Capitolo 2 La dinamica Introduzione Passiamo adesso alle leggi del moto. Cerchiamo dunque di capire cosa determina il moto di un corpo. È abbastanza ben noto che lo studio della dinamica è essenzialmente uno studio moderno. Dice Ernst Mach∗: “Il fondatore della meccanica è Galilei. Ce ne rendiamo subito conto se prendiamo in esame alcune proposizioni degli aristotelici suoi contemporanei. Per spiegare la caduta dei corpi pesanti, essi affermavano che ogni corpo cerca il suo luogo naturale. Da poche e superficiali esperienze e osservazioni deducevano che i corpi pesanti cadono più velocemente e i corpi leggeri più lentamente. Questo è sufficiente per capire quanto fossero irrilevanti le conoscenze dinamiche degli antichi, ossia dei greci. Del resto già nell’antichità le teorie di Aristotele furono criticate e, in particolare, l’assurda opinione che la prosecuzione del moto di un proiettile sia dovuta all’azione dell’aria da esso mossa.” Si parte proprio da questo punto: un corpo fermo evidentemente resta fermo, ma anche un corpo che sia già in moto ad un certo punto si ferma. Occorre naturalmente capire che c’è l’effetto degli attriti. E se potessimo eliminarli? Allora il moto proseguirebbe rettilineo ed a velocità costante (principio di inerzia). A ben guardare, le cose sono un po’ più complesse, però il principio d’inerzia è la prima affermazione fatta in dinamica. La seconda verte sull’effetto di una forza applicata ad un corpo. Il secondo principio della dinamica ci mette in condizione di calcolare i moti, almeno nei casi semplici, comunque sempre in linea di principio. Anche se, in certe situazioni, è più facile usare i principi di conservazione: quantità di moto, momento della quantità di moto, energia. 1. Il principio d’inerzia Il primo principio della dinamica o principio d’inerzia afferma che un corpo in moto rettilineo uniforme persiste nel suo stato di moto, se non interviene una causa esterna. Che prove abbiamo che il moto persiste? Prendiamo un corpo, per esempio una pallina, e lanciamolo con una velocità iniziale ben precisa su di un piano. Certamente il corpo si fermerà, ma possiamo come al solito fare una serie di esperimenti parziali per giustificare il principio. Possiamo, per esempio, evidenziare che, mentre è vero che un corpo lanciato su un piano si fermerà dopo aver percorso una certa distanza, la distanza d’arresto è funzione dello stato della superficie del piano e del corpo. Possiamo rendere più lisce le superfici e notare che più esse sono lisce, più spazio il corpo percorrerà prima di fermarsi. ∗ Ernst Mach, La meccanica nel suo sviluppo storico-critico, Universale Bollati Boringhieri, pag. 149. Cap. 2 La Dinamica Con un po’ di pazienza ci possiamo convincere che, mentre l’enunciato dichiara “se non intervengono cause esterne”, queste cause esterne intervengono in realtà sempre. Quello che possiamo fare è diminuirne l’effetto, fino a convincerci, con un processo al limite, che eventualmente i corpi resterebbero in moto per sempre. In realtà, un corpo che si muove su un piano cadrebbe se non ci fosse il piano a sostenerlo. Presumibilmente ciò vuol dire che esso è soggetto ad una forza esterna, ma vuol dire anche che la reazione del piano annulla la forza che lo farebbe cadere, dunque è ragionevole ammettere che l’insieme della forze esterne agenti sul corpo diano in totale un effetto nullo e pertanto tali forze possono essere ignorate. Possiamo anche volgere gli occhi al cielo e provare ad interpretare quello che vediamo. I pianeti girano intorno al sole. Guardando il loro moto non possiamo ricavare una prova diretta del principio d’inerzia. Possiamo ricavarne però l’idea che moti praticamente eterni esistono in situazioni in cui non c’è attrito. L’enunciato del principio d’inerzia è semplice ma, se ci soffermiamo a riflettere per un attimo, non tutto è così facile. La velocità di un punto materiale è in effetti, funzione del sistema di riferimento cui riferiamo il movimento. Per conseguenza, se un punto si muove di moto rettilineo uniforme in un sistema, esso non si muoverà uniformemente in un altro, ma si muoverà di moto rettilineo uniforme solo nel sistema originale e in tutti i sistemi in moto rettilineo uniforme rispetto a questo. Per esempio, per un sistema ( Σ ). in rotazione . a = a '+ ω × ρ + ω × ω × ρ + 2ω × v ' . Ne segue che, se pure il principio d’inerzia è valido in Σ ' (cioè a ' = 0 ), esso non sarà valido in Σ (cioè a ≠ 0 ). Dunque, ammettiamo pure che esista un riferimento rispetto al rispetto ad un altro ( Σ ' ) abbiamo trovato: quale vale il principio d’inerzia, esso non sarà però valido in ogni sistema di riferimento, ma solo in quelli in moto rettilineo uniforme rispetto al primo. Questo ci porta a chiederci in quale riferimento il principio d’inerzia è valido, prendendo atto del fatto che, se esiste un riferimento in cui esso è valido, esistono infiniti sistemi in cui è valido, ma esso non è rispettato comunque in tutti i riferimenti. In effetti, il principio d’inerzia sulla terra ha dei limiti, perché la terra si muove, ruota: come si può affermare che un corpo lanciato continua a muoversi di moto rettilineo, se il corpo in questione gira sulla terra e con la terra? Secondo I. Newton, la risposta va cercata nel concetto di spazio assoluto. “Si sospenda, per esempio, un secchio a un filo assai lungo e gli si imprima un moto circolare continuo finché il filo divenga rigido a causa della torsione. Lo si riempia d’acqua e lo si lasci in quiete assieme all’acqua. Con una forza subitanea gli si imprima poi un moto circolare nel senso contrario. Lo corda svolgendosi, persevererà a lungo in questo moto; all’inizio la superficie dell’acqua sarà piana, com'era prima che il recipiente cominciasse a muoversi; ma in seguito questo, comunicando gradualmente la forza all’acqua, fa sì che essa cominci sensibilmente a girare. L’acqua si allontana un po’ per volta dal centro e sale lungo le pareti del recipiente, assumendo la forma concava” dunque in un primo momento l’acqua non si muove nello spazio assoluto e dunque la sua superficie è piana, ma quando comincia a girare appaiono delle forze “apparenti”, “non inerziali”, generate dal moto accelerato rispetto allo spazio assoluto e que2 Cap. 2 – La dinamica ________________________________________________________________________ ste forze danno all’acqua la caratteristica superficie a forma di paraboloide. In un certo senso, l’acqua “sa” di avere un’accelerazione nello spazio assoluto. Dunque si può dire che sia lo spazio assoluto a generare queste forze apparenti ovvero si può dire che il principio d’inerzia vale solo nello spazio assoluto. Secondo E. Mach, il vero problema è quello di definire questo sistema dello spazio assoluto. In fondo tutto quello che possiamo dire è che c’è un moto relativo fra vari corpi ovvero che le distanze tra questi corpi variano col tempo: rispetto a quali corpi o sistemi di riferimento uno specifico corpo si muove di moto rettilineo uniforme se non intervengono forze esterne? La stessa critica applicata al tempo assoluto vale cioè per lo spazio assoluto. Mach finisce con l’identificare il riferimento inerziale con il cielo delle stelle fisse: qui vale il principio d’inerzia e per conseguenza in tutti i riferimenti in moto rettilineo uniforme rispetto a questo. L’idea di uno spazio assoluto è fortemente suggerita in questa stampa del sistema tolmaico. 3 Cap. 2 La Dinamica 2. Il secondo principio della dinamica Cominciamo di nuovo dalla formulazione del secondo principio: Un corpo soggetto ad una forza subisce un’accelerazione proporzionale alla forza. Notiamo subito che questa affermazione include il primo principio della dinamica: se la forza è nulla, allora l’accelerazione è nulla e la velocità deve essere costante. Separando il principio di inerzia e stabilendolo come principio a parte si è voluto fare una forte affermazione sul fatto che la velocità di un corpo non soggetto a forze non è necessariamente zero. Il coefficiente di proporzionalità è la massa (inerziale). In formule: F = ma . A questo punto possiamo definire operativamente la forza. La forza è da intendersi come un vettore: ciò che spinge un corpo e lo accelera in una direzione deve avere necessariamente una direzione ed un verso. Siamo adesso interessati a …ma anche in questa del sistema copernicano non si è rinunziato allo spazio assoluto. 4 Cap. 2 – La dinamica ________________________________________________________________________ Kandinskij sembra avere le idee più chiare. definire delle operazioni di misura che associno alla forza un modulo, una direzione ed un verso. Tra le forze delle quali abbiamo una conoscenza immediata ed intuitiva c’è la forza-peso. Sappiamo tutti di essere soggetti ad una forza che ci fa cadere verso il basso, la cosiddetta “forza-peso”. Prendiamo dunque questa forza come esempio per darne una definizione operativa. Si sa che alcuni materiali, come la gomma ecc... mostrano delle proprietà speciali quando sono soggetti ad una forza: si allungano e generano a loro volta delle forze che bilanciano la forza esterna applicata. Si può dire la stessa cosa delle molle. Dunque prendiamo una molla di gomma oppure d’acciaio, di lunghezza l. Appendiamo ad essa un peso, come mostrato in fig. 1. Il peso potrebbe essere un cubetto di metallo di volume V. La molla si allunga e possiamo notare di quanto si allunga. Diciamo ∆l . Supponiamo di prendere adesso un cubetto dello stesso metallo, ma di volume doppio. Appendiamolo alla 5 Cap. 2 La Dinamica stessa molla e noteremo che l’allungamento stavolta è doppio: 2∆l . Possiamo continuare, notando che gli allungamenti sono proporzionali al volume dei cubetti e alla lunghezza originale della molla. Dunque potremmo stabilire che vale la seguente legge (di Hooke): ∆l = K ρVg , con: l Fig. 1: Misura della forza peso con una molla (dinamometro). K pari al coefficiente caratteristico della molla usata (come possiamo vedere utilizzando vari tipi di molle) e ρ dipendente dal metallo usato per fabbricare il pesetto. Possiamo poi decidere di considerare la quantità ρ come quella che ci indica, per ogni materiale, il peso del volume unitario. La chiamiamo “densità” del materiale e prendiamo quindi il prodotto ρV come il peso del cubetto. A questo punto possiamo definire come peso unitario (1kg-peso, 1g-peso, 1£ (libbra)–peso, ecc...) quello di un cubetto di un qualsiasi materiale che appeso ad una molla di ben definita composizione e fabbricazione produce un allungamento definito della stessa. Possiamo dunque esprimere i pesi di vari pezzi di materiale in unità standard e paragonarli tra loro. Inutile dire che il peso è una forza diretta verticalmente verso il basso. Abbiamo dunque stabilito un metodo di misura delle forze. È possibile anche definire una quantità di materia o massa unitaria (1kg, 1g, 1£, ecc..), come quella avente un peso unitario. Possiamo a questo punto riprendere la stessa sfera e lo stesso piano idealmente lisci che abbiamo usato nel paragrafo precedente per fare le nostre esperienze sul principio d’inerzia, ed applicare alla sfera mediante un filo, la forza di un peso resa orizzontale grazie ad una carrucola. F Filo Fig. 2: Verifica sperimentale del secondo principio della dinamica. Carrucola P 6 Cap. 2 – La dinamica ________________________________________________________________________ Essendo noto il peso, che abbiamo imparato a misurare attraverso la procedura sopra descritta, possiamo adesso misurare le accelerazioni subite dalla sferetta, e verificare sperimentalmente il secondo principio della dinamica (si veda lo schema in fig. 2). Un altro tipo di esperimento che possiamo eseguire è quello che utilizza un piano inclinato. Il peso agisce sempre verticalmente, ma a causa della reazione vincolare del piano solo la sua componente parallela al piano farà muovere la pallina. Variando l’inclinazione del piano possiamo variare la forza P sin α che agisce sulla pallina nel suo cammino dal punto 0 al punto P . Per una data inclinazione del piano, è possibile verificare la proporzionalità della forza con l’accelerazione. P α Fig. 3: Piano inclinato (verifica della proporzionalità tra forza ed accelerazione). Possiamo anche verificare una legge, scoperta da Galileo e di importanza enorme: l’accelerazione con la quale il corpo cade non dipende dal peso del corpo. Basta variare composizione e dimensioni della pallina e misurarne nuovamente l’accelerazione. Troveremo sempre che l’accelerazione è a = gsenα , con g=9,81m/s2. Di conseguenza: Psenα = ma = mgsenα ⇒ P = mg . Il peso, altro non è che la forza gravitazionale (vedi prossimo capitolo) esercitata dalla terra su un qualunque corpo sulla sua superficie ed è proporzionale alla massa del corpo: è questo l’unico modo in cui una forza può produrre un’accelerazione indipendente dalla massa del corpo. Un punto notevole da ricordare è che, se un punto materiale è soggetto a più forze contemporaneamente, allora ciò che occorre considerare è la risultante di tutte le forze. Occorre cioè sommare vettorialmente tutte le forze e la risultante darà l’accelerazione totale. Questo è un risultato sperimentale ben verificato. Ritorniamo adesso alla questione delle forze non inerziali. Chiunque si sia trovato a viaggiare su di un autobus, ha fatto esperienza delle forze non inerziali. Il passeggero si trova spinto lateralmente ad ogni curva e davanti o indietro ad ogni frenata o accelerazione. Nel sistema “autobus in accelerazione” appaiono delle forze agenti sul nostro corpo proporzionali alla nostra massa e all’accelerazione dell’autobus. La spiegazione nell’ambito della teoria newtoniana è che nel sistema non inerziale, o in accelerazione rispetto allo spazio assoluto, il passeggero tende, a norma del principio d’inerzia, a mantenere il suo stato di 7 Cap. 2 La Dinamica moto precedente. Dunque, si trova accelerato rispetto all’autobus (anch’esso in effetti accelerato). Il passeggero si sente pertanto spinto da una forza pari appunto a questa accelerazione per la sua massa. In effetti, data la loro origine cinematica, tutte le forze non inerziali sono proporzionali alla massa del corpo su cui agiscono. Un caso particolarmente interessante è quello dei moti circolari: in un sistema in rotazione un osservatore è soggetto alla “forza centrifuga”. Per esempio, un passeggero su una giostra in movimento si sente spinto verso l’esterno da tale forza che è uguale alla sua massa per l’accelerazione ”centrifuga”, uguale in modulo, ma di verso opposto a quella centripeta. Per capire questo punto, immaginiamo un corpo puntiforme in moto circolare intorno all’origine di un sistema inerziale. Una stringa inestensibile forza il punto a muoversi in cerchio. Un dinamometro è inserito nella stringa per misurare la forza. Per un osservatore nel sistema inerziale, la forza misurata è quella che tiene il punto in moto circolare; senza questa forza “centripeta”, il punto se ne andrebbe via in linea retta a norma del principio d’inerzia, allontanandosi dall’origine del riferimento. Tuttavia per un osservatore solidale con la stringa, cioè sull’asse X’ (vedi fig. 4), esiste una forza che spinge il punto verso l’esterno, cioè verso distanze sempre più grandi dall’origine, dunque una forza “centrifuga”, in valore uguale alla centripeta, come misurata dall’allungamento della molla del dinamometro. Sappiamo ɺ ɺ + ρθɺɺ)kt . Poiché non ci sono forze reali, dobche l’accelerazione è ( ρɺɺ − ρθɺ 2 ) k ρ + (2 ρϑ 2 ɺ ɺ ɺ + ρθɺɺ)kt = 0 , ovvero ρɺɺ = ρθɺ2 θɺɺ = − ρϑ ɺ , moltiplibiamo avere: ( ρɺɺ − ρθɺ 2 ) k ρ + (2 ρϑ ρ 2 ɺ ɺ , in cui il termine a sinistra può cando per la massa, si ha: m ρɺɺ = m ρθɺ 2 e m ρθɺɺ = − mρϑ ρ interpretarsi come massa per accelerazione e quello di destra come forza (apparente) oppure possiamo dire che non essendoci forze (reali) l’accelerazione complessiva deve esseɺ ɺ = 0 . Queste re zero che è il significato delle prime due equazioni ρɺɺ − ρθɺ2 = 0 e ρθɺɺ + ρϑ Y Dinamometro P X X’ Fig. 4: Forza centrifuga. 8 Cap. 2 – La dinamica ________________________________________________________________________ Due equazioni, sono valide in ogni riferimento, tra l’altro ammettono come soluzione ρ = costante e ϑ = costante, sono cioè valide in un sistema inerziale e in sistemi ruotanti. In tutto ciò, c’è però un punto che appare particolarmente strano: la massa che usiamo nel secondo principio della dinamica, la massa inerziale, è la stessa massa che appare nel peso: la massa gravitazionale. Quest’ultima, in linea di principio, è tutt’altra cosa, essendo la sorgente del peso e non quella dell’inerzia. Abbiamo infatti già visto che P = m g g = m i a , dove si è distinta mg, generatrice dell’attrazione terrestre, da mi che è invece la costante di proporzionalità tra forza ed accelerazione. Tuttavia, avendo trovato che l’accelerazione è sempre uguale all’accelerazione di gravità, dobbiamo dedurne che le due masse sono uguali e far cadere la distinzione. Questa identità è però un accidente straordinario che non trova una spiegazione nella meccanica newtoniana. Un altro punto da notare è che le forze non inerziali e la forza peso o, più in generale, le forze gravitazionali sono entrambe proporzionali alla massa inerziale. Da questo punto di vista dunque, forze non inerziali e gravità sono equivalenti. Riprenderemo questi punti più avanti. Adesso ci dobbiamo porre una domanda. Supponiamo di avere un punto materiale di massa m, soggetto ad una forza nota F = F ( x, y, z ) . Sotto quali condizioni il moto del punto materiale risulta essere definito? Ci aspettiamo, infatti, che la nostra conoscenza della dinamica sia a tale livello da consentirci di calcolare univocamente la traiettoria e tutte le altre caratteristiche del moto del punto materiale. Il secondo principio è sufficiente a farci calcolare tale moto? La risposta è positiva, se le condizioni iniziali sono assegnate in aggiunta a massa e forze. Per condizioni iniziali, intendiamo l’insieme di sei quantità: la posizione iniziale P0 = ( x0 , y 0 , z 0 ) e la velocità iniziale v 0 = ( v 0 x , v 0 y , v 0 z ) . Basta dunque la conoscenza della posizione e delle velocità del punto ad un istante, oltre alla conoscenza della forza su di esso applicata, per determinare il moto futuro e passato del punto. Vediamo perché. Il secondo principio F = ma è un’equazione vettoriale che possiamo dividere nel sistema di tre equazioni differenziali: d 2x Fx ( x, y , z ) = m 2 dt d2y Fy ( x, y, z ) = m 2 dt d 2z Fz ( x, y , z ) = m 2 dt 9 Cap. 2 La Dinamica x = x (t ) È la matematica ad assicurare che, dato il valore delle sei funzioni: y = y (t ) e z = z (t ) v x = v x (t ) v y = v y (t ) ad un istante t = t 0 , il sistema di equazioni rappresentato dal secondo princi v z = v z (t ) x = x (t ) pio ammette una ed una sola soluzione nelle tre funzioni y = y (t ) , che risultano z = z (t ) così determinate. Le componenti della velocità possono poi essere calcolate per differenziazione. Chiaramente questo è un punto estremamente importante. Grazie al secondo principio possiamo completamente risolvere ogni problema di natura meccanica∗. Occorre però aggiungere che il sistema di equazioni scritto può risultare difficile da risolvere analiticamente. L’esistenza ed unicità delle soluzioni non implica che si sia in grado di trovarle. In nostro aiuto vengono a volte i cosiddetti integrali primi del moto. Esistono come vedremo a partire dal par. 6, delle quantità meccaniche come l’energia, la quantità di moto ed il momento della quantità di moto che sono conservate nei sistemi isolati, cioè non soggetti a forze esterne. Queste leggi di conservazioni si scrivono matematicamente nel modo: f ( x, y, z , xɺ, yɺ , zɺ) = cost . Evidentemente si tratta di equazioni differenziali del primo ordine e dunque più semplici da risolvere rispetto al secondo principio della dinamica. In particolare, nel caso di un moto in una sola variabile, l’espressione della conservazione di una sola quantità meccanica sarà sufficiente a calcolare il moto. Si veda, per esempio, il pendolo cicloidale del par. 5. Se le variabili da considerare sono più di una, si potrà trovare più di una quantità conservata. Per esempio, gli urti descritti al par. 5 (conservazione dell’energia e della quantità di moto) o il problema dei moti centrali (conservazione dell’energia e del momento della quantità di moto) illustrato al Cap. 4. ∗ Le cose non sono sempre così semplici. Le condizioni iniziali vanno misurate, ed ogni misura comporta degli errori. Tuttavia, anche con condizioni iniziali non assolutamente esatte, ci si aspetta comunque che i moti siano molto prossimi per condizioni iniziali prossime: se faccio un piccolo errore sulla determinazione della posizione o della velocità della cometa di Halley, troverò che essa ritorna ad un tempo un po’ diverso da quello calcolato. Questo però non è vero per ogni dominio d’applicazione. In certi settori, notabilmente la meteorologia, una piccola modifica delle condizioni iniziali porta a grandi divergenze nei risultati. È da queste considerazioni che è nata la teoria del Caos. Vedi per esempio: J. Gleich, Caos, Biblioteca Scientifica Sansoni. 