LA VOCE DEL POPOLO ce vo /la .hr dit w.e ww & il pentagramma musica An no VII • n. 011 2 e mbr 51 • Mercoledì, 28 sette De musica amabili et de nostra gloria di Patrizia Venucci Merdžo Gentili lettori, dopo l’appena trascorsa torrida ed estenuante estate costellata di spettacolari manifestazioni festivaliere, eccoci nuovamente insieme in questo mite inizio autunnale. Nel dolce mese di settembre, tradizionalmente fioriscono numerose le manifestazioni di musica da camera il cui carattere più intimo e raccolto ben si addice al nuovo stato d’animo che subentra presso il pubblico con il ritorno agli impegni della quotidianità. Il festival di Rovigno, di Parenzo, il festival di musica antica di Ragusa, Organum Histriae, le Serate barocche di Varaždin, il festival di musica da camera di Fiume, sono solo alcuni degli eventi di un lungo elenco. Molto prima della musica sinfonica e dell’opera lirica, fu la musica da camera che, attraverso i secoli, allietò il vivere dell’uomo; musica da camera intesa in senso lato, ovvero, come suggerisce il termine, musica “domestica”, o comunque per ambienti a dimensione d’uomo, con formazioni che andavano da uno a più strumenti. In fondo, anche David faceva musica da camera quando con il suono della sua cetra cercava di alleviare le angosce di Saul; e così pure i “symphonici“ romani che rallegravano i convivi delle ma- trone, o i musicanti medievali, i quali, flauti, tamburelli, ghironde e vielle alla mano, rendevano nei castelli meno tediose le lunghe serate invernali di questo o quell’altro Signore. Coltivavano la musica da camera anche le gentildonne del Rinascimento, che si dilettavano con il liuto e il canto, oppure Elisabetta d’Inghilterra, notoriamente buona suonatrice di “virginel“ (spinetta). Sul finire del Settecento, in gran voga nelle terre asburgiche erano la serenata (da non confondere con la “serenata calabrese“ che si eseguiva per i matrimoni e quando si ammazzava il porco; c’è un proverbio calabrese che recita: “Chi si sposa è felice un giorno, chi ammazza il ‘porcu’ è contento tutto l’anno“), il divertimento, la cassazione, musiche d’intrattenimento scritte perlopiù per complessi di fiati che, nella bella stagione, venivano eseguite all’aperto in occasione degli eventi mondani dell’aristocrazia. Con l’Ottocento il genere cameristico entra sovrano nei salotti dell’aristocrazia e della borghesia riflettendo le inquietudini e gli ideali del tempo, le confessioni personali più intime e le riflessioni romantiche più sofferte. Dunque, un enorme patrimonio che non può non permeare capillarmente la prassi esecutiva musicale, tramandandoci un’eredità artistica e spiri- nella splendida Sala delle feste è già stata inaugurata con il bel concerto della pianista Martina Frezzotti, e noi non possiamo che esprimere la nostra ammirazione per la determinazione e l’ampia autonomia con cui questi begli eventi musicali vengono portati avanti. Un’occasione in cui le risorse canore della CNI sono emerse in maniera spettacolare e a livello nazionale è stata la storica visita del presidente Giorgio Napolitano e il concerto tenutosi all’Arena di Pola; evento in cui le corali riunite di cinque Comunità degli Italiani, minuziosamente istruite dall’eccellente Maestro Ivo Lipanović, e accompagnate dall’Orchestra sinfonica dell’HRT, hanno fatto un’ottima figura – specie la sezione maschile - con “Va pensiero“ e nella “Vergine degli angeli“ di Verdi. Sembrava di ascoltare un coro d’opera italiano (almeno tramite il mezzo tuale che appartiene a tutta l’umanità. Con televisivo). Se poi ci aggiungiamo l’apporto il festival di musica da camera di Fiume, il del nostro superlativo Giorgio Surian (un capoluogo quarnerino si è arricchito di un secondo Tito Gobbi), allora la nostra sodsegmento significativo e molto gradito al disfazione non può che essere ancora più pubblico, mentre un apporto di livello vie- completa. Una prova “corale” che riconne offerto dai concerti alla Comunità degli ferma il ruolo del segmento musicale nelle nostre CI e della musica come arte che Italiani di Fiume, divenuta ormai punto di riferimento non solo per i connazionali, unisce, al di là delle diversità linguistiche, ma pure per molti cittadini e musicisti del- etniche e destini storici. Incommensurabilmente Vostra la maggioranza. La stagione dei concerti 2 musica Mercoledì, 28 settembre 2011 LA GRANDE MUSICA Quando il violino, da strumento monodico diventa polifonico Le Partite e le Sonate di Bach base e apice della letteratura violinistica di Michele Trento N on sono molte le notizie pervenute intorno alla genesi di questa straordinaria opera, oggi considerata unanimemente il vertice assoluto della letteratura per violino di tutti i tempi. L’unica fonte certa a riguardo è il frontespizio del manoscritto autografo, oggi conservato alla Staatsbibliothek Preussischer Kulturbesitz di Berlino, sul quale si legge: “Sei a solo a violino senza basso accompagnato. Libro primo. Da ]oh. Seb. Bach ao. 1720”. II termine della stesura finale - in bella copia - dell’opera completa è da situarsi quindi nel mezzo del periodo “strumental”di Koethen. Nessuna documentazione chiarisce se prima o dopo la morte della moglie Barbara, avvenuta, per cause non conosciute, fra il 4 ed il 7 luglio 1720; nè sappiamo quanto di queste musiche risalga a periodi precedenti e sia poi confluito nella raccolta nell’anno riportato dall’autografo. Per ciò che concerne l’idea di Bach di destinare al violino uno dei suoi lavori di maggior impegno, sappiamo che, secondo quanto riportato dal figlio Cari Philipp Emanuel, Bach “...fino ad un’età piuttosto avanzata suonava il violino con stile puro ed incisivo...e... conosceva perfettamente le possibilità di tutti gli strumenti ad arco”. AI tempo di Bach esistevano precedenti, seppure non molto diffusi, di composizioni per violino solo, tra cui quelle di I. F. Biber, J. P. Westhoff, J.J.Walther, J. G. Pisendel. Alcune di queste pagine erano certamente conosciute da Bach, fin dagli anni 1702-1703: si tratta comunque di lavori di compositoriviolinisti che non poterono influen- bachiana: “...è come se l’eterna armonia si intrattenesse con se stessa, come deve essere stato nella mente di Dio prima della creazione”. I sei pezzi di cui è composta la raccolta sono concepiti secondo due diversi schemi formali: Quello dell’antica Sonata da chiesa italiana e quello della Suite alla francese. Le Sonate sono quindi costituite da quattro movimenti, con un brano iniziale in tempo lento, seguito da Bach, il cui linguaggio era basato su di un altissimo magistero armonico e contrappuntistico, affronta, con la raccolta delle Sonate e Partite, la sfida suprema: la scrittura per uno strumento solo dalla natura tipicamente monodica zare la concezione delle Sonate e Partite per quanto riguarda lo stile musicale. Uno stile mai superato Bach, il cui linguaggio - maturato in lunghi anni di severo studio sugli autori classici e contemporanei - era basato su di un altissimo magistero armonico e contrappuntistico, affronta, con la raccolta delle Sonate e Partite, la sfida suprema: la scrittura per uno strumento solo dalla natura tipicamente monodica. II risultato è uno stile mai superato nella storia della musica. Nelle sue mani il violino diventa polifonico, realizzando fughe, bassi ostinati e brani imitativi. Sembrerebbe che, nonostante la natura limitata dello strumento, nulla si possa aggiungere alle meravigliose tessiture di questa musica. Le Sonate e Partite “costituiscono una delle più auguste concezioni organizzative e architettoniche del pensiero umano” (Buscaroli); e ad esse si può certamente riferire la celebre frase di Goethe sulla musica una fuga; il terzo è ancora un movimento lento, in genere in una tonalità diversa da quella di tutti gli altri pezzi, che introduce un vivace quarto tempo conclusivo. Le Partite sono invece più varie nella struttura