il pentagramma - La Voce del Popolo

LA VOCE
DEL POPOLO
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il pentagramma
De artistica veritate
musica
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VII
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57 • Mercoledì, 28 mar
di Patrizia Venucci Merdžo
Cari lettori,
speravo di non doverlo scrivere, ma non posso farne
a meno: andare al Teatro dell’opera di Fiume è sempre
più frustrante e penoso.
Purtroppo non posso osservare come il mio collega
fiorentino in merito alla “Manon Lescaut” al Comunale di Firenze dell’anno scorso: “...l’Intermezzo, sublime nella sua verve drammatica che già preannuncia
l’ultima tragica unione dei due amanti in articulo mortis, stupenda pagina strumentale accolta da calorose e
scroscianti ovazioni, per infine raggiungere il suo punto
apicale nell’aria di Manon Lescaut Sola perduta abbandonata...... un abile Geronte de Ravoir perfettamente caratterizzato, ora con punte comiche, ora superlativamente vendicativo..Classico e di successo l’allestimento della
Lyric Opera Chicago del 2005...Un rientro che emoziona con un’opera dal fascino sublime, nel momento più
critico per la storia del teatro”. Ma quale “verve”, ma
quale passione né emozioni! per la recente première
“Manon Lescaut” all’“Ivan Zajc”, annunciata come il
culmine della stagione lirica!
Nessuna autoflagellazione né digiuno quaresimali
mi avrebbero procurato tanta sofferenza morale quanto l’allestimento del duetto Kica-Japelj, rispettivamente regista e scenografo, apostoli forsennati della scuola
tedesca alla cui base sta la dogmatica formula del “trapianto automatico dell’azione” in tempi moderni, da
leggere “stravolgimento totale”. In realtà tale modo di
agire è una forma di vassallaggio mentale e culturale,
non meno che un’incapacità di proporre un’altra via,
che magari sintetizzi le intenzioni primigenie dell’autore e una rappresentazione non manierata e ripulita da
inutili fronzoli.
Ragionare in termini di etichette schematiche e riduttive come “allestimento tradizionalista” (pronunciato con disgusto) o “modernista“, visto come come
incarnazione di tutto quello che sarebbe “progressista”
(altra etichetta), è decisamente sorpassato. Il discorso è
un tantino più sottile, ed a ogni modo il principio guida
dovrebbe essere la ricerca della “verità artistica”; che
se non emerge, se non riesce a far breccia, è grave.
Purtroppo, dopo la disastrosa, funerea e fuligginosa
Traviata di qualche anno fa, ci è ricapitato Marko Japelj, scenografo “di grido” (o meglio, da urlo isterico), con
le sue eresie postmoderne che con Puccini c’entrano
come i cavoli a merenda. Scriveva infatti il Maestro lucchese nel 1923, al grande Toscanini: “...tu mi hai dato
la più grande soddisfazione della mia vita, la Manon
nella tua interpretazione è al di sopra di quanto io pensai a quei tempi lontani. Tu hai reso questa mia musica
con una poesia, con una “souplesse” e una passionalità
irraggiungibili.Proprio ho sentito iersera tutta l’anima
tua grande e l’amore per il tuo vecchio amico e compagno nelle prime armi. Io sono felice perché tu hai sopra
tutti saputo comprendere tutto il mio spirito giovane e
appassionato di trent’anni fa! Grazie dal profondo del
mio cuore!”
No, non si può “trapiantare” Puccini nella nostra
epoca, perché il suo patrimonio di sentimenti non appartiene al nostro tempo banale, omologato e senza bellezza. Puccini è il grande pittore dei sentimenti e delle
atmosfere. Se smorzi i primi e accoppi le seconde che ti
resta? Ma a queste “quisquilie” i santoni “dell’arte moderna” non ci arrivano proprio.
Nel primo atto della Manon fiumana, l’azione era
costretta entro una mastodontica, tetra e incombente
muraglia (parevano le mura di Gerico in una notte senza luna), che doveva stare per la taverna. Nell’atto secondo – bisogna rilevare che il Japelj ha il “complesso
del cubo”; già in Traviata i convitati di Flora facevano
baldoria (tutti in nero) “incubati” dentro un cubo nero
come la pece – le prostitute stanno entro una gabbia a
rotelle, manco a dirlo, cubica. Nell’atto quarto, (scena nel deserto), oltre alle citate “mura di Gerico”, i due
amanti stavano incubati entro un cubo-rettangolo (al
primo momento li avevo presi per Aida e Radames). Evidentemente il deserto come scena era troppo “barocca”
per i gusti di Japelj e le sue letture “cubiste-astratto-metaforiche”.
Come sostiene Zeffirelli, “si fanno troppi inutili sperimentalismi”.
C’è qualche cosa di immorale in codesto atteggiamento di arroganza intellettuale di ‘sti “guru”, e nella
precisa, lucida e sistematica volontà di imporre, al pubblico impotente, da posizioni di potere, queste letture
false e al limite della crudeltà mentale. Lontanissime
peraltro anche dalla sensibilità di un pubblico mediterraneo.
Siamo in tempi di crisi e depressione materiale e morale. Uno a teatro ci va magari anche per dimenticare
gli assilli del quotidiano. A che diavolo ci serve la visione di spettacoli piatti, angoscianti, affondati di regola
nel nerume più avvolgente? Possiamo ben dirlo: siamo
stati defraudati della gioia di andare a teatro.
Dopo un’assenza di 79 anni di “Manon Lescaut”
dalla scena di Fiume, ci meritavamo ben altro; e se gli
amanti del “vero” Puccini avevano posto delle aspettative, sono rimasti profondamente delusi.
Immancabilmente Vostra
2 musica
Mercoledì, 28 marzo 2012
PEDAGOGIA MUSICALE L’associazione «Sretna misao» educa i bimbi alla musica e al
Crescere e socializzare nel magico
di Patrizia Chiepolo Mihočić
ZAPREŠIĆ (ZAGABRIA) Prendi una chitarra, un paio di maracas, alcuni tamburelli e xilofoni, o “glockenspiel”, aggiungi un
gruppetto di bambini dai due ai
quattro anni, possibilmente con un
bel ciuccio in bocca, e il gioco è
fatto. In men che non si dica li vedrai suonare, ballare e muoversi al
ritmo della musica. Tutto questo
succede durante l’ora di lezione
del programma “Kindermusik”,
che si basa sul metodo pedagogico
Montessori.
più adatto. E poi era già strutturato, non avevo bisogno di eventuali verifiche da parte del Ministero
dell’istruzione.”
- I laboratori includono bambini da 0 a 8 anni. Com’è possibile far partecipare attivamente dei
bambini così piccoli?
“Il programma ‘Village’ comprende praticamente neonati dai
0 ai 18 mesi. Il nostro partecipante più giovane al momento
ha 4 mesi. È rapito dalla musica!
Ascolta a bocca aperta i suoni e si
Con i più piccolini si fanno degli
esercizi specifici, tipo massaggi,
baby fitness e movimenti che
sviluppano la vista ed i muscoli
oculari; il tutto accompagnato da
una musica dolce
Tutti insieme allegramente
«Il programma ‘Village’ coinvolge neonati e frugoli
fino ai 18 mesi. Il nostro ‘partecipante’ più piccolo
al momento ha 4 mesi. È rapito dalla musica! Ascolta
a bocca aperta i suoni e si rilassa»
Ho scoperto questi laboratori musicali per bambini dai 0 agli 8
anni per puro caso, navigando su Internet. Mi è sembrata da subito una
cosa molto interessante. Perchè non
visitarli di persona? Un viaggio fino
a Zaprešić in un freddo pomeriggio
di marzo, mi ha permesso di scoprire come dei bambini così piccoli riescano a seguire la musica e le note
con un programma che tra l’altro
si svolge in lingua inglese (seguita dalla traduzione momentanea in
croato). Presso l’associazione “Sretna misao” (Pensiero felice) abbiamo
incontrato Maja Lončar, portatrice
di questo progetto a Zagabria e dintorni. Giovane, simpatica e piena di
verve, Maja ci ha raccontato come
nasce questo tipo di laboratorio.