10 Cap. 2 – La dinamica ________________________________________________________________________ Questo trionfo della meccanica ha dato luogo nel settecento ad una tendenza filosofica chiamata “meccanicismo”, secondo la quale lo sviluppo di qualsiasi processo è prevedibile: basta conoscere le leggi di forza appropriate e lo stato del sistema ad un dato istante. Dicono I. Prigogine e I. Stengers∗∗: “All’inizio del XIX secolo, il programma newtoniano, vale a dire la riduzione dell’insieme dei fenomeni fisico–chimici all’azione delle forze… è divenuto il programma ufficiale del gruppo scientifico più potente e prestigioso. Intendiamo parlare di Laplace che domina il mondo scientifico nello stesso momento in cui l’impero napoleonico domina l’Europa.” Con le parole di Paul Davies∗∗∗: “So successful did Newton’s laws of mechanics prove to be that many people assumed they would apply to literally every physical process in the universe… Whereas most ancient cultures viewed the cosmo as a capricious living organism, subject to subtle cycles and rhythms, Newton gave us rigid determinism.” Finalmente, vogliamo puntualizzare alcuni fatti: • Poiché il secondo principio usa la derivata seconda rispetto al tempo delle coordinate spaziali, l’inversione dell’asse dei tempi ( t → −t ) lascia l’equazione invariata. In altri termini per essa vale l’invarianza temporale di cui abbiamo parlato al capitolo primo. • L’unità di tempo, il secondo, è definito come 1/86400 del giorno solare medio. • L’unità di lunghezza è la quarantamilionesima parte del meridiano terrestre. • L’unità di massa è il kg. È la massa di un litro di acqua a 4 gradi centigradi ( 4°C )∗. • L’unità di forza è il Newton. Il Newton è l’intensità di una forza che applicata alla massa unitaria di un kg produce l'accelerazione di 1m al secondo per secondo. • Poiché la forza peso di un chilogrammo è il prodotto della massa di un kg per l’accelerazione di gravità, avremo che un kg-peso vale 9,81 Newton. • La densità è definita come il rapporto tra massa e volume e quindi si misura in kg per metro cubo ( kg / m 3 ). Spesso però è più conveniente misurarla in grammi per centimetro cubo: 1g / cm 3 = 10 3 kg / m 3 . Queste sono le definizioni delle unità come stabilite nell’ottocento. Le unità attuali sono alquanto diverse. Nel primo capitolo abbiamo visto l’attuale definizione di secondo. Il metro è la trecento milionesima parte della lunghezza percorsa dalla luce in un secondo. Il chilo ha mantenuto la definizione nella nota a pie’ di pagina.. 3. L’oscillatore armonico ed il pendolo ∗∗ I. Prigogine e I. Stengers , La nuova alleanza, G. Einaudi (198). P. Davies, About time, Penguin, pag. 31 (1995). ∗ In realtà, il chilogrammo è la massa di un cilindro di platino-iridio, conservato a Sèvres in Francia, presso l’Ufficio Internazionale dei Pesi e delle Misure. È anche pari al peso di un litro d’acqua, come misurato da A. Lavoissier alla fine del ‘700. Egualmente, il metro è la lunghezza del metro campione di Sèvres, pari ad un quaranta milionesimo del meridiano terrestre passante per Parigi, come misurato da J. B. Delambre e P. Méchain negli anni ’90 del ‘700 con una serie di triangolazioni da Dunkerque a Barcellona. Il metro, come il secondo, ha oggi una definizione più complicata: vedi nota al capitolo precedente. ∗∗∗ 11 Cap. 2 La Dinamica Si tratta di due problemi, entrambi unidimensionali, che possiamo risolvere usando il secondo principio della dinamica. Utilizziamo i primi tipi di forza cha abbiamo studiato: le forze elastiche e la forza peso. In forma vettoriale la legge di Hooke si scrive: F = − k∆x . In altre parole, la forza di richiamo elastica è proporzionale ed ha il segno opposto allo spostamento. F = − kx X Fig. 5: Oscillatore armonico. Dal secondo principio della dinamica otteniamo: F = −kx = m d 2x d2x dt 2 , che possiamo riscri- k x = −ω 2 x . m dt Questa equazione ammette come soluzione: x(t ) = X 1 cos(ωt ) + X 2 sen (ωt ) . La quantità vere come: 2 =− k è detta “pulsazione” dell’oscillatore armonico. Le due funzioni armoniche acm 2π quisiscono lo stesso valore ad ogni “periodo” T, tale che: ω (t + T ) = ωt + 2π ⇒ T = . ω 1 L’oscillatore armonico va attraverso ν = periodi o oscillazioni per unità di tempo: ν è T la “frequenza”. La frequenza è misurata in Hertz: 1 Hertz è pari ad una oscillazione al secondo. La pulsazione rappresenta il numero di volte per secondo che l’oscillatore armonico varia il suo argomento di 2π1. ω= Il pendolo è un sistema simile. Come si vede in fig. 6, la forza peso applicata alla pallina (si suppone che il filo di lunghezza l sia senza peso ed inestensibile) si può decomporre in due componenti: una tende ad allungare il filo, l’altra fa cadere il pesetto lateralmente. 1 A futura memoria, diciamo che: l’energia cinetica e quella potenziale (vedi oltre nel ca1m 2 2 pitolo) sono in media su un periodo uguali e sono: T = V = A0 ω e 2 2 1 E = T + V = mA02ω 2 2 12 Cap. 2 – La dinamica ________________________________________________________________________ Fig. 6: Pendolo semplice θ l Pθ Pl θ P Proviamo a scrivere il secondo principio della dinamica: Pθ = Psenθ = − ml d 2θ . Qui, dt 2 evidentemente, l’accelerazione è tangenziale. Per piccoli angoli, poniamo: senθ ≈ θ e sostituiamo: Psenθ ≅ mgθ = −mlθɺɺ . Questa equazione può essere riscritta come: g . Anche qui si tratta di una oscillazione del tipo: l l θ = θ 1sen (ωt ) + θ 2 cos(ωt ) di periodo T = 2π . Notiamo che questa formula suggeg risce che possiamo misurare g, misurando il periodo di un pendolo. Finora abbiamo assunto che g sia in effetti costante dappertutto. Questo però non è vero. Prima di tutto la distribuzione delle masse nella crosta terrestre ne fa cambiare il valore localmente. In aggiunta, la forma della terra non è una sfera, ma rassomiglia piuttosto ad un ellissoide. Il valore effettivo di g è però modificato anche dalla forza centrifuga, dovuta al fatto che la terra gira sul suo asse. All’equatore questa forza centrifuga è massima, in quanto il raggio assume il massimo valore, e la forza centrifuga dipende dal raggio: Fc = mω 2 r . Per la stessa ragione la forza centrifuga è nulla ai poli*. Occorre poi proiettare la forza centrifuga sulla direzione verticale. Tale proiezione dipende dal coseno della latitudine (vedi fig. 7). La fig. 7 aiuta a visualizzare qualitativamente l’effetto. Nell’anno 1930, si convenne internazionalmente di adottare una formula standard che esprimeva la variazione di g al livello del mare con la latitudine ϕ nel modo seguente: θɺɺ + ω 2θ = 0 , con: ω 2 = g = 9,78049 ⋅ (1 + 0,0052884⋅ sen 2ϕ − 5,9 ⋅10 −6 ⋅ sen 2 2ϕ )m / s 2 . Questa formula è basata sull’approssimazione della forma terrestre ad un ellissoide x2 + y2 a2 + z2 b2 = 1 le cui di- * La prima osservazione di un effetto della latitudine su g fu effettuata da Jean Richer nel 1672, durante una spedizione da Parigi alla Cayenne (4° 56’ 4”). Una seconda spedizione l’anno successivo confermò tale osservazione. 13 Cap. 2 La Dinamica mensioni erano state convenute internazionalmente (Madrid, 1924) essere pari a: a −b 1 a = 6378,388km e s = = , con a semiasse maggiore (b minore) e s, ”schiaca 297.0 ciamento”, rispettivamente. N Forza centrifuga Fc g Ellissoide, non sfera! Fig. 7: L’accelerazione g non è costante. Un altro esempio di oscillatore è costituito da un pesetto che possiamo immaginare di far cadere, in assenza di attrito, in un lungo tunnel che attraversa la terra∗. La forza agente sul pesetto di massa m alla distanza r dal centro della terra, è la gravitazione dovuta alla massa interna alla sfera di raggio r. La massa esterna a questo raggio non ha alcun effetto sul pesetto. r O Fig. 8: Un altro esempio di oscillatore: pesetto all’interno di un tunnel che attraversa la Terra. ∗ Di questo problema parla Dante nell’Inferno Canto XXXIV, Una discussione di questo problema si trova nell’Almagesto di Tolomeo (Ptolemy’s Almagest translated and annotated by G.J. Toomer, Princeton University Press, 1998, pag. 44) . Lo stesso problema è trattato (circa 1550) in: Nicolò Tartaglia, La Nova Scientia, A. Forni editore, Bologna 1984, libro primo pag.4. 14 Cap. 2 – La dinamica ________________________________________________________________________ Consigliamo allo studioso lettore di ritornare su questo punto appena avremo studiato il 4 1 teorema di Gauss nel prossimo capitolo. La forza sarà così: F = −Gm πρr 3 2 = − kr . E 3 r 2 k dunque l’equazione del moto si potrà scrivere come: ɺrɺ + ω r = 0 , con ω = . m 4. Il terzo principio della dinamica e la quantità di moto Il terzo principio della dinamica stabilisce la conservazione della quantità di moto od in maniera equivalente il fatto che le forze che masse all’interno di un sistema isolato esercitano una sull’altra sono uguali e di verso opposto. Prendiamo due masse isolate: il fatto che le forze siano uguali e di segno contrario significa che: F1 = − F2 , ma, considerato che per il secondo principio possiamo scrivere ogni forza come prodotto di massa per acceledv dv d razione, abbiamo: m1 1 + m 2 2 = 0 ⇒ ( m1 v1 + m 2 v 2 ) = 0 . Se definiamo “quantità dt dt dt di moto” p di una particella il prodotto: p = mv , allora possiamo dire, a norma del terzo principio, che la quantità di moto totale: P = m1v1 + m2 v 2 delle due particelle è “conservata”, cioè è costante nel tempo. Se invece di un sistema di due particelle, ne prendiamo uno con N masse m1 ,..., m N , sempre sotto l’assunzione che il sistema non sia soggetto a forze esterne, possiamo generalizzare il risultato precedente e dire che la quantità di moto del sistema d d P= mvi è conservata: P = mv i = 0 . Possiamo poi prendere il punto definii i dt dt mq i i i to dal vettore posizione: Q = , dove i vettori qi sono i vettori posizione degli N mi ∑ ∑ ∑ ∑ i punti del sistema. Derivando rispetto al tempo, si può notare che questo punto ha accelerazione nulla, ovvero si muove di moto rettilineo uniforme. Infatti: dQ d = dt dt ∑mq =∑mv ∑m ∑m i i i i i i i i i i = 1 P , e derivando nuovamente, essendo P costante, otM terremo zero. Il punto Q definito dalle coordinate date si chiama “baricentro”. Dunque: il baricentro di un sistema isolato si muove di moto rettilineo uniforme. Illustriamo il terzo principio con un esempio. Tutti sappiamo che un razzo funziona espellendo gas ad alta velocità. L’espulsione di una massa di gas ad alta velocità, fa sì che una quantità di moto pari al prodotto della massa di gas espulsa per la sua velocità lasci il razzo stesso: per conseguenza il razzo deve muoversi in avanti con una variazione di velocità tale da lasciare la 15 Cap. 2 La Dinamica quantità di moto totale costante∗. Possiamo adesso scrivere le equazioni del moto del razzo a partire dalla conservazione della quantità di moto del sistema. Prendiamo un razzo di massa m = m(t ) ; la massa del razzo evidentemente varia perché esso espelle gas a velocità − v g (rispetto al razzo ovvero a razzo fermo). Supponiamo che ad un certo istante t, il razzo abbia massa m e si muova con velocità v. All’istante t+dt esso avrà espulso un’ulteriore quantità dm di gas e la sua velocità e massa saranno variate di dv e dm rispettivamente. Dovrà essere: Piniziale = P finale , perché si abbia la conservazione della quantità di moto. Quindi, potremo scrivere che: ( m + dm )( v + dv ) + ( − dm )( − v g + v ) = mv . Il primo termine rappresenta la quantità di moto del razzo dopo l’espulsione del gas, quantità di moto che è cambiata perché sono cambiate sia la massa che la velocità del razzo. Il secondo termine Pg = m g ( v − v g ) rappresenta la quantità di moto del gas espulso, pari alla sua massa per la sua velocità −v g + v rispetto al suolo. La massa di gas espulso è uguale alla variazione della massa del razzo, cambiata di segno perché la massa del razzo diminuisce (cioè dm è negativa). Semplificando e trascurando il prodotto di due differenziali, si ottiene: mdv = − v g dm , equazione che possiamo integrare separando le variabili a partire dalle m0 . Palesemente la velocità m del razzo non può eccedere di molto v g ∗∗, perché la massa finale non sarà troppo più piccola di quella iniziale. Supponendo che il combustibile venga bruciato a ritmo costante t t m0 , si avrà che: m = m0 (1 − ) , e dunque: v = v g ln( 0 ) . Lo spazio percorso al t0 t0 − t t0 condizioni iniziali: v = 0 e m = m0 . Otteniamo: v = v g ln ∗ Quando, agli inizi del secolo scorso, R. Goddard, uno dei pionieri della propulsione a razzo, propose l’uso dei razzi per i viaggi interplanetari fu attaccato dal New York Times, dove venne scritto che il Professor Goddard “lacked the knowledge ladled out daily in high school”. Lo studioso lettore farebbe bene a riflettere sugli errori del presuntuoso giornalista. ∗∗ La velocità dei gas è intorno ai 2km/s per un razzo a combustibile solido (Hill & Peterson, Mechanics and thermodynamics of propulsion, Addison and Wesley, pag. 374), circa 5km / s per la miscela H 2 + O2 . Questa velocità, che si traduce in 7200 km/h, sembra molto alta, ma va confrontata con le velocità di fuga, definita e calcolata nel Cap. 4. 14 Cap. 2 – La dinamica ________________________________________________________________________ Alla partenza, il razzo è fermo: la quantità di moto totale è P=0 Accesi i motori, il gas esce posteriormente con la quantità di moto Pg . Per conseguenza, il razzo si muove in avanti con la stessa quantità di moto col segno cambiato. Pr = − Pg Pg t )) . Il problema può essere completato agt0 giungendo l’effetto del peso del razzo e integrando di nuovo (si veda la sezione dedicata agli esercizi tempo t sarà perciò: s = v g (t − (t − t 0 ) ln(1 − Fig. 9: Funzionamento di un razzo F1 4 v (km/s) vg=2,5 km/s; t0=100 s 2 0 0 10 20 30 40 50 60 70 80 t (s) 15 Cap. 2 La Dinamica F1 140 120 vg=2,5 km/s; t0=100 s Altitudine (m) 100 80 60 40 20 0 0 10 20 30 40 50 60 70 80 t(s) F1 150 vg=2,5km/s; t0=100s t =80 s max Altitudine (m) 100 50 0 0,0 0,5 1,0 v/vg 5. 16 Il lavoro e l’energia cinetica 1,5 Cap. 2 – La dinamica ________________________________________________________________________ Se una forza fa muovere un punto materiale di un trattino infinitesimo ds , definiamo “lavoro infinitesimo effettuato dalla forza”, la quantità: dL = F ⋅ ds . Il lavoro totale fatto B ∫ dalla forza per spostare il punto da A a B sarà: L = F ⋅ ds . In generale occorrerà specifiA care il “cammino”, cioè la linea lungo la quale occorre calcolare l’integrale, non essendo a priori evidente che l’integrale non dipenda dalla linea scelta. Usando d’altra parte il sedv ds ⋅ ds = m ⋅ dv = mv ⋅ dv , per condo principio, possiamo scrivere che: dL = F ⋅ ds = m dt dt 1 cui il lavoro finito per spostare il punto materiale da A a B sarà: L = m(v 2 − v 02 ) . I ter2 1 2 mini del tipo T = mv che appaiono a secondo membro rappresentano l’“energia cine2 tica” del punto materiale. Possiamo allora dire che il lavoro fatto dalla forza nel cammino da A a B è uguale alla variazione della sua energia cinetica. Così possiamo definire due grandezze scalari che hanno speciali caratteristiche: l’energia cinetica ed il lavoro. Una caratteristica l’abbiamo appena vista, e consiste nel fatto che la forza modifica le caratteristiche del moto del punto e gli fa acquistare qualcosa che prima non aveva od aveva in misura minore. Con le definizioni date, il qualcosa fatto dalla forza è il lavoro ed il qualcosa ricevuto dal punto è energia cinetica. In effetti si vede che se la forza è nulla, l’energia cinetica si conserva. Questa è una conseguenza del principio d’inerzia che determina anche la conservazione della quantità di moto. Più in generale, qualunque quantità sia costruita con la velocità e la massa della particella si conserva. In aggiunta, possiamo p2 . Conservandosi l’energia cinetica, si conserva il modulo dell’impulso e 2m viceversa. Perché dunque la definizione di energia cinetica aggiunge qualcosa a quello che già conoscevamo? Per cercare di rispondere a questa domanda dobbiamo fare un passo indietro. Noi abbiamo familiarità con la fatica muscolare: lo spingere un oggetto pesante su di un pavimento anche ben liscio, ci costa evidentemente fatica: noi applichiamo una forza ed effettuiamo del lavoro. Cosa acquisisce dinamicamente l’oggetto per questa nostra fatica? La sua velocità, intesa sia in senso scalare che in senso vettoriale, e quindi la sua energia cinetica e la sua quantità di moto. Tuttavia, noi abbiamo trovato due quantità: il lavoro e l’energia cinetica, che esprimono, attraverso la relazione trovata, che ciò che si è fatto in termini di lavoro viene ritrovato nel corpo pesante in termini di energia cinetica. Del resto, si può fare il cammino inverso. Supponiamo che il nostro punto materiale in moto incontri un altro corpo, inizialmente fermo, e lo colpisca. Questo secondo punto materiale, colpito, si mette in moto: ha dunque acquisito energia cinetica. La questione che si pone è: l’energia acquisita dal secondo punto è uguale a quella persa dal primo? Una risposta positiva implica che l’energia viene conservata nell’urto, ma anche che il primo punto ha, con la sua energia cinetica, la capacità di fare del lavoro su un altro corpo variandone l’energia cinetica di tanto quanto ne perde esso stesso. Dunque, nel caso di risposta positiva, la definizione di energia cinetica sarebbe una definizione “buona” nel senso che darebbe conseguenze utili. Proviamo allora a calcolare quello che succede in una collisione tra due punti materiali di scrivere: T = 17 Cap. 2 La Dinamica massa m1 e m2, ammettendo che sia la quantità di moto, sia l’energia cinetica, si conservino. Possiamo poi confrontare con l’esperimento e verificare se la conservazione dell’energia cinetica ci dà risultati in accordo con l’esperienza. p1 p0 θ X φ p2 Fig. 10: Urto tra due corpi in due dimensioni. L’esperimento può essere effettuato utilizzando due palline appoggiate su di un piano liscio: un biliardo. Indichiamo con p 0 (0) e p1 ( p 2 ) le quantità di moto iniziale e finale del primo (secondo) punto, come mostrato in fig. 10. Imponiamo la conservazione dell’impulso e dell’energia cinetica: p 0 = p1 cos θ + p 2 cos φ 0 = p1senθ + p 2 senφ 2 2 2 E = p 0 = p1 + p 2 2m1 2m1 2m 2 Da queste equazioni non si può derivare lo stato finale, perché si tratta di tre equazioni con quattro incognite: le componenti dei due impulsi finali o, se preferite, i due moduli (p1 e p2) e gli angoli di uscita (θ e φ) dei due punti materiali. Possiamo però esprimere tre delle quantità finali in funzione di una. Per esempio, prendiamo θ come variabile finale indipendente ed esprimiamo i moduli dei due impulsi finali e l’angolo φ come funzioni di θ. Quadriamo le prime due relazioni e sommiamole, ottenendo: p02 + p12 − 2 p1 p0 cosθ = p22 . Sostituiamo nella terza e, dopo qualche manipolazione, otterremo: p12 − 2 p0 cos θ m − m1 m1 p1 − p02 2 =0. m1 + m2 m1 + m2 p1 = p0 ( m1 cos θ ± m12 cos 2 θ + m22 − m12 ) = m1 + m2 18 Ne segue che: Cap. 2 – La dinamica ________________________________________________________________________ = p0 m1 m2 (cos θ ± cos 2 θ + 22 − 1) 2. Per m1 > m2 entrambi i segni danno m1 + m2 m1 luogo a soluzioni valide come si vede dal grafico polare in basso in cui la linea solida rappresenta la soluzione con il – e la tratteggiata la soluzione con il +. Per ogni direzione θ , si vede bene che esistono due soluzioni una “breve” e una “lunga”. In effetti siamo partiti da tre equazioni di cui due lineari e una quadratica anche fissando delle quattro incognite una (cioè θ ) abbiamo due soluzioni per p1 e non una sola. Da notare che, con masse uguali, la prima massa si ferma cedendo tutta la sua quantità di moto alla seconda. Consideriamo adesso il caso m1 < m2 . Dobbiamo adesso scegliere il segno positivo per evitare di avere p1 = p0 p1 negativo ( p1 è il modulo di un vettore!): m1 m2 (cos θ + cos 2 θ + 22 − 1) m1 + m2 m1 F1 F2 90 1,0 120 60 O r ig in Pr o 8 Ev a lu a tio n OriginPro 8 Evaluation O r ig in Pr o 8 Ev a lu a tio n OriginPro 8 Evaluation O r ig in Pr o 8 Ev a lu a tio n OriginPro 8 Evaluation O r ig in Pr o 8 Ev a lu a tio n OriginPro 8 Evaluation O r ig in Pr o 8 Ev a lu a tio n OriginPro 8 Evaluation O r ig in Pr o 8 Ev a lu a tio n OriginPro 8 Evaluation O r ig in Pr o 8 Ev a lu a tio n OriginPro 8 Evaluation O r ig in Pr o 8 Ev a lu a tio n OriginPro 8 Evaluation 0,8 0,6 150 0,4 0,2 0,0 180 30 θ 0 0,2 0,4 0,6 210 330 0,8 240 300 1,0 270 Per riferimento futuro, notiamo che se m1 << m2 , allora: p1 = p0 e l’energia della particella entrante rimane costante. Ciò avviene perché basta pochissima velocità alla particella 2 per compensare il p trasverso della particella 1, il che corrisponde a pochissima energia acquisita dalla particella 2. 2 19 Cap. 2 La Dinamica Diagramma polare di p1 = p1 (θ ) per m1 = 1, 6; m2 = 1; p0 = 1. Notare l’angolo limite a circa 60°. p1(θ) p*(θ) 90 120 1,0 60 0,8 0,6 150 30 0,4 0,2 0,0 θ 180 0 0,2 0,4 0,6 210 330 0,8 1,0 240 300 270 Diagramma polare p1 in funzione di θ. per m1=1 e m2=1,16; p0=1 Il cerchio centrato sullo zero dà p1 nel centro di massa ( p1* ). L’esperimento può essere effettuato misurando θ e p1 e verificando che ci sia la dipendenza prevista dalla formula ottenuta. Con un altro po’ di algebra possiamo trovare le altre dipendenze da θ. In conclusione, si troverà che l’energia cinetica si conserva nella collisione. Si è visto, dunque, che il lavoro fatto trasferisce energia cinetica al punto materiale. Quest’ultimo acquisisce così, o aumenta, la sua capacità di fare lavoro su di un’altra particella o su di un sistema esterno. L’energia cinetica ha il senso di “capacità del corpo di compiere del lavoro”. Naturalmente, ci aspettiamo che l’energia di un punto materiale venga conservata in un senso anche più ampio. Possiamo riprendere l’equazione p12 − 2 rappresenta nel p12x + p12y − 2 20 piano p1 x , p1 y . p0 cos θ m − m1 m1 p1 − p02 2 = 0 e vedere cosa m1 + m2 m1 + m2 L’equazione p0 m − m1 m1 p1 x − p02 2 =0 m1 + m2 m1 + m2 può essere riscritta: Cap. 2 – La dinamica ________________________________________________________________________ p0 m , otteniamo un cerchio di raggio m1 + m2 1 pm m2 r = p0 = µ v0 , centrato sul punto: OC = ( 0 1 , 0) . Infatti: m1 + m2 m1 + m2 e, facendo la traslazione p1 x = p '1 x + m12 m2 − m1 2m12 p' + p' − p − + + =0 2 2 ( m1 + m2 ) m1 + m2 ( m1 + m2 ) m22 ⇒ p '12x + p '12 y − p02 =0 ( m1 + m2 )2 Questa curva è riportata nei diagrammi polari per i due casi m1 > m2 e m2 > m1 . 