ELISA PAVANELLO La responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico Societas publica delinquere potest La responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico Societas publica delinquere potest. In copertina: Calcografia dal front. di: Philippi Mariae Renazzi ... Elementa juris criminalis liber I. [-IV.] ... - Editio quarta Italica. - Senis : ex typographia Aloysii, et Benedicti Bindi, 1794. - 4 v. - 8° [F.A. 130 /1-4]. Posseduto dall'Università di Modena e Reggio Emilia - Biblioteca universitaria di area giuridica. Il testo è disponibile gratuitamente all'indirizzo: <http://www.padovauniversitypress.it/monografie> © 2011 Padova University Press Università degli Studi di Padova via 8 Febbraio 2, Padova www.padovauniversitypress.it ISBN 978-88-97385-04-2 Stampato per conto della casa editrice dell’Università di Padova - Padova University Press nel mese di luglio 2011. Tutti i diritti di traduzione, riproduzione e adattamento, totale o parziale, con qualsiasi mezzo (comprese le copie fotostatiche e i microfilm) sono riservati. Elisa Pavanello La responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico Societas publica delinquere potest Ringraziamenti Ringrazio i docenti, italiani e stranieri, che ho avuto occasione di conoscere durante la stesura di questo lavoro. Desidero ringraziare, in particolar modo, il Prof. John Vervaele, dell’Università di Utrecht, per il suo costante e prezioso supporto, fondamentale per la realizzazione della mia opera, e il Max Planck Institut für ausländisches und internationales Strafrecht di Freiburg i. Br. che ha favorito la mia ricerca di diritto comparato. Ringrazio il Prof. Silvio Riondato dell’Università di Padova, che mi ha costantemente stimolata alla riflessione critica e che mi ha sempre incoraggiata durante questi anni di lavoro. A Paolo, Matteo, ai miei genitori e a mia sorella Valentina. Indice Capitolo 1 Profili del problema della punizione del sovrano 1. Dalla responsabilità penale dell’impresa economica alla responsabilità penale dell’impresa pubblica non economica 1 2. Il tradizionale principio dell’irresponsabilità penale dello Stato sovrano 9 2.1. I limiti «interni» ed «esterni» della sovranità e le possibili implicazioni per il superamento del dogma della irresponsabilità 14 3. Il potere rappresentativo dello Stato quale limite alla sua responsabilità penale 18 4. La tutela della funzione «pubblica» dello Stato e degli enti territoriali. Riflessioni in ordine all’immunità politica dei singoli e all’irresponsabilità dell’ente 20 5. Le questioni connesse all’applicabilità di sanzioni penali nei confronti dello Stato 22 5.1. L’asserita incompatibilità delle sanzioni penali con la natura pubblica dell’ente 23 5.2. Valenza simbolica del diritto penale e responsabilità degli enti pubblici 25 6. La limitata responsabilità penale degli «altri» enti pubblici 27 7. Conclusioni (cenni e rinvio) 28 Capitolo 2 La responsabilità penale delle persone giuriche di diritto pubblico nell’ordinamento olandese 1. La responsabilità penale delle persone giuridiche in Olanda: evoluzione storica 33 2. La responsabilità penale delle persone giuridiche, degli enti privi di personalità giuridica, delle associazioni e delle fondazioni per i reati dagli stessi posti in essere 35 3. I criteri di attribuzione della condotta alla persona giuridica: la teoria del potere e dell’accettazione 36 4. La responsabilità dei dirigenti di fatto e di coloro che hanno impartito l’ordine criminoso all’interno delle persone giuridiche. Attribuzione della condotta sulla base dei criteri del potere e dell’accettazione 38 5. La responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico. Questioni interpretative intorno all’inclusione degli enti di diritto pubblico nella nozione di persona giuridica 39 6. Le pronunce della giurisprudenza sulla responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico (enti pubblici decentrati) 42 6.1. L’irresponsabilità penale degli enti decentrati che hanno posto in essere la condotta illecita nell’ambito di attività esecutive di un compito pubblico (caso Tilburg) 42 6.2. La responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico diverse dagli enti territoriali (caso dell’Università di Groningen) 44 6.3. La conferma del principio della responsabilità penale degli enti decentrati unicamente nel caso in cui abbiano commesso l’illecito al di fuori di attività esecutive di un compito pubblico (il caso Voorburg) 46 6.4. Le incongruenze applicative connesse al principio dell’esecuzione del compito pubblico individuato dalla giurisprudenza quale criterio discriminante per determinare la responsabilità penale degli enti pubblici decentrati (sentenze Arnhem e Streekgewest Zuid-Limburg) 48 6.5. Le connessioni tra irresponsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico e irresponsabilità dei dirigenti di fatto e di coloro che hanno dato l’ordine criminoso. (I casi Waterschap West Friesland, Provincie Noord Holland e Pikmeer i) 50 7. Le posizioni della dottrina sulla perseguibilità delle persone giuridiche di diritto pubblico (enti decentrati) 52 7.1. Gli argomenti addotti a favore dell’irresponsabilità penale 52 7.2. L’impossibilità per il giudice penale di vagliare la legittimità dell’attività della pubblica amministrazione: responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico e violazione del principio della divisione dei poteri. Critiche 52 7.3. La perdita di fiducia da parte dei consociati nell’ente e di legittimazione dell’attività di quest’ultimo in caso di condanna penale. Critiche 54 7.4. Il versante sanzionatorio: il rischio per la continuità dell’attività dell’ente pubblico in caso di condanna e la dannosità per i cittadini dell’eventuale sanzione pecuniaria inflitta all’ente. Critiche 54 7.5. L’impossibilità di sovrapporre il controllo penale dell’attività degli enti pubblici a quelli già esistenti sul piano politico e amministrativo. Critiche 56 7.6. Gli argomenti contro l’irresponsabilità penale 58 7.7. La necessità di fronteggiare la criminalità diffusa all’interno degli enti pubblici. L’immunità e la conseguente violazione del principio di eguaglianza tra le diverse persone giuridiche 58 8. La posizione del Governo: la necessità di perseguire gli enti pubblici che hanno posto in essere la condotta illecita al di fuori dell’attività di esecuzione di un compito pubblico intesa in senso «materiale» 60 9. Le linee guida adottate dai pubblici ministeri sulla perseguibilità degli enti pubblici decentrati: diritto penale come ultimo rimedio 62 10. Primi rilievi critici 63 11. La revisione dei criteri adottati dalla giurisprudenza sulla possibilità di perseguire penalmente gli enti pubblici decentrati (caso Pikmeer ii) 65 11.1. La statuizione del principio della necessità della sottoposizione dell’ente pubblico decentrato alla legge penale. Le critiche al criterio dell’attività di esecuzione di un compito pubblico e l’affermazione della compatibilità dei controlli politico, amministrativo e penale sull’attività degli enti pubblici 65 11.2. L’affinamento dei criteri per l’attribuzione dell’immunità agli enti pubblici decentrati. La statuizione della loro irresponsabilità penale laddove la condotta illecita sia esecuzione di un compito pubblico che può essere posto in essere esclusivamente dal funzionario pubblico 66 11.3. La possibile applicazione nei confronti degli enti decentrati che hanno posto in essere la condotta illecita al di fuori dell’esecuzione di un compito pubblico di esclusiva competenza del funzionario pubblico delle cause di giustificazione dello stato di necessità e dell’adempimento del dovere 67 11.4. La necessità di valutare l’opportunità di procedere penalmente nei confronti dell’ente pubblico responsabile e la possibilità di applicare sanzioni penali alternative rispetto a quella pecuniaria 68 12. Le reazioni critiche della dottrina 69 12.1. L’ambito di operatività dell’irresponsabilità penale: alcuni dubbi interpretativi in ordine alla nozione di compito pubblico che può essere posto in essere esclusivamente dal funzionario pubblico 70 12.2. La mancanza di ratio dell’immunità concessa agli enti pubblici decentrati alla luce della giurisprudenza che ha sostenuto la compatibilità dei sistemi di controllo politico, amministrativo e penale sull’attività degli stessi 72 13. Le reazioni positive del Governo alle nuove indicazioni della giurisprudenza. La posizione del Consiglio di Stato sull’impossibilità di perseguire gli enti pubblici decentrati. La ribadita necessità da parte dei pubblici ministeri di utilizzare lo strumento penale nei confronti degli enti pubblici decentrati solo come extrema ratio. 73 14. Conclusioni sull’evoluzione di giurisprudenza e dottrina in ordine alla possibilità di perseguire penalmente gli enti pubblici decentrati 75 15. La conferma del principio dell’immunità penale concessa agli enti pubblici decentrati che hanno commesso l’illecito penale nell’ambito di un’attività pubblica di esclusiva competenza dei pubblici funzionari nella giurisprudenza successiva al caso Pikmeer ii 76 16. La possibilità di configurare una responsabilità penale dello Stato 77 16.1. L’affermazione dell’irresponsabilità penale dello Stato nella giurisprudenza (caso Volkel) 78 16.2. Argomenti addotti dalla dottrina a sostegno dell’irresponsabilità assoluta dello Stato: titolarità dello jus puniendi e impossibilità per lo Stato di punire se stesso 80 16.3. L’impossibilità di perseguire lo Stato in ragione dell’asserita identità tra soggetto perseguito e autorità procedente 82 16.4. L’inutilità e la dannosità per i cittadini dell’inflizione di sanzioni penali, in particolare di carattere pecuniario, a carico dello Stato 83 17. Critiche della dottrina alla giurisprudenza che ha sancito l’irresponsabilità penale dello Stato 84 18. Necessità di una revisione della giurisprudenza che ha sancito l’irresponsabilità dello Stato in ragione dell’affermazione della compatibilità tra i sistemi di controllo penale, politico e amministrativo sull’attività degli enti pubblici decentrati 85 19. La valutazione dell’opportunità di punire lo Stato da parte della dottrina: la possibilità di configurare la responsabilità delle singole entità che compongono lo Stato 86 19.1. Valutazioni in ordine alla responsabilità penale dei dirigenti di fatto e di coloro che hanno dato l’ordine all’interno dello Stato 88 20. L’istituzione da parte del Ministero della Giustizia di una commissione ad hoc per valutare l’opportunità di prevedere un sistema di responsabilità penale nei confronti dello Stato 89 20.1. Analisi da parte della Commissione del fondamento e della legittimità delle argomentazioni addotte a sostegno dell’immunità penale dello Stato, ovvero l’asserita identità tra soggetto perseguito e soggetto che esercita l’azione penale, l’ineffettività di una sanzione penale di carattere pecuniario, l’asserita incompatibilità dei sistemi di controllo politico, penale e amministrativo e il pericolo di una giustizializzazione della politica. Critiche 89 20.2. Il modello di responsabilità proposto: la possibilità di perseguire le singole entità facenti capo allo Stato per i reati di carattere economico 92 21. Le reazioni critiche del Governo e della dottrina al modello di responsabilità proposto 94 22. Gli esiti applicativi del sistema di limitata responsabilità penale degli enti pubblici decentrati e dello Stato. L’impunità «incomprensibile» delle persone giuridiche, dei dirigenti di fatto e di coloro che hanno dato l’ordine in relazione a disastri imputabili alle colpose omissioni dell’amministrazione pubblica 96 23. La necessità di accertare la responsabilità penale dei soggetti fisici esercenti funzioni pubbliche che hanno attentato al diritto alla vita nella giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e i possibili riflessi di tale principio in relazione alla responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico (caso Öneryildiz v. Turchia) 100 24. Verso una modifica del codice penale olandese sulla responsabilità penale di enti pubblici decentrati e Stato? 102 25. Il sistema di responsabilità penale e di immunità delle persone giuridiche di diritto pubblico nel sistema olandese 104 26. Considerazioni conclusive 105 Capitolo 3 La responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico nell’ordinamento francese 1. La responsabilità penale delle persone giuridiche nell’ordinamento francese: evoluzione storica 112 2. Le posizioni della dottrina contro la previsione di una responsabilità penale delle persone giuridiche: l’ente come finzione, il principio di specialità e l’impossibilità di applicare sanzioni penali a carico della persona giuridica 114 3. Le posizioni espresse dalla dottrina francese a sostegno della responsabilità penale delle persone giuridiche. La necessità di far fronte alla crescente criminalità d’impresa 115 4. La responsabilità penale delle persone giuridiche per i reati commessi per loro conto dagli organi o rappresentanti delle stesse 116 4.1 La nozione di organo e rappresentante della persona giuridica 119 4.2. L’azione commessa da parte dell’organo o rappresentante «per conto» della persona giuridica 121 4.3. L’iniziale limitazione della responsabilità delle persone giuridiche alle fattispecie di reato tassativamente previste. Critiche della dottrina e pronunce «estensive» della giurisprudenza. Definitiva espansione della responsabilità delle persone giuridiche a tutte le fattispecie di reato 122 4.4. Problematiche interpretative connesse all’individuazione dell’elemento soggettivo della condotta in capo alla persona giuridica e alla natura della responsabilità di quest’ultima: diretta o di riflesso rispetto a quella della persona fisica organo o dirigente? 125 5. La responsabilità concorrente della persona fisica, organo o rappresentante, che ha posto in essere la condotta 129 5.1. Limitazione della concorrente responsabilità della persona fisica per i delitti non intenzionali posti in essere per imprudenza, negligenza, violazione di un obbligo di prudenza o sicurezza (l. 2000-264) 129 6. Il sistema sanzionatorio previsto per le persone giuridiche: pene e misure di sicurezza 130 7. Le applicazioni giurisprudenziali della responsabilità penale delle persone giuridiche 133 8. Il dibattito che ha preceduto l’adozione della norma che ha sancito una limitata responsabilità penale per le persone giuridiche di diritto pubblico 135 9. L’irresponsabilità assoluta dello Stato, la responsabilità delle collettività territoriali limitata alle attività suscettibili di costituire oggetto di delega di servizio pubblico e la responsabilità delle altre persone giuridiche di diritto pubblico 136 10. L’azione da parte del rappresentante o dell’organo, per conto della persona giuridica: aspetti peculiari connessi alla natura pubblica dei soggetti 138 11. Le limitazioni della responsabilità penale delle collettività territoriali e relativi groupements: questioni interpretative connesse alla definizione di attività suscettibile di costituire oggetto di servizio pubblico 141 11.1. La nozione di delega di servizio pubblico in diritto amministrativo 141 11.2. Le indicazioni in ordine alla definizione di attività suscettibile di costituire oggetto di delega di servizio pubblico 145 12. La ratio della limitata previsione della responsabilità di collettività territoriali e groupements: la necessità di garantire il rispetto del principio di eguaglianza rispetto alle persone giuridiche di diritto privato 147 12.1. Critiche 147 13. Considerazioni in relazione al novero di delitti e crimini inizialmente previsti come oggetto di incriminazione con riferimento alle persone giuridiche di diritto pubblico 150 14. Le sanzioni penali previste per le persone giuridiche di diritto pubblico. L’inapplicabilità della sanzione della dissoluzione e della sottoposizione a sorveglianza giudiziaria 151 15. Le posizioni critiche della dottrina sulla responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico 154 15.1. Gli argomenti addotti contro la responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico: il perseguimento dell’interesse pubblico e la dannosità dell’applicazione della sanzione pecuniaria. Critiche 155 15.2. L’asserita violazione del principio di separazione dei poteri: l’impossibilità per il giudice penale di vagliare la legittimità dell’azione amministrativa. Critiche 157 15.3. La violazione del principio della competenza esclusiva del giudice amministrativo a conoscere dell’azione civile di risarcimento del danno 158 15.4. Il rischio di un’eccessiva penalizzazione dell’azione amministrativa. Critiche 159 15.5. Gli argomenti addotti a favore della responsabilità penale. La necessità di garantire il principio di eguaglianza 161 15.6. La necessità di far fronte alla crescente penalizzazione dell’attività dei rappresentanti politici locali. La connessione esistente tra responsabilità individuale dei politici e collettiva dell’ente pubblico cui appartengono 163 16. Istituzione di una Commissione ad hoc per lo studio delle cause e dei rimedi da adottare per limitare il fenomeno della crescente penalizzazione dell’attività dei politici locali e dei funzionari pubblici 165 16.1. Analisi critica da parte della Commissione degli argomenti addotti a sostegno dell’irresponsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico. Affermazione dell’inesistenza di ragioni di carattere sostanziale che impongano di escludere tale forma di responsabilità. 166 16.2. Proposte di estensione della responsabilità penale allo Stato e alle collettività territoriali anche nell’ipotesi di attività di servizio pubblico non delegabile 168 17. Le decisioni della giurisprudenza in tema di responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico diverse dallo Stato 169 17.1. Tentativi di definizione dell’attività suscettibile di delega di servizio pubblico: la non delegabilità dell’attività scolastica 169 17.2. La delegabilità dell’attività di messa a norma dell’impianto elettrico di un impianto comunale 173 17.3. La configurabilità della responsabilità a carico delle Ferrovie francesi, società di diritto pubblico 174 18. Rilievi critici (cenni e rinvio) 175 19. L’irresponsabilità penale dello Stato 176 20. Gli argomenti addotti dalla dottrina contro la perseguibilità dello Stato. La titolarità della potestà penale 177 20.1. Il contrasto tra responsabilità penale e il principio della sovranità dello Stato. Critiche 178 20.2. La ripercussione della sanzione pecuniaria inflitta sui cittadini 180 21. La possibile violazione del principio di eguaglianza derivante dall’ esclusione dello Stato dalla responsabilità penale 180 22. Difficoltà e opportunità di creare un sistema di controllo penale delle attività statali 182 23. Conclusioni 184 Capitolo 4 La responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico nell’ordinamento belga 1. La responsabilità penale delle persone giuridiche nell’ordinamento belga: evoluzione storica 187 2. L’ambito di applicazione della responsabilità e i criteri di attribuzione della condotta alla persona giuridica 190 3. La responsabilità concorrente della persona fisica e della persona giuridica 193 3.1. Sulla natura e sull’inapplicabilità retroattiva della causa che esclude il cumulo di responsabilità della persona fisica e giuridica 196 4. Le sanzioni applicabili alle persone giuridiche: ammenda, confisca, dissoluzione, divieto di esercitare una determinata attività, chiusura di uno o più stabilimenti 198 5. La responsabilità delle persone giuridiche di diritto pubblico: l’esclusione espressa dalla responsabilità di Stato, regioni, comunità locali, province, organi territoriali infra comunali, Commissione della comunità francese, fiamminga e comune, centri pubblici d’aiuto sociale, poiché dotati di un organo direttamente eletto secondo le regole democratiche 200 6. Il sistema sanzionatorio: inapplicabilità di talune sanzioni nei confronti delle persone giuridiche di diritto pubblico o delle persone giuridiche che svolgono una attività di servizio pubblico 202 7. Le critiche della dottrina rispetto alle argomentazioni addotte per legittimare il sistema di sostanziale irresponsabilità delle persone giuridiche di diritto pubblico 204 7.1. Le critiche avanzate in relazione alla ratio dell’esclusione degli enti pubblici dall’ambito di applicazione della responsabilità, ovvero l’esistenza al loro interno di un organo democraticamente eletto 205 8. Le decisioni della Corte Costituzionale belga sulla legittimità delle esclusioni dalla responsabilità penale degli enti pubblici 207 8.1. La giustificazione della Corte Costituzionale dell’esclusione delle persone giuridiche di diritto pubblico dotate di un organo democraticamente eletto, poiché soggetti sottoposti al controllo politico 208 8.2. Le reazioni critiche della dottrina alla decisione della Corte Costituzionale. 210 8.3. La dichiarazione di legittimità da parte della Corte Costituzionale della norma che limita la responsabilità delle persone giuridiche di diritto pubblico, anche con riferimento al regime di responsabilità ad essa correlato delle persone fisiche 9. Conclusioni 212 215 Capitolo 5 La responsabilità penale della corona in Inghilterra 1. La responsabilità penale delle persone giuridiche in Inghilterra. Dalla vicarious liability all’identification theory: i modelli della corporation liability 217 2. La responsabilità penale delle persone giuridiche per le strict liability offences (reati bagatellari) e per i reati di mens rea (dolosi o colposi) 222 3. Il concetto di Corona e di ente pubblico nel diritto inglese 224 3.1. L’individuazione degli enti appartenenti alla Corona: la qualificazione contenuta nella legge istitutiva dell’ente 226 3.2. Criteri sussidiari di qualificazione dell’ente in senso «pubblico». Le funzioni svolte dallo stesso 227 3.3. Il controllo esercitato sull’ente «pubblico» da parte del Governo 228 3.4. Gli enti che non fanno parte della Corona: governo locale e industrie nazionalizzate 229 4. L’irresponsabilità assoluta della Corona e degli enti della Corona 230 4.1. Le affermazioni giurisprudenziali circa l’irresponsabilità penale della Corona 231 4.2. Recenti pronunce e nuove previsioni degli statuti: prime indicazioni verso il superamento del principio dell’irresponsabilità penale della Corona 233 5. Gli argomenti addotti a favore dell’irresponsabilità penale. L’asserita «impossibilità» per la Corona di commettere illeciti 236 5.1. L’impossibilità per la Corona di perseguire se stessa e l’asserita inutilità dell’applicazione di una sanzione pecuniaria 237 6. L’introduzione del reato di omicidio colposo per le persone giuridiche (corporate manslaughter) e il (parziale) superamento dell’immunità dei Crown bodies 238 6.1. La responsabilità per il reato di corporate manslaughter sussiste quando una delle attività gestite o organizzate dal senior management causa la morte di una persona ed è dipesa da una grave violazione dell’obbligo di diligenza cui l’organizzazione era tenuta nei confronti della vittima 240 6.2. L’inclusione della Corona tra i soggetti destinatari della nuova fattispecie. Limiti della disposizione 243 6.3. Critiche alla limitata responsabilità della Corona. In particolare, l’asserita incompatibilità di tali limitazioni con le previsioni della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo 245 7. Riflessioni conclusive 248 Capitolo 6 La responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico negli Stati Uniti 1. La responsabilità penale delle persone giuridiche negli Stati Uniti: evoluzione storica. Il modello della vicarious liability e la colpevolezza d’impresa 251 2. La responsabilità penale degli enti locali: dalle origini ai giorni nostri 253 2.1. La responsabilità penale degli enti territoriali nella legge federale 256 3. Le ragioni addotte contro la responsabilità penale degli enti territoriali: la dannosità di un’eventuale sanzione pecuniaria inflitta, lo svolgimento di attività di carattere “pubblico” e la teoria della sovranità. Critiche 260 3.1. Gli argomenti addotti in favore della perseguibilità penale degli enti territoriali: la “necessità” di punire il vero responsabile dell’illecito e la funzione di “prevenzione” svolta dal diritto penale 261 4. Conclusioni 263 Capitolo 7 La responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico nell’ordinamento italiano 1. La responsabilità penale-amministrativa delle persone giuridiche in Italia e il decreto legislativo 231/2001 265 1.2. I criteri di attribuzione della condotta alla persona giuridica 270 1.3. L’apparato sanzionatorio 273 2. La controversa qualificazione della natura penale, amministrativa o di terzo genere della responsabilità degli enti 276 3. L’ambito soggettivo di applicazione del decreto. Le indicazioni contenute nella legge delega: l’esclusione degli enti che esercitano pubblici poteri. La non corretta attuazione del criterio nel decreto 280 4. L’esclusione dello Stato, degli enti pubblici territoriali e degli enti che svolgono funzioni costituzionali 284 5. L’esclusione degli enti pubblici non economici 287 6. L’applicazione del decreto agli enti pubblici economici e agli enti privati di interesse pubblico 293 7. Alcune incertezze applicative. Società miste, società privatizzate e società c.d. pubbliche 295 8. Valutazione critica delle esclusioni 301 8.1. Ripercussioni in ambito privatistico delle limitazioni della responsabilità degli enti pubblici 304 9. Considerazioni in ordine alla possibilità di configurare una responsabilità penale degli enti pubblici alla stregua del d.lgs. 231/2001, con riferimento ai reati presupposto, alla nozione di interesse e vantaggio, nonché all’apparato sanzionatorio previsto 305 10. La previsione della responsabilità penale delle persone giuridiche nel progetto della Commissione Pisapia 313 Capitolo 8 Profili comparati 1. I tratti «comuni» della responsabilità degli enti pubblici. L’irresponsabilità penale dello Stato e la previsione di una limitata responsabilità degli altri enti pubblici. 317 1.1. Le critiche avanzate in relazione ai criteri utilizzati per individuare gli enti pubblici responsabili penalmente diversi dallo Stato 321 1.2. L’irresponsabilità penale dello Stato 323 2. La tensione tra responsabilità politica e responsabilità penale degli enti pubblici 324 3. Le argomentazioni avanzate contro la configurazione di una responsabilità penale degli enti pubblici 325 4. Sulla possibilità e sull’opportunità di configurare un sistema di responsabilità penale degli enti pubblici alla luce delle indicazioni di diritto comparato 327 5. Verso un possibile modello di responsabilità penale degli enti pubblici? Considerazioni conclusive 328 Bibliografia 333 1 Capitolo 1 Profili del problema della punizione del sovrano Sommario. 1. Dalla responsabilità penale dell’impresa economica alla responsabilità penale dell’«impresa» pubblica non economica. – 2. Il tradizionale principio dell’irresponsabilità penale dello Stato sovrano. – 2.1. I limiti «interni» ed «esterni» della sovranità e le possibili implicazioni per il superamento del dogma dell’irresponsabilità – 3. Il potere rappresentativo dello Stato quale limite alla sua responsabilità penale. – 4. La tutela della funzione «pubblica» dello Stato e degli enti territoriali. Riflessioni in ordine all’immunità politica dei singoli e all’irresponsabilità dell’ente. – 5. Le questioni connesse all’applicabilità delle sanzioni penali nei confronti dello Stato. – 5.1. L’asserita incompatibilità delle sanzioni penali con la natura pubblica degli enti. – 5.2. Valenza simbolica del diritto penale e responsabilità degli enti pubblici. – 6. La limitata responsabilità degli «altri» enti pubblici. – 7. Conclusioni (cenni e rinvio). 1. Dalla responsabilità penale dell’impresa economica alla responsabilità penale dell’«impresa» pubblica non economica. Il tempo nel quale viviamo potrebbe essere chiamato il tempo delle imprese1, tale è il potere non solo economico di cui le stesse dispongono. Un potere che mira ad assicurare il primato dell’economia e condiziona lo stesso potere politico2, a tal punto da ergersi sopra la tradizionale sovranità statale, influenzando financo la potestà sovranazionale3. L’accresciuto ruolo delle imprese si è manifestato anche nel progressivo aumento della loro «capacità a delinquere» e ha svelato l’inadeguatezza di un diritto penale rivolto esclusivamente all’individuo4. La frequente intercambiabilità dei dipendenti, F. Benvenuti, Dalla sovranità dello Stato alla sovranità dell’ordinamento, in «Jus», 1995, p. 199. P. Patrono, Diritto penale dell’impresa e interessi umani fondamentali, cedam, Padova 1993, p. 16; V. Plantamura, Diritto penale ed economia pubblica: tra esigenze di determinatezza e nuove prospettive di tutela, in «Rivista trimestrale di diritto penale dell’economia», 2007, p. 787 parla espressamente di commistione tra potere politico ed economico. 3 K. Tiedemann, Wirtschaftsstrafrecht und wirtschaftskriminalität, Allgemeiner Teil, Reibek bei Hamburg 1976, p. 24. 4 C. De Maglie, L’etica e il mercato, Giuffré, Milano 2002, p. 1 e F. Giunta, Apertura dei lavori, in 1 2 2 E. Pavanello la sostanziale inefficacia di pene dirette alle singole persone fisiche e, da ultimo, la tendenza alla cosiddetta irresponsabilità organizzata, hanno messo in luce l’opportunità di pensare a un sistema di responsabilità delle persone giuridiche5. Infatti i «crimini» degli enti trovano origine nella stessa struttura dell’organizzazione societaria, che finisce per costituire il motore nella ideazione, preparazione e perpetrazione del crimine. L’agire in gruppo determina condotte sostanzialmente inconcepibili dal singolo individuo con inevitabili ripercussioni sulla gravità del reato. Le constatazioni che precedono hanno indotto a ripensare un sistema di responsabilità penale che da sempre è stato diretto principalmente all’individuo. Come noto, la dottrina italiana aveva rilevato l’incompatibilità di una responsabilità penale dell’ente con il principio di responsabilità penale personale sancito dall’art. 27 della Costituzione. In particolare, è stata per lungo tempo affermata l’incapacità di azione e di colpevolezza – nella sua accezione psicologica – della persona giuridica6. Non essendo l’ente, infatti, capace di comportamenti dolosi e colposi non sarebbe stato possibile considerarlo colpevole, poiché il dolo e la colpa sarebbero propri esclusivamente della persona fisica. Sotto il profio sanzionatorio, poi, a ostacolare la configurabilità di una responsabilità dell’ente è stata posta l’impossibilità di una finalità rieducativa della pena e, in ogni caso, l’inadeguatezza della sola sanzione pecuniaria, il cui continuo innalzamento è stato paragonato a una vera e propria «lotta di sumo»7. L’irresponsabilità penale delle persone giuridiche nel sistema italiano è stata (seppur indirettamente) desunta dalla previsione di cui all’art. 197 c.p. che disciplina l’obbligazione civile di garanzia a carico della persona giuridica, a significare che il sistema codicistico esclude una responsabilità penale dell’ente. Societas puniri potest, a cura di F. Palazzo, cedam, Padova 2003, p. 4 secondo cui «la criminalità delle persone giuridiche e degli enti collettivi in genere è una realtà che, specie al giorno d’oggi, non può seriamente revocarsi in dubbio». Sul c.d. crimine dei colletti bianchi, si veda l’interessante lavoro di G. Forti, Il crimine dei colletti bianchi, in A. Alessandri, E. Amodio, G. Forti, P. Marchetti, M. Onadi, G. Rossi, S. Seminara, Impresa e giustizia penale: tra passato e futuro, xxv, Giuffré, Milano 2009, p. 173 ss. 5 C. Bertel, La responsabilità penale delle persone giuridiche, in «Rivista trimestrale di diritto penale dell’economia», 1998, p. 59 ss. 6 Per un inquadramento generale della questione circa la configurabilità di una vera e propria responsabilità penale delle persone giuridiche nella dottrina italiana si vedano, tra gli altri, G. Battaglini, Responsabilità penale delle persone giuridiche, in «Rivista italiana di diritto e procedura penale», 1930, p. 661 ss.; F. Bricola, Il costo del principio «societas delinquere non potest» nell’attuale dimensione del fenomeno societario, in «Rivista italiana di diritto e procedura penale», 1970, p. 951 ss.; Bricola, Luci e ombre nella prospettiva di una responsabilità penale degli enti (nei Paesi della CEE), in «Giurisprudenza commerciale», i, 1979, p. 647 ss.; M. Romano, Societas delinquere non potest (nel ricordo di Franco Bricola), in «Rivista italiana di diritto e procedura penale», 1995, p. 1031 ss.; C.E. Paliero, Problemi e prospettive della responsabilità penale dell’ente nell’ordinamento italiano, in «Rivista trimestrale di diritto penale dell’economia», 1996, p. 1173 ss. 7 F. Stella, Criminalità d’impresa: lotta di sumo e lotta di judo, in «Rivista trimestrale di diritto penale dell’economia», 1998, p. 459 ss. Profili del problema della punizione del sovrano 3 Le argomentazioni addotte sono state progressivamente superate attraverso il riconoscimento che la persona giuridica non è una finzione ed è in grado di esprimere la propria condotta (anche illecita) mediante l’azione dei propri organi. Sotto il profilo della colpa inoltre, è stato rilevato che può esistere una vera e propria volontà sociale distinta rispetto a quella dei singoli soci ed è stata individuata nella colpa di organizzazione un criterio congruo di attribuzione della responsabilità8. La finalità garantista dell’art. 27 della Costituzione non sarebbe, dunque, frustrata dalla configurazione di una responsabilità penale della persona giuridica: semmai, il principio di eguaglianza indurrebbe a considerare ingiustificata la disparità di trattamento tra imprenditore individuale e societario9 e la punizione esclusiva dei singoli comporterebbe il grave rischio di colpire i soli autori materiali senza raggiungere gli «organizzatori» che hanno imposto la commissione del reato. Sempre per ciò che concerne il profilo sanzionatorio, la dottrina prevalente ha incentrato la propria attenzione sulla funzione preventiva che la pena può esplicare nei confronti degli enti, seppure con gli opportuni adattamenti10, rispetto alle persone fisiche. È in questa prospettiva che in Italia è stato adottato, anche dietro la spinta proveniente dal diritto comunitario e internazionale, il d.lgs. 231/200111, il quale ha G. Flora, L’attualità del principio societas delinquere non potest, in «Rivista trimestrale di diritto penale dell’economia», 1995, p. 11 ss.; G. Insolera, Nozione di responsabilità individuale e collettiva, in «Indice penale», 1996, 259 ss.; C. E. Paliero, Problemi e prospettive della responsabilità dell’ente nell’ordinamento italiano, in «Rivista trimestrale di diritto penale dell’economia», 1996, p. 1173; A.M. Castellana, Diritto penale dell’Unione europea e principio societas delinquere non potest, in «Rivista trimestrale di diritto penale dell’economia», 1996, p. 747 ss.; A. Manna, La responsabilità delle persone giuridiche: il problema delle sanzioni, in «Rivista trimestrale di diritto penale dell’economia», 1999, p. 919 ss.; V. Militello, Prospettive e limiti di una responsabilità della persona giuridica nel sistema penale italiano, in «Studium Iuris», ii, 2000, p. 779 ss. 9 E. Dolcini, Principi costituzionali e diritto penale alle soglie del nuovo millennio, in «Rivista italiana di diritto e procedura penale», i, 1999, p. 21 e 23. 10 A. Manna, La c.d. responsabilità amministrativa delle persone giuridiche: un primo sguardo d’insieme, in «Rivista trimestrale di diritto penale dell’economia», 2002, p. 506, che evidenzia particolarmente la funzione di prevenzione speciale perseguita attraverso condotte legate al c.d. post factum, cioè risarcitorie, reintegrative e di adozione posteriore dei «compliance programs»; De Maglie, L’etica e il mercato, cit., p. 280 ss., ove si evidenzia come «il modello più evoluto di prevenzione generale» − «nuovo modello di prevenzione» − in relazione al fenomeno criminoso in esame, consista nell’introduzione dei compliance programs, ossia in regole di cui la stessa impresa si autodota in chiave di controllo preventivo e cui la legge conferisce una determinata valenza giuridica. 11 Il decreto legislativo 8 giugno 2001 n. 231 costituisce, infatti, attuazione della legge 29 settembre 2000, n. 300 con cui sono stati ratificati una serie di atti internazionali tra cui figurano la Convenzione ocse del dicembre 1997 sulla lotta alla corruzione dei pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali e il secondo Protocollo della Convenzione pif del 1997 che prevedevano la necessità di introdurre una forma di responsabilità per gli enti che, a mezzo dei propri dipendenti, si rendono responsabili di atti di corruzione. La legge aveva espressamente attribuito al Governo la delega «ad emanare, entro otto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo avente ad oggetto la disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche e 8 4 E. Pavanello introdotto una responsabilità (formalmente) amministrativa degli enti per alcuni reati tassativamente individuati, responsabilità che ha visto progressivamente incrementare il numero delle fattispecie cui è connessa12. Si tratta di una riforma reputata, molto significativamente, «improcrastinabile» in ragione della constatazione che le principali e più pericolose manifestazioni di reato sono poste in essere da soggetti a struttura organizzata e complessa. La nuova disciplina introdotta nel nostro Paese si «allinea» a una tendenza manifestatasi anche in altri ordinamenti europei che, negli ultimi anni, hanno introdotto espressamente la responsabilità penale degli enti13. Il fenomeno della criminalità dell’ente economico è stato oggetto di approfonditi studi da parte della riflessione scientifica; la dottrina si è preoccupata in particolare di individuare un modello di responsabilità efficace per (tentare di) porre rimedio alla criminalità collettiva e ha valutato criticamente la congruità delle scelte operate dai diversi legislatori14. Per quanto concerne l’Italia il sistema di responsabilità di cui al d.lgs. 231/2001 àncora l’applicazione di sanzioni fortemente afflittive, quali in particolare quelle indelle società, associazioni od enti privi di personalità giuridica che non svolgono funzioni di rilievo costituzionale». La Relazione al decreto può essere reperita in appendice al testo di S. Gennai, A. Traversi, La responsabilità degli enti per illeciti amministrativi dipendenti da reato, Giuffré, Milano 2001, p. 380. 12 Peraltro, seppure in relazione a fattispecie specifiche, è stato rilevato che il nostro ordinamento già prevedeva sanzioni amministrative aventi natura schiettamente punitiva comminate a persone giuridiche direttamente responsabili. È questo il caso dell’art. 31, l. 6 agosto 1990, n. 223 sul sistema radiotelevisivo pubblico e privato che conferisce al Garante il potere di disporre la sospensione dei provvedimenti concessivi o autorizzativi o dell’art. 7, l. 17 maggio 1991, n. 157, che conferisce alla Consob specifici poteri repressivi dell’insider trading. In questo senso, S. Riondato, Il reato, delitto, contravvenzione, illecito amministrativo, illecito depenalizzato, illecito dell’ente giuridico, in Il reato, opera diretta da M. Ronco, Zanichelli, Bologna 2007, p. 52. 13 È questo il caso della Francia che con la riforma del codice penale del 1994 ha introdotto la responsabilità degli enti (sul punto si veda capitolo 3), del Belgio (cfr. capitolo 4) che con la l. n. 60 del 4 maggio del 1999 ha modificato l’art. 5 del c.p. includendo espressamente tra i soggetti responsabili anche gli enti collettivi e della Romania che con la legge 278/2006 ha introdotto l’art. 19, primo comma, nel codice penale che disciplina espressamente la responsabilità delle persone giuridiche. La responsabilità concerne tutte le persone giuridiche con l’eccezione dello Stato, delle autorità pubbliche e degli istituti pubblici che svolgono funzioni che non possano essere poste in essere da società private, per i reati commessi nell’interesse o per conto delle persone giuridiche. Per un primo commento si veda M. Basarab, V. Paşca, G. Mateut, C. Butiuc, Codul penal comentat, vol. IV Partea generalā, Editura Hamangiu, Bucarest 2007, p. 103 ss. 14 In relazione al d.lgs. 231/2001 numerose le opere monografiche tra cui si segnalano: M. Arena, G. Cassano, La responsabilità da reato degli enti collettivi, Giuffré, Milano 2007; A. Giarda, E.M. Mancuso, G. Spangher, G. Varraso, Responsabilità «penale» delle persone giuridiche, ipsoa, Milano 2007; R. Guerrini, La responsabilità da reato degli enti, Giuffré, Milano 2006; A. Bassi, T. E. Epidendio, Enti e responsabilità da reato, Giuffré, Milano 2006; M.A. Pasculli, La responsabilità da reato degli enti collettivi nell’ordinamento italiano, Cacucci, Bari 2005; G. De Francesco, Reati e responsabilità degli enti, a cura di G. Lattanzi, Giuffré, Milano 2005; La responsabilità degli enti: un nuovo modello di giustizia Profili del problema della punizione del sovrano 5 terdittive, alla commissione da parte di soggetti determinati, in posizione apicale e non, all’interno dell’ente di reati tassativamente individuati nell’interesse o vantaggio dell’ente stesso. Particolare rilievo è stato attribuito ai c.d. modelli organizzativi, che riecheggiano i compliance programs cari all’esperienza statunitense. Infatti, laddove il reato sia stato posto in essere dai «soggetti che si collocano in posizione apicale» l’ente non risponde (unicamente) se dimostra di aver adottato ed efficacemente attuato «modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi» (art. 6): si tratta di una «presunzione» di responsabilità, giustificabile in ragione del fatto che, normalmente, il soggetto in posizione apicale è espressione della politica di impresa. Quando, invece, la fattispecie criminosa sia stata posta in essere da «soggetti sottoposti all’altrui direzione o vigilanza» – soggetti che sono inquadrati all’interno dell’ente in uno stabile rapporto di lavoro subordinato o che comunque ancorché non dipendenti dell’ente svolgano un determinato incarico sotto la direzione o il controllo dei vertici dell’ente stesso – l’ente risponde del reato unicamente se la sua realizzazione è stata resa possibile dall’inosservanza degli obblighi connessi alle funzioni di direzione e vigilanza. L’inosservanza è esclusa se l’ente prima della commissione del reato ha adottato ed attuato un modello organizzativo idoneo a prevenire il reato. Se ampio è stato il dibattito nella dottrina volto a esaminare la congruità delle scelte effettuate15, è stata relegata, invece, a un ruolo marginale la questione della configurabilità di una responsabilità penale degli enti pubblici non economici. La ragione del sostanziale «disinteresse» alla questione è comprensibile e risiede nel fatto che terreno di elezione della responsabilità collettiva è tradizionalmente il diritto penale dell’economia, estraneo, pare doversi ritenere, alla realtà degli enti pubblici i quali (tendenzialmente) perseguono interessi di carattere generale e collettivo che prescindono da scopi di lucro16. Con la nozione «ente pubblico» si fa riferimento a tutte le persone giuridiche dotate di personalità giuridica di diritto pubblico, ovvero lo Stato, gli enti territoriali, le società di diritto pubblico. Nonostante l’eterogeneità della categoria, il minimo comun denominatore parrebbe essere costituito da peculiari modalità di funzionamento e finalità di azione affatto diverse rispetto a quelle proprie del privato, poiché esse perseguono l’interesse pubblico17. punitiva, G. Giappichelli, Torino 2004; A. Fiorella, G. Lancellotti, La responsabilità dell’impresa per i fatti di reato, G. Giappichelli, Torino 2004; F. Palazzo, Societas puniri potest, cedam, Padova 2003; S. di Pinto, La responsabilità amministrativa da reato degli enti, G. Giappichelli, Torino 2003; G. Garuti, Responsabilità degli enti per illeciti amministrativi dipendenti da reato, cedam, Padova 2002; S. Gennai, A. Traversi, La responsabilità degli enti per illeciti amministrativi dipendenti da reato, Giuffré, Milano 2001. Per l’ulteriore bibliografia sul punto si rimanda al capitolo 7. 15 Per la bibliografia sul punto si rimanda al capitolo 7. 16 Invero le norme dedicate alla tutela della c.d. economia pubblica vedono destinatari della tutela lo Stato e gli enti pubblici. Sul rapporto tra diritto penale ed economia pubblica si v. G. Fornasari, Il concetto di economia pubblica nel diritto penale, Giuffré, Milano 1994, in particolare la sezione ii. 17 In ordine alla nozione di «interesse pubblico», si cfr. S. Fois, Servizi e interessi tra privatizzazioni e 6 E. Pavanello D’altro canto, anche il diritto comunitario propende nel senso dell’esclusione degli enti pubblici dal novero dei soggetti collettivi responsabili. Nei diversi documenti adottati dall’Unione in cui si impone agli Stati di reprimere una determinata condotta illecita, prevedendo anche nei confronti delle persone giuridiche sanzioni proporzionate, dissuasive ed efficaci, viene chiarito che la persona giuridica è l’ente definito tale in forza del diritto nazionale applicabile, a eccezione degli Stati e delle istituzioni pubbliche nell’esercizio di pubblici poteri18. Non deve stupire, quindi, che la scelta del legislatore nel d.lgs. 231/2001 di escludere dal novero dei soggetti responsabili tutti gli enti pubblici, a eccezione degli enti pubblici economici19, non abbia destato particolari riflessioni da parte della dottrina, la quale, seppure con diverse sfumature, ha sostanzialmente avallato la «irresponsabilità» penale degli enti pubblici. I commenti critici si sono per lo più appuntati sulla congruità del sistema di responsabilità extra codice in relazione ai criteri individuati per l’attribuzione della condotta all’ente, ovvero la commissione del reato da parte di un soggetto in posizione apicale o a lui subordinato nell’interesse o a vantaggio dell’ente. Eppure, la centralità della questione circa la legittimità di un sistema di responsabilità differenziato pubblico-privato non può essere sottaciuta, sol che si consideri che lo Stato nelle sue diverse articolazioni in realtà entra nel traffico dell’economia, ad esempio attraverso imprese di gestione di servizi pubblici che sono controllate dagli enti locali20, in cui pubblico e privato convivono. Vi è poi da considerare che, al di là delle attività economiche poste in essere da taluni enti pubblici di cui si dirà nel prosieguo, è lecito chiedersi se sia opportuno mantenere una distinzione di trattamento tra enti pubblici e privati, anche alla luce dell’estensione della responsabilità delle persone giuridiche regolazione pubblica, in «Diritto e Società», 2000, p. 22, il quale rileva che solo le funzioni legislativa, giurisdizionale ed esecutivo-amministrativa garantiscono gli aspetti vitali e il funzionamento essenziale dell’ordinamento nel suo complesso e in quanto tali possono dirsi volte a soddisfare l’interesse pubblico. Non sarebbe invece corretto qualificare come pubblico qualunque tipo di servizio, a qualsiasi tipo di settore esso si riferisca, poiché non sempre esso sarà idoneo a soddisfare il conseguimento degli interessi essenziali e vitali nell’accezione sopra indicata. 18 Si confronti, a titolo esemplificativo, il ii Protocollo della Convenzione ue sulla tutela degli interessi finanziari comunitari del 1997 il quale esige che gli Stati membri adottino le misure necessarie affinché le persone giuridiche possano essere dichiarate responsabili di delitti di natura finanziaria, nonché la decisione quadro 2003/568/Gai del Consiglio dell’Unione sulla lotta contro la corruzione nel settore privato la quale ugualmente esclude gli enti pubblici dal novero dei soggetti responsabili. 19 L’art. 1, comma 3, del d.lgs. 231/2001 prevede che le disposizioni relative alla responsabilità degli enti «non si applicano allo Stato, agli enti pubblici territoriali, agli altri enti pubblici non economici nonché agli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale». Già nella legge delega 300/2000 si chiariva che «per persone giuridiche si intendono gli enti forniti di personalità giuridica, eccettuati lo Stato e gli altri enti pubblici che esercitano pubblici poteri» (art. 11, comma 2). 20 Sulla correlazione tra enti pubblici e attività di impresa cfr. V. Domenichelli, L’Amministrazione pubblica e l’impresa, in «Rivista amministrativa della Repubblica», 2002, ii, p. 1160. Profili del problema della punizione del sovrano 7 a un numero crescente di reati, non strettamente legati a ipotesi di criminalità economica (come nel caso della responsabilità dell’ente per il reato di mutilazioni genitali femminili21 o dell’omicidio e lesioni colpose commessi con violazione di norme antinfortunistiche e sulla tutela dell’igiene e della salute sul lavoro22). Di particolare rilievo, inoltre, la circostanza che a livello internazionale – al di là dei progetti di codificazione elaborati23 – è possibile affermare l’esistenza di un vero e proprio regime criminale di responsabilità a carico degli Stati. Esso si desume direttamente dalle forme di reazione a talune tipologie qualificate di illecito24, consistenti in condotte internazionalmente criminali, commesse sotto l’egida dello Stato da individui fisici che agiscono per conto dello Stato e ne attuano la politica. Anche in questo caso il ricorso a sanzioni «criminali» nei confronti dell’ente si è reso necessario poiché la punizione del singolo soggetto fisico, ancorché importante, si è spesso rivelata relativa. Non si ritiene poi insignificante nemmeno il fenomeno che ha condotto ad affermare in sempre più numerose occasioni la responsabilità della pubblica amministrazione nel diritto civile e amministrativo e ciò non solo quando la stessa agisca iure privatorum ma anche nell’esercizio dei poteri sovrani25. La stessa giurisprudenza comunitaria ha affermato l’esistenza di una responsabilità (civile) dello Stato nell’esercizio della sua funzione legislativa, per mancata o non corretta attuazione nel diritto interno delle direttive comunitarie26. Si consideri, al riguardo, che già nella sua Responsabilità dello Stato nel diritto processuale penale del 190427, Arturo Rocco prendeva lo spunto dalla disamina della proposta di legge Lucchini28 per affrontare la questione di una possibile Art. 25 quater d.lgs. 231/2001 inserito dall’art. 3, l. 7/2006. Art. 25 septies d.lgs. 231/2001, inserito dall’art. 9, l. 123/2007 e successivamente modificato dall’art. 300 d.lgs. 81/2008. 23 V. progetto di articoli sulla responsabilità degli Stati per atti internazionalmente illeciti approvato dalla Commissione Internazionale delle Nazioni Unite nelle sessioni 2683 e 2701 del 2001. Il testo è reperibile nel sito www.un.org. 24 R. Borsari, Diritto punitivo sopranazionale come sistema, cedam, Padova 2007, p. 226. 25 V. Loccisano, Esercizio dell’attività legislativa, limiti ai poteri sovrani dello Stato e responsabilità, in «Responsabilità comunicazione impresa», 2004, p. 456. Tra gli esempi citati la c.d. «legge Pinto» la quale ha riconosciuto il diritto al risarcimento di un equo indennizzo in caso di irragionevole durata dei processi. 26 E. Calzolaio, L’illecito dello Stato tra diritto comunitario e diritto interno, Giuffré, Milano 2004, esamina la giurisprudenza comunitaria in materia che ha preso avvio con la nota sentenza FrancovichBonifaci del 19 novembre 1991 la quale ha sancito la responsabilità dello Stato italiano per il mancato recepimento della direttiva concernente la tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro. 27 A. Rocco, La responsabilità dello Stato nel diritto processuale penale, in «Rivista penale», lx, fasc. 1, 1904, p. 5 ss. 28 Si tratta della proposta del Prof. Luigi Lucchini, concernente Provvedimenti per la prevenzione della recidiva e per la riparazione degli errori giudiziari presentata sin dal 31 gennaio 1903 e presa in considerazione nella seduta del 21 maggio dello stesso anno, che prevedeva una forma di «riparazione» economica degli 21 22 8 E. Pavanello responsabilità dello Stato di carattere civilistico, a contenuto risarcitorio − riparatorio nell’esplicazione della personalità giuridica pubblica penale. La disamina dello scritto contiene interessanti spunti di riflessione: ivi si affermava molto significativamente che, in linea di principio, non vi sono ostacoli all’affermazione di una responsabilità dello Stato, anche per ciò che concerne atti compiuti nell’esercizio della sua attività pubblica. Non sono considerati impedimenti, infatti, né la natura pubblica delle norme che ne regolano l’attività, né la natura pubblica dei diritti soggettivi lesi. Semmai il problema si sposta sulla diversa modulazione dei presupposti cui ancorare la responsabilità (azione materiale, imputabile, illecita e causa di danno), in considerazione della natura pubblica dell’ente. La conclusione è che un’azione può dirsi voluta dallo Stato e perciò deve considerarsi ad esso imputabile, quando è riferibile all’individuo che per lo Stato ha agito. Lo Stato può commettere un illecito poiché, in linea di principio, è sottoposto al pari degli altri individui al diritto oggettivo, a eccezione dell’azione considerata sovrana, insofferente al rispetto delle norme giuridiche, ovvero l’attività legislativa. Se lo Stato «commette» un illecito, la sua azione potrà essere foriera di risarcimento quando abbia causato un danno apprezzabile. A fronte di tali premesse di fondo, lo studioso giunge tuttavia alla conclusione che solo l’esecuzione di provvedimenti amministrativi avvenuta dolosamente e illecitamente da parte del funzionario che ha agito poteva dare origine alla responsabilità dello Stato. Se dunque occorre tenere a mente che le diverse responsabilità si pongono su piani differenti e che la constatazione dell’esistenza di un regime di responsabilità amministrativa o civile, diretto essenzialmente alla tutela del danneggiato, non può indurre a ritenere sic et simpliciter necessaria l’introduzione di una vera e propria responsabilità penale degli enti pubblici, tuttavia, l’affermazione della «capacità» dell’ente pubblico di commettere l’illecito introduce un ulteriore elemento di riflessione che induce a valutare l’opportunità di prevedere limitazioni alla responsabilità «penale», da un punto di vista soggettivo. Storicamente, il fenomeno della responsabilità degli enti pubblici non è sconosciuta. Nelle fonti tardo-romane si trovano, infatti, testimonianze dell’esistenza di una responsabilità penale dei Comuni, i quali rispondevano del proprio operato illecito29. E ancora, negli statuti comunali italiani dei secoli xiv e xv erano previste sanzioni nei confronti dei Comuni del distretto urbano che non impiegavano la moneta comunale, omettevano di conservare in buono stato i mulini, impedivano che la gente di campagna si recasse in città30. Si tratta, ovviamente, di esperienze errori giudiziari, al fine di provvedere in quei casi nei quali l’errore giudiziario abbia recato tale nocumento, da cui altrimenti l’individuo ingiustamente perseguito soffrirebbe una vera e irreparabile rovina. 29 F. D’urso, Verso una novità antica: la responsabilità penale delle persone giuridiche, in «Quaderni Costituzionali», 2002, p. 825 ss. 30 G. Marinucci, La responsabilità penale delle persone giuridiche. Uno schizzo storico-dogmatico, in «Rivista Profili del problema della punizione del sovrano 9 molto lontane dall’attuale configurazione degli enti territoriali ma che consentono di affermare che la questione non è del tutto sconosciuta come potrebbe prima facie apparire. L’opportunità di estendere la responsabilità penale agli enti pubblici è tema quindi che, per le ragioni sin qui sommariamente indicate, merita di essere approfondito, anche in virtù delle sollecitazioni provenienti dal diritto comparato31. La disciplina introdotta sul punto in alcuni paesi europei è stata oggetto di qualche vaglio da parte dei commentatori, i quali hanno enucleato una serie di argomenti a favore e contro la configurazione di una responsabilità penale di Stato ed enti pubblici, tentando altresì di verificare le «ricadute» sul piano pratico-applicativo della loro responsabilità. Taluni problemi di fondo sono stati solo menzionati e le indagini hanno posto sollecitazioni o interrogativi più che offerto disamine approfondite delle questioni. Tuttavia, dal loro esame si evince come molto spesso gli argomenti sostenuti dalla dottrina a favore di una o dell’altra tesi nei diversi ordinamenti siano coincidenti, a significare che gli interrogativi sono comuni. Pare quindi sin da subito opportuno sinteticamente affrontare alcuni degli aspetti maggiormente critici che un sistema di responsabilità penale degli enti pubblici sollecita. A tal fine, è imprescindibile distinguere la posizione dello Stato, da intendersi comprensivo dell’intero apparato amministrativo, e degli enti territoriali, da quella degli «altri» enti pubblici, i quali molto spesso, pur essendo dotati di personalità giuridica di diritto pubblico, svolgono attività equiparabili a quelle delle persone giuridiche di diritto privato, di cui ripetono anche la struttura organizzativa (il riferimento va, in particolare, alle società di diritto pubblico che assumono la veste di S.p.a.). 2. Il tradizionale principio dell’irresponsabilità penale dello Stato sovrano. Una delle principali argomentazioni addotte per negare la possibilità di configurare una responsabilità penale degli enti pubblici è il possibile contrasto rispetto al principio di sovranità. A questo principio pare essersi riferito anche il legislatore italiano il quale, nella Relazione al d.lgs. 231/200132, ha chiarito che l’esclusione dal novero dei italiana di diritto e procedura penale», 2007, p. 445 ss. Di particolare rilievo le pene irrogate alla città di Donauworth nel 1608, consistenti nella privazione del suo diritto di città libera e di città capoluogo di provincia e alla città di Magdeburgo nel 1631, sottoposta a distruzione per la ribellione all’imperatore. 31 Sui metodi e le funzioni della ricerca comparata, si cfr. A. Eser, Funzioni, metodo e limiti della ricerca in diritto penale comparato, in «Diritto penale xxi secolo», 2002, p. 1 ss. 32 Cfr. Relazione al d.lgs. 231/2001 paragrafo n. 2. 10 E. Pavanello soggetti responsabili degli enti che esercitano pubblici poteri è volta a esimere dalla responsabilità le singole Pubbliche Amministrazioni dotate di poteri espressione, pare doversi ritenere, della sovranità33. Lo Stato esercita la sovranità, attraverso propri organi titolari di funzioni che promana direttamente dal popolo (art. 1 Cost.). Il cittadino a sua volta esercita la propria personalità giuridica attraverso meccanismi in grado di rendere effettivo un rapporto di eguaglianza formale con lo Stato34. Non v’è dubbio che tra i poteri dello Stato la potestà punitiva rivesta un ruolo preminente, poiché l’ente statale è il solo competente a esercitare l’azione penale: di qui la constatazione che sarebbe contraddittorio prevedere un sistema di responsabilità penale dello Stato, poiché «il titolare della pretesa punitiva non può allo stesso tempo esserne destinatario35». Storicamente la nozione di sovranità36, intesa quale somma delle potestà pubbliche dello Stato che si esercita su di un territorio definito e sul corpo sociale su di esso stanziato, è stata coniata nel xvi secolo a opera di Bodin37. Da allora la sovranità è Per la disamina del sistema di responsabilità degli enti in Italia si fa rinvio al capitolo 7. G. Berti, Sovranità, in «Jus», 2007, p. 282. 35 M. Ronco, voce Responsabilità delle persone giuridiche, in Enciclopedia Giuridica Treccani, xxvii, Istituto dell’Enciclopedia Giovanni Treccani, Roma, aggiornamento, 2002, p. 4. Nella definizione di G. Vassalli, voce Potestà punitiva, in Enciclopedia del diritto, xxxiv, Giuffré, Milano 1985, p. 793, la potestà punitiva è quel complesso di attribuzioni di contenuto giuridico sostanziale aventi per oggetto le previsioni di illeciti e di corrispondenti sanzioni punitive, l’accertamento dei presupposti richiesti in concreto per l’irrogazione di dette sanzioni e l’effettiva loro inflazione, con tutte le sue conseguenze fino alla fase esecutiva. 36 Sul concetto di sovranità la bibliografia è ampia. Senza pretese di esaustività si confrontino tra gli altri: D. Quaglioni, La sovranità, Laterza, Roma-Bari 2004 e la bibliografia ivi citata; M. S. Giannini, voce Sovranità b) diritto vigente, in Enciclopedia del diritto, xliii, 1990, p. 205 ss. e la bibliografia ivi citata.; N. Matteucci, voce Sovranità, in N. Bobbio, N. Matteucci, G. Pasquino, Dizionario di Politica, utet, Torino 1983, p. 1102 ss.; G. Berti, Profili dinamici della sovranità statale, in Studi in onore di Lorenzo Spinelli, vi, Mucchi, Modena 1989, p. 1283 ss.; L. Ferrajoli, La sovranità nel mondo moderno, Laterza, Roma-Bari 1997. 37 Jean Bodin è giurista-umanista vissuto tra il 1529 e il 1596 che nella sua opera Six livres de la République, redatti in francese nel 1576 e rielaborati in latino nel 1586 definisce i concetti di Stato e di sovranità. Per la traduzione in italiano si veda M. Isnardi Parente, D. Quaglioni, I sei libri dello Stato di Jean Bodin, utet, Torino 1988. M. S. Giannini, voce Sovranità, cit., p. 225 ricorda che secondo alcuni storiografi il concetto di sovranità, pur senza che ne apparisse espressamente il nome, fosse stato teorizzato già in precedenza. Ferrajoli, La sovranità nel mondo moderno, cit., p. 11 ss. ritiene che l’idea di sovranità nasca innanzitutto nel significato di una sovranità esterna ben prima che sul piano interno Bodin e Hobbes teorizzassero la sovranità come potere superiore rispetto al quale nessun altro potere è riconosciuto. Secondo lo studioso, il concetto di sovranità sarebbe attribuibile a Vitoria Francisco Suarez, Alberico Gentili e altri teorici spagnoli che vi avrebbero fatto riferimento per fornire una legittimazione alla conquista del Nuovo Mondo all’indomani della sua scoperta. La sovranità troverebbe origine in esigenze «pratiche» e sarebbe poi articolata attorno a tre «pilastri»: l’ordine mondiale è configurato come società naturale di Stati sovrani tutti sottoposti al diritto, vi sono una serie di diritti naturali dei popoli e degli Stati e, infine, la guerra giusta costituirebbe sanzione giuridica delle iniuriae subite. Solo successivamente si assisterebbe, invece, alla teorizzazione del concetto di sovranità interna. 33 34 Profili del problema della punizione del sovrano 11 divenuta concetto proprio di tutte le scienze costituzionalistiche anche se intenso è stato il dibattito volto a definirne contenuti e limiti. La sovranità ha consentito di giustificare l’attribuzione della somma di poteri supremi necessari a reggere la cosa pubblica al sovrano dei regni e dei principati liberati dal vincolo con l’Impero38. Nel pensiero di Bodin, la sovranità era il potere assoluto detenuto dal Sovrano e si sostanziava nella possibilità di derogare alle leggi: l’unica limitazione era data dal diritto divino-naturale. Il re era, infatti, perfetto ed era «costretto» nella sua perfezione a fare leggi altrettanto perfette e giuste che dovevano essere però conformi al piano divino39. Per il teorico francese il Sovrano non sarebbe stato veramente tale laddove avesse sottoposto se stesso alle norme giuridiche che egli imponeva o che altri suoi predecessori avevano imposto (principe-legislatore come legibus solutus). Questo passaggio è particolarmente significativo poiché l’affermazione della sovranità passa necessariamente attraverso l’accettazione di un principe che agisce libero da vincoli pattizi imposti dalle norme: laddove egli si sottoponesse alle norme non potrebbe essere considerato sovrano e non sarebbe in grado di assicurare la vita felice di tutti i sudditi. Unico limite alla sovranità e, quindi, al potere del principe sarebbe costituito dal rispetto delle leggi naturali e divine40. Se questa è la posizione dello Stato, impersonato dal sovrano, diverso è, invece, il potere attribuito ai corpi e ai collegi diversi dallo Stato, ovvero quello di fare ordinanze solo a patto di non derogare alle leggi pubbliche. È evidente che – seppure impropriamente – si può parlare di una sovranità limitata degli enti «pubblici» diversi dallo Stato, i quali sono vincolati al rispetto delle norme pubbliche ma sono comunque dotati di forza cogente e vincolante. Il pensiero bodiniano caratterizzato da un forte senso dell’assolutismo, viene elaborato da Hobbes, il quale attribuisce agli accordi che intercorrono tra gli individui e lo Stato carattere artificiale, cosicché l’obbligazione politica costituisce una sottomissione necessaria della volontà dei singoli all’unica volontà sovrana dello Stato-persona, il cui potere assoluto implica la possibilità di comminare pene e di usare la forza. F. Salvia, L’ordine giuridico feudale e l’organizzazione mafiosa. I problemi della globalità e il nuovo «medioevo» conseguente alla crisi della sovranità, in «Diritto e società», 2000, p. 37 e 39 indica che nel mondo feudale l’idea di Stato considerato come ente di diritto pubblico posto al di sopra della comunità è ancora assente. «La nascita dello Stato – di una entità capace di assumere rispetto alle “altre” organizzazioni sociali una posizione di completa superiorità – si spiega quindi proprio in questa chiave: nell’esigenza di ricomporre un’autorità sovrana ponendo fine al particolarismo». 39 Cfr. A. Biral, La crisi della monarchia di diritto divino e il problema della costituzione, in P. Schiera, A. Biral, C. Pacchiani, L. Gasparini, M. Giubilato, G. Duso, Il concetto di rivoluzione, De Donato, Bari 1979, p. 21. 40 Isnardi Parente, Quaglioni, I sei libri dello Stato di Jean Bodin, iii, cit., p. 482. Critico rispetto a questa concezione della sovranità e dello Stato, lo studioso tedesco Giovanni Althusius, il quale seppure condivide con Bodin l’idea di un potere sovrano dello Stato come simile all’anima di un corpo, assolutamente unico, immediato e indivisibile, ritiene che la sovranità spetti al popolo che nella sua collettività la genera e la custodisce. In merito al pensiero di Althusius si veda O. von Gierke, Giovanni Althusius e lo sviluppo storico delle teorie politiche giusnaturalistiche, 1880, G. Einaudi, Torino 1974, p. 41. 38 12 E. Pavanello Anche Hobbes41 ritiene che le leggi imposte da chi governa non possano costituire limite per il governante il quale, altrimenti, auto-obbligherebbe se stesso. L’ente statale in quanto persona giuridica sarebbe, infatti, titolare di diritti e doveri, al pari di ogni altro soggetto, e contemporaneamente sarebbe contenuto e fondamento dell’ordinamento giuridico. La dicotomia è ben riassunta nel concetto di «uomo artificiale»: da un lato, infatti, lo Stato in quanto soggetto pubblico è un’essenza separata ed estranea rispetto ai singoli che lo compongono, l’uomo artificiale appunto; dall’altro, vi sarebbe un’analogia innegabile tra pubblico e privato, nel senso che lo Stato riprodurrebbe esattamente la condizione del singolo, della persona (giuridica) privata42. Sebbene l’idea che lo Stato possa essere paragonato alle altre persone giuridiche sia a parere di alcuni studiosi criticabile43, è stato affermato che lo Stato-persona politica non può volere l’illecito nell’ordinamento giuridico di cui lo stesso è fautore44. A parere di Kelsen, in particolare, riconoscere un illecito dello Stato significherebbe ammettere l’esistenza di una norma giuridica che lo definisce tale, poiché solo la fattispecie fissata dalla norma può essere imputata allo Stato. A differenza degli organi delle comuni persone giuridiche, i quali possono agire illegalmente in ragione della funzione rivestita, gli organi dello Stato, nel momento in cui agiscono illecitamente, si porranno al di fuori dello stesso e non lo rappresenteranno. Se un funzionario pubblico commette un fatto illecito questo non sarebbe imputabile all’ente statuale, in quanto dovendo l’organo esprimere ed attuare la volontà dello Stato, non può aver voluto la violazione dell’ordinamento giuridico45. Pertanto, non può mai essere lo Stato - persona a ledere nel caso concreto il suo obbligo giuridico, ma sempre soltanto l’organo fisico che, ledendo il suo dovere d’ufficio di realizzare la volontà dello Stato, la lascia in realtà inadempiuta o agisce contro di essa. Ciò che si verifica non è illecito dello Stato, ma illecito dell’organo46. Si veda quanto indicato da Quaglioni con riferimento a questi aspetti del pensiero hobbesiano. Quaglioni, La sovranità, cit., p. 77-78. 42 Cfr. F. Gentile, Il privato e il pubblico, in Intelligenza politica e ragion di Stato, Giuffré, Milano 1984, p. 12 e ss. 43 O. V. Gierke, Die Genossenschaftstheorie und die deutsche Rechtsprechung, Reprografischer Nachdruck, Berlino 1887, p. 752. 44 H. Kelsen, L’illecito dello Stato,1913-1914, a cura di A. Abignente, Edizioni Scientifiche italiane, Napoli 1988, p. 23. 45 Sul punto si veda Loccisano, Esercizio dell’attività legislativa, cit., p. 476 e ss. il quale ripercorre il pensiero di Kelsen. 46 Kelsen, L’illecito dello Stato, cit., p. 55. 