INDICI DOTTRINA 70 I, 3 I, 51 II, 40 I, 71 IV, 3 Massimiliano Russo Tassazione dei capital gains: un’ordinanza lascia irrisolto il rapporto tra la libertà di stabilimento e la libera circolazione dei capitali (nota a Corte di Giustizia Ce, sez. II, causa C-268/03/2004) ......................... III, 9 Costantino Scalinci La notifica dell’atto tributario recettizio: un “Giano bifronte” tra sanatoria e decadenza (nota a Cass., sez. V civ., n. 1647/2004 e Cass., SS.UU. civ., n. 19854/2004 ) ............................................................................ II, 13 Rubrica di diritto comunitario a cura di Piera Filippi ................................................................................. III, 3 Rubrica di diritto tributario internazionale e comparato a cura di Guglielmo Maisto ........................................................................ IV, 3 re Sp Augusto Fantozzi Riserva di legge e nuovo riparto della potestà normativa in materia tributaria ....................................................................................................... A II, 05 Gaspare Falsitta L'eterno ritorno della “questione fiscale” delle procedure concorsuali (nota a Circolari, Agenzia delle Entrate, Dir. Centrale Normativa e Contenzioso, nn. 26/E/2002 e 42/E/2004) ................................................. fre 'E di to Guglielmo Fransoni Riflettendo su un convegno leccese ............................................................. ht G iu f Enrico Manzon ed Adriano Modolo Rassegna della Cassazione tributaria (II quadrimestre 2004) ..................... op yr ig Salvo Muscarà Gli inusuali ambiti dell’autotutela in materia tributaria .............................. Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 -C Francesco Porpora La cosiddetta “tonnage tax”. La prospettiva italiana e le esperienze europee a confronto .................................................................................... II INDICE INDICE ANALITICO Giurisprudenza e interpretazioni ministeriali QUESTIONI GENERALI II, 3 II, 4 III, 3 III, 3 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp Accertamento - Avviso di accertamento - Natura - Atto amministrativo sostanziale e recettizio - Provocatio ad opponendum - Esclusione Notificazione nel termine di decadenza - Necessità - Regime delle notificazioni processuali - Previsione espressa - Sanabilità del vizio Conseguenza - Proposizione del ricorso giurisdizionale - Raggiungimento dello scopo della notificazione - Equipollenza - Impugnazione successiva al termine di decadenza - Tardività della notifica e nullità dell’avviso di accertamento - Conseguenza - Eccezione specifica nei motivi di ricorso - Necessità - Rilevabilità d’ufficio della tardiva sanatoria - Esclusione (Cass., SS.UU. civ., 3.6.2004 - 5.10.2004, n. 19854, con nota di Costantino Scalinci) ............................................. Accertamento - Avviso di accertamento - Notifica a mezzo posta - Tempestività - Riferimento alla data di spedizione del plico - Necessità Giurisprudenza costituzionale additiva - Criterio dello sdoppiamento dei termini - Fondamento (Cass., sez. V trib., 2.7.2003 - 29.1.2004, n. 1647, con nota di Costantino Scalinci) ........................................... A ACCERTAMENTO gg io UNIONE EUROPEA Fa sc ic o lo sa Imposta sul reddito - Plusvalenze fuori dal regime d’impresa - Diritto di stabilimento - Artt. 43 e 48 Trattato Ce - Libera circolazione dei capitali - Artt. 56 e 58 Trattato Ce - Discriminazione - Sussiste (Corte di Giustizia Ce, sez. II, 8.6.2004, causa C-268/03, con nota di Massimiliano Russo) .................................................................................. Indice cronologico Corte di Giustizia Ce, sez. II, 8 giu. 2004, causa C-268/03 ........................................................................ * * * III INDICE Cass., sez. V civ. 2 lug. 2003 - 29 gen. 2004, n. 1647 ............................................................ II, 4 Cass., SS.UU. civ. 3 giu. 2004 - 5 ott. 2004, n. 19854 .............................................................. II, 3 Circolare, Agenzia delle Entrate, Dir. Centrale Normativa e Contenzioso 22 mar. 2002, n. 26/E ................................................................................... II, 49 Circolare, Agenzia delle Entrate, Dir. Centrale Normativa e Contenzioso 4 ott. 2004, n. 42/E ....................................................................................... II, 61 Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A * * * ic o sc Fa lo gg io sa 05 20 1_ ht yr ig op -C iu f G re di to 'E fre PARTE PRIMA A Sp ic o sc Fa lo gg io sa 05 20 1_ ht yr ig op -C to re di e' E ffr iu G A Sp Dottrina A Riserva di legge e nuovo riparto della potestà normativa in materia tributaria (1) Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A tre anni dall’entrata in vigore della riforma del titolo V Cost., la mia relazione non si propone certo di esaminare lo stato di attuazione del cosiddetto federalismo fiscale che ha assunto ormai un significato generico, ricco di accezioni diverse e tutt’ora in fieri, né di dare conto del vivace dibattito sullo stato di attuazione del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario indicato con identica formula ma con finalità diverse nell’art. 117, comma 3 e nell’art. 119, comma 2 Cost. Il tema complessivo del nuovo assetto istituzionale della Repubblica e l’esame delle diverse proposte allo studio sono, infatti, oggetto di altre relazioni e sono stati particolarmente dibattuti di nuovo negli ultimi tempi. Io cercherò, più modestamente, di indicare, alla luce della dottrina che già si è espressa sulla lettura e combinazione tra loro degli artt. 117 e 119 nonché alla luce delle prime e invero caute pronunce della Corte costituzionale, una proposta di sintesi delle disposizioni costituzionali che, facendo perno sulla nozione di “sistema tributario” richiamata ora non solo nel comma 2 dell'art. 53 ma anche nell'art. 117 e 119, consenta di riconoscere contenuto effettivo e attuale al principio democratico espresso dalla riserva di legge dell’art. 23 attraverso il coordinamento dei diversi livelli istituzionali cui è ormai attribuita la potestà di stabilire e applicare tributi. 1. Ogni riflessione sul senso e le implicazioni della riserva di legge, anche nel novellato quadro dei più livelli che compongono l’ordinamento repubblicano, non può prescindere dalla consapevolezza dell’esistenza di uno iato tra la costituzione formale e quella reale o materiale, ovvero ancora, la prassi costituzionale e legislativa, via via consolidatasi. ——————— (1) Relazione presentata al 50° Convegno di Studi Amministrativi “L’attuazione del titolo V della Costituzione”, Varenna 16-18 settembre 2004. 4 PARTE PRIMA Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A Basterà considerare, rapidamente, alcuni dati che sono da soli eloquenti, pur quando esprimano mere quantità o grandezze: le iniziative legislative presentate alle Camere nella XIV legislatura e la loro percentuale di successo, infatti, testimoniano che il promotore della produzione legislativa è, ormai e da tempo, praticamente in esclusiva, il Governo, i cui decreti sono convertiti nel 93 per cento dei casi, quando non si considerino, più propriamente, i disegni di legge di iniziativa governativa, approvati una volta su due, a differenza dei progetti di iniziativa parlamentare, che, invece, si ritagliano percentuali di successo solo decimali (0,7 per cento). Né meno noto e incisivo, specie per la materia tributaria, è il crescente – e particolarmente tangibile nella XIII e XIV legislatura – abuso della legge delega, volto ad esprimere un almeno triplice aspetto fenomenico e significato: il ricorso a questo strumento – quello della delegazione al Governo della normazione (specie in materia tributaria) – divenuto pressoché sistematico (2); quindi, la filosofia dell’“ampia delega”, che consentirebbe, con l’avallo della Corte, di desumere principi e criteri direttivi per il delegato, dalla intera legge, dalla legislazione precedente o addirittura dal complesso generale del sistema, sino alla delega in forma implicita (3); infine, il fenomeno della delegazione “permanente”, indotto dalla consuetudine di introdurre, nel testo parlamentare, anche una seconda delega ad integrare o modificare la disciplina ottenuta per esercizio della prima, contestualmente conferita all’esecutivo, cui è divenuta presto complementare la prassi ricorrente di interventi delegati, reiterati più volte, con proroga del tempo originariamente previsto e concesso. Il senso di questi rapidi accenni, tuttavia, non può e non vuole essere quello di giungere ad una prima e grossolana (quanto fallace) conclusione, sul valore attuale della riserva di legge, già a livello statale (4). ——————— (2) Con “frequente superamento dei limiti posti nella Costituzione” (cfr., sul punto e in termini, A. FEDELE, Appunti dalle lezioni di diritto tributario, I, Torino, 2003, cit., 89). (3) Cfr., in questo senso, per tutti e recentemente, E. DE MITA, La riserva di legge tributaria nell’ordinamento italiano, in Dalle costituzioni nazionali alla costituzione europea. Potestà, diritti, doveri e giurisprudenza costituzionale in materia tributaria, Atti del Convegno di Bergamo del 29-30 ottobre 1999, a cura di B. Pezzini e C. Sacchetto, Milano, 2001, 159-160. (4) Aspetto, questo, che induceva autorevole Dottrina (cfr., BERLIRI, Appunti sul fondamento e il contenuto dell’art. 23 Cost., in Jus, anno X, 1958, 327 ss., nt. 49) a svalutare senso e funzione stessi della riserva di legge, già alla fine degli anni ’50. L’Autore, con spendita retorica di una simbolica, quanto efficace percentuale (il 99 per cento), che misurerebbe i casi in cui ciò che vuole il Governo lo vorrebbe anche la maggioran- 5 DOTTRINA iu f fre 'E di to re Sp A Non intendo, cioè, sostenere che siamo ad una omologazione, nei fatti, della legge all’atto del Governo, quanto, esprimere la consapevolezza del crescente ruolo di questo nella conformazione dell’impianto essenziale dei provvedimenti legislativi e dei regolamenti, sempre più importanti nella vita delle imposte (5); allo stesso tempo desidero, però, sottolineare che quello parlamentare è, e resta, il luogo deputato ed il soggetto della “co-determinazione” dei contenuti normativi primari, per il concorso simultaneo della rappresentanza fiduciaria dell’esecutivo e di quella propria delle opposizioni, che partecipano (o almeno dispongono di strumenti atti) a quel fondamentale concorso, in rappresentanza della “Nazione” e “senza vincolo di mandato” (art. 67, Cost.) (6), oltre che muniti di un complesso di garanzie costituzionali (7) (alcune delle quali recentemente espunte o attenuate) che concorrono a delineare prerogative e peculiarità del Parlamento. Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G ——————— za del Parlamento, traeva da questo ordine di grandezza la conclusione che riservare al Parlamento, anziché al Governo, la decisione su determinate materie non offre alcuna seria garanzia per il cittadino. Un convincimento che induceva l’Autore, subito di seguito, ad ipotizzare sufficiente e persino più efficiente una “riserva di atto generale”, in luogo di quella di “legge”, ovvero, una compromissoria “riserva attenuata”, tradotta nella “legge di direttive” – una loi cadre come dicono i francesi – cui segua un regolamento delegato. (5) Si veda sul punto, ancora, E. DE MITA, La riserva di legge, cit., 157 ss. (6) Cfr., in argomento, ZANON, Il libero mandato parlamentare. Saggio critico sull’art. 67 Cost., Milano, 1991; MARTINES, Diritto costituzionale, Milano, 1992, 302303. Cfr., altresì, Corte cost., sent. 7 marzo 1964, n. 14, in materia di rapporti tra i membri del Parlamento ed il rispettivo partito politico, alla luce di detto, fondamentale disposto costituzionale, il quale, “collocato fra le norme che attengono all’ordinamento delle Camere e non fra quelle che disciplinano la formazione delle leggi”, non spiega efficacia ai fini della validità delle deliberazioni, bensì è “rivolto ad assicurare la libertà dei membri del Parlamento”. (7) Cfr., sul punto, Corte cost., sent. 30 giugno 1964, n. 66, secondo la quale: “Per la Camera dei Deputati e per il Senato della Repubblica gli artt. 64, comma 1, 66 e 68 Cost. delineano nel loro insieme un compiuto ed ampio sistema di garanzie, che non ha riscontro nelle norme riguardanti gli enti regionali. … Manca una norma costituzionale che, come avviene per le Camere (art. 66 Cost.), attribuisca ai Consigli regionali, anche di Regioni a statuto speciale, il giudizio definitivo dei titoli di ammissione dei loro componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità; né vi è principio o disposizione costituzionale che riconosca ai componenti dei Consigli regionali l’immunità prevista dall’art. 68 Cost. per i membri del Parlamento, (la quale) costituisce conferma dell’indipendenza dell’organo nei confronti degli altri poteri e getta luce su tutto il complesso delle garanzie costituzionali accordate alle Camere, a dimostrazione che il sistema costituzionale (nel suo complesso, appunto) non ha inteso attribuire all’Assemblea regionale quelle stesse prerogative che spettano al Parlamento”. 6 PARTE PRIMA G iu f fre 'E di to re Sp A Non starò qui a ripercorrere in dettaglio, dinanzi ad una platea così illustre e qualificata, il lungo excursus evolutivo – dalle origini ai nostri giorni - della “riserva di legge in genere”, né di quella in materia tributaria, confluita, con la Costituzione repubblicana, nell’unitaria formulazione della riserva di legge in materia di cd. “prestazioni imposte” (art. 23, Cost.). Ma, facendo un passo indietro, basterà – per quanto, di qui a poco, dirò – considerare un dato obiettivo: la riserva nasce con l’emergere dei primi aneliti al contenimento dell’arbitrio fiscale del Sovrano e, dunque, essenzialmente, come manifestazione e strumento di “garanzia” del patrimonio individuale, per poi assurgere alla più attuale concezione della riserva di legge, come espressione di un principio autonomo (8), di democraticità e rappresentatività (la cd. autotassazione o autoimposizione, in senso atecnico, di una comunità sociale). Dal diritto sovrano di imposizione (9), basato sul rapporto di sudditanza, al consenso all’imposizione, sino all’autotassazione e al principio di legalità (10): in ciascuna Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht ——————— (8) Cfr., da ultimo, FEDELE, Appunti dalle lezioni, cit., 51-53; e, dello stesso Autore, la più articolata disamina dell’art. 23, Cost., in Commentario alla Costituzione - Rapporti civili - a cura di G. Branca, Bologna-Roma, 1978, 21 ss. e, quindi, la voce Prestazioni imposte, in Enc. giur., Roma, 1991. Per la tesi riduttiva dell’art. 23, Cost. ad una “garanzia della libertà personale e patrimoniale” si vedano, tra gli altri: AMORTH, Fondamento costituzionale delle prestazioni pecuniarie ad enti pubblici, in Diritto dell’economia, 1956, 1027 ss.; BERLIRI, Appunti sul fondamento, cit., 327 ss., il cui pensiero è ancora più radicale, poiché – a suo dire –, nella Costituzione repubblicana, l’art. 23 (avrebbe) perso completamente la funzione politica (divenuta del resto già superflua sotto lo Statuto Albertino) e conservato, invece, quella di norma diretta a garantire la libertà dei singoli (funzione resa anzi più vitale dal carattere rigido della Costituzione), ammettendo peraltro espressamente che tale libertà possa essere limitata non per legge ma in base alla legge. (9) Seppure scritte nell’intento di definire ed esaminare il concetto di tributo, sono di grande interesse, in proposito, le pagine del VANONI (Opere Giuridiche, Milano, 1962, I, 73 ss. e II, 30 ss., segnatamente 35), critiche, tanto della teoria del tributo come “manifestazione della sovranità dello Stato” (formulata e sostenuta, tra gli altri, dal Romano e dal Vanni) – ossia del diritto d’imposizione come essenziale attributo della sovranità e fondato sul solo rapporto di sudditanza – quanto della teoria del tributo come “manifestazione della supremazia dello Stato” (essenzialmente elaborata e sviluppata dalla scuola tedesca, giuridica ed economico-finanziaria), cioè del tributo inteso quale mera conseguenza della supremazia dello Stato, della sua possibilità “di imporre la propria volontà”, indipendentemente da giustificazioni etiche e giuridiche. Il Vanoni esprime tutto il proprio dissenso da quelle impostazioni ed esplicita il proprio convincimento, osservando che “il tributo appare legato alla partecipazione personale (con la presenza nel territorio e col godimento della cittadinanza) od alla partecipazione economica (colla percezione di redditi prodotti nel territorio) alla vita dell’ente impositore”. (10) Sui profili storici e la parallela evoluzione concettuale e teoretica, si vedano, 7 DOTTRINA iu f fre 'E di to re Sp A fase è una costante l’idea dell’imposizione fiscale come attributo essenziale della sovranità, via via affrancatasi, quest’ultima, dal principio di supremazia, sino alla identificazione con quello di rappresentatività e responsabilità democratica (11). L’istituto va, quindi, inquadrato nell’ambito dell’assetto complessivo dei pubblici poteri in un dato sistema costituzionale e la sua conformazione non rappresenta una “variabile indipendente”. Riserva di legge e confini dell’autonomia normativa sub-statale non sono e non possono costituire risultanti mere della loro regolazione specifica, anche di rango costituzionale; e, piuttosto, questo delicatissimo equilibrio, stretto tra la rappresentanza politica, la forma di Stato e l’unità dell’ordinamento giuridico, appare segnato da una correlazione essenziale, che tende ad escludere una “politica” dei poteri, indipendente dalla “politica” della rappresentatività (12), almeno in linea di principio. Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G ——————— oltre ai già citati contributi di A. FEDELE, tra gli altri, S. BARTHOLINI, Il principio di legalità dei tributi in materia di imposte, Padova, 1957, A. BERLIRI, Appunti sul fondamento, cit. (11) Cfr., sul punto, P. BILANCIA, Il paradigma della legge statale: i riflessi del nuovo art. 117, comma 2, sull’art. 70 Cost., in Trasformazioni della funzione legislativa, III.1. Rilevanti novità in tema di fonti del diritto dopo la riforma del Titolo V della II Parte della Costituzione, a cura di F. Modugno e P. Carnevale, Milano, 2003, 1 ss. e, segnatamente, 1213, laddove l’Autore (essenzialmente valorizzando il “formale” venir meno, nel nuovo Titolo V, del limite dell’interesse nazionale, consapevolmente giudicato dato più apparente che effettivo) osserva che la sintesi tra unità della Repubblica ed autonomia degli ordinamenti regionali non può più ormai definirsi sulla base di un presunto legame relazionale tra i concetti di sovranità ed autonomia inteso come rapporto di implicazone necessaria proprio di una cultura giuridica legata al panstatualismo; l’unità della Repubblica si iscrive necessariamente in un complesso di principi fondamentali contenuti nella Costituzione e la “sovranità popolare” non può più concorrere a qualificare la supremazia dello Stato sugli enti di autonomia, anch’essi rappresentativi e determinanti nella definizione della nozione di Repubblica. La stessa Corte costituzionale risolve e rappresenta l’attuale consistenza delle relazioni tra principi di sovranità ed autonomia in termini del tutto differenti dall’impianto teorico tradizionale, sulla base dell’assunto che l’attuale declinazione giuridica del principio di rappresentanza non consente più di ritenere che la sovranità del popolo si esaurisca in essa, né in altri luoghi o sedi dell’organizzazione costituzionale (sent. n. 106/2002, p.to 3, in diritto). Principi poi ripresi e sviluppati nella successiva sentenza n. 29/2003 (p.to 3, in diritto), nella quale il Giudice delle leggi osserva che le forme ed i modi nei quali la sovranità del popolo può svolgersi assumono una configurazione talmente ampia da ricomprendere certamente il riconoscimento e la garanzia delle autonomie territoriali. (12) Cfr., in questo senso, R. BALDUZZI, F. SORRENTINO, voce Riserva di legge, in Enc. dir., XL, Milano, 1989, 1212-1213; e, più recentemente, C. SCALINCI, Riserva di legge e primato della fonte statale nel “sistema” delle autonomie fiscali, in questa Rivista, n. 4-2004, II, 235. 8 PARTE PRIMA Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A Solo sullo sfondo permane l’originaria concezione e vocazione strumentale della legge, come “guarentigia”, che pure potrebbe recuperare rilievo autonomo oggi, se intesa in senso nuovo (in un significato pur sempre riducibile alla giustificazione democratica) come garanzia di equilibrio e rappresentatività, rispetto a quei livelli ordinamentali e territoriali sub-statali, nei quali il meccanismo democratico è più condizionato dai localismi, dai personalismi, persino dalle contiguità fisiche tra amministratori ed amministrati: si tratterebbe, in sostanza, di una delle possibili giustificazioni concorrenti della “prerogativa”, statale e regionale, della funzione “legislativa”, conservata tale anche nel nuovo titolo V, almeno secondo il testuale tenore delle novellate disposizioni costituzionali. Nell’architettura costituzionale vigente – come osserva la dottrina (13) che si è occupata dell’argomento – la riserva di legge in materia di prestazioni patrimoniali imposte si pone in funzione immediata e prevalente di “interessi generali” e solo in via mediata e subordinata degli “interessi dei privati”: di qui la sua giustificazione essenzialmente democratica ed autonoma, rispetto all’originaria accezione garantista della riserva stessa, strumentale (questa) ad una integrità patrimoniale che, nel complessivo tessuto costituzionale, non pare avere quel supposto primato e (sembra) trovare, semmai, tutela in una disciplina pari rango, “speciale” e sostanziale allo stesso tempo (artt. 41 ss., Cost.) (14). Pubblicità del procedimento, tutela delle minoranze, più diretto rapporto con il corpo elettorale degli organi che della disciplina stessa formulano le linee essenziali, controllo della sostanziale legittimità costituzionale, sono tutte “prerogative” di diversa intensità di quella “legge” alla quale il legislatore riserva tutela ed attuazione di una pluralità di interessi e valori. È questa la ben nota idea di una diversa “rigidità” della riserva di legge prevista dall’art. 23 (quanto al suo cd. “aspetto positivo” ——————— (13) Cfr., A. FEDELE, Art. 23, cit., 126 ss., e, segnatamente, 132-134, 142. (14) È, esemplare, di questo ordine di idee e, comunque, del diverso ambito proprio della riserva ex art. 23, Cost., tra le altre, la nota sentenza 24 luglio 1972, n. 144, nella quale la Consulta ebbe, testualmente, a precisare quanto segue: “dalla definizione dello sconto (sui farmaci) come prestazione patrimoniale, cui la Corte è pervenuta con la già menzionata sentenza n. 70/1960, consegue ovviamente che la materia in esame rientra nella sfera di applicazione dell’art. 23 Cost. ed è pertanto estranea all’art. 41 Cost., che disciplina, invece, l'iniziativa economica privata, ed all’art. 43 Cost., che a sua volta consente alla legge, fra l’altro, la possibilità di attribuire a enti pubblici, per ragioni di utilità generale, e in esclusiva, determinate categorie di imprese”. 9 DOTTRINA gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A (15)), a seconda dei diversi tipi di prestazione imposta e dei molteplici interessi generali e pubblici: in definitiva, in relazione alla particolare natura e funzione dei singoli istituti cui trova applicazione quel disposto costituzionale (16). Vanno distinte – in quest’ottica, ricostruttiva – le prestazioni personali, per le quali è diretta e prevalente la funzione garantista della riserva, in relazione alla libera destinazione delle energie fisiche e psichiche dell’individuo, quali valori di sicura e somma protezione superiore. Ma anche tra le prestazioni patrimoniali può e deve essere operato più di un distinguo, dandosene talune di tipo afflittivo, talaltre risarcitorie o indennitarie, altre ancora, appunto, tributarie. Il contenuto minimo della riserva di legge potrebbe cioè variare in dipendenza della natura della prestazione patrimoniale imposta e, soprattutto, della sua giustificazione e funzione: distributiva della spesa, piuttosto che redistributiva della individuale ricchezza. Non mi soffermerò sulla struttura essenziale del contenuto minimo della fattispecie impositiva “legislativa”. In linea di principio, ricordo che soggetti, indici di contribuzione e presupposto d’imposta ne costituiscono il nucleo comunemente condiviso ed irrinunciabile, poiché concretano proprio quel criterio di riparto delle pubbliche spese che costituisce “valore” costituzionale tutelato ed affidato alla riserva stessa (17); entità, generalità e effettività del prelievo, invece, sono tutti aspetti che, a talune condizioni, anche la giurisprudenza costituzionale consente di imputare a scelte democratiche locali e per il tramite di fonti normative non legislative (18), tenendo conto persino dei rischi che una legislazio- Fa sc ic o lo sa ——————— (15) Cfr., R. GUASTINI, Teoria e dogmatica delle fonti, in Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto da A. Cicu e F. Messineo, ora continuato da L. Mengoni, Milano, 1998, I, t. 1, 434. (16) Cfr., in termini, A. FEDELE, Appunti, cit., 51-52. (17) La riserva di legge di cui all’art. 23 Cost. è soddisfatta purché la legge (anche regionale: cfr., sentenze n. 435/2001, n. 64/1965, n. 148/1979, n. 180/1996, n. 269/1997 – ordinanze) stabilisca gli elementi fondamentali dell’imposizione, anche se demanda a fonti secondarie o al potere dell’amministrazione la specificazione e l’integrazione di tale disciplina. (18) Fondamentale, a questo proposito, è ricordare quanto precisato dalla Consulta nella celebre sentenza 23 maggio 1985, n. 159, meglio nota come “sentenza Socof” (sovraimposta comunale sui fabbricati – contenuta nel DL n. 55/1983, conv. con modif. nella legge n. 131/1983): “La prestazione pecuniaria, pur quando si configuri come onere fiscale in senso proprio, è imposta “in base” alla legge” … “anche se lascia all’ente autonomo la facoltà di istituire, oppur no, la sovrimposta”. Un pronunciato, questo, nel quale in sostanza la Consulta ha saputo confermare l’esistenza di uno spazio (già all’epoca), utile allo svolgimento del valore dell’autonomia locale, identificandolo nel potere di istituire o meno un tributo di regolazione statale. Si tratta di un ordine di idee già manife- 10 PARTE PRIMA di to re Sp A ne nazionale ed uniforme, eccessivamente analitica, può comportare per l’eguaglianza tributaria sostanziale, in rapporto alle diverse realtà locali (19). Nella “fiscalità locale” la riserva di legge deve, tuttavia, essere indagata e declinata contemperando il “valore” tributario con il “valore” dell’autonomia fiscale, la quale è, prima di tutto, riconoscimento (20) della dignità democratica e della rappresentatività degli organi istituzionali degli Enti locali: un profilo, questo, che consentirebbe una maggiore flessibilità del minimo contenuto della legge, proprio per conferire spazio di autonoma manovra fiscale a livello locale ed, in definitiva, di gestione autonoma e responsabile, tanto più se questa operazione fosse Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E ——————— stato circa venti anni prima, nella sentenza 23 maggio 1966, n. 44 (in materia di Imposta sugli incrementi di valore delle aree fabbricabili - legge 5 marzo 1963, n. 246), secondo il seguente, testuale, ragionamento: “dalla libertà di istituire o no l’imposta, lasciata ai Comuni … non deriva una violazione del principio di eguaglianza, giacché l’attribuzione ad Enti locali di una discrezionalità nell’usare o non il potere imposizionale loro conferito, quando non ricorrano ragioni generali di imposizione obbligatoria, è conforme al principio di autonomia degli Enti locali, costituzionalmente garantito (artt. 5 e 128 Cost.)”; né “ha maggior fondamento l’affermazione che con l’attribuzione della detta facoltà sarebbe violato l’art. 23 Cost.”, poiché “la legge non ha lasciato i detti Comuni liberi nelle loro determinazioni” ed “essi, invece, in ordine al periodo assumibile per la determinazione dell’incremento tassabile, sono vincolati alla norma dell’art. 5 della legge stessa, e in ordine all’aliquota, sono vincolati, come tutti gli altri Comuni, alle norme dell’art. 21”. “Pertanto” – concludeva la Corte – “l’esercizio da parte loro del potere ad essi conferito, trovando i suoi limiti nelle predette norme, dà luogo ad una imposizione di prestazioni patrimoniali fondata sulla legge”. Questa declinazione della riserva di legge, in relazione al valore autonomia e, comunque, al potere di applicare o meno un tributo di regolazione statale, infine, è stato confermato, successivamente anche in materia di Invim, nella sentenza 22 novembre 1991, n. 423, sul presupposto che sia coerente, con i contenuti degli artt. 3 e 23 Cost., una normativa rispondente all’esigenza di “assicurare una imposizione atta a rispecchiare la situazione propria a ciascun Comune”, “lungi, in tal modo,” sia dal comportare “pretese violazioni del principio d’eguaglianza”, sia dal conferire agli “enti impositori … un potere illimitato, … in contrasto con la riserva di legge garantita dall’art. 23”. (19) Mi riferisco, ancora, alla sentenza n. 44/1966, nella quale la Consulta ebbe a soggiungere, direi molto significativamente, che: “una maggiore determinazione, in via generale, dei criteri per stabilire l’incremento dei valori tassabili avrebbe prodotto disuguaglianze e sperequazioni, col ricondurre sotto norme comuni situazioni diverse”. (20) S. BARTHOLINI (Il principio di legalità, cit., 111) ipotizzava, già nel ’57, che l’art. 23 potesse non operare con “severità” nei confronti degli enti rappresentativi minori territoriali, sostanzialmente, ritenendoli espressione diretta della volontà politica del contribuente. Sul punto, si veda, altresì, FORTE, Note sulla nozione dei tributi nell’ordinamento finanziario italiano e sul significato dell’art. 23 Cost., in Riv. dir. fin e sc. fin., 1956, I, 248 ss. e, segnatamente, 278. 11 DOTTRINA di to re Sp A possibile almeno per una certa tipologia di tributi. La giustificazione della riserva di legge – il principio democratico – appare coerente e comprensiva del valore dell’autonomia e della responsabilità di governo locale. Tuttavia, la riserva ex art. 23 è concepita come relativa anche nella “rigidità”: dunque, disomogenea o almeno dipendente dalla tipologia di prestazione di volta in volta considerata. In perfetta coerenza con la ricerca del contenuto minimo della riserva nelle implicazioni del valore costituzionale della prestazione imposta individuata, quindi, proprio l’area della contribuzione commutativa (21) o para-commutativa potrebbe essere anche quella di maggiore svolgimento di una potestà normativa diversa da quella legislativa (22). fre 'E 2. Dopo avere accennato in termini generali alla riserva di legge e Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f ——————— (21) La giurisprudenza del Giudice delle leggi – a dire della stessa Consulta (il testo virgolettato è tratto dalla recente sentenza 28 dicembre 2001, n. 435) – “ha (infatti) allargato la nozione di “prestazione patrimoniale imposta”, ai sensi dell’art. 23 Cost., riconducendovi anche prestazioni di natura non tributaria, e aventi funzione di corrispettivo, quando, per i caratteri e il regime giuridico dell’attività resa, sia pure su richiesta del privato, a fronte della prestazione patrimoniale, è apparso prevalente l’elemento della imposizione legale (cfr. ad es. sentenze n. 55/1963, n. 72/1969, n. 127/1988, n. 236/1994, n. 215/1998)”; e “per ritenere la prestazione imposta”, ha fatto ricorso ad elementi di non facile definizione, come il carattere di “servizio essenziale” ai bisogni della vita, rivestito dall’attività del soggetto cui la prestazione patrimoniale è dovuta (cfr. sentenze n. 72/1969, n. 127/1988, n. 215/1998)”. Sul piano concettuale e lessicale, peraltro va evidenziato che la Consulta, diversamente da quanto ho già sostenuto e qui do essenzialmente per scontato, pur nel contesto di pronunzie molto e volutamente condizionate dalla casistica, è apparsa escludere dal concetto di tributo quelle prestazioni che avessero un titolo commutativo o paracommutativo, comprese quelle “imposte” nel senso vago e complesso reso dal criterio, tra gli altri, della natura essenziale del servizio pubblico cui sono correlate. (22) Mi è parso assai significativo e coerente con questa impostazione teorica, basata sulla struttura e lettura più condivisa della riserva di legge ex art. 23 Cost., un passaggio essenziale della già citata sentenza n. 435/2001: “È bensì sufficiente, per rispettare la riserva di legge, che idonei criteri e limiti, di natura oggettiva o tecnica, atti a vincolare la determinazione quantitativa dell’imposizione, si desumano dall’insieme della disciplina considerata (cfr. sentenze n. 72/1969, n. 507/1988). Ciò può verificarsi, in particolare, quando la prestazione imposta costituisca il corrispettivo di un’attività il cui valore economico sia determinabile sulla base di criteri tecnici, e il corrispettivo debba per legge essere determinato in riferimento a tale valore”. La Corte, nell’occasione, formulava questo criterio per esprimere l’astratta legittimità di una legge regionale che rimettesse alla Giunta la determinazione del quantum dell’imposizione; ma si tratta di un passo di significato più generale e ricognitivo, almeno in nuce, della minore rigidità della riserva di legge, quando la prestazione imposta sia di tipo o titolo para-commutativo. 12 PARTE PRIMA 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A prima di esaminare la portata nel testo vigente del titolo V, appare importante richiamare gli essenziali interventi legislativi che hanno preceduto la novella costituzionale. Il legislatore ordinario, ancor prima di “farsi costituente” e nelle battute conclusive della XIII legislatura, ha saputo imprimere una svolta obiettiva e concreta, con una fuga in avanti, nella presumibile consapevolezza dello iato tra l’esistente ordinamento normativo della fiscalità locale e l’ordinamento possibile, anche alla luce dell’elaborazione giurisprudenziale dell’originario Titolo V e dell’art. 23, Cost. Dirò subito che la cd. Riforma Visco, in materia di fiscalità locale (D.Lgs. n. 446/1997), ha tracciato un percorso, per così dire, binario: da un lato, un forte e talvolta marcato decentramento della potestà normativa tributaria sostanziale, con obiettivo privilegio (23) per gli Enti locali conformato all’esigenza di una “base” nella “legge”; dall’altro, la “formale” defiscalizzazione di molte e significative “entrate locali” (essenzialmente, ma non solo, correlabili a servizi divisibili), le quali, nella sostanza, sono state protagoniste di un’“emancipazione solo nominalistica” (in “tariffe”), senza perdere la natura di “tributi” (di imposte e tasse, segnatamente). La migliore dottrina ha saputo cogliere entrambi questi aspetti (24), Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 ——————— (23) Semplificando ai fini che ci occupano, direi che per quanto attiene alla fiscalità regionale, le novità più significative sono state, per così dire, “di gettito”: l’istituzione dell’Irap e la previsione di addizionali, dotate, in entrambi i casi – e con disposizioni presto paralizzate dall’evolversi della situazione economica e politica – di una limitata possibilità di manovra delle aliquote, nonché per la prima, a regime (cfr., art. 24, D.Lgs. n. 446 cit.), della possibilità di regolare con leggi proprie le procedure di applicazione del tributo. Operazioni, queste, che non sono apparse significative, nella prospettiva del nuovo titolo V, come del resto la stessa Corte costituzionale – da ultimo con sentenza 19 luglio 2004, n. 241 – ha inequivocabilmente sostenuto, escludendo una potestà legislativa regionale in materia di Irap ed affermando che tuttora la disciplina sostanziale dell’imposta rientra nella esclusiva competenza dello Stato in materia di tributi erariali (e, nello stesso senso, già le sentenze nn. 296, 297 e 331/2003, con riferimento alla tassa automobilistica regionale). (24) Cfr., A. FEDELE, La potestà normativa degli enti locali, in Fin. loc., 1998, 10 ss.; e, più recentemente e diffusamente, in Appunti dalle lezioni di diritto tributario, cit. In genere, in argomento, si vedano P. BORIA, Le scelte di federalismo fiscale con D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, in Commento agli interventi di riforma tributaria. I decreti legislativi di attuazione delle deleghe contenute nell’art. 3 della legge 26 dicembre 1996 n. 662, Padova, 1999, 861 ss. e, segnatamente, 880-898; cfr., altresì, L. PERRONE, Appunti sulle garanzie costituzionali in materia tributaria, in questa Rivista, 1997, I, 584. Critico ed in una insolita collocazione, L. DEL FEDERICO, Presentazione del supplemento al Corriere tributario n. 12 del 25 marzo 2002, codice tascabile dei “Tributi locali”, Ipsoa, 13 DOTTRINA Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A e soprattutto il primo; quello che ha assunto la caratteristica di una sorta di “vigilia normativa” rispetto alla introduzione del cd. nuovo Titolo V, accompagnandone anche le fasi di prima applicazione. Quello tracciato e indicato dal D.Lgs. n. 446/1997, è, dunque, un doppio binario, che sembra dover assumere un ruolo anche nella lettura e sistematizzazione della novella costituzionale in materia tributaria: il decentramento della potestà normativa tributaria faticosamente costruito in capo agli Enti locali, infatti, per un verso, potrebbe subire (o aver già subito, nella novella costituzionale) una precoce e significativa erosione, già paventata dalla dottrina (25); per altro verso, sembrerebbe materializzare, in materia tributaria, un processo di maturazione più radicata e profonda, concernente, in genere, i criteri di riparto (soprattutto orizzontale) della potestà normativa. Mi pare sia giudizio diffusamente condiviso quello, secondo il quale, la riforma Visco avrebbe largamente anticipato lo spirito della novella costituzionale, pur non avendone il fondamentale rango; e, probabilmente, per certi versi, quell’apertura al dispiegarsi pieno dell’autonomia tributaria dell’Ente locale, nel sostanziale rispetto della riserva ex art. 23, Cost., è andata oltre le più rosee aspettative. In linea di massima, mi pare di poter dire che il decreto delegato n. 446 ha conservato, negli aspetti qualificanti, il fondamentale assetto omogeneo della fiscalità locale sul piano nazionale: si tratta, infatti, di tributi identificati, nel cd. nucleo forte e riservato, da leggi valide per tutti, e largamente devoluti ad una disciplina autonoma e locale, di rango secondario, espressione del potere, democraticamente fondato, di applicazione o disapplicazione “responsabile”, con ampia possibilità di diversamente conformare il tributo di “fonte statale”, di fare persino politica della spesa e di ritagliare un primo spazio di flessibilità per il fabbisogno finanziario territoriale. Come ho accennato ed ora spiegherò meglio, inoltre, la riforma del ‘97 sembra esprimere, nel riparto della competenza alla disciplina dei tributi, una nuova inerzia; sembra, cioè, presupporre e declinare in concreto l’elasticità propria della riserva di legge in senso sostanziale, compo——————— Editore, 5-6, secondo il quale, in relazione al potere regolamentare attribuito alle Province ed ai Comuni dall’art. 52, D.Lgs. n. 446/1997, “si attribuisce agli enti locali, in sostanza, una potestà così ampia da poter addirittura sovrapporsi (o meglio, più brutalmente, derogare) alla legge, donde il problematico rapporto tra le fonti e l’arduo contemperamento con la riserva di legge ex art. 23 Cost.”. Più compiutamente, dello stesso Autore, Tasse Tributi paracommutativi e prezzi pubblici, Torino, 2000, 254 ss. (25) Cfr., sul punto ed in questo senso, A. FEDELE, Appunti dalle lezioni, cit., 101102. 14 PARTE PRIMA op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A nendo, tra loro, il criterio di riparto gerarchico e per fonti tipiche, con quello della competenza, intesa, tendenzialmente, come “misura della ragionevolezza” (26). È l’idea – come di qui a poco ricorderò più in dettaglio – della identificazione della fonte competente, secondo il criterio della approssimazione alla “dimensione ottimale” dei “valori” ed, in definitiva, della funzione (“attuativa” degli stessi) propria della riserva: il valore “autonomia locale” e della responsabilità democratica, sub specie fiscale, degli organi di governo territoriali; ma anche il “valore tributario”, così come inteso e voluto nella nostra Carta costituzionale, soprattutto nella sua dimensione e qualità “sistematica”. In qualche misura, ferma l’esigenza di una “base legislativa”, quell’intervento del legislatore ordinario e di quello delegato – in chiusura di secondo millennio –, produce ed ha prodotto un reale decentramento della potestà normativa fiscale, nei limiti consentiti dalla riserva di legge, così come attenuata dal valore costituzionale al quale dà attuazione: la riforma esemplifica l’idea di una identificazione della competenza normativa, secondo ragionevole approssimazione alla dimensione ottimale dei valori sostanziali. Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C 3. Prima di esaminare i contenuti più direttamente “tributari” della novella costituzionale dell’autunno 2001, svolgo, rapidamente, alcune considerazioni di insieme sull’impianto complessivo del nuovo Titolo V. Considererei, prima di tutto, il primo alinea dell’art. 114, Cost., secondo il quale, testualmente, la Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato: un disposto che esprime, obiettivamente, l’idea della “equiordinazione” anche per l’ordine di elencazione, da molti inteso come eloquente e fecondo di implicazioni. Merita, quindi, una celere notazione anche l’art. 116, Cost., contenente un meccanismo di riparto “flessibile” ed ulteriore – rispetto a quel——————— (26) Proprio su questo aspetto, del quale esprime consapevolezza, è fortemente critico DEL FEDERICO (Presentazione, cit., 6), il quale, “indipendentemente dall’opzione dogmatica, per la competenza o per la gerarchia”, ribadisce che “certo gli enti locali non possono invadere le aree sottoposte alla riserva di legge”: un giudizio che, a condizione di una più articolata e profonda delimitazione di dette aree di riserva, può essere condiviso in linea di principio ed astrattamente, conservando appieno, però, il criterio della identificazione della fonte “competente” in quella di ragionevole approssimazione ottimale alla misura o qualità dei valori, niente affatto irrilevante o variabile indipendente e, piuttosto, utile a spiegare e cogliere il senso della cd. riforma Visco (forse persino di ciò che l’ha seguita e la seguirà). 15 DOTTRINA Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A li più diffusamente considerati dalla speculazione dogmatica –, del quale occorre tenere conto nella più complessiva ricostruzione del sistema emergente dalla novella (27). Le aree di competenza esclusiva del legislatore statale costituiscono ambiti che ammettono, nel quadro della nuova disciplina, interventi derogatori disposti dal legislatore ordinario: l’art. 116 rimette, infatti, ad una legge statale – da adottare in base ad una speciale procedura di iniziativa regionale (una legge postulante il raggiungimento di un “accordo” tra Stato e Regione) – la eventuale sottrazione al regime della gestione monopolistica statale di certe materie, che pur ricadono tra quelle riservate in via esclusiva allo Stato (art. 117, comma 2). Ciò accade in materia di “disposizioni generali sull’istruzione”, in materia di giurisdizione “di pace” e per quel che concerne l’ecosistema, l’ambiente e i beni culturali. Si può, dunque, pervenire, attraverso un intervento legislativo statale (meglio attraverso “intese” tra Stato e Regione alle quali la legge statale deve dare finale approvazione), ad ulteriori forme di gestione normativa “a due mani”, che imitano la competenza concorrente Stato-Regione prevista in materie definite dalla Costituzione. Va, quindi, considerato il disposto dell’art. 120, Cost., che – per quanto ci occupa più direttamente –, al comma 1, ribadisce vincoli di ordine e formulazione “negativa”, ma di carattere “materiale”, alla potestà normativa regionale di innegabile e diffuso riflesso sulla fiscalità interna (indiretta, prevalentemente (28), e direi, essenzialmente, regionale e locale): obblighi di risultato (“negativo”, appunto), che in definitiva delineano il primato delle libertà economiche e del mercato unico (nazionale e, quindi, europeo), pur senza mai evocare direttamente la matrice comunitaria, né quindi necessariamente delimitare a quella dimensione spaziale e giuridica la portata delle indicazioni costituzionali. Di più ampio respiro e significato, infine, è la prima parte del comma 2 di detto disposto costituzionale, nella quale è previsto un generico “potere sostitu——————— (27) Cfr., sul punto, A. DE ROBERTO, La ripartizione delle funzioni normative, in La Riforma del Titolo V, Parte II, della Costituzione - (settimana culturale di Sperlonga 47 settembre 2002) ed in www.giustizia-amministrativa.it. (28) È un disposto, infatti, estremamente ampio, che dà la misura dei sempre più angusti spazi residui ed utili ad azionare la cd. “leva fiscale”, soprattutto a livello substatale ed in materia di imposizione indiretta, deputato, dichiaratamente, alla fluidità del mercato nazionale ed, inevitabilmente, di quello comunitario; la fiscalità “diretta”, invece – nella dimensione nazionale, almeno – dovrebbe rivelarsi meno sensibile a questo ordine di vincoli negativi, anche se sarebbe, qui, troppo complesso ed arduo sintetizzare le possibili implicazioni ed interrelazioni sul terreno dei cd. aiuti di Stato. 16 PARTE PRIMA Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A tivo” dello Stato (testualmente, del “Governo” – l’esecutivo) rispetto ad “organi” degli enti sub-statali, compresi quelli regionali, essenzialmente (per quanto ci occupa): a) in caso di violazioni comunitarie o internazionali; b) e quando lo richiedano la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica; “prescindendo dai confini territoriali dei governi locali”. La legge (statale) – secondo quanto previsto all’ultimo periodo della disposizione –, definisce procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarietà e di leale collaborazione. Il sistema delineato dal nuovo art. 120 mi pare, dunque, che, per un verso, confermi gli angusti e strettissimi margini di autonomia normativa tributaria ipotizzabile a livello locale e, per altro verso, realizzi l’emersione di una sorta di (o formalizzi il) “primato” dell’unità “giuridica” ed “economica”, quale veicolo o ragione “materiale”, di soggezione della fonte e dell’organo locale a quello centrale (ma, ritengo, “nella veste “repubblicana, comprensiva ed unitaria”). Questo meccanismo, previsto al comma 2, dell’art. 120, potrebbe risolversi, per lo più, nel coordinamento “nazionale” – per quanto ci occupa, nel contesto dell’applicazione del combinato disposto degli artt. 117 e 119, Cost. – mediante opportuni principi fondamentali, ed indurre a concepire, in parte qua (ovvero, al fine di garantire quei predicati di ordine materiale, compresi quelli posti al comma 1 dell’art. 120), come “integrativa” e “attuativa” (29) la disciplina riservata all’opera degli enti sub-statali. Tale enunciato costituzionale, comunque, esprime il forte peso del vincolo sostanziale, nel riparto delle competenze o delle potestà normative, riassunto dai concetti di unità giuridica e unità economica – estremamente ampi e comprensivi –, nonché l’essenziale “dinamismo” di ogni sistemazione ripartita, connaturato ad un ordinamento ed un sistema autenticamente “pluralisti” e fortemente decentrati. Gli artt. 114, 116 e 120, pertanto, rendono – immediata – l’idea della complessità del sistema e dei meccanismi delineati dal legislatore co——————— (29) Comunque, coerente e non derogatoria rispetto alla ratio dei principi fondamentali, sul modello della giurisprudenza costituzionale in materia di diritto civile, privato o comune, che ha saputo aprire ad una limitata autonomia periferica, a quelle delicate ed originali condizioni di risultato, essenzialmente perché sia assicurata su tutto il territorio nazionale una uniformità di disciplina e di trattamento: non sarebbe accettabile, invece, una violazione, ancorché indiretta, dei principi di fondo; né un regime locale che eluda quegli obblighi di risultato “negativo” o sia manifestamente irragionevole, piuttosto che espressione di finalità pubbliche connesse allo svolgimento delle competenze costituzionalmente assegnate (cfr., sul punto, Corte cost., sentenza n. 352/2001). 17 DOTTRINA 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A stituzionale, soprattutto per la compresenza, accanto a disposizioni di riparto “materiale” della potestà normativa, di significativi contrappesi e criteri di tipo flessibile: una sorta di dualismo – a mio modo di vedere, apparente – tra assetto strutturale ripartito e assetto strutturale condiviso o collaborativo – proprio in ordine alla potestà normativa –, riassunto, in breve, dalla relazione di complementarità intercorrente tra disposizioni del primo e del secondo tipo (tra l’art. 117 e l’art. 120, comma 2 (30), Cost., per tutti (31)). Nel giudizio di costituzionalità (32) dell’art. 8, commi 1-4, della legge (cd. La Loggia, 5 giugno 2003, n. 131) “di adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3”, proprio nella parte concernente il “potere sostitutivo” (33) di cui al novellato art. 120, comma 2 (34), Cost., la Corte è stata inequivocabile e lapidaria, su questo punto, (cfr. 4.1, in diritto), premettendo, al ragionamento di dettaglio, che “la previsione del potere sostitutivo “fa sistema” con le norme costituzionali di allocazione delle competenze, assicurando comunque, nelle ipotesi patologiche, un intervento di organi centrali a tutela di “interessi unitari””. Assai significativo ed eloquente, rispetto al pensiero del Giudice delle leggi, è soprattutto l’aver escluso nettamente (anche se in forma non del tutto esplicita e diretta) ogni possibilità di configurare l’interesse sotteso ad una materia attribuita alle Regioni (ed il concetto di attribuzione stessa conserva indubbio significato costitu- Fa sc ic o lo sa gg io ——————— (30) Cfr., sul punto, E. GIANFRANCESCO, Il potere sostitutivo, in Regioni ed enti locali nel nuovo titolo V (La Repubblica delle autonomie), a cura di T. Groppi e M. Olivetti, Torino, 2003, 184-185, il quale ipotizza che si tratti di un sostanziale, ancorché non esplicito, superamento della rigidità del riparto per materie, difficilmente suscettibile di sindacato di costituzionalità. (31) È utile menzionare, peraltro, anche il disposto dell’art. 118, Cost., concernente il riparto delle funzioni amministrative e non privo di rilevanti implicazioni in materia tributaria, dal quale emerge un disegno senza soluzione di continuità, rispetto a quanto, più in generale, ha inteso esprimere – a mio modo di vedere – il successivo art. 120, comma 2, Cost. Sul principio di “sussidiarietà orizzontale”, in relazione specifica all’art. 118, Cost., si veda, L. ANTONINI, Sussidiarietà, libertà e democrazia, in I percorsi del federalismo a cura di B. Caravita di Toritto, Milano, 2004, 51-58. (32) Cfr., Corte cost., sent. 19 luglio 2004, n. 236. (33) Sul tema del potere sostitutivo, anche per la completezza dei riferimenti, si veda R. BIN, Legge regionale, in Dig. disc. pubb., IX, Torino, 1994, e, quindi, in Saggi e materiali di diritto regionale, a cura di A. Barbera e L. Califano, Rimini, 1997, 106 ss.; cfr., altresì, M. CAMMELLI, Poteri sostitutivi, in Le Regioni, 1998, 492 ss. (34) Sul novellato comma 2 dell’art. 120, Cost. ed in genere la sostituzione normativa, la sostituzione amministrativa ed i rapporti di entrambe con il principio di sussidiarietà, si veda, recentemente, E. GIANFRANCESCO, Il potere sostitutivo, cit., 183 ss. 18 PARTE PRIMA op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A zionale) come autonomo o proprio, nel senso di separato o conflittuale, in relazione all’interesse nazionale: testualmente, vi è “un “legame indissolubile” fra il conferimento di una attribuzione (in quel caso, ex lett. m) dell’art. 117, comma 2, Cost. (35)) e la previsione di un intervento sostitutivo diretto a garantire che la finalità cui è preordinato il primo (quel conferimento) non sacrifichi l’unità e la coerenza dell’ordinamento”. Del resto già prima della novella, la dottrina pubblicistica (36), con il conforto di alcuna giurisprudenza della Consulta, aveva prefigurato il superamento della logica dei riparti meccanici e rigorosi di materie e competenze – ossia del riparto secco (37), esclusivamente formale e statico – identificando i profili sintomatici di un processo in fieri: orientandosi, in altri termini, a ragionare in termini di integrazione delle fonti, secondo un modello ricostruttivo “dinamico” e “materiale”, che la giurisprudenza costituzionale parrebbe confortare (38). Un processo di lunga gestazione, ed un percorso che, semplificando estremamente, ha preso avvio dall’ordinamento gerarchico delle fonti-atto, è passato, più o meno rapidamente, al sistema del doppio criterio “di gerarchia e competenza” (39), con la costante della “tipicità” e del cd. numerus clausus (40), e di Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C ——————— (35) Che già A. RUGGERI, Fonti, norme, criteri ordinatori. Lezioni, Torino, 2001, 93, indica, nel quadro del Titolo novellato, come esemplare della “razionalizzazione” dello spostamento del piano di rilevanza del limite statale, dalla struttura, alla funzione degli atti statali incidenti sulle materie di competenza regionale; sì che sono state considerate idonee a vincolare la produzione normativa regionale, non solo le disposizioni dotate di una struttura nomologica di principio, bensì ogni disposizione servente il bene dell’unità-indivisibilità dell’ordinamento, ossia idonea a farsi cura di interessi nazionali (o sopranazionali) indisponibili. L’art. 117, comma 2, lett. m), secondo l’Autore, quindi, dà modo alla legge statale di immettersi nei “campi regionali in genere” (dunque, sia con riguardo alle materie di potestà ripartita che per quelle di potestà piena). (36) Cfr., per tutti, A. SPADARO, Sui principi di continuità dell’ordinamento, di sussidiarietà e di cooperazione fra Comunità/Unione Europea, Stato e Regioni, in Riv. trim. dir. pubbl., 1994, 1041 ss. (37) Secondo quanto osserva e ci ricorda, più recentemente, A. RUGGERI, Fonti, norme, cit., 84. (38) In termini, ancora, A. RUGGERI, Fonti, norme, cit., 84. (39) Con specifico riguardo ai criteri ordinatori e segnatamente al criterio di competenza, si veda il noto saggio di V. CRISAFULLI, Gerarchia e competenza nel sistema costituzionale delle fonti, in Riv. trim. dir. pubbl., 1960, 775 ss. (40) Si tratta di una nota “obiezione” di CRISAFULLI (Lezioni di diritto costituzionale. L’ordinamento costituzionale italiano, Milano, 1976, II, 171 ss.), concernente il cd. numerus clausus delle fonti preventivate e regolate nella Carta costituzionale: il principio della inderogabile ascrizione alla Costituzione formale della funzione di ripartire le competenze normative, anche verticalmente, che deve portare a rifiutare ogni rapporto di 19 DOTTRINA qui, ancora – dopo il tentativo di Modugno (41) di superare il numero chiuso o il principio di tassatività o tipicità – all’approdo, più recente ed aderente alla lettura della giurisprudenza costituzionale, indicato da Ruggeri (tra gli altri): quello della “gerarchia delle norme”, di un sistema delle fonti, cioè, ordinato secondo criterio di ragionevolezza (42), mediante norme costituzionali sulla normazione essenzialmente “aperte”, simultaneamente, “verso l’alto” – dai e sui “valori” (43) – e “verso il basso” (va- Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A ——————— esclusione o subordinazione nella competenza normativa, che non trovi esplicito fondamento nella Carta Costituzionale stessa, la Lex legum per eccellenza. (41) Muovendo dalla crisi della legge formale, che ha avuto l’acme nel passaggio ad un sistema a costituzione rigida ed ha visto ampliare i livelli gerarchici di normazione – come pure affiancare al criterio della forma quello della competenza – questa dottrina (cfr., F. MODUGNO, voce Fonti del diritto (gerarchia delle), in Enc. dir., Milano, 1997, Agg. I, 567 ss.) ha evidenziato, nella stessa disciplina costituzionale delle fonti e della normazione, i germi di una diversa regolazione del concorso tra fonti e tra atti normativi, nonché della de-tipizzazione di questi ultimi: “nuovi atti normativi vengono emergendo accanto a quelli già conosciuti e considerati non solo dall’ordinamento nella sua continuità storica, ma perfino dalla Costituente: essi si affermano nella realtà dell’ordinamento con efficacia, pur, volta per volta, differenziata, ma sempre in definitiva, commisurata allo scopo che si prefiggono le forze che vi hanno dato origine” (cfr., op. loc. cit., 586). (42) “La competenza, così si fa, naturalmente, ragionevolezza, nella sua forma delle congruità delle norme ai “fatti” (o agli interessi), alla luce dei valori” (così, A. RUGGERI, Fonti, norme, criteri ordinatori. Lezioni, Torino, 2001, 231): e segnatamente del “bilanciato” rapporto tra unità-indivisibilità ed autonomia, imposto dall’art. 5 Cost. (così, op. loc. cit., 95). Si tratta della nota impostazione che conduce l’Autore al superamento della “gerarchia degli atti” ed all’affermazione di una “gerarchia delle norme”, le quali, quindi, essenzialmente, sarebbero assiologicamente orientate (cfr., in argomento, A. RUGGERI, “Itinerari” di una ricerca, cit., IV, 83 ss. e, soprattutto, specie per quanto ci occupa, il Suo, Gerarchia, competenza e qualità nel sistema costituzionale delle fonti normative, Milano, 1977, 240 ss.; cfr., altresì, L. PALADIN, Le fonti del diritto italiano, Bologna, 1996, 91). (43) Recentemente ha ribadito il proprio pensiero e questa impostazione di fondo, A. RUGGERI, Potestà legislativa primaria e potestà “residuale” a confronto (nota minima a Corte cost. n. 48/2003), in Consulta online – Rivista giuridica telematica – www.giurcost.org/studi, osservando che: “Uno stesso limite, come si sa, non rimane sempre identico a sé, suscettibile di meccaniche ed uniformi applicazioni, quasi fosse una sorta di aggeggio a scatto automatico, manovrabile ad occhi chiusi anche da parte di operatori sprovveduti. La capacità di vincolo per l’autonomia delle “norme fondamentali delle riforme” o di altri limiti ancora (quanto alla potestà piena) o dei “princìpi fondamentali” (per la potestà ripartita) va posta in rapporto (ed in un rapporto in ultima istanza qualificabile unicamente secondo ragionevolezza) con la qualità e natura degli interessi da soddisfare, la loro mobile combinazione pur nella costante tensione verso un equilibrato appagamento sia delle istanze di unità che delle istanze di autonomia. E lo stesso, com’è chiaro, vale anche per i nuovi limiti, ancorché innaturalmente mascherati e fatti 20 PARTE PRIMA le a dire verso l’esperienza), dai e sugli “interessi” (44). La giurisprudenza costituzionale (45), alle soglie del Titolo V e al suo esordio è sembrata particolarmente sensibile a quell’ordine di idee, e, quindi, a una costruzione moderna, flessibile ed integrata dell’ordinamento delle fonti, ancorato al poco palpabile e molto casistico criterio degli “interessi coinvolti” o delle “materie trasversali” (specie quando di legislazione cd. concorrente, nella particolare struttura sbilanciata “verso il basso” dell'art. 117, comma 3, Cost. novellato (46)): un criterio, o un modello ri- Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A ——————— passare per “materie”, quali quelli espressi dalle norme “trasversali” suddette: i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti non possono che disporsi a diverse “altezze”, tanto nel passaggio da un campo materiale all’altro, quanto per uno stesso campo nel tempo”. (44) Cfr., in termini, ancora A. RUGGERI, Fonti, norme, cit., 228-229. (45) Cfr., in particolare, Corte cost., sentenza 26 luglio 2002, n. 407, in Giur. cost., 2002, 2946 ss. - p.to 3.2., in diritto: secondo la quale, “non tutti gli ambiti materiali specificati nel comma 2 dell’art. 117 possono, in quanto tali, configurarsi come “materie” in senso stretto, poiché, in alcuni casi, si tratta più esattamente di competenze del legislatore statale idonee ad investire una pluralità di materie (cfr. sentenza n. 282/2002). In questo senso l’evoluzione legislativa e la giurisprudenza costituzionale portano ad escludere che possa identificarsi una “materia” in senso tecnico, qualificabile come “tutela dell’ambiente”, dal momento che non sembra configurabile come sfera di competenza statale rigorosamente circoscritta e delimitata, giacché, al contrario, essa investe e si intreccia inestricabilmente con altri interessi e competenze. In particolare, dalla giurisprudenza della Corte antecedente alla nuova formulazione del Titolo V della Costituzione è agevole ricavare una configurazione dell’ambiente come “valore” costituzionalmente protetto, che, in quanto tale, delinea una sorta di materia “trasversale”, in ordine alla quale si manifestano competenze diverse, che ben possono essere regionali, spettando allo Stato le determinazioni che rispondono ad esigenze meritevoli di disciplina uniforme sull’intero territorio nazionale (cfr., da ultimo, sentenze n. 507 e n. 54/2000, n. 382/1999, n. 273/1998); cfr., altresì, Corte cost., sentenza 26 giugno 2002, n. 282 (in relazione ad una “materia”, quella della tutela della salute, per la quale la novella costituzionale ha previsto un riparto della potestà normativa concorrente, analogo a quello in materia di sistema e coordinamento del sistema fiscale (art. 117, comma 3, Cost.); cfr., infine, in materia “venatoria” e “redivivo” “interesse nazionale”, la sentenza Corte cost., 20 dicembre 2002, n. 536 (in particolare, p.to 5 in diritto), che chiude, simbolicamente, quell’anno giudiziario costituzionale. (46) È il concetto di “valore e materia trasversale”, elaborato dalla Consulta ed oggetto di ampio approfondimento nella speculazione dogmatica (cfr., P. BILANCIA, Il paradigma della legge statale, cit., 3-4 ed nt. 7; cfr., altresì, già, F.S. MARINI, La Corte costituzionale nel labirinto delle “materie trasversali”: dalla sent. n. 282 alla n. 407/2002, in Giur. cost., 2002, 2951 ss.; G. FALCON, Modello e transizione nel nuovo Titolo V della Parte II della Costituzione, in Le Regioni, 2001, segnatamente, 1249), che induce ad una più cauta analisi del tema del riparto della potestà normativa, a maggior ragione in un ordinamento che si profila e prefigura (costituzionalmente) come “plurilivello”: è anche la teorica, munita di buon fondamento in quella giurisprudenza costituzionale, del 21 DOTTRINA lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A costruttivo e operativo che ha indotto la Consulta a stemperare l’elencazione (di materie, appunto) già contenuta nel vecchio art. 117 Cost. e, di qui, ad ammettere il superamento o la relatività delle indicazioni sul riparto di competenze tra Stato e Regioni, soprattutto, di quelle contenute in quel disposto costituzionale. È a questo punto, sostanzialmente, che sopraggiunge la riforma del Titolo V, affidata ad un simbolico rovesciamento dei criteri di riparto, con slittamento significativo di alcune materie già dello Stato, verso le Regioni (nuovo art. 117, Cost.). Così, sostanzialmente, riassumerei la lunga vigilia, che ha preceduto l’accelerazione, su questo terreno, impressa dalla novella costituzionale, con l’equiordinazione dei soggetti (art. 114, Cost.), il pluralismo ordinamentale, la concertazione e collaborazione normativa a più livelli infra-nazionali e non solo (livello comunitario): sintetizzando, sembra fare la sua emersione costituzionale il criterio della approssimazione della fonte al livello e ambito ottimale di regolazione (materiale), ma anche il criterio della complementarità dei più livelli, persino in una stessa materia. “Equiordinazione” – abbiamo detto – che tuttavia – anche secondo l’attuale pensiero della Consulta (47) – non è da intendere piena, o tale in senso statico, quanto semmai dinamico: non è “equiparazione”, in altri termini, quanto espressione del conseguimento di giustificazione sovrana, per attribuzione o conferimento di poteri e prerogative obiettivi. Lo stesso art. 114 Cost. – frequentemente inteso e sentito come simbolico di una effettiva “emancipazione ontologica” degli “enti sub-statali” (48) – “non comporta affatto una totale equiparazione fra gli enti in es- Fa sc ic o ——————— contemperamento tra criterio di riparto “formale” – che pure per i tributi non è così chiaro ed univoco – e verifica delle ragioni sostanziali, di volta in volta pretensive e compresenti, prima fra tutte – per quanto ci occupa – quella di unità, ma non di uniformità, del sistema fiscale. (47) Cfr., in termini, Corte cost., sentenza 24 luglio 2003, n. 274. (48) Che pure emerge nel suo significato più autentico e condivisibile nella sentenza 12 aprile 2002, n. 106, allorché la Consulta ha espresso concetti inequivocabili sul punto, nel ragionare della possibilità di impiego della denominazione “Parlamento”: il nuovo Titolo V – con l’attribuzione alle Regioni della potestà di determinare la propria forma di governo, l’elevazione al rango costituzionale del diritto degli enti territoriali minori di darsi un proprio statuto, la clausola di residualità a favore delle Regioni, che ne ha potenziato la funzione di produzione legislativa, il rafforzamento della autonomia finanziaria regionale, l’abolizione dei controlli statali – ha disegnato di certo un “nuovo modo d’essere” del “sistema delle autonomie”. Tuttavia i significativi elementi di discontinuità nelle relazioni tra Stato e Regioni, che sono stati in tal modo introdotti, non hanno intaccato le idee sulla democrazia, sulla sovranità popolare e sul principio auto- 22 PARTE PRIMA iu f fre 'E di to re Sp A so indicati, che dispongono di poteri profondamente diversi tra loro: basti considerare che solo allo Stato spetta il potere di revisione costituzionale e che i Comuni, le Città metropolitane e le Province (diverse da quelle autonome) non hanno potestà legislativa” (49). Del resto – sempre a dire del Giudice delle leggi – “pur dopo la riforma, lo Stato può impugnare in via principale una legge regionale deducendo la violazione di qualsiasi parametro costituzionale”. Dunque, anche nel nuovo assetto costituzionale scaturito dalla riforma, allo Stato è pur sempre riservata, nell’ordinamento generale della Repubblica, una posizione peculiare (50), desumibile non solo dalla proclamazione di principio di cui all’art. 5 Cost., ma anche dalla ripetuta evocazione di un’istanza unitaria, manifestata dal richiamo al rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario (51) e dagli obblighi internazionali (52), come limiti di tutte le potestà legislative (art. 117, comma 1), e dal Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G ——————— nomistico che erano presenti e attive sin dall’inizio dell’esperienza repubblicana. Semmai potrebbe dirsi che “il nucleo centrale” attorno al quale esse ruotavano abbia trovato oggi una “positiva eco” “nella formulazione del nuovo art. 114” Cost., nel quale gli enti territoriali autonomi sono collocati al fianco dello Stato, come elementi costitutivi della Repubblica, quasi a svelarne, in una formulazione sintetica, la “comune derivazione” dal principio democratico e dalla sovranità popolare. (49) Cfr., ancora ed in termini, Corte cost., sentenza 24 luglio 2003, n. 274. (50) Cfr. Corte cost., sentenza 24 luglio 2003, n. 274. (51) Pur essendo prevista (art. 117, comma V, Cost.) la loro partecipazione alla fase cd. ascendente del diritto comunitario, anche per le Regioni speciali e le Province autonome la Costituzione non ha previsto una competenza concorrente, bensì ha affidato alla legge statale il compito di stabilire la disciplina delle modalità procedurali di tale partecipazione e previsto una perdurante competenza statale in tema di relazioni con l’Unione Europea, “a prescindere dai settori materiali coinvolti” (così, Corte cost., sentenza 19 luglio 2004, n. 239): la rappresentanza italiana in quella sede deve necessariamente essere caratterizzata da una posizione unitaria (Corte cost., sentenze nn. 317/2001 e 425/1999), né esiste alcuna prerogativa costituzionale di detti Enti sub-statali “speciali” a far valere eventuali illegittimità degli atti normativi comunitari davanti agli organi competenti, sì che anche l’obbligo – per il Governo e previsto all’art. 5, comma 2, legge cd. La Loggia n. 131/2003 – di proporre ricorso dinanzi alla Corte di Giustizia Ce avverso atti comunitari, “qualora esso sia richiesto dalla Conferenza Stato-Regioni a maggioranza assoluta delle Regioni e delle Province autonome” è “riferibile alla discrezionalità del legislatore statale; si tratta di una “scelta (statale) di prevedere quell’obbligo” (così, in termini, Corte cost., sent. 19 luglio 2004, n. 239). (52) Cfr., Corte cost., sentenza 19 luglio 2004, n. 238, secondo la quale, tuttavia – e va qui sottolineato – la novità che discende dal mutato quadro normativo è il riconoscimento a livello costituzionale di un “potere estero” delle Regioni (un “potere proprio”, dice la Consulta al p.to 9, in diritto), cioè della potestà di stipulare, nell’ambito delle proprie competenze, anche veri e propri accordi con altri Stati, sia pure nei casi e con le for- 23 DOTTRINA 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A riconoscimento, infine, dell’esigenza di tutelare “l’unità giuridica ed economica” (53) dell’ordinamento stesso (art. 120, comma 2): una istanza, quest’ultima, che “postula, necessariamente, che nel sistema esista un soggetto – lo Stato, appunto – avente il compito di assicurarne il pieno soddisfacimento” (54). A poco più di un anno di distanza (55), la Consulta ha soggiunto che quest’ultima “disposizione è posta a presidio di fondamentali esigenze di eguaglianza, sicurezza, legalità”, le quali potrebbero restare insoddisfatte o venir pregiudicate dall’operare degli enti sub-statali”: di qui, emerge la stessa ragion d’essere, sostanziale, del potere sostitutivo “governativo”, “diretto a garantire l’unità e la coerenza dell’ordinamento” (56). Ciò detto, non credo, in definitiva, che la sfida del nuovo Titolo V, per noi tutti feconda di incognite, ma anche di opportunità, possa essere affrontata ponendosi in un’ottica superata da tempo, nella giurisprudenza costituzionale e nella dogmatica più o meno unanimi. L’approccio della dogmatica tributaria deve essere, in questo senso, consapevole e contestualizzato nel quadro dei principi e delle metodiche interpretative, o ricostruttive, che hanno fatto breccia anche nella giurisprudenza costituzionale, salvo verificare la specificità della materia tributaria in senso stretto e, quindi, i suoi riflessi sul riparto della potestà normativa, quando abbia tali peculiari oggetto, fine e giustificazione. Fa sc ic o lo sa gg io ——————— me determinati da leggi statali (art. 117, comma 9, Cost.); anche tale “potere estero” deve peraltro essere coordinato con l’esclusiva competenza statale in tema di politica estera “nazionale”, così da salvaguardare gli interessi unitari. Un limite significativo ed esemplificativo della reductio ad unitatem dello Stato e delle Regioni, le quali, però, non operano più come “delegate” del primo, bensì come “soggetti autonomi” e pur sempre nel quadro di garanzia e di coordinamento apprestato dai poteri dello Stato (cfr., in termini, p.to 6, in diritto). (53) Obiettivi strutturalmente elastici e flessibili “tendenzialmente restii ad essere verificati dall’esterno, in specie dal giudice costituzionale, e non raggiungibili soltanto attraverso misure di tipo amministrativo, potendo e dovendo implicare, invece, l’adozione di misure normative: si tratterebbe di un elemento di flessibilità e di istituzionale assenza di predeterminazione costituzionale del limite di intervento del legislatore centrale, “caratteristico del tipo di potestà legislativa presente nei modelli federali mitteleuropei” (così, E. GIANFRANCESCO, Il potere sostitutivo, cit., 185). (54) In termini, ancora, Corte cost., sentenza 24 luglio 2003, n. 274. (55) Così e di seguito, Corte cost., sentenza 19 luglio 2004, n. 236. (56) Si veda, in argomento, l’interessante e puntuale lavoro di R. DICKMANN, Spetta allo Stato la responsabilità di garantire il pieno soddisfacimento delle “istanze unitarie” previste dalla Costituzione, in I percorsi del federalismo, a cura di B. Caravita di Toritto, Milano, 2004, 71-84. 24 PARTE PRIMA Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A 4. È giunto, quindi, il momento di esaminare i contenuti della novella costituzionale, più direttamente rilevanti nel tema che ci occupa, per saggiare quale possa essere l’attuale o futuro riparto della potestà normativa tributaria: mi riferisco, ovviamente, agli artt. 117 e 119, nella nuova formulazione. La prima disposizione si apre (comma 1) con una ulteriore (rispetto a quelle già esaminate fino ad ora) affermazione di principio e respiro generale, sul rapporto tra potestà normativa statale e regionale, da una parte, e Costituzione, vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario ed obblighi internazionali, dall’altra. Si tratta di un enunciato costituzionale da subito accolto come il primo luogo di codificazione stabile, compiuta e diretta della subordinazione delle fonti legislative interne a quelle di matrice comunitaria: affermazione che, se appare valida in linea astratta e generale, va certamente meditata in concreto ed in relazione specifica al rapporto intercorrente tra principi costituzionali “supremi” e fonti, norme e principi comunitari. In particolare in materia tributaria, con una grossolana semplificazione, mi pare dubitabile che vi possa essere equiordinazione tra fondamento o statuto costituzionale del tributo e del sistema tributario, da una parte, e principi e norme comunitarie tributarie, dall’altra. Almeno l’area della fiscalità diretta, rimasta il vero nucleo forte degli ordinamenti sovrani nazionali, mi pare che non possa essere erosa da un processo di silente armonizzazione “eurocentrica”, magari realizzato o sospinto dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia: occorreva, piuttosto, profittare responsabilmente dell’occasione – storica e per ora sfumata – di elaborare principi costituzionali comuni, anche in questa delicatissima e strategica materia. Ciò detto, mi pare meriti una sottolineatura la sensibilità dell’estensore dell’enunciato costituzionale in esame, poiché ha saputo distinguere tra vincoli derivanti dall’“ordinamento” comunitario ed “obblighi” internazionali. Veniamo, dunque, al comma 2 dell’art. 117, Cost., ed, in particolare, alla sua lett. e), laddove il legislatore costituzionale colloca, tra le “materie” nelle quali lo Stato ha “esclusiva” legislazione, il “sistema tributario e contabile dello Stato”: con un significativo accostamento alla “moneta, alla tutela del risparmio e ai mercati finanziari; alla tutela della concorrenza, al sistema valutario, alla perequazione delle risorse finanziarie”. Dopo quanto enunciato dall’immutato disposto dell’art. 53, comma 2, Cost., circa il suo essere “informato a criteri di progressività”, il legislatore della novella costituzionale conferisce nuova rilevanza alla locuzione “sistema tributario”, al quale non accosta testualmente la specificazione “dello Stato”. E, quindi, al successivo comma 3 dell’art. 117 – nelle materie di le- 25 DOTTRINA Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A gislazione cd. concorrente, in cui “spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato (cfr., ultimo periodo) – il legislatore costituzionale, senza soluzione di continuità “sintattica”, ha collocato l’“armonizzazione dei bilanci pubblici ed (il) coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario”. Il nuovo art. 117, Cost., in relazione alla “riserva di legge” in senso formale, fa registrare un dato di obiettiva continuità con la precedente formulazione costituzionale, in quanto la “legge” resta forma tipica di potestà normativa dello Stato e delle Regioni: una prerogativa di entrambi che è tale obiettivamente anche nel testo costituzionale novellato, ma che, tenuto conto della maturazione democratica degli enti sub-statali in genere, della tendenziale inerzia verso una gerarchia delle fonti secondo criterio sostanziale e materiale, oltre che della prospettiva della equiordinazione “di massima” tra quegli enti e lo Stato-soggetto, in chiave democratica, non escludo possa avere natura di scelta “costituzionalmente, contingente”. Potrebbe, così, trattarsi di una soluzione e giustapposizione, rispetto alla potestà regolamentare “materialmente legislativa”, non insuperabile in avvenire. Il disposto costituzionale novellato, comunque, nel suo tenore testuale, attribuisce il “sistema tributario”, a seconda che sia dello Stato o il più complessivo, rispettivamente, alla potestà legislativa esclusiva del primo, ovvero, a quella delle Regioni, concorrente in quanto è lo Stato a doverne delineare principi e tratti fondamentali. Gli enti-sub-regionali o locali in senso stretto, invece, hanno una potestà normativa, formalmente, regolamentare, individuata “materialmente” – per quanto ci occupa – dalla possibilità di stabilire ed istituire non meglio precisati “tributi propri”, nei limiti della conformità alla Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema. Un distinguo, che mi pare fecondo, in quanto nella Costituzione, più direttamente, dovrà essere rinvenuto l’aspetto o limite “negativo” sia per quanto attiene al profilo formale, sia per quanto attiene all’oggetto materiale di esercizio della potestà normativa tributaria locale; mentre i principi fondamentali di coordinamento, dovrebbero assolvere alla funzione positiva di specificare, qualificare e concretizzare quell’ambito materiale di potestà tributaria riservata agli enti sub-regionali dalla stessa Costituzione. Non ritengo proficuo esprimere già qui considerazioni ulteriori sulla portata ed il senso possibili di tali enunciati costituzionali, poiché appare più prudente e produttivo ragionare nel complesso del quadro tracciato dai novellati artt. 117 e 119 Cost. Quest’ultimo, in particolare, è ap- 26 PARTE PRIMA Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A parso da subito “orbitare” intorno ad un centro simbolico e di indubbia presa psicologica, prima ancora che di obiettivo e preciso valore giuridico: quello di “tributi propri”, menzionati, dal legislatore costituzionale, per identificare entrate tributarie locali, diverse da quelle consistenti in “compartecipazioni al gettito di tributi erariali”, considerate (queste) tra le risorse previste, limitatamente al “gettito riferibile al territorio” dell’ente sub-statale. Comuni, Città metropolitane, Province e Regioni hanno “risorse autonome”; “stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri”, appunto: “in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario (nuovamente menzionati i secondi, e posti in relazione con la fiscalità locale “autonoma”) (art. 119, comma 2, Cost.). Dicevo che questo enunciato e, soprattutto la locuzione “tributi propri”, ha assunto nel dibattito dottrinale e, persino, nella giurisprudenza una immediata centralità: financo eccessiva per le estreme conseguenze che se ne sono volute trarre. Appare, infatti, fuorviante l’idea che l’attributo “proprio” o il termine “istituiti” possano spiegare, giustificare o imporre una determinata lettura di un sistema così complesso, articolato e molto condizionato dal dato politico. Tributi “propri” certo non possono essere intesi quelli a compartecipazione di gettito, ma non necessariamente dovrebbero essere tributi “ideati” ed “istituiti” dall’Ente sub-statale. “Stabilire” di imporre (“tributi ed entrate propri”), può esprimere altro dall’applicare tributi etero-disciplinati, ma non necessariamente significa anche o sempre “creare” o “ideare” taluni tributi, più o meno “in proprio”, unilateralmente e dalle fondamenta. L’autonomia tributaria non dovrebbe necessariamente esigere questa ulteriore potestà; e, del resto, è opinabile la stessa possibilità concreta di un coordinamento a sistema ed ex ante dei più legislatori regionali, quando muniti di un generale potere di ideare e scegliere, del tutto autonomamente, qualità e struttura del tributo “proprio” (57). ——————— (57) Mi riferisco, nuovamente, all’art. 117 Cost., ma anche all’art. 119, Cost. laddove individua, senza precisarlo, un ambito di materiale competenza tributaria devoluto alla potestà normativa sub-statale. Si tratta, in entrambi i casi, di “indicazioni di tendenza”: le leggi statali sono chiamate a porre principi e norme fondamentali, in quanto ad esse sono dati in cura, per ciascuna materia, gli interessi nazionali (e sopranazionali); mentre è tipico delle regole regionali (e sub-statali, in genere) la soddisfazione degli interessi locali. Le prime costituiscono (e dovrebbero costituire), cioè, solo un inizio di sistemazione, uno “scheletro” di una complessiva struttura che solo la pratica giuridica può riempire di contenuti (cfr., in questo senso ed in termini più generali, A. RUGGERI, Fonti, norme, cit., 95-96). 