono strozzato, intermittente. La percezione di questo
atteggiamento gli ha permesso di poterne prendere consapevolezza, prestarci attenzione e iniziare
ad ottenere piccoli miglioramenti.
Francesco e Maurizio sono dei professionisti, persone che studiano da anni e sanno che
continueranno a studiare sempre, abituati al confronto e a mettersi in gioco e questo è bello anche
22
Molti contrabbassisti sviluppano patologie dolorose croniche su questa articolazione.
21
perché dei risultati sono quasi immediati, evidenti e, soprattutto, loro riescono con precisione a
descrivere ogni sensazione che avvertono. E’ come dargli un tasto o una corda in più, sono abituati
all’intuizione, al valore di un accorgimento, anche piccolo, che al loro livello provoca importanti
cambiamenti, soprattutto su uno strumento, come il contrabbasso, dove il contatto delle dita va
direttamente sulla corda, quindi sul suono. Sul pianoforte, dove le dita premono su tasti che
muovono un martelletto che a sue volta impatta le corde, modificare l’approccio corporeo e il
livello di consapevolezza ha un effetto forse meno diretto, anche se Francesco mi parla di pianisti
che danno proprio l’impressione di suonare con tutto il corpo, con il peso e non con la forza e senza
rigidità e la differenza si sente.23
Chi ha talento vero, un approccio totale allo strumento ce l’ha in maniera naturale, talmente naturale
che non lo riconosce, non lo considera e quindi non sa nemmeno insegnarlo, o spiegarlo, perché
spesso lo ignora.
E’ la marcia in più di un cambio automatico: ce l’hai ma si innesta da sola. Chi non ha questa
fortuna non ne percepisce nemmeno l’esistenza, ma credo che la morbidezza e la consapevolezza,
una volta acquisite, provochino un salto verso un altro stadio, al di là della tecnica o dell’abilità e
permettano di valorizzare meglio il potenziale di ognuno, pur rispettandolo.
Sia Francesco che Maurizio praticano da poco tempo e non posso ancora registrare cambiamenti
importanti nel loro modo di suonare, fortemente strutturato e frutto di anni di studio e metodo. Nello
stesso tempo, però, la loro alta preparazione e la spiccata sensibilità e capacità di ascolto, gli ha
permesso di metabolizzare subito dei dettagli, delle modalità di approccio allo strumento, che hanno
inserito nel loro metodo e che gli hanno reso più semplice il lavoro, meno faticoso, con meno
controindicazioni per la loro salute fisica.
Questo mi fa pensare a quanto sia vero uno dei requisiti fondamentali della pratica del Taijiquan:
l’essere naturali. Lavorare con il peso del corpo, scaricare bene il peso, essere morbidi e quindi più
veloci e versatili, usare la forza solo nel momento in cui serve, respirare profondamente, restare
vigili ma non tesi, sono semplicemente atteggiamenti naturali, sono il semplice e spontaneo modo
con cui dovremmo affrontare ogni attività e aspetto della nostra vita e, quando una persona lo nota,
ci porta l’attenzione e lo sperimenta, comincia a farlo e comincia a chiedersi perché non lo aveva
fatto prima.
Sia Francesco che Maurizio mi dicono di non aver mai prestato attenzione in passato alla rigidità
che si crea nelle spalle o nei polsi mentre suonano, di non aver mai valutato il tipo di appoggio, ma
di notare soltanto dopo le esecuzioni una sensazione di fatica e di tensione ai muscoli. Provando a
portare attenzione all’appoggio, ad usare più il peso e meno la forza, le spalle o le dita o il collo
risultano meno provati... e suonare sembra più facile!
Durante il loro percorso di studio hanno lavorato molto sulla tecnica e sullo strumento, ma non
hanno mai pensato, e nessun insegnante glielo ha mai proposto, di lavorare consapevolmente sul
corpo, su loro stessi.