41 Profili del problema della punizione del sovrano 13 Nonostante tali nette dichiarazioni, Kelsen ritiene comunque possibile prevedere una responsabilità dello Stato per il danno causato da uno dei suoi organi, a titolo di responsabilità risarcitoria per illecito o debito altrui, a condizione che vi sia una norma giuridica positiva che lo preveda espressamente. Naturalmente questa obbligazione risarcitoria non va confusa con l’imputazione dell’illecito allo Stato persona, poiché l’illecito resta comunque dell’organo47. Le ragioni storiche che ostacolano la configurabilità di una responsabilità penale dello Stato sembrano, dunque, doversi rinvenire nel fatto che esso è fondamento dell’ordinamento giuridico. L’illecito dello Stato costituirebbe un’ipotesi irreale e del tutto illogica poiché l’ente statuale che trasgredisce il «suo» obbligo giuridico, agirebbe contro la propria volontà48. L’impossibilità di configurare una responsabilità penale dello Stato sarebbe, poi, intimamente connessa al fatto che l’ente statale sovrano sarebbe infallibile49 e, in quanto tale, incapace ontologicamente di commettere l’illecito50. Qualunque azione posta in essere dal Re sarebbe da considerarsi legittima. Il Sovrano, infatti, avrebbe in sé due «corpi»: uno, quello naturale, corpo mortale, soggetto a tutte le infermità naturali e accidentali, alla debolezza dell’infanzia e della vecchiaia e a tutti i consimili inconvenienti cui vanno incontro i corpi naturali delle altre persone e l’altro, politico, un corpo che non può essere visto o toccato, consistente di condotta politica e di governo. Esso sarebbe costituito per la direzione del popolo e la conservazione del bene pubblico, e sarebbe privo di tutti i difetti e le debolezze cui è soggetto il corpo naturale, e per questo motivo, ciò che il Re fa con il suo corpo politico non potrebbe essere invalidato o annullato a causa di alcuna debolezza del suo corpo naturale51. La coesistenza di questi due corpi in capo alla stessa persona, ha determinato il fondato convincimento che gli atti compiuti dal Re-politico siano assolutamente «immuni», espressione di un potere pseudo divino52. Se queste statuizioni possono oramai dirsi superate in ambito civilistico-amministrativo, essendo ampiamente riconosciuta la responsabilità dello Stato, rectius della pubblica amministrazione nelle sue diverse articolazioni, per gli illeciti commessi dai propri funzionari nell’esercizio delle loro mansioni, non è superato il radicale convincimento, invece, circa la necessità che venga assicurata l’irresponsabilità penale dello Stato. Certo, la responsabilità amministrativa dello Stato assolve principalmente la funzione di tutela del danneggiato, mentre è la responsabilità del singolo agente ai Id., p. 120. Id., p. 29 e 40. 49 Gierke, Die Genossenschaftstheorie und die deutsche Rechtsprechung, cit., p. 752. 50 M. Sunkin, Crown immunity from criminal liability in English Law, in «Public Law», 2003, p. 716 ss. 51 E. Plowden, Commentaries on reports, S. Brooke, London 1816, 212 a. 52 E.H. Kantorowicz, The King’s two bodies: a study in mediaeval political theology, Princeton 1957 nella traduzione italiana con introduzione di A. Boureau, I due corpi del Re, Einaudi, Torino 1989. 47 48 14 E. Pavanello sensi dell’art. 28 Cost. che mira a creare un presidio contro gli abusi e le violazioni poste in essere dai dipendenti e funzionari i quali per il solo fatto che operano per la collettività non possono sottrarsi al riscontro di legalità del proprio operato53. Fatta questa precisazione, occorre comunque interrogarsi sulla capacità a delinquere dell’ente pubblico e sulla necessità o opportunità di garantire il primato dello Stato, origine del diritto, sullo Stato, soggetto al diritto, in ambito penale. Si tratta della questione del primato della legittimità sulla legalità54. Affermare a priori l’impossibilità di procedere nei confronti degli enti pubblici, sulla scorta del principio di sovranità, pare contraddittorio, anche in ragione delle limitazioni che la stessa soffre, tanto sul piano interno, quanto sul piano esterno. 2.1. I limiti «interni» ed «esterni» della sovranità e le possibili implicazioni per il superamento del dogma della irresponsabilità. È indubbio che la sovranità intesa come potere assoluto sia in crisi sul piano interno ed esterno: un potere illimitato, un sovrano (Stato) che impone la legge ma non è tenuto a rispettarla non può trovare giustificazione nei moderni Stati di diritto. La questione della limitazione del potere ha attraversato molti secoli, tant’è che lo stesso Rousseau aveva affermato che il sovrano è limitato nella misura in cui ciascun individuo, contrattando, per così dire, con se stesso, si trova obbligato sotto un duplice rapporto: cioè come membro del corpo sovrano verso i singoli e come membro dello Stato verso il corpo sovrano. Ma non si può applicare qui il principio del diritto civile per cui nessuno è vincolato dalle obbligazioni contratte con se stesso; perché vi è molta differenza tra l’obbligarsi verso se stesso e l’obbligarsi verso un tutto di cui si faccia parte55. Il teorico francese aveva messo in luce un punto cruciale: la sottoposizione al diritto e, quindi, l’obbligo del suo rispetto anche da parte del Sovrano. Proprio nella prospettiva della supremazia del diritto si è affermato che sussisterebbe un’insuperabile contraddizione tra il concetto di sovranità e quello di Stato di diritto, cosicché dov’è l’uno non può esservi l’altra56, poiché è necessario affermare Sul punto si veda P. Cerbo, Leggi idonee a ledere posizioni giuridiche di soggetti individuati (o individuabili) e responsabilità dei pubblici agenti nell’art. 28 Cost.: alla ricerca di un equilibrio, in «Giurisprudenza costituzionale», marzo-aprile 2009, p. 1364 ss. 54 Cfr. C. Galli, Diritto e politica: profili teorici e politici del loro rapporto, in Delitto politico e diritto penale del nemico, a cura di A. Gamberini, R. Orlandi, Monduzzi, Bologna 2007, p. 51, il quale contrappone l’ambito di legittimità della politica da quello della legalità del diritto. 55 J.-J. Rousseau, Il contratto sociale, 1762, trad. it. e note di V. Gerratana, con un saggio introduttivo di R. Derathé, Einaudi, Torino 1994, i, 7, p. 26. 56 L. Ferrajoli, La sovranità nel mondo moderno. Crisi e metamorfosi, in M. Basciu, Crisi e metamorfosi 53 Profili del problema della punizione del sovrano 15 la soggezione alla legge di qualunque potere. La sovranità sarebbe, invece, assenza di limiti e di regole, cioè il contrario di ciò in cui il diritto consiste57. O quantomeno ciascuna delle potestà che compongono la sovranità dovrebbe essere sottoposta a precisi limiti, potendo essere esercitata unicamente per quello che è il suo contenuto58. Si è ritenuto ad esempio che il riconoscimento delle libertà civili mediante le garanzie costituzionali non costituisca altro che una limitazione del potere governativo, poiché le libertà garantite dalle leggi del governo costituzionale sono tutte di carattere negativo, sono insomma non poteri in se stessi, ma semplicemente una difesa dagli abusi del potere; non rivendicano il diritto di partecipare al governo, ma offrono una difesa contro il governo59. Di crisi della sovranità si può parlare anche sul piano esterno. Se, infatti, per sovranità si intende l’«esercizio indisturbato del potere entro un certo territorio»60, è necessario constatare che attualmente determinati beni e interessi devono essere protetti, indipendentemente da qualsiasi legame con il territorio dello Stato. Basti pensare, da un lato, al fatto che il dogma del monopolio statale della produzione legislativa è messo fortemente in crisi dal crescente ruolo attribuito dalla giurisprudenza61, e dall’altro, allo stesso regime della giustizia, tradizionalmente demandato ai tribunali interni, è messo in discussione dalla creazione della Corte penale internazionale, la quale, seppure in via sussidiaria, ha competenza a conoscere della commissione dei crimini internazionali. Essa cioè erode parte di quei poteri statali che costituiscono il «nocciolo» duro della sovranità. E, infatti, occorre prendere atto dell’esautoramento dello Stato nazione che si declina anche nella sua perdita di autonomia (lo Stato non dispone più della forza necessaria per proteggere i suoi cittadini dagli effetti dei fedella sovranità, Atti del xix Congresso nazionale di filosofia giuridica e politica (Trento, 29-30 settembre 1994) Giuffré, Milano 1996, p. 9. 57 Ferrajoli, La sovranità nel mondo moderno, cit., p. 61 ss. Tuttavia, P. Belloli, L’antinomia tra sovranità e diritto, in Diritti umani e sovranità, a cura di F.A. Cappelletti, G. Giappichelli, Torino 2000, p. 148 ss. sostiene che «a ben vedere...anche la sovranità legibus soluta presuppone l’esistenza di regole» e, in particolare, delle regole che la studiosa definisce «costitutive», in contrapposizione a quelle regolative. Si tratta delle norme che, ad esempio, attribuiscono la qualità di carattere dinastico al re: «l’esercizio del potere di un monarca assoluto (o di un autocrate) è soluto da regole, ma vi sono tuttavia regole che determinano la condizione di monarca». 58 Giannini, voce Sovranità b) diritto vigente, cit., p. 228. 59 H. Arendt, On revolution, 1963, traduzione italiana a cura di M. Magrini, Sulla rivoluzione, Edizioni di Comunità, Torino 1999, p. 157-158. 60 T. Treves La sovranità monetaria oggi, in La moneta tra sovranità statale e diritto internazionale, Editoriale Scientifica, Napoli 2001, p. 12. 61 In questo senso B. Pastore, Il diritto internazionale in un mondo in trasformazione: verso un diritto giurisprudenziale?, in «Ars interpretandi», 2000, p. 166, il quale evidenzia «l’interazione» tra livello statale e livello sovranazionale «che rende, nell’epoca odierna, la giuridicità dislocata in un continuum che va dal locale al globale»; cfr. anche K.W. Abboyy, R.O. Keohane, A. Moravcsik, A.M. Slaughter, D. Snidal, The concept of legalization, in «International organisation», 2000, p. 401 ss. 16 E. Pavanello nomeni di «globalizzazione»), nella mancanza di legittimazione nell’ambito di taluni processi decisionali (si pensi proprio al caso dell’Unione Europea) e nella difficoltà di intervenire per far fronte a fenomeni che travalicano i confini nazionali62. Non si può poi trascurare – anche se ciò esula dallo specifico oggetto del presente lavoro – il ruolo rivestito dal diritto comunitario e dal processo di integrazione europea che contribuisce alla progressiva erosione del concetto di sovranità63. La necessità di tutelare diritti e situazioni di tale importanza da prescindere dal legame della territorialità, determina una progressiva perdita di significato del concetto di sovranità in ambito sovranazionale. La stessa configurabilità di crimini internazionali dello Stato, è stata ritenuta inscindibile dal concetto di Stato quale entità collettiva autonoma dotata di personalità giuridica e soggetta alle regole di diritto internazionale64. Se si ammette che lo Stato possa delinquere, quantomeno a livello internazionale, e che lo stesso non disponga di un potere illimitato, logica conseguenza sembrerebbe che l’ente statuale, in quanto persona giuridica, è soggetto esso stesso ai precetti (penali) posti. Estendendo il ragionamento dal piano internazionale al piano interno, è da ritenere che negare la soggezione dell’ente statale al diritto si porrebbe in contraddizione con una moderna concezione dello Stato di diritto che non può ammettere il potere illimitato di un «sovrano», il quale impone la legge ma non è tenuto a rispettarla. Inoltre, il limite dei diritti fondamentali, cui lo Stato deve attenersi nello svolgimento della propria azione di governo e di amministrazione65, non sembra posJ. Habermas, La costellazione postnazionale, Feltrinelli, Milano 2002, p. 107 ss. S. Riondato, Competenza penale della comunità europea, cedam, Padova 1996, p. 19 ss. analizza il possibile conflitto tra sovranità statuale e competenza penale della Comunità Europea e mette in luce come sia opportuno delinare un concetto di sovranità legato a ogni organizzazione della comunità politica. Cfr. inoltre C. Sotis, Il diritto senza codice, Giuffré, Milano 2007, p. 47 ss. con riferimento in particolare agli obblighi comunitari di tutela penale; I. Pernice, Multilevel Constitutionalism and the Treaty of Amsterdam: European Constitution-Making Revisited, in «Common Market Law Review», 1999, p. 703 ss. e E. Canizzaro, Democrazia e sovranità nei rapporti fra Stati membri e Unione Europea, in Riforme costituzionali: prospettiva europea e prospettiva internazionale, Atti del iv Convegno, Salerno, 29-30 aprile 1999, Editoriale Scientifica, Napoli 2000, p. 59 ss. secondo cui se lo Stato sovrano è concepito come ente a competenza generale, nel senso che esso costituisce un centro unitario di imputazione di rapporti giuridici, sia di quelli che derivano dall’esercizio di competenze interne che di quelle internazionali, l’esercizio di competenze da parte di enti internazionali può essere concepito entro limiti materiali assai stretti ed esattamente definiti dagli strumenti internazionali che hanno operato il trasferimento. In questa prospettiva, quindi, di carattere internazionalista, il trasferimento di poteri ad un ente internazionale rappresenta niente di più che l’esercizio eccezionale di competenze da parte di organi comuni a più Stati. Si veda, inoltre, L. Scarno, I rapporti di diritto penale, Giuffré, Milano 1942, p. 229 in ordine alla delegabilità da parte dello Stato della potestà punitiva. 64 Testualmente, Borsari, Diritto punitivo, cit., p. 238. 65 Sul punto preme qui indicare sin da ora le sollecitazioni provenienti dalla sentenza cedh, Öneryildiz v Turchia, n. 48939/1999, secondo cui il rispetto del diritto alla vita impone allo Stato e agli enti pubblici oltre all’obbligo di astenersi dal causare volontariamente la morte di un soggetto, anche taluni obblighi positivi, tra cui assicurare una reazione adeguata. Ciò comporta il compimento di indagini 62 63 Profili del problema della punizione del sovrano 17 sa condurre lo Stato ad esimersi dal rispetto anche delle norme penali. Laddove progredisce infatti lo spazio di tutela della libertà, dovrebbe contestualmente regredire l’azione libera e irresponsabile dello Stato66. Si stentano a comprendere in questa prospettiva le ragioni che, come si vedrà, hanno indotto il legislatore italiano ad escludere – oltre allo Stato – anche gli «altri» enti pubblici dal novero dei soggetti responsabili67, quasi che l’attributo della sovranità ammanti di legittimità l’azione di qualunque ente si fregi della connotazione pubblicistica. Il ragionamento non pare convincente, soprattutto in considerazione del fatto che i singoli funzionari pubblici non sono considerati immuni e che, anche a livello internazionale, l’art. 27 dello Statuto di Roma68 esclude che l’immunità del singolo possa essere fatta discendere dalla natura pubblica della funzione esercitata. L’obiezione a più riprese avanzata è che della sovranità elemento costitutivo è la potestà punitiva69, la quale compete in via esclusiva allo Stato. Laddove si configurasse una soggezione penale della persona giuridica Stato, nelle sue varie articolazioni, vi sarebbe un’indebita sovrapposizione tra chi punisce e chi viene punito. A differenza che nel diritto internazionale ove esistono norme e strutture sovraordinate allo Stato che consentono di accertarne l’illecito, a livello interno è lo stesso Stato che pone il precetto a dover giudicare della sua violazione. Sul punto si ritiene che tale constatazione non possa costituire un ostacolo teorico-dogmatico di fondo alla configurazione della responsabilità, quanto semmai una questione «pratica» che potrebbe essere risolta prevedendo accorgimenti da un punto di vista procedurale. Occorre ovviamente capire come nell’ottica dell’affermazione della supremazia del diritto si possa configurare (e conseguentemente risolvere) la questione della responsabilità penale dell’ente collettivo pubblico che comporta anche la configurazione di un modello «adeguato» di responsabilità alla persona giuridica di diritto pubblico Stato. Ragionare in termini di sovranità come elemento in grado di escludere la responsabilità dell’ente pubblico rischia di legittimare un’irresponsabilità allargata effettive e l’attuazione di un sistema sanzionatorio che consenta di proteggere concretamente il diritto alla vita. Quanto al sistema sanzionatorio da applicare, la Corte ha ritenuto che in caso di infrazioni non intenzionali (come nell’ipotesi esaminata) non sempre sarà necessario approntare un sistema penale di repressione; tuttavia, ove vengano in rilievo attività particolarmente pericolose (quali la gestione di una discarica) che possono condurre alla morte di taluni soggetti, il ricorso alla via penale è ineludibile. All’analisi della decisione è dedicato il capitolo 2, paragrafo 23. 66 C. Panzera, La responsabilità del legislatore e la caduta dei miti, in «Politica del diritto», n. 3, settembre 2007, p. 349. 67 Ai sensi dell’art. 1, d.lgs. 231/2001 sono infatti esclusi tutti gli enti pubblici a eccezione degli enti pubblici economici. 68 Per un commento allo Statuto della Corte Penale Internazionale si veda fra tutti, A. Cassese, P. Gaeta, John R.W.D. Jones et al., The Rome Statute for an International Criminal Court: a commentary, Oxford University Press, Oxford 2002. 69 Sul punto si confronti Vassalli, voce Potestà punitiva, cit., p. 793. 18 E. Pavanello senza adeguato fondamento. Se si riconosce che la sovranità è per sua ontologica natura limitata – un potere illimitato sarebbe di per sé espressione contraria allo Stato di diritto – sembra essere passaggio logico conseguente ammettere anche che l’«autoesclusione» dall’applicazione di una norma costituisce un privilegio che non trova adeguata giustificazione. 3. Il potere rappresentativo dello Stato quale limite alla sua responsabilità penale. La previsione della responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico ha sollecitato riflessioni in ordine al possibile contrasto con la posizione che esse rivestono in qualità di rappresentanti rispetto alla comunità, sia essa nazionale o locale. L’elezione da parte dei cittadini degli organi dello Stato sarebbe da sola sufficiente a garantire l’immunità degli enti pubblici e ciò poiché il controllo politico sarebbe in grado di escludere ogni considerazione in ordine alla rilevanza penale dei comportamenti adottati da quell’ente70. Frutto di queste considerazioni pare essere stata la scelta del legislatore belga che ha escluso gli enti pubblici dal novero dei soggetti responsabili71: ciò si desume dalla lettura della Relazione al novellato codice penale che sul punto statuisce in modo chiaro come gli enti pubblici siano immuni poiché dotati di un organo democraticamente eletto. L’affermazione ha destato non poche perplessità in dottrina, poiché si è rilevato come il criterio citato presupponga l’esistenza di un contrasto ineluttabile tra controllo politico e penale: l’esistenza del primo sarebbe infatti di per sé sufficiente ad escludere il sindacato penale sull’attività delle persone giuridiche di diritto pubblico. Anche in altri ordinamenti, l’idea della rappresentanza è stata addotta per limitare la responsabilità penale dell’ente72. Sostenere questa argomentazione significa tuttavia non riconoscere le diverse finalità della responsabilità giuridica e politica. Paiono rilevanti sul punto alcune conCfr. G. Duso, Rivoluzione e legittimazione in Hegel, in P. Schiera, A. Biral, C. Pacchiani, L. Gasparini, M. Giubilato, G. Duso, Il concetto di rivoluzione, cit., p. 187 e ss. quanto alle critiche mosse da Hegel in relazione al concetto di sovranità popolare che non potrebbe darsi, poiché il popolo considerato senza il suo monarca e senza l’organizzazione connettiva della totalità non è che una moltitudine informe. La sola sovranità sarebbe dunque dello Stato che non avrebbe bisogno di legittimazione alcuna dall’esterno, poiché esso trova la sua legittimità nell’organizzazione razionale dei poteri e dell’amministrazione e nella capacità di recepire e mediare la soggettività e le contraddizioni che si esprimono nella società civile. 71 L’art. 5 c.p., infatti, esclude espressamente dal novero dei soggetti responsabili: l’Etat fédéral, les régions, les communautés, les provinces, l’agglomé ration bruxelloise, les communes, les zones pluricommunales, les organe territoriaux intra-communaux, la Commission communautaire française, la Commission communautaire flamande, la Commission communautaire commune et les centres publics d’aide sociale. Sul punto si veda diffusamente il capitolo 4. 72 Il riferimento va, ad esempio, all’ordinamento olandese su cui si veda diffusamente il capitolo 2, 70 Profili del problema della punizione del sovrano 19 siderazioni espresse dalla dottrina costituzionalistica, all’indomani dell’approvazione e successiva declaratoria di illegittimità del c.d. lodo Schifani73, ancorché ci si riferisse in quell’occasione a prerogative concesse a singole persone fisiche, in quanto titolari di cariche politiche. In tale sede è stato rilevato che non è coerente ritenere che il lodo avrebbe assicurato il rispetto della volontà popolare espressa nel momento elettorale e ciò poiché il voto popolare o del Parlamento non può essere considerato un sostituto dell’esercizio della giurisdizione. Infatti, a ben vedere, il voto popolare non assolve e non condanna, e il rischio della previsione di simili prerogative è cancellare le differenze tra circuito della responsabilità politica e giuridica74. La coesistenza dei due controlli, politico e giudiziario, non pare quindi preclusa, quantomeno in relazione al piano individuale: se si assume, infatti, che il diritto, anche se posto originariamente dal potere politico, sia fortemente autonomo rispetto alla politica75, non potrà che concludersi che la funzione giudiziaria serva ai cittadini per difendersi dal potere oltre che dal delitto. Diversamente, occorrerebbe riconoscere il primato della politica, o meglio della ragion di Stato sul diritto. La rappresentatività dell’ente non è comunque sufficiente per giustificare le scelte del legislatore italiano che ha sancito l’irresponsabilità penale di tutte le persone giuridiche connotate da elementi di pubblicità, in ragione del fatto che le stesse avrebbero ricevuto legittimazione dai cittadini che rappresentano. Infatti, non tutte le persone giuridiche escluse dall’ambito di applicazione del d.lgs. 231/2001 sono effettivamente rappresentative della comunità ove esse operano. Il riferimento va alle varie aziende municipalizzate, agli ospedali pubblici, alle società pubbliche, organismi paragrafo 7. 73 Si tratta della l. 140/2003, il cui articolo 1 prevedeva la possibilità di non processare le più alte cariche dello Stato per reati commessi prima o durante l’assunzione del loro ufficio, dichiarato illegittimo dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 24 del 2004. Peraltro, il 23 luglio 2008 è stato approvato il c.d. lodo Alfano, l. 124/2008 (recante Disposizioni in materia di sospensione del processo penale nei confronti delle alte cariche dello Stato) il cui articolo 1 prevede «salvi i casi previsti dagli articoli 90 e 96 della Costituzione, i processi penali nei confronti dei soggetti che rivestono la qualità di Presidente della Repubblica, di Presidente del Senato della Repubblica, di Presidente della Camera dei Deputati e di Presidente del Consiglio dei Ministri sono sospesi dalla data di assunzione e fino alla cessazione della carica o della funzione. La sospensione si applica anche ai processi penali per fatti antecedenti l’assunzione della carica o della funzione». Anche questa norma è stata dichiarata incostituzionale con sentenza n. 262 del 7 ottobre 2009, pubblicata in g.u. il successivo 21 ottobre, per violazione degli articoli 3 e 138 della Costituzione in relazione alla disciplina delle prerogative di cui agli art. 68, 90 e 96 della stessa Costituzione. Per un commento alle due sentenze della Corte Costituzionale si veda F. Modugno, Prerogative (o privilegi?) costituzionali e principio di uguaglianza, in «Giurisprudenza costituzionale», settembre-ottobre 2009, p. 3969 ss. 74 A. Puggiotto, Improcedibilità e sospensione del processo per le alte cariche dello Stato, in Immunità politiche e giustizia penale, a cura di A. Puggiotto, R. Orlandi, G. Giappichelli, Torino 2005, p. 484. 75 Cfr. Galli, Diritto e politica, cit., p. 55 il quale nello schematizzare le ipotesi di rapporto tra diritto e politica, oltre a individuare quella che riconosce l’autonomia del diritto, cui ci si è riferiti, illustra la tesi che vede la politica come possibilità di deroga dal diritto. 20 E. Pavanello in cui ancorché sia presente una forma di «controllo» pubblicistico, non è possibile affermare la loro rappresentatività rispetto alla comunità in cui essi operano76. 4. La tutela della funzione «pubblica» dello Stato e degli enti territoriali. Riflessioni in ordine all’immunità politica dei singoli e all’irresponsabilità dell’ente. Connesso al ruolo rappresentativo dello Stato e degli enti pubblici territoriali si pone la questione del difficile contemperamento tra responsabilità e tutela della funzione77: se cioè e fino a che punto sia consentito al titolare di potere politico andare esente da responsabilità a tutela della funzione che lo stesso svolge. Al riguardo occorre chiedersi se esista un’analogia tra immunità dei singoli e irresponsabilità dell’ente. Vengono in rilievo, da un lato, l’istituto della responsabilità ministeriale di cui all’art. 96 Cost. e, dall’altro, quello dell’immunità parlamentare. Sebbene normalmente si parli in modo unitario di immunità politiche è indubbio che la ratio che le sorregge sia assai diversa. Storicamente l’inviolabilità della persona del deputato si ricollegava strettamente alla concezione dell’assemblea parlamentare che non doveva ricevere ordini da nessuno e che, pertanto, si ergeva al di sopra delle leggi. Nel nostro ordinamento le immunità parlamentari sono state improntate più che altro a una logica «difensiva», contro atti suscettibili di attentare alla libertà e all’indipendenza della funzione parlamentare per garantire la libertà e l’indipendenza della funzione esercitata. Tuttavia, non v’è dubbio che la prassi applicativa abbia dato nel corso degli anni fondamento all’idea che essa consista in un odioso privilegio78, non foss’altro perché ha riguardato non tanto e non solo i reati commessi nell’esercizio della funzione, ma è stata estesa anche a reati di altra natura. Si tratta di un’ulteriore dimostrazione del fatto che i detentori del potere tendono a legittimare sistemi di privilegio in ragione della posizione di superiorità di cui gli stessi pretendono di essere titolari. Viceversa, la (ir)responsabilità governativa è stata in origine concepita come strumento di attacco al potere, per modo che il Ministro non venisse a trovarsi in condizione privilegiata79. Successivamente, tuttavia, essa ha svelato i chiari intenti difensivi che ne stanno alla base: la valutazione «politica» effettuata dall’assemblea in sede di Si veda sul punto capitolo 7. L. Carlassare, Responsabilità giuridica e funzioni politico-costituzionali: considerazioni introduttive, in Diritti e responsabilità dei soggetti investiti di potere, a cura di L. Carlassare, cedam, Padova 2003, p. 3 ss. 78 Carlassare, Genesi, evoluzione e involuzione delle immunità politiche in Italia, in R. Orlandi, A. Puggiotto, A Ambrosi, Immunità politiche e giustizia penale, G. Giappichelli, Torino 2005, p. 47-48. 79 Carlassare, Genesi, evoluzione e involuzione delle immunità politiche in Italia, cit., 34, In generale sull’immunità parlamentare cfr. S. Traversa, voce Immunità parlamentare, in Enciclopedia del diritto, xx, 1970, p. 179 ss. 76 77 Profili del problema della punizione del sovrano 21 autorizzazione a procedere in ordine alle ragioni che hanno condotto il ministro a violare la legge penale comporta la valutazione della tutela di interessi costituzionalmente rilevanti nell’esercizio della funzione di governo, tutela che in taluni casi conduce a «legittimare» la violazione della legge penale80. Posta questa distinzione, occorre osservare che, al di là delle constatazioni circa la tendenza a «estendere» l’istituto dell’immunità per fini che non le sono propri, da un esame del sistema delineato dalla Costituzione si evince che la regola è quella della responsabilità dei soggetti politici (persone fisiche). L’irresponsabilità penale deve (rectius, dovrebbe) essere riconosciuta unicamente come garanzia di esercizio libero e indipendente della funzione nei limiti necessari a tale libero e indipendente esercizio81 e non dovrebbe, invece, trasformarsi in un privilegio personale. Le immunità concesse a singole persone fisiche che, in ragione delle funzioni svolte, vengono sottratte al potere coercitivo dello Stato, si giustificano quindi unicamente in ragione della necessità di garantire un adeguato espletamento delle mansioni affidate a chi ne può beneficiare82. Per quanto riguarda gli enti collettivi, la loro integrale esclusione dal novero dei soggetti responsabili non pare fondatamente riconducibile alla ratio che sorregge le immunità interne. In questo caso si è proceduto infatti ad un’automatica valutazione della preminenza della funzione pubblica rispetto all’opportunità di procedere penalmente, quasi a sostenere che lo Stato e gli enti pubblici per estensione possono anche delinquere, poiché si pongono al di sopra della stessa legge penale. Nell’ambito della responsabilità collettiva la valutazione è stata effettuata a priori per considerazioni di carattere politico, valutando il «tipo» di attività e di funzioni esercitate di tali enti83. Interessanti sul punto due decisioni della Corte Costituzionale belga che si esamineranno nel prosieguo84 e che hanno avuto ad oggetto proprio la valutazione della legittimità del sistema di responsabilità penale introdotto che esclude gli enti pubblici territoriali: la Corte ha sostenuto infatti che essendo detti enti deputati al perseguimento di fini pubblici generali non possono essere equiparati alle persone giuridiche di diritto privato. La Corte si è spinta sino al punto di sostenere che non vi è per il legislatore alcun obbligo di prevedere identica forma di responsabilità tra enti pubblici ed enti privati, superando così l’argomento della violazione del principio di eguaCarlassare, Genesi, evoluzione e involuzione delle immunità politiche in Italia, cit., p. 34. Carlassare, Responsabilità giuridica e funzioni politico-costituzionali: considerazioni introduttive, cit., p. 20. 82 F. Bellagamba, Sulla natura giuridica delle immunità, in «Indice penale», 2001, p. 1265 ss. 83 G. Berti, La parabola della persona Stato, in «Quaderni Fiorentini», 1982-1983, p. 1003 nell’analizzare la contrapposizione diritto privato-diritto pubblico ha rilevato che così come in origine concepito il diritto pubblico ha ruotato introno all’idea di uno Stato come super soggetto di talché «ci sono infatti delle regole di fondo in virtù delle quali il soggetto stato deve prevalere tutte le volte che gli interessi che gli vengono riconosciuti si scontrano con le libertà dei privati.» 84 Cour d’Arbitrage, sent. 128/2002 e 8/2005 su cui si veda capitolo 4, paragrafo 8. 80 81 22 E. Pavanello glianza che pure era stato addotto dai fautori dell’introduzione della responsabilità penale degli enti pubblici per censurare la scelta del legislatore. Interesse pubblico vs. interesse privato: il controllo penale rischierebbe, in questa prospettiva, di nuocere all’intero sistema, anziché apportare dei benefici in ragione dell’affermazione della responsabilità penale degli enti pubblici. Non a caso sia nell’ordinamento francese che in quello olandese la delimitazione della responsabilità degli enti pubblici è avvenuta sulla base della tipologia delle attività svolte dagli enti, alla stregua di una valutazione della rilevanza «politica» delle attività stesse. Il legislatore francese nel 1994, infatti, con l’introduzione del nuovo codice penale, ha statuito che la responsabilità delle collectivités territoriales viene in rilievo solo per quelle attività suscettibili di costituire oggetto di delega di servizio pubblico85. In buona sostanza il legislatore d’oltralpe ha inteso limitare l’intervento penale nei confronti degli enti pubblici territoriali per le attività delegabili a soggetti privati: si tratta di scelta discutibile e assai criticata, a ragione, per l’incoerenza che produce negli effetti ma che si poneva l’obiettivo di garantire che nell’esercizio delle attività strettamente pubblicistiche detti enti fossero del tutto immuni dall’azione penale e dovessero, al limite, rispondere sul piano civilistico e amministrativo. Analoghi tentativi di delimitare l’attività punibile in ragione delle funzioni svolte dall’ente sono stati effettuati dalla giurisprudenza olandese86: tentativi che hanno tuttavia dimostrato le difficoltà – fatte salve alcune attività che tradizionalmente sono state considerate come non delegabili a privati, quali l’attività di polizia e giurisdizionale dei Tribunali – di distinguere ciò che è (di esclusivo interesse) pubblico da ciò che è (di interesse) privato. Nello stesso senso parrebbe essersi posto il legislatore italiano con la legge delega 300/2000: egli ha ritenuto di individuare la linea di discrimine della punibilità dell’ente pubblico nell’esercizio o meno da parte sua di pubblici poteri. Detto criterio poi non è stato correttamente tradotto nel d. lgs. 231/2001, il quale ha incluso tra i destinatari della normativa i soli enti pubblici economici, che tuttavia non esauriscono gli enti pubblici che non esercitano pubblici poteri (il riferimento espresso fatto dal legislatore va alle Aziende Ospedaliere, alle Università e a taluni enti pubblici associativi quali aci, cri). 5. Le questioni connesse all’applicabilità di sanzioni penali nei confronti dello Stato. L’impossibilità di configurare un sistema di responsabilità degli enti pubblici è stata sostenuta anche in considerazione delle sanzioni applicabili e degli effetti (ne85 86 Per un’analisi della disciplina francese si rinvia al capitolo 3. Si veda riassuntivamente capitolo 2, paragrafo 14. Profili del problema della punizione del sovrano 23 gativi) che esse potrebbero determinare. Infatti se, da un lato, la sanzione pecuniaria rischierebbe di determinare conseguenze pregiudizievoli in capo alla generalità dei consociati, i quali si troverebbero loro malgrado a pagare le conseguenze di un illecito commesso dall’ente, le altre sanzioni interdittive mal si attaglierebbero alla natura pubblica dell’ente. Peraltro, già prima dell’introduzione del d.lgs. 231/2001, si è sostenuto – nel vagliare la possibile introduzione di un sistema penale per le persone giuridiche – che le sanzioni idonee a colpire gli enti pubblici dovrebbero essere limitate a quelle di carattere più propriamente politico87. L’ente pubblico è tuttavia già soggetto a sanzioni politiche che si traducono, in primis, nei controlli cui detti enti sono sottoposti e, in secondo luogo, nell’indiretto controllo che il cittadino può esercitare mediante l’espressione del proprio voto. Un intervento su questo fronte del giudice penale rischierebbe di tradursi in una vera e propria giustizializzazione della politica, ovvero in un controllo del sistema politico. 5.1. L’asserita incompatibilità delle sanzioni penali con la natura pubblica dell’ente. Per comprendere le censure avanzate in relazione al fatto che le sanzioni politiche sarebbero le uniche utilmente applicabili agli enti pubblici, occorre innanzitutto riflettere in ordine all’estensione e agli effetti di tali sanzioni politiche. Come si vedrà, esse possono in taluni casi avere effetti particolarmente invasivi sulla vita dell’ente pubblico. A titolo esemplificativo, si consideri l’art. 143 del t.u. 267 del 2000 che prevede la rimozione dei vertici di taluni enti pubblici in presenza di collusioni con la mafia. La disposizione prevede, in particolare, che si possa procedere allo scioglimento dei consigli comunali e provinciali ad opera del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell’Interno, quando emergono elementi su collegamenti diretti o indiretti degli amministratori con la criminalità organizzata o su forme di condizionamento degli amministratori stessi, che compromettono la libera determinazione degli organi elettivi e il buon andamento delle amministrazioni comunali e provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi alle stesse affidati ovvero che risultano tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica88. M. Parisi, Riflessioni in tema di responsabilità penale delle persone giuridiche, in «Rivista penale», i, 1999, p. 1061. 88 Si tratta di provvedimento applicabile, ai sensi del successivo art. 146, anche agli altri enti locali [...], nonché ai consorzi di comuni e province, agli organi comunque denominati delle aziende sanitarie locali ed ospedaliere, alle aziende speciali dei comuni e delle province e ai consigli circoscrizionali, in 87 24 E. Pavanello Si tratta di un atto che conduce al commissariamento dell’ente, al fine di garantire la regolarità dell’esercizio dell’azione amministrativa, avente funzione eminentemente preventiva. Occorre chiedersi se effettivamente sia incompatibile con la natura pubblica dell’ente la previsione di sanzioni penali, in presenza dell’accertata commissione di ipotesi delittuose individuate. Invece di lasciare la decisione alla discrezione dell’esecutivo, si potrebbe riflettere in ordine all’opportunità di rimettere al giudice penale, in presenza di presupposti chiaramente accertati, la possibilità di sanzionare l’ente pubblico qualora siano attribuibili allo stesso fattispecie penalmente rilevanti. Non deve sfuggire, quindi, l’incongruenza di un sistema che nega la responsabilità penale degli enti pubblici e, al contempo, ricorre a vere e proprie misure di prevenzione ante delictum89 che non presuppongono l’accertamento in concreto e in un giudizio penale di fatti di reato e che hanno contenuto estremamente affittivo90. Analogamente alle misure di prevenzione, infatti, che comportano limitazioni della sfera giuridica del soggetto nei cui confronti vengono attuate, senza che tale limitazione sia ancorata a garanzie e presupposti determinati, le sanzioni politiche paralizzano l’attività dell’ente, con effetti fortemente invasivi. Ciò posto, per quanto concerne la compatibilità di sanzioni propriamente penali con la natura pubblica dell’ente, si è sostenuta l’illogicità nonché la dannosità del pagamento da parte dello Stato o dell’ente pubblico di una sanzione pecuniaria, la quale finirebbe per tradursi in un aggravio per i cittadini i quali dovrebbero subire le conseguenze negative dell’agire illecito dell’ente. Tale assunto se può essere parzialmente condiviso più che altro in ragione della scarsa incisività di pene pecuniarie a danno di enti pubblici, non tiene in considerazione il fatto che analoghe considerazioni potrebbero essere avanzate in relazione alle sanzioni civili e amministrative che gli enti pubblici sono tenuti a pagare. Anche in quel caso si tratta di danaro pubblico che, sebbene diretto ai cittadini danneggiati, viene reperito nella finanza pubblica con la conseguenza che il costo della sanzione rischia di essere riversato sui cittadini. Quanto alle sanzioni interdittive, si è detto, esse potrebbero risultare inutili o dannose, come nel caso dell’impossibilità di contrattare con la pubblica amministrazione o di accedere ai finanziamenti pubblici. Senza contare, poi, che dovrebbero essere quanto compatibili con i relativi ordinamenti. In ordine alla legittimità dello scioglimento di un’Asl e del conseguente commissariamento per infiltrazioni mafiose, si v. tar Campania, Napoli – Sez. i, 10 marzo 2006 n. 2874 pubblicata in «Giurisprudenza di merito», n. 11, 2006, p. 2512 con commento di L. Simeoli, La rimovibilità dei vertici Asl per condizionamento della criminalità di stampo mafioso, ivi, p. 2515 ss. 89 Nel senso del progressivo slittamento del diritto penale verso istanze di prevenzione, cfr. Gamberini, Delitto politico e diritto penale del nemico. Considerazioni introduttive, cit., p. 29. 90 R. Guerrini, L. Mazza, S. Riondato, Le misure di prevenzione, cedam, Padova 20042, p. 9. Profili del problema della punizione del sovrano 25 escluse quelle sanzioni che conducono all’estinzione della persone giuridica pubblica, in ragione della natura «necessitata» dell’ente. Le preoccupazioni manifestate con riferimento al versante sanzionatorio potrebbero essere superate mediante previsioni specifiche, analoghe a quelle contenute nel d.lgs. 231/2001. L’art. 15 del decreto prevede, infatti, che laddove sussistano i presupposti per l’applicazione di una sanzione interdittiva che determina l’interruzione dell’attività dell’ente, il giudice potrà disporre la continuazione della sua attività da parte di un commissario ad hoc quando «l’ente svolge un pubblico servizio o un servizio di pubblica necessità la cui interruzione può provocare un grave pregiudizio alla collettività91». La norma sembra proprio riferirsi a quelle ipotesi per le quali si teme che un intervento del giudice penale possa pregiudicare lo svolgimento delle proprie funzioni da parte dell’ente e supera le rimostranze avanzate in relazione all’applicazione di sanzioni interdittive nei confronti di enti pubblici. L’ipotesi di commissariamento sembra ben attagliarsi allo scopo di prevenire la possibile commissione di ulteriori reati da parte di quell’ente, mediante la rimozione dei soggetti che hanno espresso l’agire illecito dell’ente. 5.2. Valenza simbolica del diritto penale e responsabilità degli enti pubblici. Nell’ambito di queste riflessioni sulle pene applicabili alle persone giuridiche non può essere sottovalutato il rilievo che il diritto penale può comunque assumere in chiave simbolica. Infatti, accanto alla funzione strumentale propria del diritto punitivo, atta a prescrivere modelli di comportamento mediante l’imposizione di comandi e divieti, da sempre ne è stata affermata la rilevanza simbolica92 che ha condotto spesso all’emanazione di una legislazione penale dettata da fattori emotivi più che espressione di un coerente disegno di politica nazionale93. La responsabilità penale delle persone giuridiche è sicuramente uno dei settori in cui maggiormente il diritto penale è stato chiamato a soddisfare esigenze di tal fatta. Sintomatico ad esempio il fatto che in Italia per tentare di far fronte alle carenze in materia di sicurezza sul lavoro e tutela degli individui, si sia sentita la necessità di estendere la responsabilità degli enti anche ai reati di omicidio e lesioni gravi, connessi alla violazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro, a prescindere dalla difficile compatibilità tra i reati colposi citati e il modello di responsabilità dolosa delineato dal decreto. Sul punto si veda capitolo 7, paragrafo 1.3. S. Bonini, Quali spazi per una funzione simbolica del diritto penale?, in «Indice penale», 2003, p. 498. 93 E. Musco, Diritto penale e politica: conflitto, coesistenza o cooperazione, in Studi in onore di Giuliano Vassalli. Evoluzione e riforma del diritto e della procedura penale 1945-1990, a cura di M.C. Bassiouni, A.R. Latagliata, A.M. Stile, Giuffré, Milano 1991, p. 7-8. 91 92 26 E. Pavanello In quest’ottica v’è da chiedersi se l’estensione della responsabilità anche agli enti pubblici non possa rivestire una funzione simbolica. L’ideale della giustizia penale dovrebbe tradursi nella superfluità della pena per lasciare spazio a un’epoca in cui per impedire le condotte criminose dovrebbe essere sufficiente il rimprovero morale della società94. Ammettere la possibilità di accertare la responsabilità degli enti pubblici, al di là della sanzione irrogata in concreto, significherebbe riconoscere la gravità del fatto e la sua censurabilità di fronte ai consociati. Viepiù in un sistema quale quello introdotto dal legislatore italiano, per il tramite dei modelli organizzativi, che mira a prescrivere precisi processi e modelli di comportamento al fine di prevenire la commissione del reato. Il riconoscimento dell’applicabilità del decreto anche agli enti pubblici avrebbe il vantaggio di «procedimentalizzare» l’attività e di ridurre la commissione di illeciti al suo interno. Merita poi di essere ricordato che non è mancato chi nell’ambito della dottrina francese, pur riconoscendo le difficoltà di configurare la responsabilità penale degli enti pubblici, ha comunque ritenuto opportuno delineare un sistema di accertamento della responsabilità cui conseguisse la sola sanzione ritenuta efficacemente applicabile, ovvero la pubblicazione della sentenza e la sua diffusione. Infatti, in questo modo lo scopo di far conoscere ai cittadini la riprovevolezza del comportamento dello Stato sarebbe pienamente raggiunto e, al contempo, verrebbero superate le difficoltà riscontrate in relazione a un sistema di responsabilità penale degli enti95. Il diritto penale si porrebbe quindi come strumento di garanzia per l’intera collettività e consentirebbe di censurare il fatto illecito attribuibile all’ente pubblico, senza porre in discussione o limitare l’attività pubblica fondamentale, volta a conseguire l’interesse pubblico. Si tratterebbe di accertare il fatto illecito, attraverso un modello che esclude, per ragioni di opportunità, l’applicazione di una sanzione di carattere pecuniario o interdittivo e si limita a far conoscere ai consociati la riprovevolezza del fatto, per modo che essi non percepiscano l’ingiustizia di uno Stato che può delinquere senza essere sottoposto ad alcun vaglio. Dette riflessioni sono state effettuate da Carl Ludwig von Bar il 3 giugno 1896, a nome della Georg Augustus Universität di Göttingen, in apertura della cerimonia annuale per il conferimento dei premi accademici a ricerche scientifiche. Sul punto si veda la traduzione italiana di A.M. Beltrame, Ricordo di Carl Ludwig von Bar (1836-1913).In margine a problemi di diritto penale, in «Atti e Memorie», Accademia Patavina di ss.ll.aa., vol. cix, parte iii, 1996-1997, p. 289 ss. 95 J.C. Planque, La détermination de la personne morale pénalement responsable, L’Harmattan, Paris 2003. Le considerazioni dell’autore sono esaminate al capitolo 3, paragrafo 22. 94 Profili del problema della punizione del sovrano 27 6. La limitata responsabilità penale degli «altri» enti pubblici. Diverso il discorso per gli «altri» enti pubblici cui abbiamo fatto riferimento nell’incipit di questo capitolo. Dall’analisi di diritto comparato effettuata, emerge che gli enti pubblici che non possono considerarsi immediatamente parte della pubblica amministrazione in senso stretto, quali le società pubbliche, sono tendenzialmente inclusi nel novero dei soggetti penalmente responsabili. Non così è avvenuto in Italia, dove la scelta del legislatore è stata particolarmente restrittiva: sono infatti stati esclusi tutti gli enti pubblici a eccezione di quelli economici. Il discorso assume particolare rilievo se si pensa al numero assai elevato di enti pubblici «altri» che svolgono un ruolo di rilievo nell’ambito economico-sociale. Il riferimento va alle numerose aziende municipalizzate, alle Aziende Sanitarie e alle Università che, sempre più, sono informate nella loro struttura e azione a criteri di economicità, pur erogando pubblici servizi. Non è un caso che le A.s.l. della Regione Lombardia abbiano deciso di dotarsi di modelli organizzativi alla stregua del d.lgs. 231/2001: pur ritenendo che il decreto non sia loro applicabile, le A.s.l. citate hanno comunque reputato opportuno dotarsi di modelli organizzativi, al fine di garantire la massima efficienza e trasparenza nella gestione della propria attività96. Si tratta di un esperimento assai interessante in linea con la finalità di cui al d.lgs. 231/2001, il quale, per il tramite dei modelli organizzativi, intende garantire la miglior gestione e organizzazione della struttura aziendale. Per tale ragione è stato considerato opportuno che anche la struttura sanitaria si dotasse di modelli organizCon la d.g.r. n. vii/17864 dell’11 giugno 2004 Introduzione in via sperimentale nelle Aziende Sanitarie pubbliche di un Codice etico-comportamentale, seguita dal Decreto del Direttore Generale Sanità n. 22361 del 9 dicembre 2004 e dalla d.g.r. n. viii/1375 del 14 dicembre 2005 Determinazioni in ordine alla gestione del servizio socio sanitario regionale per l’esercizio 2006, la Regione Lombardia ha mutuato i principi contenuti nel d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 ai fini dell’introduzione del Codice etico e dell’implementazione del modello organizzativo nelle Aziende Sanitarie Locali ed Ospedaliere. Il governo regionale ha previsto l’applicazione – in via sperimentale − all’Azienda sanitaria locale di Lecco, all’Azienda Ospedaliera Circolo di Busto Arsizio ed all’Azienda Ospedaliera della Provincia di Lodi, seguita dall’applicazione − in una seconda fase – all’Azienda Ospedaliera di Desenzano del Garda, all’Azienda Ospedaliera di Cremona e all’Azienda sanitaria locale di Mantova. Infine, con la D.g.r. del 13 dicembre 2006 − n. viii/003776 Determinazioni in ordine alla gestione del servizio socio sanitario regionale per l’esercizio 2007, il governo regionale ha terminato il periodo di sperimentazione (durato due anni) ed ha inserito l’adeguamento del Codice etico-comportamentale e del modello organizzativo ex d.lgs 231/2001 tra le «regole» per la gestione del sistema socio sanitario lombardo per il 2007, emettendo le relative Linee guida regionali per l’adozione del codice etico e dei modelli di organizzazione e controllo delle Aziende Sanitarie Locali e Aziende Ospedaliere. Al riguardo di veda P. Previtali, L’applicazione del d.lgs. 231/2001 in sanità. Il caso delle aziende sanitarie e ospedaliere lombarde, in« La responsabilità amministrativa delle società e degli enti», <http://www.rivista231.it>. 96 28 E. Pavanello zativi che, al di là della natura pubblica o meno dell’ente, possono concretamente influire, se correttamente applicati, a favorire una gestione lecita dell’«impresa». Quanto al magmatico universo delle società pubbliche, si tratta di enti che ripetono schemi propri del diritto privato. In relazione a queste ultime, il d.lgs. 231/2001 non è chiaro. Si ritiene infatti che non si possa concludere né nel senso della loro sicura inclusione tra i soggetti responsabili né nel senso di una loro totale immunità97. Se si accoglie quella impostazione che considera pubblici gli enti che, ancorché costituiti nelle forme del diritto privato, perseguono gli interessi di carattere pubblico, attraverso modalità proprie degli enti pubblici, la conclusione non potrà che essere nel senso della loro esclusione dalla responsabilità. Ma se, invece, si ritiene che la struttura societaria di cui sono dotate sia di per sé sola sufficiente a qualificarle come soggetti «privati», la conclusione sarà diametralmente opposta. Le prime indicazioni giurisprudenziali – che verranno esaminate nel prosieguo – fanno propendere nel senso dell’applicabilità nei loro confronti del decreto. Peraltro, come è stato rilevato da alcuni studiosi, queste persone giuridiche mostrano la contraddizione della compatibilità tra struttura societaria e funzione di interesse generale98 che è poi uno dei nodi cruciali della questione. L’interesse di natura generale-collettiva sarebbe di per sé solo sufficiente a garantire l’immunità degli enti e si porrebbe come elemento distintivo rispetto al privato. Tuttavia, occorre chiedersi se l’attuale ricorso a istituti propri del diritto privato per la disciplina di rapporti, di attività, strutture organizzative in ambito pubblico consenta ancora di attribuire un qualche rilievo alla dicotomica opposizione tra pubblico e privato o invece debba indurre a considerarli semplici riferimenti normativi propri di una dialettica interna al diritto amministrativo99. Si tratta, evidentemente, di alcuni spunti di riflessione che danno tuttavia l’idea di come la sostanziale immunità degli enti pubblici prevista dal legislatore italiano non possa ritenersi del tutto esente da critiche e ponga più problemi di quanti invece vorrebbe risolverne. Il rischio è che prevedendo sistemi diversi di responsabilità, seppur supportati da ragioni di opportunità, si crei una sostanziale disuguaglianza difficilmente giustificabile che ha il sapore di un odioso privilegio. 7. Conclusioni (cenni e rinvio). Il quadro sin qui tratteggiato mette in luce come alcune delle tradizionali argomentazioni avanzate contro la responsabilità penale degli enti pubblici possano essere superate. Ferma restando la necessità di individuare criteri congrui di attribuzione Sul punto si veda diffusamente capitolo 7. M.G. Scala, Le società legali pubbliche, in «Diritto Amministrativo», 2005, n. 2, p. 414. 99 Così Scala nel riferire il pensiero di Napolitano. Scala, Le società legali pubbliche, cit., p. 416. 97 98 Profili del problema della punizione del sovrano 29 della condotta penalmente rilevante all’ente (sotto il profilo in particolare della cosiddetta colpa di organizzazione), non si può sottacere la potenzialità espansiva di una responsabilità che probabilmente potrebbe ben attagliarsi a quelle ipotesi in cui colpose omissioni delle amministrazioni sono causa di tragedie che gli episodi di cronaca pongono tristemente alla nostra attenzione. È certo che le considerazioni in ordine al ruolo politico rivestito dagli enti pubblici assume rilievo in ordine all’opportunità di perseguirli: tuttavia, occorrerebbe individuare con precisione le funzioni e le attività che potrebbero eventualmente giustificare detta immunità. Una delle principali argomentazioni addotte dalla dottrina straniera in favore della responsabilità del soggetto collettivo pubblico è proprio, come si vedrà, la necessità di garantire un trattamento di eguaglianza tra soggetti pubblici e privati che si trovano in alcune occasioni «fianco a fianco» nella gestione di attività e ricevono un trattamento sul piano penale diametralmente opposto. D’altronde in questo senso sembra militare anche il Corporate Manslaughter and Corporate Homicide Act 2007100 entrato in vigore nell’aprile del 2008 nel Regno Unito, paese ove tradizionalmente trovava riconoscimento il principio the King can do no wrong, che statuisce espressamente che le organizzazioni pubbliche (in law by the Crown) – seppure con le limitazioni di cui si dirà – non possono essere per ciò solo considerate immuni e devono essere equiparate alle persone giuridiche private e, in quanto tali, devono essere ritenute responsabili per il reato di corporate manslaughter (omicidio colposo). Riguardo alla possibile individuazione di un modello di responsabilità «congruo», particolarmente interessante si rivelerà l’esame delle considerazioni formulate dalla commissione istituita alcuni anni orsono dal governo olandese, incaricata di valutare l’opportunità di istituire un sistema di responsabilità nei confronti dello Stato (commissione Roelvink)101. Mutuando il pensiero di un giurista americano102, il quale ha ipotizzato la possibilità di perseguire le municipalities, non v’è dubbio che il diritto penale dovrebbe trovare spazio unicamente come ultimo rimedio, quando è chiaro che ogni altro mezzo punitivo non è sufficiente a sanzionare in modo efficace (anche in una funzione di prevenzione) la condotta illecita dell’ente. Tuttavia, proprio il ricorso alla sanzione criminale si potrebbe rivelare di particolare efficacia, soprattutto nella prospettiva dell’adozione da parte dell’ente di tutte le misure volte ad evitare che una condotta Si tratta del Corporate Manslaughter and Corporate Homicide Act del 26 luglio 2007, il cui testo è reperibile nel sito <http://www.opsi.gov.uk/Acts/acts2007/ukpga_20070019_en_1>. 101 Il rapporto della commissione, Strafrechtelijke aansprakelijkheid van de Staat, è rinvenibile in <http:// www.justitie.nl/images/20020311_5154510%20rapport%20roelvink_tcm35-7881.pdf>. 102 P. Green Stuart, The criminal prosecution of local governments, in «72 North Carolina Law Review», 1993-1994, p. 1232 ss. 100 illecita venga nuovamente e in futuro posta in essere, per orientare la politica dell’ente. Né l’interesse generale che gli enti sono chiamati a soddisfare può giustificare una limitazione generalizzata della responsabilità degli enti pubblici. 31 Capitolo 2 La responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico nell’ordinamento olandese Sommario. 1. La responsabilità penale delle persone giuridiche in Olanda: evoluzione storica. – 2. La responsabilità penale delle persone giuridiche, degli enti privi di personalità giuridica, delle associazioni e delle fondazioni per i reati dagli stessi posti in essere. – 3. I criteri di attribuzione della condotta alla persona giuridica: la teoria del potere e dell’accettazione. – 4. La responsabilità dei dirigenti di fatto e di coloro che hanno impartito l’ordine criminoso all’interno delle persone giuridiche. Attribuzione della condotta sulla base dei criteri del potere e dell’accettazione. – 5. La responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico. Questioni interpretative intorno all’inclusione degli enti di diritto pubblico nella nozione di persona giuridica. – 6. Le pronunce della giurisprudenza sulla responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico. – 6.1. La responsabilità penale degli enti pubblici decentrati. – 6.2. L’irresponsabilità penale degli enti decentrati che hanno posto in essere la condotta illecita nell’ambito di attività esecutive di un compito pubblico (caso Tilburg). – 6.3. La responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico diverse dagli enti territoriali (caso dell’Università di Groningen). – 6.4. La conferma del principio della responsabilità penale degli enti decentrati unicamente nel caso in cui abbiano commesso l’illecito al di fuori di attività esecutive di un compito pubblico (il caso Voorburg). – 6.5. Le incongruenze applicative connesse al principio dell’esecuzione del compito pubblico individuato dalla giurisprudenza quale criterio discriminante per determinare la responsabilità penale degli enti pubblici decentrati (sentenze Arnhem e Streekgewest Zuid-Limburg). – 6.6. Le connessioni tra irresponsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico e irresponsabilità dei dirigenti di fatto e di coloro che hanno dato l’ordine criminoso. (I casi Waterschap West Friesland, Provincie Noord Holland e Pikmeer i). – 7. Le posizioni della dottrina sulla perseguibilità delle persone giuridiche di diritto pubblico (enti decentrati). – 7.1. Gli argomenti addotti a favore dell’irresponsabilità penale. – 7.2. L’impossibilità per il giudice penale di vagliare la legittimità dell’attività della pubblica amministrazione: responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico e violazione del principio della divisione dei poteri. Critiche. – 7.3. La perdita di fiducia da parte dei consociati nell’ente e di legittimazione dell’attività di quest’ultimo in caso di condanna penale. Critiche. – 7.4. Il versante sanzionatorio: il rischio per la continuità dell’attività dell’ente pubblico in caso di condanna e la dannosità per i cittadini dell’eventuale sanzione pecuniaria inflitta all’ente. Critiche. – 7.5. L’impossibilità di sovrapporre il controllo penale dell’attività degli enti pubblici a quelli già esistenti sul piano politico e amministrativo. Critiche. – 7.6. Gli argomenti contro l’irresponsabilità penale. – 7.7. La necessità di fronteggiare la criminalità diffusa all’interno degli enti pubblici. L’immunità e la conseguente violazione del principio di eguaglianza tra le diverse persone giuridiche. – 8. La posizione del Governo: la necessità di perseguire gli enti pubblici che hanno posto in essere la condotta 32 E. Pavanello illecita al di fuori dell’attività di esecuzione di un compito pubblico intesa in senso «materiale». – 9. Le linee guida adottate dai pubblici ministeri sulla perseguibilità degli enti pubblici decentrati: diritto penale come ultimo rimedio. – 10. Primi rilievi critici. – 11. La revisione dei criteri adottati dalla giurisprudenza sulla possibilità di perseguire penalmente gli enti pubblici decentrati (caso Pikmeer ii). – 11.1. La statuizione del principio della necessità della sottoposizione dell’ente pubblico decentrato alla legge penale. Le critiche al criterio dell’attività di esecuzione di un compito pubblico e l’affermazione della compatibilità dei controlli politico, amministrativo e penale sull’attività degli enti pubblici. – 11.2. L’affinamento dei criteri per l’attribuzione dell’immunità agli enti pubblici decentrati. La statuizione della loro irresponsabilità penale laddove la condotta illecita sia esecuzione di un compito pubblico che può essere posto in essere esclusivamente dal funzionario pubblico. – 11.3. La possibile applicazione nei confronti degli enti decentrati che hanno posto in essere la condotta illecita al di fuori dell’esecuzione di un compito pubblico di esclusiva competenza del funzionario pubblico delle cause di giustificazione dello stato di necessità e dell’adempimento del dovere. –11.4. La necessità di valutare l’opportunità di procedere penalmente nei confronti dell’ente pubblico responsabile e la possibilità di applicare sanzioni penali alternative rispetto a quella pecuniaria. – 12. Le reazioni critiche della dottrina. – 12.1. L’ambito di operatività dell’immunità penale: alcuni dubbi interpretativi in ordine alla nozione di compito pubblico che può essere posto in essere esclusivamente dal funzionario pubblico. – 12.2. La mancanza di ratio dell’immunità concessa agli enti pubblici decentrati alla luce della giurisprudenza che ha sostenuto la compatibilità dei sistemi di controllo politico, amministrativo e penale sull’attività degli stessi. – 13. Le reazioni positive del Governo alle nuove indicazioni della giurisprudenza. La posizione del Consiglio di Stato sull’impossibilità di perseguire gli enti pubblici decentrati. La ribadità necessità da parte dei pubblici ministeri di utilizzare lo strumento penale nei confronti degli enti pubblici decentrati solo come extrema ratio. – 14. Conclusioni sull’evoluzione di giurisprudenza e dottrina in ordine alla possibilità di perseguire penalmente gli enti pubblici decentrati. – 15. La conferma del principio dell’immunità penale concessa agli enti pubblici decentrati che hanno commesso l’illecito penale nell’ambito di un’attività pubblica di esclusiva competenza dei pubblici funzionari nella giurisprudenza successiva al caso Pikmeer ii. – 16. La possibilità di configurare una responsabilità penale dello Stato. – 16.1. L’affermazione dell’irresponsabilità penale dello Stato nella giurisprudenza (caso Volkel). – 16.2. Argomenti addotti dalla dottrina a sostegno dell’immunità assoluta dello Stato: sua titolarità dello jus puniendi e impossibilità per lo Stato di punire se stesso. – 16.3. L’impossibilità di perseguire lo Stato in ragione dell’asserita identità tra soggetto perseguito e autorità procedente. – 16.4. L’inutilità e la dannosità per i cittadini dell’inflizione di sanzioni penali, in particolare di carattere pecuniario, a carico dello Stato. – 17. Critiche della dottrina alla giurisprudenza che ha sancito l’irresponsabilità penale dello Stato. – 18. Necessità di una revisione della giurisprudenza che ha sancito l’irresponsabilità dello Stato in ragione dell’affermazione della compatibilità tra i sistemi di controllo penale, politico e amministrativo sull’attività degli enti pubblici decentrati. – 19. La valutazione dell’opportunità di punire lo Stato da parte della dottrina: la possibilità di configurare la responsabilità delle singole entità che compongono lo Stato. – 19.1. Valutazioni in ordine alla responsabilità penale dei dirigenti di fatto e di coloro che hanno dato l’ordine all’interno dello Stato. – 20. L’istituzione da parte del Ministero della Giustizia di una commissione ad hoc per valutare L’ordinamento olandese 33 l’opportunità di prevedere un sistema di responsabilità penale nei confronti dello Stato. – 20.1. Analisi da parte della Commissione del fondamento e della legittimità delle argomentazioni addotte a sostegno dell’immunità penale dello Stato, ovvero l’asserita identità tra soggetto perseguito e soggetto che esercita l’azione penale, l’ineffettività di una sanzione penale di carattere pecuniario, l’asserita incompatibilità dei sistemi di controllo politico, penale e amministrativo e il pericolo di una giustizializzazione della politica. Critiche. – 20.2. Il modello di responsabilità proposto: la possibilità di perseguire le singole entità facenti capo allo Stato per i reati di carattere economico. – 21. Le reazioni critiche del Governo e della dottrina al modello di responsabilità proposto. – 22. Gli esiti applicativi del sistema di limitata responsabilità penale degli enti pubblici decentrati e dello Stato. L’impunità “incomprensibile” delle persone giuridiche, dei dirigenti di fatto e di coloro che hanno dato l’ordine in relazione a disastri imputabili alle colpose omissioni dell’amministrazione pubblica. – 23. La necessità di accertare la responsabilità penale dei soggetti fisici esercenti funzioni pubbliche che hanno attentato al diritto alla vita nella giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e i possibili riflessi di tale principio in relazione alla responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico (caso Öneryildiz v. Turchia). – 24. Verso una modifica del codice penale olandese sulla responsabilità penale di enti pubblici decentrati e Stato? – 25. Il sistema di responsabilità penale e di immunità delle persone giuridiche di diritto pubblico nel sistema olandese. – 26. Considerazioni conclusive. 1. La responsabilità penale delle persone giuridiche in Olanda: evoluzione storica. L’Olanda è stato uno dei primi Paesi europei a tradizione continentale a prevedere in modo generalizzato la responsabilità penale delle persone giuridiche1. L’articolo 51 del codice penale del 1976 equipara, infatti, le persone giuridiche a quelle fisiche quali soggetti attivi del reato2. Tuttavia, già prima di allora, era conosciuta nei Paesi Bassi una limitata forma di responsabilità penale delle persone giuridiche3. L’art. 15 della Wet op economische J.A.E. Vervaele, La responsabilité pénale de et au sein de la personne morale aux Pays-Bas. Mariage entre pragmatisme et dogmatisme juridique, in «Révue de science criminelle», 1997, avril-juin, p. 325 (nel senso che sino a poco tempo fa i Paesi Bassi erano l’unico Paese europeo di tradizione giuridica e dogmatica continentale a prevedere la responsabilità penale delle persone giuridiche). Si confronti, inoltre, Vervaele, La responsabilità penale della persona giuridica nei Paesi Bassi. Storia e sviluppi recenti, in Societas puniri potest, cit., p. 135 ss., per una completa illustrazione dell’evoluzione storica della responsabilità penale delle persone giuridiche nell’ordinamento olandese e un’attenta analisi della giurisprudenza. 2 Il primo comma dell’art. 51 c.p. prevede espressamente che i reati possono essere commessi dalle persone fisiche e giuridiche. 3 H. De Doelder , Criminal liability of corporations – Netherlands, in La criminalisation du comportement collectif , a cura di H. De Doelder, K. Tiedemann, The Hague, Kluwer Law International, 1996, p. 290 rileva che risalgono al 1800 le norme che prevedevano una forma di responsabilità penale delle persone 1 34 E. Pavanello delicten (di seguito, WED)4, entrata in vigore nel 1951, annoverava espressamente la persona giuridica tra i soggetti autori del reato, in quanto tale punibile penalmente e sanzionabile al pari delle persone fisiche, limitatamente alle ipotesi delittuose ivi previste. Al fine di attribuire il comportamento illecito alla persona giuridica, era necessario, ai sensi del secondo comma dell’art. 15 della WED, che la condotta illecita fosse tenuta «nella sfera» della stessa persona giuridica. La previsione denota il carattere di «finzione giuridica» della responsabilità penale degli enti collettivi nella WED: questi ultimi, infatti, non potevano commettere alcuna infrazione in quanto tali ma solo nella misura in cui determinate persone fisiche avessero agito nell’ambito della loro sfera5. Sotto il vigore dell’art. 15 della WED la giurisprudenza olandese ha elaborato importanti criteri in materia di attribuzione della condotta della persona fisica alla persona giuridica, sia per quanto concerne il profilo oggettivo che per quello soggettivo. Particolarmente significativa al riguardo la sentenza Ijzerdraad6, nella quale la Corte di Cassazione (Hoge Raad), giudicando della responsabilità di un imprenditore individuale, ha chiarito che tutti i fatti colposi realizzati all’interno di un’impresa possono essere considerati di responsabilità dell’imprenditore solo quando promanano dalla sfera di potere di quest’ultimo e sono stati accettati in modo generale. L’applicazione dei criteri del potere (machtscriterium) e dell’accettazione (aanvaardingscriterium) sono stati successivamente estesi con la sentenza Kabelijauw7 anche alle persone giuridiche. Essi inoltre sono assurti a parametro di valutazione della responsabilità degli enti anche nell’applicazione dell’art. 51 del codice penale (su cui infra). Dopo l’adozione della WED, nel 1965 si procedette ad un’ulteriore innovazione nel sistema olandese con l’introduzione dell’art. 50-a nel codice penale (Strafrecht, SR), in base al quale veniva espressamente riconosciuta la possibilità che una persona giuridica fosse soggetto attivo di un fatto illecito. La punibilità, tuttavia, restava limitata alle sole persone fisiche, ovvero agli amministratori, ai membri del consiglio di amministrazione e alle persone che avevano dato l’ordine o che avevano effettivamente giuridiche in materia doganale e fiscale. 