LA VOCE
DEL POPOLO
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il pentagramma
musica
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VII
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51 • Mercoledì, 28 sette
De musica amabili et de nostra gloria
di Patrizia Venucci Merdžo
Gentili lettori,
dopo l’appena trascorsa torrida ed estenuante estate costellata di spettacolari manifestazioni festivaliere, eccoci nuovamente insieme in questo mite inizio autunnale.
Nel dolce mese di settembre, tradizionalmente fioriscono numerose le manifestazioni di musica da camera il cui carattere
più intimo e raccolto ben si addice al nuovo
stato d’animo che subentra presso il pubblico con il ritorno agli impegni della quotidianità. Il festival di Rovigno, di Parenzo, il festival di musica antica di Ragusa,
Organum Histriae, le Serate barocche di
Varaždin, il festival di musica da camera di
Fiume, sono solo alcuni degli eventi di un
lungo elenco.
Molto prima della musica sinfonica e
dell’opera lirica, fu la musica da camera che, attraverso i secoli, allietò il vivere dell’uomo; musica da camera intesa
in senso lato, ovvero, come suggerisce il
termine, musica “domestica”, o comunque per ambienti a dimensione d’uomo,
con formazioni che andavano da uno a più
strumenti. In fondo, anche David faceva musica da camera quando con il suono
della sua cetra cercava di alleviare le angosce di Saul; e così pure i “symphonici“ romani che rallegravano i convivi delle ma-
trone, o i musicanti medievali, i quali, flauti, tamburelli, ghironde e vielle alla mano,
rendevano nei castelli meno tediose le lunghe serate invernali di questo o quell’altro
Signore. Coltivavano la musica da camera
anche le gentildonne del Rinascimento,
che si dilettavano con il liuto e il canto, oppure Elisabetta d’Inghilterra, notoriamente
buona suonatrice di “virginel“ (spinetta).
Sul finire del Settecento, in gran voga nelle
terre asburgiche erano la serenata (da non
confondere con la “serenata calabrese“
che si eseguiva per i matrimoni e quando si
ammazzava il porco; c’è un proverbio calabrese che recita: “Chi si sposa è felice un
giorno, chi ammazza il ‘porcu’ è contento
tutto l’anno“), il divertimento, la cassazione, musiche d’intrattenimento scritte perlopiù per complessi di fiati che, nella bella
stagione, venivano eseguite all’aperto in
occasione degli eventi mondani dell’aristocrazia. Con l’Ottocento il genere cameristico entra sovrano nei salotti dell’aristocrazia e della borghesia riflettendo le inquietudini e gli ideali del tempo, le confessioni
personali più intime e le riflessioni romantiche più sofferte. Dunque, un enorme patrimonio che non può non permeare capillarmente la prassi esecutiva musicale,
tramandandoci un’eredità artistica e spiri-
nella splendida Sala delle feste è già stata
inaugurata con il bel concerto della pianista Martina Frezzotti, e noi non possiamo che esprimere la nostra ammirazione
per la determinazione e l’ampia autonomia
con cui questi begli eventi musicali vengono portati avanti. Un’occasione in cui le
risorse canore della CNI sono emerse in
maniera spettacolare e a livello nazionale è
stata la storica visita del presidente Giorgio
Napolitano e il concerto tenutosi all’Arena di Pola; evento in cui le corali riunite di
cinque Comunità degli Italiani, minuziosamente istruite dall’eccellente Maestro Ivo
Lipanović, e accompagnate dall’Orchestra
sinfonica dell’HRT, hanno fatto un’ottima
figura – specie la sezione maschile - con
“Va pensiero“ e nella “Vergine degli angeli“ di Verdi. Sembrava di ascoltare un coro
d’opera italiano (almeno tramite il mezzo
tuale che appartiene a tutta l’umanità. Con televisivo). Se poi ci aggiungiamo l’apporto
il festival di musica da camera di Fiume, il del nostro superlativo Giorgio Surian (un
capoluogo quarnerino si è arricchito di un secondo Tito Gobbi), allora la nostra sodsegmento significativo e molto gradito al
disfazione non può che essere ancora più
pubblico, mentre un apporto di livello vie- completa. Una prova “corale” che riconne offerto dai concerti alla Comunità degli ferma il ruolo del segmento musicale nelle nostre CI e della musica come arte che
Italiani di Fiume, divenuta ormai punto
di riferimento non solo per i connazionali, unisce, al di là delle diversità linguistiche,
ma pure per molti cittadini e musicisti del- etniche e destini storici.
Incommensurabilmente Vostra
la maggioranza. La stagione dei concerti
2 musica
Mercoledì, 28 settembre 2011
LA GRANDE MUSICA Quando il violino, da strumento monodico diventa polifonico
Le Partite e le Sonate di Bach
base e apice della letteratura violinistica
di Michele Trento
N
on sono molte le notizie
pervenute intorno alla genesi di questa straordinaria opera, oggi considerata unanimemente il vertice assoluto della letteratura per violino di tutti i
tempi.
L’unica fonte certa a riguardo è il frontespizio del manoscritto autografo, oggi conservato
alla Staatsbibliothek Preussischer
Kulturbesitz di Berlino, sul quale si legge: “Sei a solo a violino
senza basso accompagnato. Libro primo. Da ]oh. Seb. Bach ao.
1720”.
II termine della stesura finale
- in bella copia - dell’opera completa è da situarsi quindi nel mezzo del periodo “strumental”di Koethen. Nessuna documentazione
chiarisce se prima o dopo la morte della moglie Barbara, avvenuta,
per cause non conosciute, fra il 4
ed il 7 luglio 1720; nè sappiamo
quanto di queste musiche risalga
a periodi precedenti e sia poi confluito nella raccolta nell’anno riportato dall’autografo.
Per ciò che concerne l’idea di
Bach di destinare al violino uno
dei suoi lavori di maggior impegno, sappiamo che, secondo quanto riportato dal figlio Cari Philipp
Emanuel, Bach “...fino ad un’età
piuttosto avanzata suonava il violino con stile puro ed incisivo...e...
conosceva perfettamente le possibilità di tutti gli strumenti ad
arco”. AI tempo di Bach esistevano precedenti, seppure non molto
diffusi, di composizioni per violino
solo, tra cui quelle di I. F. Biber, J.
P. Westhoff, J.J.Walther, J. G. Pisendel. Alcune di queste pagine erano
certamente conosciute da Bach, fin
dagli anni 1702-1703: si tratta comunque di lavori di compositoriviolinisti che non poterono influen-
bachiana: “...è come se l’eterna armonia si intrattenesse con se stessa,
come deve essere stato nella mente
di Dio prima della creazione”. I sei
pezzi di cui è composta la raccolta
sono concepiti secondo due diversi schemi formali: Quello dell’antica Sonata da chiesa italiana e quello
della Suite alla francese.
Le Sonate sono quindi costituite
da quattro movimenti, con un brano
iniziale in tempo lento, seguito da
Bach, il cui linguaggio era basato
su di un altissimo magistero
armonico e contrappuntistico,
affronta, con la raccolta delle
Sonate e Partite, la sfida suprema:
la scrittura per uno strumento solo
dalla natura tipicamente monodica
zare la concezione delle Sonate e
Partite per quanto riguarda lo stile
musicale.
Uno stile
mai superato
Bach, il cui linguaggio - maturato in lunghi anni di severo studio
sugli autori classici e contemporanei - era basato su di un altissimo
magistero armonico e contrappuntistico, affronta, con la raccolta delle
Sonate e Partite, la sfida suprema:
la scrittura per uno strumento solo
dalla natura tipicamente monodica.
II risultato è uno stile mai superato nella storia della musica. Nelle
sue mani il violino diventa polifonico, realizzando fughe, bassi ostinati
e brani imitativi. Sembrerebbe che,
nonostante la natura limitata dello
strumento, nulla si possa aggiungere alle meravigliose tessiture di questa musica.
Le Sonate e Partite “costituiscono una delle più auguste concezioni
organizzative e architettoniche del
pensiero umano” (Buscaroli); e ad
esse si può certamente riferire la celebre frase di Goethe sulla musica
una fuga; il terzo è ancora un movimento lento, in genere in una tonalità diversa da quella di tutti gli altri
pezzi, che introduce un vivace quarto tempo conclusivo.
Le Partite sono invece più varie nella struttura e comprendono una serie di danze nella medesima tonalità, dall’andamento
alternato,veloce-lento; tranne che
nella Ciaccona della II Partita e nel
Preludio della III le danze sono divise in due parti da segno di ritornello.