27 DOTTRINA sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A Ragionare per i tributi come se si potesse ordinare e imporre liberamente (“finanza locale creativa”, per impiegare una formula in voga) e poi, in un secondo momento coordinare, non si sa bene come, né perché, solo in quanto una norma parla di “tributi propri” ed un’altra parla di coordinamento concorrente, significherebbe fare una operazione superficiale e lontana da ogni ragionevole aspirazione federalista o regionalista. Accostarsi alla costruzione costituzionale come se si trattasse di un qualunque provvedimento normativo e senza la necessaria consapevolezza del dinamismo suo proprio, affidato, in genere, a poco definiti meccanismi di pesi e contrappesi, mi pare che sia operazione poco proficua e destinata a perdere di presa nella realtà. Torniamo, piuttosto, allo Statuto costituzionale del tributo e al “sistema tributario”, capaci entrambi di dare contenuto vero e determinante anche agli enunciati novellati nella parte II della Carta fondamentale (58); e, soprattutto, espressioni, ambedue, del “valore” del tributo e del riparto delle pubbliche spese, nella nostra architettura costituzionale, rimasta immutata dall’origine e, semmai, rivitalizzata – non so dire quanto intenzionalmente – dalla novella del Titolo V, prodiga di richiami e rinvii a questi concetti generali e fondativi. Riassumerò, successivamente, i punti di contatto e coerenza, con questa costruzione, degli scenari prefigurati dalla giurisprudenza costituzionale del 2003 (59) e 2004 (60), esemplificando, per quanto possibile, le implicazioni che intravedo sul riparto della potestà normativa tributaria, alla luce del concetto sostanziale di riserva di legge, e della sua interazione – nella prospettiva del contemperamento tra loro – con i valori costituzionali dell’autonomia e del sistema “preferito” di riparto delle pubbliche spese. Fa 5. Il “sistema tributario” è “uno” e “unitario”, non territoriale, né espresso e qualificato da collettività territoriali (comunità locali o regionali), orientato – “per scelta costituente” – ad assolvere ad una “funzione solidaristica e di redistribuzione della ricchezza”, “su base individuale”: questo è quanto, in sintesi, si potrebbe desumere immediatamente dai due alinea dell’art. 53, Cost. ——————— (58) Una prospettiva di indagine, recentemente, intravista e valorizzata dalla migliore dottrina: cfr., A. FEDELE, Appunti dalle lezioni, cit., 37 e 140. (59) Si vedano, in particolare, Corte cost., sentenze 26 settembre 2003, nn. 296 e 297, e 15 ottobre 2003, n. 311, specie, o essenzialmente, per il concetto di “tributo proprio” (per la Regione, in quel caso). (60) Cfr., Corte cost., sentenze 26 gennaio 2004, n. 37 e 19 luglio 2004, n. 241. 28 PARTE PRIMA sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A Mi spiego meglio. Il nuovo titolo V ed il riparto della potestà normativa tributaria in senso orizzontale, non possono essere decifrati, se non guardando allo “statuto costituzionale” del tributo e del sistema tributario, in quanto quello contenuto nella nostra Carta fondamentale non è un “sistema di riparto” delle pubbliche spese “neutrale” e, soprattutto, non è pensato – né pensabile, direi – per operare “su base territoriale infra-nazionale”. Ho già più volte accennato, nel corso di questa trattazione, alle ragioni molteplici che inducono a porre il sistema tributario al centro della questione sintetizzata dal titolo di questa mia relazione: è giunto il momento di precisare, meglio e ulteriormente, quell’assunto e di dimostrarne il valore giuridico. Nella dogmatica, tradizionalmente e con rare eccezioni, il concetto di “sistema tributario” è stato collocato in secondo piano (61), in quanto ragione essenziale di sua rilevanza costituzionale e normativa era (ed è, comunque) l’ispirazione a criteri di progressività, vaga nella realtà delle cose, ma pur sempre “voluta” o “prefigurata” dalla Costituente, per i tributi e la fiscalità nel loro complesso, indipendentemente dalla loro ripartizione, dislocazione o matrice territoriale infra-nazionale. La progressività dell’imposizione o, più semplicemente, l’attitudine alla redistribuzione della ricchezza su base individuale (e non per aree territoriali), almeno fino all’autunno del 2001, è quindi stata la ragione essenziale, quanto poco considerata, di rilevanza del “sistema tributario” nel suo complesso (62). Si diceva e si dice che, ad “informare” il sistema a criteri di progressività (art. 53, comma 2, Cost.), basterebbe la struttura redistributiva e progressiva del suo tributo principale (63), tale almeno per gettito; ma Fa ——————— (61) Persino nelle collocazioni scientifiche più significative e tematiche: cfr., F. BATISTONI FERRARA, Art. 53, Cost., in Commentario alla Costituzione - Rapporti civili - a cura di G. Branca, Bologna-Roma, 1994, 1-46, e per quanto attiene al secondo alinea del disposto costituzionale, 44. (62) G. FALSITTA, Corso istituzionale di diritto tributario, Padova, 2003, 72, conia una espressione assai eloquente, in questo senso, definendolo “vincolo evanescente”, posto che non concerne singoli tributi ma il sistema tributario nel suo complesso. (63) Del resto, se inteso come crescita dell’aliquota correlata con l’ammontare del reddito, il principio o criterio di progressività non può che aver riguardo al rapporto diretto fra imposizione e reddito personale complessivo del contribuente (così, Corte cost., sentenze n. 159/1985 e n. 263/1994). Cfr., in questo senso, F. TESAURO, Istituzioni di diritto tributario, Torino, 2000, 70, il quale concorda con questa giurisprudenza costituzionale (si tratta della sentenza 20 dicembre 1966, n. 128) e, segnatamente, sul fatto che, “nella varietà e molteplicità di imposte attraverso le quali viene ripartito tra i cittadini il 29 DOTTRINA iu f fre 'E di to re Sp A anche l’imposizione diretta sul reddito delle persone fisiche (alla quale ho qui inteso riferirmi) non mi pare – come da ultimo in questa calda estate politica ho nuovamente denunziato (64) – che assolva a quel fondamentale compito costituzionale, almeno nella sua dimensione “reale”, tanto distante da quella “formale”. Anche sotto tale profilo, quindi, è urgente rimeditare, riaffermare e rendere concreta – con pragmatismo e saggezza – l’essenziale funzione solidaristica e redistributiva del tributo (o del sistema, nel suo complesso): i dati macroeconomici fotografano inesorabilmente uno stato di cose, non tollerabile oltre. Secondo il panorama configurato dalla speculazione dogmatica e dalla giurisprudenza costituzionale, l’art. 53, comma 2, Cost., è un enunciato di dubbia portata precettiva (65), o norma direttiva (o di principio) per il legislatore ordinario (66), che è stato sempre pensato e saggiato al cospetto di un sistema tributario disciplinato, essenzialmente, dalla fonte Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G ——————— carico tributario, non tutti i tributi si prestino, dal punto di vista tecnico, al principio di progressività, che – inteso nel senso dell’aumento d’aliquota col crescere del reddito, presuppone un rapporto diretto tra imposizione reddito individuale di ogni contribuente”. L’Autore sottolinea, inoltre, che il principio di progressività implicherebbe che il sistema tributario, non solo fornisca mezzi finanziari allo Stato, ma assolva anche ad una funzione redistributiva, per il raggiungimento di fini di giustizia sociale fissati dalla Costituzione. (64) Mi riferisco al mio “Meno tasse? Inutile in un’Italia ricca di evasori”, in Il Sole-24-Ore di mercoledì 7 luglio 2004, n. 186, 5, laddove esprimevo un giudizio di sintesi, già in precedenza formulato nel mio “Il diritto tributario”, Torino, 2003, 51: continuo, dunque, a nutrire forti dubbi sulla reale corrispondenza del nostro sistema tributario al disposto dell’art. 53, comma 2, Cost. Sul principio di progressività, si veda, in particolare, FORTE, Il problema della progressività con particolare riguardo al sistema tributario italiano, in Riv. dir. fin., 1952, I, 2304; MANZONI, Il principio della capacità contributiva nell’ordinamento costituzionale italiano, Torino, 1965, 186 ss.; CHIAPPETTI, Efficacia del principio di progressività, in Giur. it., 1967, I, 1, 754. (65) In questo senso, per tutti, G.A. MICHELI, Corso di diritto tributario, Torino, 1989, 94, il quale non riconosceva, all’art. 53, comma 2, valore di norma precettiva, ma di sola direttiva per il legislatore. Nel pensiero di questo illustre Maestro per noi tutti, rispetto all’intero sistema tributario nel suo complesso, il principio della progressività è prefigurato ed inteso come “strumento che deve essere adottato dal legislatore ordinario al fine di attuare l’altro precetto costituzionale dell’eliminazione degli ostacoli economici alla partecipazione di tutti i cittadini alla vita dello Stato”. Si veda, peraltro, MAFFEZZONI, voce Capacità contributiva, in Noviss. dig. it., Appendice, 1022, secondo il quale i due commi dell’art. 53, Cost. sono intimamente collegati e possiedono un pari contenuto immediatamente precettivo: i criteri di progressività costituiscono la totalità delle caratteristiche del sistema, nel pensiero dell’autorevole dottrina. (66) In tal senso, si vedano, Corte cost., sentenze nn. 12/1960; 30/1964; 128/1966; 23/1968; 159/1987; 263/1994. 30 PARTE PRIMA Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A legislativa parlamentare; è, in ogni caso, complemento e specificazione del principio di uguaglianza ed “accentuazione” del principio solidaristico (67), espressivo della “scelta” costituente per la partecipazione ai carichi pubblici, sia pure a livello di sistema e non di singolo tributo, in misura più che proporzionale rispetto alla capacità individuale (68). Non si può dire, però, che la progressività specifichi e qualifichi la nozione di capacità contributiva (ergo, non si può dire che connoti ogni tributo, né che serva a connotare quelli redistributivi, mentre serve a connotare il sistema) – secondo un Illustre Maestro (69) –, ma non si può neppure negare che la progressività dell’imposizione – dovendo essere tenuta presente, tanto dal legislatore, quanto, in genere, dal potere pubblico – valga a dare uno spicco ancora più pronunciato al principio solidaristico enunciato dall’art. 2 Cost. e reso concreto con il comma 1 dell’art. 53. L’art. 53, comma 2, dunque, fin dall’origine della nostra Carta fondamentale, esprimeva il sistema costituzionale di riparto delle pubbliche spese, specificandone il carattere – e la funzione minima – nel concetto di “redistribuzione”, su base individuale, della ricchezza, “affidata” essenzialmente, ma non solo, ai tributi: ovvero, più correttamente, all’epoca, quel disposto costituzionale ne prefigurava uno al quale tendere, che fosse “tributario”, erariale e “progressivamente” qualificato; oggi quel disposto costituzionale, invece, potrebbe esprimere il primato della redistribuzione, su base individuale, per il finanziamento delle pubbliche spese tra i più livelli ordinamentali equiordinati. Ma, andando per ordine, l’art. 53, comma 1, Cost., ci dice, prima di tutto, che la contribuzione alle pubbliche spese avviene su “base economica” “individuale” secondo criterio di razionalità: ed oggi è, diffusamente, inteso nel senso più vago e generico di criterio economico di ra——————— (67) Cfr., per tutti, P. RUSSO, Manuale di diritto tributario, Milano, 1999, 62. (68) Se è vero che il sistema nel suo complesso deve informarsi a criteri di progressività, sembra inevitabile ritenere che ciò imponga al legislatore di istituire con simili caratteristiche uno o più tributi che per la latitudine del presupposto e correlativamente per la rilevanza del gettito, si configurino come principali e caratterizzanti nell’ambito del sistema di cui trattasi; pena, in caso contrario, e conseguentemente, l’incostituzionalità delle norme relative (così, P. RUSSO, Manuale, cit., 62): Autore che riconosce natura precettiva e non meramente programmatica all’art. 53, comma 2, Cost.; al tempo stesso sottolineando le difficoltà di esercizio, sulla base di essa, del controllo di legittimità costituzionale, posto che la disposizione non risulta violata per ciò che vi siano nell’ordinamento positivo vigente tributi applicati con l’aliquota proporzionale. (69) Così, G.A. MICHELI, op. ult. cit., 94. 31 DOTTRINA Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A zionalità, capace di dare copertura superiore anche ad indici normativi di riparto, sostanzialmente, “impersonali” (realità della capacità contributiva - Irap). Si tratta del luogo costituzionale di emersione e disciplina della contribuzione alle pubbliche spese, nella forma tributaria. Il comma 2 dell’art. 53, non esprime un contenuto riferibile al singolo tributo, ovvero, ad ogni mezzo di riparto delle pubbliche spese, ma al sistema complessivo dei tributi, deputato ad assolvere ad una funzione di redistribuzione più che proporzionale rispetto alla “capacità individuale”, ovvero ancora ed in un solo termine, “progressiva”. Il tributo può, dunque, essere inteso come “riparto delle spese pubbliche”, in parte (art. 53, comma 1) basato sulla individualità, più che sul beneficio individuale (spesa goduta). Il comma 2 dell’art. 53, Cost., invece, dispone che il “sistema dei riparti” (mezzi di riparto) o – più semplicemente – il “sistema tributario” sia, non solo redistributivo (commisurazione a capacità individuale), ma addirittura progressivo: sì che appare elementare l’induzione che sia esclusa e da escludere, almeno, una preponderanza di mezzi di riparto di base e struttura commutativa, poiché, diversamente, verrebbe mortificato quel predicato “costituzionale” di riparto redistributivo, dei carichi pubblici. Riassumendo, quindi, il comma 1 dell’art. 53 ci dice, in buona sostanza, quale è il “tributo preferito”. Il successivo comma 2, invece, soggiunge che quella preferenza può essere accentuata (progressività) ed è anche il predicato del sistema: è ragione del suo ordinamento tendenzialmente unitario, su base personale, piuttosto che territoriale. Questo secondo alinea, quindi, è il luogo costituzionale di emersione della “qualità” o “essenza” tributaria” “complessiva” (la redistribuzione su base individuale e non territoriale delle pubbliche spese): il singolo tributo, invece, non ne appare qualificato. Le pubbliche spese – almeno tendenzialmente – vanno redistribuite e non ancorate al costo divisibile o al beneficio individuale; ergo il sistema tributario è il sistema degli strumenti di finanziamento pubblico che deve essere strumento redistributivo. Mi pare, dunque, di evidenza lapalissiana la rinnovata centralità del sistema tributario. Centro e perno del nuovo sistema tributario a più livelli ordinamentali, quindi, restano le scelte per esso fatte dalla Costituente e tradotte nell’articolo fondamentale dello statuto costituzionale della potestà normativa tributaria, riassumibili: nella “rilevanza complessiva e unitaria” dei mezzi di riparto dei carichi pubblici; e nel connotato redistributivo, su base “personale”, che essi – tutti insieme – devono concretizzare realmente. Al suo interno, il sistema sembra costituzionalmen- 32 PARTE PRIMA iu f fre 'E di to re Sp A te qualificato, non solo dall’inevitabile relazione di preponderanza tra il riparto redistributivo e quello su base commutativa, ma anche dalla preferenza, qualitativa, per il tributo di base e funzione redistributiva (art. 53, comma 1, Cost.): cioè, il singolo componente o “mezzo di riparto” dovrebbe essere tendenzialmente o preferibilmente quello redistributivo; direi, persino che le spese pubbliche ordinarie e correnti dovrebbero trovare su quel terreno il mezzo proprio o privilegiato di riparto. Il “sistema” è “tributario”, se è progressivo (nella Costituzione) – o meglio il sistema di riparto delle pubbliche spese è il sistema tributario, il quale deve essere “redistributivo” su base individuale. Il che può anche significare che il tributo non è necessariamente redistributivo e può essere commutativo, mentre il sistema tributario deve essere redistributivo, nel senso che deve essere “qualificato” da tributi (forme di riparto) che abbiano connotato “personale” e “progressivo”. Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G 6. Nel quadro del pluralismo ordinamentale e della declinazione in senso “materiale” o sostanziale della riserva di legge, muta o cresce di valore, trasformandosi in limite o concetto di sistema (di sintesi, per intenderci), anche il cd. minimo vitale, costituente corollario del principio di personalità del riparto dei carichi pubblici e di quello di capacità contributiva: quella soglia individuale e qualitativa, riferibile al singolo, ma anche al nucleo familiare (o, meglio, ai suoi bisogni di tipo e grandezza familiare), che funge da ideale demarcazione verso il basso della fiscalità diretta, non sembra più poter restare, rigidamente, ancorata ad uno o più tributi personali “qualificanti” il “sistema dei riparti dei carichi pubblici”. Anche il cd. minimo vitale è, cioè, oggi – e sempre più lo sarà –, un concetto ed un valore “di sistema”: un predicato costituzionale da riferire al “sistema”, piuttosto che al singolo tributo, ovvero, da pensare e garantire nel quadro dell’ingegneria complessiva dei tributi, ai più livelli dell’ordinamento, proprio per effetto della accelerazione impressa dal novellato Titolo V al pluralismo ordinamentale in materia tributaria, ovvero, alla polverizzazione dell’esercizio del potere di imposizione o di quello di “non imposizione”. Si tratta, peraltro, di un effetto giuridico molto condizionato dal dato fenomenico, persino da come si concretizzerà quel coordinamento della finanza pubblica, che gli artt. 117 e 119, Cost., pongono al vertice, nell’astratta gerarchia materiale della normativa tributaria in senso stretto. Molto dipenderà, inoltre, da quale assetto tenderà a prevalere nella gestione dei servizi pubblici: essenziali e non. Il processo da tempo iniziato di “privatizzazione” di alcuni di essi, persino di quelli essenziali e “tributari” (accertamento, liquidazione e ri- 33 DOTTRINA Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A scossione dei tributi – nella Riforma Visco e nell’ordinamento delle istituite Agenzie fiscali), potrebbe incidere, significativamente, sul contemporaneo processo di “formale” defiscalizzazione al quale ho già, sopra, accennato: il che potrebbe tradursi in una combinazione di effetti di difficile previsione. Certo è che, fin d’ora, l’art. 53, comma 1, Cost. e il concetto di personalità o individualità della “capacità” di contribuire alle pubbliche spese – relativo alla persona e alla sua eventuale, più “complessa soggettività tributaria” (nucleo familiare e, in genere, il contribuente che ha famiglia (70)) – implicano una ulteriore ragione di rilevanza del sistema complessivo e di sua connotazione unitaria, personale, territorialmente indifferente: alla quale non si accenna, mi pare, nel testo costituzionale novellato. Ma proprio il concetto di minimo vitale, riducibile a misura del bisogno personale e soggettivo, è anche e necessariamente “concetto ponte” tra la fiscalità redistributiva ed il territorio o i livelli di governo territoriale sub-statali. Esemplificando, infatti, a Caltanissetta, la vita (nell’immaginario collettivo nazionale) probabilmente costa meno che a Milano; mentre per altro verso, nel capoluogo lombardo il servizio pubblico, in genere, copre una gamma più estesa di bisogni (anche non essenziali) e, tendenzialmente produce risultati più satisfattivi (71). Fuori dai luoghi comuni e riducendo all’essenza il ragionamento, certo è che entrambi quei fattori – tipologia ed estensione dei servizi pubblici, da un lato, grado di efficienza/soddisfazione, dall’altro – sono destinati ad operare in modo sempre più diversificato e incisivo nelle disomogenee realtà territoriali del nostro Paese. Dunque il territorio, le scelte territoriali di governo e di gestione della funzione pubblica e dei servizi pubblici, essenziali e non, persino di carattere “infra-strutturale”, condizionano oggi, e condizioneranno molto più domani, la qualità della vita, anche nel suo aspetto economico e quantitativo soggettivo, indi——————— (70) Cfr., sul punto, G.A. MICHELI, Soggettività e responsabilità tributarie. Capacità contributiva della famiglia, in Diritto di Famiglia, Raccolta di scritti di colleghi della Facoltà Giuridica di Roma e di allievi. In onore di Rosario Nicolò, Milano, 1982, 684; più recentemente, si veda L. ANTONINI, Dovere tributario, interesse fiscale e diritti costituzionali, Milano, 1996, 352 ss. e, segnatamente, 366-367, specie laddove coglie il nesso tra la scarsa chiarezza sulla rilevanza costituzionale dei redditi minimi e la discutibile giurisprudenza costituzionale sul trattamento fiscale della famiglia. (71) La complessità è estrema, se solo ricorriamo ad un’altra considerazione esemplificativa degli scenari possibili, localmente: se è vero che a Caltanissetta vitto e alloggio costano meno, è anche vero che dovrò prendere più spesso l’automobile rispetto alla metropoli munita di metropolitana. 34 PARTE PRIMA Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A viduale, relativo. Il marcato decentramento delle funzioni e ciò che, generalmente, si prefigura come scenario prossimo, sulla base del nuovo riparto orizzontale – specie regolamentare ed amministrativo in genere (artt. 118 e 119, Cost.) – tratteggiato dal Titolo V novellato, dovrebbero o potrebbero far pendere l’ago dell’ideale bilancia della spesa pubblica, divisibile e indivisibile (o “non escludibile”, nel senso proprio della scienza delle finanze), pesantemente verso il basso, verso le amministrazioni regionali e, soprattutto, locali: virtuosamente, ben inteso, se avrà buono ed equilibrato compimento il disegno ispirato ai valori a base della sussidiarietà. Un dato, questo, che ancor di più induce a ripensare il minimo vitale, quale soglia di “no tax area”, in un sistema pluriordinamentale, complesso e nel quale la spesa pubblica tenderebbe ad essere localizzata e localmente decisa, indirizzata, differenziata. Nella speculazione dogmatica (72) è già emerso, in nuce, il valore “sistematico” del minimo vitale e – aggiungo io – della pressione fiscale individuale, che va concertata e, per quota, potrebbe essere e dovrebbe essere localizzata sul modello della “perequazione”. Non basta, però, ritrasferire risorse su base territoriale (perequazione), ma occorre anche prelevarne in misura eguale, intesa questa “individualmente” (o relativamente), come “qualità” e non come “quantità”. Mi pare, quindi, che questo aspetto è in perfetta armonia con la giurisprudenza costituzionale maturata sull’originario testo del Titolo V, in materia di eguaglianza tributaria sostanziale, nella misura in cui il contemperamento tra il valore individuale e redistributivo della fiscalità, da una parte, ed il valore dell’autonomia tributaria, dall’altra, veniva prefigurato sul terreno della qualità del prelievo tributario, giustificandosi, invece, differenziazioni quantitative – dovute all’operare congiunto e su base individuale di più livelli di imposizione territoriale – che non trasmodino in mortificazione del principio di eguale trattamento ed eguali possibilità per tutti gli individui (73). Già in quella giurisprudenza, faceva la sua emersione il concetto di “sistema tributario” plurilivello e la sua correlazione con l’eguaglianza tributaria sostanziale (74), sia pure, nella diversa implicazione della omogeneità di tipologie di prelievo (75). Il fondamentale principio dell’eguaglianza dei cittadini di fronte al carico tributario (artt. 3 e 53, Cost.) – giova qui ribadire - va quindi considerato in armonia con il prin——————— (72) P. RUSSO, Manuale di diritto tributario, Parte generale, Milano, 2003, 56-57. (73) Cfr., Corte cost., sentenza n. 64/1965 cit. (74) Cfr., in questo senso, Corte cost., sentenza 29 maggio 1974, n. 151). (75) Cfr., sul punto, Corte cost., sentenza 11 ottobre 1983, n. 307. 35 DOTTRINA Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A cipio dell’autonomia tributaria e finanziaria degli enti sub-statali (art. 119, Cost.) (76): mentre è ovvio che la possibilità stessa di applicare, disapplicare o diversamente conformare tributi “propri”, persino quella di istituirne unilateralmente, implichi, per forza di cose, una “diversità quantitativa nel carico” gravante sui contribuenti, senza incisione o erosione del principio di eguaglianza tributaria sostanziale, in relazione ai singoli tributi. Il sistema tributario dovrà inoltre conformarsi secondo linee coerenti alla sua costituzionale funzione (e struttura) “non espropriativa” (nel senso di “non sostitutiva”): intendo dire che la funzione redistributiva e solidaristica dovrebbe, in linea di principio, escludere un andamento “individualmente, circolare” del “tributo esatto” (77); questo, cioè, non può determinare proprio quell’impoverimento individuale che, a sua volta, giustificherebbe una maggiore domanda di servizi da parte di quel singolo contribuente e, quindi, un “ritorno” del tributo (da questi versato) nella forma di “servizi pubblici sostitutivi” (essenziali, in altre parole). Ancor più inaccettabile, alla stregua dello statuto costituzionale del riparto dei carichi pubblici (funzione redistributiva), sarebbe se in quel malaugurato caso, quei servizi essenziali fossero “divisibili o escludibili” e resi dietro “controprestazione”, sì da determinare, individualmente, una accresciuta pressione fiscale, proprio in capo a chi più ha bisogno e meno, quindi, dovrebbe contribuire. Per altro verso, la stessa “perequazione” prevista dall’art. 119, Cost., dovrebbe essere rimeditata o sperimentata, tenendo conto di tutto questo: chi ha di più deve contribuire di più e la collettività più ricca deve dare a quella più disagiata (perequazione), ma, anche in questo caso, tenendo conto dell’individuo e della condizione individuale di vita, compresa l’aspettativa di servizi pubblici. ——————— (76) Rinvio, nuovamente, ai passi in argomento riportati in nota, nelle pagine che precedono, e tratti dalla già citata sentenza n. 64/1965. (77) Cfr, in questo senso già, L. ANTONINI, Dovere tributario, cit., 372: laddove l’Autore coglie e valorizza gli approdi della giurisprudenza costituzionale tedesca (degli anni ’90); quella che sulla sussidiarietà ed il primato della responsabilità personale, aveva costruito il divieto di trasformare il contribuente (a causa del prelievo fiscale) in un caso sociale, per poi assicurargli il minimo di esistenza tramite provvedimenti di aiuto tipici dello stato sociale. Anche sotto tale profilo, quindi, l’Autore e la giurisprudenza da questi richiamata identificano un principio di “sussidiarietà fiscale” e, nel minimo vitale, il luogo naturale di emersione fiscale della peculiarità qualitativa dei mezzi finanziari “autonomi”, rispetto a quelli derivanti da transfer statale: essenzialmente, per quanto attiene ai bisogni propri e dei familiari. 36 PARTE PRIMA Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A Concludendo, su questo punto, mi pare, quindi, che anche il predicato costituzionale di personalità del tributo e di eguaglianza tributaria sostanziale, sub specie di minimo vitale, esigano un marcato coordinamento di ogni esercizio di potestà normativa in materia tributaria ai più livelli dell’ordinamento delineato dal nuovo Titolo V: il minimo vitale è individuale, è concetto tributario nazionale, basato su un riferimento unitario – una dimensione territoriale statale (rectius, nazionale) –, è, cioè, la “risultante” del complesso dei tributi “esatti” o (meno impegnativamente) “percetti” ai più livelli territoriali, da uno stesso contribuente (cd. “sussidiarietà “fiscale” (78)). Volgendo lo sguardo alle attuali inerzie della fiscalità locale (e non solo), registro, invece, che il sistema tende alla privatizzazione di molti dei servizi pubblici (essenziali e non), dal lato della spesa, e dal lato delle entrate, invece, mostra i primi sintomi, almeno, di una sorta di deriva verso la “tassazione per servizi” o la tassazione “impersonale” e “reale”: attualmente bilanciata, questa, solo dalla forte connotazione opposta, propria (almeno sulla carta, direi) della fiscalità erariale, essenzialmente di quella diretta sulle persone fisiche. Sembra profilarsi un’erosione del sistema di riparto dei carichi pubblici, soprattutto locali, a favore dell’area delle entrate pubbliche non tributarie o – sul presupposto (da taluni condiviso) che vi sia una relazione sinonimica tra tributo e tributo redistribuitivo – non tributaria, nel senso di non redistributiva: penso alla tassazione o peggio alla “tariffazione” dei servizi, ma anche alla cennata “formale” defiscalizzazione, che colorano di toni ibridi o più decisamente commutativi, la voce contabile delle entrate: polverizzata anch’essa tra una molteplicità di soggetti pubblici e privati (essenzialmente, penso al sempre più diffuso ricorso alla gestione in outsourcing). Un sistema di finanza pubblica qual è quello attuale ed, a maggior ——————— (78) Tornando, in chiusura, a fare qualche esemplificazione o ragionamento ad alta voce, se lo Stato con l’Irpef prefigura quella qualità “minima” nella misura di 50, e poi Palermo o Milano – poco importa – non dà servizi e magari pone tributi per 49 è chiaro che il minimo del singolo tributo non regge più, neanche se affidato a quello più significativo per gettito e nazionale, dunque omogeneo in se stesso sul territorio e tra i cittadini tutti. Se 50 è il minimo e Milano tassasse anche l’aria (fiscalità ambientale), chiaramente il discorso non cambia; come è immutato se mi dà 100 servizi e li pago sempre sulla base del beneficio, evidentemente ho una pressione superiore, un minore “minimo” esente di fatto e una contribuzione non più personale e per capacità, ma impersonale, regressiva e sostanzialmente commutativa: tanto ricevo, tanto do – e non tanto posso, tanto do. 37 DOTTRINA Sp A ragione, quello che potrebbe profilarsi all’orizzonte – con il crescente fabbisogno locale presumibile dal tenore degli enunciati costituzionali concernenti il “lato della spesa” (devoluzione o decentramento delle funzioni amministrative) (art. 118, Cost.) –, potrebbe, quindi, facilitare una degenerazione del modello, o favorire un più diffuso ricorso a indici di contribuzione impersonali: tenderebbe, in questo caso – ed inevitabilmente, credo – alla regressività o alla “propria” neutralità; in entrambi i casi, quindi, ad eludere, se non mortificare, le ragioni costituzionali del riparto tributario e la scelta costituente per un sistema fiscale redistributivo ed “in base alla capacità individuale” di concorso. Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re 7. L’art. 53, Cost. – comma 1 e 2 - esprime la ragione –, per la quale, anche al cospetto del nuovo Titolo V Cost., la riserva di legge in materia tributaria (in senso stretto) può e deve essere “declinata” in “esercizio contestuale” della potestà normativa tributaria: il criterio materiale o sostanziale era e resta l’unicità e la personalità del sistema di riparto delle pubbliche spese. Il sistema, cioè, non può non essere coordinato in partenza ed oggetto di disciplina unitaria o – nell’essenza – omogenea, che non vuol dire “uniforme”. La riserva di legge, nell’accezione di criterio di riparto della potestà normativa, basato sul rapporto tra “livello di rappresentatività democratica” – persino, di garanzia – ed “oggetto di normazione”, consentirebbe, astrattamente, di decentrare la potestà normativa ai più livelli dell’ordinamento; ma quando il suo oggetto sia quello “tributario”, il suo unitario e personale “valore costituzionale” conduce, inevitabilmente, a questa prima conclusione: deve trattarsi di una disciplina unitaria, nei suoi tratti fondamentali e qualificanti, perché sia composta a sistema conforme a quello “costituzionalmente preferito”, dunque, redistributivo. È, del resto, un ordine di idee che potrebbe aver ispirato anche la giurisprudenza costituzionale dell’anno in corso (79), basata sul convincimento della Consulta della ingessatura momentanea della potestà normativa tributaria degli enti sub-statali, fin tanto che lo Stato, non assolva al proprio compito di delineare il sistema tributario nei suoi tratti e principi fondamentali: una conclusione che può essere condivisa, se mossa dal cennato ordine di idee non completamente esplicitato dei giudici costituzionali. Non abbiamo ancora, infatti, – o non è ancora stato sperimentato (Conferenza Stato-Regioni e Commissione bicamerale integrata, secon——————— (79) Cfr., Corte cost., sentenze 26 gennaio 2004, n. 37 e 19 luglio 2004, n. 241. 38 PARTE PRIMA op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A do il regime transitorio prefigurato all’art. 11, legge cost. n. 3/2001) – un “luogo di composizione e concertazione normativa” delle istanze dei più livelli ordinamentali: non c’è, o non opera, in altre parole, una fonte che possa dirsi “nazionale”, nel senso proprio del termine; quella che è complemento naturale di un ordinamento plurilivello, composto da elementi “equiordinati” (Repubblica). Quella giurisprudenza, quindi, da un lato, non poteva che assolvere ad una sorta di “supplenza” del legislatore statale; dall’altro, non poteva che indicare in quest’ultimo, il legislatore della disciplina “contestuale e unitaria” (ma non uniforme), del sistema tributario e dei suoi principi fondamentali: del resto, lo stesso Titolo V conferisce (testualmente) allo Stato , quella funzione e potestà normativa sostanziale. Il lungo percorso sin qui seguito, quindi, ha espresso risultati, parziali e di sintesi, cui sono coerenti i contenuti, se non le ragioni, di quella giurisprudenza costituzionale. La Consulta si è fatta carico di diradare le nebbie, indicando nel “primato” della fonte statale una possibile via di transizione e, sapientemente, bilanciando questa prima (e già consolidata) indicazione, con la contestuale affermazione del cd. divieto di reformatio in peius (80). È un principio, quest’ultimo, avente natura di crite- Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C ——————— (80) Un divieto, peraltro, fortemente svilito ed, in definitiva esautorato dei significati più coerenti ad un”sistema tributario plurilivello”, composto di elementi equiordinati ed autonomi, dalla più recente giurisprudenza della Consulta. Da un lato, infatti, il Giudice delle leggi è apparso confermare che “condizione di legittimità dell’intervento statale” abrogativo, modificativo e/o sostitutivo dell’attuale assetto della fiscalità sub-statale (per destinazione di gettito e per una parziale potestà normativa decentrata o autonoma) (dell’Irap, in particolare) “è il divieto di procedere in senso inverso a quanto prescritto dal nuovo art. 119 Cost., sopprimendo, senza sostituirli, gli spazi di autonomia già riconosciuti dalle leggi statali, o configurando un sistema finanziario complessivo in contraddizione con l’art. 119 (richiamandosi a quanto già detto nella sentenza. n. 37/2004 n.d.r.)”. Dall’altro, però, la stessa Corte, in quello stesso pronunciato, ha concluso che: “Escluso che l’Irap possa considerarsi “tributo proprio” della Regione ed affermata la spettanza al legislatore statale della potestà di dettare norme modificative della disciplina della stessa, si deve aggiungere che il legislatore non ha violato il disposto del nuovo art. 119 Cost.”, poiché “la previsione della graduale soppressione dell’Irap, l’assicurazione che – sino al completamento del processo di attuazione della riforma costituzionale – sono garantiti anche in termini qualitativi, oltre che quantitativi, gli attuali meccanismi di finanza regionale, nonché la prevista intesa con le Regioni per compensare la progressiva riduzione dell’Irap con trasferimenti e compartecipazioni e, non ultima, la salvezza delle eventuali anticipazioni del federalismo fiscale, sono tutti elementi idonei a fondare la conformità dell’intervento legislativo ai principi che il novellato art. 119 Cost. pone a garanzia dell’autonomia regionale in materia tributaria (cfr., in termini, Corte cost., sentenza 19 luglio 2004, n. 241). Per alcune prime ipotesi esemplificative del concetto, in termini più specifici, cfr., C. SCALINCI, Riserva di legge, cit., 237-238. 39 DOTTRINA Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A rio materiale negativo della potestà normativa tributaria dello Stato, che, nell’essenza, appare coerente, non solo con l’idea che il nuovo Titolo V abbia “costituzionalizzato” la riforma Visco, ma anche con l’esigenza, non solo transitoria, di “concorso plurilivello” alla definizione del sistema tributario nazionale, cioè, sia di quello statale, che di quello locale. Unità del sistema fiscale non vuol dire, però, rigorosa o tassativa uniformità, ma predisposizione unitaria, con l’obiettivo minimo di conseguire i risultati di giustizia tributaria sostanziale indicati nella nostra carta costituzionale: primo fra tutti, quello del “tributo preferito” e quello del “sistema tributario progressivo” (o preferito anch’esso). Il sistema tributario – che, tra l’altro, si collocherebbe tra le garanzie e i contenuti della “unità economica e giuridica” del Paese –, allo stato, appare attraversato da una istintiva e non virtuosa conflittualità interlivello; e come tale è letto e concepito da alcuna parte della dottrina costituzionale e tributaria. L’istanza di autonomia e l’urgenza di risposte, su questo delicatissimo terreno, probabilmente animano le tensioni, peraltro fisiologiche di questa fase di transizione. Per offrire risposta coerente all’autonomia e al principio democratico – come alla equiordinazione dei soggetti sub-nazionali (Stato, Regioni, ecc.) –, basterebbe riconoscere il “potere di imporre o non imporre”, senza che si possa in alcun modo sostenere indefettibile il potere di creare tributi in assoluta autonomia. La Consulta, specie nelle citate sentenze del 2004 (nn. 37 e 241) esclude l’attuale esistenza di “tributi propri” (o istituiti autonomamente ed unilateralmente, secondo il senso di quell’attributo, per lo più, sottinteso dal giudice costituzionale), ma non la loro necessità e, comunque, la loro previsione a livello costituzionale (art. 119, Cost.). Non può essere, dunque, escluso – e, piuttosto, dovrebbe essere senz’altro contemplato – un ambito di “autonomia istitutiva” e, dunque, il decentramento di corrispondente potestà normativa tributaria materiale: ma sempre nel quadro di una disciplina minimale, e di un sufficiente e (per quanto possibile) preventivo bilanciamento tra imposizione redistributiva e personale, da una parte, imposizione tariffaria o commutativa o para-commutativa, dall’altra. Lo spazio, per l’unilaterale ed autonomo svolgimento di quella potestà normativa, però, è estremamente esiguo: non solo per gli effetti di esternalità economica e giuridica extra-fiscale (81) che i tributi locali po——————— (81) Alludo, ancora una volta, ai vincoli o limiti “sostanziali e negativi”, indirettamente, posti alla potestà normativa tributaria in senso stretto, concernenti i profili propri ed essenziali o tipici delle «regole di mercato», questa volta (cfr., retro) non solo comu- 40 PARTE PRIMA Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A trebbero frequentemente comportare, ma anche per la difficoltà di realizzare “dinamicamente” un sistema tributario nazionale idoneo alla funzione costituzionale della redistribuzione progressiva delle risorse individuali, ancorata ai soggetti: all’individuo (non al territorio). La dimensione nazionale e personale dell’ordinamento, del resto, emerge chiaramente anche dall’enunciato testuale dell’art. 120, comma 2, Cost. (dai territori, si deve “prescindere”): cioè da quell’enunciato costituzionale che costituisce, non solo più generale criterio e “sistema” di riparto dinamico-materiale della potestà normativa, ma anche luogo di codificazione, al superiore livello, dell’unità “oggettiva”, economica e giuridica (nazionale). Quel disposto ha, così, identificato un criterio limite o guida così ampio da poter assorbire l’intera materia tributaria, in buona coerenza con il fondamento individuale e la dimensione nazionale della fiscalità nel nostro quadro costituzionale. Il comma 2 dell’art. 120, infine, atteggiandosi a complemento – su questo terreno – dell’art. 118, Cost., supera il riparto per materia contenuto negli artt. 117 e 119, Cost., delineando un nuovo primato degli “interessi coinvolti” nell’esercizio di potestà normativa: nuovo, perché non più espressione di un ordinamento “Stato-centrico”, ma della prevalenza del criterio “materiale” nella gerarchia orizzontale delle fonti. È il criterio della adeguatezza e della approssimazione del livello normativo alla dimensione ottimale dell’oggetto della disciplina. Concludendo, il valore dell’autonomia locale, in relazione ad un singolo tributo, consente di concepire un effettivo e pieno decentramento della potestà normativa tributaria; nel suo complesso, invece, l’oggetto sostanziale della potestà normativa in esame (sistema tributario), sembra imprimere al riparto orizzontale della potestà normativa un andamento “circolare” (82): o un percorso così raffigurabile, poiché la potestà nor——————— nitari (fiscalità cd. negativa e libertà economiche), bensì pensando a quelli che comprimono e comprimeranno la potestà normativa tributaria infra-nazionale, per l’operare delle regole nazionali di fluidità, buon funzionamento ed indirizzo politico del mercato. Basterebbe interrogarsi, a questo proposito, sulle implicazioni del significato e ruolo, rinnovati ed estesi, assunti dalla tutela della concorrenza nell’ordinamento nazionale, proprio nell’economia del nuovo titolo V, anche in ragione del passaggio da una tutela essenzialmente “statica” ad una tutela “dinamica”, che – a dire della Consulta (sentenza n. 14/2004) – comporterebbe un rilevantissimo peso della “politica statale economica e della concorrenza”, rispetto ai già esigui margini di autonomia (nel senso di possibilità di unilateralmente e del tutto autonomamente normare) degli enti sub-statali. (82) Si tratta di un andamento circolare che evoca, in qualche misura, la “circolarità” fra gli strumenti positivi costitutivi dell’ordinamento di A. ROSS (Teorie der Rechstquellen, Leipzig-Wien, 1929), contrapposta alla visione semplificata e piramidale del 41 DOTTRINA Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A mativa tributaria è, dapprima, decentrata (per effetto del nuovo “formale” riparto di cui agli artt. 117 e 119, Cost.), per poi essere inevitabilmente accentrata (per effetto dell’indefettibile coordinamento ex ante del “sistema tributario”), ma in una nuova dimensione, quella della potestà normativa “concertata”, per concorso degli elementi costitutivi della Repubblica equiordinati. È, dunque, il “coordinamento” – e non il riparto formale orizzontale (quello per “materie”), né quello riferito al singolo mezzo di riparto dei carichi pubblici o tributo che assume significato duplice: è criterio o ragione materiale di una disciplina omogenea, nei suoi tratti essenziali e macroeconomici, poiché è il predicato consustanziale del concetto stesso di sistema tributario; è anche “premessa” o modalità di azione normativa, egualmente, indefettibile perché vi possa essere un “sistema” tributario e, soprattutto, perché questo corrisponda al modello costituzionale di fondo, emergente da un art. 53, comma 2, Cost. cui venga attribuito un contenuto effettivo e non di pura facciata. È il sistema tributario costituzionalmente preferito, quello che impone di concepire i tributi, nel loro complesso, e di realizzare, per il loro tramite, un riparto redistributivo, persino, progressivo. Da queste premesse, sembrano emergere dalle nebbie del novellato Titolo V, una impronta antica e uno scenario nuovo. Il coordinamento non può essere inteso come altro dal riparto della potestà normativa tributaria e, comunque, non ne può essere scisso (almeno in prima battuta), ipotizzandosene la sola natura e funzione di ““fase correttiva” successiva” (eventuale e distinta da quella dell’esercizio della potestà normativa tributaria ai più livelli ordinamentali). È, piuttosto, la sintesi dei valori costituzionali e dei criteri materiali di riparto della potestà normativa tributaria, la quale appare così trovare – anche nel sistema costituzionale novellato – ragione, natura e struttura sostanziale e dinamica. Concretizzando questo percorso, si può pensare di concertare un sistema redistributivo e prevedere, per esempio, per servizi pubblici “ulteriori e non essenziali” (o “aggiuntivi”), una limitata autonomia di creazione di tributi commutativi o formalmente tariffari; una ipotesi che potrebbe essere concertata sulla carta, ma che non mi convince su di un pia- ——————— sistema propria del gradualismo kelsensiano, che nel nostro caso opererebbe già ed essenzialmente nell’ambito della stessa Carta Costituzionale, in forza della rigidità relativa ed estrinseca della riserva di legge, in materia tributaria, quindi, condizionata in modo determinante dallo statuto costituzionale del tributo e del sistema fiscale preferito. 42 PARTE PRIMA gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A no squisitamente pragmatico (83). Anche la via della identificazione già nella legge fondamentale dello Stato-Nazione di tipologie di tributi applicabili o disapplicabili localmente potrebbe comportare una degenerazione di quella disciplina di principio in disciplina di dettaglio, sostanzialmente una esautorazione degli spazi di autonomia tributaria. Se l’autonomia fosse intesa, quindi, come indefettibile potere originario di “inventare” i tributi, ancora una volta, finirebbe con il ridursi a ben poca cosa, ad un obolo simbolico. Direi, invece, che il risultato minimo e certo, ma non meno nuovo al quale è più urgente pervenire, è la traduzione dell’autonomia fiscale e del modello statico della equiordinazione, in modello dinamico, complesso e nuovo di esercizio della potestà normativa: passare, cioè, da un sistema tributario unilateralmente posto e conflittuale, al sistema del “regionalismo collaborativo” o dell’autonomia tributaria concertata, consci che, in quello scenario, sarebbe tale (concertata) anche quella dello Stato. Tutti concorrono nei luoghi – quelli non ancora prefigurati o sperimentati in questa direzione – istituzionali e normativi della “nazione” o dell’ordinamento pluralista (a più livelli equiordinati). E ciò, a mio modo di vedere, comporterebbe emersione ed effettività dell’essenza vera dell’autonomia: la possibilità di concorrere a delineare un sistema comune, il superamento dell’attuale “primato statale” “inter pares” e la realizzazione del “primato della Nazione” (della Repubblica), luogo di composizione e di unità giuridica ed economica dei “pari” (84). Fa sc ic o lo sa 8. Questa articolata concezione della riserva di legge e del coordinamento nel nuovo titolo V, Cost. (a prescindere da possibili futuri ripensamenti e in pendenza dell’auspicata pausa di riflessione) (85) merita ora di essere conclusivamente declinata in positivo per indicare le at——————— (83) Basta pensare ai tributi come vincoli comunitari per conseguire la consapevolezza di quanto siano angusti i margini per autonomamente disporre in materia, specie a livello locale, in mancanza di strumenti adeguati, di ordine giuridico, informativo e tecnico-finanziario. Nel senso di valorizzare i tributi paracommutativi e di scopo, DEL FEDERICO, Orientamenti di politica legislativa regionale in materia di tributi locali, in Finanza locale, 2003, e Tasse, tributi paracommutativi e prezzi pubblici, Torino, 2000, 151 ss., 254 ss. (84) Consapevoli del fatto che, una volta astrattamente fissata la linea di confine o demarcazione tra le competenze di Stato, Regione ed Enti locali, si porrà e si rinnoverà ogni giorno la questione di stabilire se essa è in concreto rispettata oppure valicata dai singoli atti espressivi di potestà normativa (cfr., già in questo senso, A. RUGGERI, Fonti, norme, cit., 95). (85) Da S. CASSESE, in Il Corriere della sera, 17 agosto 2004. 43 DOTTRINA Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A tribuzioni di poteri normativi in materia tributaria nel nuovo assetto plurilivello equiordinato. Iniziando dalle regioni, per le quali non è ormai più in discussione l’idoneità dei loro atti normativi a soddisfare la riserva di legge, è solo da ribadirsi (86) la natura ora primaria (come quella dello Stato) e non più secondaria della loro potestà normativa tributaria. La delimitazione rispetto a quella dello Stato (-persona) avviene in base ai criteri di competenza indicati nell’art. 117 Cost. Se questa considerazione è sufficiente da sola a indicare il diverso e maggiore grado di autonomia delle Regioni in campo tributario rispetto agli altri enti sub-statali, restano da approfondire i caratteri di tale autonomia sia verso l’alto con riferimento a quella dello Stato che verso il basso con riguardo a quella degli Enti locali. Sotto il primo profilo, nulla da rilevare con riguardo alla riserva di legge: alla legge dello Stato spetta in via esclusiva la disciplina del sistema tributario e contabile dello Stato nonché la determinazione dei principi fondamentali in materia di legislazione concorrente; in via concorrente il coordinamento della finanza pubblica intesa in senso generale e del sistema tributario (dello Stato, delle Regioni e degli enti sub-statali). Alla legge regionale spetta in via concorrente con lo Stato il coordinamento ed in via esclusiva la disciplina dei tributi regionali e locali. Posto che come è stato già rilevato (87) l’organizzazione duale della Repubblica ai fini del principio di legalità si regge sul contemperamento dei principi di sussidiarietà, di competenza, di equiordinazione e di pariteticità, il criterio sostanziale di distinzione tra potestà normativa tributaria dello Stato e delle Regioni è dato dal principio di continenza espresso del presupposto del tributo rispetto alle materie di competenza dei diversi soggetti istituzionali ex art. 117. Per questa ragione, se spetta alla legge regionale in via esclusiva disciplinare i tributi propri della Regione nonché, come vedremo, la “base” dei tributi propri degli enti sub-statali, ritengo invece che il coordinamento sia materia di legislazione concorrente con lo Stato sia che riguardi tributi statali e regionali, sia che riguardi tributi regionali e locali: per le ragioni esposte sopra sulla unicità del sistema. Da quanto detto sopra risulta che dalla stessa nozione di tributo e dalla funzione sostanziale della riserva di legge si ricava la limitazione ——————— (86) Così già GALLO, Prime osservazioni sul nuovo art. 119 Cost., in Rass. trib., 2002, 588. (87) GALLO, Prime osservazioni, cit., 588. 44 PARTE PRIMA Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A di contenuto della potestà normativa della Regione rispetto a quella dello Stato: la legge emanata dalla collettività regionale potrà disciplinare soltanto tributi che abbiano un collegamento diretto con il territorio regionale ovvero con le attività e funzioni esercitate dalla Regione (88). In senso inverso analoga limitazione riguarda la potestà normativa tributaria dello Stato-persona. Posto che le compartecipazioni al gettito dei tributi erariali sono chiaramente disciplinate da legge dello Stato, non mi pare che la delimitazione del contenuto sostanziale della potestà normativa tributaria di Stato e Regioni possa basarsi sulla nozione di tributi propri ovvero sulla nuova terminologia “stabiliscono e applicano” in luogo della vecchia “istituiscono”. Per le ragioni già esposte, non ritengo che nonostante la maggiore ampiezza semantica del termine “stabilire”, questo assuma un significato assai diverso dal precedente “istituisce” specie se a quest’ultimo si attribuisce, come aveva già fatto la giurisprudenza costituzionale, significato diverso dal mero “attivare”. Dunque “stabilire” tributi propri (nel senso di caratterizzati dai sopra esposti requisiti di continenza rispetto alle istanze democratiche del territorio) non significa necessariamente disciplinare in via esclusiva e dunque solo con atto normativo proprio tributi regionali. D’altro canto proprio perché la formula “stabilire tributi propri” è a mio avviso compatibile con una parziale eterodisciplina in funzione di coordinamento, la modifica lessicale non sembra avere introdotto una potestà normativa tributaria regionale più ampia di quella che la dottrina già nel vecchio testo del Titolo V assegnava alle Regioni (89). Sotto questo profilo le recenti sentenze della Corte costituzionale, se si giustificano sotto il profilo della “attuale” mancanza di tributi propri ——————— (88) FEDELE, Appunti, cit., 99, esclude un vero e proprio rapporto gerarchico tra legge regionale in campo fiscale e legge statale che stabilisce i principi di coordinamento: il rapporto di subordinazione è piuttosto direttamente con la Costituzione secondo il criterio della “competenza” che risulterebbe violato dall’inosservanza dei “principi fondamentali”. (89) Rileva FRANSONI, Osservazioni in merito alla potestà impositiva degli Enti locali alla luce della riforma del Titolo V della Costituzione, Annuali della facoltà di giurisprudenza di Foggia, Milano, 2005, che maggiore portata argomentativa dovrebbe essere assegnata all’impiego del verbo nella forma attiva “stabiliscono e applicano”, piuttosto che in quella passiva “alle Regioni sono attribuite”: scelta che sembrerebbe attestare il carattere originario e non derivato del titolo in base al quale viene esercitato il potere. 45 DOTTRINA Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A in senso stretto e soprattutto con l’esigenza di una previa legge statale di coordinamento del sistema che individui i principi fondamentali, appaiono troppo rigide se proiettate verso un assetto a regime. Individuare i tributi propri solo in quelli la cui disciplina sia contenuta esclusivamente in atti normativi dell’ente ai quali sono riferiti conduce, come è stato rilevato (90) ad una vera e propria antinomia. Infatti le ragioni del coordinamento, da un lato, richiedono comunque una parziale disciplina statale; dall’altro, anche gli Enti locali sono dotati di tributi propri che, per effetto della riserva di legge, dovranno essere in parte disciplinati da legge regionale: dunque una troppo rigorosa definizione di tributi propri farebbe del tutto venire meno la categoria. Come ho sopra diffusamente motivato, ritengo dunque che la riserva di legge regionale per i tributi di competenza delle Regioni sia per un verso soggetta alla legge statale di coordinamento e per altro verso ai limiti di continenza rispetto alle materie indicate nell’art. 117 Cost., nonché di collegamento del tributo con il territorio dell’ente locale e con gli interessi da esso rappresentati. Per quanto riguarda i regolamenti regionali l’art. 117, comma 6 riconosce loro una competenza estesa a tutte le materie diverse da quelle rimesse alla legislazione esclusiva dello Stato: quindi anche a quelle di legislazione concorrente (coordinamento). Quindi, fatta salva la riserva di legge, il regolamento regionale può concorrere a disciplinare il sistema tributario salvo che per le materie attinenti al sistema tributario dello Stato dove può operare soltanto per delega dello Stato stesso. Più complessa appare l’autonomia tributaria degli Enti locali sub-regionali che sono da un lato ex art. 114 equiordinati alle Regioni e dall’altro titolari ex art. 119 di identiche risorse autonome e del potere di stabilire e applicare tributi propri. La riserva di legge dell’art. 23 consegna infatti alla legge regionale il potere di determinare almeno la “base” dei tributi locali ed alla legislazione concorrente Stato-Regione il potere di dettare il coordinamento del sistema anche con riguardo ai tributi locali. Ciò comporta come conseguenza, da un lato, la compresenza nella disciplina dei tributi locali di atti normativi dello Stato e della Regione nonché di atti regolamentari dell’ente locale, con l’ulteriore conseguenza rilevata in dottrina (91) che se si accogliesse la rigida nozione di tri——————— (90) FRANSONI, cit. (91) FRANSONI, cit. 46 PARTE PRIMA Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A buti propri recentemente enunciata dalla Corte costituzionale questi ultimi sarebbero per definizione esclusi per gli enti sub-regionali. Dall’altro lato che l’autonomia tributaria degli Enti locali dopo la novella al Titolo V non appaia sostanzialmente più ampia di quanto non fosse già in base all’art. 52 della legge n. 446/1997 confermandosi così l’enunciata convinzione che la novella abbia sostanzialmente costituzionalizzato la precedente riforma Visco. Il punto nodale della delimitazione sotto il profilo sostanziale della potestà normativa tributaria degli Enti locali rispetto alle Regioni deriva allora dalla accezione che si attribuisce alla riserva di legge. Se quest’ultima, pur relativa, la si intende in senso rigido secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, allora la potestà normativa di determinare la base del tributo locale è riservata alla legge regionale e all’ente locale è consentita soltanto la disciplina di dettaglio. In questa prospettiva il nuovo Titolo V non si discosta dall’art. 52 legge n. 446/1997. Se invece (92) si ritiene che la riserva dell’art. 23 non sia di stretto dettaglio e consenta margini di discrezionalità all’ente locale in misura maggiore rispetto al previgente testo costituzionale, allora si può affermare un più ampio margine di autonomia normativa dell’ente locale che potrebbe “stabilire” tributi nel senso di determinare gli elementi essenziali del tributo sia pur estrapolandoli dalla disciplina legislativa posta dalla Regione. In questa prospettazione l’esigenza di attribuire pienezza di valore alle formule di equiparazione contenute negli articoli costituzionali indurrebbe a ritenere particolarmente flessibile la riserva di legge in materia di tributi locali e dunque a consentire all’ente sub-regionale di disciplinare autonomamente il tributo indicato nella legge regionale solo per “tipo” (93). In sostanza l’autonomia attribuita dall’art. 119 comma 2 agli enti sub-regionali comporterebbe il riconoscimento ad essi di una potestà normativa sia pur regolamentare estesa a tutta la disciplina dei tributi propri salvi la “base” riservata alla legge regionale e i principi di coordinamento. Se ne è dedotto (94) che un intervento della Regione in questo ambito di autonomia sia con legge che con regolamento violerebbe l’art. 119, comma 2 Cost. ——————— (92) Così GALLO, Prime osservazioni sul nuovo art. 119 Cost., cit., 590-591. (93) FRANSONI, cit. (94) FEDELE, Appunti, cit., 102. 47 DOTTRINA Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A La verità è che, nonostante una lettura il più possibile “autonomista” degli articoli costituzionali, i punti nodali della ricostruzione sopra tentata restano: l’unitarietà del sistema tributario e l’attribuzione allo Stato dei principi fondamentali di coordinamento; il principio di sussidiarietà ed il valore dell’autonomia locale che inducono ad attribuire il potere al soggetto istituzionale più vicino e direttamente collegato agli interessi coinvolti; infine la portata sostanziale del principio democratico sotteso alla riserva di legge per cui la disciplina materiale del tributo è demandata alla collettività locale alla ripartizione delle cui spese pubbliche il tributo concorre. È dunque auspicabile, come del resto ha più volte fatto la Corte costituzionale, che dalla normazione sui principi fondamentali e sui principi di coordinamento venga delineato un sistema tributario armonico e solidale che ripartisca il potere tributario senza sovrapposizioni e senza vuoti d’imposta, nel rispetto dei vincoli comunitari e degli obblighi internazionali ma soprattutto rispettoso del principio di autoimposizione riferito ai vari livelli dei soggetti istituzionali della Repubblica. Nel novellato sistema di fonti ordinato non più gerarchicamente bensì per competenza ed in presenza di una non chiarissima (e tuttora discussa) attribuzione delle competenze legislative esclusive e concorrenti, il punto più delicato specie nella fase transitoria è costituito dalle norme di coordinamento. E queste attingono, come visto sopra, alla complessiva e fondamentale concezione del sistema tributario nel quadro costituzionale. Se infatti dall’equiparazione, autonomia e separazione dei poteri normativi di Stato e Regioni si ricava l’originalità della loro potestà legislativa e se ne deduce l’esistenza di due distinti sistemi tributari primari (95) si può allora sostenere (96) che il coordinamento del sistema tributario dello Stato e delle Regioni ed Enti locali spetti ex art. 117 comma 3 ultima parte solo alle regioni salvo che per i principi fondamentali dell’ordinamento e per il coordinamento del sistema tributario dello Stato, rimessi appunto allo Stato in via esclusiva. In questa prospettiva più accentuatamente autonomista si potrebbe quindi supporre che nell’attesa della normativa statale sui principi fondamentali le regioni abbiano già la potestà di legiferare autonomamente in materia di coordinamento (anche con tributi statali) sia pure desumendo i principi fondamentali dall’ordinamento vigente. ——————— (95) Così GALLO, Prime osservazioni, cit., 588. (96) Come fa, appunto, GALLO, op. cit., 593. Nello stesso senso DEL FEDERICO, Orientamenti di politica legislativa regionale, cit. 48 PARTE PRIMA 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A Questa conclusione sarebbe avvalorata oltre che da una rigorosa lettura dell’art. 117 commi 3 e 4 Cost., dalla giurisprudenza della Corte (97) e dalla legge n. 131/2003 il cui art. 1 comma 3 prevede che “nelle materie appartenenti alla legislazione concorrente, le Regioni esercitano la potestà legislativa nell’ambito dei principi fondamentali espressamente determinati dallo Stato o, in difetto, quali desumibili dalle leggi statali vigenti” (98). Lo stesso art. 1 prevede poi più decreti legislativi “meramente ricognitivi dei principi fondamentali che si traggono dalle leggi vigenti in base ai principi di esclusività, adeguatezza, chiarezza, proporzionalità e omogeneità”, ed indica una serie di criteri direttivi. Ove invece si accentuino, come sopra ho cercato di fare, l’unitarietà del sistema fiscale nel suo complesso e le esigenze (accresciute) di sua coerente e coordinata applicazione, allora non potrà che riservarsi alla legislazione concorrente Stato/Regioni il coordinamento del sistema con la conseguenza che nell’attesa della legislazione statale sui principi fondamentali la legislazione regionale di coordinamento potrà solo riguardare tributi regionali e locali. Per l’efficace funzionamento del sistema unitario occorrerà dunque attendere (anche in attuazione della legge n. 131) la fissazione da parte statale dei principi fondamentali di coordinamento: il che è quanto sostanzialmente affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 37/2003. Del resto la dottrina più attenta (99) si è resa conto della “zona gri- Fa sc ic o lo sa gg io ——————— (97) Vedi la sentenza 26 giugno 2002, n. 282 peraltro contrastata dalle successive sentenze nn. 37 e 241/2004. (98) L’enunciato legislativo potrebbe consentire la ricognizione autonoma dei principi fondamentali impliciti o immanenti alla legislazione statale, ma considererei, da un lato, che si tratta di una disciplina destinata a regolare la potestà concorrente nella vasta e variegata congerie di ambiti materiali di disciplina elencati dal 117, comma 3, e che così operando, torneremmo ad una accezione superata, conflittuale e foriera di un vasto contenzioso Stato-Regioni, sulla modalità e gli esiti di quell’operazione, soprattutto in materia tributaria. Dall’altro lato pare curioso ipotizzare che ciascuna Regione possa cogliere da sè il principio fondamentale e presagire ciò che faranno le altre Regioni: il sistema, la sua unicità ed i suoi caratteri, ragionevolmente, sarebbero gravemente compromessi ed esposti ad un rischio, quand’anche transeunte (ove sappia rimediare di volta in volta la Consulta), che non mi pare costituzionalmente tollerabile e dovrebbe indurre, semmai, ad ipotizzare incostituzionale l’enunciato normativo “La Loggia”. Si tratta di una legge “nominata” nel senso di prevista specificamente dalla Costituzione, ed “attuativa” del dettato costituzionale, per la quale, quindi, la verifica di corrispondenza e compatibilità con la Costituzione – e soprattutto con l’enunciato che ne costituisce ragion d’essere (art. 117, comma 3 – dovrebbe essere particolarmente rigorosa. (99) PERRONE, La sovranità impositiva tra autonomia e federalismo, in questa Rivista, 2004, I, 1173 ss. in part. 1176, 1188. 49 DOTTRINA Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A gia” che residua tra i principi fondamentali di coordinamento riservati esclusivamente allo Stato e la potestà concorrente di coordinamento del sistema tributario riservata altrimenti alle Regioni. E nonostante gli interventi legislativi e giurisprudenziali successivi resta oscura, a mio avviso, la distinzione tra principi “fondamentali” e principi “non fondamentali” di coordinamento rimessi i primi allo Stato e i secondi alla Regione. La sopra esaminata esigenza di unitarietà, personalità e non scindibilità territoriale del sistema tributario (ad es. sotto il profilo della rilevanza del minimo vitale) raccomandano come ha ben messo in evidenza la ricordata dottrina (100) la costruzione del nuovo ordinamento repubblicano basato su più livelli istituzionali equiordinati e fiscalmente autonomi intorno ai principi di ragionevolezza, capacità contributiva e progressività del sistema tributario nel suo complesso (inteso appunto come sommatoria dei diversi ordinamenti facenti capo a Stato-persona, Regioni e Enti locali). Dall’applicazione di questi principi e da quello di continenza, dovrebbero risultare riservati alle Regioni e agli Enti locali i tributi connotati da caratteristiche territoriali, anche di tipo commutativo, mentre dovrebbero essere riservati allo Stato i tributi sul reddito e quelli di origine comunitaria. Dovrebbe inoltre conseguirne la non condivisibilità dello stesso presupposto da parte di tributi erariali e locali nonché l’impossibilità che il cumulo di tali tributi si risolva in misure confiscatorie o espropriative di ricchezza individuale (101). La conseguenza che ne traggo è quella della necessaria compresenza dei principi fondamentali di coordinamento (espressamente statuiti o ricavati dalle leggi statali vigenti) accanto alla normativa regionale che coordina i tributi dello Stato con quelli di Regioni e Enti locali: in definitiva nella legislazione concorrente in materia di coordinamento del sistema tributario la potestà legislativa delle Regioni non potrebbe mai prescindere dai principi fondamentali contenuti nella legge statale (nuova o previgente). È stato a tal proposito già rilevato (102) che nel disegno di legge costituzionale La Loggia-Bossi (peraltro smentito sul punto della cd. bozza di Lorenzago) si prevede oltre alla soppressione della legislazione ——————— (100) PERRONE, op. cit., 1184 ss. (101) Così PERRONE, op. cit., 1186 ss. (102) Da PERRONE, op. cit., 1188 ss. 50 PARTE PRIMA Sp A concorrente di cui all’art. 117, comma 3, l’attribuzione allo Stato della legislazione esclusiva in materia di “norme generali concernenti l’armonizzazione dei bilanci pubblici e il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario”. Vi è probabilmente la consapevolezza che (le “norme generali” sono forse meno pesanti ma più ampie ed efficaci dei “principi fondamentali” e che occorra a questo punto rafforzare la funzione di guida della legge statale nella costruzione di un sistema fiscale basato sì su più livelli equiordinati ma rispondenti tuttavia a principi di ragionevolezza, di equità e di solidarietà/redistribuzione. Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re AUGUSTO FANTOZZI Riflettendo su un convengo leccese Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A 1. Il 25 giugno 2004, grazie all’iniziativa del prof. Franco Paparella, si è svolto a Lecce un interessante convegno nel quale sono state esaminate e discusse le principali novità dell’Ires. Il prof. Pietro Adonnino ha aperto l’incontro soffermandosi sui profili di compatibilità della riforma con il diritto comunitario; il prof. Andrea Fedele ha ripreso, sotto altra angolazione, il tema dei rapporti sociosocietà già oggetto di una relazione pubblicata su questa Rivista (1); il prof. Augusto Fantozzi ha esaminato il nuovo regime della trasparenza per le società di capitali. L’intervento del prof. Salvatore La Rosa, con il quale si è aperta la sessione pomeridiana del convegno, ha avuto ad oggetto la thin capitalization, mentre i temi del consolidato nazionale e delle operazioni straordinarie sono stati trattati rispettivamente dal prof. Giuseppe Tinelli e dallo stesso organizzatore. In questa sede sarebbe impossibile riferire dei molteplici spunti di riflessione offerti dalle varie relazioni, cosicché ci limiteremo a segnalare le opinioni espresse su un tema che, proprio per essere stato comune a più interventi, sembra destinato ad assumere un posto di particolare importanza ai fini della comprensione della ratio della riforma. Tre relazioni in particolare – quelle del prof. Fedele, del prof. Fantozzi e del prof. La Rosa – hanno, infatti, preso in esame da diversi punti di vista, quasi in forma contrappuntistica, il problema della nozione e della disciplina dei redditi da partecipazione nei loro rapporti con la (per alcuni versi complementare) nozione di interessi. Ed è, appunto, su alcuni profili di tali relazioni che vorremmo richiamare l’attenzione anche per trarne qualche spunto di ulteriore riflessione. ——————— (1) Cfr. A. FEDELE, La nuova disciplina Ires: i rapporti fra soci e società, in questa Rivista, 2004, I, 465. 52 PARTE PRIMA A Avvertiamo, tuttavia, sin d’ora che le osservazioni che seguono nascono come frutto di riflessioni “a caldo” e come tali sono presentate. Non vi è, in altri termini, alcuna ambizione di presentare un elaborato ed approfondito apparato argomentativo. Lo scopo è, piuttosto, quello di proseguire le discussioni che si sono svolte a margine del convegno leccese e, magari, di sollecitare qualche “postilla” di commento (secondo lo stile che sta diventando proprio di questa Rivista) con la speranza che ciò possa servire da stimolo ad una più ampia discussione ed ad un più approfondito esame di temi che ci sembrano nodali. Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp 2. La tesi del prof. Fedele, già esposta nel precedente intervento cui si accennava in apertura, parte dalla constatazione dell’esistenza di una nuova nozione di reddito di partecipazione fondata sui modi di determinazione della remunerazione del capitale apportato. In particolare, l’apporto di capitale in società non sarebbe distinto a seconda che il rapporto esistente fra la società e l’apportante attribuisca a quest’ultimo un insieme di diritti idonei ad indirizzare lo svolgimento dell’attività sociale o meno. La distinzione è invece operata avendo riguardo alla circostanza che la remunerazione dell’apporto sia correlata al risultato economico della società oppure sia determinata in misura fissa ovvero anche variabile, purché con riferimento ad un parametro diverso dal risultato economico. Nel primo caso, la remunerazione dell’apporto dà luogo ad un reddito da partecipazione tassabile in capo al percettore e indeducibile per la società; in tutti gli altri, la remunerazione è deducibile per la società ed è tassata in capo al percettore come reddito di capitale. Detto altrimenti, tutti gli apporti di capitale sono visti sotto il profilo dell’“investimento”, piuttosto che sotto quello del conferimento (relegando così nell’irrilevanza il fatto che tale apporto attribuisca all’apportante la qualifica di socio in senso tecnico) e sono distinti in ragione della caratteristica sopra menzionata la quale incide, per un verso, sui modi di tassazione dei frutti dell’investimento per il percipiente e, per l’altro verso, sulla deducibilità per la società. Precisato, inoltre, che, per quanto riguarda il percipiente, il livello di tassazione si presenta nei due casi sufficientemente omogeneo e, in specie, che la parziale esenzione di cui godono i redditi di partecipazione per i soci persone fisiche non è intesa ad eliminare – proprio perché parziale – la doppia tassazione economica (che, invece, costituirebbe la regola generale del sistema), l’intervento del prof. Fedele si è concentrato sull’esame di un problema non esaminato nel precedente intervento fiorentino. 53 DOTTRINA op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A La questione è, in sintesi, questa: se tutti gli apporti sono considerati investimenti, qual è la ragione per cui, in alcuni casi, la relativa remunerazione è deducibile per la società (nel caso degli interessi) e, in altri, è indeducibile (redditi da partecipazione)? L’articolata risposta a tale quesito è stata fondata su una puntualizzazione di fondo, ossia che la deducibilità degli interessi – così come la indeducibilità degli utili distribuiti – non costituisce il regime naturale e immanente del reddito societario. In astratto, nulla vieterebbe che anche gli interessi siano considerati indeducibili, così come potrebbe ammettersi la previsione della costante deducibilità degli utili distribuiti (d’altronde il regime del credito d’imposta realizzava, in termini pratici, un effetto molto simile a questo). In altri termini, la nozione del reddito d’impresa (e, quindi, delle componenti positive e negative dalla cui somma algebrica esso risulta) è l’effetto di una valutazione, anche di ordine politico. E la scelta operata dal legislatore in tema di trattamento dei redditi di partecipazione rispetto agli interessi appare in qualche misura conforme alla logica di una tassazione di impronta tendenzialmente “reale”. Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C 3. Nell’affrontare il tema della tassazione per trasparenza nelle società di capitali, la relazione del prof. Fantozzi doveva necessariamente risolvere i problemi della giustificazione e della coerenza sistematica di tale disciplina rispetto all’impianto della riforma. A questo proposito il relatore ha immediatamente avvertito che l’unità e la coerenza sistematica possono essere ricercate a diversi livelli di astrazione del discorso cosicché, a livello metodologico, occorreva individuare e definire sin da subito a quale livello si intendeva condurre l’indagine. E, al riguardo, il prof. Fantozzi ha evidenziato come, a suo giudizio, la scelta più corretta dovesse rifuggire da livelli di astrazione eccessivamente elevati poiché, diversamente, si sarebbe corso il rischio di pervenire a soluzioni intellettualmente appaganti, ma lontane dal sentire comune e non comunicabili al di fuori di una ristretta cerchia di cultori della materia dalla quale sarebbero, per di più, esclusi proprio i giuristi del resto dell’Unione Europea, portatori di quella cultura tributaria con la quale la riforma si propone di essere in totale sintonia. Adottando questa chiave di lettura, l’esame dell’insieme degli istituti che, in varia misura, disciplinano i rapporti socio-società sarebbe destinato, a giudizio del prof. Fantozzi, a condurre alla presa d’atto dell’irriducibilità degli stessi ad un disegno unitario. Si dovrebbe, piuttosto, ritenere che essi siano ispirati a logiche dif- 54 PARTE PRIMA 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A ferenziate avendo il legislatore, per un verso, optato (forse anche per motivi di gettito) per la distinzione del reddito della società rispetto a quello del socio e, quindi, per la parziale doppia imposizione economica di essi e, per l’altro, introdotto una serie di rimedi agli effetti intrinsecamente irrazionali di tale doppia imposizione i quali, però, restano complessivamente eterogenei anche nei rapporti reciproci. Così, ad esempio, la regola applicabile ai dividendi corrisposti ai soci persone fisiche viene contraddetta immediatamente là dove il socio è un’altra società di capitali. E, ancora, alla tendenziale indeducibilità delle perdite su partecipazioni si contrappongono, poi, istituti quali la trasparenza ed il consolidato che eliminano tale conseguenza. Proprio siffatta eterogeneità, allora, indurrebbe a concludere che si tratta, in tutti questi casi, di misure di favore predisposte in funzione della soddisfazione di interessi di settore la cui rilevanza, nella prospettiva di un giudizio di politica legislativa, ha fatto premio sull’aderenza all’ispirazione di fondo della riforma. Tale sostanziale incoerenza, poi, si traduce in una distribuzione del carico fiscale non conforme al principio dell’eguaglianza nel concorso alle pubbliche spese giacché il risultato dell’attività dell’impresa societaria subisce un prelievo fortemente differenziato a seconda del modulo impositivo di volta in volta applicabile. Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 4. Nell’ultimo dei tre interventi che qui si volevano segnalare, il prof. La Rosa ha affrontato il tema della thin capitalization ritornando su una questione di fondo già in parte adombrata dal prof. Fedele. Escluso, infatti, che – alla luce della sua genesi normativa e del suo assetto attuale – la disciplina della capitalizzazione sottile sia diretta a impedire o scoraggiare forme di investimento diversificate sotto il profilo dei livelli di imposizione, la ratio dell’istituto può essere compresa solo nel contesto di un chiarimento del rapporto fra il reddito d’impresa e la remunerazione dei capitali necessari al finanziamento dei costi (in termini di servizi, beni merci e beni strumentali) occorrenti per lo svolgimento dell’attività imprenditoriale. In questa prospettiva, il prof. La Rosa ha ricordato come, secondo gli schemi classici, nelle imposte di tipo reale si tenda ad escludere o a limitare fortemente la deducibilità degli interessi passivi, in quanto considerati erogazioni di reddito e non spese per la sua produzione (2). An——————— (2) I riferimenti di questa tesi tradizionale sono esposti con particolare approfondimento nel saggio dello stesso studioso di cui, nel testo, si riferisce il pensiero Interessi 55 DOTTRINA gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A che nelle imposte personali, poi, la deduzione degli interessi passivi sarebbe ammessa, ma quale componente negativa del reddito complessivo, piuttosto che come spesa dell’attività imprenditoriale. Ove si tenga conto di queste possibili configurazioni del reddito d’impresa, l’indeducibilità degli interessi passivi risponde a logiche diverse a seconda che, rispetto ad una determinata imposta, siano prevalenti i caratteri di realità o di personalità. A seguito dell’introduzione dell’Ires, in particolare, la prevalenza dei profili di realità sarebbe determinata essenzialmente dall’abolizione del credito d’imposta. In altri termini – e qui, teniamo a precisarlo, stiamo interpretando, più che riferire testualmente, il pensiero del prof. La Rosa – l’introduzione di una parziale doppia imposizione degli utili societari determinerebbe il venir meno della tassazione del reddito dell’impresa societaria come mero acconto rispetto alla tassazione di quel reddito in capo al socio, unica possibile giustificazione dell’imposizione delle società nella prospettiva di un’imposta personale. Se, dunque, l’imposizione del reddito ha, oggi, connotati di marcata realità, la limitazione della deducibilità degli interessi passivi può ritenersi “strutturale”. Si potrebbe, cioè, ritenere che la regola della thin capitalization risponda alla medesima logica che aveva ispirato l’art. 31 della legge sull’imposta di ricchezza mobile del 1877, in quanto individuerebbe i soli interessi passivi che, risolvendosi in “aggravio” del reddito d’impresa, sarebbero in quanto tali deducibili. Fa sc ic o lo sa 5. La sintetica esposizione delle problematiche affrontate nelle relazioni qui ricordate rende evidente come la disciplina dei rapporti soci-società – nella formulazione risultante a seguito nell’ultima riforma – riapre questioni e pone in discussione risultati che sembravano aver trovato sistemazioni definitive. E questo perché la novità di alcune discipline, congiunta alla molteplicità dei regimi alternativi, non si presta ad essere inquadrata facilmente in alcuno degli schemi già da tempo collaudati. È certo, allora, che occorrerà ancora del tempo per metabolizzare tale complesso di novità e pervenire a risultati maggiormente appaganti e più diffusamente condivisi; e ciò anche grazie al contributo di riflessioni così approfondite come quelle che abbiamo tentato più sopra di riassumere (3). ——————— passivi, interessi del debito pubblico e disciplina fiscale dei redditi d’impresa, in Rass. trib., 1985, 1. (3) Peraltro, la sintesi, come sempre, ma in questo caso in modo ancor più marcato, non rende giustizia alla complessità delle argomentazioni svolte da ciascun autore. Talché non può che auspicarsi la pubblicazione delle relazioni stesse. 56 PARTE PRIMA Tuttavia, proprio perché tali interventi devono servire a porre le basi per la sistemazione futura dei diversi istituti, ci sembra possibile azzardare alcune riflessioni che pongano in evidenza le ragioni di fondo dell’evidenziata divergenza di vedute e, forse, indichino ulteriori prospettive di ricostruzione della disciplina nel suo complesso. Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A 6. Innanzi tutto, ci sembra di dover individuare una prima cesura fra le diverse impostazioni in una scelta – in larga parte, come noto, di natura ideologica – circa le ragioni che possono spiegare l’applicazione dell’imposta sul reddito a soggetti diversi dalle persone fisiche. Il prof. La Rosa ed il prof. Fantozzi, ad esempio ed in linea con la concezione forse oggi prevalente, assumono, in modo più o meno esplicito, che gli enti, almeno quelli lucrativi a base associativa (in buona sostanza, le società), non siano altro se non strumenti per l’esercizio di un’attività d’impresa che resta sempre riferibile ai soci, talché il risultato di tale attività è, almeno nella prospettiva di un’imposta personale, reddito solo per i soci medesimi. Tassare le società, allora, può avere solo due significati: o la tassazione è un acconto dell’imposta che, poi, verrà prelevata a livello dei soci; oppure si opera nell’ambito di un sistema di imposizione reale, per cui la tassazione a livello della società può anche essere a “titolo definitivo”, ma solo perché è indifferente, nell’ottica di un’imposta reale, “dove” viene prelevata l’imposta. La prima spiegazione non può essere certamente applicata al regime attuale e resta quindi solo la seconda. Sul punto, però, ci sembra che, sotto profili diversi, l’analisi del prof. Fantozzi risulti divergente da quella del prof. La Rosa ed abbia maggiori punti di contatto con quella del prof. Fedele: se è vero, infatti, che il reddito è sempre il medesimo, pur essendo legittimo tassarlo a livello della società e non del socio, risulta invece irrazionale assoggettarlo a tassazione nuovamente in capo al percipiente. L’unica soluzione coerente con tale impostazione è quella della totale esenzione dell’utile distribuito dalla società, talché la previsione di un’esenzione parziale attenua, ma non elimina gli effetti di irrazionalità (e quindi la violazione dell’art. 53 Cost.). Tanto più se, come evidenziato dal prof. Fantozzi, l’entità di tale esenzione varia a seconda della qualifica soggettiva del percipiente e, inoltre, esistono metodi di imposizione che, invece, consentono di eliminare totalmente la doppia imposizione (consolidato, trasparenza ecc.). Tuttavia, quella appena prospettata, non è l’unica spiegazione 57 DOTTRINA Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A dell’imposizione del reddito delle società. È, infatti, ormai risalente un’altra giustificazione che vede le società come autonomi centri di riferimento della capacità contributiva (in modo distinto dai soci) e, quindi, suscettibili di essere chiamati a concorre autonomamente alla pubbliche spese. È questa la diversa prospettiva in cui si colloca l’analisi del prof. Fedele la quale poggia, peraltro, su alcuni referenti normativi presenti anche in vigenza del credito d’imposta: si pensi, per fare qualche esempio, alla possibilità che la tassazione in capo alla società divenisse definitiva perché l’utile già tassato veniva poi assorbito dalle perdite; oppure alla possibilità che quanto veniva distribuito dalla società al socio in sede di liquidazione della quota, per effetto del confronto fra costo di acquisto della quota e entità delle somme ricevute, dovesse qualificarsi come utile per il socio pur essendo restituzione di capitali per la società o viceversa. Si pensi, ancora, al fatto che la doppia imposizione operava in pieno, anche in vigenza del credito d’imposta, per i soci residenti di società estere (4). Tale regime non era però considerato discriminatorio (5) e siffatta circostanza attesta come la doppia imposizione non venisse considerata quale soluzione strutturalmente estranea al nostro sistema. In ogni caso, non è certo questa la sede per affrontare la questione di quale fra le diverse impostazioni di fondo sia maggiormente corretta. Anche perché, in definitiva, il dissenso non sembra poter essere composto solo sulla base di argomenti “tecnici”, dipendendo, al fondo, da scelte di valore. La differenza di impostazione meritava, però, di essere segnalata in quanto, per un verso, essa deve essere tenuta presente nell’analisi delle possibili interpretazioni del sistema le quali ne sono, inevitabilmente, profondamente condizionate; per l’altro verso, perché prendere atto della sua esistenza consente di rendersi conto che l’approdo ad interpreta——————— (4) Si badi bene che tale doppia imposizione non era solo “internazionale” (nel senso che non era determinata esclusivamente dal prelievo di imposte di stati diversi sul (l’asseritamente) medesimo reddito. In astratto, la società estera poteva avere una stabile organizzazione in Italia, nel qual caso il doppio d’imposta sarebbe stato determinato dalla congiunta applicazione dell’Irpeg e dell’Irpef sul medesimo reddito. L’ipotesi è, ovviamente, di “scuola”, ma non è priva di significato perché indica come il regime delle società estere non legittimava un particolare tipo di doppia imposizione, ma la doppia imposizione tout court. (5) Se non nell’ottica dei principi comunitari. Ma ritratta di un profilo completamente diverso da quello che qui rileva. 58 PARTE PRIMA di to re Sp A zioni più largamente condivise non potrà essere disgiunto dal generalizzarsi della preferenza per l’una o l’altra delle possibili soluzioni. Al riguardo, sembra doversi solo rilevare come appaia certamente esatta la tesi del prof. Fantozzi nella misura in cui nega la possibilità di pervenire ad una razionalizzazione del sistema partendo dalla premessa che nega l’autonoma soggettività (nel senso di cui sopra) delle società. Tuttavia, la necessità diffusamente avvertita di ricondurre ad un sistema unitario le diverse discipline esistenti – anche per l’indubbio pregio che tale risultato presenta quale chiave interpretativa dei casi “dubbi” – induce – insieme con innegabili preferenze personali – ad adottare, quantomeno come ipotesi di lavoro, l’altra impostazione. Ed in questa prospettiva saranno svolte le considerazioni che seguono. Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E 7. Prima di esporre quella che potrebbe essere un’ipotesi ricostruttiva del sistema, sembra opportuno fare una precisazione. Non pare, infatti, del tutto certo che i problemi dibattuti nel convegno leccese siano affatto estranei alla cultura ed alla sensibilità del resto del mondo. Per rendersene conto, basta ricordare che il tema del rapporto fra la tassazione delle società e quella del socio ha costituito oggetto di almeno cinque convegni dell’International Fiscal Association (6). A ciò deve aggiungersi che è proprio la dottrina anglosassone quella in cui si trovano gli approfondimenti e le discussioni più esaurienti in tema di rapporti fra la tassazione delle società e quella del socio. Fra questi studi, rappresenta, anzi, un classico quello del Goode principalmente per il tentativo ivi operato di classificare i diversi possibili sistemi (7). Secondo tale classificazione, la prima distinzione deve essere operata fra i sistemi tributari in cui vi è separazione fra la tassazione dei soci e quello della società (cd. sistema classico (8)) e quelli in cui l’esistenza dell’imposizione a carico della società si riflette, in vario modo, sulla tassazione dei soci o viceversa (sistemi di “integrazione”). Là dove, poi, vi ——————— (6) Si veda R.J. VANN, Trends in company/shareholders taxation: single or double taxation, General report al Congresso IFA di Sidney 2003, in Cahiers de droit fiscal international, 88a, 23, nt. 2 che cita i temi dei congressi IFA del 1954, 1955, 1964, 1970 (ai quali deve aggiungersi, appunto, quello di Sidney 2003). (7) Cfr. R. GOODE, The corporation income tax, New York, 1951. (8) È interessante notare che, secondo quanto riferisce S. CNOSSEN, What kind of corporation tax?, in Int’l bull. fiscal doc., 1993, 1, 3, il nome “classico” non indica una maggiore anzianità di questi sistemi, in quanto il metodo del credito d’imposta era già applicato in Germania nel XIX secolo. 59 DOTTRINA Stato di to Tipo di relazione fra i due livelli re Sp A è integrazione fra i due livelli, questa può avvenire o a livello della società – se è consentita la deduzione dei dividendi distribuiti (9) o l’applicazione di un’aliquota differenziata – ovvero a livello dei soci – con l’attribuzione di un credito d’imposta (nelle sue diverse forme) o la previsione di aliquote differenziate o di un’esenzione parziale o totale. Né è meno importante segnalare che tali diversi modelli non appartengono solo al mondo delle teorie, ognuno di essi trovando, anzi, concreta realizzazione storica come risulta dalla seguente tabella tratta dall’ultimo studio conosciuto in materia (10). Lussemburgo Paesi Bassi Svizzera Stati Uniti op yr ig ht G iu f fre 'E I. Nessuna relazione Sistema “classico” (i.e. doppia imposizione) gg io 1_ 20 05 -C II. Integrazione a livello della società A) Deduzione dal reddito societario dei dividendi lo sa B) Applicazione di aliquota ridotta all’utile distribuito Grecia Islanda Svezia Nessuno Fa sc ic o III. Integrazione a livello del socio A) Credito d’imposta Pieno Parziale Austria Finlandia Germania Nuova Zelanda Norvegia - Francia Irlanda ——————— (9) Si noti, incidentalmente, che la deduzione degli utili distribuiti fu suggerita quale soluzione ottimale nello studio condotto dall’American Law Institute (Income tax project, Tentative draft n. 2, 1979). (10) L’elenco, che per molti versi richiederebbe ulteriori aggiornamenti, è tratto da S. CNOSSEN, What kind of corporation tax?, cit., 3. 60 PARTE PRIMA Regno Unito Austria Belgio Danimarca Giappone Portogallo Turchia Canada Spagna Sp A B) Tassazione separata (con o senza esezione) lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sembra quindi potersi escludere che, dal punto di vista teorico e anche rispetto alla prassi internazionale, il dibattito sul sistema d’imposizione possa essere considerato sterile o eccessivamente astratto, perché, anzi, tutti i possibili sistemi sono ampiamente conosciuti e discussi e per ciascuno di essi sono state elaborate adeguate giustificazioni teoriche. Ciò nondimeno, è certamente vero che nella letteratura internazionale prevalgono – rispetto alle spiegazioni in chiave dogmatica – considerazioni pragmatiche ed economiche. Infatti, i diversi sistemi vengono apprezzati più per la loro maggiore o minore neutralità o per l’incidenza sugli investimenti, che per la loro conformità ai valori giuridici di un determinato ordinamento (11). Ma questo deve renderci avvertiti che i motivi per l’introduzione dell’uno o dell’altro sistema possono essere molteplici, ma non già dissuaderci dal valutarne la conformità o difformità ai valori di vertice del sistema. Fa sc ic o 8. Passando all’ipotesi ricostruttiva di cui si era detto in precedenza, ci sembra che, partendo dall’idea secondo cui gli enti (anche quelli lucrativi a base associativa) hanno autonoma soggettività e capacità contributiva, possano trovare spiegazione i molteplici moduli impositivi sui quali si appuntata la critica del prof. Fantozzi (la quale, non deve essere ——————— (11) Lo dimostra, ad esempio, il fatto che la deducibilità dei dividendi distribuiti ed il credito d’imposta vengono rappresentati come distinte modalità di integrazione dei due livelli di tassazione ancorché, probabilmente, essi corrispondano anche a visioni diverse del rapporto socio-società. Il primo metodo, infatti, sembrerebbe conforme alla considerazione del socio come mero investitore (e, quindi, non contraddice l’idea che la società abbia autonoma soggettività). Il secondo metodo, come si è già ricordato, sembrerebbe piuttosto riconnettersi all’idea che la società sia solo uno strumento per lo svolgimento di un’attività che resta comunque riferibile ai soggetti dalla cui associazione l’ente trae origine. 61 DOTTRINA Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A dimenticato, era fondata, però, su un’analisi che muoveva da presupposti affatto diversi). Infatti, la nuova disciplina sembra dividere il mondo degli enti societari in due sotto-insiemi. Da un lato, vi sono le “grandi” società di capitali rispetto alle quali il socio non è visto come il soggetto al quale imputare vuoi l’attività in sé, vuoi il suo risultato. Per questi enti sembra essere assolutamente prevalente la considerazione e la contrapposizione del socio come investitore alla società di capitali come titolare del reddito d’impresa e centro d’imputazione dell’attività. In questa prospettiva, risulta coerente la stessa definizione di utili da partecipazione i quali sono così qualificati in ragione della considerazione di uno solo dei diritti che, tradizionalmente, si riconnettono all’investimento in società; ossia il diritto, cd. patrimoniale, alla remunerazione in misura variabile (ossia in ragione di risultati dell’attività). Vengono messi, invece, in ombra i diritti “amministrativi” che sono quelli il cui esercizio maggiormente collega il socio allo svolgimento dell’attività. Dall’altro lato, vi sono le società di persone e quelle di capitali (che potremmo definire “piccole”) alle quali si applica il regime della trasparenza proprio perché, essendo più intensa la capacità del socio di influire effettivamente sulle scelte della società, viene correlativamente valorizzata la sua posizione come “partecipante” all’attività d’impresa, con conseguente diretta imputazione allo stesso del risultato dell’attività medesima. Si delinea, insomma, un doppio regime in dipendenza delle dimensioni della struttura organizzativa dell’impresa. Rispetto alla “piccola società”, il socio conserva il suo ruolo di centro di riferimento dell’attività (o, almeno, del risultato); rispetto alla “grande società”, il socio risulta qualificato come semplice investitore mentre attività e conseguenti risultati restano imputabili all’ente. Sia consentito di notare, incidentalmente, che questa distinzione non è in sé irrazionale, anzi appare coerente con la giustificazione tradizionalmente offerta dai sostenitori della riferibilità di autonoma capacità contributiva alle società (ed agli enti lucrativi a base associativa in generale), ossia che essi (enti), pur essendo strumenti per lo svolgimento dell’attività voluta dai soci, agiscono tramite organi la cui volontà non può essere considerata la mera somma della volontà dei partecipanti. La volontà di tali organi tende, bensì, ad autonomizzarsi cosicché la società risulta operare (anche) per il soddisfacimento di interessi e bisogni che solo in senso molto mediato possono essere identificati con quelli dei so- 62 PARTE PRIMA ci. I sostenitori del metodo “classico”, come è stato detto incisivamente, “point out that ownership and control functions have been completely divorced in large corporations” (12). Ovviamente, questa argomentazione, se assume particolare forza, sotto il profilo sociologico, per le public company, diventa molto meno convincente in caso di società a ristretta base partecipativa. Ed è proprio questa contrapposizione, rilevante sul piano della realtà sociale, che potrebbe dirsi tradotta nell’illustrato doppio regime impositivo. Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A 9. Dalla distinzione generale fra grandi e piccole società sembrerebbero discendere poi, per quanto riguarda le prime, alcune ulteriori conseguenze. L’attenzione avuta dal legislatore all’apporto in società come “investimento” ha reso necessario affrontare il problema se tale natura (di investimento) permanesse anche nei successivi impieghi che dell’originario apporto facesse la società contribuendo al capitale di altre società; ovvero se essi non dovessero considerarsi nient’altro che mere articolazioni della primigenia forma di investimento ed essere, quindi, neutralizzati. La scelta sembrerebbe caduta su questa seconda soluzione, secondo la quale ciò che conta, altrimenti detto, è l’impiego iniziale da parte della persona fisica, mentre sono (e, forse, devono essere) irrilevanti i successivi impieghi che vengono effettuati dalla società in altre società. Si spiegherebbe così, quindi, l’esistenza di un doppio regime degli utili e delle plusvalenze su partecipazioni a seconda che essi siano realizzati da persona fisica o da società. Nel primo caso, si tratta di proventi strutturalmente imponibili per i quali è prevista una parziale esenzione conforme a quella stabilita per gli utili da partecipazione (di modo che risulti tendenzialmente indifferente realizzare l’utile cedendo la partecipazione o ottenendone la distribuzione da parte della società). Nel secondo, si hanno “movimenti finanziari” tendenzialmente neutrali, cosicché l’esenzione (che, come noto, è quasi totale) ha un carattere “strutturale”. Impostazione, questa, che sembrerebbe confermata da (e, al tempo stesso, coordinabile con) la previsione di discipline particolari quali il consolidato ed il cd. consortium relief. ——————— (12) Cfr. S. CNOSSEN, What kind of corporation tax?, cit., 8. 63 DOTTRINA yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A In queste ipotesi, indubbiamente, la neutralità dei rapporti infra-societari viene ad essere particolarmente accentuata, ma esse sembrano avere una ratio comune con la esenzione delle plusvalenze su partecipazioni e dei dividendi infra-societari e l’accentuazione troverebbe giustificazione nella maggiore intensità dei rapporti partecipativi che costituiscono il presupposto per beneficiare di tali regimi. Accanto all’esclusione della doppia tassazione degli utili societari (alla quale sono finalizzate la participation e la dividend exemption), la maggiore intensità dei rapporti partecipativi giustificherebbe, cioè, la possibilità di attribuire alla società partecipante le perdite della partecipata. Si tratta, con tutta evidenza, di uno schema molto astratto che andrebbe verificato avendo riguardo ai singoli e specifici profili disciplinari propri dei diversi regimi qui richiamati solo per cenni. Pur con questa avvertenza, esso non ci sembra da scartare a priori e, certo, consentirebbe di eliminare molte delle incongruenze perspicuamente evidenziate negli interventi alla cui illustrazione queste note sono dedicate. Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op 10. La dottrina internazionale, nel richiamare l’argomento posto a giustificazione dei metodi cosiddetti “classici”, sottolinea come “however this argument does not provide an explanation for the difference in tax treatment of retained profit, dividend and interest” (13). Ed è appunto questo il problema esaminato, da punti di vista solo in parte divergenti, nelle relazioni del prof. La Rosa e del prof. Fedele. Si tratta di una questione che rileva sotto un duplice profilo. Innanzi tutto, la circostanza che gli interessi, diversamente dai dividendi, siano deducibili potrebbe dirsi (irrazionale perché) confliggente con quell’ipotetico principio di simmetria che vorrebbe deducibile per l’erogante tutto ciò che è tassabile per il percipiente, e viceversa. Tuttavia, tanto la relazione del prof. Fedele, quanto quella del prof. La Rosa sembrano concordi nel ritenere che tale principio di simmetria non ha natura cogente e, quindi, non debba necessariamente dedursi il regime fiscale di quanto viene erogato dal trattamento che l’erogazione riceve in capo al relativo percipiente. Peraltro, il prof. La Rosa, sulla base di indiscutibili premesse storiche, giunge a ritenere che, se di deroga rispetto ad un principio debba parlarsi, essa deve essere ravvisata, nell’ambito di un’imposta reale, pro——————— (13) Cfr. S. CNOSSEN, What kind of corporation tax?, cit., 8. 64 PARTE PRIMA Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A prio nel regime della generalizzata deducibilità degli interessi (parzialmente attenuato dalla regola della thin capitalization) il che renderebbe superflua ogni spiegazione in ordine ai motivi che giustificano l’indeducibilità dell’utile da partecipazione. L’argomento del prof. La Rosa presenta due profili diversi a seconda che lo si riguardi dal punto di vista di ciò che nega ovvero da quello, per così dire, propositivo. Il primo profilo consiste, in buona sostanza, nella negazione dell’esistenza di una nozione a priori di costo deducibile e, quindi, nell’affermazione della relatività del concetto stesso di reddito. Si tratta di una puntualizzazione sicuramente da condividere e sulla quale avremo modo di tornare fra breve. Il secondo profilo si pone quasi in contrasto con l’approccio relativistico che caratterizza l’approccio al primo, in quanto sembra di cogliervi l’idea della necessarietà dell’esclusione (o della limitazione) della deducibilità degli interessi passivi nell’ambito di un’imposta reale. Su questo punto, è forse possibile avanzare una riserva che dipende da considerazioni sia di ordine generale, sia più specificamente riferibili al regime della thin capitalization. In particolare, dal punto di vista generale, ci sembra che la stessa esperienza storica richiamata dal prof. La Rosa dimostri come anche quella operata dal legislatore dell’imposta di ricchezza mobile fosse una scelta politica. In effetti, anche interpretando (così come fa il prof. La Rosa) il riconoscimento della deducibilità degli interessi passivi per i soggetti tassati in base a bilancio quale contaminazione dell’idea “pura” di imposta reale con un’apertura verso i criteri propri dell’imposta “personale”, non è totalmente da escludere la possibilità che quella apertura fosse dettata da ragioni equitative, ossia da considerazioni tecnico-politiche inclini a recepire una diversa caratterizzazione dell’imposta reale. E, in questo senso, non sembra superfluo ricordare che ancora nella prima metà del secolo ventesimo (quindi immediatamente a ridosso dell’epoca in cui le tesi riferite dal prof. La Rosa si erano diffuse) gli scienziati delle finanze erano propensi a ritenere che, proprio rispetto ad un’imposta reale, l’indeducibilità degli interessi passivi costituisse un “paradosso” e fosse, quindi, irrazionale (14). Da un punto di vista più specifico, poi, sembra doversi osservare come tale tesi non appaia del tutto idonea a giustificare la disciplina della ——————— (14) Si veda, al riguardo, L. EINAUDI, Miti e paradossi della giustizia tributaria, in Scritti economici, storici e civili, Milano, 1973, spec. 44 ss. 65 DOTTRINA G iu f fre 'E di to re Sp A thin capitalization, in quanto potrebbe prospettarsi il dubbio, non privo di un certo fondamento, che il rapporto dei finanziamenti con il patrimonio netto – ossia il criterio in base al quale la vigente disciplina distingue fra interessi deducibili e interessi indeducili – non costituisca un parametro idoneo per sceverare gli interessi in conto esercizio da quelli in conto impianto (cosicché non vi sarebbe coincidenza fra i due binomi interessi indeducibili-deducibili, da un lato, e interessi in conto impianto o in contro esercizio, dall’altro). Il dubbio, ovviamente, non riguarda l’idoneità del parametro ad esprimere con assoluta precisione la distinzione fra le due tipologie di interessi, essendo evidentemente impossibile esigere univocità di significati da un criterio per sua natura forfetario. Tuttavia, anche un indice indiretto dovrebbe esprimere una correlazione almeno tendenziale. Ed è proprio questo che appare dubbio nel caso della disciplina della capitalizzazione sottile. Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht 11. Tuttavia, come si diceva, l’idea per cui la nozione di reddito – sia pure “netto” – può presentarsi variabile secondo le particolari nozioni d’imposta di volta in volta adottate merita attenta considerazione e, a questo proposito, il riferimento storico è di grande interesse. Ma non meno significativo è, poi, riflettere sulla circostanza che anche quando si cerca di individuare un criterio “oggettivo” fondato sulla distinzione fra i costi funzionali all’attività d’impresa o meno, non si può evitare comunque il riferimento a nozioni di “funzionalità” e di “impresa” necessariamente contingenti. In realtà, ci sembra di dover sottolineare come le difficoltà che si incontrano a ricondurre la nuova disciplina a sistema, non derivano solo dal fatto che essa è, appunto, “nuova”, ma esse sono da attribuirsi anche, e forse specialmente, all’essere, tale disciplina, improntata agli schemi propri dell’imposta reale, i quali sono molto distanti da quelli in base ai quali siamo abituati a ragionare e questo ci sembra debba essere tenuto presente nel valutare gli spunti che seguono. Volendo solo abbozzare – coerentemente con lo spirito di queste riflessioni le quali sono rivolte più a sollecitare il dibattito che a offrire soluzioni – uno schema di riferimento, si potrebbe partire da una nozione di costo come sacrificio patrimoniale collegato al (o determinato dal) compimento di un atto funzionale o inerente all’attività d’impresa, per esaminare, quindi, a quali logiche – cioè a quale nozione di (reddito di) impresa – siano ispirate le diverse limitazioni introdotte alla deducibilità di una determinata categoria di costi. 66 PARTE PRIMA Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A In questa prospettiva, le discipline che escludono totalmente la deducibilità della remunerazione dei finanziamenti in qualsiasi forma concessi all’impresa sembrerebbero risolversi nella negazione dell’inerenza all’impresa degli atti di acquisizione di capitali. Si tratta, evidentemente, di una nozione che porta alle estreme conseguenze la “realità” dell’impresa per effetto della implicita equiparazione della stessa ad un vero e proprio “cespite” e del reddito da essa derivante ai frutti del cespite medesimo. All’estremo opposto – in forma più coerente con un assetto personale dell’imposizione – si colloca l’idea della deducibilità di tutti i costi diversi da quelli relativi all’acquisizione dei capitali propri dell’imprenditore. È chiaro che, in questo caso, si considerano inerenti all’impresa anche gli atti di acquisizione e di coordinamento dei mezzi finanziari. Ma è ancor più evidente che tale concezione trova il suo baricentro nella valorizzazione della figura dell’imprenditore in sé, poiché il risultato dell’attività è individuato con riferimento a quanto residua all’imprenditore per la soddisfazione dei propri bisogni ed interessi. Se questi sono i due estremi della nozione di risultato dell’impresa, non sembrerebbe doversi escludere la legittimità di una nozione intermedia, la quale risulterebbe pur sempre improntata alla logica di un tributo reale – in quanto fondata su una nozione di risultato dell’attività oggettivamente considerata in cui si astrae dalla qualificazione soggettiva (come titolari dell’impresa) di coloro che partecipano ai risultati medesimi – ma non esclude la deducibilità di alcune forme di remunerazione del capitale investito. Pur riconoscendosi, cioè, che nell’attività di impresa sono implicati anche gli atti di acquisizione e coordinamento di finanziamenti, questi verrebbero distinti in ragione della rispettiva forma di remunerazione, cioè a seconda che essa abbia carattere incondizionato oppure sia solo eventuale e correlata al risultato dell’attività medesima. Ovvero, più precisamente e con maggiore coerenza rispetto alla nozione di “costo” prima prospettata, dai modi di remunerazione verrebbe desunta la diretta implicazione dell’atto rispetto all’attività (se la remunerazione è incondizionata), oppure la sua estraneità all’attività in quanto tale (se la remunerazione è eventuale e correlata al risultato dell’attività stessa). Nel primo caso il sacrificio patrimoniale determinato dall’atto è “interno” all’attività; nel secondo, proprio perché eventuale, esso si pone al di fuori della stessa presupponendola tanto nel momento dell’acquisizione dei mezzi finanziari, quanto in quello della loro remunerazione la quale si colloca in un momento logicamente successivo alla conclusione del relativo ciclo. 67 DOTTRINA Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A Si tratta, peraltro, di una valutazione corrispondente anche a quella degli interessi propri degli investitori. Tale interesse, in un caso, è definito facendo astrazione dallo svolgimento dell’attività, talché gli investitori si pongono in una posizione di indifferenza e, pertanto, si trovano (specularmente) in una situazione di estraneità rispetto all’attività medesima. Nell’altro, invece, l’interesse è direttamente correlato all’attività complessivamente considerata. Questa prospettiva alquanto empirica potrebbe, poi, essere tradotta in termini più strettamente giuridici traendo spunto dalle elaborazioni dottrinali in merito, da un lato, ai negozi parziari e, dall’altro, ai contratti aleatori. Né tale accostamento deve sembrare arbitrario giacché, per un verso, la comunanza di profili fra contratti aleatori e negozi parziari è stata spesso sottolineata (e autorevole dottrina individua proprio nell’aleatorietà della remunerazione il fondamento dei negozi parziari) (15); per altro verso, i contratti di investimento la cui remunerazione è indeducibile ai sensi dell’art. 109, comma 9, Tuir si riconducono al paradigma del contratto di associazione in partecipazione il quale, a sua volta, presenta più di un elemento in comune con i negozi parziari ed è ritenuto pacificamente un contratto aleatorio (16). Prendendo le mosse dai negozi parziari, si deve sottolineare come una diffusa ricostruzione della mezzadria e della soccida – secondo la disciplina del codice civile del 1865 – ha ritenuto che il diritto sul “prodotto” della “cosa” data in concessione al mezzadro ed al soccidario fosse oggetto di un acquisto a titolo originario da parte, certamente, del mezzadro e del soccidario medesimo nonché, secondo alcuni autori, anche del concedente e del soccidante (17). Non ha ovviamente senso qui interrogarsi sulla correttezza di tali tesi che interessano, invece, essenzialmente perché pongono nella massima ——————— (15) Si veda, per tutti, N. IRTI, Negozio parziario, in Noviss. dig. it., XI, Torino, 1965, 223 ss. (16) Sull’aleatorietà del contratto di associazione in partecipazione si vedano, per tutti, M. BREGLIA., Questioni controverse in tema di contratto parziario, in Riv. dir. comm., 1922, I, 457 ss. e N. IRTI, Negozio parziario, cit., 230; G. DE FERRA, Della associazione in partecipazione, in Commentario del codice civile a cura di A. Scialoja e G. Branca, Bologna-Roma, 1973, 15. L’appartenenza del contratto di associazione in partecipazione alla categoria dei negozi parziari è affermata da M. BREGLIA, Questioni controverse in tema di contratto parziario, cit., 487 ed è, invece, negata da N. IRTI, Negozio parziario, cit., 230 ma solo in ragione del fatto che l’alea, per l’associato, incide non solo sulla remunerazione, ma anche sulla restituzione del capitale. (17) Per le diverse opinioni vigente il codice del 1865 si veda M. BREGLIA, Questioni controverse in tema di contratto parziario, cit., 461 ss. 68 PARTE PRIMA 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A evidenza le conseguenze derivanti dallo spostamento della prospettiva dalla “attività” produttiva (soggettivamente individuata) alla “cosa” produttiva. Nella seconda prospettiva, infatti, il “prodotto” della cosa è per definizione estraneo alla cosa medesima e, quindi, si acquista indipendentemente da ogni relazione con il proprietario di essa. E questo colpisce ancora di più se si considera che, mentre nella mezzadria il “prodotto” (ossia i frutti) è pur sempre una res, nella soccida il prodotto (ovvero l’accrescimento del gregge o del bestiame) è un “valore” corrispondendo alla differenza fra la stima dell’universitas prima della concessione e quella finale. La possibile configurazione del risultato come qualcosa di estraneo all’attività sussiste, poi, anche nella prospettiva dei contratti aleatori. Si deve ricordare, infatti, che – pur nelle diverse elaborazioni dogmatiche – la definizione concettuale dei contratti aleatori (18) muove sempre dall’idea propria del Pothier – al quale è unanimente è attribuita la sistemazione originaria di questo tipo di contratti in parte poi trasfusa negli artt. 1104 e 1964 del Code civile (19) – secondo cui sarebbero aleatori i contratti il cui oggetto è costituito dal trasferimento del rischio (20). Come noto, infatti, la distinzione elaborata dal Pothier fra contratti commutativi e contratti aleatori (21) s’incentrava sul fatto che, nei primi, la prestazione ricevuta da un contraente è “l’equivalente della cosa che egli ha dato o si è obbligato a dare all’altro”, mentre, nei secondi, la pre- Fa sc ic o lo sa gg io ——————— (18) Ovviamente, ciò vale in primo luogo per i contratti aleatori in cui tale carattere deriva dalla “natura stessa del contratto”, ma l’affermazione vale anche per quelli – che qui interessano in modo specifico – per i quali l’aleatorietà costituisce conseguenza della “volontà delle parti”. Sulla distinzione fra le due tipologie e, al tempo stesso, sull’affievolirsi della stessa là dove l’alea, secondo la volontà delle parti, incida direttamente sull’an ed il quantum della prestazione, si veda R. NICOLÓ , Alea, in Enc. dir., I, Milano, 1958, 1024 ss. (19) Per un esame dei rapporti fra la concezione di Pothier e la sistemazione dei contratti aleatori nel Code Napoleon (con la citazione di un ampio stralcio della relazione di Portalis) si veda G. RIDOLFI, Alea, Aleatorii (contratti), in Dig. it., II, 2, Torino, 1893, 266 ss. (20) Nella dottrina più risalente, tale aspetto è indiscusso: cfr. G. RIDOLFI, Alea, Aleatorii (contratti), cit., passim. Ma esso viene ripreso anche nella dottrina italiana più recente, sia espressamente (cfr., p. es., A. BOSELLI, Alea, in Noviss. dig. it., I, Torino, 1957, 468 ss.), sia in termini più sfumati, da coloro che valorizzano l’aspetto funzionale dei contratti aleatori (p. es. A. GAMBINO, L’assicurazione nella teoria dei contratti aleatori, Milano, 1964). (21) Secondo uno schema che, non accolto dalla pandettisca tedesca, venne comunque ripreso nel codice del 1942. Cfr., sul punto, E. GABRIELLI, Alea, in Enc. giur. it., I, Roma, 2000, 6. 69 DOTTRINA op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A stazione ricevuta è l’equivalente “del rischio che egli si è addossato” (22). Con la conseguenza che anche i contratti di finanziamento, quando nel loro schema causale venga inserito il carattere dell’aleatorietà, assumono la funzione essenziale di trasferire il rischio: significativo, in tal senso, è l’immediato accostamento operato già nell’art. 1964 Code Civile, fra “contrat de assurance” e “prêt à grosse aventure” (23) (24). Partendo da questa premessa, sembra possibile ulteriormente argomentare che, laddove l’evento incerto sia costituito dal risultato complessivo dell’attività d’impresa, il rischio trasferito (in funzione del quale viene, quindi, sopportato il relativo sacrificio patrimoniale) non riguarderebbe un singolo atto, bensì l’attività nel suo complesso: cosicché, ad esempio, si è detto che nell’associazione in partecipazione, l’interesse dell’associante è quello della conservazione dell’efficienza e della funzionalità (dell’impresa complessivamente considerata) e nella costituzione di riserve (25). Talché, proprio in questa prospettiva, il suddetto sacrificio economico – sempre riguardato nell’ottica di un’imposta reale – dovrebbe considerarsi correlato ad un atto “esterno” rispetto all’attività produttiva (26) e, quindi, non configurabile come un costo deducibile (27). Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C ——————— (22) La citazione dell’espressione si trova in E. GABRIELLI, Alea, cit., 8. (23) Analogo accostamento è mantenuto, poi, nell’art. 1102 del codice del 1865. (24) Non è senza rilievo, ai nostri fini, ricordare gli stretti rapporti intercorrenti fra il “prestito a tutto rischio” ovvero “a cambio marittimo” ed il contratto di associazione in partecipazione. Si vedano, sul punto, V.E. PAOLI, Prestito a cambio marittimo (diritto antico), in Nuovo dig. it., X, Torino, 1939, 317 ss. e G. CAMPANINO, Prestito a cambio marittimo, in Nuovo dig. it., X, Torino, 1939, 319 ss. (25) In questo senso, testualmente, G. DE FERRA, Della associazione in partecipazione, in Commentario del codice civile a cura di A. Scialoja e G. Branca, Bologna-Roma, 1973, 10. (26) Forse, uno spunto in tal senso, potrebbe essere implicito nell’affermazione di N. IRTI, Negozio parziario, cit., 227 secondo cui “la clausola parziaria … compromette la norma straneità del compenso alle sorti dell’impresa”. L’autore non sviluppa tale affermazione perché metodologicamente indifferente ai profili economico-sociali dei tipi contrattuali (che, invece, caratterizzavano, come sottolinea criticamente lo stesso Irti, l’analisi del Breglia). Ma non sembra fuori luogo rilevare che al venir meno della “straneità” dell'associato rispetto all'attività d'impresa, corrisponda, in modo speculare, la perdita del carattere puramente “interno” dell'atto di acquisizione di capitali operato dall'associante ed il suo collocarsi a monte e all'esterno dell'impresa complessivamente considerata. (27) La non “inerenza” all’attività di atti dispositivi riguardanti l’azienda nel suo complesso è stata da ultimo rilevata da A. FEDELE, Il regime fiscale di successioni e liberalità, in questa Rivista, 2003, 865 ss. e non sembra improprio estendere la medesima qualificazione anche agli atti che riguardino l’attività complessivamente considerata. 70 PARTE PRIMA Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A Se questo schema risultasse accettabile, se ne potrebbe trarre, al tempo stesso una spiegazione dell’attuale regime e una conferma del carattere più spiccatamente reale dell’Ires, essendo evidente che è proprio quella descritta la soluzione adottata dalla riforma appena realizzata. Come si sarà notato, ci siamo limitati ad alcuni spunti essenziali che mirano non a offrire una soluzione – per la quale occorrerebbe ben altra dimostrazione – quanto a dimostrare la molteplicità delle prospettive di analisi offerte dalla nuova disciplina sperando che ciò possa stimolare, insieme alle critiche, anche gli ulteriori approfondimenti in vista di un’adeguata sistemazione concettuale dei nuovi istituti. Si deve, infine, precisare che, agli effetti della verifica dell’ipotesi ricostruttiva appena prospettata, sembrerebbe comunque necessario tenere distinti due diversi profili della riforma. Da un lato, infatti, vi è il problema della accettabilità di una nozione di utili da partecipazione – e della loro distinzione rispetto agli interessi – fondata sul solo criterio della forma di remunerazione (ovvero astraendo completamente dalla titolarità dei diritti “amministrativi”). Dall’altro lato, si deve considerare la logica sottesa alla generalizzata estensione di tale criterio distintivo a qualsiasi forma di finanziamento. In questo secondo caso, infatti, potrebbe non essere estranea alla scelta del legislatore la valorizzazione di esigenze di tipo antielusivo e, quindi, sotto tale profilo, l’esistenza di alcune incongruenze con lo schema di riferimento non determinerebbe, necessariamente, la sua inapplicabilità poiché esso continuerebbe ad avere il suo centro di riferimento nella omologazione di tutti gli apporti di capitale a forme tendenzialmente indifferenziate di investimento – con la conseguente equiparazione del livello di tassazione dell’investitore ossia con la eliminazione, quale effetto della svalutazione del profilo partecipativo, di ogni considerazione della previa tassazione del reddito societario – e, al tempo stesso, nella differente disciplina della deducibilità della remunerazione medesima dal reddito d’impresa in dipendenza della accentuazione dei profili di realità del tributo e della nozione di attività di impresa accolta. GUGLIELMO FRANSONI Gli inusuali ambiti dell'autotutela in materia tributaria 'E di to re Sp A SOMMARIO: - 1. Nozione di autotutela. - 2. Esercizio del potere di autotutela nell’ambito di rapporti pendenti o esauriti. - 3. Eventuale presentazione dell’istanza da parte del contribuente e obbligo dell’amministrazione finanziaria di comunicare l’esito del procedimento di riesame. - 4. Considerazioni conclusive. Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 1. Nozione di autotutela. - Licenziando la voce autotutela (1), fornii una definizione dell’istituto perfettamente coerente con il disposto dell’art. 68, comma 1, DPR 27 marzo 1992, n. 287, recante il regolamento degli uffici e del personale del Ministero delle finanze [a quel momento il referente normativo sicuramente più significativo per individuarne gli ambiti operativi, abrogato poi dall’art. 23 del DPR 26 marzo 2001, n. 107] in termini di “jus poenitendi dell’amministrazione finanziaria, cioè quale attività amministrativa di secondo grado in funzione della sanatoria di provvedimenti per qualsiasi verso illegittimi e/o infondati”. Trascorsi solo pochi anni, devo preliminarmente prendere atto del netto straripamento dal delineato alveo per effetto dell’ingresso in scena di ulteriori referenti normativi ed attuativi di natura regolamentare; e segnatamente: a) il regolamento, recante “norme per l’individuazione degli organi dell’amministrazione finanziaria competenti per l’esercizio del potere di autotutela e disciplina della relativa procedura” (decreto 11 febbraio 1997, n. 37 (2), emanato in esecuzione dell’art. 2-quater, comma 1, legge 30 novembre 1994, n. 656), include nella nozione di autotutela la (attività di) mera “rinuncia all’imposizione in caso di autoaccertamento” (art. 1, comma 1) affiancandola, per l’appunto, al generale potere di “an——————— (1) S. MUSCARÀ, Autotutela, V) Diritto tributario, in Enc. giur. Treccani, IV, Roma, 1996. (2) Il regolamento è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 5 marzo 1997, n. 53; vd., anche, in questa Rivista, 1997, III, 342, e in Boll. trib., 1997, 386. 72 PARTE PRIMA 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A nullamento e di revoca” di provvedimenti illegittimi e/o infondati (di già contemplato dall’art. 68 con il solo limite che sull’atto non “sia intervenuto giudicato”) (3). La fonte propositiva dell’estensione è istituzionalmente autorevole siccome costituita dal parere consultivo fornito dall’adunanza generale del Consiglio di Stato alla bozza del regolamento (parere 28 novembre 1996), laddove si osserva che “l’accertamento dell’obbligo tributario” può anche prescindere “dall’adozione di atti specifici da parte dell’amministrazione (finanziaria)”, indicazione successivamente tradotta dal Ministero delle finanze nella locuzione suindicata. In realtà, gli effetti della disposizione attuativa risultano, sul piano strettamente concettuale, parecchio insoddisfacenti. Ciò non tanto, o non solo, perché viene riesumata (4) una nozione (“autoaccertamento”) che suona una sorta di contraddizione in termini, in quanto evoca l’essenza della funzione amministrativa di imposizione riferendola, impropriamente, all’attività (doverosa in quanto prescritta dalla legge) del contribuente di adempimento degli obblighi tributari, quanto perché, in tal modo, l’attività di autotutela viene forzatamente estesa alla procedura di controllo amministrativo del corretto adempimento da parte del contribuente degli obblighi fiscali (5). Si travalica, in tal modo, il solco comunemente tracciato per l’auto- Fa sc ic o lo sa gg io 1_ ——————— (3) Tra i numerosi commenti al contenuto (e alla filosofia) del regolamento, vd., tra gli altri, V. FICARI, Pregi e difetti della disciplina regolamentare dell’autotutela dell’amministrazione finanziaria, in Rass. trib., 1997, 349 ss.; D. STEVANATO, Autotutela e mediazione di esigenze in conflitto: note a margine del regolamento ministeriale, in questa Rivista, 1997, I, 139 ss.; in argomento, vd., anche Circ. Dir. delle Entrate per la Provincia autonoma di Trento - servizio I - Divisione I, n. 9282 del 12 marzo 1997, richiamata dalla Circ. Dip. Entrate - Ufficio del Direttore Generale, n. 195/E4762/UDC dell’8 luglio 1997, in Fisco, 1997, 8578 ss. (4) A. BERLIRI, Corso istituzionale di diritto tributario, I, Milano, 1985, 261; G. PUGLIESE, Istituzioni di diritto finanziario, Padova, 1937, 135-136; A.D. GIANNINI, Il rapporto giuridico di imposta, Milano, 1937, 230; Id., I concetti fondamentali del diritto tributario, Torino, 1956, 291; B. COCIVERA, Accertamento tributario, in Enc. dir., I, Milano, 1958, 250; esprimono posizioni critiche, A.F. BASCIU - E. NUZZO, Autoliquidazione del tributo, in Enc. giur. Treccani, IV, Roma, 1991, 2. Adotta tuttora, ma solo descrittivamente, tale espressione, G. FALSITTA, Manuale di diritto tributario, Parte generale, IV ed., Padova, 2003, 346; (5) In tale (distorta) ottica, la Comm. centr., sez. XVI, 27 settembre 1999, n. 5500, in Giur. imp., 2000, 36, ed ivi nota di G. CONTESTABILE, ha ritenuto che “la norma dell’art. 36 bis del DPR n. 600/1972, consente all’ufficio, nell’esercizio del potere di autotutela, di porre rimedio all’errore, immediatamente percettibile in base alla dichiarazione e agli allegati, in cui sia incorso il contribuente”. 73 DOTTRINA Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A tutela in termini di riesame critico da parte dell’amministrazione del proprio operato (quindi, attività di secondo grado); non più (o non solo) un ripiegarsi su sé stessa della funzione impositiva onde correggerne gli esiti distorti (6), bensì una generica estensione all’attività (di primo grado) di verifica della correttezza dell’operato del contribuente. Peraltro, l’accostamento dei due concetti risulta alquanto singolare: la locuzione “rinuncia all’imposizione” (con le inevitabili perplessità che il concetto di rinuncia immediatamente solleva in riferimento a obbligazioni pubbliche (7)) è equivoca e, probabilmente, fuorviante, atteso che la natura dell’attività alla quale si allude è volta, semmai, al “corretto” esercizio del prelievo (e non certo alla “rinuncia”). Nella fattispecie, in realtà, non ricorrono né la imposizione (che l’amministrazione non ha ancora attuata) né, tantomeno, la rinuncia, sebbene segmenti di funzione amministrativa primaria esercitati in ossequio a criteri di correttezza, buon andamento ed imparzialità (art. 97 Cost.) che devono imprescindibilmente connotare l’agire dell’amministrazione, di per sé comunque fondamentalmente estranei alla nozione classica di autotutela. Il punto di riferimento essenziale della locuzione risulta l’istituto della dichiarazione; e della stessa è opportuno, innanzitutto, focalizzarne la portata operativa. Si allude, sotto un primo profilo, all’idoneità dell’atto del contribuente a costituire il titolo sostanziale della riscossione (anche forzata, se del caso) sicché le somme, in quanto scaturenti dalla dichiarazione, sono per ciò stesso considerate “dovute”, anche se tali effettivamente non siano (sia che siano state versate, come per legge, dal contribuente all’atto della presentazione della dichiarazione sia che si debbano ancora riscuotere dall’amministrazione mediante atto di iscrizione a ruolo). ——————— (6) A. QUARANTA, L’autotutela nell’attività dell’amministrazione finanziaria e i diritti del contribuente, in “Scritti in memoria di Aldo Piras”, Milano, 1996, 550 ss.; Id., L’autotutela amministrativa, in Riv. guardia finanza 1999, 1507 ss.; V. FICARI, Autotutela e riesame nell’accertamento del tributo, Milano, 1999, 30; A. DE FAZIO, La Commissione tributaria regionale eccepisce l’incostituzionalità della disciplina degli avvisi di accertamento integrativi o modificativi, in questa Rivista, 2003, II, 901 ss. (7) Cfr. V. FICARI, Pregi e difetti della disciplina regolamentare dell’autotutela dell’amministrazione finanziaria, cit., 349. L’autore ritiene che la previsione metta “energicamente in crisi il principio dell’indisponibilità del credito”. Probabilmente il timore appare eccessivo ove si consideri che la fattispecie riguarda semplicemente la fase del controllo dell’operato del contribuente, allo scopo di adeguare perfettamente l’ammontare dell’imposta versata ai dati dichiarati. 74 PARTE PRIMA Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A Muovendo da tale premessa, non a caso una serie di ipotesi (anzi la maggior parte) all’interno della casistica contenuta nel comma 1 dell’art. 2 del regolamento [lett. b) evidente errore logico o di calcolo; lett. c) errore sul presupposto dell’imposta; lett. e) mancata considerazione di pagamenti di imposta, regolarmente eseguiti; lett. f) mancanza di documentazione successivamente sanata, non oltre i termini di decadenza; lett. g) sussistenza dei requisiti per fruire di deduzioni, detrazioni o regimi agevolativi, precedentemente negati; lett. h) errore materiale del contribuente facilmente riconoscibile dall’amministrazione] richiamano (anche o principalmente) il procedimento di “correzione” della liquidazione dell’imposta siccome erroneamente effettuata dal contribuente (sul versante, specificamente, dell’attività di controllo della liquidazione della dichiarazione con esiti favorevoli al contribuente stesso). Ma, a questo punto, non si può limitare il concetto esclusivamente all’intervento amministrativo d’ufficio, allorché l’errore del contribuente sia “facilmente riconoscibile”, ma, inevitabilmente, deve essere generalizzato all’intera attività di rimborso (ancorché promossa a seguito di istanza del contribuente in relazione, anche, ad elementi non compresi nella dichiarazione, secondo le condivisibili indicazioni da ultimo dettate dalle sezioni unite della Cassazione (8)) istituendo, in tal modo, un discutibile contrappunto tra attività di rimborso (del dichiarato) e rinuncia (all’imposizione). Si sarebbe indotti a ritenere, in tal modo, che la funzione di liquidazione possieda una natura ambivalente a seconda degli esiti del procedimento: se sfavorevoli al contribuente, graviterebbe nell’orbita dell’imposizione (in senso lato) (9); di contro, se favorevoli, dovrebbe concettualmente ascriversi alla funzione di autotutela, istituendo una sorta di doppio binario di dubbia coerenza sistematica (o meglio: di indubbia incoerenza sistematica). Per altro verso, in determinati casi, l’attività di autotutela investe la funzione di liquidazione della dichiarazione anche con esiti sfavorevoli al contribuente. ——————— (8) Cass., SS.UU., 25 ottobre 2002, n. 15063, in questa Rivista, 2003, II, 91, ed ivi R. BAGGIO, La posizione delle Sezioni Unite sull’emendabilità della dichiarazione tributaria; anche in Dir. prat. trib., 2003, II, 1109, ed ivi R. SUCCIO, Le sezioni unite della Cassazione si pronunciano a favore della emendabilità della dichiarazione da parte del contribuente. (9) Si devono pur sempre distinguere le funzioni di liquidazione e di imposizione in quanto possiedono connotati giuridici diversi, sebbene la legge, piuttosto forzatamente, tenda ad accomunare gli effetti dello stato di inopponibilità dei relativi atti. 75 DOTTRINA Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A A tal proposito, come è noto, al sistema è stata impressa una positiva evoluzione: il legislatore ha garantito l’attuazione del principio del contraddittorio imponendo all’ufficio di comunicare gli esiti del controllo cd. formale allorché in contrasto con il contenuto della dichiarazione. Nell’ipotesi che i “chiarimenti” forniti dal contribuente persuadano l’ufficio a desistere (in tutto o in parte) dalla pretesa ancora solo abbozzata, si darebbe luogo ad un’attività (di rinuncia) in autotutela (10). Tale impostazione, della quale l’interprete prende atto con non poco disagio, risulta normativamente sancita dall’art. 2 DL 18 dicembre 1997, n. 462 (11), come modificato dal comma 2 dell’art. 3 D.Lgs. 26 gennaio 2001, n. 32, che inscrive, per l’appunto, nell’attività di autotutela anche l’ipotesi di “iscrizione a ruolo non eseguita in tutto o in parte” per effetto dei ripensamenti dell’amministrazione finanziaria “a seguito dei chiarimenti forniti dal contribuente o dal sostituto d’imposta” in base alla normativa dettata dagli artt. 36 bis e 54 bis rispettivamente dei DPR n. 600/1973 e n. 633/1972 (12). Inscrivere nella funzione di autotutela l’attività istruttoria relativa alla liquidazione dell’imposta scaturente dalla dichiarazione (prescindendo dall’esito della stessa, pro o contra il contribuente) rappresenta operazione concettualmente non corretta ancorché operativamente poco significativa. In definitiva, l’attività di autotutela che nella vigenza dell’art. 68 e del comma 1 dell’art. 2-quater poteva essere definita nei termini illustrati in premessa, ha rotto decisamente gli argini andando discutibilmente ad invadere le funzioni di liquidazione delle imposte dovute in base alla dichiarazione e di rimborso delle somme indebitamente versate dal contribuente. A stretto rigore rimane tuttora estranea alla sfera operativa dell’au——————— (10) In tale contesto, la Circ. Dir. Centr. Affari amministrativi, 11 luglio 2000, n. 143/E/II/2/152617/2000, in questa Rivista, 2000, II, 489, ritiene annullabili in via di autotutela le comunicazioni (cd. avvisi bonari) emesse ai sensi degli artt. 36 bis DPR n. 600/1973 e 56 n. 633/1972. (11) Una disposizione analoga è quella prevista dal D.Lgs. n. 99/2000 che, con l’art. 2, comma 1, lett. f), ha modificato l’art. 25 del D.Lgs. n. 472/1997. Tale disposizione prevede la possibilità di rideterminazione in sede di autotutela di somme iscritte in ruoli resi esecutivi entro il 31 dicembre 2000 a seguito di controllo formale delle dichiarazioni presentate dal 1994 al 1998, e contempla, tuttavia, una fase in cui il procedimento di liquidazione si è di già esaurito con l’emissione dell’atto di iscrizione a ruolo. (12) In argomento, M.V. SERRANÒ , In tema di ripercussione degli effetti dell’autotutela sugli atti-presupposto, in questa Rivista, 2000, II, 549. 76 PARTE PRIMA sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A totutela (perché rientrante, a pieno titolo, nella funzione impositiva vera e propria), l’attività di valutazione dei contributi istruttori di organi esterni all’amministrazione finanziaria, quali i PVC della Guardia di finanza ovvero le stime dell’Agenzia del territorio (ex UTE), o degli uffici tecnici dei Comuni, siccome organi istituzionalmente estranei agli uffici erariali, incaricati di fornire elementi di valutazione di per sé sottoposti al vaglio critico dall’amministrazione finanziaria per essere eventualmente fatti propri (in tutto o in parte) e, quindi, trasfusi nei provvedimenti impositivi (13). Nel lumeggiato contesto, quindi, rappresenta pur sempre un’imprecisione sostenere che le decisioni amministrative assunte sulla base degli atti sopra indicati ovvero delle osservazioni e delle richieste del contribuente (ad es. quelle depositate entro 60 gg. dalla comunicazione di chiusura del PVC ex art. 12 legge 27 luglio 2000, n. 212), formulate allo scopo di contribuire a formare una (diversa) valutazione degli uffici (14), rientrino nella nozione di autotutela. Nella fattispecie, infatti, non sono riscontrabili né un versamento del contribuente (per effetto di autoaccertamento) al quale l’amministrazione finanziaria “rinuncia” (perché indebito), né una pretesa (ancora del tutto in fieri) in quanto l’atto è formato da un organo esterno al fine esclusivo di contribuire alla formazione del corretto convincimento dell’amministrazione finanziaria. D’altra parte se l’interprete procede ad indebite estensioni della nozione (già di per sé debordante dall’alveo comunemente segnato dal di- Fa sc ic o lo ——————— (13) Di contrario avviso, C. MONTUORI, Rinuncia all’imposizione in caso di rettifica derivante da processo verbale di constatazione affetto da vizio di legittimità. L’autotutela non è un optional, in Fisco, 1999, 792; G. MAINOLFI - M. PISANI, L’esercizio dell’autotutela nei confronti degli atti della Polizia tributaria, in Corr. trib., 2000, 2184; S. SEBASTIANI, Invalidità dell’atto di accertamento e jus poenitendi dell’amministrazione finanziaria, in questa Rivista, 2002, I, 987, il quale inquadra la fattispecie in termini di “realizzazione in via preventiva” del potere di autotutela. In argomento, vd., anche, D. STEVANATO, Tutela dell’affidamento e limiti all’accertamento del tributo, in Rass. trib., 2003, 815 ss.; M.V. SERRANÒ , In tema di ripercussione degli effetti dell’autotutela sugli atti-presupposto, cit., 549; S. MORONI - T. MORINA, L’ufficio Iva ha applicato il decreto 37/97 non dando corso a una verifica infondata. Autotutela: archiviati a Siracusa verbali per un miliardo e mezzo, in Il Sole-24 Ore, Norme e tributi, 20 agosto 1997, 13, per i quali “la rinuncia alla emissione di un atto impositivo... è una decisione di autotutela dell’amministrazione finanziaria”. (14) In argomento, vd., S. SAMMARTINO, I diritti del contribuente nella fase delle verifiche fiscali, in Lo Statuto dei diritti del contribuente, a cura di Gianni Marongiu, Torino, 2004, 125 ss. 77 DOTTRINA sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A ritto pubblico), l’autotutela si trasforma, addirittura, in un confuso sinonimo dello stesso esercizio dell’attività impositiva di primo grado, perdendo qualsiasi utile connotato di settore (15). b) Un altro (duro) colpo alla nozione di autotutela è stato inferto dall’art. 27 legge 18 febbraio 1999, n. 28, che ha introdotto il comma 1 bis all’art. 2-quater legge 30 settembre 1994, n. 564, secondo il quale nella nozione di autotutela deve essere ricompreso anche “il potere di sospendere l’efficacia dell’atto”. L’estensione è volta a colmare un vuoto di potere degli uffici venutosi a determinare nel momento stesso in cui veniva loro attribuito il potere di annullamento d’ufficio del provvedimento emanato (addirittura anche di quello divenuto definitivo), mentre rimanevano sorprendentemente privi del potere di sospendere l’efficacia esecutoria dell’atto, ancorché si trattasse di una funzione di spessore meno intenso in relazione agli interessi erariali (16). Entrambe (funzione di autotutela e attività di sospensione) rappresentano espressioni dell’attività di riesame dei provvedimenti impositivi, ma solo forzatamente, anche in tal caso, si può ritenere che quella volta alla (momentanea) sospensione degli effetti del provvedimento costituisca attività di per sé “ricompresa” nell’autotutela, siccome poteri che producono effetti diversi e non necessariamente collegati: l’uno mantiene in vita il provvedimento, neutralizzandone momentaneamente solo l’efficacia esecutoria; l’altro, di converso, consegue definitivamente effetti ablatori (17). Fa sc ic o lo ——————— (15) A tale risultato perviene I. MANZONI, Potere di accertamento e tutela del contribuente nelle imposte dirette e nell’Iva, Milano, 1993, 4, per il quale l’atto di accertamento rappresenta una manifestazione di autotutela della pubblica amministrazione (in attuazione di un generico e amorfo “farsi ragione da sé”), recependo de plano l’isolata opinione svalutativa della nozione espressa da A.M. SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1989, 174. (16) S. MUSCARÀ, Art. 27 della legge 18 febbraio 1999, n. 28, ovvero, dopo le cartelle pazze, le norme bizzarre, in Rass. trib., 2000, 28; contra, G. GAFFURI, Lezioni di Diritto Tributario, Parte generale e compendio della parte speciale, IV ed., Padova, 2002, 155, secondo il quale, invece, “l’art. 27 rende esplicito un principio già presente nel sistema” (il che è esatto per l’ordinamento amministrativo ma non lo era per quello tributario). (17) Amplius, S. MUSCARÀ, Art. 27 della legge 18 febbraio 1999, n. 28, cit., 27; contra, A. BETTI, Autotutela e sospensione degli effetti dell’atto illegittimo o infondato, in Azienditalia, finanza e tributi, 1999, 386; M.V. SERRANÒ , Considerazioni sull’autotutela tributaria alla luce della legge n. 28/1999 (cosiddetto omnibus fiscale), in Boll. trib., 1999, 629. 78 PARTE PRIMA ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A Una fattispecie applicativa del principio espresso nel comma 1 bis è fornita, poi, dal comma 1 quinquies che disciplina “la sospensione degli effetti dell’atto disposta anteriormente alla proposizione del ricorso giurisdizionale” prevedendo, inoltre, la (necessaria) emanazione “di un nuovo atto, modificativo o confermativo di quello sospeso”. Attività, questa, quindi, di puro riesame atteso che può ordinariamente sfociare nell’emanazione di un atto sostitutivo pienamente confermativo del precedente e, come tale, rinnovativo della pretesa escludendosi, in tal modo, qualsiasi profilo di illegittimità (anche puramente formale) dell’atto sostituito (18). L’autotutela, in questa specifica ipotesi, pertanto, equivale ad attività di mero riesame prescindendo del tutto dai profili di sanatoria di vizi del provvedimento. In tal fatta la nozione di autotutela ha acquistato tratti peculiari di settore nel contesto del diritto pubblico. In definitiva, la nozione di autotutela nella materia tributaria annovera, attualmente, il potere di sospendere l’efficacia esecutoria del provvedimento impositivo, quello di revoca e di annullamento di provvedimenti illegittimi o infondati (attività di riesame che è volta alla sanatoria di provvedimenti invalidi) e, puranco, la funzione di controllo della liquidazione della dichiarazione (sia con esiti favorevoli che sfavorevoli al contribuente) e, infine, l’attività di rimborso di somme indebitamente riscosse (ancorché spontaneamente versate dal contribuente) in sede di dichiarazione. Come è facile constatare, il legislatore ha tracciato un ambito operativo particolarmente confuso e affastellato, in seno al quale convivono Fa sc ——————— (18) L’esegesi secondo cui “la norma... istituisce uno spatium deliberandi durante il quale il termine (perentorio) è interrotto ed inizia a decorrere ex novo solo con la (necessitata) notifica del nuovo atto nei cui confronti il contribuente, se lo ritiene, potrà proporre ricorso” (S. MUSCARÀ, Art. 27 della legge 18 febbraio 1999, n. 28, cit., 30 ss.) non è condivisa da F. D’AYALA VALVA, L’attivazione delle “procedure” di autotutela tributaria, in questa Rivista, 2004, I, 174, secondo il quale, invece, “la norma non dice se la sospensione dell’efficacia comporti anche la sospensione dei termini per l’impugnativa giurisdizionale; in assenza si deve ritenere che, in ogni caso, l’atto debba essere impugnato nei termini”. In tal modo si vanifica, però, l’intento legislativo di consentire l’impugnazione dell’originario atto in occasione dell’impugnazione del (necessitato) provvedimento successivo (secondo i noti meccanismi della tutela differita). L’obiettivo primario della (singolare) normativa appare, infatti, quello di eliminare la necessità del contribuente di impugnare l’atto (ancorché sospeso) nel termine decadenziale concedendo, in tal modo, all’amministrazione agio di provvedere “in autotutela” senza l’assillo di subire un’impugnativa (probabilmente) vincente. 79 DOTTRINA gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A (infelicemente) vuoi poteri di riesame amministrativo di comportamenti contra legem vuoi poteri decisori di primo grado; questi ultimi poco o nulla hanno a che spartire, in realtà, con la istituzionale nozione di autotutela amministrativa. Allo scopo di delineare, infine, la portata della nozione, anche sotto un profilo storico, giova chiarire una sorta di equivoco: si legge spesso, in argomento (in tal senso anche una miriade di articoli apparsi sul quotidiano Il Sole-24 Ore), che l’istituto dell’autotutela sia stato introdotto nel sistema tributario per effetto dell’art. 68 del DPR n. 287/1992 (19) o, anche, dell’art. 2-quater legge n. 656/1994 (20); si ritiene da altri, di converso, che il potere d’annullamento d’ufficio sia sempre immanente o “organico” al potere di amministrazione attiva, ancorché scarsamente utilizzato in passato dall’amministrazione finanziaria, del tutto restía a riconoscere, per intuibili ragioni, i propri errori (21). Tesi entrambe esatte – ancorché apparentemente in contraddizione – a condizione di puntualizzarne portata e contesto. Per un verso, infatti, non può essere revocata in dubbio, in generale, l’immanenza del potere amministrativo di emanare un contrarius actus (22), vale a dire la naturale attribuzione all’amministrazione di fare e di disfare, quindi di agire e di rivedere criticamente, se del caso, il proprio operato onde correggerlo (lo impongono, s’intende, gli istituzionali fini di legalità e correttezza dell’agire amministrativo). Ma tale prospettazione deve (rectius: doveva) essere riferita (e limitata), in diritto tributario, ai rapporti cd. pendenti. Fa sc ic o lo sa ——————— (19) E. DE MITA, Principi di diritto tributario, II ed., Milano, 2000, 39; U. PERRUCCI, L’autotutela tributaria e il suo diniego di fronte alla verifica giurisdizionale, in Fisco, 2000, 4472; S. SEBASTIANI, Invalidità dell’atto di accertamento e jus poenitendi dell’amministrazione finanziaria, cit., 987; M.V. SERRANÒ , L’autotutela in diritto tributario, in Lineamenti di Diritto Tributario, a cura di Luigi Ferlazzo Natoli, Milano, 2003, 94; G. DE LUCA, Diritto tributario, XIV ed., Napoli, 2000, 82; M. A. GALEOTTI FLORI, L’autotutela, in I tributi in Italia, IV ed., Padova, 1999, 141. (20) L. FERLAZZO NATOLI, Corso di diritto tributario, Parte generale, Milano, 1997, 156. (21) In argomento, G. FALSITTA, Manuale di diritto tributario, cit., 367; A. FANTOZZI, Il diritto tributario, terza edizione, Torino, 2003, 494; E. ROSINI, L’autotutela tributaria: un ricorso in opposizione?, in Rass. trib., 2002, 845. Opportunamente L. DEL FEDERICO, Tutela del contribuente ed integrazione giuridica europea. Contributo allo studio della prospettiva italiana, ed. provv., Pescara, 2003, 80, rileva la “riscoperta dell’autotutela” operata in questi ultimi anni. (22) In argomento, S. LA ROSA, Autotutela e annullamento d’ufficio degli accertamenti tributari, in questa Rivista, 1998, I, 1148; R. VILLATA, L’atto amministrativo, in Diritto amm., a cura di L. Mazzarolli, Bologna, 1998, passim. 80 PARTE PRIMA 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A È altrettanto scontato, per altro verso, che la normativa innanzi richiamata risulta assolutamente originale, se non addirittura rivoluzionaria, per ciò che attiene ai rapporti cd. esauriti: anteriormente all’introduzione dell’art. 68, infatti, fortemente influenzata (sia pure impropriamente) dal principio dell’indisponibilità dell’obbligazione tributaria, la regola ordinaria era quella secondo la quale all’amministrazione finanziaria era assolutamente inibito rinunziare agli effetti di un provvedimento inoppugnabile siccome giuridicamente equiparabile agli effetti della sentenza passata in cosa giudicata (23); e tale conclusione era definitivamente avvalorata proprio dalla normativa – assolutamente eccezionale – mediante la quale il legislatore attribuiva espressamente all’amministrazione il potere di annullamento d’ufficio a fronte di provvedimenti definitivi (24). Pertanto la normativa commentata esprime, in un unico e amorfo contesto, una singolare ambivalenza: meramente riproduttiva di principi generali (per i rapporti pendenti) e, al contempo, assolutamente innovativa di poteri per l’innanzi disconosciuti (relativamente ai rapporti esauriti). Sicché l’effetto profondamente originale (ancorché del tutto inaspettato (25)) è stato, in realtà, introdotto dall’art. 68, nel momento in cui ha generalizzato il potere di intervento caducatorio anche ai provvedimenti Fa sc ic o lo sa gg io 1_ ——————— (23) A. BERLIRI, Corso istituzionale di diritto tributario, cit., 322. Insiste, di recente, sull’equiparazione, S. SEBASTIANI, Invalidità dell’atto di accertamento e jus poenitendi dell’amministrazione finanziaria, cit., 990. (24) Cfr. art. 34 RD 30 dicembre 1923, n. 3269, in materia di imposta di registro; art. 37 RD 30 dicembre 1923, n. 3270, in materia di imposta di successioni e donazioni; art. 11, D.Lgs. 8 novembre 1990, n. 374, concernente il riordinamento degli istituti doganali e la revisione delle procedure di accertamento. In argomento, vd. A. UCKMAR, La legge di registro, I, Padova, 1953, 440; D. REGAZZONI, La riduzione dei valori definitivamente accertati, in Dir. prat. trib., 1976, I, 511; BATTISTA - JAMMARINO, Commento alla legge sulle tasse di registro, I, Torino, 1935, 238; G. AMADIO, Se possa l’amministrazione notificare un nuovo accertamento di maggior valore, dopo che il valore accertato sia divenuto definitivo per mancata opposizione, in Riv. leg. fisc., 1950, 1 ss.; G. PROVINI, Autotutela dei diritti della pubblica amministrazione e irrevocabilità dell’avviso di accertamento, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1952, II, 225. (25) Gli addetti ai lavori si attendevano, più semplicemente, un richiamo al potere di autotutela (e una normativa regolamentare in ordine all’esercizio del potere da parte dello stesso ufficio che ha emanato il provvedimento illegittimo), onde stimolarne la pratica da parte dell’amministrazione finanziaria, anche al fine di conseguire l’obiettivo di deflazionare l’imponente contenzioso pendente; ha (positivamente) stupito l’estensione del potere di annullamento anche agli atti divenuti definitivi, il che prospetta, però, problematiche interpretative estremamente delicate. 81 DOTTRINA inoppugnabili, sull’onda di un processo di democratizzazione del rapporto fisco-contribuente che ha finito per travolgere un argine fino ad allora considerato invalicabile. Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A 2. Esercizio del potere di autotutela nell’ambito di rapporti pendenti o esauriti. - In limine all’indagine giova porre una premessa sistematica che condiziona, inesorabilmente, lo sviluppo dimostrativo della ricerca. L’interprete deve assumere, a monte, una nozione di teoria generale, qual è l’autotutela (sia pure fortemente arricchita in diritto pubblico di contenuti di matrice giurisprudenziale), secondo i connotati che la caratterizzano ed indagarne, poi, le eventuali varianti normative introdotte nella materia specialistica. Si introduce in tal modo, un iniziale elemento di chiarezza in un argomento nel quale – proprio perché non sempre è convenientemente apprezzata la matrice di teoria generale – tutte le potenziali opzioni argomentative sono state tranquillamente coltivate, con un inevitabile senso di disagio in chi si approssima al tema. Il concetto di fondo è rappresentato dalla constatazione che l’autotutela costituisce un territorio esclusivo (rectius: una riserva) nel contesto dell’attività amministrativa, nel senso che rappresenta un segmento del potere svolto nell’esclusivo interesse della stessa amministrazione la quale corregge, se del caso, errori precedentemente commessi; il che può, solo indirettamente e del tutto occasionalmente, procurare un vantaggio al privato. Ciò comporta che tale specifica funzione amministrativa non deve essere osservata dall’ottica dell’interesse del privato contribuente (26) ma fondamentalmente da quello dell’interesse pubblico al corretto esercizio della funzione amministrativa (27); tale premessa comporta, a mo' di corollari, tra l’altro, l’inquadramento dell’autotutela nell’area delle attività discrezionali (28), il fatto che l’amministrazione può attivarla in ——————— (26) Da tale angolo visuale si pongono pregiudizialmente numerosi autori, tra gli altri, D. STEVANATO, L’autotutela dell’amministrazione finanziaria. L’annullamento d’ufficio a favore del contribuente, Padova, 1996, passim; M. STIPO, Osservazioni in tema d’autotutela dell’Amministrazione finanziaria a favore del contribuente, in Rass. trib., 1999, 705 ss. (27) In argomento, vd. F. BENVENUTI, Autotutela (diritto amministrativo), in Enc. dir., IV, Milano, 1959, 544. (28) Giurisprudenza univoca: cfr., ex plurimis, Cons. St., sez. V, 22 settembre 1993, n. 926, in Giur. it., 1994, III, 1, 170; Cons. St., sez. VI, 19 luglio 1994, n. 1241, in Rass. 82 PARTE PRIMA qualsiasi momento, che l’eventuale istanza prodotta dal privato non comporta l’obbligo di avviare il procedimento (e, quindi, di comunicare il provvedimento negativo adottato in autotutela). Questi ultimi concetti sono sintetizzati dalla osservazione che all’esercizio dell’autotutela risultano inevitabilmente estranee, in via ordinaria, problematiche di tutela giurisdizionale (vale a dire che il privato non vanta alcuna significativa posizione giuridica da far valere in giudizio: cd. interesse di mero fatto (29)). Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A ——————— Cons. St., 1994, I, 1125; Cons. St., sez. I, 9 aprile 1997, n. 372; Cons. St., sez. IV, 27 luglio 1994, n. 634. In materia tributaria, in tal senso, vd. Cass., SS.UU., 4 ottobre 1996, n. 8685, in Rass. trib., 1997, 1589, ed ivi O. NOCERINO, Azione di responsabilità aquiliana per risarcimento del danno prodotto dall’amministrazione finanziaria, e in Boll. trib., 1997, 558, ed ivi F. BRIGHENTI, Autotutela: un wishful thinking?; Cass., sez. trib., 9 ottobre 2000, n. 13412, in questa Rivista, 2001, II, 464, ed ivi S. LA ROSA, Definitività degli avvisi di liquidazione, autotutela tributaria, e ripetibilità delle imposte “principali” nel sistema delle imposte sui trasferimenti; Cass., sez. trib., 7 dicembre 2001, n. 2002, in Fisco, 2002, 10694; Cass., sez. trib., 5 febbraio 2002, n. 1547, in questa Rivista, 2002, II, 552 ed ivi R. BONAVITACOLA, L’autotutela dell’amministrazione finanziaria. Vd., anche, G. FALSITTA, Manuale di diritto tributario, cit., 367; R. LUPI, Diritto tributario, Parte generale, VI ed., Milano, 1999, 90; Id., La nuova normativa sull’annullamento d’ufficio degli atti impositivi illegittimi: spunti per una discussione, in Boll. trib., 1992, 1799; Id., Atti definitivi e decadenze, se l’autotutela non arriva cosa può fare il contribuente, in Rass. trib., 1994, 755; Id., L’autotutela tra giurisdizione “ratione materiae” e “per situazione soggettiva”, in Dialoghi di Diritto tributario, 2004, 680; G. TINELLI, L’accertamento sintetico del reddito complessivo nel sistema dell’Irpef, Padova, 1993, 271, nota 21; M.A. GALEOTTI FLORI, Il principio della autotutela tributaria, in questa Rivista., 1996, I, 662; A. GARCEA, La pretesa tributaria nella moderna dinamica impositiva, Padova, 2003, 190 ss.; A. BUSCEMA - E. DI GIACOMO, Il processo tributario. Aspetti problematici e strategie processuali, II ed., Milano, 2004, 280; D. STEVANATO, La giustiziabilità del rifiuto di autotutela avanti il giudice amministrativo: un’arma spuntata?, in Dialoghi di diritto tributari, 2004, 678; G. PORCARO, Il diniego di autotutela è impugnabile davanti le Commissioni tributarie? Una tesi che non convince, in Dialoghi di diritto tributario, 2004, 667; L. DEL FEDERICO, Tutela del contribuente ed integrazione giuridica europea, cit., 78; M. MILANESE, La natura tributaria dell’atto non preclude il ricorso agli organi di giustizia amministrativa, quando ne ricorrano i presupposti, in questa Rivista, 2004, I, 310. (29) Anche in tal caso giurisprudenza del tutto pacifica: cfr., Cons. St., sez. IV, 30 novembre 1992, n. 995, in Rass. Cons. Stato, 1992, I, 2531; Cons. St., sez. VI, 1 aprile 1992, n. 201, in Rass. Cons. Stato, 1992, I, 573; C.G.A.R.S., 25 maggio 1998, n. 319, in Rass. Cons. Stato, 1998, I, 1067. In materia tributaria la Corte Suprema si è limitata ad escludere, in particolare, la giurisdizione delle Commissioni tributarie: Cass., sez. trib., 9 ottobre 2000, n. 13412, cit., 464; Cass., sez. trib., 5 febbraio 2002, n. 1547, cit., 552. Vd., in argomento, S. COMPAGNO, I limiti all’autotutela tributaria su atti non impugnabili, in Diritto & diritti, settembre 2002. 83 DOTTRINA Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A Per cogliere le distanze tra autotutela e tutela (che rappresentano, anche terminologicamente, una sorta di contraddizione in termini) bisogna considerare che, inevitabilmente, delle due l’una: a) o il privato può ancora esercitare o ha di già esercitato l’ordinaria tutela giurisdizionale (ipotesi che, per comodità, abbiamo definito rapporto pendente), nel qual caso l’autotutela deve chiaramente essere esercitata nell’ottica dell’interesse esclusivo dell’amministrazione finanziaria considerando, anche, le prospettive circa l’esito del procedimento contenzioso attivabile o di già attivato dal privato; b) ovvero il privato ha bruciato la facoltà di impugnare il provvedimento (cd. rapporto esaurito), nel qual caso, a fortiori, l’amministrazione deve valutare l’opportunità di modificare, sempre nel proprio esclusivo interesse, gli effetti del provvedimento di già realizzatisi e giuridicamente cristallizzati. In entrambi i casi l’istituto non interferisce con l’ordinaria esigenza della tutela giurisdizionale del privato. A tale premessa sistematica consegue una prospettiva ulteriore e di maggior respiro: come, ordinariamente, si prescinde, affrontando il tema dell’“autotutela”, dalla prospettiva della tutela del privato, bisogna, del pari, considerare che molteplici profili della disciplina ordinaria non si applicano, per ciò stesso, al rapporto scaturente dall’esercizio del potere di autotutela; non si applicano, in generale, ad esempio, le disposizioni della legge n. 241/1990, in materia di procedimento amministrativo e di trasparenza degli atti amministrativi, in quanto normativa dedicata al rapporto ordinario tra amministrazione e privato (30). L’approccio interpretativo, quindi, che appare metodologicamente corretto è quello di ricavare chiaramente dalla normativa di settore disposizioni derogatorie al quadro di teoria generale sinteticamente illustrato. Allo scopo di cogliere tali eventuali varianti, giova preliminarmente sottolineare il fatto che la (sparuta) normativa in tema di autotutela è ammannita dal legislatore tributario in maniera amorfa e indifferenziata, di talché l’interprete potrebbe ritenere, a prima vista, che i presupposti e le condizioni dell’esercizio del potere siano sostanzialmente omogenei. Si impone, in realtà, una preliminare distinzione a seconda che il ——————— (30) Contra, V. FICARI, Autotutela e riesame nell’accertamento del tributo, Milano, 1999, passim; Id., Istanza di annullamento d’ufficio e doveri dell’amministrazione finanziaria, in Boll. trib., 1998, 247; A. TURCHI, I poteri delle parti nel processo tributario, Torino, 2003, 260. 84 PARTE PRIMA Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A rapporto sia ancora pendente ovvero esaurito, atteso che i comportamenti amministrativi risultano inevitabilmente diversificati nelle due distinte ipotesi. A tal proposito si consideri: 1. allorché l’art. 2-quater, comma 1, subordina “l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio” (31) al riscontro dell’illegittimità o dell’infondatezza dell’atto, va da sé che entrambi i tipi di vizio (l’illegittimità evoca i vizi cd. formali del provvedimento, mentre l’infondatezza concerne, specificamente, “l’esistenza e/o l’ammontare del credito tributario” (32)) devono essere presi in considerazione dall’amministrazione finanziaria allorché riesamini un atto che ne risulti affetto e il cui rapporto sia tuttora pendente. In tal caso sull’ufficio incombe il potere-dovere di annullare l’atto (infondato) ovvero di sostituire l’atto illegittimo con uno legittimo allo scopo di non rischiare che la pretesa sia vanificata a causa del vizio che inficia il provvedimento costitutivo della pretesa (con l’unico limite, s’intende, che l’amministrazione versi in costanza di potere); il ripristino della legalità risulta, quindi, strettamente funzionale alla salvaguardia sostanziale degli interessi erariali, ivi compresa l’immanente possibilità di subire la condanna alle spese in quanto potenziale parte soccombente in giudizio. Di contro, l’attività di autotutela a fronte di provvedimenti divenuti inoppugnabili (allorquando non sia stato proposto ricorso, ovvero, per altro verso, lo stesso risulti tardivo o inammissibile) non può che trascurare l’esistenza di vizi di legittimità dell’atto per appuntarsi esclusivamente sulla infondatezza della pretesa (33). In tale ipotesi, infatti, l’amministrazione vanta un titolo sostanziale definitivo che non può mettere nel nulla invocando l’astratto interesse al ripristino della legalità (formalmente) violata atteso che l’amministrazione deve dimostrare a sé stessa, mediante congrua motivazione (che in ta——————— (31) Per ciò che riguarda, specificamente, l’ambito del potere di “revoca” degli atti dell’amministrazione finanziaria, vd. S. MUSCARÀ, Autotutela, V) Diritto tributario, cit., 1. (32) Secondo la dizione adottata dall’abrogato art. 21 del DPR n. 636/1972, in tema di “rinnovazione dell’atto impugnato” iussu iudicis. (33) Contra, E. DE MITA, Ma per gli atti illegittimi il rimedio è un dovere, in Il Sole-24 Ore, 4 dicembre 1996, 18. Secondo D. STEVANATO, Autotutela e mediazione di esigenze in conflitto, cit., 145, “in presenza di un vizio attinente a profili “formali” l’amministrazione ben difficilmente accorderebbe la rimozione dell’atto, specie se divenuto definitivo per mancata impugnazione”. Ad onor del vero, nell’ipotesi di atto impugnato affetto da vizi formali, l’amministrazione che non intervenisse in autotutela si comporterebbe, quantomeno, in maniera miope. 85 DOTTRINA sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A le ipotesi non risulta tanto inserita a garanzia del contribuente quanto a giustificazione dell’adozione del provvedimento in autotutela ai fini di un controllo amministrativo interno), le ragioni della rinuncia alla pretesa (34). Nella illustrata prospettiva, in realtà, non si deve trascurare il fatto che, nonostante l’atto sia illegittimo, la giurisdizione di (puro) annullamento (35) attribuisce automaticamente all’amministrazione (non l’esaurimento del potere ma) l’effetto ripristinatorio (36), vale a dire il poteredovere di ribadire la pretesa (perché sostanzialmente fondata) mediante l’emanazione di un atto legittimo (o, si potrebbe alternativamente affermare, mediante la convalida dell’atto illegittimo). Coerentemente militano nella vigente normativa gli artt. 42 e 61 DPR n. 600/1973 in base ai quali i vizi di legittimità del provvedimento (analogamente per i vizi del procedimento che provocano l’illegittimità derivata del provvedimento) devono essere fatti valere nel corso del processo di primo grado (in base agli artt. 18 e 24 del DPR n. 546/1992, in realtà, i motivi addotti nel ricorso introduttivo, possono essere integrati solo se “resi necessari dal deposito di documenti non conosciuti”), altrimenti tamquam non essent (risultano cioè, automaticamente assorbiti e non rilevabili d’ufficio dal giudice). Il fenomeno cd. dell’assorbimento del vizio di legittimità (non fatto valere e, quindi, in assoluto, ininfluente ai fini dell’annullamento del provvedimento impugnato), impedisce, a monte, all’amministrazione di motivare congruamente l’atto in autotutela che, quindi, si ripete, potrà attingere solo a ragioni di merito (vale a dire relative all’infondatezza sostanziale del provvedimento divenuto definitivo). Fa ——————— (34) Solo in tale ipotesi, infatti, opera il generale principio, derogato, nella fattispecie, dalla espressa disposizione normativa, di indisponibilità dei crediti erariali sancito dalla legge di contabilità dello Stato (artt. 188 ss., artt. 219 ss. del RD 23 maggio 1924, n. 827; in argomento, vd. A. FANTOZZI, Il diritto tributario, cit., 493). (35) A partire dalla fondamentale sentenza n. 2085/1985, com’è noto, anche la Cassazione ha riconosciuto che il processo tributario possiede natura composita: al contempo di annullamento nell’ipotesi che il provvedimento impugnato sia affetto da vizi formali e di accertamento del rapporto ove il contribuente acceda al merito, vale a dire all’an e/o al quantum debeatur (Cass., sez. I, 23 marzo 1985, n. 2085, in Rass. trib., 1985, II, 780, ed ivi P. RUSSO, I dubbi infondati della Suprema Corte, e in Giur. it., 1986, I, 1, 910, ed ivi G. PASSARO, Sulla natura impugnatoria del giudizio tributario). (36) Cfr., Cass., sez. trib., 16 luglio 2003, n. 11114, in questa Rivista, 2003, II, 896, ed ivi A. DE FAZIO, La Commissione tributaria regionale eccepisce l’incostituzionalità della disciplina degli avvisi di accertamento integrativi o modificativi. 86 PARTE PRIMA Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A 2. Peraltro chiunque esamini il contenuto del regolamento attuativo converrà che alcune norme sono pensate e scritte in relazione all’esercizio dell’autotutela per rapporti pendenti (e non hanno molta ragion d’essere per quelli esauriti) e viceversa. Così “il potere... di rinuncia all’imposizione in caso di autoaccertamento” secondo i tratti ricostruttivi in precedenza delineati, investe essenzialmente i rapporti pendenti nell’ipotesi di rimborso d’ufficio di somme erroneamente versate dal contribuente. 3. Nella stesura dell’art. 3 del regolamento il Ministero delle finanze ha avuto particolare riguardo ai rapporti pendenti, specificamente laddove impone “priorità alle fattispecie per le quali sia in atto o (sussista) rischio di un vasto contenzioso”. 4. Il regolamento dedica gli artt. 6 e 7 alla gestione del contenzioso improntandola a criteri di economicità; ma anche l’art. 8 si rivolge esclusivamente ai rapporti pendenti atteso che la valutazione del rapporto costi-benefici che viene opportunamente posto, in tal caso, alla base dell’attività di autotutela, risulta nient’affatto significativa in ipotesi di provvedimenti definitivi per i quali sussiste solo una valutazione (necessariamente normativa) di costo della riscossione con eventuali risvolti di desistenza legati, comunque, alla legislazione in tema di procedura di riscossione forzata da parte del Concessionario (37). 5. Di contro, l’intero art. 2 del regolamento (dedicato, come si è avuto occasione di rilevare, alle fattispecie astrattamente più meritevoli dell’intervento annullatorio), è fondamentalmente rivolto agli uffici allo scopo di fornire loro una sorta di bussola (solo indicativa) rispetto alle decisioni da assumere in tema di provvedimenti inoppugnabili (atteso, si ripete, la diversa prospettiva che orienta le decisioni amministrative in tema di rapporti pendenti). Come si accennava in precedenza, il risultato è veramente singolare: in relazione ai rapporti pendenti l’amministrazione deve intervenire in ogni caso nel proprio interesse allo scopo di sanare qualsiasi tipo di vizio (formale e/o sostanziale); nell’ipotesi di inoppugnabilità del provve——————— (37) Una eccezionale ipotesi di “transazione dei tributi iscritti a ruolo” tra l’Agenzia delle entrate e il contribuente è prevista “quando nel corso della procedura esecutiva emerge l’insolvenza del debitore o questi è assoggettato a procedure concorsuali”, disciplinata dall’art. 3, comma 3, legge 8 agosto 2002, n. 178; in argomento, vd., E. BELLI CONTARINI, La transazione con il fisco sui ruoli della riscossione, in Boll. trib., 2003, 1464; V. FUSCONI - G. ANTICO, Dalla compensazione alla transazione tributaria, in Boll. trib., 2004, 415; A. MERCATALI, La transazione, in sede esecutiva, sulle somme iscritte a ruolo per imposte statali, in Boll. trib., 2004, 1467. 87 DOTTRINA sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A dimento, l’amministrazione non si può affidare ad alcun criterio certo e predeterminato. Per un verso, infatti, la norma le concede, anche in queste specifiche ipotesi (38), semplicemente la “facoltà” di esercitare il potere di autotutela allorché reputi il provvedimento “infondato” (vale a dire che l’imposta risulti sostanzialmente non dovuta, considerata, nell’ipotesi di inoppugnabilità, l’irrilevanza del vizio cd. formale). Dall’altro, l’amministrazione non deve necessariamente procedere in autotutela in qualsiasi ipotesi di infondatezza del provvedimento, ma particolarmente nei casi estremi ed eclatanti (allorché l’immagine di imparzialità e correttezza dell’amministrazione uscirebbe appannata dalla ingiustizia di riscuotere o trattenere somme palesemente non dovute) (39). Non a caso, infatti, la casistica proposta dall’art. 2, peraltro meramente esemplificativa, indica, per l’appunto, fattispecie scontate di ingiustizia sostanziale che, però, non attribuiscono al contribuente la certezza del riconoscimento amministrativo. Sotto questo profilo, il legislatore ha certamente mancato di coraggio, essendo auspicabile che fattispecie determinate (quali potevano essere quelle elencate all’art. 2), attribuissero al contribuente il “diritto” alla riapertura dei termini per il ricorso alle Commissioni tributarie quale giudice naturale del “merito” dell’imposta dovuta (anche perché, in tali casi fondamentalmente si demanda al giudice tributario la conoscenza di fatti ulteriori e/o sopravvenuti, autonomi, comunque, rispetto al contenuto dell’originario atto impositivo, quali la duplicazione o l’errore di persona, l’omonimia, il palese travisamento dei fatti a base dell’avviso di accertamento, ecc. (40)). Fa ——————— (38) Espressamente prospettato in termini di “facoltà”, il potere di autotutela può quindi dispiegarsi relativamente a molteplici fattispecie discrezionalmente valutate (sul punto, cfr. A. FANTOZZI, Il diritto tributario, cit., 495; R. LUPI, Diritto tributario, cit., 89). (39) Tale criterio è decisamente respinto da P. RUSSO, Riflessioni in tema di autotutela nel diritto tributario, in Rass. trib., 1997, 552 ss.; Id., Manuale di diritto tributario, Parte generale, Milano, 2002, 215 ss., in quanto non esprimerebbe un criterio giuridicamente apprezzabile; bisogna, però, prendere atto che non è stato mai fornito (e il regolamento, in questo senso, rappresenta un’occasione mancata) alcun criterio vincolante, sicché si innesca un potere amministrativo di natura squisitamente discrezionale che, nei fatti, l’amministrazione finanziaria ha configurato quale momento di salvaguardia della propria immagine. In altri termini, dal momento che l’amministrazione non “deve” necessariamente procedere all’annullamento, può crearsi delle regole interne di comportamento (purché non discriminanti) quali sono state, in realtà, in parte espresse con il citato regolamento. (40) Sul punto, amplius, S. MUSCARÀ, Autotutela, cit., 2; più di recente, anche 88 PARTE PRIMA Discorso diverso bisogna riservare a quelle specifiche ipotesi (quali quella del giudicato penale favorevole al contribuente (41) ovvero del giudicato tributario di merito favorevole ottenuto dall’obbligato solidale (42) ovvero del sequestro o della confisca sopravvenuti rispetto all’imposizione di redditi derivanti da fatto illecito), nelle quali il comportamento amministrativo non appare discrezionale (com’è caratteristica dell’autotutela) bensì doveroso (43) (quindi di per sé estraneo all’istituto dell’autotutela, correttamente inteso quale cura di un interesse proprio dell’amministrazione (44)), innescandosi in tali ipotesi, i consueti canali Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A ——————— V. FICARI, Impugnazione del diniego espresso di autotutela e giurisdizione tributaria: clomori di novità?, cit., 383, auspica l’individuazione di una espressa casistica sottoposta alla giurisdizione delle Commissioni tributarie. Spunti, più in generale, per attribuire alle Commissioni “la tutela (risarcitoria) degli interessi legittimi lesi dall’esercizio illegittimo” del potere impositivo in A. FANTOZZI, Nuove forme di tutela delle situazioni soggettive nelle esperienze processuali: la prospettiva tributaria, in questa Rivista, 2004, I, 38 ss. (41) “In ottemperanza al principio di ordine generale desumibile dall’art. 4 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, l’amministrazione finanziaria ha l’obbligo, in sede di autotutela, di conformarsi al giudicato dei Tribunali (penali)” (Corte cost., 23 luglio 1997, n. 264, in questa Rivista, 1998, II, 101, ed ivi V. FICARI, Art. 12., comma 2, legge n. 516/1982 e potere di autotutela negativa dell’amministrazione finanziaria); conformemente, Cass., sez. III, 27 gennaio 2003, n. 1191, in Boll. trib., 2003, 1097, ed ivi L. ROSA, La risarcibilità del danno da parte dell’amministrazione finanziaria; pubblicata, anche, in Giustizia amministrativa, 2003, 588, ed ivi L. VIOLA, Diritto tributario e tutela risarcitoria. In argomento, M. BASILAVECCHIA, Giurisdizione delle commissioni e diniego di autotutela, in Riv. giur. trib., 1998, 617; G. FRANSONI, Considerazioni “a caldo” a proposito dell’obbligatorietà della conformazione dell’amministrazione finanziaria al giudicato penale, in Rass. trib., 1998, 261 ss.; V. FICARI, Impugnazione del diniego espresso di autotutela e giurisdizione tributaria: clamori di novità?, cit., 380; G. RIPA, Rapporti tra giudicato penale e autotutela tributaria, in Boll. trib., 2004, 325 ss. (42) P. RUSSO, Manuale di diritto tributario, cit., 219, ritiene che nella fattispecie l’amministrazione operi nell’esercizio del potere di autotutela. (43) Contra, A. FANTOZZI, Il diritto tributario, cit., 496, nota 787, il quale, invece, include nella sfera di operatività dell’autotutela l’ipotesi di “giudicato penale favorevole ottenuto dall’imputato-contribuente solo successivamente al consolidarsi dell’atto impositivo” pur concependola attività (di conformazione) “doverosa” da parte dell’amministrazione finanziaria. (44) Analogamente, del resto, si esclude l’esercizio del potere di autotutela in ipotesi di provvedimento adottato in contrasto con la normativa comunitaria, in quanto rimozione “obbligatoria” in ragione del primato del diritto comunitario, automaticamente esercitata senza che possano in alcun modo rilevare ulteriori valutazioni richieste, invece, per il corretto esercizio del potere di autotutela (identificate da F. CARINGELLA, Corso di Diritto amministrativo, tomo II, seconda edizione, Milano, 2003, 1712; nella “illegittimità acclarata del provvedimento”, nella esistenza di “un interesse pubblico attuale e concreto che non si esaurisca nell’interesse a ristabilire la legalità” e, infine, nel “bilan- 89 DOTTRINA A di tutela (del diritto) del contribuente presso il giudice tributario ex art. 21, capoverso, del DPR n. 546/1992 (sotto il profilo di titoli sopravvenuti di riconoscimento del diritto del contribuente a non corrispondere l’imposta ovvero a conseguirne il rimborso (45)). Risulta, comunque, scarsamente problematico, in generale, il tema dell’autotutela in ipotesi di rapporto pendente; propone notevoli insidie interpretative, di contro, la ricostruzione dell’istituto dell’autotutela a fronte di rapporti esauriti che abbisogna, pertanto, di specifico ed ulteriore approfondimento. lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp 3. Eventuale presentazione dell’istanza da parte del contribuente e obbligo dell’amministrazione finanziaria di comunicare l’esito del procedimento di riesame. - Uno snodo topico della materia è rappresentato dalla problematica concernente gli effetti della presentazione dell’istanza del contribuente volta ad ottenere un provvedimento favorevole nonostante la definitività del provvedimento impositivo. La questione si semplifica drasticamente nel momento stesso che si recepiscano, in materia, le linee guida dettate comunemente in diritto amministrativo secondo le quali, per quel che ne occupa al momento, non sussiste obbligo alcuno della pubblica amministrazione di prendere in considerazione e, in ogni caso, di dare riscontro motivato all’istanza del privato il quale non può far altro che sottoporla al suo benevolo vaglio (46). Tale impostazione è stata peraltro fatta propria, in materia tributaria, da autorevole dottrina (47) e rinveniva, in verità, una non trascurabile Fa sc ic o ——————— ciamento tra l’interesse dell’amministrazione alla rimozione dell’atto e l’interesse alla conservazione dell’atto di cui sono titolari soggetti diversi dalla pubblica amministrazione, generalmente privati”). (45) Sul punto, vd., V. FICARI, Istanza di annullamento d’ufficio e «doveri» dell’amministrazione finanziaria, in Boll. trib., 1998, 249, il quale, nonostante rintracci un “dovere” di annullamento d’ufficio dell’avviso di accertamento, incanala purtuttavia la tutela presso il giudice amministrativo (istituzionalmente giudice degli interessi legittimi a fronte di attività discrezionale della pubblica amministrazione). (46) Cfr. E. CAPACCIOLI, Manuale di diritto amministrativo, Padova, 1980, 417 ss.; G. PIFFERI, Sul carattere discrezionale dell’annullamento d’ufficio, in Nuova rass., 1976, 2009; in giurisprudenza, ex multis, Cons. St., sez. VI, 1 aprile 1992, n. 201, in Rass. Cons. Stato, 1992, I, 573; Cons. St., sez. V, 28 aprile 1995, n. 622, in Rass. Cons. Stato, 2000, I, 689; Cons. St., sez. VI, 23 ottobre 2001, n. 5573, in Rass. Cons. Stato, 2001, I, 2346. (47) D. BATTI, L’esercizio del potere di autotutela da parte dell’amministrazione finanziaria tra diritto amministrativo e diritto costituzionale, in Fisco, 1994, 9640; M.A. 90 PARTE PRIMA G iu f fre 'E di to re Sp A sponda argomentativa nel disposto dell’art. 68 DPR n. 287/1992 laddove si contemplava (e, quindi, si limitava) l’obbligo dell’amministrazione di motivare solamente il provvedimento di “annullamento totale o parziale dei propri atti riconosciuti illegittimi o infondati”. Vale a dire che andava comunicato al “destinatario dell’atto” (annullato in autotutela) soltanto l’atto di accoglimento totale o parziale (e non anche l’atto di rigetto) congruamente motivato. Dello stesso tenore, attualmente, il comma 2 dell’art. 4 del Regolamento laddove si prescrive che “dell’eventuale annullamento è data comunicazione al contribuente”, senza contemplare un obbligo generalizzato dell’ufficio di esternare anche gli esiti negativi del procedimento di riesame. Peraltro il quadro normativo si è arricchito, da ultimo, di significativi spunti volti in tutt’altra direzione: a) la presentazione dell’istanza da parte del contribuente a organo Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht ——————— GALEOTTI FLORI, Il principio della autotutela tributaria, cit., 658; P. RUSSO, Riflessioni e spunti in tema di autotutela nel diritto tributario, in Rass. trib., 1997, 552 ss.; Id., Sulla sindacabilità e sull’impugnabilità dell’atto di riesame, in questa Rivista, 2002, I, 700; Id., Manuale di diritto tributario, Parte generale, cit., 217; S. LA ROSA, Autotutela e annullamento d’ufficio degli accertamenti tributari, in questa Rivista, 1998, I, 1148; Id., Amministrazione finanziaria e giustizia tributaria, Torino, 2000, 469; Id., Principi di Diritto tributario, Torino, 2004, 164; Id., Definitività degli avvisi di liquidazione, autotutela tributaria e ripetibilità delle imposte “principali” nel sistema delle imposte sui trasferimenti, in questa Rivista, 2001, II, 468; I. MANZONI, Potere di accertamento e tutela del contribuente, cit., 5; O. NOCERINO, Riflessioni in merito alla possibile individuazione di un concreto ed attuale interesse pubblico alla rimozione degli atti definitivi, in Rass. trib., 1999, 1597; B. PATRIZI - G. MARINI - G. PATRIZI, Accertamento con adesione, conciliazione e autotutela, Milano, 1999, 193; M.V. SERRANÒ , L’autotutela in diritto tributario, in Lineamenti di Diritto Tributario, a cura di Luigi Ferlazzo Natoli, Milano, 2003, 97; L. SALVINI, Il Garante del contribuente, in Lo Statuto dei diritti del contribuente, cit., 119; F. VARAZI, Definizione della lite pendente e legittimità dell’esercizio del potere di autotutela, in Boll. trib., 2004, 1377; nella specifica ipotesi di silenzio-rigetto, U. PERRUCCI, L’autotutela tributaria e il suo diniego di fronte alla verifica giurisdizionale, in Fisco, 2000, 4473; F. D’AYALA VALVA, L’attivazione delle “procedure” di autotutela tributaria, cit., 176; G.S. TOTO, Giudicato tributario e autotutela, in Tributi, 2001, 658; F. CASORIA, I limiti applicativi dell’autotutela e i rimedi giurisdizionali al silenzio-rifiuto e al diniego espresso, in Fisco, 2001, 10618; relativamente ai provvedimenti divenuti inopponibili, E. GRASSI, Un percorso difficile alla ricerca dell’interesse pubblico (ulteriore, rispetto al ripristino della legalità), in Fisco, 1999, 6089; Id., L’autotutela tributaria e la posizione giuridica del soggetto interessato al suo esercizio, in Fisco, 2004, 472; A. TURCHI, I poteri delle parti nel processo tributario, cit., 261; A. GIOVANNINI, Il ricorso e gli atti impugnabili, in Il processo tributario, a cura di F. Tesauro, Torino, 1998, 392. 91 DOTTRINA op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A incompetente genera l’obbligo (48) dello stesso di trasmetterlo a quello competente (e, dunque, radica nel contribuente il diritto di verificare – ed eventualmente pretendere – il rispetto della disposizione non meramente interna: art. 5, comma 1, del regolamento che onera, per l’appunto, l’ufficio incompetente di darne “comunicazione al contribuente”). b) L’inerzia dell’ufficio adito legittima, addirittura, un intervento sostitutivo della Direzione Regionale delle Entrate (la grave inerzia che funge da presupposto a tale intervento appare, più che altro, dipendente dall’atteggiamento omissivo dell’ufficio, il quale non provveda nonostante che il contribuente lo solleciti reiteratamente, richieda il nominativo del responsabile del procedimento, inoltri diffida a provvedere, proponga, eventualmente, ulteriore istanza al Garante del contribuente, ecc. (49)). La competenza dell’organo al quale sono stati attribuiti in tal modo poteri di controllo è volta a garantire il rispetto dell’obbligo dell’ufficio di pronunziarsi (50) e di evitare inadempimenti giuridicamente rilevanti (e, quindi, suscettibili di assurgere a motivi di ricorso da parte del contribuente interessato). Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C ——————— (48) In argomento, P. AGOSTINELLI, Profili evolutivi e spunti critici in tema di annullamento d’ufficio di atti impositivi illegittimi alla luce della Circ. min. 5 agosto 1998, n. 198/S., in questa Rivista, 1999, II, 696; Id., Controversie concernenti il riesame preordinato al (mero) ritiro dell’atto impositivo e giurisdizione del magistrato amministrativo: un connubio difficilmente configurabile, in questa Rivista, 2002, II, 71 ss.; C. TASSANI, L’annullamento d’ufficio dell’amministrazione finanziaria tra teoria ed applicazione pratica, in Rass. trib., 2000, 1193; P. ROSSI, Autotutela su atti definitivi: evoluzione della giurisprudenza ed una ipotesi ricostruttiva, in questa Rivista, 2002, I, 473; contra, P. SELICATO, L’attuazione del tributo nel procedimento amministrativo, Milano, 2001, 330. (49) Dir. Reg. delle Entrate della Lombardia, Circ. 7 aprile 2000, n. 11/28093, in Fisco, 2000, 10815, valuta “grave” il comportamento inerte dell’ufficio allorché: a) il riesame venga espressamente negato senza alcuna ragione; b) il lasso di tempo intercorso tra la presentazione dell’istanza e la denunciata grave inerzia sia irragionevolmente lungo; c) l’ammontare delle imposte, interessi e sanzioni superi il miliardo; d) vi sia stato un errore sulla persona e/o un errore sul presupposto e/o una duplicazione d’imposta (e cioè quando l’atto risulti affetto da quei vizi rilevanti e sostanziali indicati in via esemplificativa nell’art. 2 comma 1, del DM n. 37/1997). L’atteggiamento omissivo del funzionario rileva inevitabilmente sul piano disciplinare (in tal senso vd., anche, Circ. 5 agosto 1998, n. 198/S/2822/98/GCF/as del Segretariato generale – Ufficio centrale per l’Informazione del contribuente, in Fisco, 1998, 10381). (50) È prospettato, infatti, quale potere sostitutivo solo in ipotesi di mancato riscontro dell’istanza del contribuente da parte dell’ufficio che ha emanato il provvedimento impositivo. 92 PARTE PRIMA sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A c) Il Garante del contribuente, da parte sua, non è legittimato soltanto a “sollecitare” l’avvio del procedimento di riesame (51), nel qual caso sussisterebbe pur sempre una scelta discrezionale dell’ufficio, ma, all’opposto, ne “attiva” l’avvio (art. 13 legge n. 212/2000); risulta titolare, per tal fatta, di una sorta di potere dispositivo (non relativamente al contenuto del provvedimento da emanare quanto, genericamente, all’obbligo di provvedere dell’amministrazione); tale disposizione impegna l’ufficio a comunicare il provvedimento, adeguatamente motivato, allo stesso Garante oltreché, s’intende, al contribuente che rimane pur sempre il diretto interessato. In altri termini, vagliata l’istanza del contribuente, e giudicatala degna di considerazione (e, quindi, di avallo), il Garante esercita, autonomamente, una funzione istituzionale e si pone quale parte ulteriore e cointeressata all’esito del procedimento di riesame (52). In tal modo il legislatore tributario attribuisce all’istante una posizione giuridica rilevante quanto meno a livello di interesse (legittimo) (53) a conoscere gli esiti motivati del procedimento di riesame formalmente attivato. d) Da ultimo, a dimostrazione della sensibilità del legislatore rispetto alla materia dell’autotutela, si dispone che “Gli atti dell’amministrazione finanziaria e dei concessionari della riscossione devono tassativamente indicare: • omissis; • l’organo o l’autorità amministrativa presso i quali è possibile pro- Fa sc ic o lo ——————— (51) In tal senso: F. TESAURO, Istituzioni di diritto tributario, Parte generale, Torino, 2003, 165; A. URICCHIO, voce Statuto del contribuente, in Dig. comm., Torino, 2003, 871; A. TURCHI, I poteri delle parti nel processo tributario, cit., 268; F. D’AYALA VALVA, Dall’Ombudsman al Garante del contribuente. Studio di un percorso normativo, in questa Rivista, 2000, I, 1037, ma, successivamente, l’autore ha ritenuto che l’ufficio avrebbe l’obbligo di dar seguito all’istanza solo se il procedimento di riesame sia attivato dal Garante del contribuente valorizzando eccessivamente i poteri di tale organo (F. D’AYALA VALVA, L’attivazione delle “procedure” di autotutela tributaria, cit., 176; in tal senso, anche, L. SALVINI, Il Garante del contribuente, cit., 120). (52) Potrebbe addirittura integrare la stessa istanza del contribuente con propri rilievi ad adiuvandum che impegnerebbero, si ritiene, l’ufficio a tenerne obbligatoriamente conto in sede di motivazione dell’emanando provvedimento. (53) In tal senso, M. STIPO, Osservazioni in tema di autotutela dell’amministrazione finanziaria, cit., 713 ss.; A. BUSCEMA, Autotutela amministrativa e autotutela tributaria: profili comparativi e risvolti processuali, in Finanza & fisco, 2001, 4991; G. FALCONE, La giurisdizione del Tar in materia tributaria, in Fisco, Attualità, fasc. n. 1, 2002, 3083. 93 DOTTRINA ht G iu f fre 'E di to re Sp A muovere un riesame anche nel merito dell’atto in sede di autotutela” (art. 7, comma 2, dello Statuto dei diritti del contribuente). Anche in tal caso risulta illuminante la terminologia adottata, la quale non allude ad una mera facoltà di proposizione dell’istanza da parte del contribuente (discrezionalmente vagliata, ove lo reputi, dall’amministrazione competente), bensì gli attribuisce espressamente il potere di “promuovere un riesame, anche nel merito, dell’atto in sede di autotutela”, fugando ogni residuo dubbio circa l’obbligo dell’ufficio di emanazione (e di notificazione) del provvedimento conclusivo dell’attività di riesame (54). In forza di tali referenti normativi (piuttosto che del richiamo alla legge n. 241/1990 (55)) il convincimento che sull’organo adito incomba l’obbligo di un riscontro motivato dell’istanza (ancorché genericamente a fronte di istanza a sua volta priva di puntuali rilievi), oltreché dalla maggioritaria dottrina (56), è ormai comunemente recepito vuoi dalla prevalente giurisprudenza (57) vuoi dalla stessa amministrazione (58). Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ——————— (54) Di contrario avviso, F. D’AYALA VALVA, L’attivazione delle “procedure” di autotutela tributaria, cit., 170; L. SALVINI, Il Garante del contribuente, cit., 120, secondo i quali l’ufficio avrebbe il dovere di rispondere alla richiesta del Garante ma non a quella del contribuente. (55) In tal senso, V. FICARI, Autotutela e riesame nell’accertamento del tributo, cit., passim; Id., Istanza di annullamento d’ufficio e “doveri” dell’amministrazione finanziaria, in Boll. trib., 1998, 247; D. STEVANATO, L’autotutela dell’amministrazione finanziaria, cit., 83; M.V. SERRANÒ , In tema di ripercussione degli effetti dell’autotutela sugli atti-presupposto, in questa Rivista, 2000, II, 550. (56) G. FALSITTA, Manuale di diritto tributario, cit., 370; M. STIPO, Osservazioni in tema d’autotutela, cit., 705; U. PERRUCCI, Il regolamento sull’autotutela, in Boll. trib., 1997, 1765; Id., Lo Statuto dei diritti del contribuente, in Boll. trib., 2000, 1060; Id., Autotutela, conciliazione, remissione di credito, in Boll. trib., 1999, 1333; L. BELLINI - M. BELLINI, L’autotutela in diritto tributario con particolare riferimento agli enti locali, in Fisco, 2001, 14699; D. STEVANATO, Autotutela (diritto tributario), in Enc. dir., Agg. III, Milano, 1999, 285 ss.; C. TASSANI, L’annullamento d’ufficio dell’amministrazione finanziaria tra teoria ed applicazione pratica, in Rass. trib., 2000, 1189; T. MORINA, Dalla Toscana il galateo dell’autotutela per gli uffici, in Il Sole-24 Ore, 17 ottobre 2000, 23. (57) Tar Toscana, sez. I, 22 ottobre 1999, n. 767, in questa Rivista, 2002, II, 49; anche in Foro it., 2001, III, col. 27, ed ivi nota di M.F. CASCIA; Tar Veneto, sez. I, 2 novembre 2000, n. 1975, in questa Rivista, 2002, II, 69; Tar Lombardia, sez. I, 27, marzo 2001, n. 2681, in Boll. trib., 2001, 609; anche la giurisprudenza che, da ultimo, dichiara il difetto di giurisdizione dei Tar a favore delle Commissioni tributarie, presuppone l’obbligo dell’amministrazione finanziaria di dar seguito all’istanza: Tar Trentino Alto Adige, 14 luglio 2003, n. 273, in Dialoghi di Diritto tributario, 2004, 681; Tar Veneto, sez. I, 27 maggio 2002, n. 2401, ibidem, 683. (58) Inizialmente l’amministrazione era orientata nel senso che non avesse obbligo 94 PARTE PRIMA G iu f fre 'E di to re Sp A 4. Considerazioni conclusive. - I temi trattati consentono di tracciare alcune significative conclusioni: a) non pare dubbio che chiunque si ponga oggi l’interrogativo “se l’autotutela possa esser ricondotta come species a genus nell’alveo dell’istituto così come elaborato nel diritto amministrativo, o se, invece, si atteggi in modo autonomo” (59), non possa fare a meno di constatare l’evoluzione normativa dell’istituto in direzione di una marcata “specialità” (60), muovendo, peraltro, da premesse che non lasciavano certo presagire l’attuale quadro sistematico. In base agli iniziali referenti normativi, infatti, quantunque sparuti, la nozione di autotutela si poneva sicuramente in linea con quella tradizionalmente delineata in diritto pubblico, ossia in termini di riesame critico del proprio operato (in vista dell’effettivo perseguimento di obiettivi di sana e corretta amministrazione) con esiti di annullamento di provvedimenti ritenuti illegittimi e/o infondati (61). Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht ——————— alcuno di provvedere in relazione all’istanza proposta dal contribuente (cfr. Ministero delle finanze, Dip. Entrate-Segretario generale, nota 18 luglio 1994, n. 4079, in questa Rivista, 1994, III, 389, ed ivi V. FICARI, Il potere di autotutela dell’amministrazione finanziaria nei recenti chiarimenti ministeriali); successivamente, però, ha riconosciuto che tale obbligo sussiste: vd. Dir. Reg. delle Entrate della Lombardia, Circ. 16 novembre 1999, n. 3/82993, in Boll. trib., 2000, 205; Dir. Reg. delle Entrate della Lombardia, Circ. 6 aprile 2000, n. 11/28093, in Il fisco, 2000, 10814; Dir. Reg. delle Entrate della Toscana, 11 ottobre 2000, Dir. n. 72483/00/T1; Dir. Reg. delle Entrate della Calabria, nota 21 novembre 2001, n. 28951/VII; Circ. min. 5 agosto 1998, n. 198/S., in questa Rivista, 1999, II, 694. L’amministrazione, al contempo, però, ha recisamente escluso qualsiasi possibilità di tutela giurisdizionale da parte del contribuente avverso il provvedimento di diniego (espresso o tacito) preoccupata che si potesse concedere, in tal modo, una inammissibile forma di doppia tutela (vd., da ultimo, Annuario del contribuente 2004, a cura dell’Agenzia delle entrate, Ufficio relazioni esterne, Napoli, 2004, 162, ove l’agenzia, nel fac-simile di “richiesta di riesame in autotutela”, avverte di “tenere presente il rischio che in attesa di un pronunciamento dell’amministrazione venga a scadere il termine per fare ricorso alle Commissioni tributarie”). (59) A. FANTOZZI, Il diritto tributario, cit., 497. Identico dubbio propongono B. PATRIZI - G. MARINI - G. PATRIZI, Accertamento con adesione, conciliazione e autotutela, cit., 181. (60) P. RUSSO, Manuale di diritto tributario, cit., 217, ritiene, invece, che “il legislatore tributario ha dato per scontato che si trattasse del consueto potere di autotutela spettante alla pubblica amministrazione”. (61) “Potere in base al quale l’amministrazione interviene unilateralmente in modo caducatorio su un assetto di interessi già valutato e definito con un proprio atto” (F. CARINGELLA, Corso di Diritto amministrativo, cit., 1711; vd., anche, P. VIRGA, Diritto amministrativo, II, Milano, 1987, 131 ss.; I. CERULLI IRELLI, Corso di diritto amministrativo, Torino, 2000, 666 ss.; G. ZANOBINI, Corso di diritto amministrativo, I, Milano, 1958, 319). 95 DOTTRINA Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A Tale contesto normativo costringeva l’interprete a calare l’istituto, ove non diversamente disciplinato, negli usuali stampi – per lo più di matrice giurisprudenziale – coniati nell’ambito del diritto pubblico: potere di carattere squisitamente discrezionale esercitato nell’esclusivo interesse dell’amministrazione procedente; irrilevanza, pertanto, della presentazione di eventuali istanze da parte del contribuente volte a promuovere il procedimento di riesame, il cui avvio, se del caso, rientrava nella assoluta disponibilità decisionale dell’amministrazione; inesistenza, da ultimo, di concrete prospettive di tutela giurisdizionale a favore del contribuente in ipotesi di rigetto di tali istanze. Se il quadro sistematico fosse rimasto nei termini sinteticamente illustrati, si poteva ben comprendere, sia pure risultando in assoluto discutibile, come l’amministrazione finanziaria concepisse l’istituto in termini di recupero d’immagine allorché il provvedimento impositivo fosse divenuto inopponibile, epperò la pretesa risultasse palesemente destituita di fondamento sostanziale (come si evince, anche, dalla casistica suggerita dal regolamento n. 37/1997 che elenca, non a caso, le patologie più vistose dell’atto impositivo). In tale contesto, in ogni caso, la decisione del caso concreto veniva rimessa alla mera discrezionalità dell’ufficio, di per sé soggetta, eventualmente, solo ad un controllo amministrativo interno. Il quadro di riferimento, sia pure per effetto di pochi ritocchi normativi (e di natura regolamentare (62)), è mutato radicalmente in virtù dei provvedimenti innanzi esaminati. Per un verso, sotto il profilo dei confini sostanziali dell’istituto che, inopinatamente, sono in atto estesi alla funzione di controllo della liquidazione dell’imposta scaturente dalla dichiarazione presentata dal contribuente nonché all’attività di rimborso dell’indebito da parte dell’amministrazione finanziaria, ambiti istituzionalmente da ascrivere all’esercizio del potere primario di controllo dell’operato del contribuente e certamente non rientranti nel riesame critico dei propri provvedimenti. Si muove dall’idea, in tal modo, che un qualsiasi intervento dell’amministrazione finanziaria atto ad incidere, comunque, sul riscosso o sul riscuotibile rientri nella nozione di autotutela tributaria, provocando un innaturale ampliamento del contenuto ordinario dell’istituto: non solo ——————— (62) Chiaramente censurabile l’espediente di integrare surrettiziamente i contenuti della normativa utilizzando un regolamento di natura meramente attuativa (sul punto, vd., A. FANTOZZI, Il diritto tributario, cit., 493). 96 PARTE PRIMA lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A riesame dell’operato amministrativo illegittimo e/o infondato ma anche esame dell’operato del contribuente. Si è venuta a formare, per l’effetto, una nozione slabbrata e confusa di autotutela in materia tributaria, talché si è costretti a prendere atto, per l’ennesima volta, di una accentuata atecnicità del legislatore tributario (sia pure con contenute refluenze sul piano dei concreti poteri dell’amministrazione per effetto di tale singolare estensione qualificatoria), ìndice di pervicace approssimazione concettuale. b) La seconda problematica affrontata concerne i limiti del potere di autotutela (63) quali discendono dall’applicazione di principi generali dell’ordinamento tributario piuttosto che dalla littera legis. È stato osservato, del tutto correttamente, invero, come la normativa in tema di autotutela non distingua, ai fini dell’annullamento del provvedimento impositivo da parte della stessa amministrazione finanziaria, tra i vari tipi di vizi (formali o sostanziali) che inficiano l’atto (64), né faccia dipendere l’esercizio del potere dalla gravità del vizio stesso (65). È parso rilevante, nondimeno, al di là del dato strettamente letterale, procedere, in materia tributaria, ad una preliminare distinzione, secondo che il potere di autotutela sia indirizzato a rapporti pendenti ovvero a rapporti esauriti, atteso che tali situazioni comportano restrizioni diverse all’esercizio della funzione di autotutela. In particolare: 1) in ipotesi di provvedimenti impositivi inopponibili, l’esercizio del potere di autotutela è consentito esclusivamente a fronte di vizi sostanziali, risultando inconducente, per altro verso, a tal proposito, la sussi- Fa sc ic o ——————— (63) Quelli espressamente indicati dalla legge sono rappresentati, in positivo, dall’esistenza di un provvedimento illegittimo e/o infondato e, in negativo, dall’inesistenza di un giudicato (“per motivi sui quali sia intervenuta sentenza passata in giudicato favorevole all’amministrazione finanziaria”, ha inaspettatamente aggiunto il comma 2 dell’art. 2 del regolamento n. 37/1997, provocando una sorta di discutibile depotenziamento dell’efficacia della sentenza che copre, di regola, oltre che il dedotto, anche il deducibile; in argomento, vd. G. FRANSONI, Giudicato tributario e attività dell’amministrazione, cit., 214 ss.). Un ulteriore limite, dipendente dalla violazione da parte dell’amministrazione finanziaria del principio dell’affidamento legittimo, è individuato da Cass., sez. trib., 10 dicembre 2002, n. 17576, in Rass. trib., 2003, 795, ed ivi D. STEVANATO, Tutela dell’affidamento e limiti all’accertamento del tributo. (64) In tal senso, A. FANTOZZI, Il diritto tributario, cit., 495; S. LA ROSA, A proposito della distinzione tra integrazione degli accertamenti e autotutela tributaria, in questa Rivista, 2003, II, 911. (65) P. RUSSO, Manuale di diritto tributario, cit., 220. 97 DOTTRINA Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A stenza di vizi formali (per loro natura di già giuridicamente irrilevanti nel momento stesso che il contribuente non li abbia ritualmente fatti valere in giudizio). In tal caso è naturale che la stabilità degli effetti giuridici prodotti dal provvedimento impositivo inopponibile rappresenti un valore ontologicamente prevalente – proprio perché l’atto è sostanzialmente fondato – rispetto a meri errori comportamentali dell’ufficio non dedotti in giudizio dal contribuente che ne abbia interesse. In altri termini, appare corretto che prevalga, in tale ipotesi, l’interesse pubblico (fondato su un titolo sostanziale definitivo) piuttosto che il privato interesse (che tragga indebito vantaggio da un mero errore di forma commesso dall’ufficio). 2) Relativamente ai rapporti pendenti, in generale, l’esercizio del potere di autotutela nei confronti di provvedimenti illegittimi e/o infondati rientra, scontatamente, nell’interesse dell’amministrazione finanziaria, non foss’altro per evitare l’alea di non riscuotere l’imposta ancorché effettivamente dovuta e subire, magari, per sovramercato, la condanna alla rifusione delle spese in quanto parte soccombente nel giudizio. È il caso di registrare, semmai, a tal riguardo, una pressoché unanime presa di posizione della dottrina secondo la quale il potere di autotutela esercitato in funzione sostitutiva del provvedimento impositivo (66) (e, dunque, al fine di ribadire la pretesa in forme valide), possa esplicarsi, in particolare, esclusivamente per sanarne vizi formali ma non possa tendere alla sanatoria di vizi sostanziali (67) (dando luogo, in tal modo, ad un curioso contraltare ai rimedi amministrativi esperibili nei confronti dei provvedimenti impositivi inopponibili). In altri termini, sarebbe inibito all’ufficio riconsiderare la qualificazione della fattispecie imponibile rimediando, melius re perpensa, all’iniziale errore di valutazione. La prima è conclusione, oramai, comunemente acquisita, nonostan——————— (66) Autotutela “positiva”, secondo la terminologia adottata da S. LA ROSA, Principi di diritto tributario, cit., 163, “consistente nella possibilità che l’amministrazione proceda all’annullamento dell’atto viziato ed all’emanazione di un nuovo atto in sostituzione del precedente”, contrapposta all’autotutela “negativa”, “che si ha quando l’amministrazione procede al mero annullamento d’ufficio, parziale o totale, dell’atto illegittimo”. (67) Su tali profili, per tutti, vd. A. FANTOZZI, Il diritto tributario, cit., 492; S. LA ROSA, Principi di diritto tributario, cit., 164; Id., A proposito della distinzione tra integrazione degli accertamenti e autotutela tributaria, cit., 910; M. MICCINESI, La “sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi”: presupposto per gli accertamenti integrativi e modificativi, in Rass. trib., 1985, II, 450. 98 PARTE PRIMA di to re Sp A te non indifferenti iniziali sbandamenti (68), vuoi in dottrina (69) che in giurisprudenza (70) (con l’unica eccezione rappresentata dal vizio di difetto di motivazione (71)), e si realizza, come è noto, mediante l’emanazione di un nuovo provvedimento che soppianta quello precedente, anche durante la pendenza del giudizio di impugnazione (72) dell’atto (invalido), a patto, comunque, che l’amministrazione non sia decaduta dall’esercizio del potere impositivo. La seconda è problematica sulla quale non è ancora sceso il sigillo della Corte Suprema, che ha affrontato, perlomeno a quel che consta, solo casi di provvedimenti impositivi affetti da vizi formali, evitando accuratamente di sbilanciarsi in impegnativi obiter dicta circa la sussistenza del potere amministrativo di sanare anche vizi sostanziali. Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E ——————— (68) Un accurato excursus storico-giuridico è sviluppato da M. VERSIGLIONI, Accordo e disposizione nel diritto tributario. Contributo allo studio dell’accertamento con adesione e della conciliazione giudiziale, Milano, 2001, 238 ss.; vd., anche, S. MUSCARÀ, Riesame e rinnovazione degli atti nel diritto tributario, cit., 119 ss.; Id., Contributo allo studio della funzione di riesame sostanziale, in Rass. trib., 1996, 1322 ss. (69) Cfr., per tutti, A. FANTOZZI, Il diritto tributario, cit., 492; C. CONSOLO, Limiti alla rinnovazione della imposizione dopo e alla stregua del giudicato di annullamento del primo avviso di accertamento, in questa Rivista, 1991, I, 741. (70) Vd., ex multis, Cass., sez. trib., 16 luglio 2003, n. 11114, in Riv. giur. trib., 2004, 41, ed ivi M. BASILAVECCHIA, I presupposti per la sostituzione dell’atto impositivo invalido; Cass., sez. I, 29 marzo 1990, n. 2576, in Rass. trib., 1990, II, 969, ed ivi M. BASILAVECCHIA, Pluralità di accertamenti e cosa giudicata. (71) Relativamente a quello che può essere definito un vizio di frontiera, sussiste , in realtà, una sensibile divergenza di vedute tra giurisprudenza di legittimità (cfr., ex multis, Cass., SS.UU., 16 maggio 1988, n. 1333, in Fisco, 1989, 3327; Cass., SS.UU., 3 agosto 1989 n. 3578, in Dir. prat. trib., 1990, II, 30, ed ivi nota di F. DAVINI; Cass., sez. trib., 28 marzo 2002, n. 4534, in Corr. trib., 2002, 2988, ed ivi nota di M. LOGOZZO; Cass., sez. trib., 22 febbraio 2002, n. 2531, in Corr. trib., 2002, 3457, ed ivi nota di F. GRAZIANO) e la prevalente dottrina. Non ritengo che la problematica possa essere affrontata, come normalmente avviene, pervenendo a conclusioni univoche: non rinvengo ragioni ostative all’esercizio del potere di autotutela allorché l’amministrazione finanziaria intenda illustrare più compiutamente (non nell’ambito del processo, s’intende; sul punto, vd. C. CONSOLO, Della inammissibilità di un’integrazione o rettifica della motivazione dell’accertamento in sede giudiziale e dei correlati limiti ai poteri istruttori del giudice tributario, in Dal contenzioso al processo tributario, Milano, 1992, 314 ss.) le ragioni della pretesa in un quadro di omogeneità con il contenuto della motivazione del provvedimento sostituito, mentre nell’ipotesi che modifichi gli stessi elementi costitutivi della pretesa, la problematica torna ad essere quella dell’esistenza del potere di mutare la valutazione giuridica della fattispecie impositiva. (72) Il quale, dunque, si conclude inevitabilmente con la declaratoria di cessazione della materia del contendere (su tale formula decisoria, vd. P. RUSSO, Cessazione della materia del contendere (Diritto tributario), in Enc. giur. Treccani, VI, Roma, agg., 1999, 3). 99 DOTTRINA G iu f fre 'E di to re Sp A E non è certamente questa l’occasione propizia per riprendere funditus il tema (73). Era logico attendersi, semmai, che fosse proprio questa, perlomeno inizialmente, la problematica sulla quale focalizzare i maggiori interessi nel contesto di una normativa fondamentalmente volta alla tutela degli interessi dell’amministrazione, così come avvenne, del resto, a suo tempo, per la problematica della sanatoria dei vizi formali per effetto dell’introduzione nell’ordinamento tributario dell’istituto della rinnovazione dell’atto impugnato. Così chiaramente non è stato; fondamentalmente per due ordini di ragioni: 1) innanzitutto perché il tema è estremamente intrigante sotto il profilo scientifico (alla pari, ad esempio, della impervia analisi sistematica imposta dall’istituto dell’accertamento integrativo o modificativo (74)), ma, al contempo, carente di apprezzabile spessore pratico per effetto del Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht ——————— (73) L’emenda di quelli che comunemente si definiscono (con espressione di comodo in quanto utilmente descrittiva) vizi sostanziali, sarebbe impedita dal principio di unicità e globalità della pretesa impositiva, nonché dalla disciplina in tema di accertamenti integrativi o modificativi (art. 43, comma 3, DPR 29 settembre 1973, n. 600, e art. 57, comma 3, DPR 26 ottobre 1972, n. 633). In realtà, sostenere del tutto correttamente, invero, che l’amministrazione finanziaria debba utilizzare, per motivi di economicità ed efficienza, tutti gli elementi a disposizione non comporta, automaticamente, che non possa modificare, ricorrendo ad un ulteriore provvedimento impositivo, la valutazione della fattispecie imponibile (ma solo che non possa “centellinare” gli elementi fiscalmente rilevanti a disposizione avendo l’obbligo di riversarli in un unico contesto, vale a dire in un provvedimento impositivo unico). Inconferente appare, poi, il richiamo all’istituto dell’accertamento integrativo o modificativo, introdotto nell’ordinamento tributario per disciplinare le modalità e i presupposti della rilevazione progressiva dell’imposta dovuta (sulla base degli elementi via via acquisiti posti a fondamento di avvisi di accertamento autonomi vuoi sotto il profilo sostanziale che processuale) ma che non comporta, al contempo, che l’amministrazione finanziaria non possa rivedere il proprio operato carente sotto il profilo della valutazione degli elementi componenti la fattispecie imponibile. E giova ricordare, peraltro, che il principio che comunemente si desume da tale normativa, vale a dire che l’amministrazione finanziaria consumerebbe il potere nel momento stesso in cui lo esercita (imputet sibi l’errore di valutazione commesso), è stato ripetutamente disconosciuto dalla Corte Suprema sul presupposto che la potestà di autotutela investe l’intera area amministrativa del riesame (cfr., fra le tante, Cass., SS.UU., 16 maggio 1988, n. 1333, cit., 3327). (74) In argomento vd. i classici contributi di G. TREMONTI, Imposizione e definitività nel diritto tributario, Milano, 1977; M. BASILAVECCHIA, L’accertamento parziale. Contributo allo studio della pluralità di atti di accertamento nelle imposte sui redditi, Milano, 1988. 100 PARTE PRIMA Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A raro ricorso a tale tipo di sanatoria da parte degli uffici (come è dimostrato dall’inesistenza di specifici contributi da parte della Corte Suprema). L’amministrazione finanziaria, oltreché emanare gli accertamenti (ordinari) puntualmente a ridosso del termine decadenziale (con la conseguenza che decade, automaticamente, dal potere di riesaminare criticamente la fattispecie), ha, per di più, la (miope) abitudine di non intervenire, “per coerenza”, sugli accertamenti emanati quand’anche si renda conto della loro palese infondatezza, affrontando spesso, magari senza prospettiva alcuna, il contenzioso pur di non riconoscere di aver commesso un errore (atteggiamento, per fortuna, fortemente contrastato proprio dai più recenti interventi ministeriali in tema di autotutela); 2) perché, da parte sua, la dottrina è solita analizzare gli istituti principalmente dall’angolo visuale dell’interesse del contribuente e molto meno da quello delle altrettanto legittime esigenze dell’amministrazione finanziaria. Non a caso anche nell’originario contesto normativo la problematica più ricorrente risultava indubbiamente quella della tutela del contribuente a fronte dei provvedimenti di diniego (anche nelle forme del silenzio-rigetto) da parte dell’amministrazione, ancorché non sussistessero, in allora, spunti normativi idonei a contraddire il consolidato quadro di riferimento affermatosi in diritto pubblico (nel senso di escludere recisamente profili di tutela giurisdizionale nella vicenda dell’autotutela). E non si può certo ritenere che i più recenti contributi normativi, che hanno profondamente inciso sulla struttura dell’istituto dell’autotutela in materia tributaria, siano valsi ad apportare salutari chiarimenti al tema trattato. c) L’ultima conclusione, conseguita in tema di obbligo dell’amministrazione finanziaria di dar corso al procedimento in ipotesi di presentazione di specifica istanza da parte del contribuente, rappresenta uno strappo ulteriore – e di non poco momento – consumato nei confronti dei principi oramai consolidatisi nel diritto amministrativo. In tale materia, come è noto, l’irrilevanza della (eventuale) istanza del privato volta a promuovere il riesame della fattispecie e l’inesistenza dell’obbligo dell’amministrazione di comunicare il provvedimento adottato, si saldano indissolubilmente legittimando la configurazione dell’istituto in termini di procedimento volto alla salvaguardia dell’interesse esclusivo della pubblica amministrazione (escludendo, in tal modo, concrete prospettive di tutela giurisdizionale a favore del privato). Il legislatore tributario, da parte sua, nel momento stesso in cui san- 101 DOTTRINA gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A cisce l’obbligo dell’amministrazione finanziaria di procedere al riesame per effetto della proposizione dell’istanza del contribuente (75) nonché di comunicare il relativo provvedimento adottato, ha spezzato irrimediabilmente quel paradigma concettuale proiettando automaticamente la vicenda sul piano del controllo dell’operato amministrativo in sede giurisdizionale (76); e tale originale impostazione ha un significato pregnante essenzialmente a fronte di provvedimenti impositivi inopponibili. Si prospetta, a questo punto, uno scenario fortemente problematico, atteso che si impianta nella materia tributaria un istituto snaturandone la funzione tradizionale: non più (o non solo) volto all'annullamento o alla sanatoria dei provvedimenti illegittimi o infondati e, dunque, alla salvaguardia degli interessi dell’erario, ma (anche) una forma alternativa di tutela, surrogatoria di quella di merito (della quale il contribuente non si è avvalso), i cui contenuti risultano nient’affatto semplici da ricostruire. Tanto più in materia tributaria, ove il contribuente non può che dedurre, mediante l’istanza, rilievi di merito, vale a dire riguardanti l’an e/o il quantum debeatur, contestando gli esiti dell’attività impositiva di natura essenzialmente vincolata, mentre l’attività di autotutela dell’amministrazione finanziaria esprime, notoriamente, una facoltà discrezionale, con il risultato, piuttosto sconcertante, che al giudice (di legittimità) si sottopongono rilievi di merito (di per sé rientranti nella giurisdizione di un giudice diverso) (77). Questa contraddizione di fondo rende incandescente la problematica Fa sc ic o lo sa ——————— (75) Nel contesto di una ulteriore apertura al contraddittorio nell’ambito del procedimento di accertamento che ha positivamente caratterizzato la più recente stagione normativa (erario che esprime meno autorità e richiede più partecipazione al contribuente), ma che, però, nella fattispecie, ha condotto a risultati discutibili. (76) L’amministrazione finanziaria assume, al riguardo, una posizione giuridicamente contraddittoria: sussisterebbe, da un lato, l’obbligo dell’ufficio di emettere e comunicare un provvedimento (motivato) a fronte dell’istanza del contribuente, senza che tale obbligo possa far sorgere una posizione giuridica significativa dello stesso contribuente sul piano della tutela giurisdizionale. Inevitabilmente, invece, l’obbligo di notificare un provvedimento (ancorché negativo) sottopone la fattispecie al necessitato controllo del giudice, anche per scontate esigenze d’ordine costituzionale (artt. 24 e 113 Cost.), anche se non è certamente facile, nella fattispecie, prospettare i termini e i modi di tale tutela. (77) Con l’ulteriore conseguenza, a questo punto, che introducendo forzatamente nell’autotutela la prospettiva della tutela giurisdizionale, non si comprende più la prospettazione dell’esercizio dell’autotutela solo nelle ipotesi più appariscenti di infondatezza del provvedimento impositivo, in quanto criterio di condotta valevole all’interno della stessa amministrazione ma certamente non significativo per il giudice. 102 PARTE PRIMA della tutela del contribuente a fronte dell’attività amministrativa di riesame di provvedimenti inopponibili. Ma questo è un capitolo assolutamente originale e non poco impegnativo delle vicende dell’autotutela in materia tributaria. Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A SALVO MUSCARÀ ic o sc Fa lo gg io sa 05 20 1_ ht yr ig op -C iu f G re di to 'E fre PARTE SECONDA A Sp ic o sc Fa lo gg io sa 05 20 1_ ht yr ig op -C to re di e' E ffr iu G A Sp Giurisprudenza I re Sp A CASSAZIONE, SS.UU. civ., 3 giugno 2004 - 5 ottobre 2004, n. 19854; Pres. Grieco, Rel. Altieri 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to Accertamento - Avviso di accertamento - Natura - Atto amministrativo sostanziale e recettizio - Provocatio ad opponendum - Esclusione - Notificazione nel termine di decadenza - Necessità - Regime delle notificazioni processuali - Previsione espressa - Sanabilità del vizio - Conseguenza - Proposizione del ricorso giurisdizionale - Raggiungimento dello scopo della notificazione - Equipollenza - Impugnazione successiva al termine di decadenza - Tardività della notifica e nullità dell’avviso di accertamento - Conseguenza - Eccezione specifica nei motivi di ricorso - Necessità - Rilevabilità d’ufficio della tardiva sanatoria Esclusione Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 L’applicazione del regime di sanatoria previsto dalla legge processuale civile non può essere mera conseguenza della supposta natura pre-processuale o quasi-processuale dell’accertamento tributario, così come è da escludere, per converso, che la natura sostanziale di quell’atto costituisca ostacolo insormontabile all’applicazione di istituti appartenenti al diritto processuale, soprattutto quando vi sia un espresso richiamo di essi nella disciplina tributaria; e, piuttosto, nonostante l’avviso di accertamento sia atto amministrativo autoritativo e strumento attraverso il quale – in ossequio ai principi di tipicità e nominatività – l’amministrazione enuncia nei confronti del destinatario ciò che deve essere per lui di diritto nel caso concreto, il rinvio alle (e l'applicazione delle) forme sulla notificazione processuale comporta, quale necessità logica, la soggezione al regime della nullità della notificazione nel processo ed a quello – che costituisce una sorta di limite alla dichiarazione di nullità – delle relative sanatorie, non essendovi alcun principio o ragione sistematica per ritenere che, in materia di notificazione di atti di accertamento (pur regolata dal codice di procedura civile) viga un regime diverso; con la conseguenza che la nullità della notificazione dell’avviso di accertamento tributario può essere sanata per raggiungimento dello scopo e per effetto della proposizione della impugnativa – testimonianza, questa, del conseguimento della finalità dell’atto di portare a conoscenza del destinatario i termini della pretesa tributaria e consentirgli, così, 4 PARTE SECONDA un’adeguata difesa –, ma non mai nel senso di attribuire ex tunc validità ad un intempestivo atto di esercizio del potere di accertamento, salvo che il conseguimento dello scopo avvenga entro il termine previsto dalle singole leggi d’imposta per l’esercizio di tale potere; in caso contrario, infine, poiché la decadenza dell’amministrazione finanziaria dal potere di accertamento non produce l’inesistenza degli atti impositivi successivamente emanati e non è rilevabile d'ufficio, il contribuente ha l’onere di dedurla come specifico motivo di ricorso, e, quindi solo se quell’onere sia stato prudenzialmente assolto, l'impugnativa non svolgerà effetto sanante nei confronti di detto peculiare vizio (1)*. Sp A II 'E di to re CASSAZIONE, sez. civ. V trib., 2 luglio 2003 - 29 gennaio 2004, n. 1647; Pres. Riggio, Rel. Del Core yr ig ht G iu f fre Accertamento - Avviso di accertamento - Notifica a mezzo posta - Tempestività - Riferimento alla data di spedizione del plico - Necessità - Giurisprudenza costituzionale additiva - Criterio dello sdoppiamento dei termini - Fondamento Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op La disposizione dell’art. 51, comma 3, D.Lgs. 15 novembre 1993 n. 507, deve essere interpretata nel senso che, qualora il Comune notifichi l’avviso di accertamento della Tosap a mezzo posta, il termine per verificare la tempestività della notifica coincide con la spedizione del piego raccomandato A.R. e non con la ricezione del plico da parte del contribuente, anche in quanto contrasterebbe con i principi di eguaglianza e di buon andamento della pubblica amministrazione sanciti dagli artt. 3 e 97 della Carta fondamentale, oltre che con il canone della ragionevolezza, ritenere che il principio secondo cui, in caso di notificazione a mezzo del servizio postale, il notum facere si perfeziona per il notificante al momento della spedizione dell’atto per raccomandata – e non della ricezione dell’atto notificando (purché questa avvenga) – riguardi solamente le notificazioni eseguite nel quadro ed in funzione del processo, e non invece quelle aventi ad oggetto gli avvisi di accertamento, costituenti atti (non processuali, né specificamente funzionali al processo, ma) amministrativi ed esplicativi della potestà impositiva dell’amministrazione finanziaria (2)*. I FATTO - Con avviso di liquidazione notificato ad E.D.V. il 10 giugno 1996, l’ufficio del Registro di Formia rettificava, ai fini dell’Invim, il valore finale di ——————— (*) Segue nota firmata. 5 GIURISPRUDENZA Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A un complesso immobiliare conferito in una costituenda società in nome collettivo, a seguito della contestuale trasformazione di una impresa familiare. Esso veniva notificato ad E.D.V. Gli eredi del D.V. proponevano ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Latina, deducendo preliminarmente la nullità della notificazione, perché non effettuata agli eredi collettivamente ed impersonalmente. La Commissione respingeva il ricorso. Proponevano appello gli eredi e la Commissione tributaria regionale del Lazio accoglieva il gravame con sentenza 7 luglio 1998, ritenendo la nullità dell’avviso di liquidazione, in quanto notificato nel domicilio del de cujus ad uno solo degli eredi, e non, come stabilito dall’art. 65 del DPR 29 settembre 1973, n. 600, a tutti gli eredi, impersonalmente e collettivamente. L’amministrazione finanziaria proponeva ricorso per Cassazione, sulla base di due motivi. Col primo mezzo sosteneva la nullità della sentenza, in relazione agli artt. 111 Cost., 36, n. 4 D.Lgs. n. 546/1992 e 360 n. 4 c.p.c., in quanto la stessa avrebbe acriticamente accolto la tesi dei contribuenti, omettendo l’esposizione dei motivi in fatto e in diritto sui quali la decisione si è fondata. Col secondo mezzo, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 65 del DPR. n. 600/1973, 156 e 160 c.p.c., nonché omessa insufficiente, contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, sostiene che il citato art. 65 dispone che gli eredi del contribuente devono comunicare all’ufficio delle imposte del domicilio fiscale del dante causa le proprie generalità e il proprio domicilio fiscale e che la notifica degli atti concernenti il dante causa può essere effettuata agli eredi impersonalmente e collettivamente nell’ultimo domicilio del de cujus. In mancanza di tale comunicazione, l’ufficio aveva regolarmente notificato l’avviso di liquidazione mediante consegna ad una figlia. In ogni caso, il tempestivo ricorso di tutti gli eredi alla Commissione tributaria provinciale competente dimostrava che l’atto aveva raggiunto il suo scopo, rendendosi applicabile il principio sancito dall’art. 156, richiamato dall’art. 160, c.p.c. Stante il contrasto formatosi sulla applicabilità della sanatoria di cui agli artt. 156 e 160 c.p.c. alla notificazione dell’accertamento tributario nella giurisprudenza della Sezione Tributaria, quest’ultima, con ordinanza del 12 marzo 2003, rimetteva la causa al Primo Presidente, il quale ne disponeva l’assegnazione alle Sezioni Unite. 2. Il contrasto di giurisprudenza. Nella sentenza 12 settembre 2002 n. 17762, la sezione tributaria, uniformandosi alle precedenti pronunce della prima sezione 7 aprile 1994 n. 3294, e 9 giugno 1997 n. 5100, e a quella della stessa sezione tributaria 29 maggio n. 7284, affermava che la notificazione dell’avviso di accertamento affetta da nullità rimane sanata, con effetto ex tunc, dalla tempestiva proposizione del ricorso del contribuente, atteso che, da un lato, l’avviso di accertamento ha natura di provocatio ad opponendum, la cui notificazione è preordinata all’impugnazione 6 PARTE SECONDA 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A e, dall’altro, l’art. 60, comma 1, del DPR 29 settembre 1973, n. 600 (dettato in materia di accertamento delle imposte sui redditi, ma applicabile anche in tema di imposta di registro ed Invim) richiama espressamente, per gli avvisi ed altri atti che devono essere notificati al contribuente, “le norme stabilite dagli artt. 137 ss. c.p.c.”, così rendendo applicabile l’art. 160 del codice medesimo, il quale, attraverso il rinvio al precedente art. 156, prevede che la nullità non possa essere dichiarata quando l’atto ha raggiunto il suo scopo. Tale sentenza si è posta in consapevole contrasto con le sentenze della sezione tributaria 5924/2001, e 3513/2002, nelle quali è stato affermato che l’avviso di accertamento non è un atto processuale, né è funzionale al processo – la cui instaurazione si correla non già alla notificazione dell’avviso di accertamento o di qualsiasi atto impositivo impugnabile, che ne costituisce un semplice antecedente, ma alla proposizione del ricorso di cui agli artt. 15 ss del DPR n. 636/1972 e, successivamente, 18 e 20 del D.Lgs. n. 546/1992 – ma è atto amministrativo, esplicativo della potestà impositiva dell’amministrazione finanziaria. Da ciò deriva l’inapplicabilità della disciplina della sanatoria delle nullità delle notificazioni degli atti processuali all’avviso di accertamento e, quindi, non può ritenersi, alla stregua di tale disciplina, che la proposizione del ricorso da parte del contribuente avverso l’atto notificato possa produrre l’effetto di impedire, in ogni caso, la verificazione della decadenza di diritto sostanziale, correlata alla mancata tempestiva e valida notifica di detto avviso prevista dall’art. 43, comma 1, del DPR 29 settembre 1973, n. 600. Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 DIRITTO - 3.1. Il primo motivo deve essere rigettato, in quanto la decisione impugnata, contrariamente a quanto affermato dalla difesa dell’amministrazione, contiene sufficienti elementi per cogliere la ratio della decisione impugnata ed una valutazione delle critiche ad essa rivolte, che non costituiscono un mero rinvio al contenuto della pronuncia di primo grado. 