4 La WED è una legge quadro che disciplina i reati economici ed integra le previsioni contenute nel codice penale olandese. In particolare, al suo interno sono previsti i cosiddetti ordeningsdelicten che si contrappongono ai commune delicten previsti nel codice penale. La distinzione tra questi due tipi di reato si basa storicamente sul fatto che mentre le fattispecie delittuose previste nel codice penale sono volte a tutelare i beni giuridici «tradizionali» (quali la vita e l’onore), quelle previste nelle leggi speciali (WED, legge sull’ambiente, legge tributaria etc.) sono volte a tutelare beni giuridici per così dire di seconda generazione. Oggi tuttavia la distinzione è prettamente formale e non dispone di un solido fondamento giuridico; molto spesso, infatti, gli stessi beni giuridici vengono tutelati da fattispecie diverse previste nella parte speciale del codice penale (commune delicten) e dalla WED (ordeningsdelicten). 5 J.A.E. Vervaele, La responsabilità penale della persona giuridica nei Paesi Bassi. Storia e sviluppi recenti, cit., p. 143. 6 Hoge Raad, 23.2.1954, in «Nederlandse Jurisprudentie», 1954/378. 7 Hoge Raad, 1.7.1981, in «Nederlandse Jurisprudentie», 1982/80. L’ordinamento olandese 35 diretto l’azione criminosa: trovava così riconoscimento nell’ordinamento olandese il principio societas delinquere potest sed puniri non potest. Bisognerà attendere il 1976 e l’introduzione dell’articolo 51 c.p. per un integrale riconoscimento della responsabilità penale delle persone giuridiche. 2. La responsabilità penale delle persone giuridiche, degli enti privi di personalità giuridica, delle associazioni e delle fondazioni per i reati dagli stessi posti in essere. L’introduzione dell’art. 51 c.p. nel 1976 ha determinato l’abrogazione dell’art. 15 WED, cosicché oggi nei Paesi Bassi la disciplina della responsabilità penale degli enti è contenuta unicamente nel codice penale, anche per i reati previsti dalla legislazione speciale (ivi inclusa la WED per quanto concerne i reati economici). L’art. 51 c.p. prevede che: «1. I reati possono essere commessi dalle persone fisiche e giuridiche. 2. Se un reato è commesso da una persona giuridica, i procedimenti possono essere promossi e le pene e le misure di sicurezza previste dalla legge possono essere pronunciate, qualora ne sia consentita l’applicazione: (1) contro la persona giuridica oppure, (2) contro chi ha ordinato la commissione del reato, così come contro chi ha effettivamente diretto il comportamento illecito oppure, (3) contro le persone nominate ai punti (1) e (2) insieme. 3. Per l’applicazione delle disposizioni che precedono sono equiparati alla persona giuridica gli enti privi di personalità giuridica, le associazioni e le fondazioni». La persona giuridica viene considerata come un vero e proprio soggetto di diritto capace di porre in essere condotte illecite e di risponderne penalmente, con un’evidente rottura rispetto al passato8. La responsabilità è a spettro totale e non limitata esclusivamente alle fattispecie costruite in modo oggettivo (strict liability offences), per le quali non è necessario dimostrare l’elemento soggettivo del dolo o della colpa. Inoltre, la nozione di persona giuridica è più estesa rispetto a quella propria del diritto civile poiché sono compresi tutti gli enti collettivi eccettuate le società unipersonali9, nelle quali la persona fisica sarà unico soggetto responsabile penalmente, attesa la coincidenza tra patrimonio dell’azienda e patrimonio personale dell’autore. Le sanzioni applicabili alle persone giuridiche sono diverse: pena pecuniaria, pubblicazione della sentenza, confisca dei proventi illecitamente ottenuti dalla commissione del reato, condanna al risarcimento dei danni causati dalla commissione del reato. De Doelder, Criminal liability of corporations – Netherlands, cit., p. 292. De Doelder, Criminal liability of corporations – Netherlands, cit., p. 293 e Vervaele, La responsabilità penale della persona giuridica nei Paesi Bassi. Storia e sviluppi recenti, cit., p. 145. 8 9 36 E. Pavanello In base all’art. 51 c.p. potranno essere perseguiti sia le persone fisiche che hanno posto in essere la condotta criminosa10 e (cumulativamente o alternativamente) le persone giuridiche, oltre a coloro che hanno dato l’ordine di commettere il reato o che hanno materialmente diretto il comportamento illecito («dirigenti di fatto»11). Coloro che hanno dato l’ordine e i dirigenti di fatto potranno essere perseguiti solo qualora la persona giuridica possa a sua volta essere sottoposta a procedimento penale. Sarà invece sempre possibile perseguire questi soggetti in base alla loro qualità di autore o compartecipe del reato qualora sussistano gli elementi oggettivo e soggettivo di attribuibilità della condotta al soggetto agente sulla base dei normali criteri di imputazione. 3. I criteri di attribuzione della condotta alla persona giuridica: la teoria del potere e dell’accettazione. Nel sistema giuridico olandese al fine di valutare la sussistenza della responsabilità penale delle persone giuridiche, è necessario individuare le condotte (attive o omissive) delle persone fisiche che hanno dato origine al fatto illecito12. Successivamente, occorre verificare se dette condotte siano riconducibili (anche sotto il profilo soggettivo) alla persona giuridica. A differenza della WED, in cui il legislatore aveva indicato come criterio risolutivo di attribuzione della condotta il fatto che l’attività fosse stata posta in essere «nella sfera» della persona giuridica, il codice penale non fornisce alcuna indicazione sul punto e demanda la soluzione della questione − se un determinato fatto illecito sia stato commesso o meno dalla persona giuridica − alla giurisprudenza. Solo qualora sia accertato che la persona giuridica è «autore» del In particolare gli articoli 47 e 48 c.p. delineano rispettivamente le figure di autore del reato e compartecipe. 11 L’espressione «dirigenti di fatto» necessita di alcune puntualizzazioni. Il codice penale olandese elenca, infatti, tra le persone punibili, al secondo comma n. 2 dell’art. 51, coloro che hanno dato l’ordine di commettere l’azione criminosa (e che disponevano da un punto di vista formale delle competenze per dare quest’ordine), ovvero hen die tot het feit opdracht hebben gegeven, e coloro che, invece, materialmente hanno diretto l’azione criminosa (il che non necessariamente implica che gli stessi disponessero delle relative competenze da un punto di vista formale), ovvero hen die feitelijke leiding hebben gegeven aan de verboden gedraging. A questa seconda categoria di soggetti si farà d’ora in avanti sempre riferimento con l’espressione «dirigenti di fatto», restando inteso che si tratta di soggetti i quali hanno svolto una determinata funzione all’interno della persona giuridica e ne sono responsabili anche se non necessariamente disponevano della relativa competenza da un punto di vista formale. 12 S. Field, N. Jorg, Corporate liability and manslaughter: should we be going Dutch?, in «Criminal Law Review», March, 167, 1991. In Olanda tra l’altro trova applicazione la «teoria dell’aggregazione», per cui sarà possibile «aggregare» le responsabilità delle diverse persone fisiche per determinare la responsabilità della persona giuridica nel suo complesso. 10 L’ordinamento olandese 37 reato, sarà possibile valutare l’eventuale responsabilità delle persone che hanno dato l’ordine di commettere il fatto illecito e dei dirigenti di fatto. Mancando indicazioni circa i criteri per attribuire la condotta alla persona giuridica, la dottrina ha invocato l’applicazione dei principi del potere e dell’accettazione, già delineati nella sentenza Ijzerdraad sotto il vigore della WED13. Anche la giurisprudenza ha accolto questa impostazione, estendendo, con la sentenza Kabeljauw, l’applicabilità di siffatti principi per l’attribuibilità della condotta illecita alle persone giuridiche. Il criterio del potere (machtscriterium) esclude dal novero delle attività imputabili alla persona giuridica quelle estranee all’attività quotidiana della società che costituisconocome corpus alienum rispetto all’attività tipica dell’impresa. Esse, infatti, si collocano al di fuori della sfera d’influenza e di controllo della persona giuridica. Al fine di esemplificare il concetto, si pensi al caso di un venditore porta a porta per conto di una società che, nel corso della propria attività, spaccia droga: si tratta di attività che è estranea alla società e che, in quanto tale, non può comportare la responsabilità di quest’ultima. Diversamente se lo spaccio di droga ha luogo sistematicamente e con proporzioni notevoli, l’attività illecita potrà essere considerata espressione della normale politica di impresa14. Con il criterio dell’accettazione (aanvaardingscriterium), invece, si fa riferimento al fatto che il comportamento vietato debba essere «approvato» dall’impresa: sarà, al riguardo, sufficiente che la persona fisica abbia agito nella consapevolezza di compiere un reato o abbia accettato tale eventualità, omettendo di compiere quanto in suo potere per evitare il prodursi di un fatto illecito15. È evidente, tuttavia, che ove sussista pure un’approvazione «ufficiale» dell’illecito, la prova del fatto che la persona giuridica è soggetto attivo del reato sarà più agevole. L’utilizzo del duplice criterio consente, da un punto di vista oggettivo, di riferire determinate condotte alle persone giuridiche solo qualora vi sia stata accettazione delle stesse quale normale sviluppo della politica di impresa e sia esistita, in concreto, la possibilità per la persona giuridica di intervenire per l’eliminazione del rischio di realizzazione dello stesso. In mancanza di una delle due condizioni la condotta non potrà mai essere riferita alle persone giuridiche, ma rimarranno perseguibili i singoli autori fisici (ove individuabili)16. Dall’analisi di questi criteri si può dedurre peraltro che la responsabilità penale delle persone giuridiche non è legata esclusivamente all’attività del quadro dirigenziale dell’impresa (cosiddetta teoria dell’alter ego), ma può discendere dall’attività di Field, Jorg, Corporate liability and manslaughter: should we be going Dutch?, cit., 164. R.A. Torringa, De rechtspersoon als dader, strafbaar leidinggeven aan rechtspersonen, Gouda Quint bv, Arnhem 1988, p. 33-34. 15 Ibidem. 16 Field, Jorg, Corporate liability and manslaughter: should we be going Dutch?, cit., p. 164. 13 14 38 E. Pavanello qualsiasi soggetto, anche un semplice impiegato o addirittura un consulente esterno della società (come nel caso di uno studio legale o di uno studio di consulenti contabili)17. Da un punto di vista soggettivo, non è chiaro quando l’elemento soggettivo (dolo o colpa) del reato possa essere attribuito alla persona giuridica, mancando indicazioni testuali nel codice penale. L’esistenza del dolo o della colpa implicherà quanto meno la conoscenza di quel fatto illecito (o dell’esistenza di fatti analoghi che denotino una politica di impresa «criminosa») da parte dell’organo dirigente, senza che opportune misure di prevenzione siano state adottate18. Ovviamente detta conoscenza si atteggerà diversamente a seconda che il comportamento vietato sia frutto di una decisione del consiglio di amministrazione o meno: nel primo caso, in linea di principio, il dolo e la colpa devono sempre essere imputati alla persona giuridica; nel secondo caso, invece, occorrerà verificare l’eventuale esistenza di una delega di funzioni o l’accettazione cosciente di atti colposi in modo da accertare che l’elemento soggettivo del reato è ravvisabile nella stessa politica di impresa. Qualora invece non sussista alcuna di queste ipotesi, sarà necessario verificare l’esistenza delle diverse colpe e delle diverse intenzioni delle singole persone fisiche19. 4. La responsabilità dei dirigenti di fatto e di coloro che hanno impartito l’ordine criminoso all’interno delle persone giuridiche. Attribuzione della condotta sulla base dei criteri del potere e dell’accettazione. La figura del dirigente di fatto, peculiare del sistema olandese, consente di evitare la «fuga» dal diritto penale da parte di coloro che hanno svolto un ruolo determinante nella commissione del reato ma, nonostante ciò, non possono essere considerati tecnicamente né autori del reato o compartecipi, né soggetti responsabili in quanto titolari di delega formale dell’attività illecita posta in essere nell’impresa. L’individuazione di questa peculiare figura nasce, quindi, dall’esigenza pratica di ovviare ad una delinquenza molto spesso «inafferrabile» nell’ambito della persona giuridica. Non è un caso che proprio in una sentenza relativa ad un istituto bancario noto per le diffuse pratiche di riciclaggio di denaro sporco (caso Slavenburg), ma difficilmente attribuibili a soggetti determinati, siano stati precisati i criteri per individuare le responsabilità dei dirigenti di fatto. Nel corso dell’istruttoria era risultato, infatti, che molte delle condotte illecite erano state poste in essere da parte di agenzie non De Doelder, Criminal liability of corporations – Netherlands, cit., p. 300. Vervaele, La responsabilità penale della persona giuridica nei Paesi Bassi. Storia e sviluppi recenti, cit., p. 154. 19 Torringa, De rechtspersoon als dader, strafbaar leidinggeven aan rechtspersonen, cit., p. 37 e Vervaele, La responsabilità penale della persona giuridica nei Paesi Bassi. Storia e sviluppi recenti, cit., p. 155. 17 18 L’ordinamento olandese 39 strettamente riconducibili all’istituto bancario o che non evidenziavano un’implicazione diretta delle persone indagate con l’attività criminosa della banca. Per ovviare a tale situazione, la Corte di Cassazione ha delineato le figure del dirigente di fatto e di colui che ha dato l’ordine, chiarendo come la possibilità di perseguire e condannare i soggetti indagati fosse collegata all’obbligo di diligenza che incombeva sugli stessi (obbligo che includeva ovviamente la necessità di intervenire a fronte della conoscenza di fatti illeciti che si verificano nell’ambito della società)20. Per essere perseguito il dirigente di fatto deve occupare una posizione dirigenziale (a prescindere da un preciso incarico formale) e deve essere stato a conoscenza del fatto illecito specifico o, quantomeno, di fatti analoghi che denotino l’esistenza di una certa cultura di impresa e, nonostante ciò, non deve aver compiuto quanto era in suo potere per evitare la commissione del reato. Naturalmente la possibilità di perseguire i dirigenti di fatto resta strettamente legata alla punibilità della persona giuridica poiché la responsabilità di detti soggetti sussiste nella misura in cui è stata verificata l’attribuibilità della condotta illecita di una persona fisica, che può essere anche un semplice impiegato, alla persona giuridica, attraverso i criteri del potere e dell’accettazione. Una volta accertata la responsabilità dell’ente, e la sussistenza quindi dei criteri oggettivo e soggettivo di responsabilità dello stesso, si procederà a verificare se la medesima condotta possa essere attribuita ai dirigenti di fatto o a coloro che hanno dato l’ordine, attraverso i medesimi criteri del potere e dell’accettazione. I criteri in materia di responsabilità penale delle persone giuridiche sin qui tratteggiati trovano applicazione anche nelle ipotesi di responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico. 5. La responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico. Questioni interpretative intorno all’inclusione degli enti di diritto pubblico nella nozione di persona giuridica. La possibilità di perseguire penalmente le persone giuridiche di diritto pubblico è questione che da più di mezzo secolo occupa la dottrina e la giurisprudenza olandesi. Infatti, già prima dell’introduzione dell’art. 51 del codice penale, sotto il vigore della WED, era stata ammessa la possibilità di perseguire i Comuni. Nel 1951, ad esempio, il Comune di Alpedoorn era stato condannato dalla sezione economica del Tribunale di Zutphen al pagamento della multa di 25.000 fiorini olandesi per aver 20 Hoge Raad, 19.11.1985, in «Nederlandse Jurisprudentie», 1986/125-126. 40 E. Pavanello violato l’art. 17 della Wederopbouwwet (legge sulla ristrutturazione). La condanna è stata poi ridotta in grado d’appello al pagamento della somma di 5.000 fiorini21. Nel commentare la sentenza citata, certa dottrina ha sostenuto che la persona giuridica di diritto pubblico può essere condannata penalmente solo laddove abbia arrecato pregiudizio con la propria condotta alle regole del mercato e della concorrenza22. L’accento è stato posto, quindi, sulla diversa tipologia di attività posta in essere dall’ente pubblico. Anche le successive riflessioni dottrinali si sono indirizzate in questo senso: così si è espressa, infatti, nel 1966 l’associazione olandese dei giuristi (Nederlandse Juristenvereninging). A conclusione dei lavori, l’associazione ha approvato un documento in cui ha sostenuto che l’applicazione della sanzione penale nei confronti degli enti pubblici dovrebbe essere relegata unicamente al caso di loro partecipazione all’attività commerciale (come nel caso di una società di trasporti comunale) e non, invece, essere estesa all’ipotesi di esplicazione di funzioni tipicamente pubblicistiche. La generalizzata perseguibilità penale degli enti pubblici in quanto tali non viene considerata auspicabile perché finirebbe per indebolire in modo irreversibile la loro autorità e il loro prestigio. Nell’ipotesi della commissione di fatti illeciti sarebbe più opportuno, invece, far ricorso agli strumenti sanzionatori offerti dal diritto amministrativo e civile23. Con l’entrata in vigore dell’art. 51 del codice penale la questione non è stata risolta ma piuttosto demandata alla soluzione giurisprudenziale, atteso che il testo normativo de quo non ha operato alcuna distinzione tra persone giuridiche di diritto privato e persone giuridiche di diritto pubblico. Il che ha indotto parte della dottrina a ritenere che - in virtù del brocardo ubi lex voluit dixit − tutte le persone giuridiche senza alcuna esclusione debbano essere soggette a responsabilità penale24. Contrariamente a ciò si è espressa, tuttavia, la relazione accompagnatoria del codice penale (Memorie van Toelichting), la quale ha indicato una soluzione affatto diversa che ricalca in buona sostanza le posizioni espresse in precedenza dalla dottrina. Nel paragrafo 10 della relazione, si è affermato, infatti, che la perseguibilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico è poco opportuna ma si è aggiunto altresì R.A. Torringa, Strafbaarheid van rechtspersonen, Gouda Quint bv, Arnhem 1984, p. 154. A. Mulder, De gemeenten en de verbodsbepaling van art. 17 Wederopbouwwet, in «De Nederlandse gemeente», n. 38, 1963, p. 517. 23 Torringa, Strafbaarheid van rechtspersonen, cit., p. 154 con commento critico alle conclusioni dell’associazione. 24 G.A.M. Strijards, Aansprakelijkheidsgronden, Tjeenk Willink, Zwolle 1988, p. 60 secondo cui, sotto il profilo della soggettività penale, non esistono ragioni di principio per operare una distinzione tra persone giuridiche di diritto pubblico e di diritto privato. Tuttavia l’Autore sostiene che la possibilità di perseguire gli enti pubblici per la violazione delle norme che essi stessi hanno posto costituisce un’operazione «viziosa» in quanto detti enti finirebbero per punire se stessi e per pagare a se stessi la sanzione pecuniaria. 21 22 L’ordinamento olandese 41 che la possibilità di procedere nei loro confronti non può essere radicalmente esclusa25. Si è proposto allora di distinguere a seconda che il fatto illecito sia posto in essere dall’ente pubblico nell’esecuzione di un’attività di impresa che può essere eseguita anche da soggetti di natura privatistica o piuttosto nell’esecuzione di un compito pubblico (sia esso di carattere generale o specifico) di competenza dell’ente pubblico. Nella prima ipotesi, non dovrebbero sussistere ostacoli alla procedibilità penale, anzi l’esclusione della responsabilità degli enti pubblici che agiscano come imprese viene qualificata lesiva del principio di eguaglianza giuridica perché ove analoghe condotte illecite venissero poste in essere da persone giuridiche di diritto privato esse sarebbero passibili di sanzione penale. Qualora, invece, agiscano nell’esecuzione di un compito pubblico la loro procedibilità dovrebbe essere esclusa. Nonostante le indicazioni fornite nella Relazione al codice penale, restano aperte alcune questioni fondamentali, quali in primis l’inquadramento dogmatico della cosiddetta «non procedibilità» nei confronti delle persone giuridiche di diritto pubblico: non è dato comprendere, infatti, se il legislatore abbia inteso escludere la responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico a livello di diritto «materiale» o, piuttosto, abbia individuato una causa di non procedibilità (con evidenti conseguenze quanto alla posizione di coloro che hanno dato l’ordine o dei dirigenti di fatto, la cui responsabilità è strettamente ancorata a quella delle persone giuridiche: nel primo caso essi non saranno punibili, mentre nel secondo sì26). Non è poi chiaro se la nozione di «persona giuridica di diritto pubblico» coincida con quella di cui all’art. 1, libro ii del codice civile (Burgerlijke wet). Ai sensi di tale disposizione sono tali lo Stato, le Province, i Comuni, le Autorità per le acque (waterschappen) così come tutti gli enti che sono qualificati tali dal capitolo 7 della Costituzione (ad esempio, l’Ordine Olandese degli Avvocati), oltre che tutti gli enti cui sono attribuite competenze di diritto pubblico (Università, gli ospedali universitari ma anche il Fondo pensionistico)27. La Relazione non chiarisce, infatti, se anche la nozione «penalistica» di persona giuridica di diritto pubblico debba attingere a tale fonte normativa o se, come auspicato da certa dottrina, sia opportuno individuare una nozione autonoma in ragione del fatto che non sempre la qualificazione pubblico/privato è correlata al tipo di attività (imprenditoriale o meno) esercitata dall’ente. Vi sono infatti persone giuridiche qualificate dal diritto civile enti di diritto pubblico (è questo il caso della Nederlandsche Bank NV) le quali, di fatto, agiscono in forma privatistica e sono organizzate come persone giuridiche di diritto privato. Come pure esistono persone Si veda il testo del paragrafo 10 della MvT riportato da J. De Hullu, Een bijzondere strafrechtelijke positie voor de verdachte overheid?, in Strafbaarheid van overheden, Tjeenk Willink, Deventer 1998, p. 49-50. 26 D. Roef, Strafbare overheden. Een rechtsvergelijkende studie naar de strafrechtelijke aansprakelijkheid van overheden voor milieuverstoring, Intersentia, Antwerpen 2001, p. 83. 27 W.C.L. Van Der Grinten, De rechtspersoon, Tjeenk Willink, Deventer 1991, p. 137 ss. 25 42 E. Pavanello giuridiche di diritto privato che, di fatto, pongono in essere attività propriamente pubblicistiche e che per tale ragione dovrebbero forse essere considerate alla stessa stregua delle persone giuridiche di diritto pubblico, quantomeno con riferimento al diritto penale28. Sembra deporre nel senso dell’autonomia anche la circostanza che l’art. 51 c.p. individua una nozione di persona giuridica più ampia rispetto a quello del diritto civile, includendo nella categoria anche quegli enti che non sono dotati di personalità giuridica. 6. Le pronunce della giurisprudenza sulla responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico (enti pubblici decentrati). La giurisprudenza, nell’affrontare la questione circa la configurabilità di una responsabilità penale nei confronti degli enti pubblici, ha sempre distinto nettamente la posizione degli enti decentrati (Comuni, Province, Autorità della Acque, Università etc.) da quella dello Stato. Si ritiene opportuno mantenere questa distinzione e analizzare separatamente la posizione degli enti pubblici decentrati e dello Stato. Con riferimento agli enti pubblici decentrati, la disamina delle pronunce terrà conto dell’evoluzione intervenuta sino alla sentenza Pikmeer i, la quale ha segnato, di fatto, l’epilogo dell’interpretazione restrittiva della responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico. Solo dopo aver dato conto delle diverse pronunce intervenute si esamineranno le posizioni della dottrina. Ancorch’è tale modo di procedere non rispetti un preciso criterio «cronologico», dette argomentazioni dovranno essere esaminate in modo unitario, al fine di essere compiutamente esposte e di più agevole comprensione. Successivamente, si procederà all’analisi della sentenza Pikmeer ii e a considerare le reazioni e gli sviluppi della dottrina con riferimento a questa «seconda fase» della giurisprudenza. 6.1. L’irresponsabilità penale degli enti decentrati che hanno posto in essere la condotta illecita nell’ambito di attività esecutive di un compito pubblico (caso Tilburg). La prima sentenza che ha affrontato la questione circa la possibilità di procedere nei confronti degli enti pubblici decentrati, dopo l’entrata in vigore del nuovo codice penale, ha avuto ad oggetto la condotta illecita posta in essere dal Comune di Tilburg29. Il Comune de quo aveva fatto apporre dei rallentatori di velocità su una A.L.J. van Strien, De strafrechter en de bestuurlijke mantel der liefde (*1) over de vervolgbaarheid van publiekrechtelijke rechtspersonen, in «Delikt en Delinkwent», afl. 6, 17, 1987, p. 588. 29 Hoge Raad, 27.10.1981, in «Nederlandse Jurisprudentie», 1982/474 con nota di gem. 28 L’ordinamento olandese 43 strada pubblica, senza aver previamente ottenuto la relativa autorizzazione in violazione dell’art. 427 (6) del codice penale, il quale punisce con la pena pecuniaria chi, senza autorizzazione dell’autorità competente, blocca le strade pubbliche o le acque pubbliche o chi impedisce il traffico su tali strade o acque. La Corte di Cassazione ha dichiarato irricevibile l’azione, ritenendo che la condotta posta in essere dal soggetto indagato riguardasse l’attuazione di un compito pubblico (overheidstaak), ovvero il mantenimento e la sicurezza delle strade pubbliche, in quanto tale esente da ogni valutazione di carattere penale. La sentenza è stata criticata sotto più profili. Innanzitutto, si è rilevato che la pronuncia ha di fatto individuato un criterio di esclusione della perseguibilità, facendolo discendere esclusivamente dalla natura e dal contesto del comportamento tenuto dall’ente pubblico30. Criterio di esclusione sui generis che non disporrebbe di un fondamento normativo, in quanto l’art. 51 c.p. non distingue tra persone giuridiche di diritto pubblico e privato. In luogo di tale criterio, parte della dottrina ha evidenziato l’opportunità di verificare l’operatività delle cause di giustificazione dello stato di necessità e dell’adempimento di una prescrizione legale, in ragione della natura pubblica dei compiti posti in essere dagli enti in questione che potrebbero, al limite, «giustificare» anche la commissione di un illecito31. La distinzione tra atti compiuti nell’esecuzione di un compito pubblico e atti compiuti nell’ambito di attività privatistica riecheggia peraltro classificazioni proprie del diritto civile in relazione alla possibilità di configurare la responsabilità nei confronti dello Stato. In passato, infatti, si differenziava tra acta iure imperii, per i quali lo Stato godeva dell’immunità assoluta e acta iure gestionis, per i quali, al contrario, lo stesso poteva essere dichiarato responsabile. Atteso che la contrapposizione è stata oggi superata nel diritto civile sono stati manifestati dubbi in ordine alla validità di simili criteri nel diritto penale32. La decisione de qua è stata criticata anche sotto altro profilo, poiché la Corte di Cassazione non ha chiarito se intendeva riferirsi ad un’ipotesi di improcedibilità (onvervolgbaarheid) a livello processuale o piuttosto intendesse statuire una vera e propria irresponsabilità dell’ente che ha agito per l’attuazione di un compito pubblico33. J.A.E. van der Jagt, Decentraal bestuur vervolgbaar? Een onderzoek naar de strafrechtelijke en bestuursrechtelijke aspecten van het Pikmeer II arrest, Gouda Quint, Deventer 2000, p. 30. 31 Van Strien, De strafrechter en de bestuurlijke mantel der liefde (*1) over de vervolgbaarheid van publiekrechtelijke rechtspersonen, cit., p. 591. 32 G.A.M. Strijards, Hoofdstukken van materieel strafrecht, Lemma, Utrecht 1992, p. 95. 33 Roef, Strafbare overheden. Een rechtsvergelijkende studie naar de strafrechtelijke aansprakelijkheid van overheden voor milieuverstoring, cit., p. 87. 30 44 E. Pavanello Senza contare che, in assenza di una precisa definizione legislativa, la stessa nozione di compito pubblico è di difficile individuazione34. Altra dottrina, invece, ha condiviso la sentenza poiché ha ritenuto che la stessa giustamente esimesse da responsabilità l’ente pubblico che agisce nell’esercizio di un compito pubblico: non sarebbe infatti concepibile che la persona giuridica di diritto pubblico ponga in essere un’attività illecita e per tale ragione occorre escludere a priori la sussistenza di un fatto penalmente rilevante35. La Corte di Cassazione non sembra in realtà aver profondamente meditato sulla soluzione adottata: a fronte della prima concreta applicazione dell’art. 51 c.p. si è inteso negare tout court la possibilità di dichiarare penalmente responsabile l’ente pubblico decentrato, senza definire cosa sia un compito pubblico né indicare il fondamento giuridico di detta esclusione. 6.2. La responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico diverse dagli enti territoriali (caso dell’Università di Groningen). Nella fattispecie in esame i giudici hanno preso in considerazione la responsabilità penale di una persona giuridica di diritto pubblico, diversa da un ente pubblico territoriale, ovvero l’Università di Groningen. Il fatto alla base del procedimento può essere così riassunto. Un archeologo in servizio presso l’istituto di archeologia dell’Università aveva eseguito dei lavori di scavo su di un sepolcro senza aver ottenuto previamente l’apposita autorizzazione del Ministero competente, autorizzazione necessaria trattandosi di un monumento protetto ai sensi di legge (Monumentenwet). In seguito a detti lavori la tomba aveva subito dei danni e, pertanto, si era verificata la fattispecie penale di cui all’art. 14 della legge sui monumenti. L’Università di Groningen è stata perseguita, insieme all’archeologo che materialmente aveva posto in essere la condotta. L’ente universitario, in virtù del criterio statuito dalla Corte di Cassazione nella precedente sentenza Tilburg, si era difeso sostenendo che, ai sensi dell’art. 23 della Costituzione36, l’Università ha come scopo l’educazione e la ricerca, all’interno delle quali vanno annoverati anche la cura e il Van Strien, De strafrechter en de bestuurlijke mantel der liefde (*1) over de vervolgbaarheid van publiekrechtelijke rechtspersonen, cit., p. 591-592; De Hullu, Een bijzondere strafrechtelijke positie voor de verdachte overheid?, cit., p. 56. 35 Strijards, Aansprakelijkheidsgronden, cit., p. 63. 36 L’art. 23 della Costituzione stabilisce che l’istruzione costituisce compito permanente del Governo, il quale detiene il potere di controllo sulle forme di istruzione privata. Cfr. A.J.M Kortmann, P.T. Bonvend’eert, Dutch constitutional Law, Kluwer Law International, The Hague 2000, con il testo in lingua inglese della costituzione olandese. 34 L’ordinamento olandese 45 restauro dei monumenti. Trattandosi di compiti pubblici, pertanto, l’istituto universitario non avrebbe potuto essere perseguito penalmente. La Corte di Cassazione ha rigettato questa argomentazione poiché, a suo parere, la cura dei monumenti non rientrava tra i compiti pubblici dell’insegnamento e della ricerca. Pertanto, in caso di violazione della legge sui monumenti non sussisterebbe alcun ostacolo alla perseguibilità penale della persona giuridica, anche se di diritto pubblico. Il giudice di legittimità ha introdotto inoltre un criterio di limitazione soggettiva della responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico, statuendo che solo gli enti indicati nel capitolo 7 della Costituzione olandese – essenzialmente gli enti territoriali – possono godere della «irresponsabilità» propria degli enti pubblici37. Nel caso di specie, atteso che l’Università non poteva essere considerata un ente pubblico ai sensi del capitolo 7 della Costituzione, e l’illecito non era stato posto in essere nell’esercizio di un compito pubblico, essa è stata condannata al pagamento di una sanzione pecuniaria38. La sentenza in esame ha introdotto un criterio formale per individuare le persone giuridiche di diritto pubblico perseguibili che non trova alcun fondamento né nel codice penale né nella Relazione allo stesso39. Al fine di giudicare l’eventuale responsabilità penale della persona giuridica di diritto pubblico, occorrerà, quindi, innanzitutto verificare se detta persona giuridica appartenga a quelle indicate nel capitolo 7 della Costituzione. Qualora, infatti, la risposta a tale quesito sia negativa, poco importerà che la stessa abbia agito nell’esecuzione di un compito pubblico perché essa sarà sempre perseguibile, non venendo in rilievo il criterio “sostanziale” dell’esecuzione del compito pubblico40. Si possono già intuire le incongruenze e i rischi di violazione del principio di eguaglianza cui un siffatto sistema può dare origine, soprattutto in considerazione del fatto che la Corte di Cassazione non ha chiarito la ratio in base alla quale ha distinto nella categoria degli enti pubblici quelli indicati nel capitolo 7 della Il capitolo 7 della Costituzione olandese indica quali enti pubblici le province, i comuni, gli enti preposti alle acque e altri enti pubblici, tra cui vengono espressamente menzionati gli ordini professionali. Si veda Kortmann, Bonvend’eert, Dutch constitutional Law, cit., p. 43-58 per un commento sull’organizzazione e sulle funzioni svolte dagli enti decentrati. 38 Hoge Raad, 10 novembre 1987, in «Nederlandse Jurisprudentie», 1988/303 con nota di Strijards, Aansprakelijkheidsgronden, cit., p. 66 pur condividendo la sentenza della Hoge Raad in quanto ritiene che effettivamente la cura e la protezione dei monumenti non sia un compito di natura pubblica, non ritiene decisivo l’accento posto dalla Corte sulla diversa posizione che gli enti rivestono a livello costituzionale. 39 Roef, Strafbare overheden. Een rechtsvergelijkende studie naar de strafrechtelijke aansprakelijkheid van overheden voor milieuverstoring, cit., p. 88. 40 L.E.M. Hendriks, A. De Lange, Strafvervolging van overheden na het Tweede Pikmeer-arrest, in «Milieu en recht», 1998, p. 41. 37 46 E. Pavanello Costituzione. La Corte ha probabilmente considerato che gli enti di cui al capitolo 7 della Costituzione svolgono funzioni di diritto pubblico: tuttavia, a ben valutare, essi non sono gli unici. Basti pensare alle persone giuridiche di diritto privato che possono porre in essere attività pubblicisticamente rilevanti o addirittura al singolo cittadino che, ai sensi dell’art. 53 del codice di procedura penale, può compiere un arresto in flagranza. Essi eseguono tecnicamente attività pubblicistiche, pur non essendo soggetti menzionati nel capitolo 7 della Costituzione41. 6.3. La conferma del principio della responsabilità penale degli enti decentrati unicamente nel caso in cui abbiano commesso l’illecito al di fuori di attività esecutive di un compito pubblico (il caso Voorburg). Con la sentenza Voorburg42, la Corte di Cassazione ha confermato il principio secondo cui le persone giuridiche di diritto pubblico, indicate nel capitolo 7 della Costituzione, non sono responsabili penalmente qualora abbiano commesso un illecito nell’ambito di un’attività esecutiva di un compito pubblico. Il Comune in questione aveva fatto distruggere dei nidi di aironi in un parco perchè questi uccelli inquinavano il luogo. Per poter procedere alla distruzione dei nidi il Comune aveva necessità di ricevere l’autorizzazione da parte del Commissario governativo che, nel caso de quo, non era stata rilasciata: il Comune, pertanto, con la propria condotta aveva violato l’articolo 8, comma 1 della legge di protezione degli uccelli, condotta sanzionata penalmente ai sensi dell’articolo 28 della stessa legge. L’ente si era difeso asserendo che la protezione e il mantenimento del parco costituivano compiti pubblici espressamente attribuiti al Comune ai sensi dell’art. 209 della legge comunale. Il Tribunale di Gravenhage in accoglimento di tale impostazione, ha ritenuto che il Comune non fosse perseguibile, fondando la decisione anche sul fatto che vi era stata l’approvazione del Sindaco e dei consiglieri comunali per la distruzione dei nidi, così come previsto dalla legge comunale43. Il pubblico ministero44 ha presentato ricorso in Cassazione evidenziando come il Comune, qualora agisca nel perseguimento dei compiti allo stesso attribuiti dalla legge comunale, deve comunque rispettare le prescrizioni di legge. Secondo l’assunto Strijards, Hoofdstukken van materieel strafrecht, cit., p. 93. Hoge Raad, 23 ottobre 1990, in «Nederlandse Jurisprudentie», 1991/496 con nota di Sch. 43 Rechbank ’s, Gravernhage, 22 maggio 1989. Desta perplessità la circostanza che per il solo fatto del rispetto delle norme procedurali per l’adozione della delibera con la quale si ordinava di distruggere i nidi di uccelli, la condotta del Comune sia stata considerata legittima. 44 In particolare, trattasi dell’officier van justitie che è il funzionario appartenente alla procura che esercita l’azione penale. Il termine Openbaar Ministerie viene invece utilizzato nell’ordinamento olandese per indicare l’insieme dei singoli pubblici ministeri, ovvero l’organo della pubblica accusa. 41 42 L’ordinamento olandese 47 accusatorio, infatti, il Comune avrebbe dovuto richiedere, in presenza di uno stato di particolare necessità, un’espressa dispensa dall’autorizzazione de qua. La Corte di Cassazione, nel rigettare il ricorso, ha statuito che il Comune era un ente pubblico ai sensi del capitolo 7 della Costituzione e che l’art. 209 della legge comunale attribuiva il compito (pubblico) di cura dei giardini pubblici proprio a detto ente. Per tale motivo l’ente è stato dichiarato non perseguibile e l’azione penale è stata rigettata45. È da rilevare che la Corte di Cassazione ha erroneamente individuato nell’art. 209 della legge comunale il fondamento legale del compito pubblico attribuito al Comune: al contrario di quanto asserito dal Giudice di legittimità, infatti, tale disposizione si limita a delineare le competenze interne al Comune per l’adozione delle misure necessarie per il mantenimento e la cura dei parchi pubblici. Si tratta dunque di una prescrizione a carattere «interno» su cui non può fondarsi l’esclusione dalla responsabilità penale46. Il fatto che venga esclusa qualsiasi valutazione circa l’opportunità di procedere penalmente e che si guardi esclusivamente alla nozione «formale» di ente pubblico non pare del tutto condivisibile47. E ciò anche perchè la decisione di fare ricorso a detta nozione non è stata adeguatamente motivata da parte della Suprema Corte, la quale si è limitata a rilevare che per gli enti di cui al capitolo 7 della Costituzione esistono adeguati controlli politici e amministrativi48. Tale argomento non pare sufficiente ad escludere la responsabilità penale degli enti pubblici. Anche laddove si ritenesse di condividere tale posizione, infatti, occorre considerare che i controlli non sempre sono effettivi: il rischio è dunque che a fronte di una condotta illecita non segua alcuna sanzione né di carattere amministrativo né di carattere politico49. Al di là delle critiche espresse in ordine alla congruità dei criteri scelti, vi sono state diverse sentenze di condanna ai danni di enti territoriali decentralizzati: la Cassazione ha infatti ritenuto che, in talune ipotesi, ancorché gli enti soggetti attivi del reato fossero enti pubblici ai sensi del capitolo 7 della Costituzione, gli stessi non avessero agito nell’esecuzione di un compito pubblico con la conseguenza che non Hoge Raad, 23 ottobre 1990, in «Nederlandse Jurisprudentie», 1991/496. Van der Jagt, Decentraal bestuur vervolgbaar? Een onderzoek naar de strafrechtelijke en bestuursrechtelijke aspecten van het Pikmeer II arrest, cit., p. 34-35 e Roef, Strafbare overheden. Een rechtsvergelijkende studie naar de strafrechtelijke aansprakelijkheid van overheden voor milieuverstoring, cit., p. 90. 47 È bene precisare che nei Paesi Bassi l’azione penale non è obbligatoria. Il collegio dei pubblici ministeri emana delle circolari di politica criminale in cui indica i criteri in base ai quali procedere o meno con l’azione penale all’interno dei casi legislativamente previsti. Queste circolari molto spesso indicano anche le condizioni in cui è possibile concludere delle transazioni al fine di evitare il processo. 48 D. Roef, Strafvervolging van overheden. Een evaluatie naar aanleiding van de ramp in Enschede, in «Ars Aequi», 2001, p. 143. 49 ThWvV, nota a Hoge Raad, 10 novembre 1987, in «Nederlandse Jurisprudentie», 1988/303. 45 46 48 E. Pavanello potevano godere dell’immunità. È questo il caso, ad esempio, del Comune di Stein50 che nel 1992 venne condannato dalla Corte di Cassazione, poiché, in «qualità» di datore di lavoro, aveva consentito ad un proprio dipendente di utilizzare una gru con un carico di materiale avente un peso superiore rispetto a quello per il quale la macchina era stata omologata, in violazione dell’art. 26 dell’Arbowet (legge sulla sicurezza nei luoghi di lavoro). Nel caso di specie, la Corte di Cassazione ha rilevato che il Comune non stava agendo nell’esecuzione di un compito pubblico e pertanto non poteva fare appello all’immunità. Analogamente, il comune di Urk venne condannato al pagamento di una sanzione pecuniaria per aver violato l’art. 3, terzo comma della legge sulla pesca. Il Comune de quo aveva organizzato un’asta in violazione delle regole in materia di registrazione delle quote: trattandosi di attività commerciale che non poteva essere considerata esecuzione di un compito pubblico, il Comune venne condannato51. 6.4. Le incongruenze applicative connesse al principio dell’esecuzione del compito pubblico individuato dalla giurisprudenza quale criterio discriminante per determinare la responsabilità penale degli enti pubblici decentrati (sentenze Arnhem e Streekgewest Zuid-Limburg). Il criterio formale del compito pubblico (overheidstaak) assurto a discrimine tra attività punibile e non, presenta caratteri di incertezza e ambiguità come si arguisce dall’esame di alcune delle decisioni adottate dagli organi giudicanti olandesi. Nel caso che ha visto la condanna del Comune di Arnhem – che aveva costruito e messo in opera una barriera contro il rumore, senza disporre dell’opportuna autorizzazione prescritta dalla Afvalstoffenwet (legge sull’inquinamento), ponendo in essere, quindi, un reato ai sensi dell’art. 1 della WED – l’ente aveva sostenuto di andare esente da responsabilità poiché la protezione dell’ambiente e la difesa dall’inquinamento atmosferico costituiscono compiti pubblici52. La Corte ha tuttavia rigettato tali arHoge Raad 19 marzo 1991 in «Nederlandse Jurisprudentie», 1992/122 con nota di Corstens. Hoge Raad 8 luglio 1993, in «Nederlandse Jurisprudentie», 1993/12. 52 O. Jansen, La legge olandese sui reati economici festeggia il suo cinquantesimo anniversario, in «Rivista trimestrale di diritto penale dell’economia», 2002, p. 123 ss. Le fattispecie penali nell’ordinamento olandese risultano in alcuni casi costruite attraverso il duplice richiamo alla legislazione complementare che prevede la fattispecie e alla WED che qualifica come penalmente rilevante quel comportamento (come avviene nel caso ora esaminato). La WED, infatti, all’articolo 1 richiama un gran numero di disposizioni a carattere precettivo che sono previste nella legislazione complementare e le qualifica come reati economici. In particolare, i reati elencati ai commi 1 e 2 dell’articolo 1 costituiscono delitto o contravvenzione a seconda che siano stati commessi intenzionalmente o no; quelli elencati al comma 3 dell’articolo 1 costituiscono invece delitto o contravvenzione a seconda di quanto stabilito nella relativa legislazione complementare. L’articolo 6 WED stabilisce la pena per detti illeciti che può consistere in 50 51 L’ordinamento olandese 49 gomentazioni rilevando che sarebbe stato ingiusto escludere la responsabilità penale della persona giuridica di diritto pubblico per un’attività che avrebbe potuto essere posta in essere anche da una persona giuridica di diritto privato. Il Comune è stato così condannato al pagamento dell’ammenda di 5.000 fiorini53. Ciò che colpisce in questa sentenza è il fatto che, a differenza dell’approccio seguito dalla Corte di Cassazione nel caso Tilburg, il Tribunale non si è interrogato sulla presenza o meno di un’attività esecutiva di un compito pubblico, ma ha piuttosto considerato la circostanza che qualsiasi impresa privata avrebbe potuto porre in essere analoga attività. L’argomentare del Tribunale per certi versi anticipa l’orientamento che sarà adottato successivamente dalla giurisprudenza e, per altri versi, è chiaro sintomo del disagio cui i giudici si trovano di fronte nell’utilizzare il criterio dell’overheidstaak. Essi infatti, nel caso di specie, si sono interrogati sull’opportunità di mantenere un sistema che distingue il trattamento delle persone giuridiche di diritto privato e pubblico, a fronte dell’esecuzione di una medesima condotta materiale. Nel caso streekgewest Ostelijk Zuid-Limburg54 l’ente pubblico venne condannato per aver tagliato delle siepi (houtopstand), senza aver preventivamente dato notizia del fatto agli enti preposti, così come previsto all’articolo 2 della legge sui boschi (Boswet)55. Ciò costituisce una contravvenzione ai sensi dell’art. 2, comma 3 della Boswet e la sanzione penale è prevista nell’articolo 1 sub 4, comma 6 della WED. Gli alberi erano stati tagliati per garantire la sicurezza aerea della compagnia awacs, in esecuzione dell’accordo che quest’ultima aveva concluso con il Ministero della Difesa. La Corte di Cassazione ha considerato che la violazione della Boswet era avvenuta, nel caso di specie, non in adempimento di uno specifico compito pubblico attribuito dalla legge (ovvero la sicurezza aerea), bensì in esecuzione di un accordo concluso tra lo Stato (nella persona del Ministero della Difesa) e la persona giuridica di diritto privato e che, per tale ragione, l’immunità non poteva operare. pene detentive e alternativamente o congiuntamente in multe a seconda della «classe» di appartenenza del reato. In particolare, se il fatto punito è commesso da una persona giuridica il giudice può optare per l’applicazione della multa massima prevista dalla classe di appartenenza immediatamente superiore. Per i delitti economici trovano applicazione le disposizioni del Libro I del codice penale contenenti i principi generali (ivi incluso come abbiamo visto l’art. 51 del codice penale) e, con riferimento alle investigazioni, le disposizioni del codice di procedura penale, salvo che vi sia un’espressa deroga contenuta nella legge complementare o nella legislazione economica richiamata agli articoli 1 e 1a WED. Particolare competenza è attribuita per i reati economici all’officier van justitie nell’applicazione di misure di carattere provvisorio, consistenti, ad esempio, nell’ordine all’indagato di astenersi dal compiere determinati atti o di vigilare affinché i beni sottoposti a sequestro siano mantenuti e conservati nel luogo indicato nel relativo provvedimento. 53 Hof Arnhem 22 maggio 1989, in «Milieu en Recht», n. 81, 1989. 54 Lo streekgewest è un’organizzazione di Comuni regolata dall’art. 1 della legge sulle organizzazioni comunali. 55 Hoge Raad 9 giugno 1992, in «Nederlandse Jurisprudentie», 1992/749. 50 E. Pavanello L’argomentare della Corte non può che destare perplessità: mediante questa sentenza, infatti, l’organo giudicante ha erroneamente attribuito rilevanza all’esistenza di un accordo di diritto privato. Infatti non è revocabile in dubbio che anche in questo caso lo Stato ha avuto di mira la difesa di un compito pubblico e un accordo di diritto privato non è in grado di mutarne la natura. Preferibile allora pensare che la Corte abbia voluto dare priorità alla tutela dell’ambiente, condannando il Comune56, al fine di sopperire alle carenze di tutela cui l’applicazione dei principi dell’overheidstaak avrebbe condotto. 6.5. Le connessioni tra irresponsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico e irresponsabilità dei dirigenti di fatto e di coloro che hanno dato l’ordine criminoso. (I casi Waterschap West Friesland, Provincie Noord Holland e Pikmeer I). Nella dottrina olandese, tradizionalmente, i tre casi citati vengono trattati congiuntamente in quanto costituiscono la consacrazione del criterio dell’esecuzione di un compito pubblico da parte di un ente pubblico ai sensi del capitolo 7 della Costituzione. In particolare, nei casi Waterschap West Friesland57 e Provincie Noord Holland58 gli enti pubblici de quibus avevano proceduto a bruciare della paglia sulla riva di un fiume senza aver ottenuto la preventiva autorizzazione. Ciò costituisce una violazione dell’articolo 10.3 comma 2 della legge sulla protezione dell’ambiente, condotta sanzionata penalmente ai sensi dell’articolo 1 della WED, nonché violazione dei regolamenti comunali (algemeen plaatselijke verordening, apv) rispettivamente del comune di Alkmaar e di Obdam. In primo grado il Tribunale aveva verificato la sussistenza delle condizioni richieste dalla giurisprudenza e aveva ritenuto che gli enti in questione fossero organi pubblici ai sensi del capitolo 7 della Costituzione. Inoltre, il Tribunale aveva ritenuto che l’attività fosse stata eseguita nell’adempimento di un compito di carattere pubblico, il mantenimento e la gestione dei canali provinciali: per tale ragione l’azione della pubblica accusa era stata dichiarata irricevibile. A fronte di detta decisione, il p.m. ha proposto ricorso in Cassazione ritenendo che pur esistendo per gli enti pubblici alternative di condotte «lecite» – ovvero bruciare la paglia previa autorizzazione o, in alternativa, rimuovere la stessa dalla riva del fiume – essi avevano violato la normativa vigente, senza perseguire alcun compito Van der Jagt, Decentraal bestuur vervolgbaar? Een onderzoek naar de strafrechtelijke en bestuursrechtelijke aspecten van het Pikmeer II arrest, cit., p. 37 e Roef, Strafbare overheden. Een rechtsvergelijkende studie naar de strafrechtelijke aansprakelijkheid van overheden voor milieuverstoring, cit., p. 94. 57 Hoge Raad 23 aprile 1996, in «Nederlandse Jurisprudentie», 1996/512. 58 Hoge Raad 23. aprile 1996, in «Nederlands Juristenblad», n.61, 14 giugno 1996. 56 L’ordinamento olandese 51 pubblico specifico. La pubblica accusa ha reiterato la richiesta di condanna. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, rilevando come correttamente il Tribunale avesse ritenuto che le condotte tenute dalla Provincia e dall’Autorità per le acque pubbliche integrassero l’esecuzione di un compito pubblico. Il fatto che nel caso specifico gli imputati avessero omesso di compiere quanto necessario per evitare che si verificassero fatti penalmente rilevanti non ha inciso sulla decisione della Corte. Il caso Pikmeer, invece, risulta particolarmente interessante perché la Suprema Corte non si è occupata (solamente) della perseguibilità penale della persona giuridica, ma (soprattutto) della posizione dei dirigenti di fatto e delle persone che hanno dato l’ordine di porre in essere la condotta illecita. Nel caso specifico, il Comune di Boarnsterhim era stato accusato di aver gettato nel lago Pikmeer dei fanghi inquinanti, in violazione dell’art. 1 comma 3 sull’inquinamento ambientale, fattispecie sanzionata penalmente ai sensi dell’art. 1 WED. Insieme al Comune era stata indagata anche una società di diritto privato che aveva partecipato alla realizzazione della condotta illecita. In primo grado il Tribunale ha ritenuto che il Comune avesse agito nell’esecuzione di un compito pubblico e che, trattandosi di ente ai sensi del capitolo 7 della Costituzione, lo stesso non poteva essere perseguito. Tuttavia ciò, a parere dell’organo giudicante, non impediva di considerare il Comune autore del fatto illecito con la conseguenza che i dirigenti di fatto e coloro che avevano dato l’ordine avrebbero potuto essere perseguiti. La Corte di Cassazione ha contraddetto questa tesi sostenendo che la perseguibilità delle persone giuridiche, da un lato, e dei dirigenti di fatto e di coloro che hanno dato l’ordine, dall’altro, si trovano in una posizione di interdipendenza che determina la non perseguibilità dei funzionari pubblici, qualora abbiano agito nell’esecuzione di un compito pubblico. La Cassazione ha sostenuto che l’irresponsabilità della persona giuridica di diritto pubblico, impedisce di considerare la stessa «autore» del fatto illecito con la conseguenza che nemmeno coloro che hanno agito in quelle particolari posizioni possono essere perseguiti. Rimarranno quindi perseguibili unicamente le persone fisiche che materialmente hanno posto in essere la condotta incriminata59. Il ragionamento può essere condiviso nella misura in cui si considera l’irresponsabilità degli enti pubblici non come una semplice causa di non procedibilità, ma come un vero e proprio ostacolo all’affermazione della responsabilità penale dell’ente pubblico. Infatti, se non è possibile qualificare autore del reato la persona giuridica, nemmeno la responsabilità dei dirigenti di fatto e di coloro che hanno dato l’ordine Roef, Th. De Ros, De strafrechtelijke aansprakelijkheid van de rechtspersoon im Nederland; rechtstheoretische beschouwingen bij enkele praktische knelpunten, in De strafrechtelijke en civielrechtelijke aansprakelijkheid van de rechtspersoon en zijn bestuurders, red. Michael Faure, Intersentia, Antwerpen 1998, p. 98. 59 52 E. Pavanello potrà venire in rilievo. Parte della dottrina, nel condividere la decisione della Corte, ha evidenziato che i soggetti menzionati sono partecipi, al pari dell’ente pubblico, di competenze di carattere pubblicistico, il che impedisce di procedere nei loro confronti60. Secondo altri studiosi invece, la sentenza va criticata poiché non sussistono ostacoli nel prevedere una responsabilità penale nei confronti dei soggetti menzionati al secondo comma n. 2 dell’art. 51 c.p.61, indipendentemente dall’immunità goduta dagli enti pubblici. L’interpretazione proposta dalla Corte di Cassazione determina, in concreto, la violazione del principio di eguaglianza giuridica tra i soggetti fisici, a seconda che gli stessi siano alle dipendenze delle persone giuridiche di diritto privato o di diritto pubblico. Proprio nel caso di specie detta disuguaglianza è risultata manifesta in quanto i soggetti dipendenti della società privata che avevano partecipato alla realizzazione della condotta criminosa sono stati condannati, mentre quelli alle dipendenze del Comune hanno potuto fare appello all’irresponsabilità. 7. Le posizioni della dottrina sulla perseguibilità delle persone giuridiche di diritto pubblico (enti decentrati). 7.1. Gli argomenti addotti a favore dell’irresponsabilità penale. La dottrina olandese si è interrogata sul fondamento dell’irresponsabilità degli enti pubblici e sull’opportunità di una simile soluzione, enucleando le argomentazioni a favore e contro una siffatta impostazione. La riflessione scientifica molto spesso si è tuttavia limitata ad accennare alle questioni senza approfondirle in modo compiuto: si ritiene comunque opportuno dare conto dei diversi argomenti individuati dalla dottrina, ancorch’è si tratti di mere sollecitazioni critiche. 7.2. L’impossibilità per il giudice penale di vagliare la legittimità dell’attività della pubblica amministrazione: responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico e violazione del principio della divisione dei poteri. Critiche. Uno dei principali argomenti addotti a sostegno dell’irresponsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico è l’impossibilità per il giudice penale di sottoVan Strien, De strafrechter en de bestuurlijke mantel der liefde (*1) over de vervolgbaarheid van publiekrechtelijke rechtspersonen, cit., p. 591; J. Wortel, Verdachte overheden, in «Nederlands Juristenblad» 1988, p. 1518. 61 Torringa, Strafbaarheid van rechtspersonen, cit., p. 157. 60 L’ordinamento olandese 53 porre al proprio vaglio l’attività della pubblica amministrazione perché ciò contrasterebbe con il principio proprio di ogni stato di diritto della divisione dei poteri. Anche se la Corte di Cassazione non ha fatto espressamente riferimento nelle proprie decisioni a questo principio, l’argomentazione emerge implicitamente nella misura in cui si esclude che i fatti illeciti compiuti nell’esercizio di un compito pubblico possano essere sottoposti a giudizio penale. Come noto il fondamento del principio risiede nella necessità di prevenire la concentrazione e l’arbitrarietà del potere: a tal fine è necessario che i tre poteri legislativo, esecutivo e giudiziario, mantengano un’autonomia l’uno rispetto all’altro e siano esercitati da organi distinti. Sulla scorta di tale ragionamento la dottrina olandese che si è posta a favore dell’irresponsabilità degli enti pubblici ha chiarito che l’azione amministrativa dovrebbe essere libera da controlli e da condizionamenti giudiziari (in modo cioè che sia garantita la beleidsvrijheid, libertà di scelta, e la beoordelingsvrijheid, libertà di giudizio dell’amministrazione). In modo criticabile è stato sostenuto, ad esempio, che la persona giuridica di diritto pubblico non potrà essere perseguita per fatti che sono stati eseguiti in attuazione di una decisione adottata secondo le regole democratiche da un organo a ciò legittimato, come nel caso di una decisione adottata dal Consiglio Comunale62. È pur vero tuttavia che la libertà d’azione dell’amministrazione può essere garantita limitando la sfera di controllo del giudice penale alla legittimità della scelta dell’amministrazione e non estendendo il giudizio anche all’opportunità politica della stessa: quest’ultima non potrà mai essere posta in discussione, ma dovrà rimanere piuttosto terreno di discrezionalità amministrativa. Proprio il giudizio penale sembra essere l’unico in grado di garantire la necessaria trasparenza dell’attività pubblica63. L’argomento in esame non risulta, dunque, realmente decisivo per giustificare l’irresponsabilià penale degli enti pubblici, vieppiù in considerazione del fatto che nulla impedisce di perseguire penalmente i singoli funzionari per i reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni, ancorch’è gli stessi detengano parte dell’autorità pubblica propria degli enti pubblici cui appartengono64. Non di secondario rilievo è poi la circostanza che esiste un controllo da parte del giudice civile e amministrativo sull’attività dell’amministrazione pubblica. Al riVan Strien, De strafrechter en de bestuurlijke mantel der liefde (*1) over de vervolgbaarheid van publiekrechtelijke rechtspersonen, cit., p. 593. 63 De Hullu, Een bijzondere strafrechtelijke positie voor de verdachte overheid?, in Strafbaarheid van overheden, cit., p. 56. 64 Roef, Strafbare overheden. Een rechtsvergelijkende studie naar de strafrechtelijke aansprakelijkheid van overheden voor milieuverstoring, cit., p. 284 ricorda che nel sistema giuridico olandese, ad esempio, i Ministri e i Segretari di Stato possono essere perseguiti penalmente tramite una procedura ad hoc indicata nella Costituzione per gli atti illeciti compiuti nell’esercizio delle loro funzioni (si confrontino in particolare gli art. 42, 46, 119 Costituzione olandese); A. De Lange, De dictatuur van de magistratuur, in «Nederlands Juristenblad», afl. 12, 1995, p. 442. 62 54 E. Pavanello guardo ci si è interrogati sulla ragione per la quale al giudice penale dovrebbe essere precluso un ambito di indagine che invece compete in modo pacifico ai giudici civile e amministrativo65. 7.3. La perdita di fiducia da parte dei consociati nell’ente e di legittimazione dell’attività di quest’ultimo in caso di condanna penale. Critiche. Un’altra argomentazione che tradizionalmente viene addotta a sostegno dell’irresponsabilità degli enti pubblici decentrati è che i cittadini perderebbero la fiducia nelle istituzioni pubbliche qualora gli enti in questione venissero sottoposti a procedimento penale. Infatti, l’ente pubblico in quanto istituzione fondamentale nella vita sociale avente come scopo il perseguimento del bene pubblico, sarebbe considerato alla stregua di un comune «criminale», il che determinerebbe un senso di sconforto in capo ai consociati66. Strettamente legata alla sfiducia, si pone l’idea del venir meno della stessa legittimità dell’azione pubblica: infatti, gli enti hanno la competenza di porre le norme e di farle rispettare e la loro autorità – si sostiene − verrebbe minata laddove si ritenesse che le autorità pubbliche sono sottoposte alle norme che esse pongono. Queste argomentazioni paiono francamente poco convincenti e persuasive. Non si può infatti seriamente sostenere che la perdita di fiducia da parte dei cittadini consegua al fatto che l’ente viene sottoposto ad un procedimento penale. Piuttosto si verificherà il contrario: la consapevolezza dell’impunità degli enti pubblici desterà un senso di diffidenza nei confronti delle istituzioni e minerà la legittimità della loro azione67. 7.4. Il versante sanzionatorio: il rischio per la continuità dell’attività dell’ente pubblico in caso di condanna e la dannosità per i cittadini dell’eventuale sanzione pecuniaria inflitta all’ente. Critiche. Forti perplessità sono state manifestate dalla dottrina in ordine alla possibilità di utilmente irrogare sanzioni penali nei confronti degli enti pubblici. Per ciò che concerne in particolare le sanzioni pecuniarie, è stato ravvisato un pericolo per la stessa continuità del servizio pubblico, il quale rischierebbe di essere Hendriks, De lange, Strafvervolging van overheden na het Tweede Pikmeer-arrest, cit., p. 42. U.T. Hoekstra, Reactie op «De dictatuur van de magistratuur», in «Nederlandse Jurisprudentie», 1995, afl. 33, p. 1243. 67 Hendriks, De Lange, Strafvervolging van overheden na het Tweede Pikmeer-arrest, cit., p. 43 e chr. brants, Word vervolgd [...] Het Pikmeer II-arrest, in «Delikt en Delinkwent», afl. 4, 1998, p. 328. 65 66 L’ordinamento olandese 55 paralizzato dal pagamento di somme rilevanti da parte dell’ente. Quest’ultimo, infatti, rischierebbe di non disporre dei fondi necessari per poter garantire la regolare prosecuzione della propria attività, rischio che non può essere tollerato perché, in ultima analisi, l’effetto negativo della sanzione si ripercuoterebbe proprio sui cittadini68. Inoltre, si è criticamente rilevato che la sanzione pecuniaria si tradurrebbe in un mero passaggio di danaro da un dipartimento statale ad un altro producendo il paradossale effetto che l’ente pubblico pagherebbe l’ammontare della sanzione ad altro ente pubblico (vestzak-broekzak69). A seguito di una condanna, i consociati vedrebbero in sostanza diminuire la qualità dei servizi loro offerti dall’ente pubblico (con eventuale aumento dei costi di detto servizio), mentre la sanzione pecuniaria inflitta all’ente sarebbe (quasi) senza effetto per quest’ultimo. A fronte di dette critiche occorre evidenziare, in primis, che la condanna penale riveste un valore simbolico notevole. Essa, infatti, potrebbe determinare conseguenze politiche di particolare rilievo sull’ente condannato, a beneficio quindi dei cittadini i quali vedrebbero mutare l’assetto organizzativo «criminoso» dell’ente pubblico. Peraltro gli effetti negativi della condanna si avrebbero anche qualora venisse irrogata una sanzione pecuniaria nei confronti di una persona giuridica di diritto privato: in tal caso saranno inevitabilmente colpiti anche i lavoratori e i detentori di azioni sociali i quali non hanno partecipato al processo decisionale della condotta illecita, ma nonostante ciò subiranno di fatto le conseguenze della sanzione eventualmente applicata70. Inoltre, anche le persone giuridiche di diritto privato potrebbero far ricadere la sanzione pecuniaria subita sui propri clienti attraverso l’aumento dei prezzi dei prodotti o dei servizi71. L’asserita inutilità della sanzione penale pecuniaria può altresì essere posta in dubbio laddove si consideri che molto spesso gli enti pubblici sono organizzati al pari di qualsiasi società a carattere privato, dispongono di un proprio budget e sono particoAnaloghe argomentazioni sono state utilizzate sia dal legislatore francese che dal legislatore italiano per giustificare l’impossibilità di estendere la responsabilità penale delle persone giuridiche anche agli enti statali. Al riguardo si vedano in particolare i capitoli 3 e 7. 69 Torringa, Strafbaarheid van rechtspersonen, cit., p. 158; Strijards, Aansprakelijkheidsgronden, cit., p. 6. L’espressione vestzak-broekzak che letteralmente significa «taschino della camicia-tasca dei pantaloni», può essere tradotta con l’espressione italiana «ciò che esce dalla porta, entra dalla finestra» e rende bene l’idea dell’asserita «inutilità» dell’applicazione di un’eventuale sanzione pecuniaria. 70 Van Strien, De strafrechter en de bestuurlijke mantel der liefde (*1) over de vervolgbaarheid van publiekrechtelijke rechtspersonen, cit., p. 593. Contra Th.W. Van Veen, De strafrechtelijke aansprakelijkheid van de overheid, in «RMThemis», n. 5, 2000, p. 166 (diversa è la posizione delle persone giuridiche di diritto pubblico e privato, poiché nel caso delle persone giuridiche di diritto privato il fatto che la sanzione pecuniaria ricada sugli azionisti della società, sarebbe giustificabile in quanto gli stessi si sono legati volontariamente alla società. Ciò invece non avviene per le persone giuridiche di diritto pubblico in cui la sottoposizione alle stesse è per così dire «automatica» e soprattutto non volontaria). 71 Hendriks, De Lange, Strafvervolging van overheden na het Tweede Pikmeer-arrest, cit., p. 46. 68 56 E. Pavanello larmente «sensibili» a un’eventuale condanna che potrebbe determinare conseguenze negative anche sotto il profilo finanziario. È bene considerare inoltre che l’arsenale sanzionatorio penale non è limitato alle sole pene pecuniarie e che si potrebbero utilizzare sanzioni alternative ove ad essere condannati fossero gli enti pubblici. Al fine di evitare una paralisi del servizio pubblico sarebbe ad esempio sufficiente escludere legislativamente l’applicazione delle disposizioni sanzionatorie che potrebbero determinare un’effettiva interruzione del servizio, quali la chiusura dello stabilimento72. Da ultimo secondo alcuni studiosi le medesime argomentazioni addotte con riferimento al diritto penale dovrebbe valere nell’ipotesi dell’applicazione di sanzioni civili o amministrative: anche in questo caso infatti l’ente potrebbe rivalersi sui cittadini attraverso l’aumento dei prezzi dei servizi e la sanzione potrebbe diventare in ultima analisi «inutile»73. Tuttavia, tale rilievo non ha finora limitato l’utilizzo di detto sistema sanzionatorio nel diritto civile e amministrativo74. Si tratta di un’obiezione sicuramente suggestiva che, tuttavia, rischia di confondere i diversi piani di indagine. 7.5. L’impossibilità di sovrapporre il controllo penale dell’attività degli enti pubblici a quelli già esistenti sul piano politico e amministrativo. Critiche. Un’ulteriore ragione che ha indotto ad affermare l’impossibilità del controllo penale dei comportamenti posti in essere da parte degli enti pubblici viene rinvenuta nel fatto che gli stessi sarebbero già sottoposti ai controlli politico e amministrativo. Per controllo politico si fa riferimento al fatto che in molti casi l’ente deve rispondere del proprio operato di fronte ad un organo che dispone di poteri di controllo sulla sua attività, così come avviene a livello comunale per il Sindaco e gli assessori i quali sono responsabili nei confronti del Consiglio Comunale (art. 169, comma 1 della legge comunale). Quanto al controllo amministrativo, si cita l’esempio della necessità da parte dei membri del Consiglio Comunale di ricevere l’approvazione da parte dei deputati statali (art. 259, comma 1 legge comunale). La dottrina che invoca siffatto ostacolo fonda il proprio ragionamento sul fatto che accettare la possibilità di una sanzione penale nei confronti degli organi pubblici Questa è stata la scelta operata dal legislatore francese che ha espressamente escluso l’applicabilità di talune sanzioni qualora siano coinvolti enti pubblici nella commissione del reato. 