e comprendono una serie di danze nella medesima tonalità, dall’andamento alternato,veloce-lento; tranne che nella Ciaccona della II Partita e nel Preludio della III le danze sono divise in due parti da segno di ritornello. Simbolismo musicale in Johann Sebastian Bach Nelle Scuole Latine, che Bach frequentò fino al 1702, l’impostazione culturale risentiva ancora della grande eredità rinascimentale, che nei paesi tedeschi si univa alle feconde intuizioni portate dalla Riforma di Martin Lutero. Eredità rinascimentale è anche il Simbolismo, che si concretizza in musica nei ricorrenti rapporti fra strutture musicali e significati extramusicali. In Bach i simbolismi musicali più frequenti si realizzano attraverso i seguenti procedimenti: uso di numeri particolari, che rappresentano concetti legati generalmente alla religione: 3 per la Trinità, 7 per la quantità infinita, 12 per il numero degli apostoli, ecc. esplicitati in musica in vari modi: attraverso il numero delle battute, oppure delle voci, o dagli intervalli (di terza, di settima, e così via). Utilizzo di note il cui nome tedesco (costituito da lettere dell’alfabeto) forma parole, nomi propri, o in alcuni casi brevi frasi. Strutture musicali che rappresentano concetti ed idee extramusicali: il caso più emblematico è quel- lo della fuga, che rappresenta, attraverso la sua complessa costruzione, ricerca della perfezione, disciplina interiore, ordine. Figurazioni musicali che, in maniera gestuale o onomatopeica, rappresentano concetti definiti, come il movimento in una determinata direzione, o la stanchezza, o la determinazione, ecc. L’uso dell’alterazione ascendente (il diesis, che in tedesco si chiama”Kreutz“, ovvero croce), a rappresentare la Croce di Cristo. Nella musica di Bach, specialmente nei brani sacri, è molto frequente il ricorso alla simbologia musicale; vi si trovano inoltre tracce dell’applicazione delle regole dell’Oratoria alla sintassi musicale. Autografi bachiani: a sinistra la celebre “Ciaccona” in re min. e a destra l’inizio della Sonata in sol min. Caricatura di Bach all’organo musica 3 Mercoledì, 28 settembre 2011 L’EVENTO A colloquio con Olja Dešić, direttore artistico del «Vocal marathon» La passione per la musica e l’efficienza dietro ad un evento di successo di Helena Labus Bačić A more ed entusiasmo. Sono le prime parole che ci vengono in mente pensando alla prima, riuscitissima, edizione del festival internazionale del canto “a cappella” Vocal Marathon, che si è svolto a Tersatto (al Castello e negli spazi della vicina Casa di lettura) dal 1 al 3 settembre scorso. L’atmosfera rilassata e al contempo stimolante e carica di positività dell’evento, venutasi a creare in primo luogo grazie agli organizzatori e ai partecipanti, ha contagiato pure il pubblico, accorso numeroso al concerto d’ inaugurazione come pure alla serata finale. Al concorso Vocal Marathon hanno preso parte dieci tra gruppi vocali “a cappella” e sto della commissione giudicatrice sia nell’ambito dei laboratori di canto ‘a cappella’ che si sono svolti per due giorni consecutivi. Un’altra cosa che mi rende immensamente felice sono le reazioni più che positive che abbiamo riscontrato sia da parte dei partecipanti che da parte dei mass media e del pubblico. A questo punto devo sottolineare che tutto il lavoro è stato portato avanti esclusivamente dall’associazione Maraton che conta otto persone. Come direttore artistico dell’evento posso dire che sono estremamente soddisfatto di quanto siamo riusciti a fare. Infatti, fin da subito abbiamo fissato degli standard di qualità al fine di conseguire un alto livello artistico del festival invitando alcuni «Non è ammissibile che i gusti della massa determinino la politica culturale. C’è un dilagare di musica leggera e folk di infimo livello. Dovrebbe esistere una legge a tale proposito» i cosiddetti “beatboxer” (musicisti che imitano con la sola voce i suoni della batteria e di altri strumenti) che hanno entusiasmato il pubblico fiumano. È stato questo un evento di particolare importanza nella vita culturale di Fiume, frutto dell’amore e della dedizione al canto dell’ideatore e direttore artistico del festival, Olja Dešić, arrangiatore e compositore, noto soprattutto come bassista del gruppo di Neno Belan, i “Fiumens“. -Quali sono le tue impressioni in merito alla prima edizione del Vocal Marathon? Sei soddisfatto dei risultati? ”Innanzitutto, vorrei dire che abbiamo iniziato a lavorare al festival già nel mese di febbraio, mentre i primi contatti sono stati realizzati l’anno scorso. Si è trattato di un processo lungo nel corso del quale ci siamo impegnati molto per attirare collaboratori e trovare dei partner tra i mass media. Un lavoro complesso sia dal punto di vista organizzativo che da quello artistico. Ci siamo messi in contatto con complessi ‘a cappella’ internazionali e abbiamo cercato di impostare il festival nel migliore dei modi, sulla scia di manifestazioni analoghe esistenti in altri paesi. Infatti, nel mondo ci sono numerose competizioni simili, mentre la nostra è la prima del gernere organizzata in Croazia. All’estero, il canto ‘a cappella’ è molto più diffuso che da noi. In passato, invece, le cose stavano meglio in questo settore. Nei territori dell’ex Jugoslavia operavano alcuni gruppi ‘a cappella’ di tutto rispetto, tra i quali spiccava il New Swing Quartet sloveno. Per questo motivo, era mio grande desiderio contattare Tomaž Kozlevčar, membro del succitato gruppo e fino a pochi mesi fa direttore artistico del famoso coro sloveno Perpetuum Jazzile. Si tratta di un artista che seguo da vent’anni e che ammiro da sempre. Sono molto felice di aver collaborato con lui nell’ambito del festival, sia nel conte- Olja Dešić dei migliori gruppi ‘a cappella’ attivi in Europa. È in questo modo abbiamo assicurato una reputazione di tutto rispetto in ambito europeo che, ne sono certo, potrà soltanto miglio- glia di fare. Noi non siamo banchieri o esperti di finanza, siamo artisti. L’arte in sénon deve essere turbata dalla crisi. - E’ stata tua la scelta di organizzare l’evento nel bellissimo ambiente del Castello di Tersatto? ”Il Castello è un mio amore. Da musicista professionista che viaggia molto e partecipa a numerosi eventi da tutta la Croazia. Visto l’interesse manifestato per i corsi, siamo giunti all’idea di realizzare laboratori del genere anche in altre parti della Croazia, intitolati ‘Vocal Marathon in visita’ che si terranno nel corso di questo anno scolastico”. - Come sei pervenuto all’idea di allestire un festival dedicato a questo modo specifico di fare musica? ”Il canto ‘a cappella’ è il mio grande amore. A tredici anni ho fatto i primi passi nel mondo della musica cantando nel coro giovanile ‘Putokazi’ appassionandomi a questa specifica forma di canto corale. I primi lavori dei ‘Putokazi’ si basavano sul canto senza accompagnamento strumentale, salvo occasionali interventi di due chitarre, per cui è così che ho conosciuto le regole dell’‘a cappella’. Con il tempo ho continuato a sviluppare questo sapere, contemporaneamente lavorando a numerosi altri progetti, e L’lmperial College Chamber Choir di Londona all’inaugurazione rare negli anni a venire. Vorrei, infatti, che questo festival aiutasse a diffondere il nome della nostra città nel mondo nel migliore dei modi, attirando di anno in anno sempre più persone desiderose di trascorrere momenti indimenticabili in questa località. Sono molto soddisfatto anche della qualità dei concorrenti con meno esperienza. È d’obbligo menzionare alcuni gruppi croati, come gli Akvarel di Osijek, oppure i LubriCanti del circondario di Zagabria che dopo tanto tempo si sono riuniti proprio per questa occasione e hanno addirittura vinto il terzo premio, nonché il giovane gruppo Octachord di Fiume, che dimostra grande freschezza ed entusiasmo nel lavoro. Spero che tutti continueranno a lavorare