«ENCUENTRO» Torna a Parigi il Festival di letteratura ispano-americana La grande letteratura in lingua spagnola torna a Perugia per la quarta edizione di Encuentro, il festival di letteratura ispano-americana che si occuperà anche al rapporto tra il calcio e l’anima stessa dell’America Latina. Ospite sarà Marcelo Bielsa, allenatore-filosofo argentino, uno dei personaggi più carismatici ed eccentrici del mondo del pallone. Il festival si terrà dal 10 al 14 maggio in alcuni dei luoghi più prestigiosi e suggestivi del capoluogo umbro. Con autori come Javier Cercas, Juan Gabriel Vásquez, Paco Taibo II e Rosa Montero. Intervista a Ann Goldstein «Io, la voce americana del genio Elena Ferrante» Parla la studiosa e traduttrice: «La sua intensità di scrittura va preservata anche in inglese» I l successo internazionale dell’Amica geniale di Elena Ferrante, con quasi sei milioni di copie vendute finora nel mondo, è il successo di una narrazione glocale. È la capacità di raccontare Napoli, proprio nei suoi aspetti più ingombranti e specifici, in chiave globale. Per questa ragione, nei quattro romanzi che compongono l’Amica geniale, Napoli è lo scenario di un’alterità spiazzante ma sempre universalizzata, e in grado di includere in sé la storia europea a partire dagli anni Cinquanta del Novecento fino a oggi. Come sottolineava Mariella Muscariello durante il seminario napoletano che abbiamo organizzato su Ferrante (Di Napoli non ci si libera facilmente, 7-4-2017) e a cui ha partecipato anche Ann Goldstein, Napoli è «mondo appreso, mondo percepito, mondo immaginato». È proprio una formula di Ferrante, che vede in questa forza metaforica della città la concentrazione «del meglio e del peggio dell’Italia e del mondo». Napoli è il punto di vista che mette in prospettiva l’intero discorso, che orienta l’intreccio, anche in quelle parti della storia –e sono innumerevoli –che prendono Tiziana forma in altri spazi, in altre città (Pisa, Fide Rogatis* renze, Genova, Milano, Torino, Montpellier…). Il fascino di questa narrazione al tempo stesso radicata e cosmopolita sta in questa continua metamorfosi del tempo, in questa sovrapposizione di arcaico (l’arcaico della Napoli sottoproletaria da cui tutto ha origine: il rione Luzzatti in cui crescono le due protagoniste, Elena e Lila) e di ipermoderno (proprio nel rione Lila installa negli anni Settanta il primo centro informatico d’Italia, la Basic Sight). E simultaneamente arcaica e moderna è anche l’amicizia tra Elena e Lila, il nucleo centrale dell’intera quadrilogia: è infatti un legame tra due donne sottoproletarie in cerca di emancipazione, in cui si mescolano necessariamente invidia e riconoscimento elettivo. Più in generale, l’amicizia è un legame fondativo per le donne, e tuttavia molto poco rappresentato nell’immaginario universale: ecco un’altra ragione decisiva del successo internazionale di Ferrante. Questa sincronia di arcaico e ipermoderno oggi ci colpisce molto, perché la globalizzazione nella quale viviamo è proprio una compresenza di alterità temporali che noi attraversiamo continuamente, una sincronia lacerante…. Io sono napoletana, e quindi a maggior ragione mi incuriosisce molto il modo in cui Ann, la maggiore traduttrice vivente della letteratura italiana contemporanea, una newyorkese, guarda all’Amica geniale. Come vede, Ann, questa oscillazione tra locale e globale? «Prima di tutto Ferrante sa raccontare: lei è maestra nel costruire l’intreccio, lei vuole avere lettori. Questo è un punto importante. Il racconto ci immerge nelle vite di Elena e Lila e nelle vite del rione. E tutti noi abbiamo amici e amiche: abbiamo un rione, anche se non è un rione di povertà. Ma riconosciamo qualcosa di affine