73 Roef, Strafbare overheden een rechtsvergelijken studie naar de strafrechtelijke aansprakelijkheid van overheden voor milieuverstoring, cit., p. 300. 74 Van der Jagt, Decentraal bestuur vervolgbaar? Een onderzoek naar de strafrechtelijke en bestuursrechtelijke aspecten van het Pikmeer II arrest, cit., p. 59-60. 72 L’ordinamento olandese 57 decentrati significherebbe in sostanza controllare il potere politico: si parla in questo senso di una giustizializzazione della politica75. Anche questa argomentazione, come quelle sino a qui illustrate, è stata sottoposta ad analisi critica per più di una ragione. In primo luogo perché si è contestata l’ineffettività del controllo politico e la diversa natura delle sanzioni comminate76. Esse, infatti, sono correlate a presupposti diversi e comportano ovviamente conseguenze assai differenti. Inoltre, anche in questo caso si sono messe a paragone le sanzioni previste nel diritto civile e amministrativo ove da molto tempo si ammette la possibilità di procedere nei confronti delle persone giuridiche di diritto pubblico: conseguentemente non è dato comprendere la ragione di preclusione di un controllo penale77. Una terza critica viene mossa, invece, in relazione al fatto che l’esistenza di un controllo politico non ha mai impedito di perseguire penalmente le singole persone fisiche che giocano un ruolo nell’ambito dell’ente. Se si può condividere, per un verso, che la perseguibilità della singola persona fisica e della persona giuridica siano ancorati a presupposti diversi, per l’altro, è innegabile che la condotta materiale rilevante sia la stessa in entrambi i casi e concerna il comportamento illecito di determinate persone nell’esercizio di una funzione pubblica78. L’asserita incompatibilità tra funzione pubblica e controllo penale può quindi essere fortemente messa in discussione. Infine, è stato stigmatizzato il fatto che detta argomentazione escluda in toto l’applicazione di sanzione penale nei confronti delle persone giuridiche di diritto pubblico e non attribuisca invece al diritto penale un ruolo meramente sussidiario79. D.J. Elzinga, Heethoofdige reacties op het Pikmeerarrest, in «Binnenlands Bestuur», n. 20, 1997, p. 39. Detta argomentazione è stata sostenuta anche dal Consiglio di Stato nel parere emesso in data 28 aprile 1999 su cui infra. 76 A.M. Fransen, Crimineel overheidsgedrag in de doofpot Een ongeschreven titel van het Wetboek van Strafrecht, in «Nederlands Juristenblad», afl. 1, 1997, p. 13; Th.G. Drupsteen, De overheid straffeloos, in «Milieu en Recht», n. 9, 1996, p. 155; P. Bordewijk, Strafvervolging van overheden, een bestuurlijk labyrint, in «Openbaar bestuur», afl. 11, 1997, p. 17; Roef, De strafbaarheid van overheden en leidinggevende ambtenaren; enkele beschouwingen naar aanleiding van het Pikmeer-arrest, in «Jurisprudentie Bestuursrecht», afl. 16, 1996, p. 1116. 77 Hendriks, De Lange, Strafvervolging van overheden na het Tweede Pikmeer-arrest, cit., p. 42; Wortel, Verdachte overheden, cit., p. 1516; Fransen, Crimineel overheidsgedrag in de doofpot Een ongeschreven titel van het Wetboek van Strafrecht, cit., p. 12-13; Brants, De lange, Strafvervolging van overheden, Gouda Quint,Deventer, 1996, p. 80; Brants, Word vervolgd... Het Pikmeer II-arrest, cit., p. 328. 78 Roef, Strafbare overheden een rechtsvergelijken studie naar de strafrechtelijke aansprakelijkheid van overheden voor milieuverstoring, cit., p. 296. 79 De Lange, De dictatuur van de magistratuur, cit., p. 445; De Hullu, Een bijzondere strafrechtelijke positie voor de verdachte overheid?, cit., p. 62. 75 58 E. Pavanello 7.6. Gli argomenti contro l’irresponsabilità penale. Sino ad ora sono stati illustrati gli argomenti addotti a sostegno dell’immunità penale degli enti pubblici. A questo punto della ricerca si intendono enucleare le ragioni sostenute da coloro che invece hanno invocato la necessità di procedere penalmente nei confronti delle persone giuridiche di diritto pubblico. 7.7. La necessità di fronteggiare la criminalità diffusa all’interno degli enti pubblici. L’immunità e la conseguente violazione del principio di eguaglianza tra le diverse persone giuridiche. Al di là delle argomentazioni specificamente addotte per contestare l’irresponsabilità penale degli enti pubblici (su cui infra), la necessità di utilizzare lo strumento penale anche nei confronti delle persone giuridiche di diritto pubblico è stato giustificato per l’esigenza di far fronte ad una criminalità diffusa all’interno di enti e società, in cui la semplice individuazione delle persone fisiche responsabili (ammesso che ciò sia possibile) non è in grado di garantire una risposta sanzionatoria adeguata. Il fondamento quindi è il medesimo che ha condotto il legislatore olandese ad introdurre nel 1976 la responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto privato. Seguendo la posizione della Corte di Cassazione sin qui illustrata, infatti, le uniche persone che dovrebbero «rispondere» per le violazioni del diritto penale sono i soggetti fisici che hanno agito nell’ambito degli enti pubblici, i quali spesso saranno solo i capri espiatori di un’organizzazione «criminosa» ben più estesa. È esclusa, infatti, la responsabilità dei dirigenti di fatto e di coloro che hanno dato l’ordine di commettere un’attività illecita i quali potranno fare appello all’immunità penale. Risultato, questo, non accettabile secondo parte della dottrina olandese. L’impossibilità di procedere penalmente nei confronti delle persone giuridiche di diritto pubblico sarebbe vieppiù ingiustificata se si raffronta la posizione degli enti pubblici con quella delle persone giuridiche di diritto privato. È il principio di eguaglianza quindi ad essere violato sotto più di un profilo laddove venga riservato un trattamento penale differenziato ai diversi soggetti di diritto80. Infatti, da un punto di vista generale, mentre le persone giuridiche di diritto pubblico ai sensi del capitolo 7 della Costituzione che hanno agito in esecuzione di un compito pubblico sono esenti da responsabilità, le persone giuridiche di diritto privato (ancorché abbiano agito in esecuzione di analogo compito pubblico) sono sempre 80 II, M.L.W.M. Viering, R.J.G.M. Widdershoven, De strafrechtelijke positie van de overheid na Pikmeer in «Strafbaarheid van overheden», Tjeenk Willink, Deventer 1998, p. 70. L’ordinamento olandese 59 soggette a responsabilità penale. L’esecuzione del compito pubblico (overheidstaak) − la cui nozione resta peraltro vaga ed oscura − può infatti essere attribuita anche agli enti privati: se il fondamento dell’irresponsabilità risiede nel fatto che la natura del compito sia di tale rilievo che qualsiasi controllo sulla legittimità della sua esecuzione è precluso al giudice penale, non si vede per quale ragione le persone giuridiche di diritto privato non dovrebbero godere di analoga irresponsabilità81. Peraltro dubbi sono stati fondatamente espressi in relazione all’effettiva linea di discrimine tra «pubblico» e «privato»82. Senza contare che, anche all’interno della stessa categoria «persone giuridiche di diritto pubblico», il principio di eguaglianza verrebbe violato poiché gli enti elencati nel capitolo 7 della Costituzione potrebbero invocare l’esenzione da responsabilità, mentre gli altri enti pubblici − a prescindere dal fatto che abbiano agito o meno per l’esecuzione di un compito pubblico − non potrebbero mai invocare detta esenzione. Esemplificativo al riguardo il caso delle autorità amministrative indipendenti: ove esse siano dotate di propria personalità giuridica risponderanno penalmente in quanto trattasi di enti non indicati nel capitolo 7 della Costituzione; laddove, invece, non abbiano rilevanza autonoma e siano parte di uno degli enti indicati nel capitolo 7 della Costituzione potranno fare appello all’immunità83. Da ultimo, è stata criticamente valutata la posizione delle persone fisiche che hanno agito in qualità di dirigenti di fatto o di coloro che hanno dato l’ordine: il trattamento giuridico cui le stesse sono sottoposte è diversificato a seconda che abbiano agito per una persona giuridica di diritto privato (o un ente pubblico che non può essere considerato tale ai sensi del capitolo 7 della Costituzione) e un ente pubblico. Disparità di trattamento che è manifesta dall’analisi del caso Pikmeer i: i giudici hanno infatti condannato le persone fisiche che avevano agito nell’ambito della società di diritto privato, mentre non hanno proceduto nei confronti dei dipendenti del Comune di Boarnsterhim, in quanto anch’essi hanno potuto invocare l’immunità. Detta disuguaglianza determinerebbe, secondo parte della dottrina, sfiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni che hanno violato la legge penale: il rischio è che venga messa in discussione la stessa legittimità dell’azione degli enti pubblici. Senza contare poi che l’ente pubblico dovrebbe svolgere una funzione di esempio per gli altri soggetti: quale esempio potranno trarre i cittadini dal fatto che le istituzioni di diritto pubblico hanno violato la legge penale e per di più restano impunite84? De Lange, De dictatuur van de magistratuur, cit., p. 444; Hendriks, De Lange, Strafvervolging van overheden na het Tweede Pikmeer-arrest, cit., p. 43. 82 Van der Jagt, Decentraal bestuur vervolgbaar? Een onderzoek naar de strafrechtelijke en bestuursrechtelijke aspecten van het Pikmeer II arrest, cit.,p. 64. 83 Viering, Widdershoven, De strafrechtelijke positie van de overheid na Pikmeer II, cit., p. 71. 84 Ivi, p. 70; Hendriks, De Lange, Strafvervolging van overheden na het Tweede Pikmeer-arrest, cit., p. 43; van der Jagt, Decentraal bestuur vervolgbaar?, cit., p. 62-71 e bibliografia ivi citata. 81 60 E. Pavanello Come è possibile notare molto spesso gli argomenti addotti a sostegno dell’immunità, vengono posti alla base delle riflessioni di quella parte della dottrina che invece ritiene imprescindibile prevedere una responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico. Si tratta di una circostanza assai indicativa poiché dà atto della spinosità della questione, non esistendo argomentazioni dirimenti che possono essere addotte a sostegno dell’una o dell’altra opzione. Si rileva comunque che anche se la maggior parte della dottrina auspica la parificazione della posizione delle persone giuridiche di diritto pubblico a quelle di diritto privato (un’indubbia maggioranza), essa non contesta che l’ente pubblico presenti caratteristiche del tutto peculiari che inducono a limitare il ricorso allo strumento penale. Strumento che dovrà essere calibrato sia per ciò che concerne le sanzioni da applicare, sia per ciò che riguarda le norme che regolano la procedura, rendendo ad esempio particolarmente pregnanti le valutazioni in ordine alla possibilità di esercitare l’azione penale che nel sistema olandese non è obbligatoria85. 8. La posizione del Governo: la necessità di perseguire gli enti pubblici che hanno posto in essere la condotta illecita al di fuori dell’attività di esecuzione di un compito pubblico intesa in senso «materiale». In seguito alle pronunce giurisprudenziali che hanno sancito la parziale irresponsabilità penale degli enti pubblici decentrati, il Governo, su istanza di alcuni parlamentari che chiedevano un chiarimento della posizione dell’esecutivo, in data 4 aprile 1997, ha adottato il rapporto Strafrechtelijke aansprakelijkheid van overheidsorganen (Responsabilità penale degli enti pubblici)86. In tale rapporto il Governo si è dichiarato in sostanziale accordo con i principi statuiti dalla giurisprudenza Pikmeer i e ha ritenuto non necessario procedere ad una modifica legislativa dell’art. 51 c.p. L’esecutivo ha affermato, infatti, che alla stregua del principio di eguaglianza giuridica è necessario riconoscere che anche le persone giuridiche di diritto pubblico sono sottoposte al diritto e alle sanzioni dallo stesso previste, così come avviene per tutti i cittadini. Tuttavia, ciò non implica, secondo il Governo, che la sanzione debba essere necessariamente di carattere penale. Al contrario, occorrerà incentivare l’uso delle sanzioni di carattere amministrativo e politico, ad esempio, estendendo la possibilità di annullare le decisioni adottate dagli organi pubblici in caso di contrasto con la legge penale o aumentando le ispezioni di carattere amministrativo. Il controllo penale non è, quindi, escluso ma deve essere relegato ad ipotesi ben limitate, soprattutto in considerazione del fatto che una sanzione pecuniaria inflitta ad De Hullu, Een bijzondere strafrechtelijke positie voor de verdachte overheid? , cit., p. 57-58. Si tratta della relazione presentata dal Governo alla seconda Camera rinvenibile in «Tweede Kamer, vergaderjaar», 25, 1996-1997, p. 294. 85 86 L’ordinamento olandese 61 una persona giuridica di diritto pubblico potrebbe avere effetti deleteri nei confronti dei cittadini87. Il Governo ha chiarito in particolare che la sanzione penale dovrebbe trovare applicazione al di fuori delle ipotesi in cui l’ente pubblico agisce per l’esecuzione di un compito pubblico. E ciò in quanto la libertà di azione dell’amministrazione, ovvero la libertà di valutare i diversi interessi in gioco e di adottare le misure ritenute più opportune, non può essere limitata dal controllo del giudice penale88. Per determinare quando l’ente abbia agito nell’esecuzione di un compito pubblico non è sufficiente rinvenire una norma giuridica che attribuisca una determinata competenza all’ente in questione (criterio formale), ma si ritiene piuttosto necessario valutare anche se l’attività sia stata posta in essere proprio nell’esecuzione di (ter uitvoering van) quel compito pubblico (criterio materiale). In particolare, per valutare l’esecuzione del compito pubblico occorre procedere a due distinte considerazioni di carattere tipicamente «materiale», ovvero la verifica della misura in cui la condotta posta in essere sia connessa all’esecuzione del compito de quo e dell’esistenza di un procedimento decisionale di approvazione da parte dei soggetti rappresentativi dell’ente democraticamente eletti (ad esempio, nel caso del Comune, il Consiglio Comunale). Quanto alla seconda valutazione anche laddove la condotta sia stata legittimata da un organo democraticamente eletto, ciò non significherà automaticamente che la relativa decisione sia stata adottata in modo diligente e rispettando le norme di diritto89. In ogni caso è indubbio che l’approccio del Governo alla questione si diversifica rispetto al criterio eminentemente formale del compito pubblico indicato dalla Corte di Cassazione, nonostante le dichiarazioni dell’esecutivo di condividere pienamente la giurisprudenza del Supremo Collegio90. Come si ricorderà quest’ultima, infatti, si era limitata nelle proprie sentenze a ricercare una norma che attribuisse un determinato compito all’ente pubblico, al fine di considerare immune l’attività dallo stesso posto in essere. Colpisce il fatto, poi, che il Governo non abbia esaminato il criterio adottato dalla giurisprudenza per distinguere i soggetti pubblici immuni – ovvero la loro enunDe Hullu, Een bijzondere strafrechtelijke positie voor de verdachte overheid?, cit., p. 60 è critico rispetto a questo approccio poiché ogni sanzione penale produce inevitabilmente degli effetti negativi nei confronti dei terzi e, per tale ragione, l’argomentazione non è in alcun modo probante. 88 Roef, Strafbare. overheden een rechtsvergelijken studie naar de strafrechtelijke aansprakelijkheid van overheden voor milieuverstoring, cit., p. 109 osserva sul punto che la medesima argomentazione non viene invocata per limitare il controllo da parte del giudice civile o amministrativo. È evidente che il controllo sull’operato dell’amministrazione da parte del giudice penale dovrebbe essere consentito nella stessa misura in cui è ammesso per il giudice civile o amministrativo, ovvero con riferimento alla legittimità del comportamento e non certo all’opzione scelta. 89 Roef, Strafbare overheden een rechtsvergelijken studie naar de strafrechtelijke aansprakelijkheid van overheden voor milieuverstoring, cit., p. 110. 90 Sul punto cfr. Roef, ibidem. 87 62 E. Pavanello ciazione nel capitolo 7 della Costituzione – considerando evidentemente corretta l’opzione interpretativa adottata dalla Suprema Corte. 9. Le linee guida adottate dai pubblici ministeri sulla perseguibilità degli enti pubblici decentrati: diritto penale come ultimo rimedio. L’opinione dei pubblici ministeri che si illustra nel presente paragrafo si pone in contrasto rispetto alle posizioni espresse dalla giurisprudenza e dal Governo: la pubblica accusa ha mostrato, infatti, di condividere talune perplessità rispetto al sistema di (ir)responsabilità consacrato dalla giurisprudenza. La posizione dei pubblici ministeri con riferimento alla responsabilità penale degli organi pubblici è stata espressa nelle linee guida del 199791. In prima battuta, nel 1994, il Collegio dei pubblici ministeri aveva rilevato come le persone giuridiche di diritto pubblico che violano le prescrizioni legali in principio non possano ricevere un trattamento sanzionatorio diverso rispetto alle altre persone giuridiche92. In un sistema democratico, infatti, tutti i comportamenti dell’ente pubblico devono poter essere sottoposti al sindacato del giudice penale. Le persone giuridiche di diritto pubblico sono dunque punibili e perseguibili penalmente indipendentemente dal tipo di attività svolta. Nel dicembre del 1996, in reazione al rapporto governativo sopra illustrato, il Collegio dei pubblici ministeri ha emesso un nuovo parere circa la perseguibilità degli enti pubblici. Nello stesso è emersa la preoccupazione della pubblica accusa che la giurisprudenza Pikmeer i lasci poco spazio alla possibilità di perseguire penalmente gli enti pubblici ed è stata messa in luce l’esistenza di alcuni aspetti che fanno dubitare della correttezza della posizione adottata in tale sentenza. Essi si sono interrogati sulla ragione per cui la teoria della separazione dei poteri dovrebbe valere con riferimento alla sanzione penale e non, invece, alle sanzioni civili e amministrative che vengono comminate agli enti pubblici. È stato poi posto in discussione il criterio degli enti pubblici di cui al capitolo 7 della Costituzione, che esclude dal novero dei soggetti che possono fare appello all’immunità penale tutte le altre persone giuridiche di diritto pubblico, ancorch’è agiscano nell’esecuzione di un compito pubblico. Sotto il profilo della teoria del diritto penale relegare il controllo penale ad ambiti ristretti come quelli auspicati dalla giurisprudenza risulta, a parere del Collegio dei Procuratori, molto pericoloso perchè solo il diritto criminale può assolvere a una I pubblici ministeri hanno la possibilità in Olanda di dotarsi di specifiche linee guida in determinate materie alle quali si atterranno nell’esercizio dell’azione penale. 92 Trattasi del parere reso dal Collegio dei p.m. nel luglio 1994, pubblicato in «Leidraad Milieu, Openbaar Ministerie», 1994, p. 16-22. 91 L’ordinamento olandese 63 funzione di prevenzione e correzione. A ciò si aggiunge che i controlli politico e amministrativo, nella pratica, non sempre risultano molto efficaci, sia perchè gli organi di controllo a ciò preposti non dispongono di mezzi investigativi efficaci, sia perchè, molto spesso, sono proprio gli organi che hanno violato la norma a disporre della potestà di controllo. Il deficit di controllo penale determinerebbe, secondo i pubblici ministeri, una perdita di fiducia da parte dei cittadini nell’integrità e nella credibilità dell’ente pubblico. Da un punto di vista della procedura penale si è rilevato, inoltre, come tanto nel codice penale quanto nella WED siano messi a disposizione una serie di strumenti investigativi maggiormente incisivi al fine di punire le violazioni della legge, rispetto agli strumenti propri dei controlli amministrativo e politico. Il Collegio ha proposto quindi di procedere ad una revisione dell’art. 51 c.p. mediante l’introduzione di un quarto comma in cui si indichi chiaramente che nel concetto di persona giuridica sono compresi anche lo Stato e gli altri enti pubblici. A fronte di queste riflessioni, nel 1997, sono state pubblicate le linee guida in materia che hanno indicato una serie di criteri da seguire nel caso in cui si debba procedere nei confronti delle persone giuridiche di diritto pubblico. Innanzitutto occorre verificare se la persona giuridica possa essere considerata autore del reato e se sussista la colpa, in virtù dei criteri del potere e dell’accettazione. In secondo luogo, si valuterà se la persona giuridica de qua appartenga o meno agli enti elencati nel capitolo 7 della Costituzione. Ove la risposta alle due domande precedenti sia affermativa, il p.m. può procedere con l’azione penale solo se: i) la condotta tenuta dall’ente pubblico in violazione delle norme penali non rilevi per l’esecuzione di un compito pubblico; ii) la condotta in oggetto pur rilevando per l’esecuzione del compito pubblico, non sia stata adottata soppesando con attenzione tutti gli interessi amministrativi in gioco; iii) la condotta metta in pericolo la vita degli essere umani; iv) si tratti di un’ipotesi di flagranza di reato; v) si tratti di una violazione intenzionale delle cosiddette prescrizioni fondamentali (kernvoorschriften) che comporta una minaccia ai beni giuridici protetti dalle stesse norme. 10. Primi rilievi critici. Dall’analisi della giurisprudenza e della dottrina sviluppatesi a seguito dell’introduzione dell’art. 51 c.p. emerge che, nonostante la disposizione codicistica non prevedesse preclusioni di sorta al perseguimento degli enti pubblici, forte è stata 64 E. Pavanello l’esigenza di garantire alle persone giuridiche di diritto pubblico un trattamento diversificato. I primi tentativi giurisprudenziali di circoscrivere l’ambito di operatività della norma non possono essere considerati soddisfacenti, atteso che lasciano spazio a dubbi interpretativi. Quanto alle posizioni espresse dalla dottrina, nessuno degli argomenti addotti a favore dell’irresponsabilità degli enti pubblici sembra cogliere nel segno ed essere del tutto convincente. A parere di chi scrive né la dottrina, né la giurisprudenza sono riuscite ad individuare delle ragioni persuasive per negare la possibilità di procedere nei confronti degli enti di cui al capitolo 7 della Costituzione nell’esecuzione di un compito pubblico. Al contrario, più convincenti sono le considerazioni addotte dalla dottrina e dai pubblici ministeri in favore della perseguibilità penale degli enti decentrati: l’approccio «materiale» invocato, consente infatti al pubblico ministero di limitare l’azione penale alle sole ipotesi in cui ciò si riveli effettivamente necessario. Questo approccio contrasta con quello indicato dalla Corte di Cassazione la quale ha adottato, come visto, un criterio «formale» e non ha mai fatto alcun riferimento, nelle proprie sentenze, alla valutazione dell’interesse pubblico in gioco. La Suprema Corte ha ritenuto addirittura sufficiente affinché l’ente decentrato vada esente da responsabilità l’esistenza di un’approvazione della decisione da parte di un organo rappresentativo: ciò tuttavia non garantisce in alcun modo che la decisione de qua sia stata adottata con i dovuti criteri di diligenza, ma è semplicemente indicativo del fatto che la scelta è stata fatta nel rispetto delle regole procedurali democraticamente stabilite93. Al fine di verificare se sia stato effettivamente rispettato il dovere di diligenza da parte dell’ente pubblico, e quindi se questi possa andare esente da responsabilità penale, è più opportuno allora guardare al contenuto della condotta e comparare la natura degli interessi protetti: da un lato, quello tutelato dal codice penale attraverso la previsione della fattispecie e, dall’altro, quello cui mira la norma che conferisce l’esecuzione di determinati compiti pubblici agli enti de quibus. Si rileva infine che anche la dottrina che così fortemente ha contrastato l’idea dell’irresponsabilità penale in favore di tali soggetti di diritto, ha tuttavia sostenuto che l’azione penale nei confronti degli enti pubblici debba essere limitata a poche ipotesi in cui è manifesta la violazione dell’interesse pubblico e che debbano sempre essere privilegiati i controlli amministrativo e politico. Van der Jagt, Decentraal bestuur vervolgbaar? Een onderzoek naar de strafrechtelijke en bestuursrechtelijke aspecten van het Pikmeer II arrest, cit., p. 97. 93 L’ordinamento olandese 65 11. La revisione dei criteri adottati dalla giurisprudenza sulla possibilità di perseguire penalmente gli enti pubblici decentrati (caso Pikmeer II). La possibilità di perseguire penalmente l’ente pubblico decentrato è tornata al centro della riflessione giurisprudenziale olandese con la sentenza Pikmeer II94: infatti, il caso Pikmeer I giunto in Cassazione e sottoposto a revisione, è stato nuovamente esaminato dalla Suprema Corte che ha adottato criteri di giudizio affatto diversi rispetto a quelli in precedenza utilizzati. Dalla lettura della sentenza emerge chiaramente che il Supremo Collegio ha tenuto in considerazione le forti critiche che la dottrina aveva espresso in relazione alla giurisprudenza Pikmeer I e ha così (parzialmente) modificato il proprio orientamento. 11.1. La statuizione del principio della necessità della sottoposizione dell’ente pubblico decentrato alla legge penale. Le critiche al criterio dell’attività di esecuzione di un compito pubblico e l’affermazione della compatibilità dei controlli politico, amministrativo e penale sull’attività degli enti pubblici. Tre sono le premesse fondamentali che la Corte di Cassazione pone per giustificare la propria decisione. Innanzitutto, afferma che l’ente pubblico decentrato è sottoposto alla legge: per la prima volta si statuisce espressamente che, al pari di ogni cittadino, anche l’ente pubblico deve rispettare le norme. Tuttavia, a parere della Corte, da tale premessa non discende automaticamente che l’attività degli enti pubblici possa essere sempre sottoposta al controllo penale: l’irresponsabilità dovrà pertanto essere mantenuta, anche se diversi sono i criteri che la Corte indica per delimitare la stessa95. La seconda premessa della Corte costituisce una constatazione di fatto, ovvero che il criterio (formale) dell’overheidstaak individuato per delimitare le ipotesi di irresponsabiliità penale non è soddisfacente. Esso infatti non consente al giudice di valutare in concreto quando un comportamento penalmente rilevante sia stato tenuto nell’esecuzione di un compito pubblico: la semplice esistenza di una norma che attribuisca un compito di natura pubblicistica ad un ente pubblico decentrato non potrà sic et sempliciter ritenersi sufficiente. Occorrerà piuttosto valutare se l’azione penalmente rilevante posta in essere dalla persona giuridica di diritto pubblico sia giustificata in relazione agli interessi in gioco, considerati i principi di proporzionalità e sussidiarietà. Inoltre, molti dei compiti pubblici di competenza degli enti decentrati vengono oggi giorno eseguiti da persone giuridiche di diritto privato (la Corte ha Hoge Raad, 6 gennaio 1998, in «Nederlandse Jurisprudentie», 1998/367, con nota di JdH. Con ciò i giudici mostrano di condividere l’approccio espresso sulla questione dal Governo nel rapporto Strafrechtelijke aansprakelijkheid van overheidsorganen. 94 95 66 E. Pavanello portato l’esempio della salvaguardia dei monumenti o del mantenimento delle strade pubbliche), il che determina evidenti disparità di trattamento tra le diverse persone giuridiche non accettabile. Terza e ultima premessa posta dalla Corte concerne l’affermazione della piena compatibilità dei controlli politico e amministrativo sugli organi decentrati con la responsabilità penale. Anche questo è un dato importante che pone fine all’asserita incompatibilità tra i diversi sistemi di controllo esistenti per giudicare sulla legittimità dell’attività pubblica. 11.2. L’affinamento dei criteri per l’attribuzione dell’immunità agli enti pubblici decentrati. La statuizione della loro irresponsabilità penale laddove la condotta illecita sia esecuzione di un compito pubblico che può essere posto in essere esclusivamente dal funzionario pubblico. Poste le premesse di cui sopra, la Corte ha ritenuto necessario affinare i criteri dell’irresponsabilità, ciò che costituisce sicuramente la novità di maggior rilievo della sentenza. La Cassazione ha statuito infatti che possono fare appello all’«immunità» esclusivamente gli enti pubblici indicati nel capitolo 7 della Costituzione, qualora abbiano tenuto una condotta che per la sua natura e in base alle indicazioni legislative, può essere posta in essere esclusivamente da funzionari pubblici che eseguono un compito pubblico loro espressamente attribuito, cosicché è escluso che persone giuridiche di diritto privato possano partecipare alla medesima attività96. In questo modo, pertanto, la Corte ha ristretto l’ambito di applicazione dell’immunità ai soli comportamenti che sono di dominio esclusivo degli enti pubblici in quanto si tratta di attività che possono essere eseguite unicamente da funzionari pubblici97. Nella sentenza non vi è alcuna indicazione per individuare quali siano detti compiti pubblici e la dottrina al riguardo non ha mancato di rilevare, come vedremo infra, la genericità e la scarsa puntualità di detto criterio. Esso, tuttavia, nell’opinione della Corte consentirebbe di superare le critiche avanzate dalla dottrina alla sentenza Pikmeer I con riferimento alla disuguaglianza tra le diverse persone giuridiche: se, infatti, le attività coperte da immunità sono di esclusiva competenza degli enti pubblici, ciò significa che una persona giuridica di diritto privato non potrà mai porre in essere una condotta analoga e, pertanto, non vi sarà il rischio che a fronte di identiche condotte materiali, diverso sia il trattamento sanzionatorio. 96 97 Si veda in particolare il punto 5.7. della sentenza citata. «De gedragingen niet anders dan door bestuursfunctionarissen konen worden verricht». L’ordinamento olandese 67 Con l’estensione delle ipotesi in cui le persone giuridiche di diritto pubblico sono perseguibili penalmente, aumenta anche il numero delle persone fisiche perseguibili (dirigenti di fatto o coloro che hanno dato l’ordine): l’immunità di tali persone è strettamente correlata a quella degli enti decentrati ove essi esplicano la propria attività. Alla luce dei nuovi criteri, è possibile ritenere pertanto che molti dei casi giurisprudenziali in precedenza illustrati sarebbero stati risolti in modo diverso e avrebbero condotto ad una condanna dell’ente pubblico. Si pensi, ad esempio, al caso Tilburg in cui è stato affermato il principio dell’attività esecutiva di un compito pubblico: l’apposizione dei rallentatori di velocità è attività che può essere eseguita anche da una società di diritto privato e, in quanto tale, non sarebbe più coperta dall’immunità penale. 11.3. La possibile applicazione nei confronti degli enti decentrati che hanno posto in essere la condotta illecita al di fuori dell’esecuzione di un compito pubblico di esclusiva competenza del funzionario pubblico delle cause di giustificazione dello stato di necessità e dell’adempimento del dovere. Laddove l’ente decentrato non possa fare appello all’immunità (o perchè non rientra tra quelli indicati nel capitolo 7 della Costituzione o perchè non ha agito nell’esecuzione di un compito pubblico nel senso sopra indicato), la Corte di Cassazione ha indicato la necessità di procedere ad un’ulteriore verifica e valutare l’eventuale sussistenza di cause di giustificazione (rechtsvaardigingsgronden) in favore dell’ente che escludano l’antigiuridicità del fatto. La sentenza ha fatto espresso riferimento all’ipotesi dell’adempimento di un dovere previsto da una norma di legge (art. 42 c.p., wettelijke voorschriften98) da parte dell’ente: l’attività posta in essere dallo stesso, ancorché in violazione della norma penale, dovrebbe andare esente da pena in quanto un’altra previsione di legge imponeva all’ente di porre in essere quella determinata condotta. La dottrina ha successivamente esteso tale ragionamento anche all’ipotesi dello stato di necessità (art. 40 c.p., noodtoestand) cui eventualmente gli enti possono fare appello99. In questo modo la Suprema Corte ha dimostrato di optare per un approccio «materiale», volto a valutare gli interessi pubblici in gioco. Il controllo del giudice penale L’articolo 42 c.p. prevede che non è punibile la persona che ha commesso il reato in esecuzione di un dovere imposto da una norma di legge. 99 L’art. 40 c.p. prevede che non è punibile la persona che ha commesso il reato in conseguenza di forza maggiore (overmacht). Mentre nella disposizione dell’art. 42 c.p. relativa all’adempimento di una prescrizione di legge sussiste un contrasto tra due diverse norme di legge, nel caso dell’art. 40 c.p. (stato di necessità), il contrasto sussiste tra due interessi giuridici diversi. Secondo Hendriks, De Lange, 98 68 E. Pavanello dovrà essere limitato alla legittimità del comportamento e l’interesse che potrà giustificare la violazione della norma penale non potrà mai essere di natura finanziaria, ma dovrà trattarsi piuttosto di interessi di particolare rilievo quali, ad esempio, la tutela della salute o della sicurezza pubblica. 11.4. La necessità di valutare l’opportunità di procedere penalmente nei confronti dell’ente pubblico responsabile e la possibilità di applicare sanzioni penali alternative rispetto a quella pecuniaria. Nell’ipotesi in cui l’ente decentrato non possa nemmeno invocare una causa di giustificazione e si debba quindi procedere a condanna, il giudice penale nell’applicare la sanzione potrà comunque tenere in considerazione la peculiare natura dell’ente stesso, decidendo di applicare una sanzione diversa rispetto a quella che applicherebbe in situazione analoga ad una persona giuridica di diritto privato. Si potrà così ipotizzare la condanna dell’ente a sanzioni «alternative» rispetto a quella pecuniaria, quali, ad esempio, l’eliminazione del danno patito dalla parte offesa del reato, l’annullamento dell’ingiusto profitto ottenuto dall’ente, la pubblicazione della sentenza. L’indicazione è di primaria importanza perchè consente di rispondere ad una delle principali obiezioni avanzate in relazione all’impossibilità di perseguire penalmente una persona giuridica di diritto pubblico, ovvero il cosiddetto argomento del vestzak-broekzak. Ciò posto, la Corte di Cassazione ha voluto lasciare un’ulteriore spazio di «fuga» dal diritto penale per gli enti pubblici decentrati indicando che, in ogni caso, il pubblico ministero deve poter valutare liberamente l’effettiva opportunità di procedere penalmente (vervolgingsbeleid). Una ragione che, ad esempio, conduce a negare la necessità di un intervento penale, si verifica quando sia già in corso un procedimento amministrativo: sarà opportuno attendere l’esito dello stesso, prima di procedere penalmente. Si ribadisce, quindi, il principio che il diritto penale costituisce ultimum remedium: un uso sconsiderato della sanzione penale condurrebbe inevitabilmente ad una totale apatia nei confronti degli altri sistemi di controllo. È bene dunque che lo stesso venga utilizzato solo laddove gli altri mezzi repressivi non abbiano alcuna efficacia. Strafvervolging van overheden na het Tweede Pikmeer-arrest, cit., p. 44-46, proprio per tale motivo la seconda scriminante indicata potrà essere invocata con maggior frequenza da parte di un ente pubblico che ha agito violando la prescrizione penale nell’esecuzione di un’attività. Infatti, in queste ipotesi l’ente avrà plausibilmente soppesato i diversi interessi giuridici in gioco e avrà ritenuto di agire violando le norme penali, per garantire il perseguimento di un interesse pubblico. Con riferimento allo stato di necessità Viering, Widdershoven, De strafrechtelijke positie van de overheid na Pikmeer II, cit., p. 78 ritengono che la scriminante potrà trovare applicazione nell’ipotesi in cui non è possibile attendere per l’ente pubblico i tempi tecnici per l’emissione di una determinata autorizzazione in quanto ciò potrebbe determinare ad esempio un grave pregiudizio all’ambiente. L’ordinamento olandese 69 Il sistema delineato dalla Corte di Cassazione per gli enti pubblici decentrati prevede una serie di verifiche che dovranno necessariamente essere effettuate prima di poter procedere all’irrogazione della sanzione. Innanzitutto, il giudice deve chiedersi se l’ente pubblico decentrato appartenga o meno a quelli indicati nel capitolo 7 della Costituzione; poi dovrà procedere a verificare se la condotta vietata sia stata tenuta in esecuzione di un compito pubblico attribuito all’ente pubblico dalla legge, compito che può essere eseguito unicamente dai funzionari pubblici. Ove le risposte siano entrambe affermative, l’ente decentrato potrà fare appello all’immunità penale. In caso contrario invece, si dovrà procedere a verificare l’eventuale operatività delle cause di giustificazione e a valutare l’effettiva opportunità di procedere penalmente. Solo laddove si ritenga assolutamente necessaria l’applicazione della sanzione penale, residua comunque in capo al giudice la possibilità di utilizzare misure punitive diverse rispetto a quelle che sarebbero state applicate in situazione analoga ad una persona giuridica di diritto privato. Dall’analisi della sentenza emerge come il sistema penale olandese attraverso la discrezionalità dell’azione penale, ben consenta di modulare la risposta sanzionatoria nel caso in cui soggetti attivi del reato siano enti pubblici (decentrati). Tale impostazione non potrebbe invece trovare applicazione in sistemi quale quello italiano, fortemente vincolati al principio dell’obbligatorietà dell’azione penale. 12. Le reazioni critiche della dottrina. Occorre osservare che, a differenza della sentenza Pikmeer i che aveva destato forti critiche e perplessità da parte degli studiosi, la sentenza Pikmeer ii è stata accolta in modo positivo dalla dottrina che ha condiviso l’impostazione di fondo della pronuncia, attraverso la quale è stato ristretto l’ambito di operatività dell’immunità penale degli enti pubblici100. La pronuncia è stata valutata come un segnale positivo della giurisprudenza che ha saputo interpretare le esigenze di eguaglianza giuridica cui la dottrina con la propria critica aveva dato voce. Tuttavia, come si rileverà infra, essa è stata criticata da taluni perché frutto di un «compromesso» non ancora sufficiente a far fronte alle richieste di ampliamento dell’applicabilità dell’art. 51 c.p. alle persone giuridiche di diritto pubblico avanzate e legittima, in alcuni casi, l’ente pubblico decentrato possa violare impunemente la legge penale101. 100 101 Hendriks, De Lange, Strafvervolging van overheden na het Tweede Pikmeer-arrest, cit., p. 44. Viering, Widdershoven, De strafrechtelijke positie van de overheid na Pikmeer II, cit., p. 80. 70 E. Pavanello 12.1. L’ambito di operatività dell’irresponsabilità penale: alcuni dubbi interpretativi in ordine alla nozione di compito pubblico che può essere posto in essere esclusivamente dal funzionario pubblico. Circa la misura dell’effettiva estensione della responsabilità penale degli enti pubblici, diverse sono state le interpretazioni della nozione di compito pubblico individuato nella sentenza. Secondo un’interpretazione estensiva, infatti, l’immunità penale degli enti pubblici sarebbe stata completamente abolita poiché essa sarebbe limitata dopo Pikmeer II alle sole condotte «giuridiche» (rechtshandelingen) degli enti pubblici, condotte che già di per sé non sono penalmente rilevanti e non invece ai comportamenti materiali (feitelijke gedrangigen). Per comprendere il ragionamento è opportuno utilizzare un esempio. Nell’ipotesi della concessione di un sussidio pubblico (ciò che costituisce una condotta giuridica, rechtshandeling) da parte di un Comune ad un’organizzazione criminale che poi, anche grazie a tale denaro, pone in essere attività illecite (ovvero feitelijke gedrangigen), il Comune godrebbe dell’immunità in riferimento alla concessione del sussidio, mentre potrebbe essere perseguito per aver partecipato all’associazione criminale così come previsto dall’art. 140 c.p. L’interpretazione esaminata trova il proprio fondamento nel fatto che nella sentenza la Corte di Cassazione ha sostenuto che l’immunità può essere invocata esclusivamente in relazione a quelle condotte che solo i funzionari pubblici possono porre in essere, ovvero, sembrerebbe doversi intendere, le condotte giuridiche102. Si tratta di un’ipotesi interpretativa che non convince poiché rende il criterio indicato dalla Suprema Corte una «scatola vuota» in nulla modificando la situazione esistente. La concessione di un sussidio in sé e per sé non potrà mai determinare l’applicazione di una sanzione penale all’ente (a meno che naturalmente il sussidio non venga concesso illegalmente ed esista un’apposita fattispecie penale che sanzioni la condotta). Sarebbe quindi proprio la condotta materiale ad essere «coperta» da immunità (nell’esempio citato la partecipazione all’associazione criminosa)103 con la conseguenza che la Corte di Cassazione con la pronuncia Pikmeer II non ha abolito l’immunità, ma l’ha piuttosto limitata. H.Ph.J.A.M. Hennekens, De gemeente als rechtspersoon, in Gemeentestem, 1998, p. 435. Van der Jagt, Decentraal bestuur vervolgbaar? Een onderzoek naar de strafrechtelijke en bestuursrechtelijke aspecten van het Pikmeer II arrest, cit., p. 109 e Roef, Strafbare overheden een rechtsvergelijken studie naar de strafrechtelijke aansprakelijkheid van overheden voor milieuverstoring, cit., p. 267 il quale rileva che nel diritto ambientale ciò comporta che ogni qual volta l’ente pubblico abbia concesso un’autorizzazione illegittima nell’ipotesi in cui si tratti di un compito che può essere eseguito esclusivamente da funzionari pubblici, l’ente in questione non potrà mai essere perseguito per i fatti illeciti posti in essere da terzi sulla base di tale illecita autorizzazione. 102 103 L’ordinamento olandese 71 La sentenza Pikmeer ii ha costituito poi oggetto di critiche in ragione della difficoltà di individuare i compiti pubblici che possono essere posti in essere esclusivamente da funzionari pubblici, poiché nessuna indicazione è stata fornita al riguardo. Gli studiosi hanno comunque tentato di enucleare i compiti appartenenti a tale categoria: la difesa104, l’amministrazione della giustizia, la concessione di autorizzazioni105. Dalla diversità di risposte individuate si può chiaramente dedurre che il concetto di compito esclusivamente pubblico non è univocamente individuabile ed è strettamente legato al tempo, potendo variare in relazione ai diversi momenti storici. Singolare il fatto che la riflessione scientifica abbia individuato il medesimo esempio per illustrare le difficoltà cui il criterio indicato dalla Corte di Cassazione può condurre, ovvero il rilascio dei passaporti106. Trattasi infatti di attività che si ritiene essere comunemente un compito esclusivamente pubblico. Nulla vieta che lo Stato decida di conferire ad un istituto privato la fase iniziale della procedura che porta alla concessione del documento (come ad esempio la raccolta dei certificati necessari). In applicazione del criterio individuato dalla Corte di Cassazione si tratta di un compito pubblico esclusivo anche se non vi sarebbero ostacoli a immaginare che la sua esecuzione sia di fatto concessa a terzi. Con il che potrebbero emergere nuovamente delle questioni di disuguaglianza nel trattamento sanzionatorio. Inoltre, residuano alcuni dubbi in ordine al soggetto legittimato a indicare cos’è un compito pubblico esclusivo: non è più sufficiente un’indicazione legislativa che attribuisca una determinata attività all’ente pubblico, è necessaria questa connotazione di esclusività. Sul punto il Consiglio di Stato ha rilevato che il compito pubblico esclusivo non è dotato di caratteristiche peculiari rispetto ad altri compiti pubblici. Il fatto che si tratti di un compito che può essere posto in essere solo da funzionari pubblici sarà piuttosto frutto di una scelta politica107. Dubbi interpretativi concernono poi l’esatta nozione di funzionario pubblico, figura che non trova definizione nel diritto olandese. Riassumendo si potrebbe affermare che i dubbi manifestati dalla dottrina concernono ancora una volta il fatto che la Corte di Cassazione ha scelto un criterio Viering, Widdershoven, De strafrechtelijke positie van de overheid na Pikmeer II, cit., p. 76. In questo senso si è espresso Corstens, consigliere della Corte di Cassazione, nell’intervista rilasciata a Van Der Jagt pubblicata in Van der Jagt, Decentraal bestuur vervolgbaar? Een onderzoek naar de strafrechtelijke en bestuursrechtelijke aspecten van het Pikmeer II arrest, cit., p. 248. 106 Tra gli altri, Viering-Widdershoven, De strafrechtelijke positie van de overheid na Pikmeer II, cit., p. 76; Brants, Wordt vervolgd, cit., 339; JdH in nota alla sentenza Pikmeer ii; Hendriks, De Lange, Strafvervolging van overheden na het Tweede Pikmeer-arrest, cit., p. 44; D. Roef, De ommekeer in Pikmeer. Over de vervolgbaarheid van overheden na Pikmeer II, in «Jurisprudentie Bestuursrecht», afl. 47, 1998, p. 221. 107 Si veda il parere del Consiglio di Stato riportato con un interessante commento in Th.A. De Roos, Geen strafrechtelijke aansprakelijkheid voor de Staat? Minister Korthals als Oblomow, in «Ars Aequi» n. 49, 2000, p. 93. 104 105 72 E. Pavanello formale per delineare le ipotesi di irresponsabilità108. Il compito pubblico esclusivo non sembra consentire un’indagine degli interessi in gioco al giudice, il quale dovrà limitarsi a verificare che l’attività possa essere o meno posta in essere anche da altri soggetti. Nonostante sia apprezzabile il tentativo della Corte di dare ascolto alle esigenze manifestate dalla dottrina (tentativo che si è tradotto, ad esempio, nell’indicazione della necessità di valutare la possibile applicazione delle cause di giustificazione), la soluzione individuata non viene considerata risolutiva. Tale circostanza è risultata chiara in occasione di due tragedie causate dalla simultanea incuria di autorità pubbliche e di privati che hanno fortemente scioccato l’opinione pubblica olandese: si tratta dei casi Volendam e Enschede su cui infra. Dubbi sono infine stati manifestati in relazione al fatto che l’attività dei pubblici ministeri potrebbe rivelarsi eccessivamente rigorosa nei confronti degli enti pubblici con l’auspicio di rafforzare i controlli politico e amministrativo109. 12.2. La mancanza di ratio dell’immunità concessa agli enti pubblici decentrati alla luce della giurisprudenza che ha sostenuto la compatibilità dei sistemi di controllo politico, amministrativo e penale sull’attività degli stessi. Le critiche alla decisione della Corte di Cassazione, oltre a concernere le difficoltà dell’individuazione del compito pubblico che può essere posto in essere esclusivamente dal funzionario pubblico, hanno riguardato anche la ratio che sostiene detto criterio. Infatti, con la sentenza Pikmeer ii sembra superato l’argomento secondo cui il giudice penale non potrebbe giudicare sui comportamenti della pubblica amministrazione poiché gli sarebbe precluso qualsiasi giudizio (anche di legittimità) sulla correttezza dell’operato della pubblica amministrazione, al fine di assicurare a quest’ultima la più ampia discrezionalità in tema di libertà decisionale e di giudizio. La decisione citata ha affermato, infatti, che la perseguibilità penale degli enti pubblici non contrasta con i sistemi di controllo politico e amministrativo. Non sarebbe, quindi, corretto precludere al giudice penale i controlli sull’attività posta in essere nell’esecuzione di un compito pubblico riservata esclusivamente ai pubblici funzionari110. Infatti, non tutti i comportamenti che possono essere posti in essere esclusivamente dai funzionari pubblici automaticamente portano con sé una scelta In questo senso Van der Jagt, Decentraal bestuur vervolgbaar? Een onderzoek naar de strafrechtelijke en bestuursrechtelijke aspecten van het Pikmeer II arrest, cit., p. 111. 109 D.J. Elzinga, Openbaar ministerie loopt wel erg van stapel, Strafbare overheden, in «Binnenlands Bestuur», n. 8, 1998, p. 33. 110 Roef, Strafbare, cit., p. 272 ss. 108 L’ordinamento olandese 73 che manifesta la libertà «politica» dell’amministrazione. Al riguardo viene citato l’esempio della concessione edilizia (compito esclusivamente pubblico, atteso che le autorizzazioni possono essere rilasciate esclusivamente dai funzionari pubblici): il suo rilascio può essere rifiutato ai sensi dell’art. 44 della Bouwwet, legge sull’edilizia, solo nei casi tassativamente previsti da tale norma. Orbene, se il Comune rilascia la licenza in contrasto con quanto stabilito dalla legge, non si ravvisa alcun ostacolo a che il giudice penale possa operare un controllo sulla legittimità dell’operato dell’ente; si tratterebbe, infatti, di verificare il rispetto di precise e tassative indicazioni legislative. Attraverso il criterio del compito esclusivamente pubblico, invece, ogni controllo penale sarebbe precluso, anche in quelle ipotesi in cui non esiste alcuna forma di discrezionalità nell’attività della pubblica amministrazione. In secondo luogo, vi sono attività a carattere pubblico che possono essere eseguite anche attraverso terzi i quali dispongono in questo modo di una certa libertà di giudizio, ma nonostante ciò vengono sottoposti a sanzione penale. Si ritiene infine inconsistente il fatto che un Comune che sceglie, ad esempio, di abbattere un nido di uccelli senza l’apposita autorizzazione sia perseguibile penalmente (trattandosi di attività che può essere eseguita anche dalle persone giuridiche di diritto privato), mentre l’ente pubblico che illegalmente ha concesso un’autorizzazione per abbattere un nido di uccelli non sia perseguibile (la concessione di un’autorizzazione è infatti attività che può essere eseguita esclusivamente da un funzionario pubblico). In entrambi i casi vi è un fatto penalmente rilevante (abbattimento del nido di uccelli senza legittima autorizzazione) che porta con sé il medesimo disvalore giuridico. Ove si accetti il principio che il giudice penale può sottoporre al controllo della legge penale la legittimità delle scelte discrezionali degli enti pubblici, detto principio deve essere generalizzato. Con la conseguenza che anche le attività che possono essere poste in essere esclusivamente da funzionari pubblici devono sottostare al controllo penale. 13. Le reazioni positive del Governo alle nuove indicazioni della giurisprudenza. La posizione del Consiglio di Stato sull’impossibilità di perseguire gli enti pubblici decentrati. La ribadità necessità da parte dei pubblici ministeri di utilizzare lo strumento penale nei confronti degli enti pubblici decentrati solo come extrema ratio. All’indomani della pronuncia Pikmeer ii, diverse sono state le reazioni a livello politico. Mentre, infatti, secondo alcuni parlamentari era corretta l’impostazione della Corte di Cassazione che aveva distinto a seconda dell’attività posta in essere 74 E. Pavanello dall’ente pubblico, altri hanno ritenuto che meglio sarebbe stato procedere a un’integrale abolizione dell’immunità111. Il Governo, dal canto suo, ha rinvenuto nella sentenza Pikmeer ii una sostanziale conferma della posizione espressa in precedenza nel rapporto Responsabilità penale degli enti pubblici. Il Ministro della Giustizia ha fatto pervenire alla seconda Camera del Parlamento le proprie conclusioni circa l’opportunità di procedere ad una modifica dell’art. 51 c.p.112 e ha dichiarato di condividere solo parzialmente l’opinione espressa nel proprio parere dal Consiglio di Stato con riferimento alla possibilità di perseguire gli enti pubblici113. Secondo quest’ultimo organo infatti sarebbe da escludere, allo stato della legislazione vigente, tanto la possibilità di perseguire lo Stato, quanto quella di perseguire gli enti pubblici. Se dunque si volesse procedere penalmente nei confronti di dette persone giuridiche, sarebbe necessario procedere ad una modifica dell’art. 51 c.p. Tuttavia, ad avviso del Consiglio di Stato tale opzione non sarebbe consigliabile in quanto troppi ostacoli si frapporrebbero all’esercizio dell’azione penale nei confronti degli enti pubblici (in particolare il Consiglio di Stato menziona la possibile incidenza della condanna penale sulla continuità dei servizi pubblici offerti, il fatto che l’eventuale sanzione comminata sarebbe patita dai cittadini). Meglio optare per la sola perseguibilità dei funzionari pubblici: al riguardo, il Consiglio di Stato propone di aumentare il numero delle ipotesi in cui è possibile perseguire penalmente i funzionari e di introdurre specifiche cause di giustificazione per gli enti pubblici, in modo da garantire che gli stessi non possano essere perseguiti penalmente. Il Ministro della Giustizia ha affermato che, pur condividendo la posizione del Consiglio di Stato con riferimento all’irresponsabilità penale dello Stato (su cui diffusamente infra), non è a suo avviso necessaria alcuna modifica legislativa dell’art. 51 c.p. L’applicazione giurisprudenziale avrebbe, infatti, dimostrato che gli enti pubblici decentrati sono perseguibili penalmente e che non vi sarebbe alcuna necessità di precisare tale concetto. Il Governo si è espresso in senso negativo anche riguardo all’eventuale necessità di indicare in un testo di legge i fondamenti dell’immunità, ritenendo più opportuno demandare il giudizio sull’opportunità di procedere penalmente al giudice nella valutazione del caso concreto. Da ultimo, il Governo non ha ritenuto nemmeno necessario introdurre un’apposita scriminante che operi nei confronti degli enti pubblici, essendo sufficienti sul Van der Jagt, Decentraal bestuur vervolgbaar? Een onderzoek naar de strafrechtelijke en bestuursrechtelijke aspecten van het Pikmeer II arrest, cit., p. 113. 112 Seconda Camera, anno 1996-1997, 25 294, n. 8. 113 Il Consiglio di Stato ha espresso il proprio parere in data 8.5.1998. Su tale posizione, si vedano in particolare Th.W. van Veen, De strafrechtelijke aansprakelijkheid van de overheid, in «RMThemis», n. 5, 2000, p. 163-164; De Roos, Geen strafrechtelijke aansprakelijkheid voor de Staat? Minister Korthals als Oblomow, p. 92-96. 111 L’ordinamento olandese 75 punto le indicazioni degli articoli 40 e 42 c.p., in materia di adempimento del dovere ed esercizio del diritto. Quanto alla posizione espressa dai pubblici ministeri, essa è stata sostanzialmente positiva e potrebbe essere riassunta con l’espressione actief opsporen, genuanceerd vervolgen, ovvero indagare attivamente, perseguire con cautela114. Nell’opinione della pubblica accusa occorre constatare innanzitutto che le persone giuridiche di diritto pubblico sono, in linea di principio, responsabili penalmente al pari di quelle di diritto privato. Da ciò consegue che, in generale, l’indagine sui delitti nei quali sono probabilmente coinvolti enti pubblici deve sempre essere possibile, salvo poi verificare l’eventuale appartenenza dell’ente a quelli indicati nel capitolo 7 della Costituzione e l’esecuzione di un compito pubblico che può essere posto in essere esclusivamente da funzionari pubblici. Ove sia possibile procedere, si dovrà verificare la sussistenza dell’elemento soggettivo (dolo o colpa). Inoltre, il pubblico ministero dovrà valutare attentamente se l’ente pubblico possa fare appello alle cause di giustificazione della prescrizione legale o dello stato di necessità. Il Collegio dei Procuratori individua quali «controindicazioni» alla perseguibilità degli enti pubblici il fatto che il comportamento illecito sia stato tenuto per considerazioni di interesse pubblico o ancora che vi sia stata un’effettiva reazione politica o amministrativa a fronte di tali violazioni. La risposta alla domanda circa la procedibilità dell’azione penale passa necessariamente attraverso considerazioni di carattere «materiale». 14. Conclusioni sull’evoluzione di giurisprudenza e dottrina in ordine alla possibilità di perseguire penalmente gli enti pubblici decentrati. Dall’analisi delle posizioni della dottrina, del Governo e dei p.m. rispetto alla sentenza Pikmeer ii emergono alcuni interessanti spunti di riflessione. Senza dubbio la dottrina ha valutato positivamente la restrizione dell’ambito di operatività dell’irresponsabilità penale fatta discendere dal criterio del compito che può essere eseguito esclusivamente dai funzionari pubblici, così come l’affermazione della perfetta compatibilità tra il sistema di controllo penale e i sistemi politico e amministrativo. Essa ha inoltre generalmente condiviso il ribadito principio secondo cui il diritto penale deve costituire l’ultimum remedium e deve intervenire unicamente laddove gli altri sistemi di controllo non siano in grado di offrire una risposta sanzionatoria adeguata. Tuttavia, secondo la maggioranza della dottrina, tali premesse non legittimano la scelta della Corte di Cassazione di considerare sempre e a priori giustificate le College van procureurs-generaal, Aanwijzing voor de opsporing en vervolging van overheden, in «Staatscourant», n. 82, 1998, p. 18. 114 76 E. Pavanello attività che possono essere poste in essere esclusivamente dai funzionari pubblici e ciò perché in questo modo la Suprema Corte ha dato per scontata l’esistenza di un’area di attività in cui gli enti pubblici possono agire impunemente. Al contrario, sarebbe opportuno valutare anche in queste ipotesi, alla luce dei principi di proporzionalità e sussidiarietà, l’effettiva opportunità della condotta tenuta dall’ente pubblico in violazione delle prescrizioni penali115. Il problema che si pone è dunque di opportunità e la soluzione andrebbe rinvenuta nella norma di diritto processuale dell’art. 167, secondo comma, che ben consente di modulare l’utilizzo del processo penale alle sole ipotesi in cui ciò si riveli effettivamente necessario116. Non sarebbe possibile creare a priori a livello giurisprudenziale delle regole rigide di immunità che inevitabilmente conducono a violare il principio di eguaglianza giuridica tra soggetti privati e pubblici. Il Governo e i pubblici ministeri sembrano, invece, aver posto maggiormente l’accento sugli elementi positivi di novità contenuti nella giurisprudenza Pikmeer ii. Né l’uno, né gli altri hanno fatto cenno all’indeterminatezza del criterio del compito pubblico che può essere posto in essere esclusivamente dai funzionari pubblici. Positivo inoltre è stato generalmente considerata l’attenzione dedicata alla valutazione circa l’opportunità di procedere e alla necessità di modulare la misura della pena. 15. La conferma del principio dell’immunità penale concessa agli enti pubblici decentrati che hanno commesso l’illecito penale nell’ambito di un’attività pubblica di esclusiva competenza dei pubblici funzionari nella giurisprudenza successiva al caso Pikmeer II. La giurisprudenza sviluppatasi successivamente alla sentenza Pikmeer ii ha confermato che gli enti pubblici di cui al capitolo 7 della Costituzione non sono perseguibili qualora abbiano commesso l’illecito in esecuzione di un compito pubblico di esclusiva competenza dei funzionari pubblici. Si consideri ad esempio il caso della provincia Friesland, la quale era stata perseguita per aver trasferito materiale inquinante nel deposito Meerslot al deposito De Goudem Bodem senza l’opportuna autorizzazione. Nel caso di specie la Provincia era contemporaneamente sia l’ente che concedeva le autorizzazioni, sia l’ente che controllava la legittimità delle stesse e il Tribunale di Leeuwarden ha ritenuto che trattandosi di rilascio di autorizzazione, ovvero di un compito che per la sua natura e in base alle prescrizioni di legge può essere eseguito esclusivamente da parte di funzionari pubblici, la Provincia poteva fare appello all’immunità117. Hendriks, De Lange, Strafvervolging van overheden na het Tweede Pikmeer-arrest, cit., p. 46. Th.a. De Roos, Het Pikmeerarrest en zijn gevolgen, in «Ars Aequi», 1997, p. 230. 117 Hof Leeuwarden, 4.11.1997, in «Milieu en Recht», n. 18, 1998, con nota di De Lange. 115 116 L’ordinamento olandese 77 La sentenza è stata criticata perché presuppone che laddove un ente pubblico abbia la competenza per concedere un’autorizzazione, ancorché la stessa sia illegittima, esso può andare esente da sanzione penale118. La Corte di Cassazione ha ritenuto che per giudicare dell’eventuale responsabilità penale di un ente pubblico occorra fare riferimento ai criteri indicati da Pikmeer ii e che nessun rilievo possa assumere il fatto che l’ente pubblico sia il soggetto che può rilasciare detta autorizzazione. Per tale ragione la Suprema Corte ha annullato la sentenza del Tribunale e ha rinviato il caso alla Corte d’Appello di Arnhem119. Il criterio del compito pubblico esclusivo ha condotto, di converso, alla condanna del Comune di Utrecht120. Il Comune era stato infatti accusato di omicidio colposo per la morte di un pompiere il quale era deceduto nel corso dell’esercitazione subacquea cui lo stesso aveva preso parte. A parere del pubblico ministero sussistevano gli estremi della responsabilità penale atteso che il Comune, in qualità di datore di lavoro, avrebbe dovuto organizzare l’esercitazione predetta seguendo le opportune norme di sicurezza, ciò che nel caso di specie non era avvenuto. La difesa del Comune aveva sostenuto che quest’ultimo avesse agito nell’esecuzione di un’attività di natura «esclusivamente» pubblica e avesse invocato a fondamento dell’assunto l’art. 1 della legge sui pompieri del 1985 che conferisce espressamente al Comune il compito di salvaguardia dai pericoli del fuoco. Al fine di pervenire alla qualificazione dell’attività in oggetto, il Tribunale ha esaminato la relazione della legge citata da cui è risultato che effettivamente la competenza in materia di prevenzione degli incendi spetta al Comune. Tuttavia, le esercitazioni e l’addestramento dei pompieri non sono compiti espressamente attribuiti al Comune − ancorché siano in stretta correlazione con i compiti fondamentali di prevenzione degli incendi eseguiti dai pompieri − e possono essere eseguiti anche da società private cui vengono demandati. Sulla base di tale ragionamento che ricalca pienamente le indicazioni di Pikmeer ii, l’azione del p.m. è stata dichiarata ricevibile e il Comune condannato al pagamento di una multa di 18.000 euro. 16. La possibilità di configurare una responsabilità penale dello Stato. La possibilità di configurare la responsabilità penale dello Stato è stata pure oggetto di dibattito a livello dottrinale e politico: anche in questo caso si è posto il Roef, Strafbare overheden een rechtsvergelijken studie naar de strafrechtelijke aansprakelijkheid van overheden voor milieuverstoring, cit., p. 127. 119 Hoge Raad, 30 giugno 1998, in «Nederlandse Jurisprudentie», 1998/819. 120 Rechtbank Utrecht, 9 luglio 2003, in «Administratiefrechtelijke beslissingen», 2003/332, con nota di Peters. 118 78 E. Pavanello problema della possibile applicazione dell’art. 51 c.p. poiché non vi è alcun divieto espresso al riguardo. A differenza della posizione degli enti pubblici decentrati, nessuna indicazione è fornita sul punto nemmeno dalla Relazione al codice penale121, la quale si limita a esaminare la controversa posizione degli enti pubblici decentrati. La ragione dell’assenza di indicazioni va probabilmente rinvenuta nel fatto che esistono ostacoli «storici» ancor prima che giuridici all’affermazione di una responsabilità penale dello Stato. Tradizionalmente infatti si ritiene che un’immunità assoluta debba essere riconosciuta alle attività dell’ente statale. Il dibattito sviluppatosi nell’ordinamento olandese dimostra tuttavia che il tema è di crescente attualità e che occorre analizzare in modo critico il fondamento delle ragioni che inducono molti ordinamenti ad escludere totalmente la responsabilità penale dello Stato. Come si avrà modo di illustrare nel prosieguo, infatti, è stato da molte parti sottolineato che non avrebbe senso distinguere tra la posizione degli enti decentrati e quella dello Stato: entrambi godono di prerogative «pubblicistiche» che potrebbero, al limite, giustificare un trattamento differenziato rispetto alle altre persone giuridiche di diritto privato. Tuttavia, mentre per gli enti decentrati è stata ammessa una (limitata) forma di responsabilità penale, per lo Stato essa è stata recisamente negata, con le conseguenze che è possibile immaginare e che derivano da un trattamento giuridico differenziato a fronte di condotte «materiali» analoghe. 16.1. L’affermazione dell’irresponsabilità penale dello Stato nella giurisprudenza (caso Volkel). La ricerca intorno alla possibile configurazione di una responsabilità penale dello Stato non può che prendere avvio dall’analisi della sentenza Volkel nella quale per la prima volta è stato esaminato il peculiare rapporto tra diritto penale e Stato. La soggezione del secondo al primo è stata negata, con la conseguente affermazione che lo Stato, di fatto, si pone al di sopra della legge penale122. I fatti da cui trae origine la pronuncia concernono l’aeroporto militare Volkel. Al suo interno si erano verificate numerose fughe di kerosene dai serbatoi e si era così configurata la violazione dell’art. 14 della legge sulla protezione del suolo che impone a chiunque utilizzi un terreno, sia esso soggetto privato o pubblico, di tenere un comD. Roef, Kan de Staat in zijn eigen staart bijten?, in «Delikt en Delinkwent», n. 25 afl. 4, 1995, p. 333 ss. 122 De Lange, De dictatuur van de magistratuur, cit., p. 445. 121 L’ordinamento olandese 79 portamento diligente al fine di prevenire l’inquinamento dei luoghi. La fattispecie è sanzionata penalmente dalla WED. L’aeroporto aveva già concluso una prima volta una transazione con il pubblico ministero grazie alla quale lo Stato aveva evitato il procedimento penale mediante il pagamento di 10.000 fiorini. Tuttavia, a fronte delle persistenti inadempienze da parte di quest’ultimo, il pubblico ministero aveva deciso di esercitare l’azione penale nei suoi confronti, cosicché lo Stato, in persona del Ministero della Difesa, è stato chiamato a sedere sul banco degli imputati. Il Tribunale di primo grado nella sentenza, pur riconoscendo che lo Stato (rectius, l’aeroporto militare) era effettivamente responsabile di dette fughe di kerosene, ha dichiarato che non era possibile procedere nei suoi confronti in quanto aveva agito nell’esecuzione di un compito pubblico, ovvero la difesa e la sicurezza aerea, e sarebbe stato (eventualmente) chiamato a rispondere politicamente del proprio operato123. Il Tribunale ha aggiunto altresì che esisteva un ostacolo di carattere procedurale poiché lo Stato non avrebbe potuto essere perseguito da uno dei propri organi, ovvero il pubblico ministero. Ai sensi dell’art. 5 della legge sull’organizzazione del Regno (Wet Rechterlijke Organisatie), infatti, il pubblico ministero esercita la propria attività sotto la responsabilità del Ministro della Giustizia che fa parte del Governo, ovvero di un organo dello Stato, il quale può anche dare indicazioni al pubblico ministero circa la possibilità di procedere penalmente o meno. Diverso, invece, l’approccio della Corte di Cassazione secondo la quale non era possibile procedere nei confronti dello Stato non (tanto) perchè lo stesso aveva agito nell’esecuzione di un compito pubblico, quanto piuttosto perchè lo Stato in quanto tale non poteva essere perseguito né dichiarato penalmente responsabile124. La Corte giunge a tale decisione dopo aver chiarito che lo Stato ha come scopo il perseguimento di interessi generali e che, per tale ragione, può porre in essere ogni condotta, sia sul piano legislativo che su quello amministrativo, rivolta a tale scopo. La sentenza prosegue con l’illustrazione delle argomentazioni, sia di carattere sostanziale che di tipo procedurale, che sino a quel momento erano state espresse dalla dottrina maggioritaria per avallare la tesi dell’impossibilità di perseguire lo Stato. Dette argomentazioni, in parte coincidenti con le motivazioni addotte per escludere la responsabilità penale degli enti decentrati, riguardano la sostanziale identità tra autorità procedente e soggetto inquisito; la teoria della divisione dei poteri; l’asserita violazione del rapporto gerarchico tra le diverse istituzioni dello Stato (in quanto il pubblico ministero perseguirebbe un ente rispetto a lui superiore); l’inutilità delle 123 124 Rechtbank’s, Hertogenbosch, 1° febbraio 1993, in «Nederlandse Jurisprudentie», 1993/257. Hoge Raad, 25 gennaio 1994, in «Nederlandse Jurisprudentie», 1994/598 con nota di C. 80 E. Pavanello sanzioni pecuniarie eventualmente applicate (vestzak-broekzak) e la perdita di fiducia dei cittadini nell’ente pubblico. La Corte di Cassazione, decidendo nel senso dell’irresponsabilità penale dello Stato, ha mostrato di condividere (quantomeno) parte degli argomenti citati. Essa ha in particolare sostenuto che le condotte dello Stato sono controllate a livello politico attraverso il dibattito parlamentare e che per le stesse sono penalmente responsabili, al limite, i Ministri e i Segretari di Stato i quali possono essere perseguiti per i crimini commessi nell’esercizio delle proprie funzioni ai sensi dell’art. 483 c.p.p. Stante l’esistenza di questi sistemi di controllo non residua alcuno spazio per la repressione delle condotte illecite dello Stato da parte del giudice penale. Il Giudice di legittimità ha mostrato poi di condividere le preoccupazioni connesse alla sostanziale inutilità di un’eventuale sanzione pecuniaria che si tradurrebbe in un semplice passaggio di risorse economiche da un dipartimento all’altro dell’organizzazione statale. Senza contare infine che la possibilità che lo Stato venga perseguito attraverso uno dei propri organi contrasterebbe con i principi dello Stato di diritto. Il controllo penale finirebbe quindi per creare ostacoli al processo democratico più che rafforzarlo, pervenendo così a risultati opposti rispetto a quelli che i sostenitori della responsabilità penale dello Stato intendono perseguire. La lettura della sentenza non lascia spazio a molti dubbi interpretativi: a differenza della responsabilità penale degli enti decentrati in cui occorreva individuare la nozione di compito pubblico esclusivo, qui la responsabilità viene negata tout court. La Corte non si è nemmeno preoccupata di indicare quale sia la posizione dei dirigenti di fatto e di coloro che hanno dato l’ordine di commettere l’illecito125. La sentenza, come è possibile arguire, ha destato grande fermento in dottrina, ed è stata vieppiù criticata in seguito alla pronuncia Pikmeer ii, secondo cui l’esistenza di un controllo politico sulla condotta di un ente non impedisce la contemporanea esistenza di un sistema di controllo penale. 