Siamo talmente abituati a vivere in una condizione di rigidità che non ce ne rendiamo conto fino a
quando non sperimentiamo la morbidezza, sentiamo il dolore ma non percepiamo che la tensione ci
blocca fino a quando il respiro inizia a fluire in ogni parte liberandoci… prendere coscienza di se’ è
aprirsi un mondo di possibilità…
23
In questo periodo sta lavorando su un’esecuzione a quattro mani, cioè un pezzo suonato insieme ad un altro pianista
su un solo strumento. E’ una pratica molto difficile perché il risultato dovrebbe essere quello di un suono complesso e
molto articolato, in certi momenti come se eseguito da una sola persona, in altri da due distinte ma armonizzate tra loro,
un dialogo con una sola voce. L’altro strumentista ha un approccio completamente diverso dal suo, con spalle braccia
polsi e dita che sono un unico pezzo e spingono sui tasti. Lui, per gli insegnanti che ha avuto e per ciò che stiamo
facendo, si muove sulla tastiera usando il peso e le articolazioni per premere sui tasti. E’ interessante osservare come tra
due persone che suonano bene, la differenza di approccio si manifesti nel suono e ciò dipende proprio dal carattere degli
esecutori, dal loro approccio alla musica e allo strumento, dalla diversa intensità nell’intenzione, dal differente respiro.
22
6. CHIUSURA/APERTURA
Daniel Barenboin sostiene che lo straordinario del musicista è il ricominciare da capo ogni volta che
si rimette sullo strumento. Citando un pianista di 87 anni che ha iniziato a suonare a 5, Rubinstain,
ha ricordato come ogni mattina di ogni giorno di tutti quegli anni, egli sentisse di ricominciare da
zero: del lavoro del giorno prima era rimasta la sensazione, l’esperienza, il ricordo, ma nient’altro,
perché il suono era finito un attimo dopo averlo eseguito. Anche nel Taijiquan, ogni volta che si
pratica è unica e ciò che rimane è ciò che quell’esperienza ti ha lasciato, non il movimento che è
nato, si è sviluppato ed è ritornato verso l’immobilità permettendo ad un altro di nascere. Il giorno
dopo, il momento dopo, è già qualcosa di diverso; non è come leggere un libro, o scrivere, o
dipingere, dove si può ripartire da un punto. Si riparte ogni volta da zero perché non si possono
fissare il suono o il movimento, perché quel suono o quel movimento appartengono ad un istante.
Voglio usare la sensazione che mi ha lasciato ascoltare quelle considerazioni, pronunciate da uno
dei più grandi pianisti viventi, per tirare le fila di tutto ciò che ho scritto finora, raccogliendo tutte le
specificità che ho individuato in un concetto più globale che possa raccoglierle, nella totalità di un
istante.
Il pianoforte è lo strumento con cui è più difficile diventare “uno”: il violino si preme contro il
corpo, il contrabbasso o il violoncello addirittura si abbracciano, gli strumenti a fiato ricevono aria
dai polmoni dello strumentista. Il pianoforte è indipendente, “una bestia con tre gambe” dice
Barenboin, a cui ti siedi a 50 cm. di distanza e devi prenderci il contatto solamente con le dita.
Per riuscirci è necessaria una notevole percezione di sé ed una grande capacità ricettiva, la
sensibilità, attraverso un minimo contatto, di sentire lo strumento, entrare in armonia con esso,
condividerne la vibrazione, diventare appunto “uno”.
La pratica costante di una disciplina come il Taijiquan fa emergere aspetti e atteggiamenti che,
quando diventano naturali e spontanei, danno origine ad una condizione che, citando nuovamente
Allevi, definirei divina, la PRESENZA, fondamentale per camminare nel mondo e cimentarsi con
una freccia in più al nostro arco in ogni attività, più capaci di cedere, di accogliere, di accettare e di
fare.
Prima di essere pianisti, pittori, insegnanti, commercialisti o qualunque altra sia la nostra
professione, siamo esseri umani, ed è a questo livello che la pratica costante del Taijiquan agisce.