2 1x 2 1y Si noti, che, per 2 0 m1 > m2 , l’espressione sotto la radice quadrata può divenire negativa. L’angolo per cui questo succede cos θ = 1 − m22 si chiama “angolo limite”. m12 Dalle curve si vede che se : OC > r o m1 > m 2 : l'origine non è inclusa nel cerchio ⇒ c'è un angolo limite OC < r o m 2 > m1 : l'origine è inclusa nel cerchio ⇒ nessun angolo limite Si vede nel diagramma polare corrispondente che il modulo del vettore p1 raggiunge infatti un angolo massimo per poi ridiscendere. Il problema dell’urto tra due particelle può essere affrontato nel sistema del baricentro delle due masse. In questo caso la quantità di moto totale deve essere nulla e pertanto le quantità di moto delle due particelle sono uguali e di segno contrario. Partendo dalla velocità iniziale v0 , calcoliamo la velocità v B del baricentro nel sistema in cui la massa m 2 è ferma. Questo riferimento è indicato spesso come “sistema del laboratorio”. Abbiamo: m1v0 . Pertanto la velocità iniziale della particella 1 nel sistema del baricentro m1 + m2 m2 v0* = v0 − v B = v0 sarà: e l’impulso iniziale sarà: m1 + m2 m1 m2 m1m2 p0* = m1v0* = v0 = µv0 , in cui la quantità µ = è chiamata “masm1 + m2 m1 + m2 vB = sa ridotta” ed è una quantità che ritroveremo quando studieremo i moti centrali nel cap. 4. Poiché, come detto, p2 = p0 , sarà anche: p2 = µ v0 . Nello stato finale il modulo della quantità di moto di ciascuna particella rimane lo stesso a causa della conservazione * * * 21 Cap. 2 La Dinamica dell’energia. La differenza rispetto a ciò che accade nel sistema del laboratorio è che gli angoli di uscita nel sistema del baricentro saranno θ * , completamente disaccoppiati dal modulo della quantità di moto, e ϕ = θ * + π . ϕ p1* θ* p1* p2* p2* 1 ( µ v0 )2 1 ( µ v0 )2 1 2 Infine l’energia nel sistema del baricentro sarà: E = + = µ v0 , 2 m1 2 m2 2 che è l’energia di una sola particella di massa uguale alla massa ridotta e velocità v0 . Si * può ritrovare E* = la stessa espressione finale partendo da 1 1 1 1 m1v1*2 + m2v 2*2 = m1 (v0 − v B )2 + m2 v B2 . 2 2 2 2 Si noti che il cerchio che rappresenta l’urto nel sistema del baricentro ha lo stesso raggio dell’analogo cerchio del sistema del laboratorio. Si noti anche che dalla relazione per m1 , si ha: p1 x = p *1 x + v1*x = v1 x − v B = v1 x − v0 m1 , moltiplicando m1 + m2 p0 m , il che ci consente di identificare il sistema m1 + m2 1 primato con quello del baricentro. Notare allora che avremmo potuto cominciare dalla m22 relazione nel baricentro: p * + p * = p trasformare al sistema del ( m1 + m2 )2 m1 laboratorio ( p *1 x = p1 x − p0 e p *1 y = p1 y ) per ottenere l’equazione: m1 + m2 2 1x p12x + p12y − 2 2 1y 2 0 p0 m − m1 m1 p1 x − p02 2 = 0. m1 + m2 m1 + m2 Seguiamo questo percorso per discutere il caso relativistico. Chiamiamo p * il modulo di uno degli impulsi nello stato fondamentale. Per 22 p *1 potremo allora scrivere: Cap. 2 – La dinamica ________________________________________________________________________ 2 p *12 x p *1 y + = 1 che rappresenta un cerchio nel piano p *1 x , p *1 y . Ricordiamo p *2 p *2 adesso che la trasformazione di Lorentz ci dà: Dalla seconda ( p1 x − γ p *1 x = otteniamo: β p1 x = γ ( p *1 x + p1 x γ − β cE * . β c E*) e p *1 y = p1 y Sostituendo, abbiamo: E *)2 p 2 1y c + = 1 che è palesemente un ellisse con semiasse maggiore 2 2 p *2 γ p* a = γ p * e semiasse minore b = p * . L’ellisse ritorna in forma canonica facendo una traslazione dell’asse p1 x pari a p '1 x = p1 x − γ angolo limite a seconda che β c γ β c β c E * . Ne segue che ci sarà o meno un E * sia maggiore o minore di a = γ p * o che sia m * c 2 < m * v* ⇒ β < β * oppure β > β * . In parole, l’ esistenza dell’angolo limite dipende dall’essere la velocità del baricentro nel laboratorio più o meno grande della velocità della particella nel sistema del baricentro. Infine possiamo sostituire p1x = p1 cos θ e p1 y = p1 sin θ e ottenere: ( p1 cos θ − γ β γ 2 p *2 p1 = c E*)2 + p12 sin 2 θ = 1 la cui soluzione dà: p *2 βγ E * ± β 2γ 2 E *2 −(1 + γ 2tg 2θ )( β 2γ 2 E *2 −γ 2 c 2 p *2 ) = c(1 + γ 2tg 2θ ) cos θ E * 1 ± 1 − (1 + γ 2tg 2θ )(1 − β *2 / β 2 ) = βγ c (1 + γ 2tg 2θ ) cos θ . 23 Cap. 2 La Dinamica F1 90 2,5 120 60 O r ig in Pr o 8 Ev a lu a tio n OriginPro 8 Evaluation O r ig in Pr o 8 Ev a lu a tio n OriginPro 8 Evaluation O r ig in Pr o 8 Ev a lu a tio n OriginPro 8 Evaluation O r ig in Pr o 8 Ev a lu a tio n OriginPro 8 Evaluation O r ig in Pr o 8 Ev a lu a tio n OriginPro 8 Evaluation O r ig in Pr o 8 Ev a lu a tio n OriginPro 8 Evaluation O r ig in Pr o 8 Ev a lu a tio n OriginPro 8 Evaluation O r ig in Pr o 8 Ev a lu a tio n OriginPro 8 Evaluation 2,0 1,5 1,0 0,5 0,0 30 150 180 0 0,5 1,0 210 1,5 330 2,0 240 300 2,5 270 ∗ p1 vs θ, caso relativistico: γ=3, β =0,85 Si noti che la precedente discussione è utile anche nel caso di una particella pesante che decade in due leggere (caso relativistico e non). Il centro di massa in questo caso è il riferimento proprio della particella che decade ed E * è la massa della particella pesante. Consideriamo una storica applicazione della formula di p1 a titolo di verifica sperimentale. Nel 1932, J. Chadwick scoprì il neutrone, scoperta per cui ricevette tre anni dopo il premio Nobel. Egli ne misurò la massa in rapporto a quella del protone, facendo incidere un fascio di neutroni su un bersaglio di idrogeno ( m p = 1 ) prima e di azoto ( m N = 14 ) poi e notando che la velocità massima dei protoni e dei nuclei di azoto colpiti erano, rispettivamente, v p = 3,3 ⋅ 10 9 cm / s e v N = 4,7 ⋅10 8 cm / s . Dalla formula calcolata precedentemente, p1 = p0 ( m1 cos θ − m12 cos 2 θ + m22 − m12 ) , si deduce (vedi anche m1 + m2 grafico polare precedente) che la velocità massima dei bersagli colpiti si ha in una collip0 ( m1 − m2 ) , sione frontale, quella, cioè, in cui θ = 0 . Per tali collisioni: p1 = m1 + m2 dove: p0 = Mv0 è la quantità di moto del neutrone prima della collisione, p1 = Mv f è la quantità di moto dopo la collisione, 24 Cap. 2 – La dinamica ________________________________________________________________________ m1 = M è la massa incognita del neutrone, m2 è la massa del bersaglio ovvero m p = 1 o m N = 14 a seconda del caso. Dalla conservazione della quantità di moto, si ricava che: M − m2 2m2 2m 2 p2 = m2 v2 = p0 − p1 = p0 − p0 = p0 = Mv0 ⇒ M + m2 M + m2 M + m2 ⇒ v2 = 2Mv0 che M + m2 nei due casi dà: vp = 2 Mv 0 = 3,3 ⋅ 10 9 cm / s M +1 e 2Mv 0 = 4,7 ⋅10 8 cm / s . Calcoliamo il rapporto membro a membro: M + 14 3,3 ⋅10 9 cm / s M + 14 = 7,02 = , da cui deduciamo: 6,02 M = 14 − 7,02 ⇒ M = 1,16 . In 8 M +1 4,7 ⋅10 cm / s conclusione, la massa del neutrone risulta del 16% più grande di quella del protone. Torniamo adesso alla questione della conservazione dell’energia. Urtando un corpo esteso l’energia cinetica si trasformerà in lavoro di deformazione, ma anche in calore, che è un’altra forma di energia, come vedremo più avanti. Tuttavia l’argomento non può ancora dirsi concluso. Prendiamo un piano inclinato, anzi prendiamone due opposti l’uno all’altro. vN = α α Fig. 11: Rotolamento da un piano inclinato. Poniamo una pallina in cima al piano inclinato di sinistra. Lasciamola cadere, e noteremo che essa risale sul piano di destra. In assenza di attrito, la vedremo salire alla stessa altezza dalla quale è stata lasciata cadere. All’inizio ed alla fine della corsa, la velocità della pallina è nulla: dunque essa non ha energia cinetica. Durante la corsa però la pallina possiede una certa velocità e dunque una certa energia cinetica: l’energia cinetica viene quindi creata e distrutta. In generale l’energia cinetica non si conserva: si conserva solo in assenza di forze esterne o durante una collisione. Tuttavia possiamo riflettere un attimo e dirci che, poiché la pallina si muove sotto l’azione del suo peso, nel momento in cui la pallina ha velocità nulla, essa ha comunque la potenzialità per riacquistare la sua energia. In effetti appena lasciamo la pallina dalla sommità del piano inclinato essa comincia a rotolare spontaneamente e acquisisce di nuovo quella energia cinetica che aveva perso salendo. Cerchiamo dunque di definire una quantità “energia potenziale” che può trasformarsi in energia cinetica e in cui l’energia cinetica a sua volta si trasforma. L’idea è quella di tro25 Cap. 2 La Dinamica vare una grandezza, che non sia nulla a velocità zero, che sia dunque dipendente dalla posizione e non dalla velocità, che si trasformi in energia cinetica quando la velocità aumenta e nella quale l’energia cinetica si trasformi quando la velocità diminuisce. Possiamo cominciare a calcolare il lavoro che il peso della pallina deve fare per fare scendere dal piano inclinato la pallina stessa: 0 0 h ∫ ∫ ∫ h h 0 L = Psenα ds = − mgsenα ds = mg dy = mgh , dove h è la altezza del piano inclinato3. Possiamo usare allora la quantità mgh come energia potenziale? Dopotutto essa rappresenta il lavoro fatto a spese dell’energia cinetica della pallina quando questa 1 sale. Consideriamo allora la quantità: H = mgy + mv 2 . In effetti, ad ogni posizione ca2 ratterizzata da una certa altezza y, la quantità H resta costante in valore. Sulla sommità si avrà infatti che la velocità è nulla e l’altezza è massima, dunque: H = mgh . Mentre la pallina scende, l’altezza da h si riduce ad un certo valore y. Il peso avrà dunque effettuato un lavoro pari a mg(h-y), che abbiamo già visto per il secondo principio della dinamica 1 essere pari all’energia cinetica acquisita. Sarà quindi: mg ( h − y ) = mv 2 . Si è dunque 2 1 2 provato che H = mgy + mv si conserva, essendovi solo un cambiamento di energia 2 potenziale in energia cinetica (e viceversa) durante il moto. Naturalmente è possibile imprimere una certa velocità iniziale alla nostra pallina, cambiando così il valore dell’energia totale al valore che vogliamo. Si arriva così alla conclusione che l’energia, cioè la somma dell’energia cinetica più quella potenziale, si conserva. L'unità di energia è il Joule (J), che è l’energia acquisita da un corpo su cui sia stato fatto lavoro da una forza di 1N per la distanza di 1m. 6. Il pendolo cicloidale Un interessante applicazione della conservazione dell’energia si ha nel particolare pendolo ideato da Huygens, che è chiamato “pendolo cicloidale” ed ha la caratteristica di avere oscillazioni isocrone indipendentemente dall’ampiezza di oscillazione. La “cicloide” è la curva descritta da un punto posto su di una ruota di raggio a che gira con frequenza angolare ω, rotolando senza scivolare su una retta detta “direttrice” (si veda la fig. 12). Y Fig.12: Rotolamento di una ruota su di una retta direttrice. v = aωiˆ 3 X Per una curva qualsiasi si potrà sempre scrivere: dL = mgsenα ds = mgdh , che inte- grata darà comunque 26 L = mgh . Cap. 2 – La dinamica ________________________________________________________________________ 2,0 1,5 1,0 0,5 0,0 0 2 4 6 8 10 12 Fig 13. Cicloide (a=1) Il movimento è dunque quello di un punto che si muove su di un cerchio il cui centro si muove nella direzione dell’asse X con velocità: v x = aω . Pertanto le equazioni orarie del x = a (θ − senθ ) moto sono: y = a (1 − cos θ ) prendendo θ = ωt , ed assumendo x = y = 0 al tempo t = 0. Differenziando, si ottiene: dx = a (1 − cos θ ) dθ dy senθ . Dal rapporto di queste due equazioni si ha: . Sosti= dx 1 − cos θ dy = asenθdθ y tuendo nell’equazione precedente: cos θ = 1 − = 1 − z , si ha: a dy 1 − (1 − z ) 2 =± = dx (1 − (1 − z )) 2 2− z = z 2a − y che è l’equazione differenziale della cicloide. y Questa curva è mostrata in fig. 13. Fig. 14 mostra invece la cicloide inversa che si ottiene 27 Cap. 2 La Dinamica sostituendo x = a(θ − senθ ) con x = a(θ + senθ ) . Con lo stesso procedimento algebrico4 si trova: dy y =± . Consideriamo adesso una pallina che si muove sulla parete di dx 2a − y una tazza di forma uguale alla cicloide inversa. Arrivata sul fondo della tazza, risalirà verso l’alto e, in assenza di attrito, continuerà ad oscillare salendo da un lato, scendendo, risalendo dall’altro e così via. La caduta lungo la parete di una tazza cicloidale può essere X con contivista anche come la caduta lungo un piano inclinato, la cui inclinazione varia nuità secondo una legge data. Come abbiamo visto studiando la conservazione 1 dell’energia, l’energia potenziale è: U = mgy e quella cinetica è: T = mv 2 . Se parte con 2 una certa velocità, la pallina avrà inizialmente una certa energia cinetica che si trasformerà gradualmente in energia potenziale. Sul fondo della tazza avrà solo energia cinetica ed alla massima altezza y0 solo energia potenziale. La legge di conservazione dell’energia ci dice 1 allora che: mgy 0 = mgy + mv 2 ⇒ v 2 = 2 g ( y 0 − y ) . È possibile modificare questa 2 eguaglianza in modo da fare apparire esplicitamente l’equazione della cicloide, ovvero imponendo che la caduta avvenga sulle pareti di una cicloide: dx dy dy dx dy 2a − y dy 2a . 2 g ( y0 − y ) = v 2 = ( ) 2 + ( ) 2 = ( ) 2 (1 + ( ) 2 ) = ( ) 2 (1 + ) = ( )2 dt dt dt dy dt y dt y Fig. 14: Cicloide inversa. 2,0 1,5 y0 1,0 0,5 0,0 0 2 4 6 8 10 A questo punto possiamo separare le variabili, ottenendo: 4 Si ottiene anche cambiando y → − ( y − 2a ) . Sottraendo curva sull’asse X . Il cambio di segno inverte l’asse Y . 28 2a si porta la sommità della Cap. 2 – La dinamica ________________________________________________________________________ dy = dt g a y( y0 − y ) ⇒ dy y( y0 − y) = g dt . Possiamo adesso integrare questa equaa zione tra il tempo zero, al quale la pallina parte dal fondo ed il tempo in cui la pallina raggiunge la massima altezza y0 . Questo tempo sarà un quarto del periodo τ che caratterizza l’oscillazione della pallina. y0 ∫ 0 dy y ( y0 − y ) = gτ a ⇒τ = 4 a 4 g y0 ∫ 0 dy y ( y0 − y ) =4 a g 1 ∫ 0 dη η (1 − η ) , dove η è il rappor- y (adimensionale). Come si vede, l’integrale non dipende dalla posizione finale y0, e y0 dunque dall’ampiezza di oscillazione5. In conclusione: le oscillazioni della nostra pallina sono isocrone a prescindere dall’ampiezza di oscillazione, a differenza del pendolo semplice per cui l’isocronismo valeva solo per le piccole oscillazioni. Poiché il valore a dell’integrale, è π (vedi oltre), il periodo dell’oscillazione sarà: T = 4π . In effetti si g to può vedere che la soluzione completa è: dη η (1 − η ) = y= y0 y0 g − cos( t ) , notando che 2 2 a d (arccos(1 − 2η )) . Per realizzare un pendolo cicloidale, Huygens dη attaccò un pesetto ad un filo e costruì due “guance” su cui il filo poggiava durante l’oscillazione. Tali guance erano sagomate in modo tale che la traiettoria del pesetto risultasse appunto cicloidale. La loro forma risulta nuovamente cicloidale. In effetti, si dimostra che il luogo dei centri di curvatura (in questo caso il luogo dei punti d’appoggio del filo sulle guance,) cioè “l’evoluta” , di una cicloide è una cicloide traslata di metà base lungo la direttrice e traslata della sua altezza lungo l’asse Y. 5 Si può anche dire che il tempo di caduta lungo la cicloide inversa fino al fondo è indipendente dall’altezza da cui il punto cade. La cicloide è perciò detta “tautocrona”. Si può anche dimostrare che tra tutte le curve passanti tra due punti a quote diverse la cicloide è quella lungo la quale il tempo di caduta è il minimo. La cicloide e perciò anche chiamata “brachistocrona”. 29 Cap. 2 La Dinamica Fig. 15: Pendolo cicloidale. L’idea naturalmente era quella di superare le limitazioni del pendolo semplice, che ha un periodo dipendente dall’ampiezza, pur svanendo tale dipendenza per piccole oscillazioni. Tuttavia la cosa si dimostrò poco pratica. I pendoli semplici funzionano benissimo, se l’ampiezza di oscillazione rimane sempre la stessa: se il periodo non è quello teorico, basta apportare una correzione. Lo scarto rispetto al valore teorico può essere infatti misurato e dunque corretto. Con lo stesso metodo, proviamo adesso a calcolare il periodo di un pendolo semplice la cui ampiezza di oscillazione non sia piccola. Applichiamo di nuovo la conservazione dell’energia: mgy 0 = mgy + 1 dθ θ mv 2 ⇒ v 2 = l 2 ( ) 2 = 2 g ( y 0 − y ) = 2 g ( y 0 − l (1 − cos θ )) = 2 g ( y 0 − 2lsen 2 ) 2 dt 2 4g 4g α θ α dθ ( )2 = (sen 2 − sen 2 ) = sin 2 (1 − dt l 2 2 l 2 sen 2 sen 2 θ 2 ) , dove α è il valore α 2 θ massimo di k= 1 sen 30 α 2 θ . Separando le variabili: dt = l k g d( ) 2 1 − k sen 2 2 θ ; con 2 . Integrando tra 0 e α , e moltiplicando per quattro, otteniamo il pe- Cap. 2 – La dinamica ________________________________________________________________________ l riodo: τ = 4 k g α ∫0 θ d( ) 2 1 − k sen 2 2 θ , che chiaramente dipende dall’ampiezza 2 massima di oscillazione. L’integrale, il cui valore evidentemente dipende dal valore dell’ampiezza di oscillazione α, è noto come integrale ellittico del primo genere ed esistono tavole dei suoi valori in funzione di α. Vedere, per esempio, le Standard Mathematical Tables, CRC Press. Per vari valori di α riportiamo i valori dell’integrale e di 4 volte l’integrale (ovvero: T g ): l 10° 20° 30° 40° 50° 60° 70° 80° 90° α Integrale 1,5738 1,5828 1,5981 1,62 1,649 1,6858 1,7312 1,7868 1,8541 4xI 6,2952 6,3312 6,3924 6,48 6,596 6,7432 6,9248 7,1472 7,4164 Ricordiamo anche che il valore di 4 xI = T 6,2832. Quel che segue è un grafico di T g per piccole α, è 2π, ovvero l g in funzione di α. l 7,6 7,4 7,2 4*I 7,0 6,8 6,6 6,4 6,2 0 20 40 60 80 100 α in gradi 31 Cap. 2 La Dinamica Nel caso in cui θ e quindi α siano piccoli, allora si può approssimare la precedente l espressione a: τ = 4 g 1 ∫ 0 dx 1− x x= , dove 2 θ . Ponendo α x = senβ , abbiamo: π 2 τ =4 l dβ = 2π g ∫ 0 l , che è l’espressione trovata precedentemente. Integrando fino ad g un angolo generico θ , per θ piccolo e, riutilizzando le sostituzioni precedenti, si trova invece: t= l k g θ ∫0 θ d( ) 2 1 − k 2 sen 2 θ ≅ l g x ∫0 dx 1− x 2 = l β= g l θ g arcsen ⇒ θ = α sen t α g l 2 che è la formula trovata precedentemente usando il secondo principio della dinamica. Vogliamo notare che nei tre casi del peso che cade su un piano inclinato, del pendolo semplice e del pendolo cicloidale, si tratta sempre di punti materiali costretti a muoversi lungo una data curva: un segmento nel caso del piano inclinato, un arco di cerchio nel caso del pendolo semplice e un pezzo di cicloide nel caso di un pendolo cicloidale. Dunque possiamo generalizzare questo tipo di problema, immaginando un punto materiale vincolato a muoversi (senza attrito) lungo una curva piana y = f ( x ) . In questo caso l’energia, conservata se il potenziale V ( x, y ) è conservativo (vedi oltre), sarà: 1 1 df m( xɺ 2 + yɺ 2 ) + V ( x, y ) ⇒ H = mxɺ 2 1 + ) 2 + V ( x, f ( x)) , che, nota la f ( x ) , 2 2 dx dipende solo da x e che può essere risolta per separazione delle variabili: H= 2 H − V ( x, f ( x)) 1 = xɺ 2 ⇒ m df 2 1 + dx ) dx H − V ( x, f ( x)) 1 2 df m 2 1 + dx ) = dt . Notiamo pure che nel caso del pendolo semplice, abbiamo usato come variabile un angolo che non è una coordinata nel senso che abbiamo dato a questa parola nel capitolo precedente, è, tuttavia, una coordinata in un senso generalizzato. Consideriamo un sistema di N particelle di massa m i , con i = 1,..., N e le cui coordinate cartesiane siano ri . Supponiamo che esse siano soggette a dei vincoli “olonomi”, cioè espressi da equazioni del tipo: f j (r1 ,..., rN , t ) = 0 per j = 1,..., M < 3N . Si potranno allora definire un numero di coordinate generalizzate (indipendenti), pari al numero di “gradi di libertà” n = 3N − M , indicate con i simboli q i , i = 1,..., n . Insisto che le coordinate generalizzate potrebbero non essere coordinate vere è proprie, ma, per esempio, angoli. 