16.2. Argomenti addotti dalla dottrina a sostegno dell’irresponsabilità assoluta dello Stato: titolarità dello jus puniendi e impossibilità per lo Stato di punire se stesso. Gli argomenti addotti dalla dottrina a sostegno dell’irresponsabilità penale dello Stato in parte coincidono con quelli invocati per sostenere l’impossibilità di perseguire gli enti decentrati. In analogia con quanto stabilito per gli enti pubblici decentrati dalla sentenza Pikmeer i, laddove la persona giuridica non sia «autore» del reato, manca quel nesso che consente di attribuire la condotta illecita anche alle persone fisiche specificamente indicate nell’art. 51 c.p. e pertanto le stesse non possono essere sanzionate. 125 L’ordinamento olandese 81 L’irresponsabilità è stata sostenuta dalla maggioranza della dottrina, anche da coloro che si erano mostrati favorevoli alla possibilità di perseguire gli enti pubblici decentrati. Infatti, pur riconoscendo la necessità che le persone giuridiche di diritto pubblico vengano perseguite qualora abbiano agito al pari di una persona giuridica di diritto privato, si nega la possibilità di perseguire lo Stato126. Le argomentazioni addotte a sostegno dell’immunità assoluta dello Stato partono da una concezione «unitaria» dello stesso: atteso che quest’ultimo è titolare dello ius puniendi, esso non può essere al contempo oggetto del controllo penale127. Non si è mancato di obiettare sul punto che ciò corrisponde a un’idea di Stato la quale non coincide pienamente con la realtà sociale. Lo Stato sarebbe piuttosto paragonabile ad una multinazionale, composta di diverse unità «operative» le quali dispongono ciascuna di un proprio budget e hanno determinati obiettivi da conseguire, al pari di un soggetto di diritto privato128. Anche con riferimento allo Stato viene invocato l’argomento della divisione dei poteri, il quale assumerebbe peculiare rilievo in relazione alla concezione «unitaria» cui sopra si è fatto cenno. Si ritiene infatti che sottoporre a procedimento penale lo Stato determinerebbe una situazione assurda, ovvero lo Stato in quanto potere giudiziario punisce lo Stato quale organo amministrativo perchè quest’ultimo ha agito in contrasto con le regole che lo stesso Stato ha posto in quanto legislatore129. Unitamente alla divisione dei poteri viene inoltre fatto cenno ad un problema gerarchico: infatti, il pubblico ministero, organo di rango inferiore, si troverebbe a perseguire un organo superiore, ovvero lo Stato. La situazione potrebbe secondo taluni determinare la violazione degli stessi principi dello Stato di diritto130. Le argomentazioni esposte per quanto suggestive sono state criticate da altra dottrina poiché analoghi problemi non si pongono quando le condotte dello Stato deVan Strien, De strafrechter en de bestuurlijke mantel der liefde (*1) over de vervolgbaarheid van publiekrechtelijke rechtspersonen, cit., p. 595-596 e 598. 127 A. Mulder, nota alla sentenza Tilburg, in «Nederlandse Jurisprudentie», 1988/474. Contra A.M. De Koning , H. Nijboer, Strafrechtelijke verantwoordelijkheid van de Nederlandse Staat, in «Nederlands Juristenblad», afl. 15, 1997, p. 681 secondo cui la punizione dello Stato è possibile e necessaria, non essendo sufficiente prevedere la semplice responsabilità delle persone fisiche. 128 Si vedano le indicazioni bibliografiche in Chr. Brants, The king can do no wrong, in «Delikt en Delinkwent», n. 26, afl. 6, 1996, p. 514, la quale pur ritenendo che anche lo Stato debba essere sottoposto a responsabilità penale, non condivide l’assimilazione dello stesso alla multinazionale, atteso che diversa è l’organizzazione giuridica del primo rispetto alle seconde. Mentre infatti le imprese “figlie” della multinazionale dispongono ciascuna di una propria personalità giuridica e sono responsabili delle proprie attività, la stessa cosa non vale per lo lo Stato all’interno del quale le diverse unità operative e i differenti dipartimenti non godono di un’autonoma personalità giuridica e non sono responsabili in quanto tali. 129 T.M. Schalken, nota alla sentenza Voorburg, in «Nederlandse Jurisprudentie», 1991/496. Analogamente Torringa, Strafbaarheid, cit., p. 158. 130 J. de Hullu, De Staat zelf in de verdachtenbank, in «Ars Aequi», n. 44, 1995, p. 53, rileva che questo 126 82 E. Pavanello vono essere sottoposte al vaglio dei giudici civile e amministrativo. Al riguardo si è indicato che addirittura nel caso della responsabilità civile dello Stato la giurisprudenza ha ammesso che il giudice possa valutare la legittimità della condotta del pubblico ministero, ovvero una condotta che attiene tipicamente alla sfera penale, senza che ciò abbia destato particolari problemi131. Essenzialmente sono comunque due le argomentazioni che la dottrina ha invocato per escludere la responsabilità penale dello Stato. La prima si colloca sul piano processuale e concerne l’identità esistente tra soggetto perseguito e autorità procedente. L’altra invece si colloca sul piano sanzionatorio e concerne la sostanziale inutilità della sanzione pecuniaria eventualmente irrogata allo Stato: si tratta del cosiddetto vestzakbroekzak cui è stato fatto appello anche per escludere la responsabilità penale degli enti decentrati. 16.3. L’impossibilità di perseguire lo Stato in ragione dell’asserita identità tra soggetto perseguito e autorità procedente. L’asserita identità tra soggetto perseguito e autorità procedente discenderebbe dal fatto che tanto il pubblico ministero quanto il giudice si trovano alle dipendenze dell’amministrazione statale. Il pubblico ministero non potrebbe perseguire lo Stato perchè sottoposto alla diretta responsabilità del Ministro della Giustizia, il quale, a sua volta, è responsabile dell’attività giudiziale per quanto concerne le ispezioni, la decisione di procedere (vervolging) e l’esecuzione giudiziale132. Lo stesso Consiglio di Stato ha rilevato che in questo modo lo Stato perseguirebbe se stesso, si autogiudicherebbe e si autopunirebbe atteso che il giudice e il pubblico ministero sono entrambi organi del Regno133: da ciò discenderebbe la necessità di garantire allo Stato una totale immunità. Questa posizione è stata sostenuta anche dal Governo, il quale nel proprio rapporto sulla responsabilità penale degli enti pubblici, ha condiviso la preoccupazione espressa dal Consiglio di Stato sul punto. Ad una più approfondita analisi, tuttavia, l’argomento si rivelerebbe secondo alcuni studiosi incapace di giustificare un’assoluta immunità penale dello Stato. Infatti costituirebbe un errore di giudizio dedurre dalla «subordinazione» della pubblica accusa specifico argomento non è stato addotto dalla Corte di Cassazione nella motivazione della sentenza per negare la responsabilità dello Stato. L’autore ritiene comunque che l’obiezione possa essere superata creando una procedura ad hoc nel caso in cui venga perseguito lo Stato. 131 Brants, The king can do no wrong, cit., p. 514 e De Hullu, De Staat zelf in de verdachtenbank, cit., p. 53. 132 Roef, Kan de staat, cit., p. 344; van Strien, De strafrechter en de bestuurlijke mantel der liefde (*1) over de vervolgbaarheid van publiekrechtelijke rechtspersonen, cit., p. 595-596 ritiene che questo argomento costituisca principale e insormontabile ostacolo alla perseguibilità penale dello Stato. 133 TK 1999-2000, 25 294, nr. 10, A, 2. L’ordinamento olandese 83 al Ministro della Giustizia, la subordinazione del p.m. alla persona giuridica di diritto pubblico Stato. In secondo luogo, una simile interpretazione della legge sull’organizzazione del Regno sarebbe parziale perchè non terrebbe in considerazione il fatto che il pubblico ministero è molto più di un semplice funzionario pubblico nel momento in cui esercita le proprie funzioni e decide se procedere o meno con l’azione penale. Egli, nonostante sia inquadrato all’interno dell’organizzazione statale, deve poter esercitare un giudizio indipendente circa l’esistenza della responsabilità penale (quindi, anche nei confronti dello Stato), atteso che il suo compito è quello di realizzare il diritto nello Stato e non lo Stato nel diritto134. È indubbio, tuttavia, che laddove il pubblico ministero decida di esercitare l’azione penale nei confronti dello Stato, potrebbero sussistere problemi di ordine «pratico». Atteso che nell’esercizio dell’azione penale il Ministro della Giustizia può fornire indicazioni allo stesso organo della pubblica accusa circa l’opportunità di procedere o meno135, ove fosse in gioco la responsabilità penale dello Stato, il Ministro plausibilmente potrebbe «invitare» il pubblico ministero a non procedere. Si realizzerebbe così un controllo politico dell’attività giurisdizionale. Tuttavia, a parere di taluni nemmeno dette difficoltà «pratiche» possono giustificare un’assoluta immunità dello Stato: esse devono piuttosto essere risolte attraverso altri «accorgimenti». Alcuni studiosi propongono, ad esempio, di dettare una speciale procedura, analoga a quella prevista per la perseguibilità di Ministri e Segretari di Stato136. Altri ancora, invece, propongono di imporre l’obbligo in capo al Ministro dell’astensione dal fornire indicazioni di alcun tipo al pubblico ministero nel caso in cui si proceda nei confronti dello Stato ed eventualmente la decisione se procedere o meno sia lasciata all’intero Collegio dei procuratori137. 16.4. L’inutilità e la dannosità per i cittadini dell’inflizione di sanzioni penali, in particolare di carattere pecuniario, a carico dello Stato. Sul piano sanzionatorio parte della dottrina (oltre che la stessa Corte di Cassazione) ritiene che sia insensato applicare una sanzione penale (a carattere pecuniario) allo Stato, atteso che quest’ultimo in sostanza pagherebbe l’ammenda a se stesso138. Il Roef, Strafbare, cit., p. 302-304. Corstens, nella nota a sentenza Volkel, in «Nederlandse Jurisprudentie», 1994/598. 136 Brants, The king can do no wrong, cit., p. 516. Roef dubita fortemente della praticabilità di una simile soluzione e della sua effettiva valenza. Roef, Strafbare, cit., p. 304. 137 J.H.P. van Spanje, Staat en straf, in «Nederlands Juristenblad», afl. 22, 2002. 138 Torringa, Strafbaarheid, cit., p. 158 e A.L.J. van Strien, De rechtspersoon in het strafproces. Een onderzoek naar de procesrechtelijke aspecten van de strafbaarheid van de rechtspersoon, Sdu Uitgever, Den Haag 1996, p. 59. 134 135 84 E. Pavanello ragionamento viene poi traslato dal piano sanzionatorio a quello sostanziale e si arriva a concludere che è altresì irragionevole prevedere la responsabilità penale dello Stato. L’argomentazione parte evidentemente dal principio che lo Stato costituisce un’unità inscindibile; principio questo ritenuto da parte della dottrina erroneo, oltre che semplicistico: lo Stato è, infatti, un’organizzazione complessa che dispone di specifiche funzioni e di diversi dipartimenti. Il fatto che il denaro venga trasferito da un dipartimento ad un altro non è poi così strano139. Inoltre, non si può seriamente sostenere una simile posizione laddove si consideri che proprio nel caso Volkel lo stesso Stato aveva fatto già ricorso alla transazione (pagando quindi una somma di denaro al Ministero della Giustizia): anche in questo caso era avvenuto un trasferimento di denaro da un dipartimento all’altro senza che tuttavia sia stato avanzato alcun dubbio sull’effettività del pagamento140. Si ritiene inoltre che non sia utile confondere il piano sostanziale con quello sanzionatorio: una cosa è sostenere che in qualche modo la sanzione pecuniaria potrebbe rivelarsi «inutile» (anche se è opportuno ricordare che vi sono altre sanzioni penali applicabili oltre a quella pecuniaria), altro è invece far discendere da ciò l’inutilità della stessa responsabilità penale dello Stato. 17. Critiche della dottrina alla giurisprudenza che ha sancito l’irresponsabilità penale dello Stato. La sentenza Volkel è stata criticata dalla dottrina innanzitutto perché nessuno degli argomenti addotti dalla Corte è realmente probante: infatti, molte delle ragioni avanzate a sostegno dell’irresponsabilità assoluta dello Stato potrebbero essere utilizzate al contempo per negare la competenza dei giudici civile e amministrativo a conoscere delle condotte illecite poste in essere dallo Stato. Il riferimento al perseguimento dell’interesse generale da parte dello Stato è stato considerato una tautologia: è ovvio infatti che scopo dello Stato è il perseguimento di interessi di carattere generale; in caso contrario lo stesso si confonderebbe con gli enti di carattere privato141. Tuttavia, ciò non può giustificare la commissione di qualsiasi Si veda sul punto Roef, Strafbare, cit., p. 306 il quale cita un passaggio di W. Hogg, Liability of the Crown, Carswell, Sidney, 1971, p. 178-179. 140 N. Roezemond, Past de Staat der Nederlanden in het verdachtenbankje?, in «Rechtsfilosofie & Rechtstheorie», n. 3, 2002, p. 5. 141 Viering, Widdershoven, De strafrechtelijke positie van de overheid na Pikmeer II, cit., p. 81 rilevano criticamente che l’argomento non può essere addotto per distinguere la posizione dello Stato da quella degli enti decentrati in quanto anche questi ultimi, in linea di principio, tendono alla realizzazione dell’interesse pubblico. 139 L’ordinamento olandese 85 illecito da parte dello Stato: al contrario, occorrerà dimostrare e verificare caso per caso se questo interesse sia stato concretamente valutato e perseguito. Detta affermazione desta poi alcune perplessità in relazione al caso concreto: difficile, infatti, rinvenire un interesse di carattere generale nella condotta negligente tenuta all’interno dell’aeroporto militare Volkel. Se sicuramente si può ritenere che la difesa della sicurezza aerea sia di interesse generale, non si vede in che modo la fuoriuscita di kerosene per mancanza di adeguata manutenzione persegua tale interesse. Si può al contrario sostenere che in questo caso si è di fronte alla violazione delle norme di tutela dell’ambiente che costituisce oggetto di interesse generale e che, al pari della sicurezza aerea, deve essere tutelato dallo Stato142. Occorre poi considerare la peculiare posizione dello Stato rispetto agli enti decentrati: anche questi ultimi perseguono in linea di principio interessi a carattere generale ma nonostante ciò, qualora pongano in essere condotte illecite nell’esecuzione di un compito sì pubblico ma non esclusivo (alla luce dell’insegnamento Pikmeer ii), sono perseguibili. La disuguaglianza può essere ben compresa se si pensa a ipotesi concrete di violazione: infatti, se un reato ambientale è posto in essere nel quadro di un’attività comunale, allora il Comune è perseguibile, mentre se è posto in essere dal Ministero la responsabilità penale è esclusa. Analogamente la posizione di disuguaglianza emerge nelle ipotesi in cui l’esecuzione di un’attività di interesse generale venga conferita ad una società privata: quest’ultima non potrebbe fare appello ad alcuna immunità143. 18. Necessità di una revisione della giurisprudenza che ha sancito l’irresponsabilità dello Stato in ragione dell’affermazione della compatibilità tra i sistemi di controllo penale, politico e amministrativo sull’attività degli enti pubblici decentrati. Una delle critiche di maggior rilievo nei confronti della sentenza Volkel è stata volta a contestare l’incompatibilità tra controlli di natura politica o amministrativa sull’operato dello Stato e lo strumento penale. Già al momento della pronuncia della sentenza si era ritenuto che non esistessero validi motivi per sostenere una simile argomentazione, atteso che non esisteva alcuna incompatibilità tra i diversi mezzi di controllo144. La critica è apparsa vieppiù fondata alla luce della giurisprudenza Pikmeer ii, la quale ha stabilito espressamente che l’asserita incompatibilità non è reale ma frutto di una presa di posizione che non trova fondamento. Da ciò discende che l’esistenza di un controllo politico sull’operato statale non è più in grado di giustificare l’irresponsabilità assoluta dello Stato. Van Veen, De strafrechtelijke aansprakelijkheid van de overheid, cit., p. 165. Roef, Kan de Staat, cit., p. 341. 144 Brants, The king can do no wrong, cit., p. 515. 142 143 86 E. Pavanello Ugualmente non convincente è stata reputata la motivazione addotta dalla Corte di Cassazione secondo cui l’esistenza di una responsabilità penale dei funzionari escluderebbe quella dello Stato. Le perplessità sorgono anche per il fatto che detti funzionari partecipano delle stesse competenze pubbliche al pari della persona giuridica alle cui dipendenze lavorano e pertanto dovrebbero godere di analoga immunità145. Inoltre, nella pratica è molto spesso difficile accertare un’effettiva responsabilità dei funzionari i quali agiscono nell’ambito di una più generalizzata politica d’impresa «criminale», senza tuttavia che agli stessi possa essere attribuita una precisa condotta illecita146. La possibilità di procedere penalmente nei confronti dei funzionari non costituisce pertanto una valida alternativa. Come rilevato da certa dottrina peraltro le stesse argomentazioni che hanno indotto la Suprema Corte a modificare la giurisprudenza Pikmeer i e a restringere l’ambito di operatività dell’immunità penale per gli enti pubblici decentrati dovrebbero valere anche nel caso dello Stato147. Innanzitutto, perchè la ratio della «nuova» interpretazione giurisprudenziale sugli enti pubblici decentrati è quella di garantire una posizione di uguaglianza tra persone giuridiche di diritto pubblico e i terzi privati che pongono in essere le medesime attività. In secondo luogo, perché anche nel caso dello Stato dovrebbe parlarsi di una funzione di esempio per i cittadini: questi ultimi rimarrebbero negativamente colpiti dal fatto che proprio lo Stato può violare la legge penale impunemente. Da qui la richiesta, anche a livello politico, di provvedere ad una revisione della giurisprudenza Volkel, richiesta che ha condotto, come si vedrà, all’istituzione di una commissione ad hoc incaricata di dare la propria opinione sulla questione. 19. La valutazione dell’opportunità di punire lo Stato da parte della dottrina: la possibilità di configurare la responsabilità delle singole entità che compongono lo Stato. La dottrina olandese non è unanime nel ritenere necessaria la previsione di una responsabilità penale anche dello Stato: si ritiene infatti sufficiente la responsabilità penale dei funzionari, dei Ministri e dei Segretari di Stato per i crimini commessi nell’esercizio delle loro funzioni148. Inoltre, anche la dottrina che ha avversato la giurisprudenza Volkel ha espresso alcune riserve circa l’effettiva perseguibilità dello Stato in quanto tale, in ragione delle difficoltà di delineare un sistema di responsabilità penale per lo Stato, persona giuridica dotata di una struttura estremamente complessa. Occorre chiedersi in che modo sia H.Ph.J.A.M. Hennekens, nota a sentenza della Hoge Raad 23.10.1990, in «Gemeentestem», 1991, p. 330. 146 Viering, Widdershoven, De strafrechtelijke positie van de overheid na Pikmeer II, cit., p. 81-82. 147 Viering, Widdershoven, ibidem. 148 Van Veen, De strafrechtelijke aansprakelijkheid van de overheid, cit., p. 166. 145 L’ordinamento olandese 87 possibile strutturare la responsabilità dello Stato e verificare sulla base di quali criteri la condotta illecita sia attribuibile allo stesso149 e, in particolare, in che modo dovrebbero atteggiarsi i criteri del potere e dell’accettazione. Al riguardo si è rilevato che atteso che lo Stato, al pari delle altre persone giuridiche di diritto privato, è organizzato attraverso una struttura interna ove le competenze sono ben definite e ciascuna «entità» impartisce ordini o conferisce incarichi a determinati soggetti, adottando decisioni che possono dare origine alla commissione di fatti illeciti, è plausibile che esso sia a conoscenza delle attività che si svolgono all’interno della propria organizzazione. Solo laddove vi sia un’attività qualificabile come corpus alienum, sarà possibile ritenere che la stessa non sia in alcun modo riconducibile allo Stato. Quanto, invece, al criterio dell’accettazione, esso risulterebbe probabilmente di più difficile applicazione poiché occorrerebbe verificare se sussista il potere in capo alla persona giuridica di adottare tutte quelle misure idonee a prevenire la commissione del reato. Si considerino le contravvenzioni: esse postulano in generale un dovere di diligenza che comporta per l’organizzazione l’adozione di specifiche istruzioni, procedure o regole affinché all’interno dell’ente non si verifichi alcun fatto penalmente rilevante. Mentre abbastanza semplice è determinare quando materialmente vi sia stata la violazione di una norma, più complicato invece risulta stabilire quando un certo comportamento è stato accettato dall’organizzazione. E poi occorre determinare a che livello dell’organizzazione vi sia stata l’accettazione. Ad esempio, nel caso Volkel in cui la violazione contestata era di natura contravvenzionale, deve ritenersi sufficiente per attribuire la condotta allo Stato che il responsabile della base militare fosse a conoscenza della potenziale situazione di pericolo esistente o è piuttosto necessario che detta situazione fosse a conoscenza dei più alti vertici dello Stato (sino ad arrivare al Ministero della Difesa)? Mentre nella prima ipotesi sarà più agevole fornire la prova sul punto, nel secondo caso occorrerà ricostruire una serie di responsabilità a catena e la prova sarà inevitabilmente più complessa150. Infatti, un deficit di organizzazione di una struttura «distante» dai vertici statali ma facente parte dello stesso organismo, difficilmente potrà essere riferita direttamente allo Stato151. Il problema si acuisce ove si pensi ad ipotesi di reati in cui sia necessario dimostrare l’elemento soggettivo del dolo o della colpa, come avviene nell’ipotesi di corporate killing. Stante l’esistenza di queste indubbie difficoltà, parte della dottrina olandese ha proposto di non considerare lo Stato come un’unità inscindibile, quanto piuttosto di attribuire soggettività giuridica anche alle singole entità che non sono dotate di proRoef, Strafbare, cit., p. 307. Brants, The king can do no wrong, cit., p. 521-528. 151 Roef, Strafbare, cit., p. 393-397. 149 150 88 E. Pavanello pria personalità giuridica. A tal proposito si è proposto di apportare una modifica del codice penale che si indirizzi esplicitamente in questo senso152. 19.1. Valutazioni in ordine alla responsabilità penale dei dirigenti di fatto e di coloro che hanno dato l’ordine all’interno dello Stato. La possibilità di perseguire lo Stato assume nell’ordinamento olandese connotazioni peculiari, in relazione alla possibilità di punire anche i soggetti fisici indicati nell’art. 51 comma 2) n. 2) c.p., ovvero i dirigenti di fatto e coloro che hanno dato l’ordine. Se si nega la possibilità che lo Stato sia autore di un reato, automaticamente si nega anche la possibilità di punire detti soggetti. L’affermazione trova consacrazione nella sentenza Pikmeer i la quale ha ritenuto che la posizione giuridica dell’ente e delle persone fisiche indicate sia così strettamente legata da non poter essere scissa. Atteso che nessuna indicazione particolare sul punto è contenuta nella sentenza Volkel né nella successiva giurisprudenza relativa agli enti decentrati, si deve ritenere che ciò debba valere anche nell’ipotesi di dirigenti di fatto o di coloro che hanno dato l’ordine alle dipendenze dello Stato153. La questione, come si può agevolmente intuire, ha dei risvolti pratici di notevole rilevanza. Secondo il sistema delineato dalla Corte, infatti, saranno punibili le sole persone fisiche che hanno materialmente posto in essere la condotta illecita le quali non sempre saranno facilmente individuabili o per le quali non sempre vi sarà un reale interesse a procedere penalmente. Di fatto verrà quindi garantita una situazione di generalizzata impunità. L’esistenza della responsabilità penale delle persone fisiche in quanto tali (ai sensi quindi degli art. 47 e 48 c.p.) e dei funzionari che hanno commesso un delitto nell’esercizio delle loro funzioni (ambtsdelicten), non esclude la necessità di prevedere un’autonoma responsabilità dei dirigenti di fatto o di coloro che hanno dato l’ordine ai sensi dell’art. 51 c.p. per ovviare a tale limitazione, si propone di prevedere espressamente la possibilità di punire detti soggetti, anche nell’ipotesi in cui essi agiscano all’interno di una persona giuridica di diritto pubblico, non perseguibile154. La costruzione proposta desta perplessità per il fatto che occorrerebbe comunque attribuire la condotta allo Stato e accertarne la qualità di autore del reato, essendo la responsabilità dei soggetti fisici indicati conseguente rispetto a quella della persona giuridica. Roef, Strafare, cit., p. 400-401. Brants, The king can do no wrong, cit., p. 526 ss. 154 Van Veen, De strafrechtelijke aansprakelijkheid van de overheid, cit., p. 166. 152 153 L’ordinamento olandese 89 20. L’istituzione da parte del Ministero della Giustizia di una commissione ad hoc per valutare l’opportunità di prevedere un sistema di responsabilità penale nei confronti dello Stato. Anche i politici si sono interrogati sulla necessità di modificare l’art. 51 c.p. con riferimento alla peculiare posizione dello Stato proprio in seguito alla sentenza Pikmeer II che ha revocato in dubbio la fondatezza delle argomentazioni giuridiche circa l’irresponsabilità penale dello Stato e la correttezza della scelta effettuata dalla Corte di Cassazione. Governo e membri della seconda Camera del Parlamento avevano espresso posizioni divergenti sul punto: mentre il primo si era sostanzialmente dichiarato contrario a qualsiasi forma di responsabilità penale dello Stato, i secondi si erano espressi nel senso della perseguibilità penale dello Stato155. Nel maggio del 2001 il Ministro della Giustizia olandese, a fronte di detto contrasto, ha istituito una commissione ad hoc affinché quest’ultima fornisse il proprio parere circa la possibilità di procedere penalmente nei confronti dello Stato156. I quesiti posti alla Commissione miravano a verificare la fondatezza e l’opportunità di istituire una responsabilità penale dello Stato nonché la struttura e le conseguenze giuridiche dell’introduzione di una simile responsabilità. Il rapporto della Commissione dal titolo Strafrechtelijke aansprakelijkheid van de Staat (Responsabilità penale dello Stato) è stato presentato nel febbraio del 2002157. 20.1. Analisi da parte della Commissione del fondamento e della legittimità delle argomentazioni addotte a sostegno dell’immunità penale dello Stato, ovvero l’asserita identità tra soggetto perseguito e soggetto che esercita l’azione penale, l’ineffettività di una sanzione penale di carattere pecuniario, l’asserita incompatibilità dei sistemi di controllo politico, penale e amministrativo e il pericolo di una giustizializzazione della politica. Critiche. Nel rapporto elaborato la Commissione ha, innanzitutto, preso in considerazione le disposizioni vigenti in materia, sottolineando come l’art. 51 c.p. non contengaalcuna previsione specifica e lasci, quindi, aperta la possibilità che anche lo Stato in quanto tale venga perseguito penalmente. La Commissione ha proceduto poi all’esame della giurisprudenza sviluppatasi sino ad allora sulla responsabilità penale degli Si veda Verslag 14 luglio 2000, Kamerstukken 1999/2000, 25 n. 11, p. 294. La Commissione era composta di quattro giuristi: H.L.J. Roelvink (presidente della Commissione da cui la stessa ha preso il nome), Prof. M.A.P. Bovens, Prof. G. Knigge e Prof. H.R.B.M. Kummeling. 157 Il testo completo della relazione può essere rinvenuto nel sito web http://www.justitie.nl/ images/20020311_5154510%20rapport%20roelvink_tcm35-7881.pdf. 155 156 90 E. Pavanello enti pubblici e ha rilevato che la Corte di Cassazione, nel distinguere nettamente la posizione dello Stato da quella degli enti decentrati, non ha indicato un valido fondamento per giustificare simile differenziazione. La Commissione ha poi esaminato gli argomenti che erano stati addotti sino ad allora a favore di una totale immunità penale dello Stato, valutandone l’effettivo fondamento alla luce dei principi di legittimità ed effettività. Con il principio di legittimità, la Commissione fa riferimento alla conformità degli atti del Governo alla legge: laddove l’ente pubblico agisca in contrasto con le norme di diritto lo stesso perde la propria credibilità. La Commissione ha ritenuto che analogo principio debba valere anche per lo Stato, non esistendo alcuna ragione in base alla quale quest’ultimo possa violare le disposizioni penali impunemente. La condizione della legittimità degli atti del Governo è strettamente legata al principio di uguaglianza perché, sostenendo che l’attività dello Stato non può mai essere sottoposta al giudizio penale, si creerebbe un’evidente disparità di trattamento rispetto ad analoghi comportamenti tenuti dagli enti pubblici decentrati158. La disuguaglianza si rende ancor più manifesta in relazione alle diverse posizioni in cui si trovano entità governative indipendenti che pongono in essere condotte penalmente rilevanti ma che, non disponendo di propria personalità giuridica ed essendo direttamente incardinate nella struttura statale, non possono essere perseguite rispetto ad entità che, al contrario, dispongono di personalità giuridica autonoma. Esemplificativo il caso delle autorità amministrative indipendenti: l’autorità indipendente per la posta e le telecomunicazioni (Onafhankelijke Post en Telecommunicatie Autoriteit-opta) dispone di propria personalità giuridica e, per tale ragione, laddove ponga in essere un fatto penalmente rilevante sarà perseguibile; di contro, l’autorità olandese per la concorrenza (Nederlandse Mededingingsautoriteit-nma) si trova alle dipendenze del Ministero per gli affari economici e non dispone di propria personalità giuridica, cosicché la stessa gode dell’immunità concessa allo Stato. Non si comprende quale sia la ragione che induce a trattare in modo diverso le due autorità nonostante dispongano di analoga struttura e svolgano funzioni assimilabili. Sempre legata alla legittimità, viene in rilievo la questione dell’eventuale possibilità di perseguire penalmente anche le persone fisiche che hanno agito per la realizzazione del fatto penalmente rilevante in qualità di dirigenti di fatto o di coloro che hanno dato l’ordine. Contrariamente a quanto indicato dalla Corte di Cassazione, la Commissione non vede ragione alcuna per negare la possibilità di perseguire dette persone fisiche. Con il principio dell’effettività, la Commissione si riferisce invece al fatto che il diritto penale può essere utilizzato solo come ultimum remedium: l’invito da parte La Commissione considera interessante che in Danimarca, uno dei pochi Paesi in cui è riconosciuta la responsabilità penale dello Stato, non si faccia alcuna distinzione in relazione al trattamento penale tra enti decentrati e Stato. 158 L’ordinamento olandese 91 degli studiosi è, dunque, di limitare l’uso della sanzione penale alle sole ipotesi in cui ciò risulti effettivamente necessario. Dopo aver precisato i principi sopra esaminati, si analizzano gli argomenti che sono stati addotti dal Governo ad ostacolo della perseguibilità penale dello Stato, cercando di dimostrare che nessuno di essi è in grado di giustificare la totale immunità dello stesso. Il primo ostacolo rinvenuto dal Governo concerne l’asserita identità tra soggetto che esercita l’azione penale e soggetto perseguito: lo Stato perseguirebbe e punirebbe se stesso e ciò determinerebbe una perdita di credibilità nell’azione penale e nella punizione stessa. Ad avviso della Commissione questo argomento non è convincente perché lo Stato a ben vedere non verrebbe perseguito e punito da se stesso, bensì da entità diverse che si collocano al suo interno (pubblico ministero e giudice penale). Il problema è ad avviso della Commissione facilmente risolvibile attraverso degli accorgimenti di carattere procedurale. La seconda argomentazione addotta a sostegno dell’irresponsabilità attiene alla controversa posizione in cui si verrebbe a trovare il Ministro di Giustizia, contemporaneamente membro del Governo e responsabile per l’operato del pubblico ministero. Ciò comporterebbe un’inevitabile influenza nella scelta se perseguire o meno lo Stato da parte del Ministro della Giustizia con la conseguenza che vi sarebbe un controllo politico sull’attività giudiziaria. La Commissione non nasconde l’esistenza di detto rischio che considera attuale e presente, ma ritiene che ciò possa essere superato attraverso l’adozione di apposite procedure (in particolare, la Commissione suggerisce di prevedere che il Ministro si astenga dal dare le proprie indicazioni ove venga perseguito lo Stato). Il terzo ostacolo addotto alla procedibilità concerne l’effettività del diritto penale e della pena nei confronti di una persona giuridica di diritto pubblico e, in particolare, dello Stato (vestzak-broekzak). Ad opinione della Commissione, il problema si pone unicamente qualora vengano condannati Ministeri o entità all’interno dello Stato che non sono dotati di un proprio budget e non dispongono, quindi, di risorse finanziarie proprie. In ogni caso, anche in quest’ultima ipotesi, a parere degli esperti, è innegabile il valore simbolico della condanna penale, a prescindere dal fatto che alla stessa segua poi l’effettiva applicazione della sanzione. Pertanto, la Commissione propone di procedere ad una semplice dichiarazione di colpevolezza dello Stato cui poi non segua l’applicazione di alcuna sanzione. Quanto all’asserita incompatibilità con l’eventuale esistenza di sistemi di controllo politici e amministrativi, la Commissione ritiene che ciò non costituisca alcun ostacolo. Se infatti occorre assicurare che lo strumento penale trovi applicazione solo come extrema ratio, laddove gli altri sistemi di controllo non producono risultati 92 E. Pavanello soddisfacenti, si rileva che in principio nessun ostacolo si frappone alla compatibilità tra i diversi sistemi. Quanto, infine, al rischio di una giustizializzazione (juridisering) della politica, essa ad avviso della Commissione non dipende tanto dalla possibilità di perseguire lo Stato, quanto piuttosto dal modo in cui ciò nella pratica viene realizzato; occorre cioè valutare l’interesse alla prosecuzione penale nei diversi casi specifici. La Commissione non rinviene, dunque, alcun argomento sufficientemente fondato, in grado di escludere la responsabilità penale dello Stato. Al contrario, essa rileva che la necessità di punizione dello Stato discende dalla cosiddetta normbevestiging (letteralmente, conferma della norma): con questo concetto la Commissione intende fare riferimento all’effettività del diritto penale che è maggiore nel caso in cui anche gli enti pubblici siano perseguibili e che invece viene minata in caso contrario. La volontà dei cittadini di rispettare la legge diminuisce, infatti, laddove sia diffusa l’idea che il Governo possa impunemente violare la legge. 20.2. Il modello di responsabilità proposto: la possibilità di perseguire le singole entità facenti capo allo Stato per i reati di carattere economico. Una volta accertata la necessità di procedere ad una punizione penale delle condotte poste in essere all’interno dello Stato, si pone il problema di come strutturare detta responsabilità. Secondo la Commissione non è opportuno fare riferimento al concetto di Stato in generale: più appropriato, invece, fare riferimento alle singole unità o ai singoli Ministeri i quali tuttavia molto spesso non detengono la personalità giuridica. La Commissione propone di perseguire dette entità a condizione che le stesse siano dotate di una indipendenza «esterna», che consenta loro di prendere parte al mercato societario. Per determinare quando detta indipendenza esterna sussista occorrerà tenere in considerazione una serie di fattori, quali, in via esemplificativa, l’esistenza in capo all’ente di determinate competenze o funzioni, la disponibilità di un budget autonomo, la capacità di avere relazioni con gli altri soggetti di diritto (ad esempio, un fattore indicativo sarà il fatto che l’entità in questione può concludere autonomamente contratti), la presenza di una certa autonomia decisionale, la disponibilità di una sede di lavoro indipendente o addirittura di un autonomo indirizzo e-mail. Lo Stato in quanto tale non può essere perseguito, ma devono esserlo le singole entità allo stesso facenti capo, ancorché non dotate di personalità giuridica: di qui L’ordinamento olandese 93 la necessità di modificare l’art. 51 c.p. nel senso che anche dette entità rientrano nel concetto di persona giuridica159. La Commissione indica, poi, che alcune entità, indipendentemente dalla loro rilevanza esterna, non potranno mai sottostare alla responsabilità penale: trattasi del pubblico ministero, del Consiglio di Stato e dei Tribunali. E ciò non tanto perché vi siano ostacoli di principio, quanto piuttosto per ragioni di opportunità pratica. Una volta chiarito l’ambito soggettivo di applicazione della responsabilità penale dello Stato, la Commissione indica che, da un punto di vista oggettivo, le entità statali potranno essere considerate responsabili unicamente per i cosiddetti ordeningsdelicten, ovvero quei delitti che non sono previsti nel codice penale ma nelle leggi speciali (per lo più si tratta di delitti economici contenuti nella WED). La Commissione giustifica la propria scelta sostenendo innanzitutto che la contemporanea presenza di controllo sul piano penale, politico e amministrativo potrebbe determinare una situazione di confusione per i commune delicten. In secondo luogo, essa ritiene che la maggior parte dei delitti che potranno essere riferiti allo Stato apparterranno a questa categoria e che per gli stessi sarà più agevole la prova dell’elemento soggettivo, atteso che sarà sufficiente nella maggior parte dei casi dimostrare la sussistenza della colpa. A ciò si aggiunge che per i commune delicten (pensiamo all’ipotesi di omicidio) sarà molto difficile provare sul piano causale che la condotta dello Stato ha determinato il verificarsi di quel delitto. La presa di posizione della Commissione è stata fortemente criticata dalla dottrina, vieppiù per il fatto che la stessa propone la medesima soluzione anche qualora si tratti di fatti illeciti posti in essere da enti pubblici decentrati160. Quanto infine alla posizione delle persone fisiche indicate nell’art. 51 c.p., appare opportuno a parere della Commissione consentire che le stesse rispondano penalmente indipendentemente dal fatto che l’ente pubblico (decentrato o Stato) cui appartengono possa godere dell’immunità. Brants, Vervolgbaarheid van de Staat, in «Overheid en aansprakelijkheid», n.1, gennaio 2003, p. 10 rileva che nulla impedisce di estendere la proposta di scindere lo Stato in diverse unità anche ad altri enti pubblici come i comuni di grandi dimensioni. 160 La Commissione nel proprio rapporto fa infatti riferimento anche alla posizione degli enti pubblici decentrati e propone che la loro responsabilità penale emerga solo nell’ipotesi di ordeningsdelicten. Da condividere sono le critiche avanzate dalla Commissione sul fondamento giuridico e sull’opportunità pratica di utilizzare il criterio dell’esecuzione di un compito pubblico che può essere posto in essere solo da funzionari pubblici, individuato da Pikmeer ii per escludere la responsabilità penale degli enti pubblici decentrati. Gli esperti infatti ritengono che il criterio non sia sufficientemente determinato e lasci spazio a diverse opzioni interpretative, senza contare poi che la distinzione tra attività che possono essere poste in essere esclusivamente da soggetti pubblici e quelle che possono essere eseguite anche da privati non è convincente. Al contrario, in virtù dei principi di legittimità ed effettività è necessario che qualsiasi attività, anche quelle «tipiche» o «esclusive», siano sottoposte al controllo penale. 159 94 E. Pavanello La Commissione conclude il proprio rapporto proponendo di indicare espressamente nell’art. 51 c.p. che nel concetto di persona giuridica di diritto pubblico sono compresi anche tutti i servizi, le strutture e quelle autorità che partecipano al mercato societario oltre al fatto che le persone giuridiche di diritto pubblico potranno essere perseguite unicamente per gli ordeningsdelicten. Essa inoltre propone di introdurre una modifica all’art. 127 della legge sull’organizzazione del Regno in cui si indichi che il Ministro della Giustizia non può fornire alcuna indicazione relativamente alle indagini e alla perseguibilità nei casi in cui siano coinvolte persone giuridiche di diritto pubblico, incluse le entità indipendenti indicate nell’art. 51 c.p. 21. Le reazioni critiche del Governo e della dottrina al modello di responsabilità proposto. Il rapporto presentato dalla Commissione di giuristi è stato accolto in modo positivo dal Governo, il quale ha condiviso le linee generali in esso indicate. Affinché il modello di responsabilità possa trovare applicazione è necessario, a parere dell’esecutivo, individuare esattamente le entità e i servizi all’interno dello Stato che assumono rilievo autonomo e che, in quanto tali, possono essere considerati responsabili. Il Governo non ha, invece, condiviso la necessità, espressa dalla Commissione, di introdurre la modifica della legge sulle competenze del Ministero della Giustizia in materia di indicazioni da fornire al pubblico ministero161. Quanto alla dottrina, essa si è mostrata più critica nei confronti del parere de quo con particolare riferimento al diverso regime di responsabilità proposto per gli ordeningsdelicten e i commune delicten. Come è stato rilevato, infatti, le argomentazioni addotte dalla Commissione sul punto prendono spunto da considerazioni di carattere pratico che non dispongono di un fondamento teorico convincente162. La Commissione ha ritenuto ad esempio che i commune delicten sono normalmente posti in essere da persone fisiche e che per tale ragione la punizione sarebbe più effettiva nei confronti delle persone fisiche che delle persone giuridiche. Ancora, da un punto di vista sanzionatorio (retributivo), il procedimento nei confronti delle persone giuridiche di diritto pubblico avrebbe come unico sicuro effetto una «condanna» a livello mediatico mentre la condanna ad una sanzione pecuniaria inciderebbe inesorabilmente sul budget dell’ente. La Commissione in questo modo ha previsto gli effetti negativi che la perseguibilità penale dello Stato potrebbe produrre, senza tuttavia verificare sul campo se ciò corrisponda alla realtà e senza considerare che analoghe preoccupazioni potrebbero essere avanzate per i commune delicten. 161 162 G.J.M. Corstens, Vervolgbaarheid van de overheid, in «Nederlands Juristenblad», afl. 22, 2002. Rozemond, Past de Staat der Nederlanden in het verdachtenbankje?, cit., p. 7. L’ordinamento olandese 95 I giuristi incaricati di redigere il parere inoltre hanno rinvenuto la ragione per limitare la responsabilità penale dello Stato nel fatto che nei commune delicten l’elemento centrale è la colpa individuale, cosicché non sarebbe possibile prevedere una responsabilità penale delle persone giuridiche. L’argomento è stato criticato poiché, come risulta dalle sentenze pronunciate in relazione agli enti decentrati, è possibile costruire l’elemento soggettivo della colpa anche per le persone giuridiche e, soprattutto, la responsabilità penale di queste ultime non esclude che sussista anche la responsabilità penale individuale163. In secondo luogo perché l’asserita «confusione» addotta dalla Commissione in caso di previsione di una responsabilità penale oltre che di un controllo politico e amministrativo, non convince poiché analoghi problemi potrebbero profilarsi con riferimento ai commune delicten. La stessa obiezione viene mossa al rilievo che in caso di condanna dello Stato le vittime proverebbero «sconcerto»: oltre al fatto che non è chiaro a che tipo di sconcerto la Commissione faccia riferimento, la stessa situazione si verificherebbe in caso di condanna per un ordeningdelict164. Per comprendere la difficile situazione in cui ci si troverebbe qualora si ritenesse di mantenere detta distinzione, si fornisce un esempio. Supponiamo che un Ministero, pel tramite dei propri funzionari, elimini senza aver previamente ottenuto l’autorizzazione necessaria rifiuti dannosi, gettandoli nel mare ove i bambini normalmente si tuffano. Qualora uno di essi muoia a seguito del contatto con le sostanze dannose (e sia dimostrato ovviamente che esiste un diretto nesso di causalità tra il contatto con le sostanze nocive e la morte) il Ministero potrebbe essere perseguito per aver eliminato rifiuti tossici senza autorizzazione, mentre non potrebbe essere perseguito per l’omicidio colposo, trattandosi in questa ipotesi di un commune delict. Chi scrive condivide pienamente le critiche mosse alla differenziazione di trattamento a seconda del tipo di delitto commesso: nessuna delle argomentazioni addotte è, infatti, convincente né dispone di solidi fondamenti giuridici. Al contrario, ogni limitazione della responsabilità penale rischia di creare incongruenze maggiori nel sistema rispetto alla sua totale eliminazione. Quanto alla peculiare posizione del Ministro della Giustizia, la Commissione ha segnalato la necessità di introdurre una modifica all’art. 127 della legge sull’organizzazione del Regno prevedendo che in questo caso il Ministro si astenga dall’utilizzare la propria competenza a dare istruzioni ai pubblici ministeri. Sarebbe più opportuno per alcuni utilizzare un’apposita procedura attraverso la quale il Ministro − previo scrutino da parte del collegio dei Procuratori generali − riceva la competenza di adire un tribunale per valutare l’opportunità giuridica di procedere nei confronti dello Sta163 164 J.H.P. van Spanje, Staat en straf, in «Nederlands Juristenblad», afl. 22, 2002. Van Spanje, Staat en straf, cit., afl. 22. 96 E. Pavanello to. In questo modo verrebbe garantita l’indipendenza della scelta da ogni influenza politica165. Critiche sono state avanzate rispetto al rapporto della Commissione Roelvink, oltre che per l’irragionevolezza della distinzione tra delitti comuni e ordeningsdelicten, anche in relazione alla proposta di distinguere all’interno dello Stato i diversi servizi, stabilimenti, imprese o unità organizzative che godono di «indipendenza»166. 22. Gli esiti applicativi del sistema di limitata responsabilità penale degli enti pubblici decentrati e dello Stato. L’impunità «incomprensibile» delle persone giuridiche, dei dirigenti di fatto e di coloro che hanno dato l’ordine in relazione a disastri imputabili alle colpose omissioni dell’amministrazione pubblica. I casi esaminati nel presente paragrafo hanno suscitato grande scalpore in Olanda perché hanno evidenziato le limitazioni cui l’applicazione dei principi giurisprudenziali in materia di (ir)responsabilità penale di enti decentrati e Stato possono dare origine167. Nel caso di Enschede, un magazzino di fuochi artificiali era esploso nel centro della città con conseguenze catastrofiche: oltre 20 morti e più di 1.000 feriti, senza contare che l’incidente aveva comportato anche ingenti danni materiali. La commissione statale di indagine aveva stabilito che diversi enti pubblici non avevano compiuto quanto era di loro competenza per prevenire il disastro incendiario. Dalla relazione de qua era emerso, in particolare, che tanto la condotta del Comune di Enschede nella veste di ente che concedeva l’autorizzazione per il deposito dei fuochi artificiali, quanto quella degli organi statali preposti al controllo della sicurezza (ufficio Milan del Ministero della Difesa), avevano mostrato gravi lacune. Il Tribunale di Almelo nel considerare la posizione dello Stato, si è limitato a constatare l’impossibilità di perseguire detto ente pubblico, in ragione dei principi contenuti nella sentenza Volkel, nonché l’impossibilità di perseguire i dirigenti di fatto e coloro che avevano dato l’ordine all’interno dell’organizzazione statale168. P. de Haan, Nogmaals de strafbaarheid van de overheid: onderscheid tussen rechtspersoon en openbaar gezag, in «RMThemis», n. 3, 2003, p. 148 secondo cui il rischio di un’effettiva influenza politica nella scelta di procedere penalmente o meno è solo teorico. 166 De Haan, Nogmaals de strafbaarheid van de overheid: onderscheid tussen rechtspersoon en openbaar gezag, cit., p. 147-148. 167 Nel senso che pochi casi dopo quello Pikmeer hanno destato interesse nell’opinione pubblica e, tra questi, quelli di Volendam ed Enschede si veda J.A.F. Peters, Na Pikmeer: Volendam of Enschede?, in «Nederlands Tijdschrift voor Bestuursrecht», n.2, 2002, p. 42. 168 Rechtbank Almelo 2 aprile 2002, LJN: AE0935, reperibile nel sito web <http://zoeken.rechtspraak. nl/zoeken/dtluitspraak.asp>. 165 L’ordinamento olandese 97 Quanto invece al Comune di Enschede, il Tribunale ha preso in considerazione le diverse attività che lo stesso aveva posto in essere (o meglio, le negligenti omissioni dello stesso). Dalle indagini era, infatti, risultato che la domanda per ottenere l’autorizzazione da parte della società privata che si occupava della gestione del materiale esplosivo era stata insufficientemente esaminata dal Comune. Inoltre, in numerose occasioni il Comune aveva omesso di esercitare il proprio controllo sull’attività della società stessa: di fatto, l’ente pubblico aveva permesso il perpetuarsi di una situazione in contrasto con la legge penale. Ancorch’è la società privata fosse stata più volte ammonita circa la situazione irregolare in cui si trovava, il Comune aveva comunque consentito il protrarsi della situazione e non aveva adottato alcuna misura volta a prevenire eventuali incidenti169. Il rilascio dell’autorizzazione de qua, a parere del Tribunale, integrava, alla luce del sistema legislativo attualmente vigente, un’ipotesi di «compito pubblico esclusivo». Ad analoghe conclusioni sono pervenuti i Giudici con riferimento ai compiti del mantenimento della sicurezza e del controllo in relazione al deposito dei fuochi artificiali. Per tali ragioni, sulla base dei principi indicati nella sentenza Pikmeer ii, la responsabilità del Comune è stata esclusa. Per quanto concerne la posizione delle persone fisiche che avevano agito all’interno del Comune, la sentenza ha precisato che la perseguibilità delle stesse avrebbe potuto venire in rilievo sotto un duplice profilo: ai sensi dell’art. 51 c.p., in quanto soggetti che hanno dato l’ordine di eseguire l’attività illecita o dirigenti di fatto, e, ai sensi degli artt. 47 e 48 c.p., in quanto autori o compartecipi del reato. In relazione alla prima ipotesi, il Tribunale si è limitato a rilevare che ove non sussista la responsabilità penale della persona giuridica, come nel caso di specie, nessuno spazio residuerà nemmeno per la responsabilità di coloro che hanno dato l’ordine e dei dirigenti di fatto (detto principio discende dall’insegnamento della sentenza Pikmeer i). Quanto, invece, al ruolo delle persone fisiche autori del reato o compartecipi, il Tribunale ha rilevato che non era stata provata nel corso del procedimento l’effettiva posizione di questi soggetti e che, in ogni caso, non sarebbe sussistito alcun interesse al loro perseguimento. Nel caso di Enschede pertanto non vi è stata condanna né per le autorità statali e il Comune, né per coloro che avevano dato l’ordine o i dirigenti di fatto che avevano agito al loro interno. Il direttore della società privata è stato invece condannato ad un periodo di reclusione di sei mesi e al risarcimento del danno A parere di Brants, Vervolgbaarheid van de Staat, cit., p. 7, questa decisione dimostra che la sussistenza dell’immunità degli enti pubblici decentrati non garantisce comunque che il giudice penale si astenga da qualsiasi tipo di giudizio circa la condotta posta in essere dall’amministrazione. Nel caso di specie infatti il giudice ammette che vi siano state una serie di negligenze rimproverabili in capo all’ente pubblico, salvo poi escludere la loro rilevanza penale in quanto si tratta di condotte poste in essere nell’ambito di un’attività di competenza esclusiva dell’ente pubblico. 169 98 E. Pavanello pari ad euro 2.250,00. La Corte d’Appello ha poi confermato la sentenza di primo grado170. A conclusioni analoghe sono giunti i giudici in relazione all’incidente avvenuto a Volendam. In questo caso la notte di Capodanno si era verificato uno spaventoso incendio in un caffé a seguito del quale morirono una dozzina di persone. L’incendio era stato causato dalla non conformità alle norme vigenti del sistema elettrico e dall’uso di lampade natalizie facilmente incendiabili. Dalle indagini era risultato che sussisteva la responsabilità di molti enti pubblici i quali non avevano adempiuto diligentemente ai propri compiti di sorveglianza cui erano tenuti secondo quanto stabilito dalla legge di prevenzione degli incendi. Nella conferenza stampa dell’8 gennaio 2001, il pubblico ministero di Haarlem ha dichiarato che non intendeva procedere con l’azione penale nei confronti né del Comune né degli altri enti pubblici coinvolti nella vicenda, richiamando a tal proposito i criteri stabiliti da Pikmeer ii. Infatti, le condotte censurate riguardavano il rilascio di una licenza da parte del Comune nonostante il locale non rispettasse le condizioni di sicurezza. A dire il vero il Comune aveva rilasciato la licenza dietro la condizione che venissero effettuati determinati lavori in modo da rendere il locale conforme alle disposizioni vigenti: inutile dire tuttavia che questi lavori non vennero mai eseguiti e che il Comune non fece quanto nelle sue possibilità per modificare la situazione. Secondo il pubblico ministero questi comportamenti ricadevano nell’ambito dei compiti pubblici che possono essere posti in essere esclusivamente da funzionari pubblici atteso che la prevenzione degli incendi è, ai sensi dell’art. 1 comma 4 della legge sulla prevenzione degli incendi, un compito di esclusiva competenza del Consiglio Comunale. Il pubblico ministero ha ritenuto, invece, fondati i sospetti nei confronti del proprietario del caffè, sia in relazione al reato di incendio colposo che a quello di omicidio colposo, rilevando che egli era a conoscenza sia dello stato pericoloso dei luoghi, quanto della rischiosità delle lampade utilizzate171. Entrambi i casi menzionati si caratterizzano per evidenti omissioni da parte degli enti pubblici. Per quanto riguarda il caso di Enschede è stato rilevato che per ammettere una responsabilità penale a carico del Comune, alla luce del criterio del compito pubblico esclusivo, occorrerebbe riconoscere che, quantomeno da un punto di vista astratto, i compiti di prevenzione degli incendi potrebbero essere attribuiti a persone giuridiche di diritto pubblico che non sono enti pubblici o addirittura a persone giuridiche di diritto privato172. L’affermazione non sembra probante a parere di chi scrive: infatti, Hof Arnhem 24 settembre 2002, in «Administratiefrechtelijke Beslissingen», 2003/268 con nota di bpv. Si veda il comunicato stampa del pubblico ministero di Haarlem in data 8 gennaio 2001 De ramp in Volendam en de strafrechtelijke aansprakelijkheid van de overheid, in «Nederlands Juristenblad», n. 3, 2001, p. 148-149. 172 D. Roef, Strafvervolging van overheden Een evaluatie naar aanleiding van de ramp in Enschede, in «Ars 170 171 L’ordinamento olandese 99 non è stato escluso che questi compiti di natura esclusivamente pubblica possano essere posti in essere anche da persone giuridiche di diritto privato, ma nonostante ciò ha ritenuto improcedibile l’azione penale. Quanto al caso Volendam, le reazioni sono state contrastanti. La maggior parte della dottrina ha considerato la soluzione per la quale ha optato il pubblico ministero alquanto discutibile. Sul punto si è ritenuto come nel caso di specie la responsabilità del Comune fosse manifesta e quest’ultimo avrebbe pertanto dovuto essere punito. Il Sindaco aveva addirittura ammesso la propria responsabilità dichiarando che, nonostante il Comune avesse indicato ai proprietari del caffé le modificazioni da apportare al locale per renderlo conforme alla normativa vigente, lo stesso ente non aveva poi proceduto ad adottare misure adeguate per prevenire un simile incidente. Evidente poi il nesso diretto tra la negligenza (colpevole) del Comune e l’incendio, nesso che raramente è così chiaro nell’ipotesi di condotte di carattere omissivo173. Se dunque è vero che l’estinzione degli incendi è compito di carattere prettamente pubblico, in quanto tale non delegabile a terzi e sottoposto a immunità penale, nel caso specifico le negligenze del Comune atterrebbero in realtà ad una fase precedente rispetto alla vera e propria estinzione dell’incendio. Dette funzioni di prevenzione possono essere poste in essere anche da terzi privati, con la conseguenza che non sono sottoposte a immunità penale. Non é mancato, tuttavia, chi ha adottato un approccio diverso, con l’invito ad abbandonare la retorica e a guardare alla realtà: il diritto penale non potrebbe infatti soddisfare le aspettative dei cittadini a fronte di un comportamento negligente di un Comune174. In questo senso è stata negata l’esistenza del nesso di causalità tra l’omissione del Comune da un lato e l’incendio dall’altro e ciò perché la causa e l’effetto devono trovarsi in termini di tempo e di immediatezza vicini l’uno all’altro, cosa che nel caso di specie non si sarebbe verificata. La sola esistenza di un generale dovere di diligenza e l’eventuale responsabilità per le conseguenze che si determinano in violazione di detta diligenza, non sarebbe in questa prospettiva sufficiente a determinare la responsabilità del soggetto: è necessario, piuttosto, che esista un compito specifico cui adempiere o un comportamento ben definito da tenere. Secondo lo Studioso non vi sarebbe, pertanto, alcuna connessione diretta tra la negligenza dell’ente pubblico e il disastro incendiario, sia perché le negligenze del Comune si erano verificate nei dieci anni precedenti alla realizzazione dell’incendio, sia perché non sarebbe esistito Aequi», n. 50, 2001, p. 149. 173 T.M. Schalken, Waarom wordt de gemeente Volendam niet vervolgd?, in «Delikt en Delinkwent», n. 31 afl. 12, 2001, p. 115. 174 S.A.M. Stolwijk, Retoriek en realiteit in Volendam, in «Delikt en Delinkwent», n. 31, afl. 6, 2001, p. 525 ss. 100 E. Pavanello un compito specifico cui il Comune doveva adempiere. Contrariamente alla posizione da ultimo illustrata, chi scrive condivide l’opinione di altri Studiosi secondo i quali è difficile giustificare in queste tragedie l’inattività (colpevole) degli enti pubblici175. La posizione espressa si basa, tra l’altro, su alcune sollecitazioni provenienti dallla recente giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. 23. La necessità di accertare la responsabilità penale dei soggetti fisici esercenti funzioni pubbliche che hanno attentato al diritto alla vita nella giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e i possibili riflessi di tale principio in relazione alla responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico (caso Öneryildiz v. Turchia). Per quanto qui interessa si farà cenno alla sentenza Öneryildiz v. Turchia176 che risulta particolarmente rilevante ai fini della materia oggetto di studio, sia per le analogie con i casi Enschede e Volendam sotto il profilo fattuale, sia per la motivazione contenuta nella decisione della Corte Europea dei diritti dell’Uomo. Il caso riguardava un’esplosione di metano avvenuta all’interno di una discarica comunale nelle vicinanze della quale si erano insediate in modo abusivo nel corso degli anni dodici famiglie. Le autorità locali non avevano concesso alcuna autorizzazione all’insediamento in tali luoghi, ma, nel contempo, non avevano fornito adeguate informazioni sui rischi cui gli abitanti della zona andavano incontro vivendo vicino alla discarica, né avevano adottato alcuna misura idonea a trasferire detti soggetti in un luogo sicuro, nonostante da un rapporto governativo emergesse in modo chiaro l’esistenza di un rischio per la vita degli abitanti della bidonville. A causa di questa esplosione erano decedute 39 persone, delle quali molte facevano parte della famiglia del ricorrente. Il signor Öneryildiz, dopo aver esperito le azioni penale e amministrativa a livello nazionale, esperiva il ricorso avanti alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (in seguito, cedh), allegando la violazione da parte dello Stato turco dell’art. 2 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo che tutela il diritto alla vita, dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione che protegge il diritto alla proprietà, dell’articolo 6 della Convenzione che prevede il diritto al giusto processo e dell’articolo 8 della Convenzione, il quale tutela il diritto al rispetto della vita privata e familiare. Ci limiteremo ad analizzare l’argomentare giuridico della cedh con riferimento all’allegata violazione dell’articolo 2 della Convenzione, in quanto riteniamo che T. Barkhuysen, M.L. van Emmerik, Het EVRM dwingt tot verruiming van de strafrechtelijke vervolgbaarheid van overheden, in «Nederlands Juristenblad», afl. 28, 2003, p. 1444. 176 cedh, Öneryildiz v. Turchia, n. 48939/1999. 175 L’ordinamento olandese 101 questa parte della sentenza rilevi in particolar modo ai fini della presente ricerca. Innanzitutto, la cedh ha ritenuto che il rispetto del diritto alla vita imponga oltre all’obbligo per lo Stato di astenersi dal causare volontariamente la morte di un soggetto, anche taluni obblighi positivi per gli enti pubblici. La cedh ha individuato nel caso di specie, in primis, l’obbligo di adottare tutte le misure legislative e amministrative atte a prevenire il pericolo e, in secondo luogo, l’obbligo di informare il pubblico circa i rischi che i soggetti potevano correre continuando ad abitare nelle vicinanze della discarica. È evidente, ad opinione della Corte, il nesso causale tra la negligenza delle autorità e l’incidente mortale. Ma la Corte è andata oltre e ha ritenuto esistente un ulteriore obbligo positivo per lo Stato, ovvero quello di assicurare una reazione adeguata nel caso in cui venga violato il diritto alla vita protetto dall’articolo 2 della Convenzione: ciò comporta il compimento di indagini effettive e l’attuazione di un sistema sanzionatorio che consenta di proteggere concretamente il diritto alla vita (obbligazione questa che si fonda su quella più generale prevista all’art. 13 della Convenzione che prevede il diritto ad un ricorso interno adeguato ed effettivo). Quanto al sistema sanzionatorio da applicare, la Corte ha evidenziato che in caso di infrazioni non intenzionali (come nell’ipotesi che ci occupa) non sempre sarà necessario approntare un sistema penale di repressione; tuttavia, ove vengano in rilievo attività particolarmente pericolose (quali la gestione di una discarica) che possono condurre alla morte di taluni soggetti, il ricorso alla via penale è ineludibile. Nel caso di specie, la cedh ha evidenziato che, sul piano interno, la procedura penale è stata instaurata unicamente nei confronti dei sindaci della città di Istanbul e della città di Ümraniye con l’accusa di negligenza-omissione rispetto alle proprie mansioni di controllo, senza che sia stata considerata in alcun modo la messa in pericolo della vita degli abitanti della bidonville in ragione di tali negligenze (il capo d’accusa non era infatti di omicidio involontario). Ciò, ad avviso della cedh, rivelava una grande lacuna del sistema turco in quanto è innegabile il legame tra queste omissioni e la morte degli abitanti della bidonville (da rilevare peraltro come la condanna inflitta dal Tribunale turco ai due sindaci sia stata estremamente esigua, ovvero un’ammenda pari a circa 10 euro). Quanto alle responsabilità del Ministero dell’Ambiente e delle altre autorità governative coinvolte nella vicenda, esse erano state accertate mediante la sola procedura amministrativa: la condanna al risarcimento del danno è stata limitata a poco più di 2.000,00 euro che, all’epoca della sentenza della cedh, non erano ancora stati pagati al ricorrente. Orbene, a parere della cedh il meccanismo repressivo turco, sia penale che amministrativo, non si è rivelato adeguato ed effettivo così come dovrebbe essere alla luce dei principi stabiliti dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e, in particolare, della protezione del diritto alla vita. A questo punto ci si può interrogare sulla rilevanza di una simile pronuncia nel panorama giuridico olandese. Gli studiosi che si sono posti tale interrogativo, 102 E. Pavanello hanno proceduto a verificare se la giurisprudenza Pikmeer i e ii, che ha in sostanza condotto all’impunità delle persone giuridiche e delle persone fisiche nei casi di Enschede e Volendam, sia effettivamente compatibile con le indicazioni provenienti dalla giurisprudenza di Strasburgo. Come si ricorderà alla luce di Pikmeer i e ii viene garantita l’impunità non tanto per il comportamento «giuridico» dell’ente pubblico (rechtshandeling), ma per il comportamento materiale in violazione della legge penale che ne segue. Ciò determina anche l’impunità per i dirigenti di fatto e per coloro che hanno dato l’ordine all’interno della persona giuridica. Giova ricordare che la cedh ha ritenuto non rispondente ai principi di un adeguato sistema sanzionatorio perseguire i sindaci delle due città turche unicamente per le negligenze compiute a livello amministrativo (rechtshandeling) e non anche per gli omicidi involontari che ne sono derivati. In secondo luogo, la cedh ancorché non abbia imposto l’obbligo di procedere penalmente nei confronti delle persone giuridiche di diritto pubblico, ha comunque «imposto» di considerare responsabili, in caso di violazione del diritto alla vita, le persone fisiche che hanno avuto un ruolo nel verificarsi dell’incidente, a prescindere dal fatto che le stesse esercitino una funzione di carattere pubblico. Da ciò discende che non è possibile escludere a priori la responsabilità penale (quantomeno) delle persone fisiche che esercitano funzioni pubbliche, creandosi in caso contrario uno spazio di impunità che mette in serio pericolo la tutela del diritto alla vita. È proprio questo che la giurisprudenza Pikmeer i fa, ritenendo che anche i dirigenti di fatto e coloro che hanno dato l’ordine in quanto svolgono funzioni di natura pubblica debbono andare esenti da pena. Non siamo in grado di dire se e in che modo la giurisprudenza di Strasburgo potrà influenzare o addirittura modificare le posizioni attuali della giurisprudenza olandese: quel che è certo è che occorre attentamente riflettere sulle motivazioni enunciate dalla cedh, al fine di valutare se l’immunità penale di taluni soggetti fisici (e anche delle persone giuridiche) disponga di un solido fondamento giuridico. 