M. PEDRONI. COOLHUNTING. GENESI DI UNA PRATICA
PROFESSIONALE ERETICA. FRANCO ANGELI, 2010.
PP. 7-20.
Introduzione
Il sociologo è uno che scende in strada e interroga
il primo venuto, lo ascolta e cerca di imparare da lui.
(P. Bourdieu)
S. ha cominciato a occuparsi di moda per caso. Dopo essersi laureata in
Sociologia con una tesi su carceri e conventi quali forme di clausura dell’animo umano, chiede e ottiene dai genitori una somma di denaro per un viaggio
all’estero. Si trova a Parigi quando, una sera, un cliente del ristorante dove
lavora come cameriera rimane colpito dalle sue osservazioni e le chiede di
scrivere un report di tendenze a titolo di prova. S., che ha bisogno di soldi per
mantenersi e non ha alcuna intenzione di tornare a casa, accetta l’inattesa proposta e in qualche giorno redige il suo primo lavoro da cacciatrice di tendenze, segnalando ciò che colpisce la sua attenzione nelle effervescenti strade
della capitale francese. Il report piace al suo committente, che gliene affida un
altro, e poi un altro ancora, finché quello che era cominciato come un gioco si
trasforma in un vero e proprio lavoro. «Io son finita a fare il coolhunter per i
casi della vita, non sapevo neanche che esistesse questa figura», racconta S.,
che oggi coordina un pool di coolhunter per un ufficio stile internazionale e
insegna presso scuole professionali di moda e design.
Baysee Whigtman incontra DeeDee Gordon per la prima volta durante una
caccia di tendenze. Baysee lavora per l’azienda di calzature Converse e la sua
attività consiste nel frequentare ambienti metropolitani «quali i club di New
York, Tokyo e Londra, i rock and roll bars di Seattle e Portland o le strade di
Los Angeles», come scrive di lei il New York Times1. Mentre passeggia per
Boston armata di macchina fotografica alla ricerca di scarpe hip, alla moda, la
sua attenzione viene attirata dal negozio di DeeDee in Newbury Street, una
boutique chiamata Placid Planet. Dalla comune propensione a cogliere i segnali più cool della moda di strada nasce tra le due giovani donne un’amicizia
1
Cfr. J. Steinhauer, Feet First Into The Clubs, in «The New York Times», 22 maggio 1994.
7
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prima e una collaborazione professionale poi all’interno di Converse, che
Baysee lascerà per Reebok, mentre DeeDee fonderà con Sharon Lee l’agenzia
di ricerca Look-Look, una tra le prime a utilizzare una rete globale di corrispondenti alla ricerca di trend emergenti.
Cayce Pollard è una cacciatrice di tendenze del tutto particolare, con doti
che la fanno somigliare a una «rabdomante» nel mondo del mercato globale:
con un colpo d’occhio è capace di predire il successo di un logo. Il suo talento
nell’osservare e scoprire i dettagli stilistici sconfina a volte in una fobia delle
etichette e dei marchi aziendali, che Cayce rimuove accuratamente dai suoi
vestiti per evitare incontrollate reazioni fisiche e psicologiche prossime al panico. Cayce viene ingaggiata dall’agenzia Blue Ant di Londra per scovare
l’origine di alcuni filmati, le «sequenze», che compaiono a intervalli irregolari
e senza un ordine decifrabile nel web, alimentando la curiosità e le aspettative
di una sempre più numerosa comunità di appassionati. Il controllo della diffusione delle sequenze rappresenta una straordinaria occasione commerciale per
chi riesca a impossessarsene. Una posta in gioco elevata, insomma, che solleva un problema centrale nel rapporto tra fruizione di nicchia e fruizione di
massa: «Hai considerato che, se lo troviamo [l’autore delle sequenze], potremmo interrompere il processo?», chiede la coolhunter al suo committente.
Nonostante qualche iniziale resistenza, Cayce accetta di partecipare alla «caccia», che si rivela tutt’altro che priva di rischi: intrusioni nel suo appartamento
e attacchi hacker alla sua e-mail aprono una ricerca che oscilla tra i mondi
virtuali dei forum online e quelli reali di Londra, Tokyo e Mosca, dove finalmente Cayce intercetta l’artefice delle sequenze.
Le tre storie, che ruotano intorno alla figura del cacciatore di tendenze,
hanno origini molto diverse. S. è una professionista italiana, protagonista di
una delle oltre quaranta interviste che questo libro raccoglie, nel tentativo di
indagare il fenomeno – per certi versi emergente e per altri consolidato – del
coolhunting nel nostro paese. La sua avventura lavorativa, iniziata negli anni
Ottanta del secolo scorso, è emblematica della prima generazione di coolhunter, coloro che hanno trasformato – non sempre consapevolmente – l’osservazione e lo studio delle tendenze stilistiche e di consumo in un mestiere oggi
molto ambìto. L’incontro di Baysee Whigtman e DeeDee Gordon proviene
invece dalle colonne di The New Yorker, dove Malcolm Gladwell pubblica nel
1997 un articolo intitolato The Coolhunt. É qui che appare per la prima volta
il termine «coolhunter», per indicare un esperto di tendenze che perlustra i
contesti metropolitani alla ricerca di nuovi segnali espressivi, individuati principalmente nelle forme di abbigliamento dei giovani e delle subculture urbane
più effervescenti e innovative. Appartiene infine alla fiction il nome di Cayce
Pollard, protagonista del romanzo L’accademia dei sogni di William Gibson,
pubblicato nel 2003. Attraverso l’intrigante storia di una coolhunter free-lance, l’autore cult del movimento cyberpunk consegna la figura del cacciatore di
tendenze all’immaginario collettivo, affrontando con lucidità da saggista al8
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cuni nodi problematici sollevati dal coolhunting. Le sequenze di cui va in cerca Cayce, ad es., sono rappresentative della crescente importanza che, soprattutto grazie al web, sta assumendo la diffusione virale delle nuove tendenze e
dei prodotti culturali2 .