32 Cap. 2 – La dinamica ________________________________________________________________________ Possiamo prendere il pendolo semplice come facile esempio. Il punto materiale appeso al filo inestensibile di lunghezza l, ha tre coordinate cartesiana x, y, z, che si riducono immediatamente a due (x, y), se vincoliamo il punto a oscillare su un piano (equazione del vincolo: z = 0 ). Se poi notiamo che il filo è vincolato (vincolo indipendente dal tempo o “scleronomo”) in un punto (diciamo l’origine, per semplicità) e che per conseguenza le coordinate x e y sono correlate (equazione del vincolo: x 2 + y 2 − l 2 = 0 ), ne deduciamo facilmente che esiste una sola coordinata generalizzata: l’angolo θ=q1. Si possono esprimere le r j = r j (q1 ,..., q n , t ) e le rɺ = v j = v j (q1 ,..., qn , qɺ1 ,...qɺn , t ) = = ∂rɺj ∂r j ∑ ∂q qɺ + ∂t l l in funzione delle coordinate generalizzate e delle loro derivate tempo- l rali. Nell’esempio del pendolo, si ha: r = lsenθi + l cos θj = lsenq1i + l cos q1 j , mentre la velocità sarà: v = ph = ∂y ∂r ∂r ɺ ∂x qɺ1 = θ =( i + j )θɺ = l (cos θi − senθj )θɺ . Infine le quantità ∂q1 ∂θ ∂θ ∂θ ∂H , in cui H è l’energia totale del sistema, sono chiamate momenti coniugati. E’ ∂qɺh facile vedere che, per una particella libera per cui H = T = 1 2 ∂H mv , si ha: ph = = mv 2 ∂qɺh che è la ben nota “quantità di moto” della particel Per finire vogliamo ricordare come è fatto un orologio. Si tratta di un meccanismo cui viene fornita energia da un peso che cade o da una molla caricata e che fa muovere delle lancette su un quadrante. Caricata la molla, le lancette girerebbero fino a scaricare la molla o fino alla caduta del peso, se non fosse per un meccanismo, noto sicuramente già nel trecento e forse molto prima, chiamato “scappamento”. Lo scappamento blocca il moto degli ingranaggi frapponendo un dente in uno di essi e rilasciandolo di un dente ad ogni oscillazione di un opportuno oscillatore (pendolo, bilanciere, ecc...). Il ticchettio dell’orologio meccanico viene appunto dal battere del dente dell’ingranaggio contro il dente dello scappamento. Ogni volta che lo scappamento urta contro l’ingranaggio ne riceve un po’ di energia che serve a tenere il pendolo in oscillazione. Se il pendolo ha un periodo, poniamo, di un secondo, ad ogni scatto dello scappamento una lancetta gira di 1 / 60 ⋅ 360 0 = 6 0 , così che dopo un minuto avrà completato un giro completo. Opportunamente demoltiplicata una seconda lancetta si muoverà di 60 ogni sessanta scatti dello scappamento e una terza completerà un giro dopo 12 giri completi della seconda. Quindi, tutto ciò che le lancette fanno è contare quante oscillazioni il pendolo ha compiute, traducendo questo numero nei familiari secondi, minuti e ore. Chiaramente, se invece di un oscillatore meccanico utilizziamo un oscillatore elettronico o di altro tipo e contiamo le sue oscillazioni, stiamo costruendo un orologio più sofisticato tecnologicamente, ma non diverso concettualmente 33 Cap. 2 La Dinamica 34 Cap. 2 – La dinamica ________________________________________________________________________ 7. Il momento della quantità di moto Il momento della quantità di moto è la quantità: L = r × p , dove r è la distanza del punto materiale dall’origine. Per una particella isolata L è conservata: d dr dp L= × p+r× = 0 . Il primo termine è nullo perché prodotto vettore di due vettodt dt dt ri paralleli. Il secondo termine è nullo perché la quantità di moto è conservata. Per un sistema di particelle possiamo definire il momento totale della quantità di moto: dr dp dL L = ∑ ri × mi vi , che è anch’ esso conservato. Infatti: = ( i × pi + ri × i ) = 0 . dt dt dt i i ∑ Il primo termine è zero per la stessa ragione di prima. Usando il secondo principio della dp dL dinamica, si ha poi: = (ri × i ) = ri × Fi . La forza agente sulla iesima particeldt dt i i ∑ ∑ la è la somma di tutte quelle dovute alle altre particelle: Fi = ∑F ij . Sostituendo: j ≠i dL = dt ∑ r × F = ∑ r × ∑ F =∑ r × F i i i i i ij j ≠i i ij . Poiché, a causa del terzo principio della ji dinamica, Fij = − F ji , possiamo scrivere: dL = dt ∑ (r − r ) × F i j ij . Ma è facile vedere che: j <i (ri − r j ) × Fij = 0 = (ri senθ − r j senα ) Fij come mostrato in fig. 176. ri sin θ = r j sin a θ Fij α F ji Fig. 17: (ri − r j ) × Fij = 0 = (ri senθ − r j senα ) Fij 6 Da tutto ciò si deduce che la conservazione del momento della quantità di moto sia una conseguenza del terzo principio della dinamica e non un principio indipendente. Tuttavia vogliamo notare che nella figura in alto le due forze sono state prese non solo di modulo uguale e verso opposto, ma anche con la direzione sulla congiungente i due punti. Se i due vettori fossero stati presi paralleli, ma secondo una direzione diversa dalla congiungente i punti, allora la conservazione del momento della quantità di moto non sarebbe più vera. Possiamo allora dire che la conservazione di L aggiunge appunto che le due forze devono avere come retta d’zione la congiungente i due punti. Ciò che è vero per le forze gravitazionali, elettriche ed elastiche. 35 Cap. 2 La Dinamica Esistono diverse dimostrazioni sperimentali e diverse applicazioni basate sulla conservazione del momento della quantità di moto. Una di queste è rappresentata dalle ruote di bicicletta. È facile andare in bicicletta, finché le ruote girano, ma è molto più complicato tenersi in equilibrio da fermi. Evidentemente in marcia, il momento della quantità di moto delle ruote, impedisce alle stesse di inclinarsi lateralmente. Ricordiamo che la conservazione del momento della quantità di moto significa anche la conservazione della direzione del vettore, che, nel caso delle ruote di bicicletta, è orizzontale, allineato con l’asse della ruota. Un’altra applicazione è costituita dai giroscopi. Un giroscopio è una ruota che gira a gran velocità sul suo asse. La direzione dell’asse tende a mantenersi e può indicare così una direzione fissa, per esempio il Nord. Comunque l’applicazione più familiare è sicuramente la trottola. Anche qui abbiamo un corpo rotante attorno ad un’asse verticale. E poiché questo tende a mantenere la sua direzione, la trottola riesce a tenersi verticale anche poggiando su una punta molto sottile. 8. La dinamica del corpo rigido Dato un sistema di punti materiali, l’insieme delle forze applicate ammette sempre una risultante. Abbiamo già visto come il baricentro di un sistema discontinuo di punti si muove sotto l’effetto di un insieme di forze esterne applicate: il baricentro si muove di quel moto generato dalla risultante delle forze esterne e tutta la massa del corpo si può pensare come concentrata nel baricentro stesso. Se consideriamo un corpo rigido come un insieme continuo di punti materiali con relazioni spaziali reciproche (determinate dalle forze interne) ben definite e costanti, indipendentemente dalle forze esterne applicate, allora il moto dell’intero corpo deve seguire il baricentro la cui relazione spaziale rispetto ad ogni punto del corpo rimane costante per l’ipotesi di rigidità del corpo. Pensiamo all’esempio di una sfera spinta da una forza costante, per esempio la gravità. Il baricentro cade come se tutta la massa fosse concentrata al centro della sfera (anche nel caso di una sfera cava, cioè quando il baricentro non è sul corpo). Tuttavia, un insieme di forze esterne applicate ad un corpo rigido non produce in generale solo un movimento del centro di massa. Pensiamo ad una palla da biliardo spinta sul piano del biliardo. A causa della spinta data dalla stecca e dell’attrito sul panno verde, la palla ruota intorno ad un qualche asse. Dunque un insieme di forze esterne applicate produce anche una rotazione del corpo intorno ad un suo asse. Cominciamo col definire come “momento” di una forza F applicata in un punto Q rispetto ad un altro punto P (per esempio, l’origine delle coordinate) il pro→ dotto vettoriale: M = r × F , dove r = QP . Possiamo definire “coppia”, un insieme di due forze F e − F di eguale modulo, applicate in punti diversi del corpo con direzioni uguali e verso opposto. Il momento di una coppia è dato dal prodotto vettoriale: → → → M = Q1 P × F − Q 2 P × F = Q1Q 2 × F , che, come si vede, è indipendente dal punto prescelto P. Q1 36 −F Fig.18: Coppia di forze. P F Q2 Cap. 2 – La dinamica ________________________________________________________________________ Pur ammettendo una risultante nulla, una coppia non è affatto equivalente ad una forza nulla: l’effetto di una coppia di forze sarà infatti quello di far ruotare un corpo intorno ad un asse perpendicolare al piano formato dalle direzioni delle due forze applicate. In conclusione: dato un sistema materiale rigido, abbiamo che l’effetto di un sistema di forze esterne è quello di accelerare il centro di massa del sistema (effetto della risultante) e di produrre una rotazione del sistema attorno ad un asse (effetto delle coppie). Come abbiamo detto, un corpo rigido è un insieme continuo di punti la cui distanza relativa rimane costante. In effetti un corpo solido può essere più o meno identificato come un corpo rigido, se non è plastico come, per esempio, della plastilina. Ci interessa studiare un corpo rigido prima di tutto perché quasi tutti gli oggetti meccanici sono corpi più o meno rigidi, ma anche perché nel definire le leggi della meccanica, dobbiamo di necessità usare dei corpi rigidi ed è per essi che stabiliamo risultati sperimentali. L’estrapolazione ai punti materiali deve poi essere coerente con i risultati che troviamo per un corpo rigido. Un corpo tridimensionale è una distribuzione continua di materia per la quale possiamo misurare una quantità di materia dm per ogni volumetto dV, centrato intorno alle coordinate x, y, z, dm e dunque una “densità” di massa ρ ( x, y , z ) = . La massa totale sarà: dV ∫ M = ρ ( x, y, z )dV . Se il corpo è rigido, la sua forma è mantenuta dalle forze interne V anche quando il corpo stesso è soggetto a forze esterne. Per un corpo continuo, possiamo definire un centro di massa o baricentro, esattamente come per un sistema discontinuo di punti. In questo caso, la definizione già data di baricentro viene ad assumere la forma: ∫ ρ ( x, y, z)qdV ∫ qdm Q= V ∫ ρ ( x, y , z )dV = V M , dove q è il vettore posizione del punto di coordinate x, y, V ∫ z. La quantità di moto totale del corpo rigido, sarà allora: P = dm V dq dQ =M = MV . dt dt La quantità di moto totale del corpo è quindi quella di un punto materiale di massa pari alla massa del corpo che si muove con la velocità del baricentro del corpo. Denotate con dFint ( x, y, z ) e dFest ( x, y, z ) , rispettivamente le forze interne ed esterne agenti sui volumetti infinitesimi di coordinate q = ( x, y, z ) , abbiamo che 37 Cap. 2 La Dinamica ∫ dF int ( x, y, z ) = 0 per il terzo principio della dinamica, mentre la risultante R delle forze V ∫ esterna sarà in generale diversa da zero: R = dFest ( x, y, z ) . V Generalizzando il risultato ottenuto nel par. 4, se il sistema è isolato, il baricentro del sistema si muove di moto rettilineo uniforme. Se il sistema è invece soggetto a forze esterne distribuite secondo dFest ( x, y, z ) , si ha: ∫ ∫ V V R = dFest ( x, y, z ) = dm d 2q dt 2 = d dt dq dP ∫ dm dt = dt =M V dV . È naturalmente possibile dt che, pur non essendo nulle le forze esterne, lo sia la loro risultante. In tal caso il corpo si muoverà di moto rettilineo uniforme malgrado l’esistenza di forze esterne. Per le stesse ragioni che abbiamo esaminato nel par. 7, il momento delle forze interne è globalmente nullo: ∫ r × dF int ( x, y , z ) = 0 , ma non è così, in generale, per le forze esterne; V ∫ dunque esiste un loro momento totale M = r × dFest ( x, y, z ) ≠ 0 . È facile allora vedere V che il momento delle forze esterne è pari alla derivata rispetto al tempo del momento della ∫ quantità di moto del sistema L = r × dp . Infatti: V ∫ ∫ V V M = r × dFest ( x , y , z ) = r × dm d 2q dt 2 = . Per quanto riguarda il secondo integrale, d dt ∫ V dq dr dq d dL ∫ r × dm dt − ∫ dt × dt dm = dt ∫ r × dp = dt V V V dr dq × , esso è uguale a zero perché, se abdt dt biamo scelto l’origine come il punto rispetto al quale calcolare il momento della forze, allora r = q ed il prodotto vettore di un vettore per se stesso è nullo. Se il punto P rispetto al quale si calcolano i momenti è diverso dall’origine (vedi fig. 19), allora possiamo scri→ → dr dq d OP dq = − = , in quanto il vettore OP è codt dt dt dt stante, sotto l’ipotesi che il corpo sia rigido. → vere che: r = q − OP . In tal caso: q O → r OP P Fig. 19: Momento di una forza calcolato rispetto ad un punto P diverso dall’origine O. 38 Cap. 2 – La dinamica ________________________________________________________________________ In conclusione, l’insieme delle forze esterne applicate ad un corpo rigido in un punto diverso dall’origine, può essere rappresentato da una forza risultante che accelera il baricentro del corpo, e da una coppia di forze il cui momento produce una variazione del momento della quantità di moto. dP dt dL M = dt • R= • Per un corpo rigido che ruota intorno ad un asse (Z) orientato, di versore k , possiamo riscrivere il momento della quantità di moto in una forma che si rivelerà estremamente utile: ∫ → ∫ → ∫ ∫ ∫ ∫ V V V V L = OP× dp = OZ × dp + r × dp = r × dmv = ρr × ωrdV = ( ρr 2 dV )ωk = V V = Iωk = Iω → Dove si è fatto uso del fatto che: ∫ OZ × dp = 0 . Se questa quantità non fosse nulla, L non V risulterebbe allineato con l’asse Z come supposto. Si è sostituito v = rω , con v ed r perpendicolari, ed abbiamo definito il “momento d’inerzia” I del corpo rispetto all’asse: ∫ I = ρ ( x, y , z )r 2 dV . Si è anche definita la velocità angolare come un vettore di modulo V ω= dθ , in direzione dell’asse Z, con verso positivo, se la rotazione è antioraria. dt Z Z O r → P v Fig. 20: Corpo rigido in rotazione intorno all’asse Z. 39 Cap. 2 La Dinamica Consideriamo adesso il caso di un pendolo, costituito da un corpo pesante appeso ad un punto, intorno al quale può oscillare senza attrito. Indichiamo con I il momento d’inerzia rispetto al punto di sospensione O e con B la posizione del baricentro. Consideriamo la forza peso P , applicata nel baricentro. O θ r B P . Fig. 21: Pendolo costituito da un corpo rigido Il momento della forza peso rispetto al centro di sospensione è: M = −rPsenθ ≈ − rPθ , dove l’ultimo passaggio è giustificato nel caso di piccole oscillazioni. Applicando la seconda delle formule per il corpo rigido, si ha: rPθ = − I dω d 2θ d 2θ = − I 2 ⇒ 2 + ω02θ , dt dt dt rP . Questa equazione è esattamente quella del pendolo I semplice (o dell’oscillatore armonico). Lasciamo allo studioso lettore il compito di mostrare che, se il corpo si riduce ad un punto lasciato oscillare appeso ad un filo inestensibile, cioè si riduce ad un pendolo semplice, allora la formula appena trovata coincide con quella del pendolo semplice. Come esempio di calcolo del momento d’inerzia, prendiamo il caso di una sfera di densità costante ρ, massa totale M e raggio R. In questo caso: dove abbiamo posto: ω0 = ∫ R r I = ρx dV = ρ 2 40 2πxdxdz = 2πρ −R 0 V = 2πρ ∫∫x R 2 R5 4 π ∫ 0 sen 5θdθ = 2πρ ∫ −R 0 ( Rsenθ ) 4 r4 dz = 2πρ (− Rsenθ )dθ = 4 4 ∫ π R 5 16 2 4 3 2 = ( πR ρ ) R 2 = MR 2 4 15 5 3 5 Cap. 2 – La dinamica ________________________________________________________________________ Dove si è posto: dV = 2πxdxdz ; z = R cosθ e r = Rsenθ e, nell’ultimo passaggio, 4 M = πR 3 ρ 3 π ∫ π ∫ sen 5θdθ = sen 4θd (− cos θ ) = sen 4θ (− cos θZ ) 0 π 0 π ∫ + 4 sen 3θ cos 2 θdθ = 0 0 r θ R Fig. 22: Calcolo del momento di inerzia per una sfera. π π π π π 4 16 . = 4 sen θ (1 − sen θ )dθ = 4 sen θdθ − 4 sen θdθ ⇒ sen θdθ = sen 3θdθ = 5 15 ∫ 3 ∫ 2 0 ∫ 3 0 π Infatti: 3 0 ∫ 0 π ∫ sen θdθ = ∫ senθ (1 − cos 5 0 π 2 5 ∫ ∫ 0 π ∫ θ )dθ = senθdθ + cos 2 θd (cos θ ) = 2 − 0 0 0 2 4 = 3 3 Possiamo rifare lo stesso calcolo per una sfera cava molto sottile, alla quale attribuiamo dm un raggio fisso pari ad R ed una densità superficiale σ = . La superficie di un anello dS (come mostrato in fig. 22), sarà pari a: dS = 2πrRdθ . Moltiplicando per la densità superficiale ed il raggio al quadrato, e, tenendo conto che r = Rsenθ , si ha: π ∫ π ∫ I = 2πr 3 Rσdθ = 2πσR 4 senθ 3 dθ = 0 9. 0 2 2 (4πR 2σ ) R 2 = MR 2 3 3 La dinamica relativistica Dobbiamo a questo punto trovare una generalizzazione della dinamica classica che possa essere coerente con la cinematica relativistica illustrata nel primo capitolo. Cerchiamo dunque una generalizzazione del secondo principio della dinamica F = ma che: • • Si riduca alla formulazione classica nel limite di velocità piccole rispetto alla velocità della luce. Sia invariante rispetto alla trasformazione di Lorentz, mantenga cioè la sua forma passando da un sistema di riferimento ad un altro. 41 Cap. 2 La Dinamica Abbiamo visto che la velocità definita classicamente non si trasforma come le coordinate, non è cioè un vettore di Lorentz o quadri-vettore. Nel formulare la dinamica relativistica, conviene però usare dei quadri-vettori, perché qualunque equazione del tipo a = b con a e b quadri-vettori sarà automaticamente invariante sotto una trasformazione di Lorentz, dato che entrambi i membri vengono trasformati allo stesso modo, i due termini cioè covariano e la legge è detta covariante. Nel fare questo seguiamo solo quello che è vero per il secondo principio in dinamica classica: la sua forma rimane invariante rispetto a rotazioni, traslazioni e trasformazioni galileiane, ovvero è covariante rispetto a queste trasformazioni. Vogliamo adesso trovare una relazione a = b che sia invariante sotto rotazioni, traslazioni e trasformazioni di Lorentz. Purtroppo, nel caso classico, come in quello relativistico la legge della fisica non è valida nei sistemi non inerziali. Occorre passare alla relatività generale per avere una formulazione della dinamica che sia covariante in tutti i sistemi. Dimostriamo esplicitamente che il secondo principio delle dinamica è invariante sotto una rotazione attorno all’asse Z, applicando le regole delle trasformazioni che abbiamo scritte nel capitolo precedente. Fx = ma x = Fx' cos θ − F y' senθ = m(a x' cos θ − a 'y senθ ) F = ma ⇒ F y = ma y = Fx' senθ + F y' cos θ = m(a x' senθ + a 'y cos θ ) ' ' Fz = ma z = Fz = ma z Il sistema di due equazioni lineari nelle variabili primate ha come soluzione: F ' = ma ' . Dunque la forma del secondo principio della dinamica è conservata in una rotazione. Analogamente si può dimostrare che, se a = b , con a e b quadrivettori di Lorentz, allora è anche vero che a ' = b' , con a’ e b’ i trasformati di Lorentz di a e b. Dunque la forma di una legge rimane invariante. Possiamo cominciare dunque col trovare la forma di una velocità relativistica, generalizzazione di quella classica, che sia un vettore di Lorentz, cioè si trasformi come le coordinate o i loro differenziali sotto la trasformazione di Lorentz. Presumibilmente il problema con la definizione classica della velocità sta nel fatto che abbiamo usato come parametro invariante rispetto alla trasformazione il tempo. Il tempo però, come abbiamo visto, non è uno scalare di Lorentz, dovremo sostituirlo pertanto con uno scalare di Lorentz. Possiamo provare a risolvere il problema usando l’elemento di lunghezza ds dello spazio di Minkowski, che, come abbiamo visto nel par. 13 del precedente capitolo, è appunto uno scalare. Dunque con questa ipotesi esiste un vettore velocità a quattro componenti, definito come: dx u i = i , i = 1,...,4 . ds • 42 Evidentemente le u i trasformano come i differenziali dxi e dunque costituiscono un quadri-vettore, essendo ds uno scalare di Lorentz. Cap. 2 – La dinamica ________________________________________________________________________ • Denotando con un indice 0 le quantità nel sistema proprio del punto materiale, abγv x u1 = c γv y cdt 2 2 biamo: ds = (cdt0 ) ⇒ ds = cdt 0 = e dunque: u 2 = , c γ γv z u 3 = c con v x , v y , v z componenti della velocità classica. • La quarta componente della velocità (u 4 ) è γ . • La quantità: u 2 = u 42 − (u12 + u 22 + u 32 ) = • 1 ds 2 (dx 42 − dx12 − dx 22 − dx 32 ) = 1 è uno scala- re di Lorentz. La nuova velocità è adimensionale. Per avere le dimensioni di una velocità, moltiplidx chiamo tutto per c e ridefiniamo la velocità come: u i = c i . Avremo allora: ds u 4 = cγ e u 2 = c 2 . Denotiamo con u il trivettore • (u1 , u2 , u3 ) = γ v . Evidentemente per β → 0 , u → v cioè u tende alla velocità classica. Pertanto, u soddisfa il primo criterio imposto all’inizio di questo paragrafo. Possiamo anche definire una quantità del moto a quattro dimensioni, il quadri-impulso, moltiplicando la velocità quadri-dimensionale per la massa: p i = cm 0 u i , i = 1...4 , che trasformerà come la quadri-velocità. Notiamo che il quadri-impulso ha le dimensioni di un’energia. Altre proprietà del quadri-impulso sono: • Le prime tre componenti del quadri-impulso sono correlate alle componenti classiche della quantità di moto dalle relazioni: • p1 = m 0 γcv x = γcp x p 2 = m 0 γcv y = γcp y p 3 = m 0 γcv z = γcp z Possiamo anche ridefinire la massa come m = γm 0 , dove m0 viene allora chiamata la p1 = cp x “massa a riposo”. Avremo allora: p 2 = cp y . Secondo queste relazioni, le prime tre p3 = cp z componenti del quadri-impulso sono identiche alle componenti classiche, moltiplicate per c, tenendo però presente che la massa non è più costante in funzione della velocità a causa del fattore γ. Denotiamo con p il trivettore ( p x , p y , p z ) e avremo che: cp = ( p1 , p2 , p3 ) 43 Cap. 2 La Dinamica • La quarta componente è p 4 = m0 γc 2 = mc 2 , cioè la massa moltiplicata per c 2 . • Evidentemente: p 2 = p42 − ( p12 + p22 + p32 ) = m2c 4 − c 2p 2 = m02γ 2c 2 (c 2 − v 2 ) = m02γ 2c 4 (1 − β 2 ) = m02 c 4 è uno scalare di Lorentz. Dalla relazione precedente ricaviamo anche: mc = (m02c 4 + c 2p 2 )1/2 . 2 Vediamo adesso come riscrivere la variazione una forza compie del lavoro: dE d’energia di una particella sulla quale dE = F ⋅ vdt = dp ⋅ v = m0 d (γ v) v = m0 (v 2 d γ + γ vdv) = = m0 c 2 ( β 2 β (1 − β ) 2 3 dβ + 2 1− β 2 (1 − β ) 2 3 β dβ ) = m 0 c 2 βγ 3 dβ = m 0 c 2 dγ = d (mc 2 ) . 2 Dopo un tempo finito, la variazione complessiva di energia sarà pari a: ∆E = mc 2 − m0 c 2 . Poiché il lavoro fatto dalla forza avrà fatto variare l’energia cinetica da zero (supponiamo il punto inizialmente fermo) a T, avremo: T = mc 2 − m0c 2 . Che possiamo interpretare come segue: 1. A riposo la particella non ha energia cinetica (T = 0) , ma il termine m0 c 2 non va a zero neppure se la velocità è nulla. Dunque la massa è equivalente all’energia. La massa a riposo contribuisce all’energia con il termine m0 c 2 . 2. L’energia totale è la somma dell’energia della massa a riposo m0 c 2 e dell’energia cinetica T . L’energia totale della particella è dunque: E = mc . 