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Saggio breve o articolo di giornale
Consegna
Sviluppa l’argomento proposto in forma di “saggio breve” o di “articolo di giornale”,
utilizzando i documenti e i dati che lo corredano e facendo riferimento alle tue conoscenze
ed esperienze di studio.
Del tuo testo indica sempre il titolo e la destinazione editoriale (rivista specialistica, ricerca
scolastica o altro per il “saggio breve”; quotidiano, settimanale, giornalino scolastico o altro
per l’“articolo di giornale”).
Per il “saggio breve” non superare le cinque colonne di metà foglio protocollo; per
l’“articolo di giornale” non superare le tre colonne.
Argomento
Ragione e vero, illusioni e poesia in Leopardi.
Documenti
1. Il più solido piacere di questa vita è il piacer vano delle illusioni. Io considero le illusioni
come cosa in certo modo reale stante ch’elle sono ingredienti essenziali del sistema della
natura umana, e date dalla natura a tutti quanti gli uomini, in maniera che non è lecito
spregiarle come sogni di un solo, ma propri veramente dell’uomo e voluti dalla natura, e
senza cui la vita nostra sarebbe la più misera e barbara cosa ec. Onde sono necessari ed
entrano sostanzialmente nel composto ed ordine delle cose.
G. Leopardi, Zibaldone, dicembre1818-8 gennaio1820
2. Non c’è dubbio che i progressi della ragione e lo spegnimento delle illusioni producono
la barbarie, e un popolo oltremodo illuminato non diventa mica civilissimo, come sognano i
filosofi del nostro tempo, la Stael ec. ma barbaro: al che noi c’incamminiamo a gran passi
e quasi siamo arrivati. La più gran nemica della barbarie non è la ragione ma la natura:
(seguìta però a dovere) essa ci somministra le illusioni che quando sono nel loro punto
fanno un popolo veramente civile, e certo nessuno chiamerà barbari i Romani combattenti
i Cartaginesi, né i Greci alle Termopile, quantunque quel tempo fosse pieno di
ardentissime illusioni, e pochissimo filosofico presso ambedue i popoli. Le illusioni sono in
natura, inerenti al sistema del mondo, tolte via affatto o quasi affatto, l’uomo è snaturato;
ogni popolo snaturato è barbaro, non potendo più correre le cose come vuole il sistema
del mondo. La ragione è un lume; la natura vuol essere illuminata dalla ragione non
incendiata.
G. Leopardi, Zibaldone, agosto 1817-dicembre 1818
3. Dicono che la felicità dell’uomo non può consistere fuorché nella verità. Così parrebbe,
perché qual felicità in una cosa che sia falsa? E come, se il mondo è diretto alla felicità, il
vero non deve render felice? Eppure io dico che la felicità consiste nell’ignoranza del vero.
E questo, appunto perché il mondo è diretto alla felicità, e perché la natura ha fatto l’uomo
felice. Ora essa l’ha fatto anche ignorante, come gli altri animali.
G. Leopardi, Zibaldone, 13-14 novembre 1820
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4. Chi non ha o non ha mai avuto immaginazione, sentimento, capacità d’entusiasmo, di
eroismo, d’illusioni vive e grandi, di forti e varie passioni, chi non conosce l’immenso
sistema del bello, chi non legge o non sente, o non ha mai letto o sentito i poeti, non può
assolutamente essere un grande, vero e perfetto filosofo, anzi non sarà mai se non un
filosofo dimezzato, di corta vista, di colpo d’occhio assai debole, di penetrazione scarsa,
per diligente, paziente e sottile, e dialettico e matematico ch’ei possa essere.
G. Leopardi, Zibaldone, 4 ottobre 1821
5. La ragione è nemica d’ogni grandezza: la ragione è nemica della natura: la natura è
grande, la ragione è piccola. Voglio dire che un uomo tanto meno o tanto più difficilmente
sarà grande quanto più sarà dominato dalla ragione: che pochi possono esser grandi (e
nelle arti e nella poesia forse nessuno) se non sono dominati dalle illusioni. […] Noi siamo
nel secolo della ragione […] e pochi ora possono essere e sono gli uomini grandi,
segnatamente nelle arti. Anche chi è veramente grande, sa pesare adesso e conoscere la
sua grandezza, sa sviscerare a sangue freddo il suo carattere, esaminare il merito delle
sue azioni, pronosticare sopra di se, scrivere minutamente colle più argute e profonde
riflessioni la sua vita: nemici grandissimi, ostacoli terribili alla grandezza: che anche
l’illusioni ora si conoscono chiarissimamente esser tali, e si fomentano con una certa
compiacenza di se stesse, sapendo però benissimo quello che sono. Ora come è
possibile che sieno durevoli e forti quanto basta, essendo così scoperte? e che muovano
a grandi cose? e senza le illusioni qual grandezza ci può essere o sperarsi?
G. Leopardi, Zibaldone, agosto 1817-dicembre 1818
6. Leopardi produce l’effetto contrario a quello che si propone. Non crede al progresso, e
te lo fa desiderare; non crede alla libertà, e te la fa amare. Chiama illusioni l’amore, la
gloria, la virtù, e te ne accende in petto un desiderio inesausto.
F. De Sanctis, Schopenhauer e Leopardi, a cura di F. Gnerre e A. L. Marongiu, Colonna
Edizioni, Milano 1995
7. La poetica delle illusioni, nell’ammettere lucidamente che esse sono “enti immaginari”, cioè
errori, assume una prospettiva razionalista-meccanicista; ma nel dichiarare contemporaneamente
l’impossibilità di rinunciarvi perché sono le illusioni che danno un senso all’esistenza, che alleviano
il male di vivere, pone le basi per il superamento di quella prospettiva. Si crede nella necessità,
nella funzione consolante delle illusioni, innalzate a ideale metafisico, ma non nella loro reale,
materiale esistenza: si crede in ciò che non esiste. Il binomio idealismo-materialismo non è né in
Foscolo, né in Leopardi un ossimoro. Lo ha spiegato Mario Andrea Rigoni a proposito del canto
Alla sua donna, in cui sembrerebbe che Leopardi postuli, in contraddizione con la sua concezione
materialistico-meccanicista della natura, l’esistenza di un mondo neoplatonico di idee. Rileggendo
la poesia alla luce delle riflessioni sulle illusioni contenute nello Zibaldone, Rigoni ha chiarito come
l’apparente contraddizione tra materialismo e neoplatonismo si risolve nella necessità «di celebrare
ciò in cui non crede, di cantare ciò che non è». Così i Sepolcri di Foscolo cantano l’illusione di
poter vivere dopo la morte grazie alla “corrispondenza di amorosi sensi” e al ruolo eternatore
dell’arte, in una cornice filosofica che rimane fondamentalmente materialista: il sonno della morte
non sarà “men duro” per chi è morto, ma, grazie alle illusioni, apparirà meno aspro a chi è ancora in
vita; i defunti non potranno realmente tornare in vita, ma rivivranno illusoriamente nel ricordo dei
vivi e nell’arte. Se l’Ortis si conclude con la disillusione politica e sentimentale di Jacopo, che
s’esprime nel suicidio, i Sepolcri innalzano un canto appassionato alle illusioni, in cui si dichiara
l’origine funebre dell’arte e contemporaneamente la sua funzione di riscatto dalla morte.
C. Savettieri, Ingannare la morte. Anne-Louis Girodet e l’illusione dell’arte, Centro Internazionale
Studi di Estetica, Palermo 2005
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