Quella che con il tempo si manifesta non è una persona nuova, è paradossalmente più simile a sé di
prima, perché è più vicina alla propria natura, liberata di un po’ di quei pesi che si era caricata sulle
spalle, dei gesti che tratteneva sulle braccia o dei passi tenuti fermi nelle anche ad aspettare
momenti migliori… una persona capace di riconoscere il proprio corpo e le proprie emozioni, di
cedere all’uno e alle altre perché nello stesso tempo coltiva determinazione e solidità.
E’ la condizione che genera, a rendere il Taijiquan così utile, perché non è qualcosa che si impara,
diventa parte di chi lo pratica, modificando l’approccio e la percezione di sè e degli altri.
Assumono così un valore diverso percezioni e sensi, quello che si cerca o che diventa importante
quando si tocca o si ascolta qualcosa, il piacere che da’ ascoltare il proprio respiro o il corpo che si
muove all’unisono.
Ascoltare la singola articolazione mantenendo uno sguardo globale sul corpo, insegna a conoscere il
particolare avendo però chiaro il contesto e a considerare le cose in una prospettiva sempre relativa.
Questo può rendere più aperti alle esperienze, che possono essere vissute in modo più consapevole,
con maggiore curiosità ed entusiasmo.
Il pianista che si siede davanti allo strumento, quindi, non ha imparato qualcosa di nuovo dal
Taijiquan, ma è lui stesso ad essere un po’ diverso. Differente è il modo in cui sta sullo sgabello,
prende contatto sulla tastiera o vede lo strumento, perché altre sono le sensazioni che arrivano
dall’esterno e dall’interno e che il corpo riconosce e diversa è la sua condizione, il suo respiro, la
sua centratura.
23
Così, come il praticante vede mentalmente i movimenti della forma e sente le forze che si muovono
e si trasformano, così il musicista sviluppa il cosiddetto orecchio assoluto, la capacità cioè di
leggere uno spartito immaginandone il risultato sonoro e suonare in base a informazioni che
vengono dall’interno; leggere il suono, muoversi mentalmente, facce della stessa medaglia, dove
assume un ruolo fondamentale la connessione diretta tra intenzione e azione.
Ringrazio Francesco e Maurizio per la loro pazienza e lascio ad uno di loro il compito di chiudere
questo lavoro e di raccontare come lo ha vissuto:
Il “genio” sente il risultato che vuole ottenere e “naturalmente” il suo fisico reagisce ed attua la
serie di movimenti necessari per il raggiungimento dell’effetto voluto. Si tratta dunque di
visualizzare uno scopo e coordinare tutto il proprio essere perché tale fine venga raggiunto.
Da questa intuizione nasce tutto un nuovo mondo dove gli esseri maggiormente dotati per
determinate attività non sono degli eletti, ma semplicemente agiscono secondo natura nel modo più
funzionale possibile.
Anche noi comuni mortali quindi, che non abbiamo particolari attitudini, possiamo, se seguiamo
una giusta educazione, raggiungere risultati altrimenti impensabili.
Questo è il nodo che la pratica del Taijiquan può scogliere: la consapevolezza.
Essere coscienti del nostro corpo, dei suoi movimenti e/o volontà, di chi siamo, pregi e difetti,
essere consapevoli del mondo che ci circonda e come ci rapportiamo ad esso;
vedere, sentire, parlare.
Sviluppare una tranquillità attiva, mai sottomessa, ma in equilibrio costante in tutti questi aspetti,
in cui l’io è sempre presente, credo che sia il raggiungimento a cui ogni musicista, ma anche ogni
altra persona, dovrebbe tendere.
Le capacità di ascoltare, non solo con le orecchie ma con tutto il proprio essere, di interpretare (e
mentalmente e fisicamente), di visualizzare/concentrarsi, di riproporre grazie alla coordinazione
di tutti questi momenti, sono secondo me, e questo senza voler sminuire tutta una seria di
miglioramenti fisici e posturali, scioglimento delle tensioni accumulate, attenzione alla
respirazione, i punti in cui il Taijiquan mi ha aiutato maggiormente.24
24
M° Francesco Cioncoloni
24
BIBLIOGRAFIA
Atlante di Anatomia, Giunti
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