2 • Notiamo esplicitamente che questo risultato consegue dall’aver inserito la massa, e non la massa a riposo, nell’espressione di p . Da tutto quanto detto sopra, è facile vedere che l’impulso e l’energia si trasformano da un riferimento all’altro nel modo seguente: E = γ ( E '− β cp 'x ) . px = γ ( p 'x − β E ') Possiamo ora dimostrare che il termine: ∆H = mc 2 − m 0 c 2 ≈ 12 m 0 v 2 , facendo uno sviluppo in serie di Mc Laurent. Questo, naturalmente, contribuisce all’interpretazione precedente. mc 2 = f ( β ) = f (0) + f ' (0) β + f ' ' (0) 44 β2 2! + ... = m0 c 2 + 12 m0 c 2 β 2 = m0 c 2 + 12 m0 v 2 Cap. 2 – La dinamica ________________________________________________________________________ Naturalmente l’equivalenza massa-energia è un risultato sorprendente, totalmente al di fuori della meccanica Newtoniana. Questa equivalenza può però essere verificata sperimentalmente. Un esempio importante viene dalla fisica nucleare. Come è noto, l’atomo è formato da un nucleo al suo interno e da particelle negative chiamate elettroni, più esterne. Nel Cap. 4 esamineremo l’esperimento che ha confermato questo modello. All’interno del nucleo, ci sono due tipi di particelle: i protoni, con carica positiva, ed i neutroni con carica nulla. Se la massa dei protoni è m p e quella dei neutroni è mn , avremo per la massa totale del nucleo: M T = Zm p + ( A − Z )m n , dove Z è il numero atomico (pari al numero di protoni nel nucleo) ed A il peso atomico (numero di protoni + numero di neutroni nel nucleo). Infatti, la massa degli elettroni è trascurabile, mentre la massa dei protoni liberi può essere misurata come può essere misurata quella dei neutroni liberi (che è circa uguale a quella dei protoni). Le diverse specie atomiche hanno in effetti diversi isotopi: atomi identici, ma con un diverso numero di neutroni; stesso Z dunque, ma diverso A. Possiamo effettuare una verifica utilizzando gli spettrometri di massa, apparecchi che saranno descritti nel capitolo 4. Dunque possiamo prevedere la massa di ogni isotopo, essendo noti A, Z, e la massa di neutroni e protoni. Tuttavia, una volta misurata la massa atomica, si è scoperto che la massa teorica totale calcolata con la formula scritta precedentemente, risultava maggiore di quella effettivamente misurata. Alla differenza tra massa teorica e massa misurata si dette il nome di “difetto di massa” ∆M . Il difetto di massa per nucleone (cioè ∆M / A) assume un valore approssimativamente costante di 8 MeV per i nuclei con Z>20. L’unità MeV è una misura di massa (o di energia, vista la loro equivalenza), che definiremo nel prossimo capitolo. Orbene, questo difetto di massa rappresenta l’energia che occorre fornire a protoni e neutroni – collettivamente chiamati nucleoni – per liberarli dal nucleo. È appunto questa energia che viene liberata durante certe reazioni nucleari, reazioni che hanno come effetto la “risistemazione” dei nucleoni di un nucleo, a formare nuovi nuclei di Z diverso, raggiungendo una configurazione complessiva di più bassa energia e liberando così l’eccesso di energia sotto forma di calore. Queste reazioni sono alla base della cosiddetta energia nucleare (spesso chiamata erroneamente “atomica”). C’è inoltre un esperimento concettuale che serve a capire come all’energia vada associata una massa inerziale. Consideriamo una scatola, un parallelepipedo di altezza l sulle cui base interne fissiamo due apparecchi emettitori/assorbitori (I e II) di luce perfettamente uguali, in particolare con la stessa massa. La massa totale sia M . L’emettitore di sinistra emette verso l’assorbitore di destra un quanto di luce con energia E , cui corrisponde una I E II v l 45 Cap. 2 La Dinamica E7 . A seguito di questa emissione, la scatola dovrà cominciare a c E , se vogliamo rispettare la conservazione muoversi verso sinistra, con velocità: v = Mc E della quantità di moto ( Mv − = 0 ). Poiché il moto del quanto di luce dura un tempo c l t = , prima che esso venga assorbito da II, la scatola si sarà spostata a sinistra complesc El sivamente di x = vt = . Mc 2 Sosteniamo che, a seguito dell’assorbimento di questo quanto, la massa dell’assorbitore II aumenta di m e quella dell’emettitore I diminuisce di m . Supponiamo, infatti per assurdo che le due masse inerziali rimangano le stesse dopo l’emissione/assorbimento, la configurazione sarà allora identica a quella iniziale a parte lo spostamento complessivo della scatola a sinistra di x, in aperta violazione del terzo principio della dinamica. Se tuttavia l’emissione/assorbimento del quanto di luce è corrisposto alle variazioni di massa m di I e di II, allora, la scatola si sarà spostata verso sinistra, ma il baricentro del sistema sarà nella Mx E = 2 . Come si vede, la massa posizione originale se: Mx − ml = 0 , cioè se: m = l c quantità di moto p = inerziale totale spostata da sinistra a destra durante l’emissione del fotone è: m = E . Per c2 concludere questo argomento, proponiamo a questo punto di riscrivere il secondo princidp pio della dinamica nella forma: Fi = i , i = 1,2,3 ,4. Evidentemente abbiamo una relaziods ne invariante rispetto ad una trasformazione di Lorentz. Consideriamo le prime tre componenti di questa relazione (con F denotiamo il vettore della forza classica): dv dβ dp dp d ( vγ ) + m 0 vγ 4 β . Evidentemente, quando =γ = m0γ = m0γ 2 γF = c dt dt ds dt dt β → 0 e γ → 1 , sopravvive solo il primo membro che restituisce il secondo principio della dinamica: F = m0 dv dp . In genere poniamo: F = . Nella precedente formula, dt dt dp dp =γ ... abbiamo moltiplicato F per γ , perché, se si studiano le formule di ds dt trasformazione del campo elettrico e magnetico, si trova che il campo elettromagnetco (e γF = c 7 Questa relazione è dimostrabile nell’elettromagnetismo classico, noi la usiamo, per E hν h esempio nell’introduzione al cap. 8, dove poniamo: p = = = , dove h è la costanc c λ te di Planck (vedi capitolo 4 e 7), ν e λ sono rispettivamente la frequenza e la lunghezza d’onda del quanto di luce. 46 Cap. 2 – La dinamica ________________________________________________________________________ dunque la forza) si trasforma secondo Lorentz, se prendiamo appunto la forza classica (forza di Lorentz) e lo moltiplichiamo per il fattore γ ; su questo punto torneremo al modp è usata nel primo capitolo del secondo corso per trovadt re il moto di elettroni in un campo magnetostatico (betatrone). mento giusto. La formula F = 10. Andamento della massa in funzione della velocità (da Phillips & Panofsky, pag. 318) Consideriamo due particelle relativistiche di egual massa a riposo m 0 che entrino in collisione. Nel centro di massa esse hanno due velocità eguali e contrarie ( u ' e −u ' ) lungo l’asse X e nel laboratorio due velocità diverse v1 e v 2 e due masse diverse m1 e m 2 , se ammettiamo che le masse siano funzione della velocità. Utilizzando le formule di trasformazione delle velocità: 1. v1 = 2. v 2 = u+v uv 1+ 2 c −u + v e la conservazione della quantità di moto: uv 1− 2 c 3. m1 v1 + m 2 v 2 = (m1 + m 2 )v ( v = velocità del baricentro nel laboratorio), possiamo dimostrare che la massa dipende dalla velocità come: m = m0 1− β 2 = m 0 γ . Ab- biamo: 47 Cap. 2 La Dinamica (m1 + m2 )v = m1v1 + m2 v2 = m1 (m1 + m2 )v(1 − −(m1 + m2 )u u 2v2 uv c2 c 4 u+v −u + v + m2 ⇒ uv uv 1+ 2 1− 2 c c ) = m1 (u + v)(1 − − ( m1 − m2 )v uv c2 uv c 2 ) + m2 (−u + v)(1 + = ( m1 − m2 )u (1 − uv c2 ) = ( m1 − m2 )u + (m1 + m2 )v v2 u2 c c2 ) + (m1 + m2 )v(1 − 2 )⇒ (m1 − m2 )u m − m2 uv v2 u2 u 2v2 u 2 v2 (1 − 2 ) = −1 + 2 + 1 − 4 = 2 (1 − 2 ) ⇒ 1 = ⇒ (m1 + m2 )v m1 + m2 c 2 c c c c c uv 1+ 2 m1 c = m2 1 − uv c2 1+ Adesso possiamo dimostrare che: 1− m0 ovvero: m1,2 = 1− 48 1− v12 c2 c2 = uv c 2 1− 1− v 22 c2 . Abbiamo dunque: v12 c2 . v12,2 c2 2 Del resto: uv = (u + v) uv 1 + 2 − c2 c uv 1+ 2 c 2 1+ ( = uv (u 2 + v 2 ) c c2 )2 − 2 1+ uv c2 m1 = m2 1− 1− v22 c2 , v12 c2 Cap. 2 – La dinamica ________________________________________________________________________ 2 e 1+ 1− 1− v 22 2 c uv c2 = uv c2 = 1− 1− ( −u + v ) uv 1 − 2 − c2 c uv 1− 2 c 2 1+ ( = uv (u 2 + v 2 ) c c2 )2 − 2 1− uv da cui segue appunto che c2 v 22 c2 . v12 c2 11. Trattazione lagrangiana della meccanica 1. Le coordinate generalizzate e la Lagrangiana Consideriamo un sistema di N particelle di massa m i , con i = 1,..., N e le cui coordinate cartesiane siano ri . Supponiamo che esse siano soggette a dei vincoli “olonomi”, cioè espressi da equazioni del tipo: f j (r1 ,..., rN , t ) = 0 per j = 1,..., M < 3N . Si potranno allora definire un numero di coordinate generalizzate (indipendenti), pari al numero di “gradi di libertà” n = 3N − M , indicate con i simboli q i , i = 1,...n . Possiamo prendere il pendolo semplice come facile esempio. Il punto materiale appeso al filo inestensibile di lunghezza l, ha tre coordinate cartesiana x,y,z, che si riducono immediatamente a due (x,y), se vincoliamo il punto a oscillare su un piano (equazione del vincolo: z = 0 ). Se poi notiamo che il filo è vincolato (vincolo indipendente dal tempo o “scleronomo”) in un punto (diciamo l’origine, per semplicità) e che per conseguenza le coordinate x e y sono correlate (equazione del vincolo: x 2 + y 2 − l 2 = 0 ), ne deduciamo facilmente che esiste una sola coordinata generalizzata: l’angolo θ=q1 (vedi cap. 2 delle dispense). Si possono esprimere le r j = r j (q1 ,..., q n , t ) e le rɺj = v j = v j (q1 ,..., qn , qɺ1 ,...qɺn , t ) = ∂r j ∂r j ∑ ∂q qɺ + ∂t l l in funzione delle coordinate genera- l lizzate e delle loro derivate temporali. Nell’esempio del pendolo, si ha: r = lsenθi + l cos θj = lsenq1i + l cos q1 j , mentre la velocità sarà: v = ∂y ∂r ∂r ɺ ∂x qɺ1 = θ =( i + j )θɺ = l (cos θi − senθj )θɺ . ∂q1 ∂θ ∂θ ∂θ Indicati con T = 1 2 ∑m v 2 i i e V = V (r1 ,..., rN ) , rispettivamente l’energia cinetica e po- i tenziale del sistema, definiamo “Lagrangiana” del sistema la quantità: 49 Cap. 2 La Dinamica L = T (v1 ,..., v n ) − V (r1 ,..., rn ) , che, utilizzando le relazioni tra le coordinate cartesiane, le velocità e le coordinate generalizzate e le loro derivate temporali diviene: L = L(q1 ,...q n , qɺ1 ,...qɺ n , t ) . Da notare che stiamo supponendo che l’energia potenziale dipenda solo dalle posizioni, non dal tempo o dalle velocità. La dipendenza esplicita dal tempo della Lagrangiana deriva dal fatto che le equazioni vincolari sono in genere dipendenti esplicitamente dal tempo (“reonomi”). Proviamo a scrivere la Lagrangiana per il nostro pendolo semplice, sempre a mo’ d’esempio. 1 1 ∂r 1 1 ∂r T = mv 2 = m qɺ1 ⋅ qɺ1 = m(lθɺ) 2 = m(lqɺ1 ) 2 è l’energia cinetica e 2 2 ∂q1 ∂q1 2 2 V = mgl (1 − cos θ ) = mgl (1 − cos q1 ) quella potenziale. (vedi dispense cap. 2); si ha così: 1 m(lqɺ1 ) 2 − mgl (1 − cos q1 ) . Da notare che la Lagrangiana non dipende espli2 citamente dal tempo, giacché il vincolo non dipende dal tempo. L(q1 , qɺ1 ) = 2. Il principio di Hamilton e le equazioni di Lagrange Consideriamo adesso lo spazio a n dimensioni con coordinate le q i (t ) per i = 1,..., n (“spazio delle configurazioni”) e consideriamo due punti P1 = P1 (q1 (t1 ),..., q n (t1 )) e P2 = P2 (q1 (t 2 ),..., q n (t 2 )) , ovvero due configurazioni del sistema meccanico ai due istanti t1 e t 2 . Poniamoci la questione: tra le infinite curve (“traiettorie”) che uniscono queste due configurazioni, quale sarà la traiettoria realmente seguita dal sistema nell’andare dalla prima alla seconda configurazione? Il principio di Hamilton stabilisce che la traiettoria vera è quella che minimizza o massit2 mizza l’integrale della Lagrangiana in t : ∫ L(q ,...q 1 ɺ1 ,...qɺ n , t )dt n,q . Se indichiamo con un t1 ∆ la derivata di tale integrale, nel passare da una traiettoria ad un’altra infinitamente vicina, possiamo scrivere il principio di Hamilton nella forma: t2 ∫ ∆ L (q1 ,..., q n , qɺ1 ,..., qɺ n , t )dt = 0 . Dimostrazione. t1 Se passiamo all’istante generico t dalla traiettoria vera ad un’altra infinitamente vicina, avremo che: q i (t ) → q i (t ) + δq i (t ) , dove i δq i (t ) saranno delle variazioni infinitesime delle q i (t ) determinate ad ogni istante t dalla scelta della traiettoria. In conseguenza di questi spostamenti infinitesimi, il valore della Lagrangiana cambierà da L = L(q1 ,..., q n , qɺ1 ,..., qɺ n , t ) a L = L(q1 + δq1 ,..., q n + δq n , qɺ1 + δqɺ1 ,..., qɺ n + δqɺ n , t ) . Si avrà così una variazione infinitesima della Lagrangiana che possiamo esprimere come: ∂L ∂L δL = δq i + δqɺ i e una variazione dell’integrale che sarà l’integrale di questa varia∂q i ∂qɺ i zione: 50 Cap. 2 – La dinamica ________________________________________________________________________ t2 t2 ∫ ∫ ∆ L(q1 ,..., qn , qɺ1 ,..., qɺn , t )dt = ( t1 t1 t2 ∂L ∂L ∂L ∂L dqi )dt = δqi + δqɺi )dt = ( δqi + δ ∂qi ∂qɺi ∂qi ∂qɺi dt ∫ t1 t2 t2 t2 ∂L ∂L d ∂L d ∂L d ∂L d ∂L = − ( ))δqi dt + ( δqi + ( δqi ) − ( )δqi dt = ( δqi )dt = ∂qi dt ∂qɺi dt ∂qɺi ∂qi dt ∂qɺi dt ∂qɺi t1 t1 t1 ∫ ∫ t2 ∫ t2 t 2 ∂L d ∂L ∂L d ∂L ∂L = ( − ( ))δqi dt + δqi = ( − ( ))δqi dt = 0 ⇒ ∂qi dt ∂qɺi ∂qɺi ∂qi dt ∂qɺi t1 t1 t1 ∫ ⇒ ∫ d ∂L ∂L ( )− =0 ɺ dt ∂qi ∂qi Abbiamo così che il principio di Hamilton è soddisfatto, se sono valide le equazioni di d ∂L ∂L Eulero-Lagrange: ( )− = 0 . Equazioni che possono anche essere derivate per dt ∂qɺi ∂qi altra strada (principio dei “lavori virtuali”). Per esemplificare, scriviamole (in effetti ce n’è una sola) per il pendolo semplice ( q1 = θ ): ∂L ∂L d ∂L = ml 2 qɺ1 = ml 2θɺ ⇒ = ml 2θɺɺ e = − mglsenθ . Infine: ∂qɺ1 dt ∂qɺ1 ∂q1 g d ∂L ∂L ( )− = ml 2θɺɺ + mglsenθ = 0 e, semplificando: θɺɺ + senθ = 0 , che l dt ∂qɺi ∂qi avevamo già ottenuto partendo dal secondo principio della dinamica (dispense, cap. 2, pag. 57). Esercizi 1. Dimostrare usando le equazioni di Lagrange e il principio di Hamilton che su un piano il cammino più breve fra due punti è un segmento di retta. Soluzione La lunghezza di un arco infinitesimo che congiunge due punti di un piano è dato da: dy ds = dx 2 + dy 2 = 1+ y ' 2 dx , con y ' = . La distanza tra due punti calcolata su un dx P2 P2 P2 P1 P1 P1 piano è così: s = ∫ ds = ∫ 1 + y ' 2 dx = ∫ Ldx . Occorre adesso minimizzare il valore dell’integrale, cioè trovare la curva che ne minimizza il valore, cosa che possiamo fare ∂L ∂L ∂L d ∂L con l’equazione di Lagrange: ( )− = 0 , dove: = =0 e dt ∂qɺ i ∂q i ∂q i ∂y 51 Cap. 2 La Dinamica y' d ∂L d ∂L d ( )⇒ ( )= ( )= dt ∂qɺ i dx ∂y ' dx 1 + y ' 2 y ' ' 1 + y' 2 − y' y' 1 + y'2 1 + y' 2 = y ' ' (1 + y ' 2 ) − y ' 2 y ' ' (1 + 3 y' 2 ) 2 = y' ' = (1 + y ' 2 3 )2 Ovvero la y = y (x) è la soluzione dell’equazione: y '' = 0 ⇔ y = ax + b 2. Dimostrare usando le equazioni di Lagrange e il principio di Hamilton che su una sfera il cammino più breve fra due punti è un arco di cerchio massimo. Soluzione La lunghezza di un arco infinitesimo che congiunge due punti su una sfera di raggio ρ è data da: ds = dx 2 + dy 2 + dz 2 = 1 + sen 2θ ( dϕ 2 ) dθ . Questa formula si ottiene dθ dalla definizione di coordinate sferiche (Introduzione matematica alle dispense, pag. VII), differenziandole, lasciando ρ costante, quadrando e sommando e ponendo per comodità ρ = 1 . dθ 2 + sin 2 θ dϕ 2 = dϕ sin 2 θ + θɺ 2 ⇒ L = sin 2 θ + θɺ 2 dθ ; con θɺ = . dϕ Calcoliamo le derivate per ottenere l’equazione di Lagrange: ∂L sin θ cos θ sin θ cos θ (sin 2 θ + θɺ 2 ) = = ∂θ (sin 2 θ + θɺ 2 )3/ 2 sin 2 θ + θɺ 2 ( ) ɺɺɺ θɺɺ(sin 2 θ + θɺ 2 ) − θɺ θɺ sin θ cos θ + θθ θɺ θɺ ∂L d ∂L d = ⇒ = = = dϕ ∂θɺ dϕ sin 2 θ + θɺ 2 ∂θɺ (sin 2 θ + θɺ 2 )3/2 sin 2 θ + θɺ2 θɺɺsin 2 θ + θɺ2θɺɺ − θɺ2 sin θ cos θ − θɺ2θɺɺ θɺɺsin 2 θ − θɺ2 sin θ cos θ = = (sin 2 θ + θɺ 2 )3/2 (sin 2 θ + θɺ 2 )3/2 Eguagliando i due termini e ignorando il denominatore: θɺɺsin 2 θ − θɺ 2 sin θ cos θ = sin θ cos θ (sin 2 θ + θɺ 2 ) . Semplificando; θɺɺsin 2 θ − 2θɺ 2 sin θ cos θ = sin 3 θ cos θ ⇒ θɺɺsin θ − 2θɺ 2 cos θ = sin 2 θ cos θ . Notiamo ades- d 2 cos θ ( ) . Da cui: so che il primo membro è: θɺɺsin θ − 2θɺ 2 cos θ = − sin 3 θ dϕ 2 sin θ 52 Cap. 2 – La dinamica ________________________________________________________________________ cos θ d 2 cos θ cos θ cos θ ) = sin 2 θ cos θ ⇒ ( )=− , , posto x = sin θ sin θ dϕ sin θ dϕ 2 sin θ l’equazione diventa: ɺɺ x + x = 0 la cui soluzione è: − sin 3 θ d2 2 ( cos θ cos 2 θ = α cos ϕ + β sin ϕ ⇒ = (α cos ϕ + β sin ϕ )2 ⇒ sin θ 1 − cos 2 θ . α cos ϕ + β sin ϕ x = α cos ϕ + β sin ϕ ⇒ cos θ = 1 + (α cos ϕ + β sin ϕ ) 2 La coordinata z sulla sfera unitaria del punto sarà: z = cos θ = ed inoltre sin θ = x= 1 1 + (α cos ϕ + β sin ϕ ) 2 cos ϕ 1 + (α cos ϕ + β sin ϕ ) 2 ;y= α cos ϕ + β sin ϕ 1 + (α cos ϕ + β sin ϕ ) 2 , da cui: sin ϕ 1 + (α cos ϕ + β sin ϕ ) 2 . Si vede subito che le coordi- nate sono appunto quelle di un punto sulla sfera unitaria: x 2 + y 2 + z 2 = 1 . La relazione: cos θ = sin θ = α cos ϕ + β sin ϕ 1 + (α cos ϕ + β sin ϕ ) 2 1 1 + (α cos ϕ + β sin ϕ ) 2 (ovvero l’altra ) definiscono la funzione θ = θ (ϕ ) che risulta essere quella di un cerchio massimo. Dimostriamolo. Prendiamo un piano passante per l’origine che ha equazione ax + by + cz = 0 . Trasformiamo le coordinate cartesiane in coordinate sferiche prendendo ρ = 1 (sfera unitaria), otteniamo: a sin θ cos ϕ + b sin θ sin ϕ + c cos θ = 0 ; 1 − cos 2 θ (α cos ϕ + β sin ϕ ) = − cos θ , quadran- do e risolvendo in cos θ , si ottiene appunto: cos θ = α cos ϕ + β sin ϕ 1 + (α cos ϕ + β sin ϕ ) 2 . Data una superficie qualsiasi la curva più breve che unisce due punti si chiama “geodetica”. Generalizzando, diciamo che la geodetica in uno spazio con tensore metrico gij si P2 ottiene minimizzando l’integrale: ∫ ∑ ij gij dxi dx j che, usando l’arco di curva P1 P2 come parametro si scrive: ∫ ∑ P1 dxi dx j gij ds = ij ds ds P2 ∫ P1 Lds con L = ∑ ij gij dxi dx j . ds ds 53 Cap. 2 La Dinamica Dunque sarà: d ds ∂ ∂( dx k ) ds ∑ ij g ij dxi dx j ∂ − k ds ds ∂x ∑ ij gij dxi dx j = 0 . Eventualds ds mente il tensore metrico può essere funzione delle coordinate; per esempio nel caso della sfera il tensore metrico aveva solo due termini diversi da zero: g 22 = 1; g33 = sin 2 θ 3. Il brachistocrono. Consideriamo un punto materiale che cada scivolando lungo una curva y = y (x) ; trovare la curva cui corrisponde il minimo tempo di caduta. Soluzione. L’equazione del tempo impiegato si trova dalla relazione: 2 1 ds x1 1 + y ' dx . Giacché: mv 2 = mgy ⇒ v = 2 gy and = ∫ 2 v x0 x0 2 gy t1 x1 ∆t = ∫ dt = ∫ t0 ds = dx 2 + dy 2 = 1+ ( dy 2 ) dx . Abbiamo preso l’asse Y rivolto verso il basso e dx 1 + y' 2 l’origine nel punto da cui inizia la discesa. Poniamo adesso L = e calcoliamo le 2 gy derivate appropriate per trovare l’equazione di Eulero-Lagrange: ∂L = ∂y ' 1 y' 2 gy 1 + y' 2 d ∂L = dx ∂y ' = ∂L = ∂y ; y ' ' y (1 + y ' 2 ) − y ' y' d ( )= 2 g dx y (1 + y ' 2 ) 1 1 2g 2( y (1 + y ' 2 3 )) 2 1 + y' 2 ∂ 1 ( )=− 2 g ∂y y 2g 1 d ∂L ∂L − =0= dx ∂y ' ∂y 1 3 2y 2 ( 2g 1 + y' 2 3 2y 2 (1 + = 1 2g 2 y ' ' y − y ' 2 (1 + y ' 2 ) 2( y (1 + y ' 2 3 )) 2 , + 1 + y ' 2 ) ⇒ La curva deve obbedire all’equazione: 2 y' ' y − y' 2 (1 + y' 2 ) + (1 + y' 2 ) 2 = 2 y' ' y + y ' 2 +1 = 0 . Ovvero: 54 = . Infine: 2 y ' ' y − y ' 2 (1 + y ' 2 )' 3 y'2 ) 2 2 y (1 + y ' 2 ) y (1 + y ' 2 ) 2g 2 y ' ' y (1 + y ' 2 ) − y ' 2 (1 + y ' 2 ) − 2 yy ' 2 y ' ' 1 y ' (1 + y ' 2 ) + y 2 y ' y ' ' Cap. 2 – La dinamica ________________________________________________________________________ y' ' = − 1 + y' 2 . A questo punto prendiamo l’equazione di una cicloide con la cuspide 2y nell’origine: y ' = 2− y 1 e facciamo la derivata: y ' ' = y 2 y − y ' y − (2 − y ) y ' = 2− y y2 1 + y'2 1 2 y' 1 . Come si vede, abbiamo ottenuto dalla lagrangiana la = − = − 2 y' y 2 2y y2 equazione di definizione della cicloide, derivata rispetto ad x una seconda volta. Ne segue che la curva detta “brachistocrona” è una cicloide con la cuspide nel punto dove finisce la discesa. =− 3. Il pendolo cicloidale. Possiamo usare le equazioni di Lagrange per risolvere in modo diverso il problema del pendolo cicloidale. La cicloide inversa ha come equazioni parametri- x = a (θ − senθ ) derivando si ottengono le componenti della velocità: y = a (1 + cos θ ) xɺ = aθɺ(1 − cos θ ) yɺ = − aθɺ sin θ che: Da cui si ricava per l’energia cinetica: 1 m( xɺ 2 + yɺ 2 ) = ma 2θɺ 2 (1 − cos θ ) , mentre l’energia potenziale è: 2 V = mgy = mga (1 + cos θ ) e la lagrangiana sarà: L = ma 2θɺ 2 (1 − cos θ ) − mga (1 + cos θ ) . Scriviamo adesso l’equazione di L. T= ∂L ∂L = ma 2θɺ2 sin θ + mga sin θ ; ɺ = 2ma 2θɺ(1 − cos θ ) ∂θ ∂θ d ∂L = 2ma 2θɺɺ(1 − cos θ ) + 2ma 2θɺ 2 sin θ . Da cui ricaviamo l’equazione di Lɺ dt ∂θ 2ma 2θɺɺ(1 − cos θ ) + 2ma 2θɺ 2 sin θ = ma 2θɺ 2 sin θ + mga sin θ 1 g θɺɺ(1 − cos θ ) + θɺ 2 sin θ = sin θ 2 2a θ θ θ g θ θ 2θɺɺsin 2 + θɺ 2 sin cos = sin cos 2 2 2 a 2 2 55 Cap. 2 La Dinamica d2 θ 1 θ g θ + θɺ 2 cos = cos . Il primo membro è: −2 2 cos e pertanto, 2 2 2 2a 2 dt 2 2 2 d θ g θ g θ d x abbiamo: cos = − cos e, posto x = cos , 2 = − xo 2 dt 2 4a 2 2 dt 4a g g a ɺɺ (ovvero: T = 4π ) è l’equazione x+ x = 0 , che, posto ω 2 = 4a 4a g θɺɺsin θ dell’oscillatore. Questo ci dice che le oscillazioni sono isocrone e che: θ (t ) = 2 arccos(cos(ωt )) = 2ωt che sostituita nell’espressione delle coordinate ce le dà in funzione del tempo. 3. Le equazioni di Hamilton Posto: pi ( qɺi , qi ) = ∂L , detto “momento coniugato alla coordinata generalizzata q i ”, ∂qɺi possiamo riscrivere le equazioni di Lagrange: pɺ i = ∂L . Possiamo poi invertire le equa∂q i zioni di definizione e avere: qɺ i = qɺ i (q i , p i ) , sostituire nella Lagrangiana e, infine, definire la hamiltoniana: H ( p i , q i , t ) = ∑ p qɺ i i − L( q i , p i , t ) . i Si può dimostrare che: ∑ p qɺ i i = 2T e quindi: H = 2T − T + V = T + V , che risulta così i l’energia totale del sistema. E’ infatti: dr dr 1 dri dri 1 ∂T T= mi i ⋅ i = mi ⋅ qɺ j qɺ k ⇒ p k = = 2 i dt dt 2 i dq dq ∂ qɺ k j k jk ∑ = ∑ ∑ ∑m ∑ i i j dri dri ⋅ qɺ j ⇒ dq j dq k ∑ k p k qɺ k = ∑m ∑ i i jk dri dri ⋅ qɺ j qɺ k = 2T dq j dq k . Lasciamo allo studioso lettore di mostrare che l’hamiltoniana per il pendolo semplice è: p2 1 H = m(lθɺ) 2 + mgl (1 − cos θ ) = 1 2 + mgl (1 − cos q1 ) . 