24. Verso una modifica del codice penale olandese sulla responsabilità penale di enti pubblici decentrati e Stato? Le soluzioni giurisprudenziali sin qui illustrate hanno indotto la dottrina (ma anche il Governo e la Commissione Roelvink) ad interrogarsi sulla necessità di una modifica legislativa al fine di consentire che anche le attività degli enti pubblici (decentrati e Stato) siano sottoposte al sindacato del giudice penale. Come si vedrà sul punto non c’è accordo. Quanto agli enti pubblici decentrati, da un lato, vi è chi rileva che il disposto legislativo non ponga espressamente alcun ostacolo alla perseguibilità penale di detti enti: ogni limitazione è stata «creata» dalla giurisprudenza. Pertanto nessuna modifica L’ordinamento olandese 103 è necessaria: sarà sufficiente, al contrario, che il giudice penale motivi adeguatamente il fatto di non procedere penalmente dando conto dei diversi interessi in gioco177. Il Governo, dal canto suo, ritiene che essendosi oramai cristallizzati i principi dell’esecuzione di un compito pubblico che può essere posto in essere da parte dei funzionari pubblici, non vi sia alcuna necessità di procedere ad una modifica legislativa ad hoc. Dall’altro lato, invece, c’è chi ritiene che una modifica del codice penale sia necessaria al fine di rendere definitivamente chiaro che anche gli enti pubblici decentrati possono essere perseguiti penalmente. Sull’entità di tale modifica le posizioni si differenziano. Per alcuni, l’art. 51 c.p. dovrebbe indicare espressamente che nel concetto di persone giuridiche sono comprese anche quelle istituite in base alle norme del diritto pubblico178. Altri ritiene invece che sarebbe necessario introdurre un ulteriore comma nell’art. 51 c.p. in cui indicare che le persone giuridiche sono quelle elencate nell’art. 1 del ii libro del codice civile179. Altri ancora individuano alcune raccomandazioni da seguire in materia di responsabilità penale degli enti pubblici decentrati tra le quali l’introduzione di un’apposita norma che consenta di eliminare ogni dubbio circa la possibilità di procedere penalmente nei confronti degli enti decentrati. Al riguardo si evocano due diverse soluzioni, ovvero: i) l’introduzione di una disposizione sull’immunità degli enti pubblici decentrati del tipo «un ente pubblico ai sensi del capitolo 7 della Costituzione può invocare l’immunità solo qualora il comportamento incriminato sia stato tenuto nel quadro dell’esecuzione di un esclusivo compito pubblico che per sua natura e in relazione alle norme di legge può essere eseguito solo da funzionari pubblici», da inserire nel titolo 8 del i libro del codice penale dedicato alle cause di estinzione della procedibilità; ii) l’inserimento nel primo comma dell’art. 51 c.p. di un apposito inciso in cui si specifichi che tra le persone giuridiche vanno incluse anche quelle di diritto pubblico180. Quanto alla posizione dello Stato, anche qui si registrano opinioni diverse. Mentre infatti secondo taluno non è necessario procedere ad alcuna modifica legislativa e lo Stato dovrebbe essere perseguito nella sua interezza, vi è chi ritiene imprescindibile modificare l’art. 51 c.p. ed indicare che anche le singole autorità «indipendenti» all’interno dello Stato, ancorché non dotate di personalità giuridica, possano essere In questo senso Roef, Strafbare, cit., p. 275; De Roos, Het Pikmeerarrest en zijn gevolgen, cit., p. 232; Drupsteen, De overheid straffeloos, cit., p. 155. 178 Brants, De Lange, Strafvervolging van overheden, cit., p. 98. 179 Fransen, Crimineel overheidsgedrag in de doofpot, cit., p. 14-15. 180 Van der Jagt, Decentraal bestuur vervolgbaar? Een onderzoek naar de strafrechtelijke en bestuursrechtelijke aspecten van het Pikmeer II arrest, cit., p. 243-245 ritiene necessario il rafforzamento del controllo amministrativo sull’attività degli enti pubblici per modo che il diritto penale sia effettivamente relegato a ultimum remedium; la valutazione da parte del p.m. dell’opportunità di procedere nei confronti di detti enti attraverso l’introduzione di una pre-procedura, mediante la presentazione di un’apposita istanza al Ministro di Giustizia; la valutazione attraverso i principi di proporzionalità e sussidiarietà della correttezza dell’attività posta in essere dall’ente pubblico. 177 104 E. Pavanello perseguite penalmente181. Anche il Governo ha ritenuto di condividere la posizione espressa dalla Commissione Roelvink e consentire così che sia possibile procedere nei confronti delle entità indipendenti. Il Consiglio di Stato si è mostrato assolutamente contrario alla possibilità di prevedere una responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico. Allo stato attuale nessuna modifica legislativa è stata introdotta nel codice penale olandese anche se sono al vaglio diverse ipotesi di modifica, volte a fare in modo che tanto gli enti decentrati quanto lo Stato possano essere considerati penalmente responsabili. Secondo quanto indicato da un membro della Seconda Camera del Parlamento appartenente al partito socialista, infatti, tra il 1999 e il 2002 si sono registrate 552 violazioni della legge penale da parte dello Stato e degli enti pubblici decentrati182. Il progetto di legge presentato dal Governo, nell’ottobre del 2005, prevede l’introduzione espressa della responsabilità penale di Stato ed enti decentrati, oltre che la possibilità di perseguire anche i dirigenti di fatto e coloro che hanno dato l’ordine di commettere il fatto criminoso, anche nel caso in cui il fatto illecito sia stato posto in essere da parte di un ente pubblico che gode dell’immunità. Resta salva la possibilità di invocare per gli enti pubblici la clausola di non punibilità se il fatto commesso era «ragionevolmente» necessario per l’esecuzione di un dovere pubblico imposto dalla legge183. Con tale proposta il Governo ha posto l’accento sul fatto che in questo modo verrebbe assicurato il dovere degli Stati di proteggere il diritto alla vita, così come sancito dall’art. 2 della cedu. Attraverso la modifica dell’art. 51 c.p., l’esecutivo ritiene infatti che il sistema olandese si conformerebbe alle indicazioni provenienti dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (il riferimento è fatto in particolare al caso Öneryildiz, analizzato nel paragrafo che precede) in quanto sarebbe possibile assicurare alla giustizia i funzionari pubblici che hanno con le proprie condotte attive od omissive dato origine all’illecito penale. La questione dunque resta di scottante attualità. Roef, Strafbare, cit., p. 573. Pvda: ook overheid is te vervolgen, in De Volkskrant, 19 maggio 2005. 183 Il testo del disegno di legge «Wijziging van het Wetboek van Strafrecht strekkende tot het strafrecjtelijk vervolgbaar maken van het opdracht geven tot en het feitelijke leiding geven aan verbose gedragingen van overheidsorganen» è reperibile nel sito www.justitie.nl. Per un commento si veda E. Sikkema, Twee wetsvoorstellen over de strafbare overheid, in «Nederlands Juristenblad», 2006, p. 1994 ss. 181 182 L’ordinamento olandese 105 25. Il sistema di responsabilità penale e di immunità delle persone giuridiche di diritto pubblico nel sistema olandese. La disposizione normativa di cui all’art. 51 c.p. prevede in modo generalizzato la responsabilità penale delle persone giuridiche senza distinguere a seconda della loro natura privata o pubblica. Le sole indicazioni − peraltro non vincolanti − relative alle eventuali limitazioni circa la possibilità di perseguire le persone giuridiche di diritto pubblico sono contenute nella Relazione al codice penale: la stessa indica la necessità di verificare se la condotta illecita dell’ente pubblico sia stata adottata nello svolgimento di un compito che anche le persone giuridiche di diritto privato avrebbero potuto porre in essere. Solo in questo caso, infatti, sarebbe possibile procedere penalmente nei loro confronti. La giurisprudenza si è spinta oltre rispetto a tali indicazioni e ha «creato» un sistema di immunità che, come ha rilevato la dottrina, non trova espliciti fondamenti normativi, distinguendo in maniera netta la posizione degli enti pubblici decentrati da quella dello Stato. Per quanto concerne la posizione degli enti pubblici decentrati occorre osservare quanto segue. Il criterio soggettivo di esclusione dalla responsabilità penale (ente pubblico ai sensi del capitolo 7 della Costituzione), è stato plausibilmente adottato dalla Corte di Cassazione nella convinzione che gli enti ivi indicati siano dotati di una legittimazione democratica e siano sottoposti ad un controllo politico o amministrativo che rende esente il loro operato da un possibile vaglio da parte del giudice penale, nonostante nessuna indicazione esplicita fosse contenuta nella Relazione al codice penale. La soluzione indicata dalla Suprema Corte ignora, innanzitutto, che non tutte le persone giuridiche di diritto pubblico elencate nel capitolo 7 della Costituzione sono effettivamente dotate di sistemi di controllo politico − così avviene, ad esempio, nel caso dell’Ordine degli Avvocati olandesi − e che, nel contempo, esistono persone giuridiche di diritto pubblico che non rientrano nell’elencazione predetta ma sono sottoposte ad un controllo politico delle attività dalle stesse poste in essere. È questo il caso del Politieregio, organo della polizia olandese organizzato su base regionale. Inoltre, lo stesso fondamento giuridico su cui si baserebbe la scelta effettuata dalla Corte di Cassazione è stato messo fortemente in discussione dalla sentenza Pikmeer ii. A seguito di tale decisione, infatti, la Corte ha statuito che non esistono ostacoli al (contestuale) uso di diversi sistemi di controllo sull’operato degli enti pubblici. Da un punto di vista oggettivo, inizialmente la giurisprudenza ha escluso la possibilità di perseguire penalmente un ente pubblico qualora lo stesso avesse agito nell’esecuzione di un compito pubblico, dando per scontato che laddove esista una norma che attribuisce l’esecuzione di un determinato compito all’ente pubblico, l’attività dallo stesso posta in essere sia legittima. La Corte di Cassazione non ha indicato il 106 E. Pavanello fondamento di una simile opzione interpretativa ma, a parere di chi scrive, ha probabilmente inteso far riferimento al fatto che laddove una determinata attività sia eseguita da un ente pubblico esistono ragioni di interesse generale che inducono a non considerare penalmente rilevante l’attività illecita dallo stesso eventualmente posta in essere. Tuttavia, proprio dall’analisi dei casi giurisprudenziali esaminati, è palese il fatto che non sempre l’ente pubblico nel decidere di agire in un certo modo,«sceglie» la difesa dell’interesse pubblico. Successivamente, la Corte di Cassazione con la sentenza Pikmeer ii, si è orientata verso il criterio dell’esecuzione di un compito pubblico esclusivo, ovvero che può essere posto in essere esclusivamente da funzionari pubblici, intendendo così rispondere (tra l’altro) alle critiche mosse dalla dottrina relativamente alla violazione del principio di uguaglianza. Il principio de quo verrebbe infatti violato laddove, a fronte di medesime condotte materiali tenute da enti pubblici e da persone giuridiche di diritto privato, diversa fosse la risposta sanzionatoria. Attraverso l’introduzione del criterio del compito pubblico esclusivo il problema a parere della Corte di Cassazione viene risolto in quanto le attività esclusivamente pubbliche non potranno mai essere poste in essere da persone giuridiche di diritto privato, con la conseguenza che non si potrà verificare alcuna situazione di disuguaglianza. A dire il vero, anche il criterio oggettivo nella sua seconda «versione» determina alcune incongruenze applicative, atteso che si tratta di principio di carattere formale che non consente al giudice di valutare l’effettivo interesse sottostante alla scelta (illecita) operata dall’ente pubblico. Le difficoltà di applicare un simile criterio si manifestano laddove si consideri che la Corte di Cassazione non ha fornito precise indicazioni al fine di individuare il compito pubblico esclusivo. Esso, in ogni caso, non pare legato alla natura dell’attività svolta ma è soggetto alle mutevoli scelte politiche dei diversi periodi storici. A parte alcune attività per le quali non sussistono particolari difficoltà di qualificazione nel senso dell’esclusività pubblica (si può pensare all’attività giudiziaria ad esempio), ciò che può essere eseguito esclusivamente da funzionari pubblici oggi, potrebbe invece essere delegato a persone giuridiche di diritto privato domani. Il criterio è relativo e non consente di pervenire a soluzioni sicure. Inoltre, si ritiene di condividere le critiche che indicano come il principio di uguaglianza venga violato anche con l’utilizzo del criterio del compito pubblico esclusivo. Infatti, se un Comune inquina un fiume versandovi materiale radioattivo, esso sarà passibile di sanzione penale. Al contrario, qualora il Comune conceda un’autorizzazione che consente ad un terzo di procedere alla discarica del materiale radioattivo, l’ente pubblico non sarà perseguibile penalmente, atteso che la concessione dell’autorizzazione costituisce esercizio di un compito pubblico esclusivo. Nonostante il disvalore giuridico della condotta in entrambi i casi sia paragonabile, il trattamento sanzionatorio è diversificato. L’ordinamento olandese 107 Affinché l’ente pubblico possa fare appello all’immunità penale la Corte di Cassazione ha statuito che i criteri predetti devono essere entrambi presenti: è necessario, infatti, che un ente pubblico tra quelli indicati nel capitolo 7 della Costituzione ponga in essere l’illecito nell’esercizio di un compito pubblico esclusivo. Il collegamento effettuato tra i due criteri lascia adito a qualche perplessità, stante la mancanza di relazione biunivoca tra gli stessi: è ben possibile, infatti, che un ente pubblico non elencato tra quelli appartenenti al capitolo 7 della Costituzione ponga in essere un compito esclusivamente pubblico. A parere di chi scrive, ciò rende ancor più chiaro il fatto che l’immunità di cui godono gli enti pubblici non viene fatta discendere da una scelta di valore basata sul contenuto dell’attività, ma da una considerazione di carattere formale. Il criterio riecheggia peraltro una distinzione largamente superata nella dottrina civilistica olandese che distingueva tra acta jure imperi e acta jure gestionis per negare la responsabilità civile dello Stato (oggi invece pacificamente ammessa). Accanto ai criteri formali sopra indicati, la Corte di Cassazione nella sentenza Pikmeer ii ha indicato altresì la necessità di comparare i diversi interessi in gioco attraverso l’uso delle scriminanti dello stato di necessità e dell’adempimento del dovere, al fine di determinare la responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico non elencate nel capitolo 7 della Costituzione. A queste ultime quindi dovrebbe essere riservato un trattamento analogo a quello delle persone giuridiche di diritto privato, fatta salva la possibilità di applicare le cause di giustificazione menzionate e, sul piano sanzionatorio, considerare l’opportunità di comminare pene diverse rispetto a quelle che in casi analoghi sarebbero state applicate ai privati. Per quanto concerne lo Stato, si rileva come la giurisprudenza, nell’unica pronuncia adottata sul punto (sentenza Volkel), si sia mostrata assolutamente contraria nell’ammettere una forma di responsabilità penale. La difesa dell’interesse generale affidata allo Stato gli consentirebbe di violare impunemente la legge penale. Ancora una volta la scelta della giurisprudenza pare eccessivamente restrittiva perché esclude a priori il vaglio del giudice penale su qualsiasi attività dello Stato. Se è pur vero infatti che in molti casi quest’ultimo nell’agire per il perseguimento di un interesse pubblico si troverà di fronte alla «necessità» di violare le norme penali, è anche vero che spesso esisteranno soluzioni alternative che consentiranno di contemperare adeguatamente i diversi interessi in gioco. Esemplificativo al riguardo proprio il caso Volkel poiché nel caso di specie la fuoriuscita di kerosene dai serbatoi avrebbe potuto agevolmente essere evitata pur nel perseguimento di un interesse di carattere generale, quale quello della sicurezza aerea. Alla stregua dei principi enucleati nella sentenza Pikmeer i, non è possibile poi perseguire le persone fisiche indicate nell’art. 51 secondo comma n. 2 codice penale − dirigenti di fatto o coloro che hanno dato l’ordine − qualora le stesse abbiano agito all’interno degli enti pubblici decentrati e dello Stato. Ad eccezione di qualche voce contraria in dottrina, si è ritenuto, infatti, che la giurisprudenza Pikmeer i che esclude 108 E. Pavanello la possibilità di perseguire dette persone fisiche, debba continuare a trovare applicazione. Il sistema normativo vigente non consente, infatti, di procedere all’accertamento della responsabilità penale di dette persone fisiche senza che ci sia stato un previo accertamento della responsabilità penale della persona giuridica. La decisione è inoltre coerente con i principi che hanno indotto ad escludere in alcune ipotesi la perseguibilità penale di enti pubblici decentrati e Stato: se la ratio dell’immunità è quella di salvaguardare l’attività pubblica, analoga protezione deve essere riservata anche per l’attività di quei soggetti che hanno agito nell’esecuzione di attività di carattere pubblico. Ciò non toglie tuttavia che l’area dell’impunità venga in questo modo notevolmente estesa. L’analisi delle argomentazioni addotte dalla dottrina a sostegno dell’immunità penale degli enti decentrati ha evidenziato che molto spesso i medesimi argomenti possono essere utilizzati anche in senso contrario, per sostenere la necessità di procedere penalmente nei loro confronti. Questo avviene, ad esempio, con riferimento alla teoria della divisione dei poteri e della perdita di fiducia da parte dei cittadini nelle istituzioni. In quest’ultimo caso, si pensi alle tragedie di Enschede e Volendam: siamo sicuri che la mancanza di un procedimento penale abbia consentito ai cittadini di mantenere la fiducia nelle istituzioni pubbliche? O non sarà piuttosto vero il contrario, ovvero che i cittadini sono stati negativamente colpiti dal fatto che a fronte dei deficit nell’organizzazione comunale e statale emerse nel corso delle indagini non ha fatto seguito alcuna condanna? In quei casi la mancanza di un procedimento penale da un lato e l’impossibilità per gli enti pubblici di difendersi in modo adeguato in un’aula di giustizia dall’altro, ha condotto l’opinione pubblica ad una condanna morale degli enti de quibus, probabilmente ancora più severa della stessa condanna penale. L’argomento vestzak-broekzak, ovvero dell’inutilità della sanzione pecuniaria inflitta agli enti pubblici, potrebbe essere superato attraverso l’uso di sanzioni penali alternative. Infine, l’asserita impossibilità di sovrapporre i controlli penale, politico e amministrativo è stata negata dalla stessa Corte di Cassazione che ha chiarito che ciò non corrisponde al vero proprio con la sentenza Pikmeer ii. Per quanto concerne le argomentazioni specificamente addotte per negare la possibilità di perseguire lo Stato occorre osservare quanto segue. L’identità tra autorità procedente e soggetto inquisito è fondata ma potrebbe essere superata grazie ad alcuni accorgimenti procedurali. Così come il riferimento alla violazione delle posizioni gerarchiche e alla difficile situazione in cui si troverebbero il pubblico ministero e il Ministro di Giustizia. Ciò che, a parere di chi scrive, potrebbe ostacolare effettivamente la configurazione della responsabilità penale dello Stato è, invece, l’utilizzo dei criteri del potere e dell’accettazione al fine di attribuire la condotta illecita allo Stato, perché nella maggior parte dei casi sarà difficile dimostrare che lo Stato in quanto tale era a conoscenza L’ordinamento olandese 109 del fatto criminoso e non ha fatto quanto era in suo potere per evitare il verificarsi del fatto stesso. Il rischio in questi casi sarà di creare spazi per una sostanziale impunità. 26. Considerazioni conclusive. A conclusione dell’analisi del sistema di responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico in Olanda, ci siano consentite alcune riflessioni di carattere generale. La questione della responsabilità penale degli enti pubblici non è sicuramente di semplice soluzione anche se è indubbio che gli argomenti addotti non sembrano in grado di giustificare l’immunità (assoluta o parziale) degli enti de quibus. Con riferimento in particolare agli enti decentrati, la soluzione delineata dalla giurisprudenza lascia adito a perplessità in quanto l’idea che esista un’area di assoluta impunità non pare accettabile, anche alla luce delle indicazioni provenienti dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo. Quanto allo Stato, non si nega che in questa ipotesi le difficoltà di delinearne la responsabilità penale siano maggiori. Ciò, si ritiene, non solo per gli argomenti tradizionalmente addotti dalla dottrina a sostegno della sua totale immunità, quanto piuttosto per le difficoltà di attribuire una determinata condotta alla stregua dei criteri del potere e dell’accettazione ai vertici dell’organizzazione statale. Corretta allora la soluzione indicata sul punto dalla Commissione Roelvink di attribuire soggettività giuridica in diritto penale anche alle singole entità che agiscono all’interno dell’organizzazione statale. Il sistema penale olandese offre agli studiosi italiani molti spunti positivi di riflessione: il legislatore italiano nel d.lgs. 231/2001 si è affrettato ad escludere dal campo soggettivo di applicazione gli enti pubblici tranne quelli economici. Le scelte olandesi inducono a considerare, al contrario, che un sistema di responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico deve essere introdotto, atteso che la responsabilità delle sole persone fisiche non è sufficiente. Certo, detto sistema deve essere utilizzato con «misura» (diritto penale come ultimo rimedio), solo laddove si renda effettivamente necessario. È inoltre necessario tener conto della peculiare struttura di detti enti e prevedere, ad esempio, l’applicazione di sanzioni alternative rispetto a quella pecuniaria (anche se, a quanto ci consta, nei casi esaminati le Corti olandesi hanno sempre applicato la pena pecuniaria). Le difficoltà logiche e storiche di immaginare una responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico dovrebbero essere superate di fronte a una realtà che dimostra come sempre più spesso proprio dette persone giuridiche violino le disposizioni penali. L’impunità di detti soggetti non può essere giustificata a priori, 110 E. Pavanello ma occorre valutare, caso per caso, se esistano delle ragioni di pubblico interesse che hanno indotto l’ente pubblico a violare la norma penale. Sembra quindi quanto mai opportuno il riferimento operato dalla giurisprudenza olandese alle cause di giustificazione dello stato di necessità e dell’adempimento della prescrizione di legge. 111 Capitolo 3 La responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico nell’ordinamento francese Sommario. 1. La responsabilità penale delle persone giuridiche nell’ordinamento francese: evoluzione storica. – 2. Le posizioni della dottrina contro la previsione di una responsabilità penale delle persone giuridiche: l’ente come finzione, il principio di specialità e l’impossibilità di applicare sanzioni penali a carico della persona giuridica. – 3. Le posizioni espresse dalla dottrina francese a sostegno della responsabilità penale delle persone giuridiche. La necessità di far fronte alla crescente criminalità d’impresa. – 4. La responsabilità penale delle persone giuridiche per i reati commessi per loro conto dagli organi o rappresentanti delle stesse. – 4.1 La nozione di organo e rappresentante della persona giuridica. – 4.2. L’azione commessa da parte dell’organo o rappresentante «per conto» della persona giuridica. – 4.3. L’iniziale limitazione della responsabilità delle persone giuridiche alle fattispecie di reato tassativamente previste. Critiche della dottrina e pronunce «estensive» della giurisprudenza. Definitiva espansione della responsabilità delle persone giuridiche a tutte le fattispecie di reato. – 4.4. Problematiche interpretative connesse all’individuazione dell’elemento soggettivo della condotta in capo alla persona giuridica e alla natura della responsabilità di quest’ultima: diretta o di riflesso rispetto a quella della persona fisica organo o dirigente? – 5. La responsabilità concorrente della persona fisica, organo o rappresentante, che ha posto in essere la condotta. – 5.1. Limitazione della concorrente responsabilità della persona fisica per i delitti non intenzionali posti in essere per imprudenza, negligenza, violazione di un obbligo di prudenza o sicurezza (l. 2000-264). – 6. Il sistema sanzionatorio previsto per le persone giuridiche: pene e misure di sicurezza. – 7. Le prime applicazioni giurisprudenziali della responsabilità penale delle persone giuridiche. – 8. Il dibattito che ha preceduto l’adozione della norma che ha sancito una limitata responsabilità penale per le persone giuridiche di diritto pubblico. – 9. L’irresponsabilità assoluta dello Stato, la responsabilità delle collettività territoriali limitata alle attività suscettibili di costituire oggetto di delega di servizio pubblico e la responsabilità delle altre persone giuridiche di diritto pubblico. – 10. L’azione da parte del rappresentante o dell’organo, per conto della persona giuridica: aspetti peculiari connessi alla natura pubblica dei soggetti. – 11. Le limitazioni della responsabilità penale delle collettività territoriali e relativi groupements: questioni interpretative connesse alla definizione di attività suscettibile di costituire oggetto di servizio pubblico. – 11.1. La nozione di delega di servizio pubblico in diritto amministrativo. – 11.2. Le indicazioni per il diritto penale in ordine alla definizione di attività suscettibile di costituire oggetto di delega di servizio pubblico. – 12. La ratio della limitata previsione della responsabilità di collettività territoriali e groupements: la necessità di garantire il rispetto del principio di eguaglianza rispetto alle persone giuridiche di diritto privato. – 12.1. Critiche. – 13. Considerazioni in relazione al novero di delitti e crimini inizialmente previsti come oggetto di incriminazione con riferimento alle persone giuridiche di diritto pubblico. – 14. Le sanzioni penali previste per le persone giuridiche 112 E. Pavanello di diritto pubblico. L’inapplicabilità della sanzione della dissoluzione e della sottoposizione a sorveglianza giudiziaria. – 15. Le posizioni critiche della dottrina sulla responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico. – 15.1. Gli argomenti addotti contro la responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico: il perseguimento da parte loro dell’interesse pubblico e la dannosità dell’applicazione della sanzione pecuniaria. Critiche. – 15.2. L’asserita violazione del principio di separazione dei poteri: l’impossibilità per il giudice penale di vagliare la legittimità dell’azione amministrativa. Critiche. – 15.3. La violazione del principio della competenza esclusiva del giudice amministrativo a conoscere dell’azione civile di risarcimento del danno. – 15.4. Il rischio di un’eccessiva penalizzazione dell’azione amministrativa. Critiche. – 15.5. Gli argomenti addotti a favore della responsabilità penale. La necessità di garantire il principio di eguaglianza. – 15.6. La necessità di far fronte alla crescente penalizzazione dell’attività dei rappresentanti politici locali. La connessione esistente tra responsabilità individuale dei politici e collettiva dell’ente pubblico cui appartengono. – 16. Istituzione di una Commissione ad hoc per lo studio delle cause e dei rimedi da adottare per limitare il fenomeno della crescente penalizzazione dell’attività dei politici locali e dei funzionari pubblici. – 16.1. Analisi critica da parte della Commissione degli argomenti addotti a sostegno dell’irresponsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico. Affermazione dell’inesistenza di ragioni di carattere sostanziale che impongano di escludere tale forma di responsabilità. – 16.2. Proposte di estensione della responsabilità penale allo Stato e alle collettività territoriali anche nell’ipotesi di attività di servizio pubblico non delegabile. – 17. Le prime decisioni della giurisprudenza in tema di responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico diverse dallo Stato. – 17.1. Tentativi di definizione dell’attività suscettibile di delega di servizio pubblico: la non delegabilità dell’attività scolastica. – 17.2. La delegabilità dell’attività di messa a norma dell’impianto elettrico di un impianto comunale. – 17.3. La configurabilità della responsabilità a carico delle Ferrovie francesi, società di diritto pubblico. – 18. Rilievi critici (cenni e rinvio). – 19. L’irresponsabilità penale dello Stato. – 20. Gli argomenti addotti dalla dottrina contro la perseguibilità dello Stato. La titolarità della potestà penale. – 20.1. Il contrasto tra responsabilità penale e il principio della sovranità dello Stato. Critiche. – 20.2. La ripercussione della sanzione pecuniaria inflitta sui cittadini. – 21. La possibile violazione del principio di eguaglianza derivante dall’esclusione dello Stato dalla responsabilità penale. – 22. Difficoltà e opportunità di creare un sistema di controllo penale delle attività statali. – 23. Conclusioni. 1. La responsabilità penale delle persone giuridiche nell’ordinamento francese: evoluzione storica. La previsione della responsabilità penale delle persone giuridiche nel codice penale francese del 1994 è stata considerata una delle novità più significative introdotte nel codice stesso1. F. Desportes, Responsabilité pénale des personnes morales, in «Juristes Classeur pénal», n. 4, 2001; G. Coeuret, La nouvelle donne en matière de responsabilité, in «Droit social», n.7/8, juillet-août 1994, p. 627; G. De Simone, Il nuovo codice francese e la responsabilità penale delle personnes morales, in «Rivista 1 L’ordinamento francese 113 Infatti, il codice napoleonico del 1810 aveva escluso la possibilità che le persone giuridiche in quanto tali potessero essere soggetti attivi del reato2. La ragione di tale esclusione va rinvenuta nel fatto che il diritto «rivoluzionario» si era limitato a riconoscere la capacità giuridica di pochi enti, quali gli enti di diritto pubblico (come lo Stato e i Comuni) e alcune società commerciali che non erano tuttavia considerati «capaci» di commettere infrazioni alla legge penale3. I temperamenti al principio di irresponsabilità penale degli enti apportati dal legislatore e dalla giurisprudenza nel corso del tempo sono stati molto limitati. Quanto alla legislazione, tre ordinanze risalenti al 1945 (rispettivamente del 5 maggio, del 30 maggio e del 30 giugno) in materia di associazione di stampa collaborazionista con il nemico, in materia economica e di regolamentazione dei cambi prevedevano la responsabilità delle società4. Dal punto di vista giurisprudenziale, invece, alcune sentenze avevano considerato la persona giuridica responsabile ma solo per le infrazioni cosiddette «materiali», ovvero ipotesi in cui il soggetto attivo era «datore di lavoro» o «proprietario» e la punibilità prescindeva dalla dimostrazione dell’elemento soggettivo che le animava5. I tentativi di estendere la responsabilità penale delle persone giuridiche sono stati inizialmente frustrati dalle resistenze della dottrina la quale riteneva le stesse «incapaci» di agire penalmente. Tuttavia, la necessità di far fronte alla crescente capacità delle persone giuridiche di commettere dei reati ha spinto, come si vedrà nel prosieguo, (parte del)la dottrina a considerare imprescindibile l’introduzione della responsabilità penale degli enti6. Il codice del 1994 segna una svolta di primaria importanza all’interno del panorama giuridico francese, anche perché prevede una forma limitata di responsabilità pure per le persone giuridiche di diritto pubblico. La prima parte del presente capitolo sarà dedicata ad una breve analisi delle posizioni della dottrina in materia di italiana di diritto e procedura penale», n.1, 1995, p. 194 e M. Veron, La responsabilité pénale des personnes morales, in «La semaine Juridique édition générale», i, Chronique, 157, 2004, p. 1469; F. Desportes, F. Le Gunehec, Droit pénal général, Economica, Paris 200916, p. 540 ss.; Pradel, Manuel de droit pénal général, Cujas, Paris 200816, p. 497 ss. 2 È pur vero che sotto il vigore dell’Ancien droit un’ordinanza del 1670 prevedeva la possibilità di instaurare un processo nei confronti delle comunità cittadine, dei borghi, dei villaggi e delle società che si fossero resi colpevoli di ribellione, violenza o di altro crimine. Tuttavia, detta previsione è stata successivamente abrogata. Si confronti De Simone, Il nuovo codice francese e la responsabilità penale delle personnes morales, cit., p. 189 ss. per un’analisi anche storica dello sviluppo del principio di responsabilità 3 M.L. Rassat, Droit pénal général, Presse Universitaire de France, Paris 19992, p. 485. 4 Cfr. Desportes, Responsabilité pénale des personnes morales, cit., p. 6 e C. De Maglie, L’etica e il mercato, Giuffré, Milano 2002, p. 188 ss., e la bibliografia ivi indicata. 5 Si cfr. per esempio, Cassation Criminelle 6 marzo 1958. Nel senso che la responsabilità degli enti è in «Diritto penale xxi secolo», n. 2, 2008, p. 269 ss. 6 J. Pradel, La responsabilité des personnes morales en France, in Societas puniri potest, a cura di F. Palazzo, cedam, Padova 2003, p. 77. 114 E. Pavanello responsabilità penale delle persone giuridiche e delle previsioni normative introdotte dall’art. 121-2 del codice penale. Successivamente, si procederà ad analizzare la posizione delle persone giuridiche di diritto pubblico, delle collettività territoriali e dello Stato. 2. Le posizioni della dottrina contro la previsione di una responsabilità penale delle persone giuridiche: l’ente come finzione, il principio di specialità e l’impossibilità di applicare sanzioni penali a carico della persona giuridica. Diversi sono stati gli argomenti avanzati dalla dottrina francese per negare in passato la possibilità di prevedere una responsabilità penale delle persone giuridiche7. Innanzitutto, alcuni autori hanno fatto appello alla teoria della finzione giuridica8 in base alla quale la persona giuridica in quanto tale non disporrebbe di una propria volontà e, pertanto, non potrebbe mai porre in essere l’elemento soggettivo dell’infrazione, necessario affinché un reato le sia imputato. La mancanza di volontà propria, sarebbe dunque uno dei primi ostacoli alla punizione di una persona giuridica. In secondo luogo, è stato evocato il principio di spécialité, derivato anch’esso dal diritto civile, secondo il quale le persone giuridiche possono agire solamente nei limiti previsti dal loro oggetto sociale. Non potendo il reato costituire fine per il quale la persona giuridica è creata, ne discende che questa non potrà mai porre in essere un crimine o un delitto. Gli ostacoli addotti contro la previsione di una responsabilità penale delle persone giuridiche hanno riguardato anche il profilo sanzionatorio e, in particolare, il principio di personalità della pena. È stato rilevato, infatti, che la sanzione penale contro la persona giuridica colpirebbe senza distinzione alcuna tutti i componenti del gruppo, anche le persone fisiche che non hanno in alcun modo inteso porre in essere degli illeciti. La punizione sarebbe pertanto generalizzata e colpirebbe anche persone «innocenti» che, pur non essendo in accordo con la politica criminosa attuata dall’ente o non avendo in alcun modo partecipato alla sua formazione, dovrebbero subirne le conseguenze negative9. Si veda R. Bernardini, Personne morale, in «Répertoire droit pénal et de procédure pénale Dalloz», novembre 2001, pp. 8 ss. per una sintesi delle argomentazioni addotte contro e a favore della responsabilità penale delle persone giuridiche e relativa bibliografia. 8 F.-J. Pansier, La responsabilité pénale des personnes morales, in «Gazette du Palais», 28 mars 1996, p. 249 ricorda che nel diritto civile è stato necessario attendere una decisione del 1954 (Ray c. Comité d’Entreprise de St.-Chamond) affinché fosse riconosciuta la piena «realtà» delle persone giuridiche. 9 Rassat, Droit pénal général, cit., p. 488, secondo cui cet argument n’est pas faux. Mais il pose un problème technique de répartition du poids de la condamnation pénale qui n’est pas insoluble. Et surtout la solution contraire est plus lourde des conséquences regrettables, ovvero «l’argomentazione non è falsa. Ma comporta un problema tecnico di ripartizione delle conseguenze della condanna penale che non è irrisolvibile. E 7 L’ordinamento francese 115 Oltre a ciò, alcuni autori hanno sostenuto che la pena sarebbe utilmente applicabile solamente alla persona fisica, potendo raggiungere gli scopi alla stessa connaturati, retributivo o preventivo, solo in tale caso10. 3. Le posizioni espresse dalla dottrina francese a sostegno della responsabilità penale delle persone giuridiche. La necessità di far fronte alla crescente criminalità d’impresa. La dottrina che, invece, si è dichiarata favorevole all’introduzione della responsabilità penale degli enti, oltre a contrastare gli argomenti sin qui citati, ha individuato ulteriori motivazioni a sostegno. Procediamo con l’analisi degli argomenti «difensivi». Ad avversare la teoria della finzione giuridica, la dottrina ha sostenuto innanzitutto che la persona giuridica dispone di una volontà autonoma che esprime attraverso i propri organi e che si concretizza attraverso le riunioni e le decisioni dell’assemblea, dei suoi membri o del consiglio di amministrazione o del collegio dei sindaci. Da ciò discende che la persona giuridica dispone anche della capacità di commettere un crimine. Per quanto concerne il principio di specialità, ci si è limitati a far rilevare che anche se la commissione di un reato non può entrare nell’oggetto dichiarato di una persona giuridica, ciò non significa che l’attività dalla stessa posta in essere non possa integrare una fattispecie criminosa11. Con riferimento al profilo sanzionatorio, la dottrina favorevole alla penalizzazione del comportamento collettivo ha evidenziato come l’impossibilità di imporre delle sanzioni penali alle persone giuridiche non sia fondata: infatti, nel momento in cui le stesse dispongono di un proprio patrimonio e godono di propri diritti, esse possono diventare destinatarie di sanzioni che sopprimono, o quanto meno riducono, il loro patrimonio o limitano la loro attività (come l’ammenda, la chiusura di uno stabilimento, le misure di sicurezza, i divieti di esercizio di determinate attività etc.). Inoltre, alcune sanzioni sono in grado di raggiungere i propri fini preventivo o retributivo anche nei confronti delle persone giuridiche, come, ad esempio, la sottoposizione ad amministrazione controllata (tutelle)12. In definitiva, le difficoltà legate soprattutto la soluzione contraria si rivelerebbe più onerosa rispetto alle conseguenze negative citate». 10 E. Picard, Les personnes morales de droit public, in «Révue des sociétés», 1993, p. 268, rileva che se si può ammettere attraverso una finzione che le persone giuridiche dispongano di una propria volontà, non si può comunque accettare che le stesse abbiano una coscienza morale, la quale appartiene unicamente agli esseri umani, presupposto − sembrerebbe doversi ritenere – indispensabile per l’applicazione di sanzioni penali. 11 R. Merle, A. Vitu, Traité de droit criminel, Cujas, Paris 19977, n. 638 sostengono che non è più possibile contestare il fatto che la delinquenza delle persone giuridiche e di tutti i gruppi che sono dotati della possibilità di esprimersi collettivamente sia una realtà criminologica. 12 In questo senso G. Stefani, G. Levasseur, B. Bouloc, Droit pénal général, Dalloz, Paris 200318, 116 E. Pavanello all’incapacità delle persone giuridiche di essere condannate alla pena detentiva o ad altre pene può essere risolta attraverso l’applicazione di sanzioni determinate. Infine, con riferimento al pregiudizio che verrebbe cagionato alle persone fisiche estranee alla condotta criminosa, è stato messo in rilievo che la sanzione penale normalmente colpisce anche dei terzi «innocenti». Il Conseil Constitutionnel ha sostanzialmente avallato queste posizioni mediante una decisione del 30 luglio del 1982 nella quale ha chiarito che non esiste alcuna preclusione di carattere costituzionale nell’imposizione di una sanzione pecuniaria nei confronti della persona giuridica, ivi incluso il principio della personalità della pena13. A favore della criminalizzazione del comportamento collettivo la dottrina ha individuato ulteriori argomenti: si è detto, infatti, che in mancanza di una previsione della responsabilità penale della persona giuridica, i dirigenti dell’ente diverrebbero capri espiatori per ogni attività illecita posta in essere dalla stessa. Ogni conseguenza sanzionatoria ricadrebbe su dette persone fisiche, anche ove le stesse in ipotesi non fossero a conoscenza dei fatti criminosi che vengono realizzati all’interno dell’ente per il quale prestano la propria attività. Insomma, solo attraverso una punizione dei comportamenti collettivi si assicurerà una maggiore efficacia repressiva del diritto penale. 4. La responsabilità penale delle persone giuridiche per i reati commessi per loro conto dagli organi o rappresentanti delle stesse. La Commissione di riforma del codice penale istituita nel 1974 non poteva certo ignorare la questione della responsabilità penale delle persone giuridiche, se non altro per le sollecitazioni provenienti dalla dottrina14. E infatti, già nel progetto risalente al 1978, era prevista all’art. 37 la responsabilità penale di qualsiasi gruppo che esercitasse attività di natura commerciale, industriale e finanziaria. La limitazione di rep. 266. Gli autori citati deducono la necessità dell’introduzione di una responsabilità penale anche dal fatto che à notre époque, de nombreuses infractions [...] sont de plus en plus souvent commises par des êtres physiques agissant au nom et sous le couvert d’une personne morale ou d’une société. Dans ce cas, si les représentants de la société sont insolvables, il y a intérêt à retenir, en plus de la responsabilité pénale personnelle de ces représentants, la responsabilité pénale de la personne morale elle-même, tout au moins en ce qui concerne les sanctions pécuniaires («alla nostra epoca, sempre più spesso numerosi reati sono commessi da persone fisiche che agiscono in nome e sotto la coperutra di una persona giuridica o di una società. In questo caso, se i rappresentanti della società sono insolventi, c’è un interesse a far valere, oltre alla responsabilità penale personale di tali rappresentanti, anche la responsabilità penale della persona giuridica, per lo meno per ciò che concerne il profilo pecuniario»). 13 La decisione è pubblicata in «Journal Officiel», 31 juillet 1982, p. 2470. 14 B. Bouloc, La criminalisation du comportement collectif en France, in La criminalisation du comportement collectif, a cura di H. De Doelder, K. Tiedemann, Kluwer Law International, The Hague 1996, p. 236 e J. Pradel, Droit pénal comparé, Dalloz, Paris 20022, p. 351. L’ordinamento francese 117 sponsabilità, come si evince dalla lettura della relazione accompagnatoria, era dovuta al fatto che le maggiori espressioni di criminalità si erano manifestate soprattutto in tali settori. Il successivo progetto del 1986 prevedeva, invece, l’estensione della responsabilità penale a tutte le persone giuridiche, indipendentemente dalla natura dell’attività posta in essere, con l’unica eccezione delle collettività pubbliche e dei gruppi di collettività pubblici. La responsabilità era comunque limitata a determinate fattispecie di reato che avrebbero dovuto essere previste dalla legge15. Il testo adottato nell’art. 121-2 del nuovo codice penale, entrato in vigore il primo marzo 1994, ha infine previsto che: le persone giuridiche sono responsabili penalmente, secondo le distinzioni degli articoli da 121-4 a 121-7, e nei casi previsti dalla legge, per i reati commessi per loro conto dagli organi o rappresentanti delle stesse. Tuttavia gli enti territoriali e i relativi raggruppamenti sono responsabili esclusivamente dei reati commessi nell’esercizio di attività suscettibili di costituire oggetto di delega di servizio pubblico. La responsabilità della persona giuridica non esclude quella delle persone fisiche autrici o complici del medesimo fatto di reato, secondo le disposizioni del quarto comma dell’articolo 121-316. La nuova disposizione ha stabilito un regime di responsabilità penale differenziato a seconda della persona giuridica soggetto attivo del reato: per gli enti di diritto privato e di diritto pubblico diversi dalle collettività territoriali, la responsabilità concerne tutti gli illeciti compiuti in relazione a qualsiasi attività dalle stesse esercitata17; per le collettività territoriali e i loro raggruppamenti la responsabilità è limitata agli illeciti posti in essere nell’esercizio di attività che possono costituire oggetto di delega di servizio pubblico; per lo Stato vi è l’esclusione totale di responsabilità. Il legislatore francese, nella relazione accompagnatoria al testo, ha chiarito che l’introduzione dell’art. 121-2 del codice penale è stata giustificata da un duplice Sulle caratteristiche dei diversi progetti di riforma al codice del 1994 si cfr. De Simone, Il nuovo codice francese e la responsabilità penale delle personnes morale, cit., p. 221-223 e Bernardini, Personne morales, cit., p. 22 ss. 16 Les personnes morales, à l’exclusion de l’Etat, sont responsables pénalement, selon les distinctions des articles de 121-4 à 121-7 et dans le cas prévus par la loi ou le règlement, des infractions commises, pour leur compte, par leurs organes ou représentants. Toutefois les collectivités territoriales et leurs groupements ne sont responsables pénalement que des infractions commises dans l’exercice d’activités susceptibles de faire l’objet de conventions de délégation de service public. La responsabilité pénale des personnes morales n’exclut pas celle des personnes physique auteurs ou complices des mêmes faits, sous réserve des dispositions du quatrième alinéa de l’article 121-3. 17 Come si vedrà in seguito, la legge Perben ii ha esteso la responsabilità penale delle persone giuridiche a tutte le ipotesi di illecito. A partire dal 31dicembre 2005, pertanto, non esiste più alcuna limitazione di responsabilità legata al tipo di reato, salvo ovviamente quelle fattispecie criminose che per loro natura non possono essere poste in essere dalle persone giuridiche nonché alcune eccezioni relative ai reati commessi a mezzo stampa. 15 118 E. Pavanello ordine di motivi: innanzitutto, dalla constatazione che le persone giuridiche sono molto spesso all’origine di gravi attentati alla salute pubblica, all’ambiente, all’ordine pubblico economico o alla legislazione sociale, e, in secondo luogo, dalla necessità di assicurare il rispetto del principio nul n’est responsable que de son propre fait (art. 121-1 codice penale), principio che sarebbe violato ogni qualvolta ad essere puniti fossero i soli dirigenti della persona giuridica e non, invece, l’ente nel suo complesso18. I soggetti destinatari della norma sono i soli enti collettivi dotati di personalità giuridica19 a differenza di quanto previsto nel progetto del 1978 in cui i soggetti collettivi responsabili erano i «gruppi», nozione che comprendeva anche le persone giuridiche non dotate di autonoma identità. La persona giuridica francese potrà essere perseguita anche qualora abbia commesso un’infrazione all’estero20. Di converso le persone giuridiche straniere saranno responsabili penalmente laddove il reato sia stato commesso in Francia o laddove esse abbiano commesso una violazione della legge penale all’estero che pregiudica gli interessi nazionali dello Stato francese21. Al riguardo non si è mancato di rilevare le difficoltà tecniche cui potrà dare luogo un eventuale procedimento penale e l’applicazione di sanzioni nel caso in cui detta persona giuridica non disponga di uno stabilimento in territorio francese22. Bernardini, Personne morale, cit., p. 24. Desportes, Responsabilité pénale des personnes morales, cit., p. 13. 20 Sul punto si è posta la questione se sia possibile perseguire la società francese anche in assenza di una norma che preveda espressamente la punibilità della persona giuridica nel territorio in cui è stato commesso il fatto. Stefani, Levasseur, Bouloc, Droit pénal général, cit., p. 272 e Rassat, Droit pénal général, cit., p. 497 ritengono necessaria detta previsione anche nella legislazione straniera; M. DelmasMarty, Personnes morales étrangères et françaises, in «Révue des sociétés», 1993, p. 260 ritiene invece che la condizione si dovrà considerare sussistente anche se nell’ordinamento in cui è stato commesso il fatto è prevista una forma di responsabilità quasi-penale. Secondo questa ultima impostazione, la responsabilità penale-amministrativa introdotta nell’ordinamento italiano con il d.lgs. 231/2001 sarebbe sufficiente a integrare la condizione di reciprocità, anche se difficoltà potrebbero sorgere in ordine al limitato numero di reati presupposto per i quali la responsabilità opera. 21 D. Guirimand, La responsabilité pénale des personnes morales. La mise en oeuvre du nouveau dispositif, in «Droit social», n. 7/8 juillet-août 1994, p. 648. 22 Stefani, Levasseur, Bouloc, Droit pénal général, cit., p. 272 e Rassat, Droit pénal général, cit., p. 497; Bouloc, La criminalisation du comportement collectif en France, cit., p. 239. L’esistenza della persona giuridica straniera dovrà in ogni caso essere valutata alla stregua del diritto nazionale. In questo senso Delmas-Marty, Personnes morales étrangères et françaises, cit., p. 256, atteso che si tratta di questione «extra penale». Contra Bernardini, secondo cui è necessario che le persone giuridiche straniere godano della personalità giuridica in base alla legge francese. Bernardini, Droit pénal général, cit., p. 36. Quanto alla possibilità di perseguire anche le persone giuridiche straniere di diritto pubblico, Rassat, Droit pénal général, cit., p. 497 ritiene che le limitazioni cui la legge francese sottopone la responsabilità delle stesse dovranno applicarsi anche agli omologhi stranieri con le inevitabili difficoltà del caso. 18 19 L’ordinamento francese 119 4.1 La nozione di organo e rappresentante della persona giuridica. Le condizioni in base alle quali opera la responsabilità sono indicate nell’art. 1212 del codice penale. La persona giuridica è responsabile penalmente solo se è stata posta in essere una condotta illecita da parte di una persona fisica, organo o rappresentante della stessa, che ha agito per suo conto. Per organo deve intendersi il soggetto che, sulla base dello statuto o della legge, dispone dei poteri di agire in nome e per conto della persona giuridica. La dottrina francese ha sin da subito sostenuto in modo unanime che nel concetto di organo debbano essere inclusi tutti gli organi di diritto quali gli amministratori, il presidente, il consiglio di amministrazione, mentre non è pacifico se debbano ritenersi inclusi anche i dirigenti di fatto. Alcuni autori hanno propeso per l’affermativa, motivando la propria posizione con considerazioni di carattere pratico: una loro esclusione dal novero dei soggetti capaci di involgere la responsabilità della persona giuridica determinerebbe per certi versi l’immunità degli enti, essendo sufficiente individuare un prestanome che non rivesta alcuna qualifica «formale» al fine di sfuggire alla sanzione penale23. Altri studiosi, invece, hanno sostenuto l’incapacità del dirigente di fatto di generare la responsabilità dell’ente collettivo sia perché la legge, laddove intenda fare riferimento anche al dirigente di fatto lo indica espressamente, sia perchè il dirigente di fatto non sarebbe tecnicamente un organo della persona giuridica24. Tuttavia, è bene segnalare che, allo stato attuale, anche la dottrina inizialmente contraria all’inclusione del dirigente di fatto nella nozione di organo propende per una posizione «intermedia», facendo discendere la responsabilità della persona giuridica dalla circostanza che il dirigente di fatto sia stato o meno conosciuto dagli organi della persona giuridica e abbia o meno espresso la volontà dell’ente collettivo25. La giurisprudenza, peraltro, sin da subito si è orientata nel senso che anche il dirigente di fatto possa impegnare con il proprio operato la responsabilità della persona giuridica26. Per rappresentante deve, invece, intendersi il soggetto che ha la rappresentanza legale della persona giuridica. Tuttavia, molto spesso l’organo della persona giuridica, nel senso sopra delineato, è anche rappresentante della medesima: la disposizione legislativa costituirebbe un’inutile ripetizione laddove fosse interpretata in modo restrittivo. Di qui i tentativi della dottrina di individuare i rappresentanti in grado Delmas-Marty, Les conditions de fond de mise en jeu de la responsabilité pénale, in «Révue des sociétés», 1993, p. 305. 24 R. Merle, A. Vitu, Traité de droit criminel, cit., n. 605, Pansier, La responsabilité pénale des personnes morales, cit., p. 251; Pradel, Il nuovo codice penale francese. Alcune note sulla parte generale, in «Indice Penale», 1994, p. 16 ; H. Matsopoulou, La généralisation de la responsabilité pénale des personnes morales, in «Revue des Sociétés», n. 2, 2004, p. 289-290. 25 Merle, Vitu, Traité de droit criminel, cit., n. 647. 26 Si veda, ad esempio, Tribunal correctionnel Strasbourg, 9 febbraio 1996. 23 120 E. Pavanello di «impegnare» la responsabilità della persona giuridica che non siano al contempo organo della stessa. Innanzitutto, andrebbero inclusi i soggetti individuati dalla legge per assicurare la gestione della società. In secondo luogo, sarebbero rappresentanti coloro che, sulla base di un provvedimento giurisdizionale, hanno ricevuto il potere di rappresentare la società, ciò che avviene, ad esempio, nel caso di un amministratore provvisorio della società o di un liquidatore. La dottrina è inoltre sostanzialmente unanime nel ritenere che anche il destinatario di una delega speciale di poteri conferita ad un soggetto dotato della competenza, dell’autorità e dei mezzi necessari all’esercizio del compito che gli è attribuito, impegni la responsabilità della persona giuridica, soluzione questa considerata «logica» atteso che con la delega il delegatario si sostituisce agli organi della persona giuridica di cui esercita prerogative e poteri27. La giurisprudenza dal canto suo ha sostanzialmente avallato detta posizione, prima assimilando solo in modo implicito il delegatario al rappresentante e poi affermando in modo esplicito che il destinatario di una delega impegna la responsabilità penale della persona giuridica in quanto rappresentante della stessa28. Sulla delega restano aperte due questioni. Innanzitutto, non è chiaro se anche un semplice impiegato dotato di regolare delega possa impegnare la responsabilità della persona giuridica. Nel senso negativo si sono espressi diversi autori sulla base del fatto che nella circolare adottata a seguito dell’introduzione del nuovo codice (crim 93/9/fi del 14 maggio 1993) è espressamente indicato che «la personne morale ne sera pénalement responsable des infractions commises [...] par l’un de ses employés»29, nonché sul fatto che l’art. 706-43 del codice di procedura penale elenca espressamente tra i soggetti che possono rappresentare in giudizio la persona giuridica anche il delegatario. Atteso che analoga previsione non è contenuta nell’art. 121-2, ciò significa, secondo un’argomentazione a contrario, che il legislatore non ha inteso farvi riferimento30. Tuttavia, la nota del ministero citata si riferisce al fatto che i soli rappresentanti od organi della società possono determinare la responsabilità della persona giuridica, mentre nulla dice con riferimento all’ipotesi di delega di poteri. A parere di chi scrive pertanto, non esistendo specifiche indicazioni al riguardo, è da condividere la posizione della dottrina favorevole alla responsabilità della persona giuridica, in Per le peculiarità connesse alla nozione di delega di «firma» e delega di «servizio» nell’ambito della persona giuridica di diritto pubblico si veda infra. 28 Sul punto si vedano i riferimenti giurisprudenziali indicati in Desportes, Responsabilité pénale des personnes morales, cit., p. 131 e le sentenze Cassation Criminelle, 9 novembre 1999 e 14 dicembre 1999 pubblicate in «Droit pénal», Edition Juriste Classeur, mai 2000, p. 11-12. 29 Bouloc, La criminalisation du comportement collectif en France, cit., p. 241. Tuttavia, la nota citata si riferisce unicamente al fatto che i soli rappresentanti od organi della società possono determinare la responsabilità della persona giuridica, mentre nulla si dice con riferimento all’ipotesi di delega di poteri. A parere di chi scrive pertanto, non esistendo specifiche indicazioni al riguardo, è da condividere la posizione della dottrina favorevole alla responsabilità della persona giuridica anche in queste ipotesi. 30 Matsopoulou, La généralisation de la responsabilité pénale des personnes morales, cit., p. 291. 27 L’ordinamento francese 121 considerazione del fatto che l’esclusione della responsabilità del dipendente dotato di delega ridurrebbe considerevolmente l’interesse e l’efficacia della responsabilità penale delle persone giuridiche31. La questione sembra essere stata risolta, da ultimo, con una sentenza della Corte di Cassazione che ha stabilito come anche un semplice dipendente possa dare origine alla responsabilità della persona giuridica qualora questi abbia ricevuto una delega di poteri32. In secondo luogo, resta da capire se coloro che hanno agito oltre i limiti della delega ricevuta impegnino o meno la responsabilità della persona giuridica. La dottrina si è schierata nel senso della necessità di prevedere una simile responsabilità, soprattutto in considerazione del fatto che la risposta negativa porterebbe alla creazione di una zona di irresponsabilità non accettabile33. 4.2. L’azione commessa da parte dell’organo o rappresentante «per conto» della persona giuridica. La seconda condizione cui la legge francese subordina la responsabilità penale della persona giuridica è il fatto che i soggetti fisici individuati abbiano agito per suo conto. Detto presupposto ha soppiantato quello indicato nel progetto del 1978 che faceva, invece, riferimento al reato commesso in nome della persona giuridica e nel suo interesse collettivo: il legislatore ha preferito, quindi, adottare una nozione più ampia che non presuppone la dimostrazione del profitto che la persona giuridica ha tratto dalla commissione del reato. L’agire per conto è il nesso che consente di passare dalla responsabilità individuale a quella collettiva: si tratta cioè di quella liaison che consente di «proiettare» la responsabilità individuale sul piano collettivo. È evidente infatti che il solo fatto che l’organo o il rappresentante siano i soggetti capaci di «incarnare» la persona giuridica non consente di stabilire con certezza che la condotta illecita posta in essere costituisca espressione della volontà della persona giuridica. Potrebbe, al contrario, verificarsi che i soggetti citati abbiano semplicemente agito nel proprio interesse o al di fuori dei poteri agli stessi conferiti e, quindi, al di là dell’ambito di espressione della volontà della persona giuridica. Bernardini, Personne morale, cit., 44; Desportes, Responsabilité pénale des personnes morales, cit., n. 134. 32 Cassation Criminelle, 30 maggio 2000, Sté Cécométal, in «Bulletin d’Information» n. 520 del 15 settembre 2000, n. 1050. 33 Merle, Vitu, Traité de droit criminel, cit., p. 647; Pradel, Il nuovo codice penale francese. Alcune note sulla parte generale, cit., p. 16; Delmas-Marty, Les conditions de fond de mise en jeu de la responsabilité pénale, cit., p. 305; Desportes, Responsabilité pénale des personnes morales, cit., p. 193. 31 122 E. Pavanello L’espressione utilizzata dal legislatore non dà adito a dubbi interpretativi quanto all’esclusione di determinate attività dall’ambito di responsabilità della persona giuridica: non sono commessi per conto della stessa gli illeciti posti in essere nell’interesse personale dell’organo o del rappresentante o nell’interesse di una minoranza34. Quanto, invece, ai comportamenti che integrano l’agire per conto, la dottrina sembra concorde nell’ammettere che ciò si verifica non solo qualora si agisca al fine di ottenere un profitto materiale (anche nel senso di evitare una perdita), ma anche quando si tratta di un vantaggio morale, diretto o indiretto35. 4.3. L’iniziale limitazione della responsabilità delle persone giuridiche alle fattispecie di reato tassativamente previste. Critiche della dottrina e pronunce «estensive» della giurisprudenza. Definitiva espansione della responsabilità delle persone giuridiche a tutte le fattispecie di reato. La responsabilità penale delle persone giuridiche è stata (inizialmente) limitata alle ipotesi criminose espressamente previste dalla legge: in questo modo si intendeva lasciare al legislatore il compito di valutare caso per caso l’opportunità di prevedere siffatta responsabilità. La persona giuridica doveva essere indicata espressamente quale soggetto attivo del reato, non essendo sufficiente che la fattispecie prevedesse genericamente «chiunque» (toute personne) come autore del reato36. La dottrina ha sin da subito espresso forti riserve con riferimento alle limitazioni delineate: già nel 1989 davanti alla Commissione legislativa dell’Assemblea nazionale erano state avanzate critiche al principio di specialità, in quanto lo stesso avrebbe condotto ad una discontinuità della responsabilità delle persone giuridiche37. C’è Coeuret, La nouvelle donne en matière de responsabilité, cit., p. 633 ritiene che la formula utilizzata dal legislatore sia più esplicita nel delineare ciò che è escluso da ciò che è incluso. 35 Tra gli altri si vedano Pradel, Il nuovo codice penale francese, cit., p. 17; Desportes, Responsabilité pénale des personnes morales, cit., p. 186-193; Bernardini, Personne morale, cit., p. 46. 36 «Il résulte de l’article 121-2 du Code pénal que la responsabilité pénale des personnes morales ne peut être mise en oeuvre que si elle est expressément prévue par une disposition spéciale pour l’infraction considérée.» («Dall’art. 121-2 del codice penale discende che la responsabilità penale della persona giuridica non può venire in rilievo se non quando la stessa è espressamente prevista da una disposizione di legge in relazione alla violazione considerata»). Così Cassation Criminelle 18 aprile 2000, Lerousseau c/Sté TTL, rinvenibile nel sito <http://www.courdecassation.fr/_arrets/arrets.htm>. 37 La maggior parte degli studiosi si è dichiarata favorevole ad una generalizzata estensione della responsabilità. Si vedano tra gli altri Desportes, Responsabilité pénale des personnes morales, cit., p. 8 ss. il quale illustra gli inconvenienti legati ad un simile principio di specialità; G. di Marino, Le développement de la responsabilité pénale des personnes morales, in «Révue Pénitentiaire et de droit pénal», 2004, p. 36 e F. Franchi, A quoi peut bien servir la responsabilité pénale des personnes morales?, in «Révue de science criminelle et de droit pénal comparé», 1996, p. 286, il quale rileva che «il existe des domaines importants de délinquance du droit économique et financier où la responsabilité pénale des personnes morales 34 L’ordinamento francese 123 inoltre chi ha sollevato la questione dell’effettiva conoscibilità da parte delle diverse persone giuridiche del precetto penale. Il principio di specialità presuppone, infatti, che l’ente, e quindi i suoi organi o rappresentanti, siano a conoscenza delle diverse fattispecie penali che comportano una responsabilità collettiva. Mentre per una società di grandi dimensioni questo non dovrebbe costituire un problema perché nella maggioranza dei casi la stessa disporrà di un servizio di consulenza legale interno, più complessa si rivela la situazione per le società di piccole dimensioni le quali non dispongono dei mezzi e dell’organizzazione delle grandi imprese: il che potrebbe condurre ad una violazione del principio di eguaglianza38. Ciò è tanto più vero ove si consideri che il legislatore francese ha provveduto nel corso degli anni ad estendere progressivamente l’ambito di responsabilità penale delle persone giuridiche, a tal punto che taluni studiosi hanno affermato essere più semplice individuare le infrazioni per le quali la responsabilità è ancora esclusa piuttosto di quelle in cui essa è prevista39. Nonostante detta estensione sotto il profilo «quantitativo», il sistema delineato mostrava incoerenze sotto il profilo «qualitativo»40. Solo per citare due esempi fra i molti, mentre la persona giuridica poteva essere considerata responsabile per la corruzione attiva, la stessa andava esente da pena in caso di corruzione attiva in atti giudiziari. E ancora: le persone giuridiche non rispondevano delle infrazioni previste nel diritto penale del lavoro, se non nelle ipotesi di attentato involontario alla vita o alla sicurezza e agli omicidi involontari nell’ambito degli incidenti sul lavoro41. n’a pas été prévue, alors que cette sanction paraît utile et nécessaire.» («Esistono dei settori importanti della delinquenza economico-finanziaria dove la responsabilità penale delle persone giuridiche non è stata prevista, quando invece la sanzione penale pare utile e necessaria»). J. Mouly, La responsabilité pénale des personnes morales et le droit du travail, in «Petites Affiches», n. 120, 1993, p. 33 ha comunque condiviso la scelta iniziale del legislatore francese, in ragione delle peculiarità connesse a questa nuova forma di responsabilità. 38 J.C. Planque, La détermination de la personne morale pénalement responsable, L’Harmattan, Paris 2003, p. 330-331. 39 Veron, La responsabilité pénale des personnes morales, cit., p. 1470. Inizialmente, le ipotesi di reato sono state limitate a fattispecie disciplinate nel codice penale al libro ii relativo a crimini e delitti contro le persone, al libro iii relativo a crimini e delitti contro i beni, al libro iv relativo a crimini e a delitti contro la nazione, lo Stato e la pace pubblica e a poche fattispecie previste nelle leggi speciali. 40 O. Sautel, La mise en œuvre de la responsabilité pénale des personnes morales: entre litanie et liturgie, in «Le Dalloz», n. 14, 2002, p. 1148; N. Stolowy, La disparition du principe de spécialité dans la mise en cause pénale des personnes morales, in «La semaine Juridique édition générale», i-138, Doctrine, 2004, p. 998, secondo cui pur riconoscendo che il legislatore ha introdotto il principio di specialità in un’ottica di prudenza per verificare lo sviluppo della nuova responsabilità, il sistema delineato è fonte di lacune e di incoerenze. 41 M.C. Sordino, La disparition du principe de spécialité de la responsabilité pénale des personnes morales: une fin espérée […] adoptée dans la plus grande discrétion, in «Gazette du Palais», Doctrine, 11 septembre 2004, p. 2842. 124 E. Pavanello Sotto il profilo giurisprudenziale, una sentenza risalente al 2003 si è indirettamente (ma in modo inequivocabile) orientata nel senso dell’abolizione del principio di specialità42. La Corte di Cassazione, infatti, ha cassato e annullato la sentenza emessa in grado d’appello in base alla quale non era stata perseguita la persona giuridica in quanto l’infrazione contestatale, ovvero la violazione dell’art. 399 del codice delle dogane che punisce chiunque partecipi in qualsiasi modo al delitto di contrabbando, non prevedeva quale soggetto attivo l’ente collettivo. Con una decisione che ha mutato il precedente orientamento giurisprudenziale la Corte di Cassazione ha sostenuto che nel concetto di «chiunque» rientrasse (quantomeno nel caso di specie) anche la persona giuridica, nonostante le indicazioni contenute sul punto nella relazione all’articolo 121-2 del codice penale43. La decisione ha destato ovvie perplessità in dottrina in considerazione della sostanziale violazione dei principi di legalità e di interpretazione stretta del diritto penale44. Tuttavia, per quanto si tratti di decisione che esce dai limiti del disposto normativo, essa ha avuto sicuramente il pregio di mettere in primo piano la questione dell’incoerenza del sistema allora vigente e ha probabilmente contribuito alla modifica dell’art. 121-2 del codice penale. Di lì a poco, infatti, l’art. 54 della legge Perben II (l. 2004-204)45 ha disposto l’abrogazione della parte dell’art. 121-2 del codice penale ove si fa riferimento alla punibilità delle persone giuridiche nei soli casi previsti dalla legge e dai regolamenti. Unica eccezione in cui non opera la responsabilità delle persone giuridiche concerne i reati relativi alla stampa o commessi attraverso mezzi di comunicazione audiovisiva. Tenuto conto della sua ampiezza, la modifica è entrata in vigore solo il 31 dicembre 2005 con la conseguenza che non trova applicazione per i fatti verificatisi prima di tale data46. Non è mancato comunque chi si è mostrato critico nei confronti di detta modifica legislativa, sostenendo che invece di procedere ad una generaPlanque, Elargissement jurisprudentiel du domaine de application de la responsabilité pénale des personnes morales, in «Recueil Dalloz», n. 42, 2003, Jurisprudence, p. 2860. La sentenza della Corte di Cassazione del 5 febbraio 2003 è pubblicata in «Revue de science criminelle», n. 3, Chronique Jurisprudentielle,2003, p. 554-555. 