“L’associazione ‘Sretna misao’ nasce nel 2009 con lo scopo
di educare i bambini alla musica
attraverso questo progetto, ovvero Kindermusik. Il mio sogno era
quello di offrire a bambini così
piccoli un’educazione musicale divertente che aiutasse loro un
giorno a scegliere magari di entrare a far parte di una scuola di
musica e di amare uno o più strumenti. Questo progetto, che nasce in America, mi sembrava il
rilassa. Con questi piccolini si fanno degli esercizi specifici, come
massaggi, baby fitness e movimenti che sviluppano la vista ed i
muscoli oculari, il tutto accompagnato da una musica dolce che li
introduce in questo mondo magico
fatto di note.”
- Il gruppo presente in questo
momento nella stanza ha dai due
ai quattro anni, e vedo che i pargoletti hanno molta dimestichezza
con questi strumenti.
“Al loro arrivo li lasciamo per
lo più esplorare gli strumenti. Si
può vedere come si divertono a
fare baccano con essi. Poi si passa
al programma vero e proprio.”
Ci sono strumentini Orff, ma
anche altri oggetti che portano la
firma Kindermusik.
“Sono strumenti che fanno parte di questo progetto come uova di
plastica e palline morbide ripiene
di sabbia che servono per suonare
come delle maracas, ma che sono
più interessanti ai bambini per forma e colore. Abbiamo una cesta
piena di questi ‘strani’ oggetti che
usiamo durante le lezioni.”
I piccolini si stanno sistemando e noi ci mettiamo in un angolino per vedere cosa succede.
Cling-clang...bum-bum. Toh, ma pensa tu che suoni...
Un metodo valido per i bambini di tutto il mondo
Cos’è Kindermusik?
Kindermusik è il leader mondiale nel programma musicale per
i bambini che ha lo scopo di portare la musica nella vita dei bambini di tutto il mondo tramite un
efficace e divertente programma
musicale composto da libri, CD
audio e attività corporee sviluppate appositamente seguendo le
tecniche psico-pedagogiche più
adatte per il bambino. Si basa sulle opere di esperti mondiali come
Piaget, Montessori e Greenspan.
Con oltre 5,000 educatori attivi in
più di 66 paesi al mondo Kindermusik è il più grande programma
di musica in tour nel mondo (24
ore al giorno, 365 giorni all’anno!)
Da oltre 30 anni, Kindermusik International sta contribuendo allo sviluppo psico-pedago-
gico di centinaia di migliaia di
bambini. Il programma Kindermusik, infatti, è nato agli inizi degli anni 60 come “Musikalische
Fruherziehung” ovvero “musica
per il bambino piccolo”, durante
una permanenza di Daniel Pratt,
docente di musica di Princeton,
in Germania. Con il suo metodo,
Daniel è riuscito a riunire il sapere popolare e l’intuito genitoriale alla ricerca scientifica, creando
un metodo valido per i bambini
di tutto il mondo.
La ricerca scientifica conferma l’assoluta validità del metodo
Kindermusik, l’impatto della musica sullo sviluppo psico-sociale
e pedagogico del bambino, facilitando enormemente l’apprendimento della lingua. Per questo
motivo da alcuni anni è stato introdotto il programma ABC Mu-
sic & Me. La ricerca indica che i
bambini possono ottenere un ricco vocabolario tramite canzoni,
storie illustrate, e rime musicali.
ABC Music & Me contiene tutto queste cose che impegnano i
bambini a tutti i livelli dell’inglese parlato e affinano grandemente la loro capacità di ascolto. Durante le lezioni, i bambini avranno modo di esprimere fisicamente
il significato del vocabolario che
avranno in un primo tempo imparato tramite giochi manuali, movimenti delle mani e molte altre
azioni corporee.
Con ABC Music & Me i bambini cominciano ad imparare l’inglese già dai due anni, in un ambiente divertente e creativo, cantando, giocando e sviluppando in
modo costruttivo la capacità di
socializzare e relazionarsi.
Il cestone delle meraviglie!
musica 3
Mercoledì, 28 marzo 2012
movimento con il progetto «Kindermusik», basato sul metodo pedagogico Montessori
mondo dei suoni e della musica
I bambini del gruppo che va dai 4
agli 8 anni, hanno già una discreta
conoscenza della musica e delle
note. Suonano su spartiti scritti,
improvvisano o portano delle
canzoncine scritte da loro
Dopo aver giocato per un po’ da
soli, Maja prende una chitarra e si
mette a cantare in inglese. Come
per magia tutti i bambini, in compagnia delle loro mamme, seguono le richieste fatte dalla loro maestra. Questo programma porta il
nome ABC Music & me (ABC la
musica ed io), ed è questa la frase che si ripete durante le canzoncine, seguita da un “ordine”
tipo wash our hands (laviamo le
mani), let’s jump (saltiamo) che i
presenti eseguono al suono della
musica. Si divertono un mondo e
si vede!
Dopo aver giocato, segue la
parte “seria”. Dal CD si sentono vari suoni e melodie, note alte
e note basse. Il loro compito sarà
quello di seguirle con le maracas, ovvero gli ovetti di plastica: i
toni alti vengono mostrati alzando
le manine, quelli bassi suonando,
battendo con gli ovetti a terra. Oppure devono semplicemente ascoltare dei suoni ed indovinare di che
cosa si tratta; tipo il fischio del treno, il cinguettio di un uccellino…
E che sorrisi sodisfatti quando la
maestra li loda. Un’ora in allegria
passa velocemente, ed i piccolini
danno spazio ai loro amichetti più
grandi. È l’ora del Kindermusik
for the young child (Kindermusik
per bambini piccoli).
“Questo gruppo comprende
bambini dai 4 agli 8 anni che hanno già una discreta conoscenza della musica e delle note. Suonano su
spartiti scritti, improvvisano o portano delle canzoncine scritte da
loro. Questa è sicuramente una valida preparazione per coloro i quali desiderano frequentare un giorno
la scuola di musica. Si acquisiscono varie tecniche musicali, si impara ad ascoltare e a suonare diversi strumenti. Tutti i nostri grup-
pi comprendono un massimo di 8
bambini. Le lezioni si svolgono
una volta alla settimana e la durata dipende dall’età: i più piccoli le
frequentano per 8 settimane, quelli
più grandi 16. Abbiamo i laboratori
divisi in sei posti diversi nella zona
di Zagabria e dintorni. Oltre alle lezioni svolte in sede, i genitori possono ricevere degli albi e libri con
CD, in lingua inglese, da usare anche a casa”, conclude Maja.
La passione pedagogica di Maja Lončar
Maja Lončar è nata a Bjelovar nel 1981 dove ha frequentato la scuola elementare. Frequenta la scuola media
superiore di musica “Vatroslav Lisinski” a Zagabria nella
classe della prof. Elvira Happ.
Nel 1999 si iscrive all’Accademia di musica (strumenti a
percussione) nella classe del
prof. Igor Lešnik. Sentendo
il bisogno di educare anche
i bambini alla musica, Maja
termina il corso per educatori Kindermusik e fonda l’associazione “ Dječji glazbeni svijet“ con lo scopo di invogliare
i bambini alla musica già dalla
più tenera età.
Su le braccia! Un, due, un, due... do-re-mi-fa-sol! (Ma si divertono di più le mamme o i bambini?!)
“Bati, bati le manine...”