e a perfezionarsi, nonostante il periodo di crisi che stiamo attraversando. Vorrei puntualizzare, però, che nel nostro mondo, quello della musica, la crisi non dovrebbe influire più di tanto perché per occuparsi di musica non è necessario avere soldi, ma la vo- di vario carattere, so la maniera in cui mi piacerebbe essere accolto in determinati luoghi. Per questo motivo, per me era di essenziale importanza poter garantire a tutti i complessi l’esenzione dal pagamento della quota d’iscrizione come pure la fruizione gratuita di vitto e alloggio”. - Nell’ambito del Vocal Marathon si sono svolti anche dei laboratori di canto ‘a cappella’. L’aspetto tecnico-educativo è una particolarità del festival, oppure si tratta di una caratteristica di questo tipo di genere? ”Si tratta di un aspetto consueto nell’ambito di manifestazioni di questo tipo. La nostra associazione si occupa di educazione musicale, per cui è stata una scelta logica organizzare dei laboratori di canto nell’ambito del Vocal Marathon, guidati da Tomaž Kozlevčar. Questi hanno registrato la partecipazione di un’ottantina di soggetti - tra insegnanti di musica, direttori di cori, klape, cantanti - giunti Il manifesto dell’evento aspettando il momento giusto per, in un certo senso, ‘ritornare alle radici’ e dedicarmi al mio primo amore. Devo dire che l’idea di organizzare un festival di questo carattere mi covava dentro da due anni e nel momento in cui decisi di ‘buttarmi’, nonpotevo più tirarmi indietro. - Quali sono le qualità che deve avere un buon gruppo “a cappella”? ”Innanzitutto, la musicalità. Questa è essenziale. Si tratta di un dono di natura, che non ha as- solutamente niente a che fare con l’istruzione formale. Infatti, uno può aver terminato tutte le scuole possibili e non essere musicale. Se i membri di un gruppo non hanno questa qualità, molto difficilmente riusciranno a raggiungere quella magica fusione delle voci, quello spirito di unità e l’intesa che porta a meravigliose armonie nel canto di gruppo. La seconda cosa importantissima è il lavoro. Bisogna provare tanto e fare quanto più spesso musica insieme. Quindi, gli arrangiamenti. È incredibile quanto un arrangiamento possa influire sul timbro vocale della compagine. Ascoltando lo stesso gruppo di persone eseguire un arrangiamento fatto male e uno fatto bene, uno può avere l’impressione di ascoltare due complessi completamente diversi”. - I tuoi idoli nel canto “a cappella”? ”I gruppi americani The Manhattan Trasfer, i Take 6... Bisogna dire che il livello del canto ‘a cappella’ negli Stati Uniti e quello in Europa non si possono paragonare. Gli americani sono semplicemente perfetti e sembrano quasi degli extraterrestri in confronto a noi europei. Negli Stati Uniti esiste una vera e propria industria che sprona questi gruppi a lavorare. Inoltre, la selezione dei cantanti è severissima e solo i migliori possono raggiungere le vette di questa professione. In Europa le cose stanno diversamente. Qui ci occupiamo di musica per amore e, sinceramente, è un approccio che mi è molto più vicino. Per questo motivo, però, difficilmente conseguiremo il successo e la qualità degli americani”. - Come vedi la scena musicale in Croazia? ”Questa dipende molto dal mercato. Nel segmento della musica leggera è di essenziale importanza l’appoggio dei giornali, della radio e della televisione perché siamo giunti al punto che i mass media, o più precisamente, il pubblico che li segue, ‘creano’ il programma musicale. Non possiamo biasimare i redattori musicali delle radio e delle varie emittenti televisiveper certe scelte -molti di loro hanno una buona cultura musicale - ma è la legge del mercato che li obbliga a soddisfare i gusti delle masse per sopravvivere. Qui sta il problema. Non è ammissibile che i gusti della massa determinino la cultura. Il pubblico ha il diritto di ascoltare ciò che gli piace, anzi, ma la creazione della politica culturale non gli compete. Ritengo che le stazione radiofoniche e le emittenti televisive, per legge, dovrebbero avere l’obbligo di coltivare e offrire una determinata ‘percentuale’ di musica di qualità, al fine di promuovere un più alto livello culturale. Purtroppo, la maggior parte delle radio private non è assolutamente interessata a prendersi questa responsabilità. Di conseguenzana c’è un dilagare di musica leggera e folk di dubbio gusto, mentre nell’ambito del cosiddetto ‘mainstream’ pop e rock possiamo contare un numero limitato di compagini e cantanti di livello. Lo scarto tra musica di qualità e musica spazzatura (il cosiddetto ‘schund’) è assolutamente sproporzionato. A danno della qualità, ovviamente”. 4 mus Mercoledì, 28 settembre 2011 L’ANNIVERSARIO Duecentodieci anni fa nasceva Vincenzo Bellini, il «Cigno di Catania «Casta Diva», la melodia dettata di Patrizia Venucci Merdžo V incenzo Bellini vide la luce il 1. novembre del 1801 nell’antica Catania. Come Bach e Puccini, anche il bellissimo e biondo Vincenzo discendeva da una stirpe di organisti. Organista, maestro di cappella e compositore fu il padre Rosario, organista e compositore il nonno Vincenzo Tobia dal quale Bellini prese le prime lezioni e, precocissimo, a sei anni scrisse la sua prima composizione. Ben presto apprezzato anch’egli come organista e compositore, a diciott’anni grazie alle “36 onze per anno” elargite dal Decurionato della sua città si recò a Napoli per studiare musica, dove ebbe tra i maestri pure Niccolò Zingarelli, direttore del Conservatorio napoletano. Con “Adelson e Salvini”, opera semiseria rappresentata nel teatrino del Conservatorio con grosso successo, che già porta i segni del futuro Bellini, si congedò dal corso di composizione e l’anno dopo fu la volta di “Bianca e Fernando”, scritta per il San Carlo di Napoli. Successi e passioni d’amore Furono fortunatissimi gli anni di Milano che oltre a portarli la gloria lo fecero diventare l’idolo dei salotti milanesi (e poi del bel mondo parigino); bello come un angelo, affascinante e di innata raffinatezza fece palpitare (ed egli stesso palpitò) non pochi cuori femminili. Dopo l’infelice passione giovanile con la conterranea Maddalena Fumaroli, la vita sentimentale del Bellini fu legata alle tre Giuditte: Giuditta Grisi (Angiola Maria Costanza), Giuditta Pasta Vincenzo Bellini – la “divina” Pasta per il quale Vincenzo scrisse la “Norma”, di cui lei fu prima interprete; il suo stile scenico, aulico e ieratico fu definito dal Bellini “tragico sublime” – e Giuditta Turina. Strutture settecentesche permeate di spirito romantico A differenza del Donizetti che produceva in maniera “industriale”, il Bellini (e anche così si spiega il suo piuttosto esiguo numero di opere) era di ben altro parere: “Mi sono proposto di scrivere po- sione drammatica in Bellini! Costruita non con la ripetizione degli incisi ma liberamente, con l’ausilio degli abbellimenti, delle progressioni del “crescendo lirico” essa lievita, fermenta, vivificata da un afflato sempre commosso, si dilata in ampie volute, miracolosamente all’”infinito”… apice e corona di questa stupenda arte della melodia – si diceva melodia come “dettata da un angelo”, e invece no; era frutto di fatica e di studiare limature (come Chopin) e per cui tanto più meritevole di plauso – è la leggendaria “Casta Diva”… Un inizio in sordina, remoto… che si piega inaspettatamente nel singulto arcano (abbellimento im- Le strutture classiche vengono fecondate da un alito lirico melodico ardente, da uno spirito romantico che trasmuta la sobrietà e rigidità meccanica della forma in spontanee immagini e formule di bellezza chi spartiti, non più di uno l’anno, ci adopro tutte le forze dell’ingegno, persuaso come sono che gran parte del loro buon successo dipenda dalla scelta di un tema interessante, da accenti caldi di espressione, dal contrasto delle passioni”, scriveva nel 1828. Pur basando la propria produzione sulle strutture