43 La relazione de qua prevede infatti alla lettera b) che «la responsabilité de la personne morale n’est pas générale. Elle ne peut être mise en oeuvre qu’à condition d’être spécialement prévue pour l’infraction considérée.» («La responsabilità penale della persona giuridica non è generale. Essa può venire in rilievo sono a condizione di essere espressamente prevista dalla violazione considerata»). 44 Sul punto Sordino, La disparition du principe de spécialité de la responsabilité pénale des personnes morales: une fin espérée […] adoptée dans la plus grande discrétion, cit., p. 2843. 45 La legge citata introduce importanti modifiche anche nella procedura penale francese con particolare riferimento alla lotta contro il crimine organizzato. Si veda B. De Lamy, La loi 9 mars 2004 portant adaptation de la justice aux évolutions de la criminalité, in «Recueil Dalloz», n. 27, Chronique, 2004, p. 1910 ss. e B. De Lamy, La loi 9 mars 2004 portant adaptation de la justice aux évolutions de la criminalité suite et fin, in «Recueil Dalloz», n. 28, Chronique, 2004, p. 1982 ss. per un commento generale della normativa. 46 E. Pire, Responsabilité pénale des personnes morales: difficultés de droit transitoire, in «Recueil Dalloz», 42 L’ordinamento francese 125 lizzazione della responsabilità penale, sarebbe stato probabilmente più opportuno chiedersi in quali ipotesi rilevasse maggiormente l’infrazione della persona giuridica per procedere, solo in tale ipotesi, alla sua punizione47. 4.4. Problematiche interpretative connesse all’individuazione dell’elemento soggettivo della condotta in capo alla persona giuridica e alla natura della responsabilità di quest’ultima: diretta o di riflesso rispetto a quella della persona fisica organo o dirigente? L’articolo 121-2 del codice penale francese non chiarisce se sia sufficiente verificare la sussistenza dell’elemento soggettivo in capo alle persone fisiche che agiscono per conto della società o se, invece, sia necessario anche accertare l’elemento soggettivo che ha animato la persona giuridica. La questione riflette la configurazione della natura della responsabilità, diretta della persona giuridica o indiretta, per riflesso, che si «trasmette» dalle persone fisiche a quella giuridica. Alla stregua delle indicazioni codicistiche è possibile affermare che è sufficiente verificare la sussistenza della colpevolezza in capo ai soggetti fisici e che la stessa si trasmette per riflesso (par ricochet) alle persone giuridiche48. Secondo tale impostazione, il legislatore francese avrebbe strutturato la responsabilità in relazione alla colpevolezza delle persone fisiche. In questo modo per accertare se un reato è stato commesso dalla persona giuridica, il giudice dovrà limitarsi a valutare l’esistenza di un rapporto di causalità tra la realizzazione del reato e l’attività svolta dall’ente49. Parte della dottrina si è tuttavia mostrata critica nei confronti dell’interpretazione de qua, ritenendo che la stessa privi di qualsiasi interesse l’istituto della responsabilità penale delle persone giuridiche − basti pensare alle difficoltà di individuare la persona fisica che ha posto in essere gli elementi dell’infrazione soprattutto nel caso di decisione collegiale di una persona giuridica o in caso di reati colposi − e sia contraria al principio di personalità della pena in quanto per lo stesso fatto verrebbero incriminate due persone diverse50. Infatti, la persona giuridica verrebbe sanzionata per un fatto che è stato voluto e realizzato da una persona diversa e ciò si porrebbe in contrasto con la previsione dell’art. 121-1 del codice che prevede testualmente «nul n’est responsabile n. 23, Point de vue, 2004, p. 1650. 47 Matsopoulou, La généralisation de la responsabilité pénale des personnes morales, cit., p. 289. 48 Nel senso che la responsabilità è per riflesso, Pradel, La responsabilité, cit., p. 79. M.E.Cartier, Nature et fondement de la résponsabilité pénale des personnes morales dans le nouveau code pénal français, in «Petites affiches», n. 149, décembre 1996, p. 24 ritiene che laddove non sia possibile individuare l’elemento soggettivo che ha animato la persona fisica anche la responsabilità della persona giuridica debba essere esclusa. 49 Cfr. De Maglie, L’etica e il mercato, cit., p. 206-207, la quale riassume gli argomenti al riguardo addotti dalla dottrina. 50 Rassat, Droit pénal général, cit., p. 506. 126 E. Pavanello que de son propre fait». Il fondamento di questa seconda impostazione risiede nel fatto che il codice francese prevede la responsabilità concorrente e non (necessariamente) cumulativa delle persone fisiche con quella delle persone giuridiche: la responsabilità delle seconde può andare disgiunta da quella delle prime. Oltre a ciò, la posizione illustrata sarebbe conforme al principio di realtà della persona giuridica e si rivelerebbe maggiormente garantista in quanto consentirebbe di evitare un’automatica imputazione di responsabilità in capo alla persona giuridica, laddove venisse in rilievo la responsabilità della persona fisica. Secondo taluni, questa prospettiva comporterebbe la necessità di accertare una faute distinta e autonoma della persona giuridica rispetto a quella della persona fisica, anche se risulta complesso, in assenza di indicazioni legislative, delineare gli elementi da cui dedurre la presenza di tale faute51. In ogni caso è necessario prevedere il collegamento tra condotta della persona fisica e condotta della persona giuridica, anche se non è escluso che la responsabilità della seconda possa venire in rilievo indipendentemente dall’accertamento della prima. La regola sarebbe nel senso della responsabilità diretta ed esclusiva della persona giuridica in caso di infractions non intentionnelles (e, in particolare, nel caso in cui non sia possibile stabilire la responsabilità della persona fisica o qualora l’infrazione sia di scarsa gravità) e solo in caso di infractions intentionnelles vi sarebbe cumulo di responsabilità di persona fisica e giuridica52. La tesi sembra oggi avallata anche dall’introduzione dell’art. 121-3 che ha espressamente previsto un’ipotesi di responsabilità esclusiva delle persone giuridiche in caso di reato colposo (infraction non intentionnelle)53. Quanto alla posizione della giurisprudenza, le giurisdizioni di merito si sono divise in ordine alla necessità di individuare una faute autonoma della persona giuridica arrivando, in alcuni casi, a sostenere che una società «ha posto in essere» una grave negligenza, dando così sostegno alla teoria della responsabilità diretta. La Corte di Cassazione che ha avuto modo di pronunciarsi sul punto ha assunto posizioni diversificate. In una prima sentenza ha sostenuto, infatti, che «la faute pénale de l’organe ou du représentant suffit, lorsqu’elle est commise pour le compte de la personne morale, à engager la responsabilité pénale de celle-ci, sans que doit être établie une faute J.C.Saint-Pau, La responsabilité pénale des personnes morales est-elle une responsabilité par ricochet?, in «Dalloz», n. 30, Jurisprudence, 2000, p. 636 ss. rileva che in ogni caso la responsabilità della persona giuridica è responsabilità per fatto proprio e il fatto di stabilire la colpevolezza della stessa mediante la colpevolezza della persona fisica non costituisce null’altro che una regola di prova. 52 C. Sucouloux-Favard, Un primo tentativo di comparazione della responsabilità penale delle persone giuridiche francese con la cosiddetta responsabilità amministrativa delle persone giuridiche italiana, in Societas puniri potest, cit., p. 100-103 e A.F. Morone, La responsabilità penale par ricochet della personne morale in Francia dopo la l. 10 luglio 2000 n. 2000-647, in «Diritto penale xxi secolo», n.1, 2003, p. 152. 53 Planque, La détérmination, cit., p. 281 e E. Fortis, Chronique de jurisprudence, in «Revue de science criminelle», n. 2, 2004, p. 341 ritiene che l’introduzione della legge del 10 luglio 2000, su cui diffusamente infra, consentirebbe di sostenere la teoria della responsabilità diretta della persona fisica. 51 L’ordinamento francese 127 distincte à la charge de la personne morale»54. In una pronuncia di poco successiva, tuttavia, essa ha statuito che, pur non sussistendo alcuna faute délibérée in capo alle persone fisiche organi o rappresentanti della società, occorreva accertare l’eventuale esistenza di un difetto nell’organizzazione del lavoro di impresa per verificare se la persona giuridica potesse essere considerata responsabile del reato55. Il caso riguardava la caduta di un dipendente della società mentre si accingeva a riparare una lamiera: su indicazione del caporeparto egli aveva utilizzato una scala anziché l’apposito carrello elevatore (mezzo più sicuro che avrebbe con ogni probabilità evitato la caduta dell’operaio). Il dipendente aveva riportato diverse ferite e la procura aveva proceduto nei confronti del direttore dello stabilimento, del capo dell’unità produttiva, del caporeparto che aveva fornito le indicazioni all’operaio nonché della società. La sentenza interviene in un momento successivo all’adozione della legge 2000-647 (su cui infra) la quale dispone che, nei reati colposi, laddove la condotta delle persone fisiche abbia contribuito solo in modo indiretto alla realizzazione del reato, esse sono responsabili unicamente in presenza di una faute deliberée mentre le persone giuridiche sono responsabili anche in caso di colpa lieve. La Corte di Cassazione ha ritenuto che nessuna colpa grave sussistesse in capo alle persone fisiche organi e rappresentanti della società (nel caso di specie, infatti, il direttore dello stabilimento e il responsabile dell’unità operativa sono stati prosciolti); tuttavia, la stessa ha invitato a procedere all’accertamento dell’eventuale sussistenza degli elementi del reato in capo alla persona giuridica, per valutare se il comportamento imprudente dell’operaio fosse ascrivibile o meno a un deficit nella sorveglianza o nell’organizzazione del lavoro imputabile al capo dello stabilimento o alla persona incaricata della sicurezza in grado di impegnare la responsabilità della persona giuridica. Diversamente da quanto ritenuto dalle Corti di merito, il fatto che non fosse perseguibile l’organo o il rappresentante, non viene ritenuto elemento sufficiente a negare la sussistenza della responsabilità della persona giuridica. Tale elemento è stato interpretato come la volontà della Corte di Cassazione di optare per una responsabilità diretta della persona giuridica, con la conseguenza che sarebbe necessario accertare tutti gli elementi del reato nei suoi confronti, elementi beninteso desumibili dai comportamenti delle persone fisiche56. L’interpretazione de qua non tiene, a nostro avviso, in considerazione il contesto in cui la pronuncia è stata pronunciata: si trattava infatti di un reato colposo in presenza del quale, a seCassation Criminelle 21 marzo 2000, in «Bullettin criminal», n. 128, 2000, e, in precedenza, Cassation Criminelle 2 dicembre 1997, in «La semaine juridique», ii, 1998, p. 10023. 55 Cassation Criminelle 24 ottobre 2000, in «Recueil Dalloz», Jurisprudence, 2002, p. 514 ss. 56 J.C. Planque, Influence de la loi du 10 juillet 2000 sur la responsabilité pénale des personnes morales, in «Recueil Dalloz», Jurisprudence, 2002, p. 514 ss. Contra Morone, La responsabilità penale par ricochet della personne morale in Francia dopo la l. 10 luglio 2000 n. 2000-647, cit., p. 154 il quale ritiene che anche a seguito dell’entrata in vigore della legge citata, resta fermo lo schema della responsabilità penale par ricochet, indipendentemente dal tipo di reato e dal fatto che esso non sia punibile per difetto dell’elemento soggettivo in capo alla persona fisica. 54 128 E. Pavanello guito della legge del 2000, è necessario differenziare la valutazione della posizione di persone fisiche e giuridiche. È plausibile, quindi, che la Corte abbia ritenuto che, in assenza di colpa grave in capo alla persona fisica − elemento questo imprescindibile per condannare la stessa − non fosse possibile omettere la verifica dell’eventuale sussistenza della colpa lieve in capo alla persona giuridica, sufficiente, al contrario, per punire quest’ultima. Invero, come rilevato da taluno, non sembra possa essere messa in discussione la natura «riflessa» della responsabilità delle persone giuridiche, così come affermata dalla Cassazione nelle sentenze sopra citate e confermata anche da talune pronunce di merito57. Per dovere di completezza si accenna, infine, in questa sede alla questione sollevata circa la possibile applicazione anche alle persone giuridiche delle cause di irresponsabilità penale previste dagli articoli da 122-1 a 122-7. Esse comprendono tanto le cause «soggettive», ovvero l’incapacità mentale, la costrizione fisica e l’errore di diritto, quanto le cause «oggettive» , ovvero la condotta posta in essere per ordine o autorizzazione della legge, la legittima difesa, lo stato di necessità. Ci si è chiesti se le cause che possono essere invocate dalle persone fisiche, organi o rappresentanti, giovino anche alle persone giuridiche. Si ritiene che la questione vada affrontata ora in quanto la stessa è intimamente legata alla qualificazione della responsabilità penale delle persone giuridiche come diretta o per riflesso. Se si propende, infatti, per una responsabilità indiretta della persona giuridica, è da ritenere che qualsiasi causa di irresponsabilità che riguarda gli organi o i rappresentanti debba essere applicata anche alla persona giuridica, non essendo possibile scindere le due condotte58. Se, invece, si qualifica la responsabilità della persona giuridica come diretta, occorre distinguere a seconda della natura della causa di irresponsabilità: mentre le cause oggettive opererebbero anche in favore della persona giuridica (il che pare logico ove si consideri che le stesse determinano il venir meno del reato), per le cause soggettive di irresponsabilità non esisterebbe una soluzione univoca59. Sul punto si veda S. Giavazzi, La responsabilità penale delle persone giuridiche: dieci anni di esperienza francese, in «Rivista trimestrale di diritto penale dell’economia», n. 3, 2005, p. 637 ss. 58 Desportes, Responsabilité pénale des personnes morales, cit., p. 28. 59 Planque, La détermination, cit., p. 403-445 ritiene, ad esempio, che l’incapacità mentale non sia applicabile alle persone giuridiche, mentre lo sia la costrizione fisica. 57 L’ordinamento francese 129 5. La responsabilità concorrente della persona fisica, organo o rappresentante, che ha posto in essere la condotta. L’art. 121-3 del codice penale francese indica che la responsabilità delle persone giuridiche non esclude la responsabilità concorrente delle persone fisiche autori o complici del fatto criminoso. Il principio del cumulo di responsabilità è stato giustificato dal legislatore per il fatto che la responsabilità penale degli enti non deve costituire uno schermo dietro il quale le persone fisiche si possono celare per mascherare le responsabilità personali. Peraltro, come rilevato da illustre dottrina, la regola del cumulo è variamente interpretata dai Tribunali: così, se a Parigi e Versailles normalmente il dirigente della società non è perseguito, e si afferma espressamente che l’ente ha commesso il reato, in altre circoscrizioni invece si procede nei confronti tanto della persona fisica quanto della persona giuridica60. La dichiarazione di intenti per quanto pregevole è singolare ove si consideri che, nel contempo, l’introduzione di una limitata responsabilità delle persone giuridiche di diritto pubblico è stata considerata un mezzo per ridurre il controllo penale sull’operato dei rappresentanti politici, intesi come persone fisiche61. Detta dichiarazione contrasta, inoltre, con la stessa ratio che ha indotto il legislatore francese ad adottare la legge 2000-647, ovvero ridurre il campo di responsabilità delle persone fisiche in caso di reati colposi, settore nel quale molto spesso si procedeva a un’automatica condanna del soggetto fisico in virtù della posizione dallo stesso rivestita (una sorta di responsabilità da posizione), a prescindere da una sua effettiva conoscenza del fatto e dalla rimproverabilità della condotta. 5.1. Limitazione della concorrente responsabilità della persona fisica per i delitti non intenzionali posti in essere per imprudenza, negligenza, violazione di un obbligo di prudenza o sicurezza (l. 2000-264). Un temperamento al principio del cumulo di responsabilità è stato introdotto con la l. 2000-264 in tema di delitti non intenzionali, posti in essere per imprudenza, negligenza, violazione di un obbligo di prudenza o sicurezza62. Il quarto comma dell’art. Pradel, Manuel de droit pénal général, cit., p. 510. Sul punto si veda in particolare il paragrafo dedicato all’analisi del Rapporto Massot che ha indagato il rapporto tra responsabilità dei singoli rappresentanti politici locali e degli enti pubblici cui gli stessi afferiscono. 62 Nel sistema penale francese la responsabilità per i crimini sussiste esclusivamente in caso di dolo (intention), mentre per i delitti la regola è analoga a quella prevista nell’ordinamento italiano, ovvero normalmente è necessario il dolo mentre è sufficiente la colpa ove così sia espressamente previsto dalla norma di parte speciale. La colpa viene poi distinta in imprudence ordinaire e in imprudence caracterisée. Per quanto riguarda la contravvenzione è invece sufficiente la responsabilità oggettiva. Sul punto si veda, 60 61 130 E. Pavanello 121-3 distingue, infatti, a seconda che il nesso di causalità tra la condotta del soggetto e il danno siano diretti o indiretti. In caso di nesso di causalità diretto − come avveniva in passato − anche la faute più lieve potrà determinare la responsabilità penale della persona fisica. In caso di nesso di causalità indiretto, invece - detto legame sussiste ai sensi di legge qualora le persone fisiche abbiano unicamente contribuito a creare la situazione che ha permesso il verificarsi del danno o non abbiano adottato le misure che avrebbero consentito di evitarlo − la persona fisica risponderà del reato solo se risulta che essa abbia violato in modo volontario un’obbligazione particolare di prudenza o di sicurezza prevista dalla legge o dal regolamento e che abbia commesso una faute caracterisée, esponendo altri ad un rischio di particolare gravità che non poteva ignorare. Tre sono quindi i presupposti che contraddistinguono questa faute caracterisée: innanzitutto, deve sussistere una colpa di particolare intensità; in secondo luogo, il fatto colposo caratterizzato deve aver prodotto un rischio di particolare gravità e, da ultimo, deve trattarsi di un rischio che l’agente non poteva ignorare. Questa limitazione di responsabilità delle persone fisiche non trova analogo riscontro per le persone giuridiche che pertanto risponderanno dei delitti non intenzionali a prescindere dal nesso di causalità esistente. C’è chi ha rilevato criticamente che la riforma crea delle incoerenze nella logica del sistema di responsabilità delle persone giuridiche, atteso che queste ultime possono essere considerate responsabili solo ove l’azione o l’omissione sia stata commessa da parte dei rappresentanti o degli organi per suo conto. La dottrina si interroga sull’opportunità di prevedere la responsabilità delle persone giuridiche in caso di esclusione totale della responsabilità delle persone fisiche: è pur vero, infatti, che la giurisprudenza ha chiarito non essere necessario individuare nominativamente la persona fisica che ha commesso l’infrazione, ma in ogni caso sarà necessario procedere ad un’imputazione «virtuale» o «potenziale» del fatto alla stessa, ciò che in virtù della riforma esaminata non può avvenire63. 6. Il sistema sanzionatorio previsto per le persone giuridiche: pene e misure di sicurezza. Il sistema sanzionatorio applicabile alle persone giuridiche è regolato dagli articoli da 131-37 a 131-3964. La sanzione generalmente applicabile è l’ammenda ai sensi F. Palazzo, M. Papa, Lezioni di diritto penale comparato, G. Giappichelli, Torino, 20052, p. 122 ss. 63 Sul punto si cfr. Y. Mayaud, Infractions contre les personnes, in «Revue de Science Criminelle», janviermars 2001, p. 163 ; Di Marino, Le développement de la responsabilité pénale des personnes morales, cit., p. 37, e J. Amar, Contribution à l’analyse économique de la responsabilité pénale des personnes morales, in «Droit Pénal», n. 37, 2001, Chronique, p. 6 ritengono che la legge citata ponga inevitabili problemi quanto all’uguaglianza tra persone fisiche e giuridiche. 64 Si veda B. Bouloc, Généralités sur les sanctions applicables aux personnes morales, in «Révue des L’ordinamento francese 131 di quanto stabilito dall’art. 131-37 n.1: essa potrà raggiungere la misura massima del quintuplo rispetto alla pena pecuniaria applicabile alla persona fisica (art. 13138). Questo articolo nulla prevede nell’ipotesi in cui il reato commesso dalle persone fisiche non sia punito con l’ammenda, bensì con altre sanzioni e, segnatamente, la reclusione. L’art. 55 della legge Perben II ha posto fine a tale lacuna, introducendo un ulteriore comma all’art. 131-38 il quale prevede che «lorsqu’il s’agit d’un crime pour lequel aucune peine d’amende n’est prévue à l’encontre des personnes physiques, l’amende encourue par les personnes morales est de 1.000.000 d’euros». Il legislatore francese ha optato per sanzioni pecuniarie abbastanza elevate, senza distinguere a seconda della forma giuridica dell’ente e quindi del capitale sociale di cui lo stesso dispone. La previsione si giustifica peraltro nella logica del codice penale francese il quale, da un lato, non prevede i limiti minimi della pena, e, dall’altro, non pone alcuna limitazione alla diminuzione delle pene pecuniarie rispetto al massimo previsto dalla legge65. A fronte della sanzione generale sopra indicata, l’art. 131-37 n. 2 indica, inoltre, che saranno applicabili anche le sanzioni elencate dettagliatamente all’articolo 131-39 nei casi previsti dalla legge. Dette sanzioni possono essere distinte in tre diversi gruppi, in ragione della loro gravità e degli effetti che esse producono. In una prima categoria vanno inserite le sanzioni che pregiudicano la regolare attività della persona giuridica o addirittura pongono fine alla sua esistenza: trattasi della dissoluzione, della chiusura dello stabilimento e del divieto di esercitare determinate attività. La dissoluzione della persona giuridica può essere pronunciata dal giudice qualora quest’ultima sia stata creata per commettere i fatti incriminati o qualora essa, discostandosi dal proprio oggetto sociale, abbia commesso il fatto penalmente rilevante. Mentre la prima ipotesi non dà adito a particolari problemi interpretativi, nella seconda eventualità ci troviamo di fronte ad un concetto più vago che presuppone, in ogni caso, che l’oggetto (lecito) dell’attività non sia stato perseguito66. La sanzione de qua non si applica alle persone giuridiche di diritto pubblico, ai partiti e ai gruppi politici, ai sindacati professionali e alle istituzioni rappresentative del personale (su cui infra). Essa è stata fortemente criticata in quanto sarebbe paragonabile in tutto e per tutto alla pena di morte, sanzione che è stata abrogata da lungo tempo per le persone fisiche nell’ordinamento francese67. Altrettanto affittiva è la sanzione della chiusura sociétés», 1993, p. 327-329 con particolare riferimento alla funzione che la sanzione penale può esplicare nei confronti della persona giuridica. 65 Ai sensi dell’art. 132-34, peraltro, nel pronunciare un’ammenda si terrà conto «des resources et des charges» dell’autore dell’infrazione, disposizione questa che si applica anche alle persone giuridiche. Sul punto si cfr. M. Boizard, Amende, confiscation, affichage ou communication de la décision, in «Révue des sociétés», 1993, p. 332. 66 P. Le Cannu, Dissolution, fermeture d’établissement et interdiction d’activités, in «Révue des sociétés», 1993, p. 343. 67 Pansier, La responsabilité pénale des personnes morales, cit., p. 250. 132 E. Pavanello definitiva o per un periodo al massimo di 5 anni dello stabilimento che è servito alla commissione del reato. La pena era già conosciuta nell’ordinamento francese ed era prevista come sanzione accessoria, ad esempio, nel caso di traffico di stupefacenti qualora l’infrazione fosse stata commessa in uno stabilimento aperto al pubblico o utilizzato dal pubblico (art. 222-50 codice penale). L’ultima sanzione appartenente alla categoria in esame è il divieto di esercitare una determinata attività professionale o sociale in via definitiva o per un periodo pari ad un massimo di 5 anni: l’attività vietata, secondo quanto indicato dall’art. 131-28, deve essere legata all’infrazione che è stata commessa o, in ogni caso, ancorché non presenti alcun legame con l’infrazione, deve essere espressamente indicata dalla legge. Sanzioni di minor gravità sono invece la confisca, la pubblicazione della sentenza e la comunicazione della decisione. La confisca ha ad oggetto il bene che è servito (o è stato destinato) a commettere l’infrazione o il bene che ne ha costituito il prodotto. Quanto alla pubblicazione e alla comunicazione della sentenza esse possono avvenire con ogni mezzo, sia attraverso la stampa scritta che mediante i mezzi di comunicazione televisiva. In una terza categoria possono essere incluse le rimanenti sanzioni che hanno come scopo la diminuzione della capacità di azione delle persone giuridiche, ma non il loro totale annichilimento68, tra le quali va annoverata innanzitutto la sottoposizione a sorveglianza giudiziaria della persona giuridica, pena questa che ha carattere necessariamente temporaneo, non potendo essere inflitta per un periodo superiore a cinque anni (ove la pena non conoscesse limiti temporali, la persona giuridica verrebbe posta in uno stato di incapacità permanente69). La pena in oggetto presuppone che un terzo controlli l’attività dell’ente: il mandataire sarà nominato dal tribunale contestualmente alla pronuncia della pena. Sono escluse dal campo di applicazione della norma le persone giuridiche di diritto pubblico, i partiti, i gruppi politici e i sindacati professionali (su cui infra). Vi è poi la sanzione dell’esclusione dagli appalti pubblici della persona giuridica a titolo definitivo o per un periodo non superiore a 5 anni: l’obiettivo è quello di ristabilire la «dignità» della cosa pubblica. Atteso, infatti, che gli appalti pubblici concernono la collettività è opportuno che solo le persone fisiche e giuridiche «integre» vi facciano ricorso. L’estensione della sanzione è notevole se si considera che la legge non distingue in alcun modo tra i diversi appalti pubblici, impedendo tout court la partecipazione agli stessi. 68 P. Delebecque, Les sanctions de l’article 131-39, 3o, 5o, 6o et 7o, in «Révue des sociétés», 1993, p. 349 ss. si interroga sulla natura di queste sanzioni e ritiene che non possano essere considerate delle vere e proprie pe-ne in quanto le stesse non dispongono di alcuna connotazione morale e mirano a prevenire la commissione di un ulteriore reato; tuttavia, esse non possono essere considerate nemmeno delle misure di sicurezza tout court in quanto presentano un carattere afflittivo e infamante, per lo meno nel mondo degli affari. 69 Ibidem, p. 350 ss. L’ordinamento francese 133 All’interno della categoria in esame vanno collocate altresì le sanzioni che determinano il divieto definitivo o per un periodo non superiore a 5 anni di fare appello al pubblico risparmio e il divieto per un periodo massimo di 5 anni di emettere assegni o di utilizzare determinati mezzi di pagamento. Da segnalare che, così come per le persone fisiche, anche per le persone giuridiche è prevista la creazione di un apposito casellario giudiziario e la registrazione nello stesso delle condanne inflitte alle persone giuridiche70. Le persone giuridiche potranno giovarsi, inoltre, della sospensione condizionale della pena (sursis simple) che consiste nella cancellazione della condanna pronunciata a condizione che nei cinque anni successivi alla sua pronuncia non sia stata emessa altra condanna senza sospensione condizionale71. 7. Le applicazioni giurisprudenziali della responsabilità penale delle persone giuridiche. L’analisi dei dati relativi all’applicazione della nuova responsabilità delle persone giuridiche mostra, da un punto di vista «quantitativo», un sostanziale e progressivo aumento del numero di condanne delle persone giuridiche. Se, infatti, dopo due anni dall’entrata in vigore della riforma si contavano solo tre sentenze di condanna pronunciate nei confronti delle persone giuridiche72, dopo quattro anni il numero di pronunce era già salito a cento73. Nel 2002, infine, oltre millequattrocento condanne sono state iscritte nel casellario giudiziario delle persone giuridiche74. Peraltro, nell’applicazione pratica il diritto penale della sicurezza sul lavoro sembra costituire uno dei terreni di elezione di questa forma di responsabilità75. Quanto alle pene applicate, nella maggior parte dei casi il giudice si è limitato ad irrogare un’ammenda (di un importo medio calcolato pari a 8.000 euro) e raramente B. Bouloc, Le casier judiciaire des personnes morales, in «Révue des sociétés», 1993, p. 364 ss. Per le condizioni in cui la sospensione condizionale della pena opera si vedano in particolare gli articoli 132-29, 132-30, 132-32, 132-33, 132-34 del codice penale. 72 L. Vichnievsky, Bilan sommaire de la mise en œuvre de la répression à l’encontre des personnes morales, in «Revue de science criminale», avril-juin 1996, p. 289 ss. 73 Si veda sul punto la circolare del Ministero della Giustizia sopra citata e i relativi commenti di A. Maron, J.H. Robert, Cent personnes morales pénalement condamnées, in «Droit pénal», Editions du Juriste-Classeur, n. 28, Chronique, 1998, p. 4 ss. e C. Ducouloux Favard, Quatre années de sanctions pénales à l’encontre des personnes morales, in «Recueil Dalloz», n. 41, Chronique, 1998, p. 397 ss. 74 Z. Belmokhtar, La responsabilité pénale des personnes morales, in Infostat Justice, n. 82, mai 2005 rinvenibile nel sito <http://www.justice.gouv.fr/publicat/infostat.htm>. Secondo quanto risulta da questo studio peraltro non tutte le condanne sono state regolarmente iscritte nel casellario giudiziario, con la conseguenza che il numero di persone giuridiche condannate sarebbe in realtà maggiore. Il trend dei reati contestati non è mutato atteso che nella maggior parte dei casi si è trattato di illeciti in materia di lavoro clandestino, lesioni colpose e omicidio, illeciti in materia di concorrenza sleale. 75 A. Coeuret, E. Fortis, Droit pénal du travail, Lexis Nexis, Paris 20043, p. 4. 70 71 134 E. Pavanello ha pronunciato una delle pene accessorie indicate nell’art. 131-39. Quando ciò è avvenuto, ha fatto ricorso alla comunicazione e alla diffusione della decisione o alla confisca dei beni. Inoltre, le prime pronunce confermano che il cumulo di responsabilità tra persone fisiche e giuridiche previsto nel testo del codice è eminentemente facoltativo: solo in trentotto casi tra le prime cento sentenze pronunciate nei confronti delle persone giuridiche si è proceduto infatti a condannare anche le persone fisiche76. Occorre comunque rilevare come le decisioni delle corti francesi abbiano dedicato attenzione solo ad alcune delle spinose questioni interpretative sin qui illustrate. Innanzitutto, la giurisprudenza ha avallato la dottrina che aveva inteso la nozione di organo e rappresentante in senso ampio, in modo da includervi tanto gli organi di fatto, quanto il lavoratore munito di delega77. In relazione poi alla volontà colpevole che deve caratterizzare il comportamento della persona giuridica, non esiste ancora chiarezza. Le pronunce che hanno sostenuto la natura indiretta della responsabilità della persona giuridica, nella determinazione dell’elemento soggettivo della persona fisica hanno distinto a seconda del tipo di delitto. Mentre, infatti, in caso di reato punibile a solo titolo doloso si è ritenuto che l’organo o il rappresentante debbano essere coscienti di commettere il delitto78, nel caso di reati puniti anche a titolo colposo o nel caso delle contravvenzioni la tendenza è stata quella di dimostrare l’avvenuta violazione di una determinata norma giuridica, senza interrogarsi sull’elemento soggettivo che ha animato organi o rappresentanti, per trasferire poi la responsabilità in capo alla persona giuridica e senza nemmeno, come visto, individuare la persona fisica che ha commesso la condotta illecita79. I giudici, nella maggioranza dei casi, non si sono preoccupati di individuare la singola persona fisica che ha commesso l’infrazione80. La Corte di Cassazione con sentenza del 29 aprile 2003 ha tuttavia ritenuto che l’impostazione predetta non potesse essere seguita, in quanto la condanna della persona giuridica senza la previa individuazione degli organi o dei rappresentanti responsabili dell’illecito all’interno della persona giuridica, mancherebbe di necessarie basi legali81. La Corte di Cassazione pareva aver così Si confronti sul punto la Circolare Chacellerie, N. crim. 98-1-F1, pubblicata in «La semaine Juridique», iii, 20035, 1998, p. 403. 77 In questo senso come già ricordato Cassation Criminelle 9 novembre 1999 e 14 dicembre 1999. 78 Si confronti in questo senso Cassation Criminelle 2 dicembre 1997 in «Revue de science criminelle», 1998, p. 536 e Cassation Criminelle 7 luglio 1998, in «Revue de science criminelle», 1998, p. 317. 79 Cassation Criminelle 18 gennaio 2000 in «Gazette du Palais», jullet-aout 2000, p. 1774 e Cassation Criminelle, 1° dicembre 1998 in «Recueil Dalloz», n. 2, jurisprudence commentaire, 2000, p. 34 con nota di M.A. Houtmann. Nella seconda sentenza citata, in particolare, la Corte di Cassazione ha unicamente rilevato la mancanza di diligenza da parte del presidente della società e della persona da lui delegata alla sicurezza nell’adozione delle misure volte ad impedire il verificarsi dell’incidente che ha condotto alla morte di un dipendente della società. 80 Si vedano sul punto le decisioni citate da Maron, Robert, Cent personnes morales pénalement condamnées, cit., p. 5. 81 Cassation Criminelle 29 aprile 2003 in «Recueil Dalloz», n. 3, Jurisprudence commentaire, 2004, p. 76 L’ordinamento francese 135 rifiutato l’idea che sia possibile condannare una persona giuridica sulla base dell’art. 121-2 in presenza di una faute diffuse, ovvero di una violazione della legge penale che non sia strettamente riconducibile ad alcun organo o rappresentante della persona giuridica stessa. Da segnalare che di recente la Corte di legittimità ha accolto con due diverse sentenze l’impostazione secondo cui la condanna dell’ente può avvenire a prescindere dall’individuazione della persona fisica, organo o rappresentante, che ha posto in essere la condotta criminosa. È stata sancita, dunque, una sorta di presunzione in base alla quale viene dichiarata la responsabilità dell’ente sulla base di una omissione imputabile all’organo o rappresentante della società che avrebbe dovuto adottare le misure necessarie per evitare la realizzazione del reato82. Tale prospettazione è assai criticabile, poiché come rilevato dalla dottrina una cosa è che venga sancita la responsabilità dell’ente sulla base di una faute diffuse, senza alcun riferimento all’organo o al rappresentante, altro è invece che vi sia una presunzione di responsabilità poiché l’obbligo di agire per porre in essere le azioni atte a evitare l’illecito necessariamente incombeva su questi ultimi, a prescindere da qualsiasi verifica concreta83. 8. Il dibattito che ha preceduto l’adozione della norma che ha sancito una limitata responsabilità penale per le persone giuridiche di diritto pubblico. Il dibattito parlamentare che ha preceduto l’adozione della norma che consente di perseguire penalmente le persone giuridiche di diritto pubblico − seppure con le limitazioni che verranno illustrate − non è stato molto intenso. Mentre approfondito è stato il confronto circa l’opportunità di introdurre la responsabilità penale delle persone giuridiche, evocando argomenti favorevoli e contrari a detta responsabilità, poco o nulla è stato detto nel corso dei lavori parlamentari con riferimento alle persone giuridiche di diritto pubblico84. Sul versante dottrinale, invece, la questione era già stata delineata prima dell’introduzione del nuovo codice penale e, per quanto ovvio, le argomentazioni addotte a sostegno dell’irresponsabilità penale delle persone giuridiche in generale, venivano fatte valere anche per le persone giuridiche di diritto pubblico. Oggi il tema continua 167 con nota di J.C. Saint-Pau. 82 Cassation Criminelle 20 giugno 2006 in «Recueil Dalloz», n. 9, Études et commentaires, 2007, p. 617 e Cassation Criminelle 26 giugno 2007. 83 In questo senso, J.C. Saint-Pau, La présomption d’imputation d’une infraction aux organes ou représentants d’una personne morale, in «Recueil Dalloz», n. 9, Études et commentaires, 2007, p. 619 e, nello stesso senso, C. Mascala, La responsabilité pénale des persone morales, in «Recueil Dalloz», n. 23, Études et commentaires, 2008, p. 1573 ss. 84 Così J. Hermann, Le juge pénal, juge ordinaire de l’administration?, in «Recueil Dalloz», Chronique, 1998, p. 200. 136 E. Pavanello a costituire per gli studiosi oggetto di un interessante dibattito: molti si interrogano, infatti, sui fondamenti dogmatici di detta responsabilità, ritenendo che si tratti di un’assoluta contraddizione in termini prevedere che anche gli enti pubblici siano soggetti alle sanzioni penali. I più, che si dimostrano scettici sull’efficacia dell’introduzione di una simile responsabilità, temono, da un lato, che la sanzione pecuniaria inflitta finisca per punire due volte le vittime (soggetti passivi del reato ma al contempo contribuenti che dovrebbero partecipare al pagamento della sanzione pecuniaria inflitta all’ente), e, dall’altro, che l’attività amministrativa venga sostanzialmente «penalizzata», lasciando poca libertà all’amministrazione nel decidere il comportamento più opportuno da adottare. L’attività amministrativa finirebbe cioè per essere «controllata» dal giudice penale e si produrrebbe un’inammissibile violazione del principio della separazione dei poteri. Di queste argomentazioni si darà conto nel prosieguo. Peraltro, il Consiglio di Stato già nel 1989, nel corso dei lavori che hanno condotto all’adozione del nuovo codice, aveva sostenuto che le persone giuridiche di diritto pubblico, in quanto tali, sono tutte «dépositaire d’une part de la puissance publique» e «ne sauraient être placées sous le contrôle des juridictions répressives sans qu’il soit porté atteinte au principe de la séparation des pouvoirs une atteinte particulièrement grave»85. Contrario a detta opzione si era detto anche il governo, il quale aveva invocato la necessità di preservare il funzionamento delle istituzioni repubblicane da una possibile paralisi conseguente all’introduzione della responsabilità penale86. Le posizioni contrarie sostenute dalla dottrina e dall’esecutivo nonché l’asserita esistenza di un’innata puissance publique in tutti gli enti pubblici, decentrati e non, non hanno tuttavia costituito ostacolo alla previsione della responsabilità penale degli enti pubblici. Al contrario, la necessità di assicurare un eguale trattamento sanzionatorio alle persone giuridiche di diritto privato e di diritto pubblico è risultata preponderante (quanto meno su un piano teorico) ed ha indotto il legislatore ad instaurare il sistema attualmente vigente87. 9. L’irresponsabilità assoluta dello Stato, la responsabilità delle collettività territoriali limitata alle attività suscettibili di costituire oggetto di delega di servizio pubblico e la responsabilità delle altre persone giuridiche di diritto pubblico. Le persone giuridiche di diritto pubblico responsabili penalmente vanno distinte in relazione alla tipologia di responsabilità cui sono sottoposte. Parere citato nel corso del dibattito del Senato, pubblicato nel JO Sénat 11 maggio 1989, p. 624. Si vedano i riferimenti in J. Viret, La responsabilité pénale de l’administration à l’épreuve du droit pénal contemporain, in «Actualité juridique de droit administratif», novembre 1995, p. 773. 87 C. Mondou, Responsabilité pénale des collectivités territoriales, in «Actualité juridique de droit administratif», juillet-août 1993, p. 540. 85 86 L’ordinamento francese 137 Lo Stato è stato infatti espressamente escluso dai destinatari della responsabilità: esso, dunque, non potrà mai essere responsabile di alcun reato. Quanto alle altre persone giuridiche di diritto pubblico, le collettività territoriali, ovvero i Comuni, i Dipartimenti, i Territori d’oltre mare, le Regioni e i groupements de collectivités territoriales sono responsabili limitatamente alle attività suscettibili di costituire oggetto di delega di servizio pubblico. Il legislatore francese non ha indicato quali persone giuridiche debbano essere incluse nella nozione di groupements e, almeno in principio, sembrano possibili due distinte interpretazioni. Si potrebbe, infatti, guardare all’esistenza all’interno del gruppo di alcuni indizi «pubblicistici» (quali, il fatto che il consiglio di amministrazione della persona giuridica in questione sia composto in maggioranza da rappresentanti delle collettività locali o che le risorse finanziarie provengano essenzialmente dai contributi versati da queste stesse collettività) dando così un’interpretazione estensiva della nozione, oppure ritenere che sono tali solo quei gruppi qualificati in questo senso espressamente dalla legge. A seconda dell’opzione scelta varierà l’estensione dei soggetti responsabili: nel primo caso, infatti, la nozione estesa consentirà a tutti i gruppi di godere di una limitata responsabilità penale (ovvero nelle sole ipotesi in cui l’illecito viene commesso nell’ambito di un’attività suscettibile di costituire oggetto di convenzione di delega di servizio pubblico); nella seconda ipotesi, invece, l’ambito della responsabilità sarà più esteso, in quanto i gruppi pubblici non qualificati espressamente come groupements dal legislatore, saranno inclusi nella nozione generale di persona giuridica di diritto pubblico e, in relazione a ciò, risponderanno penalmente del proprio operato, indipendentemente dalla natura dell’attività dagli stessi posta in essere88. In assenza di indicazioni precise è da ritenere che debbano essere collocati all’interno dei groupements tutti i gruppi espressione di forme associative tra le diverse collettività territoriali, ovvero i cosiddetti sindacati comunali (forme di cooperazione tra i diversi Comuni), i Distretti, le Comunità Urbane e le Associazioni di Comuni. Le altre persone giuridiche di diritto pubblico sono penalmente responsabili per gli illeciti posti in essere nell’esercizio di qualsiasi attività. Rientrano, dunque, nella categoria gli stabilimenti pubblici sia di natura amministrativa che di natura commerciale e industriale, i gruppi di interesse pubblico e le imprese nazionalizzate89. Per un’illustrazione delle due opzioni interpretative si confronti Viret, La responsabilité pénale de l’administration à l’épreuve du droit pénal contemporain, cit., p. 773. 89 Sarà possibile immaginare pertanto la responsabilità di un ospedale pubblico o di una società di diritto pubblico che gestisce i trasporti, indipendentemente dal fatto che gli stessi esercitino un’attività suscettibile di essere delegata ad un terzo. Gli ospedali normalmente, sono degli stabilimenti pubblici che dipendono dalle collettività locali, mentre solo in pochi casi dipendono dallo Stato: in entrambe le ipotesi comunque essi sono sottoposti alla disposizione dell’art. 121-2 del codice penale e rispondono penalmente degli illeciti posti in essere indipendentemente dalla natura dell’attività svolta. 88 138 E. Pavanello Possono essere incluse, secondo taluni, anche le società di diritto misto e gli ordini professionali; tuttavia, sul punto non vi è accordo in dottrina90. 10. L’azione da parte del rappresentante o dell’organo, per conto della persona giuridica: aspetti peculiari connessi alla natura pubblica dei soggetti. La responsabilità penale degli enti pubblici, così come delle persone giuridiche di diritto privato, viene in rilievo quando una persona fisica, organo o rappresentante della stessa, abbia posto in essere l’attività illecita per conto della persona giuridica. Quanto alla nozione di organo, si ritiene generalmente che la sua individuazione non presenti particolari difficoltà nell’ambito delle persone giuridiche di diritto pubblico, trattandosi di quel soggetto di diritto che dispone dei poteri di agire in nome e per conto della persona giuridica e quindi evidentemente anche di impegnare la responsabilità penale della persona giuridica. Organi del Comune nell’accezione indicata sono ad esempio, il Sindaco, il Consiglio Comunale e i Consiglieri Comunali; per quanto concerne i gruppi comunali, il Presidente del comitato di cooperazione tra i Comuni o il Consiglio di una Comunità di Cooperazione tra i Comuni; quanto invece agli altri enti pubblici, sono organi le assemblee deliberanti, ma anche i Presidenti e i Direttori delle stesse. La nozione di rappresentante pare, invece, limitata unicamente agli organi esecutivi che hanno la rappresentanza della persona giuridica di diritto pubblico. Al di là delle ipotesi istituzionalmente individuate, la dottrina ha tentato di verificare se vi siano altri soggetti capaci di impegnare la responsabilità dell’ente pubblico e, segnatamente, coloro che dispongono di una delega di firma o di poteri. Con la delega di firma il delegante concede il potere di agire per conto della persona giuridica, al delegatario, che deve essere nominativamente indicato. Il delegante sarà sempre responsabile per aver conferito detto potere e risponderà dell’operato del delegatario (l’ipotesi è assimilata in questo senso a quella di un mandato)91. Con la delega di competenza, invece, il Planque, La determination, cit., p. 116-117 ritiene che le società di diritto misto potrebbero essere considerate persone giuridiche di diritto pubblico, in quanto trattasi di entità che sono strutturate al pari di persone giuridiche di diritto privato, ma sottoposte al controllo esclusivo dell’amministrazione pubblica. Si oppongono a questa ricostruzione, A. Levy, S. Bloch, J.D. Bloch, La responsabilité pénale des collectivités territoriales, de leurs élus et de leurs agents, Litec, Paris 1995, p. 12, ritenendo che sia in caso di società di diritto misto sia in caso di ordini professionali, si debba parlare di persone giuridiche di natura privata. Comunque si qualifichino dette persone giuridiche, esse saranno soggette alla regola della responsabilità penale per gli illeciti posti in essere in relazione a qualsiasi tipo di attività svolta. La distinzione rileverà unicamente sul piano sanzionatorio, in quanto non sono applicabili alle persone giuridiche di diritto pubblico le sanzioni della dissoluzione e della sottoposizione a sorveglianza giudiziaria. 91 E. Desmons, La responsabilité pénale des agents publics, Presse Universitaire de France, Paris 1998, p. 71 ss. 90 L’ordinamento francese 139 delegante si «spoglia» delle proprie attribuzioni e le trasferisce al delegatario, il quale diventa il solo competente a conoscere della materia e responsabile per conto della persona giuridica in quel settore. Sul punto si è detto che mentre con la delega di firma il delegatario sarà considerato a tutti gli effetti un rappresentante della persona giuridica, il delegatario di competenza sarà, invece, considerato un organo della persona giuridica92. Per il momento la soluzione della questione rimane sul piano dottrinale, atteso che la giurisprudenza non ha ancora avuto modo di pronunciarsi sull’effettiva capacità del soggetto titolare di delega, di firma o di competenza, di mettere in discussione la responsabilità della persona giuridica di diritto pubblico. La seconda condizione che deve sussistere affinché la responsabilità della persona giuridica venga in rilievo è che il soggetto agente abbia agito per conto della persona giuridica: analogamente a quanto avviene per le persone giuridiche di diritto privato, restano esclusi i casi in cui il rappresentante o l’organo abbia posto in essere l’illecito nel proprio esclusivo interesse o nell’interesse di una minoranza. C’è inoltre chi ha negato l’esistenza di questa condizione anche quando la persona giuridica di diritto pubblico abbia agito per il perseguimento di un interesse pubblico generale dello Stato o della collettività territoriale: laddove cioè si sia in presenza di un simile interesse, si deve concludere che la condizione dell’agire per conto della persona giuridica non venga soddisfatta93. Sottesa a tale argomento sembra essere la considerazione che il soggetto agirebbe per conto, o meglio nell’interesse, della collettività tutta e, per tale ragione, la sanzione penale non sarebbe in alcun modo idonea a soddisfare le esigenze dell’interesse pubblico. L’argomentazione è interessante in quanto evoca quanto sostenuto sia dalla dottrina sia dalla giurisprudenza olandesi. Si ricorderà, infatti, che nei Paesi Bassi esplicito era il riferimento alla possibilità per gli enti pubblici di invocare la scriminante dell’adempimento del dovere o dello stato di necessità94 poiché, in entrambe le ipotesi, si può ravvisare un interesse generale superiore che scusa in presenza dei requisiti normativi richiesti dalla legge e che autorizza a non fare ricorso alla sanzione penale. Nel caso francese, è bene ricordare, la valutazione della sussistenza di detto interesse generale è stata comunque sollecitata esclusivamente dalla dottrina, mentre non è stata, almeno per il momento, accolta sul fronte giurisprudenziale. Una breve notazione di diritto processuale a questo punto si impone. Secondo il disposto dell’art. 706-43 del codice di procedura penale, l’azione penale viene eserciB. Wertenschlag, Mise en cause de la responsabilité pénale des collectivités territoriales et délégations du droit administratif, in «La semaine juridique», i, 1994, p. 465 ss. 93 J. Jorda, La responsabilité pénale des personnes morales de droit public à la lumière de la jurisprudence, in «Gazette du Palais», i, Doctrine, janvier-février 2001, p. 194 indica che la responsabilità delle persone giuridiche deve essere esclusa quando «l’action a été accomplie […] dans la perspective du seul intérêt général, de l’Etat ou d’une collectivité territoriale». 94 Si rinvia sul punto a quanto indicato al capitolo 2, paragrafo 11.3. 92 140 E. Pavanello tata nei confronti della persona giuridica in persona del proprio rappresentante legale nel momento in cui detta azione viene posta in essere. Il Presidente del Tribunale, su istanza del pubblico ministero, del giudice d’istruzione o della parte civile può nominare un mandataire en justice quando l’azione penale viene esercitata non solo nei confronti della persona giuridica, ma anche nei confronti del rappresentante legale in qualità di persona fisica che ha posto in essere l’illecito o quando non esiste alcun soggetto abilitato a rappresentare la persona fisica. Con riferimento agli enti pubblici è stato denunciato che il meccanismo indicato dalla legge determina un’ingerenza inaccettabile da parte del potere giudiziario nell’attività dell’amministrazione e la conseguente violazione del principio della separazione delle autorità amministrative e giudiziarie95. Infatti, il Presidente del Tribunale opera la propria scelta d’ufficio, senza avere alcun obbligo di consultare i rappresentanti della persona giuridica e senza che gli sia posto alcun limite né che gli sia fornita alcuna indicazione quanto al soggetto su cui deve ricadere la scelta96. Il Presidente del Tribunale, secondo quanto indicato dal disposto legislativo, non ha nemmeno l’obbligo di sollecitare la persona giuridica prima di procedere d’ufficio alla nomina del soggetto abilitato a stare in giudizio affinché, nell’ipotesi in cui il rappresentante legale non possa rappresentare la persona giuridica, quest’ultima nomini un diverso soggetto. L’imposizione di una simile regola avrebbe consentito di evitare quantomeno l’eccessiva commistione dei poteri giudiziario e amministrativo, anche se avrebbe significato, nella pratica, emettere un ordine di ingiunzione nei confronti di una persona giuridica di diritto pubblico97. Con la conseguenza che laddove la persona giuridica di diritto pubblico non avesse ottemperato all’ingiunzione, il Presidente del Tribunale avrebbe comunque dovuto ricorrere d’imperio alla nomina del rappresentante. La nostra attenzione sarà ora dedicata all’analisi della responsabilità penale degli enti territoriali e dei relativi gruppi. La responsabilità penale delle altre persone giuridiche di diritto pubblico non ha infatti destato particolari problemi interpretativi né ha suscitato accesi dibattiti. Unica peculiarità connessa alla responsabilità penale delle altre persone giuridiche di diritto pubblico rispetto agli enti di diritto privato è il fatto che nei confronti delle stesse non sono applicabili né la sanzione della dissoluzione, né quella della sottoposizione a sorveglianza giudiziaria. Le ragioni dell’esclusione sono da rinvenire nel fatto che l’applicazione delle sanzioni predette potrebbe pregiudicare la continuità del servizio pubblico e rivelarsi dannosa per i cittadini. In questo senso, tra gli altri, Mondou, Responsabilité pénale des collectivités territoriales, cit., p. 545. J.C. Bonichot, La responsabilité pénale des personnes morales de droit public, in «Gazette du Palais», 1er semestre 1999, p. 771. 97 F. Meyer, Réflexions sur la responsabilité pénale des personnes de droit public à la lumière des premières applications jurisprudentielles, in «Revue française de droit administratif», n. 15, 1999, p. 927. 95 96 L’ordinamento francese 141 11. Le limitazioni della responsabilità penale delle collettività territoriali e relativi groupements: questioni interpretative connesse alla definizione di attività suscettibile di costituire oggetto di servizio pubblico. La possibilità di perseguire penalmente gli enti pubblici territoriali e i relativi groupements è stata limitata dal legislatore francese − con buona pace per il principio di certezza della norma penale − alle sole ipotesi in cui l’illecito venga commesso nell’esercizio di un’attività che può costituire oggetto di convenzione di delega di un servizio pubblico. Non essendo rinvenibile alcuna definizione di «delega di servizio pubblico» nel diritto penale, occorre necessariamente fare riferimento al diritto amministrativo che sovente utilizza detta espressione. Il ragionamento logico che il giudice penale dovrà effettuare è, tuttavia, contrario rispetto a quello che normalmente viene effettuato dal giudice amministrativo: mentre quest’ultimo, infatti, di fronte ad un accordo tra l’amministrazione pubblica ed un terzo dovrà chiedersi se esso possa essere qualificato come una delega di servizio pubblico, il giudice penale in presenza di un fatto illecito posto in essere da una collettività territoriale o da un suo groupement dovrà verificare se lo stesso sia stato realizzato nel quadro di un’attività suscettibile di essere delegata, anche se di fatto non lo è stata. Si tratterà pertanto di verificare se l’attività de qua disponga, in astratto, delle caratteristiche tipiche che la rendono suscettibile di delega. Al fine di risolvere la questione penalistica, risulta pertanto di primaria importanza verificare quali siano le caratteristiche di un’attività suscettibile di delega. Per fare ciò sarà necessario esaminare le indicazioni provenienti dalla dottrina e dalle poche pronunce della giurisprudenza amministrativa nonché, da ultimo, dalla legge Murcef che nel 2001 ha tentato di fissare − secondo molti studiosi senza riuscirvi appieno − i limiti della delega di servizio pubblico98. Una volta delineato il concetto di delega di servizio pubblico in diritto amministrativo, si procederà a esaminare se e in che modo detta nozione consenta effettivamente al giudice penale di stabilire quando l’attività illecita della collettività territoriale o del suo groupement divengano penalmente rilevanti. Solo allora potremo interrogarci sull’opportunità di utilizzare un simile criterio, alla luce della ratio che ha ispirato l’introduzione della stessa responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico. 11.1. La nozione di delega di servizio pubblico in diritto amministrativo. Le indicazioni provenienti dai testi legislativi in cui viene utilizzata la nozione di delega di servizio pubblico non conducono a risultati appaganti: infatti, non viene mai definita la natura e l’estensione di simile delega. Si confronti, M. Ubaud-Bergeron, Loi Murcef: la définition législative des délégations de service public, in «La semaine Juridique» Édition générale, n. 14, Etudes, 2002, p. 649 ss. per un commento alla legge Murcef. 98 142 E. Pavanello In via di semplificazione è possibile affermare che la dottrina – nonostante le posizioni diversificate dei differenti Autori – individua tendenzialmente la delega nell’insieme dei contratti o convenzioni di gestione di tutto o parte del servizio pubblico, conclusi tra una persona pubblica dotata delle competenze per farlo e un altro soggetto, fisico o giuridico, di diritto privato o pubblico99. I criteri che indicano la presenza di delega sono, pertanto, secondo l’opinione comune ai diversi studiosi, la sussistenza di un contratto (criterio della forma) che abbia ad oggetto un servizio pubblico (criterio dell’oggetto) e trasferisca effettivamente le competenze in capo al soggetto delegato (criterio della competenza). Sotto il profilo formale, atteso che la delega di servizio pubblico deve essere conferita attraverso un contratto, sono escluse dal novero delle attività delegabili quelle per le quali non è possibile fare ricorso al metodo contrattuale ovvero quando siamo di fronte a una delega statutaria o unilaterale100. Oggetto di delega è esclusivamente un servizio pubblico, la cui definizione non è chiara. Secondo le indicazioni della dottrina il servizio pubblico deve essere collegato a una missione riconducibile a un’attività pubblica e l’attività deve essere esercitata in vista della realizzazione di un interesse pubblico101. Il Consiglio di Stato ha precisato che non è necessario che la persona giuridica di diritto pubblico competente per il servizio sia dotata di prerogative e di potestà pubbliche. Così, a titolo esemplificativo, anche se si ritiene generalmente che l’azione che gli enti pubblici esercitano in quanto privati (cosiddetta gestion du domaine privé) non costituisca un servizio pubblico, poiché volta al conseguimento di fini di lucro, non è da escludere che questa gestione possa avvenire a scopi di carattere generale, come nel caso dell’amministrazione di alloggi sociali: in questa ipotesi saremmo, comunque, in presenza di servizio pubblico102. Oggetto di delega possono essere tanto i servizi commerciali e industriali, quanto quelli di natura amministrativa. Non sono invece delegabili i servizi che vengono esercitati in nome e per conto dello Stato (censimento militare, stato civile, redazione delle liste elettorali) o per i quali esista un divieto legislativo in tal senso103. Alla luce di quanto precede, è palese la necessità di distinguere attentamente all’interno dei diversi servizi per stabilire quali siano di carattere pubblico delegabile e quali, al contrario, siano di competenza esclusiva dell’amministrazione. In alcuni Jorda, La responsabilité pénale des personnes morales de droit public à la lumière de la jurisprudence, cit., p. 187. 100 Si confronti C. Huglo, Point de vue sur une notion très discutée: la délégation de service public, in «Petites Affiches», n. 58,16 maggio 1998. 101 R. Chapus, Droit administratif général, vol. i, Montchrestien, Paris 19959, p. 628 ss. 102 Auby, Bilan et limites de l’analyse juridique de la gestion déléguée du service public, cit., p. 5. 103 Come indicato dal Consiglio di Stato nella circolare del Ministero dell’Interno del 7 agosto 1987, ci sono servizi pubblici che «par leur nature ou par la volonté du législateur […] ne peuvent être assurés que par la collectivité territoriale elle-même». 99 L’ordinamento francese 143 casi la qualificazione sarà semplice: così, ad esempio, il servizio di distribuzione d’acqua potabile e di trasporto scolastico sono di natura pubblica ma delegabili (anche se una sentenza della Corte di Cassazione in materia di responsabilità penale di un ente territoriale ha chiarito che la sola esecuzione del servizio di trasporto scolastico è delegabile, mentre non lo è la sua organizzazione104). In altri casi, invece, la qualificazione sarà meno semplice in quanto nell’ambito dello stesso settore sarà possibile rinvenire servizi pubblici delegabili e altri, invece, non delegabili: in ambito urbanistico si fa l’esempio della gestione di un quartiere, attività pubblica che può essere delegata, e al rilascio di autorizzazioni e licenze, attività che, al contrario, non può essere delegata105. Già queste prime considerazioni inducono a riflettere sulle difficoltà del giudice penale nella delimitazione delle attività oggetto di convenzione di delega: l’estensione del penalmente rilevante sarà suscettibile di variare a seconda del tipo di qualifica che si attribuirà a una certa attività, senza che vengano sempre in soccorso criteri sicuri per operare simili distinzioni. Il criterio del trasferimento di competenza in capo al soggetto delegato implica che quest’ultimo sia effettivamente incaricato di gestire ed eseguire un determinato servizio pubblico per un certo periodo di tempo. Naturalmente, l’amministrazione conserverà il controllo su quell’attività, ma il delegato godrà di una certa autonomia nella gestione del servizio per il periodo di tempo predeterminato. Per tale ragione si ritiene di inquadrare questo tipo di contratti all’interno di quelli intuitus personae, in quanto gli stessi implicano la sussistenza di fiducia dell’amministrazione nel terzo, cui viene attribuita una parte delle competenze spettanti all’ente pubblico. Sin qui gli elementi su cui la dottrina è sostanzialmente in accordo per l’individuazione della delega del servizio pubblico. Più incerto è, invece, il valore da attribuire al criterio della remunerazione, in base al quale si distingue tra servizio pubblico delegabile e non, a seconda che il corrispettivo per l’attività prestata non sia pagato dall’amministrazione secondo parametri predeterminati, ma dipenda dallo sviluppo di quel servizio e sia corrisposto dall’utilizzatore finale dello stesso106. Cassation Criminelle 6 aprile 2004 pubblicata in «Actualité juridique de droit administratif», 2005, n. 8 con nota di P. Le Goff, p. 446 ss., su cui si veda infra. 105 Si cfr. P. Terneyre, La notion de convention de délégation. Eléments constitutifs et tentative de délimitation sommaire, in «L’actualité juridique. Droit administratif», 1996, p. 592-593 per un tentativo di elencazione delle attività delegabili alla luce dei criteri sopra delineati. 106 J.-B. Auby, C. Maugüé, Les contrats de délégation de service public, in «La semaine Juridique», i, Doctrine, 1994, p. 118, ritengono il criterio della remunerazione un «elemento costitutivo probabile», ancorché molto discusso in quanto implica la sostanziale esclusione dall’oggetto di delega di quei servizi nei quali non sussista un utilizzatore diretto che paghi le prestazioni ricevute – ad esempio perché il servizio è gratuito –, il che avviene nella maggioranza dei casi in cui si tratti di un servizio amministrativo). Terneyre, La notion de convention de délégation. Eléments constitutifs et tentative de délimitation sommaire, cit., p. 595, non ritiene probante l’eventuale qualificazione attribuita dalle 104 144 E. Pavanello La giurisprudenza dal canto suo ha ritenuto invece che la remunerazione sia proprio uno dei criteri cui ancorare il concetto di delega; in particolare, alcune pronunce hanno evidenziato che la remunerazione, nel caso di delega di servizio pubblico, sia essenzialmente assicurata dai risultati dell’utilizzo del servizio stesso e che potrà variare in relazione al prodotto economico del servizio107. Tra le diverse tipologie di deleghe, vengono normalmente menzionate la concession de service public, l’affermage, la régie intéressée e la gérance. I contorni della delega di servizio pubblico, così come forgiati da dottrina e giurisprudenza, sono stati in sostanza avallati dalla legge Murcef (l. 2001-1168)108 la quale, all’art. 3, ha definito delega di servizio pubblico «un contrat par le quel une personne morale de droit public confie la gestion d’un service public dont elle a la responsabilité à un délégataire public ou privé, dont la rémunération est substantiellement liée aux résultats de l’exploitation du service. Le délégataire peut être chargé de construire des ouvrages ou d’acquérir des biens nécessaires au service». Come si può agevolmente notare sono stati utilizzati sia il criterio formale del contratto, sia quello relativo all’oggetto del servizio pubblico quanto quello tanto discusso della remunerazione. Il legislatore non ha comunque posto limiti al fatto che anche il servizio pubblico amministrativo possa essere delegato, a meno che per la loro peculiare natura o per espressa volontà del legislatore vi sia un divieto in tale senso109. Tuttavia, nel caso del servizio pubblico amministrativo i criteri della «exploitation» e della «remuneration» potrebbero essere riduttivi: in alcuni casi infatti sarà difficile sostenere che la remunerazione del servizio sia strettamente legata all’utilizzo dello stesso. Ad esempio, per le attività di organizzazione dell’assetto urbanistico, consistente nell’acquisto di terreni e nella realizzazione delle opere di viabilità e organizzazione dei terreni stessi, i proventi deriveranno nella maggioranza dei casi dalla rivendita dei terreni e non dall’utilizzazione di un servizio. Eppure, non si dubita che anche in questa ipotesi vi parti all’accordo, la natura privata o pubblica del soggetto cui viene delegato il servizio, il fatto che le spese e i rischi della gestione incombano sul soggetto delegato o ancora il fatto che il terzo assicuri gli investimenti di partenza. 107 In questo senso, Préfet des Bouches du Rhône, 15 aprile 1996. 108 Come ricorda Auby, Bilan et limites de l’analyse juridique de la gestion déléguée du service public, in «Revue française de droit administratif», 1997, p. 3, la nozione di delega di servizio pubblico «expressis verbis [...]date de la loi Sapin du 26 janvier 1993». Essa è stata utilizzata anche in testi legislativi successivi quali la l. 95-127 in materia di appalti pubblici e delega di servizi pubblici, senza tuttavia che sia mai stata fornita la nozione di delega di servizio pubblico. In definitiva, per reperire detta definizione occorrerà attendere la menzionata legge Murcef la quale, come vedremo in seguito, si è limitata a cristallizzare le indicazioni giurisprudenziali sino ad allora emerse. 109 Hermann, Le juge pénal, juge ordinaire de l’administration?, cit., p. 201 riflette circa la possibilità che anche un servizio amministrativo possa essere delegato a terzi: a suo parere ciò comporterebbe un trattamento penale più sfavorevole per le persone giuridiche di diritto pubblico rispetto alle persone giuridiche di diritto privato, atteso che difficilmente queste ultime si interesseranno a questo tipo di servizio. L’ordinamento francese 145 sia un servizio pubblico delegabile a terzi. Sarebbe stato probabilmente più opportuno che il legislatore avesse consentito alla giurisprudenza di adattare il concetto di delega in queste particolari situazioni alle circostanze concrete, anziché adottare un modello predefinito e statico che ruota attorno ai due concetti dell’utilizzo di un servizio pubblico e della remunerazione, come quello adottato nella legge Murcef110. 