Silenzio, prego! Il concerto è in corso
4
mus
Mercoledì, 28 marzo 2012
IL NOVECENTO E LA MUSICA SACRA
Il Maestro compose la Messa come reazione ad
La Messa di Stravinski un unicum ne
di Umberto Bombardelli
P
er secoli, musicare i testi canonici della messa è stato un
compito svolto da compositori legati da un vincolo professionale pressoché esclusivo con la Chiesa
(non importa se cattolica, come nel
caso di Palestrina o Mozart, o luterana come per J.S. Bach). Musicisti che
- per una parte rilevante della propria
vita - si sono identificati con il servizio alla Parola divina. Musicisti che
in alcuni casi (e pensiamo ancora una
volta a Bach) hanno concepito - in
una visione evidentemente ancora integrale della fede - il loro fare musicale come parte assolutamente integrante della propria vita cristiana.
In alcuni casi - al contrario - il musicare i testi della messa ha costituito semplicemente la testimonianza
di un fugace erompere del senso religioso in animi, fino a quel momento
(e, a volte, dichiaratamente), lontani
da una reale fede cristiana. Pensiamo
alla Missa Solemnis di Beethoven o a
Giuseppe Verdi che - profondamente,
e personalmente, colpito dalla morte
di Alessandro Manzoni - scrive la sua
drammatica, e popolarissima, Messa
da Requiem.
Punto nodale tra due
periodi creativi
Accostandoci invece alla Messa
per coro e doppio quintetto di fiati,
scritta tra il 1944 il ‘47 da Igor Stravinskij, le cose cambiano. Ci troviamo, infatti, di fronte ad un unicum sia
per quanto riguarda la sua genesi sia
per il ruolo che questo capolavoro ricopre nel panorama musicale del Novecento, così povero di opere sacre di
significativo spessore artistico.
avanti il ruolo che l’Autore attribuirà
a questi ultimi, specifici elementi costruttivi.
La genesi
Sappiamo che l’idea di comporre la Messa venne a Stravinskij come
reazione istintiva ad alcune messe di
Mozart, scovate a Los Angeles nel
’42 in un negozio di libri di seconda
mano. Lo stile mozartiano gli apparve
“rococò e operistico”; le messe come
“dei dolci peccatucci” musicali. Esattamente il contrario di ciò che, nella
sua mente, avrebbe dovuto essere una
vera messa. A questa istintiva repulsione, si univa l’impressione di completa decadenza che il compositore
ricavava dalla musica sacra ascoltata
nella chiesa ortodossa di Nizza, città
nella quale soggiornò prima del trasferimento a Parigi (1920).
A composizione della Messa per
coro e doppio quintetto di fiati ultimata il compositore, da buon neoconvertito, si schermirà affermando di “non
conoscere alcunché della musica liturgica ortodossa di quei tempi” e ciò
gli sarà di occasione per chiarire che
“probabilmente le parti della Messa
fondono ricordi infantili della musica
sacra a Kiev e Poltava, con lo scopo
cosciente di aderire ad uno stile armonico semplice e severo”.
Personale esigenza
interiore
La scelta di comporre - lui di fede
ortodossa - una messa cattolica può
apparire eccentrica (ed avvalorare,
quindi, la patente di leggerezza e irresponsabilità di cui si è già detto), ma
le motivazioni sono serie, tenendo an-
Il Maestro intendeva comporre
musica spirituale, e per riuscirci,
sentiva di dover scrivere una musica
«fredda, assolutamente fredda»
Ci troviamo di fronte ad un evento
singolare anche nello spazio - in verità, circoscritto - della produzione
religiosa del compositore. La Messa, infatti, si colloca come punto nodale tra i primi lavori sacri, che ricalcano - anche stilisticamente - la secolare tradizione musicale ortodossa, e
le composizioni religiose dell’ultimo
decennio di vita, nelle quali l’elaborazione musicale (basata in prevalenza
sulla tecnica dodecafonica “scoperta”
da Stravinskij nei suoi anni americani) assume alti livelli di complessità e
di astrazione simbolica. Vedremo più
che conto del fatto che l’opera è una
delle sue pochissime nate indipendentemente da commissioni esterne,
ma solamente per una personale esigenza interiore.
Innanzitutto, la Chiesa ortodossa non ammetteva - e non ammette l’uso degli strumenti musicali nella liturgia (fatta eccezione per le campane
divenute, nei secoli, il simbolo sonoro
della Russia cristiana stessa) e Stravinskij non poteva tollerare la musica
sacra a cappella, senza accompagnamento strumentale, se non in uno stile
- a suo dire - “armoniosamente primi-
tivo” (riferendosi, probabilmente, al
Canto Gregoriano e ai primi esempi
di polifonia medioevale).
Più interessante, e decisiva, è invece la seconda ragione: la sua dichiarata aspirazione a scrivere un brano non
destinato al mondo concertistico, bensì ad un reale ed esteso impiego liturgico. Per questo, il compositore mette
Terzo, la composizione della Messa non fu mai concepita come un solitario (seppur alto) atto di fede individuale, ma come servizio funzionale
alla certezza della fede. Sono particolarmente illuminanti, a questo riguardo, le affermazioni di Stravinskij
stesso: “Nel musicare il Credo volevo proteggere in modo particolare il
Stravinski compose la Messa come
reazione istintiva ad alcune messe
di Mozart, che gli parvero «rococò
e operistiche», o, come «dei dolci
peccatucci» musicali
testo. Come si compone una marcia
per facilitare chi sta marciando, così
io spero con il mio Credo di fornire
un aiuto al testo. Il Credo è il tempiù esteso. C’è molto da credere”.
Musica che si rivolge po
Così, come nelle migliori intenzioni
controriformistiche, il testo liturgico
allo spirito
è sempre integralmente rispettato e
Eccoci, allora, finalmente di fron- reso facilmente comprensibile, anche
te ad uno di quei punti emergenti del nei punti di maggior complessità delfiume sotterraneo che ribolle al di là la polifonia.
- e al di sotto - della consapevolezza
L’opera
dell’Autore stesso. Alcuni passi erano
Detto - come già sopra - che l’Auperò ben chiari alla sua coscienza.
Innanzitutto, la sua Messa non tore mette in musica unicamente i teavrebbe dovuto rivolgersi al mondo sti dell’Ordinario, mille sarebbero i
delle emozioni e dei sentimenti (pro- particolari da mettere in luce all’inprio questo egli rimproverava alle terno delle cinque parti che formano
messe mozartiane!), bensì “diretta- l’opera completa; lavoro di una ricmente allo spirito” dell’ascoltatore (e chezza e di una sapienza costruttiva
quindi, nelle sue intenzioni, del fede- che - ad un primo ascolto - possono
le). Per riuscirci, il compositore senti- anche risultare non immediatamente
va di dover scrivere una musica “fred- evidenti.
Cercheremo quindi di evidenziada, assolutamente fredda”.
L’idea che l’affettività, la carnali- re alcuni aspetti di carattere globale
tà possano costituire un ostacolo ad che ci possano aiutare a percepire la
un’autentica esperienza di fede ci la- Messa di Stravinskij nella sua assoscia probabilmente un po’ perples- luta originalità, e in tutto l’enorme
si. Nei fatti, secondo il cristianesimo, valore artistico che le è proprio.
Chi vorrà poi dedicare del tempo
siamo stati redenti attraverso il dolore, il sudore e il sangue di Gesù Cristo ad un ripetuto ascolto - o chi vorrà
nato dal ventre di Maria: se tutto ciò prendere in mano la partitura, facilsi può chiamare puramente spiritua- mente rinvenibile nei negozi musile… Ma, probabilmente, nell’animo cali - scoprirà più nel dettaglio tutdi Stravinskij prevalevano indirizzi ta l’enorme sovrabbondanza della fantasia di questo campione del
più astratti e “parigini”.