nei rapporti con le famiglie, nei rapporti con gli amici: ci sono nascite, amori, matrimoni e morti. Tutto ciò che accade nelle vite di Lila e Elena noi lo riconosciamo come nostro. Ferrante ha un modo speciale di parlarci dei rapporti intimi, perché ci fa capire che sono anche rapporti sociali; interroga i rapporti intimi e sociali con una chiarezza, con una intensità anche brutali: ha uno sguardo spietato. E i lettori americani rispondono alla ricerca della verità, la verità dei rapporti, delle emozioni. Ferrante ha detto: “nella finzione è possibile spazzare via tutti i veli, anzi è un dovere”. E questa per tutti i lettori è una cosa molto potente. Contano molto anche la sua forte capacità di raccontare le differenze di classe e la possibilità della metamorfosi; per esempio la metamorfosi di Elena vale a dire la sua emigrazione, la sua decisione di lasciare il rione per cercare un’altra strada, un’altra vita». La metamorfosi si collega poi alla «smarginatura», un altro tema centrale per la quadrilogia. La smarginatura è una esperienza psichica di Lila, è la perdita del confine che definisce le forme, ma è anche una energia dell’intera città: c’è prima di tutto la smarginatura femminile, quella dei corpi e delle identità delle donne, che si deformano a causa della violenza maschile ma poi si riformano, in una sorta di creatività reattiva, difensiva; c’è poi un creparsi dei corpi maschili del rione, da cui erompe la violenza arcaica; abbiamo inoltre una smarginatura queer, perché uno dei personaggi del romanzo viene chiamato da Lila alla sua vocazione omosessuale attraverso una fase femminiella. Quindi questa energia psichica è Napoli: un potere metamorfico ed ermafrodito, che la città ha; fasi traumatiche e liminali che la città vive, attraversa. Però ancora una volta la smarginatura è anche un evento universale, 12 l l’Unità Martedì, 9 Maggio 2017 «Lei è maestra nel costruire l’intreccio, ci immerge nelle vite di Elena e Lila e nelle vite del rione» La mostra. L’immagine è tratta dalla serie Where is Elena Ferrante?, fotografie di Ottavio Sellitti del rione, luogo della letteratura mondiale, che si terrà a Berlino, all’Istituto italiano di Cultura, in settembre perché racconta una trasformazione fluida, angosciosa, della realtà di oggi. È uno spaesamento, un decentramento fatto di perdite e di acquisizioni, qualcosa che ha molto a che fare con la nostra realtà globalizzata. «La smarginatura è un termine della legatoria e della tipografia con due significati: “tagliare i margini delle pagine” (in inglese “trim the edges”) e “uscire dai margini fissi” (“to spill over the margins”). Avrei voluto trovare una sola parola, un sostantivo equivalente a quello italiano con tutte le sue sfumature, ma non è stato possibile anche perché l’inglese non ha la esse privativa. Pensavo all’idea delle persone che perdono i loro margini, i loro confini. Ho provato con edgeslessness (“senza margini”), ma non mi convinceva; poi ho capito che c’erano due aree semantiche da considerare: “togliere qualcosa” e “i margini che sono tolti”. Ho tentato varie soluzioni con i verbi “losing”, “dissolving”, “disappearing” - e con i sostantivi, “boundaries”, “edges”, “borders”. Siccome Lila usa il verbo “dissolvere” proprio quando descrive la smarginatura, anche io ho adottato il verbo affine “to dissolve”. E quindi sono arrivata a tradurre la smarginatura con “dissolving margins”. È stato difficile… Vedo due vettori della metamorfosi. Il primo è ovviamente Lila. Dobbiamo fare attenzione al fatto che Lila percepisce in senso psichico la smarginatura, mentre gli altri la vivono come esperienza di deformazione dei propri corpi. C’è quindi una dissociazione del fenomeno. Un