formali classiche settecentesche, queste medesime vengono fecondate da un alito lirico melodico ardente, da uno spirito romantico che trasmuta la sobrietà e rigidità meccanica nella forma – la trasparenza ma pure povertà degli accompagnamenti dell’orchestra considerati, a ragione, un suo limite – in “spontanee immagini e formule di bellezza”. provviso) della sacerdotessa implorante, cresce nei dolci melismi successivi (come a voler rendere più convincente la prece all’astro notturno) per slanciare (alla luna) l’invocazione ardente (si-do- Le opere della ma La tragica e passionale “ luccio alla prima scaligera ne la Grisi), un tutt’uno di pass ma, opera della “maturità” de preceduta dall’idilliaca e cam bula” e seguita dalla ricercat Puritani”. Tre opere che si so pertorio lirico mondiale illum unicità e commozione. L’arte «Casta Diva» costruita liberamente, con l’a degli abbellimenti, delle progressioni del «c lirico» lievita, fermenta, vivificata da un af sempre commosso, si dilata in ampie volute miracolosamente, all’”infinito” Apice insuperato di purezza melodica La Pasta nel ruolo della druidessa Nel mezzo dell’aria, anc cosmica della druidessa espre nescenti rantolii che crescono limenti e cromatismi velocis Callas eseguiva alla “perfezio La migliore “Casta diva” c da noi udita invece è quella tima cantante di scuola italia lissima voce, ingiustamente ogni modo, nessuna cantante smettere quel senso di estasi, lità pagana che intridono que Dire “Casta Diva” è com o la “Merlettaia” del Vermeer miracoli che ogni tanto accad re-mi-fa-sol-la), un “la” sincopato che si protrae lungo tutta la battuta) e, indi, sfociare nella suprema estatica supplica (lungo si bemolle) alla lucenMa veniamo all’incredibile e tanto decantata te divinità, smorzandosi su una serie di ondulate melodia belliniana, portatrice assoluta dell’espres- sequenze melodiche. all’esprimersi di malinconie p diritti della personalità roman le proprie scontentezze… in ti traiettorie dell’universo”. V – compianto da tutta la Pari Dall’inaugurazione con «Norma» ai concerti di Stra Il prestigioso itinerario artis Era il 31 maggio 1890 quando a Catania avvenne l’inaugurazione del Teatro Massimo Vincenzo Bellini. L’evento fu celebrato con la rappresentazione di Norma, il capolavoro del grande compositore catanese al quale era stato intitolato il Teatro. Fu una grande serata vissuta intensamente in una sala illuminata da tremolanti fiammelle di gas arancione a forma di farfalle, che contribuirono a rendere particolarmente suggestiva l’atmosfera. Dopo quella festosa e fastosa apertura, però, il decennio finale del secolo non fu per il Teatro particolarmente significativo sul piano della qualità delle messe in scena. La situazione migliorò nel primo decennio del Novecento, grazie all’intuito dell’impre- sario chiamato a gestire il Teatro, Giuseppe Cavallaro, e poi soprattutto con l’avvento dell’opera verista. Tosca, Fedora, Andrea Chénier furono le opere di maggiore successo fra quelle andate in scena al Bellini in quegli anni. Dopo il terremoto di Messina, a partire dal 1910, fu la volta di Lohengrin di Wagner e di Loreley di Catalani, La dannazione di Faust di Berlioz, Thais di Massenet, Guglielmo Tell di Rossini, Isabeau di Mascagni, Werther di Massenet. Non mancarono le opere belliniane: ancora Norma e poi Sonnambula e Puritani. Chiusa la triste parentesi della prima guerra mondiale, il Bellini rilanciò la propria attività nel 1918 con un cartellone di quattordici opere. Dal 1925 al 1934 ca scene del Teatro catane giori cantanti dell’epoc di nota: nel 1931, la me na di Amico Fritz di con Ines Alfani Tellini e dro Wesselowski; nel edizione della verdiana interpretata da Mercede Lina Pagliughi, nel 193 men di Bizet con Giann ni e nel 1935 di Norma Cigna, in occasione del c della morte di Bellini. un periodo felice, ma n Teatro perdeva, a causa lungimiranza degli amm del tempo, la possibilità, una legge appena eman sformarsi in ente lirico. con l’Italia già in guerra sica Mercoledì, 28 settembre 2011 a» dagli angeli cora l’ancestrale estasi essa in una serie di evao e descrescono, abbelssimi che nemmeno la one”. come tecnica e pulizia, di Anita Cerquetti, otana (anni ’50) e di belquasi dimenticata. Ad e è finora riuscita a tradi spiritualità- sensuast’aria. me dire “La Gioconda” r oppure… uno di quei dono nell’arte. Lo stile di recitazione “tragico sublime” stanze misteriosissime, un autentico giallo tutt’ora irrisolto. Segregato e poi abbandonato in una villa fuori Parigi morì “sembra” – ma si parlò anche di assassinio – di una malattia intestinale il 23 settembre 1835. La città seguiva l’evoluzione nel mondo della lirica Quella Fiume ottocentesca innamorata di Bellini FIUME – Per quanto intensa e viscerale sia stata la passione della città di San Vito per Verdi – l’intensità della quale era dovuta anche alla copiosa produzione del Vate di Busseto che fu attivo fin in tarda età – la presenza del Cigno di Catania, considerata la sua prematura scomparsa e la limitata quantità di opere liriche, non fu da meno. Scorrendo la cronaca fiumana delle rappresentazioni del tempo si nota, a partire dal 1833 che i nomi più spesso presenti nelle stagioni liriche sono quelli del Rossini, Mercadante, Luigi e Federico Ricci, Donizetti, Bellini e nel 1845 con “Nabucodonosor” Giuseppe Verdi. Nell’etere del bellissimo Teatro Civico (Teatro Adamich) si levarono per la prima volta, le pure melodie belliniane nel 1835 con “I Capuleti ed i Montecchi”, a soli (pochissimi per l’epoca) cinque anni di distanza dalla prima veneziana; l’anno successivo 1836, fu la volta di due opere del Bellini “Norma” (a cinque anni dalla prima) e “Il pirata”. L’anno successivo 1837, sul cartellone della stagione lirica fiumana, figurano altri due lavori del nostro: “La straniera” e “La sonnambula”. La nutrita presenza belliniana a Fiume in tre anni conse- cutivi parla, inequivocabilmente, della scoperta e del vivissimo apprezzamento del pubblico fiumano per la Sua arte. Nel 1841 fu la volta di “Beatrice di Tenda” e nel 1844 nella direzione di Luigi garba andò in scena “I Puritani”. E nel 1844, a nove anni dalla prematura morte di Bellini, Fiume aveva udito e conosceva l’opera completa del Maestro! (Escluse le acerbe prove giovanili “Adelson e Salvini”, “Bianca e Fernando” che non fanno “storia” e la “Zaira”). Fiume coltivò il suo rapporto (ci riferiamo all’Ottocento) con il Catanese per il tramite di non pochi allestimenti delle citate opere. “La ausilio crescendo fflato e, personali… aumentò i ntica e del suo stare con mezzo alle assorbenVincenzo Bellini morì gi artistica – in circo- Il magnifico Teatro Adamich Sonnambula” fu infatti riproposta nel 1852, 1861, 1867, 1877, 1890, 1900, 1906…; la “Norma” nel 1866, 1876, 1888, 1897, 1908…; “I Puritani” nel 1865, 1879, 1892, 1897; “Beatrice di Tenda” nel 1851, 1872; “I Capuleti ed i Montecchi” nel 1854. Nel 1844, a nove anni dalla prematura morte di Bellini, Fiume aveva udito e conosceva l’opera completa del Maestro! aturità artistica “Norma” (accolta mael 1831, con la Pasta e ione, melodia e dramel Cigno di Catania, fu mpestre “La Sonnamtezza strumentale di “I ono mantenute nel reminandolo con la loro e di Bellini “aprì la via 5 Davvero non male se si considera la grande varietà e aggiornamento dei cartelloni d’opera di Fiume che seguiva vigilmente l’evoluzione del mondo della lirica per cui, oltre al belcanto i fiumani conoscevano la tradizione francese del grand-opèra, e dell’opera romantica, Wagner (!), i veristi, la nuova scuola italiana… Spettacoli, la cui maggior parte mai più avremo occasione di sentire nell’allestimento dell’odierno “Ivan de Zajc”! Ma ogni confronto con l’ottocentesca Fiume operistica è semplicemente impensabile e improponibile. Cosa non succedeva sotto l’ampia volta del Teatro Ada- mich prima e del Teatro Comunale poi! Una Fiume di diecimila