Simbolismo musicale
in Johann Sebastian
Bach
Nelle Scuole Latine, che Bach
frequentò fino al 1702, l’impostazione culturale risentiva ancora della grande eredità rinascimentale,
che nei paesi tedeschi si univa alle
feconde intuizioni portate dalla Riforma di Martin Lutero.
Eredità rinascimentale è anche
il Simbolismo, che si concretizza
in musica nei ricorrenti rapporti fra
strutture musicali e significati extramusicali.
In Bach i simbolismi musicali più frequenti si realizzano attraverso i seguenti procedimenti: uso
di numeri particolari, che rappresentano concetti legati generalmente alla religione: 3 per la Trinità, 7
per la quantità infinita, 12 per il numero degli apostoli, ecc. esplicitati
in musica in vari modi: attraverso il
numero delle battute, oppure delle
voci, o dagli intervalli (di terza, di
settima, e così via).
Utilizzo di note il cui nome tedesco (costituito da lettere dell’alfabeto) forma parole, nomi propri, o in
alcuni casi brevi frasi.
Strutture musicali che rappresentano concetti ed idee extramusicali: il caso più emblematico è quel-
lo della fuga, che rappresenta, attraverso la sua complessa costruzione,
ricerca della perfezione, disciplina
interiore, ordine. Figurazioni musicali che, in maniera gestuale o onomatopeica, rappresentano concetti
definiti, come il movimento in una
determinata direzione, o la stanchezza, o la determinazione, ecc.
L’uso dell’alterazione ascendente (il diesis, che in tedesco si
chiama”Kreutz“, ovvero croce), a
rappresentare la Croce di Cristo.
Nella musica di Bach, specialmente nei brani sacri, è molto frequente il ricorso alla simbologia
musicale; vi si trovano inoltre tracce dell’applicazione delle regole
dell’Oratoria alla sintassi musicale.
Autografi bachiani: a sinistra la celebre “Ciaccona” in re min. e a destra l’inizio della Sonata in sol min. Caricatura di Bach all’organo
musica 3
Mercoledì, 28 settembre 2011
L’EVENTO A colloquio con Olja Dešić, direttore artistico del «Vocal marathon»
La passione per la musica e l’efficienza
dietro ad un evento di successo
di Helena Labus Bačić
A
more ed entusiasmo. Sono
le prime parole che ci vengono in mente pensando
alla prima, riuscitissima, edizione del festival internazionale del
canto “a cappella” Vocal Marathon, che si è svolto a Tersatto (al
Castello e negli spazi della vicina
Casa di lettura) dal 1 al 3 settembre scorso. L’atmosfera rilassata
e al contempo stimolante e carica di positività dell’evento, venutasi a creare in primo luogo grazie agli organizzatori e ai partecipanti, ha contagiato pure il pubblico, accorso numeroso al concerto
d’ inaugurazione come pure alla
serata finale. Al concorso Vocal
Marathon hanno preso parte dieci tra gruppi vocali “a cappella” e
sto della commissione giudicatrice sia nell’ambito dei laboratori di
canto ‘a cappella’ che si sono svolti
per due giorni consecutivi. Un’altra
cosa che mi rende immensamente
felice sono le reazioni più che positive che abbiamo riscontrato sia
da parte dei partecipanti che da parte dei mass media e del pubblico. A
questo punto devo sottolineare che
tutto il lavoro è stato portato avanti esclusivamente dall’associazione Maraton che conta otto persone.
Come direttore artistico dell’evento
posso dire che sono estremamente
soddisfatto di quanto siamo riusciti
a fare. Infatti, fin da subito abbiamo
fissato degli standard di qualità al
fine di conseguire un alto livello artistico del festival invitando alcuni
«Non è ammissibile che i gusti
della massa determinino la politica
culturale. C’è un dilagare di musica
leggera e folk di infimo livello.
Dovrebbe esistere una legge
a tale proposito»
i cosiddetti “beatboxer” (musicisti
che imitano con la sola voce i suoni della batteria e di altri strumenti) che hanno entusiasmato il pubblico fiumano. È stato questo un
evento di particolare importanza
nella vita culturale di Fiume, frutto dell’amore e della dedizione al
canto dell’ideatore e direttore artistico del festival, Olja Dešić, arrangiatore e compositore, noto soprattutto come bassista del gruppo
di Neno Belan, i “Fiumens“.
-Quali sono le tue impressioni
in merito alla prima edizione del
Vocal Marathon?
Sei soddisfatto dei risultati?
”Innanzitutto, vorrei dire che
abbiamo iniziato a lavorare al festival già nel mese di febbraio,
mentre i primi contatti sono stati
realizzati l’anno scorso. Si è trattato di un processo lungo nel corso del quale ci siamo impegnati molto per attirare collaboratori e trovare dei partner tra i mass
media. Un lavoro complesso sia
dal punto di vista organizzativo
che da quello artistico. Ci siamo
messi in contatto con complessi
‘a cappella’ internazionali e abbiamo cercato di impostare il festival nel migliore dei modi, sulla scia di manifestazioni analoghe
esistenti in altri paesi. Infatti, nel
mondo ci sono numerose competizioni simili, mentre la nostra
è la prima del gernere organizzata in Croazia. All’estero, il canto ‘a cappella’ è molto più diffuso che da noi. In passato, invece,
le cose stavano meglio in questo
settore. Nei territori dell’ex Jugoslavia operavano alcuni gruppi ‘a cappella’ di tutto rispetto,
tra i quali spiccava il New Swing
Quartet sloveno. Per questo motivo, era mio grande desiderio contattare Tomaž Kozlevčar, membro
del succitato gruppo e fino a pochi mesi fa direttore artistico del
famoso coro sloveno Perpetuum
Jazzile. Si tratta di un artista che
seguo da vent’anni e che ammiro
da sempre. Sono molto felice di
aver collaborato con lui nell’ambito del festival, sia nel conte-
Olja Dešić
dei migliori gruppi ‘a cappella’ attivi in Europa. È in questo modo abbiamo assicurato una reputazione di
tutto rispetto in ambito europeo che,
ne sono certo, potrà soltanto miglio-
glia di fare. Noi non siamo banchieri o esperti di finanza, siamo artisti.
L’arte in sénon deve essere turbata
dalla crisi.
- E’ stata tua la scelta di organizzare l’evento nel bellissimo ambiente del Castello di Tersatto?
”Il Castello è un mio amore. Da
musicista professionista che viaggia
molto e partecipa a numerosi eventi
da tutta la Croazia. Visto l’interesse
manifestato per i corsi, siamo giunti all’idea di realizzare laboratori
del genere anche in altre parti della
Croazia, intitolati ‘Vocal Marathon
in visita’ che si terranno nel corso di
questo anno scolastico”.
- Come sei pervenuto all’idea di
allestire un festival dedicato a questo modo specifico di fare musica?
”Il canto ‘a cappella’ è il mio
grande amore. A tredici anni ho fatto i primi passi nel mondo della musica cantando nel coro giovanile
‘Putokazi’ appassionandomi a questa specifica forma di canto corale.
I primi lavori dei ‘Putokazi’ si basavano sul canto senza accompagnamento strumentale, salvo occasionali interventi di due chitarre, per
cui è così che ho conosciuto le regole dell’‘a cappella’. Con il tempo ho continuato a sviluppare questo sapere, contemporaneamente lavorando a numerosi altri progetti, e
L’lmperial College Chamber Choir di Londona all’inaugurazione
rare negli anni a venire. Vorrei, infatti, che questo festival aiutasse a
diffondere il nome della nostra città nel mondo nel migliore dei modi,
attirando di anno in anno sempre
più persone desiderose di trascorrere momenti indimenticabili in questa località. Sono molto soddisfatto
anche della qualità dei concorrenti con meno esperienza. È d’obbligo menzionare alcuni gruppi croati,
come gli Akvarel di Osijek, oppure
i LubriCanti del circondario di Zagabria che dopo tanto tempo si sono
riuniti proprio per questa occasione e hanno addirittura vinto il terzo
premio, nonché il giovane gruppo
Octachord di Fiume, che dimostra
grande freschezza ed entusiasmo
nel lavoro. Spero che tutti continueranno a lavorare e a perfezionarsi, nonostante il periodo di crisi che stiamo attraversando. Vorrei
puntualizzare, però, che nel nostro
mondo, quello della musica, la crisi non dovrebbe influire più di tanto
perché per occuparsi di musica non
è necessario avere soldi, ma la vo-
di vario carattere, so la maniera in
cui mi piacerebbe essere accolto in
determinati luoghi. Per questo motivo, per me era di essenziale importanza poter garantire a tutti i complessi l’esenzione dal pagamento
della quota d’iscrizione come pure
la fruizione gratuita di vitto e alloggio”.