Oggetto di queste storie è il coolhunting, una modalità di ricerca che si fa
strada nell’ultimo decennio del Novecento rompendo i tradizionali schemi del
marketing e tentando una lettura più attenta del mondo del consumo, attraverso un’immersione nei contesti quotidiani di particolari fasce della popolazione
con tecniche ispirate all’antropologia e alla sociologia non standard, in cui
l’approccio quantitativo degli studi di mercato lascia il posto a (o viene affiancato da) un’osservazione etnografica diretta dall’intuito dei ricercatori.
Questo fenomeno, che spesso è descritto sinteticamente come ricerca delle
tendenze emergenti attraverso l’osservazione «in strada», è noto in Italia anche come «ricerca» o – con un termine più suggestivo e al tempo stesso fedele
all’inglese hunting – come «caccia» di tendenze.
Se esiste un mestiere, va da sé che dovrà esistere chi lo esercita. Ecco dunque apparire il coolhunter o cacciatore di tendenze, professionista dai contorni
ambigui capace di suscitare facili entusiasmi o, al contrario, spropositati timori. Da una parte, infatti, il coolhunting trova spazio su periodici e pagine web
che lo descrivono come l’arte di girare il mondo osservando le persone più
cool per trarne preziose informazioni sulle tendenze in atto, costruendo lo stereotipo ludico di una professione effimera ma fondamentale per il mondo della moda, esercitata da giovani globetrotter equipaggiati con fotocamera digitale, taccuino degli appunti e incontenibile curiosità. Di contro, invece, diversi
analisti e studiosi denunciano la capacità del coolhunting di deprivare i giovani e le subculture dei loro simboli identitari – un po’ come nella credenza di
quelle tribù africane che rifiutano di farsi fotografare per paura che la loro
anima rimanga intrappolata nell’immagine della foto – trasferendo tendenze e
usi dell’abbigliamento dai contesti vitali in cui sono nati al mondo artificiale
dei centri commerciali; in altre parole, dalla nicchia al mainstream. Emblematica in questo senso è l’espressione di Naomi Klein (2001: 100), che nei coolhunter vede dei «tampinatori legalizzati della cultura giovanile» dediti a un
saccheggio simbolico che prende in prestito le identità dei teenager e le gonfia
fino a farne fenomeni cool di portata globale.
Tra queste due alternative manichee si apre uno spazio di riflessione e di
indagine che finora è rimasto sostanzialmente vuoto: sul coolhunting non esiste, ad oggi, un corpus sistematico di studi e ricerche empiriche che mostrino,
superando le prospettive celebrative o al contrario quelle allarmistiche, in che
2
Le cronache danno spesso notizia di casi reali simili, come quello della cantante francese
Soko il cui brano, registrato su telefonino e caricato su MySpace nel novembre 2006, ha totalizzato in un anno oltre tre milioni di download ed è stato poi impiegato in una sfilata di Stella
McCartney e diffuso in radio da un deejay di Copenhagen, avviando le autoproduzioni a costo
zero dell’artista francese verso un successo inatteso.
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modo l’idealtipo del cacciatore di tendenze opera concretamente nel tessuto
sociale, con quale ruolo e con quali conseguenze sui processi culturali dei
mondi sociali in cui è attivo. Questo libro tenta di inserirsi in tale spazio ancora poco abitato, popolandolo con le storie di vita di 43 professionisti che a
vario titolo appartengono al mondo del coolhunting. E per farlo parte da una
serie di domande che ci guideranno nel tentativo di mappare e interpretare
criticamente il fenomeno del coolhunting.
Innanzitutto: quando prende corpo la figura del coolhunter? Può essere
definita una professione, e in che termini? Inoltre: quali sono i suoi legami
con il mondo della moda? Il coolhunting è un fenomeno rilevante anche al di
fuori del fashion system? E ancora: quale grado di sviluppo ha raggiunto il
coolhunting in Italia? Come viene svolta questa attività nel nostro paese, da
quali attori, con quali obiettivi e con quali conseguenze sull’industria dei consumi? Per terminare, il quesito di fondo – e al tempo stesso quello cui è più
impegnativo rispondere: che ruolo gioca il coolhunting nel rapporto tra mondo della produzione dei beni materiali e mondo del consumo? In che modo i
coolhunter contribuiscono alla creazione degli immaginari sociali di cui si
nutrono sempre più avidamente i consumatori contemporanei?