abitanti con stagioni liriche che comprendevano dieci (!!!) prime (e non erano eccezioni). Cantanti e compagnie di grido, serate in onore di primadonne e attrici che venivano coperte di fiori, gioielli, poemetti celebrativi…Pura fantascienza per l’odierno pubblico fiumano amante della lirica il quale, tenuto a stecchetto com’è (se ci sono due prime per stagione è già tripudio e gaudio), schiatterebbe per lo choc di fronte a tanta dovizia e qualità. Sarebbe come offrire caviale, champagne e ogni ben di Dio a un morto di fame. E poi ci vengono a dire che Fiume era una città musicalmente provinciale! Ma si sa, l’ignoranza crassa è sempre arrogante. Chiedendo venia per la digressione, torniamo al nostro Bellissimo del quale, negli ultimi cinquant’anni a Fiume abbiamo avuto l’onore di sentito solo la “Norma”. Anno verdiano, e siamo d’accordo; ma una recitina belliniana, nel duecentesimo della nascita di questi Grande – magari la storia della passionale sacerdotessa Norma, nel contempo peccatrice e martire, Medea e Velleda – potrebbero offrircela… Giuditta Pasta avinski stico del Teatro Massimo catanese alcarono le ese i magca. Degne ssa in sceMascagni e Alessan1933, una a Traviata es Capsir e 34 la Carna Pederzia con Gina centenario Fu quello nel 1936 il della poca ministratori , offerta da ata, di traNel 1941, a, due ope- re da segnalare: Don Pasquale di Donizetti con Toti Dal Monte e la pucciniana Bohème con un tenore di grande futuro: Mario Del Monaco. Successivamente, il drammatico incalzare degli eventi bellici impose la chiusura del Teatro. Nel 1944 la ripresa delle rappresentazioni, che aprì un decennio segnato da presenze di assoluto valore. Solo per citare alcuni nomi: Ferruccio Tagliavini, Maria Caniglia, Beniamino Gigli, Gino Bechi, Renata Tebaldi. Nel 1951, per il 150° anniversario della nascita di Vincenzo Bellini, faceva la sua apparizione in Norma Maria Callas, che doppierà il successo l’anno dopo e nel ‘53. Cambiava intanto la guida del Teatro, che veniva affidata all’Ente Musicale Catanese, organismo misto, pubblico e privato. Di quel periodo si ricordano importanti appuntamenti: Dialoghi delle Carmelitane (1959) che lo stesso autore, Poulenc, definì come la migliore messa in scena della sua opera; Giovanna D’Arco al rogo di Honegger (1960) con Vittorio Gassman attore e regista (la rappresentazione fu ripresa dalla Rai e trasmessa in TV); Il Cavaliere della Rosa di Richard Strauss (1960); L’incoronazione di Poppea di Monteverdi in parte coprodotta con l’Opera di Dallas. Inoltre: il concerto di Igor Stravinski, che esibitosi l’indomani dell’assassinio di John Kennedy il 3 novembre del 1963, dedicò all’amico scomparso la sua performance. Nel 1966 la gestione del Bellini veniva assunta dal Comune di Catania, che debuttava in questo ruolo con una stagione il cui clou fu la belliniana Beatrice di Tenda diretta da Vittorio Gui, protagonista Raina Kabaivanska. “Prima “ al Bellini, nel 1970, di Mosè di Rossini, con Gavazzeni sul podio. Due anni dopo, lo stesso Gavazzeni diresse i Puritani con la regia di Colonnello. Si succedevano frattanto vari direttori artistici. Nel 1975 Danilo Belardinelli propose una ricostruzione di Zaira di Bellini, opera che lo stesso musicista aveva utilizzato per comporre i Capuleti. In quella che fu la prima edizione del secolo, Zaira venne proposta con la ricostruzione di Rubino Profeta, pro- tagonisti Renata Scotto e Giorgio Casellato Lamberti. Una curiosità: dell’opera venne effettuata una registrazione pirata, utilizzata per la realizzazione di un disco che è ancora in circolazione. Di rilie- vo nel 1970, dopo anni non particolarmente significativi, l’opera Anna Bolena di Donizetti con Katia Ricciarelli al suo debutto catanese, e Macbeth di Verdi con Olivia Stapp e Kostas Paskalis. 6 musica Mercoledì, 28 settembre 2011 IL PERSONAGGIO Intervista con Ariana Bossi cantante, pedagoga, strumentista Quando la vita è musica di Viviana Car Ariana Bossi H a gli occhi sorridenti e lo sguardo solare quando parla della “sua” musica. Così si presenta Ariana Bossi, eccellente maestra della Mandolinistica e mirabile interprete di arie operistiche nell’ambito della sezione “Virtuosi fiumani”, l’ultima nata nella grande famiglia della SAC “Fratellanza”. Un complesso giovane e unico nel suo genere e di trascinante successo che in pochissimi anni ha bruciato le tappe sulla scena del belcanto, offrendo al pubblico una miriade di ottimi concerti, di regola molto apprezzati dagli amanti della lirica. Una passione assimilata in famiglia Tutto il curriculum vitae è impregnato di musica per questa giovane che già da bambina sognava la musica, in tutte le sue forme. “Quando in famiglia ci sono due musicisti, mio padre e mia sorella maggiore, allora la scelta è ovvia – racconta Ariana –. Parallelamente alla scuola elementare, la ‘Belvedere’, frequentavo intensamente anche la Scuola elementare di musica. A tredici anni sono entrata a far parte della Mandolinistica. Qui ho imparato a suonare il mandolino”. In quel periodo prende una grande decisione, inusuale per una giovane ragazza – frequenterà la Scuola media di musica per dedicarsi interamente all’arte del suono e del canto. Una scelta personale, azzardata, ma nata dal profondo del cuore. Una voce corposa ed elastica Nel 1993, terminata l’istruzione media si iscrive alla Facoltà di pedagogia di Pola laureandosi nel ‘97 in Cultura musicale. Ariana non aspetta tempo e lo stesso anno si iscrive a canto all’Accademia a Zagabria, conseguendo la laurea nel 2002 come soprano lirico spinto, una delle voci più corpose nel registro di soprano. Dunque una vocalità ampia dai toni più scuri specializzata sia nel canto elegiaco sia in quello di forza. Può esibirsi sia in ruoli affidati tradizionalmente al soprano lirico sia in quelli destinati al soprano drammatico, senza danneggiare la qualità della voce stessa. Dal 2003 al 2006 è dipendente del Teatro nazionale fiumano come corista, per impiegarsi quindi alla Scuola di musica di Pola dove si insegna canto per tre anni. Oggigiorno Ariana Bossi opera come insegnante di canto presso la SM “I. M. Ronjgov” di Fiu- Virtuosi fiumani me ad una classe di ottimi allievi. “Sono già tre anni che insegno canto a Fiume e sono molto soddisfatta dei miei alunni. Posso affermare, senza falsa modestia, che sono dei futuri grandi cantanti, giovani promesse che hanno già partecipato con successo a numerosi concerti, manifestazioni e concorsi”. Ritrovarsi nella pedagogia e nel concertismo La parentesi teatrale non ha soddisfatto Ariana. In quel periodo sostiene pure un paio di parti da solista ma il “regime” imposto per ogni ruolo, dove la libertà di canto viene dettata, a volte limitata, dal regista o dal direttore d’orchestra non lasciano autonomia artistica. “Il mio mondo sono i concerti, qui mi trovo bene – confessa Ariana – dove ogni pezzo è studiato nei minimi particolari, dove l’accordo tra i cantanti e musicisti è più intimo, cameratesco. Dunque, un ambiente più calmo dove posso controllare la situazione ed essere me stessa”.