- Nell’ambito del Vocal Marathon si sono svolti anche dei laboratori di canto ‘a cappella’. L’aspetto tecnico-educativo è una particolarità del festival, oppure si tratta di
una caratteristica di questo tipo di
genere?
”Si tratta di un aspetto consueto nell’ambito di manifestazioni di
questo tipo. La nostra associazione si occupa di educazione musicale, per cui è stata una scelta logica organizzare dei laboratori di
canto nell’ambito del Vocal Marathon, guidati da Tomaž Kozlevčar.
Questi hanno registrato la partecipazione di un’ottantina di soggetti - tra insegnanti di musica, direttori di cori, klape, cantanti - giunti
Il manifesto dell’evento
aspettando il momento giusto per,
in un certo senso, ‘ritornare alle radici’ e dedicarmi al mio primo amore. Devo dire che l’idea di organizzare un festival di questo carattere
mi covava dentro da due anni e nel
momento in cui decisi di ‘buttarmi’,
nonpotevo più tirarmi indietro.
- Quali sono le qualità che deve
avere un buon gruppo “a cappella”?
”Innanzitutto, la musicalità.
Questa è essenziale. Si tratta di
un dono di natura, che non ha as-
solutamente niente a che fare con
l’istruzione formale. Infatti, uno
può aver terminato tutte le scuole
possibili e non essere musicale. Se
i membri di un gruppo non hanno
questa qualità, molto difficilmente riusciranno a raggiungere quella
magica fusione delle voci, quello
spirito di unità e l’intesa che porta a meravigliose armonie nel canto di gruppo.
La seconda cosa importantissima è il lavoro. Bisogna provare tanto e fare quanto più spesso musica
insieme. Quindi, gli arrangiamenti. È incredibile quanto un arrangiamento possa influire sul timbro
vocale della compagine. Ascoltando lo stesso gruppo di persone eseguire un arrangiamento fatto male e
uno fatto bene, uno può avere l’impressione di ascoltare due complessi completamente diversi”.
- I tuoi idoli nel canto “a cappella”?
”I gruppi americani The Manhattan Trasfer, i Take 6... Bisogna
dire che il livello del canto ‘a cappella’ negli Stati Uniti e quello in
Europa non si possono paragonare.
Gli americani sono semplicemente
perfetti e sembrano quasi degli extraterrestri in confronto a noi europei. Negli Stati Uniti esiste una vera
e propria industria che sprona questi gruppi a lavorare. Inoltre, la selezione dei cantanti è severissima e
solo i migliori possono raggiungere le vette di questa professione. In
Europa le cose stanno diversamente. Qui ci occupiamo di musica per
amore e, sinceramente, è un approccio che mi è molto più vicino. Per
questo motivo, però, difficilmente
conseguiremo il successo e la qualità degli americani”.
- Come vedi la scena musicale
in Croazia?
”Questa dipende molto dal
mercato. Nel segmento della musica leggera è di essenziale importanza l’appoggio dei giornali, della radio e della televisione perché
siamo giunti al punto che i mass
media, o più precisamente, il pubblico che li segue, ‘creano’ il programma musicale. Non possiamo
biasimare i redattori musicali delle radio e delle varie emittenti televisiveper certe scelte -molti di
loro hanno una buona cultura musicale - ma è la legge del mercato
che li obbliga a soddisfare i gusti
delle masse per sopravvivere. Qui
sta il problema. Non è ammissibile che i gusti della massa determinino la cultura. Il pubblico ha il diritto di ascoltare ciò che gli piace,
anzi, ma la creazione della politica culturale non gli compete. Ritengo che le stazione radiofoniche
e le emittenti televisive, per legge, dovrebbero avere l’obbligo di
coltivare e offrire una determinata ‘percentuale’ di musica di qualità, al fine di promuovere un più
alto livello culturale. Purtroppo,
la maggior parte delle radio private non è assolutamente interessata a prendersi questa responsabilità. Di conseguenzana c’è un dilagare di musica leggera e folk di
dubbio gusto, mentre nell’ambito
del cosiddetto ‘mainstream’ pop e
rock possiamo contare un numero limitato di compagini e cantanti
di livello. Lo scarto tra musica di
qualità e musica spazzatura (il cosiddetto ‘schund’) è assolutamente sproporzionato. A danno della
qualità, ovviamente”.
4
mus
Mercoledì, 28 settembre 2011
L’ANNIVERSARIO Duecentodieci anni fa nasceva Vincenzo Bellini, il «Cigno di Catania
«Casta Diva», la melodia dettata
di Patrizia Venucci Merdžo
V
incenzo Bellini vide la luce il 1. novembre
del 1801 nell’antica Catania. Come Bach e
Puccini, anche il bellissimo e biondo Vincenzo discendeva da una stirpe di organisti. Organista, maestro di cappella e compositore fu il padre
Rosario, organista e compositore il nonno Vincenzo
Tobia dal quale Bellini prese le prime lezioni e, precocissimo, a sei anni scrisse la sua prima composizione. Ben presto apprezzato anch’egli come organista e compositore, a diciott’anni grazie alle “36
onze per anno” elargite dal Decurionato della sua
città si recò a Napoli per studiare musica, dove ebbe
tra i maestri pure Niccolò Zingarelli, direttore del
Conservatorio napoletano.
Con “Adelson e Salvini”, opera semiseria rappresentata nel teatrino del Conservatorio con grosso successo, che già porta i segni del futuro Bellini,
si congedò dal corso di composizione e l’anno dopo
fu la volta di “Bianca e Fernando”, scritta per il San
Carlo di Napoli.
Successi e passioni d’amore
Furono fortunatissimi gli anni di Milano che oltre a portarli la gloria lo fecero diventare l’idolo dei
salotti milanesi (e poi del bel mondo parigino); bello
come un angelo, affascinante e di innata raffinatezza fece palpitare (ed egli stesso palpitò) non pochi
cuori femminili. Dopo l’infelice passione giovanile
con la conterranea Maddalena Fumaroli, la vita sentimentale del Bellini fu legata alle tre Giuditte: Giuditta Grisi (Angiola Maria Costanza), Giuditta Pasta
Vincenzo Bellini
– la “divina” Pasta per il quale Vincenzo scrisse la
“Norma”, di cui lei fu prima interprete; il suo stile
scenico, aulico e ieratico fu definito dal Bellini “tragico sublime” – e Giuditta Turina.
Strutture settecentesche
permeate di spirito romantico
A differenza del Donizetti che produceva in maniera “industriale”, il Bellini (e anche così si spiega il suo piuttosto esiguo numero di opere) era di
ben altro parere: “Mi sono proposto di scrivere po-
sione drammatica in Bellini! Costruita non con la
ripetizione degli incisi ma liberamente, con l’ausilio degli abbellimenti, delle progressioni del “crescendo lirico” essa lievita, fermenta, vivificata da
un afflato sempre commosso, si dilata in ampie
volute, miracolosamente all’”infinito”… apice e
corona di questa stupenda arte della melodia – si
diceva melodia come “dettata da un angelo”, e invece no; era frutto di fatica e di studiare limature (come Chopin) e per cui tanto più meritevole
di plauso – è la leggendaria “Casta Diva”… Un
inizio in sordina, remoto… che si piega inaspettatamente nel singulto arcano (abbellimento im-
Le strutture classiche vengono fecondate da un alito
lirico melodico ardente, da uno spirito romantico che
trasmuta la sobrietà e rigidità meccanica della forma
in spontanee immagini e formule di bellezza
chi spartiti, non più di uno l’anno, ci adopro tutte
le forze dell’ingegno, persuaso come sono che gran
parte del loro buon successo dipenda dalla scelta di
un tema interessante, da accenti caldi di espressione,
dal contrasto delle passioni”, scriveva nel 1828. Pur
basando la propria produzione sulle strutture formali classiche settecentesche, queste medesime vengono fecondate da un alito lirico melodico ardente, da
uno spirito romantico che trasmuta la sobrietà e rigidità meccanica nella forma – la trasparenza ma pure
povertà degli accompagnamenti dell’orchestra considerati, a ragione, un suo limite – in “spontanee immagini e formule di bellezza”.
