Élite all`italiana - Ufficio stampa

Élite all’italiana
In un recente volume curato da Boeri, Merlo e Prat, l’analisi delle due componenti principali
della classe dirigente, i politici e i manager, e dei legami che le uniscono
Da un lato ci sono i politici, dall’altra i manager. Due mondi che sono sempre più spesso l’uno il
terreno di coltura per l’altro. Così, ad esempio, i parlamentari provenienti dal management sono
aumentati dal 6 al 18% tra la I e la XV legislatura mentre, sull’altro versante, un terzo dei manager
oggi incontra politici o membri delle amministrazioni pubbliche almeno una volta alla settimana.
Evidenze che emergono dai due studi distinti, il primo sulle caratteristiche dei parlamentari italiani,
il secondo su quelle del management delle nostre imprese, sviluppati per il decennale della
Fondazione Rodolfo Debenedetti e adesso raccolti in Classe dirigente. L’intreccio tra business e
politica (Università Bocconi editore, 2010, 155 pagg., 19 euro), a cura di Tito Boeri (Università
Bocconi), Antonio Merlo (University of Pennsylvania) e Andrea Prat (London school of
economics).
Nella prima parte del volume, che reca anche il commento di Giuliano Amato, è fotografato il
cambiamento dei parlamentari italiani dal 1948: la percentuale di donne è salita dal 7,2% al 20,8% e
il tasso di laureati è sceso dal 91% al 64,4%. I neoeletti provenienti dal settore legale sono diminuiti
dal 33,9% al 10,6%, mentre è aumentata la percentuale di legislatori provenienti dal settore
industriale (dal 12,4% al 26,3%), ma ne è cambiata la composizione: gli operai sono scesi dal 6,3%
al 5%, mentre i manager sono aumentati dal 6,1% al 18,2%.
Per quanto riguarda le retribuzioni, l’indennità parlamentare è aumentata in termini reali dai 10.712
euro del 1948 a 137.691 euro nel 2006, con una variazione del 9,9% annuo e un incremento totale
del 1.185%. Per paragone, le retribuzioni dei membri del Congresso americano sono aumentate da
101.297 a 160.038 dollari, con un incremento dell’1,5% annuo e del 58% totale. L’attività
parlamentare è economicamente vantaggiosa non soltanto per l’entità dell’indennità parlamentare:
secondo lo studio, infatti, gli extraredditi dei parlamentari italiani, derivanti da altra attività
professionale, tendono ad aumentare durante il mandato.
Infine, gli autori hanno provato a stimare, da dati quali il livello di istruzione o il settore di
provenienza, come sia cambiata la qualità dei legislatori italiani. E il quadro che ne emerge non è
confortante. Lo spartiacque è rappresentato dal passaggio alla Seconda Repubblica: in tutto, la
quota di legislatori più qualificati della media è del 61,9% prima del 1994 e del 35,2% nel periodo
successivo. Mettendo in relazione questi dati con quelli relativi alla retribuzione, inoltre, lo studio
evidenzia “un rapporto negativo tra le abilità dei parlamentari e il loro reddito parlamentare:
all’aumentare di questo, la qualità peggiora”. Anche perché, “per ogni 10.000 euro guadagnati al di
fuori dell’attività legislativa, la presenza alle votazioni in Parlamento si riduce dell’1%”.
La seconda parte del volume, commentata tra l’altro da Luigi Zingales, fotografa invece i tratti dei
manager del nostro paese.
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Si evidenzia, in particolare, come nelle imprese familiari, molto diffuse nel tessuto produttivo
italiano, il modello di gestione propenda più per un modello di management legato alla fedeltà verso
la proprietà dell’azienda che per un modello legato alle prestazioni.
La proprietà di tali imprese valuta dunque meno i propri manager in base ai risultati, ha scarsa
cultura del bonus economico e il reclutamento avviene attraverso canali più informali. Il
management delle imprese familiari, inoltre, ha una propensione al rischio inferiore rispetto a quello
delle multinazionali. Lo studio analizza poi il tempo che i manager dedicano alle varie attività e a
questo proposito, nella sua prefazione al volume, Boeri sottolinea come “sorprende il fatto che il
tempo speso con politici non sia inferiore a quello dedicato alle banche anche da parte dei top
manager delle imprese non partecipate o possedute dallo stato o di aziende non municipalizzate”.
I terreni del manager e del politico, in sostanza, si sono via via avvicinati. “Tutto ciò”, aggiunge
Boeri, “suggerisce che la classe politica italiana è sempre più coinvolta in attività imprenditoriali
private e che un’ampia fetta del capitalismo italiano è profondamente orientata alla politica”, col
rischio “che l’intreccio tra mondo degli affari e politica possa degenerare in controllo politico che
difetta di accountability, di responsabilizzazione dei politici di fronte agli elettori”. “È bene”,
conclude quindi il docente della Bocconi, “che il ruolo del manager e quello del politico rimangano
separati”.
Tito Boeri, ordinario di economia del lavoro all’Università Bocconi, è direttore scientifico della
Fondazione Rodolfo Debenedetti e coordinatore di www.lavoce.info.
Antonio Merlo è Lawrence R. Klein professor of economics e direttore del Penn Institute for
economic research alla University of Pennsylvania.
Andrea Prat è professore di economia alla London school of economics (Lse)
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