altro vettore della smarginatura è Elena, che va via dalla sua città, va verso altri luoghi e vive altre metamorfosi e poi ritorna, e questa trasformazione di sé è anche una trasformazione della sua lingua, che cambia continuamente, dal liceo all’università, e poi anche della sua scrittura. Nel quarto volume, Storia della bambina perduta, c’è un brano struggente in cui Elena sottoli- nea che lei e Lila non possono più dialogare perché lei ha perso il dialetto mentre Lila ha perso l’italiano e quindi in quel momento entrambe parlano una lingua falsa. In questo senso si può dire che la smarginatura è la lingua, ma è anche l’amicizia tra le due amiche, continuamente «formata, sformata, riformata», come dice Ferrante». Qui ha toccato un altro punto decisivo del nesso tra particolare e universale nel ciclo dell’Amica geniale, cioè il rapporto tra dialetto e lingua. Il napoletano risuona ovunque ma in realtà è quasi del tutto tradotto, filtrato in italiano. C’è però un ponte tra il parlato del napoletano e la sua trascrittura in italiano. Si percepisce un travaso ma anche una tensione tra i due mondi. È la lingua di una voce narrante, quella di Elena, che era sottoproletaria e poi si è imborghesita, che è madrelingua napoletana e poi si è italianizzata: una voce che si mette al confine tra i due mondi. Si tratta insomma di una napoletanità latente, oppure, da un altro punto di vista, di un’italianità ibrida. Per far capire cosa intendo, vorrei citare uno dei casi in cui compare il napoletano, tratto dal primo volume della quadrilogia. Qui la voce narrante di Elena riferisce il commento di Lila sulle avance che lei stessa ha subito: «andammo via mentre sentivo Lila che diceva indignata a Enzo, in dialetto strettissimo: M’ha toccata, hai visto? A me, chillu strunz. Meno male che non c’era Rino. Se lo fa un’altra volta, è morto». È molto interessante il fatto che il prelievo dal napoletano sia dosato con molta attenzione. Elena segnala che Lila sta parlando «in dialetto strettissimo», ma poi del dialetto nel discorso diretto dell’amica rimane solo «chillu strunz». Quale è stata, Ann, la sua esperienza di tradut- trice di questa lingua così particolare? «Molti lettori anglofoni hanno pensato che Ferrante avesse scritto la quadrilogia in dialetto e che quindi io l’avessi poi tradotto dal napoletano all’inglese, proprio a causa di questa continua segnalazione del ponte verso il napoletano (I-he-she said in dialect/I-he-she said in italian) che c’è nel testo. In questo caso che poni tu, nella mia traduzione “chillu strunz” diventa “that shit” ma ho garantito comunque un contatto con l’oralità. In questo modo la frase è solo un po’più slang ma non molto più slang di altre, proprio per aderire alla lingua ibrida della voce narrante nella quale i prelievi dal napoletano come questo sono, come dicevi tu, sempre molto dosati, misurati. Ecco la traduzione dell’intera frase: “As we left I heard Lila saying indignantly to Enzo, in the thickest dialect, He touched me, did you see: me, that shit. Luckily Rino wasn’t there. If he does it again, he’s dead”. Ma vorrei dire anche qualcosa più in generale sullo stile di Ferrante. Lei usa molte parole, ma non sono mai parole inutili. La frase è costruita come un accumularsi di parole che porta ad una verità: la verità di un evento, la verità di una emozione, di un fatto storico. Ferrante vuole scavare in ogni senso per ravvivare questa verità. Per la traduzione è difficile mantenere questo stile, ma c’è un’intensità di queste frasi, che va preservata in inglese. L’inglese non sopporta tanto questo stile, questo accumularsi di parole, che in italiano invece va bene. Io ho cercato di mantenere questo stile il più possibile