2 2ml Se l’energia cinetica non dipende (esplicitamente) dalle coordinate: ∂L ∂V ∂H ∂H e, dunque: pɺ i = − . Del resto, dalla definizione di hamilto=− =− ∂q i ∂qi ∂qi ∂qi niana si ha: qɺ i = 56 ∂H . ∂p i Cap. 2 – La dinamica ________________________________________________________________________ ∂H pɺ i = − ∂q i Le equazioni: sono le equazioni di Hamilton. qɺ = ∂H i ∂p i Nella formulazione di Lagrange ci sono dunque n variabili, le coordinate generalizzate e le n equazioni sono del secondo ordine. La formulazione hamiltoniana usa 2n variabili, le coordinate generalizzate e i momenti coniugati, soggetti a 2n equazioni del primo ordine. p Per il nostro pendolo, le due equazioni di Hamilton sono: pɺ 1 = − mglsenθ e θɺ = 12 . ml Derivando la seconda e sostituendovi l’espressione di pɺ 1 data dalla prima, si riottene l’equazione di Lagrange del pendolo. In verità, in questo modo, usare le equazioni di Hamilton non farebbe guadagnare nulla rispetto ad usare le equazioni di Eulero-Lagrange. Tuttavia, se l’energia potenziale non dipende (esplicitamente) dal tempo, allora: dH = dt ∑ ( pɺ qɺ i i i + p i qɺɺi − ∂L ∂L qɺɺi − qɺ i ) = 0 cioè: la hamiltoniana è conservata. Possia∂qɺ i ∂q i mo usare questa proprietà per sostituire l’espressione di p1 = 2ml 2 H − 2m 2 gl 3 (1 − cos q1 ) nella seconda e ottenere: g (1 − cos q1 ) , che l’attento lettore non mancherà di identificare con l ml l’espressione già trovata precedentemente. Rimane un ultimo punto: come introdurre il campo magnetico in questa trattazione, giacché campi gravitazionali ed elettrostatici vi entrano già attraverso il potenziale scalare? La risposta è che occorre solo sostituire (principio di minimalità) ai momenti coniugati pi le espressioni: pi + qi Ai dove le Ai sono le componenti del potenziale vettore. θɺ = 2 H 2 −2 Simmetrie della lagrangiana e quantità conservate Dimostriamo che, se la Lagrangiana è invariante rispetto ad un cambiamento di assi: x' h = x' h ( x k ) , allora c’è una quantità conservata. Se la lagrangiana non cambia, facendo la trasformazione d’assi δL = 0 = ( x' h = x' h ( x k ) , allora: ∂L ∂qi ∂x k ∂L ∂qɺ i ∂x k δx' h + δx' h = ∂qi ∂x k ∂x' h ∂qɺ i ∂x k ∂x' h ∂L ∂qi ∂L ∂qɺ i ∂x k ∂L ∂qi ∂L ∂qɺ i + ) δx' h ⇒ + = 0 , usando le equazioni ∂qi ∂xk ∂qɺ i ∂xk ∂x' h ∂qi ∂x k ∂qɺ i ∂x k di Eulero-Lagrange, possiamo scrivere: 57 Cap. 2 La Dinamica ∂L ∂qi ∂L ∂qɺ i d ∂L ∂qi ∂L d ∂qi d ∂L ∂qi + = ( + ) ( )= ( ) = 0 . Ov∂qi ∂x k ∂qɺ i ∂x k dt ∂qɺ i ∂x k ∂qɺ i dt ∂x k dt ∂qɺ i ∂x k ∂L ∂qi sono conservate. Prendiamo come esempio una particella libevero le quantità: ∂qɺ i ∂xk ra e facciamo una traslazione degli assi (cartesiani). Assumiamo che la Lagrangiana rimanga invariante; le qi sono le coordinate cartesiane della particella; le quantità ∂L sono le componenti della quantità di moto della particella e le ∂qɺ i ∂q i ∂x i = = δ ik sono nulle almeno che i due indici non siano uguali. In conclusione, le ∂x k ∂x k pi = quantità conservate sono le componenti della quantità di moto. La conservazione della quantità di moto si può allora ritenere una conseguenza dell’invarianza della Lagrangiana rispetto alle traslazioni. Vediamo un altro esempio. L’energia lagrangiana del sistema Terra - Sole è: 1 A L= ( µρɺ )2 + ( µρφɺ)2 + 8.Come si vede, essa non dipende dalla coordinata φ , per 2µ ρ ∂H ∂H cui Jɺ = =0⇒ = µρ 2φɺ = J = cos t , usando le notazioni del cap. 4. In conclusioɺ ∂φ ∂φ ne, il momento della quantità di moto J è conservato, proprietà questa che avevamo appunto usato nella soluzione del problema dei moti centrali. Abbiamo anche visto che, se il tempo è ignorabile, la lagrangiana cioè non ha dipendenza esplicita dal tempo, allora l’energia è conservata. Dunque, se la Lagrangiana non ha dipendenza esplicita da una coordinata generalizzata q i (coordinata ciclica o ignorabile) o dal tempo, il corrispondente ∂L = 0 .Supponiamo che una coordi∂q i nata sia ignorabile, allora una trasformazione che cambi solo quella variabile (come nel caso di una traslazione per una coordinata cartesiana, ma anche per una rotazione intorno ad un asse nel caso di una coordinata data da un angolo) non cambierà la lagrangiana. Ne segue, di nuovo, che le coordinate ignorabili producono una quantità conservata. L’invarianza della lagrangiana è spesso chiamata una simmetria della lagrangiana appunto perché essa rimane invariante sotto una trasformazione di quella variabile. Possiamo allora dire che una simmetria della lagrangiana corrisponde ad una variabile dinamica consermomento coniugato o l’energia è conservato: pɺ i = 8 Usando la definizione di coordinate sferiche di pag. VII delle dispense, l’energia cinetica 1 di una particella è: T = m( ρɺ 2 + ( ρθɺ) 2 + ( ρφɺsenθ ) 2 ) , come si calcola derivando le 2 coordinate cartesiane, quadrando e sommando. Anche così, la coordinata φ non appare e il suo momento coniugato è conservato. 58 Cap. 2 – La dinamica ________________________________________________________________________ vata. Tuttavia mentre l’ignorabilità di una coordinata conduce di sicuro ad una quantità fisica conservata, il viceversa non è vero nel senso che possono esistere delle trasformazioni che conducono ad una simmetria della lagrangiana senza che esse corrispondano a coordinate ignorabili. Una tale simmetria è l’invarianza di gauge che esaminiamo nel prossimo paragrafo. Invarianza di gauge e conservazione della carica Un punto molto importante da notare è che, se facciamo una trasformazione di gauge ( ∂f ϕ → ϕ − ; A → A + ∇f ) allora la lagrangiana cambia con l’aggiunta della derivata tota∂t le di una funzione rispetto al tempo; ciò non modifica le equazioni di Eulero-Lagrange: si ottiene cioè una lagrangiana equivalente. Insomma possiamo dire che una trasformazione di gauge non cambia la lagrangiana, anche se in realtà non cambiano le equazioni del campo che da essa si deducono. Dimostriamo che, se abbiamo la seguente trasformazione dg della lagrangiana: L → L + , le equazioni di Eulero-Lagrange rimangono le stesse. dt Applicando il principio di Hamilton: t2 ∫ t2 t2 ∫ L (q1 ,...q n , qɺ1 ,...qɺ n , t )dt → L(q1 ,...q n , qɺ1 ,...qɺ n , t )dt + t1 t1 ∫ t1 t2 dg dt = L(q1 ,...q n , qɺ1 ,...qɺ n , t )dt + dt ∫ t1 t2 + g (t 2 ) − g (t 1 ) = ∫ L(q ,...q 1 ɺ1 ,...qɺ n , t )dt n,q +G t1 Nel processo di minimizzazione la costante G non darà contributo e le equazioni di Lagrange dovranno per forza rimanere le stesse. dg Dimostriamo adesso che una variazione della gauge comporta appunto che L → L + . dt L= ∑ (T − q (φ (r ) − v ⋅ A( r , t ))) , i termini i i i i i −qi (φ ( ri ) − vi ⋅ A( ri , t )) si trovano aggiun- i ∂f ∂f ∂f dx ∂f dy ∂f − vi ⋅ ∇f ) = qi ( + + + ∂t ∂t ∂x dt ∂y dt ∂z dando che, a causa della conservazione della carica e del fatto che ∂ρ ∂ρ ∂ρ dx ∂ρ i ji = qi δ ( r − ri )vi = ρi vi , è: 0 = ∇ ⋅ ji + i = i + i + ∂t ∂t ∂x dt ∂y ti i due termini: − qi ( − dz df ) = qi . Ricordt dt dy ∂ρ i dz d ρ i + = , dt dt ∂z dt ∂ρ possiamo aggiungere ai due termini precedenti il prodotto 0 = (∇ ⋅ ji + i ) f , ottenendo: ∂t d ρi ∂ρ i df d ∂f ) f = ρi ρ i ( + v i ⋅ ∇f ) + ( ∇ ⋅ j + + f = ( f ρ i ) . Il fatto che la lagrangiana dt dt dt ∂t ∂t non venga modificata (nel senso spiegato sopra) da una trasformazione di gauge, come si vede, è equivalente al fatto che la carica si conserva. 59 Cap. 2 La Dinamica Generatori di una trasformazione Data una funzione G = G (qi , pi ) , possiamo definire una trasformazione con le seguenti ∂G ∂G δα e δ pi = − δα . G è chiamata il generatore della trasformap ∂ i ∂qi zione. Vediamo l’effetto della trasformazione su un’altra funzione F : relazioni: δ qi = δF = n ∂F 1 i ∑ ( ∂q δ qi + ∂F δ pi ) = ∂pi n ∂F ∂G ∂F ∂G )δα . Se prendiamo: F = H − ∂pi ∂pi i ∂q i ∑ ( ∂q 1 (l’hamiltoniana), abbiamo: δH = n ∑ 1 ( ∂H ∂G ∂H ∂G )δα = − ∂qi ∂pi ∂pi ∂qi n ∂G ∑ ( ∂q 1 i qɺ i + dG ∂G . Se l’hamiltoniana pɺ i )δα = dt ∂pi dG = 0 . Ne segue che, se G è il dt generatore di una trasformazione che lascia l’hamiltoniana invariante, allora G è conservata. Consideriamo una rotazione del sistema intorno all’asse Z, le formule di trasformazione x ' = x cos α − y sin α x ' = x − yδα sono: che per un angolo infinitesimo divengono: , y ' = x sin α + y cos α y ' = xδα + y rimane invariante, allora: δ H = 0 e per conseguenza δ x = − yδα ovvero: , lo stesso si può scrivere per le componenti della quantità di moto: δ y = xδα δ p x = − p y δα . D’altra parte, se consideriamo la componente Z del momento della δ p y = p x δα ∂Lz ∂Lz quantità di moto Lz = xp y − yp x , allora possiamo scrivere = − px , = py , ∂x ∂y ∂Lz ∂Lz = x . Si vede per confronto con le equazioni di definizione di generatore = −y, ∂p x ∂p y che Lz è il generatore delle rotazioni intorno all’asse Z. Se l’hamiltoniana non cambia sotto una rotazione, il generatore della rotazione, cioè Lz , è conservato. Unità di misura Le unità di misura fondamentali sono: 1. Unità di lunghezza: 1.650763,73 volte la lunghezza d’onda nel vuoto della radiazione emessa dal 86 Kr nella transizione fra i livelli 2 p10 e 5d 5 . 2. Unità di massa: è la massa del prototipo internazionale conservato al Pavillon de Breteuil (Sèvres) da B.I.P.M. 60 Cap. 2 – La dinamica ________________________________________________________________________ 3. Il secondo è l’intervallo di tempo che contiene 9.192.631,770 periodi della radiazione corrispondente alla transizione tra i due livelli iperfini dello stato fondamentale dell’atomo di 133Cs . Complementi ed esercizi Complementi Teoria del pendolo esteso Consideriamo dapprima un pendolo semplice, cioè un sistema costituito da una massa puntiforme M appesa ad un filo di lunghezza L e massa nulla. Il periodo di oscillazione nell’approssimazione dei piccoli angoli è dato dall’equazione: T= 2π L g dove g è l’accelerazione di gravità. Tale equazione può essere risolta rispetto a g: 2 2π g = L T Questo significa che possiamo determinare g misurando L e T. Ma il pendolo semplice è un sistema ideale che non si può realizzare praticamente in modo da ottenere misure accurate di g. Consideriamo quindi un corpo esteso di massa M, baricentro G, momento d’inerzia rispetto al baricentro IG e sia A un punto di sospensione attorno a cui il corpo possa oscillare liberamente, sia ζA la distanza di A da G. Per piccoli angoli, il periodo è: 2 IA 2π I G + Mζ A = Mζ A g Mζ A g ove IA è il momento di inerzia rispetto al punto A. Nella seconda eguaglianza è stato usato il teorema di Steiner. Questo stabilisce che il momento d’inerzia di un corpo di massa M, rispetto ad un asse passante per un punto A a distanza ζA dal baricentro è uguale al momento di inerzia rispetto all’asse parallelo al primo, passante per il baricentro, aumentato della quantità MζA 2. Risolvendo rispetto a g: Quindi la determinazione di g dipende dalla misura di , T, M, ζA, IG. Qui c’è una TA = 2π 2π I G + Mζ A g = Mζ A T difficoltà, perché le misure di momenti d’inerzia sono generalmente difficili da eseguire e scarsamente accurate: sembra che il problema sia diventato ancora più complicato di prima. Vedremo subito però che, con un sistema opportunamente scelto, si può prescindere dalla conoscenza non solo di IG, ma anche di M e ζA. 2 2 61 Cap. 2 La Dinamica Cerchiamo se esistono punti di sospensione B tali che il periodo di oscillazione corrispondente TB sia uguale a TA. Detta x la distanza di B da G, ciò equivale a cercare le soluzioni dell’equazione: I G + Mζ A2 I G + Mx 2 = Mζ A Mx Moltiplicando per i denominatori e ordinando rispetto a x, si ottiene un’equazione di secondo grado: x2 − MζA 2 + I G I x+ G =0 Mζ A M Una prima, ovvia, soluzione si ottiene ricordando il teorema di Steiner: tutti i punti che si trovano a ugual distanza dal baricentro hanno lo stesso momento di inerzia, in tal caso sono soluzioni tutti i punti per cui x1 = ζ A Chiameremo questi punti equivalenti. Ma è anche possibile avere come soluzione punti che si trovano a distanza diversa dal baricentro. Si trova infatti come seconda soluzione: x2 = IG Mζ A che è in generale diversa dalla prima. La somma delle due soluzioni non è altro che l’opposto del coefficiente del termine di prima nell’equazione di secondo grado in x: x1 + x 2 = ζ A + IG MζA 2 + I G = Mζ A Mζ A Questa formula è molto importante perché, se noi scegliamo i punti A e B in modo che siano allineati con G e giacciano da parti opposte rispetto a questo punto allora, detta l la distanza dei punti A e B, otteniamo: TA = 2π x1 + x 2 = 2π l g g Punti A e B che soddisfano questa condizione vengono detti coniugati. 62 Cap. 2 – La dinamica ________________________________________________________________________ L’equazione trovata per il periodo stabilisce che, se siamo in grado di trovare due punti coniugati opposti rispetto al baricentro, allora per determinare g non è necessario conoscere M, ζA, IG. Risolvendo rispetto a g otteniamo infatti: 2 2π g = l T Questa formula può anche essere interpretata, dicendo che un pendolo fisico in cui si sia raggiunta la condizione di coniugio per i due punti di sospensione, equivale ad un pendolo semplice di lunghezza pari alla distanza fra di essi. Si noti che punti equivalenti non sono, in generale, coniugati. Oscillatore forzato Introduciamo un fattore di attenuazione proporzionale alla velocità nella equazione dell’oscillatore armonico (m=massa e k= costante elastica): mɺxɺ + γxɺ + kx = 0 ɺxɺ + βxɺ + ω 2 x = 0 e troviamo le soluzioni dell’equazione algebrica associata:: λ2 + βλ + ω 2 = 0 . λ = − β 2 ± β2 4 − ω 02 ; con ω 0 = k , β = γ /m. m Quindi le soluzioni sono: x( t ) = e che β2 4 − β2 t Ae 2 − ω0 < 0 β2 4 − ω02 t + Be − β2 4 −ω02 t con A e B costanti complesse. Supponiamo Poniamo: A = Ce iφ e B = Ce − iφ ( A e B devono essere numeri complessi coniugati perché la soluzione sia reale) x ( t ) = Ce = Ce − β2 t − β2 t i (ϕ + e ω02 − β2 4 t) +e − ( iϕ + ω02 − β2 4 t) 2 2 = Ce − β2 t cos 4ω0 − β t + ϕ = 4 . cos ( ω t + ϕ ) Un moto oscillante con un’ampiezza che decade esponenzialmente dunque, se β < 2ω0 . Un decadimento esponenziale dopo il primo massimo, se β > 2ω0 . Aggiungiamo ora un forza periodica di pulsazione ω : F = F0 cos(ω t ) . 63 Cap. 2 La Dinamica ɺɺ x + β xɺ + ω 02 x = A0 cos ω t , con A0 = F0 . Le soluzioni sono quelle di prima m più una soluzione particolare. Cerchiamo una soluzione particolare nella forma: A cos(ωt + ϕ ) = A(cos ωtcosϕ − sin ωt sin ϕ ) : ɺɺ x = −ω 2 A(cos ωtcosϕ − sin ωt sin ϕ ) β xɺ = − βω A(sin ωtcosϕ + cos ωt sin ϕ ) 2 2 ω0 x = ω0 A(cos ωtcosϕ − sin ωt sin ϕ ) Sommando e mettendo in evidenza, si ha: A(((ω02 − ω 2 )cosϕ − βω sin ϕ ) − A0 ) cos ωt − A((ω02 − ω 2 )sin ϕ + βω cos ϕ ) sin ω t = 0 A((ω 2 − ω 2 )cosϕ − βω sin ϕ ) = A 0 0 2 2 A((ω0 − ω )sin ϕ + βω cos ϕ ) = 0 Dalla seconda: tan ϕ = − cos ϕ = βω (ω02 (ω02 − ω 2 ) (ω02 − ω 2 )2 + β 2ω 2 −ω ) 2 ⇒ sin ϕ = − βω (ω02 − ω 2 )2 + β 2ω 2 e . Usando la prima si ha: A= (ω02 A0 2 2 −ω ) + β ω 2 2 (ω02 − ω 2 )2 + β 2ω 2 = (ω02 A0 2 2 − ω ) + β 2ω 2 In conclusione, l’ampiezza è funzione della frequenza della forza; la massima ampiezza si ottiene per ω0 = ω (risonanza). 64 Cap. 2 – La dinamica ________________________________________________________________________ F1 Ampiezza (a.u.) 40 20 0 0 200 frequenza angolare (rad/s) Leggi dell’attrito a) L’attrito statico Si consideri un corpo P appoggiato su una superficie S (che supporremo piana per semplicità) e si indichi con N la forza normale ad S che agisce su P. In molti casi di interesse pratico questa forza risulta essere la componente del peso perpendicolare alla superficie di appoggio. Tuttavia, si possono presentare anche situazioni diverse, come per esempio la presenza di una forza esterna aggiuntiva che “preme” sul corpo. Le interazioni tra il corpo appoggiato e la superficie di appoggio, molto complesse se esaminate da un punto di vista microscopico, possono essere schematizzate in maniera abbastanza semplice, seppure solo in prima approssimazione. Se il corpo non può penetrare all’interno della superficie, questa interazione ha una prima componente esattamente opposta ad N (la cosiddetta reazione normale) ed una seconda componente tangente ad S (con verso tale da “ostacolare il moto”): proprio questa componente costituisce l’attrito. Le leggi dell’attrito forniscono un legame tra la componente tangente dell’interazione tra P ed S (l’attrito) e le caratteristiche di P ed S, in particolare le loro superfici di contatto. Si verifica sperimentalmente che la situazione risulta essere diversa nel caso di moto relativo tra P ed S rispetto al caso di quiete tra P ed S. Nel primo caso, si parla di attrito dinamico, nel secondo caso di attrito statico. Ci si occuperà prima dell’attrito statico. 65 Cap. 2 La Dinamica La legge dell’attrito statico esprime la massima forza di attrito che si può sviluppare tra due superfici asciutte e soddisfa le seguente leggi empiriche: a) È approssimativamente indipendente, entro grandi limiti, dall’area della superficie di contatto. b) È proporzionale alla forza normale applicata sul corpo P secondo una certa costante (coefficiente di attrito statico), che dipende dal tipo di superfici e dal loro grado di levigatura. La costante può anche essere maggiore di uno, sebbene sia comunemente minore di uno. Queste leggi empiriche possono essere compendiate nella formula: Fs ≤ µ s N , dove Fs rappresenta l'attrito statico e µ il coefficiente di attrito statico. Occorre sottolineare che la legge di attrito statico non è un’equazione, cioè non fornisce direttamente il modulo della forza di attrito effettivamente esercitata: da essa si può solo ricavare il modulo della massima forza che - alle condizioni date - si può sviluppare. Per determinare il valore effettivo della forza di attrito, occorre utilizzare le equazioni della dinamica (imponendo che il corpo abbia accelerazione nulla). Si noti che l'attrito si manifesta solo se vi sono delle forze che tendono a far muovere una superficie rispetto all’altra. Si consideri, per esempio, il corpo P appoggiato su un piano orizzontale S, nell’ipotesi che l'unica forza esterna agente sia il peso, W , di P, come in figura. Allora il piano di appoggio reagirà con una forza, R , perpendicolare al piano stesso, esattamente come se non ci fosse alcun attrito R W Si esamini ora un’altra situazione: il corpo P è appoggiato su un piano S, inclinato di un angolo θ, rispetto all’orizzontale e sottoposto solo all’azione della forza peso. Il corpo si muove a causa dalla componente del peso parallela al piano inclinato: W// = mgsenθ . In questo caso l’attrito si opporrà al moto del corpo. Se la forza di attrito sviluppata non sarà sufficiente, il corpo comincerà a muoversi verso il basso e le considerazioni relative al caso statico non saranno più valide. In sostanza se il corpo rimane fermo significa che l’attrito è in grado di bilanciare esattamente la componente parallela del peso, per cui l’attrito stesso avrà modulo Fs = mgsenθ ; se invece il corpo si mette in moto significa che la componente parallela del peso è, in modulo, più grande del massimo attrito possibile, ed allora non riuscirà ad impedire il moto. 66 Cap. 2 – La dinamica ________________________________________________________________________ W par = mgsenθ Wort = mg cos θ Maggiore è l’inclinazione del piano, minore sarà il più grande attrito possibile, perché all’aumentare dell’inclinazione diminuisce la componente perpendicolare del peso. All’aumentare dell’inclinazione del piano, aumenta la componente parallela del peso. * Il massimo angolo θ max che consente l’equilibrio è quello per cui * * * mgsenθ max = µ s mg cos θ max , ovvero tg θ max =µs. Questa osservazione consente una semplice determinazione sperimentale di µs: basta appoggiare un corpo su un piano e inclinare il piano fin tanto che il corpo comincia a muoversi; la tangente dell’angolo per cui il corpo comincia a muoversi, è il coefficiente di attrito statico cercato. Non appena il corpo comincia a muoversi, però, occorre considerare l’attrito dinamico. b) L’attrito dinamico Nel caso di moto relativo tra le due superfici a contatto, la forza di attrito presente, che indichiamo con Fd , soddisfa alle stesse leggi empiriche del caso statico. Essa ha, come nel caso statico, direzione tangente alle superfici che sono a contatto, verso opposto alla velocità e modulo dato da: Fd = µ d N con µd coefficiente di attrito dinamico. Si noti che questa legge fornisce proprio il modulo della forza e non, come nel caso statico, solo il massimo valore. Normalmente µd risulta essere minore di µs. 67 Cap. 2 La Dinamica Fd Occorre notare che la forza di attrito, costante fin che dura il moto, scompare non appena il corpo si ferma. Riprendiamo in esame il caso di un corpo, sottoposto solo all'azione della forza peso come forza esterna, appoggiato su un piano inclinato di un angolo θ>0 e supponiamo che sia in moto. Distinguiamo il caso di corpo in moto verso l’alto o verso il basso. 1- Corpo in moto verso l’alto Un corpo poggiato su un piano inclinato può essere in moto verso l’alto solo per effetto di una velocità iniziale impressa da un agente esterno. In questo caso l’attrito dinamico è diretto verso il basso e si somma alla componente tangente della forza peso, rallentando il moto, che sarà quindi uniformemente decelerato, fino all’annullarsi della velocità. Raggiunta la posizione più alta in cui la velocità si annulla si possono presentare due situazioni. * Se l’angolo θ è minore del massimo angolo θ max che consente l’equilibrio, il corpo si fermerà nella posizione raggiunta, in quanto l’attrito statico (che compare nel momento in cui la velocità si annulla) è in grado di mantenere l’equilibrio. * , il corpo inizierà un moto uniSe l’angolo θ è maggiore del massimo angolo θ max formemente accelerato verso il basso, in quanto l’attrito statico (che compare solo per un breve istante quando la velocità si annulla) non è grado di mantenere l’equilibrio. 