provviso) della sacerdotessa implorante, cresce
nei dolci melismi successivi (come a voler rendere più convincente la prece all’astro notturno) per
slanciare (alla luna) l’invocazione ardente (si-do-
Le opere della ma
La tragica e passionale “
luccio alla prima scaligera ne
la Grisi), un tutt’uno di pass
ma, opera della “maturità” de
preceduta dall’idilliaca e cam
bula” e seguita dalla ricercat
Puritani”. Tre opere che si so
pertorio lirico mondiale illum
unicità e commozione. L’arte
«Casta Diva» costruita liberamente, con l’a
degli abbellimenti, delle progressioni del «c
lirico» lievita, fermenta, vivificata da un af
sempre commosso, si dilata in ampie volute
miracolosamente, all’”infinito”
Apice insuperato
di purezza melodica
La Pasta nel ruolo della druidessa
Nel mezzo dell’aria, anc
cosmica della druidessa espre
nescenti rantolii che crescono
limenti e cromatismi velocis
Callas eseguiva alla “perfezio
La migliore “Casta diva” c
da noi udita invece è quella
tima cantante di scuola italia
lissima voce, ingiustamente
ogni modo, nessuna cantante
smettere quel senso di estasi,
lità pagana che intridono que
Dire “Casta Diva” è com
o la “Merlettaia” del Vermeer
miracoli che ogni tanto accad
re-mi-fa-sol-la), un “la” sincopato che si protrae
lungo tutta la battuta) e, indi, sfociare nella suprema estatica supplica (lungo si bemolle) alla lucenMa veniamo all’incredibile e tanto decantata te divinità, smorzandosi su una serie di ondulate
melodia belliniana, portatrice assoluta dell’espres- sequenze melodiche.
all’esprimersi di malinconie p
diritti della personalità roman
le proprie scontentezze… in
ti traiettorie dell’universo”. V
– compianto da tutta la Pari
Dall’inaugurazione con «Norma» ai concerti di Stra
Il prestigioso itinerario artis
Era il 31 maggio 1890 quando
a Catania avvenne l’inaugurazione del Teatro Massimo Vincenzo
Bellini. L’evento fu celebrato con
la rappresentazione di Norma, il
capolavoro del grande compositore catanese al quale era stato intitolato il Teatro. Fu una grande serata vissuta intensamente in una
sala illuminata da tremolanti fiammelle di gas arancione a forma di
farfalle, che contribuirono a rendere particolarmente suggestiva
l’atmosfera. Dopo quella festosa e
fastosa apertura, però, il decennio
finale del secolo non fu per il Teatro particolarmente significativo
sul piano della qualità delle messe
in scena. La situazione migliorò
nel primo decennio del Novecento, grazie all’intuito dell’impre-
sario chiamato a gestire il Teatro,
Giuseppe Cavallaro, e poi soprattutto con l’avvento dell’opera verista. Tosca, Fedora, Andrea Chénier furono le opere di maggiore
successo fra quelle andate in scena al Bellini in quegli anni. Dopo
il terremoto di Messina, a partire
dal 1910, fu la volta di Lohengrin
di Wagner e di Loreley di Catalani, La dannazione di Faust di Berlioz, Thais di Massenet, Guglielmo Tell di Rossini, Isabeau di Mascagni, Werther di Massenet. Non
mancarono le opere belliniane:
ancora Norma e poi Sonnambula
e Puritani. Chiusa la triste parentesi della prima guerra mondiale,
il Bellini rilanciò la propria attività nel 1918 con un cartellone di
quattordici opere.
Dal 1925 al 1934 ca
scene del Teatro catane
giori cantanti dell’epoc
di nota: nel 1931, la me
na di Amico Fritz di
con Ines Alfani Tellini e
dro Wesselowski; nel
edizione della verdiana
interpretata da Mercede
Lina Pagliughi, nel 193
men di Bizet con Giann
ni e nel 1935 di Norma
Cigna, in occasione del c
della morte di Bellini.
un periodo felice, ma n
Teatro perdeva, a causa
lungimiranza degli amm
del tempo, la possibilità,
una legge appena eman
sformarsi in ente lirico.
con l’Italia già in guerra
sica
Mercoledì, 28 settembre 2011
a»
dagli angeli
cora l’ancestrale estasi
essa in una serie di evao e descrescono, abbelssimi che nemmeno la
one”.
come tecnica e pulizia,
di Anita Cerquetti, otana (anni ’50) e di belquasi dimenticata. Ad
e è finora riuscita a tradi spiritualità- sensuast’aria.
me dire “La Gioconda”
r oppure… uno di quei
dono nell’arte.
Lo stile di recitazione “tragico sublime”
stanze misteriosissime, un autentico giallo tutt’ora
irrisolto. Segregato e poi abbandonato in una villa
fuori Parigi morì “sembra” – ma si parlò anche di
assassinio – di una malattia intestinale il 23 settembre 1835.
La città seguiva l’evoluzione nel mondo della lirica
Quella Fiume ottocentesca
innamorata di Bellini
FIUME – Per quanto intensa e
viscerale sia stata la passione della
città di San Vito per Verdi – l’intensità della quale era dovuta anche alla copiosa produzione del
Vate di Busseto che fu attivo fin
in tarda età – la presenza del Cigno di Catania, considerata la sua
prematura scomparsa e la limitata
quantità di opere liriche, non fu da
meno. Scorrendo la cronaca fiumana delle rappresentazioni del tempo si nota, a partire dal 1833 che i
nomi più spesso presenti nelle stagioni liriche sono quelli del Rossini, Mercadante, Luigi e Federico
Ricci, Donizetti, Bellini e nel 1845
con “Nabucodonosor” Giuseppe
Verdi.
Nell’etere del bellissimo Teatro
Civico (Teatro Adamich) si levarono per la prima volta, le pure melodie belliniane nel 1835 con “I Capuleti ed i Montecchi”, a soli (pochissimi per l’epoca) cinque anni
di distanza dalla prima veneziana;
l’anno successivo 1836, fu la volta
di due opere del Bellini “Norma”
(a cinque anni dalla prima) e “Il pirata”. L’anno successivo 1837, sul
cartellone della stagione lirica fiumana, figurano altri due lavori del
nostro: “La straniera” e “La sonnambula”. La nutrita presenza belliniana a Fiume in tre anni conse-
cutivi parla, inequivocabilmente,
della scoperta e del vivissimo apprezzamento del pubblico fiumano per la Sua arte. Nel 1841 fu la
volta di “Beatrice di Tenda” e nel
1844 nella direzione di Luigi garba andò in scena “I Puritani”. E nel
1844, a nove anni dalla prematura morte di Bellini, Fiume aveva
udito e conosceva l’opera completa del Maestro! (Escluse le acerbe
prove giovanili “Adelson e Salvini”, “Bianca e Fernando” che non
fanno “storia” e la “Zaira”). Fiume
coltivò il suo rapporto (ci riferiamo all’Ottocento) con il Catanese per il tramite di non pochi allestimenti delle citate opere. “La
ausilio
crescendo
fflato
e,
personali… aumentò i
ntica e del suo stare con
mezzo alle assorbenVincenzo Bellini morì
gi artistica – in circo-
Il magnifico Teatro Adamich
Sonnambula” fu infatti riproposta
nel 1852, 1861, 1867, 1877, 1890,
1900, 1906…; la “Norma” nel
1866, 1876, 1888, 1897, 1908…;
“I Puritani” nel 1865, 1879, 1892,
1897; “Beatrice di Tenda” nel
1851, 1872; “I Capuleti ed i Montecchi” nel 1854.
Nel 1844, a nove anni
dalla prematura morte di Bellini,
Fiume aveva udito e conosceva
l’opera completa del Maestro!
aturità artistica
“Norma” (accolta mael 1831, con la Pasta e
ione, melodia e dramel Cigno di Catania, fu
mpestre “La Sonnamtezza strumentale di “I
ono mantenute nel reminandolo con la loro
e di Bellini “aprì la via
5
Davvero non male se si considera la grande varietà e aggiornamento dei cartelloni d’opera di Fiume
che seguiva vigilmente l’evoluzione del mondo della lirica per cui,
oltre al belcanto i fiumani conoscevano la tradizione francese del
grand-opèra, e dell’opera romantica, Wagner (!), i veristi, la nuova
scuola italiana… Spettacoli, la cui
maggior parte mai più avremo occasione di sentire nell’allestimento
dell’odierno “Ivan de Zajc”!
Ma ogni confronto con l’ottocentesca Fiume operistica è semplicemente impensabile e improponibile. Cosa non succedeva sotto l’ampia volta del Teatro Ada-
mich prima e del Teatro Comunale
poi! Una Fiume di diecimila abitanti con stagioni liriche che comprendevano dieci (!!!) prime (e non
erano eccezioni). Cantanti e compagnie di grido, serate in onore di
primadonne e attrici che venivano
coperte di fiori, gioielli, poemetti
celebrativi…Pura fantascienza per
l’odierno pubblico fiumano amante
della lirica il quale, tenuto a stecchetto com’è (se ci sono due prime
per stagione è già tripudio e gaudio), schiatterebbe per lo choc di
fronte a tanta dovizia e qualità. Sarebbe come offrire caviale, champagne e ogni ben di Dio a un morto di fame.