Per rispondere si possono scegliere diverse strade: questo libro percorre il
sentiero della sociologia. Differenziandosi da altri modelli disciplinari, l’approccio sociologico spinge il ricercatore a considerare l’oggetto di indagine
quale componente di un campo di forze e relazioni i cui ipotetici confini vengono inghiottiti dal flusso del mondo sociale, in un circuito dialettico in cui il
fenomeno indagato costruisce il suo ruolo e determina i suoi effetti avendo
come orizzonte la società intera. Contemporaneamente, la sociologia implica
uno sforzo empirico che vada a cercare sul campo le risposte ai quesiti nati
dentro una biblioteca: attraverso il vaglio critico del ricercatore gli attori sociali possono così raccontare il proprio vissuto esperienziale, e la sociologia si
fa «racconto di racconti» (Bovone 2000). Ricerca e teoria non possono che
convivere, nell’analisi sociologica, perché la prima senza la seconda è miope,
mentre la seconda senza la prima risulta vuota (Bourdieu 1992a).
1. Tre tesi
Questo libro sviluppa tre tesi principali sul coolhunting muovendo da alcune illuminanti categorie concettuali coniate dal sociologo francese Pierre
Bourdieu, ed in particolare le nozioni di «campo» e «intermediari di cultura».
Un campo rappresenta «una rete o una configurazione di relazioni oggettive
tra posizioni» (Bourdieu 1992a: 67) che, come un gioco, prevede dei partecipanti (agenti sociali portatori di interessi specifici), una posta in gioco
(l’obiettivo perseguito dai giocatori) e un investimento nella logica del campo
(illusio), di cui gli agenti coinvolti conoscono e riconoscono le logiche di fun10
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zionamento. Il campo è una realtà fluida, definita su base relazionale: la sua
conformazione dipende dalla posizione reciproca dei giocatori, che vi stabiliscono alleanze o scontri, rapporti di omologia o subordinazione, in virtù delle
risorse che gli agenti sociali possiedono e vi investono – risorse cui Bourdieu
dà il nome di capitale, e che si differenziano per quantità (l’ammontare del
capitale) e tipologia (capitale economico, culturale e sociale, quest’ultimo
consistente nel grado di controllo e integrazione degli agenti all’interno delle
reti sociali).
La teoria dei campi, esplicitata nella sua versione più esauriente in Les règles de l’art (Bourdieu 1992b), permette di spiegare come differenti sfere
dell’attività umana e mondi sociali si articolino e organizzino come ambiti
autonomi, con regole proprie talvolta incomprensibili a chi non appartiene al
campo. Il campo può essere conosciuto solo empiricamente, poiché è una
realtà in continuo movimento (Boschetti 2003), ma la sua struttura presenta
una costante articolazione nelle opposizioni autonomia/eteronomia e ortodossia/eresia. Un campo può infatti strutturarsi solo quando raggiunge una certa
autonomia (ricordando tuttavia che l’autonomia dei campi culturali da quello
politico ed economico può essere soltanto relativa). La seconda tensione dinamica che muove il campo e ne determina la trasformazione nel tempo è
quella tra la logica ortodossa di chi occupa posizioni legittime (cioè riconosciute come dominanti) e la logica eretica o eterodossa di chi vi si oppone,
tentando di sovvertire le regole del campo. Bourdieu applica questo modello
di analisi, ad es., al campo della moda parigino degli anni Settanta (Bourdieu
e Delsaut 1975; Bourdieu 2001a: 244-247), nel quale individua una contrapposizione tra couturiers affermati (collocati sulla rive gauche della Senna) e i
nuovi entranti nel mondo della moda (rive droite), caratterizzati da un modo
differente di creare e concepire l’abbigliamento, ma accomunati dalla lotta per
una medesima posta in gioco: «la legittimazione quale creatori di moda riconosciuti» (Volonté 2003: 55). Quel che è in palio, in ogni campo, è un potere
simbolico che
consiste nell’autorità, status legittimo che permette di agire legittimamente in questo campo,
campo nel quale i rapporti di forza tra agenti non si presentano che nella forma trasfigurata ed
eufemizzata dei rapporti di senso (Pinto 1998: 97).
La prima tesi qui sostenuta è che il coolhunting nasce, nella forma del fashion forecasting, all’interno del campo produttivo della moda, che tra gli anni
Sessanta e Settanta del secolo scorso elabora un modello previsionale delle
tendenze all’interno di un mercato che ha ormai consumato il passaggio dalla
haute couture al prêt-à-porter. Acquisendo autonomia dal campo della moda,
attraverso un distacco progressivo dall’ortodossia (rappresentata dalla ricerca
di tendenze endogene al sistema moda) e la messa in opera di pratiche eretiche mutuate dalle scienze sociali e dalla ricerca di mercato (che sposta il focus
sull’osservazione di trend socio-culturali), il coolhunting dà vita a un campo
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dotato di una logica autonoma e fuoriesce dai confini del campo della moda,
al quale è ancora legato, ma mediante una tensione che lo spinge verso il panorama a 360 gradi dei campi di produzione di beni di consumo.
I 43 professionisti intervistati nel corso della ricerca presentata in questo
testo appartengono in parte al fashion system, in parte ne sono estranei, e in
alcuni casi cavalcano con agilità il confine tra questi due mondi non impermeabili. É dalle loro biografie professionali che discende la seconda tesi che il
libro tenta di dimostrare: il coolhunting non è un professione, ma un’attività
professionale, vale a dire un mestiere multidimensionale e ancora troppo poco
codificato, sia in termini di percorsi formativi sia in termini di sbocchi occupazionali, perché lo si possa collocare con precisione nel panorama delle professioni; è tuttavia in corso un suo lento processo di istituzionalizzazione e
legittimazione sociale, attraverso la creazione di scuole e corsi di formazione
ad hoc, la definizione di un apparato metodologico più preciso e un intenso
legame con il mondo accademico, che da qualche anno vive un vivace rapporto dialettico con alcuni attori del coolhunting.