In secondo luogo, la sua Mes- Novecento musicale. Iniziamo dalsa, per essere “realmente liturgica”, la formazione impiegata. Ci troviaavrebbe dovuto essere “quasi priva di mo di fronte ad un coro misto a quatornamenti”. Con questo, il composi- tro voci che in brevi tratti si divide
tore sentiva di dover prendere le di- in cinque, o anche sei, parti. La racstanze dai grandi esempi monumen- comandazione dell’Autore è che la
tali che incombevano dal passato (la parte più acuta - quella dei soprani
Messa in Si minore di Bach, la Mis- - sia affidata a voci maschili di fansa Solemnis di Beethoven e - natural- ciulli (voci bianche). Questa scelta,
mente! - la Grande Messa in Do mi- non sempre rispettata nelle esecuzionore di Mozart) a favore di qualcosa ni concertistiche, è il primo indizio
del desiderio di freddezza di cui si è
di più modesto e familiare.
Il suo lavoro avrà così una “ragio- già detto.
nevole” durata di soli 17 minuti circa.
Le voci bianche hanno un timbro
limpido e possiedono una ricca sonorità, ma sono prive del patetismo
di cui le voci femminili sono naturalmente cariche.
Il coro è accompagnato - ma meglio sarebbe dire, affiancato - da un
doppio quintetto di fiati. Il primo
quintetto è formato da due oboi, un
corno inglese e due fagotti, tutti strumenti appartenenti alla classe dei
cosiddetti legni. Il secondo da due
trombe, due tromboni tenore e un
trombone basso, tutti ottoni.
in musica unicamente i testi delle preghiere comuni a tutto l’anno liturgico,
il cosiddetto Ordinario: Kyrie, Gloria,
Credo, Sanctus, Agnus Dei.
Bando al colore
sensuale
Polivalenza nel “Kyrie”
Chi conosce un poco gli strumenti musicali tradizionali, noterà che
Stravinskij fa una scelta che già fu
di Mozart (ancora lui!) nella Grande Messa già citata: quella di escludere il timbro sensuale dei clarinetti a favore di quello più nasale degli
oboi, e di non utilizzare i corni - dal
suono caldo e dall’enorme estensione - privilegiando i tromboni. Il risultato è estremamente significativo:
un timbro arcaico e distante, che (negli oboi) ricorda il Barocco tedesco e
(nei tromboni) si richiama alla grande tradizione veneziana - tardo rinascimentale e barocca - della Basilica
di S. Marco dove, accanto agli organi, i tromboni univano la loro voce a
quella dei cori battenti, cioè spazialmente contrapposti, in una sorta di
stereofonia ante litteram dagli effetti
stupefacenti e maestosi.
Se consideriamo che spesso i due
gruppi strumentali suonano separatamente, ci troviamo di fronte ad una
sorta di triplo coro (anche questo di
veneziana memoria) in parte umano,
in parte artificiale: aria, voci, legno,
metallo, uniti in una lode concorde.
Il suono del mondo, insomma; un
mondo con lo sguardo rivolto al suo
Creatore.
Stravinskij stesso ci informa che i
dieci strumenti sono destinati ad accordare il coro; probabilmente non
solo nel senso più banale di “suggerire l’intonazione ai coristi” (compito che indubbiamente svolge), ma
in quello più sostanziale di colorire
timbricamente - e quindi espressivamente - l’impasto vocale. Il suono
privo di vibrato - e, quindi, di patetismo - le dinamiche (i livelli di intensità sonora) piatte e l’utilizzo di
un legato e di uno staccato assoluti, senza sfumature, tendono a evocare il suono di un organo primitivo,
“raffreddando” decisamente il clima
espressivo.
Il costrutto nell’idea
di Stravinski
e il tempo ontologico
In questo senso, possiamo
senz’altro dire che la doppia formazione strumentale rappresenta
l’aspetto musicalmente più oggettivo (!) del complesso.
Al coro sono invece affidati gli
elementi di maggiore e più immediata espressività: le voci si dipanano in
figurazioni piuttosto lineari, chiaramente ispirate alla polifonia dei grandi maestri rinascimentali (Palestrina,
innanzitutto) e alle scarne e ossessive cellule ritmo-melodiche della polifonia tardo medioevale. Un ricercato ritorno all’antico, insomma; ad
una semplicità (o “primitività”, secondo le parole dell’Autore) sentita
come patria e salvaguardia dell’autentica fede, di fronte a ciò che veni-
Le voci si dipanano
piuttosto lineari, ch
ispirate alla polifon
maestri rinascimen
innanzitutto) e alle
cellule ritmo-melod
polifonia tardo me
va percepito come generalizzata decadenza della musica sacra.
Non sarà inutile ricordare che il
termine oggettività è uno di quelli
più frequentemente utilizzati - al limite dell’abuso - nei confronti della
produzione stravinskiana.
Troppo spesso è stato inteso nel
senso (improprio) di neutro, antisentimentale, ma è il compositore
stesso a sgombrare il campo da ogni
equivoco.
Per Stravinskij, il carattere proprio della musica non è l’espressione, bensì la costruzione. Egli non
nega certo il potere di evocare idee
sica
Mercoledì, 28 marzo 2012
5
d alcune messe di Mozart, che egli definì «dei dolci peccatucci» musicali
el panorama musicale del Novecento
Il compositore russo realizzò un
timbro arcaico e distante, che
ricorda il Barocco tedesco e la
grande tradizione veneziana - tardo
rinascimentale e barocca - della
Basilica di S. Marco
e sentimenti che ogni brano musicale degno di tale nome possiede, ma
questo costituisce per lui un aspetto secondario (nel senso di non originario, derivato): in definitiva, di
superficie. Questa “ovvia” implicazione espressiva è in relazione con
la capacità della musica di modellare il tempo psicologico, soggettivo,
o in figurazioni
hiaramente
nia dei grandi
ntali (Palestrina,
e scarne e ossessive
diche della
dioevale
suscitando analogicamente in noi
un vasto mondo di immagini e sensazioni. Ma è la costruzione (si potrebbe dire: la forma) che ci mette in
contatto con un tempo più profondo e originario (più “Ur-” direbbero
i tedeschi); con ciò che il compositore russo definisce tempo ontologico. Secondo l’Autore, il contatto con
questo tempo profondo è in grado di
generare in noi uno stato di euforia,
o meglio di “calma dinamica”.
Comprendiamo finalmente, così,
che il suo obiettivo di freddezza non
è nient’altro che l’espressione del desiderio di prendere per mano l’ascol-
tatore e di condurlo al centro della
musica, verso quel misterioso tempo ontologico. Per usare le parole di
Stravinskij, “mettere l’ascoltatore in
condizione di partecipare all’universale realtà dell’Essere assoluto”.
Venendo ora alla concretezza della Messa, scorriamone rapidamente
i cinque tempi evidenziandone gli
elementi di una qualche importanza (senza alcuna pretesa di esaustività) per un’iniziale comprensione
dell’opera.
Un Kyrie anti-tonale
Il Kyrie si apre con il doppio
quintetto di fiati che, partendo in
successione dagli oboi per arrivare al trombone basso, enunciano su
più ottave un bicordo DO-MI bemolle, allusivo forse della tonalità
di Do minore (il coro, pochi secondi dopo, intonerà quelle stesse note).
A questo riguardo, Stravinskij stesso ebbe modo di precisare più volte
che la sua musica, piuttosto che atonale, era anti-tonale. Tralasceremo
quindi (anche per ragioni di brevità)
ogni riferimento al piano armonico dell’opera, che pur costituirebbe
un campo di indagine interessante e
promettente.
Ci interessa invece notare il
modo in cui vengono suonate quelle prime note: ogni nota porta l’indicazione poco sfp (= poco sforzando, piano).
L’effetto è quello di un’improvvisa percussione, seguita immediata-
mente da una coda di suono tenuto,
quasi un riverbero. Come non pensare a rintocchi di campana? Come
non intravedere le pianure sterminate della Santa Madre Russia, e immaginare il nostro Igor con il naso
all’insù sotto le navate delle chiese
ortodosse della sua infanzia? Questo
effetto musicale (o figura) si riproporrà più volte nel corso del Kyrie,
anche nella variante di un arpeggio
discendente distribuito tra tutti gli
strumenti del doppio quintetto. Ma
lo ritroveremo anche in significativi punti-chiave delle sezioni successive.