3.2. Merita, invece, accoglimento il secondo motivo, dovendosi seguire la tesi dell’applicabilità della sanatoria di cui agli artt. 156 e 160 c.p.c., anche se per ragioni non del tutto coincidenti con quelle poste a base delle citate decisioni della Corte. Si deve rilevare, anzitutto, che il problema viene posto soprattutto in relazione ai termini di decadenza previsti dalle singole leggi d’imposta per l’esercizio dei poteri di accertamento, di rettifica e di riscossione, essendo stato sostenuto, quale conseguenza dell’applicabilità del regime di sanatoria previsto per la notifica degli atti processuali, che la sanatoria (costituita, nella specie, dalla tempestiva proposizione del ricorso da parte di tutti i legittimati) comporti un’attribuzione di validità ex tunc alla notificazione di atti di accertamento e, quindi, impedisca il verificarsi della decadenza. È da escludersi, peraltro, che l’applicazione del regime di sanatoria previsto dalla legge processuale civile sia una mera conseguenza della natura pre-processuale o quasi processuale dell’accertamento tributario, il quale, in tale ottica, viene definito come una mera provocatio ad opponendum. L’atto in questione, 7 GIURISPRUDENZA Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A costituisce, infatti, come tutti gli atti amministrativi autoritativi, lo strumento attraverso il quale – in ossequio ai principi di tipicità e nominatività – l’amministrazione enuncia nei confronti del destinatario ciò che deve essere per lui di diritto nel caso concreto; per quanto attiene all’imposizione fiscale, le ragioni e il contenuto della pretesa tributaria. Il momento processuale, che è meramente eventuale, laddove necessaria ed indefettibile è l’emanazione dell’atto di accertamento, quando non vi sia stato spontaneo ed esatto adempimento dell’obbligazione tributaria, si ricollega all’atto, sia perché la tutela giurisdizionale si esercita – secondo il sistema processuale vigente – attraverso un meccanismo d’impugnazione dello stesso, sia perché l’enunciazione della pretesa tributaria costituisce, al contempo, l’oggetto del processo. Tali elementi di collegamento non possono, pertanto, qualificare l’accertamento come un atto di natura assimilata a quella processuale, cosa che, d’altra parte, non sarebbe sostenibile per qualsiasi altro atto amministrativo nei cui confronti sia prevista una tutela giurisdizionale di tipo impugnatorio. La natura sostanziale dell’atto in questione non costituisce, però, un ostacolo insormontabile all’applicazione di istituti appartenenti al diritto processuale, soprattutto quando, come nella specie, vi sia un espresso richiamo nella disciplina tributaria. Per quanto concerne le notificazioni, l’impiego del procedimento di notificazione nel processo civile risponde ad evidenti necessità di garanzia del contribuente e non è nuovo nell’ordinamento: un esempio significativo – che, come si dirà in seguito, ha dato luogo a pronunce giurisprudenziali nelle quali si è posto il problema della sanatoria per conseguimento dello scopo – è costituito dal decreto di espropriazione secondo l’art. 51 della legge fondamentale n. 2359/1865, il quale stabilisce che il decreto di espropriazione “deve, a cura dell’espropriante, essere notificato a forma delle citazioni ai proprietari espropriati”. Ciò posto, pur in difetto di un espresso richiamo, l’applicazione delle forme sulla notificazione comporta, quale necessità logica, quella del regime della nullità (in particolare, quella di origine giurisprudenziale sulla differenza tra nullità e inesistenza) e quella sulle sanatorie, che costituisce una sorta di limite alla dichiarazione di nullità, non essendovi alcun principio o ragione sistematica per ritenere che in materia di notificazione di atti di accertamento, pur regolata dal cod. proc. civ., viga un regime diverso. La sanatoria del raggiungimento dello scopo per atti non processuali non è, del resto, estranea al sistema: appare significativo che per gli atti impugnabili dinanzi al giudice amministrativo la piena conoscenza dell’atto – secondo gli artt. 36 del RD n. 1054/1924 e 21 comma 1 della legge n. 1024/1971 – costituisce vicenda equipollente alla sua notificazione ed è perciò idonea a far decorrere il termine di decadenza per proporre il ricorso al giudice amministrativo. Tanto premesso, si deve affrontare il problema dell’operatività della sanatoria in relazione alla decadenza dall’esercizio del potere di accertamento. Secondo le sezioni unite, l’applicazione della sanatoria del raggiungimento dello scopo nel caso di impugnazione dell’atto la cui notificazione sia affetta da 8 PARTE SECONDA Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A nullità significa che, se il contribuente mostra di aver avuto piena conoscenza del contenuto dell’atto e ha potuto adeguatamente esercitare il proprio diritto di difesa, lo stesso contribuente non potrà, in via di principio, dedurre i vizi relativi alla notificazione a sostegno di una domanda di annullamento. A diverse conclusioni deve, peraltro, pervenirsi se la sanatoria, costituita dalla proposizione del ricorso alle commissioni, sia intervenuta quando il termine per l’esercizio del potere di accertamento è scaduto. In tale ipotesi, infatti, il meccanismo della sanatoria deve essere combinato con quello, indefettibile, della decadenza dell’esercizio del potere, per cui la sanatoria può verificarsi solo se avvenuta prima del decorso del termine di decadenza. Vi è da rilevare, infatti, che la notificazione costituisce un elemento essenziale della fattispecie necessaria per evitare la decadenza dell’amministrazione. In altri termini, dall’esercizio del diritto di difesa mediante proposizione del ricorso non può mai derivare una convalida ex tunc di un atto imperfetto, di per sé inidoneo ad evitare la decadenza. Si tratta di una conseguenza dell’applicazione di principi generali, nei casi in cui la legge pone limiti temporali all’esercizio di poteri amministrativi. Si consideri, ad esempio, l’ipotesi del decreto di espropriazione emesso successivamente alla scadenza del termine indicato nella dichiarazione di pubblica utilità: in tale caso, secondo la giurisprudenza della Corte, l’atto si considera emesso in carenza di potere e nessun effetto sanante può derivare da una sua impugnazione dinanzi al giudice amministrativo. Una consolidata giurisprudenza della Corte ha affermato che l’applicazione del regime processuale della notificazione al decreto di espropriazione – formalità che segna, secondo il comma 2 dell’art. 51 della legge n. 2359/1865, l’inizio del termine di decadenza per proporre opposizione alla stima – non consente di ritenere che, attraverso la sanatoria per raggiungimento dello scopo, l’espropriato che abbia proposto opposizione deducendo il vizio della notificazione possa considerarsi decaduto, in quanto la decadenza ha natura sostanziale. Nella sentenza n. 2318/1990 la Corte ha affermato che la nullità della notificazione del decreto di espropriazione ha carattere sostanziale, e non processuale, e, nell’ambito del procedimento espropriativo, impedisce il decorso del termine di decadenza per l’opposizione alla stima. Pertanto, anche se gli interessati possono proporre opposizione anche subito dopo l’emanazione del decreto ablativo, non possono ritenersi soggetti al termine di decadenza, che per essi mai aveva iniziato a decorrere. Quindi, non può trovare applicazione il principio della sanatoria della notificazione nulla per il raggiungimento dello scopo, nell’ipotesi in cui l’atto sia comunque venuto a conoscenza dell’interessato. Identico principio è stato affermato nella sentenza n. 319/1987, nella quale la Corte ha ritenuto che, in caso di nullità della citazione contenente un atto di riscatto di fondi agrari, la sanatoria (consistente nella costituzione del convenuto) non può evitare la decadenza dall’esercizio del diritto di riscatto. In altri termini, per ritornare all’accertamento tributario, la nullità della sua notificazione può essere sanata relativamente al conseguimento della finalità dell’atto di portare a conoscenza del destinatario i termini della pretesa tributa- 9 GIURISPRUDENZA Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A ria e consentirgli, così, un’adeguata difesa, ma non mai nel senso di attribuire ex tunc validità a un intempestivo atto di esercizio del potere di accertamento, salvo che il conseguimento dello scopo avvenga entro il termine previsto dalle singole leggi d’imposta per l’esercizio di tale potere. Vi è da considerare, inoltre, che la sanatoria del raggiungimento dello scopo non può eliminare gli effetti della decadenza, neppure quando questa ha natura processuale. Nella sentenza n. 9342/1997 le sezioni unite hanno affermato che la tardiva notificazione della citazione in riassunzione è un atto per sua natura ab origine inidoneo ad evitare la decadenza di cui all’art. 392 c.p.c., per cui nessuna sanatoria può conseguire alla costituzione del convenuto, essendo l’atto ab origine inidoneo a produrre effetti. Identica soluzione è stata adottata in tema di nullità della notificazione dell’appello ad alcune parti, in relazione alla quale la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che la sanatoria, costituita dalla costituzione degli appellati, non può impedire la decadenza se la costituzione sia avvenuta successivamente alla scadenza del termine per proporre l’impugnazione. Poste queste premesse, necessarie per delimitare gli effetti dell’applicazione della sanatoria, che può evitare la decadenza dal potere di accertamento soltanto ove sia intervenuta prima della scadenza del termine (per riferirsi al caso di specie, ove il ricorso alla commissione di primo grado sia proposto entro tale termine), vi è, comunque, da rilevare che la decadenza dell’amministrazione finanziaria del potere di accertamento – secondo una consolidata giurisprudenza della Corte – non produce l’inesistenza degli atti impositivi successivamente emanati, per cui anche in tal caso il contribuente ha l’onere di dedurre la decadenza come specifico vizio nel ricorso introduttivo dinanzi alle commissioni tributarie, escludendosi un potere di declaratoria ex officio del giudice. È evidente, altresì, che la proposizione di un ricorso introduttivo nel quale si faccia valere, da sola o con altri vizi, la decadenza dell’amministrazione finanziaria dall’esercizio del potere di accertamento non svolgerà in nessun caso un indiscriminato effetto sanante nei confronti di tale vizio. Applicando tali principi al caso di specie, il vizio dedotto deve essere indubbiamente ricondotto all’ipotesi di nullità, e non a quello dell’inesistenza, essendo stata la notifica effettuata a uno degli eredi, persona non priva di un collegamento col destinatario previsto, e cioè gli eredi collettivamente e impersonalmente. È del pari evidente che l’ufficio finanziario era a conoscenza del decesso di E.D.V., per cui non può essere addebitata agli eredi alcuna conseguenza per la mancata segnalazione all’ufficio del decesso e dei nominati degli eredi. Avendo tutti gli eredi proposto ricorso avverso l’avviso di liquidazione dinanzi alla commissione tributaria provinciale, svolgendo adeguate difese e così dimostrando di avere una piena conoscenza del contenuto dell’atto impugnato, il vizio della notificazione non poteva essere dichiarato dal giudice. Mentre, nella specie, nessuna questione era stata svolta dai ricorrenti sulla decadenza dell’ufficio dal potere di accertamento. L’accoglimento della censura comporta la cassazione della sentenza impu- 10 PARTE SECONDA gnata, con rinvio ad altra sezione della Commissione tributaria regionale del Lazio, la quale dovrà, pertanto, esaminare gli altri motivi dedotti dai contribuenti a sostegno dell’appello e decidere anche sulle spese della presente fase. P.Q.M. - La Corte di Cassazione a SS.UU. accoglie il secondo motivo e rigetta il primo; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale del Lazio. II lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A FATTO - P.A.C. impugnò l’avviso di accertamento con cui il Comune di Roma gli aveva richiesto la somma di lire 13.126.669 a titolo di tassa per l’occupazione di suolo pubblico eccependo, tra l’altro, la decadenza dalla pretesa fiscale in quanto il termine triennale previsto dall’art. 51, comma 3, del D.Lgs. n. 507/1993 era scaduto al 31 dicembre 1997, mentre egli aveva ricevuto l’avviso il 5 gennaio 1998. L’adita Commissione provinciale di Roma rigettò il ricorso, disattendendo l’eccepita decadenza del Comune dal potere di emanare l’accertamento in quanto, per la tempestività della relativa notifica, occorreva riferirsi alla data di spedizione avvenuta il 29 dicembre 1997 e non a quella di ricezione da parte del contribuente. L’appello successivamente proposto dall’A.C. fu respinto dalla Commissione tributaria regionale del Lazio sul rilievo che l’avviso di accertamento era stato spedito in tempo utile laddove erano privi di autenticità i documenti che ne comprovavano la data di consegna. Per la cassazione della riassunta sentenza ha proposto ricorso P.A.C. sulla base di un motivo. Non resiste l’ente intimato. Fa sc ic o DIRITTO - Con l’unico motivo il ricorrente censura la sentenza per avere la Commissione tributaria regionale, da un canto, valorizzato il momento della spedizione dell’accertamento in violazione dell’art. 51, comma 3, del D.Lgs. n. 507/1993 che invece, richiedendo l’avviso di ricevimento per la notifica a mezzo posta del provvedimento, privilegia il principio della ricezione; dall’altro, negato efficacia probatoria, sol perché prodotto in fotocopia, al documento da cui si evinceva l’intempestività della notifica (sull’assunto del suo perfezionarsi con la consegna dell’atto) così violando l’art. 2719 c.c., il quale attribuisce alle copie fotostatiche lo stesso valore degli originali ove, come nella specie, non espressamente disconosciute. Il ricorso è infondato. In tema di tassa per l’occupazione del suolo pubblico l’art. 51, comma 3, D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507 prevede che gli avvisi di accertamento, sia in rettifica che d’ufficio, devono essere notificati al contribuente, a pena di decadenza, anche a mezzo posta, mediante raccomandata con avviso di ricevimento, 11 GIURISPRUDENZA Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello in cui la denuncia è stata presentata o a quello in cui la denuncia avrebbe dovuto essere presentata. Nella specie è pacifico che, per notificare l’avviso di accertamento impugnato, il Comune di Roma si è avvalso del servizio postale spedendo il plico raccomandato il 29 dicembre 1997. Ciò deve far ritenere notificato tempestivamente il discusso avviso e quindi infondata – come correttamente ritenuto da entrambi i giudici tributari – l’eccezione di decadenza del Comune dalla pretesa impositiva, scaturita – anche questo è incontroverso – da una denuncia presentata dal contribuente nel 1994. A tale conclusione si perviene rilevando anzitutto che in mancanza di una particolare diversa normativa, le notificazioni degli avvisi di accertamento dei tributi locali devono essere effettuate osservando le disposizioni contenute negli artt. 137 e seguenti del codice di procedura civile i quali hanno efficacia generale (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 23 novembre 1976 n. 1146); ciò, del resto, in linea con una tendenza già emersa a livello normativo (vedi art. 60 DPR 29 settembre 1973, n. 600 in tema di notifiche degli avvisi di accertamento delle imposte sui redditi). In una tale cornice, vanno necessariamente richiamati i principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 477/2002 con la quale si è dichiarata l’illegittimità costituzionale del combinato disposto dell’art. 149 del codice di procedura civile e dell’art. 4, comma 3, della legge 20 novembre 1982, n. 890 (Notificazioni di atti a mezzo posta e di comunicazioni a mezzo posta connesse con la notificazione di atti giudiziari), nella parte in cui prevedevano che la notificazione si perfeziona, per il notificante, alla data di ricezione dell’atto da parte del destinatario anziché a quella, antecedente, di consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario o all’agente postale. Di vero, ad avviso di questa Corte, dalla predetta decisione, benché emessa in tema di notifica di atti giudiziari e in affermata presenza di un vulnus ai principi costituzionali di cui agli artt. 3 e 24 Cost., si deve trarre il principio generale che per le notifiche a mezzo posta anche di atti amministrativi, quali gli avvisi di accertamento, la notificazione deve ritenersi perfezionata per l’amministrazione notificante al momento della spedizione dell’atto notificando e non della ricezione dell’atto medesimo da parte del contribuente (per il quale resta fermo, naturalmente, il principio del perfezionamento della notificazione solo alla data di ricezione dell’atto, attestata dall’avviso di ricevimento). Diversamente opinando, si imputerebbero alla pubblica amministrazione le conseguenze dovute a negligenze o ritardi del servizio postale ovverosia al compimento di attività riferibile non all’amministrazione notificante, ma a soggetti diversi e quindi estranea alla sua sfera di disponibilità, impulso e controllo. Al contrario, la grave sanzione della decadenza della pretesa fiscale deve essere correlata all’intempestivo invio dell’atto impositivo. Ne deriva che la disposizione dell’art. 51, comma 3, D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507 deve essere interpretata nel senso che, qualora il Comune notifichi l’avviso di accertamento della Tosap a mezzo posta, il termine per verificare la 12 PARTE SECONDA Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A tempestività della notifica coincide con la spedizione del piego raccomandato A.R. e non con la ricezione del plico da parte del contribuente. Tale opzione interpretativa della norma de qua si presenta in ogni caso univocamente adeguatrice ai precetti costituzionali. Sarebbe invero contrario ai principi di eguaglianza e di buon andamento della pubblica amministrazione sanciti dagli artt. 3 e 97 della Carta fondamentale, oltre che al canone della ragionevolezza, ritenere che il principio secondo cui in caso di notificazione a mezzo del servizio postale il notum facere si perfeziona per il notificante al momento della spedizione dell’atto per raccomandata e non della ricezione dell’atto notificando (purché questa avvenga), anche in quanto affermato dal giudice delle leggi a seguito dell’accertato contrasto con l’art. 24 Cost. dell’opposta regola enucleabile dalla denunciata normativa, riguardi solamente le notificazioni eseguite nel quadro e in funzione del processo e non invece quelle aventi a oggetto gli avvisi di accertamento costituenti atti (non processuali né specificamente funzionali al processo ma) amministrativi, esplicativi della potestà impositiva dell’amministrazione finanziaria. Quindi, fra le due possibili letture dell’art. 51, comma 3, D.Lgs. 15 novembre 1993 n. 507 dev’essere prescelta quella che elide in radice il dubbio di illegittimità costituzionale di detta norma in relazione ai richiamati principi della Costituzione. È infatti principio incontestabile – già autorevolmente affermato (Cass. nn. 674/1971, resa a SS.UU., 4906/1995) e ora ribadito – che, se una norma di legge sia suscettibile di piú interpretazioni, di cui una darebbe alla norma un significato costituzionalmente illegittimo, il dubbio è soltanto apparente e deve essere superato e risolto interpretando la norma in senso conforme alla Costituzione e alle leggi costituzionali. Del resto, ciò risponde agli auspici della Corte Costituzionale, la quale ha spesso sollecitato i giudici a quibus a non trascurare le tecniche della interpretazione adeguatrice, che consentono di ottenere l’allineamento del dato normativo ai superiori precetti della Costituzione (ove possibile) già sul piano ermeneutico, indipendentemente dal ricorso al giudizio incidentale di costituzionalità. In definitiva il ricorso va rigettato, senz’uopo di provvedere sulle spese del presente giudizio, non avendovi il Comune intimato svolto difese di sorta. P.Q.M. - La Corte, rigetta il ricorso. 13 GIURISPRUDENZA (1-2) La notifica dell’atto tributario recettizio: un “Giano bifronte” tra sanatoria e decadenza. A SOMMARIO: Premessa. - 1. Il cd. “sdoppiamento” dei termini della notifica processuale: limiti o “autolimiti” della giurisprudenza costituzionale. - 2. L’atto recettizio e la decadenza tributaria, nella dogmatica e nello “storico” dibattito sulla coobbligazione solidale. - 3. Il “tempo poliedrico” della notificazione tributaria e la prioritaria certezza dell’imposizione. Decadenza e “buona amministrazione” nel pensiero della sezione tributaria. - 4. Tra sanatoria e decadenza, l’atto recettizio tributario e le paradossali implicazioni della pronuncia delle SS.UU. ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp Premessa. - La sentenza delle SS.UU. della Cassazione sulla sanatoria dei vizi di notifica dell’atto tributario recettizio e la decadenza dalla possibilità di esercitare il potere amministrativo tributario, per effetto di una tardiva notifica dell’atto che ne costituisca di volta in volta estrinsecazione, è l’occasione per tornare a ragionare (1) – ancora una volta – della giurisprudenza costituzionale (additiva e interpretativa) che, dal 2002 ad oggi, ha profondamente mutato il regime delle notificazioni: più in particolare, per verificare se vi fosse un “limite naturale” individuato dalla stessa Consulta, se ciò possa rilevare di per sé, e, comunque – se del caso –, valutare la portata del principio “additivo”; quindi, misurarne possibilità di applicazione ed effetti, talvolta “paradossali”, in relazione al novero degli atti tributari recettizi. Spesse volte, nella giurisprudenza, è prevalsa l’idea che tra notificazione ed atto da notificare vi possa essere una sorta di “cesura” netta, piuttosto che la relazione che corre tra “determinazione” (o “dichiarazione”) e sua “esternazione”. La sentenza della sezione tributaria n. Fa sc ——————— (1) Ho già avuto occasione più volte di affrontare, sistematicamente, l’argomento (cfr., C. SCALINCI, Modi e tempi ragionevoli nel processo tributario ed effettività del diritto di difesa: in attesa della svolta telematica, in questa Rivista, n. 2/2003, II, 148 ss.; Id., Deposito di documenti e notifiche endo-processuali: l’essenza propria e complessa della “regolazione della tutela giurisdizionale”, in questa Rivista, n. 5/2004, II, 287 ss.), peraltro ampiamente dibattuto e trattato dalla migliore dottrina (si veda, tra gli altri, R. LUPI, Sulla legittimità della costituzione in giudizio a mezzo posta, con spedizione degli atti entro i termini per la costituzione, in questa Rivista, n. 2/2003, II, 143 ss.; C. GLENDI, Rimessa alle Sezioni Unite la questione sulla sanabilità dei vizi di notifica degli atti impugnati, in Corr. trib., 2003, 2471; Id., Sulla sanabilità o meno dei vizi di notifica degli atti del prelievo per il solo fatto della loro impugnazione davanti alle commissioni tributarie, in Riv. giur. trib., 2003, 1076; Id., La sanatoria delle nullità di notifica degli atti impugnati nel processo tributario, in Riv. dir. fin., n. 1/1978, 45 ss.). Si veda, inoltre, sul punto, A. VIGNOLI, Sulla sanatoria di atti impositivi irregolarmente notificati, in Rass. trib., n. 3/2001, 929 ss. 14 PARTE SECONDA sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A 1647/2004 – qui congiuntamente annotata – ne costituisce ulteriore testimonianza, se solo si considera che, secondo quel Giudice di legittimità, contrasterebbe con il principio di “eguaglianza” (e di buon andamento della pubblica amministrazione), oltre che con il canone della ragionevolezza, ritenere che il meccanismo dello sdoppiamento dei termini di notificazione riguardi solamente le notificazioni eseguite nel quadro e in funzione del processo, e non invece quelle aventi ad oggetto “atti amministrativi”, quali gli avvisi di accertamento. Secondo le SS.UU., poi, la notifica dell’atto tributario recettizio, in particolare, sarebbe processuale o processualmente regolata, dunque sanabile, se solo nulla, purché, nel termine di decadenza dal potere amministrativo concretizzato nell’atto notificato, il contribuente quell’atto l’abbia comunque ricevuto e, forse, necessariamente impugnato. Qualora, quindi, il fortunato destinatario sia stato tanto previdente, o preveggente, perspicace o solo prudente, da poter annoverare, tra i motivi di ricorso, anche l’eccezione di tardività della sanatoria, la notificazione risulterebbe perfetta ma inutiliter data, perché nel frattempo è spirato il termine di legge sostanziale, ed il Giudice – il quale non può provvedere d’ufficio –, rileverebbe l’eccepita tardività. Si profilano, dunque, un quadro ed un percorso tortuosi e complessi, nei quali la notifica dell’atto recettizio tributario, collocata – dalle SS.UU. – nel mezzo del guado, tra sanatoria e decadenza, diritto sostanziale e processuale, regime e forma di “comunicazione”, conoscenza aliunde e proposizione del ricorso, assume le sembianze del “Giano bifronte” (2): nel simbolismo di matrice mitologica, icona della doppiezza e geometrica rappresentazione dell’eclettismo concettuale, più che dell’ibridismo. Fa 1. Il cd. “sdoppiamento” dei termini della notifica processuale: limiti o “autolimiti” della giurisprudenza costituzionale. - La giurisprudenza costituzionale, maturata ed affinata nel corso dell’ultimo biennio, in tema di termini di notificazione, lungi dall’aver delineato un modello ——————— (2) “Iane bifrons, qui iam transacta, futuraque calles, quique retro sannas (sicut et ante) vides, Tot te cur oculis, tot fingunt vultibus? an quod circunspectum hominem forma fuisse docet?” (così, ANDREA ALCIATI, Giano bifronte, in Emblemata, Lugduni, 1543 – erudito, umanista e giureconsulto, probabilmente, il principale giurista italiano del XVI secolo – il quale raffigura l’uomo prudente con il volto di Giano bifronte, simbolo di circospezione e dell’ambiguità dell’atteggiamento umano, … dei molteplici volti degli uomini, alcuni dei quali puntano decisamente alla finzione per finalità che possono essere anche costruttive, ma anche dell’apertura al tempo nuovo degli eventi). 15 GIURISPRUDENZA Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A strutturale ed operativo “necessario” per le notificazioni in quanto tali, sembra avere una sua ben precisa ragion d’essere e, soprattutto, una chiara giustificazione, collocazione e connotazione processuale. È sembrata (3) averla fin dall’origine (sentenza n. 477/2002); l’ha conservata, e resa ancor più manifesta, nei primi mesi di quest’ultimo anno giudiziario (4). Già nel mese di marzo 2004 (ord. n. 97), la stessa Consulta ha ribadito che l’ambito proprio della giurisprudenza sul cd. “sdoppiamento dei termini di notifica” è l’area delle notificazioni di atti “processuali”; e, fin dall’origine (sent. n. 477/2002), per il principio valso superamento del “dogma” della responsabilità del notificante, quella Corte è sembrata segnare o volere quei confini. Proprio questi individuavano l’ambito in cui è ragionevole, possibile e “sostenibile” un nuovo e diverso contemperamento tra le esigenze di tutela e gli interessi coinvolti dalla notificazione di un atto processuale: tra quelli dei legittimati, attivo e passivo, e la funzione stessa di un limite di tempo per la notificazione nel processo. Certo già solo per il “contingente oggetto” dei “giudizi a quo”, quella giurisprudenza, inoltre, verte sulle notificazioni di atti o incombenti della fase iniziale o introduttiva di un giudizio; momento, questo, che potrebbe, a sua volta, identificare un ambito “naturale” ed ancora più circoscritto per il principio additivo, rispetto al più ampio “genere” delle notificazioni processuali, rendendosi necessaria, invece, una verifica di compatibilità con la funzione delle notifiche cd. endo-processuali, o almeno di quelle da eseguirsi in un termine “finale” e cd. libero. Dopo i necessari interventi di tipo additivo, la Corte ha seguito la “via interpretativa”, quando ciò è stato possibile, per la natura non recettizia – e notoriamente tale – dell’atto processuale e la omogeneità degli interessi costituzionalmente rilevanti e concorrenti, nelle fattispecie di notificazione considerate: ossia, quando queste rilevino ai fini meri della tutela giurisdizionale e della declinazione processuale e procedurale del diritto di difesa, e fin tanto che non subentrino le ragioni “complesse” e “multilaterali” del processo, dell’ordinata e ritmata funzione giurisdizionale. La giurisprudenza costituzionale in esame, “additiva” del cennato ——————— (3) Mi sia consentito rinviare al mio, Modi e tempi ragionevoli, cit. (4) Sempre in relazione alla scissione ed alla dualità dei momenti perfezionativi della fattispecie notificatoria, cfr., infatti, Corte cost., sentenza 23 gennaio 2004, n. 28, ordinanza 12 marzo 2004, n. 97; sentenza 2 aprile 2004, n. 107, ordinanza 28 aprile 2004, n. 132, ordinanza 25 maggio 2004, n. 153 (cfr., sul punto, C. GLENDI, La notificazione degli atti dopo l’intervento della Corte Costituzionale, in Corr. Giur. n. 10/2004, 1315). 16 PARTE SECONDA 'E di to re Sp A principio, al tempo stesso – in qualche misura – autolimita (5) quella soluzione “di compromesso”, collocata, ormai, tra le norme generali sulle notificazioni, ma “relativamente alla funzione che sul piano processuale, cioè come atto della sequenza del processo, la notificazione è destinata a svolgere per il notificante” (così, sentenza n. 28/2004), ovvero limitatamente al novero delle notificazioni di atti processuali (6): e nemmeno di tutte (7). Non sembrano sussistere, quindi, i presupposti stessi (8) di una interpretazione cd. adeguatrice, né di una applicazione cd. de plano di quella giurisprudenza additiva, se non in relazione al genere delle notificazioni e degli atti giuridici qualificati, tutti, dalla natura e dall’attributo “processuali”; del tutto disomogenei (o almeno, certo, da verificare) ap- Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre ——————— (5) Non è questo il luogo per una riflessione critica sul recente pronunciato delle SS.UU. civili, in materia tributaria (regolarizzazione dell’assistenza tecnica), 2 dicembre 2004, n. 22601 (inedita); e, tuttavia, seppure le basi teorico-concettuali dalle quali muove quell’Alto Consesso non appaiano condivisibili, deve far riflettere il loro svolgimento, ossia il principio del necessario spontaneo (o supino) adeguamento del Giudice comune, persino, alla giurisprudenza costituzionale interpretativa di rigetto (formalmente non vincolante). Il ragionamento delle SS.UU. si risolve in una sorta di economia di attività istituzionali ed in una giurisprudenza sostitutiva del ruolo (peraltro discusso) della giurisprudenza costituzionale additiva o manipolativa dei testi normativi (l’adeguamento del testo normativo – nella parte in cui lo stesso è suscettibile di diverse letture – inteso, da quella Corte, un’inevitabile conseguenza dell’impatto nell’ordinamento dei principi e delle norme della Costituzione, senza che ciò comporti necessariamente una caducazione della norma di legge). Il “Giudice della interpretazione della legge”, seguendo questo percorso, informa, quindi, il proprio pronunciato ad un canone inespresso o emerso in un enunciato “interpretativo-manipolativo di rigetto”, non vincolante (almeno formalmente): per quanto qui ci occupa, in ogni caso, pronunzia nel senso che, a priori, sembri scongiurare il formarsi di un diritto vivente già “preannunziato” (dal Giudice delle leggi) come non conforme a Costituzione. (6) Corte cost., ordinanza 12 marzo 2004, n. 97. (7) Sia consentito rinviare, ancora una volta, ai miei precedenti lavori in argomento, ed in questo senso specifico, identificati nella nota di apertura. (8) Anche nella sentenza della sezione tributaria in commento si percepisce l’ordine di idee riemerso, più tardi, nella citata, recente sentenza a SS.UU. n. 22601 del mese di dicembre 2004, al punto che il Giudice di legittimità è sembrato voler corrispondere agli “auspici della Corte costituzionale, la quale ha (rectius, avrebbe) spesso sollecitato i giudici a quibus a non trascurare le tecniche della interpretazione adeguatrice, che consentono di ottenere l’allineamento del dato normativo ai superiori precetti della Costituzione (ove possibile – testo della Corte) già sul piano ermeneutico, indipendentemente dal ricorso al giudizio incidentale di costituzionalità”; ma in questo caso, non si tratta di un testo normativo e quello enunciato dalla Consulta è un principio, anche esplicitamente, “limitato”, (da quell’insostituibile Giudice) al genere delle notificazioni processuali. 17 GIURISPRUDENZA Sp A paiono, invece, la struttura ed il fine della notificazione dell’atto sostanziale in genere – soprattutto, se di natura recettizia –, come gli interessi coinvolti dalla (o sottesi alla) “esternazione” di quest’ultimo. Più in particolare, poi, natura, effetti e disciplina normativa dell’accertamento dei tributi, come della notifica dell’avviso di accertamento e degli altri atti tributari recettizi, appaiono ragioni ostative ad una “osmosi di principio”, da escludere, se non altro, per la conformazione normativa e la polifunzionalità, proprie dei termini di decadenza “tributari” utili al compiuto svolgimento della fattispecie dell’atto recettizio entro un inesorabile limite di tempo. 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re 2. L’atto recettizio e la decadenza tributaria, nella dogmatica e nello “storico” dibattito sulla coobbligazione solidale. - In materia di decadenza, costituisce ius receptum il principio secondo il quale quel peculiare effetto sostanziale irreversibile si produce allorché non si sia verificato quel particolare fatto, atto o evento giuridico che la norma di legge dispone debba avvenire entro un dato limite temporale (9). Tanto in materia di imposte erariali (per tutti l'art. 43, DPR n. 600/1973) (10), quanto in materia di tributi locali – e, per tutti, di Ici (art. 11, comma 2, D.Lgs. n. 504/1992) –, con disposizione di stretta interpretazione, il legislatore fiscale prevede (11), appunto, che sia la “notificazione” (così Fa sc ic o lo sa gg io 1_ ——————— (9) Si veda, in argomento e senza alcuna pretesa di completezza, per tutti, F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 1994, 114-115; C. GLENDI, voce Prescrizione e decadenza (diritto tributario), in Novissimo dig., appendice V, Torino, 1984, 1160 ss.; Id., voce Termine (diritto tributario), in Enc. dir., Milano, 1992, XLIV, 228 ss.; G. LANDI, voce Prescrizione (diritto tributario), in Enc. dir., Milano, 1986, XXXV, 77 ss.; M.A., SANDULLI, voce Decadenza (diritto amministrativo), in Enc. giur., Roma, 1988, X, ed ivi, M. COGLIATI DEZZA, voce Decadenza (diritto tributario) e A. VITALE, voce Decadenza (diritto processuale civile), nonché, ibidem, F. ROSELLI, voce Decadenza (diritto civile); G. PANZA, voce Decadenza nel diritto civile, in Dig. civ., Torino, 1989, V, 132 ss.; cfr., inoltre, SARACENO, Della decadenza, in Comm. cod. civile, diretto da M. D’Amelio, VI, Firenze, 1943, 1027; S. ROMANO, Decadenza, in Frammenti di un dizionario giuridico, Milano, 1947; V. TEDESCHI, voce Decadenza (dir. e proc. civ.), in Enc. dir., XI, Milano, 1962; A. ROMANO, Note in tema di decadenza, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1964, I, 227 ss. (10) Per quanto attiene, specificamente, alle imposte erariali indirette, sembra particolarmente significativo che l’imposta debba essere “richiesta” a pena di decadenza in un dato termine (art. 76, comma 1, DPR n. 131/1986), e, subito a seguire (art. 76, comma 1-bis), sia previsto che l’avviso di accertamento e di liquidazione della maggiore imposta deve essere notificato entro un termine di decadenza. (11) Si veda sul punto, per una ricognizione sistematica delle previsioni normative dell’epoca, M.C. FREGNI, Obbligazione tributaria e codice civile, Torino, 1996, 469 ss.; 18 PARTE SECONDA gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A globalmente “nominata” nella norma) il procedimento che necessariamente va concluso entro un dato termine di natura decadenziale e, dunque, perentorio. L’ultima disposizione sopra richiamata (12), tra l’altro, ha la particolarità di essere composta da due diverse ed autonome porzioni sintattiche: l’una, relativa all’emissione dell’avviso di accertamento, e l’altra, relativa alla decadenza dal potere accertativo. L’evento al quale la decadenza è correlata è, comunque, sempre quello della notificazione entro un dato limite di tempo. L’atto di accertamento può dirsi notificato, non già quando e al momento in cui ne venga richiesta la notificazione ma al momento temporale specifico e successivo in cui viene materialmente consegnato al destinatario contribuente, che costituisce – credo secondo unanime ricostruzione e giudizio – adempimento “essenziale” al perfezionamento (ed “ultimo”) del procedimento di notificazione: momento, quindi, indefettibile e non collocabile al di fuori di un procedimento “nominato” dal legislatore “nel suo insieme” e “senza distinzione al suo interno”. Ferma ed unanimemente condivisa l’idea che la ricezione sia essenziale al perfezionamento della notificazione, non appare condivisibile, quindi, la tesi secondo la quale il tempo di quest’ultima sia quello dell’inoltro per la notifica, o che la ricezione – a taluni fini o effetti (per il notificante, essenzialmente) – abbia efficacia retroattiva o ex tunc. Quale atto recettizio, l’avviso di accertamento produce effetto solo a partire dall’istante in cui ne è perfezionata la notificazione (13): sia che Fa sc ic o lo sa ——————— cfr., inoltre, M. COGLIATI DEZZA, voce Decadenza (diritto tributario), in Enc. giur., Roma, 1988, X, 1 ss. (12) Nel richiamato art. 11, prescelto proprio per la particolarità sintattica o morfologica della disposizione, al secondo comma il legislatore distingue, chiaramente, il momento della emissione dal momento della notificazione, e non indica, quale evento o atto di esercizio del potere soggetto a decadenza, l’accertamento in genere, bensì il momento conclusivo ed ultimo dell’attività amministrativa di esercizio del potere sostanziale: identificato questo – senza possibilità di equivoco – nella notificazione e non nell’emissione dell’atto accertativo. (13) Non è escluso (cfr., G. GIAMPICCOLO, voce Dichiarazione recettizia, in Enc. dir., XII, 389, nt. 20) che, … per disposizione di legge, tutti gli effetti o alcuni degli effetti della dichiarazione possano anche retroagire ad un momento anteriore a quello della ricezione; ma neppure in tale ipotesi verrà meno il connotato proprio della recettizietà: la circostanza che infatti gli effetti, ancorché così specialmente conformati (retroattività), non si produrranno se non segue (e finché non segue) recezione, starà appunto a confermare che anche in tal caso l’atto è a rilevanza esterna differita e la dichiarazione è una dichiarazione recettizia. Aggiungiamo, noi, che, in questa prospettiva ricostruttiva, nella quale la regola è l’inefficacia prima della recezione e la irretroattività degli effetti prodotti solo dal momento in cui avvenga quest’ultima, la conformazione della fattispecie 19 GIURISPRUDENZA questo momento sia considerato elemento essenziale al perfezionamento stesso dell’atto di accertamento (14); sia che questo sia invece qualificato “condizione necessaria” perché l’accertamento produca l’effetto sostanziale suo proprio, oltre a costituire dies a quo della decorrenza del termine di impugnazione. Quindi, è in quel momento, in quell’istante temporale, che deve necessariamente sussistere, in capo all’ufficio autore ed emittente quell’atto, la possibilità di “esercitare” (15) il potere sostanziale previsto dalla legge e limitato nel tempo. La migliore Dottrina (16) e la giurisprudenza (17) sembrano sostan- Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A ——————— normativa che disciplina la decadenza dal potere amministrativo tributario, quando non distingua il momento dell’inoltro o della spedizione per la notifica, da quello della ricezione, nominando la notificazione tutta o in quanto tale quale procedimento da esperire in un dato termine, dovrebbe essere intesa regolazione conforme al modello proprio dell’atto recettizio: comportare, quindi, la decadenza in caso di recezione successiva allo spirare del termine perentorio di legge. Al contrario, una regolazione espressa quale quella dell’art. 26, DPR n. 602/1973, dovrebbe valere disposto ricognitivo dell’effetto proprio dell’atto contenente intimazione al pagamento di una obbligazione pecuniaria (cartella di pagamento o avviso di intimazione ex art. 50, comma 2, stesso decreto). (14) Cfr., per tutti, in questo senso, G. FALSITTA, Manuale di diritto tributario, Milano, 1995, 390; P. RUSSO, Manuale di diritto tributario, Milano, 1994, 254. (15) Per l’opinione prevalente, nel senso che la scadenza del termine non estingue il potere impositivo, bensì obbliga l’amministrazione “a non esercitarlo”, v., per tutti, G. FALSITTA, Manuale, cit., 416-417; A. FANTOZZI, Diritto tributario, Torino, 1991, 343344, il quale annovera la “pendenza di (quel) termine” tra i presupposti dell’atto di accertamento; contra e nel senso che la scadenza del termine sia causa di estinzione della pretesa tributaria (per chi, come l’autore stesso, aderisce alla tesi dichiarativa), ovvero, della potestà di imposizione con riferimento al caso concreto (ove ci si muova nella diversa ottica della tesi costitutiva), P. RUSSO, Manuale di diritto tributario – Parte generale, Milano, 2002, 319; sul punto, si veda, inoltre, C. GLENDI, voce Termine (diritto tributario), in Enc. dir., Milano, 1992, XLIV, 229. (16) Cfr., per tutti, A. FANTOZZI, Diritto tributario, Torino, 2003, 483 ed, ivi, ulteriori richiami bibliografici. Cfr., altresì, G. FALSITTA, Manuale, cit., 390 e 417; S. LA ROSA, voce Accertamento tributario, in Dig. disc. priv., sez. comm., Torino, 1987, I, 2 ss.; P. RUSSO, Manuale di diritto tributario – Parte generale, Milano, 2002, 291; F. TESAURO, Istituzioni di diritto tributario – Parte generale, Torino, 1999, 186-187; si veda, infine, E. ALLORIO, Diritto processuale tributario, Milano, 1969, 89, secondo il quale l’imposizione (che pure l’Autore rappresentava costitutiva) si profilava come unitaria e come “dichiarazione recettizia”; e per lo scopo cui deve rispondere, essa è rivolta a un destinatario - l’obbligato o il suo rappresentante – nel senso che l’imposizione esiste e opera giuridicamente nella comunicazione che ne vien fatta al destinatario legale. La comunicazione dell’imposizione – concludeva l’Illustre dottrina – non va concepita come un elemento che s’aggiunga ex post a un atto d’imposizione già in sé perfetta; ma come un atteggiamento essenziale dell’imposizione stessa. Per la vasta letteratura in argomento, si veda, tra gli altri, A. CICOGNANI, L’atto di accertamento tributario e la sua notificazione, in Riv. dir. fin., n. 2/1971, 266 ss.; E. MANZON, Avviso di accertamento (Iva) notifi- 20 PARTE SECONDA zialmente concordi su questa classificazione dell’avviso di accertamento tra gli atti amministrativi tributari recettizi; quindi, sulla sua necessaria “ricezione” nel termine ultimo decadenziale previsto dalla legge. E sempre per quanto attiene alla dogmatica tributaria, merita di essere ricordato l’ormai storico dibattito dottrinale, svoltosi negli anni ’70, in margine ad una giurisprudenza (18) che, nonostante il superamento della cd. supersolidarietà tributaria, riconosceva alla “tempestiva” notifica dell’atto tributario recettizio ad uno solo dei coobbligati, efficacia Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A ——————— cato oltre il termine di legge: inesistenza ovvero illegittimità dell’atto non rilevabile d’ufficio da parte del giudice tributario? (nota a Cass., sez. I civ., n. 404/1999), in questa Rivista, n. 2/2000, II, 94 ss.; si veda, infine, A. VIRGILIO, La notificazione degli avvisi di accertamento, delle cartelle esattoriali e degli avvisi di mora, Roma, 1968, 21 ss., il quale ricorda l’antica massima, secondo la quale, sono atti tipicamente recettizi quelli per i quali “esse et notificari paria sunt”. (17) Non è frequente, nella giurisprudenza, l’esplicito accostamento tra l’uno e gli altri, ma per tutte, si veda Cass., sez. civ. V trib., 30 marzo 2001, n. 4760 (in banca dati fisconline), nella quale il modello recettizio è inteso come generalizzato dall’art. 6, comma 1, del cd. Statuto del contribuente; cfr., altresì, Cass. 29 luglio 1980, n. 4877 (ibidem), secondo la quale, “lo scopo della notificazione dell’accertamento è estrinsecare la pretesa impositiva” e Cass., sez. I civ., 24 agosto 1994, n. 7494 (ibidem), la quale, in relazione alla notifica di un avviso di accertamento, osserva che “la notifica dell’atto recettizio costituisce requisito di efficacia dell’atto e non elemento costitutivo”; v., inoltre, Cass., sez. III pen., 5 novembre 1999, n. 12564 (ibidem), secondo la quale, “l’avviso di accertamento ha per oggetto la quantificazione dell’imponibile e la liquidazione dell’imposta, e come tale è “atto recettizio”, che si perfeziona solo nel momento in cui viene notificato al contribuente”; concetto, più in generale, implicito, per esempio, alla giurisprudenza sulla decadenza dalla iscrizione a ruolo ex art. 36-bis, nella quale era escluso che fosse necessaria, o prevista dal legislatore, anche la notificazione della cartella e, quindi, “un ulteriore atto, di natura recettizia, col quale la pretesa tributaria sia portata a conoscenza del contribuente” (cfr., in questo senso, Cass., sez. I civ., 19 luglio 1999, n. 7662, ibidem); nonché ora confermato, sulla base di una inversione di quel distinguo, dalle SS.UU. della Suprema Corte, con la sentenza 12 novembre 2004, n. 21498, per la quale la cartella va notificata, nel senso che deve essere ricevuta, nel termine decadenziale. (18) La giurisprudenza, non senza qualche contraddizione (cfr., Comm. trib. centr., 24 giugno 1972, n. 6942, in Comm. centr. imp., 1972, I, 699), anche esplicita (cfr., Comm. trib. centr., sez. XXII, 25 marzo 1987, n. 2567, in (La) Comm. trib. centr., 1987, I, 155ss), si attestò, sostanzialmente, su quelle posizioni (cfr., Appello di Roma, 22 aprile 1969, in Giur. it., 1970, I, 2, 514 ss.; Cass., sez. I, 11 novembre 1970, n. 2345, in Riv. leg. fisc., 1971, 1006 ss.; Comm. centr., 13 febbraio 1970, n. 2172, in Comm. centr. imp., 1970, I, 179; Comm. centr., 19 ottobre 1971, n. 13031, in (La) Comm. trib. centr., 1973, I, 149; Comm. centr., sez. VIII, 15 dicembre 1971, n. 15885, in Boll. trib., 1974, II, 1622 ss.; Comm. centr., 9 gennaio 1973, n. 195, in (La) Comm. trib. centr., 1973, I, 326; Cass., sez. I, 3 aprile 1978, n. 1503, in Giust. civ. Mass., 1978, I, 619; Cass., sez. I, 23 luglio 1987, n. 6426, in Fisco, 1987, 6274: cioè sulla tesi dell’estensione dell’effetto impeditivo ai coobbligati cd. “non notificati”. 21 GIURISPRUDENZA fre 'E di to re Sp A “impeditiva” della decadenza dal potere di accertamento (in senso lato) nei confronti di tutti i condebitori solidali: dunque, anche di quelli cd. “non notificati”, ferma (19), peraltro, l’illegittimità dell’atto “successivo” che a questi fosse stato partecipato senza notificazione previa di quello “presupposto” (evidentemente tardiva, ma nei limiti del più ampio termine prescrizionale). Ebbene, la migliore dottrina (20), oltre ad elaborare una critica strutturata ed estesa ai presupposti concettuali e normativi di quella giurisprudenza (21), denunziava, in ogni caso, già all’epoca, gli aberranti esiti ai quali avrebbe condotto la compiuta applicazione di quella tesi (essenzialmente (22), “delle Corti”) e la sua inaccettabilità: in definitiva, il contribuente avrebbe, così, finito per permanere in una situazione di assoluta “incertezza”, per un “tempo potenzialmente indefinito”. Anche la Corte costituzionale (23) fu Giudice della questione, ma in Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f ——————— (19) Appare perentorio, in questo senso, il pronunciato sopra richiamato della Corte costituzionale, sent. n. 214/1974: la Consulta fu, cioè, ferma nell’escludere la possibilità, paventata da alcune pronunce della giurisprudenza ordinaria, di merito (Cfr., Appello di Roma, 22 aprile 1969 cit., secondo la quale, “... la Finanza non è tenuta obbligatoriamente alla notifica ..., ma può far valere direttamente la sua pretesa …”) e di legittimità (Cass., sez. I, 11 novembre 1970, n. 2345 cit.), che l’amministrazione ometta la notifica, pur tardiva, dell’accertamento ai coobbligati cd. “non notificati” e proceda direttamente all’emanazione, nei loro confronti, degli ulteriori atti della procedura di attuazione del credito tributario. (20) Cfr., per tutti, A. FANTOZZI, Reviviscenza della solidarietà tributaria?, in Giur. it., 1970, I, 2, 515, secondo il quale, “la finanza ... potrà in pratica ... procedere sine die contro gli altri coobbligati con le conseguenze che è facile immaginare”, al punto che sembrò configurarsi (cfr., op. ult. cit., 515) “una nuova forma di super-solidarietà tributaria ... assai più pericolosa della prima”; A. FEDELE, Solidarietà tributaria e termini di decadenza, in Giur. cost., 1974, II, 2746; P. RUSSO, Disciplina sostanziale e processuale delle obbligazioni solidali tributarie, in Riv. dir. proc., 1975, 338. Si veda, inoltre, F. PICCIAREDDA, Osservazioni in tema di decadenza e di solidarietà tributaria, in Riv. dir. fin., 1976, II, 14 ss.; G.A. MICHELI - G. TREMONTI, Obbligazioni (dir. trib.), in Enc. dir., XXIX, Milano, 1979, 455, nt. 256; L. CASTALDI, Solidarietà tributaria, in Enc. giur., Roma, 1993, 9 ss. (21) Incentrata, tra l’altro, sulla tesi che la ratio dello ius singulare, codificato all’art. 1310, comma 1, c.c., dovesse identificarsi nella peculiarità ontologica e funzionale dell’atto interruttivo, proprio della “prescrizione”, istituto del tutto distinto da quello della decadenza. (22) Per la minoritaria posizione adesiva rispetto a quella giurisprudenza, si veda G. CATURANI, Atto impeditivo della decadenza nelle obbligazioni solidali di diritto tributario, in Giust. civ., 1973, II, 4, 38 ss. (23) Cfr., Corte cost., sent. 9 luglio 1974, n. 214, in Giur. cost., 1974, 1740; in Riv. dir. proc., 1975, 336; in Riv. dir. fin., 1976, II, 14 ss., la quale giudicò infondata la questione di costituzionalità sollevata proprio con riferimento alla tesi della estensione 22 PARTE SECONDA Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A relazione al solo parametro dell’art. 24, Cost.; la sentenza, fu, quindi, di infondatezza, non sussistendo violazione di quel canone e principio superiore. Eppure, la motivazione di quel giudizio della Consulta appare, oggi, straordinariamente attuale e significativa, poiché, in buona sostanza, secondo quella sentenza del 1974, il “termine ultimo” per l’accertamento non attiene (essenzialmente) al diritto di difesa, rispetto al quale, invece, rileva solo che ciascun contribuente possa opporsi all’atto dell’amministrazione, in un tempo sufficiente, per tutti eguale e decorrente dal momento in cui riceva proprio e solo l’atto a sé destinato, ed, infine, con modalità non eccessivamente disagevoli o, addirittura, impossibili. Concludendo questa breve retrospettiva, certo è che, per quanto ci occupa, anche in quella fase storica, ciascuno degli attori di quella contrapposizione netta – e non ricomposta neanche nei decenni successivi (24) – ivi compresi quelli giurisdizionali, presupponeva imprescindibile, comunque, la notificazione individuale, ed a questa condizionava ogni effetto proprio dell’atto di esercizio del potere accertativo. È vero pure che la giurisprudenza faceva eccezione a quella regola, ritenendo che alla notifica nei confronti di uno o alcuni dei condebitori, potesse riconoscersi una sorta di capacità di irraggiamento, proprio e soltanto, dell’effetto impeditivo della decadenza; tradendo una, non del tutto (o mai appieno) superata “riserva mentale” – assai simile, nella radice logica o di principio, alla cd. super-solidarietà (25) –, si è ritenuto, infatti, che l’esigenza di certezza dei rapporti in un tempo ragionevole fosse, comunque, conseguibile con la partecipazione tempestiva dell’accertamento almeno ad uno degli “autonomi” legittimati passivi (condebitori), e di forzare il senso dell’art. 1310, comma 1, c.c., trascurandone l’oggetto proprio (prescrizione). Venendo all’esame dello stato della dogmatica sull’atto recettizio nella teoria generale del diritto, Illustre dottrina (26) registra un dato ine——————— dell’effetto impeditivo e secondo la quale “la giurisprudenza ordinaria (era) ormai orientata (in quel) senso” e “tale indirizzo interpretativo risulta(va) largamente condiviso anche in dottrina”; particolarmente critici, all’epoca ed in punto di esistenza di un vero e proprio diritto vivente di quel segno e contenuto, A. FEDELE, Solidarietà tributaria, cit., 2743 e P. RUSSO, Disciplina sostanziale, cit., 333. (24) Cfr., Cass., sez. I civ., 14 gennaio 1993, n. 406, in banca dati fisconline, ed, ibidem, Cass., sez. I civ., 14 giugno 1995, n. 6729. (25) Già, in questo senso, A. FANTOZZI, Reviviscenza, cit., 515, il quale parlò, apertamente, appunto, di “una nuova forma di super-solidarietà tributaria ... assai più pericolosa della prima”. (26) Cfr. F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, Roma, 2003, 752-753. 23 GIURISPRUDENZA sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A ludibile e comunque risolutivo della questione che ci occupa: “la recezione è ritenuta sicuramente essenziale, secondo taluni, per la stessa perfezione dell’atto o dichiarazione di cui costituirebbe così coelemento, secondo altri, invece, per la mera efficacia dell’atto … La recezione, dunque, si situa sul piano degli effetti costituendo condizione essenziale, cosicché, se si vuole attribuire ad essa un ruolo costitutivo, dovrà dirsi che la costitutività è degli effetti e non della fattispecie (27)”. Più in particolare, la dottrina che ha elaborato ed analizzato funditus natura, struttura ed effetti dell’atto recettizio – nell’opera sopra richiamata (28) – testualmente, precisa che “la dichiarazione, in quanto recettizia, è una dichiarazione che deve essere ricevuta e, come tale, non acquista rilevanza, e non può produrre i suoi effetti, finché, in concreto, (la formula nella quale essa si esprime) non raggiunga il terzo”. L’Autore (29) esemplifica struttura, perfezionamento, fattispecie genetica ed effetto dell’atto recettizio, laddove osserva che, nonostante l’atto sia già compiuto, non è perfetto il nucleo propriamente operativo dell’effetto giuridico e, quindi, non rileva di fronte al terzo “veruna” conseguenza giuridica, neppure prodromica o provvisoria (cosiddetti effetti preliminari). Ciò sta a significare – sempre secondo l’Autore che esprime la condivisa lettura dell’atto recettizio – che l’evento della ricezione, quand’anche non fosse ritenuto un elemento costitutivo dell’atto, è, tuttavia, certamente un elemento “costitutivo dell’effetto”: opera cioè, in seno alla fattispecie, non già come un semplice elemento periferico (requisito, condizione) di efficacia, ma come un elemento dotato di pari potere determinante dello stesso atto recettizio; “esso si atteggia a coelemento di rilevanza giuridica” di quell’atto. Altra Autorevole Dottrina (30) sosteneva, in ogni caso, che l’atto da partecipare e la ricezione sono entrambi elementi costitutivi di una me- Fa ——————— (27) Cfr., in questo senso, già G. GIAMPICCOLO, voce Dichiarazione recettizia, in Enc. dir., XII, 388. (28) G. GIAMPICCOLO, op. ult. cit., 385. (29) G. GIAMPICCOLO, op. ult. cit., 389. (30) U. FORTI, Diritto amministrativo, Napoli, 1934, II, 105, secondo il quale, la notificazione sta alla dichiarazione, come la volontà del dichiarante sta alla volontà dichiarata; e la conoscenza del terzo, dal momento che la dichiarazione è a lui rivolta, non è più che l’evento della dichiarazione medesima. Si veda, altresì, sul punto ed in questo senso, tra gli altri, BARASSI, La notificazione necessaria delle dichiarazioni stragiudiziali, Milano, 1906, 35 ss. e, segnatamente, 37; E. BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, Torino, 1950, 131, nt. 12; S. ROMANO, Corso di diritto amministrativo, Padova, 1937, 248; A. QUARTULLI, L’atto amministrativo recettizio, in Rass. Avv., 1954, 85, il quale finisce per condividere la tesi che la comunicazione dell’atto amministrativo recettizio sia elemento di perfezione di quest’ultimo. 24 PARTE SECONDA di to re Sp A desima fattispecie, la quale può dirsi perfetta, solo quando essi si siano concretati, e solo da questo momento può produrre qualsivoglia effetto giuridico: la trasmissione nei casi di dichiarazione fra assenti costituisce l’azione a mezzo della quale si svolge la dichiarazione e, quindi, fa parte dell’atto, mentre l’apprendimento non è che il momento finale di questo (31). Parte della dottrina (32), infine, riconosceva alla “ricezione” solo il valore di semplice requisito di efficacia della dichiarazione recettizia (33). Ulteriore principio diffusamente condiviso nella dogmatica (34), inoltre, è quello, secondo il quale, le conclusioni sulle notificazioni processuali non possono essere riferite alle comunicazioni degli atti amministrativi recettizi (35), nei confronti dei quali deve trovare piena appli- Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E ——————— (31) Cfr., in termini, V. OTTAVIANO, La comunicazione degli atti amministrativi, Milano, 1953, 23. (32) Cfr., per tutti, RUBINO, La fattispecie e gli effetti preliminari, Milano, 1939, 187 ss.; A.M. SANDULLI, Il procedimento amministrativo, Milano, 1940, 249 ss.; P. BODDA, Lezioni di diritto amministrativo, Torino, 1954, 141 ss.; A. DE VALLES, La validità degli atti amministrativi, Roma, 1917, 304 e 315 (nel senso che ne sospende tutti o taluni effetti). (33) Una contrapposizione che risulta più apparente che reale, quest’ultima (cfr., in termini, E. FERRERO, voce Dichiarazione recettizia, in Dig. Disc. priv., sez. civ., V, 356, e già G. GIAMPICCOLO, La dichiarazione recettizia, Milano, 1953, 170 ss.). Si veda, più recentemente, in argomento, C. DONISI, voce Atti unilaterali I) Diritto civile, in Enc. giur., 6; E. FERRERO, voce Dichiarazione recettizia, cit., 353 ss. e, segnatamente, 356357; cfr., inoltre, CARRARO, voce Dichiarazione recettizia, in Noviss. dig. it., V, Torino, 1960, 597 ss.; G. GARDINI, L’atto amministrativo cd. “recettizio” e la sua comunicazione, in Riv. Trim. dir. pubbl., n. 2/1995, 371 ss. (34) Cfr., per tutti, N. DANIELE, L’atto amministrativo recettizio, in Riv. trim. dir. pubbl., 1953, 904. (35) Cfr., invece, in senso apertamente contrario, C. GLENDI, La notificazione degli atti, cit., 1325, il quale, sul presupposto che “la Corte costituzionale, con specifico riferimento alla protezione del notificante da ritardi pregiudizievoli ad esso non imputabili e, se mai, addebitabili all’agente della notificazione, ha assunto, quanto meno a valore di fondo del proprio intervento, l’ancora più generale principio dell’autoresponsabilità, e perciò dell’inaddebitabilità in genere al soggetto incolpevole di eventi pregiudizievoli estranei alla sua condotta”, ritiene “veramente arduo immaginare che per le notificazioni di atti sostanziali, appartenenti alla sfera del diritto tributario (avvisi di accertamento, cartelle di pagamento, istanze di rimborso o di esenzione, ecc.), del diritto amministrativo in genere (istanze, provvedimenti, ecc.) e del diritto privato (atti di messa in mora, disdette, opzioni o prelazioni, e così via), ove sussista un distacco temporale tra momento iniziale e momento finale della notificazione, il notificante continui invece ad essere irrimediabilmente esposto al rischio del ritardo nel compimento dell’attività notificatoria da parte del soggetto a ciò specificamente abilitato ancorché tempestivamente officiato dal notificante”. “Tanto più” – soggiunge l’Autorevole dottrina – “che, in campo sostan- 25 GIURISPRUDENZA cazione il principio della ricezione, e per i quali gli effetti si producono solo dal momento in cui quel procedimento termini con la consegna dell’atto al destinatario (36). L’atto, il provvedimento amministrativo, di regola, non è recettizio, se non quando sia il legislatore a strutturarlo tale, ovvero, quando, in ragione della sua struttura e della sua funzione (37), non sia logicamente concepibile che produca i suoi effetti naturali e tipici, se non allorché ed in quanto portato a conoscenza di un determinato destinatario (38). yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A 3. Il “tempo poliedrico” della notificazione tributaria e la prioritaria certezza dell’imposizione. Decadenza e “buona amministrazione” nel pensiero della sezione tributaria. - Ho già avuto modo di formulare alcune prime, celeri considerazioni sulla sentenza n. 1647/2004 della sezione tributaria, nelle battute conclusive di un precedente elaborato (39), accennando a quel pronunciato di legittimità come “esemplare” del rischio connaturato alle “osmosi di principio”. Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op ——————— ziale, la protezione del notificante riesce realizzabile in termini solitamente più lineari che in quello processuale, stante la meno frequentemente ravvisabile pluridirezionalità effettuale che spesso la notificazione svolge nella complessa sequenzialità degli atti del processo”. Considerazione, quest’ultima, che va condivisa e che dovrebbe condurre ad una accezione relativa della giurisprudenza costituzionale additiva, nello stesso contesto delle notifiche processuali, sotto la condizione della compatibilità con l’essenza complessa e plurisoggettiva del rito. (36) N. DANIELE, op. ult. cit., 906. (37) Nella giurisprudenza amministrativa è definito recettizio il provvedimento che per produrre i propri effetti tipici deve essere comunicato all’interessato, divenendo a questi conoscibile (v. Cons. giust. amm., sic. 25 marzo 1987, n. 78, Foro it., Rep. 1987, voce Atto amministrativo, n. 37; Cons. Stato, sez. IV, 25 novembre 1992, n. 978, id., Rep. 1993, voce cit., n. 149). La fase di integrazione dell’efficacia del provvedimento viene in tal modo a comprendere l’atto di partecipazione, elemento costitutivo dell’esecutività, prima del quale sussiste una vera e propria impossibilità giuridica alla produzione degli effetti (in questo senso, v., ex pluribus, Tar Puglia, sez. II, sent. 29 febbraio 1996, n. 64): questi non operano se non dal momento in cui il destinatario è posto nella conoscenza legale dell’atto, restando esclusa qualsiasi ipotesi di retroattività al momento dell’adozione del provvedimento, come avviene invece per le condizioni di efficacia (v. Cons. Stato, sez. VI, 25 ottobre 1991, n. 728). Cfr., sul punto, altresì, Tar Umbria, 13 novembre 1997, n. 559, in Giust. civ., 1998, I, 2055; Tar Friuli-Venezia Giulia, 5 aprile 1993, n. 122, in Giur. it., 1994, III, 1, 270). (38) Spesse volte, nel senso che, per la produzione dell’effetto essenziale dell’atto, sia necessaria la collaborazione del destinatario (v. per tutte Cons. Stato, sez. IV, 18 aprile 1994, n. 341). (39) C. SCALINCI, Deposito di documenti, cit., 298-300. 26 PARTE SECONDA Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A Quella sentenza della Cassazione, infatti, si inseriva dichiaratamente nel solco della recente giurisprudenza costituzionale in tema di identificazione dei tempi delle attività “processuali”, latu sensu, di comunicazione o notificazione, effettuate per il tramite di un soggetto terzo, realizzandone una prima, non condivisibile, applicazione in materia di notificazione di atti tributari recettizi. Forse ad una lettura di superficie, il pensiero di quella Corte potrebbe apparire sviluppo coerente – per il più agevole degli automatismi interpretativi – del criterio di riparto dei rischi della notificazione (processuale), frutto della richiamata, additiva giurisprudenza costituzionale. Ma, almeno ad un esame più sereno e meditato della sentenza, non dovrebbe sfuggire un dato che appare obiettivo: la Corte ha operato una estensione de plano del principio proprio delle notificazioni processuali, e non sembra aver considerato, affatto – o per lo meno appieno –, né aver portato alle necessarie conseguenze, i profili peculiari dell’atto amministrativo di accertamento del tributo, o in genere di quello tributario recettizio, e, quindi, della sua notificazione (tanto quelli strutturali, quanto quelli teleologici). Il pensiero della sezione tributaria non può che essere condiviso, invece, laddove conserva essenziale al perfezionamento della notificazione l’effettiva ricezione dell’atto da parte del suo destinatario, cioè il suo effettivo recapito nel luogo individuato (dalla normativa) come spazio di dominio diligente e responsabile del soggetto giuridico legittimato passivo (conoscenza legale). La tempestività della notificazione dell’avviso di accertamento costituisce requisito essenziale di legittimità dell’atto impositivo, stante il termine decadenziale posto all’Amministrazione o all’Ente locale impositore per l’esercizio del potere di accertamento dei tributi; ed appare almeno opinabile che possa considerarsi tempestivo un atto improduttivo di effetto alcuno prima della sua consegna (ossia, un atto di natura recettizia). Il meccanismo ingegneristico ipotizzato quale soluzione di contemperamento e bilanciamento “sostenibile” di concorrenti interessi costituzionalmente rilevanti (certezza dei rapporti, pienezza del diritto di difesa, celerità del processo) – meglio noto come sdoppiamento dei tempi di notificazione –, sembra, nella specie, non tanto o non solo inadeguato, quanto, prima di tutto, ingiustificato, impraticabile, contraddittorio del valore e senso (anche strutturale) del “tempo della consegna” o di ricezione dell’atto impositivo da parte del suo destinatario. Secondo la Corte, l’atto di accertamento sarebbe da intendere notificato in un tempo (spedizione) antecedente al momento nel quale si perfeziona, non solo la fattispecie di notificazione, ma, anche e prima di tutto, la stessa fattispe- 27 GIURISPRUDENZA ht G iu f fre 'E di to re Sp A cie dell’atto di esercizio del potere di accertamento, cui è essenziale il recapito o, comunque, il raggiungimento della sfera di dominio del destinatario o legittimato passivo (atto di rilevanza esterna recettizio). Non pone, invece, particolari problemi, neanche concettuali, la rilevanza plurima del momento di notificazione, tanto quale “tempo dell’atto” da prendere a riferimento nella verifica delle decadenze sostanziali concernenti l’esercizio “compiuto” del potere amministrativo, quanto quale dies a quo per la tutela giurisdizionale ed, in mancanza di impugnazione, per determinare l’istante finale al quale è ancorato l’effetto del consolidamento (40) dell’atto impositivo notificato. Semmai, invece, quel “tempo poliedrico” testimonia della pluralità di funzioni alle quali assolve la notificazione dell’atto tributario sostanziale, il quale: da un lato, realizza la “certezza” (41) dell’imposizione nel tempo massimo concesso (all’amministrazione) dalla normativa (42), valore ritenuto meritevole, in se stesso, fin dagli albori della legislazione dell’Italia unita- Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ——————— (40) Ricordando, sul punto, che, secondo P. RUSSO (Manuale di diritto tributario – Parte generale, Milano, 2002, 337), l’inutile decorso di quel termine non è semplice strumento di consolidamento degli effetti che tale atto è destinato ex se a produrre, bensì rappresenta, insieme all’atto medesimo, l’ulteriore “elemento della fattispecie” alla quale la legge direttamente collega gli effetti in questione (nel contesto della costruzione dell’avviso di accertamento, non come atto costitutivo di effetti, ma mero atto costitutivo di fattispecie). (41) Cfr., sul punto, in generale e per tutti, A. FEDELE, Solidarietà, cit., 2752, nt. 37, secondo il quale, la funzione della decadenza va individuata nell’esigenza di “certezza” “incentrata sulla tutela dell’interesse del soggetto passivo”. (42) Profilo teleologico che non può non essere tenuto in considerazione, ed emerso più o meno chiaramente anche in una recente giurisprudenza costituzionale (cfr., ord. 1° aprile 2003, n. 107, in Dir. prat. trib., 2003, II, 1208). Il termine perentorio posto dal legislatore all’esercizio del potere amministrativo tributario è una esigenza, non una soluzione legislativa contingente ed eventuale o indifferente (pur quando, come precisava la stessa Consulta nella precedente sentenza 11 giugno 1999, n. 229, non ogni attività – intermedia, parrebbe – della pubblica amministrazione debba essere soggetta a termine decadenziale; cfr., ora, sul punto, Corte Cass., SS.UU. civ., sent. 12 novembre 2004, n. 21498), in quanto il contribuente “non può essere indefinitamente esposto alla pretesa del fisco”, né menomato, per la distanza tra fatto e contestazione, nel diritto di difesa. E, del resto, come Autorevole dottrina ha sottolineato (cfr., sul punto E. DE MITA, La notifica “certa” tutela i contribuenti, in Dir. prat. trib., n. 1/2004, 117ss. e già in Il Sole 24-ore del 6 aprile 2003), il problema dei termini (anche a favore dell’amministrazione), in un diritto tributario che voglia essere civile, svolge una funzione sulla quale la dottrina ha richiamato l’attenzione: il rapporto tributario non può essere lasciato per molto tempo nella sua incertezza; esigenza che nella sua ordinanza anche la Corte costituzionale lascia trasparire chiaramente di avvertire. 28 PARTE SECONDA ht G iu f fre 'E di to re Sp A ria (43); e, dall’altro, costituisce momento decisivo per misurare il tempo utile all’esercizio del fondamentale diritto alla tutela giurisdizionale. Il terzo profilo teleologico sopra ricordato (cd. consolidamento – “definitività”), invece, sembra più sfumato nell’attuale fase di transizione verso una più compiuta e centrale “giusta imposizione”, e nel quadro tendenziale della prevalenza della “sostanza”, sulla “forma”, se non altro, per la possibilità dell’autotutela tributaria, con il solo limite del giudicato. Nell’economia di quella molteplicità di effetti, funzioni e scopi della notificazione dell’atto tributario, costituisce, comunque, “esigenza” primaria e “costituzionalmente inderogabile” la sua ricezione o legale conoscenza nel tempo massimo previsto dalla legge, come l’esistenza stessa di questi termini, prima di tutto, “finali” (44): ed, in questo senso, “concessi”, quali periodi temporali nei quali è tollerabile che il rapporto sia incerto ed occorre completare l’attività di controllo (e la fattispecie amministrativa) portandone a conoscenza del contribuente gli esiti, pregiudizievoli almeno. Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ——————— (43) Cfr., sul punto, G. AZZARITI, I termini per l’accertamento e per la iscrizione a ruolo delle imposte dirette, in G. Azzariti, Scritti giuridici, Padova, 1963, 467 ss. e, segnatamente, 470-471 (e già in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1961), il quale ricorda quanto previsto per l’accertamento e l’iscrizione a ruolo dall’art. 59 del testo unico 24 agosto 1877, n. 4021 (e succ. modif.), delle leggi per l’imposta sui redditi di ricchezza mobile, riproduttivo del precedente art. 8 della legge 14 giugno 1874 e preso a modello per il pedissequo art. 53 del regolamento per l’applicazione dell’imposta sui fabbricati (approvato con RD 24 agosto 1877, n. 4024). Dalla stessa fonte si evince che già nella relazione sui lavori relativi alla legge del 1874, la Commissione parlamentare si trovò unanime nel riconoscere la necessità di stabilire per legge che, oltre un certo tempo, il diritto dell’erario dovesse essere perento e che questo periodo dovesse essere relativamente breve, giacché il contribuente non doveva essere sempre e per lungo tempo turbato dalla minaccia di una possibile pretesa per tributo inadempiuto, tanto più grave se, accumulandosi l’arretrato di parecchi anni, il peso fosse divenuto insopportabile e tale da costituire il supremum vitae exitum di un’azienda economica. Anche per questo riflesso – concludeva la Commissione –, era urgente provvedere nel senso precisato e stabilire un termine breve nella facoltà degli agenti delle imposte. Altri tempi, altro contesto, altro rapporto tra i soggetti del rapporto tributario, ma appare suggestiva e, comunque, significativa la circostanza che, fin da allora, un limite di tempo per l’azione o l’atto dell’ente impositore fosse sentito come una esigenza, uno strumento di certezza. (44) Cfr., in questo senso e per tutte, Corte cost., ord. 19 novembre 2004, n. 352 (in www.giurcost.org – Consulta Online), secondo la quale, “l’impossibilità logica di includere, in un termine previsto esplicitamente per un’attività preliminare, anche ulteriori attività ad essa successive, non può essere superata (come recentissimamente si è tentato di fare) neanche per soddisfare l’esigenza, costituzionalmente inderogabile, di prevedere termini perentori entro i quali la pretesa del fisco deve essere portata a conoscenza del contribuente”. 29 GIURISPRUDENZA Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A La normativa sulla notificazione degli atti tributari, del resto, è costellata di disposizioni (non ultime, gli artt. 58 e 60, DPR n. 600/1973) ispirate ad una particolare tutela dell’interesse generale all’agevole e tempestivo perfezionamento di quegli atti, ovvero, alla loro necessaria ricezione in un tempo massimo, ivi comprese quelle sulla “conservazione” della documentazione, fiscale (45) e non (46), “in possesso del contribuente” (47); seppure, poi, la durata di quest’obbligo fosse disancorata dai termini decadenziali per l’accertamento tributario, o li dovesse superare per una concatenazione (anche di fatto) di più meccanismi normativi, costituisce principio generale, altrettanto, significativo, e limite “estremo”, la previsione, di cui all’art. 8, comma 5, legge n. 212/2000 (cd. Statuto del contribuente), di un massimo di dieci anni, per i quali può essere imposta, ai fini tributari, la conservazione di atti (e decorrente dalla loro emanazione o formazione). Nello stesso, particolare contesto dello Statuto del contribuente, del resto, non può essere ignorato che il legislatore abbia formulato, ed inteso o auspicato “principio generale”, il divieto di proroga dei termini per gli accertamenti di imposta (art. 3, comma 3, legge n. 212 cit.), per la verità, oggetto di una prassi un po’ ipocrita, qual è quella dello “spontaneo” (ma “sistematico”) ricorso alla norma di deroga “espressa”, per prolungare il tempo utile alle amministrazioni tributarie. Anche questa granitica consuetudine, comunque, rende ancor più incomprensibile l’idea stessa che sia “giusto”, o necessario, accedere ad una interpretazione o soluzione ricostruttiva della notifica di atti tributari soggetti a termine decadenziale, tale da salvaguardare l’amministrazione notificante, in nome del principio dell’imputet sibi, dal rischio di una consegna tardiva dell’atto (in questo senso, Cass., sent. n. 1647/2004); è, addirittura, paradossale, poi, che in quel contesto di fatto (e di diritto), e nell’occasione giurisprudenziale (sentenza n. 1647/2004 cit.), questo “alto” scopo o obiettivo sia, per giunta, in qualche modo accostato alla cd. “buona amministrazione” tributaria (art. 97, Cost.). Anticipare l’effetto impeditivo della decadenza dal potere sostanzia——————— (45) Cfr., per tutte, gli artt. 3, comma 3, e 5, comma 4, DPR n. 600/1973. (46) Cfr., per tutte, l’art. 22, DPR n. 600/1973 (fermo restando quanto stabilito dal codice civile, per quanto non previsto, ossia salva diversa previsione speciale), cui rinvia, per esempio, l’art. 39, comma 3, DPR n. 633/1972, ai fini Iva. (47) Cfr., art. 6, comma 4, legge n. 212/2000 – cd. Statuto del contribuente, secondo il quale, al contribuente, in ogni caso, non possono essere richiesti documenti ed informazioni già in possesso dell’amministrazione finanziaria o di altre amministrazioni pubbliche. 30 PARTE SECONDA iu f fre 'E di to re Sp A le di accertamento, rispetto al momento (tardivo) in cui l’atto recettizio giunge a destinazione, sembra, comunque, in contraddizione con la natura stessa dell’avviso di accertamento e dell’atto tributario recettizio. La “ricezione”, infatti, non dovrebbe essere “elemento essenziale” solo a perfezionare il procedimento di notificazione, bensì tale – anche e prima di tutto – perché l’atto amministrativo (cd. recettizio e “di rilevanza esterna”) possa produrre un qualche effetto. Qualora, comunque, la giurisprudenza costituzionale additiva ed il criterio dello sdoppiamento dei termini dovessero trovare applicazione e fortuna anche nel campo delle notifiche degli atti sostanziali, Autorevole dottrina (48) pone, condivisibilmente, in luce l’esigenza che “la protezione del notificante dal rischio di tardività, non sia” soddisfatta a discapito “del diritto del notificatario alla certezza del compimento dell’“atto iniziale” (49) del procedimento di notifica entro il termine decadenziale normativamente prescritto” (50). Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G ——————— (48) Cfr., C. GLENDI, La notificazione degli atti, cit., 1325, nt. 58. (49) Cfr., sul punto, la giurisprudenza costituzionale (Corte cost., sentenza 23 gennaio 2004, n. 28 cit.) ed ordinaria (cfr., Cass., sez. siv. V - trib., 4 maggio 2004, n. 8447; 10 settembre 2003, n. 13241; 29 aprile 2003, n. 6632, tutte in www.dirittoitalia.it – Rivista Giuridica Telematica), anche amministrativa (cfr., Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 5 novembre 2004, n. 7201, in www.dirittoitalia.it – Rivista Giuridica Telematica), che, nella consegna al soggetto tramite della notificazione – sia esso l’agente postale o l’ufficiale giudiziario, e pur quando quest’ultimo dovesse a sua volta provvedere alla notifica extra districtum a mezzo del servizio postale – ha individuato il momento “iniziale” esclusivamente rilevante per stabilire il tempo della notificazione stessa “per il notificante” (giova ribadire in ambito processuale). Si veda, inoltre, la recentissima sentenza 5 novembre 2004, n. 21206 della Cassazione, sez. trib. (in banca dati fisconline), secondo la quale, la prova della data di consegna all’ufficiale giudiziario dell’atto da notificare può risultare – anche in caso di specifica contestazione della tempestività della notifica – “dal timbro apposto sull’originale” e comprovante, appunto, il giorno di quella consegna. Cfr., in senso contrario, Cass. sez. V civ., sent. 2 settembre 2004, n. 17714 (in www.dirittoitalia.it - Rivista Giuridica Telematica) secondo la quale sarebbe comunque necessaria la ricevuta, prevista dall'art. 109 DPR n. 1229/1959, o l'attestazione di consegna, rilasciata dall'ufficiale giudiziario, a nulla rilevando il timbro a datario o la dichiarazione di parte contenente specificazione dell'ultimo giorno utile alla notificazione. (50) Con sensibilità ed acume, la citata dottrina (cfr., C. GLENDI, La notificazione degli atti, cit., 1325, nt. 58) osserva, infatti, che “in tale ambito” – quello delle notifiche di atti tributari sostanziali – “ricorre con una certa frequenza l’eventualità che la notificazione degli atti, anziché all’ufficiale giudiziario, sia affidata ad altri soggetti, come messi comunali, messi nominati da altri organi dell’amministrazione, in specie finanziaria, e così via”. “In questi casi …” – conclude l’Autorevole dottrina – “occorrerà in ogni caso che l’agente della notificazione sia realmente un soggetto terzo, non sia cioè legato da un rapporto istituzionale con il soggetto notificante, e sia quindi in grado di garantire e documentare la data dell’impulso iniziale della fattispecie notificatoria”. 31 GIURISPRUDENZA op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A 4. Tra sanatoria e decadenza, l’atto recettizio tributario e le paradossali implicazioni della pronuncia delle SS.UU. - La sentenza delle SS.UU., che pure era attesa e prefigurata come pronunciato concernente la natura dell’avviso di accertamento, la sua notificazione e l’eventuale possibilità di sanatoria di quest’ultima, si apre con una inequivocabile identificazione del thema decidendum nella più specifica, problematica relazione tra la notificazione dell’avviso di accertamento e la decadenza prevista dalle singole leggi d’imposta per l’esercizio del potere di rettifica o di accertamento mero, o, in genere, per l’esercizio del potere che si estrinsechi in un atto di rilevanza esterna e recettizio. La stessa Corte – subito a seguire – precisa che il dubbio fondamentale al quale è, specificatamente, chiamata a dare soluzione è la possibilità o meno che la sanatoria della notificazione operi ex tunc e quindi impedisca il verificarsi della decadenza. Più avanti, nel testo, esplicitamente afferma che in quella sede si deve affrontare il tema dell’operatività della sanatoria in relazione alla decadenza dall’esercizio del potere di accertamento. Naturalmente, oggetto della questione rimessa alle SS.UU. era anche l’interrogativo pregiudiziale e plurimo sopra, in sintesi, ricordato. Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C 4.1. La Corte, cioè, doveva prima di tutto prendere posizione sulla possibilità stessa di sanatoria della nullità della notificazione e, quindi, della nullità dell’avviso di accertamento. Su questa prima questione, il Giudice di legittimità premette irrilevante la natura dell’atto di accertamento, delineando una “cesura” tra quest’ultima e la disciplina del procedimento di notificazione. Tra i due aspetti non c’è correlazione necessaria, né consequenzialità – sempre nel pensiero della Corte –, quindi, ben può essere applicato il regime processuale della notifica al contempo rinnegando la ben nota tesi (51) ricostruttiva dell’avviso di accertamento come provocatio ad opponendum. Nelle parole della Corte sembra risuonare latente o presupposta la costruzione dell’avviso di accerta——————— (51) Cfr., per tutti, C. BAFILE, Recentissime di giurisprudenza sulla natura del processo tributario, in Rass. trib., 1987, I, 506 ss.; ed A. BERLIRI, Il DPR 3 novembre 1981, n. 739 e la natura del processo tributario, in Giur. imp., 1981, 1194 ss. Nella giurisprudenza della stessa Suprema Corte, per la tesi secondo la quale l’avviso di accertamento avrebbe natura di “provocatio ad opponendum”, la cui notificazione sarebbe, quindi, preordinata all’impugnazione, si veda, recentemente, Cass., sez. civ. V-trib., 12 dicembre 2002, n. 17762; in senso conforme, si vedano, per tutte, le sentenze 7 aprile 1994, n. 3294, e 9 giugno 1997, n. 5100, della prima sezione civile, quindi, le sentenze 29 maggio 2001, n. 7284, e 9 dicembre 2002, n. 17501, della quinta sezione civile tributaria. 