Soffermiamoci ora sulla categoria di «intermediari di cultura», che Bourdieu conia all’interno del suo testo più noto (La Distinzione, 2001a) per indicare categorie professionali nuove (o riadattamenti di professioni esistenti) e
poco codificate, che trovano collocazione
nei settori più nuovi della produzione culturale e artistica, come le grandi aziende pubbliche o
private di produzione culturale (radio, televisione, marketing, pubblicità, ricerca di scienze
sociali ecc.), in cui i posti e le carriere non hanno ancora raggiunto la rigidità delle vecchie
professioni burocratiche, e in cui il reclutamento si fa ancora, per lo più, per cooptazione, cioè
in base alle «relazioni» e alle affinità di habitus, piuttosto che in base ai titoli di studio (Bourdieu 2001a: 154).
Gli agenti coinvolti a vario titolo nel coolhunting, collocati in una posizione cruciale tra i campi di produzione culturale e il campo del consumo, rappresentano – secondo la mia ipotesi – una categoria emergente di intermediari
culturali, i quali convertono forme di capitale culturale non-scolastico (come
quello trasmesso dalla famiglia nella forma del buon gusto e delle maniere) e
scolastico (titoli di studio nel campo del design, della moda, dell’architettura,
delle scienze sociali ecc., che hanno a che fare con la capacità di osservare)
dando vita a una nuova attività professionale: il coolhunting.
Il ruolo di «cerniera» tra produzione e consumo colloca gli intermediari
culturali in una posizione ambivalente (Bovone 1994) in cui possono svolgere
il ruolo di «cinghia di trasmissione» del gusto delle classi dominanti, secondo
la tesi sostenuta da Bourdieu, oppure di ponti tra le stesse, in una visione più
possibilista ispirata all’idea che i beni di consumo siano di per sé neutri, e che
acquisiscano un significato sociale di ponte o di barriera a seconda dei loro usi
sociali (Douglas e Isherwood 1984).
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L’azione di «intermediazione culturale» dei coolhunter si svolge all’interno
di campi produttivi soggetti a un andamento ciclico delle tendenze; campi che
hanno il loro emblema nella moda (caratterizzata da collezioni semestrali e,
da qualche anno, dai ritmi ancora più serrati della fast fashion), ma che oggi si
estendono ben oltre i confini dell’abbigliamento, andando a includere il design, il cibo, i viaggi, le automobili, solo per citare alcune delle tessere che
formano il mosaico degli stili di vita di consumatori sempre più competenti.
É questa la terza tesi sostenuta nel libro: il coolhunting è un’attività di intermediazione culturale che consiste nell’intercettare la distinzione, vale a
dire osservare le pratiche esperienziali dei consumatori e i loro immaginari
per coglierne gli aspetti distintivi e innovativi. Nel fare questo, si differenziano tanto dai produttori di beni di consumo – impegnati a creare distinzione –
quanto dai consumatori – intenti a vivere la distinzione –, ma al tempo stesso
uniscono questi due poli in una relazione sociale circolare fatta di interazioni
e scambi continui.
2. Questioni di metodo
Ho detto cosa questo libro è: una ricerca sociologica. Giova forse dire anche cosa non è: non un testo di marketing che intenda spiegare come utilizzare
il coolhunting per costruire attività di business3; non un reportage giornalistico che utilizza le storie raccontate per dipingere i mille volti del coolhunting4 ;
non un manuale professionale che insegna come esercitare questo mestiere5,
attraverso quali tappe formative e professionali. Ma per qualificare il libro
quale ricerca sociologica è utile spendere qualche parola sul metodo, vincendo
l’abitudine dei sociologi a relegare tale argomento in lunghe appendici dove si
avventurano solo scrupolosi metodologi.
Il volume espone i risultati di una ricerca condotta tra il 2000 e il 2009 6
con impianto metodologico non standard, attraverso lo strumento delle storie
3
È questo, ad es., l’approccio di Gloor e Cooper (2007).
Così fa Gladwell (1997), che dalla vicenda di Whigtman e Gordon prende spunto per analizzare l’inversione delle regole di circolazione della moda da una dinamica top-down a una logica
bottom-up.
5 Questo tipo di manualistica è ad oggi limitata alle pagine conclusive di Future Concept Lab
(2007).
6 Delle 43 interviste, 12 sono state realizzate tra il 2000 e il 2001 da un’équipe del Centro per lo
studio della moda e della produzione culturale dell’Università Cattolica di Milano, nell’ambito
della ricerca Cofin99 - Le professioni della moda (i cui risultati sono stati in parte pubblicati in
De Benedittis 2002 e Mora 2003); le altre 31 sono state invece realizzate tra il 2007 e il 2009
nell’ambito del progetto di ricerca Coolhunting: la circolarità della distinzione, tesi di dottorato
in Sociologia e metodologia della ricerca sociale che l’autore di questo libro ha discusso presso
l’Università Cattolica di Milano.