2- Corpo in moto verso il basso Se il corpo è in moto verso il basso, l’attrito dinamico è invece diretto verso l’alto e si * oppone alla componente tangente della forza peso. Se l’angolo θ è maggiore di θ max , l’attrito statico non è in grado di bilanciare la componente tangente del peso e, a maggior ragione, non può farlo l’attrito dinamico che è minore di quello statico: il moto sarà uniformemente accelerato verso il basso. * Se l’angolo θ è minore od uguale al massimo angolo θ max , essendo la forza totale pa- rallela al piano di appoggio data da mgsenθ − µ d mgcosθ = mgcosθ (tan θ − µ d ) , si possono presentare diverse situazioni. Per un particolare angolo δ, tale che tan δ = µ d , la forza totale è nulla e dunque il moto è rettilineo ed uniforme verso il basso. Se θ <δ la forza è diretta verso l’alto ed il moto è uniformemente decelerato: il corpo si fermerà quando avrà raggiunto veloci68 Cap. 2 – La dinamica ________________________________________________________________________ * tà nulla. Se θ max > θ >δ la forza è diretta verso il basso ed il moto è uniformemente accelerato verso il basso. Quest’ultimo caso è identico a quello che si verifica quando * l’angolo θ è maggiore di θ max : bisognerà solo tenere conto che mentre nel caso precedente il corpo poteva mettersi in moto spontaneamente, in questo caso deve essere messo in moto da un agente esterno. Esercizi 1. L’accelerazione dovuta alla gravità sulla Luna è circa 1/6 di quella terrestre. Se un oggetto viene lanciato verticalmente verso l’alto sulla Luna, quante volte andrà più in alto di uno lanciato sulla Terra, supponendo che la velocità iniziale sia la stessa? 2. Una pietra viene lanciata verticalmente verso l’alto con una velocità di 18,0m/s. A che velocità si muoverà una volta raggiunta l’altezza di 12,0m dal suolo? Quanto tempo impiega a raggiungere quest’altezza? 3. Un blocco è sospeso ad un filo di massa trascurabile che passa su un piolo privo di attrito ed è collegato ad un altro blocco che poggia su un tavolo privo di attrito. Si trovino l’accelerazione di ciascun blocco a) Se le masse sono m1=2kg, m2=8kg. b) Se le masse vengono scambiate. 4. Un corpo di massa m=0,7kg è appeso tramite un filo ad una piattaforma che sale con accelerazione a=2m/s2. a) Calcolare la tensione del filo b) Se il filo si rompe quando la tensione supera il valore di 10N, qual’è la massima accelerazione tollerata? 5. Calcolare l’accelerazione di gravità a Udine, cioè alla latitudine di 46° 03’. 6. Il piano di oscillazione di un pendolo semplice è invariante rispetto allo spazio assoluto. Di conseguenza, un pendolo che oscillasse al polo nord, dunque nel piano di un meridiano, oscillerebbe in un piano che, essendo fermo rispetto alle stelle fisse, ruoterebbe, se visto dalla Terra, ogni 24 ore. Ad una latitudine diversa dai 90°, chiamiamola λ, il piano di oscillazione ruota ancora, se visto dalla Terra, ma con un periodo diverso. Spiegare il perché. 7. Il baricentro del sistema solare gira intorno al centro della galassia con una velocità di 239km/s e completa una rotazione in 220 milioni d’anni. Calcolare la velocità angolare e la distanza dal centro della via Lattea. 8. Una massa di 0,15kg attaccata ad una molla compie un moto armonico durante il quale la velocità massima è di 3m/s e l’accelerazione massima è di 12m/s2. Quanto vale la costante elastica della molla in N/m? 69 Cap. 2 La Dinamica 9. La quantità di moto di un razzo aumenta o diminuisce durante il volo? 10. Con che velocità rincula un fucile del peso di 2kg dopo aver sparato un proiettile di 10g avente una velocità di 285m/s? 11. Calcolare la lunghezza di un pendolo che “batte il secondo”, cioè che ha un semiperiodo pari ad un secondo. Se per vincere gli attriti, occorre fornire all’orologio 18 ⋅10 −6 J ad ogni semiperiodo, in quanto tempo arriva a terra il peso di 1,5kg che fornisce l’energia, se esso cade da un’altezza di 80cm? Se portiamo il nostro orologio ad una latitudine diversa dove g diminuisce, il pendolo funzionerà più o meno a lungo? 12. Un pendolo di lunghezza pari ad 1m e massa di 150g oscilla con un’ampiezza massima di 5°. Calcolarne l’energia totale e la velocità massima. 13. Se il pendolo di cui all’esercizio precedente, lasciato ad oscillare senza che gli venga fornita energia, si arresta dopo 78 oscillazioni, quanta energia perde ad ogni oscillazione in media? Quanta energia bisogna immagazzinare nella molla o nel peso perché esso oscilli per un giorno? 14. Calcolare e fare un grafico dell’andamento dell’energia cinetica di un razzo in funzione del tempo. Calcolare l’energia spesa in funzione del tempo e paragonare con l’energia cinetica. Commentare. 15. Una molla di costante elastica k, disposta su di un piano orizzontale, ha un’estremità fissata ad una parete ed è compressa di δ. Si appoggia all’altra estremità della molla un corpo di massa m e si taglia il filo che tiene compressa la molla. Tutti gli attriti sono trascurabili. In corrispondenza all’istante in cui la lunghezza della molla è quella di riposo, si calcoli: a) Il lavoro compiuto dalla molla sul corpo, la velocità di quest’ultimo e la variazione di energia potenziale della molla b) Il modulo dell’impulso (quantità di moto) complessivo ceduto dalla molla al corpo. 16. Un blocco di 2kg striscia lungo un piano inclinato privo di attrito, che forma un angolo di 30° con l’orizzontale. Il blocco parte dalla condizione di quiete all’istante t=0 alla sommità del piano inclinato , ad una quota di 20m sopra il suolo. a) Quanto vale l’energia potenziale iniziale del blocco rispetto al suolo? b) Usando le leggi di Newton si trovino lo spazio che il blocco percorre in 1s e la sua velocità all’istante t=1s c) Si trovino l’energia cinetica e l’energia potenziale del blocco all’istante t=1s d) Si trovino l’energia cinetica e la velocità del blocco immediatamente prima che raggiunga il fondo del piano inclinato 70 Cap. 2 – La dinamica ________________________________________________________________________ 17. Un blocco di massa m pari a 2kg viene spinto contro una molla di costante elastica k pari a 500N/m, accorciandola di x=20cm. Il blocco viene poi lasciato libero e la molla lo lancia lungo una superficie orizzontale priva di attrito e poi all’insù lungo un piano inclinato di 45° rispetto all’orizzontale, come in figura. Si determini lo spazio che il blocco percorre salendo il piano inclinato. 18. Un corpo di massa m1=4kg urta centralmente un secondo corpo, inizialmente in quiete, di massa m2=2kg. a) L’urto è elastico e l’energia cinetica totale dopo l’urto è: E=60J. Quanto vale l’energia cinetica iniziale del corpo urtante? a) E se l’urto fosse stato perfettamente anelastico (cioè se dopo la collisione i due corpi procedessero insieme, alla stessa velocità V)? 19. Un corpo di 5kg che si muove alla velocità di 4m/s, urta frontalmente contro un corpo di 10kg che si muove verso di esso alla velocità di 3m/s a) Se il corpo di 10kg si arresta dopo l’urto, quanto vale la velocità finale del corpo di 5kg? b) L’urto è elastico (cioè si conserva l’energia cinetica)? 20. Una palla di stucco con una massa di 50g e una velocità v1=40cm/s compie una collisione centrale e perfettamente anelastica con una palla da biliardo inizialmente ferma e che ha una massa di 500g. Determinare la velocità comune V delle due palle dopo l’urto e le rispettive energie cinetiche prima e dopo l’urto. 21. Una pallottola con massa m=4g affonda in un blocco di legno con massa M=3kg appeso ad un filo ed inizialmente fermo. Immediatamente dopo l’urto, la velocità comune a blocco e pallottola è vf=0,5m/s. a) Quanto valeva la velocità della pallottola prima dell’impatto con il blocco? b) Di che tipo di urto si tratta? 22. Come è spiegato nel Cap. 5 delle dispense, una stella è una massa di gas “autogravitante” che viene, cioè, compressa dalla sua stessa gravità e si scalda. A temperature molte elevate, si innescano delle reazione nucleari ed il calore così prodotto bilancia l’azione della gravità. Una volta che il combustibile nucleare si sia esaurito, la stella riprende a comprimersi e, se la sua massa è nel campo di variabilità giusto, diviene una stella di neutroni con un raggio di una decina di km e una densità dell’ordine di quella di un nucleo. Si sa inoltre che le stelle girano intorno ad un proprio asse: per esempio il Sole ha un periodo di circa un mese. Immaginiamo allora una stella che abbia un periodo di rotazione intorno al proprio asse di 30 giorni e che collassi da un raggio di 106km a 10km: quale sarà la velocità angolare finale? 71 Cap. 2 La Dinamica 23. Calcolare il momento d’inerzia della Terra, assumendo che essa sia una sfera di densità costante. 24. Prendiamo due lamine, di spessore t, una di forma rettangolare (altezza h e larghezza l), oscillante intorno al punto centrale del lato superiore, ed una a forma di semicerchio di raggio R. Entrambe hanno densità costante pari a ρ e spessore t. Calcolare il periodo di oscillazione. 25. Calcolare il momento della quantità di moto della Terra (rotazione intorno al proprio asse e intorno al Sole) nella stessa approssimazione dell’esercizio precedente. 26. Calcolare l’energia cinetica della Terra nel suo moto di rivoluzione intorno al Sole e nel suo moto di rotazione intorno al proprio asse. 27. Calcolare il momento d’inerzia di un disco di spessore h, raggio R e densità costante ρ. 28. Calcolare il momento d’inerzia di un corpo costituito da due coni uguali uniti per le basi di raggio R0. 29. Che possiamo dire della posizione del baricentro del sistema solare, usando i dati nella tabellina? Corpo celeste Sole Distanza dal Sole(km) 0 Massa (kg) 2,0.1030 Mercurio 5,8.107 3,2.1023 Venere 1,1.108 4,9.1024 Terra 1,5.108 6,0.1024 Marte 2,3.108 6,4.1023 Giove 7,8.108 1,9.1027 Saturno 1,4-109 5,7.1026 Urano 2,8.109 8,7.1025 Nettuno 4,5.109 1,0.1026 Plutone 5,9.109 1,1.1024 30. Una girandola è costituita da uno o più razzi attaccati alla periferia di un disco omogeneo di massa m, raggio r e momento d’inerzia I. Il disco può ruotare intorno al suo asse. Calcolarne la velocità angolare ω. 72 Cap. 2 – La dinamica ________________________________________________________________________ r 31. Consideriamo il sistema in figura. Correlare l’angolo θ con la velocità di rotazione dell’albero ω. l θ P ω 84 Po (Polonio) decade, emettendo un nucleo di Elio ( 24 He), o particel32. Un nucleo di 210 la alfa, con 3,5Mev di energia e trasformandosi in Piombo. Calcolare la velocità di rinculo del nucleo di Piombo. 33. Il Sole emette una quantità d’energia pari a 3,83 ⋅ 10 26 J ogni secondo (vedi pag. 314 delle dispense). Di quanto diminuisce la sua massa ogni anno? 34. Il neutrone è una particella che si trova nei nuclei atomici. Esso ha carica zero e mas∆m sa appena superiore a quella del protone ( = 0,14% ). Esso è normalmente stabile m nei nuclei, ma, in certi nuclei, decade, rilasciando due particelle cariche: un protone e un elettrone. In questo consiste un decadimento β. Libero, il neutrone decade dopo circa 887s. Calcolare la quantità di moto dei due prodotti del decadimento supposto il neutrone a riposo nel sistema del laboratorio. 35. Con riferimento all’esercizio precedente, calcolare la velocità finale dei due prodotti del decadimento, supponendo che il neutrone iniziale abbia una velocità v = 10 7 m / s . 36. Se si effettua una misura della quantità di moto dell’elettrone prodotto dal decadimento di un neutrone, nel sistema di riferimento in cui il neutrone è fermo, si osserva che esso non è fisso, come si è calcolato all’esercizio precedente, ma variabile da decadimento a decadimento. Che ne concludete? 73 Cap. 2 La Dinamica 37. Il blocco A, di massa mA=10kg, è appoggiato su un piano inclinato di un angolo θ =30° ed è legato, mediante una fune, al blocco B, di massa mB. Affinché il blocco A si muova di moto uniforme, quale deve essere il valore di mB? Il piano ha un coefficiente di attrito dinamico µd =0,20. A B 38. Supponete di avere un tappo metallico appoggiato su un piano che è stato inclinato di un angolo θ rispetto al piano orizzontale. Dopo vari tentativi, si trova che quando θ è aumentato fino a 17o, il tappo comincia a scivolare lungo il piano. Qual’è il coefficiente di attrito statico µs tra il tappo ed il piano inclinato? Disegnate in modo chiaro il diagramma delle forze nel momento in cui il tappo comincia a scivolare. 17o 39. Una slitta di massa m=10kg striscia orizzontalmente alla velocità iniziale v0 di 6m/s. Se il coefficiente di attrito tra la slitta e la neve è µ=0,16, quanto spazio percorrerà la slitta strisciando prima di arrestarsi? 40. Per sollevare un pianoforte di 190kg dall’alto di un edificio si usa una fune di massa trascurabile che passa su di una carrucola, e si lega la fune ad una scrivania di 210kg, lasciando penzolare il pianoforte alla quota di 5,3m dal suolo. Purtroppo, la scrivania comincia a strisciare ed il coefficiente di attrito dinamico è µd=0,71. a) Quanto vale l’accelerazione del pianoforte? b) Quanto vale la velocità con cui colpisce il suolo? 41. Un blocco di massa m=8kg, posto sopra un piano inclinato di 45°, è soggetto ad una forza F di 25N applicata ortogonalmente al piano inclinato. I coefficienti di attrito statico µs e dinamico µd siano rispettivamente 0,30 e 0,22. 74 Cap. 2 – La dinamica ________________________________________________________________________ F θ =45° a) Qual’è l’accelerazione del blocco quando si muove verso l’alto? b) Se il blocco ha una velocità iniziale verso l’alto, esso verrà decelerato fino a fermarsi. Cosa accade quando il blocco raggiunge il punto più alto? 42. Un blocco pesante fp=50N è trascinato con velocità costante lungo un piano scabro da una forza f applicata come in figura. Se il coefficiente di attrito tra piano e blocco vale µd=0,56, che modulo ha la forza f ? f θ =40o fp 43. Una forza F di 400N è necessaria per mettere in moto una scatola di massa m=40kg sopra un pavimento di calcestruzzo. a) Qual’è il coefficiente di attrito statico tra la scatola ed il pavimento? a) Se il coefficiente di attrito dinamico tra una cassa di 20kg ed il pavimento è di 0,30, quale forza orizzontale è necessaria per muovere la cassa a velocità costante sul pavimento? Soluzioni 1. Chiamiamo v0 la velocità iniziale con la quale l’oggetto viene lanciato verticalmente. Se g è l’accelerazione di gravità sulla Terra e g’ quella sulla Luna, vale: g’=g/6. Un corpo lanciato in alto sulla Terra, si ferma dopo un tempo: t=v0/g, in quanto, se vf è la velocità finale: v f = 0 = v 0 − gt . Sulla Luna invece salirà per un tempo: t’=v0/g’=6 v0/g. Nel tempo t il corpo sulla Terra sarà salito di: s = v 0 t − 2 1 2 v0 gt = . Mentre sulla Luna, avrà 2 2g percorso una distanza s’, sei volte maggiore: s' = v 0 t '− 2. La velocità richiesta è legata v f = v 0 − gt ed anche da: v 2f 6v 2 1 g ' t ' 2 = 0 = 6s . 2 2g alla velocità iniziale v0=18m/s dalla relazione: = v 02 − 2 gs f , essendo sf l’altezza raggiunta. Dunque 75 Cap. 2 La Dinamica sarà: v f = 18 2 − 2 ⋅ 9,8 ⋅12 = 9,4m / s . Dalla prima relazione scritta al punto precedente, e conoscendo il valore di vf, si ricava: v 0 − v f 18 − 9,4 t= = = 0,88s . g 9,8 3. Per il blocco sospeso vale: m1 g = (m1 + m 2 )a . Si noti che l’accelerazione a dei due corpi deve essere la stessa! Risolvendo, si ha: a = masse vengono invertite si ottiene invece: a = m1 g ≈ 2m / s 2 . Se le due (m1 + m 2 ) m2 g ≈ 8m / s 2 . (m1 + m 2 ) 4. Calcoliamo la tensione: τ=m(g+a)=8,3N L’accelerazione massima è: amax=τmax/m –g=4,5m/s2 5. Dalle dispense abbiamo: g = 9,78048 ⋅ (1 + 0,0052884sen 2ϕ − 5,9 ⋅10 −6 sen 2 (2ϕ )) = 9,807m / s 2 6. si vede dalla figura, la velocità angolare della Terra ω ( 2π = 7,3 ⋅10 −5 rad / s ) si può decomporre in una rotazione orizzontale ω= 86400s ω H = ω cos λ ed una verticale ωV = ωsenλ . Il piano del pendolo non può ruotare intorno all’asse orizzontale, ma può ruotare intorno a quello verticale, con periodo 2π 2π 86400s T= = = . Per esempio, a λ=45° (Udine), il periodo sarà di ωV ωsenλ senλ 122188s, ovvero di circa 1 giorno e 10 ore. L’esperimento fu eseguito da Jean Bernard Leon Foucault (1819-1868) a Parigi, nel Pantheon, nell’anno 1858, con un pendolo di 67m di lunghezza e del peso di 28kg e dimostrò ancora una volta la rotazione della Terra. Apparati più piccoli si trovano in vari musei. Ce n’è, per esempio, uno nell’atrio del Dipartimento di Fisica dell’Università di Roma “La Sapienza”. Come ω ω ωV ωH pendolo Terra 76 Terra λ pendolo Cap. 2 – La dinamica ________________________________________________________________________ 7. v 2π 2π e T= . Dalla seconda: ω = = 9,0 ⋅10 −16 rad / s e dalla r ω 6,9 ⋅1015 s v 239km / s prima: r = = = 2,6 ⋅1017 km = 27.500anni luce . Per inciso, il siω 9,0 ⋅10 −16 rad / s stema del baricentro del nostro sistema planetario non è evidentemente un sistema inerziale, tuttavia l’accelerazione centrifuga in tale sistema è solo: Si ha: ω = a c = ω 2 r = 2,1 ⋅10 −10 m / s 2 , da paragonare a quella sulla Terra dovuta al moto diurno di 3,4 ⋅ 10 −2 m / s 2 e di 1,5 ⋅ 10 −4 m / s 2 , dovuta alla rivoluzione intorno al Sole. Un sistema caratterizzato da un’accelerazione assoluta molto piccola, dunque quasi inerziale. 8. Il corpo attaccato alla molla acquista la massima velocità quando la molla passa per la sua posizione di equilibrio. In questo stesso punto, l’accelerazione alla quale è sog1 2 1 2 getto il corpo è nulla. Vale dunque: . Di conseguenza: kx max = mv max 2 2 m x max = v max . La massima accelerazione si ha quando la molla è nel suo stato di k massima estensione (e la velocità del corpo in questo caso è nulla). In questo caso, la forza esercitata sul corpo è: Fmax = ma max = −kx max . Da questo si può ricavare il vak della molla: lore della costante elastica k=m 9. a max =m x max a max m v max k = km a max a ⇒ k = m( max ) 2 . v max v max t t ) ln( 0 ) , dove il tert0 t0 − t mine di massa diminuisce e quello di velocità aumenta. Per rispondere, occorre calcolare la derivata prima e verificarne il segno: La quantità di moto di un razzo è: p = m(t )v(t ) = m 0 v g (1 − t t0 t t t −t 1 dp 1 1 1 = − ln( 0 ) + (1 − )( 0 ) = − ln( 0 ) + = 2 m 0 v g dt t0 t0 − t t0 t 0 (t 0 − t ) t0 t0 − t t0 = t 1 (1 − ln( 0 )) t0 t0 − t Il segno è positivo, perché all’inizio il termine logaritmico dà zero e poi cresce. Del resto esso può diventare maggiore di 1, perché, posto il logaritmo uguale a uno, si ha: t0 e −1 =e⇒t = t 0 = 0,63t 0 . t0 − t e 77 Cap. 2 La Dinamica Solo se il combustibile brucia oltre questo tempo, la quantità di moto decresce, mentre la velocità continua ad aumentare. Si veda sotto il grafico della quantità di moto di un razzo con t0=120s e m0vg=1kgm/s. quantità di moto di un razzo in funzione del tempo 0,5 . quantità di moto (kg m/s) 0,4 0,3 0,2 0,1 0,0 0 20 40 60 80 t(s) 10. Con la velocità: V = m 10 v= 286m / s = 1,43m / s . M 2000 11. Si consideri il pendolo come un pendolo semplice: T / 2 = π l T ⇒ l = ( ) 2 g ≅ 1m . g 2π Un numero tondo dovuto al fatto che il quadrato di π è quasi esattamente uguale a g. Si sarebbe potuto definire il metro come la lunghezza del pendolo semplice che batte il secondo. L’energia del peso all’inizio è: U = mgh = 1,5kg ⋅ 9,81m / s 2 ⋅ 0,8m = 11,77 J . Questa energia sarà stata usata dall’orologio, dopo n = 11,77 J 18 ⋅10 −6 J /s = 6,5 ⋅10 5 s , cioè una settimana. In termini di tempo “vero”, il semiperiodo diventa più lungo e dunque il tempo totale si allunga con l’inverso della radice di g; però l’energia potenziale del peso si riduce di più perché diminuisce linearmente con g. In conclusione, il tempo di marcia della pendola si accorcia. 12. L’energia potenziale massima, pari all’energia totale, si ha al massimo dell’elongazione ed è pari a: U max = mgl (1 − cos θ max ) = 5,6mJ . La velocità massima 78 Cap. 2 – La dinamica ________________________________________________________________________ si ha per θ = 0° , cioè quando tutta l’energia è cinetica ed è uguale ad Umax, e vale: v= 2U = 0,27 m / s . m 5,6 ⋅10 −3 J = 72µJ ad oscilla78 zione. Poiché esso ha un periodo di 2s, si hanno 86440/2=43220 oscillazioni del pendolo al giorno, con una perdita di energia totale: 72µJ.43220=3,1J. Ad esempio, un peso di 1kg dovrà cadere da un’altezza di 31cm, per fornire questa energia. 