Rintocchi di campane
Nel Gloria, per esempio, dove
il “rintocco” richiamerà inesorabilmente l’attenzione dell’ascoltatore
introducendo, e separando tra loro,
le parole “Quoniam Tu solus Sanctus, Tu solus Dominus, Tu solus
Altissimus, Jesu Christe” (che costituiscono il vertice concettuale del testo sacro).
E all’inizio del Sanctus, dove
legni e ottoni si alternano nell’introdurre e nel concludere gli interventi di due tenori (e del coro) che
enunciano selvaggiamente la Triplice Lode. E poi una ventina di secondi più avanti, quando i tromboni e
le trombe scandiscono con profondi e inquietanti rintocchi (prevalentemente a distanza di quinta: uno degli intervalli acusticamente perfetti,
che i pitagorici prima, e il Medioe-
vo poi, mettevano in relazione con la
perfezione dei rapporti numerici che
reggono l’Universo) l’esposizione
di fuga che in una figurata “ascesa
al cielo” - dal MI di un basso solista,
su fino al SOL estremo di un soprano - incarna il testo “Pleni sunt coeli
et terra gloria tua”. O ancora quando
un breve ma evidentissimo rintocco
introduce all’imprevedibile tenerezza del “Benedictus”.
La struttura
del «Credo»
Non possiamo certo tacere del
Credo che costituisce - dal punto di
vista materiale, come pure nelle intenzioni formali del compositore - il
centro dell’intera Messa. Al punto di
maggior densità teologica (ricordiamo: “…c’è molto da credere”) corrisponde, inaspettatamente, la maggior
semplicità di scrittura. Le quattro voci
enunciano tutte insieme il testo, senza ripetizioni, sullo sfondo di accordi
tenuti dei fiati (veramente il suono di
una sorta di organo arcaico) in un piano uniforme, senza alcuna enfasi.
In questo contesto le tre brevi sottolineature sonore (unicamente poco
più f) delle parole “Ecclesiam… peccatorum… mortuorum” balzano violentemente in primo piano, come
scagliate interrogativamente contro l’inerzia della coscienza. Questa
compatta uniformità di andamento
delle voci ricorrerà in altre sezioni
dell’opera, eloquente immagine so-
nora di un’umanità implorante (come
nel Kyrie iniziale, e nell’Agnus Dei
conclusivo) o in preda all’esaltazione assoluta del giubilo (come nei due
travolgenti “Hosanna in excelsis” del
Sanctus).
Canto a Cappella
nell’«Agnus Dei»
Impressionante, sia sul piano
espressivo che su quello formale, risulta anche il brano finale della Messa, l’Agnus Dei. Per la prima e ultima volta, nel corso della composizione, le voci del coro sono lasciate
a se stesse, senza accompagnamento strumentale (a cappella). Ecco, allora, che nella definitiva resa al Mistero fattasi richiesta di misericordia
e di pace (“Agnus Dei… miserere
nobis… dona nobis pacem”), il pathos delle voci umane nella loro nudità si fa finalmente, completamente
evidente. I fiati introducono solennemente la preghiera, e si alternano
alle voci con movenze e scelte sonore
(tanti intervalli di quarta e quinta, dalle sonorità trecentesche) degne di una
messa di Guillaume De Machaut. Le
voci (prima femminili, poi maschili,
poi unite) e il gruppo compatto degli
strumenti si alternano in modo tranquillo e assolutamente privo di enfasi: un intimo dialogo tra umanità
e materia, una commovente supplica
alla quale il Creatore non potrà certo
- allora, come ora - non prestare orecchio.
6 musica
Mercoledì, 28 marzo 2012
LEGGENDE Eroine della musica. Nomi femminili che hanno fatto storia
Pop-rock è donna!
A cura di Ivana Precetti
“D
onna è il nome più nobile che si possa dare
all’anima. Molto più
nobile che vergine”. Così Maurizio Cucchi ha reso omaggio al gentil sesso in “La luce del distacco”.
Lo scrittore tedesco Jean Paul aveva scritto: “Nelle donne tutto è cuore, persino la testa”. Guido Gozzano invece si è perso nell’arcano
mondo femminile, in quella bellezza che nasconde sensazioni che a
lui – e a tutti gli uomini – resteranno precluse: “Donna, mistero senza
fine bello” è un verso quasi proverbiale della celebre “Signorina Felicità”.
Vedeva maggiormente il lato
sensuale Cesare Pavese, che in “Feria d’agosto” aveva rilevato: “Una
donna, una che trasforma il remoto
sapore del vento in sapore di carne”.
Ma quello che più conta è che senza le donne non si può stare: “Un
uomo suppone una donna, la donna” (ancora Cesare Pavese); “C’è il
deserto se manca lei” (John Steinbeck, “La santa rossa”); “Le donne
sono una vite su cui gira tutto” (Lev
Tolstoj, “Anna Karenina”).
Anche noi abbiamo voluto rendere un omaggio, in questo mese in
cui viene festeggiata la Giornata internazionale delle donne, ma in maniera un po’ particolare, in maniera
rock. Un genere musicale in cui il
gentil sesso ha lasciato, nella storia,
un segno profondo e indelebile, in
epoche e con stili differenti. Ne abbiamo scelte quindici (senza nulla
togliere alle altre), di donne particolari, donne che sono (e sono state) innanzitutto artiste, inimitabili
icone dell’universo musicale. Le ricordiamo, sotto, in ordine sparso, in
tutto il loro splendore.
Aretha Franklin,
«meraviglia naturale»
La regina del Soul, basterebbe
questo. Lo stato del Michigan ha
dichiarato la sua voce ”meraviglia
naturale”. Un monumento, un’icona assoluta e trasversale: per il popolo black una sorta di divinità pagana. Per gli altri, semplicemente
Aretha. Voce e talento da predestinata, fisicità e personalità straripanti. Se esiste un madrina delle
emozioni in libertà – partorite dalle radici del rock – questa è Miss
Franklin. Idolo vivente.
Patti Smith,
«sacerdotessa
del rock»
L’unica Sacerdotessa del Rock,
Patti Smith. La poesia che sovrasta
e diventa tutt’uno con la musica: da
Chicago e il suo blues a ogni angolo, esplosa direttamente nella New
York proto-punk e uncool dei favolosi anni ‘70. Per rimanere presente sempre, sfidando tutto e tutti. Androgina, intelligente, discussa, amatissima, straziante e invidia-
Courtney Love
ta. Una rivoluzionaria, nel vero senso
della parola. Come nessuno.
Alanis Morissette,
coraggio da vendere
Dal Canada con furore. Almeno così si è presentata, all’improvviso, nel bel mezzo degli anni ‘90 che
parlavano assolutamente al maschile
fra Seattle grunge, punk californiano
e brit-pop. Spunta Alanis dal nulla e
regala uno degli album-debutto più
ascoltati, venduti e ricordati di sempre. Grande voce, grande presenza,
carica e coraggio da vendere. Una
venatura selvaggia, scientificamente
rock e lungimirante. Icona di un decennio.
Aretha Franklin
Patti Smith
Alanis Morissette
Siouxsie Sioux
Janis Joplin
Debbie Harry
Amy Winehouse
Joni Mitchell
Joan Baez
ticolare: probabilmente la voce più
sexy, profonda e vissuta della storia.
Un unicum imitato, dal finale tragico.
Perla leggendaria.
sentato un esempio di vitalità artistica fuori dall’ordinario, in anni aridi.