e credo che i lettori abbiano accettato questa diversità come parte del racconto, della storia». * Tiziana de Rogatis è professoressa associata di Letterature comparate e di Letteratura italiana contemporanea presso l’Università per Stranieri di Siena. Ha scritto diversi saggi su Elena Ferrante DOPO IL SISMA Formazione e solidarietà, un libro per ricostruire l’impianto sportivo di Acquasanta Terme Si intitola DireFare, pensieri e azioni per l’Italia il nuovo libro edito da Roi Edizioni il cui ricavato sarà interamente devoluto per la ricostruzione e l’edificazione del nuovo plesso sportivo di Acquasanta Terme, paesino piceno duramente colpito dal sisma del 24 agosto. Il libro è una preziosa testimonianza del più grande corso di formazione mai tenuto in Italia - si è svolto lo scorso gennaio - a sostegno dei luoghi colpiti dal terremoto. Tutto il lavoro delle persone e delle imprese coinvolte è stato puro volontariato, una partecipazione a costo zero affinché l’intero ricavato dell’operazione fosse destinato alla beneficenza. Più di 800 i partecipanti paganti che insieme a imprenditori, formatori, artisti e campioni hanno dato vita a questo grande evento ideato e organizzato da Marcello Mancini e Sara Pagnanelli, proprietari di Roi Group (Performance Strategies) e con il patrocinio della Regione Marche, dei Comuni di Ascoli Piceno e Acquasanta Terme. Il libro raccoglie gli interventi di 48 personalità che hanno partecipato raccontando il meglio delle proprie esperienze professionali ed umane. Malaussène, 20 anni dopo è ancora giovane Con il nuovo romanzo Daniel Pennac torna ai suoi esordi: riecco la tribù del “capro espiatorio” nella nostra epoca N Elena, Lila, Lenu’ e un successo «che non si perdona» La saga de “L’amica geniale” torna a Napoli e si scalda per il piccolo schermo con il documentario “Ferrante Fever” presto su Sky e una serie tv per la Rai Nicola Lagioia: «Ma in Italia tanta affermazione fa più invidia che piacere» I l fenomeno Elena Ferrante, la “Ferrante Fever”, non poteva essere ignorato da un Festival polivalente come quello che Sky Arte ha organizzato con tangibile successo a Napoli, fino a domenica scorsa. E proprio la misteriosa autrice della tetralogia del L’amica geniale è stato il tema del panel letterario di Villa Pignatelli, nel giorno conclusivo del riuscito evento ideato dal canale satellitare diretto da Roberto Pisoni. Protagonisti, l’attrice Anna Bonaiuto, che ha letto e interpretato alcuni brani dalla saga best-seller mondiale sull’amicizia tra Lila e Paolo Lenu’ (oltre un milione di coCalcagno pie solamente in Italia), lo scrittore e direttore del Salone del Libro di Torino Nicola Lagioia (Premio Strega per il romanzo Ferocia), la produttrice Alessandra Acciai e il regista Giacomo Durzi. Gli ultimi due hanno annunciato che mancano un paio di mesi al termine del documentario Ferrante Fever, attualmente in post-produzione e destinato alle sale prima dei passaggi-tv su Sky Arte che se n’è assicurati i diritti di trasmissione. Brillante quanto profondo, come ha dimostrato nelle sue eccellenti prove di scrittore, Nicola Lagioia ha introdotto il panel analizzando in breve il successo di Elena Ferrante. «Parlare in pubblico di questa grande scrittrice è, talvolta, difficile ma sempre divertente – ha attaccato lo scrittore barese -, perché lei potrebbe essere presente in platea, ovviamente in maniera anonima. Come ci ricorda Proust, non conta la persona, l’autore: conta l’opera. E L’amica geniale è l’opera che riesce a cogliere la sfumatura della sfumatura della sfumatura. Elena Ferrante è davvero l’erede di Elsa Morante e di Anna Maria Ortese. La sua Napoli è una metafora dell’Italia, la sua storia non racconta