13. Il pendolo perde mediamente una energia pari a: ∆E = 2 14. L’energia cinetica è: T = v g2 t 1 1 m(t )v 2 (t ) = m0 (t0 − t ) ln( 0 ) . Assumendo: 2 2 t0 t0 − t t0=120s, il grafico, in unità arbitrarie (cioè prendendo m 0 v g2 / t 0 = 1 ) dell’energia è mostrato sotto. La forza esercitata dal motore sul razzo è: F = ma = m 0 (1 − vg t −t t0 t )v g 0 = m0 . La forza è dunque costante. Il la2 t0 t 0 (t 0 − t ) t0 vg v g2 t0 )) . Come si vede l’andamento t0 t0 t0 − t del lavoro speso e dell’energia del razzo non sono affatto uguali. Dal grafico si vede anche che l’energia spesa è ben più grande di quella che troviamo nel razzo. Per capire meglio questo fatto calcoliamo il lavoro effettuato nell’unità di tempo e la corrispondente variazione di energia cinetica. voro sarà: L = m 0 s = m0 (t − (t − t 0 ) ln( 2 m 0 v g2 t t dL ds dT 1 m 0 v g =F = Fv = ln( 0 ) = + (ln( 0 )) 2 . dt dt t0 t0 − t dt 2 t 0 t0 − t Tradotto in parole: l’energia cinetica del razzo (la cui massa è diminuita di dm nell’intervallo di tempo dt) è aumentata meno di quanto ci si sarebbe aspettato, perché esso ha perso l’energia cinetica relativa alla massa di combustibile espulso in dt. È facile vedere che: Se conosciamo m 0 , v g , t 0 per uno specifico razzo, possiamo utilizzare il grafico precedente, moltiplicando le ordinate per il prodotto m 0 v g2 / t 0 e ottenere i valori del lavoro e dell’energia in J. Per esempio, se abbiamo un razzo da 10ton, con i gas di scarico espulsi per 80s circa a 2km/s, alla fine abbiamo speso 333MJ. 79 Cap. 2 La Dinamica continua: energia cinetica del razzo tratteggiata: energia spesa 1,0 Energia (unità arbitrarie) 0,8 0,6 0,4 0,2 0,0 0 20 40 60 80 t(s) 15. a) Il lavoro L effettuato dalla molla è pari alla energia potenziale immagazzinata, cioè: L=½ kδ 2. La molla cede alla massa tutta la sua energia potenziale, sotto forma di energia cinetica: ½ kδ 2=½ mv2. Dunque, la velocità acquistata dalla massa sarà: k δ . La variazione di energia potenziale della molla sarà invece pari a: m 1 ∆U = − kδ 2 2 v= b) L’impulso I fornito dalla molla è: I = mk δ 16. a) Ep=mgh=2.9,8.20 kgm2/s2=392J b) L’accelerazione è a=g.sen 30° =4,9m/s2. Mentre lo spazio percorso risulta: 1 s = at 2 = 2,45m al tempo t=1s. Otterremo dunque per la velocità 2 v = 2 gh = 2 ⋅ 9,8 ⋅ 1,23 = 4,9m / s . c) Il calcolo delle energie cinetiche e potenziali dà: 1 E c = mv 2 = 24 J e E p = E p (iniziale) − E c = 368J 2 d) La velocità è v = 2 gh = 2 ⋅ 9,8 ⋅ 20 = 19,8m / s . A questa velocità corrisponde una energia cinetica Ec=392 J, pari all’energia potenziale iniziale. 17. L’energia potenziale elastica presente all’inizio è pari a: 80 Cap. 2 – La dinamica ________________________________________________________________________ 1 2 1 kx = 500 ⋅ (0,2)2 = 10 J . Quando il corpo si arresta sul piano inclinato, tut2 2 ta l’energia potenziale elastica deve essersi trasformata in energia potenziale gravitazionale. Se il corpo si ferma all’altezza h rispetto al suolo, l’energia potenziale gravitazionale sarà: E p = mgh . Ne consegue che tale altezza sarà pari a: EP = h= Ep = 10 Nm 2 ⋅ 9,8kgm / s 2 a: l=h/sen45o=0,72m mg = 0,51m . La distanza l percorsa sul piano inclinato è uguale 18. a) L’energia cinetica iniziale del corpo urtante deve essere pari a 60J in quanto in un urto perfettamente elastico, l’energia cinetica totale si conserva. Nello stato iniziale, essendo il secondo corpo inizialmente in quiete, l’energia cinetica totale coincide con l’energia cinetica del corpo urtante. b) Se l’urto è perfettamente anelastico, dopo la collisione i due corpi procedono insieme, alla stessa velocità V. Scriveremo dunque, per la conservazione della quantità (m + m1 ) V . L’energia cinetica del corpo di moto: m1 v1=( m1+ m2)V. Ovvero: v1 = 2 m1 urtante è: 2 (m + m 2 ) 1 1 (m1 + m 2 ) m1 v1 2 = V2 = 1 60 J = 90 J . 2 2 m1 m1 19. a) Applicando la conservazione dell’impulso si ha: m1v1 – m2v2=m1v1f + m2v2f v1f=(m1v1-m2v2)/m1=-2m/s b) No, perchè l’energia cinetica non si conserva. Quella iniziale è: 1 1 E ci = m1 v12 + m 2 v 22 = 85 J , mentre quella finale risulta pari a: 2 2 1 1 E cf = m1v12f + m 2 v 22 f = 10 J . 2 2 20. Per trovare la velocità finale del sistema dei due corpi, occorre imporre la conservazione della quantità di moto: m1v1 2000 gcm / s m1 v1 + m 2 v 2 = (m1 + m 2 )V ⇒ V = = = 3,6cm / s . (m1 + m 2 ) 550 g L’energia cinetica del primo corpo prima dell’urto è pari a: 1 1 E c1 = m1 v12 = 50 ⋅ (40) 2 g ⋅ cm 2 / s 2 = 4 ⋅10 4 g ⋅ cm 2 / s 2 = 4 ⋅10 −3 J 2 2 Mentre quella del secondo corpo è nulla. Dopo l’urto, il sistema dei due corpi procede con energia cinetica pari a : 1 1 2000 2 E c1+ 2 = ( m1 + m 2 )V 2 = (550) ⋅ ( ) ≈ 3636 g ⋅ cm 2 / s 2 = 3,636 ⋅10 −3 J 2 2 550 81 Cap. 2 La Dinamica 21. a) Per la conservazione della quantità di moto si deve avere che: mvi=(m+M)vf quindi: v i = (m + M ) v m f = (4 ⋅10 −3 4 ⋅10 +3 −3 ) ⋅ 0,5 = 376m / s . b) L’urto è perfettamente anelastico. 22. Nella trasformazione da stella normale a stella di neutroni, il momento della quantità di moto L deve conservarsi: Lf = I fω f = R2 2 2 MR 2f ω f = Li = MRi2ω i ⇒ ω f = i2 ω i . 5 5 Rf Sostituendo i valori dati, si ottiene: ω f = (10 6 km) 2 (10km) 2 2π = 2,5 ⋅10 4 rad / s . 30 ⋅ 86400s Nel 1967, Jocelyn Bell scoprì l’esistenza di oggetti nel cielo che emettevano radiazione nel campo delle onde corte. Questi oggetti furono chiamati “pulsar” per “pulsating star” ed eventualmente identificati con delle stelle di neutroni. Il meccanismo per cui una stella di neutroni, ruotando, emette onde radio, non può comunque essere discusso qui. 23. Come mostrato nelle dispense a pag. 72 (Cap. 2), il momento d’inerzia di una sfera 2 con densità costante è: I = MR 2 . Sostituendo a M il valore “misurato” da Caven5 dish (pag. 91, Cap. 3) e ad R il valore di 6400km, otteniamo: I=9,79.1037kgm2. Il valore vero è più piccolo: 8,07.1037kgm2, pari all’82% di quello appena calcolato. Del resto, la densità della Terra non può dirsi costante e la parte a densità più alta è vicina all’asse di rotazione, il che diminuisce il valore del momento d’inerzia (vedere definizione del momento d’inerzia a pag. 74 delle dispense). 24. Lamina rettangolare 82 Cap. 2 – La dinamica ________________________________________________________________________ O h t l Usiamo l’equazione: to di inerzia. M = Iθɺɺk . Calcoliamo il momento delle forze esterne e il momen- Le coordinate del baricentro a riposo sono: xB = 1 m ∫ ρtxdxdy = ρt m l 2 ∫ ∫ xdx dy = − yB = ρt m 0 ∫ −h h ydxdy = − l 2 ρt m 0 l 2 h ∫ xdx = 0 e − l 2 ρt h2 m l 2 Dunque la distanza del baricentro dal punto di sospensione è r= ρt h 2 m l 2 = h che ri2 mane la stessa quando il sistema oscilla. La coppia è dunque: M = 1 1 hmg sin β = hmg sin θ 2 2 β = π −θ 83 Cap. 2 La Dinamica θ δ β P Il momento d’inerzia rispetto ad A è: ∫ ∫ I A = ρ tr 2 dxdy = ρ t ( x 2 + y 2 )dxdy = ρ th = x3 3 +l / 2 + ρ tl −l / 2 y3 3 h 0 1 l2 = ρ tlh + h 2 = 3 4 m l 2 +h 3 4 2 2 l Lasciamo allo studioso lettore di dimostrare che I A = I G + m , come richiesto dal 2 m teorema di Steiner ( IG = (l 2 + h 2 ) ). 12 Il secondo principio dà: Iθɺɺ = M ⇒ ω= −1 m l 2 mgh sin θ = + h 2 θɺɺ ⇒ θɺɺ + ω 2θ = 0 con 2 3 4 gh 3 gh ; dunque la solita equazione del pendolo. = 18 2 2 l2 l + 4h 2 2 +h 4 Vediamo adesso un semicerchio con punto di sospensione nel centro del cerchio. 84 Cap. 2 – La dinamica ________________________________________________________________________ O r R Coordinate del baricentro. A θ = 0. xB = 1 m ∫ x ρ tdS = 1 m ∫ x ρ trdrd α = 1 m ∫ 2π ρ tr 2 dr ∫π cos α dα = 0 2π 1 1 2 R3 4 2 yB = ∫ ρ tyrdrdα = ∫ ρ tr dr ∫ sin α dα = − ρ t =− R m m m 3 3π π Momento del peso applicato al baricentro quando il pendolo è ad un angolo 4 4 M = mg R sin β = mg R sin θ 3π 3π θ: θ β θ Momento d’inerzia rispetto al punto di sospensione A: R ∫ I A = tπ ρ r 2 rdr = πρ t 0 R4 1 = mR 2 4 2 Lasciamo allo studioso lettore di calcolare il momento d’inerzia rispetto al baricentro, usando il teorema di Steiner. 1 4 I θɺɺ = M = mR 2θɺɺ = − mg R sin θ ⇒ θɺɺ + ω 2θ = 0 con 2 3π ω= 8g 3πR 85 Cap. 2 La Dinamica Possiamo anche calcolare il momento delle forze applicate, sommando i momenti infinitesimi di ciascuna areola della lamina: d M = t ρ gr 2 d α dr sin β ⇒ M = tg ρ =− R3 3 π ∫ 0 π sin β = 2 mgR − cos(α − θ )d α = 3π ∫ 0 2 4 mgR2 sin θ = − mgR sin θ 3π 3π 25. Il momento della quantità di moto è dato (vedere pag. 74 delle dispense), in modulo, da L = Iω = 8,07 ⋅10 37 kgm 2 7,27 ⋅10 −5 rad / s = 5,86 ⋅10 33 kgm 2 s −1 , la sua direzione è quella dell’asse terrestre ed il verso quello dal polo sud al polo nord. Il momento della quantità di moto orbitale è: Lo = mvRTS = 2,7 ⋅10 40 kgm 2 / s . 26. L’energia cinetica associata alla rivoluzione intorno al Sole è: 1 Mv 2 = 0,5 ⋅ 5,98 ⋅10 24 kg ⋅ (3 ⋅10 4 m / s ) 2 = 2,69 ⋅10 33 J . Per visualizzare quale 2 enorme quantità d’energia questa sia, paragonare questo numero con quello calcolato nella soluzione del problema 9 a pag. 82 delle dispense. T= L’energia cinetica associata con la rotazione intorno al proprio asse è: 1 T = Iω 2 = 0,5 ⋅ 8,07 ⋅10 37 kgm 2 ⋅ (7,27 ⋅10 −5 rad / s ) 2 = 2,13 ⋅10 29 J . 2 27. Il calcolo segue il solito procedimento. Moltiplichiamo il raggio generico r al quadrato per un elemento di massa infinitesimo e contenuto in una corona circolare di raggio tra r e r+dr, il cui volume è: dV=2πhrdr e la cui massa infinitesima è: dm=ρdV=2πρhrdr. Otteniamo così il momento d’inerzia infinitesimo e, integrando R R ∫ ∫ 0 0 da 0 a R, il momento d’inerzia: I = r 2 dm = 2πρh r 3 dr = (πR 2 hρ ) R2 1 = MR 2 . 2 2 28. Prendiamo un volumetto infinitesimo di un cono (il cono si estenda da 0 a +h lungo z ed abbia un angolo al vertice α) pari a dV=2πrdrdz. La massa è: dm=2πρrdrdz. Il +h R( z ) ∫ ∫ momento d’inerzia è: I = 2πρ dz 0 = 86 0 +h ∫ r 3dr = 2πρ dz 0 h R 4 ( z ) πρ = ( z ⋅ tgα ) 4 dz = 4 2 ∫ 0 ρR02 h 1 1 3 1 = πρ ( z ⋅ tgα )5 = πρR05 = ( πR02 R0 / tgα ) 0 2 ⋅ 5tgα 2 ⋅ 5tgα 2 3 5 Cap. 2 – La dinamica ________________________________________________________________________ 3 1 2 3 3 ( πR0 h) ρR02 = VρR02 = MR02 . Essendo il corpo costituito da due coni, 2⋅5 3 10 10 3 avremo in totale: I = MR 02 5 = 29. Completiamo la tabellina nel modo seguente: Corpo celeste Sole Mercurio Venere Terra Marte Giove Saturno Urano Nettuno Plutone Totale Distanza (d) (km) 0 5,8.107 1,1.108 1,5.108 2,3.108 7,8.108 1,4.109 2,8.109 4,5.109 5,9.109 Massa (M) (kg) 2,0.1030 3,2.1023 4,9.1024 6,0.1024 6,4.1023 1,9.1027 5,7.1026 8,7.1025 1,0.1026 1,1.1024 2,0.1030 Md (kg.km) 0 1,9.1031 5,4.1032 9,0.1032 1,5.1032 1,5.1036 8,0.10 35 2,4.10 35 4,5.1035 6,5.1033 3,0.1036 Supponiamo che a qualche data, passata o futura, tutti i pianeti si trovino allineati lungo un’asse X, la cui origine poniamo nel Sole. Non siamo in grado di calcolare l’esatta posizione del baricentro, perché dovremmo conoscere il segno della coordinata x di ogni pianeta; tuttavia il caso in cui tutti i pianeti siano allineati da un lato del Sole, dà la massima possibile distanza del baricentro dal centro del Sole. Calcoliamo tale posizione: x B = 3,0 ⋅10 36 km ⋅ kg = 1,5 ⋅10 6 km . 2,0 ⋅10 30 kg Come si vede, una distanza molto più piccola (2,6%) della distanza del più vicino pianeta dal Sole. Considerando anche che il raggio del Sole è di 7.105km, cioè la metà della distanza massima appena calcolata, si può sospettare che il baricentro sia all’interno del volume solare. Sarebbe naturalmente possibile che, nella configurazione immaginata, Giove si trovi da un lato del Sole e tutti gli altri pianeti si trovino dall’altro lato. In tal caso, come si vede dalla tabella il totale dei prodotti della distanza per la massa darebbe circa zero ed il baricentro si troverebbe decisamente nel Sole. Un’altra ipotesi possibile è che i pianeti minori diano una somma dei prodotti distanza per massa circa uguale a zero e che la posizione del baricentro sia determinata dal Sole e da Giove. In tal caso, la posizione del baricentro risulta essere a 7,5 ⋅ 10 5 km dall’origine, ovvero al bordo del Sole. 30. La forza applicata alla girandola dal razzo a causa dell’espulsione dei gas è: dP 1 F= = m 0 v g τ . Per il calcolo della derivata, vedere problema 9 di questo capidt t0 87 Cap. 2 La Dinamica tolo. τ è il versore tangente al disco. e per il momento applicato al disco M si ha: 1 dω r 2 dω =m r ×τ = I . I simboli sono quelli usati nelle dit0 dt 2 dt spense. In modulo, abbiamo: M = r × F = m0 v g 1 r m0 v g = m ωɺ ⇒ ω = t0 2 t m0 ∫ mr v g 0 m 2 2 dt = 0 v g t . Qui si è assunto che la massa t0 mr t0 della girandola sia costante. Altrimenti, più esattamente, si può dire che la massa totale è quella della girandola (fissa) più quella del razzo (variabile): t m tot = m + m 0 (1 − ) . Lo studioso lettore può mettere questa funzione (al posto di t0 m) nell’integrale e provare a calcolarle quest’ultimo. Si può anche supporre che la massa della girandola sia trascurabile rispetto a quella del razzo. 31. Ciascuno dei due bracci obbliga il pesetto relativo a muoversi solo su di un cerchio di raggio l e centro in O. La forza peso, verticale, ammette una componente tangente al cerchio: Pt = mgsenθ . La forza centrifuga, orizzontale, ammette anch’essa una componente tangente al cerchio, ma di verso opposto: 2 2 Fct = mω r cos θ = mω lsenθ cos θ . L’equilibrio si ha quando le due forze sono l Fct θ Fc ω Pt P uguali in valore: mgsenθ = mω 2 lsenθ cos θ ⇒ cos θ = g . Da notare che la diverlω 2 genza a ω=0 è solo apparente. L’eguaglianza gsenθ = senθω 2 l cos θ fra le due forze g , altrimenti l’unica soluzione è θ=0. Un dispositivo l basato su questo disegno veniva usato sui motori a vapore. Per impedire che i giri del motore eccedessero un valore prefissato, si utilizzava il sollevarsi dei due bracci per ridurre l’afflusso di vapore ai cilindri. Il dispositivo è noto come regolatore di Watt. si può realizzare solo se: ω > 88 Cap. 2 – La dinamica ________________________________________________________________________ 32. Il Polonio, che ha carica 84, come si vede dal numero in alto a sinistra del simbolo, decadendo perde 2 cariche e si trasforma nell’elemento di numero atomico 82, il Piombo appunto. Ammettendo che il nucleo di Polonio fosse inizialmente a riposo, quando esso decade deve rinculare perché la quantità di moto totale si conservi. La quantità di moto iniziale era zero prima del decadimento e deve restare zero a decadimento avvenuto. Se la particella alfa ha un’energia cinetica T=3,5MeV, essa deve avere una quantità di moto: pα = 2Tmα = mα vα = p Pb = m Pb v Pb ⇒ v Pb = 2Tmα , con ovvio significato dei m Pb simboli. Vettorialmente le due velocità sono di verso, e dunque segno, opposto. Qui però ci interessa il solo modulo. Sostituendo i valori numeri si ottiene: v Pb = 2 ⋅ (3,5 ⋅10 6 ⋅1,6 ⋅10 −19 ) J ⋅ (4 ⋅1,67 ⋅10 −27 )kg 206 ⋅1,67 ⋅10 − 27 kg = 2,51⋅10 5 m / s . Le particelle alfa prodotte dal Polonio furono utilizzate da E. Rutherford nel suo famoso esperimento con il quale scoprì l’esistenza del nucleo atomico (vedere Cap. 4 delle dispense). 33. Il Sole perde una massa: m = 3,83 ⋅10 26 J 2 c e, dunque, la massa persa in un anno è: = 3,83 ⋅10 26 J 9 ⋅10 16 = 0,425 ⋅1010 kg al secondo M = 365d ⋅ 86400s / d ⋅ 0,42 ⋅1010 kg / s = 1,34 ⋅1017 kg . 34. Se il neutrone è fermo, il sistema del laboratorio coincide con quello del centro di massa. La conservazione della quantità di moto impone che le due quantità di moto (dell’elettrone e del protone) siano uguali, abbiano la stessa direzione e verso oppo89 Cap. 2 La Dinamica sto. In formula: p p = − p e . La conservazione dell’energia totale si può scrivere: En = E p + Ee M n c 2 = M p2 c 4 + p 2 c 2 + m 2 c 4 + p 2 c 2 Da questa espressione, si ricava quadrando M c + M c + p c − m c − p c = 2M n c 2 4 n (M (M 2 4 p ) −m ) 2 4 2 2 2 e spostando + M p2 − m 2 c 2 = 2 M n M p2c 4 + p 2c 2 quadrando 2 n + M p2 2 2 2 n 2 n + M p2 − m 2 ) 2 c4 di − 4 M n2 M p2 c2 = p2 . Da 4M p=c che M −M 2 n 2M n contengono 2 p nuovo, cui M n4 + M p4 + 2 M n2 M p2 + m 4 − 2m 2 ( M n4 + M p4 ) − 4 M n2 M p2 termini termini 2 2 si ha: − M p2 c 4 = p 2c 2 4 M n2 i i M c + p c ovvero: 2 4 p 2 n 4M (M 2 2 2 n potenze della massa infine c 2 = p 2 trascurando degli elettroni si ha: ≈ ( M n − M p ) c = 1,3MeV / c = 6, 93 ⋅10−13 kgm / s . Le ve- pc ve = 0,93 c = 2 2 p c + m2c4 locità sono: . Si noti che il protone è v pc pc −3 p = ≈ = 1,39 ⋅10 c M pc2 p 2 c 2 + M 2p c 4 non relativistico, mentre l’elettrone è relativistico. 35. Per ottenere le componenti della quantità di moto nel sistema in cui il neutrone “vola” (il sistema del laboratorio), occorre fare una trasformazione dal sistema CMS (Centro di Massa) al sistema del laboratorio. Tuttavia la trasformazione dipende dall’angolo θ * di produzione iniziale. Prendiamo l’asse X nel CMS lungo la direzione di volo del neutrone e proiettiamo le componenti della velocità lungo tale asse e lungo un altro asse perpendicolare ad esso (Y). Dato l’angolo di decadimento tali componenti sono: v ∗xe = v e* cos θ ∗ per l’elettrone, e analoghe per il protone. Il neutrone è relativamen ∗ * ∗ v ye = v e senθ te lento. Dunque possiamo usare la trasformazione di Galilei e, in genere, le espressioni non relativistiche. Le componenti lungo l’asse Y rimangono immutate dopo la 90 Cap. 2 – La dinamica ________________________________________________________________________ trasformazione di riferimento, quelle lungo X diventano: * * 8 ∗ 7 v xe = v xe cos θ − v N = 2,79 ⋅10 ⋅ cos θ − 10 m / s e similmente per il protone. v N è la velocità del neutrone. Possiamo ora provare ad applicare la trasformazione di Lorentz all’elettrone ottenendo: v *xe − β N c 2,79 ⋅10 8 m / s ⋅ cos θ * − 10 7 m / s = v xe = β 1 − 1,29 ⋅10 −3 cos ϑ * 1 − N v *xe c v *ye 2,79 ⋅10 8 m / s ⋅ senθ * v = = ye β 1,0005 ⋅ (1 − 1,29 ⋅10 −3 cos ϑ * ) γ N 1 − N v *xe c Come si vede dai valori numerici, la differenza tra l’espressione relativistica e quella classica è molto piccola. Notare che le due trasformazioni sono identiche, se v *xe ≈ 0 . 36. Se l’energia dell’elettrone e del protone nel CMS risultano non definite, cioè cambiano da decadimento a decadimento, se ne può dedurre solo che il decadimento coinvolge una terza particella prodotta. Questa particella, non vista, deve per forza avere carica nulla. Fu E. Fermi a ipotizzare l’esistenza di questa particella, che risultò avere massa nulla. Fermi battezzò questa particella “neutrino”. Il valore esatto della sua massa, nulla o molto piccola, costituisce un importante questione perché una massa piccola, ma non nulla, implicherebbe una massa “oscura” dell’universo molto diversa con implicazioni cosmologiche rilevanti (vedi Cap. 4). 37. La risultante delle forze su A deve essere nulla. La forza peso agente su A sia: PA=mAgsen30o=49N. Se la risultante delle forze è nulla deve essere, chiamando τ la tensione del filo: 3 = 32 N . 2 Questa tensione deve eguagliare la forza peso applicata al corpo B e deve quindi essere: mB=32/9,8=3,3kg τ=PA-µdmAgcos30o= 49 − 0,20 ⋅10 ⋅ 9,8 ⋅ 38. Il tappo può cominciare a scivolare quando la forza di attrito statico raggiunge il suo massimo valore e questo valore eguaglia quello della forza peso applicata al tappo. Si deve avere: mgsen17 o = µ d mg cos17 o . Quindi: µd = sen17 o cos17 o = 0,29 ≅ 0,3. 0,96 39. Tenendo conto che si tratta di un moto uniformemente decelerato (dove la decelerazione a=gµ è quella dovuta alla forza di attrito), lo spazio percorso e la velocità dalla 91 Cap. 2 La Dinamica 1 2 at e v = v 0 − at . Il tempo al 2 quale la slitta si arresta (v=0 nella seconda equazione scritta) è: t=v0/gµ.. Durante questo tempo la slitta avrà percorso uno spazio pari a: 2 v 02 1 v 02 1 v0 36 s= − gµ 2 2 = = = 11,5m. gµ 2 2 gµ 2 ⋅ 9,8 ⋅ 0,16 g µ slitta al tempo t possono essere scritti come: s = v 0 t − 40. Siano m1 la massa del pianoforte e m2 la massa della scrivania. La seconda legge di Newton applicata a questi due corpi si può scrivere per il pianoforte come: - m1 g+τ1=- m1 a1 (componente y) dove τ1 è la tensione del filo al contatto con il pianoforte. Per la scrivania, essendo N la forza normale: - m2g+N=0 (componente y) e τ2 - µdN=m2 a2 (componente x), dove τ2 è la tensione del filo al contatto con la scrivania. Risolvendo rispetto a N si ottiene: τ2 - µdm2g=m2 a2 Poiché le due masse sono legate da una fune inestensibile, deve essere: a2=a=a1 Ed essendo la fune di massa trascurabile e passando attraverso una carrucola senza attrito: τ2=τ= τ 1. Quindi le equazioni diventano: - m1 g+τ=- m1 a τ - µdm2g=m2 a (m − µ d m 2 )g Da cui : a = 1 = 1,0m / s 2 . m1 + m 2 b) Il pianoforte cade percorrendo uno spazio h=5,3m. Quindi colpirà il suolo alla velocità: v = 2ah = 3,3m / s . 41. a) Si indichi con P la forza peso alla quale è soggetto il blocco. Allora: P = mg . La componente della forza peso parallela al piano inclinato è: P//=P.sen45o mentre la componente normale è: P|=P.cos45o. La forza F agisce unicamente nella direzione normale. La forza di attrito f è proporzionale al modulo della risultante N delle forze normali, cioè: f=µdN=µd( P| +F). La seconda equazione di Newton si può scrivere come: (P// + f)=ma. L’accelerazione risultante sarà: µd P// 0,22 = ( 25 + 8 ⋅ 9,8 ⋅ cos 45 o ) + 9,8 ⋅ sen 45 o = 9,1m / s 2 m m 8 e sarà diretta verso il basso. b) Una volta fermo, la componente della forza peso parallela al piano inclinato tende a portare l’oggetto verso il basso. Ma la forza di attrito cambia verso rispetto al caso precedente. Poichè quest’ultima presenta un modulo inferiore rispetto alla componente parallela della forza peso, allora il corpo ridiscende lungo il piano inclinato con una accellerazione a’ di modulo inferiore alla precedente. a= 92 ( F + P| ) + Cap. 2 – La dinamica ________________________________________________________________________ 42. Se il blocco si muove di velocità costante, la sua accelerazione a deve essere nulla, ovvero le forze applicate devono essere uguali: ma = 0 = f cos 40 o − µ ( f p − fsen 40°) . Si avrà quindi: f = µf p cos 40 + µsen 40° o = 50 N ⋅ 0,56 = 24,86 N . 1,126 43. a) Per trovare il coefficiente di attrito statico, occorre eguagliare la forza che spinge la scatola, alla forza di attrito che oppone resistenza al moto: F=µmg, dove µ è il coefficiente di attrito statico. Da questa eguaglianza risulta che F 400 N µ= = = 1,02 . mg 40kg ⋅ 9,8m / s 2 b) Si chiami µd il coefficiente di attrito dinamico. Allora deve essere: F=µd gm=20.9,8m/s2.0,30kg=58,8N 93