Raccontando, con voce inimitabile,
di sesso, vizi e delusioni. Senza curarsi del resto. Creando un look eccessivo ma pop. Punto di riferimento a seguire.
politico. Baez è stata anche la prima artista femminile a imporsi con
la propria personalità, e non soltanto
con la voce. In pratica, Baez è la “madre” di tutte le cantautrici dei decenni
successivi.
Siouxsie Sioux,
«eroina british»
Susan Ballion: così non la conosce quasi nessuno. Ma come Siouxsie, la conoscono tutti quelli che
hanno ascoltato, almeno una volta, l’idolatrato filone dark e postpunk a cavallo fra gli anni ‘70 e ‘80.
Un’icona, un’eroina british. Uscita
da un’infanzia disagiata nelle periferie di Londra, per influenzare mezzo
mondo del rock: a colpi di voce potente, timbro inconfondibile e stile
unico e imitatissimo (dalla moda al
cinema) negli anni a seguire. Voce e
look DOCG.
Cyndi Lauper,
voce e look inimitabili
La ragazza doveva solo divertirsi, e il successo sarebbe venuto da
sé. Avevano fiutato l’affare quelli
della Epic Records mettendo sotto
contratto la non più giovanissima
Cyndi Lauper, disoccupata dopo
lo scioglimento della sua scanzonata band rockabilly, i Blue Angel,
apprezzati dalla critica ma snobbati dal grande pubblico. Non poteva
passare inosservata, secondo loro,
quella piccola donna così insolita
e dalla goffa ma esuberante femminilità, con una fulva capigliatura punk e quel look che sembrava
un incidente col baule dei costumi
di Carnevale. E soprattutto non era
il caso di lasciare senza microfono quella stridula voce da bambina
impertinente, capace di raggiungere inaspettate ottave e tingersi improvvisamente di toni disperatamente drammatici. Semplicemente
unica...
Debbie Harry,
malizia e talento
Janis Joplin,
«perla leggendaria»
Bellissima, sensualissima, ricercatissima. La Marilyn Monroe del
punk (in discoteca). Un’artista che
ha spaziato sui generi – dal punk
‘77 al synth-pop, fino al reggae e
alla dance – rielaborandoli in chiave
personale. Regina di moda e interpretazione. Telegenica e immortalata fino all’ossessione (Warhol ne sa
qualcosa), ha fatto ballare milioni di
donne e uomini. La faccia glam della Grande Mela anni ‘80, con radici
nel punk. Malizia e talento allo stato puro. Una certa Madonna ha poi
preso appunti.
Capostipite femminile del concetto moderno di rockstar. La prima e
più autentica femminista nella storia
del rock. Quello suonato e impegnato, negli anni del sogno a stelle e strisce: nella seconda metà dei ‘60. Con
un occhio all’arte e l’altro alla libertà, all’emancipazione e all’impegno
civile. In tutto ciò, un piccolo par-
Certo, la prematura e violenta scomparsa ha influito. Inutile negarlo. Un’artista vera che come nessuno ha segnato gli stralunati annizero. Mischiado la parte black del
rock: soul, jazz e R&B. Ha rappre-
Annie Lennox
Amy Winehouse,
un’artista vera
Cyndi Lauper
Joni Mitchell,
confessioni
a cuore aperto
La canadese Roberta Joan Anderson, alias Joni Mitchell, è la più
forbita delle “signore del rock”.
Poche altre cantautrici hanno saputo coniugare in modo così raffinato l’introspezione psicologica
dei testi e un’austerità d’arrangiamenti degna della musica da camera. Le sue canzoni, infatti, non
sono solo confessioni a cuore aperto, testimonianze degli ultimi sussulti della stagione hippie: sono
piccole perle musicali, orchestrate con raro gusto e sobrietà. E il
suo stesso atteggiamento signorile, in vistoso contrasto con le icone dell’epoca, le ha consentito di
ritagliarsi un ruolo del tutto peculiare nell’arena del rock.
Joan Baez,
l’«usignolo
di Woodstock»
Detta “L’usignolo di Woodstock”
dopo la sua celeberrima esibizione al
festival nel 1969, Joan Baez è un’icona del pacifismo e della lotta per i diritti civili, in particolare per l’opposizione alla guerra del Vietnam. Joan
Baez (pron: “baie’s”) non è tanto una
musicista (benché sia di gran lunga
la massima folksinger della sua generazione) quanto un’icona politica.
L’estetica musicale è sempre stata in
secondo piano rispetto all’impegno
Annie Lennox,
icona in tutti i sensi
Una carriera vissuta intensamente, tra sperimentazioni musicali e ampi consensi da parte di
pubblico e critica. Una personalità
schiva e riservata, sempre pronta
a proteggere la propria vita privata e far parlare di sé soltanto attraverso la musica, frutto di ricerche
mai banali ed espressione di una
voce calda e potente. Annie Lennox è una delle artiste più influenti
al mondo, cavalca l’onda del successo da tre decenni e vive di musica da quando era bambina.
Ex componente dei The Tourists, raggiunge la massima popolarità negli anni ‘80 quando insieme a David Allan Stewart fonda gli Eurythmics sfornando il suo
più grande successo: “Sweet Dreams”. È una delle protagoniste
dell’industria musicale degli ultimi trent’anni: rockeuse androgina negli ‘80, dal fascino punk-romantic, e poi interprete sofisticata
il decennio successivo, complici
hits che sono rimaste negli annali e cambi d’immagine che ne hanno svelato l’intensa femminilità.
Un’icona.
Courtney Love,
una vita di eccessi
Da sempre destinata a far parlare di sé, Courtney Love è tra le artiste più trasgressive del panorama
Segue a pagina 8
musica 7
Mercoledì, 28 marzo 2012
POP- ROCK Zaz, la nuova stella internazionale a giugno si esibirà a Zagabria
La gioia e la passione per la musica
“Q
Zaz durante una delle sue numerose esibizioni nelle stradine di
Montmartre, suo ambiente naturale
QUIZ
comporre, a soli diciassette anni,
1. Per la profondità del senti- la famosa ouverture...
mento e l’intima musicalità delle
a) Romeo e Giulietta
sue composizioni, questo comb) Il sogno di una notte di
positore venne comparato spes- mezza estate
so al grande Giovanni Pierluigi
c) Guglielmo Tell
da Palestrina (Palestrina, 1525
– Roma, 1594), che visse nella
stessa epoca. Chi è l’”Orfeo belga” – come era chiamato dai suoi
contemporanei?
a) Praetorius
b) Claude Goudimel
c) Orlando di Lasso
La copertina del suo primo disco, intitolato semplicemente “Zaz”
Nel 2006, Zaz si trasferisce ancora, questa volta a Parigi.
La sua carriera di cantante inizia nel 2001, nella blues band
“Fifty Fingers”. Canterà in seguito
in gruppi musicali ad Angoulême,
soprattutto in un quintetto jazz.
In un periodo è una della quattro
cantanti di Izar-Adatz (basco per
“stella cadente”), una band di varietà composta da sedici persone
con le quali girerà in tournée per
due anni. Ha lavorato in uno studio
a Tolosa come corista e si è esibita con numerosi cantanti di rilievo. Nel corso degli anni ha suonato blues, folk basco, jazz, canzone
francese e, con la band di successo
“Don Diego”, rock latino.
Si è esibita allo stadio Hendaye
nel sudovest della Francia, davanti a 10.000 persone come pure nel
cuore della Siberia con il reperto-
rio di Edith Piaf; ha girato l’Egitto
in tour e tenuto un concerto gratis
in una miniera di sale in Colombia.
Insomma, Zaz non si è fatta
mancare nulla e quando nel 2009
ha vinto a sorpresa il concorso
Génération Réservoir/Blue incantando la folla dell’Olympia di Parigi, è arrivato subito il contratto
discografico.
Zaz sforna il suo primo album,
intitolato semplicemente “Zaz”, il
10 maggio 2010. Il disco contiene brani d’autore e canzoni che ha
composto assieme ad altri autori.