4
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di vita (Bertaux 1999), una modalità di intervista biografica 7 in cui l’intervistato è invitato a parlare della sua esperienza a partire da una consegna iniziale molto generica e il ricercatore non pone una serie di domande prestabilite,
ma cerca di stimolare il racconto in modo non direttivo, seguendo una traccia
d’intervista organizzata per temi (Bichi 2002). Lo strumento delle storie di
vita ben si presta a indagare fenomeni relativamente nuovi e poco esplorati,
permettendo di cogliere sfumature sconosciute al ricercatore; consente inoltre
di esplorare i mondi di senso degli intervistati, le loro produzioni discorsive,
partendo dal presupposto che attraverso il racconto sia possibile ricostruire
l’esperienza individuale degli agenti sociali. Come sostiene Znaniecki (1987:
35),
non è l’ambiente «di per sé» che interessa il sociologo; non si tratta di ricostruirlo fedelmente e
obiettivamente da un ideale punto di vista imparziale, ma al contrario riconoscerlo così come si
presenta all’individuo che in esso vive e lavora, per comprendere che cosa rappresenti per lui e
in che modo e misura gli oggetti che lo compongono entrino nel gioco della sua personalità
cosciente.
La situazione d’intervista non è mai completamente naturale né neutrale
per diversi motivi: innanzitutto, il racconto è stimolato ad hoc dal ricercatore;
inoltre, l’incontro tra intervistatore e intervistato genera un’interazione sociale
sulla quale influiscono le aspettative e le pre-nozioni (ciò che l’intervistato sa
dell’intervista e della ricerca, ciò che l’intervistatore si aspetta), le differenze
di status tra i due, le variabili ambientali (lo svolgersi dell’interazione in una
situazione protetta piuttosto che in un luogo di lavoro, in un bar ecc.). La relazione sociale che si crea è asimmetrica per definizione, perché
è il ricercatore che dà inizio al gioco e ne stabilisce le regole […] Questa dissimmetria viene
raddoppiata da una dissimmetria sociale ogni volta che il ricercatore occupa una posizione
superiore all’intervistato nella gerarchia delle diverse specie di capitale, e del capitale culturale
in particolare (Bourdieu 1993: 1393).
La soluzione proposta da Bourdieu nel suo saggio Comprendre consiste
nel riconoscere e tentare di controllare le distorsioni della situazione d’intervista attraverso «una relazione d’ascolto attivo e metodico, lontana tanto dal
puro laissez-faire dell’intervista non direttiva quanto dal dirigismo del questionario» (ibid.) e una «disposizione ad accogliere, che porti a fare propri i
problemi dell’inchiesta» (ibid.: 1406).
Il campione della ricerca si compone di 43 persone appositamente selezionate per il loro coinvolgimento in attività di coolhunting, a livello professionale e/o formativo (cfr. la tabella seguente).
7
L’intervista biografica, precisa Bertaux, conosce due modalità: il racconto di vita, nel quale
l’intervistato è invitato a parlare della sua intera esistenza, e la storia di vita, dove la narrazione
è circoscritta a un aspetto limitato di essa.
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Campione della ricerca
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5
Intervistato
Uomo prodotto, M 34
Stilista, M 35b
Stilista, F 32
Stilista, F 25
Stilista, M 35
Professione
Uomo prodotto
Stilista
Stilista
Stilista
Stilista
Società
Multinazionale moda
Propria azienda di moda
Azienda moda
Bureau de style
Multinazionale moda
Agenzia ricerca, F 31
Agenzia ricerca, F 29
Titolo di studio
Scuola moda
Scuola moda
Scuola moda
Scuola moda
Diploma artistico,
scuola moda
Stilista
Propria azienda di moda Scuola moda
Assistente stilista
Azienda moda
Diploma grafico pubblicitario
Consulente moda, cool- Propria società di consu- Scuola moda
hunter
lenza
Stilista
Azienda moda
Scuola moda
Stylist
Azienda moda
Scuola moda
Responsabile show room Azienda moda
Scuola moda
Coordinatrice pool cool- Bureau de style
Laurea sociologia
hunter
Responsabile vendite
Bureau de style
Scuola moda
quaderni di tendenza
Buyer
Boutique di moda
Laurea chimica
Docente
Scuola professionale
Laurea sociologia
moda
Architetto, coordinatrice Scuola professionale
Laurea architettura
corsi moda
moda
Giornalista di moda
Rivista moda
Laurea giurisprudenza
Direttore agenzia PR
Propria agenzia PR
Laurea economia, master
business administration
PR e organizzaz. eventi Agenzia PR
Laurea giurisprudenza
Direttore agenzia di
Propria agenzia di ricer- Laurea architettura,
ricerca
ca
Master marketing e
comunicazione
Consulente pianificazio- Propria agenzia di ricer- Laurea filosofia
ne strategica
ca
Direttrice agenzia di
Propria agenzia di ricer- Laurea semiotica, PhD
ricerca
ca
scienze del linguaggio
Ricercatrice
Agenzia di ricerca
Laurea filosofia
Ricercatrice
Agenzia di ricerca
Laurea sociologia
6
7
Stilista, M 32
Assistente stilista, M 24
8
Consulente moda, M 40
9
10
11
12
Stilista, F 33
Stylist, M 37
Show room, F 28
Coolhunter, F 44
13
Resp. vendite qdt, F 41
14
15
Buyer, M 60
Docente moda, M 50