˝Il tempo libero di Ariana è scandito interamente dalla...musica. “Faccio tante attività, sono legata a tante cose. Come già detto, ho iniziato giovanissima suonando il mandolino nella leggendaria Mandolinistica del Circolo, poi sono passata pure a suonare la mandola, uno strumento simile ma che richiede un ‘polso’ più deciso”. Nel 2004 dopo che il maestro Raul Devjak lascia la formazione, la giovane, sostenuta da tutti i membri dell’ensemble prende in mano le redini, divenendo il primo direttore donna della formazione. “Come direttore della Mandolinistica – afferma Ariana – sono esigente, ma vengo ascoltata e sostenuta. Purtroppo, oggi il complesso opera con una dozzina di membri, tanto che ho dovuto, sempre con l’aiuto dei musicisti, cambiare il repertorio. I pezzi che venivano eseguiti durante il ‘regno’ del maestro Livio Flo- ris sono inutilizzabili in quanto sappiamo tutti quanto era numerosa la Mandolinistica di quei tempi. Però oggigiorno è molto più facile per quanto riguarda il repertorio. Gli spartiti si trovano anche su Internet, basta stamparli ed operare dei piccoli cambiamenti oppure l’arrangiamento, una cosa semplice. Negli ultimi tempi abbiamo limitato i pezzi classici per spaziare in un repertorio più moderno”. La maestra viaggia molto con la sua Mandolinistica. L’ultima uscita, nel mese di agosto quando il caldo torrido non demordeva, la compagine in rappresentanza della CNI, ha fatto ‘un salto’ a Lipovljani, località della Moslavina dove hanno avuto luogo “Gli incontri delle minoranze” “Siamo stati accolti benissimo. Il nostro programma, frizzante e leggero, ha attirato un pubblico numerosissimo, memore del nostro primo concentro in questa località, svoltosi nel 2004.” Un CD nel curriculum della Mandolinistica Una delle conquiste che più stanno a cuore ad Ariana è sicuramente l’avvenuta registrazione di un CD. Nel 2010, finalmente, la Mandolinistica è riuscita ad incidere il suo primo CD, “In compagnia del mandolino”. Non si tratta di un vero e proprio debutto in quanto il complesso è presente, con le altre sezioni musicali della SAC “Fratellanza”, in un altro album registrato molto prima. “È stata un’ esperienza istruttiva, innovativa ma difficile da realizzare – racconta la Bossi –. Per registrare dal vivo, dovevamo trovare una data comune per tutti i membri del complesso, un arduo compito perché tutti loro sono occupati con altre attività. Alla fine siamo riusciti a trovare l’accordo ma, nello stesso tempo, io mi sono ammalata! Nessun sacrificio è pesante quando si ama tanto la musica. Ho partecipato alla registrazione, fatta dal vivo, con qualche linea di febbre, tosse e starnuti. Alla fine, tutto è andato nel migliore dei modi ed ora il CD fa parte della ricca storia della Mandolinistica”. Il fascino del mandolino Ariana Bossi alla mandola assieme a Denis Stefan (mandolino) e Sanjin Sanković (chitarra) Ariana Bossi non solo dirige ma spesso lascia il podio per pren- dere in mano la mandola. “Questo strumento, per lunghi anni, è stato suonato dal defunto Guido Clarich. Ed è stato proprio Guido durante le prove a darmi le prime nozioni di mandola. Però occuparmi di due attività è molto faticoso e così, soprattutto nelle uscite o concerti di notevole importanza, chiamiamo in aiuto Petar Kovačić, un nostro ex membro che ci dà una mano. In un concerto è molto importante quando il maestro sta sul podio a dirigere e seguire le esecuzioni e non a coordinare da seduto”. Il desiderio di Ariana è quello di vedere una Mandolinistica forte ma “mancano i giovani poiché vedono il mandolino come uno strumento superato, da sostituire con una chitarra elettrica. Non capiscono che questo strumento musicale, in buone mani, riesce a produrre suoni e melodie di grandissima qualità, adattate anche per un repertorio moderno e contemporaneo”. Spontaneamente... Virtuosi E per ultimo arrivano “I Virtuosi Fiumani” ed è subito un successo. Sempre in seno alla SAC “Fratellanza”, Ariana si unisce ad Antonio Mozina, Aldo Racanè e alla maestra Vjera Lukšić e forma un quartetto vincente dove si cura il belcanto, praticamente uno dei pochi gruppi, o l’unico tra le numerose attività svolte in tutti i sodalizi della CNI che ha un repertorio operistico e di arie impegnative tratte dalla ricca tradizione musicale italiana. L’idea di formare i Virtuosi nasce per caso, dal profondo amore che il gruppo nutre per la musica. “Già prima lavoravo con i cori della ‘Fratellanza’ e precisamente educavo i solisti. L’idea è stata ventilata dai ‘due ragazzi’ (Mozina e Racanè) che, con molta fatica ma decisi a raggiungere lo scopo, mi hanno convinto ad accettare l’offerta. Era la fine del 2003 e si lavorava su un programma prettamente natalizio. Ma la nostra prima uscita ufficiale è stata nel 2004 con il concerto di San Valentino. Siamo stati accolti molto bene, potrei dire ottimamente e da quella fatidica uscita che non abbiamo smesso. Negli anni passati si sono susseguiti concerti praticamente in tutte le Comunità e spesso siamo invita- ti ad esibirci in varie manifestazioni. Il repertorio, come possono confermare tutti quelli che ci seguono è vario e cambia di volta in volta. Ci esibiamo come solisti, in duetto ed anche come un trio, sempre accompagnati dalla prof. ssa Lukšić”. In Italia a rappresentare la città di San Vito Ariana ha tanti progetti pure per il futuro. “Già alla fine del mese di settembre i Virtuosi si esibiranno a Gorizia come rappresentanti della Città di Fiume, mentre ad ottobre la Mandolinistica sarà ospite a Rovigno; e questo è solo l’inizio”. Quando si considera che in pochi anni Ariana è riuscita ha realizzare tanto e stia per darsi “una calmata” ecco che spunta un altro sogno nel cassetto. “Praticamente ho realizzato quasi tutto – confessa Ariana Bossi –, ma ci sarebbe un piccolo desiderio da riattivare. Da sempre desideravo cantare in un piccolo complesso madrigalista e per un breve periodo di tempo ho avuto l’occasione di far parte di un quartetto misto con voce di primo soprano. Purtroppo, a causa dei tanti impegni il gruppo non aveva continuato con la sua attività. Forse un giorno, anche come sezione della “Fratellanza” riuscirò nel mio intento, quello di far nascere o rinascere un complesso che si occupi solo di musica barocca”. Ad Ariana gli impegni non mancano, oltre che essere maestra di canto, direttore della Mandolinistica, guida con assiduità due klape femminili, Rožice di Sappiane e Mažuran di Castelmuschio; insegna tecnica vocale a due corali, il coro femminile Lira e il coro giovanile Josip Kaplan e per ultimo insegna anche al corso di canto dell’Arcivescovado di Fiume. E la musica preferita? “Sono tanti gli autori che amo. Mi piace la musica barocca, ma anche una parte del repertorio del romanticismo. Non ho un compositore preferito, ma di volta in volta prediligo questo o quello, dipende dallo stato d’animo. Per rilassarmi mi accosto a Bach. Tutto quello che faccio è legato alla musica: canto, suono, dirigo, educo”. Per Ariana Bossi, giovane maestra, cantante ed insegnante, la vita è musica. musica 7 Mercoledì, 28 settembre 2011 RUBRICA Giro giro tondo quanto suona il mondo La necessità della memoria S ettantasei compositori, più di 80 brani, di cui 27 sono novità, oltre 20 appuntamenti tra concerti, installazioni, performance audio-visuali, laboratori, incontri, concentrati in 8 giorni di programmazione, dal 24 settembre all’1 ottobre: è il 55. Festival Internazionale di Musica Contemporanea della Biennale di Venezia, presieduta da Paolo Baratta. Anche il festival di quest’anno si è fatto palcoscenico di giovani professionisti, riconfermando la volontà della Biennale di far conoscere al mondo le più importanti esperienze di singoli compositori e di ensemble che hanno iniziato un percorso, spesso con successo, nel mondo della musica contemporanea. “Mutanti” è il titolo di questa 55.ma edizione diretta da Luca Francesconi, che aveva osservato: “Forse stiamo assistendo a una sorta di mutazione genetica della cultura occidentale, della nostra tradizione. Viviamo in un mondo che fa sembrare anacronistici non solo il pensiero, l’approfondimento e la fatica, ma anche la matita e la carta, la pratica, l’artigianato. Oggi che tutto è a portata di un click, è sempre più evidente la tentazione di liberarci della memoria, sognando di essere più leggeri. La Biennale Musica 2011 Giustinian) ha portato un organico di quartetto d’archi elettrico e un regista del suono, figura imprescindibile per un programma che illustra gli sviluppi e le potenzialità dell’elettronica applicata agli archi. Le novità sono a firma di Jean François Laporte e dei trentenni Carlo Ciceri e Andrea Agostini, accanto a Orchester-Finalisten di Stockhausen e Different