32 PARTE SECONDA iu f fre 'E di to re Sp A mento come atto dichiarativo nei confronti del contribuente destinatario di ciò che deve essere per lui di diritto nel caso concreto, cioè di ciò che costituisce pretesa tributaria e delle relative ragioni giustificative. Incidentalmente, nel descrivere quale sia l’eventuale momento processuale, la Corte precisa anche che oggetto del processo tributario è quella enunciazione della pretesa e, parrebbe, dunque (almeno in prima battuta) non la pretesa in quanto tale, non quindi il rapporto tributario in quanto tale, con una certa coerenza di fondo alla struttura impugnatoria di quel giudizio più volte evocata da quello stesso Collegio. Certo è che le SS.UU. escludono ripetutamente che l’atto di accertamento abbia natura persino “assimilabile” a quella degli atti processuali (52), ed anche sotto questo profilo, seppure quel Giudice non lo soggiunga, troverebbe ulteriore riscontro la differente struttura propria dell’atto recettizio, e la dissimile funzione della notificazione dell’atto del giudizio. Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G 4.2. La sentenza però, se è condivisibile nel suo epilogo, concernente la necessità che l’accertamento e la sua notifica raggiungano lo scopo e, quindi, il destinatario di entrambi, entro il termine di decadenza dal potere del quale quell’atto è (e deve essere) espressione (53), non lo è, invece, nei frequenti passaggi nei quali la Corte àncora quella soluzione alla conoscenza dell’atto, più che alla natura di questo, ed omette, per questa via, di chiarire perché il regime processuale della notifica operi nei limiti più ampi e di matrice “sostanziale”, segnati, per l’intera fattispecie, dal termine decadenziale previsto dalla legge. Solo in un passaggio la Corte dice chiaramente che la notificazione è “elemento essenziale” di quella “fattispecie” – quella utile a scongiurare la decadenza – e che questa costruzione è conseguenza della applicazione dei generali principi che governano “i casi in cui la legge pone limiti temporali all’esercizio di poteri amministrativi”. Singolare è il fatto che, nonostante l’affermata cesura tra sostanza ——————— (52) Sul punto, per tutti, si veda, già, C. GLENDI, Inaccettabile l’equiparazione agli atti processuali, in Guida normativa, n. 82/2001, 39 ss. (53) Nel qual senso si veda, da ultimo e per tutte, già Cass., sez. civ. V-trib., 11 agosto 2004, n. 15514, laddove osserva che “la validità di un atto dell’amministrazione finanziaria dipende dall’esistenza dei requisiti stabiliti dalle singole leggi d’imposta e non dalla ritualità della notificazione finalizzata alla sua conoscenza da parte del destinatario e che, ove il raggiungimento dello scopo sia documentato dall’avvenuta impugnazione dell’atto, può assumere rilievo tra le parti soltanto la questione relativa ai riflessi che si riverberano sul rapporto tributario controverso in ragione dell’efficacia meramente ex nunc della sanatoria intervenuta”. 33 GIURISPRUDENZA Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A dell’atto e regime della sua notificazione, le SS.UU. trascurino del tutto la giurisprudenza costituzionale additiva di un principio, diffusamente, inteso (se non altro) proprio del regime processuale della notificazione, qual è il criterio cd. dello sdoppiamento dei termini di notifica; come pure che non accennino neanche a quella recente giurisprudenza della sezione tributaria, che di quel compromesso costituzionale ha fatto applicazione per la verifica della tempestività dell’atto impositivo notificato per posta, rispetto alla decadenza dal potere accertativo (54). Se, come dice la Corte, il regime della notificazione fosse del tutto indifferente alla natura dell’atto, allora dovremmo porci quell’interrogativo e, probabilmente, concludere per identificare, nella richiesta di notificazione (55), l’adempimento, necessario e sufficiente ad evitare la decadenza. Il punto è, invece, da un lato, che la natura dell’atto non può essere irrilevante e determina, in quanto recettizia, la allocazione della fattispecie della notificazione tutta nell’arco temporale segnato al suo estremo dal termine decadenziale; e, dall’altro, che è insoddisfacente ragionare del “regime” processuale della notifica, piuttosto che della “forma” processuale – nel senso di propria del (e mutuata, in parte, dal) processo ed i suoi atti – della notificazione. Entrambe queste vie conducono ad analogo approdo. Il rinvio alla forma processuale dovrebbe comportare una “valutazione di compatibilità” tra il regime di quella forma e la differente, presupposta sostanza dell’atto al quale essa è “prestata”; la natura, o meglio la struttura recettizia dell’avviso di accertamento, comporta la inefficacia (se non l’inesistenza) dell’atto sino al momento in cui questo non pervenga nella sfera giuridica del suo destinatario, e, quindi, una situazione analoga alla mera emissione dell’atto, rispetto al termine decadenziale. È, dunque, la natura dell’atto di accertamento, la sua struttura e la sua necessaria intima correlazione con il potere del quale è estrinse——————— (54) Cass., sez. civ. V-Trib., sentenza 29 gennaio 2004, n. 1647. (55) Meccanismo che evocherebbe la cd. “mailbox rule”: regola – vigente nei sistemi di common law – elaborata per la prima volta nel caso Adams v. Lindsell del 1818 (Court of King’s Bench, 1818 - 106 Eng. Rep. 250), ed in base alla quale, il contratto è concluso, non nel momento in cui l’accettazione giunge al proponente, bensì sin dal momento in cui l’accettazione viene “avviata” a destinazione (When the acceptance is deposited in the mail), ovvero, ad esempio, messa nella buca delle lettere o consegnata all’ufficio postale. La ratio di tale norma, nei sistemi anglosassoni, è di privare al più presto il proponente della facoltà di revoca; e, con le dovute distinzioni per la diversa natura dell’atto amministrativo, nonché tenuto conto dei principi e della disciplina dell’autotutela in materia tributaria, alla quale non osta la definitività dell’atto, questa funzione certo non può essere neanche adombrata in relazione alla notifica di atti tributari. 34 PARTE SECONDA Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A cazione a determinare l’esigenza che anche la ricezione dell’atto avvenga nell’arco temporale utile all’esercizio di quel potere di rilevanza esterna. Se così non fosse, laddove la Corte, con espressione che soddisfa quel distinguo tra “forma” e “regime”, osserva che le “forme” sulla notificazione implicano quale necessità logica l’applicazione del relativo regime della nullità e la possibilità di sanatoria che ne costituisce un limite, dovremmo, sulla base di una analoga, fragile, supposizione logica, ritenere anche necessariamente esteso il regime dello sdoppiamento dei termini. Ma questo passaggio logico e decisivo non sembra del tutto chiaro nelle parole della Corte, la quale pure è estremamente precisa e del tutto esplicita nel rappresentare la notificazione come fattispecie unitaria ed essenziale nella più ampia fattispecie dell’accertamento tributario. Le SS.UU. sono inequivocabili e perentorie nell’indicare il raggiungimento dello scopo, la conoscenza del destinatario, quale momento che deve precedere lo spirare del termine di decadenza. Appare evidente l’analogia tra il momento della “conoscenza aliunde” “testimoniato” dalla proposizione del ricorso e, più in generale, la “ricezione” dell’avviso di accertamento pur quando notificato in perfetto ossequio della forma e del procedimento previsti e regolati dal codice di rito (e, per tutti, dall’art. 60, DPR n. 600/1973). Questo per dire che la sentenza delle SS.UU. non può non valere una sorta di bocciatura della tesi applicata dalla sezione tributaria nella sentenza n. 1647/2004 (qui congiuntamente annotata), poiché la ricezione, sia che consegua ad una notifica rituale, sia che consegua ad una notificazione nulla, deve collocarsi – secondo le SS.UU. – in un momento antecedente allo spirare del termine di decadenza; sicché, la spedizione o la richiesta di notifica dell’avviso di accertamento non sono ritenute adempimenti sufficienti, né, quindi, corrispondenti all'attività che il legislatore prescrive sia compiuta in un inesorabile arco di tempo. 4.3.1. Quanto al raggiungimento dello scopo pare opportuno sottolineare che la Corte non sempre è chiara nell’identificare quello proprio di un atto recettizio e, quindi, nel rendere evidente quale sia il ruolo, occasionalmente, giocato, ai fini della sanatoria, dalla proposizione del ricorso giurisdizionale. La conoscenza da parte del suo destinatario è un effetto necessario dell’atto tributario recettizio in quanto tale; solo in un secondo momento, e su di un piano distinto da quello del perfezionamento o della efficacia dell’atto di rilevanza esterna e recettizio, la ricezione o conoscen- 35 GIURISPRUDENZA Sp A za di questo è anche presupposto necessario e rilevante per l’esercizio del fondamentale diritto di difesa e alla tutela giurisdizionale. Tra conoscenza sanante – ammesso che quest’effetto di emenda del vizio sia teoricamente accettabile – e impugnazione dell’atto non corre alcuna relazione di identità, o almeno essa dovrebbe essere esclusa. In questo senso, sopra, è intenzionale la rappresentazione del momento di impugnazione come “testimonianza” della conoscenza aliunde; e di ciò forse costituisce riprova – nell’economia della stessa sentenza a SS.UU. – quel conclusivo argomentare sulla impugnazione di tutti gli eredi, “i quali così avrebbero dimostrato piena conoscenza dell’atto impugnato”. gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re 4.3.2. Appare, invece, meno soddisfacente quella parte della sentenza in cui le SS.UU. sembrano condizionare la sanatoria del vizio direttamente alla proposizione del ricorso giurisdizionale nel termine, poiché ne resterebbe esclusa – in quell’ottica, immotivatamente – la rilevanza della conoscenza aliunde altrimenti testimoniata e che non sia seguita da un atto di impugnazione giurisdizionale (56). Astrattamente, infatti, anche la proposizione di un’istanza di autotutela dovrebbe valere atto, di data certa, comprovante la conseguita conoscenza aliunde dell’atto invalidamente notificato; e, quindi, ammesso che il raggiungimento dello scopo possa costituire evento sanante, quell’istanza (presa ad esempio) certificherebbe l’avvenuta sanatoria in un tempo che – come comunque hanno condivisibilmente precisato le SS.UU. – dovrebbe essere antecedente allo spirare del termine decadenziale. In questa prospettiva – che ovvia- Fa sc ic o lo sa ——————— (56) Appare dato significativo che, nella recente giurisprudenza di legittimità (Cass., sez. civ. V trib., 9 dicembre 2002, n. 17501), posta “la natura di provocatio ad opponendum della notifica dell’avviso di rettifica”, si distingua tra conoscenza effettiva aliunde conseguita e proposizione del ricorso giurisdizionale, nel senso di ritenere che “la sola ipotesi di una conseguita effettiva conoscenza dell’atto, nonostante la nullità della sua notificazione, non può rappresentare causa di sanatoria della stessa, neppure quando sia fondata su una attendibile presunzione”; secondo la Corte, infatti, “il raggiungimento dello scopo di un atto processuale invalido, quale condizione della sua sanatoria, si verifica quando nel procedimento si avvera l’evento successivo cui l’atto è preordinato, ossia quel comportamento della parte che rappresenta l’attuazione dell’obbligo ovvero l’adempimento dell’onere o l’esercizio del potere, la cui concretizzazione era prevista quale effetto dell’atto viziato”. Sulla base della natura sostanziale dell’atto, affermata dalle Sezioni Unite, quindi, quella distinzione ad escludendum non si giustificherebbe, proprio in quanto il fine della notificazione non è la tutela giurisdizionale, ma il completamento della fattispecie recettizia, ovvero, il conferimento ad essa di efficacia; mentre l’idea che la possibilità di sanatoria sia solo correlabile al caso in cui l’atto sia stato impugnato sembra accettabile solo in quanto ad essa si presupponga la natura processuale dell’atto stesso. 36 PARTE SECONDA sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A mente si inserisce e va intesa nel quadro di principio e nella rappresentazione strutturale “dati” dalle SS.UU. –, persino il termine per l’impugnativa decorrerebbe dal momento della istanza di autotutela, in quanto data certa della conoscenza dell’atto, prima della quale la notifica potrebbe essere stata già sanata, ed a partire dalla quale la notifica sarebbe comunque perfezionata e produttiva anche di quel particolare effetto. Ferma la necessità che una notificazione “esista”, è chiaro, quindi, che o le SS.UU., immotivatamente, hanno inteso identificare un solo veicolo di sanatoria possibile e, cioè, quello processuale, oppure, quella conoscenza aliunde – quella che quegli stessi Giudici, in quella prima ipotesi contraddicendosi, indicano come raggiungimento dello scopo e, quindi, momento ed evento sanante - deve poter essere testimoniata anche da un atto non processuale, e produrre effetto a prescindere dalla stessa proposizione di impugnativa: in definitiva, quindi, poter trovare collocazione ed ambito di applicazione anche al di fuori del processo, nei vari capillari meandri del procedimento amministrativo tributario, verosimilmente, con ovvio privilegio per i momenti e gli istituti del contraddittorio nella fase amministrativa. Una soluzione, la seconda, che appare più coerente con la premessa, data dalla Corte, che l’atto è sostanziale, recettizio, sanabile per quanto attiene alla nullità della notificazione. In fondo, per esemplificare estremamente, basterebbe considerare che quella dell’avviso di accertamento non è una “notifica processuale”, ma una “forma”, quella processuale, di notifica (ovvero, mutuata, tra l’altro in parte, dal processo). Fa sc ic o lo 4.3.3. È forse opinabile, comunque, l’idea di una equipollenza tra notificazione dell’avviso di accertamento e conoscenza aliunde dell’atto invalidamente destinato alla notificazione (57). Non consta, infatti, che una norma tributaria la preveda, sempre a meno di ritenere che il rinvio contenuto nell’art. 60 DPR n. 600/1973 – norma di riferimento per le imposte dirette e indirette, per l’Iva e molte altre fattispecie di notificazione tributaria che ad essa rinviano o che ne ricalcano il tenore –, non sia ——————— (57) Cfr., per tutti, in questo senso, C. PUNZI, Funzione, scopo e risultato della notificazione: incostituzionalità delle norme sulle notificazioni degli atti a mezzo del servizio postale, in Giur. cost., n. 5/1998, 2628 ss. e, segnatamente, 2630, secondo il quale, testualmente: a ben guardare, la notificazione (quando è elemento costitutivo della fattispecie) porta a un risultato detto “conoscenza legale”, che non è fungibile con una conoscenza effettiva aliunde conseguita, in dipendenza del quale risultato la legge poi fa nascere gli effetti giuridici sperati. 37 GIURISPRUDENZA ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A tale, “tecnicamente”, anche in relazione agli artt. 156, 157, 160 c.p.c.: i quali sono collocati in un capo (del codice di rito) autonomo, rispetto a quello che, alla sez. IV, reca la disciplina delle comunicazioni e notificazioni, pur se – come le SS.UU. implicitamente ci ricordano – logicamente correlato a quest’ultimo, per la parte concernente il regime delle nullità dell’atto processuale in generale, esplicitamente, ivi, esteso (art. 160) alle “notificazioni” processuali. Solo per questa via, infatti, si può sostenere che il raggiungimento dello scopo abbia rilevanza e sia equipollente alla valida notificazione, fermo il convincimento che una notificazione almeno “esistente” debba sussistere e che, quindi, per esempio, non possa bastare una conoscenza dell’atto mai inoltrato per la notifica. Non si può fare a meno di notare, tuttavia, che, nel contesto di una disciplina generale o di principio (art. 6, legge n. 212/2000 – cd. Statuto del contribuente), successiva alla redazione pressoché di tutte le disposizioni sulla notificazione di atti tributari, il legislatore mostra di profilare la “conoscenza effettiva” dell’atto – e, quindi, quella conoscenza che dovrebbe trovare un riferimento di data certa e costituire raggiungimento dello scopo – al più, come un risultato “ulteriore”, auspicato, tendenziale o dovuto che sia, rispetto alla notifica degli atti tributari, le cui disposizioni sono espressamente tenute per ferme da quello stesso legislatore ed in quello stesso contesto normativo. È chiaro, per altro verso, che la norma regola gli adempimenti necessari o auspicati da parte dell’ufficio redigente o emittente l’atto tributario, mentre nulla dice circa l’eventualità che quella conoscenza effettiva, anche nella totale inerzia del primo, sia stata (magari, fortuitamente) conseguita dall’ignaro contribuente. Fa sc 4.4. La Corte, più in generale, sulle ragioni della possibilità stessa di sanatoria, sembra vacillare e chiudersi in una iperbole squisitamente logica, debole nel suo punto di partenza, poiché il regime della nullità della notificazione dell’atto processuale è collocato nella disciplina della nullità dell’atto processuale in generale e sembrerebbe, quindi, comunque da riferire all’atto di quella natura, pur quando la sua nullità sia riflesso ed effetto di un invalido procedimento di notificazione (divenuto, sostanzialmente, comune ad alcuni atti sostanziali). Quindi, appare insufficiente quel passaggio del pronunciato che individua la ragione della sanatoria (e, prima ancora, della sanabilità del vizio di nullità), nella “necessità logica» che l’applicazione di “forme” della notificazione processuale comporti anche applicazione del relativo regime e di quello, per l’appunto, delle sanatorie. L’argomentare si fa “circolare” quando, di 38 PARTE SECONDA qui, la Corte conferisce rilievo al difetto di principio o ragione sistematica che giustifichino un regime diverso, nonché poco pertinente quando la ricerca nel “sistema” di una sanatoria per raggiungimento dello scopo di atti non processuali, si fa ricerca di questa regola, di questo regime – ancora una volta –, nella fase e nel contesto “processuali” ed in relazione ad atti amministrativi in generale. lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A 4.5. Una ulteriore finale annotazione sembra meritare l’ambito di applicazione del principio che le SS.UU. affermano, apparentemente, proprio della sola notificazione dell’avviso di accertamento o degli atti accertativi in genere: tra questi essendo compreso l’avviso di liquidazione in rettifica, oggetto del giudizio a quo ed originario della rimessione a quel Consesso. La stessa Corte, infatti, evoca espressamente, più in generale, i casi in cui la legge pone limiti temporali all’esercizio di poteri amministrativi; e, comunque, la categoria degli atti tributari recettizi non coincide con quella degli atti accertativi (intesa questa, sia in senso formale, che in senso sostanziale). Basta, del resto, scorrere le norme che ne disciplinano alcuni dei più rilevanti per apprendere che, per essi – e diversamente da ciò che è previsto per l’avviso di accertamento –, è il legislatore stesso ad aver “scelto” (58) esplicitamente il modello recettizio: ad aver indicato che la notifica si intende avvenuta nella data di ricevimento dell’atto (“nominando” proprio questa fase terminale ed essenziale del procedimento di notificazione). Mi riferisco all’art. 26 DPR n. 602/1973, che regola le modalità di notificazione della cartella di pagamento (59) e, per l’espresso rinvio operato dal successivo art. 50, comma 2, quelle dell’avviso di in- Fa sc ic o ——————— (58) Se la cartella è certamente un atto recettizio, persino per la sola natura propria, avendo un contenuto ed un effetto negativo per il destinatario ed in quanto reca intimazione al pagamento di un aliquid, sì da necessitare anche della collaborazione di quello, del quale tende ad indurre lo spontaneo adempimento, nella teoria generale dell’atto amministrativo – dove prevale la teoria della recettizietà per natura, piuttosto che per legge – non mancano Autorevoli sostenitori (cfr., A. PIZZORUSSO, La pubblicazione degli atti normativi, Milano, 1963, 15; si veda, inoltre, sul punto, P. STELLA RICHTER, voce Notificazione (dir. amm.), in Enc. dir., Milano, 1978, XXVIII) del criterio esclusivo della recettizietà per legge, sul presupposto che tale scelta spetterebbe soltanto al legislatore. Soggiungerei, peraltro, che è “per legge”, almeno indirettamente, anche il criterio della natura dell’atto, poiché questa andrebbe, comunque, desunta e verificata dalla sua conformazione legale, destinazione funzionale e collocazione sistematica. (59) Per quanto attiene alla recettizietà della cartella di pagamento, implicita al pronunciato ed al suo epilogo dispositivo nel caso concreto definito, ed al termine decadenziale applicabile per la notifica della cartella scaturita dalla procedura ex art. 36-bis, DPR n. 600/1973, si veda la recentissima Corte Cass., SS.UU. civ., sent. 12 novembre 2004, n. 21498. 39 GIURISPRUDENZA yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A timazione; ma lo stesso epilogo interpretativo (diverso il solo percorso) non potrebbe non valere per l’atto di contestazione delle sanzioni ex art. 16 D.Lgs. n. 472/1997, silente sul ricevimento, eppure, comunque, precettivo della notificazione, a pena di decadenza, entro un termine specifico, in combinato disposto con il successivo art. 20 (60). Nella disciplina, per definizione, transeunte dei recenti condoni, merita, non ultima, di essere sottolineata la ben nota presenza di una ulteriore fattispecie di atto recettizio, “accertativo” di quel peculiare rapporto obbligatorio di titolo premiale (o tributario per accidente); si tratta dell’eventuale “diniego” di definizione della lite, che l’art. 16, comma 8, penultimo periodo, legge n. 289/2002, prescrive debba avvenire, nei confronti “dell’interessato”, con le modalità dell’art. 60, DPR n. 600/1973 ed in un termine puntualmente determinato. Anche in questo caso, infatti, è agevole prevedere che si riproporranno, con rinnovata attualità e particolare diffusione, tanto la questione del momento di notificazione, quanto quella degli effetti di essa, qualora eseguita solo nei confronti di uno o più dei condebitori solidali (considerati, questi, nel successivo X alinea). Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op 4.6. Considererei, infine, il ruolo che potrebbe giocare oggi lo Statuto del contribuente, legge di portata generale e di principio, nel quale, all’art. 6, è codificato quello che la stessa sezione tributaria (61) ha denominato “principio di ‘conoscenza degli atti’”: nel pensiero della Corte, regola utile a reinterpretare disposizioni di specie anche previgenti, nel senso che gli atti tributari incidenti sulla posizione debitoria o creditoria del contribuente non possono produrre effetti prima che questi ne abbia avuto conoscenza (legale conoscenza, preciserei). Ben più significativo appare, peraltro, quanto desumibile dal successivo art. 7 (e, non solo) dello stesso Statuto, poiché la comunicazione amministrativa è elevata a momento centrale dell’agire pubblico e, sempre più, affrancata da una accezione solo propedeutica alla tutela giurisdizionale (62). COSTANTINO SCALINCI ——————— (60) Quello che ne regola tale profilo unitamente alla disciplina dell’atto di irrogazione immediata “in uno” con l’avviso di accertamento del tributo, previsto dall’art. 17 stesso decreto. (61) Cfr., Cass., sez. civ. V-trib., 30 marzo 2001, n. 4760, in Foro it., 2001, I, 1853; contra, più recentemente, sent. 2 marzo 2004, n. 4235, in Riv. giur. trib., n. 11/2004, 1056. (62) Sono previste come generalmente essenziali all’atto tributario, tra l’altro, indicazioni indispensabili (o funzionali) al contraddittorio amministrativo “successivo” ed all’autotutela. 40 PARTE SECONDA Rassegna della Cassazione tributaria (II quadrimestre 2004) a cura di Enrico Manzon ed Adriano Modolo Sp ATTUATIVI DEI TRIBUTI di to re I. PROCEDIMENTI A SOMMARIO: I PROCEDIMENTI ATTUATIVI DEI TRIBUTI: a) Riscossione/Rimborsi. - II. IMPOSTE DIRETTE. - III IVA ED ALTRE IMPOSTE INDIRETTE. - IV. DIRITTO PROCESSUALE. Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E a) Riscossione/Rimborsi. - Con la sentenza n. 8456 del 4 maggio 2004 (Pres. Riggio, Rel. Di Nubila) la Corte ha statuito che nei casi in cui l’atto impositivo sia costituito dal ruolo, solo la tempestiva impugnazione della cartella di pagamento consente al contribuente di contestare la debenza del tributo, risultando conseguentemente precluso il rimborso ex art. 38 del DPR n. 602/1973 in difetto della stessa. In senso conforme anche la sentenza n. 16485 del 20 agosto 2004 (Pres. Saccucci, Rel. Cicala) con la quale la sezione specializzata ha espressamente escluso il diritto del contribuente al rimborso dell’imposta indebitamente versata, anche nell’ipotesi in cui la non debenza discenda da una pronuncia della Corte costituzionale, ove il pagamento sia avvenuto a seguito di iscrizione a ruolo non tempestivamente impugnata ovvero a seguito di autotassazione non seguita poi da istanza di rimborso nel termine previsto dall’art. 38 del DPR n. 602/1973. Con la sentenza n. 13222 del 16 luglio 2004 (Pres. Favara, Rel. D’Alonzo) la Corte ha poi escluso l’applicabilità, al versamento di un’imposta a saldo, del principio secondo cui il termine decadenziale dell’art. 38 del DPR n. 602/1973 non decorre con riferimento al rimborso di versamenti connotati da un qualche carattere di provvisorietà ed ai quali successivamente non corrisponda la determinazione del relativo obbligo, sul presupposto che esso abbia per l’appunto carattere provvisorio per la possibilità dell’amministrazione finanziaria di modificare l’entità del debito d’imposta con la notifica di un accertamento in rettifica. Altresì si precisa che con la sentenza n. 16742 del 24 agosto 2004 (Pres. Riggio, Rel. Amari) la Corte ha confermato il principio secondo cui la locuzione “inesistenza totale o parziale dell’obbligo di versamento”, contenuta nell’art. 38 del DPR n. 602/1973, comprende anche la fattispecie del pagamento eseguito erroneamente in quanto non dovuto per 41 GIURISPRUDENZA carenza della relativa obbligazione tributaria (precedenti conformi Cass., nn. 7360/1998; 424/2003). II. IMPOSTE DIRETTE Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A In tema di redditi fondiari e, più precisamente, di reddito di fabbricati, con la sentenza n. 15537 del 11 agosto 2004 (Pres. Papa, Rel. Cultrera) la sezione specializzata ha ribadito che l’art. 11 della legge 30 dicembre 1991 n. 413 deve essere inteso come norma contenente l’esclusiva ed esaustiva disciplina per la fissazione dell’imponibile rispetto agli edifici di interesse storico ed artistico da effettuarsi sempre con riferimento alla più bassa delle tariffe d’estimo della zona, a prescindere dalla locazione del bene ad un canone superiore (precedente conforme Cass. civ., sez. trib., n. 7685/2003). In tema di redditi di lavoro dipendente si segnala che la Corte: – con la sentenza n. 11178 dell'11 giugno 2004 (Pres. Cristarella Orestano, Rel. Del Core) ha statuito che in applicazione del principio contenuto nell’art. 6 del DPR n. 917/1986 gli interessi, sia moratori che corrispettivi, maturati su somme liquidate per crediti di lavoro dipendente, quali il TFR, sono assoggettabili ad Irpef in quanto costituiscono redditi della stessa categoria di quello da cui derivano i crediti tardivamente adempiuti; – con la sentenza n. 15660 del 12 agosto 2004 (Pres. Papa, Rel. Magno) ha precisato che le somme corrisposte dal datore di lavoro, in aggiunta alle spettanze di fine rapporto, come incentivo alle dimissioni anticipate del dipendente, non hanno natura di erogazione liberale eccezionale ma costituiscono reddito da lavoro dipendente essendo predeterminate al fine di sollecitare e remunerare, mediante una vera e propria controprestazione, il consenso del lavoratore alla risoluzione anticipata del rapporto (in senso conforme Cass. civ., sez. trib., n. 16125/2004); – con la sentenza 16014 del 17 agosto 2004 (Pres. Papa, Rel. D’Alonzo), nel riaffrontare il tema del trattamento dell’indennità supplementare corrisposta ai dirigenti d’azienda a seguito di ingiustificato licenziamento, ha statuito che al fine di negare l’imponibilità Irpef di un’erogazione economica effettuata a favore del prestatore di lavoro, è necessario accertare che l’erogazione stessa non trovi la sua causa nel rapporto di lavoro e, qualora ciò non sia positivamente escluso, che l’erogazione stessa non trovi la fonte della sua obbligatorietà né in redditi sostituiti né nel risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi futuri. 42 PARTE SECONDA ED ALTRE IMPOSTE INDIRETTE ht G III. IVA iu f fre 'E di to re Sp A In tema di redditi di capitale, con la sentenza n. 17046 del 26 agosto 2004 (Pres. Saccucci, Rel. Meloncelli) la Corte ha infine statuito che la ritenuta subita dalle Regioni sugli interessi maturati sui conti correnti bancari ha natura di ritenuta a titolo d’imposta, ancorché le stesse Regioni non siano soggetti passivi Irpeg; la sezione specializzata ha infatti escluso la possibilità di invocare, per sostenere il contrario, la distinzione tra le nozioni di esclusione ed esenzione tributaria, atteso che, oltre alla difficoltà di operare coerentemente la relativa distinzione nella normativa fiscale per l’uso atecnico dei termini rilevabile in molte disposizioni, l’art. 26 del DPR n. 600/1973 regola un rapporto tributario autonomo dall’Irpeg e, al solo scopo di individuare il soggetto passivo, fa rinvio a quelle disposizioni con l’intento di assoggettarvi anche coloro che non siano soggetti passivi di detta imposta. Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig In materia di Iva, si segnala che con la sentenza n. 9114 del 13 maggio 2004 (Pres. Riggio, Rel. Sotgiu) la Corte ha precisato che con riguardo all’imposta indebitamente corrisposta per la prestazione di un servizio, la legittimazione all’azione di ripetizione nei confronti dell’amministrazione finanziaria spetta al solo prestatore del servizio, in qualità di debitore dell’imposta, e non al destinatario della prestazione cui compete invece il diritto di richiedere al prestatore del servizio l’eventuale restituzione dell’imposta indebitamente versata, nell’ambito di un rapporto regolato dal diritto privato. Di interesse è poi la sentenza n. 12853 del 12 luglio 2004 (Pres. Paolini, Rel. Meloncelli) con la quale la Corte ha statuito che la cessione di un immobile di proprietà di due coniugi in regime di comunione legale dei beni ed utilizzato per l’esercizio dell’impresa individuale di uno di essi, è soggetta ad Iva e tale soggezione è assorbente rispetto all’imposta di registro in quanto la cessione, dal punto di vista tributario, non è un atto plurimo avente ad oggetto singole quote di comune proprietà valutabili separatamente in dipendenza della natura dei soggetti proprietari, ma un atto unitario oggettivamente rilevante come atto d’impresa. In materia di imposta di registro si fa rilevare che con la sentenza n. 12448 del 7 luglio 2004 (Pres. Cristarella Orestano, Rel. Botta) la Corte ha precisato che la norma di cui all’art. 52, comma 4, del DPR n. 131/1986 non ha inteso individuare per gli immobili una base imponibile diversa dal valore venale, ma ha solo introdotto una mera preclusione 43 GIURISPRUDENZA Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A al potere di accertamento qualora nell’atto venga indicato un valore non inferiore a quello ottenibile con il procedimento di valutazione automatica; sulla scorta di tale principio la Corte ha quindi escluso che nel caso in cui il contribuente abbia indicato in atto un valore superiore possa poi richiedere che l’imposta sia invece commisurata al valore ottenibile mediante il suddetto procedimento automatico. In materia di Ici si segnala infine che la sezione specializzata: – con la sentenza n. 11830 del 24 giugno 2004 (Pres. Favara, Rel. Oddo) ha escluso che, al fine della determinazione della base imponibile per i fabbricati non iscritti in catasto, possa essere assunto come equipollente al criterio indicato nell’art. 5 del D.Lgs. 504/1992, il quale fa riferimento alla rendita di fabbricati similari già iscritti, il diverso criterio fondato sulla rendita attribuita al fabbricato in questione in epoca successiva agli anni d’imposta oggetto di controversia; – con la sentenza n. 12436 del 7 luglio 2004 (Pres. Raggio, Rel. Ebner) ha precisato che la norma di cui all’art. 5 del D.Lgs. n. 504/1992, secondo cui per i fabbricati iscritti in catasto la base imponibile è costituita dal valore catastale che risulta dall’applicazione dei moltiplicatori di cui al DPR n. 131/1986 all’ammontare delle rendite risultanti in catasto, si applica tutte le volte in cui l’immobile sia iscritto in catasto ed a prescindere dalla circostanza che esso sia classificabile nel gruppo D e sia integralmente posseduto da un’impresa e distintamente contabilizzato; – con la sentenza n. 16751 del 24 agosto 2004 (Pres. Avara, Rel. Sotgiu) ha statuito che l’edificabilità di un’area non discende necessariamente da piani regolatori già attuabili o particolareggiati, ma è sufficiente che tale carattere risulti da un piano regolatore generale, anche se l’assenza di un piano attuativo dello strumento generale attenua la potenzialità edificatoria e, quindi, la stessa base imponibile dell’immobile. IV. DIRITTO PROCESSUALE In tema di giurisdizione le SS.UU. civili della Suprema Corte hanno statuito: – con la sentenza n. 10952 del 9 giugno 2004 (Pres. Ianniruberto, Rel. Papa), che ai fini della sussistenza della giurisdizione delle Commissioni tributarie in materia di Ici è irrilevante che nell’ingiunzione di pagamento opposta dal contribuente il Comune impositore, erroneamente, abbia indicato il giudice ordinario (nella specie, giudice di pace) qua- 44 PARTE SECONDA Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A le AG competente alla cognizione dell’impugnativa, rilevando tale erronea indicazione al più in ordine ai termini per proporre l’impugnativa medesima; – con la sentenza n. 13793 del 22 luglio 2004 (Pres. Grieco, Rel. Altieri), che le controversie in materia di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (Tarsu), anche prima della novellazione dell’art. 2, D.Lgs. n. 546/1992 da parte dell’art. 12, legge n. 448/2001, appartengono alla giurisdizione delle Commissioni tributarie, trattandosi di tributi comunali (art. 2, comma 1, lett. h), D.Lgs. citato) ed anche se si tratti di azione di mero accertamento negativo, poiché in tal caso, non essendo stato impugnato uno degli atti indicati nell’art. 19, D.Lgs. citato, non si pone una questione di giurisdizione (essendo la stessa fissata dall’art. 2, citato), bensì dovrà essere dichiarata l’improponibilità, assoluta, della domanda da parte della Commissione tributaria adita. Relativamente alla competenza territoriale delle Commissioni tributarie, la sezione specializzata, con la sentenza n. 14212 del 28 luglio 2004 (Pres. Cristarella Orestano, Rel. Oddo), ha affermato che tale competenza rimane radicata presso la Commissione nella cui circoscrizione si situa l’ufficio che non ha risposto all’istanza di rimborso presentata dal contribuente, ancorchè detto ufficio non sia quello territorialmente competente a pronunziarsi nel merito dell’istanza medesima. La Suprema Corte inoltre, con la sentenza n. 12070 del 1° luglio 2004 (Pres. Favara, Rel. Falcone), ha sancito che l’omessa o incompleta indicazione nell’atto impositivo della Commissione territorialmente competente a giudicarne l’eventuale impugnativa, non inficia di nullità l’atto medesimo, trattandosi di una mera irregolarità formale. Vanno poi reportate alcune pronunzie della sezione tributaria in ordine agli aspetti strutturali generali del processo avanti alle Commissioni e specificamente: – la sentenza n. 13056 del 14 luglio 2004 (Pres. Cristarella Orestano, Rel. Sotgiu), con la quale si è statuito che nelle liti di rimborso (diversamente che in quelle di impugnativa) l’amministrazione finanziaria resistente può in sede processuale prospettare argomentazioni giuridiche ulteriori rispetto a quelle poste alla base del rigetto dell’istanza di rimborso del contribuente. Ciò in quanto in tali controversie il contribuente è l’ “attore sostanziale” (oltre che “formale”) e quindi, anche se nell’ambito dell’oggetto del processo delineato dal ricorso, l’amministrazione finanziaria può difendersi con la prospettazione di eccezioni in senso stretto; – la sentenza n. 13211 del 16 luglio 2004 (Pres. Favara, Rel. Meloncelli), con la quale si è sancito che, qualora non sia stato impugnato 45 GIURISPRUDENZA Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A un atto impositivo, non è poi impugnabile il silenzio rifiuto formatosi su di un’istanza di rimborso correlata alla pretesa impositiva consolidatasi per la mancata impugnazione di detto atto impositivo; – la sentenza n. 13672 del 22 luglio 2004 (Pres. Paolini, Rel. Meloncelli), con la quale si è affermato che il principio del legittimo affidamento del contribuente contenuto nell’art. 10, legge n. 212/2000 (Statuto del contribuente), non è applicabile in materia processuale; – la sentenza n. 13848 del 23 luglio 2004 (Pres. Saccucci, Rel. Amari), con la quale si è stabilito che il giudice tributario può avvalersi del potere di disapplicazione degli atti amministrativi solo qualora essi siano inficiati da specifici vizi di legittimità (incompetenza, violazione di legge, eccesso di potere), non essendo invece sufficiente a tal fine la generica contestazione dei criteri guida della discrezionalità amministrativa esercitata nell’adozione dell’atto. In ordine alle parti processuali, la Suprema Corte ha poi puntualizzato: – con la sentenza n. 12598 dell’8 luglio 2004 (Pres. Saccucci, Rel. Cultrera), che non è ammissibile l’intervento nel processo tributario degli enti esponenziali di interessi diffusi dei contribuenti (in senso conforme, Cass. civ., sez. trib., nn. 139/2004, 181/2004); – con la sentenza n. 15639 del 12 agosto 2004 (Pres. Cristarella Orestano, Rel. D’Alonzo), che, ferma la rappresentanza del Comune esclusivamente da parte del Sindaco pro tempore (art. 11, comma 3, D.Lgs. n. 546/1992), tuttavia è rituale la costituzione dell’ente locale tramite un funzionario, ma non in virtù del ruolo da questi ricoperto nell’amministrazione, bensì quale delegato del Sindaco (art. 15, comma 2 bis, del citato decreto). In materia di diritto probatorio, risultano meritevoli di segnalazione: – la sentenza n. 8439 del 4 maggio 2004 (Pres. Saccucci, Rel. Falcone), con la quale, ribadito che l’esercizio del poteri istruttori officiosi di cui all’art. 7, comma 3, D.Lgs. n. 546/1992 è facoltà discrezionale del giudice tributario (precedenti conformi, ex pluribus, Cass. civ., sez. trib., nn. 1701-8134/2001, 7678/2002, 7129/2003), si è poi specificato che tali poteri non possono essere utilizzati per sopperire al mancato assolvimento di oneri probatori di parte, in ossequio ai principi di cui al “novellato” art. 111, Cost.; – la sentenza n. 11419 del 18 giugno 2004 (Pres. Saccucci, Rel. Meloncelli), con la quale si è ribadita la piena applicabilità al rito tributario speciale degli artt. 214-215, c.p.c., in tema di disconoscimento della conformità all’originale della copia fotostatica di scrittura privata, con la 46 PARTE SECONDA Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A conseguente necessità, ad onere della parte interessata, di una contestazione tempestiva (prima udienza ovvero prima difesa successiva alla produzione del documento) e specifica (precedente conforme: Cass. civ., sez. trib., n. 10423/2000). Come di consueto, meritano altresì segnalazione un buon numero di decisioni della Suprema Corte in materia di impugnazioni. In particolare, va anzitutto rilevato un contrasto giurisprudenziale in ordine alla proposizione dell’appello da parte delle sezioni distaccate delle Direzioni regionali delle entrate. Infatti, con la sentenza n. 9716 del 21 maggio 2004 (Pres. Papa, Rel. Merone), si è ribadito che le sezioni staccate della Direzione Regionale delle entrate non abbisognano di autorizzazione a proporre appello (precedenti conformi: Cass. civ., sez. trib., nn. 10240 e 11456/2001). Al contrario, la sentenza n. 12391 del 6 luglio 2004 (Pres. Riggio, Rel. Monaci) ha affermato che tali organi periferici debbono invece essere autorizzati dal responsabile del servizio del contenzioso presso la Direzione regionale delle entrate, a pena di inammissibilità del gravame. La sezione specializzata, con la sentenza n. 12702 del 9 luglio 2004 (Pres. Saccucci, Rel. Meloncelli), ha peraltro ribadito che l’autorizzazione a proporre appello ex art. 52, comma 2, D.Lgs. n. 546/1992, può essere prodotta in giudizio fino all’udienza di discussione del ricorso avanti al giudice di secondo grado (precedente conforme: Cass. civ., sez. trib., n. 10242/2001). Ancora in tema di appello, devono poi essere evidenziate le ulteriori seguenti pronunce della sezione tributaria: – la sentenza n. 12147 del 2 luglio 2004 (Pres. Saccucci, Rel. Bielli), con la quale si è statuito che sono inammissibili le questioni, non rilevabili d’ufficio, non proposte dalle parti negli atti introduttivi del secondo grado del giudizio; – la sentenza n. 12154 del 2 luglio 2004 (Pres. Riggio, Rel. Merone), con la quale si è affermato che qualora sia inammissibile l’appello principale (nella specie, per omessa tempestiva costituzione dell’appellante) rimane il potere-dovere della Commissione tributaria regionale di decidere l’appello incidentale ritualmente e tempestivamente proposto, senza peraltro che assuma validità quale appello incidentale un secondo appello principale proposto dal primo appellante; – la sentenza n. 15646 del 12 agosto 2004 (Pres. Cristarella Orestano, Rel. Oddo), con la quale si è precisato che il divieto, posto dall’art. 57, D.Lgs. n. 546/1992, di proporre nuove eccezioni in grado d’appello non implica che non si possano addurre nuovi argomenti a sostegno di 47 GIURISPRUDENZA Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A eccezioni già formulate ovvero che non si possano allegare nuove “mere” difese volte ad eccitare il potere del giudice di sollevare eccezioni rilevabili anche d’ufficio; – la sentenza n. 17206 del 26 agosto 2004 (Pres. Cristarella Orestano, Rel. Ferrara), con la quale si è confermato che è inammissibile l’appello proposto soltanto per motivi di rito, qualora non si tratti di motivi che inducono la regressione in primo grado ex art. 59, comma 1, D.Lgs. n. 546/1992 (precedenti conformi: Cass. civ., sez. trib., n. 2455/2001; SS.UU. n. 12541/1998). In tema di ricorso per Cassazione, la Suprema Corte ha statuito: – con la sentenza n. 12705 del 1° luglio 2004 (Pres. Saccucci, Rel. Meloncelli), che ai fini della decorrenza del “termine breve” per l’impugnazione de qua la sentenza della Commissione tributaria regionale deve essere notificata all’ufficio che è stato parte nel giudizio di appello, dovendosi ritenere implicitamente abrogata la diversa previsione di cui all’art. 21 della legge n. 133/1999 (notifica presso l’Avvocatura dello Stato territorialmente competente), posto che, con la riforma delle Agenzie fiscali, per tali enti il patrocinio dell’Avvocatura erariale avanti alla Suprema Corte di Cassazione è divenuto meramente eventuale; – con le sentenze nn. 11551 del 21 giugno 2004 (Pres. Paolini, Rel. Del Core) e 15528 dell’11 agosto 2004 (Pres. Riggio, Rel. Cultrera) che è, insanabilmente, inammissibile il ricorso notificato all’ufficio periferico dell’Agenzia delle entrate, dovendo invece essere notificato al Direttore dell’Agenzia centrale, presso l’Avvocatura erariale; – con la sentenza n. 15867 del 13 agosto 2004 (Pres. Riggio, Rel. D’Alonzo), che per essere ammissibile il ricorso deve, tra l’altro, riportare testualmente gli aspetti della motivazione dell’atto impositivo impugnato che intende portare all’attenzione del giudice di legittimità. In ordine al giudizio di ottemperanza, va ancora segnalato che: – con la sentenza n. 15074 del 5 agosto 2004 (Pres. Paolini, Rel. Fico), si è sancito che la decisione emessa a conclusione di tale speciale procedura di attuazione del giudicato tributario è ricorribile per Cassazione non solo per “inosservanza delle norme sul procedimento”, come previsto dall’art. 70, comma 10, D.Lgs. n. 546/1992, ma, più in generale, per “violazione di legge” (anche sostanziale), come previsto dall’art. 111, Cost.; – con la sentenza n. 15655 del 12 agosto 2004 (Pres. Favara, Rel. Gianicola), si è affermato che la decisione d’inammissibilità resa in sede di giudizio di ottemperanza è impugnabile oltre i limiti segnati dall’art. 70, comma 10, D.Lgs. n. 546/1992. 48 PARTE SECONDA Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A Infine, vanno segnalate due pronunzie della prima sezione civile della Suprema Corte (n. 11350 del 17 giugno 2004, Pres. Olla, Rel. Morelli; n. 17139 del 27 agosto 2004, Pres. Olla, Rel. Macioce), con le quali si è esclusa l’applicabilità al giudizio tributario della legge n. 89/2001 sull’equa riparazione per mancato rispetto del ragionevole termine di durata del processo, affermandosi che, seguendo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, tale giudizio non rientra nella previsione di cui all’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, non essendo le obbligazioni tributarie assimilabili a quelle di “carattere civile”. ic o sc Fa lo gg io sa 05 20 1_ ht yr ig op -C iu f G re di to 'E fre PARTE TERZA A Sp ic o sc Fa lo gg io sa 05 20 1_ ht yr ig op -C to re di e' E ffr iu G A Sp Rubrica di diritto comunitario a cura di Piera Filippi A CORTE DI GIUSTIZIA Ce, sez. II, 8 giugno 2004, causa C-268/03, De Baeck ./. Belgische Staat; Pres. e Rel. C.W.A. Timmermans 'E di to re Sp Imposta sul reddito - Plusvalenze fuori dal regime d’impresa - Diritto di stabilimento - Artt. 43 e 48 Trattato Ce - Libera circolazione dei capitali - Artt. 56 e 58 Trattato Ce - Discriminazione - Sussiste gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre Gli artt. 43 e 48 Trattato Ce ostano a una disposizione legislativa nazionale che tassa le plusvalenze realizzate in occasione di cessione di partecipazioni sociali in favore di soggetti stabiliti in un altro Stato membro, prevedendo invece la non imponibilità di quelle realizzate in occasione di cessione di partecipazioni in favore di soggetti stabiliti nello stesso Stato membro del cedente quando quest’ultimo sia in grado di esercitare una certa influenza sulle decisioni del cessionario. L’art. 56 Ce osta a una disposizione legislativa nazionale come quella citata, qualora la partecipazione ceduta non sia tale da conferire al suo titolare una certa influenza sulle decisioni della società e da consentirgli di indirizzarne le attività (1)*. Fa sc ic o lo sa 1. Con ordinanza 13 giugno 2003, pervenuta in cancelleria il 19 giugno successivo, il Rechtbank van eerste aanleg te Antwerpen ha sottoposto a questa Corte, ai sensi dell’art. 234 Ce, una questione pregiudiziale vertente sull’interpretazione degli artt. 43 Ce, 46 Ce, 48 Ce, 56 Ce e 58 Ce. 2. La detta questione è stata sollevata nell’ambito di una controversia tra il sig. De Baeck e il Belgische Staat (Stato belga) in merito all’imposizione della plusvalenza realizzata in occasione della vendita da parte del sig. De Baeck di azioni di società belghe a una società francese. Normativa nazionale 3. Nella versione in vigore all’epoca dei fatti della controversia principale, l’art. 67, n. 8, del codice belga delle imposte sui redditi 26 febbraio 1964 disponeva quanto segue: ——————— (*) Segue nota firmata. 4 PARTE TERZA yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A “Entrate diverse (…) sono (…) le plusvalenze realizzate in occasione della cessione a titolo oneroso, al di fuori dell’esercizio di una delle attività professionali menzionate nell’art. 20, di azioni o di quote rappresentative di diritti societari in società, associazioni, istituzioni o enti di qualsiasi tipo che abbiano in Belgio la loro sede sociale, il loro stabilimento principale o la loro sede di gestione o amministrativa qualora, in caso di acquisizione delle azioni o delle quote a titolo non oneroso, in un momento qualsiasi nel quinquennio che precede la cessione, il cedente o il suo dante causa abbiano detenuto direttamente o indirettamente, da soli o assieme al coniuge, ai loro discendenti, ascendenti e affini fino al secondo grado, inclusi quelli del coniuge, più del 25 per cento dei diritti nella società le cui azioni o quote sono state cedute”. 4. L’art. 67 ter dello stesso codice così dispone: “Le plusvalenze menzionate all’art. 67, n. 8, non sono imponibili qualora siano state realizzate in occasione della ripartizione del patrimonio sociale della società di cui costituiscono diritti societari, ovvero dell’acquisto da parte di tale società delle proprie azioni, ovvero della cessione delle azioni o quote a un residente nel Regno del Belgio assoggettato all’imposta sul reddito delle persone fisiche o a un non residente soggetto passivo dell’imposta applicabile ai non residenti o a un contribuente come definito dagli artt. 94, n. 1, e 136”. -C op Controversia principale e questione pregiudiziale Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 5. Il giudice del rinvio afferma che, secondo l’amministrazione, nel 1989 il sig. De Baeck, agendo in proprio nome e per conto terzi, ha venduto a una società francese azioni delle società belghe appartenenti al gruppo Antverpia per un importo di BEF 1 705 000 000. 6. Poiché le azioni sono state vendute a una società straniera e la famiglia del sig. De Baeck ha detenuto una considerevole partecipazione nelle società belghe appartenenti al gruppo Antverpia, secondo l’amministrazione la plusvalenza realizzata era imponibile. 7. Secondo il giudice del rinvio, dalla normativa nazionale si evince che le plusvalenze non sono imponibili qualora le azioni o le quote vengano cedute a società, associazioni, istituzioni o enti belgi, mentre tali plusvalenze sono imponibili qualora le azioni o le quote vengano cedute a società, associazioni, istituzioni o enti esteri. 8. La detta normativa prevede pertanto un trattamento differenziato delle plusvalenze su azioni o quote a seconda del luogo di stabilimento della società, dell’associazione, dell’istituzione o dell’ente cessionario. 9. Poiché nutriva dubbi in merito alla conformità di una simile normativa al diritto comunitario, il Rechtbank van eerste aanleg te Antwerpen ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale: “Se gli artt. 43 [Ce], 46 [Ce], 48 [Ce], 56 [Ce] e 58 Ce ostino a una disposizione legislativa nazionale belga, come quella prevista dagli artt. 67, n. 8, e 67 5 RUBRICA DI DIRITTO COMUNITARIO ter del codice delle imposte sui redditi, nella sua versione del 1964, ai sensi della quale le plusvalenze realizzate in occasione della cessione a titolo oneroso, al di fuori dell’esercizio di un’attività professionale, su azioni o quote rappresentative di diritti societari in società, associazioni, istituzioni o enti belgi, sono imponibili, qualora la cessione avvenga a favore di società, associazioni, istituzioni o enti stranieri, mentre, nella stessa situazione, tali plusvalenze non sono imponibili qualora la cessione avvenga a favore di società, associazioni, istituzioni o enti belgi» A Sulla questione pregiudiziale Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp Osservazioni presentate alla Corte 10. Il sig. De Baeck propone di risolvere la questione pregiudiziale in senso affermativo. Richiamandosi, in particolare, alla sentenza 21 novembre 2002, causa C-436/00, X e Y (Racc. pag. I-10829), egli afferma che una norma come quella di cui trattasi nella causa principale costituisce una restrizione sia alla libertà di stabilimento sia alla libera circolazione dei capitali. 11 Infatti, una simile norma sarebbe tale da ostacolare il contribuente nell’esercizio del diritto conferitogli dall’art. 43 Ce di esercitare le proprie attività per mezzo di una società in un altro Stato membro o di cedere azioni o quote ad una tale società nonché da dissuadere i residenti in uno Stato membro dal contrarre prestiti o dal fare investimenti in altri Stati membri. Il sig. De Baeck rileva che non esiste alcuna ragione che giustifichi le dette restrizioni. 12. La Commissione delle Comunità europee sostiene inoltre che una normativa nazionale come quella di cui trattasi nella causa principale è incompatibile con il diritto comunitario. Facendo riferimento alle sentenze 13 aprile 2000, causa C-251/98, Baars (Racc. pag. I-2787), e X e Y, cit., essa osserva che occorre operare una distinzione tra la libertà di stabilimento e la libera circolazione dei capitali. 13. Secondo la stessa, se la partecipazione del sig. De Baeck conferisce a quest’ultimo una certa influenza sulle decisioni della società e gli consente di indirizzarne le attività, la questione pregiudiziale dev’essere analizzata dal punto di vista della libertà di stabilimento. In caso contrario, essa dovrebbe essere analizzata dal punto di vista della libera circolazione dei capitali. Spetterebbe al giudice del rinvio verificare quale delle due ipotesi corrisponda alla realtà. 14. Per quanto riguarda la libertà di stabilimento, la Commissione, riferendosi alla citata sentenza X e Y, fa valere che l’imposizione controversa nella causa principale rischia di avere un effetto deterrente sull’esercizio da parte di una società stabilita in un altro Stato membro del diritto conferitole dall’art. 43 Ce di svolgere la propria attività in Belgio attraverso una società. Sarebbe infatti più interessante per il sig. De Baeck vendere la sua partecipazione ad un’impresa belga, poiché, in tal caso, egli non sarebbe debitore dell’imposta. Una simile disparità di trattamento costituirebbe una restrizione alla libertà di stabilimento. 6 PARTE TERZA di to re Sp A 15. Per quanto riguarda la libera circolazione dei capitali, la Commissione, facendo ancora riferimento alla citata sentenza X e Y, osserva che la normativa nazionale in questione nella causa principale è tale da dissuadere i soggetti passivi dell’imposta belga sui redditi dal cedere azioni a società cessionarie stabilite in altri Stati membri. D’altra parte, la detta normativa limiterebbe altresì la libertà dei residenti in altri Stati membri di investire il loro capitale in alcune imprese belghe, poiché i detti residenti dovrebbero convincere il venditore belga a sceglierli come acquirenti, nonostante l’imposizione controversa. Essa costituirebbe, pertanto, una restrizione alla libera circolazione dei capitali ai sensi dell’art. 56 Ce. 16. La Commissione osserva che il giudice del rinvio non menziona alcun elemento idoneo a giustificare le restrizioni individuate dalla stessa. Essa ritiene inoltre che non sussistano elementi tali da giustificarle. Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E Soluzione della Corte 17. Alla luce del fatto che la soluzione della questione sollevata può essere chiaramente desunta dalla giurisprudenza, la Corte, ai sensi dell’art. 104, n. 3, del suo regolamento di procedura, ha informato il giudice del rinvio che intendeva statuire con ordinanza motivata ed ha invitato gli interessati di cui all’art. 23 dello Statuto della Corte di giustizia a presentare le loro eventuali osservazioni in merito. 18. Solo il sig. De Baeck ha risposto all’invito della Corte indicando che la citata sentenza X e Y, a suo avviso, non era identica alla causa in esame, ma presentava analogie con la stessa. Egli si affida pertanto alla valutazione della Corte per determinare se, nel caso di specie, la soluzione possa essere desunta da tale sentenza. Egli ritiene che possa esserlo. 19. È giurisprudenza costante che, se è pur vero che la materia delle imposte dirette rientra nella competenza degli Stati membri, questi ultimi devono tuttavia esercitarla nel rispetto del diritto comunitario (v., in particolare, sentenza 11 dicembre 2003, causa C-364/01, Barbier, Racc., pag. I-0000, punto 56, e la giurisprudenza ivi citata). 20. Al punto 36 della citata sentenza X e Y, la Corte ha dichiarato che la privazione di un vantaggio fiscale che consiste nel rifiutare al cedente il beneficio di un differimento dell’imposta sulle plusvalenze realizzate sulle azioni cedute sottoprezzo, per il fatto che la società cessionaria nella quale il soggetto passivo detiene una partecipazione ha sede in un altro Stato membro, può avere un effetto deterrente sull’esercizio da parte dello stesso del diritto conferitogli dall’art. 43 Ce di svolgere la propria attività in tale altro Stato membro attraverso una società. 21. La Corte ha rilevato che una simile disparità di trattamento costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento dei cittadini dello Stato membro interessato nonché, del resto, a quella dei cittadini di altri Stati membri che risiedono nel territorio del detto Stato membro, che detengono una partecipazione nel capitale di una società con sede in un altro Stato membro, purché, tuttavia, tale 7 RUBRICA DI DIRITTO COMUNITARIO Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A partecipazione conferisca loro una sicura influenza sulle decisioni della società e consenta loro di indirizzarne le attività. Essa ha affermato che spetta al giudice del rinvio verificare se tale condizione sia soddisfatta nella causa principale (v. sentenza X e Y, cit., punto 37, e la giurisprudenza ivi citata). 22. Del resto, qualora, secondo le verifiche che devono essere svolte dal giudice del rinvio, l’art. 43 Ce non si applichi alla luce del grado insufficiente della partecipazione del cedente nella società cessionaria con sede in un altro Stato membro, la privazione di un vantaggio fiscale è idonea a dissuadere i soggetti passivi dell’imposta sulle plusvalenze dal cedere sottoprezzo azioni a società cessionarie stabilite in altri Stati membri nelle quali essi detengono, direttamente o indirettamente, una partecipazione e, pertanto, costituisce per tali soggetti passivi una restrizione alla libera circolazione dei capitali, ai sensi dell’art. 56 Ce (v. sentenza X e Y, cit., punto 70, e la giurisprudenza ivi citata). 23. È pacifico che, nella causa principale, le plusvalenze non sono imponibili qualora le azioni o le quote vengano cedute a società, associazioni, istituzioni o enti belgi, mentre le stesse sono imponibili qualora le azioni o le quote vengano cedute a società, associazioni, istituzioni o enti stabiliti in un altro Stato membro. 24. Orbene, la privazione del vantaggio fiscale, in tal caso, è ancora più marcata che nella citata causa X e Y, in cui la detta privazione consisteva nel rifiutare al cedente il beneficio di un differimento dell’imposta, provocandogli quindi uno svantaggio in termini di liquidità (v. sentenza X e Y, cit., punto 36). La normativa nazionale di cui trattasi nella causa principale, infatti, ha come conseguenza che il cedente che cede le sue quote ad una società stabilita in un altro Stato membro subisce un’imposizione sulle plusvalenze realizzate, imposizione che il cedente che cede le sue quote ad una società belga non subisce. 25. Si può quindi dedurre chiaramente dalla citata sentenza X e Y che la disparità di trattamento attuata dalla disposizione nazionale di cui trattasi nella causa principale a scapito del contribuente che cede azioni o quote a società, associazioni, istituzioni o enti stabiliti in un altro Stato membro costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento. Infatti, rendendo la cessione delle azioni o quote in questione a cessionari stabiliti in un altro Stato membro meno attraente, l’esercizio da parte di questi ultimi del loro diritto di stabilimento rischia di essere limitato, purché la partecipazione ceduta conferisca al suo titolare una certa influenza sulle decisioni della società e gli consenta di indirizzarne le attività. Spetta al giudice del rinvio verificare se tale condizione sia soddisfatta nella causa principale. 26. Qualora ciò non avvenga, si deve rilevare che la disparità di trattamento attuata dalla disposizione nazionale di cui trattasi nella causa principale costituisce una restrizione alla libera circolazione dei capitali ai sensi dell’art. 56 Ce, in quanto la cessione delle azioni o quote in questione ad un cessionario stabilito in un altro Stato membro è resa meno attraente. 27. Poiché nessun elemento idoneo a giustificare le restrizioni di cui sopra è stato comunicato alla Corte, non occorre esaminare se queste ultime perse- 8 PARTE TERZA yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A guano un obiettivo legittimo compatibile con il Trattato Ce e se siano giustificate da ragioni imperative di interesse generale. 28. La questione sollevata dev’essere pertanto risolta come segue: – gli artt. 43 Ce e 48 Ce ostano a una disposizione legislativa nazionale, come quella prevista dagli artt. 67, n. 8, e 67 ter del codice belga delle imposte sui redditi, nella versione in vigore all’epoca dei fatti di cui alla causa principale, ai sensi della quale le plusvalenze realizzate in occasione della cessione a titolo oneroso, al di fuori dell’esercizio di un’attività professionale, su azioni o quote rappresentative di diritti societari in società, associazioni, istituzioni o enti, sono imponibili, qualora la cessione avvenga a favore di società, associazioni, istituzioni o enti stabiliti in un altro Stato membro, mentre, nella stessa situazione, tali plusvalenze non sono imponibili qualora la cessione avvenga a favore di società, associazioni, istituzioni o enti belgi, purché la partecipazione ceduta conferisca al suo titolare una certa influenza sulle decisioni della società e gli consenta di indirizzarne le attività. – l’art. 56 Ce osta a una disposizione legislativa nazionale come quella succitata, qualora la partecipazione ceduta non sia tale da conferire al suo titolare una certa influenza sulle decisioni della società e da consentirgli di indirizzarne le attività. -C op Sulle spese gg io 1_ 20 05 29. Le spese sostenute dalla Commissione, che ha presentato osservazioni alla Corte, non possono dar luogo a rifusione. Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice del rinvio, cui spetta quindi statuire sulle spese. Fa sc ic o lo sa P.Q.M. - La Corte (seconda sezione) pronunciandosi sulla questione sottopostale dal Rechtbank van eerste aanleg te Antwerpen, con sentenza 13 giugno 2003, dichiara: 1) Gli artt. 43 Ce e 48 Ce ostano a una disposizione legislativa nazionale, come quella prevista dagli artt. 67, n. 8, e 67 ter del codice belga delle imposte sui redditi, nella versione in vigore all’epoca dei fatti di cui alla causa principale, ai sensi della quale le plusvalenze realizzate in occasione della cessione a titolo oneroso, al di fuori dell’esercizio di un’attività professionale, su azioni o quote rappresentative di diritti societari in società, associazioni, istituzioni o enti, sono imponibili, qualora la cessione avvenga a favore di società, associazioni, istituzioni o enti stabiliti in un altro Stato membro, mentre, nella stessa situazione, tali plusvalenze non sono imponibili qualora la cessione avvenga a favore di società, associazioni, istituzioni o enti belgi, purché la partecipazione ceduta conferisca al suo titolare una certa influenza sulle decisioni della società e gli consenta di indirizzarne le attività. L’art. 56 Ce osta a una disposizione legislativa nazionale come quella succitata, qualora la partecipazione ceduta non sia tale da conferire al suo titolare 9 RUBRICA DI DIRITTO COMUNITARIO una certa influenza sulle decisioni della società e da consentirgli di indirizzarne le attività. (1) Tassazione dei capital gains: un’ordinanza lascia irrisolto il rapporto tra la libertà di stabilimento e la libera circolazione dei capitali. re Sp A SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. Brevi considerazioni di diritto processuale comunitario. - 3. (Continua): l’influenza del precedente X e Y. - 4. I capital gains e le libertà fondamentali. - 5. La participation exemption in Italia. - 6. Conclusioni. Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to 1. Premessa. - Con ordinanza motivata depositata l’8 giugno 2004 la Corte di Giustizia delle Comunità Europee ha statuito che contrastano con il principio della libertà di stabilimento, di cui agli artt. 43 e 48 del Trattato Ce, alcune norme dell’ordinamento tributario belga in materia di tassazione delle plusvalenze. In particolare, le norme poste al vaglio di legittimità della Corte prevedevano l’imponibilità delle plusvalenze realizzate in occasione della cessione a titolo oneroso, al di fuori dell’esercizio di un’attività professionale, su azioni o quote rappresentative di diritti societari in società, associazioni, istituzioni o enti, in ipotesi di cessione a favore di società, associazioni, istituzioni o enti stabiliti in altro Stato membro, mentre, nella stessa situazione, tali plusvalenze non erano imponibili qualora la cessione fosse avvenuta a favore di società, associazioni, istituzioni o enti belgi, purché la partecipazione ceduta conferisse al suo titolare una certa influenza sulle decisioni della società e gli consentisse di indirizzarne le attività. La Corte ha, inoltre, statuito che nell’ipotesi in cui il soggetto cedente non abbia una partecipazione tale da conferire al titolare una certa influenza sulle decisioni della società e da consentirgli di indirizzare le attività, le stesse norme già ritenute illegittime in base al precedente motivo lo sarebbero, comunque – e sulla base degli stessi presupposti, eccezion fatta, si ritiene, per l’entità della partecipazione in grado di conferire una certa influenza – per contrasto al principio di libera circolazione dei capitali di cui all’art. 56 del Trattato Ce. La questione pregiudiziale sottoposta alla analisi della Corte riguarda la vicenda di un cittadino belga (il sig. De Baeck) che aveva realizzato una plusvalenza sulla cessione di un pacchetto azionario di una società belga ceduto a una società francese. All’epoca dei fatti la normati- 10 PARTE TERZA Sp A va belga (1) prevedeva che le plusvalenze realizzate a fronte della cessione a titolo oneroso di partecipazioni non fossero imponibili se: – realizzate da parte di soggetti cedenti che hanno direttamente o indirettamente detenuto, nel quinquennio precedente la cessione, più del 25 per cento dei diritti nella società le cui azioni o quote sono cedute; – realizzate dalla cessione a soggetti residenti in Belgio o soggetti passivi d’imposta in Belgio. Considerato che le azioni cedute dal sig. De Baeck venivano cedute ad una società straniera (rectius, non residente), l’amministrazione belga riteneva la plusvalenza realizzata un componente di reddito imponibile. Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re 2. Brevi considerazioni di diritto processuale comunitario. - Nei paesi in cui la tradizione della funzione giudicante affonda le sue radici nel mondo del diritto romano, i regolamenti di procedura degli organi giurisdizionali prevedono generalmente strumenti deflattivi dei carichi pendenti al fine di razionalizzare l’attività giudiziale e di rendere più spedita la conclusione dei procedimenti (2). Il regolamento di procedura della Corte di Giustizia Europea in questo non rappresenta un’eccezione. L’adozione di misure volte a ridurre la tempistica dei processi è necessaria tanto più se l’organo adito funge da catalizzatore delle istanze di tutti i paesi membri dell’Unione Europea. È fuori dubbio, infatti, che un eccessivo ricorso alle interpretazioni e pronunzie di detto organo comporterebbero un intasamento dell’attività dello stesso qualora non fossero disponibili strumenti – come nel caso dell’ordinanza – volti ad impedire il ricorso all’iter del procedimento ordinario almeno in quei casi in cui la soluzione è sufficientemente chiara e consente di evitare la normale istruzione del giudizio che si conclude con sentenza. Lo strumento dell’ordinanza in quest’ottica, sul presupposto della ricorrenza di determinati requisiti per la sua adozione, rappresenta un mezzo idoneo per l’esternazione di un convincimento della Corte in un breve lasso di tempo ed è il mezzo attraverso il quale la Corte ha espresso il suo orientamento sul caso De Baeck così come in altre occasioni, in precedenza, su questioni di legittimità in tema di imposte dirette (3). In ——————— (1) Gli artt. 67 (8) e 67 ter del “Code belge des impots sur les revenus” del 26 febbraio 1964 (Codice belga delle imposte sui redditi, in seguito CIR). (2) L’esistenza di strumenti processuali alternativi al procedimento ordinario volti ad una più celere definizione dei casi trova conferma, infatti, sin dal tempo del corpus iuris di Giustiniano. (3) A puro titolo esemplificativo in tema di imposte dirette cfr. le cause C-279/99, C-293/99 e C-431/01. 11 RUBRICA DI DIRITTO COMUNITARIO -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A base all’art. 104 del regolamento di procedura, l’ordinanza viene adottata dalla Corte “qualora una questione pregiudiziale sia identica ad una questione sulla quale la Corte ha già statuito, qualora la soluzione di tale questione possa essere chiaramente desunta dalla giurisprudenza o qualora la soluzione della questione non dia adito a dubbi ragionevoli”. Il caso De Baeck presenta evidenti tratti di comunanza con il precedente su cui la Corte di Giustizia si era espressa nel novembre 2002, il caso X e Y (4). Malgrado le circostanze di fatto tra i due procedimenti non siano identiche – come ha avuto modo di rilevare anche il Sig. De Baeck nella sua risposta all’invito di presentare osservazioni (5) – la Corte, in considerazione del fatto che la soluzione della questione sollevata, comunque, “potesse essere chiaramente desunta dalla precedente giurisprudenza” (6), ha rinvenuto i presupposti necessari e sufficienti per decidere il caso con ordinanza (7). Tale opinione motivata nell’ordinanza (8), suscita comunque alcuni dubbi interpretativi meritevoli di menzione nel commento che segue, con particolare riferimento alle due diverse libertà fondamentali oggetto di comune indagine nei due casi X e Y e De Baeck: la libertà di stabilimento e la libera circolazione dei capitali. Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 3. (Continua): l’influenza del precedente X e Y. - Il precedente X e Y costituisce un punto di riferimento interessante nel panorama delle sentenze della Corte di Giustizia in tema di imposte dirette, non soltanto per i suoi effetti su quello in commento, quanto piuttosto per il fatto di analizzare le problematiche fiscali relative al trattamento dei capital gains in ipotesi di cessioni transfrontaliere o di cessioni nazionali che coinvolgevano anche soggetti non residenti. Brevemente se ne riassumono gli aspetti salienti. La normativa svedese sottoposta al vaglio di legittimità della Corte nel caso X e Y riguardava la disciplina delle cessioni di partecipazioni. In particolare, l’ipotesi prospettata dal giudice di rinvio si riferiva alla cessione di un pacchetto azionario in una società residente in Svezia detenuto da parte di due soci persone fisiche, anch’essi residenti in Svezia. ——————— (4) CGCE, sentenza 21 novembre 2002, causa C-436/00, X e Y ./. Riksskatteverket. (5) Cfr. par. 18 dell’ordinanza. (6) Cfr. par. 17 dell’ordinanza. (7) La lettura dell’art. 104 (3) del regolamento di procedura e il caso De Baeck lasciano presumere una certa discrezionalità della Corte nell’individuazione degli elementi che devono ricorrere affinché il caso possa essere deciso sulla base di un precedente. (8) Cfr. par. 25. 12 PARTE TERZA Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A Tali soggetti non potevano beneficiare del differimento impositivo sulla plusvalenza realizzata, in quanto la normativa svedese lo aveva esplicitamente escluso. Due delle tre fattispecie di esclusione previste dalla normativa svedese rilevano ai fini della presente analisi: i) la cessione in favore di persona giuridica straniera nella quale il cedente deteneva direttamente o indirettamente una partecipazione e ii) la cessione effettuata in favore di una società per azioni svedese nella quale una persona giuridica straniera deteneva, direttamente o indirettamente, una partecipazione. In entrambe le ipotesi, per la Corte di Giustizia si realizzava una fattispecie di discriminazione incompatibile con il Trattato Ce. Per comprendere le ragioni per cui la Corte ha statuito sul caso De Baeck con ordinanza occorre fare luce sui possibili punti di contatto con il precedente X e Y. La fattispecie in commento potrebbe in parte ritenersi simile alla prima ipotesi di esclusione prevista dalla normativa svedese ed analizzata dalla Corte nel caso X e Y. A ben guardare, una più attenta analisi dei casi permette di rilevare tre significative divergenze. In entrambi i casi i contribuenti reclamano la mancata applicazione di un regime fiscale favorevole causato da un trattamento discriminatorio derivante dall’applicazione delle norme tributarie nazionali. Tuttavia, mentre nel caso De Baeck la normativa belga dispone l’esenzione, in quello X e Y quella svedese prevedeva un semplice differimento. In secondo luogo, nel caso De Baeck la società cessionaria non residente (francese) non è direttamente posseduta dal cedente; diversamente in X e Y, la società non residente che entra in gioco nella catena di partecipazioni del soggetto cessionario è posseduta dai cedenti. Infine, mentre nel caso X e Y, il cessionario era residente nello stesso Paese dei cedenti, pur se controllato da questi ultimi per il tramite di un soggetto non residente, in De Baeck la cessione è verso un non residente. Le differenze fattuali appena descritte con riferimento alla residenza dei soggetti cessionari e al complesso dei soggetti coinvolti insieme ai contribuenti nel caso De Baeck e in quello X e Y richiedono, preliminarmente, un’indagine volta a comprendere le ragioni per cui la decisione di quest’ultimo caso si riveli, comunque, sufficientemente chiara, al punto da venire richiamata dalla Corte nell’ordinanza De Baeck. La ragione di tale convincimento espresso dalla Corte nel caso De Baeck va rinvenuta, a parere di chi scrive, nel fatto che nel caso X e Y, malgrado le doglianze dei cedenti svedesi riguardassero un’ipotesi di di- 13 RUBRICA DI DIRITTO COMUNITARIO G iu f fre 'E di to re Sp A sparità di trattamento derivante da un regime fiscale meno favorevole riservato ai casi di cessione a un soggetto residente (nel quale il cedente stesso aveva una partecipazione per il tramite di un soggetto non residente), la Corte non mancava l’occasione di esprimersi, altresì, sull’illegittimità dell’altra ipotesi citata e ugualmente prevista dalla norma, quella relativa al trattamento fiscale differenziato in ragione di una cessione di partecipazione a soggetto non residente. Orbene, tale regime di minor favore nei casi di cessioni a soggetti non residenti, su cui già si appuntano gli strali della Corte di Giustizia in X e Y, è lo stesso, mutatis mutandis, che risulta applicabile anche nel caso De Baeck (9). La casistica a cui è astrattamente estendibile la portata della decisione del caso X e Y è di tale ampiezza da far ritenere i principi espressi nel caso stesso quale vero e proprio orientamento di riferimento della Corte di Giustizia in tema di capital gains la cui incisività e i cui effetti sono già evidenti nel caso De Baeck. Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht 4. I capital gains e le libertà fondamentali. - Un aspetto comune ad entrambi i casi in commento è (cfr. supra par. 2) quello relativo all’analisi congiunta delle due libertà fondamentali che si assumono lese dalle normative nazionali poste al vaglio di legittimità della Corte di Giustizia: la libertà di stabilimento, disciplinata agli artt. 43, 46 e 48 del Trattato Ce, e la libera circolazione di capitali, disciplinata agli articoli 56 e 58 del Trattato Ce. Sia in De Baeck che in X e Y il giudice nazionale rimette la questione di compatibilità con entrambe le libertà fondamentali. È opportuno però che tali sentenze siano analizzate nel contesto comunitario primario e secondario di riferimento alla luce dei precedenti giurisprudenziali della Corte di Giustizia. L’istituzione e il funzionamento di un mercato unico richiedono il rispetto di alcune regole fondamentali tipizzate dalla normativa comunitaria primaria (il Trattato) e l’integrazione e armonizzazione delle diverse normative degli Stati membri attraverso la normativa comunitaria secondaria (le Direttive), che in tema di circolazione di capitali assume particolare rilevanza (10). ——————— (9) Cfr. par. 24 dell’ordinanza. (10) Cfr. Direttiva n. 88/361/Cee. Tale direttiva, secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia (cfr. sentenza 16 giugno 1999, causa C-222/97, Trummer och Mayer) costituisce un punto di riferimento determinante per dare una definizione del concetto di “capitale” in assenza di una tale definizione nel Trattato. 