solamente il legame tra due bambine che, poi, diventano due donne: racconta un mondo. E attribuire il suo successo alla sua volontà di restare anonima, come hanno fatto alcuni giornalisti, è una cosa “farlocca”. Ho avuto dalla Ferrante una lunga intervista, ovviamente senza mai incontrarla, in cui parla di letteratura rivelando di essere una scrittrice molto consapevole. Ma in Italia, si sa, si perdona il peculato, si perdonano tante disonestà, ma non si perdona mai il successo. C’è una sostanziale invidia per l’affermazione internazionale di questa grande scrittrice. A Torino, al simposio organizzato su Elena Ferrante è stato più facile trovare l’adesione di autori stranieri che quella degli scrittori italiani, perché agli italiani gli rode…». «Elena Ferrante – ha aggiunto Lagioia -, ha il potere pazzesco di farti identificare nei panni di persone che non vorresti mai essere. Come nella vita reale, le persone più importanti sono quelle che depositano dentro di noi la loro voce, anche se si tratta di odio. E soltanto la letteratura è capace di scavare in quel modo così potente». Dopo L’Amore Molesto, di Mario Martone, e I Giorni dell’Abbandono, di Roberto Faenza, la misteriosa autrice napoletana tornerà sul grande e anche sul piccolo schermo, mentre è ancora viva la polemica sull’inchiesta che ha indagato sul patrimonio della traduttrice Anita Raja, sospettata di essere la scrittrice. Ed è recente l’an- nuncio (in coproduzione con Hbo e Netflix) di Fandango e Rai della serie-tv sui quattro romanzi della saga de L’Amica Geniale. Intanto, Giacomo Durzi ha mostrato al Festival di Sky Arte alcuni estratti del suo documentario di 75 minuti, girato a New York, Napoli e Torino. Ferrante Fever è un viaggio raccontato con eleganza ed efficace creatività che prende inizio negli Stati Uniti, per testimoniare e analizzare il grande successo internazionale dei romanzi della scrittrice partenopea e si dirama nei vicoli di Napoli, per esplorare i luoghi dei suoi romanzi seguendo lo sguardo di grandi personaggi e testimoni d’eccezione, fra i quali l’autore di Correzioni, Jonathan Franzen, la traduttrice americana di Ferrante Ann Goldstein e l’editore Michael Reynolds, fino ai registi Martone e Faenza «Non è stato facile affrontare i temi dei romanzi di Elena Ferrante – ha commentato Giacomo Durzi -. È come andare in analisi: riesce a dirti cose che ancora non sapevi di te stesso. È come in certi film che riescono a farti dare un nome a dei sentimenti e a delle emozioni. Credo davvero che leggere Ferrante sia un percorso terapeutico». Durzi ha anche colto l’occasione per annunciare che sarà Anna Bonaiuto la voce narrante del suo documentario. Per Bonaiuto sarà il secondo incontro professionale con Elena Ferrante, dopo la sua interpretazione ne L’Amore Molesto, di Martone. «Devo molto alla Ferrante – ha ammesso l’attrice napoletana -. Di solito i personaggi dei romanzi sono più ricchi di sfaccettature della loro trasposizione cinematografica. Ma L’Amore Molesto è come una sceneggiatura, un’ulteriore dimostrazione di ricchezza da parte di questa grande scrittrice. Chi dice di non amarla, spesso non ha mai letto i suoi romanzi. Il tema dell’invidia, secondo me, è al centro del L’Amica Geniale: Lila invidia a Lenu’ ciò che ha, mentre Lenu’ invidia Lila per ciò che è». «A Torino, per il simposio dedicato alla scrittrice è stato più facile trovare l’adesione di autori stranieri che quella di italiani: a questi gli rode…» ostalgia. Nel 1991 abbiamo assistito alla nascita di Verden, nella prima storia di Benjamin Malaussène e abbiamo seguito, anni dopo, alle vicende di casa Malaussène riempita da storie, un cane unico e raro, in altri termini un amico quadrupede, e