Trains di Reich. Anche lo Studio for New Music Moscow (29 settembre, Teatro Malibran) è una formazione recente, nata in seno al Conservatorio di Mosca e destinata a giovani orchestrali e compositori. A Venezia l’ensemble apre a un panorama musicale ancora poco noto come quello russo: accanto ai nomi consolidati di Vladimir Tarnopolski, più volte ospite della Biennale Musica, e di Faraj Karaev, ci sono quelli, alcuni non ancora trentenni e tutti da scoprire, di Olga Bochihina, Alexej Sioumak, Nikolaj Khrust e Vladimir Gorlinski. Ancora alle giovani generazioni, quelle maggiormente impegnate nella ricerca elettronica e informatica, si ricollega la presenza al 55. Festival del maggior centro di riLuca Francesconi, direttore del settore Musica della Biennale di Venezia cerca sul suono, l’IRCAM di Parigi, con due concerti (28 e 30 settembre, Conservatorio siche di Steve Martland, Christina Athino- stallazione visiva e sonora che estenderà le di Venezia)e un nucleo di laboratori che oc- dorou, Carlo Boccadoro, Giovanni Verran- sue corde-laser tra le colonne cinquecentedo, Mark-Anthony Turnage, Steve Reich sche del Sansovino, e anche solo al passag(28 settembre, Teatro Malibran), e l’Ictus gio del pubblico provocherà effetti visivi e Ensemble di Bruxelles, che rivela pagi- sonori. Mentre al Portego di Ca’ Giustinian ne di autori raramente eseguiti come Harry verrà collocata, per tutto il periodo del FePartch, o anomali come Kurt Schwitters in- stival, un’altra installazione, Aura in Visisieme a Iannis Xenakis, Fausto Romitelli e bile.2, opera del compositore Luigi Ceccaai trentenni Eva Reiter e Hikari Kiyama (1 relli. Al centro dello spazio un pianoforte a ottobre, Teatro alle Tese). Un altro ensem- coda rigorosamente senza pianista che, solble fiammingo, testimonianza della vitalità lecitato da eccitatori meccanici, progettati di un’area, l’Hermesensemble è interprete dal compositore e controllati tramite comdi Lamento di Medea (26 settembre, Tea- puter, rivela una voce inedita. tro Piccolo Arsenale), una produzione di teatro musicale in forma di concerto, compliSui temi e gli interrogativi che il titolo ci il compositore Wim Henderickx e il poe- del Festival, Mutanti, sollecita si svolgerà cuperanno l’intera settimana del Festival ta e scrittore Peter Verhelst. Geblendet (30 poi – a metà percorso del Festival (29 setper mostrare a giovani compositori italia- settembre, Teatro Piccolo Arsenale) è inve- tembre, Sala delle Colonne - Ca’ Giustinian) ni un metodo di lavoro applicato alle ulti- ce un lavoro sperimentale di teatro musi- – il confronto tra lo scrittore Alessandro Bame novità della tecnologia, con i programmi cale che la Biennale condivide con Musik ricco e il sociologo Mauro Magatti, profesdi scrittura più avanzati (Max, Max4Live, der Jahrhunderte Stuttgart e Musicadhoy di sore dell’Università Cattolica di Milano e Open Music, etc.). In programma composi- Madrid nell’ambito del Programma Cultu- autore di Libertà immaginaria (Feltrinelli, 2009), Il 55. Festival Internazionale di Musica contemporanea si concluderà l’1 ottobre con un gesto teatrale orchestrato dal direttore Luca Francesconi. La serata si intitola emblematicamente Vogata rituale – cultura in memoriam. Il percorso partirà dall’Arsenale e porterà il pubblico lungo le vie d’actori particolarmente rappresentativi di que- ra dell’Unione Europea. I racconti brevi di qua di Venezia fino all’isola di San Michele, sto fronte della ricerca – Franck Bedrossian, Thoms Bernhard sono all’origine di quattro dove riposano le spoglie di Stravinskij e di Yan Maresz, Yann Robin, Roque Rivas – e quadri distinti affidati alle partiture di Mi- tanti grandi artisti. Sarà una serata accomcompositori italiani che all’IRCAM hanno chael Beil, Mischa Käser, Manuel Hidal- pagnata dalla musica di Igor Stravinskij e studiato e si sono specializzati - Francesca go, Filippo Perocco, alla regia del franco- Guillaume de Mauchaut, Luigi Nono e GeVerunelli, Andrea Agostini, Daniele Ghisi, tedesco Thierry Bruehl e all’esecuzione dei sualdo da Venosa, Claudio Monteverdi e Eric Maestri, tutti trentenni. Quatuor Diotima di Parigi. Arvo Pärt, Verdi e Mozart: tutti autori che Scritto, allestito e realizzato interamente da studenti del Conservatorio Benedetto Marcello, Privo sarò del cielo e de l’inferno – A patchwork opera (29 settembre, Conservatorio), e l’originale riproposta degli eventi Fluxus di Giuseppe Chiari e Giancarlo Cardini ad opera del Collettivo Rituale di Riccardo Vaglini (26 settembre, Conservatorio) rinnovano la felice collaborazione tra la Biennale e il Conservatorio veneziano, nata dalla volontà di valorizzare le migliori e più fresche energie creative. Oltre alle presenze di spicco dell’Orchestra del Teatro La Fenice, partner del Festival e presente in cartellone con diverse formazioni, e dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai (27 settembre, Teatro Malibran), con il suo ensemble da camera interprete delle musiche di Giorgio Colombo TacUna vera rarità sarà la prima audizione attraversano secoli di storia della nostra mucani, Massimo Botter, Unsuk Chin, Staffan della versione a 8 canali di A floresta é jo- sica e ne rappresentano la memoria viva. È Storm, Thomas Adés, ritorna alla Biennale vem e cheja de vida di Luigi Nono, la cui un saluto simbolico che esprime la necesla duttilissima FVG Mitteleuropa Orchestra ricostruzione filologica, ad opera di Veniero sità della memoria, oggi che la rivoluzione (25 settembre, Teatro alle Tese). Diretta da Rizzardi, parte dai materiali utilizzati per la culturale indotta dall’avanzata tecnologica Andrea Pestalozza, l’orchestra impagina un produzione discografica del 1966 per resti- rischia di annullarla nell’eterno presente di concerto con brani di Kent Olofsson, Vitto- tuire il pezzo nella sua originalità con tut- internet e della globalizzazione. rio Zago, Pasquale Corrado alternati a pagi- ti i suoi interpreti (25 settembre, Sala degli Anche quest’anno Rai Radio 3 porterà la ne di Aldo Clementi e Giacinto Scelsi. Arazzi - Fondazione G. Cini). Biennale Musica oltre Venezia, a fasce più Il 55. Festival presenta, inoltre, ensemNei primi due giorni del festival il Tea- numerose di pubblico e di appassionati, racble dinamici che hanno dato una scossa al tro alle Tese sarà trasformato in un grande contando, in diretta o in differita, i momenmondo concertistico: l’italiano Sentieri Sel- strumento musicale con l’Arpa di luce del ti salienti del 55. Festival Internazionale di vaggi che presenta un programma di mu- musicista e performer Pietro Pirelli, una in- Musica Contemporanea. Luca Francesconi: «Forse stiamo assistendo a una sorta di mutazione genetica della cultura occidentale, della nostra tradizione. Viviamo in un mondo che fa sembrare anacronistici non solo il pensiero, l’approfondimento e la fatica, ma anche la matita e la carta, la pratica, l’artigianato» parla di mutanti, di qualcosa che finisce, per lo meno nella forma in cui la conosciamo, per diventare altro”. Il 55. Festival è stato inaugurato 24 settembre al Teatro alle Tese con Peter Eötvös, Leone d’oro alla carriera, e con una grande orchestra, la SWR Sinfonieorchester Baden-Baden und Freiburg. Il concerto rende omaggio a Eötvös, compositore fra i più richiesti e direttore d’orchestra ai massimi li- Il “Teatro Malibran”, una delle sedi della manifestazione velli che nel corso della serata ha ricevuto il premio alla carriera, ma anche a una tradizione musicale forte come quella ungherese a partire da Béla Bartók, di cui si è eseguito Tanz-Suite, insieme a Konzert für zwei Klaviere e Replica dello stesso Eötvös e ad Agon di Stravinskij. L’istituzione del Leone d’argento che la Biennale dedica alle nuove generazioni quest’anno ha premiato l’ensemble milanese RepertorioZero. A Venezia RepertorioZero (27 settembre, Sala delle Colonne - Ca’ L’istituzione del Leone