E poi ci vengono a dire che Fiume era una città musicalmente provinciale! Ma si sa, l’ignoranza crassa è sempre arrogante. Chiedendo
venia per la digressione, torniamo
al nostro Bellissimo del quale, negli ultimi cinquant’anni a Fiume
abbiamo avuto l’onore di sentito
solo la “Norma”. Anno verdiano,
e siamo d’accordo; ma una recitina
belliniana, nel duecentesimo della
nascita di questi Grande – magari
la storia della passionale sacerdotessa Norma, nel contempo peccatrice e martire, Medea e Velleda –
potrebbero offrircela…
Giuditta Pasta
avinski
stico del Teatro Massimo catanese
alcarono le
ese i magca. Degne
ssa in sceMascagni
e Alessan1933, una
a Traviata
es Capsir e
34 la Carna Pederzia con Gina
centenario
Fu quello
nel 1936 il
della poca
ministratori
, offerta da
ata, di traNel 1941,
a, due ope-
re da segnalare: Don Pasquale di
Donizetti con Toti Dal Monte e la
pucciniana Bohème con un tenore
di grande futuro: Mario Del Monaco. Successivamente, il drammatico incalzare degli eventi bellici impose la chiusura del Teatro.
Nel 1944 la ripresa delle rappresentazioni, che aprì un decennio
segnato da presenze di assoluto valore. Solo per citare alcuni
nomi: Ferruccio Tagliavini, Maria
Caniglia, Beniamino Gigli, Gino
Bechi, Renata Tebaldi. Nel 1951,
per il 150° anniversario della nascita di Vincenzo Bellini, faceva
la sua apparizione in Norma Maria Callas, che doppierà il successo l’anno dopo e nel ‘53. Cambiava intanto la guida del Teatro, che
veniva affidata all’Ente Musicale
Catanese, organismo misto, pubblico e privato. Di quel periodo
si ricordano importanti appuntamenti: Dialoghi delle Carmelitane
(1959) che lo stesso autore, Poulenc, definì come la migliore messa in scena della sua opera; Giovanna D’Arco al rogo di Honegger (1960) con Vittorio Gassman
attore e regista (la rappresentazione fu ripresa dalla Rai e trasmessa
in TV); Il Cavaliere della Rosa di
Richard Strauss (1960); L’incoronazione di Poppea di Monteverdi
in parte coprodotta con l’Opera di
Dallas. Inoltre: il concerto di Igor
Stravinski, che esibitosi l’indomani dell’assassinio di John Kennedy il 3 novembre del 1963, dedicò
all’amico scomparso la sua performance. Nel 1966 la gestione
del Bellini veniva assunta dal Comune di Catania, che debuttava in
questo ruolo con una stagione il
cui clou fu la belliniana Beatrice
di Tenda diretta da Vittorio Gui,
protagonista Raina Kabaivanska.
“Prima “ al Bellini, nel 1970, di
Mosè di Rossini, con Gavazzeni
sul podio.
Due anni dopo, lo stesso Gavazzeni diresse i Puritani con la
regia di Colonnello. Si succedevano frattanto vari direttori artistici. Nel 1975 Danilo Belardinelli propose una ricostruzione di
Zaira di Bellini, opera che lo stesso musicista aveva utilizzato per
comporre i Capuleti. In quella che
fu la prima edizione del secolo,
Zaira venne proposta con la ricostruzione di Rubino Profeta, pro-
tagonisti Renata Scotto e Giorgio
Casellato Lamberti. Una curiosità: dell’opera venne effettuata una
registrazione pirata, utilizzata per
la realizzazione di un disco che è
ancora in circolazione. Di rilie-
vo nel 1970, dopo anni non particolarmente significativi, l’opera
Anna Bolena di Donizetti con Katia Ricciarelli al suo debutto catanese, e Macbeth di Verdi con Olivia Stapp e Kostas Paskalis.
6 musica
Mercoledì, 28 settembre 2011
IL PERSONAGGIO Intervista con Ariana Bossi cantante, pedagoga, strumentista
Quando la vita è musica
di Viviana Car
Ariana Bossi
H
a gli occhi sorridenti e lo
sguardo solare quando
parla della “sua” musica.
Così si presenta Ariana Bossi, eccellente maestra della Mandolinistica e mirabile interprete di arie
operistiche nell’ambito della sezione “Virtuosi fiumani”, l’ultima
nata nella grande famiglia della
SAC “Fratellanza”. Un complesso
giovane e unico nel suo genere e
di trascinante successo che in pochissimi anni ha bruciato le tappe
sulla scena del belcanto, offrendo
al pubblico una miriade di ottimi
concerti, di regola molto apprezzati dagli amanti della lirica.
Una passione
assimilata in famiglia
Tutto il curriculum vitae è impregnato di musica per questa giovane che già da bambina sognava
la musica, in tutte le sue forme.
“Quando in famiglia ci sono due
musicisti, mio padre e mia sorella maggiore, allora la scelta è ovvia – racconta Ariana –. Parallelamente alla scuola elementare, la
‘Belvedere’, frequentavo intensamente anche la Scuola elementare di musica. A tredici anni sono
entrata a far parte della Mandolinistica. Qui ho imparato a suonare il mandolino”. In quel periodo prende una grande decisione,
inusuale per una giovane ragazza
– frequenterà la Scuola media di
musica per dedicarsi interamente
all’arte del suono e del canto. Una
scelta personale, azzardata, ma
nata dal profondo del cuore.
Una voce corposa
ed elastica
Nel 1993, terminata l’istruzione media si iscrive alla Facoltà di
pedagogia di Pola laureandosi
nel ‘97 in Cultura musicale. Ariana non aspetta tempo e lo stesso
anno si iscrive a canto all’Accademia a Zagabria, conseguendo
la laurea nel 2002 come soprano
lirico spinto, una delle voci più
corpose nel registro di soprano.
Dunque una vocalità ampia dai
toni più scuri specializzata sia nel
canto elegiaco sia in quello di forza. Può esibirsi sia in ruoli affidati tradizionalmente al soprano lirico sia in quelli destinati al soprano
drammatico, senza danneggiare la
qualità della voce stessa.
Dal 2003 al 2006 è dipendente del Teatro nazionale fiumano
come corista, per impiegarsi quindi alla Scuola di musica di Pola
dove si insegna canto per tre anni.
Oggigiorno Ariana Bossi opera
come insegnante di canto presso la SM “I. M. Ronjgov” di Fiu-
Virtuosi fiumani
me ad una classe di ottimi allievi.
“Sono già tre anni che insegno canto a Fiume e sono molto soddisfatta dei miei alunni. Posso affermare,
senza falsa modestia, che sono dei
futuri grandi cantanti, giovani promesse che hanno già partecipato
con successo a numerosi concerti,
manifestazioni e concorsi”.
Ritrovarsi
nella pedagogia
e nel concertismo
La parentesi teatrale non ha soddisfatto Ariana. In quel periodo sostiene pure un paio di parti da solista ma il “regime” imposto per ogni
ruolo, dove la libertà di canto viene
dettata, a volte limitata, dal regista
o dal direttore d’orchestra non lasciano autonomia artistica. “Il mio
mondo sono i concerti, qui mi trovo
bene – confessa Ariana – dove ogni
pezzo è studiato nei minimi particolari, dove l’accordo tra i cantanti e
musicisti è più intimo, cameratesco.
Dunque, un ambiente più calmo
dove posso controllare la situazione
ed essere me stessa”.˝Il tempo libero di Ariana è scandito interamente
dalla...musica.
“Faccio tante attività, sono legata a tante cose. Come già detto, ho
iniziato giovanissima suonando il
mandolino nella leggendaria Mandolinistica del Circolo, poi sono
passata pure a suonare la mandola, uno strumento simile ma che richiede un ‘polso’ più deciso”. Nel
2004 dopo che il maestro Raul Devjak lascia la formazione, la giovane, sostenuta da tutti i membri
dell’ensemble prende in mano le
redini, divenendo il primo direttore donna della formazione. “Come
direttore della Mandolinistica – afferma Ariana – sono esigente, ma
vengo ascoltata e sostenuta. Purtroppo, oggi il complesso opera con
una dozzina di membri, tanto che
ho dovuto, sempre con l’aiuto dei
musicisti, cambiare il repertorio. I
pezzi che venivano eseguiti durante il ‘regno’ del maestro Livio Flo-
ris sono inutilizzabili in quanto sappiamo tutti quanto era numerosa la
Mandolinistica di quei tempi. Però
oggigiorno è molto più facile per
quanto riguarda il repertorio. Gli
spartiti si trovano anche su Internet,
basta stamparli ed operare dei piccoli cambiamenti oppure l’arrangiamento, una cosa semplice. Negli ultimi tempi abbiamo limitato i pezzi
classici per spaziare in un repertorio
più moderno”.