16
Architetto, F 35
17
18
Giornalista moda, F 55
PR, M 31
19
20
PR, F 30
Agenzia ricerca, M 45
21
Consulente strat., M 60
22
Agenzia ricerca, F 49
23
24
25
26
Agenzia ricerca, M 34
Agenzia ricerca, F 24
Ricercatore
Ricercatrice
Agenzia di ricerca
Agenzia di ricerca
27
28
Agenzia ricerca, F 30
Coolhunter, F 27
29
Coolhunter, F 27
Ricercatrice
Agenzia di ricerca
Coolhunter, mac specia- Agenzia di ricerca
list
Coolhunter
Agenzia di ricerca
30
Agenzia ricerca, F 30b
Ricercatrice
Agenzia di ricerca
31
Coolhunter, F 36
Ricercatrice tendenze
moda
Free lance
32
Industrial designer, F 28 Industrial designer
Free lance
Laurea Dams
Scuola moda, Master
coolhunting
Laurea comunicazione
Laurea comunicazione,
Master gender studies
Laurea lingue, Scuola
moda, Master coolhunting
Laurea disegno industriale
Laurea filosofia, Master
economia, PhD arti
plastiche
Master industrial design,
Corsi coolhunting
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Intervistato
Professione
Società
Giornalista-fotografo, M Giornalista e fotografo Free lance
45
Coolhunter, M 30
Antropologo visuale,
Free lance
coolhunter
Photoblogger, F 29
Photoblogger, coolhunterFree lance
Titolo di studio
Diploma scenografo
Laurea psicologia
Laurea cinema, Master
pedagogia
Architetto, M 30
Architetto, blogger
Free lance
Laurea architettura
Coolhunter, F 34
Coolhunter, scrittrice,
Free lance
Laurea lingue, Master
traduttrice
comunicazione
Coolhunter, F 38
Coolhunter, art director Free lance
Diploma artistico, scuola
di trendbooks
moda (stilista)
Designer, M 36
Designer
Free lance
Laurea architettura
Stilista-consulente moda, Stilista e consulente
Free lance
Scuola moda, Master
F 35
moda
coolhunting
Stylist, F 30
Stylist
Free lance
Scuola moda
Fotografo, M 38
Fotografo
Free lance
Scuola fotografia
Economista, M 40
Economista, autore libri Unione industriale di una Laurea economia
moda
prov. italiana
Si tratta di uno snowball sample non probabilistico 8 in cui, per garantire un
grado di rappresentatività che possa dirsi «sostanziale» o «sociale» (Bertaux
1981), la costruzione «a valanga» è stata integrata da una scelta ragionata del
campione, vale a dire dall’individuazione di soggetti capaci di rappresentare
la varietà dei protagonisti del coolhunting. In questa scelta sono stati seguiti
alcuni criteri: (a) quello della differenziazione, attraverso l’individuazione di
soggetti molto diversi tra di loro; (b) quello della suddivisione rispetto ad
alcune variabili significative: «genere», «appartenenza-non appartenenza al
mondo della moda», «posizione occupata nel sistema del coolhunting (freelance, azienda, agenzia di ricerca, altra posizione)», «esercizio-non esercizio
di attività di docenza»; (c) quello dell’intensità, scegliendo soggetti che vivono in modo intenso le dinamiche oggetto di studio; (d) infine quello della criticità, ovvero la scelta di persone particolarmente ricche di informazioni in
ragione di una pozione o ruolo che permette loro di osservare da vicino il fenomeno del coolhunting, pur senza esercitare questa attività. La raccolta delle
storie di vita si ferma quando il ricercatore constata in modo evidente
il fatto che con l’aggiunta di altri soggetti non cresce più il piano di contenuti e la sua articolazione, ovvero si aggiungono pochissimi nuovi elementi mentre aumentano notevolmente le
sovrapposizioni tematiche e informative rispetto ai contenuti già rilevati (Frudà 2007: 138).
8
I coolhunter non compaiono nella classificazione Istat delle attività economiche (Ateco 2007),
né sono reperibili attraverso elenchi professionali quali le Pagine Gialle; la non esistenza di una
lista completa di questa popolazione rende pertanto impossibile un campionamento di tipo probabilistico.
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M. PEDRONI. COOLHUNTING. GENESI DI UNA PRATICA
PROFESSIONALE ERETICA. FRANCO ANGELI, 2010.
PP. 7-20.
Superata la quarantina d’interviste, la configurazione del campo del coolhunting in Italia è risultata sufficientemente chiara per poter concludere la
fase di rilevazione empirica.
Attraverso la rassegna di una letteratura sul coolhunting in larga misura
non scientifica, composta da articoli di giornale, saggi divulgativi, romanzi,
siti web, è stato definito un corpus di immagini del «cacciatore di tendenze»,
spesso stereotipate e semplificatorie, da sottoporre a verifica empirica. Questi
spunti sono confluiti in una traccia d’intervista composta da quattro macro-aree: (a) la formazione, ovvero come l’intervistato è giunto alla sua attuale professione, attraverso quali canali, contatti, circostanze, viaggi, esperienze formative; (b) le pratiche professionali, ciò in cui consiste praticamente l’attività
dell’intervistato, con particolare attenzione ai metodi di raccolta del materiale
empirico su cui si basa il coolhunting; (c) il rapporto tra sfera lavorativa e sfera privata; (d) la sfera della riflessività, focalizzata sull’autopercezione dell’intervistato e la sua valutazione del lavoro e del percorso professionale.