Si tratta di un album squisito, pieno di atmosfere un po’ retrò e caratteristico per le influenze più disparate, dal jazz fino alla tradizionale chanson francese, sostenute
da influssi pop, quello di qualità.
Nella sua interpretazione, la giovane cantante si serve ad arte di
tutte le possibilità della sua particolare voce, leggermente roca
e “spezzata” – una qualità che la
rende particolarmente accattivante - e al contempo estremamente
versatile.
Il disco viene accolto con critiche positive e ben presto il suo
singolo “Je Veux” diviene un tormentone del 2010. Nonostante il
grande successo e l’istantanea notorietà, Zaz non si lascia travolgere dalla popolarità e nel 2011 di
unisce all’ensemble “Les Enfoirés”, un coro che si esibisce a fini
umanitari devolvendo tutti i mezzi
ai “Restaurants du Cœur” (i Ristoranti del Cuore, un’organizzazione
umanitaria francese che distribuisce cibo e pasti caldi ai bisognosi, nda). In poche parole, dimostra
palesemente di cantare per diletto,
non per il guadagno.
Nel corso di quest’anno, invece, la giovane cantante girerà il
mondo in un tour che abbraccerà
il Giappone, il Canada, la Germania, la Svizzera, la Macedonia, la
Serbia (dove si è esibita già l’anno
scorso) e, come già annunciato sopra, la Croazia. (hlb)
2. I due geni musicali
dell’epoca barocca, i compositori
tedeschi J.S.Bach e G.F.Händel,
nacquero in terre assai vicine,
ma ebbero percorsi di vita assai
differenti. Non venne mai appurato se si incontrarono nel corso
della loro vita. Verso il termine
della loro esistenza, furono affetti da cecità. Un altro fatto che accomuna questi due grandi è che
nacquero nello stesso anno, ovvero nel...
a) 1585
b) 1685
c) 1785
7. Il compositore americano
Samuel Barber (1910-1981) è
autore del famoso Adagio per archi, reso celebre dai film...
a) “The Elephant Man” di
David Lynch e “Platoon” di Oliver Stone
b) “Blow up” di Michelangelo Antonioni e “Topkapi” di Jules Dassin
c) “2001: Odissea nello spazio” di Stanley Kubrick e “Bar3. Il brano “Ne me quitte barella” di di Roger Vadim
pas”, una canzone d’amore che
ebbe una fortuna internazionale
8. La “Sagra della primavee venne reinterpretata in ben 21 ra”, il celebre balletto di Igor
lingue, tra cui pure in italiano e Stravinski - che alla prima rapcroato, venne scritta nel 1959 dal presentazione nel 1913, dimofamoso “chansonnier” belga...
stratasi un completo fiasco, proa) Jacques Brel
vocò addirittura una rissa e pareri
b) Charles Aznavour
contrastanti, anche se in seguito
c) Yves Montand
venne riconosciuta la sua importanza rivoluzionaria – annovera
4. “Manon Lescaut” è un’ope- una serie di novità, sia per quanra in quattro atti, la cui prima to riguarda l’insolito utilizzo derappresentazione ebbe luogo il gli strumenti, sia per quanto ri1.mo febbraio 1893 al Teatro guarda le tecniche compositive.
Regio di Torino, dove ottenne un Il celebre solo iniziale è suonato
successo clamoroso. Chi la com- in un registro acuto da...
pose?
a) un contrabbasso
a) Gioacchino Rossini
b) un fagotto
b) Giuseppe Verdi
c) un corno
c) Giacomo Puccini
9. Quale compositore scrisse
5. Lucio Dalla, celebre can- la prima opera nazionale croata,
tautore italiano scomparso da intitolata “Ljubav i zloba”?
poco, fu pure un promettente ata) Ivan de Zajc
tore che ottenne una candidatub) Blagoje Bersa
ra nella categoria di miglior attoc) Vatroslav Lisinski
re (anche se non vinse il premio)
alla Mostra di Venezia nel 1967
10. Quale strumento suona,
con il film dei fratelli Taviani... nelle ore di riposo e meditazioa) I sovversivi
ne, Sherlock Holmes, il più celeb) Sotto il segno dello scor- bre investigatore del crimine di
pione
tutti i tempi?
c) Un uomo da bruciare
a) Il violino
b) Il clarinetto
6. Il compositore tedesco
c) La chitarra
Felix Mendelssohn Bartholdy (1809-1847) dimostrò molto
presto nella vita un grande talento per la musica che lo portò a
Soluzioni: 1. c), 2. b), 3. a),
4. c), 5. a), 6. b), 7. a), 8. b), 9.
c), 10. a)
uando lavoravo nel
cabaret o facevo piano bar guadagnavo
bene, ma non ero felice, non avevo stimoli, non imparavo più nulla
e avevo perso l’equilibrio interiore. Allora ho deciso di andarmene
cercando di affidarmi al mio istinto senza sapere cosa mi sarebbe
capitato, dando ascolto solo alla
mia anima. I soldi devono restare un mezzo e non un fine, ciò che
conta è fare ciò che ti appassiona.
Nei miei rapporti umani ho bisogno di autenticità, di guardare la
gente negli occhi e sentire che si
comunica veramente, senza pregiudizio e paura”.
Sono le parole della giovane
cantante francese Isabelle Geffroy,
chiamata semplicemente Zaz, che
nell’ambito di una grande tournée
mondiale si esibirà anche a Zagabria, il 3 giugno prossimo.
La giovane cantante è venuta
alla ribalta nel 2010 con il grande
successo internazionale “Je veux”
(Io voglio). Il bellissimo singolo,
con il quale Zaz esprime il suo totale rifiuto del materialismo, ha attirato l’attenzione di un vasto pubblico, rimasto affascinato dalla
magnifica voce della giovane cantante, molto simile a quella della
grande Edith Piaf, e dall’autentica gioia di vivere che trapela dalla
sua sentita interpretazione.
Isabelle Geffroy nasce il 1.mo
maggio 1980 a Tours in Francia.
Nel 1985, la iscrissero al “Conservatoire à rayonnement régional
de Tours” assieme alla sorella e al
fratello, che frequenterà fino agli
undici anni d’età. Studiò teoria
della musica, come pure il violino,
il pianoforte, la chitarra e il canto corale. Nel 1994 si trasferisce a
Bordeaux, dove nel 1995 frequenta le lezioni di canto e si occupa di
sport per un anno, allenandosi in
kung fu con un allenatore professionale. Nel 2000 vince una borsa
di studio regionale che le permette di iscriversi a una scuola di musica moderna, il “Centro per attività musicali e l’informazione”di
Bordeaux. Le sue influenze musicali spaziano dalle “Quattro stagioni” di Vivaldi, ai cantanti jazz
come Ella Fitzgerald, e altri interpreti, tra cui Enrico Macias, Bobby McFerrin e Richard Bona, fino
ai ritmi africani, latino e cubani.
8 musica
Mercoledì, 28 marzo 2012
LE GRANDI VOCI Brillante soprano, attrice, giornalista e critico musicale
La bellissima e versatile Margherita Carosio
Donizetti, che eseguirà poi anche
alla Scala e inciderà per la EMI. Nel
1949, sempre alla Scala, fu protagonista della Bohème pucciniana con
la direzione di Victor De Sabata (di
cui esiste una ristretta selezione dal
vivo) e nel 1954 interpretò la parte principale in Amelia al ballo di
Giancarlo Menotti, che registrò poi
su disco.
Il suo nome è rimasto anche in
qualche modo legato a quello di
Maria Callas, che nel gennaio 1949,
al Teatro la Fenice di Venezia, la sostituì a causa di una indisposizione
e che dovette apprendere in cinque
giorni la parte di Elvira de I puritani, cantando contemporaneamente
la parte di Brunilde ne La Valchiria.