una piccola “orda”di bambini imbottiti di idee. Cosa c’è di più bello di una famiglia così speciale? Chi scrive all’epoca ha trangugiato tutte le sei le storie del meraviglioso “capro espiatorio” – dal Paradiso degli orchi a La passione secondo Thérèse e Ultime notizie dalla famiglia - e in tutti i libri di Pennac ci entrava dentro, come se fossero dei quadri di Mary Poppins, quelli che diventano veri e ci si salta dentro. Anche la scrittura ha questa magia, potersi infilare dentro una storia. Non si può non adorare i bambini di Malaussène, li vorremmo portare a casa, chiacchierare con loro, raccontargli delle fiabe. E ora che Daniel Pennac ha sfornato dopo tanti anni una nuova storia della famiglia, ci mancano questi ragazzini. I bambini non sono più bambini. Il nuovo romanzo di Daniel Pennac, diviso in due storie, Il caso di Malaussène e Mi hanno mentito ci porta nella nostra epoca e i ragazzi sono ormai adulti. Tanto per dire, Verden ora è una giudice. Ma tant’ è, Pennac ha deciso di rimettere mano alle avventure di Benjamin Malaussène e dei suoi fratelli a quasi vent'anni di distanza da La passione secondo Thérèse (Feltrinelli, 1998), sesto e ultimo libro della prima saga iniziata nel 1989 con Il paradiso degli orchi (Feltrinelli). I personaggi della famiglia Malaussène sono invecchiati di vent’anni e si ritrovano alle prese con un mondo dominato dal denaro, dai traffici e dalla violenza. La storia si apre con il rapimento del terribile Georges Lapietà, uno degli uomini d’affari più ricchi d’Europa, per il quale i rapitori chiederanno un enorme riscatto da distribuire ai poveri. E come nei romanzi precedenti, Benjamin finirà per essere coinvolto in una storia piena di colpi di scena, equivoci e false piste. E con lui tutta la famiglia, dalla sorella Verdun alla nipote Maracuja, senza dimenticare gli altri personaggi già presenti nelle opere precedenti, come la Regina Zabo e gli ispettori Titus e Silistri. Si ride ancora e si legge veloci cercando di azzeccare chi sono i rapitori del magnate. Sottotraccia in questo nuovo romanzo Pennac propone due temi importanti: la giustizia contro la corruzione e cosa è la letteratura. Quali i canoni? E così, dopo tanti anni lo scrittore è tornato ai suoi esordi, e ripropone lo stile ironico e scoppiettante che è tanto piaciuto ai milioni dei suoi lettori. Sembrava non volesse occuparsi più della famiglia, e invece ha cambiato idea. Pensava di essersi sbarazzato di quella meravigliosa tribù e invece ha riaperto la porta di casa Malaussène. «Lo dovevo ai miei lettori che mi chiedevano una nuova storia - ha spiegato Pennac -. Ho voluto premiare la fedeltà delle tante persone che hanno amato i miei romanzi e si sono appassionate alle vicende di Malaussène e della sua famiglia e che non hanno mai pienamente digerito la mia scelta». Del resto sembra davvero eccezionale questo cambio di rotta, ripensando alle lapidarie parole che pronunciò lo scrittore nel 1997: «Non scriverò mai più dei Malaussène». E, invece, eccolo qua. Una manna per i suoi lettori “orfani” di Benjamin &Co. Curiosità. Perché lo amiamo così tanto? Lo ha spiegato lo stesso scrittore in una recente intervista: «Inconsciamente i miei romanzi propongono una idea di comunità oggi troppo spesso messa in discussione. Quella dei Malaussène è una comunità ideale fondata sulla giustizia, la solidarietà e l’autorità morale di Benjamin e Clara.» C’è altro. Daniel Pennac non è solo un romanziere, ma è anche un professore di liceo e in questa guisa ha sempre studiato come si possa stimolare i giovani alla lettura e al piacere della lettura. Ci ha scritto un saggio, Come un romanzo (Feltrinelli 1993) come sa fare meravigliosamente a modo suo, con il