La maestra viaggia molto con la
sua Mandolinistica. L’ultima uscita,
nel mese di agosto quando il caldo
torrido non demordeva, la compagine in rappresentanza della CNI,
ha fatto ‘un salto’ a Lipovljani, località della Moslavina dove hanno
avuto luogo “Gli incontri delle minoranze” “Siamo stati accolti benissimo. Il nostro programma, frizzante e leggero, ha attirato un pubblico
numerosissimo, memore del nostro
primo concentro in questa località,
svoltosi nel 2004.”
Un CD
nel curriculum
della Mandolinistica
Una delle conquiste che più stanno a cuore ad Ariana è sicuramente
l’avvenuta registrazione di un CD.
Nel 2010, finalmente, la Mandolinistica è riuscita ad incidere il suo primo CD, “In compagnia del mandolino”. Non si tratta di un vero e proprio debutto in quanto il complesso
è presente, con le altre sezioni musicali della SAC “Fratellanza”, in un
altro album registrato molto prima.
“È stata un’ esperienza istruttiva,
innovativa ma difficile da realizzare
– racconta la Bossi –. Per registrare dal vivo, dovevamo trovare una
data comune per tutti i membri del
complesso, un arduo compito perché tutti loro sono occupati con altre attività. Alla fine siamo riusciti
a trovare l’accordo ma, nello stesso
tempo, io mi sono ammalata! Nessun sacrificio è pesante quando si
ama tanto la musica. Ho partecipato alla registrazione, fatta dal vivo,
con qualche linea di febbre, tosse e
starnuti. Alla fine, tutto è andato nel
migliore dei modi ed ora il CD fa
parte della ricca storia della Mandolinistica”.
Il fascino
del mandolino
Ariana Bossi alla mandola assieme a Denis Stefan (mandolino) e
Sanjin Sanković (chitarra)
Ariana Bossi non solo dirige
ma spesso lascia il podio per pren-
dere in mano la mandola. “Questo
strumento, per lunghi anni, è stato
suonato dal defunto Guido Clarich.
Ed è stato proprio Guido durante le
prove a darmi le prime nozioni di
mandola. Però occuparmi di due
attività è molto faticoso e così, soprattutto nelle uscite o concerti di
notevole importanza, chiamiamo
in aiuto Petar Kovačić, un nostro
ex membro che ci dà una mano.
In un concerto è molto importante quando il maestro sta sul podio
a dirigere e seguire le esecuzioni e
non a coordinare da seduto”.
Il desiderio di Ariana è quello
di vedere una Mandolinistica forte
ma “mancano i giovani poiché vedono il mandolino come uno strumento superato, da sostituire con
una chitarra elettrica. Non capiscono che questo strumento musicale, in buone mani, riesce a produrre suoni e melodie di grandissima qualità, adattate anche per un
repertorio moderno e contemporaneo”.
Spontaneamente...
Virtuosi
E per ultimo arrivano “I Virtuosi Fiumani” ed è subito un successo. Sempre in seno alla SAC
“Fratellanza”, Ariana si unisce ad
Antonio Mozina, Aldo Racanè e
alla maestra Vjera Lukšić e forma
un quartetto vincente dove si cura
il belcanto, praticamente uno dei
pochi gruppi, o l’unico tra le numerose attività svolte in tutti i sodalizi della CNI che ha un repertorio operistico e di arie impegnative tratte dalla ricca tradizione musicale italiana. L’idea di formare i
Virtuosi nasce per caso, dal profondo amore che il gruppo nutre
per la musica. “Già prima lavoravo con i cori della ‘Fratellanza’
e precisamente educavo i solisti.
L’idea è stata ventilata dai ‘due
ragazzi’ (Mozina e Racanè) che,
con molta fatica ma decisi a raggiungere lo scopo, mi hanno convinto ad accettare l’offerta. Era la
fine del 2003 e si lavorava su un
programma prettamente natalizio.
Ma la nostra prima uscita ufficiale è stata nel 2004 con il concerto
di San Valentino. Siamo stati accolti molto bene, potrei dire ottimamente e da quella fatidica uscita che non abbiamo smesso. Negli anni passati si sono susseguiti concerti praticamente in tutte le
Comunità e spesso siamo invita-
ti ad esibirci in varie manifestazioni. Il repertorio, come possono confermare tutti quelli che ci
seguono è vario e cambia di volta
in volta. Ci esibiamo come solisti,
in duetto ed anche come un trio,
sempre accompagnati dalla prof.
ssa Lukšić”.
In Italia
a rappresentare
la città di San Vito
Ariana ha tanti progetti pure per
il futuro. “Già alla fine del mese di
settembre i Virtuosi si esibiranno a
Gorizia come rappresentanti della
Città di Fiume, mentre ad ottobre
la Mandolinistica sarà ospite a Rovigno; e questo è solo l’inizio”.
Quando si considera che in pochi anni Ariana è riuscita ha realizzare tanto e stia per darsi “una
calmata” ecco che spunta un altro
sogno nel cassetto. “Praticamente
ho realizzato quasi tutto – confessa Ariana Bossi –, ma ci sarebbe
un piccolo desiderio da riattivare.
Da sempre desideravo cantare in
un piccolo complesso madrigalista e per un breve periodo di tempo
ho avuto l’occasione di far parte di
un quartetto misto con voce di primo soprano. Purtroppo, a causa dei
tanti impegni il gruppo non aveva
continuato con la sua attività. Forse un giorno, anche come sezione
della “Fratellanza” riuscirò nel mio
intento, quello di far nascere o rinascere un complesso che si occupi solo di musica barocca”.
Ad Ariana gli impegni non
mancano, oltre che essere maestra
di canto, direttore della Mandolinistica, guida con assiduità due klape femminili, Rožice di Sappiane
e Mažuran di Castelmuschio; insegna tecnica vocale a due corali, il coro femminile Lira e il coro
giovanile Josip Kaplan e per ultimo insegna anche al corso di canto
dell’Arcivescovado di Fiume.
E la musica preferita? “Sono
tanti gli autori che amo. Mi piace
la musica barocca, ma anche una
parte del repertorio del romanticismo. Non ho un compositore preferito, ma di volta in volta prediligo questo o quello, dipende dallo stato d’animo. Per rilassarmi mi
accosto a Bach. Tutto quello che
faccio è legato alla musica: canto,
suono, dirigo, educo”.
Per Ariana Bossi, giovane maestra, cantante ed insegnante, la vita
è musica.
musica 7
Mercoledì, 28 settembre 2011
RUBRICA Giro giro tondo quanto suona il mondo
La necessità della memoria
S
ettantasei compositori, più di 80 brani,
di cui 27 sono novità, oltre 20 appuntamenti tra concerti, installazioni, performance audio-visuali, laboratori, incontri,
concentrati in 8 giorni di programmazione,
dal 24 settembre all’1 ottobre: è il 55. Festival Internazionale di Musica Contemporanea della Biennale di Venezia, presieduta da
Paolo Baratta.
Anche il festival di quest’anno si è fatto palcoscenico di giovani professionisti, riconfermando la volontà della Biennale di far
conoscere al mondo le più importanti esperienze di singoli compositori e di ensemble
che hanno iniziato un percorso, spesso con
successo, nel mondo della musica contemporanea.
“Mutanti” è il titolo di questa 55.ma edizione diretta da Luca Francesconi, che aveva osservato: “Forse stiamo assistendo a una
sorta di mutazione genetica della cultura occidentale, della nostra tradizione. Viviamo
in un mondo che fa sembrare anacronistici
non solo il pensiero, l’approfondimento e la
fatica, ma anche la matita e la carta, la pratica, l’artigianato. Oggi che tutto è a portata di
un click, è sempre più evidente la tentazione
di liberarci della memoria, sognando di essere più leggeri. La Biennale Musica 2011
Giustinian) ha portato un organico di quartetto d’archi elettrico e un regista del suono, figura imprescindibile per un programma che illustra gli sviluppi e le potenzialità
dell’elettronica applicata agli archi. Le novità sono a firma di Jean François Laporte e
dei trentenni Carlo Ciceri e Andrea Agostini,
accanto a Orchester-Finalisten di Stockhausen e Different Trains di Reich.