Le interviste, trascritte integralmente, sono state analizzate attraverso un
lavoro preliminare e ripetuto di lettura, cui è seguita una loro scomposizione
in segmenti tematici; all’interno dei testi sono state individuate, attraverso un
software per l’analisi testuale9, sia le categorie interessanti dal punto di vista
del ricercatore, sulla base della sua conoscenza preliminare del fenomeno, sia
quelle rilevanti dal punto di vista degli intervistati10. L’analisi del materiale
empirico segue una logica complementare, procedendo sia in senso verticale
9
L’analisi è stata condotta attraverso il software Tams Analyzer, che appartiene alla famiglia di
applicativi per l’analisi testuale non standard. L’analisi computer-assistita è spesso intesa come
sinonimo di maggiore scientificità e controllo sui dati; contro questa rappresentazione, pur
avendo io stesso utilizzato un software, occorre prendere posizione, ricordando che l’operazione di categorizzazione, svolta con tradizionali tecniche «a mano» o con più avanzati strumenti
informatici, rimane essenzialmente un’operazione governata dal ricercatore. Il software si rivela utile a fronte di un materiale molto vasto in cui la tecnica «carta e penna» rischia di creare
confusione e far perdere elementi utili. Funzione principale del software rimane quella di «etichettare» brani d’intervista, ordinando il materiale empirico sulla base di una richiesta del ricercatore.
10 Questa duplice attenzione ha lo scopo di valorizzare sia l’aspetto emic sia quello etic dei
concetti utilizzati (Lett 1990; Bichi 2006): il primo riguarda i costrutti espressi attraverso il
linguaggio e gli schemi concettuali della popolazione che è oggetto di studio, il secondo è relativo alle analisi formulate mediante gli schemi espressivi dell’osservatore scientifico. L’inconciliabilità dei costrutti emic ed etic può trovare una mediazione all’interno di uno sforzo interpretativo in cui il ricercatore si metta in ascolto degli universi di senso degli intervistati, evitando da una parte di sedimentarsi sulle proprie pre-conoscenze del fenomeno studiato, e dall’altra
di accettare senza problematizzazione né filtro teorico il punto di vista degli intervistati. Nel
corso del libro verranno spesso utilizzati brani d’intervista, corredati dal codice che identifica
professione, genere ed età dell’intervistato, al fine di illustrare i risultati dell’analisi; queste
citazioni non presuppongono in alcun modo un prevalere delle categorie del ricercatore su quelle del suo campione (o viceversa), né un uso di comodo della citazione come strumento di conferma delle ipotesi di ricerca, errore che Demazière e Dubar (2000) attribuiscono a un atteggiamento di ricerca etichettato come «illustrativo».
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(l’indagine all’interno della singola intervista, letta nel suo svolgersi biografico) sia in senso orizzontale (lo sguardo comparativo attraverso le interviste, al
fine di coglierne ricorrenze e differenze).
3. Come è fatto questo libro
La scrittura di un testo di sociologia nega per certi versi l’affermazione del
nobel bulgaro Elias Canetti, secondo cui «i veri scrittori incontrano i loro personaggi solo dopo averli creati». In questo libro, i personaggi preesistono rispetto al testo e l’autore li ha incontrati e intervistati. Ciò che ne risulta, tuttavia, non è un patchwork di biografie individuali, bensì un percorso teorico che
da queste storie nasce e se ne alimenta per sostenere delle tesi. L’unico personaggio che il sociologo può creare è, semmai, un idealtipo, o una serie di idealtipi, che senza coincidere con una figura reale riesce tuttavia a rappresentare i
tratti salienti di una categoria di agenti sociali – i coolhunter, nel nostro caso.
L’incontro tra le domande e le ipotesi di ricerca, da un lato, e le storie dei
coolhunter intervistati, dall’altro, ha generato un percorso argomentativo articolato in due stadi. Nella prima parte del libro (capp. 1-3) mi occuperò del
funzionamento dei campi della moda e del coolhunting. Ogni campo possiede
alcune regole di funzionamento proprie e un vocabolario specifico, oltre a una
posta in gioco che rappresenta l’obiettivo dei partecipanti alla competizione.
Nel cap. 1 individuo questa posta in gioco nel concetto di coolness, impalpabile proprietà verso la quale sono diretti gli sforzi tanto dei produttori quanto
dei consumatori di moda, oltre che dei coolhunter. Vero motore del campo, la
coolness differisce da altre categorie, come moda, stile, tendenza e stili di vita, con le quali ha tuttavia un certo grado di parentela.
Una volta fatta chiarezza in questo mercato linguistico delle categorie, nel
cap. 2 analizzerò la moda come campo di forze abitato da agenti sociali portatori di interessi differenti. Nella vastità delle questioni sociologiche messe in
luce dalla lunga tradizione dei fashion studies, concentrerò l’attenzione sul
problema della circolazione degli stili che, oltre a rappresentare una delle regole fondamentali di funzionamento del campo, riprende l’interrogativo posto
da Malcolm Gladwell nel suo articolo fondativo sul coolhunting: la caccia di
tendenze inverte realmente i meccanismi di diffusione delle mode, sostituendo
le élite sociali con le subculture e i margini quali fonti di innovazione ed elaborazione delle nuove tendenze? All’interno di questo quadro assume particolare rilevanza l’avvento del prêt-à-porter che, dagli anni Sessanta, eleva la
ricerca tendenze a problema centrale del mondo della moda, dove il fashion
forecasting getta le basi dell’avvento del coolhunting.