Questo episodio viene considerato
l’inizio della leggenda della “Divi-
na”. Fin dagli anni 30’ iniziò anche
una piccola carriera cinematografica, in film musicali o dove la musica
era una componente principale. Tra
questi Regina della scala (1936) di
Camillo Mastrocinque, Angeli sulla
terra (1942), dove interpreta la parte del soprano Adelina Patti, L’elisir
d’amore (1947) di Mario Costa. Lavorò inoltre come musicista nel film
drammatico di Giorgio Walter Chili
Ripudiata (1954).
Si ritirò dai palcoscenici nel
1959 e nei successivi quarant’anni
seguì quel mondo a lei tanto caro
come giornalista e critico musicale.
Si spense nella sua Genova alla
veneranda età di 96 anni. La sua
voce ci è stata tramandata in numerose registrazioni realizzate prima e
dopo l’avvento del microsolco.
Pop-rock è donna!
Splendida Traviata
M
argherita Carosio (Genova, 7 giugno 1908 – Genova, 8 gennaio 2005) è stata una delle protagoniste della lirica
italiana tra le due Guerre, con qualità canore (da soprano leggero), interpretative, di fascino personale e
musicali tali da porla tra le più poliedriche e interessanti personalità
della scena lirica della prima metà
del Novecento.
Figlia del compositore e maestro
di canto Natale, che considerava il
suo mentore e che la guidò negli studi musicali e la lanciò nella carriera concertistica, apparve in pubblico
alla precoce età di 14 anni, conseguendo due anni più tardi il diploma
di magistero con abilitazione all’insegnamento del canto.
Nel 1924, all’età di 16 anni, debuttò nell’opera interpretando il
ruolo della protagonista nella Lucia
di Lammermoor al Teatro Cavour
di Novi Ligure.
Nel 1928, a 19 anni, grazie anche alla raccomandazione del soprano irlandese Margharet Sheridan, cantò nel ruolo di Musetta ne
La bohème e di Feodor nel Boris
Godunov alla Royal Opera House di Londra, dove ritornò poi
solo dopo la fine della seconda
guerra mondiale. Particolare curioso, nel “Boris” cantò, come il
resto degli interpreti italiani, nella propria lingua, mentre il coro
si espresse in francese e Feodor
Šaljapin, naturalmente, in lingua
originale. Divenne rapidamente famosa in Italia, esibendosi
in tutti i principali teatri in ruoli di soprano di coloratura: Amina ne La sonnambula di Bellini,
Norina nel Don Pasquale di Donizetti, Konstanze ne Il ratto dal
serraglio di Mozart, Oscar in Un
ballo in maschera di Verdi, ruolo
con cui esordì al Teatro alla Scala nel 1929, seguito da Philine
nella Mignon di Ambroise Thomas. Alla Scala si esibì con successo anche in diversi altri ruoli,
ma il suo cavallo di battaglia fu il
personaggio di Rosina ne Il barbiere di Siviglia di Rossini. Interpretò inoltre parti più desuete,
come Zerlina in Fra Diavolo di
Daniel Auber, la regina di Shemakhan in Il gallo d’oro di Nikolaj Rimskij-Korsakov, Volkhova
in Sadko, la protagonista in The
Nightingale di Igor Stravinskij,
Aminta nella prima esecuzione
italiana di La donna silenziosa di
Richard Strauss, Egloge nel Nerone di Pietro Mascagni.
Più avanti nella carriera si cimentò in ruoli lirici più spinti, fra
i quali Mimì e Violetta. Nel 1946
ritornò a Londra interpretando appunto Violetta in una tournée del
Teatro San Carlo di Napoli, suscitando ammirazione per l’epressività vocale racchiusa in una figura minuta e dai lineamenti delicati.
Apparve successivamente nel ruolo di Adina ne L’elisir d’amore di
Da pagina 7
rock internazionale. La sua è sempre
stata una vita di eccessi, votata a infrangere le regole e alla continua e
costante ricerca del successo. C’è da
dire, però, che lo stile musicale della
Love è autenticamente di nicchia, e
ciò ha comunque contribuito a creare la carriera e definire la personalità della rocker: se a Courtney Love
non possiamo riconoscere di aver lasciato un brano nella memoria storica della musica, di certo non possiamo non affermare che con gli Hole è
pioniera di uno stile rock (il grunge
unito al riot grrrl) del tutto innovativo, e di certo non le si può non riconoscere una leadership e una padronanza scenica che negli anni le hanno costruito lo status di artista rock.
Kate Bush, talento
a... quattro ottave
Compositrice, ballerina, coreografa, musicista. Kate Bush è un’artista a 360 gradi. Ma è soprattutto la
sua incredibile voce, capace di quattro ottave di estensione, ad aver lasciato un solco profondo nella storia
del rock. Ex ragazzina prodigio che
stregò David Gilmour. Un simile talento, nel rock al femminile, non si
ricordava dai tempi di Janis Joplin.
Con il canto straziante della grande
blues-singer americana, Kate Bush
aveva però poco a che vedere. La
sua voce evocava negli anni ‘80 le
fiabe gotiche e il folk celtico, il misticismo medievale e gli incantesimi delle streghe, i riti tribali e il pop
più etereo. Uno stile che di lì a poco
avrebbe contagiato intere generazioni di cantanti.
E finiamo con due appartenenti
al panorama musicale italiano e croato, Gianna Nannini e Josipa Lisac,
imprescindibili signore del pop-rock
di casa nostra.
Gianna Nannini,
sensualità...
graffiante
Fin dai suoi esordi Gianna
Nannini ha preferito il genere pop
rock, un genere se vogliamo, non
proprio rilassante, ma che lei sa
rendere gradevole e sensuale con
la sua straordinaria voce dai toni
rochi, graffianti, una voce che si
estende a sonorità molto alte e levigate, quasi fosse addirittura una
seconda voce.
Gianna scrive poesie rock e
le interpreta magistralmente, non
solo con la voce, ma con tutto il
suo corpo sfogando la carica interiore che le deriva dalla sua musica grintosa e travolgente.
Un personaggio sopra le righe, una donna non proprio bellissima, schiva di ogni eleganza,
restia al trucco, ma ricca di carisma e di una profonda interiorità
che lei esprime a modo suo e che
la tiene sulla breccia da un bel po’
di anni.
Kate Bush
Josipa Lisac,
che grinta!
Una delle cantanti più interessanti del panorama musicale dell’ex Jugoslavia, un’artista
fuori dall’ordinario, particolarissima. La sua musica si è sempre
distinta dalle altre proprio grazie
a questo suo modo di essere, lontano da tutti i canoni. Coraggiosa e grintosa, Josipa Lisac non ha
mai avuto paura di sorprendere,
di combinare stili musicali differenti ed emergere tra gli altri performer. Oltre che con la sua musica, ha saputo (e lo fa tutt’ora)
stupirci con il suo look eccentrico, fuori dalle norme. E che dire
della sua voce? Unica, magica,
irripetibile.
Tutto il suo percorso, sia di
vita che musicale, è stato segnato da un grande amore, quello con
il compositore Karlo Metikoša,
morto nel 1991, con il quale ha
pubblicato tredici album.
Il loro è stato un amore di quelli che succedono una volta sola
nella vita e che ancora oggi è fonte
di ispirazione di questa artista poliedrica che ha segnato profondamente l’universo musicale. Di Josipa Lisac ce n’è una sola.
Gianna Nannini
Josipa Lisac
Anno VII / n. 57 del 28 marzo 2012
“LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol Superina
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Progetto editoriale di Silvio Forza / Art director: Daria Vlahov Horvat
edizione: MUSICA [email protected]
Redattore esecutivo: Patrizia Venucci Merdžo / Impaginazione: Annamaria Picco
Collaboratori: Patrizia Chiepolo Mihočić, Ivana Precetti, Helena Labus Bačić
Foto: Goran Žiković