d’argento che la Biennale dedica alle nuove generazioni quest’anno ha premiato l’ensemble milanese RepertorioZero La serata conclusiva sarà accompagnata dalla musica di Igor Stravinskij e Guillaume de Mauchaut, Luigi Nono e Gesualdo da Venosa, Claudio Monteverdi e Arvo Pärt, Verdi e Mozart: un saluto simbolico che esprime la necessità della memoria, oggi che la rivoluzione culturale indotta dall’avanzata tecnologica rischia di annullarla nell’eterno presente di internet e della globalizzazione 8 musica Mercoledì, 28 settembre 2011 LE GRANDI VOCI Luisa Tetrazzini, dalla Russia all’America Virtuosistiche agilità e timbro cristallino L uisa Tetrazzini (Firenze, 29 giugno 1871 – Milano, 28 aprile 1940) è stata uno dei più celebri soprani leggeri tra Otto e Novecento. Iniziò a studiare con la sorella Eva Tetrazzini Campanini, anch’essa diventata celebre soprano. Debuttò nel 1890 nel ruolo di Inés ne L’Africana di Giacomo Meyerbeer. La storia della sua prima esibizione pubblica ha un’aura di leggenda: pare che la cantante, allora diciannovenne, si trovasse con la sua famiglia ad una rappresentazione de L’Africana, al teatro dell’opera locale, quando, prima dell’inizio, il direttore d’orchestra si scusò con il pubblico dicendo che l’opera non poteva essere rappresentata perché la cantante che doveva interpretare il ruolo della protagonista non si era presentata poiché malata. Luisa allora si alzò dal suo posto e, proponendosi in sostituzione della cantante assente, disse che non era necessario annullare la recita perché lei conosceva la parte. Il pubblico e il direttore ne furono entusiasti, tanto che la cantante fu scelta anche per la rappresentazione del giorno dopo. Da questo singolare avvenimento prese il via una carriera sfolgorante ed internazionale che si diramò, nei primi tempi, principalmente nei teatri di provincia italiani, ma anche in Russia, Spagna e Sud America, con un repertorio principalmente da soprano leggero (o di coloratura) basato soprattutto sulle parti di Violetta (Traviata, Giuseppe Verdi), Philine (Mignon, Ambroise Thomas), Oscar (Un ballo in maschera, Verdi), Gilda (Rigoletto, Verdi) e Lucia (Lucia di Lammermoor, Gaetano Donizetti). Nel 1905 fece il suo debutto americano a San Francisco; ma nel 1907 ebbe la definitiva consacrazione, quando su consiglio di Enrico Caruso accettò di interpretare Violetta al Covent Garden di Londra. Questo le permise, nel 1908, di approdare a New York, non al Metropolitan Opera, ma all’Oscar Hammerstein Opera Company di Manhattan, di nuovo nei panni di Violetta e ancora una volta con grande successo. Adelina Patti, tra i più acclamati soprani di coloratura del XIX secolo, non nota per la sua generosità nei confronti di altri cantanti, mostrò di apprezzare molto il canto della Tetrazzini. Nonostante il successo internazionale la Tetrazzini non cantò mai al Teatro alla Scala, probabilmente per volere del direttore Ar- Nonostante il successo internazionale la Tetrazzini non cantò mai al Teatro alla Scala, probabilmente per volere del direttore Arturo Toscanini. Tra i due infatti non corse mai buon sangue MUSICA SACRA Canto gregoriano tuttora in uso «Salve Regina» l’antifona mariana che ispirò i più grandi Maestri La “Salve Regina” è una delle quattro antifone mariane. Le altre antifone mariane sono: Regina Coeli, Ave Regina Coelorum e Alma Redemptoris Mater. Questa composizione risale al Medioevo, è scritta in latino e viene tradizionalmente attribuita a Ermanno di Reichenau, noto come Ermanno il contratto. Tradizionalmente viene cantata in latino, tuttavia ne sistono numerose traduzioni in tutte le lingue. L’origine della preghiera risale al XI secolo, ma la sua composizione non è certa. La tradizione più diffusa attribuisce la stesura di quest’antifona al monaco Ermanno turo Toscanini. Tra i due infatti non corse mai buon sangue. Addirittura quando la cantante si esibì al Metropolitan Opera di New York ottenne che Toscanini fosse sostituito con un direttore di suo gradimento. Il suo carattere aspro portò la Tetrazzini ad essere duramente criticata dai benpensanti, per via anche della sua audace vita sentimentale: si sposò tre volte in pochi anni. Questo la allontanò dai palcoscenici, soprattutto italiani. Dopo il terzo matrimonio, infelice quanto i primi due, ritornò al canto, che aveva abbandonato, soprattutto come concertista. La voce tuttavia tradiva gli anni trascorsi. Il declino fisico era inevitabile, ma più difficile dovette essere affrontare le difficoltà finanziarie in cui si trovò, avendo dissipato in fretta l’immensa fortuna che aveva accumulato. Nel 1931 fondò a Roma una scuola di canto, dalla quale uscirono cantanti di buon livello come Lina Pagliughi, tra le sue allieve anche la nipote, l’attrice e soubrette Marisa Vernati. All’insegnamento si dedicò fino alla morte (nel 1940); e a chi le faceva ancora i complimenti pare rispondesse sovente: “Sono vecchia, sono grassa, ma sono sempre la Tetrazzini!”. Luisa Tetrazzini fece una cospicua, per quei tempi, carriera discografica. Incise infatti novantotto facciate a settantotto giri dal 1904 al 1922. La tecnica dell’incisione è ovviamente rudimentale e non può restituire tutta la bellezza della sua voce. Nonostante questo i suoi dischi restano interessanti nella storia della riproduzione sonora. Salve, Regina, Mater misericordiae, vita, dulcedo, et spes nostra, salve. Ad te clamamus, exsules filii Evae, ad te suspiramus, gementes et flentes in hac lacrimarum valle... di Reichenau Viene anche attribuita a papa Gregorio VII, sant’Anselmo da Baggio (morto nel 1086), a san Pietro di Mezonzo, vescovo di Iria Flavia o, alternativamente a San Bernardo durante la sua permanenza all’eremo dei Santi Jacopo e Verano alla Costa d’acqua. Probabilmente di san Bernardo appartiene solo la composizione dell’ultimo verso “o clemens, o pia, o dulcis virgo Maria”. Alberico delle Tre Fontane attribuisce la paternità ad Ademaro di Monteil. La forma attuale è stata formalizzata dall’Abbazia di Cluny nel XII secolo. I Domenicani hanno introdotto la Salve Regina nel 1221 nella preghiera di compieta. I Cistercensi la utilizza- “Incoronazione della Vergine” di Diego Velazquez no dal 1251. I Certosini la cantano ogni giorno, dal XII secolo, ai vespri. Nel 1250 papa Gregorio IX la approvò e prescrisse il suo canto a conclusione della preghiera di compieta. La Salve Regina è normalmente utilizzata nelle funzioni della Chiesa cattolica, in particolare nei giorni vicini alle feste dell’Assunta e della Immacolata concezione, e dopo la recita del Rosario. Il tema musicale della forma gregoriana del testo è considerato originario del XI secolo e rappresenta uno degli esempi più antichi di musica sacra tuttora in uso. Il patrimonio gregoriano, nel Liber Usualis, conserva due differenti melodie scritte su questo testo, la prima, un po’ più melismatica, in I modo (Dominica ad Completorium), che è quella riportata nell’illustrazione qui sopra, la seconda in V modo (tonus simplex), molto più semplice, che è quella abitualmente cantata nelle chiese. Numerosissimi, poi, sono i compositori che, nel corso della storia, si sono serviti di questo testo per musicarlo. Fra questi ricordiamo in particolare: Marc-Antoine Charpentier, Gabriel Fauré, Georg Friedrich Händel, Franz Joseph Haydn, Franz Liszt, Jean-Baptiste Lully, Giovanni Battista Pergolesi, Francis Poulenc, Antonio Salieri, Alessandro Scarlatti, Franz Schubert, Antonio Vivaldi, Claudio Monteverdi. Anno VII / n. 51 del 28 settembre 2011 “LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol Superina IN PIÙ Supplementi a cura di Errol Superina Progetto editoriale di Silvio Forza / Art director: Daria Vlahov Horvat edizione: MUSICA [email protected] Redattore esecutivo: Patrizia Venucci Merdžo / Impaginazione: Annamaria Picco Collaboratori: Viviana Car ed Helena Labus Bačić Foto: Graziella Tatalović e archivio