Proprio nel campo del coolhunting si addentra il cap. 3, ricostruendo la
biografia sociale del cacciatore di tendenze dai suoi primi passi all’interno del
fashion system fino alla conquista di una sfera di autonomia dal campo della
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moda. L’eresia dei coolhunter consiste nel rivolgere lo sforzo di ricerca non in
direzione delle sole tendenze stilistiche endogene al sistema moda, ma verso
l’intero spettro dei trend di consumo che nell’abbigliamento hanno una manifestazione paradigmatica ma non esclusiva. Con il coolhunting le tendenze
diventano un problema dell’intera industria dei beni di consumo.
Nella seconda parte del libro (capp. 4-6), dedicata alle «pratiche» del coolhunting, il campo si presenta attraverso le tre principali categorie di agenti
sociali che gli danno vita e le loro attività professionali: operatori del fashion
system, agenzie di ricerca di mercato e free-lance.
Le storie di vita di designer, buyer, stylist e altre figure che lavorano nel
mondo della moda mostreranno, nel cap. 4, come il coolhunting sia percepito
e praticato in ambito fashion in maniera dicotomica: da una parte, le aziende
di alta gamma e leader di mercato, attraverso gli occhi dei loro stilisti indissolubilmente legati all’immagine del couturier-creatore, vedono nel coolhunting
un cancro del sistema moda, consistente in una mera attività imitativa di idee
e linee già presenti sul mercato; dall’altra, imprese sia grandi sia piccole lo
adottano come necessario completamento della ricerca ispirazionale in un
contesto sempre più traboccante di segnali espressivi emessi dai consumatori.
Sono le agenzie di ricerca di mercato, oggetto del cap. 5, a demolire questo
argine, portando a pieno compimento l’eresia di un coolhunting che, sempre
più lontano dal mero fashion forecasting, si pone in ambizioso dialogo con gli
immaginari sociali, nello sforzo di leggere i nuovi lifestyles dei consumatori.
Rielaborando la pratica consulenziale dei bureaux de style e ampliando la vocazione degli istituti di ricerca all’indagine qualitativa, le agenzie connettono i
produttori di beni di consumo al mercato, studiandone movimenti ancora parzialmente inespressi attraverso reti globali di corrispondenti locali. É proprio
la struttura organizzativa delle agenzie a restituirci l’immagine di un coolhunting quale attività tutt’altro che uniforme e ludica: nel processo che separa il
brief di ricerca dal report finale intervengono non soltanto gli osservatori di
strada, ma anche professionisti con competenze analitiche e interpretative ai
quali è richiesto di trasformare il «materiale grezzo» dei coolhunter in visioni,
mappe, scenari. Tuttavia, fashion system e agenzie di ricerca non riescono a
esaurire e contenere lo spettro di professionisti dediti al coolhunting: architetti, giornalisti, fotografi, antropologi, scrittori ecc. vanno a formare un esercito
di free-lance che, collaborando ora con la moda ora con il marketing, sviluppano modi peculiari di svolgere la «caccia», sottraendo al coolhunting la possibilità di acquisire una fisionomia definitiva e, anzi, sottoponendo l’intero
campo a una condizione di «rivoluzione permanente».
Il cap. 6 pone invece alcune questioni cruciali per l’identità dei coolhunter.
La più urgente riguarda il metodo: quale identità metodologica può possedere
un approccio di ricerca praticato da professionisti tanto eterogenei? Pur in
assenza di regole univoche e condivise è possibile rilevare alcuni punti fermi:
il coolhunting è una modalità di ricerca di matrice osservativa, continuata nel
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tempo, con tratti mutuati dalla ricerca sociale e da quella di mercato, e un
orientamento etnografico e qualitativo, cui mancano però diversi requisiti per
potersi dire «scientifica». Un secondo interrogativo può essere formulato in
questi termini: ciò che nasce come pratica eretica e dunque marginale, può
dirsi oggi pienamente affermata? Sosterrò che il proliferare di corsi sul coolhunting e il suo legame – ancorché debole – con il mondo accademico sono
segnali di una progressiva istituzionalizzazione di un’attività che, tuttavia,
rimane ancora poco codificata. Infine: quale filo unisce coolhunting e giovani,
spesso additati come soggetto e oggetto delle cacce di tendenze? Il coolhunting mette in pratica un modello di sfruttamento delle idee e dei lifestyles di
teenager e subculture?
Il materiale empirico e i temi discussi nel testo mi consentiranno, nel capitolo conclusivo, di dare una definizione articolata di coolhunting, identificando sette profili idealtipici di «cacciatore di tendenze». Sarà così possibile tracciare un profilo del coolhunting quale campo di forze autonomo dal fashion
system, esercitato come attività professionale (e non come professione, cosa
che richiederebbe un maggior grado di codifica e istituzionalizzazione) da una
particolare categoria di «intermediari di cultura» il cui compito è intercettare
la distinzione nei comportamenti dei consumatori.
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