sorriso. Si è inventato la Tavola dei diritti dei lettori. Ve lo riproponiamo. I diritti imprescrittibili del lettore 1. Il diritto di non leggere 2. Il diritto di saltare le pagine 3. Il diritto di non finire il libro 4. Il diritto di rileggere 5. Il diritto di leggere qualsiasi cosa 6. Il diritto al bovarismo (malattia testualmente contagiosa) 7. Il diritto di leggere ovunque 8. Il diritto di pizzicare 9. Il diritto di leggere a voce alta 10. Il diritto di tacere Buona lettura! Daniel Pennac sarà ospite del Salone del libro di Torino il 18 maggio per un’anteprima, in scena con il suo reading teatrale “Il caso Malaussène – Mi hanno mentito”. Street Art a Belleville, il quartiere di Malaussène LOS ANGELES TIMES PALERMO Dal ciclo letterario una spinta al turismo Teatro Massimo, grande festa per i 120 anni di vita Potenza dei libri. Non tutti, certo, ma quelli di successo come la saga de “L’amica geniale” possono generare un indotto turistico di tutto rispetto. Così, dopo il quotidiano britannico The Guardian, anche il Los Angeles Times ha di recente dedicato a Ischia un ampio reportage partendo da “Storia del nuovo cognome”secondo titolo della fortunata saga di Elena Ferrante, ambientato perlopiù nell’isola, negli anni Cinquanta. L’articolo ripropone luoghi e paesaggi suggeriti dal libro, ne descrive bellezza ed emozioni e arriva alla conclusione - come prima il Guardian - che le pagine possano ispirato nuove generazioni di visitatori. Turismo letterario che ha molti precedenti - si pensi ai luoghi di Harry Potter o a quelli di Montalbano - e che, al pari di questi, promette sviluppi con l’arrivo de “L’Amica geniale”sul piccolo schermo. Doppio anniversario per il Teatro Massimo di Palermo, che compie 120 di vita e che ricorda i 20 anni dalla sua riapertura. E lo fa con sobrietà, nel segno della concretezza dei risultati raggiunti, come ha ricordato il Sovrintendente Francesco Giambrone durante la presentazione alla stampa delle iniziative in programma. «Perché la cosa più importante - ha spiegato - è regalare alla città i nuovi lavori di restauro del Teatro attesi da tempo e finanziati grazie ai fondi del Patto per Palermo». Inaugurato il 16 maggio 1897 con il Falstaff, estremo capolavoro di Verdi, il Massimo è stato al centro della vita culturale e mondana nazionale e internazionale con grandi produzioni e grandi interpreti succedutisi su uno dei palcoscenici più prestigiosi fino alla sua chiusura nel 1974 per lavori di ristrutturazione. Per il ventennale della riapertura si sono mobilitati anche gli Amici del Teatro Massimo che, grazie alla competenza e al lavoro dell’architetto Gloria Martellucci, hanno organizzato nella Sala Pompeiana una mostra di costumi, figurini e fotografie, dal titolo «Artisti e artigiani di eccellenza». L’inaugurazione è in calendario l’11 maggio. Saranno esposti i più bei costumi realizzati nell’ultimo ventennio, i più importanti figurini conservati nella biblioteca del teatro e le foto più significative delle ultime produzioni. Infine il progetto più importante: i nuovi lavori di restauro. Si procederà senza interrompere la produzione e riservando gli interventi più pesanti per i mesi estivi. Il teatro non chiuderà, assicurano il sindaco e il Sovrintendente. Si procederà a cantiere aperto, come avvenne vent’anni fa, dopo la riapertura. Sono 7 progetti per un valore di circa 20 milioni di euro, finanziati in gran parte col Patto con il Sud. Il programma di interventi interesserà il restauro degli stucchi e degli affreschi, le coperture in foglia di rame di cupole e palcoscenico, il pronao e le decorazioni dell’ingresso, della Sala degli specchi e i decori lignei della sala grande. l’Unità Martedì, 9 Maggio 2017 13 l