Anche lo Studio for New Music Moscow (29 settembre, Teatro Malibran) è una
formazione recente, nata in seno al Conservatorio di Mosca e destinata a giovani orchestrali e compositori. A Venezia l’ensemble apre a un panorama musicale ancora poco noto come quello russo: accanto ai
nomi consolidati di Vladimir Tarnopolski,
più volte ospite della Biennale Musica, e
di Faraj Karaev, ci sono quelli, alcuni non
ancora trentenni e tutti da scoprire, di Olga
Bochihina, Alexej Sioumak, Nikolaj Khrust
e Vladimir Gorlinski.
Ancora alle giovani generazioni, quelle
maggiormente impegnate nella ricerca elettronica e informatica, si ricollega la presenza al 55. Festival del maggior centro di riLuca Francesconi, direttore del settore Musica della Biennale di Venezia
cerca sul suono, l’IRCAM di Parigi, con due
concerti (28 e 30 settembre, Conservatorio siche di Steve Martland, Christina Athino- stallazione visiva e sonora che estenderà le
di Venezia)e un nucleo di laboratori che oc- dorou, Carlo Boccadoro, Giovanni Verran- sue corde-laser tra le colonne cinquecentedo, Mark-Anthony Turnage, Steve Reich sche del Sansovino, e anche solo al passag(28 settembre, Teatro Malibran), e l’Ictus gio del pubblico provocherà effetti visivi e
Ensemble di Bruxelles, che rivela pagi- sonori. Mentre al Portego di Ca’ Giustinian
ne di autori raramente eseguiti come Harry verrà collocata, per tutto il periodo del FePartch, o anomali come Kurt Schwitters in- stival, un’altra installazione, Aura in Visisieme a Iannis Xenakis, Fausto Romitelli e bile.2, opera del compositore Luigi Ceccaai trentenni Eva Reiter e Hikari Kiyama (1 relli. Al centro dello spazio un pianoforte a
ottobre, Teatro alle Tese). Un altro ensem- coda rigorosamente senza pianista che, solble fiammingo, testimonianza della vitalità lecitato da eccitatori meccanici, progettati
di un’area, l’Hermesensemble è interprete dal compositore e controllati tramite comdi Lamento di Medea (26 settembre, Tea- puter, rivela una voce inedita.
tro Piccolo Arsenale), una produzione di teatro musicale in forma di concerto, compliSui temi e gli interrogativi che il titolo
ci il compositore Wim Henderickx e il poe- del Festival, Mutanti, sollecita si svolgerà
cuperanno l’intera settimana del Festival ta e scrittore Peter Verhelst. Geblendet (30 poi – a metà percorso del Festival (29 setper mostrare a giovani compositori italia- settembre, Teatro Piccolo Arsenale) è inve- tembre, Sala delle Colonne - Ca’ Giustinian)
ni un metodo di lavoro applicato alle ulti- ce un lavoro sperimentale di teatro musi- – il confronto tra lo scrittore Alessandro Bame novità della tecnologia, con i programmi cale che la Biennale condivide con Musik ricco e il sociologo Mauro Magatti, profesdi scrittura più avanzati (Max, Max4Live, der Jahrhunderte Stuttgart e Musicadhoy di sore dell’Università Cattolica di Milano e
Open Music, etc.). In programma composi- Madrid nell’ambito del Programma Cultu- autore di Libertà immaginaria (Feltrinelli,
2009),
Il 55. Festival Internazionale di Musica contemporanea si concluderà l’1 ottobre
con un gesto teatrale orchestrato dal direttore Luca Francesconi. La serata si intitola
emblematicamente Vogata rituale – cultura
in memoriam. Il percorso partirà dall’Arsenale e porterà il pubblico lungo le vie d’actori particolarmente rappresentativi di que- ra dell’Unione Europea. I racconti brevi di qua di Venezia fino all’isola di San Michele,
sto fronte della ricerca – Franck Bedrossian, Thoms Bernhard sono all’origine di quattro dove riposano le spoglie di Stravinskij e di
Yan Maresz, Yann Robin, Roque Rivas – e quadri distinti affidati alle partiture di Mi- tanti grandi artisti. Sarà una serata accomcompositori italiani che all’IRCAM hanno chael Beil, Mischa Käser, Manuel Hidal- pagnata dalla musica di Igor Stravinskij e
studiato e si sono specializzati - Francesca go, Filippo Perocco, alla regia del franco- Guillaume de Mauchaut, Luigi Nono e GeVerunelli, Andrea Agostini, Daniele Ghisi, tedesco Thierry Bruehl e all’esecuzione dei sualdo da Venosa, Claudio Monteverdi e
Eric Maestri, tutti trentenni.
Quatuor Diotima di Parigi.
Arvo Pärt, Verdi e Mozart: tutti autori che
Scritto, allestito e realizzato interamente da studenti del Conservatorio Benedetto
Marcello, Privo sarò del cielo e de l’inferno
– A patchwork opera (29 settembre, Conservatorio), e l’originale riproposta degli eventi
Fluxus di Giuseppe Chiari e Giancarlo Cardini ad opera del Collettivo Rituale di Riccardo Vaglini (26 settembre, Conservatorio) rinnovano la felice collaborazione tra la
Biennale e il Conservatorio veneziano, nata
dalla volontà di valorizzare le migliori e più
fresche energie creative.
Oltre alle presenze di spicco dell’Orchestra del Teatro La Fenice, partner del Festival
e presente in cartellone con diverse formazioni, e dell’Orchestra Sinfonica Nazionale
della Rai (27 settembre, Teatro Malibran),
con il suo ensemble da camera interprete delle musiche di Giorgio Colombo TacUna vera rarità sarà la prima audizione attraversano secoli di storia della nostra mucani, Massimo Botter, Unsuk Chin, Staffan della versione a 8 canali di A floresta é jo- sica e ne rappresentano la memoria viva. È
Storm, Thomas Adés, ritorna alla Biennale vem e cheja de vida di Luigi Nono, la cui un saluto simbolico che esprime la necesla duttilissima FVG Mitteleuropa Orchestra ricostruzione filologica, ad opera di Veniero sità della memoria, oggi che la rivoluzione
(25 settembre, Teatro alle Tese). Diretta da Rizzardi, parte dai materiali utilizzati per la culturale indotta dall’avanzata tecnologica
Andrea Pestalozza, l’orchestra impagina un produzione discografica del 1966 per resti- rischia di annullarla nell’eterno presente di
concerto con brani di Kent Olofsson, Vitto- tuire il pezzo nella sua originalità con tut- internet e della globalizzazione.
rio Zago, Pasquale Corrado alternati a pagi- ti i suoi interpreti (25 settembre, Sala degli
Anche quest’anno Rai Radio 3 porterà la
ne di Aldo Clementi e Giacinto Scelsi.
Arazzi - Fondazione G. Cini).
Biennale Musica oltre Venezia, a fasce più
Il 55. Festival presenta, inoltre, ensemNei primi due giorni del festival il Tea- numerose di pubblico e di appassionati, racble dinamici che hanno dato una scossa al tro alle Tese sarà trasformato in un grande contando, in diretta o in differita, i momenmondo concertistico: l’italiano Sentieri Sel- strumento musicale con l’Arpa di luce del ti salienti del 55. Festival Internazionale di
vaggi che presenta un programma di mu- musicista e performer Pietro Pirelli, una in- Musica Contemporanea.
Luca Francesconi: «Forse stiamo assistendo a
una sorta di mutazione genetica della cultura
occidentale, della nostra tradizione. Viviamo
in un mondo che fa sembrare anacronistici
non solo il pensiero, l’approfondimento
e la fatica, ma anche la matita e la carta,
la pratica, l’artigianato»
parla di mutanti, di qualcosa che finisce, per
lo meno nella forma in cui la conosciamo,
per diventare altro”.
Il 55. Festival è stato inaugurato 24 settembre al Teatro alle Tese con Peter Eötvös,
Leone d’oro alla carriera, e con una grande orchestra, la SWR Sinfonieorchester Baden-Baden und Freiburg. Il concerto rende
omaggio a Eötvös, compositore fra i più richiesti e direttore d’orchestra ai massimi li-
Il “Teatro Malibran”, una delle sedi della manifestazione
velli che nel corso della serata ha ricevuto il
premio alla carriera, ma anche a una tradizione musicale forte come quella ungherese
a partire da Béla Bartók, di cui si è eseguito Tanz-Suite, insieme a Konzert für zwei
Klaviere e Replica dello stesso Eötvös e ad
Agon di Stravinskij.