14 PARTE TERZA ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A La rimozione degli ostacoli alla libertà di movimento di beni, persone, servizi e capitali (le quattro libertà fondamentali), sancita dagli artt. 2 e 3 Trattato Ce, introduce due diritti basilari dell’ordinamento comunitario: i) il diritto di libero accesso al mercato in termini di libera circolazione e ii) il diritto di uguaglianza di trattamento sul mercato in termini di divieto di discriminazione sulla base della nazionalità (11). Il secondo dei diritti citati introduce il cd. principio di non discriminazione, espressamente disciplinato nel Trattato Ce all’art. 12, ove si fa riferimento ad un generalizzato divieto di discriminazione in base alla nazionalità. Come più volte notato in dottrina (12), ed in base all’interpretazione letterale dello stesso art. 12, che fa salve le altre norme speciali del Trattato, sul principio generale di non discriminazione in base alla nazionalità prevalgono le norme di carattere speciale (tra le quali includiamo quelle degli artt. 43-48 e 56-58) del Trattato. Nell’interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia il principio di non discriminazione ha trovato applicazione non soltanto in funzione della nazionalità, ma anche di altri elementi di paragone (si pensi alla residenza dei soggetti creditori o cessionari, come nel caso De Baeck), la cui finalità è pur sempre di verifica della sussistenza di un trattamento di tipo discriminatorio. Si è determinato così il verificarsi di forme di discriminazione indiretta (13), in cui cioè il trattamento meno favorevole è riconducibile a elementi diversi dalla nazionalità, ma in grado di determinare effetti equipollenti (14). In questa prospettiva la giurisprudenza comunitaria ha ben presto esteso la portata del principio di non discriminazione fino a ricomprendere anche le fattispecie poste in essere dallo Stato di origine. Per quel Fa sc ——————— (11) Per un approfondimento di questi temi v. B.J.M. TERRA, P.J. WETTEL, European Tax Law, Deventer, 2001, 30 ss. (12) Cfr. L. HINNEKENS, The search for the framework conditions of the fundamental EC Treaty principles as applied by the European Court to Member States direct taxation, in EC Tax Review, 2002-3, 112 ss. (13) Per il concetto di non discriminazione indiretta cfr. CGCE Causa C-152/73 Sotgiu v. Deutsche Bundespost [1974] ECR 153, par. 11. Si riporta nel seguito il contenuto rilevante della sentenza: “Il principio della parità di trattamento, … vieta non soltanto le discriminazioni palesi in base alla cittadinanza, ma altresì qualsiasi discriminazione dissimulata che, pur fondandosi su altri criteri di riferimento pervenga al medesimo risultato … criteri basati sul luogo d’origine o sulla residenza di un lavoratore possono, in determinate circostanze, avere gli stessi effetti pratici della discriminazione proibita dal trattato”. (14) CGCE sentenza 8 maggio 1990, causa C-175/88, Klaus Biehl v. Administration des Contribution du Grand-Duché de Luxembourg, par. 12. 15 RUBRICA DI DIRITTO COMUNITARIO 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A che concerne la libera circolazione dei capitali tale ampliamento ha determinato la rilevanza non solo delle ipotesi di discriminazione nello Stato in cui l’attività o l’investimento veniva effettuato dal non residente (cd. inbound perspective, che qui definiamo come “Stato dell’investimento”), ma anche di quelle emergenti nello Stato dal quale l’investimento del soggetto residente si sarebbe mosso (cd. outbound perspective, che qui definiamo come “Stato dell’origine”) (15). Alla luce di quest’evoluzione si è consolidato un approccio basato sul concetto del divieto di restrizione, limitato dal principio di proporzionalità (16). La rilevanza degli ostacoli – di natura diretta od indiretta – nello Stato di origine e l’applicazione del principio di non restrizione si sono progressivamente mescolate, nella giurisprudenza comunitaria, con gli approcci di non discriminazione relativi agli ostacoli nello Stato di investimento, come provato anche dalla formulazione dell’ordinanza De Baeck e della sentenza X e Y. In entrambi i casi è possibile accertare una forma di discriminazione indiretta – basata sulla diversità di trattamento fiscale del soggetto cedente in relazione alla diversa natura del soggetto cessionario (residente o non residente), che solo indirettamente potrebbe incidere sull’elemento della nazionalità – ma anche un approccio focalizzato, almeno in parte (17), sullo Stato di origine e sulla prospettiva Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 ——————— (15) CGCE sentenza 16 luglio 1998, causa C-264/96, Imperial Chemical Industries plc (ICI) ./. Kenneth Hall Colmer; sentenza 12 aprile 2000, causa C-251/98, C. Baars v. Inspecteur der Belastingdienst Particulieren/Ondernemingen Gorinchem; causa X e Y, cit. supra nota 4; sentenza 14 dicembre 2000, causa C-141/99, AMID v Belgische Staat; sentenza 18 settembre 2003, causa C- 168/01, Bosal Holding ./. Staatssecretaris van Financiën. (16) L’applicazione di un approccio di non restrizione e del principio di proporzionalità hanno portato più volte la Corte a dichiarare illegittime le norme degli Stati membri, perché ostacolavano o rendevano meno favorevole la libera circolazione di persone e capitali e perché le misure contestate non erano idonee o appropriate per il raggiungimento del loro scopo andando ben oltre i mezzi necessari per il suo raggiungimento. Sul punto cfr. R. LYAL, Non-discrimination and direct tax in Community law, in EC Tax Review, 2003/2, 68 ss. e le sentenze 12 dicembre 2002, causa C-385/00, De Groot; 3 ottobre 2002, causa C-136/00, Danner; 26 giugno 2003, causa C-422/01, Skandia; 6.6.2000, causa C-35/98, Verkooijen; 27 giugno 1996, causa C-107/94, Asscher. (17) Entrambe i casi consentirebbero l’applicazione di tutte e due le prospettive outbound ed inbound. Seguendo gli orientamenti sin ora espressi dalla Corte, infatti, alla “restrizione” operante nei confronti del soggetto cedente – qualora il cessionario sia non residente o residente ma controllato da non residente – potrebbe aggiungersi la restrizione operante nei confronti delle società non residenti la cui raccolta di capitali nello stato membro del soggetto cedente verrebbe di fatto ostacolata dal trattamento meno favorevole riservato alle cessioni a soggetti non residenti. 16 PARTE TERZA Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A outbound. La restrizione nello Stato di origine, infatti, si verificherebbe nei confronti dei soggetti cedenti residenti, i quali, dopo aver esercitato la loro libertà di stabilimento acquistando partecipazioni idonee a conferire una certa influenza (18) in soggetti non residenti, verrebbero poi tassati meno favorevolmente in caso di successiva cessione (non esenti in De Baeck e senza differimento in X e Y), rispetto all’ipotesi di un investimento nel loro Stato di residenza e successiva cessione a soggetto residente. Infine, per comprendere le difficoltà di trovare una linea di demarcazione tra i diversi approcci ricordati o per prevedere ex ante quale potrebbe essere il ragionamento adottato dalla Corte nel risolvere questa tipologia di casi, basti pensare che il potere di “dissuadere” (19) dall’investimento all’estero, derivante dal trattamento sfavorevole riservato agli investitori del Belgio dalla normativa contestata nell’ordinanza in commento, potrebbe consentire anche un diverso ragionamento secondo una prospettiva inbound o dello Stato d’investimento, come altre volte la Corte stessa ha evidenziato (20). Secondo tale prospettiva le disposizioni dell’ordinamento belga vagliate dalla Corte avrebbero anche un effetto restrittivo nei riguardi delle società stabilite in altri Stati membri, in quanto costituirebbero nei loro confronti, un ostacolo alla raccolta di capitali in Belgio. Tale ostacolo deriverebbe dalle difficoltà di smobilizzo dell’investimento legate al diverso regime dei capital gains per cessioni a soggetti residenti e a non-residenti. Fatte tali necessarie premesse, occorre adesso concentrarsi sulla relazione tra le due libertà fondamentali (di stabilimento e di circolazione dei capitali) analizzate dalla Corte di Giustizia con riferimento ai casi di plusvalenze derivanti da cessioni di partecipazioni sollevati dai giudici del rinvio in cause precedenti. In assenza di una definizione del concetto di capitale all’interno del Trattato Ce, la nomenclatura contenuta nella Direttiva n. 88/361/Cee (21) suggerisce una definizione di capitale sufficientemente ampia e tale da potervi ricomprendere anche gli investimenti diretti all’acquisto di partecipazioni o allo svolgimento dell’attività economica mediante la forma di una stabile organizzazione (22). È evidente allora che sussistono profili ——————— (18) Sul concetto di “certa influenza” v. infra. (19) L’utilizzo di termini quali ad es. “ostacolare, dissuadere” è particolarmente ricorrente nelle decisioni della Corte di Giustizia legate alla approccio di non-restrizione. (20) Cfr. Verkooijen par. 35 (21) Cfr. supra nota 10. (22) In tal senso cfr. K. STAHL, Free movement of capital between Member States and third countries, in EC Tax Review, 2004-2, 44 ss. 17 RUBRICA DI DIRITTO COMUNITARIO Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A di sovrapposizione tra l’ambito applicativo delle due libertà fondamentali di stabilimento e di circolazione dei capitali (23), dato che sia per la libertà di stabilimento agli artt. 43 e 48 e per la libera circolazione dei capitali agli artt. 56 e 58 si tutelerebbero gli investimenti in partecipazioni, presupposto necessario per la realizzazione di un capital gain derivante dalla loro circolazione. L’analisi congiunta dei due gruppi di norme disciplinanti le due libertà è peraltro suggerita dallo stesso rinvio incrociato che le norme stesse consentono reciprocamente. Infatti, l’art. 43, al secondo paragrafo, in tema di libertà di stabilimento prevede un diritto di intraprendere e proseguire attività d’impresa in uno Stato membro alle stesse condizioni dettate dalla legge di detto Stato per le proprie imprese e nel rispetto dei principi espressi nella sezione (capitolo IV del titolo 3) del trattato relativa alla “libera circolazione dei capitali”. Allo stesso modo, l’art. 58, al secondo paragrafo, prevede che i principi normativi espressi all’art. 56 in tema di libera circolazione dei capitali (24) non possono essere di pregiudizio alle restrizioni ammesse dal trattato in tema di “libertà di stabilimento”. Sulla motivazione di questi richiami incrociati degli articoli citati si è più volte interrogata la dottrina adducendo diverse interpretazioni (25), ma ciò che più interessa notare ai fini della presente analisi è che la Corte non si è mai pronunciata sul punto. Sulla base della casistica giurisprudenziale è possibile affermare che un’analisi di entrambe le libertà si è resa necessaria, innanzitutto, da una richiesta formulata in tal senso (26) e poi ogni qualvolta il giudice del rinvio abbia ravvisato gli estremi per ritenere ristretta o trattata in maniera discriminatoria la posizione di soggetti residenti che esercitando la loro libertà di stabilimento si trovavano a subire un diverso trattamento in ragione dei loro capitali investiti. Questi casi (27) hanno semplicemente dimostrato che la Corte – così come avvenuto in X e Y – più che curarsi del rapporto tra le due libertà fondamentali, considera necessario che non vi siano disparità di trattamento o restrizioni che possano pre——————— (23) Per approfondimenti sul rapporto tra le due libertà in analisi cfr. P. PISTONE, The impact of Community Law on Tax Treaties, Londra-L’Aja-Boston, 2002, 27 ss. (24) L’art. 56 proibisce espressamente ogni restrizione al movimento di capitali tra Stati membri e tra Stati membri e paesi terzi. (25) Cfr. supra nota 22 K. STAHL, cit. e ancora M. SEDLZCZECK, Capital and Payments: The prohibition of Discrimination and Restrictions, in European Taxation, 2000, 14 ss. (26) La Corte non potrebbe infatti andare legittimamente oltre il “petitum” del giudizio. (27) Cfr. C-251/98, Baars e C-35/98, Verkooijen. 18 PARTE TERZA Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A giudicare i diritti scaturenti da entrambe le libertà. L’esercizio del diritto di stabilirsi in altro Stato membro richiede l’investimento di capitali; è chiaro allora che entrambe le libertà vadano considerate. Inoltre, dall’analisi della casistica considerata (28), la Corte sembra accettare la distinzione tra le due libertà basandosi su una linea di demarcazione derivante dal concetto di “sicura o certa influenza” (29) esercitata dal soggetto che ha effettuato l’investimento e di fatto utilizzato il capitale. In altri termini affinché venga in rilievo nell’analisi della Corte la libertà di stabilimento (artt. 43 e 48) è necessario che l’investimento di capitale fatto dal soggetto di uno Stato membro conferisca allo stesso il potere decisionale o gestionale sulla società di cui risulti azionista. Qualora, invece, l’investimento non consenta il raggiungimento di una posizione di “certa influenza” per l’investitore sembra che l’unica libertà fondamentale oggetto di tutela da parte della Corte potrebbe essere quella di libera circolazione dei capitali. In merito al presupposto per l’esercizio di una “certa influenza” (30), infine, occorre rilevare che dato il peso di tale elemento nell’esame delle libertà fondamentali da investigare, la Corte avrebbe potuto dare maggiori delucidazioni sia nell’ordinanza De Baeck, sia negli altri casi analoghi su cui si era già pronunciata (31), sul significato esatto di tale locuzione. Tale necessità deriva, altresì, dal fatto che le direttive che fanno riferimento a delle soglie di partecipazione per l’applicazione di regimi più favorevoli di trattamento fiscale (i.e., interessi e royalties e madre-figlia) (32), introducendo per questi flussi finanziari delle soglie in grado di distinguere tra regimi diversi di favore (analogamente a quanto avviene con riferimento al concetto di “certa influenza”), non includono nell’ambito oggettivo di applicazione le ipotesi di cessione di partecipazione e realizzo di capital gains. 5. La participation exemption in Italia. - La riforma fiscale entrata in vigore il 1° gennaio 2004 ha introdotto, tra le novità di rilievo, un regime di esenzione – ove ricorrano tutti i requisiti richiesti dalla nuova disciplina – per i capital gains derivanti da cessione di partecipazioni, la cd. participation exemption. Trascurando in questa sede gli aspetti rela——————— (28) Cfr. Baars, par. da 21 a 30. (29) Il cd. investimento diretto. (30) Cfr. De Baeck, par. 13. (31) Cfr. X e Y, Baars, Verkooijen. (32) Direttive nn. 2003/49/Ce e 90/435/Cee. 19 RUBRICA DI DIRITTO COMUNITARIO 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A tivi alla participation exemption per le società di capitali (33), si analizzano gli aspetti di questo regime con riferimento ai capital gains generati da cessioni effettuate da persone fisiche, così come avvenuto nel caso De Baeck. Il regime di esenzione, previsto per le plusvalenze realizzate da persone fisiche al di fuori dell’esercizio di attività di impresa, prevede uno scostamento dal previgente regime di tassazione dei relativi capital gains. Le plusvalenze realizzate, adesso, malgrado mantengano la natura di reddito diverso data la cessione al di fuori del regime d’impresa, qualora siano derivanti da cessione di partecipazioni cd. qualificate (34), concorrono alla determinazione del reddito nella misura del 40 per cento (35) e sono attratte nell’ambito dell’imposizione progressiva allo scaglione marginale del singolo soggetto cedente. Ove, invece, le plusvalenze realizzate al di fuori del regime di impresa siano il frutto della cessione di partecipazioni non qualificate, esse concorrono per intero a formare il reddito del soggetto cedente e sulle stesse si applica un’imposta sostitutiva nella misura del 12,50 per cento (36). Come di recente segnalato (37), è possibile identificare alcuni elementi di incompatibilità con il diritto comunitario per quanto concerne il regime di participation exemption introdotto in Italia e derivante da cessione di partecipazioni effettuate da soggetti Ires. In particolare, le ces- Fa sc ic o lo sa gg io ——————— (33) Per un’analisi dei profili di compatibilità con il diritto comunitario della normativa domestica in tema di plusvalenze realizzate da società cfr. G. PIZZITOLA, Plusvalenze esenti e società estere prive di stabile organizzazione in Italia – cenni sui profili di illegittimità comunitaria e pattizia, in Dialoghi di diritto tributario 2004/2, 273 ss. (34) L’art. 67 del nuovo Tuir (ex art. 81), definisce le cd. “partecipazioni qualificate”, ritenendo tali quelle “partecipazioni, diritti o titoli che rappresentino, complessivamente una percentuale di diritti di voto o di partecipazione esercitabile nell’assemblea ordinaria superiore al 2 o 20 per cento, ovvero, una partecipazione al capitale o al patrimonio superiore al 5 o 25 per cento secondo che si tratti di titoli negoziati nei mercati regolamentati o di altre partecipazioni”. (35) L’art. 68 comma 4 del nuovo Tuir prevede che questo regime di esenzione con imponibilità pari al 40 per cento non si applica nel caso di in cui le plusvalenze siano generate da partecipazioni in società residenti in Paesi o territori a regime fiscale privilegiato. In tal caso la plusvalenza partecipa per intero alla formazione del reddito del soggetto cedente. (36) Con riferimento all’applicazione dell’imposta sostitutiva ex art. 5, comma 2, del D.Lgs. n. 461/1997, il regime della participation exemption non ha introdotto modifiche allo stesso regime vigente ante riforma come confermato anche dall’art. 2 comma 2 del D.Lgs n. 344/2003. (37) Cfr. supra nota 33. 20 PARTE TERZA sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A sioni effettuate da soggetti non-residenti godrebbero – in mancanza di una stabile organizzazione in Italia – di un regime meno favorevole rispetto alla cessione effettuata da soggetti residenti alle stesse altre condizioni richieste per l’applicazione del regime di esenzione dall’art. 87 Tuir. Nel primo caso si potrebbe godere di una parziale esenzione al 60 per cento mentre nel secondo l’esenzione sarebbe totale. Non pare vi siano elementi di contrasto per quel che riguarda, invece, i soggetti Ire ed in particolare, per le cessioni effettuate al di fuori del regime d’impresa oggetto di analisi in questa nota. Un trattamento di tipo discriminatorio caratterizzato dall’applicazione di uno stesso regime in ipotesi diverse o dall’applicazione di regimi diversi in ipotesi uguali (38) è stato accuratamente evitato dal legislatore almeno per quanto concerne la disciplina della participation exemption nei confronti dei soggetti Ire. Non sussiste, infatti, una differenza di trattamento a seconda che la partecipazione sia ceduta a soggetti residenti o non-residenti. La disciplina relativa alla cessione da parte di un soggetto Ire residente e di un non residente che ai sensi dell’art. 23 nuovo Tuir (ex art. 20) percepisca un reddito diverso in Italia a causa di una cessione avvenuta al di fuori dell’attività d’impresa non stabilisce, poi, un regime più sfavorevole per il soggetto non residente. In questo caso, infatti, il soggetto nonresidente ricorrendo determinate condizioni beneficia semmai di un regime più favorevole a causa dell’esenzione da imposta sostitutiva. Se così è, si potrebbe discutere di un’ipotesi di discriminazione a rovescio (39) la cui analisi, tuttavia, trascende le finalità di questo commento. Fa sc ic o lo 6. Conclusioni. - L’esigenza della “eliminazione di tutti gli ostacoli alla circolazione interna per la realizzazione di un singolo mercato” (40) costituisce uno dei principi che la Corte di Giustizia nel susseguirsi delle sue pronunzie ha più volte ribadito utilizzando le quattro libertà fon- ——————— (38) Cfr. a titolo esemplificativo la sentenza sulla causa C-279/93, Schumacker, par. 30; quella sulla causa C-80/94, Wielockx, par. 17; e quella sulla causa C-107/94, Asscher, par. 40. (39) In dottrina si fa riferimento al concetto di discriminazione a rovescio per identificare i casi in cui un soggetto residente dello “stato della fonte” o “origine” del componente di reddito è trattato in maniera meno favorevole rispetto al trattamento in condizioni analoghe di un soggetto non-residente. Per approfondimenti su questo tema cfr. P. PISTONE, Uguaglianza, discriminazione a rovescio e normativa antiabuso in ambito comunitario, in Dir. prat. trib., 1998, II, 581 ss. (40) Cfr. causa C-15/81, Gaston Schul. 21 RUBRICA DI DIRITTO COMUNITARIO Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A damentali quale scudo avverso le normative domestiche di volta in volta ritenute illegittime e incompatibili con la normativa comunitaria. In tale prospettiva, l’esistenza di norme interne degli Stati membri in tema di capital gains che introducano regimi differenziati in situazioni comparabili a causa di elementi di estraneità (ad es. non residenza del cessionario o controllo sul cessionario da parte di soggetto non residente) che incidono sulle qualità del soggetto cessionario sono stati ritenuti incompatibili con il Trattato Ce e con la realizzazione di un singolo mercato dalla Corte di Giustizia. La violazione della libertà di stabilimento è stata in diverse occasioni affermata in ipotesi di cessione di partecipazioni rilevanti nel soggetto ceduto: sarebbe opportuno in tal senso un ulteriore chiarimento della Corte per la determinazione del perimetro del concetto di partecipazione rilevante. La violazione della libera circolazione di capitali potrebbe essere affermata in maniera esplicita dalla Corte, probabilmente solo nell’ipotesi in cui le si presenti innanzi un caso di cessione di partecipazioni di tipo discriminatorio o restrittivo ove il soggetto cedente detenga nel soggetto ceduto una partecipazione inferiore alla cd. “soglia rilevante”. In tale circostanza verrebbe auspicabilmente e definitivamente chiarito il ruolo della libertà prevista all’art. 56 del Trattato e il suo rapporto con la libertà di stabilimento prevista all’art. 43. MASSIMILIANO RUSSO ic o sc Fa lo gg io sa 05 20 1_ ht yr ig op -C to re di e' E ffr iu G A Sp ic o sc Fa lo gg io sa 05 20 1_ ht yr ig op -C iu f G re di to 'E fre PARTE QUARTA A Sp ic o sc Fa lo gg io sa 05 20 1_ ht yr ig op -C to re di e' E ffr iu G A Sp Rubrica di diritto tributario internazionale e comparato a cura di Guglielmo Maisto re Sp A La cosiddetta “tonnage tax”. La prospettiva italiana e le esperienze europee a confronto. lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to SOMMARIO: Premesse. - 1. La tonnage tax: aspetti introduttivi e questioni preliminari. - 2. Orientamenti comunitari in materia di trasporto marittimo. - 3. Tonnage tax e concorrenza tra gli Stati della Unione Europea. - 4. La tonnage tax: definizione e tipologie. - 5. La tonnage tax nella riforma fiscale italiana. - 6. La disciplina italiana della tonnage tax. - 6.1. Ambito soggettivo di applicazione della tonnage tax. 6.2. L’ambito oggettivo di applicazione della tonnage tax. - 6.3. (Segue). Ambito oggettivo di applicazione e le attività connesse strumentali e complementari. - 6.4. Ulteriori requisiti e condizioni per l’accesso al regime della tonnage tax. - 6.5. Limiti all’esercizio dell’opzione per l’adesione al regime della tonnage tax e problemi applicativi. - 6.6. La determinazione del reddito imponibile nel sistema della tonnage tax. - 6.7. Le plusvalenze e le minusvalenze derivanti dalla cessione di navi nel regime della tonnage tax. - 6.8. La determinazione del reddito nel sistema della tonnage tax in presenza di attività promiscue. - 6.9. La tonnage tax e il transfer pricing. - 7. Cenni alla tonnage tax in Grecia. - 8. La tonnage tax in Olanda. 9. La tonnage tax nel Regno Unito. - 10. La tonnage tax in Norvegia. - 11. La tonnage tax in Germania. - Conclusioni. - Bibliografia. Fa sc ic o Premesse. - Il presente lavoro si propone di approfondire la disciplina della nuova imposta sui redditi derivanti dall’esercizio di trasporti internazionali da parte delle imprese marittime. In particolare, gli approfondimenti che seguono si ripromettono di delineare il nuovo regime tributario, introdotto ad opera della riforma del sistema fiscale statale, a favore delle imprese di shipping. Tale disamina verrà svolta in chiave comparatistica e, quindi, a stretto contatto con le esperienze europee più significative nel campo della tonnage tax, ciò consentirà di evidenziare ed apprezzare le luci e le ombre della tonnage tax recentemente introdotta anche in Italia. Si tratta, con ogni evidenza, di un tema di stringente attualità e portata pratica per le imprese armatoriali che da tempo auspicavano interventi di sostegno a favore del settore marittimo. La trattazione dell’argomento sarà preceduta da una breve disamina 4 PARTE QUARTA del contesto comunitario di riferimento del settore dei trasporti marittimi, al fine di cogliere efficacemente la ratio sottesa all’introduzione di tale tipologia di tassazione del reddito, e poi ci si soffermerà ad analizzare le disposizioni della nuova imposta sul reddito delle imprese marittime introdotta dal D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344 sull’istituzione dell’Imposta sul reddito delle società (Ires) (1) in attuazione dell’art. 4, comma 1, lett. da a) a o), della legge 7 aprile 2003, n. 80. Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A 1. La tonnage tax: aspetti introduttivi e questioni preliminari. L’Italia non si è mai potuta annoverare tra le nazioni fiscalmente convenienti per le imprese di shipping per una serie di ragioni. In particolare, è circostanza inconfutabile che il settore marittimo sia gravato da un’elevata imposizione diretta, che il peso fiscale gravante sul costo del lavoro sia eccessivo e che, in ultima istanza, il settore in argomento accusi pesantemente l’assenza di agevolazioni o sussidi alla costruzione o alla gestione di natanti (2). L’anzidetta scarsa competitività fiscale assume, con tutta evidenza, un significato ancora maggiore se si considerano le peculiarità del settore in cui operano le compagnie di navigazione, in cui le specifiche caratteristiche tipologiche, economiche ed aziendali, pongono al massimo livello i problemi e le scelte fiscali strategiche relative al luogo di costituzione e domiciliazione delle attività produttive (3). L’impresa armatoriale è, infatti, salvo casi estremamente limitati e di nicchia, un soggetto economico con vocazione fortemente transnazionale, con unità produttive, le navi, e con processi di creazione del valore per loro natura non statici sul territorio, e, pertanto, aprioristicamente compresi nella giurisdizione fiscale di una data nazione, bensì estremamente complessi e distribuiti in differenti località geografiche, mutevoli a seconda dei principi e delle convenzioni semplificatrici accettate ed adottate (4). ——————— (1) Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, Supplemento Ordinario n. 190 del n. 291 del 16 dicembre 2003. (2) Cfr. S. RICCI, L’imposizione diretta sugli armatori di natanti iscritti nel registro navale internazionale, in Fisco, n. 14/2003, 5346. (3) Sul punto si veda S. RICCI, Fiscalità e shipping, in Trasporti, n. 76/1998; S. RICCI - P. SCIABÀ, Profili fiscali dell’impresa armatoriale, in Rassegna di fiscalità internazionale n. 4/2001 in allegato alla rivista Il fisco n. 31/2001 e degli stessi Autori, Strumenti di pianificazione fiscale delle imprese armatoriali, in Rassegna di fiscalità internazionale n. 6/2001 in allegato alla rivista Il fisco n. 47/2001. (4) Sostanzialmente in tutti gli ordinamenti fiscali viene attratto a tassazione il red- RUBRICA DI DIRITTO TRIBUTARIO INTERNAZIONALE E COMPARATO 5 Sp A In tale contesto non deve, pertanto, stupire come fenomeni di concorrenza fiscale (5) tra le varie nazioni abbiano trovato il giusto humus per attecchire in un terreno fertile, tanto che sostanzialmente ogni nazione dell’Unione Europea ha introdotto modalità di tassazione agevolate per questa tipologia di imprenditori, sia sotto forma di riduzione degli imponibili che come forfetizzazione delle imposte. Nei paragrafi seguenti approfondiremo tali aspetti connessi alla politica comunitaria in materia di trasporto marittimo e di concorrenza fiscale. Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re ——————— dito d’impresa nello Stato in cui viene prodotto, a condizione che ciò avvenga in presenza di una stabile organizzazione (art. 7 del Modello di Convenzione Tipo Ocse, breviter Modello Ocse). Per quanto concerne le imprese armatoriali, si assiste ad una disciplina integrativa di tipo speciale, attese le caratteristiche tipologiche dell’attività economica da esse svolte. In particolare, poiché una nave, in caso di rotte internazionali, si troverebbe ad attraversare più confini geografici, sarebbe di indicibile difficoltà determinare in maniera puntuale ed incontrovertibile il luogo di produzione di detto reddito. Il Modello Ocse ha fornito una ulteriore e parzialmente diversa soluzione al problema delle imprese di trasporto marittimo ed aereo, assumendo il principio dell’effettività. Si sostiene, infatti, come i redditi derivanti dall’esercizio di trasporti internazionali, aerei e marittimi, soggiacciano a tassazione esclusivamente nella nazione in cui risulti situata la sede effettiva dell’impresa (cosiddetto “place of effective management”). Solo nel caso marginale e del tutto particolare, in cui la sede effettiva sia situata a bordo della stessa nave o natante, i redditi si considerano conseguiti, e, quindi, imponibili, nella nazione nei cui registri risulti immatricolato. L’art. 8 del Modello Ocse, infatti, dispone che: “1. Profits from the operation of ships or aircraft in international traffic shall be taxable only in the Contracting State in which the place of effective management of the enterprise is situated. 2. Profits from the operation of boats engaged in inland waterways transport shall be taxable only in the Contracting State in which the place of effective management of the enterprise is situated. 3. If the place of effective management of a shipping enterprise or of an inland waterways transport enterprise is aboard a ship or boat, then it shall be deemed to be situated in the Contracting State in which the home harbour of the ship or boat is situated, or, if there is no such home harbour, in the Contracting State of which the operator of the ship or boat is a resident”. Per ulteriori approfondimenti sul punto cfr. K. VOGEL, On double taxation convention, Londra - L’Aja - Boston, 1997, 475-509; G. MAISTO, The shipping and air transport provision (art. 8) in the Italy – USA double taxation agreement, in Essays on International Taxation, Londra - L’Aja - Boston, 1993, 287-292; G. MAISTO, The history of article 8 of the OECD model treaty on taxation of shipping and air transport, Londra - L’Aja Boston, 2002, 287-292. (5) Intesa come strumento legittimo di attrazione di reddito imponibile sotto la sfera impositiva di uno Stato a detrimento di un altro. 6 PARTE QUARTA Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A 2. Orientamenti comunitari in materia di trasporto marittimo. - La politica comunitaria in materia di trasporti si è posta come obiettivo principale la promozione dei trasporti marittimi comunitari, mirando, nel tempo stesso, a garantire la libertà di accesso ai mercati dei trasporti marittimi comunitari in tutto il mondo ad un naviglio sicuro ed ecocompatibile, di preferenza immatricolato negli Stati membri della Comunità ed avente equipaggi composti da cittadini comunitari (6). Da un lato, mentre la Commissione europea sin dal 1989 aveva preso atto del problema inerente alla mancanza di competitività delle bandiere comunitarie, dall’altro, gli Stati membri, in assenza di incisivi interventi a livello comunitario che implicassero un certo grado di armonizzazione, avevano cominciato ad adottare autonome iniziative finalizzate a salvaguardare i propri interessi nel settore dello shipping. Da qui l’introduzione di misure volte ad agevolare l’utilizzazione della bandiera nazionale e contemporaneamente disincentivare l’utilizzazione di altre bandiere extracomunitarie. Tali misure, in particolare, sono state essenzialmente fondate sulla creazione di un secondo Registro nazionale, nel quale iscrivere le navi adibite in via prevalente o esclusiva ai traffici internazionali, collegando alla iscrizione agevolazioni sia di carattere fiscale che previdenziale, e sulla erogazione di contributi a favore della industria cantieristica o delle imprese armatoriali, qualificabili come aiuti di Stato (7). Naturalmente, di fronte a siffatti aiuti a favore del settore marittimo ci si chiede se il trattamento agevolato possa essere ammesso dall’Unione europea. La risposta a tale interrogativo sembra essere positiva (8) in quanto tali misure erano auspicate dagli organi europei quale strumento di riequilibrio di una situazione concorrenziale da tempo troppo favorevole alle navi iscritte in Paesi terzi (9). ——————— (6) Cfr. G. PUOTI, La fiscalità marittima nella Unione Europea: la prospettiva italiana anche alla luce della legge delega per la riforma del sistema tributario, atti del Convegno di Studi su “La fiscalità marittima nell’Unione Europea”, organizzato dall’Università di Roma La Sapienza (Corso di Perfezionamento in Diritto Tributario Internazionale e Scuola di specializzazione in Economia dei Trasporti) e tenutosi a Roma il 2 aprile 2001, in Riv. dir. trib. internaz., parte III, 1/2001, 9. (7) Per un’ampia disamina dell’argomento si veda Aiuti di stato nel diritto comunitario, Atti del convegno di studi tenutosi a Roma presso Aula Magna della Corte di Cassazione il 17 settembre 2003, in Rass. trib., n. 6-bis/2003. (8) Cfr. M. BASILAVECCHIA, La “Tonnage Tax”, in Corr. trib., n. 44/2002, 4025. (9) Rimane fondamentale, sul punto, il documento programmatico (del quale si dirà più avanti) – linee guida – adottato dalla Commissione europea il 5 luglio 1997 (in Diritto marittimo, 1998, 253) sul quale cfr. ampliamente A.S. BERGANTINO, La Tonnage RUBRICA DI DIRITTO TRIBUTARIO INTERNAZIONALE E COMPARATO 7 gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A In particolare, nel 1989 la Commissione elaborò una serie di orientamenti che definirono le condizioni in presenza delle quali gli aiuti pubblici ai trasporti marittimi sarebbero stati compatibili con il mercato comune: ancora più in dettaglio, la Commissione riconobbe che le flotte degli Stati membri erano in una situazione difficile sotto il profilo della competitività a causa dei vantaggi disponibili per gli operatori battenti bandiera di Paesi terzi e bandiere di “comodo”, il che comportava notevoli differenze nei costi di esercizio. Il documento del 1989 delineava, infatti, i criteri per identificare le condizioni in presenza delle quali i contributi pubblici al settore, pur rientrando nella fattispecie aiuti di Stato, potevano definirsi ammissibili. La Commissione fissava però anche un massimale agli aiuti (ceiling) basato sul differenziale di costo tra paesi membri e paesi terzi (10). Nel marzo del 1996 il commissario europeo Kinnock (11), in una comunicazione volta a fissare le linee guida della strategia marittima comunitaria (12), in estrema sintesi, rilevava che “il settore marittimo ha subito negli ultimi anni profondi cambiamenti: internazionalizzazione crescente, mondializzazione dei servizi, moltiplicazione dei registri di libera immatricolazione, accelerazione del processo di dismissione delle bandiere, invecchiamento della flotta, mancanza di gente del mare. La politica marittima svolta fino ad ora dalla Comunità europea non ha potuto impedire la tendenza alla dismissione delle bandiere e alla perdita dei posti di lavoro. Si raccomanda quindi di rafforzare la competitività del settore del trasporto marittimo comunitario” (13). Fa sc ic o lo sa ——————— Tax: il progetto italiano e le esperienze europee, atti del Convegno I cento giorni e oltre: verso una rifondazione del rapporto fisco-economia?, Bari, 15-17 gennaio 2002, in Riv. dir. trib. internaz., parte III, 1/2001, 49. (10) Tale massimale veniva calcolato sulla base della differenza tra il costo di gestione di un’ipotetica nave iscritta nel registro di un paese europee definito “a basso costo del lavoro” e la stessa battente “bandiera di convenienza” (rispettivamente Portogallo e Cipro). Cfr. sul punto, in generale, A.S. BERGANTINO, La Tonnage Tax: il progetto italiano e le esperienze europee, cit., 51. (11) Dal 1995 al 1999 è stato Member of the Commission, Transport (including trans-European networks). (12) Sul punto cfr. ampiamente A. GUINIER, A competitive environment for european shipping, atti del Convegno di Studi su “La fiscalità marittima nell’Unione Europea”, organizzato dall’Università di Roma La Sapienza (Corso di Perfezionamento in Diritto Tributario Internazionale e Scuola di specializzazione in Economia dei Trasporti) e tenutosi a Roma il 2 aprile 2001, in Riv. dir. trib. internaz., parte III, n. 3/2001, 385. (13) Cfr. Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento, al Comitato economico e sociale e al Comitato delle regioni dal titolo Verso una nuova strategia marittima (“Towards a new marittime strategy”), resa il 13 marzo 1996 (COM(96) 81), 8 PARTE QUARTA lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A Nel 1997, la Commissione europea, in ossequio alle linee guida di cui si è detto, constatando che le flotte degli Stati membri continuavano ad essere penalizzate in termini di competitività rispetto agli operatori battenti bandiera di paesi terzi, varava un nuovo documento, “Nuovi orientamenti comunitari in materia di aiuti di Stato ai trasporti marittimi”, in cui si prevedeva che gli aiuti fossero strettamente collegati ad azioni specifiche piuttosto che riflettere indirettamente ipotetiche differenze tra i costi di esercizio. Le principali linee guida contenute nel documento citato del 1997 sono finalizzate a: • neutralizzare i vantaggi competitivi di cui usufruiscono gli armatori che operano con standard inferiori; • garantire che i trasporti all’interno della Comunità avvengano in un mercato libero ed in condizioni concorrenziali, con attenzione alla sicurezza ed alla qualità; • ridurre il differenziale di pressione che gli armatori comunitari devono sopportare in termini di tasse ed oneri sociali, in modo da contenere l’esodo verso le bandiere di convenienza ed incentivare l’occupazione del settore. Sono consentiti, pertanto, sia agevolazioni fiscali – e la tonnage tax è esplicitamente prevista – sia aiuti diretti sia, infine, il concorso dei due strumenti. Il limite al livello degli aiuti che ciascun Stato può concedere al settore è costituito dalla riduzione a zero dell’imposta e dei contributi su salari e stipendi dei marittimi e dell’imposta sulle società per le attività di trasporto marittimo (14). Fa sc ic o ——————— e reperibile in sintesi in Boll. Ue 3-1996, sub Politica industriale, punto 1.3.103, al seguente indirizzo internet: http://europa.eu.int/abc/doc/off/bull/it/9603/p000001.htm (14) Cfr. par. 10 dell’adozione della Commissione del 24 giugno 1997: “Nuovi orientamenti comunitari sugli aiuti di Stato al trasporto marittimo”, Community guidelines on State aid to marine transport, COM(96)81, approvata dalla Commissione europea in data 24 giugno 1997, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee C. 205 del 5 luglio 1997, in cui testualmente può leggersi quanto segue: “A reduction to zero of taxation and social charges for seafarers and of corporate taxation of shipping activities is the maximum level of aid which may be permitted. To avoid distortion of competition, other systems of aid may not provide greater benefit than this. Consequently, although each aid scheme notified by a Member State will be examined on its own merits, it is considered that the total amount of aid in the form of direct payments in the framework of Chapters 3, 4, 5 and 64 should not exceed the total amount of taxes and social contributions collected from shipping activities and seafarers; to do so would, it is considered, affect trading conditions to an extent contrary to the Treaty provisions, as the aid would be disproportionate to the objective. This approach to limiting aid will re- RUBRICA DI DIRITTO TRIBUTARIO INTERNAZIONALE E COMPARATO 9 lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A La Commissione prevede anche che la principale condizione per l’ammissibilità di tali misure – l’esistenza di un legame tra la nave e il registro, oppure la bandiera nazionale – possa essere sostituita con quella che la flotta contribuisca “significativamente” all’attività economica e all’occupazione all’interno dell’Unione. È sufficiente, in altri termini, che le misure agevolative siano legate alla localizzazione della gestione strategica e commerciale della flotta all’interno del paese membro (15). Nello stesso documento, la Commissione, sottolinea anche che le misure di agevolazione al settore marittimo non rientrano nella fattispecie di “concorrenza fiscale nociva” tra gli Stati membri. Le economie realizzabili dalle imprese che immatricolano la nave in un paese terzo sono molto più rilevanti di quelle che si possono ottenere con il passaggio della nave da un registro comunitario ad un altro, fenomeno, peraltro, di dimensioni trascurabili (16). La Commissione riconosce, quindi, che la concorrenza fiscale nel settore marittimo è soprattutto un problema tra Stati membri da un lato e paesi terzi dall’altro. Sono questi ultimi, infatti, che, privi di una reale base di attività marittime in loco, istituiscono registri “aperti” (17) con l’unico scopo di attrarre tonnellaggio da altri paesi e divenire centri di attrazione di capitale straniero. L’elevata accessibilità di questi registri – i requisiti per l’iscrizione sono minimi – unita alla particolare convenienza delle condizioni offerte agli armatori in termini di costi operativi, di gestione e fiscali, hanno fatto sì che, dagli anni settanta in poi, gli armatori dei paesi tradizionalmente marittimi – tra cui i paesi europei – abbiano, con sempre maggior frequenza, fatto ricorso a questa opzione. Fa sc ic o 3. Tonnage tax e concorrenza tra gli Stati della Unione Europea. ——————— place the previous system of an annual ceiling based on the calculated hypothetical cost gap between vessels under the cheapest Community flag and a flag of convenience”; in short, in Boll. Ue 6-1997, punto 1.3.172, reperibile al seguente indirizzo internet: http://europa.eu.int/abc/doc/off/bull/it/9706/p000001.htm (15) Cfr. il punto 3.1. dell’adozione della Commissione del 24 giugno 1997 cit. (16) Secondo la Commissione, il continuo declino delle flotte iscritte nei registri comunitari a fronte di una sostanziale stabilità della quota della flotta mondiale “controllata” da operatori comunitari conferma che il livello di tassazione effettivo nei diversi paesi membri non incide significativamente sulle decisioni di localizzazione dell’impresa e che, comunque, esiste un crescente grado di convergenza negli approcci dei diversi paesi membri agli aiuti di Stato. (17) Si definiscono “registri aperti” quei registri navali facilmente accessibili stanti i requisiti minimi richiesti per l’iscrizione del naviglio. 10 PARTE QUARTA Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A Gli orientamenti comunitari del 1997, delineati al paragrafo precedente, considerano, dunque, le riduzioni fiscali e i regimi agevolati, come la tonnage tax quali aiuti compatibili con le leggi europee e con i principi comunitari. Il riconoscimento della compatibilità non elimina, tuttavia, di per se stesso la configurabilità, nelle misure adottate, di un comportamento inquadrabile nella cosiddetta concorrenza fiscale dannosa: per tale aspetto è necessario verificare quali siano gli orientamenti generali dell’Unione Europea. Occorre sottolineare al riguardo che gli orientamenti comunitari del 1997 ritengono che non sussistano elementi idonei a comprovare che taluni regimi, adottati dagli Stati membri per le società di navigazione, sono atti a provocare distorsioni della concorrenza negli scambi fra gli Stati membri in misura contraria agli interessi comuni. La Commissione ha, infatti, riconosciuto, come si è già detto, che la concorrenza fiscale nel settore non riguarda tanto i rapporti tra gli Stati membri, ma si pone soprattutto nei rapporti tra gli Stati membri da un lato e Paesi extracomunitari dall’altro, poiché le economie realizzabili dalle imprese che scelgono l’immatricolazione della nave in un Paese extracomunitario sono considerevoli rispetto al livello dei costi esistente all’interno della Comunità. In effetti, il fenomeno della concorrenza fiscale non è considerato dalla Comunità di per sé negativo; è visto, invece, come uno strumento che agisce a vantaggio dei cittadini esercitando una pressione al ribasso sulla spesa pubblica nazionale. “Il problema, quindi, si verifica quando si produce una vera concorrenza spietata volta ad assicurarsi i fattori mobili della produzione, giacché in questo caso le strutture tributarie vengono pregiudicate, producendo grandi distorsioni a detrimento dell’occupazione (obiettivo principale dell’Unione Europea)” (18). La concorrenza fiscale sleale è destinata, come è noto, a diventare una vera fonte di conflitti fra gli Stati membri, se non vengono adottati adeguati provvedimenti. Giova rammentare in proposito che una misura di notevole rilievo è già stata, da tempo, realizzata da parte del Consiglio Econfin dell’Unione Europea, il quale in data 1° dicembre 1998 ha approvato un Codice di Condotta in materia di imprese che “tende a disincentivare l’applicazione, da parte degli Stati membri dell’Unione, di mi——————— (18) Sic G. PUOTI, La fiscalità marittima nella Unione Europea: la prospettiva italiana anche alla luce della legge delega per la riforma del sistema tributario, cit., 11. RUBRICA DI DIRITTO TRIBUTARIO INTERNAZIONALE E COMPARATO 11 Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A sure che hanno o possono avere una sensibile incidenza sulla ubicazione di attività imprenditoriali nel territorio dell’Unione” (19). Gli obiettivi principali del Codice di Condotta possono essere così riassunti (20): • ridurre le distorsioni che ancora sussistono nell’ambito del Mercato Unico, attraverso la creazione di disposizioni che garantiscano la concorrenza leale e la competitività internazionale degli Stati appartenenti all’Unione Europea; • prevenire le consistenti perdite di gettito tributario; • conferire alle strutture tributarie un indirizzo più favorevole all’occupazione. Il Codice di Condotta trova applicazione principalmente con riferimento a quelle misure nazionali aventi una forte incidenza sull’ubicazione delle attività imprenditoriali, ed in particolare, con riferimento alle disposizioni legislative o regolamentari, nonché alle pratiche amministrative, che determinino l’esistenza di un livello impositivo nettamente inferiore rispetto ai livelli generalmente applicati nello Stato membro interessato. Il livello impositivo in questione potrebbe essere determinato facendo riferimento all’aliquota nominale dell’imposta, alla base imponibile o a qualsiasi altro elemento pertinente. Nel valutare il carattere pregiudizievole di tali misure, si deve tener conto, tra l’altro, delle seguenti caratteristiche: i. se le agevolazioni sono riservate esclusivamente ai non residenti o per le operazioni effettuate con non residenti; ii. se le agevolazioni sono completamente isolate dall’economia nazionale, in modo da non incidere sulla base imponibile nazionale; iii. se le agevolazioni sono accordate anche in mancanza di qualsiasi attività economica effettiva e di una presenza economica sostanziale all’interno dello Stato membro che offre queste agevolazioni fiscali; ——————— (19) G. MARINO, La considerazione dei paradisi fiscali, in V. Uckmar (a cura di), Corso di diritto tributario internaz., Padova, 2002, 747. (20) Per un commento al Codice di Condotta, si veda G. ROLLE, Mercato interno e fiscalità diretta nel Trattato di Roma e nelle recenti iniziative della Commissione europea, in Dir. prat. trib., 1999, III, 57 ss.; M. MONTI, The Climate is changing, in EC Tax Review, 1/1998, 2 ss.; O. THOMMES, European Council Adopts Code of Conduct Presented bu the Commission to Take Harmful Tax Competition, in Intertax, 2/1998, 144 ss.; F.J. VANISTENDAEL, European Taxation in the 21st Century: the Road Towards Integration, in European Taxation, 10/1998, 331 ss.; H.M. HOWARD - M. LIEBMAN - S. LEVENTHALL, Moving Towards Tax Coordination, in European Taxation, 3/1998, 96 ss. 12 PARTE QUARTA iu f fre 'E di to re Sp A iv. se le norme di determinazione dei profitti derivanti dalle attività interne svolte da un gruppo multinazionale si discostano dai principi generalmente riconosciuti a livello internazionale, in particolare le norme concordate in sede Ocse; v. se le misure fiscali difettano di trasparenza, compresi i casi in cui le norme giuridiche sono applicate in maniera meno rigorosa e in modo non trasparente a livello amministrativo (21). Da quanto precede ne discende, quale logico e necessario corollario, che nel momento in cui l’Italia decide d’introdurre la tonnage tax, dovrebbe soltanto limitarsi, come d’altronde ha già fatto il resto dei Paesi europei, a non introdurre disposizioni fiscalmente dannose nonché a riesaminare la propria normativa interna allo scopo di eliminare qualsiasi misura fiscale che possa rientrare nell’ambito di applicazione del Codice di Condotta. Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G 4. La tonnage tax: definizione e tipologie. - La tonnage tax, forma di tassazione forfetaria dei paesi che nel mondo mettono a disposizione degli armatori i registri aperti, è diventata anche in Europa (pioniere la Grecia) uno strumento fiscale “ambito” sia dagli operatori sia dai governi e ha rappresentato per molti paesi una delle risposte alla crescente crisi del settore. La Grecia ha introdotto la tonnage tax nel 1938 e nel 1975 ne ha riformato ampiamente il regime. Dopo la Grecia, il primo paese europeo ad introdurre la tonnage tax sono stati i Paesi Bassi nel 1996. Successivamente hanno seguito l’esempio greco e olandese: Norvegia (1997), Germania (1999), Regno Unito (2000), Irlanda (2001), Danimarca (2001), Spagna (2001), Finlandia (2001), Svezia (2002) e Francia (2003) più recentemente. In termini sistematicamente più vigili la tonnage tax può essere definita come una forma di tassazione forfetaria del reddito derivante dall’esercizio di attività marittime, che prescinde totalmente dai risultati ——————— (21) Per completezza giova osservare, tra l’altro, che il Codice di Condotta prevede che i principi diretti ad eliminare le misure fiscali dannose siano adottati nell’ambito geografico più vasto possibile. A tal fine, gli Stati membri si impegnano a promuoverne l’adozione nei Paesi terzi, inclusi i territori in cui non si applica il Trattato di Roma. In particolare, gli Stati membri che hanno territori dipendenti o associati o che hanno particolari responsabilità o prerogative fiscali su altri territori si impegnano, nell’ambito delle rispettive norme costituzionali, a garantire l’applicazione di tali principi nei suddetti territori. RUBRICA DI DIRITTO TRIBUTARIO INTERNAZIONALE E COMPARATO 13 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A effettivi (22) conseguiti da detta attività d’impresa. Con questo sistema l’impresa armatoriale determina e versa un’imposta calcolata in via presuntiva sulla base del tonnellaggio delle navi che compongono la sua flotta (23). In estrema sintesi, due sono gli esemplari ai quali si sono ispirate le legislazioni degli Stati che l’hanno adottata: a. la tonnage based corporation tax, che prevede la determinazione forfetaria della base imponibile (modello olandese); b. la tonnage tax in senso stretto, che prevede la determinazione forfetaria dell’imposta (modello greco). L’adozione del modello greco postula l’applicazione di un meccanismo di determinazione dell’imposta basato esclusivamente sul tonnellaggio: il reddito prodotto dal naviglio non solo non rappresenta né configura il presupposto del prelievo, ma diventa addirittura irrilevante. L’imposta viene rapportata in misura forfetaria sul mero tonnellaggio ed all’età del naviglio (24). Il modello olandese recepisce il pragmatismo della tonnage tax pura, temperandolo con l’assoggettamento della base imponibile forfetizzata, all’aliquota della corporate tax (25) ordinaria. gg io 1_ 20 05 5. La tonnage tax nella riforma fiscale italiana. - In sintonia con il panorama precedentemente descritto a livello di strategia politica comunitaria nel settore marittimo, l’intervento legislativo italiano volto ad introdurre nel Tuir (26) la tonnage tax, tassa sul tonnellaggio delle navi, si Fa sc ic o lo sa ——————— (22) E quindi dal reddito d’impresa determinato dalla concorrenza analitica di costi e ricavi. (23) Generalmente il calcolo avviene per scaglioni: alle tonnellate di stazza netta (tsn) della nave che rientrano in ciascun scaglione (divise per 100 o per 1000) viene applicato il relativo coefficiente. La somma così ottenuta viene moltiplicata per i giorni di operatività della nave (365 se la nave è stata operativa nell’arco dell’intero anno). (24) Il modello greco nonostante l’apparenza prevede un meccanismo di computo molto complesso. Inoltre la tassazione che ne risulta non è così vantaggiosa, motivo per cui, nel corso del 2002, le aliquote sono state diminuite. Cfr. European shipping policy 2002, the implementation of state aid guidlines in different european countries, by The Institute of shipping analysis, 1, 411, 04, Goteborg. (25) Imposta sul reddito delle società (Ires). (26) DPR 22 dicembre 1986, n. 917 così come modificato dal D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344 sull’istituzione dell’Imposta sul reddito delle società (Ires), (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, Supplemento Ordinario n. 190 del n. 291 del 16 dicembre 2003). Si precisa che la numerazione indicata nel testo si riferisce alla versione modificata del Tuir, mentre la numerazione tra parentesi si riferisce alla numerazione originaria del Tuir. 14 PARTE QUARTA gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A inserisce, quindi, in un contesto europeo di indubbio favore, che guarda ad essa come strumento fondamentale di sostegno dell’industria armatoriale, accanto ad altre misure di sostegno fiscale del settore. La tonnage tax, lungi dal rappresentare uno strumento di “concorrenza fiscale sleale” (27) tra gli Stati membri, nasce invece dall’esigenza di arginare l’esodo degli armatori europei verso Paesi Terzi, che grazie all’istituzione di “registri aperti”, facilmente accessibili, stanti i requisiti minimi richiesti, ed aventi convenienti costi operativi-gestionali e fiscali, attraggono capitali e tonnellaggio stranieri. Rispetto a tale situazione, la Commissione europea riconosce l’incisività della nuova misura fiscale, ponendo, tuttavia, come condizione fondamentale per il suo riconoscimento, la circostanza che la flotta contribuisca in maniera significativa all’attività economica e all’occupazione all’interno del paese membro. L’approccio europeo degli ultimi anni, dunque, è stato, come si è detto, quello di favorire il ritorno delle flotte verso le bandiere comunitarie, operando con varie misure atte a migliorarne la competitività (28). Molti paesi europei nell’ambito di complesse politiche di incentivazione dei propri armamenti, hanno già provveduto, come si è visto al paragrafo precedente, all’introduzione di sistemi di tassazione forfetaria, secondo una delle due forme previste, o di determinazione forfetaria dell’imposta, secondo il modello greco (tonnage tax in senso stretto), o di determinazione forfetaria della base imponibile, secondo il modello olandese (tonnage based corporation tax). Fa sc ic o lo sa ——————— (27) Per le ragioni ampiamente esposte ai paragrafi precedenti. (28) L’applicazione della nuova disciplina è comunque subordinata, in base alla lett. e) dell’art. 4, D.Lgs. n. 344/2003, recante disposizioni transitorie, alla autorizzazione dell’Unione Europea. In altri termini, la tonnage tax essendo una agevolazione fiscale al trasporto marittimo, in quanto State aid, formano oggetto dell’obbligo di comunicazione previsto dal Trattato di Roma. In particolare, tale obbligo dovrà essere espletato secondo il rito previsto dall’art. 88 (ex art. 93) del trattato firmato a Roma il 27 marzo del 1957. Qui, la natura di aiuto di Stato delle agevolazioni al trasporto marittimo non è in discussione, giacché è la stessa Commissione europea a chiarirne la qualificazione sin dal titolo della propria adozione (Community guidelines on State aid..., citato in nota n. 15). È comunque utilie richiamare il passo della decisione della Commissione 93/496/Cee, resa il 9 giugno 1993, la quale fornisce i criteri di ermeneutica per procedere alla qualificazione dell’intervento pubblicistico in termini di State aid: “Quando uno Stato membro, per mezzo di aiuti finanziari, rafforza la posizione delle imprese di un particolare settore coinvolto nel commercio intracomunitario, quest’ultimo va considerato come condizionato a tale aiuto”. La prescritta autorizzazione è stata concessa dall’Unione Europea in data 20 ottobre 2004, cfr., tra l’altro, L. PATELI - F. PORPORA, Tonnage Tax l’OK di Bruxelles, in Il Sole-24 Ore del 20 ottobre 2004, 25. RUBRICA DI DIRITTO TRIBUTARIO INTERNAZIONALE E COMPARATO 15 sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A Per quanto riguarda l’Italia, inizialmente il Governo, nel disegno di legge sulla legge delega di riforma fiscale, aveva chiaramente optato per l’adozione del modello greco; ivi, infatti, può leggersi “opzione e relativi termini e modalità d’esercizio per la determinazione forfetaria dell’imposta relativa al reddito derivante dall’utilizzazione di navi (…)” (29). Successivamente, la legge delega per la riforma del sistema fiscale ha in verità lasciato al legislatore delegato la libertà di scegliere fra il modello di tonnage tax di matrice olandese e quello greco: ivi, infatti, si legge: “opzione e relativi termini e modalità di esercizio per la determinazione forfetaria dell’imposta relativa al reddito ovvero del reddito (…)” (30). In ultimo, è al primo modello (quello olandese), ritenuto più innovativo, ove il reddito determinato in via presuntiva concorre alla formazione dell’imponibile complessivo con i redditi che rimangono determinati in via analitica, che si è ispirato il legislatore italiano con il D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344 sull’istituzione dell’Imposta sul reddito delle società (Ires). Nella versione italiana la tonnage tax si presenta, dunque, come regime fiscale forfetario parametrato al tonnellaggio e all’anzianità delle navi, alternativo al regime fiscale ordinario, con lo scopo di consentire la riduzione delle asimmetrie fiscali esistenti tra la flotta italiana e quelle europee. Giova rilevare, in conclusione, che tra gli indubbi pregi della tonnage tax occorre annoverare (i) la maggiore certezza del livello impositivo, (ii) la conseguente semplificazione degli adempimenti fiscali, e, in ultima istanza, (iii) gli effetti positivi sull’occupazione e sugli obiettivi di tutela ambientale (31) che dall’adozione della tonnage tax possono derivare. Fa ——————— (29) Cfr. art. 4, lett. n) del disegno di legge n. AC2144/2001. (30) Cfr. art. 4, lett. n), legge n. 80/2003. (31) Tuttavia si tenga presente che i recenti sviluppi della legislazione nazionale, relativi al settore economico marittimo, soprattutto con la creazione del Registro navale internazionale (DL n. 457/1997 convertito in legge n. 30/1998) e con la disciplina delle agevolazioni per gli operatori del trasporto di cabotaggio (legge n. 522/1999), hanno già prodotto un incremento della flotta italiana. Tra le norme vigenti non abrogate dal decreto delegato di riforma del sistema fiscale (D.Lgs. n. 344/2003), l’art. 4 del DL n. 457/1998 prevede che i soggetti esercenti attività produttiva di reddito mediante navi adibite ai traffici commerciali internazionali e, comunque iscritti al Registro internazionale, beneficino di un credito d’imposta in misura corrispondente all’imposta sul reddito delle persone fisiche dovuta sui redditi da lavoro dipendente e di lavoro autonomo, corrisposti al personale di bordo imbarcato sulle navi stesse, da valere ai fini del versamento delle ritenute alla fonte relative a tali redditi. 16 PARTE QUARTA 6. La disciplina italiana della tonnage tax. - Delineato nei paragrafi precedenti il contesto comunitario di riferimento del settore marittimo e tratteggiato i contorni salienti della tonnage tax, recentemente introdotta in Italia, i paragrafi che seguono si soffermeranno ad esaminare la disciplina della nuova imposta sul reddito delle imprese marittime. sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A 6.1. Ambito soggettivo di applicazione della tonnage tax. - La disamina della disciplina della tonnage tax deve inevitabilmente prendere avvio dall’individuazione e “perimetrazione” dell’ambito soggettivo di applicazione per poi addentrarsi nell’analisi del presupposto oggettivo. La determinazione forfetaria della base imponibile secondo il meccanismo impositivo della tonnage tax è riservata ad alcuni soggetti Ires, e più precisamente a quelli indicati nell’art. 73 (già 87), comma 1, lett. a) del Tuir. Si tratta, in particolare, di società per azioni ed in accomandita per azioni, di società a responsabilità limitata, delle società cooperative e delle società di mutua assicurazione residenti nel territorio dello Stato. In sintesi, soddisfano il requisito soggettivo le società di capitali residenti nel territorio dello Stato (32). Com’è stato acutamente rilevato in dottrina (33) “la tecnica dell’individuazione dei soggetti beneficiari per “rinvio” ha causato l’evidente svista del Governo: non può altrimenti giustificarsi la palese violazione del principio di non discriminazione secondo cui “l’imposizione di una stabile organizzazione che un’impresa di uno Stato contraente ha nell’altro Stato contraente non può essere in questo altro Stato meno favorevo- Fa sc ic o lo ——————— Dal 1° gennaio 1998 è previsto altresì che il reddito derivante dall’utilizzazione delle navi iscritte al registro internazionale concorra alla determinazione del reddito complessivo assoggettabile ad Irpef ed Irpeg in misura pari al 20 per cento; tale norma è stata estesa anche ai redditi derivanti da attività commerciali complementari, accessorie o comunque relative alla prestazione principale svolte a bordo di navi da crociera (art. 13 della legge n. 488/1999). (32) È opportuno rilevare che in Francia, invece, l’art. 209-0 B del code general des impots (c.g.i.), introdotto dalla Loi n. 2002-1576 du 30 décembre 2002 art. 19 finances rectificative pour 2002, pubblicata sul Journal Officiel du 31 décembre 2002, ed in vigore dal 1° gennaio 2003, al comma 1, lett. d), include fra i soggetti elegibles a ce regime (della tonnage tax, n.d.r.), les navires armes au commerce dont la gestion stratégique et commerciale est assurée à partir de la France. Del resto il criterio della “sede di direzione effettiva” è senz’altro in linea con i criteri di collegamento utilizzati dal diritto tributario internazionale per stabilire il luogo di tassazione di un’impresa marittima (cfr. art. 8 modello Ocse e più diffusamente nota 5). (33) A. LOVISOLO, Tonnage tax all’italiana: prime considerazioni sulla bozza di decreto delegato, in Dir. prat. trib., 2003, I, 452. RUBRICA DI DIRITTO TRIBUTARIO INTERNAZIONALE E COMPARATO 17 G iu f fre 'E di to re Sp A le dell’imposizione a carico delle imprese di detto altro Stato che svolgono la medesima attività” (34)”. Tale censura, mossa già nei confronti della prima bozza di Tuir (35), a quanto pare è rimasta inascoltata dal legislatore giacché nella versione definitiva di decreto delegato modificativo del Tuir è stato tenuto fermo il riferimento esclusivo alle società di capitali residenti nel territorio dello Stato. Da qui ne discende che l’anzidetta censura in tema di violazione del principio di non discriminazione può essere trasposta anche con riferimento alla versione definitiva dell’anzidetto decreto delegato sulla riforma fiscale. Pertanto, a conclusione delle precedenti riflessioni si può osservare che il legislatore avrebbe dovuto includere nel novero dei soggetti beneficiari della tonnage tax anche le società non residenti con stabile organizzazione in Italia (36), ciò al fine di porsi al riparo da qualsiasi censura in tema di violazione del principio di non discriminazione. Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht 6.2. L’ambito oggettivo di applicazione della tonnage tax. - Alla rigida delimitazione dell’ambito soggettivo di applicazione della nuova Ires per le imprese marittime, funge da contraltare l’ampio riferimento alle attività che consentono di accedere al regime impositivo de quo. La legge delega (37) aveva previsto che l’ambito oggettivo di applicazione della tonnage tax dovesse tener conto dei seguenti principi e criteri direttivi: i. determinazione forfetaria dell’imposta relativa al reddito derivante dalla utilizzazione delle navi ricomprese nell’elenco di cui all’art. 8bis, comma 1, lett. a) del DPR 26 ottobre 1972, n. 633 nonché, eventualmente, dalle attività “commerciali” (38) ad esse “complementari od accessorie” (39); ——————— (34) Cfr. art. 24, par. 3, Modello Ocse. Sul principio di non discriminazione, in dottrina cfr. per tutti F. AMATUCCI, La discriminazione di trattamento nel modello Ocse, in V. Uckmar (a cura di), Corso di diritto tributario internazionale, cit., 599 ss., ove ulteriori riferimenti bibliografici. (35) Si tratta del testo anticipato dal Ministro dell’Economia e diffuso sul sito internet dell’Agenzia delle Entrate nel mese di maggio 2003. (36) E quindi ivi sottoposte ad imposizione. Cfr. sul punto l’art. 162 Tuir. (37) Cfr. art. 4, lett. n), legge n. 80/2003. (38) Inciso scomparso nel decreto delegato di attuazione della riforma fiscale (cfr. art. 155, comma 3, Tuir). (39) Gli aggettivi in questione, nel decreto delegato, sono mutati in “connesse, strumentali e complementari” (cfr. art. 155, comma 3, Tuir). 18 PARTE QUARTA 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A ii. identificazione delle attività ammesse al regime di determinazione forfetaria “con riferimento ai criteri di cui alla comunicazione recante “Nuovi orientamenti comunitari sugli aiuti di Stato al trasporto marittimo” COM(96)81 approvata dalla Commissione europea in data 24 giugno 1997 (40)”. Da qui ne discende che, sempre secondo i principi e criteri direttivi scolpiti nella legge delega per la riforma del sistema fiscale statale, l’ambito oggettivo di applicazione del regime in commento, doveva essere individuato attraverso “l’indicazione delle navi ricomprese nell’elenco dell’art. 8-bis comma 1, lett. a) del DPR 26 ottobre 1972, n. 633” (nonché, eventualmente, dalle attività “commerciali” ad esse “complementari od accessorie”), ma in ogni caso “l’identificazione delle attività ammesse al regime di determinazione forfetaria avverrà con riferimento ai criteri di cui alla comunicazione recante “Nuovi orientamenti comunitari sugli aiuti di Stato al trasporto marittimo” [cit. n.d.r.]” (41). Come è stato rilevato in dottrina (42) “scorrendo le attività elencate dall’art. 8-bis cit. (43), nonché quelle dichiarate “agevolabili” (tramite regimi di fiscal alleviation) dalla Commissione europea, si registra, – già a livello di legge delega – una evidente discrasia rispetto alle indicazioni della Commissione; ed invero le navi da pesca, ricomprese nell’elen- Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 ——————— (40) Pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee C. 205 del 5 luglio 1997. (41) Nella comunicazione europea più volte citata, in merito alle attività “agevolabili”, al par. 2.1 si legge quanto segue: These guidelines do not cover aid to shipbuilding (within the meaning of the Seventh Directive any subsequent instrument including Council Regulation (EC) No 3097/95 intended to give effect to the State aid provision of the OECD agreement respecting normal competitive conditions in commercial shipbuilding and shiprepair when it enters into force) or aid for fishing vessels. Investments in infrastructure are not normally considered to involve State aid within the meaning of Article 92 of the Treaty, if the State provides free and equal access to the infrastructure for the benefit of all interested operators. However, the Commission may examine such investments if they could directly or indirectly benefit particular shipowners. (42) A. LOVISOLO, Tonnage tax all’italiana: prime considerazioni sulla bozza di decreto delegato, cit., 454. (43) Vale a dire “delle navi destinate all’esercizio: di attività commerciali o della pesca o ad operazioni di salvataggio o di assistenza in mare, ovvero alla demolizione, escluse le unità da diporto di cui alla legge 11 febbraio 1971, n. 50”. Sono unità da diporto, ai sensi dell’art. 1 della citata legge 11 febbraio 1971, n. 50, così come modificata dalla legge 8 luglio 2003, n. 72, “ogni costruzione di qualunque tipo e con qualunque mezzo di propulsione destinata alla navigazione da diporto”, per navigazione da diporto s’intende, sempre ai sensi della legge richiamata, “quella effettuata a scopi sportivi o ricreativi dai quali esuli il fine di lucro”. RUBRICA DI DIRITTO TRIBUTARIO INTERNAZIONALE E COMPARATO 19 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A co di cui all’art. 8-bis cit. (al quale rinvia la legge delega per identificare le attività ammesse al regime forfetario), risultano invece, espressamente escluse dal documento comunitario (44)”. L’innanzi riferita contraddizione interna alla stessa legge delega (45) è stata mantenuta anche nella versione definitiva del decreto delegato, dove, al fine di stabilire l’ambito oggettivo di applicazione del nuovo regime impositivo, da un lato, viene richiamato l’art. 8-bis DPR n. 633/1972, dall’altro, è individuato un successivo elenco nel quale sono ricomprese le navi con un tonnellaggio superiore alle 100 tonnellate di stazza netta (46) destinate all’attività di “trasporto di merci, trasporto passeggeri, soccorso, rimorchio, realizzazione e posa in opera di impianti ed altre attività di assistenza marittima da svolgersi in alto mare” (47) nonché “le attività direttamente connesse, strumentali e complementari a quelle indicate nelle lettere precedenti e identificate dal decreto di cui all’art. 161” (48). Al fine di meglio cogliere le differenze sopra delineate, si è ritenuto opportuno riportare di seguito due prospetti di raffronto tra legge delega e decreto delegato (49) (tabella A), nonché fra art. 8-bis DPR n. 633/1972 e art. 155, comma 2 Tuir (tabella B). 05 Tabella A 1_ 20 Legge delega (legge n. 80/2003) sa gg io L’utilizzo delle navi indicate nell’art. 8bis (…) sc ic o lo o per attività commerciali complementari od accessorie Fa l’identificazione delle attività ammesse al regime di determinazione forfetaria avverrà con riferimento ai criteri di cui alla comunicazione recante “Nuovi Decreto delegato (D.Lgs. n. 344/2003) L’utilizzo delle navi indicate nell’art. 8-bis (…) o direttamente connesse, strumentali e complementari Le attività ammesse sono: ——————— (44) Cfr. nota n. 42. (45) Rilevata anche da M. BASILAVECCHIA, La “Tonnage Tax”, cit., 4026. (46) Per “stazza netta” (net tonnage) si intende la capacità volumetrica dei soli spazi di bordo sfruttabili per fini commerciali (carico) o per l’esercizio del diporto nautico. (47) Cfr. art. 155, comma 2, Tuir. (48) Cfr. art. 155, comma 3, Tuir. (49) I prospetti sono tratti, con modifiche, da A. LOVISOLO, Tonnage tax all’italiana: prime considerazioni sulla bozza di decreto delegato, cit., 455. 20 PARTE QUARTA orientamenti comunitari sugli aiuti di Stato al trasporto marittimo” COM(96)81 approvata dalla Commissione europea in data 24 giugno 1997 ... vedere art. 155, comma 2, Tuir (e quindi con l'esclusione delle navi da pesca) A Tabella B Art. 155, comma 2, Tuir Navi destinate all'esercizio: Navi, con tonnellagio superiore alle 100 tonnellate di stazza netta, destinate all'attività di: • di attività commerciali • trasporto merci • di operazioni di salvataggio o di assistenza in mare • trasporto passeggeri -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp Art. 8 bis, comma 1, lett. a) DPR n. 633/1972 20 05 • della pesca • altre attività di assistenza marittima gg io 1_ • alla demolizione • soccorso, rimorchio, realizzazione e posa in opera di impianti Fa sc ic o lo sa Allo stato attuale, pertanto, il nuovo Tuir prevede la possibilità di accedere al regime della tonnage tax, a qualsiasi naviglio, (compresi i pescherecci e le navi destinate alla demolizione), che svolga attività d’impresa in forma societaria. La singolare presenza di un vero e proprio “doppio elenco” (50), ha indotto i primi commentatori (51) del provvedimento in parola a pervenire a due opzioni interpretative: “L’una si risolve in una interpretazione “conservativa”, che coordina fra loro i due elenchi, con l’effetto che, le navi adibite all’attività della pesca risultano ammesse al regime della tonnage tax, solo nel caso in ——————— (50) Il primo è quello dell’art. 8-bis DPR n. 633/1972, l’altro è quello dell’art. 155, comma 2 del nuovo Tuir. (51) A. LOVISOLO, Tonnage tax all’italiana: prime considerazioni sulla bozza di decreto delegato, cit., 456. RUBRICA DI DIRITTO TRIBUTARIO INTERNAZIONALE E COMPARATO 21 Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A cui non siano utilizzate per tale attività (52), ma in operazioni di trasporto (di persone o merci), di per loro atipiche in detto settore. L’altra, che riteniamo maggiormente aderente alle prescrizioni della Commissione, si risolve in una interpretazione abrogans del rinvio all’art. 8-bis cit., laddove sono richiamate le navi destinate all’esercizio della pesca e alla demolizione”. Appare senz’altro condivisibile l’ultima soluzione interpretativa prospettata dalla citata dottrina, in quanto più aderente allo spirito della legge delega per l’assorbente rilievo che lo stesso capo del Dipartimento delle Politiche Fiscali, nella relazione tecnica alla prima bozza di decreto delegato di riforma dell’imposizione sul reddito delle società (Ires) che ne ha preceduto la votazione definitiva, ha rilevato: “In genere, in tutti i paesi europei nei quali è stato introdotto il regime di tassazione forfetaria, le navi di misura inferiore alle 100 tsl (tonnellate di stazza lorda) e quelle adibite ad attività diverse dal trasporto passeggeri e merci e attività strettamente correlate, sono state esplicitamente escluse dal regime di tonnage tax”. È di tutta evidenza, infine, che se in luogo di redigere un elenco di navigli tramite il rinvio (53) al contenuto di una norma (che nulla ha a che vedere con il regime impositivo in commento), si fosse proceduto, anche in sede di delega, a stilarlo dettagliatamente, si sarebbe evitato di aggiungere alla lista delle disposizioni abnormi l’ennesimo esemplare evitando, in ultima istanza, di incorrere nell’anzidetta discrasia. Per quanto riguarda le navi destinate alla “demolizione” (pur previste dall’art. 8-bis DPR n. 633/1972, ma escluse dalle attività indicate dall’art. 155, comma 2) non pare che esse possano rientrare tra quelle ammesse al regime della tonnage tax. Induce a pervenire a tale convincimento la circostanza che una nave destinata (54) alla demolizione è na——————— (52) Si pensi, ad esempio, al trasporto di pesce congelato (non pescato durante la navigazione). (53) Si osserva, per inciso, che tale tecnica di legiferare collide apertamente con l’art. 2, comma 3, legge n. 212/2000 (cd. Statuto del contribuente), ove è sancito che “I richiami di altre disposizioni contenuti nei provvedimenti normativi in materia tributaria, si fanno indicando anche il contenuto sintetico della disposizione alla quale si intende fare rinvio”. (54) Al riguardo A. LOVISOLO, Tonnage tax all’italiana: prime considerazioni sulla bozza di decreto delegato, cit., 457, nota 38, osserva che “Ove il senso da attribuire, in questa sede, all’inciso “destinata” fosse riferito ad uno status potenziale del naviglio (che quindi continuerebbe ad essere in esercizio, pur se votato alla demolizione), una tale interpretazione porrebbe la norma dell’art. 129, bozza Tuid (ora 155, n.d.r.), in contrasto con la politica comunitaria espressa nella comunicazione della Commissione, indi- 22 PARTE QUARTA G iu f fre 'E di to re Sp A ve definitivamente ed irreversibilmente non più in esercizio (55) e, quindi, per definizione, inidonea a produrre reddito giornaliero di cui all’art. 156 del Tuir, che concorre alla formazione forfetaria della base imponibile (56). Alla luce di tutto quanto detto si possono trarre le seguenti conclusive osservazioni: • per quanto concerne i navigli destinati all’esercizio della pesca, si ritiene altamente probabile che la Commissione europea, a cui dovrà essere sottoposto il testo della nuova imposta sul reddito delle società di navigazione (57), possa negare l’autorizzazione all’estensione della tonnage tax; • in relazione alle navi destinate alla demolizione, proprio grazie alla struttura della tonnage tax italiana, che non ammette neppure le navi in disarmo, gli stessi armatori provvederanno a rottamarle il più velocemente possibile. op yr ig ht 6.3. (Segue). Ambito oggettivo di applicazione e le attività connesse, strumentali e complementari. - Sempre in merito all’individuazione Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C ——————— cata dalla legge delega, e più volte citata, la quale, mira ad implementare la sicurezza dei navigli e dei mari”. Cfr., inoltre, par. 2.2 dell’adozione della Commissione del 24 giugno 1997: Nuovi orientamenti comunitari sugli aiuti di Stato al trasporto marittimo, Community guidelines on State aid to marine transport, cit., ove si legge: “The Commission has stressed that increased transparency of State aid is necessary so that not only national authorities in the broad sense but also companies and individuals are aware of their right and obligations. The guidelines are intended to contribute to this and to clarify what State aid schemes may be introduced in order to support the Community maritime interest since this is considered to be enhancing the competitiveness of the Community fleets, State aid may generally be granted only in respect of ships entered in Member States’ registers. This policy should: safeguard EC employment, (both on the board and on shore), preserve maritime knowhow in the Community and develop maritime skills, and improve safety”. Ed, infatti, come si vedrà ampiamente nel prosieguo del presente lavoro, il regime della tonnage tax italiana, premia fondamentalmente le compagnie con naviglio giovane. D’altro canto, per il settore marittimo a più elevato rischio ambientale, vale a dire quello dei trasporti di petrolio greggio, e di prodotti petroliferi e chimici, vi è già una normativa ad hoc che garantisce agli armatori contributi per la demolizioni dei navigli in esercizio da oltre un ventennio (cfr. legge n. 51 del 14 marzo 2001). (55) Cosa diversa è il disarmo temporaneo di cui all’art. 156, comma 2, ultimo periodo, Tuir, secondo cui “sono altresì esclusi dal computo dei giorni di operatività quelli nei quali la nave è in disarmo temporaneo”. (56) In senso conforme A. LOVISOLO, Tonnage tax all’italiana: prime considerazioni sulla bozza di decreto delegato, cit., 457. (57) Cfr. nota 29. RUBRICA DI DIRITTO TRIBUTARIO INTERNAZIONALE E COMPARATO 23 gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A dell’ambito oggettivo di applicazione della tonnage tax, di non minore rilevanza risulta essere il disposto contenuto nel comma 3 dell’art. 155 del nuovo Tuir dove vengono inserite le attività “direttamente connesse, strumentali e complementari a quelle indicate nelle lettere precedenti (58) svolte dal medesimo soggetto e identificate dal decreto di cui all’art. 161” (59) il cui svolgimento assicura l’accesso al regime forfetario in commento. Giova rammentare che la Commissione europea ha in verità autorizzato gli sgravi e gli aiuti a favore del settore del trasporto marittimo in generale, senza operare suddivisioni e classificazioni fra i comparti principali ed accessori, rilevando, nel contempo, che il fenomeno del flagging out (60), determina inevitabilmente la riallocazione delle attività ausiliarie allo shipping (61). Riflettendo sulle “attività direttamente connesse, strumentali e complementari a quelle indicate nelle lettere precedenti» non si può eludere di affrontare la questione dal punto di vista pratico ed operativo. Il nodo critico da sciogliere, in altri termini, è rappresentato dall’esatta individuazione delle anzidette attività connesse, strumentali e complementari. Orbene, in assenza di ulteriori precisazioni legislative sul punto, possiamo ipotizzare di ricomprendere tra le attività in argomento le classiche attività accessorie quali quelle dello ship management, del brokerage, dell’insurance e del finance (62). Non v’è dubbio, inoltre, che il regolamento, cui resta demandata l’individuazione delle attività ancillari, Fa sc ic o lo sa ——————— (58) Di cui si è già detto. (59) Cfr. art. 155, comma 3, Tuir. (60) Inteso, in questo contesto, come il passaggio dalla bandiera nazionale ad una di “convenienza”. (61) La Commissione Europea ha, infatti, osservato che “Flagging out of vessels is, however, not the end of the problem. Where flag State outside the Community offers an attractive international services infrastructure, flagging out has tended in recent years to be followed by relocation of ancillary activities (such as ship management) to countries outsides the Community, leading to an even greater loss of employment, both on board ship and on shore. A further consequence has been a loss of maritime know-how. A perception that there are a limited number of positions available at sea, a difficult working environment and few opportunities to develop a career has led to a decrease in the number of students at maritime training institutes and in the recruitment of young seafarers, which has compounded the negative effects on board and on shore”. Cfr. par. 1.2 dell’adozione della Commissione del 24 giugno 1997: Nuovi orientamenti comunitari sugli aiuti di Stato al trasporto marittimo, Community guidelines on State aid to marine transport, COM(96)81, approvata dalla Commissione europea in data 24 giugno 1997, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee C. 205 del 5 luglio 1997. (62) Cfr. par. 3.1. dell’adozione della Commissione del 24 giugno 1997, cit. 24 PARTE QUARTA indicherà fra quelle le prestazioni tipiche dei raccomandatari (63) marittimi ove svolte direttamente dagli armatori (64). Può infine pensarsi ai proventi derivanti dalla concessione di spazi a bordo delle navi, per il loro sfruttamento economico o di servizi ivi esercitati quali, ad esempio, rivendita di giornali e sigarette, negozi fotografici per lo sviluppo e stampa di foto, casinò, bar ecc. ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A 6.4. Ulteriori requisiti e condizioni per l’accesso al regime della tonnage tax. - Al fine di beneficiare del regime forfetario della tonnage tax non è sufficiente il soddisfacimento dei requisiti indicati nei paragrafi precedenti in punto di definizione dell’ambito soggettivo ed oggettivo di applicazione: la nuova imposta sulle attività marittime prevede ulteriori condizioni e requisiti. Innanzitutto, l’opzione a favore del nuovo regime, rispetto a quello ordinario, deve essere effettuata entro tre mesi dall’inizio del periodo d’imposta a partire dal quale il soggetto interessato intende fruirne (65) e l’opzione resta irrevocabile per 10 esercizi sociali. La legge delega sulla riforma del sistema fiscale statale prevedeva l’irrevocabilità dell’opzione per un periodo “almeno quinquennale” (66). Il legislatore delegato, che ha giustamente rapportato la durata a quella dell’esercizio sociale, piuttosto che a quella solare, ha raddoppiato il tempo minimo di adesione al regime della tonnage tax, in ciò allineandosi alle ultime tendenze legislative in atto negli Stati membri dell’Unione Europea (67). In secondo luogo, la società di navigazione può accedere al regime della tonnage tax al verificarsi della duplice condizione che: Fa sc ——————— (63) A mente dell’art. 2, comma 1, legge n. 135/1977, “È raccomandatario marittimo chi svolge attività di raccomandazione di navi, quali assistenza al comandante nei confronti delle autorità locali o dei terzi, ricezione o consegna delle merci, operazioni di imbarco e sbarco dei passeggeri, acquisizione di noli, conclusione di contratti di trasporto per merci e passeggeri con rilascio dei relativi documenti, nonché qualsiasi altra analoga attività per la tutela degli interessi a lui affidati”. (64) Ad esempio attività di carico e scarico di merci e passeggeri. Rimarrebbe però il problema di rispettare il criterio della regressività che, come vedremo nel prosieguo, prevede una minore tassazione, sull’attività di ciascun singolo naviglio, su tonnellaggi più alti. (65) Le modalità di adesione verranno stabilite con apposito decreto attuativo (cfr. art. 155, comma 1, Tuir). (66) Cfr. art. 4, lett. n), legge n. 80/2003. (67) Nel Regno Unito, in Spagna e Danimarca, e da ultimo in Francia, l’opzione ha durata decennale. RUBRICA DI DIRITTO TRIBUTARIO INTERNAZIONALE E COMPARATO 25 yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A 1. la società di navigazione produca un reddito derivante dall’utilizzo di navi in “traffico internazionale” (68); 2. le navi di cui al punto precedente siano iscritte nel registro internazionale di cui al DL 30 dicembre 1997, n. 457, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 1998, n. 30 (69). Com’è stato acutamente osservato in dottrina (70) le condizioni sopra elencate non erano previste né dal disegno di legge delega né dalla legge delega (71). Orbene, se è vero che la necessità del rispetto del requisito dell’esercizio del naviglio in “traffico internazionale” discende dalla obbligatorietà dell’iscrizione del naviglio nel registro internazionale, è altrettanto vero che la subordinazione dell’ammissione al regime forfetario in commento, è peculiarità esclusiva del decreto delegato. Da quanto testé osservato ne discenderebbe, sempre ad avviso della dottrina in parola, che “è probabile che il Governo subisca sul punto la possibile eccezione di violazione della legge n. 80/2003 per aver ecceduto nella delega (della funzione legislativa) conferitagli”. La legge istitutiva del registro internazionale (72) (definito anche Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op ——————— (68) Cfr. art. 155, comma 1, Tuir. (69) Cfr. ancora art. 155, comma 1, Tuir. (70) A. LOVISOLO, Tonnage tax all’italiana: prime considerazioni sulla bozza di decreto delegato, cit., 460. (71) Cfr. art. 4, lett. n), DDL n. AC2144 del 2001 nonché art. 4, lett. n), legge n. 80/2003. Le condizioni in argomento non risultano imposte nemmeno nelle indicazioni della Commissione europea, la quale, nell’adozione della Commissione del 24 giugno 1997, più volte citata, si premura solamente di stabilire che: “The objective of State aid within the common maritime transport policy is to promote the competitiveness of the EC fleets in the global shipping market. Consequently, fiscal alleviation schemes should, as a rule, require a link with a Community flag”. (72) Trattasi del DL 30 dicembre 1997, n. 457, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 1998, n. 30, nelle cui premesse si legge quanto segue: “Ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di pervenire all’istituzione del registro internazionale di immatricolazione delle navi, al fine di fornire agli operatori nazionali parità di condizioni sui mercati internazionali, nonché di emanare disposizioni finalizzate alla ristrutturazione delle autorità portuali, allo sviluppo dei trasporti ed all’incremento dell’occupazione”. L’art. 1 della legge citata dispone che: “1. È istituito il registro delle navi adibite alla navigazione internazionale, di seguito denominato “Registro internazionale”, nel quale sono iscritte, a seguito di specifica autorizzazione del Ministero dei Trasporti e della navigazione, le navi adibite esclusivamente a traffici commerciali internazionali. 2. Il Registro internazionale di cui al comma 1 è diviso in tre sezioni nelle quali sono iscritte rispettivamente: a) le navi che appartengono a soggetti italiani o di altri Paesi dell’Unione europea 26 PARTE QUARTA yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A “doppio registro” (73)), all’art. 1, statuisce, infatti, “È istituito il registro delle navi adibite alla navigazione internazionale, di seguito denominato «Registro internazionale», nel quale sono iscritte, a seguito di specifica autorizzazione del Ministero dei trasporti e della navigazione, le navi adibite esclusivamente a traffici commerciali internazionali”. La nozione di “traffico internazionale” non risulta essere definita né dal rinnovato Tuir né dalla legislazione speciale (74) ma è ricavabile dai principi sui quali riposano le convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni, dove l’espressione de qua designa “qualsiasi attività di trasporto effettuato per mezzo di una nave o di un aeromobile da parte di un’impresa la cui sede di direzione effettiva è situata in uno (solo) Stato, ad eccezione del caso in cui tale trasporto si effettui esclusivamente tra località situate nell’altro Stato contraente” (75). Al riguardo giova precisare che, la nozione di “traffico internazionale” appena delineata, subisce, per effetto di una precisa scelta del legislatore italiano, in ambito comunitario e nazionale, una importante deroga. Infatti, le navi registrate nel registro internazionale italiano non possono, salvo le eccezioni di cui si dirà, effettuare servizi di cabotaggio Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op ——————— ai sensi del comma 1, lett. a), dell’art. 143 del codice della navigazione, come sostituito dall’art. 7; b) le navi che appartengono a soggetti non comunitari ai sensi del comma 1, lett. b), dell’art. 143 del codice della navigazione; c) le navi che appartengono a soggetti non comunitari, in regime di sospensione da un registro straniero non comunitario, ai sensi del comma 2 dell’art. 145 del codice della navigazione, a seguito di locazione a scafo nudo a soggetti giuridici italiani o di altri Paesi dell’Unione europea”. Sull’argomento si veda U. MARCHESE, Funzione economica e politica fiscale del registro internazionale italiano di immatricolazione navale, in Trasporti, 1999, n. 77-78, 65 ss. (73) Il “primo” registro è quello previsto dall’art. 137 del codice della navigazione, ai sensi del quale: “1. Sono ammesse alla navigazione le navi iscritte nelle matricole o nei registri tenuti dagli uffici competenti, ed abilitate nelle forme previste dal presente codice. 2. Sono iscritte nelle matricole e nei registri predetti le navi che rispondono ai prescritti requisiti di individuazione e di nazionalità. Agli effetti dell’iscrizione e a tutti gli altri effetti di leggi le navi e i galleggianti sono individuati dalla stazza, dal nome o dal numero, e dal luogo ove ha sede l’ufficio d’iscrizione”. Registro tenuto a cura del Registro Navale Italiano (oggi Rina s.p.a.) a ciò delegato dal Ministero dei trasporti (art. 138 codice della navigazione). (74) DL 30 dicembre 1997, n. 457, conv. in legge 27 febbraio 1998, n. 30. (75) Cfr. art. 3, par. 1, lett. d), Modello Ocse. Per approfondimenti sulla nozione di “traffico internazionale” in tema di tonnage tax sia consentito rinviare a F. PORPORA – in F. PORPORA - R. LUPI, Tonnage Tax: un criterio forfetario difficile da conciliare con una tassazione analitica, in Dialoghi di Diritto tributario, n. 9/2004, 1209 ss. RUBRICA DI DIRITTO TRIBUTARIO INTERNAZIONALE E COMPARATO 27 Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A marittimo, né tra porti della Repubblica né tra porti degli altri Stati membri. In altri termini, possiamo affermare che l’aver collegato l’ammissione al regime della tonnage tax al requisito dell’iscrizione del naviglio nel registro internazionale italiano, da un lato, e l’aver delimitato l’area delle attività tassabile secondo i canoni della tonnage tax in base alla loro esclusiva vocazione internazionale, dall’altro, sortisce l’effetto di escludere, dall’ambito applicativo del nuovo regime impositivo una considerevole parte delle attività d’impresa dedicate al cabotaggio tra i porti italiani e quelli comunitari. In proposito, è interessante far notare che l’Italia non è il solo paese ad aver previsto l’esclusione delle navi registrate nel registro internazionale dall’attività di cabotaggio: così hanno fatto anche Francia, Germania, Belgio, Olanda, Inghilterra e Norvegia (76). Peraltro, l’aver stabilito, al fine di beneficiare del regime della tonnage tax, la necessaria iscrizione del naviglio al registro internazionale italiano quale conditio sine qua non della compagnia di navigazione che lo possiede, pare peculiarità tutta italiana. Infatti, tale condizione, non ricorre, ad esempio né nel regime della tonnage tax in Francia (77) né in quello adottato nel Regno Unito (78). Giova rammentare, per completezza di trattazione, che l’iscrizione al registro internazionale italiano attualmente garantisce una serie di agevolazioni che, in via di estrema sintesi, sono riassumibili in quattro punti fondamentali: 1) attribuzione di un credito di imposta figurativo di importo pari alle imposte sul reddito delle persone fisiche (Irpef) dovute sulle retribuzioni corrisposte al personale di bordo da far valere limitatamente al versamento delle ritenute alla fonte (79); ——————— (76) Cfr. sul punto, G. LOFFREDA, Dir. trasp., 1999, 55. (77) Cfr. art. 209-0 B c.i.g. code general des impots. (78) Cfr. schedule 22 allegata al Finance act 2000. (79) Cfr. l’art. 4, comma 1, del DL 30 dicembre 1997, n. 457 che recita: “Ai soggetti che esercitano l’attività produttiva di reddito di cui al comma 2 (cioè di reddito derivante dall’utilizzazione di navi iscritte nel Registro internazionale, n.d.r.) è attribuito un credito d’imposta in misura corrispondente all’imposta sul reddito delle persone fisiche dovuta sui redditi di lavoro dipendente e di lavoro autonomo corrisposti al personale di bordo imbarcato sulle navi iscritte nel Registro internazionale, da valere ai fini del versamento delle ritenute alla fonte relative a tali redditi. Detto credito non concorre alla formazione del reddito imponibile. Il relativo onere è posto a carico della gestione commissariale del Fondo di cui all’art. 6, comma 1”. 28 PARTE QUARTA sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A 2) il reddito derivante dall’utilizzazione delle navi concorre a formare il reddito imponibile della società armatoriale solo in misura pari al 20 per cento (80); 3) è previsto che per il personale imbarcato non sia dovuto dall’armatore alcun contributo previdenziale, risultando direttamente a carico dell’autorità pubblica (81); 4) è concessa infine una riduzione dell’aliquota dell’imposta sull’assicurazione per le navi mercantili (82). Sempre riflettendo sulle agevolazioni concesse al settore marittimo, non ci si può esimere dall’affrontare un’altra questione rilevante. Il nodo critico da sciogliere è se i vantaggi fiscali accordati alle imprese marittime iscritte nel registro internazionale potranno cumularsi con quelli della tonnage tax. Assumendo le conclusioni, pienamente condivisibili, di autorevole dottrina (83) possiamo affermare che gli sgravi contributivi ed i crediti d’imposta sulle retribuzioni corrisposte al personale di cui si è appena detto permangono. Difficilmente compatibili con il regime della tonnage tax sembra essere, invece, l’esenzione dell’80 per cento del reddito imponibile ai fini Ires per le società di navigazione che opteranno per il regime della tonnage tax. Infine, una novità rilevante rispetto alla prima bozza di nuovo Tuir è rappresentata dall’ultimo requisito previsto dall’art. 155, comma 1, della versione definitiva di Tuir, ove si prevede che l’opzione per il regime della tonnage tax “deve essere esercitata relativamente a tutte le navi aventi i requisiti indicati nel medesimo comma 1, gestite dallo stesso gruppo di imprese alla cui composizione concorrono la società controllante e le controllate ai sensi dell’art. 2359 c.c.”. Fa ——————— (80) L’art. 4, comma 2, DL n. 457/1997, cit., dispone che: “A partire dal periodo d’imposta in corso al 1° gennaio 1998, il reddito derivante dall’utilizzazione di navi iscritte nel Registro internazionale concorre in misura pari al 20 per cento a formare il reddito complessivo assoggettabile all’imposta sul reddito delle persone fisiche e all’imposta sul reddito delle persone giuridiche, disciplinate dal testo unico delle imposte sui redditi, approvato con DPR 22 dicembre 1986, n. 917. Il relativo onere è posto a carico della gestione commissariale del Fondo di cui all’art. 6 del presente decreto”. Tale norma è stata estesa anche ai redditi derivanti da attività commerciali complementari, accessorie o comunque relative alla prestazione principale svolte a bordo di navi da crociera (art. 13 della legge n. 488/1999). (81) Cfr. art. 6, comma 1, del DL n. 457/1997. (82) Cfr. art. 9-quater, comma 1, del DL n. 457/1997. (83) A. LOVISOLO, Tonnage tax all’italiana: prime considerazioni sulla bozza di decreto delegato, cit., 464. RUBRICA DI DIRITTO TRIBUTARIO INTERNAZIONALE E COMPARATO 29 di to re Sp A Tale ultima condizione pare essere stata introdotta con il duplice obiettivo di istituire un più stringente ring fencing della misura e di attrarre un maggior numero di navigli: tutte le imprese dello stesso gruppo societario sono vincolate, pertanto, ad optare per il regime, all in all out. La previsione all in all out sembra esercitare una attrattiva anche in altri paesi che hanno introdotto la tonnage tax di recente: essa è prevista nel Regno Unito (84) e in Spagna. Vale la pena rilevare, in conclusione, che né nel disegno di legge delega né nella legge delega (85) è presente l’indicazione della condizione de qua, pertanto, le censure di eccesso di delega precedentemente mosse al decreto delegato (86) sono estensibili mutatis mutandis anche in questo caso per violazione dell’art. 76 Cost. (87). Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E 6.5. Limiti all’esercizio dell’opzione per l’adesione al regime della tonnage tax e problemi applicativi. - La validità e l’efficacia dell’opzione a favore del regime della tonnage tax, è subordinata al rispetto di una determinata proporzione tra l’attività armatoriale “tipica”, cioè quella prevista dal codice della navigazione, e la stipula di contratti di locazione di naviglio “a scafo nudo”. In particolare in forza dell’art. 157, comma 1, Tuir, “L’opzione di cui all’art. 155 non può essere esercitata e se esercitata viene meno con effetto dal periodo d’imposta in corso nel caso in cui oltre la metà delle navi complessivamente utilizzate viene locato dal contribuente a scafo nudo per un periodo di tempo superiore, per ciascuna unità, al 50 per cento dei giorni di effettiva navigazione per ciascun esercizio sociale”. Al fine di cogliere efficacemente la portata della disposizione innanzi riportata, occorre definire preliminarmente il significato della espressione “locazione di nave a scafo nudo” (88). Orbene, ai sensi ——————— (84) Si tratta tuttavia dell’aspetto più controverso dell’esperienza britannica e del principale ostacolo ad un più ampio successo della misura: esso è stato, in particolare, fortemente osteggiato dagli operatori che lo considerano un vincolo eccessivo e penalizzante. (85) Cfr. art. 4, lett. n), DDL n. AC2144/2001 nonché art. 4, lett. n), legge n. 80/2003. (86) Vedi infra questo stesso paragrafo. (87) L’art. 76 della Costituzione recita quanto segue: “l’esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo, se non con determinazione di principi e criteri direttivi, e soltanto per tempo limitato e per oggetto definiti”. (88) Sia consentito rinviare per maggiori ragguagli alla dottrina che si è occupata ex professo dell’argomento: S. FERRARINI - G. RIGETTI, Appunti di diritto della navigazione, Parte speciale, I contratti di utilizzazione della nave, 1991, parr. 10 ss. 30 PARTE QUARTA Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A dell’art. 376 del codice della navigazione “Si ha locazione di nave quando una delle parti (locatore, n.d.r.) si obbliga a far godere all’altra (conduttore, n.d.r.) per un dato tempo la nave verso un determinato corrispettivo” (89). L’espressione a “scafo nudo” designa che la locazione della nave è “equipaggiata”, ancorché non completamente rifornita, solamente sotto il profilo materiale. In altri termini, la “nudità” dello scafo attiene esclusivamente al mancato equipaggiamento umano. Infatti, diversamente da quanto accade nel contratto di noleggio di nave, il contratto di locazione (a scafo nudo) esime il proprietario (90) dall’armamento ed equipaggiamento della nave (obbligazioni tipiche del noleggiante previste dall’art. 386 del codice della navigazione) (91). Per quanto attiene alla ratio della disposizione in argomento, essa è ravvisabile nell’intento di evitare che lo «spirito degli aiuti alle imprese amatoriali venga stravolto: il divario di competitività che essi vengono a colmare è, infatti, dato dai costi fiscali sostenuti proprio per armare ed equipaggiare la nave” (92). Tale ricostruzione dottrinaria riposa sulla constatazione che l’art. 131, comma 2, bozza del Tuir (ora art. 157, comma 2, Tuir) dispone che “In ogni caso l’opzione (…) non rileva per la determinazione del reddito delle navi relativamente ai giorni in cui le stesse sono locate a scafo nudo (…)”. In sostanza, è tollerato che un armatore, il quale opti per il regime della tonnage tax, svolga anche attività di locazione di navigli a scafo nudo, purché quest’ultima non costituisca la sua attività prevalente (core business), per tale intendendosi quella che impegna oltre la metà delle navi complessivamente utilizzate, e per un periodo superiore al 50 per certo dei giorni di effettiva navigazione per ciascun esercizio sociale. L’art. 157, comma 3, prevede, inoltre, l’obbligo di formazione dei ——————— (89) In questo caso, il conduttore mettendo in esercizio il naviglio (armandolo ed equipaggiandolo) ne diviene armatore ai sensi dell’art. 265, comma 1, del codice della navigazione ove si dispone che “chi assume l’esercizio di una nave deve preventivamente fare dichiarazione di armatore all’ufficio di iscrizione della nave o del galleggiante”. (90) Ossia il locatore. (91) L’art. 386, comma 1, del codice della navigazione dispone, infatti, che “Il noleggiante è obbligato, prima della partenza, a mettere la nave in stato di navigabilità per il compimento del viaggio, ad armarla ed equipaggiarla convenientemente, e a provvederla dei prescritti documenti”. (92) A. LOVISOLO, Tonnage tax all’italiana: prime considerazioni sulla bozza di decreto delegato, cit., 466. RUBRICA DI DIRITTO TRIBUTARIO INTERNAZIONALE E COMPARATO 31 Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A cadetti ufficiali (secondo le modalità da stabilirsi con apposito decreto attuativo, previsto dall’art. 161, Tuir), e questo allo scopo di consolidare maggiormente il know-how nazionale. Il mancato rispetto di tale obbligo di formazione dei cadetti comporta l’uscita dal regime della tonnage tax. Giova osservare, inoltre, che “qualora per i motivi sopra esplicitati o per qualsiasi altro venga meno l’efficacia dell’opzione esercitata, il nuovo esercizio della stessa non può avvenire prima del decorso del decennio originariamente previsto” (93). Al riguardo, si rileva che più che una limitazione alla facoltà di scelta del regime della tonnage tax, si tratta di una sanzione impropria (94). La possibilità di effettuare l’opzione per il regime forfetario della tonnage tax, inoltre, è alternativa rispetto all’opzione per la tassazione di gruppo (consolidato nazionale o mondiale). In particolare, l’art. 160, comma 1, Tuir, esclude la possibilità di effettuare l’opzione per il regime della tonnage tax ove la società di navigazione, in quanto controllante (o controllata) all’interno di un gruppo di imprese residenti (o non residenti), abbia già optato per la tassazione secondo le regole del consolidato nazionale (o mondiale) di cui alle sezz. II e III del titolo II del nuovo Tuir. Vale anche il viceversa: i soggetti che esercitano l’opzione per il regime della tonnage tax: 1) non possono esercitare l’opzione di cui alle sez. II del Tuir (consolidato nazionale); 2) non possono esercitare l’opzione per di cui alla sez. III del Tuir (consolidato mondiale). Accenniamo per completezza, infine, alla problematica attinente alla determinazione del reddito d’impresa in caso di fuoriuscita dal regime della tonnage tax, ad esempio, per uno dei motivi sopra esposti. Si pensi, ad esempio, al problema degli ammortamenti. Che cosa accadrebbe ad un bene ammortizzabile una volta usciti dal sistema forfetario ed entrati in quello ordinario? Nei periodi in cui si determina forfetariamente il reddito gli ammortamenti non assumo rilievo giacché, come si è detto, la tonnage tax prescinde dai costi e ricavi effettivi imputabili al naviglio. Ma quando si esce dal regime forfetario e si entra in quello ordinario sembrerebbe logico e coerente con i principi informatori del sistema di ——————— (93) Art. 157, comma 5, Tuir. (94) Carattere sanzionatorio sembra rivestire anche la decadenza dall’opzione per la tonnage tax per aver inosservato l’obbligo di formazione dei cadetti; misura quest’ultima evidentemente legata a scopi preventivi ed extra-fiscali. La formazione dei cadetti ha lo scopo di aumentare la loro professionalità e diminuire così i possibili incidenti. 32 PARTE QUARTA G iu f fre 'E di to re Sp A tassazione del reddito d’impresa considerare come già calcolati (virtualmente) gli ammortamenti nel periodo in cui si è applicato il regime forfetario (95). Tale ultima considerazione, ammesso che sia valida, genera ulteriori questioni: con quali modalità si considererà effettuato l’ammortamento (virtuale) durante il periodo di applicazione della tonnage tax? (96) Si potrà riprendere sic et sempliciter il coefficiente tabellare senza alcuna conseguenza? Quale sarà il costo fiscalmente riconosciuto rilevante ai fini della determinazione di plus(minus)valenze? Questi, in estrema sintesi, sono i problemi (97) che si pongono e che, a quanto pare, non trovano una adeguata soluzione legislativa. Occorrerà comunque evitare che la nuova disciplina faccia sorgere fenomeni di mancata tassazione o di doppia tassazione dei proventi oppure di doppia deduzione o di indeducibilità dei costi. Sul punto si auspicano, quindi, interventi chiarificatori integrativi e/o interpretativi da parte del Ministero dell’economia e delle finanze. Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht 6.6. La determinazione del reddito imponibile nel sistema della tonnage tax. - Al fine di comprendere meglio il meccanismo di determinazione del reddito forfetario secondo il sistema della tonnage tax, appare utile richiamare i precetti contenuti nella legge delega, nella parte in cui dispongono che “(…) il reddito sarà commisurato in cifra fissa per ogni tonnellata di stazza netta con l’individuazione di diverse fasce di tonnellaggio di modo che l’importo unitario per tonnellata diminuisca con l’aumentare del tonnellaggio della nave con riferimento a quanto previsto negli altri Stati membri dell’Unione europea”. Il decreto delegato ha trasfuso tale precetto nel comma 1 dell’art. 156 del nuovo Tuir nel modo seguente: “1. Il reddito imponibile è determinato in via forfetaria ed unitaria sulla base del reddito giornaliero di ciascuna nave con i requisiti predetti: ——————— (95) In senso conforma all’impostazione seguita nel testo M. LEO, La cosiddetta “tonnage tax” - Ipotesi di introduzione in Italia, atti del Convegno di Studi su “La fiscalità marittima nell’Unione Europea”, organizzato dall’Università di Roma La Sapienza (Corso di Perfezionamento in Diritto Tributario Internazionale e Scuola di specializzazione in Economia dei Trasporti) e tenutosi a Roma il 2 aprile 2001, in Riv. dir. trib. internaz., parte III, 1/2001, 33. (96) Ancora, saranno calcolabili gli ammortamenti anticipati ai sensi dell’art. 102 (già 67) del Tuir? (97) Tali quesiti sono affrontati in maniera sistematica in F. PORPORA, in F. PORPORA – R. LUPI, op. cit., 1220-1222. RUBRICA DI DIRITTO TRIBUTARIO INTERNAZIONALE E COMPARATO 33 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A a) calcolato sulla base degli importi in cifra fissa previsti per i seguenti scaglioni di tonnellaggio netto: 1) da 0 a 1.000 tonnellate di stazza netta: 0,0090 euro per tonnellata; 2) da 1.001 a 10.000 tonnellate di stazza netta: 0,0070 euro per tonnellata; 3) da 10.001 a 25.000 tonnellate di stazza netta: 0,0040 euro per tonnellata; 4) da 25.001 tonnellate di stazza netta: 0,0020 euro per tonnellata (98); b) e successivamente moltiplicato per i coefficienti di seguito previsti in relazione all’età del naviglio: 1) da 0 a 5 anni: 0,90; 2) da 6 anni a 10 anni: 0,95; 3) da 11 a 25 anni: 1,05; 4) oltre 25 anni: 1,10”. È opportuno osservare preliminarmente, che la base del calcolo del reddito imponibile ai fini della tonnage tax è costituita dal numero dei giorni computabili ai fini della determinazione del “reddito giornaliero”. A questo punto, occorre chiarire il significato della locuzione “red- Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 ——————— (98) In Olanda (aliquota corporate tax 35 per cento) gli scaglioni di tonnellaggio sono i seguenti: “ • 0.91 Euro up to 1,000 N(et)T(onnage); • 0.68 Euro over 1,000 NT up to 10,000 NT; • 0.45 Euro over 10,000 NT up to 25,000 NT; • 0.23 Euro over 25,000 NT”. Poco più cara risulta la Francia (aliquota corporate tax 37,77 per cento), ove gli scaglioni di tonnellaggio sono i seguenti (cfr. art. 209-0 B c.i.g.): “ • jusqu’a’ 1000 Montant: 0,93 Euro; • de 1.000 a 10.000 Montant: 0,71 Euro; • de 10.000 a 25.000 Montant: 0,47. Ancora più regressiva (e quindi più vantaggiosa per le navi di maggior tonnellaggio) risulta la tonnage tax inglese (cfr. schedule 22 allegata al Finance act 2002) (aliquota corporation tax 30 per cento): • for each 100 tons up to 1,000 tons: 0.60 Pounds; • for each 100 tons between 1,000 and 10,000 tons: 0.45 Pounds; • for each 100 tons between 10,000 and 25,000: 0.15 Pounds. Per una rassegna sulle aliquote di corporation tax applicate negli Stati membri, sia consentito rinviare alla relazione commissionata dalla Confitarma alla Ernest & Young nel 2001, e consultabile al seguente indirizzo internet: http://www.confitarma.it/Assobusiness/AB_WEB.nsf/6266f0b0db84ccc5c12568f9000569777/c738b4f691d7981fc1256b8 1006528b4/$FILE/NAPOLI+Ernest+&Young+CABOTAGGIO.ppt 34 PARTE QUARTA Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A dito giornaliero” usato dal legislatore delegato. Anzitutto dal reddito giornaliero devono escludersi le componenti positive di reddito registrate nel corso dell’utilizzo delle navi con contratto di locazione “a scafo nudo”. Precedentemente si è visto che il contratto di locazione definito “a scafo nudo” esime il proprietario concedente dall’armamento ed equipaggiamento della nave (99). Non sono parimenti considerati giorni produttivi di reddito quelli “di mancata utilizzazione a causa di operazioni di manutenzione, riparazione ordinaria o straordinaria, ammodernamento e trasformazione della nave; sono altresì esclusi dal computo dei giorni di operatività quelli nei quali la nave è in disarmo temporaneo” (100). Chiarito il significato dell’espressione “reddito giornaliero”, il citato art. 156 dispone che la determinazione forfetaria ed unitaria del reddito imponibile avvenga sulla base del reddito giornaliero di ciascuna nave, applicando i coefficienti (all’uopo vengono, infatti, come si è visto, determinati quattro scaglioni da 0 a 1.000; da 1001 a 10.000; da 10.001 a 25.000; da 25.001 di tonnellate di stazza nette), ed il fattore di correzione, in funzione dell’età del naviglio. Al riguardo è utile precisare che il reddito giornaliero così determinato andrà, a sua volta, moltiplicato per il numero dei giorni produttivi del “reddito giornaliero”, così come precedentemente definito. Il risultato di tale computo costituirà, in ultima istanza, la base imponibile forfetizzata sulla quale dovrà applicarsi l’aliquota Ires ordinaria (101). Sempre in tema di determinazione del reddito imponibile ai fini della tonnage tax, giova rammentare che le anzidette operazioni di computo andranno effettuate con riferimento ad ogni singola nave. È, pertanto, vietata la determinazione cumulativa della base imponibile ai fini della tassazione forfetaria (102). Dall’analisi degli scaglioni di tonnellaggi con le relative fasce di reddito, possiamo affermare che la tonnage tax italiana si ispira quindi al modello “regressivo” olandese, vale a dire che a tonnellaggi più alti corrispondono redditi più bassi. La ratio di tale disposizione ad avviso della dottrina risiede nella considerazione che le navi di dimensioni più modeste hanno una più alta capacità di produrre profitti, attesi i minori ——————— (99) Cfr. par. 6.5. (100) Cfr. art. 156, comma 2, Tuir. (101) Dal 1° gennaio 2004 pari al 33 per cento [cfr. art. 77 (ex art. 91) Tuir]. (102) La motivazione di tale divieto, a nostro avviso, riposa nell’esigenza di evitare un calcolo cumulativo che consentirebbe di ottenere maggiori vantaggi attesa la regressività della tonnage tax, la quale a scaglioni più elevati attribuisce redditi più bassi. RUBRICA DI DIRITTO TRIBUTARIO INTERNAZIONALE E COMPARATO 35 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A costi di manutenzione e la possibilità di utilizzi maggiori e diversificati (103). Orbene, dinanzi a tale regime di determinazione forfetario del reddito non si può ignorare un problema di ordine costituzionale derivante dal rispetto del principio della capacità contributiva (art. 53 Cost.). In particolare, posto che, come è stato rilevato in dottrina il trattamento agevolato della tonnage tax sia nella sua interezza costituzionalmente compatibile in quanto “può ritenersi del tutto giustificata, per un settore in forte crisi e oggettivamente meritevole di sostegno anche per tutelare interessi generali, la previsione di una forma parallela – più lieve – di tassazione” (104), il meccanismo di computo appena illustrato lascia, tuttavia, irrisolto il problema di valutare le differenze, in termini di capacità contributiva, fra le imprese che, a parità di stazza della nave, destinano le loro flotte al più redditizio trasporto di merci di maggior valore (es. auto, materiale tecnologico, greggio) e gli armatori che utilizzano le loro imbarcazioni per il trasporto di merci di valore modesto o nullo (es. scarti di lavorazione, merci alla rinfusa etc.) (105). Il meccanismo di calcolo del reddito imponibile, come si è detto, è parametrato in funzione all’età del naviglio. La ratio del correttivo in parola, risiede nello spirito di premiare gli operatori con tonnellaggio di più recente costruzione, incentivandoli al contempo al rinnovo della flotta, con conseguente raggiungimento di più alti livelli di sicurezza e di standard tecnologici (106). Viene così data attuazione anche alla necessità di Fa sc ic o lo sa gg io ——————— (103) In tal senso M. LORENZETTI, La riforma fiscale prevede un forfait per il settore marittimo, in Corr. trib., 2002, 1425. (104) Sic M. BASILAVECCHIA, La “Tonnage Tax”, cit., 4025. Altra dottrina - G. PUOTI, La fiscalità marittima nella Unione Europea: la prospettiva italiana anche alla luce della legge delega per la riforma del sistema tributario, cit., 18, partendo da una prospettiva diversa giunge alla medesima conclusione. In particolare, secondo tale ultimo Autore l’agevolazione fiscale connessa all’introduzione della tonnage tax non dovrebbe essere verificata con riferimento al principio della capacità contributiva, ma invece alla luce del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., nel senso che sarebbe necessario individuare il fondamento della differenza di trattamento accordata al reddito derivante dalla utilizzazione della nave rispetto ad altri tipi di reddito. In questa prospettiva, peraltro, l’Autore citato riconosce che il percorso sarebbe piuttosto agevole dal momento che tutti gli elementi che hanno spinto la Commissione europea a consentire gli aiuti di Stato nel settore marittimo potrebbero essere utilizzati per supportare la compatibilità dell’adozione della misura agevolativi anche dinanzi alla nostra Carta costituzionale. (105) Tale problematica è stata sollevata da A. LOVISOLO, Profili impositivi delle imprese di trasporto marittimo e aereo, in Dir. prat. trib., 2003, I, parte I, 47 ss. (106) Cfr. Relazione al D.Lgs. n. 344/2003 recante riforma dell’imposizione sul reddito delle società in attuazione dell’art. 4, comma 1, lett. da a) a o), della legge 7 aprile 2003, n. 80. 36 PARTE QUARTA Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A assicurare un livello elevato di sicurezza marittima di cui al più volte citato documento della Commissione europea sulla strategia marittima comunitaria (107). Al riguardo, in dottrina (108) è stato precisato che “trattasi di ragioni extra-fiscali (tutela dell’ambiente, della sicurezza delle navi e del lavoro ivi svolto) che limitano l’ambito di applicazione del principio di capacità contributiva (di regola, a parità di altre condizioni, un naviglio più vecchio produce meno reddito!). La giustificazione di tale limitazione deve, quindi, essere rinvenuta in principi extrafiscali, di eguale rango costituzionale, rispetto al principio di capacità contributiva, a tutela della sicurezza del lavoro e dell’ambiente e a stimolo della riorganizzazione delle imprese (artt. 4, 35, 9, 41 Cost.)”. La giustificazione di tale previsione va dunque ricercata, ad avviso della dottrina citata, nella scelta del legislatore di privilegiare principi costituzionali di equivalente rilevanza costituzionale, quali la tutela e la sicurezza dell’ambiente. Ritornando all’esegesi dell’art. 156, il comma 3 prevede, oltre a sancire l’irrilevanza di ogni deduzione dal reddito imponibile determinato secondo gli anzidetti criteri, la possibilità di dedurre le perdite pregresse secondo il regime ordinario di cui all’art. 84 (ex 102) del Tuir anche dal reddito calcolato forfetariamente. In ultimo, è interessante fornire le stime del Ministero dell’economia e delle finanze (109) sulle variazioni di gettito dovute all’introduzione della tonnage tax. In particolare, il Ministero ha stimato che la perdita di gettito nel campo di applicazione del nuovo regime risulta essere complessivamente pari a circa 16 milioni di euro, di cui circa 15,6 milioni di euro dovuti all’introduzione della tonnage tax e la restante parte, circa 320 mila euro, alla variazione dell’aliquota dal 34 per cento al 33 per cento (110). ——————— (107) Cfr. par. 2.2. dell’adozione della Commissione del 24 giugno 1997: “Nuovi orientamenti comunitari sugli aiuti di Stato al trasporto marittimo”, Community guidelines on State aid to marine transport, COM(96)81, approvata dalla Commissione europea in data 24 giugno 1997, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee C. 205 del 5 luglio 1997 (108) A. LOVISOLO, Tonnage tax all’italiana: prime considerazioni sulla bozza di decreto delegato, cit., 469. (109) Relazione tecnica (4 dicembre 2003) al D.Lgs. n. 344/2003 recante riforma dell’imposizione sul reddito delle società in attuazione dell’art. 4, comma 1, lett. da a) a o), della legge 7 aprile 2003, n. 80. (110) Dal 1° gennaio 2003 pari al 34 per cento (cfr. art. 91 vecchio Tuir), dal 1° gennaio 2004 pari al 33 per cento (cfr. art. 77 nuovo Tuir). RUBRICA DI DIRITTO TRIBUTARIO INTERNAZIONALE E COMPARATO 37 Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A 6.7. Le plusvalenze e le minusvalenze derivanti dalla cessione di navi nel regime della tonnage tax. - L’art. 158 del nuovo Tuir contiene una disposizione di vantaggio per l’impresa armatoriale. Infatti, il citato articolo dispone che “Nel caso di cessione a titolo oneroso di una o più navi relativamente alle quali è efficace l’opzione di cui all’art. 155, l’imponibile determinato ai sensi dell’art. 156 comprende anche la plusvalenza o minusvalenza realizzata”. La riportata disposizione agevolativa appare simile a quella prevista una tantum dall’art. 145, comma 66, della legge n. 388/2000 (legge finanziaria per il 2001), la quale prevedeva che “nel reddito derivante dall’utilizzazione di navi iscritte nel registro internazionale (111) è compresa la plusvalenza realizzata mediante cessione della nave”. Il legislatore della riforma fiscale, pertanto, ha “radicalizzato l’agevolazione, sancendo l’irrilevanza fiscale delle oscillazioni positive e negative che, in regime ordinario, provocherebbe la cessione di un naviglio” (112). Va peraltro osservato che, il comma 2 dell’art. 158 citato statuisce che “qualora la cessione abbia ad oggetto un’unità già in proprietà dell’utilizzatore in un periodo d’imposta precedente a quello di prima applicazione del presente regime, all’imponibile determinato ai sensi dell’art. 156 dovrà aggiungersi la differenza tra il corrispettivo conseguito, al netto degli oneri di diretta imputazione, ed il costo non ammortizzato dell’ultimo esercizio antecedente a quello di prima applicazione del regime di determinazione dell’imponibile previsto dalla presente sezione” (113). Tale previsione trova giustificazione nello scopo evidente di evitare una sostanziale applicazione retroattiva della norma afferente plusvalenze (minusvalenze) già latenti e, quindi, solo in relazione a tale situazione transitoria i risultati positivi o negativi della cessione, potranno influire sulla determinazione del reddito. Di estrema importanza si manifesta, inoltre, l’ultimo comma del ci——————— (111) Concorrente in misura pari al 20 per cento a formare il reddito complessivo dell’utilizzatore. Cfr. art. 4, comma 2, DL n. 457/1997 e par. 6.4 del presente lavoro. (112) Cfr. A. LOVISOLO, Tonnage tax all’italiana: prime considerazioni sulla bozza di decreto delegato, cit., 471. (113) Al riguardo, il comma 3 dell’art. 158, precisa che “Nel caso in cui nel periodo d’imposta precedente quello di prima applicazione del regime di determinazione dell’imponibile previsto dalla presente sezione, al reddito prodotto dalla nave ceduta si rendeva applicabile l’agevolazione di cui all’art. 145, comma 66, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, la differenza di cui al comma precedente è aggiunta all’imponibile limitatamente al 20 per cento del suo ammontare”. 38 PARTE QUARTA tato art. 158 ove si dispone che “Nel caso in cui le navi cedute costituiscano un complesso aziendale, per l’applicazione del comma 1 è necessario che tali navi rappresentino l’80 per cento del valore dell’azienda al lordo dei debiti finanziari”. Assumendo le conclusioni di risalente giurisprudenza coagulatasi in materia di Ige (114), secondo cui la cessione di nave, allorché si tratti di nave “armata”, equivale a cessione d’azienda (115), si può far discendere “la voluntas legis di impedire che la riforma sia utilizzata per fini spe- Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A ——————— (114) Doverosamente si avverte che la configurazione della cessione quale cessione d’azienda non incide sul regime Iva a cui è attualmente sottoposta la cessione di nave (art. 8-bis, comma 1, lett. a, DPR n. 633/1972), che è (e rimane) operazione non imponibile e, quindi, rientrante nel campo di applicazione Iva. Per quanto concerne la risalente giurisprudenza richiamata nel testo, si veda per tutte Cass., SS.UU., 27 giugno 1969, n. 2303. L’amministrazione finanziaria si era conformata all’indirizzo giurisprudenziale definitivamente consoloditatosi nella pronuncia indicata, con la Circolare 14 aprile 1962, n. 2303. Sul punto si veda A. PIZZINI, Regime Iva e cessione di navi destinate ad attività commerciali, in Rass. trib., 1983, II, 37 ss. In proposito, giova rammentare che l’atto di compravendita di nave, nel vigore della legge dell’imposta di registro n. 3269/1923, veniva assoggettato, in quanto trasferimento a titolo oneroso, ad imposizione in misura proporzionale (lire 0,50 ogni 100 lire di valore, cfr. artt. 1, 2 e 4, nonché art. 3 tariffa, parte I, legge citata). Ne consegue che, nel regime allora vigente, la cessione di nave anche armata (i.e. azienda), soggiaceva unicamente all’imposta di registro in misura proporzionale. Attualmente, secondo quando previsto dal testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro (DPR n. 131/1986), la cessione di nave (senza ulteriori specificazioni) soggiace al tributo di registro in misura fissa (Euro 3.873,42, cfr. art. 7, comma 3, tariffa, parte I, atti soggetti a registrazione in termine fisso, DPR n. 131/1986). È altresì noto che, sempre ai fini Iva, la cessione d’azienda non costituisce cessione di beni ai sensi dell’art. 2, comma 2, DPR n. 633/1972. Ne discende che il trasferimento di nave a titolo oneroso soggiace unicamente a tassa di registro, applicata, come si è visto, in misura fissa. Per quanto riguarda la cessione di nave “armate”, la giurisprudenza ha chiarito che, la cessione di nave, anche nei casi in cui essa è fondamentale per l’esercizio dell’impresa e, quindi, nei casi in cui questa costituisca “azienda”, ai fini Iva è sempre considerata cessione di bene (e non di azienda). Da qui ne consegue che l’atto traslativo è unicamente assoggetta ad imposta di registro in misura fissa (cfr. Comm. centr., 18 marzo 1982, n. 1413, in Rass. trib., 1983, parte seconda, 37 ss.). (115) Nel regime Iva attualmente in vigore la cessione di nave (armata o non armata) è assimilata ad una cessione all’esportazione (e non cessione d’azienda), e, pertanto, considerata non imponibile ai fini del tributo in argomento (art. 8-bis, comma 1, lett. a), DPR n. 633/1972). Tale operazione rientra dunque in campo Iva, gode della non imponibilità, e consente a chi la pone in essere di esercitare il diritto alla detrazione dell’Iva sugli acquisti o comunque, come prevede l’art. 8, lett. c), DPR n. 633/1972, di effettuare l’acquisto senza pagamento dell’Iva. RUBRICA DI DIRITTO TRIBUTARIO INTERNAZIONALE E COMPARATO 39 Sp A culativi (ultronei a quelli propri del settore marittimo)” (116). In altri termini, il regime della tonnage tax, inclusa la disciplina sulla generale irrilevanza delle plusvalenze/minusvalenze, rappresenta una misura che ha ad oggetto il trasporto marittimo, e comunque le indicate forme di utilizzazione della nave (117), unico e solo business da agevolare. Come è stato efficacemente osservato dalla dottrina in parola la norma in questione, «mira a contenere la dispersione del valore aziendale delle compagnie di navigazione, difendendolo dagli armatori che avessero pensato di servirsi del regime della tonnage tax quale “volano” per gioiose free tax sales” (118). Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re 6.8. La determinazione del reddito nel sistema della tonnage tax in presenza di attività promiscue. - L’art. 159 del nuovo Tuir si occupa della determinazione del reddito delle imprese marittime che svolgono attività promiscue, vale a dire attività non assoggettate esclusivamente ed interamente al regime della tonnage tax. In particolare, il comma 1 dell’articolo citato dispone che “Il reddito derivante dal contemporaneo svolgimento di attività imprenditoriali diverse da quelle indicate nell’art. 155 non è ricompreso nell’imponibile determinato ai sensi dell’art. 156 e deve essere determinato secondo le disposizioni contenute nella sez. I del capo II”. A tal fine, il comma successivo dell’articolo citato, impone la tenuta di una apposita “contabilità separata”, con modalità che saranno definite con successivo decreto di cui all’art. 161, Tuir. Per quanto concerne “Le spese e gli altri componenti negativi che si riferiscono indistintamente a componenti positivi di reddito ricompresi e non ricompresi nell’imponibile determinato ai sensi dell’art. 156 sono deducibili per la parte corrispondente al rapporto tra l’ammontare complessivo dei ricavi ed altri proventi non ricompresi nell’imponibile determinato ai sensi dell’art. 156 e l’ammontare complessivo di tutti i ricavi e proventi” (119). La dottrina (120) non ha mancato di rilevare che la disposizione so——————— (116) Cfr. A. LOVISOLO, Tonnage tax all’italiana: prime considerazioni sulla bozza di decreto delegato, cit., 473. (117) Cfr. art. 155, Tuir. (118) Cfr. A. LOVISOLO, Tonnage tax all’italiana: prime considerazioni sulla bozza di decreto delegato, cit., 473. (119) Cfr. art. 159, comma 3, Tuir. (120) A. LOVISOLO, Tonnage tax all’italiana: prime considerazioni sulla bozza di decreto delegato, cit., 473-474. 40 PARTE QUARTA Sp A pra riportata “costituisce corollario del fondamentale principio di inerenza (121) di generale applicazione, escludendo, quindi, la rilevanza impositiva dei costi afferenti i ricavi che concorrono alla formazione della base imponibile calcolata ai sensi degli artt. 129 ss., bozza Tuid, (ora leggasi 155 ss., Tuir, n.d.r.) in relazione alla cui determinazione opera il ricordato principio della indetraibilità dei costi al fine della determinazione dell’imponibile forfetariamente calcolato”. Trattasi, pertanto, di una disposizione ricettiva di una regola juris già nota, ma che, di fronte ad un regime speciale e derogatorio, il legislatore ha ritenuto comunque opportuno ribadire e dichiarare expressis verbis applicabile. Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re 6.9. La tonnage tax e il transfer pricing. - Per completezza, accenniamo, infine, alla problematica concernente l’applicazione delle regole del transfer pricing alle imprese marittime che operano in regime di tonnage tax. L’art. 160, comma 2, prevede, ove ne ricorrano le condizioni previste dall’art. 110, comma 7 (122), l’applicazione delle regole e dei principi del transfer pricing in relazione alle “cessioni di beni ed alle prestazioni di servizi fra le società il cui reddito è determinato anche parzialmente ai sensi dell’art. 156 e le altre imprese (…)”. Al riguardo, appare senz’altro condivisibile l’interpretazione prospettata in dottrina (123), secondo la quale “nonostante la portata della disposizione sopra riportata sembri letteralmente riferirsi anche alle imprese marittime con reddito assoggettabile integralmente al regime della tonnage tax, (…) la predetta previsione normativa può trovare applicazione solo in relazione alle società di navigazione con attività promiscua e comunque in riferimento alla attività non soggetta alla tonnage tax. La regola della rilevanza del sindacato di congruità dei prezzi di trasferimento, appare incompatibile con i criteri di forfetizzazione propri della determinazione della base imponibile della tonnage tax”. In realtà, vi è sarebbe altresì da chiedersi se la norma in questione legittimi oppure no l’operatività in ambito domestico della normativa in tema di prezzi di trasferimento: l’introduzione nel nostro ordinamento ——————— (121) Sul principio di inerenza si veda l’art. 109 (ex 75), comma 5, Tuir. (122) Deve trattarsi di transazioni fra l’impresa soggetta alla tonnage tax e società non residenti nel territorio dello Stato, che “(…) direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa (…)” (cfr. art. 110, comma 7, Tuir). (123) A. LOVISOLO, Tonnage tax all’italiana: prime considerazioni sulla bozza di decreto delegato, cit., 475. RUBRICA DI DIRITTO TRIBUTARIO INTERNAZIONALE E COMPARATO 41 giuridico della tonnage tax sembrerebbe riproporre, a mio avviso, la vexata quaestio in merito al tema del transfer pricing interno (124). Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A 7. Cenni alla tonnage tax in Grecia. - Come si è gia avuto modo di osservare, la Grecia è stato il primo Paese ad adottare la tonnage tax. Introdotta nel 1938, la tonnage tax in Grecia è stata oggetto di profonda revisione nel 1975. La tonnage tax greca prevede la determinazione forfetaria dell’imposta ed il tributo, da pagarsi in un’unica soluzione, è indipendentemente dal risultato dell’attività derivante dall’utilizzazione della nave. Conditio sine qua non per l’applicazione del tributo è che la nave batta bandiera greca: pertanto, l’armatore che operi in Grecia utilizzando navi battenti bandiera estera soggiace all’ordinaria imposizione sulle società. Per quanto concerne le modalità di computo, il calcolo della tassa viene operato distinguendo le navi in classi, in base all’età ed a ciascheduna classe di età corrisponde un diverso coefficiente moltiplicativo. La somma ottenuta dall’applicazione di tale coefficiente alle tonnellate di stazza lorda complessive della nave è successivamente “pesata” per un secondo coefficiente individuato sulla base della classe dimensionale della nave (125). In particolare, per quanto concerne la classe dimensionale di navi si distinguono due categorie (126). La prima annovera i seguenti navigli: 1. navi da carico e cisterna con tonnellaggio superiore a 3.000 tonnellate; 2. navi tra 500 e 3.000 tonnellate che trasportino merci verso porti esteri; 3. navi passeggeri se fanno scalo in porti esteri; 4. piattaforme petrolifere e di perforazione ubicate in alto mare. La seconda categoria è una categoria residuale, che comprende tutti gli altri tipi di navigli. Il regime della tonnage tax in Grecia, infine, non è facoltativo, ma obbligatorio. ——————— (124) Su tale problematica si rinvia a F. PORPORA - R. LUPI, op. cit., 1222-1225. (125) A.S. BERGANTINO, La Tonnage Tax: il progetto italiano e le esperienze europee, atti del Convegno I cento giorni e oltre: verso una rifondazione del rapporto fiscoeconomia?, cit., 58. (126) G. PUOTI, La fiscalità marittima nella Unione Europea: la prospettiva italiana anche alla luce della legge delega per la riforma del sistema tributario, cit., 13. 42 PARTE QUARTA Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A 8. La tonnage tax in Olanda. - L’Olanda è stato il secondo Paese in Europa ad adottare il regime della tonnage tax. Tale regime è stato introdotto (127) nell’ambito di una serie di misure volte ad incentivare il settore delle società marittime (128) ed è entrato in vigore il 1° gennaio 1996. Il nuovo regime di tassazione forfetario ha consentito alle imprese armatoriali, previa opzione, di essere assoggettate a tassazione non in base ai proventi effettivamente conseguiti attraverso la flotta, bensì in base a quelli che ogni singola nave era idonea a produrre. La valutazione di questa idoneità viene effettuata in base al tonnellaggio netto, attraverso l’attribuzione di un reddito fisso per ogni 100 tonnellate di stazza netta della nave. In particolare, l’art. 8, c), del Dutch Income Tax (come modificato dalla riforma del 21 dicembre 1995) individua, quali profitti agevolabili, quelli delle navi, di almeno 100 tonnellate di stazza che svolgono le seguenti attività: 1. trasporto marittimo di passeggeri o merci in tratte internazionali; 2. trasporto marittimo di passeggeri o merci per la ricerca o lo sfruttamento di risorse del fondo marino o del relativo sottosuolo; 3. rimorchio e/o assistenza di navi in mare; 4. attività direttamente collegate a quelle citate (non solo la mediazione, il carico e lo scarico delle navi, ma anche la cessione dei beni strumentali utilizzati per le operazioni predette). In caso di dubbi in merito alla concreta attività esercitata dalla nave ed alla sua sussimibilità al regime in parola, è prevista la possibilità per l’impresa armatoriale di presentare apposito ruling per chiedere alle autorità competenti quale sia l’interpretazione della amministrazione finanziaria olandese. L’opzione per il regime della tonnage tax è subordinata, inoltre, alla sussistenza di altri requisiti. Più in particolare, deve trattarsi di una società che “effettivamente esercisca una nave”, ovvero che sia responsabile, nello Stato, della gestione e del controllo delle di navi di cui sia proprietaria in via esclusiva o con altri. Sono considerati esercenti la nave anche i non proprietari che, tuttavia, ne abbiano la disponibilità in forza di un contratto di locazione a scafo nudo (129). ——————— (127) Legge 21 dicembre 1995, ed. Staatsblad, 1995. (128) Per un’analisi dettagliata delle agevolazioni olandesi al settore marittimo si veda P. KAGER - D. PRINSEN, Tax incentives for Netherlands-based maritime shipping enterprises reviewed in an international context, in Intertax, n. 4/1996, 118 ss. (129) Cfr. M. LORENZETTI, La riforma fiscale prevede un forfait per il settore marittimo, cit., 1427. RUBRICA DI DIRITTO TRIBUTARIO INTERNAZIONALE E COMPARATO 43 sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A Quanto precede evidenzia che nel regime della tonnage tax olandese non rileva tanto la proprietà della nave quanto il suo effettivo esercizio. Ciò è coerente con i principi del diritto della navigazione in cui, nel caso di locazione della nave, armatore è solo il locatario. La legislazione olandese prevede dei momenti precisi in cui è possibile effettuare l’opzione: quello di entrata in vigore della legge in cui sono contenute le disposizioni sulla tonnage tax, quello del primo anno in cui l’impresa produce redditi da attività di navigazione in Olanda (per quelle nuove o per quelle straniere che si siano trasferite). Il regime olandese prevede la determinazione forfetaria del reddito imponibile, cui applicare l’ordinaria corporation tax, secondo un sistema di fasce di tonnellaggio di ordine regressivo, in modo che a tonnellaggi più alti corrispondano redditi più bassi. Il profitto fisso giornaliero, viene, poi moltiplicato per il numero dei giorni dell’esercizio, oppure per i giorni di effettiva gestione della nave. In questo modo si ottiene il reddito imponibile per ogni singola nave. Questa operazione va ripetuta per ogni singola nave della flotta. Soltanto alla fine i singoli profitti verranno sommati ed andranno, così determinati, a costituire la base imponibile insieme agli altri redditi. Il regime optato vincola l’impresa marittima per 10 anni, al fine di evitare che il contribuente compensi le perdite sotto il regime ordinario per poi passare, a seconda delle convenienza, al regime della tonnage tax quando tutte le perdite siano state dedotte e si presume che i redditi futuri imponibili saranno alti. Fa sc ic o lo 9. La tonnage tax nel Regno Unito. - Il regime della tonnage tax nel Regno Unito è stato introdotto con la Finanziaria del 28 luglio 2000 (Finance Act 2000) (130). Tale regime ha consentito la rinascita nel Regno Unito di un settore in crisi quale, appunto, quello dello shipping ed ha consentito allo stesso di competere con i principali concorrenti stranieri i quali fossero già dotati di un simile regime. Esso è basato approssimativamente sul modello olandese. Si tratta di un regime facoltativo ossia le società armatoriali possono scegliere se mantenere il sistema vigente o se optare per il regime di tonnellaggio, nel qual caso l’impegno di tassare le attività marittime in ——————— (130) La clause 81 (tonnage tax) del provvedimento citato recita che “schedale 22 to this Act has effect”. La disciplina compiuta dell’istituto si trova, pertanto, nell’allegato 22. 44 PARTE QUARTA Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A base a tale regime è per un minimo di 10 anni e può essere rinnovato in qualsiasi momento. Anche nel Regno Unito i requisiti per accedere al regime della tonnage tax sono legati alle caratteristiche del soggetto e dell’attività che questi svolge. Deve trattarsi di una società o di un gruppo di società che abbiano certe caratteristiche: si tratta, in particolare, delle qualifying companies di cui al par. 8 dell’allegato 22 del Finance Act 2000. Innanzitutto, occorre che: 1. le imprese amatoriali siano soggette alla ordinaria tassazione sulle imprese; 2. il posizionamento delle navi e della sede sociale sia localizzato nel Paese. Non è, tuttavia, richiesto che una società localizzi tutte le sue attività nel Regno Unito, o registri le sue navi sotto bandiera inglese, o operi nelle acque territoriali inglesi; 3. le navi gestite abbiano, a loro volta, determinate caratteristiche. Così come la normativa olandese, anche quella inglese dà rilevanza alla gestione ed al controllo della nave piuttosto che alla proprietà. In caso di noleggio, sono, tuttavia, previste delle limitazioni. Il regime della tonnage tax è, infatti, accessibile a condizione che le navi noleggiate non superino il 75 per cento della flotta. Non tutte le navi o tutte le attività marittime consentono ai soggetti suindicati l’accesso al regime della tonnage tax. Secondo il Finance Act 2000, infatti, devono ricorrere alcune condizioni di carattere oggettivo: 1. la nave non deve rientrare in alcune tipologie, tassativamente elencate nel Finance Act (131) (ad esempio, pescherecci e navi per la lavorazione del pesce, imbarcazioni il cui uso primario è quello sportivo o ricreativo, traghetti utilizzati nelle tratte fluviali, alcuni tipi di petroliere (132), draghe). Trattasi, in sostanza, di navi il cui uso non è strettamente connesso al trasporto marittimo in senso stretto; 2. la stazza della nave deve essere pari o superiore alle 100 tonnellate (133); 3. le attività marittime devono avere per oggetto il trasporto di passeggeri o merci, il rimorchio o il soccorso in mare, nonché il trasporto collegato ad attività che devono essere svolte necessariamente in mare (si ——————— (131) Cfr. par. 20 del provvedimento citato. (132) Per l’individuazione delle quali sia consentito rinviare alla section 2 dell’Oil Taxation Act del 1983. (133) Cfr. par. 19 del provvedimento citato. RUBRICA DI DIRITTO TRIBUTARIO INTERNAZIONALE E COMPARATO 45 Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A pensi, ad esempio, al caso delle navi posacavi, utilizzate per la posa e la riparazione dei cavi telegrafici e telefonici sottomarini) (134). Sono escluse la cessione di beni e la prestazione di servizi, che potrebbero essere effettuati nella terraferma (135) (ad esempio i supermercati o casinò galleggianti, i cui proventi sono esclusi dal regime in commento). Il regime della tonnage tax inglese attrae a tassazione non solo gli utili derivanti dalle attività sopra elencate, ma anche le plusvalenze derivanti dalla cessione di beni (navigli) che sono utilizzati per lo svolgimento delle attività tonnage. Rientrano altresì nella determinazione forfetaria del reddito imponibile anche i dividendi percepiti da società di navigazione straniere, purché maturino nel periodo in cui la società inglese è soggetta al regime della tonnage tax. A tal fine è richiesto che le controllate estere abbiano le seguenti caratteristiche: 1. devono gestire “navi tonnage” (136); 2. devono essere controllate da una o più società residenti nell’Unione europea; 3. devono rispettare il test del 75 per cento (137); 4. devono produrre profitti che rientrerebbero del regime tonnage se le società avessero sede nel Regno Unito. Tutte le società ammesse al regime della tonnage tax devono accettare un impegno di addestramento minimo che prevede ogni anno il reclutamento di un nuovo ufficiale tirocinante per ogni quindici ufficiali da questi impiegati (di qualsiasi nazionalità ). L’applicazione della tonnage tax nel Regno Unito prevede, infine, come nel regime olandese, la determinazione forfetaria del reddito imponibile, cui applicare l’ordinaria corporation tax, secondo un sistema di fasce di tonnellaggio di ordine regressivo, in modo che a tonnellaggi più alti corrispondano redditi più bassi. Il profitto fisso giornaliero, viene, poi moltiplicato per il numero dei giorni dell’esercizio, oppure per i giorni di effettiva gestione della nave. In questo modo si ottiene il reddito imponibile per ogni singola nave. Questa operazione va ripetuta per ogni singola nave della flotta. Soltan- ——————— (134) Nonostante queste navi siano considerate qualifying, soltanto i proventi strettamente connessi alla navigazione rientrano nel regime della tonnage tax. (135) Cfr. par. 19 del provvedimento citato. (136) Cioè quelle di cui al par. 19. (137) Vedi supra. 46 PARTE QUARTA to alla fine i singoli profitti verranno sommati ed andranno, così determinati, a costituire la base imponibile insieme agli altri redditi. L’esercizio dell’opzione è consentito solo entro un anno dall’entrata in vigore della legge. Scaduto tale termine, l’opzione è ancora possibile, ma solo per le società che non avevano i requisiti e che li hanno acquistati per la prima volta dopo tale data. sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A 10. La tonnage tax in Norvegia. - La Norvegia ha introdotto la tonnage tax a partire dal 1° gennaio 1996 come sistema di determinazione forfetaria dell’imposta. I soggetti che possono accedere al regime in parola sono soltanto le società di capitali norvegesi, mentre le società straniere operanti in Norvegia hanno potuto usufruire della tonnage tax solo per un triennio. Trattandosi di una applicazione soggettiva, sono rigorosamente indicate le attività il cui reddito è determinato in via forfetaria: vengono, ad esempio, escluse le attività ausiliarie, le attività di ricerca ed estrazione del petrolio. Le plusvalenze derivanti dalla cessione del naviglio sono attratte dal sistema di determinazione forfetario del reddito. Sono escluse, sotto un profilo oggettivo, le navi di stazza inferiore a 100 tonnellate nonché le navi adibite esclusivamente al traffico interno, mentre non è rilevante il requisito della bandiera né del Paese di registrazione. Il regime norvegese prevede la determinazione forfetaria dell’imposta (modello greco). Il calcolo dell’imposta viene effettuato con un importo giornaliero applicato al tonnellaggio della nave. Il regime della tonnage tax oltre ad essere opzionale non prevede una durata: infatti, si può uscire dal regime in qualunque momento. Fa 11. La tonnage tax in Germania. - La Germania è stato il quarto paese europeo ad introdurre la tonnage tax e lo ha fatto nell’ambito della legge regolatrice le imposte sui redditi. L’imposta viene applicata sia alle persone fisiche che alle società e rispetto a tutti i redditi prodotti da navi possedute o noleggiate. L’opzione ha durata decennale e la nave deve essere iscritta nel registro tedesco e deve essere gestita attraverso una sede tedesca. Le attività i cui redditi rientrano nel campo applicativo della tonnage tax sono quelle collegate al trasporto di merci e di passeggeri, restando esclusi solo i redditi derivanti dal noleggio a scafo nudo. Le plusvalenze derivanti dalla cessione della nave sono incluse nella determinazione forfetaria del reddito. RUBRICA DI DIRITTO TRIBUTARIO INTERNAZIONALE E COMPARATO 47 L’applicazione della tonnage tax in Germania prevede, infine, come nel regime olandese, la determinazione forfetaria del reddito imponibile, cui applicare l’ordinaria corporation tax, secondo un sistema di fasce di tonnellaggio di ordine regressivo, in modo che a tonnellaggi più alti corrispondano redditi più bassi. Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A Conclusioni. - Alla luce di tutto quanto detto si possono trarre le seguenti conclusive osservazioni. La normativa italiana in tema di tonnage tax, per quanto attesa ed invocata dagli operatori del settore dello shipping, persegue il dichiarato obiettivo di impedire che gli imprenditori marittimi di ciascuno Stato membro dell’Unione europea possano ricorrere a bandiere di convenienza, diversificando le proprie attività, a seconda che, il luogo di svolgimento dell’attività sia l’Europa od un paese terzo. Sarebbe comunque auspicabile a livello europeo l’elaborazione di una strategia e di un progetto comuni ed unitari volti ad aumentare la competitività di tutti gli armatori europei anziché demandare ad ogni singolo Stato il compito di arginare il fenomeno della migrazione verso bandiere di convenienza. Per quanto concerne il regime della tonnage tax delineato dal legislatore italiano, non v’è dubbio che quest’ultimo si sia ispirato ed uniformato agli standard europei. Peraltro, l’aver previsto la necessaria iscrizione del naviglio nel registro internazionale italiano quale conditio sine qua non di ammissione al regime della tonnage tax della compagnia di navigazione che lo possiede, pare essere una peculiarità italiana, la quale implica, in violazione della legge delega, l’esclusione dall’ambito applicativo del sistema impositivo forfetario, di una considerevole parte delle imprese marittime nazionali e comunque esclude dal medesimo le attività di gestione delle navi fra porti comunitari e/o italiani. Il modello di tonnage tax adottato dall’Italia è riferibile a quello olandese, che prevede la determinazione forfetaria della base imponibile. In verità, la differenza con la tonnage based corporation tax (modello greco) è, tuttavia, più formale che sostanziale. Infatti, il reddito resta rigidamente parametrato al tonnellaggio e nessuna rilevanza assumono le altre componenti positivi e negative che, di regola, intervengono a determinarlo. Al di là della forma, non propriamente “sostitutiva”, la tonnage tax italiana (come quella olandese), risulta essere nella sostanza, giacché deroga integralmente ai criteri utilizzati per l’imposizione sulle società tranne per quanto riguarda l’applicazione finale dell’aliquota. 48 PARTE QUARTA Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A Dalla breve analisi delle esperienze europee nel campo della tonnage tax può agevolmente osservarsi che il meccanismo di tassazione introdotto da alcuni Paesi europei presenta aspetti di identità ma anche profili differenziali. Così la tonnage tax si presenta il più delle volte come una tassazione opzionale (per un periodo normalmente decennale), ma anche come unica ipotesi di tassazione senza alternative (Grecia). Quanto ai soggetti, in alcune ipotesi dal meccanismo impositivo sono escluse le società non residenti, in altri casi si guarda alla circostanza che il soggetto abbia una attività di gestione e amministrazione principale nel territorio dello Stato. In alcuni Paesi è necessario che la nave sia iscritta al registro nazionale o batta bandiera nazionale (Grecia), in altri si richiede la sola iscrizione al registro nazionale (Germania), mentre in Olanda ed Inghilterra non si tiene conto della bandiera né del registro. Le attività i cui redditi sono ricompresi nel regime della tonnage tax sono sostanzialmente identiche, anche se talvolta si esclude la navigazione interna. Regola costante è rappresentata dalla attrazione da parte del regime forfetario delle plusvalenze/minusvalenze derivanti dalla cessione del naviglio. I paesi che recentemente hanno introdotto la tonnage tax hanno preferito il sistema olandese perché in apparenza presenta una formula nominalmente non sostitutiva e consente di evitare complessi calcoli cui soggiace il modello greco. Per il caso italiano, solo il tempo, il mercato e le reazioni dei diretti interessati (imprese armatoriali), potranno esprimere il loro giudizio su quale sia il sistema migliore di tassazione forfetaria. FRANCESCO PORPORA Bibliografia AA.VV., Aiuti di stato nel diritto comunitario, Atti del convegno di studi tenutosi a Roma il 17 settembre 2003 presso Aula Magna della Corte di Cassazione, in Rass. trib., n. 6-bis/2003. F. AMATUCCI, La discriminazione di trattamento nel modello Ocse, in V. Uckmar (a cura di), Corso di diritto tributario internazionale, Padova, 2002, 599 ss. M. BASILAVECCHIA, La tonnage tax, in Corr. trib., 2002, fasc. 44, 4025. A.S. BERGANTINO - E. LONGOBARDI, Comincia dalla tonnage tax il rilancio della flotta italiana, in Il Sole-24 Ore, 22 giugno 2001, 17. RUBRICA DI DIRITTO TRIBUTARIO INTERNAZIONALE E COMPARATO 49 Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op yr ig ht G iu f fre 'E di to re Sp A A.S. BERGANTINO - P. MARLOW, Factors influencing the choice of flag: empirical evidence, in Maritime Policy and Management, Taylor & Francis, Londra, vol. 25, n. 2, 157 ss. A.S. BERTGANTINO - P. O'SULLIVAN, Flagging out and international registries: main developments and policy issues, in International Journal of Transport Economics, IEPI, Pisa, 1999, vol. 26, n. 3, 447 ss. A.S. BERGANTINO - E.G. VALENTI - G. LOFFREDA - L. SISTO, The Italian Shipping Industry: The Challenge Ahead. From Bareboat Charter Registration to the International Register, 2000, Teseo Editore, Roma. A.S. BERGANTINO, L’evoluzione dello shipping alla luce delle teorie di specializzazione produttiva, in Trasporti Europei, 1998, n. 8-9, 46 ss. A.S. 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Paesi che applicano la Tonnage based coporation tax Olanda Tutti i soggetti che hanno una presenza qualificante (qualifying presence) in Gran Bretagna e che svolgono attività di gestione su navi proprie, noleggiate a scafo nudo o in leasing: su navi a noleggio temporaneo o a viaggio ovvero su navi di altre compagnie di navigazione (limite del 75 per cento se non appartengono allo stesso gruppo). Solo società di capitale. Tutti i soggetti residenti in Germania che svolgono attività di gestione su navi proprie o noleggiate. Tutti i soggetti che svolgono in Olanda un livello significativo (substantial degree) di attività di gestione su navi proprie (> 5 per cento) o noleggiate a scafo nudo, su navi in noleggio temporaneo o a viaggio (vincolo del 3:1) ovvero su navi di altre compagnie di navigazione (complessivamente 70 per cento: 3:1 non cumulato). Sp re di to 'E fre iu f G ht yr ig -C 05 20 1_ sa gg io Società ammesse Opzionale. 10 anni. Entro un anno. • Redditi derivanti dall'utilizzazione della nave e redditi ad essa strettamente correlati (shipping relates activities rivendute a costo); • Restano esclusi quelli derivanti dall'attività portuale conto terzi (carico/scarico, pilotaggio, rimorchio). sc ic o lo Regime Tempi Fa Redditi inclusi A Germania op Requisisti per l'applicabilità Gran Bretagna Anche società di persone e persone fisiche Opzionale. 10 anni. Entro un anno. • Tutti i redditi derivanti da attività collegate al trasporto di merci e di passeggeri • Plusvalenze • Non sono inclusi i redditi derivanti dal noleggio a scafo nudo. Solo società di capitale. Opzionale. 10 anni. Entro un anno. • Tutti i redditi derivanti dall'utilizzazione della nave. • Tutti i redditi derivanti da operazioni di carico/scarico e da brokeraggio marittimo (3:1) • Per le navi da crociera/passeggeri rientrano anche i redditi derivanti RUBRICA DI DIRITTO TRIBUTARIO INTERNAZIONALE E COMPARATO yr ig ht G iu f fre Fa sc ic o lo sa gg io 1_ 20 05 -C op Traffici re Sp A dall'attività di ristorazione, alberghiera, di vendita, etc. • Tutti i redditi derivanti da attività di gestione (navi proprie o di terzi) se questa è svolta prevalentemente nel territorio dello Stato. • Interessi sul working capital. • Dividendi esteri. • Plusvalenze. • Non sono inclusi gli slot/space charter e i redditi derivanti dal noleggio a scafo nudo. Nessuna esplicita distinzione. di to 'E • Dividendi esteri (se la compagnia che li rimette è posseduta almeno al 50 per cento nella EU (50 per cento voting power) se i redditi rientrassero nella TT e se rispettato il vincolo del 75 per cento). • Interessi sul trading and working capital • Plusvalenze. • Non sono inclusi gli slot/space charter e i redditi derivanti dal noleggio a scafo nudo. Nessuna esplicita Nessuna esplicita distinzione. distinzione. 53 54 PARTE QUARTA 2. Paesi che applicano la tonnage tax in senso stretto Tutte le navi che rientrano nelle seguenti categorie: categoria I: • Navi da carico e cisterne di dimensione superiore alle 3.000 tsl. • Navi tra 500-3.000 tsl se fanno scalo in porti esteri • Navi passeggeri se fanno scalo in porti esteri; • Altre imbarcazioni particolari (piattaforme di perforazione, etc.) categoria II: tutte le altre navi. Anche a società non residenti. Navi di proprietà, in leasing o noleggiate. ht yr ig op -C 20 05 Bandiera/Registro sc ic o lo sa gg io 1_ Regime Tempi Fa Sp re di to 'E fre Solo società di capitali norvegesi; le società straniere hanno potuto usufruire del regime solo per tre anni (fino al 1999) Bandiera/registro non Applicabilità legata alla rilevante. bandiera. Opzionale Obbligatorio. Si può uscire dal regime in qualunque momento. Internazionali e domestici Internazionali e domestici • Plusvalenze derivanti dalla Tutti. cessione della nave Esistono particolari • Working capital (liquido) agevolazioni: • Navi costruite ed iscritte Non sono inclusi: al registro greco per i primi 1. redditi da attività ausiliarie; sei anni di vita. 2. attività di ricerca ed • Navi che svolgono servizio di linea passeggeri estrazione del petrolio; 3. redditi derivanti da (meno 50 per cento). attività di gestione. • Navi da carico che svolgono servizio regolare tra la Grecia e porti esteri o tra porti esteri. G Società ammesse Traffici Redditi inclusi A Novergia iu f Requisisti per l'applicabilità Grecia