L’istituzione del Leone d’argento che
la Biennale dedica alle nuove generazioni
quest’anno ha premiato l’ensemble milanese RepertorioZero. A Venezia RepertorioZero (27 settembre, Sala delle Colonne - Ca’
L’istituzione del Leone d’argento
che la Biennale dedica alle nuove generazioni
quest’anno ha premiato l’ensemble milanese
RepertorioZero
La serata conclusiva sarà accompagnata
dalla musica di Igor Stravinskij e Guillaume
de Mauchaut, Luigi Nono e Gesualdo
da Venosa, Claudio Monteverdi e Arvo Pärt,
Verdi e Mozart: un saluto simbolico che
esprime la necessità della memoria, oggi che
la rivoluzione culturale indotta dall’avanzata
tecnologica rischia di annullarla nell’eterno
presente di internet e della globalizzazione
8 musica
Mercoledì, 28 settembre 2011
LE GRANDI VOCI Luisa Tetrazzini, dalla Russia all’America
Virtuosistiche agilità e timbro cristallino
L
uisa Tetrazzini (Firenze, 29
giugno 1871 – Milano, 28
aprile 1940) è stata uno dei
più celebri soprani leggeri tra Otto
e Novecento.
Iniziò a studiare con la sorella Eva Tetrazzini Campanini,
anch’essa diventata celebre soprano. Debuttò nel 1890 nel ruolo
di Inés ne L’Africana di Giacomo
Meyerbeer. La storia della sua prima esibizione pubblica ha un’aura
di leggenda: pare che la cantante,
allora diciannovenne, si trovasse
con la sua famiglia ad una rappresentazione de L’Africana, al teatro
dell’opera locale, quando, prima
dell’inizio, il direttore d’orchestra
si scusò con il pubblico dicendo
che l’opera non poteva essere rappresentata perché la cantante che
doveva interpretare il ruolo della
protagonista non si era presentata
poiché malata. Luisa allora si alzò
dal suo posto e, proponendosi in
sostituzione della cantante assente, disse che non era necessario
annullare la recita perché lei conosceva la parte. Il pubblico e il
direttore ne furono entusiasti, tanto che la cantante fu scelta anche
per la rappresentazione del giorno
dopo. Da questo singolare avvenimento prese il via una carriera
sfolgorante ed internazionale che
si diramò, nei primi tempi, principalmente nei teatri di provincia
italiani, ma anche in Russia, Spagna e Sud America, con un repertorio principalmente da soprano
leggero (o di coloratura) basato
soprattutto sulle parti di Violetta
(Traviata, Giuseppe Verdi), Philine (Mignon, Ambroise Thomas),
Oscar (Un ballo in maschera, Verdi), Gilda (Rigoletto, Verdi) e Lucia (Lucia di Lammermoor, Gaetano Donizetti).
Nel 1905 fece il suo debutto
americano a San Francisco; ma
nel 1907 ebbe la definitiva consacrazione, quando su consiglio di
Enrico Caruso accettò di interpretare Violetta al Covent Garden di
Londra.
Questo le permise, nel 1908,
di approdare a New York, non al
Metropolitan Opera, ma all’Oscar
Hammerstein Opera Company di
Manhattan, di nuovo nei panni di
Violetta e ancora una volta con
grande successo.
Adelina Patti, tra i più acclamati soprani di coloratura del XIX
secolo, non nota per la sua generosità nei confronti di altri cantanti, mostrò di apprezzare molto il
canto della Tetrazzini.
Nonostante il successo internazionale la Tetrazzini non cantò
mai al Teatro alla Scala, probabilmente per volere del direttore Ar-
Nonostante
il successo
internazionale
la Tetrazzini
non cantò
mai al Teatro
alla Scala,
probabilmente
per volere del
direttore Arturo
Toscanini. Tra
i due infatti
non corse mai
buon sangue
MUSICA SACRA Canto gregoriano tuttora in uso
«Salve Regina» l’antifona mariana
che ispirò i più grandi Maestri
La “Salve Regina” è una delle quattro antifone
mariane. Le altre antifone mariane sono: Regina Coeli, Ave Regina Coelorum e Alma Redemptoris Mater.
Questa composizione risale al Medioevo, è scritta in
latino e viene tradizionalmente attribuita a Ermanno
di Reichenau, noto come Ermanno il contratto. Tradizionalmente viene cantata in latino, tuttavia ne sistono numerose traduzioni in tutte le lingue. L’origine
della preghiera risale al XI secolo, ma la sua composizione non è certa. La tradizione più diffusa attribuisce la stesura di quest’antifona al monaco Ermanno
turo Toscanini. Tra i due infatti
non corse mai buon sangue. Addirittura quando la cantante si esibì al Metropolitan Opera di New
York ottenne che Toscanini fosse
sostituito con un direttore di suo
gradimento.
Il suo carattere aspro portò la
Tetrazzini ad essere duramente
criticata dai benpensanti, per via
anche della sua audace vita sentimentale: si sposò tre volte in pochi anni. Questo la allontanò dai
palcoscenici, soprattutto italiani. Dopo il terzo matrimonio, infelice quanto i primi due, ritornò
al canto, che aveva abbandonato,
soprattutto come concertista. La
voce tuttavia tradiva gli anni trascorsi. Il declino fisico era inevitabile, ma più difficile dovette essere affrontare le difficoltà finanziarie in cui si trovò, avendo dissipato in fretta l’immensa fortuna
che aveva accumulato.
Nel 1931 fondò a Roma una
scuola di canto, dalla quale uscirono cantanti di buon livello come
Lina Pagliughi, tra le sue allieve
anche la nipote, l’attrice e soubrette Marisa Vernati.
All’insegnamento si dedicò
fino alla morte (nel 1940); e a chi
le faceva ancora i complimenti
pare rispondesse sovente: “Sono
vecchia, sono grassa, ma sono
sempre la Tetrazzini!”.
Luisa Tetrazzini fece una cospicua, per quei tempi, carriera
discografica. Incise infatti novantotto facciate a settantotto giri dal
1904 al 1922. La tecnica dell’incisione è ovviamente rudimentale e non può restituire tutta la bellezza della sua voce. Nonostante
questo i suoi dischi restano interessanti nella storia della riproduzione sonora.
Salve, Regina,
Mater misericordiae,
vita, dulcedo,
et spes nostra, salve.
Ad te clamamus,
exsules filii Evae,
ad te suspiramus,
gementes et flentes
in hac lacrimarum valle...
di Reichenau Viene anche attribuita a papa Gregorio
VII, sant’Anselmo da Baggio (morto nel 1086), a san
Pietro di Mezonzo, vescovo di Iria Flavia o, alternativamente a San Bernardo durante la sua permanenza
all’eremo dei Santi Jacopo e Verano alla Costa d’acqua. Probabilmente di san Bernardo appartiene solo
la composizione dell’ultimo verso “o clemens, o pia,
o dulcis virgo Maria”.
Alberico delle Tre Fontane attribuisce la paternità
ad Ademaro di Monteil. La forma attuale è stata formalizzata dall’Abbazia di Cluny nel XII secolo. I Domenicani hanno introdotto la Salve Regina nel 1221
nella preghiera di compieta. I Cistercensi la utilizza-
“Incoronazione della Vergine” di Diego Velazquez
no dal 1251. I Certosini la cantano ogni giorno, dal
XII secolo, ai vespri. Nel 1250 papa Gregorio IX la
approvò e prescrisse il suo canto a conclusione della preghiera di compieta. La Salve Regina è normalmente utilizzata nelle funzioni della Chiesa cattolica,
in particolare nei giorni vicini alle feste dell’Assunta
e della Immacolata concezione, e dopo la recita del
Rosario. Il tema musicale della forma gregoriana del
testo è considerato originario del XI secolo e rappresenta uno degli esempi più antichi di musica sacra tuttora in uso. Il patrimonio gregoriano, nel Liber Usualis, conserva due differenti melodie scritte su questo testo, la prima, un po’ più melismatica, in I modo
(Dominica ad Completorium), che è quella riportata
nell’illustrazione qui sopra, la seconda in V modo (tonus simplex), molto più semplice, che è quella abitualmente cantata nelle chiese. Numerosissimi, poi,
sono i compositori che, nel corso della storia, si sono
serviti di questo testo per musicarlo. Fra questi ricordiamo in particolare: Marc-Antoine Charpentier, Gabriel Fauré, Georg Friedrich Händel, Franz Joseph
Haydn, Franz Liszt, Jean-Baptiste Lully, Giovanni
Battista Pergolesi, Francis Poulenc, Antonio Salieri,
Alessandro Scarlatti, Franz Schubert, Antonio Vivaldi, Claudio Monteverdi.
Anno VII / n. 51 del 28 settembre 2011
“LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol Superina
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Progetto editoriale di Silvio Forza / Art director: Daria Vlahov Horvat
edizione: MUSICA [email protected]
Redattore esecutivo: Patrizia Venucci Merdžo / Impaginazione: Annamaria Picco
Collaboratori: Viviana Car ed Helena Labus Bačić
Foto: Graziella Tatalović e archivio