11.2. Le indicazioni in ordine alla definizione di attività suscettibile di costituire oggetto di delega di servizio pubblico. Sin qui è stata sommariamente tratteggiata la nozione di delega di servizio pubblico alla luce delle indicazioni provenienti dalla dottrina e dalla giurisprudenza amministrative e, da ultimo, con riferimento alla nozione indicata dalla legge Murcef. La definizione «amministrativa» di delega di servizio pubblico non comprende né le ipotesi in cui l’esecuzione di un determinato servizio pubblico venga affidato ad un terzo attraverso una modalità diversa rispetto a quella contrattuale, né l’ipotesi in cui oggetto di delega non sia un servizio pubblico. Per esemplificare la situazione, quanto al primo degli aspetti cui si è fatto cenno, non sarà responsabile per gli eventuali illeciti compiuti il comitato comunale d’azione sociale, persona giuridica di diritto pubblico legata al Comune, il quale non dispone della capacità di concludere contratti. Quanto al secondo degli aspetti cennati, occorre pensare all’ipotesi dell’amministrazione che conclude con un soggetto terzo un contratto di lavori pubblici: in questo caso, non si è in presenza di una delega di servizio pubblico, atteso che oggetto del contratto non è un servizio pubblico. La conseguenza è che laddove il Comune effettui dei lavori di raccolta dei rifiuti in proprio e danneggi un palazzo esso non sarà responsabile penalmente; in analoga situazione, invece, una persona giuridica di diritto privato risponderà penalmente del proprio operato111. Non sono poi da sottovalutare le difficoltà interpretative cui la definizione «amministrativa» di delega può dare luogo: poiché non esiste un elenco di attività suscettibili di costituire oggetto di delega di servizio pubblico ed essendo, al contrario, la definizione affidata all’esegesi dei giudici amministrativi, il giudice penale dovrà avventurarsi in un terreno che non gli è proprio al fine di definire uno degli elementi essenziali per delimitare la fattispecie di cui all’art. 121-2 del codice penale. Delle due l’una: o il giudice penale «accetterà» le indicazioni che gli provengono al riguardo da altro settore del diritto oppure, affermando così l’autonomia del diritto penale, forgerà una nozione «penalistica» di delega di servizio pubblico. Ubaud-Bergeron, Loi Murcef: la définition législative des délégations de service public, cit., p. 655. L’esempio è tratto da F. Gartner, L’extension de la répression pénale aux personnes publiques, in «Revue française de droit administratif», 10, 1994, p. 135. 110 111 146 E. Pavanello Proprio in ragione di tali difficoltà, parte della dottrina ha invocato la tesi dell’autonomia del diritto penale, evidenziando che il riferimento al diritto amministrativo darebbe origine a una disuguaglianza di trattamento inacettabile tra le diverse persone giuridiche, e ha ritenuto che la responsabilità penale debba sussistere per qualsiasi attività suscettibile di essere delegata, a prescindere dallo strumento giuridico con cui ciò avviene (non solo il contratto quindi)112. Tale autonomia troverebbe fondamento sia nel principio contenuto nell’art. 111-5 codice penale secondo cui la giurisdizione penale è competente ad interpretare gli atti amministrativi, regolamentari o individuali quando dalla loro interpretazione dipende la soluzione del processo penale113, sia nella ratio della disposizione riguardo la responsabilità penale delle persone giuridiche (su cui torneremo tra breve), ovvero garantire in situazione analoghe un uguale trattamento alle diverse persone giuridiche. Cosicché, anche la nozione di servizio pubblico dovrebbe essere interpretata in modo ampio per assicurare la responsabilità penale di collettività territoriali e gruppi in ipotesi quali l’esecuzione di lavori pubblici (che, a rigore, non sono riconducibili alla nozione amministrativa di servizio pubblico)114. Altra parte della dottrina, invece, pur riconoscendo la «indipendenza» del diritto penale rispetto agli altri settori del diritto, ritiene che all’espressione utilizzata dal legislatore penale non possa essere attribuito significato diverso (ed eventualmente più ampio) rispetto a quello amministrativo. La tesi trova il proprio fondamento nel fatto che l’articolo 432-14 del codice penale, introdotto con la legge 95-127 relativa agli appalti pubblici e alla delega di servizio pubblico, incrimina coloro che, titolari di autorità pubbliche o incaricati di pubblico servizio, con la propria condotta attentino alla libertà di accesso e all’uguaglianza dei candidati negli appalti pubblici e nelle attività oggetto di delega di servizio pubblico. L’articolo citato vincolerebbe il significato penale della delega di servizio pubblico a quella amministrativa che si desume dal sistema generale delle leggi che intendono combattere il fenomeno della corruzione: è inimmaginabile, secondo i sostenitori di questa tesi, infatti, che l’autonomia del diritto penale esplichi i propri effetti anche con riferimento a nozioni già utilizzate nello stesso codice penale115. Sul fronte giurisprudenziale, i giudici di merito sono maggiormente inclini a fornire un’interpretazione ampia di attività delegabile, mentre la Corte di Cassazione In questo senso Levy, Bloch, Bloch, La responsabilité pénale des collectivités territoriales, de leurs élus et de leurs agents, cit., p. 19 113 Secondo Palazzo, Papa, Lezioni di diritto penale comparato, cit., p. 104 la norma citata garantisce che la responsabilità penale non possa mai discendere da un atto illegittimo della pubblica amministrazione, atteso che è attribuito al giudice penale il compito di sindacarne la legittimità, sempre che ovviamente da questo esame dipenda la soluzione del processo penale. 114 Gartner, L’extension de la répression pénale aux personnes publiques, cit., p. 135. 115 Planque, La détermination de la personne morale pénalement responsable, cit., p. 200. 112 L’ordinamento francese 147 tende a restringere notevolmente l’ambito di applicabilità della norma e ricondurla alla nozione «amministrativa». 12. La ratio della limitata previsione della responsabilità di collettività territoriali e groupements: la necessità di garantire il rispetto del principio di eguaglianza rispetto alle persone giuridiche di diritto privato. Per comprendere la ragion d’essere della limitazione della responsabilità penale di collettività territoriali e relativi gruppi, occorre richiamare il progetto di riforma elaborato nel 1978 il quale, a differenza di quello successivo del 1986, aveva previsto che tutte le persone giuridiche, anche quelle di diritto pubblico, fossero penalmente responsabili limitatamente alle ipotesi in cui gli illeciti si fossero verificati nell’esercizio di attività di natura commerciale, finanziaria e industriale. L’obiettivo era evitare situazioni di disparità e circoscrivere la responsabilità alle sole ipotesi in cui le persone giuridiche di diritto pubblico si trovassero ad agire al pari delle persone giuridiche di diritto privato, escludendo, quindi, tutte le attività di esclusiva prerogativa pubblica. Naturalmente, si può contestare il fatto che solo in queste ipotesi il principio di eguaglianza sia suscettibile di essere violato. Tuttavia, il legislatore del 1978 aveva ritenuto che i rischi maggiori di disuguaglianza potessero verificarsi proprio in tale settore. Analoga preoccupazione ha sorretto le scelte del legislatore nell’adottare il codice del 1994, come emerge dalla lettura della stessa circolare di commento al testo legislativo adottato e dall’esempio che molto significativamente viene citato sul punto, ovvero l’ipotesi di un Comune che svolge la funzione di distribuzione dell’acqua la cui responsabilità deve essere garantita al pari di quella della società privata che esegue identica attività116. 12.1. Critiche. Il nuovo codice penale ha inteso seguire una linea di continuità rispetto alla precedente proposta di riforma, anche se ha finito per adottare un criterio più confuso e meno appagante rispetto al precedente117. Più confuso, per le difficoltà di limitare l’azione espansiva della responsabilità delle collettività territoriali di diritto pubblico, Circulaire (Crim. 93 F/1, 14 mai 1993), sub b), paragrafo 27, riprodotta nel commento di Desportes, Responsabilité pénale des personnes morales, cit., p. 4 ss. 117 Gartner, L’extension de la répression pénale aux personnes publiques, cit., p. 135 nell’esaminare la limitazione relativa alle modalità contrattuali di delega, indica che «l’avant projet de 1978, prévoyant une responsabilité pénale des personnes morales uniquement pour leurs activités commerciales allait exactement dans le même sens, mais il été plus clair». 116 148 E. Pavanello legata alla definizione di delega di servizio pubblico. Meno appagante, in quanto finisce per comportare un’effettiva violazione del principio di eguaglianza tra i diversi soggetti giuridici118. Nella logica del legislatore, infatti, il rispetto del principio de quo è garantito attraverso il criterio della delega di servizio pubblico, in quanto la risposta penale viene assicurata, a prescindere dal fatto che la collettività territoriale o il relativo gruppo, decidano di delegare l’esecuzione del servizio pubblico ad un terzo soggetto o meno. Tuttavia, il legislatore francese non ha preso in considerazione le ipotesi, per nulla scolastiche, in cui l’amministrazione pubblica agisca nell’ambito del domaine privé: qui non si è in presenza di un servizio pubblico delegabile119 e, pertanto, non ricorre l’ipotesi delineata dall’art. 121-2 del codice penale. Semplicemente, l’ente pubblico compie attività che qualsiasi persona giuridica di diritto privato ha il potere e la competenza di porre in essere: non è irrealistico pensare che anche in tale ambito la persona giuridica di diritto pubblico possa realizzare illeciti penali120. Anzi, le attività comprese in questo settore cui scopo è, normalmente, la realizzazione del profitto, diventerà zona privilegiata di commissione di reati, atteso che la persona giuridica godrà di un’assoluta immunità. Alla luce dell’interpretazione dell’art. 121-2 del codice penale, la responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico è esclusa proprio per quelle attività di carattere commerciale, industriale e finanziario − ambito del domaine privé − che il legislatore (già) nel 1978 intendeva colpire. Non si condivide la posizione di chi ritiene di dare un’interpretazione diversa all’art. 121-2 del codice penale, pur nella consapevolezza che ciò finirebbe per determinare un contrasto con il principio di interpretazione stretta sancito all’art. 111-4: secondo tale prospettiva se un servizio pubblico può costituire oggetto di delega, a maggior ragione ciò deve avvenire per le attività che attengono alla sfera privatistica della persona giuridica, ambito estraneo alle ipotesi che il legislatore ha inteso «esonerare» dalla sanzione penale121. La posizione non sembra condivisibile perché il disposto legislativo, pur nelle difficoltà interpretative che pone con riferimento all’identificazione delle attività suscettibili di delega di servizio pubblico, sul punto non dà adito a equivoci: la norma è cristallina nell’escludere dalla sanzione penale le collettività territoriali e i relativi gruppi, salvo quando l’infrazione sia stata realizzata nel corso di attività suscettibili di delega di servizio pubblico. Probabilmente Come rilevato da J. Leveissiere, Le mouvement de «pénalisation» de l’action locale, in «Les Petites Affiches», n. 75, 15 aprile 1999, p. 16, le persone giuridiche di diritto pubblico, in apparenza, sono trattate al pari di quelle di diritto privato (in particolare, lo studioso fa riferimento all’applicabilità anche alle persone giuridiche di diritto pubblico delle norme in materia di casellario giudiziario, sospensione della pena, riabilitazione) ma la realtà è totalmente diversa. 119 La giurisprudenza amministrativa francese non pone alcun dubbio sul punto. Si vedano le indicazioni in Planque, La détermination de la personne morale pénalement responsable, cit., p. 208-209. 120 Ibidem. 121 Picard, Les personnes morales de droit public, cit., p. 281. 118 L’ordinamento francese 149 il legislatore, preoccupato di garantire un eguale trattamento alle diverse persone giuridiche nelle ipotesi di attività pubblicisticamente rilevanti ma delegabili, si è (clamorosamente) «dimenticato» di considerare il settore in esame. Né la formulazione dell’art. 121-2 raggiunge lo scopo di escludere dalla perseguibilità le persone giuridiche di diritto pubblico per gli illeciti commessi nell’esercizio di attività espressione di prerogative pubblicistiche122. Infatti, seppure in prima battuta potrebbe dedursi che le attività espressione della potestà pubblica siano escluse dall’ambito del penalmente rilevante, ad un’analisi più attenta si potrà notare come dette attività possono essere esercitate anche da persone diverse. È questa l’ipotesi che si verifica per talune persone giuridiche di diritto pubblico che non appartengono alla categoria degli enti pubblici territoriali e per alcune persone giuridiche di diritto privato che in talune circostanze − come nel caso dei poteri espropriativi di un ente nel momento in cui esercita attività nell’ambito dell’organizzazione del territorio pubblico − godono di prerogative pubblicistiche. Il sistema delineato dall’art. 121-2 del codice penale dà dunque adito a qualche perplessità perché non sembra in grado di garantire la coerenza logica e l’eguaglianza cui il legislatore francese mirava. Il fatto di aver associato il criterio oggettivo dell’attività suscettibile di delega di servizio pubblico a quello soggettivo, collettività territoriali e relativi gruppi, lascia insoddisfatti perché i due termini non si trovano in relazione biunivoca. Se da un lato, infatti, non tutte le attività di natura commerciale vengono incluse nella sfera di penalizzazione, dall’altro non tutte le attività di natura «pubblica» (intendendosi con questo termine le attività che implicano delle prerogative di diritto pubblico) vengono escluse dalla penalizzazione. È ben possibile, infatti, che altri soggetti di diritto pubblico esercitino attività suscettibili di delega e quindi siano passibili di sanzione penale laddove venga posto in essere un illecito, così come è possibile che persone giuridiche di diritto privato esercitino attività in cui si manifestano prerogative di diritto pubblico ma nonostante ciò vengano punite per l’eventuale commissione di illeciti. Per tale ragione c’è chi ha immaginato che, presto o tardi, il limite alla responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico, già oggetto di dibattito in dottrina, finirà per essere affrontato in modo problematico dallo stesso legislatore, anche alla luce dei progressi che sono stati raggiunti in materia di trasparenza amministrativa123. In questo senso Desportes, Responsabilité pénale des personnes morales, cit., p. 11 il quale tuttavia ammette che il sistema non è coerente in quanto esistono attività espressione di prerogative pubbliche che vengono esercitate anche da persone giuridiche di diritto privato. 123 Di Marino, Le développement de la responsabilité pénale des personnes morales, cit., p. 37. 122 150 E. Pavanello 13. Considerazioni in relazione al novero di delitti e crimini inizialmente previsti come oggetto di incriminazione con riferimento alle persone giuridiche di diritto pubblico. La responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico, al pari di quelle di diritto privato, è stata limitata sino al 31 dicembre 2005 alle ipotesi criminose espressamente previste dalla legge. Anche se detto principio è stato abrogato con la legge Perben ii − a partire da tale data pertanto la responsabilità è stata estesa ad ogni fattispecie criminosa – è opportuno verificare quali tra le fattispecie inizialmente elencate dalla legge e dai regolamenti siano maggiormente rilevanti con riferimento agli enti pubblici. Il legislatore francese ha inizialmente predisposto l’elenco dei crimini, dei delitti e delle contravvenzioni rilevanti con la circolare del maggio 1993 (93 F/1). Dalla lettura del testo predetto emerge come nessuna norma sia stata in particolare dedicata alle persone giuridiche di diritto pubblico, non ritenendosi evidentemente necessario predisporre un trattamento differenziato in favore degli enti pubblici sotto questo profilo. Senza pretesa di esaustività, si indicheranno qui di seguito alcune delle ipotesi maggiormente significative e, nel fare ciò, si distinguerà tra le infrazioni previste nel codice penale sulla base del bene giuridico protetto. Innanzitutto, vengono in rilievo i crimini e i delitti contro la persona che possono essere distinti tra le infrazioni che reprimono ogni attacco ai diritti e alla libertà della stessa e le infrazioni che attentano alla sua integrità. Nell’ambito della prima categoria si potrà ipotizzare una condanna della persona giuridica di diritto pubblico per il delitto di discriminazione (art. 225-1 c.p.), di cui può essere vittima ogni persona fisica o giuridica in ragione della propria origine, del proprio sesso, della propria situazione familiare, del proprio stato di salute, del proprio handicap, delle proprie abitudini, delle proprie opinioni politiche, dell’attività sindacale svolta, della propria appartenenza o meno, vera o supposta che sia, a un’etnia, una nazione, una razza o una religione determinata. La fattispecie è integrata e la discriminazione rileverà in cinque ipotesi distinte, ovvero in caso di rifiuto di fornire un bene o un servizio, ostacolo ad un’attività economica, rifiuto di assunzione o licenziamento, subordinazione di una fornitura di un bene o di un servizio ad un condizione discriminatoria o subordinazione di un’offerta di lavoro ad una condizione analoga124. Ancora, sarà possibile prevedere che una persona giuridica di diritto pubblico violi le norme relative alla tutela della vita privata (art. 226-1) o quelle relative all’utilizzo e al trattamento dei dati personali (art. 226-16). Non è poi da escludere che l’ente La fattispecie potrà riguardare ad esempio un Comune che rifiuta di concedere il beneficio di un servizio pubblico, in ragione di motivi razziali e politici. 124 L’ordinamento francese 151 pubblico sia perseguito per aver compiuto una denuncia calunniosa (art. 226-10) o per aver offerto condizioni di alloggio e di lavoro contrari alla dignità della persona (art. 225-13 e 225-14). Nell’ambito della seconda categoria, il codice penale prevede la possibilità di incriminare una persona giuridica per il reato di omicidio involontario (art. 221-6) che è definito come il fatto di causare per maladresse, imprudenza, imperizia, negligenza o violazione ad un obbligo di sicurezza o di prudenza, imposto da una legge o da un regolamento, la morte di una persona, nonché in generale i reati concernenti la messa in pericolo dell’integrità fisica della persona. Le ipotesi de quibus avranno soprattutto rilievo in tre settori, ovvero quello dei trasporti, dell’educazione e della salute125. Nell’ambito della categoria dei crimini e delitti contro i beni, potranno venire in rilievo gli attentati al sistema informatico (art. 323-1), la realizzazione fraudolenta di una situazione di insolvenza (art. 314-7) e la sottrazione di un bene mediante violenza (art. 311-16)126. Tra i delitti e dei crimini contro lo Stato e la pace pubblica, le sole ipotesi, secondo taluni, contestabili anche alla persona giuridica di diritto pubblico sarebbero la corruzione e il cosiddetto «trafic d’influence», consistente nell’abuso dei poteri che le competono al fine di ottenere un favore da parte di un’autorità pubblica o delle amministrazioni pubbliche (art. 433-1 e 433-2)127. 14. Le sanzioni penali previste per le persone giuridiche di diritto pubblico. L’inapplicabilità della sanzione della dissoluzione e della sottoposizione a sorveglianza giudiziaria. Le sanzioni applicabili alle persone giuridiche di diritto pubblico sono, alla stregua di quanto indicato nell’art. 131-37, le medesime che possono essere applicate alle persone giuridiche di diritto privato, ad eccezione della dissoluzione e della sottoposizione dell’ente pubblico a sorveglianza giudiziaria. La ratio di tale disposizione è facilmente comprensibile. Il carattere obbligatorio degli enti pubblici e il principio della continuità del servizio pubblico impedisce In questo senso Gartner, L’extension de la répression pénale aux personnes publiques, cit., p. 140 e Jorda, La responsabilité pénale des personnes morales de droit public à la lumière de la jurisprudence, cit., p. 191. 126 Gartner, L’extension de la répression pénale aux personnes publiques, cit., p. 141 si chiede se con riferimento a quest’ultima ipotesi e ad altre in teoria applicabili anche alla persona giuridica di diritto pubblico (truffa, estorsione), l’ente pubblico, depositario dell’interesse generale, possa effettivamente considerarsi in grado di compiere simili orrori. 127 Levy, Bloch, Bloch, La responsabilité pénale des collectivités territoriales, de leurs élus et de leurs agents, cit., p. 23. 125 152 E. Pavanello una loro «eliminazione» che, oltretutto, potrebbe arrecare pregiudizio alla collettività nella misura in cui questi enti perseguono obiettivi e interessi di carattere generale128. Quanto alla sottoposizione a sorveglianza giudiziaria, una sua applicazione nei confronti delle persone giuridiche di diritto pubblico sarebbe stata contraria al principio costituzionale della separazione dei poteri giudiziario e amministrativo, atteso che determinerebbe un’ingerenza da parte del giudice penale nella gestione dell’ente pubblico129. Alla luce delle indicazioni codicistiche, restano comunque applicabili nei confronti della persona giuridica di diritto pubblico le altre pene elencate all’art. 131-37. La dottrina, tuttavia, ha ritenuto che ove si esamino con attenzione le ipotesi sanzionatorie previste, ci si rende conto che difficilmente dette sanzioni sono applicabili agli enti pubblici. È questo il caso del divieto di esercitare una determinata attività professionale in via definitiva o per un periodo non superiore a cinque anni: infatti la sua applicazione potrebbe cagionare la violazione del principio della continuità del servizio pubblico. Nell’ipotesi invece in cui la persona giuridica di diritto pubblico abbia tra i propri compiti statutari unicamente l’esercizio di quell’attività, l’interdizione equivarrebbe a condannare alla sostanziale non operatività la persona giuridica e sarebbe pertanto paragonabile negli effetti alla sanzione della dissoluzione dell’ente stesso che, per le motivazioni viste sopra, è stata esclusa dallo stesso legislatore130. Del pari inadatta è stata considerata la sanzione della chiusura dello stabilimento dell’impresa in via definitiva o per un periodo non superiore a 5 anni: l’impossibilità di applicare la sanzione alle persone giuridiche di diritto pubblico discende dalla stessa interpretazione letterale della norma che parla di chiusura dello stabilimento di impresa, escludendo evidentemente gli enti pubblici territoriali e gli stabilimenti pubblici amministrativi. In ogni caso, anche per le persone giuridiche di diritto pubblico assimilabili ad un’impresa, osterà all’applicazione della disposizione il fatto che la chiusura dello stabilimento comporterà l’interruzione del servizio pubblico e contrasterà con il principio dell’inalienabilità del demanio pubblico131. Per ciò che concerne la confisca è stato rilevato che la sua esecuzione contrasterebbe con il principio di inalienabilità del demanio pubblico. In questo senso, Planque, La détermination de la personne morale pénalement responsable, cit., p. 119. In questo senso, tra gli altri J. Moreau, La responsabilité pénale des personnes morales de droit public en droit français, in «Les Petites Affiches», n. 149, décembre 1996, p. 44. Come si ricorderà analoghe limitazioni sono state previste dal legislatore francese anche per altre persone giuridiche di diritto privato. È infatti preclusa la possibilità di pronunciare la dissoluzione di partiti e gruppi politici e degli organi di rappresentanza del personale e ciò plausibilmente al fine di garantire l’esercizio delle libertà politiche e sindacali. È altresì esclusa la possibilità di sottoporre a sorveglianza giudiziaria i gruppi e i partiti politici, costituendo questa pena una forma di ingerenza molto forte nell’attività politica che il legislatore francese intendeva evitare. 130 Viret, La responsabilité pénale de l’administration à l’épreuve du droit pénal contemporain, cit., p. 775. 131 Gartner, L’extension de la répression pénale aux personnes publiques, cit., p. 149. 128 129 L’ordinamento francese 153 Inefficaci, invece, sono state giudicate le sanzioni del divieto di fare appello al pubblico risparmio (modalità di finanziamento che viene utilizzata raramente dalle persone giuridiche di diritto privato e ancor meno da quelle di diritto pubblico) in quanto la sanzione non impedisce che gli enti pubblici facciano ricorso ad altre forme di finanziamento e il divieto di emettere assegni, atteso che normalmente i mezzi di pagamento utilizzati dalle persone giuridiche di diritto pubblico sono diversi. Per quanto concerne il divieto di partecipare agli appalti pubblici, esso è stato reputato di difficile applicazione pratica, in quanto le persone giuridiche di diritto pubblico normalmente non si trovano nella posizione di soggetti che partecipano all’appalto, ma sono piuttosto coloro che commissionano l’opera. Sull’efficacia delle sanzioni dell’ammenda e della pubblicazione della sentenza, le posizioni della dottrina divergono. Con riferimento, in particolare, alla pronuncia dell’ammenda, molti studiosi stigmatizzano l’inutilità e la dannosità della sanzione stessa, in quanto essa renderebbe le persone fisiche vittime una seconda volta: il costo sociale dell’ammenda sarebbe iscritto nel budget della persona giuridica come una spesa e quindi verrebbe ripagata dai cittadini attraverso il prelievo fiscale o l’aumento del costo dei servizi pubblici (su questa argomentazione si veda infra). Quanto infine alla pubblicazione della sentenza, non c’è accordo sulla sua sostanziale utilità: c’è chi infatti la giudica come la sola sanzione «giusta e efficace»132 e chi invece la ritiene assolutamente «inefficace» 133. La presunta ineffettività della sanzione andrebbe desunta dal fatto che suo scopo è quello di portare a conoscenza di chiunque la condanna e mettere in guardia i soggetti sull’affidabilità di quella persona giuridica, in modo che la clientela possa scegliere consapevolmente a chi rivolgersi per ottenere una determinata prestazione. Nel caso della persona giuridica di diritto pubblico, tuttavia, detta scelta molto spesso non sarà possibile, atteso che essa agisce sovente in situazioni di monopolio o pseudo monopolio, in cui non è sottoposta a concorrenza134. Unica conseguenza reale dell’applicazione di una simile pena sarebbe pertanto la perdita di credibilità della persona giuridica additata come colpevole da parte dell’intera collettività. Il sistema sanzionatorio applicabile alle persone giuridiche di diritto pubblico lascia quindi perplessa la maggioranza della dottrina: si rimprovera, in particolare, al legislatore di non aver preso in considerazione le peculiarità connesse alla natura pubblica delle persone giuridiche. Viret, La responsabilité pénale de l’administration à l’épreuve du droit pénal contemporain, cit., p. 776. A. Bertrand, La responsabilité pénale du maire et de la commune, sub ii, <http://juripole.fr/memoires/ penal/Agnes_Bertrand/>. 134 Planque, La détermination de la personne morale pénalement responsable, cit., p. 125-126. 132 133 154 E. Pavanello La giurisprudenza dal canto suo ha sino ad ora pronunciato nella (quasi) totalità dei casi unicamente la sanzione dell’ammenda, senza quindi offrire possibilità di riflessione sulla natura e sull’efficacia di altre sanzioni. Questa è solo una delle argomentazioni utilizzate per contestare il fondamento e l’opportunità dell’introduzione di una forma di responsabilità penale per le persone giuridiche di diritto pubblico. Infatti, anche coloro che hanno ritenuto condivisibile la previsione di detta responsabilità sul piano teorico-dogmatico, a garanzia del rispetto del principio di eguaglianza giuridica tra i diversi enti, hanno poi ritenuto che essa si riveli poco efficace da un punto di vista pratico per la mancanza di un sistema repressivo adeguato. 15. Le posizioni critiche della dottrina sulla responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico. Nell’illustrare le posizioni espresse dalla dottrina francese sul fondamento e sull’opportunità dell’introduzione della responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico occorre constatare che gli argomenti addotti contro l’introduzione della responsabilità penale sono sicuramente preponderanti rispetto agli argomenti addotti a sostegno della nuova disposizione codicistica. La dottrina francese nell’esprimere le proprie posizioni in relazione alla nuova normativa introdotta con il codice del 1994, fa riferimento a tutte le persone giuridiche di diritto pubblico, il che sembra sottintendere la categoria nel suo insieme, comprensiva delle imprese nazionalizzate, degli ospedali pubblici etc. Tuttavia, è da ritenere che in molti casi gli studiosi intendano riferirsi esclusivamente alla categoria delle collettività territoriali e dei loro gruppi, non avendo in caso contrario molti argomenti alcun effettivo valore. Alle motivazioni tradizionalmente addotte circa l’impossibilità per una persona giuridica di essere soggetto attivo del reato, si aggiungono specifiche ragioni connesse alla natura pubblica degli enti de quibus. Soprattutto gli studiosi di diritto amministrativo si sono mostrati ostili nel commentare la nuova forma di responsabilità che, a loro avviso, mette in pericolo il principio della separazione dei poteri e conduce a una sostanziale penalizzazione dell’attività amministrativa, con la conseguente inaccettabile ingerenza da parte del giudice penale nel settore amministrativo. Ingerenza che non apporterebbe alcun effettivo vantaggio né garantirebbe una maggiore democrazia dell’ordinamento. L’ordinamento francese 155 15.1. Gli argomenti addotti contro la responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico: il perseguimento dell’interesse pubblico e la dannosità dell’applicazione della sanzione pecuniaria. Critiche. Da un punto di vista sostanziale le difficoltà connesse alla previsione di una responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico sono state individuate nel fatto che esse avrebbero come obiettivo il perseguimento di interessi di natura generale, circostanza che conferirebbe loro una sorta di «supremazia». A differenza delle persone giuridiche di diritto privato che invece agirebbero sempre e solo a fini di lucro. Le persone giuridiche di diritto pubblico, in virtù della missione loro conferita, non possono essere perseguite penalmente perché ciò finirebbe per ripercuotersi nei confronti degli stessi cittadini. Infatti, atteso che gli enti pubblici rappresenterebbero la collettività, di fatto la sanzione penale sarebbe applicata alla totalità dei cittadini135. La dottrina francese non lo dice esplicitamente ma pare doversi intuire che la sussistenza di un interesse pubblico consenta di escludere a priori che la persona giuridica di diritto pubblico commetta illeciti o quantomeno che ove gli stessi vengano posti in essere, essi siano giustificati. L’argomentazione de qua riecheggia la posizione espressa dal Consiglio di Stato136: le persone giuridiche di diritto pubblico disporrebbero tutte di prerogative di diritto pubblico e, in quanto tali, non potrebbero essere perseguite senza arrecare pregiudizio al sistema giuridico nel suo complesso. Ad una simile argomentazione si può rispondere, semplificando alquanto la questione, che il legislatore francese ha inteso sanzionare la persona giuridica di diritto pubblico (collettività territoriale e gruppo) nel momento in cui agisce al pari di una persona giuridica di diritto privato, ovvero nel conseguimento di scopi puramente lucrativi137. O quantomeno questo era l’obiettivo che si poneva con l’introduzione della limitazione delle attività suscettibili di delega di servizio pubblico, anche se non sembra che il fine possa considerarsi realizzato. Da un punto di vista sostanziale, viene inoltre contestato l’approccio del legislatore francese che avrebbe per questa via messo in pericolo la stessa autonomia del diritto amministrativo. Alla questione sarà in particolare dedicato il prossimo paragrafo. Picard, Les personnes morales de droit public, in «Révue des sociétés», 1993, p. 273. È questo uno degli argomenti che sembra possa essere riferito esclusivamente alle collettività territoriali e ai loro gruppi. 136 Conseil d’Etat, La responsabilité pénale des agents publics en cas d’infractions non intentionnelles: étude adoptée par l’Assemblée générale du Conseil d’Etat le 9 mai 1996, La documentation française, Paris 1996, p. 96 ss. 137 Contra Hermann, Le juge pénal, juge ordinaire de l’administration?, cit., p. 201 secondo cui in tutti i casi le persone giuridiche di diritto pubblico non sono sottoposte alla legge del profitto e il loro interesse risiede altrove. 135 156 E. Pavanello Molte delle obiezioni avanzate si sono concentrate comunque sull’aspetto sanzionatorio: al di là delle critiche di carattere generale circa la possibilità di colpire una persona giuridica attraverso una sanzione penale, critica questa fatta valere anche nei confronti degli enti di diritto privato, si è rilevato come l’ammenda − una delle poche sanzioni a poter essere effettivamente applicata anche alle persone giuridiche di diritto pubblico − presenti un duplice inconveniente. Da un lato, essa, finirebbe inevitabilmente per colpire cittadini innocenti; dall’altro, metterebbe in pericolo lo stesso principio di continuità del servizio pubblico. L’ammenda rappresenta infatti una spesa e i fondi per il suo pagamento possono derivare da risorse provenienti o dagli utilizzatori del servizio o dalle tasse imposte a livello locale, con la conseguenza che finirebbe per gravare sui cittadini (innocenti). Ciò comporterebbe una palese violazione del principio di personalità della pena, oltre che del principio di eguaglianza tra i cittadini: infatti, solo coloro che risiedono in quel Comune o territorio di competenza dell’ente pubblico condannato, finirebbero per pagare le conseguenze dell’illecito commesso, mentre gli altri cittadini non dovrebbero sopportare alcuna conseguenza138. Si ritiene inoltre che l’irrogazione di un’ammenda porterebbe con sé un aumento dei costi per l’ente pubblico, con conseguente diminuzione dei mezzi che potrebbero, invece, essere efficacemente utilizzati in favore di quel servizio e, in generale, in favore dei bisogni della collettività. Di qui a dire che la sanzione metterebbe in pericolo la stessa continuità del servizio pubblico il passo è breve. A chi fa rilevare che analoghe problematiche insorgono ogni qualvolta l’ente pubblico sia condannato a corrispondere una determinata somma di denaro, ad esempio sul piano civile a titolo di risarcimento del danno, si replica che esiste una differenza nei fondamenti che inducono a pronunciare una sanzione penale e civile. Nel diritto civile, infatti, l’indennità versata alla vittima è manifestazione di solidarietà e consente di ristabilire il principio di eguaglianza degli amministrati avanti al potere pubblico: così, il fatto che tutti i contribuenti partecipino al suo pagamento attraverso il prelievo fiscale, sarebbe giustificabile in quanto rientrerebbe in questa logica di solidarietà. Il diritto penale, invece, non ha come obiettivo migliorare la situazione della vittima, né contribuisce a migliorare il funzionamento del servizio pubblico e, per tale ragione, non si vede il motivo per il quale tutti i contribuenti dovrebbero sopportarne le spese139. La tesi da ultimo illustrata non sembra convincente: al di là dell’effettiva diversa incontestabile natura della sanzione civile e penale, non si vede in che modo il fatto che un cittadino sia a conoscenza del fatto che l’ipotizzato aumento delle tasse sia dovuto a ragioni di solidarietà o meno possa concretamente rilevare da un punto di vista «pratico». Si tratta di una tesi che può spiegare sul piano teorico-dogmatico la 138 139 Picard, Les personnes morales de droit public, cit., p. 274. Gartner, L’extension de la répression pénale aux personnes publiques, cit., p. 150. L’ordinamento francese 157 distanza che intercorre tra le diverse tipologie di sanzioni, ma non può certo offrire spiegazioni convincenti sul piano pratico. 15.2. L’asserita violazione del principio di separazione dei poteri: l’impossibilità per il giudice penale di vagliare la legittimità dell’azione amministrativa. Critiche. Una delle ragioni principali che sono state avanzate per sostenere l’irresponsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico è costituita dall’asserita violazione del principio della separazione dei poteri. Detto principio è stato sancito nell’ordinamento francese già nel 1790 con le leggi del 16 e del 24 agosto, secondo le quali «le funzioni giudiziarie sono distinte e rimarranno sempre separate dalle funzioni amministrative. I giudici non potranno, se non abusando della propria autorità, ostacolare le operazioni del corpo amministrativo, né citare davanti a loro gli amministratori in ragione della loro funzione». Il principio sembra escludere la possibilità per le persone giuridiche di diritto pubblico di comparire avanti a un giudice penale. Tuttavia, anche laddove si volesse accedere a tale interpretazione, il principio è sancito in un testo legislativo e, pertanto, non dispone di valore costituzionale. La sola riserva costituzionale concerne la competenza amministrativa per il contenzioso dell’annullamento e della riforma delle decisioni adottate dalle autorità amministrative relative alle attività che prevedono l’esercizio di potestà pubbliche140. Nonostante ciò, parte della dottrina ha sostenuto che la responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico costituisca violazione manifesta del principio di separazione dei poteri. E ciò a motivo del fatto che si interpreta il principio nella sua nozione più ristretta (divieto assoluto per il giudice penale di giudicare l’amministrazione) e che si ritiene la responsabilità penale un’ingerenza eccessiva nella gestione degli enti locali. Si teme, infatti, che la legge penale modifichi la libera amministrazione di detti enti141. Altri Autori hanno ritenuto, invece, che il principio della separazione dei poteri non sia violato perché, alla luce delle indicazioni provenienti dalla Corte costituzionale, esso è limitato alle sole attività che implicano esercizio di potestà pubbliche, settore a rigori escluso dalla responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico142. L’affermazione può essere contestata nella misura in cui la limitazione della responsabilità alle ipotesi di attività suscettibili di delega di servizio pubblico non è in grado effettivamente di escludere dalla sanzione penale ogni attività espressione In questo senso, Conseil Constitutionnel, decisione n. 86-224 del 23 gennaio 1987. Gartner, L’extension de la répression pénale aux personnes publiques, cit., p. 130-131. 142 J.C. Froment, Remarques sur les enjeux et la porte d’une «criminalisation» du droit administratif, in «Revue de droit public», i, 2001, p. 569. 140 141 158 E. Pavanello di prerogative pubblicistiche. Come visto in alcuni casi anche le attività suscettibili di delega costituiscono espressione di prerogative pubblicistiche. Più convincenti risultano invece altre obiezioni. L’interpretazione restrittiva che si vuole attribuire alle leggi del 1790 creerebbe una situazione di disuguaglianza tra soggetti pubblici e persone giuridiche di diritto privato. Occorre allora guardare alla vera ratio delle leggi citate che non è mai stata quella di dispensare l’amministrazione da un eventuale giudizio del giudice penale, ma evitare che quest’ultimo interferisca nella gestione della cosa pubblica, sostituendosi al giudice amministrativo attraverso l’adozione, ad esempio, di regolamenti o la nomina degli amministratori per dare loro istruzioni nel merito143. In questo senso il principio della separazione dei poteri tra autorità amministrativa e penale non verrebbe violato perché la responsabilità penale avrebbe come unico obiettivo quello di giudicare della legittimità dell’azione amministrativa e non certo di sostituirsi nel merito delle scelte effettuate. Inoltre, è stato evidenziato che analogo problema non si pone quando si tratti di perseguire un Sindaco e di ricercare la sua responsabilità penale, indipendentemente dal tipo di attività che sia stata esercitata. Se è possibile ricercare la responsabilità dell’uno senza che il principio della divisione dei poteri sia violato, non si vede cosa osti alla ricerca della responsabilità del comune in cui detto Sindaco opera144. 15.3. La violazione del principio della competenza esclusiva del giudice amministrativo a conoscere dell’azione civile di risarcimento del danno. L’introduzione della responsabilità penale della persona giuridica di diritto pubblico comporterebbe ulteriori difficoltà legate alla possibilità di chiedere il risarcimento dei danni civili da parte della vittima in sede penale. Normalmente, la vittima può esercitare l’azione civile nell’ambito del procedimento penale (con la costituzione di parte civile). Tuttavia, nel caso della responsabilità civile delle persone giuridiche di diritto pubblico, il meccanismo vigente è tale per cui solo il giudice amministrativo è competente a conoscere del risarcimento dei danni civili nelle ipotesi di cosiddetta faute de service (trattasi delle ipotesi in cui la colpa non è scindibile dall’attività di servizio e denota l’esistenza di una colpa a livello di ente collettivo nel suo insieme)145. Solo qualora l’infrazione penale commessa dal funzionario pubblico sia inquadrabile nella faute personnelle (a tal fine deve sussistere una violazione della legge colpevole a lui direttamente imputabile e non qualificabile come colpa dell’ente), il giudice Froment, Remarques sur les enjeux et la porte d’une «criminalisation» du droit administratif, cit., p. 567-568. 144 Desportes, Responsabilité pénale des personnes morales, cit., p. 11. 145 La differenziazione tra faute de service e faute personnelle è stata posta dalla sentenza Thépaz, risalente al 1935. 143 L’ordinamento francese 159 penale sarà contemporaneamente competente a conoscere dell’azione penale e dell’azione civile volta ad ottenere il risarcimento dei danni. Secondo la dottrina questo meccanismo garantisce autonomia di giudizio in ambito risarcitorio al giudice amministrativo; esso tuttavia, rischia di essere messo fortemente in discussione con l’introduzione della responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico. Non è infatti chiaro se il giudice penale sia competente o meno a conoscere anche dell’azione di risarcimento dei danni civili o se, invece, non sia competente il giudice amministrativo. In quest’ultima ipotesi occorrerà poi chiarire in che misura il giudice amministrativo potrà valutare autonomamente i fatti sulla cui base si è proceduto a condannare la persona giuridica, fatti che sono stati già attentamente valutati in sede penale146. La giurisprudenza per il momento si è divisa: mentre in alcune ipotesi è stato lo stesso giudice penale a decidere del risarcimento dei danni, in altre occasioni ha rinviato la questione al giudice amministrativo147. 15.4. Il rischio di un’eccessiva penalizzazione dell’azione amministrativa. Critiche. La dottrina (amministrativa) ha altresì contestato la nuova forma di responsabilità per una serie di motivazioni che possono essere riassunte nel rischio di un’eccessiva penalizzazione dell’attività pubblica che non produrrebbe alcun effetto positivo per i cittadini. Tali critiche portano a concludere che l’introduzione del vaglio penale in relazione alle condotte poste in essere dalle persone giuridiche di diritto pubblico non costituisce un reale progresso della democrazia, quanto piuttosto una «banalizzazione» dell’azione amministrativa che reca con sé effetti oltremodo indesiderati. E ciò in quanto le persone giuridiche di diritto pubblico legittimamente, in relazione alla loro natura e alla tipologia di attività esercitate, si trovano in una posizione di privilegio. Con l’espressione «penalizzazione dell’attività pubblica» si fa riferimento al fenomeno per cui la domanda sociale, amplificata dai moderni mezzi di circolazione delle informazioni, spinge sempre più verso la richiesta (e l’esecuzione) di una pena tangibile che condanni inequivocabilmente il soggetto, fisico o giuridico, che ha commesso un’infrazione. Nessuno sembra più in grado di tollerare incidenti di Meyer, Réflexions sur la responsabilité pénale des personnes de droit public à la lumière des premières applications jurisprudentielles, cit., p. 929 e Jorda, La responsabilité pénale des personnes morales de droit public à la lumière de la jurisprudence, cit., p. 202-203. A parere di quest’ultimo, è necessario riconoscere al giudice penale la legittimazione a conoscere dell’azione civile e del risarcimento dei danni. 147 La Corte d’Appello di Grenoble nella sentenza del 12 giugno 1998 ha rinviato al giudice amministrativo la questione della determinazione dei danni risarcibili dichiarandosi incompetente a conoscerne. 146 160 E. Pavanello qualsiasi natura o entità o di classificarli come fatalità, cosicché ogniqualvolta si verificano eventi disastrosi si va alla ricerca dei singoli colpevoli. In questa prospettiva, l’impossibilità di far riferimento al singolo soggetto fisico induce a ricorrere anche alla responsabilità penale delle persone giuridiche. Nell’ordinamento giuridico francese la penalizzazione dell’attività pubblica si è manifestata non solo attraverso l’introduzione della responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico, ma anche mediante una crescente responsabilità penale dei rappresentanti politici (numerose sono le fattispecie penali che prevedono la responsabilità delle persone fisiche in virtù della posizione di «garanzia» che le stesse rivestono) e un progressivo aumento delle fattispecie suscettibili di essere poste in essere dai titolari di poteri pubblici148. Il diritto amministrativo vede quindi progressivamente ridurre il proprio margine d’azione a profitto del diritto penale: il dato è criticabile in quanto esiste(rebbe) un’ontologica differenziazione tra persone giuridiche di diritto privato ed enti pubblici. In questa prospettiva, solo il diritto amministrativo e il sistema di responsabilità da esso delineato sarebbero in grado di assicurare il rispetto della diversità che caratterizza le due tipologie di enti. La responsabilità amministrativa è, infatti, sorta per evitare l’impunità assoluta degli enti pubblici e superare così la distinzione civilistica tra atti posti in essere da parte dell’amministrazione in qualità di privato, per i quali la stessa era responsabile, e in qualità di autorità pubblica, per i quali al contrario detta responsabilità non operava (actes de gestions et acte de puissance publique)149. Essa ha come obiettivo garantire il risarcimento del danno in favore di coloro che sono vittime del comportamento illecito dell’amministrazione e il ristabilimento della solidarietà sociale: i cittadini, attraverso detto meccanismo, sono quindi eguali di fronte all’amministrazione e hanno diritto a ricevere eguale trattamento. Proprio la natura e il fine di questa responsabilità inducono a percepire il regime sanzionatorio esclusivamente amministrativo o civilistico cui sono sottoposte le amministrazioni pubbliche come privilegio ed eccezione. Da ciò consegue la richiesta di intervento del diritto penale, affinché si lasci spazio ad una totale eguaglianza tra le diverse persone giuridiche. Tuttavia − ancorché la richiesta di un’effettiva eguaglianza sia comprensibile − la dottrina ritiene che un simile intervento non costituisca un avanzamento dei sistemi giuridici, quanto piuttosto un attentato alla democrazia, poiché ogni condanna dell’ente pubblico porterebbe con sé la perdita di fiducia da parte dei cittadini nell’istituzione pubblica (come si ricorderà questo è un argomento caro anche alla dottrina olandese150). Non sarebbe, infatti, possibile rispondere alla crescente domanda di In questo senso Leveissiere, Le mouvement de «pénalisation» de l’action locale, cit., p. 18. Froment, Remarques sur les enjeux et la porte d’une «criminalisation» du droit administratif, cit., p. 589-591. 150 Si confronti sul punto, infra 2, 7.3. 148 149 L’ordinamento francese 161 «giustizia» attraverso una generalizzata penalizzazione dell’attività degli enti pubblici, i quali sono per loro natura differenti dagli enti privati. La condanna penale inoltre non sarebbe in grado di produrre alcun effetto diretto in favore della vittima − né di rieducazione o di riabilitazione della persona giuridica − se non attraverso il contemporaneo esercizio dell’azione civile. L’argomentazione non sembra probante a parere di chi scrive, innanzitutto perché non è chiaro su quali basi sia possibile affermare la sussistenza di detta supremazia e in secondo luogo perché non è stata dimostrata l’inutilità di un’eventuale condanna inflitta. Oltre a ciò, l’argomentazione della eguaglianza giuridica e della necessità di trattamento identico a fronte di identiche condotte dovrebbe prevalere anche in considerazione del fatto che la violazione impunita di una norma penale desterà nei consociati maggior sfiducia di quella che può generare la punizione di un comportamento illecito anche se posto in essere da una amministrazione pubblica. La prospettiva che contesta l’introduzione della responsabilità penale ritiene inoltre che ogni condanna porterebbe necessariamente uno sconvolgimento politico e avrebbe effetti a breve o a lungo termine tali da far venir meno la legittimazione dell’attività dello stesso ente pubblico. In realtà, si ritiene che l’argomento per quanto evocativo non costituisca un reale ostacolo alla previsione della responsabilità: i cittadini debitamente informati di quanto accaduto, effettueranno le proprie valutazioni che esprimeranno attraverso il voto politico. 15.5. Gli argomenti addotti a favore della responsabilità penale. La necessità di garantire il principio di eguaglianza. La dottrina francese che ha sostenuto l’introduzione della responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico ha contestato le argomentazioni sopra illustrate e ha addotto la necessità di difendere il principio di eguale trattamento tra persone giuridiche di diritto pubblico e privato. Alla base di queste riflessioni sta il rilievo che la capacità a delinquere non è prerogativa esclusiva delle persone giuridiche di diritto privato. Già nel 1982, ovvero ben prima dell’introduzione del nuovo codice penale, una parte minoritaria della dottrina si era interrogata sul fondamento della scelta di non perseguire penalmente le amministrazioni pubbliche evocando, a tal proposito, l’esistenza di una grave lacuna nella democrazia francese. Già allora si era tentato di individuare possibilità e limiti di un’eventuale responsabilità penale nei confronti degli enti di diritto pubblico, sostenendo che una simile previsione fosse imprescindibile al fine di garantire un effettivo stato di diritto. Caratteristica principale dello stesso è infatti proprio quella di sottoporre a dei limiti il potere pubblico che non può essere esercitato in modo arbitrario. Uno degli argomenti addotti a sostegno della 162 E. Pavanello responsabilità degli enti pubblici era stata la difesa del principio di uguaglianza tra i diversi soggetti giuridici151. Detto argomento è stato evocato successivamente anche da altra dottrina che ha condiviso l’introduzione della responsabilità penale per le persone giuridiche di diritto pubblico152, ritenendo necessario garantire un eguale trattamento tra i diversi soggetti perché sarebbe contraddittorio assicurare aree di impunità a fronte di medesime condotte materiali. Critiche e riserve sono state, invece, espresse in relazione al fatto che il legislatore francese abbia deciso di sottoporre a responsabilità le collettività territoriali e i rispettivi gruppi solo qualora questi esercitino attività che siano suscettibili di delega di servizio pubblico, lasciando così esente da responsabilità il settore del domaine privé. La dottrina non ha invece criticato la legittimità della scelta di escludere la responsabilità per le attività che siano espressione di prerogative pubblicistiche: è stata, infatti, contestata la bontà del criterio dell’attività suscettibile di costituire oggetto di delega, ma non il fatto che determinate attività vadano esenti da controllo penale. Tuttavia, vi è chi si è interrogato sul fondamento e sull’opportunità di garantire questa sorta di «immunità» agli enti pubblici territoriali quando esercitano attività espressione di prerogative pubblicistiche: il sistema sarebbe, infatti, incoerente rispetto alla posizione delle persone fisiche che agiscono all’interno dello stesso ente. Mentre la persona fisica che ha commesso un illecito viene sempre punita anche qualora abbia agito nell’esercizio di prerogative pubblicistiche (anzi, la pena è normalmente aggravata in relazione alla peculiare posizione rivestita dalla persona fisica stessa), la persona giuridica andrebbe completamente esente da pena153. Quanto al fatto che la sanzione eventualmente inflitta ricadrebbe su cittadini innocenti, è stato rilevato che tutti gli utilizzatori di un servizio pubblico ne traggono beneficio e, pertanto, non è insensato che tutti contribuiscano al pregiudizio patito dall’ente. Infine, con riferimento alla sanzione pecuniaria si è osservato che è necessario distinguere a seconda del tipo di ente cui la sanzione è inflitta. Una cosa è condannare infatti uno stabilimento pubblico o una società nazionalizzata, altro è condannare un Comune: se nel secondo caso si possono porre problemi in ordine all’efficacia B. Ferrier, Une grave lacune de notre démocratie: l’irresponsabilité pénale des personnes administratives, in «Revue de science criminelle», 1983, p. 395 ss. 152 In questo senso Jorda, La responsabilité pénale des personnes morales de droit public à la lumière de la jurisprudence, cit., p. 205. 153 In questo senso F. Le Gunehec, Les collectivités locales et le nouveau code pénal, in «Les Petites Affiches», n. 110, settembre 1995, p. 21 ss. 151 L’ordinamento francese 163 della sanzione che finirebbe per ricadere sui cittadini, nelle prime ipotesi ciò non avviene154. 15.6. La necessità di far fronte alla crescente penalizzazione dell’attività dei rappresentanti politici locali. La connessione esistente tra responsabilità individuale dei politici e collettiva dell’ente pubblico cui appartengono. A parere di chi scrive nello studio della responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico nell’ordinamento francese non ci si può esimere dall’analizzare la relazione che molti studiosi hanno individuato tra la nuova forma di responsabilità degli enti pubblici e la crescente penalizzazione dell’attività dei rappresentanti politici locali. Come rilevato da taluno155, l’interesse dei rappresentanti politici locali si è rivelato cruciale nell’approvazione dell’art. 121-2, atteso che i due termini di responsabilità − collettiva e individuale − si troverebbero in una relazione inversamente proporzionale: l’ampliamento dell’una dovrebbe consentire la riduzione dell’altra. Per comprendere l’assunto occorre innanzitutto chiarire che con «crescente penalizzazione dell’attività dei rappresentanti politici locali» si fa riferimento al progressivo incremento delle ipotesi in cui vengono perseguiti penalmente i soggetti fisici che svolgono funzioni istituzionali all’interno dell’ente pubblico (sindaci, consiglieri comunali etc.). In ragione della posizione di garanzia dagli stessi rivestita, essi vengono ritenuti responsabili dei fatti illeciti realizzati nell’ambito di attività istituzionalmente di loro competenza anche laddove il fatto lesivo sia (solo) indirettamente legato alla loro condotta attiva od omissiva: la risposta sanzionatoria scatta in modo pressoché automatico, senza un previo accertamento né dell’esistenza di una volontà colpevole (molto spesso si tratta di infrazioni involontarie, a carattere omissivo imputate a titolo di imprudenza o negligenza) né della conoscenza della norma che si assume essere stata violata (ciò è dovuto al numero sempre crescente di norme che impongono obblighi di prudenza e diligenza in capo ai soggetti fisici). Il pericolo denunciato, soprattutto negli enti pubblici di piccole dimensioni, è individuare nei rappresentanti politici i capri espiatori per un’attività illecita di cui molto spesso essi non sono i veri responsabili. Il fenomeno acquisisce particolare rilievo in relazione ai reati omissivi: così, ogni qualvolta viene constatata un’omissione in relazione a un obbligo di prudenza previsto dalla legge, la responsabilità del rappresentante politico che riveste una determinata posizione istituzionale è automatica. A Jorda, La responsabilité pénale des personnes morales de droit public à la lumière de la jurisprudence, cit., p. 206. 155 P. Raimbault, La discrète généralisation de la responsabilité pénale des personnes morales, in «Actualité juridique de droit administratif», dicembre 2004, p. 2427. 154 164 E. Pavanello dimostrazione di ciò peraltro, sempre più spesso la giurisprudenza paragona il Sindaco a un dirigente di una società privata e lo ritiene responsabile, in virtù della propria posizione, di ogni violazione alla legge penale che si verifica all’interno del comune156. Tre sarebbero i rischi cui un simile sistema può dare origine: lo scoraggiamento dei rappresentanti politici dal presentarsi alle elezioni, il rischio di una professionalizzazione eccessiva della funzione pubblica e la minaccia della paralisi dell’attività pubblica a livello locale (ad esempio, per evitare di essere accusato di lesioni colpose, un Sindaco potrebbe rifiutare di organizzare manifestazioni sportive a livello locale). Da qualche anno in Francia si discute dell’opportunità e dell’effettività di un simile sistema, cercando di individuare soluzioni che, da un lato, consentano ai rappresentanti politici di poter esercitare la propria attività senza essere paralizzati dal pericolo costante della sottoposizione a giudizio penale e, dall’altro, non diano nuovo impulso a sistemi di sostanziale immunità, altrettanto pericolosi e inaccettabili. Diverse sono state le iniziative legislative rivolte in questa direzione e i gruppi di studio incaricati di analizzare il tema. Nel 1995, ad esempio, il gruppo di studio Fauchon157 ha prodotto un rapporto in cui ha sottolineato l’ampiezza del fenomeno di criminalizzazione della vita dei soggetti politici e ha suggerito la modifica della norma relativa ai delitti non intenzionali. A seguito della presentazione di tale rapporto è stata così adottata la l. 96-393 con la quale è stato modificato l’articolo 121-3 del codice penale158. Il primo comma dell’articolo citato sancisce il principio secondo cui «il n’y a point de crime ou délit sans intention de le commettre, toutefois, lorsque la loi le prévoit, il y a délit en cas de mis en ranger d’autrui», mentre il secondo comma introduce il criterio dell’apprezzamento in concreto degli elementi dell’imprudenza e della negligenza. La norma, che inizialmente doveva essere diretta esclusivamente ai rappresentanti politici, ha poi assunto carattere generale: il legislatore ha inteso così evitare la creazione di un privilegio che consentisse ai soli rappresentanti politici di fuggire la responsabilità penale. Il dispositivo si inserisce comunque nel contesto di riduzione dell’area di penalizzazioAd opinione di Bertrand, La responsabilité pénale du maire et de la commune, sub i, <http://juripole. fr/memoires/penal/Agnes_Bertrand/partie1.html>, cit., però la posizione del Sindaco va distinta da quella dell’imprenditore al vertice di una società per più di una ragione. Innanzitutto, il Sindaco non controlla il proprio ambito di intervento: egli è investito di determinati poteri e funzioni direttamente dalla legge o dai regolamenti. Egli, inoltre, non ha seguito alcuna formazione specifica ed esercita spesso oltre all’attività politica, anche la propria attività professionale. Il Sindaco poi non gode di una remunerazione e di un’assicurazione sociale comparabili a quelle di un professionista (questo vale evidentemente per i comuni di piccole e medie dimensioni) né gode di alcuna garanzia di stabilità o beneficia di alcuna indennità di fine rapporto. 157 Il gruppo di studio (detto Fauchon dal nome del senatore che ha presentato il documento finale) ha elaborato un rapporto rinvenibile in Rapports du Sénat 1994-1995; per un breve riassunto dello stesso si veda D. Dutrieux, Démocratie locale et responsabilité, in «Les Petites Affiches», n. 41, aprile 1996, p. 28. 158 Per un commento al nuovo articolo si veda Y. Mayaud, De l’article 121-3 du code pénal à la théorie de la culpabilité en matière criminell et délictuelle, in «Recueil Dalloz», Chronique, 1997, p. 37 ss. 156 L’ordinamento francese 165 ne dell’attività dei rappresentanti pubblici: infatti è chiaro che l’imposizione di una valutazione in concreto dell’elemento soggettivo garantisce una apprezzamento caso per caso e dovrebbe evitare di attribuire un illecito alla persona fisica unicamente in considerazione della posizione istituzionale che la stessa riveste. Oltre a ciò, anche l’introduzione della responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico è stata considerata un mezzo per sottrarre i rappresentanti politici al peso della responsabilità penale personale. La ratio della norma è, infatti, secondo questa prospettiva, quella di fare in modo che le persone fisiche non vengano colpite qualora siano responsabili le persone giuridiche. Il ragionamento non è tuttavia condivisibile per diverse ragioni. Innanzitutto, perché a tenore dell’art. 121-2 del codice penale è necessario accertare la responsabilità della persona fisica per procedere poi ad individuare la responsabilità della persona giuridica. È pur vero che il principio è attenuato, secondo quanto indicato dallo stesso legislatore nella relazione accompagnatoria, in caso di infrazioni di omissione, caratterizzate da negligenza, contraddistinte cioè dall’assenza di una vera e propria intenzione delittuosa. Inoltre, in questo senso si è orientata anche la legge 2000-647 che esclude in talune ipotesi la responsabilità penale delle persone fisiche, pur ritenendo sussistente quella delle persone giuridiche. Tuttavia, è altresì vero che la norma non può assicurare un’automatica assenza di responsabilità del funzionario pubblico: ciò infatti sarebbe in contrasto con un altro dei principi che hanno sorretto la riforma, ovvero evitare che la responsabilità delle persone giuridiche costituisca uno schermo dietro il quale le persone fisiche possono proteggersi per non essere considerate responsabili. Questa dunque la seconda ragione per la quale la norma dell’art. 121-2 non può escludere automaticamente la concorrente responsabilità della persona fisica, soggetto politico. Inoltre, non va sottovalutato il pericolo di una fuga dal diritto penale da parte della persona fisica che potrebbe abusare dello «schermo» persona giuridica per porre in essere gli illeciti penali che ritenga più opportuni per realizzare i propri interessi. Il rischio è quindi quello di creare un rimedio peggiore del male, limitando la responsabilità alle sole persone giuridiche e garantendo una sostanziale immunità alle persone fisiche. 16. Istituzione di una Commissione ad hoc per lo studio delle cause e dei rimedi da adottare per limitare il fenomeno della crescente penalizzazione dell’attività dei politici locali e dei funzionari pubblici. Nel 1999, su iniziativa del Governo, è stato istituito un ulteriore gruppo di studio (Groupe d’étude sur la responsabilité des décideurs publics) con l’obiettivo di «rechercher des remèdes au malaise de nombreux décideurs publics, élus ou fonctionnaires, face à ce 166 E. Pavanello qu’ils ressentent comme une pénalisation croissante et injuste de leur responsabilité»159. Il rapporto è particolarmente interessante ai fini della presente ricerca perché analizza anche le norme che consentono di perseguire le persone giuridiche di diritto pubblico, ponendo in stretto collegamento il problema dell’eccessiva penalizzazione dell’attività dei rappresentanti politici a quello della limitata penalizzazione dell’attività degli enti pubblici. Il rapporto Massot analizza, innanzitutto, le possibili cause dell’eccessiva «pressione» che il sistema penale esercita sui rappresentanti politici e sui funzionari pubblici e le individua principalmente nella ricerca sistematica di un colpevole da parte delle vittime, nel costante aumento delle ipotesi in cui viene in rilievo la responsabilità penale di detti soggetti e nel sistema di responsabilità amministrativa che ha instillato il senso della progressiva deresponsabilizzazione dei funzionari, a profitto di un’area più ampia di responsabilità dell’amministrazione. 16.1. Analisi critica da parte della Commissione degli argomenti addotti a sostegno dell’irresponsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico. Affermazione dell’inesistenza di ragioni di carattere sostanziale che impongano di escludere tale forma di responsabilità. Tra i rimedi possibili per far fronte alla crescente responsabilizzazione dell’amministrazione, il gruppo di studio ha indicato la possibile estensione della responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico, anche se ha precisato che occorrerebbe valutare le conseguenze di una simile estensione prima di adottare una posizione definitiva sul punto160. Il gruppo esclude, innanzitutto, che possa essere accolta la richiesta avanzata dai rappresentanti politici interpellati secondo cui in ipotesi definite (in particolare trattasi dei delitti di pura omissione e delle infrazioni non intenzionali) dovrebbe essere ricercata unicamente la responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico e non quella delle persone fisiche. Ovviamente, per fare ciò sarebbe necessario prevedere un’apposita modifica del codice penale, atteso che, ai sensi del disposto dell’art. 121-2, la responsabilità penale delle persone fisiche non è esclusa ma conL’incarico al gruppo di studio è stato conferito l’8 giugno 1999 a un gruppo di esperti, magistrati e deputati. Il rapporto è conosciuto con il nome di Rapport Massot, dal nome del suo presidente Jean Massot, Presidente di sezione del Consiglio di Stato. J. Massot, La responsabilité pénale des decideurs publics Rapports officiels, Paris 2000. Per una breve disamina del rapporto si veda O. Dufour, Responsabilité pénale des decideurs publics: un rapport serein pour un sujet brûlant, in «Les Petites Affiches», 2000, p. 3 ss. 160 Gli altri mezzi individuati sono: la riduzione del campo dei delitti non intenzionali, la limitazione nella creazione di nuove fattispecie penali, il fatto di ricondurre le infrazioni meno gravi al codice del commercio qualificandole come contravvenzioni, la limitazione dei ricorsi abusivi al giudice penale. 159 L’ordinamento francese 167 corre con quella delle persone giuridiche. Il gruppo di studio ritiene che accogliere una simile richiesta significherebbe violare il principio di eguaglianza tra i cittadini avanti alla giustizia e verrebbe percepito dalla collettività come una sorta di amnistia accordata dal Parlamento a persone che molto spesso rivestono anche la carica di parlamentare (una sorta quindi di auto-immunità). La seconda opzione presa in considerazione è allora quella dell’estensione dell’ambito di responsabilità delle persone giuridiche e il contestuale mantenimento di una responsabilità concorrente delle persone fisiche che potrebbe, al limite, essere «secondaria» rispetto alla responsabilità delle persone giuridiche, le quali sarebbero le prime responsabili del fatto illecito. Tale ipotesi offre lo spunto al gruppo di studio per verificare se gli argomenti tradizionalmente addotti contro la responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico ostino a una siffatta estensione. Il gruppo di studio si sofferma, in primis, sull’analisi dell’asserita inefficacia delle sanzioni penali ove applicate alle persone giuridiche di diritto pubblico. Gli studiosi ammettono che molte delle sanzioni previste dal codice penale sono inadatte alle persone giuridiche di diritto pubblico; tuttavia, essi ritengono che le sanzioni dell’ammenda e della pubblicazione o diffusione della decisione di condanna possano rivestire un ruolo importante. Il fatto di far conoscere la decisione alla collettività può rivelarsi particolarmente importante sotto il profilo dissuasivo-preventivo: il gruppo rileva, infatti, che non è piacevole per il rappresentante politico dover effettuare una contro-pubblicità a difesa del buon funzionamento dell’ente pubblico presso cui egli opera. Per quanto concerne l’ammenda, non si nasconde che da più parti sia stato sollevato il problema della sua dannosità: essa, infatti, incidendo negativamente sul budget della persona giuridica finirebbe per arrecare pregiudizio ai cittadini, già vittime del reato. Il gruppo di studio si limita sul punto a rilevare che analogo problema si verifica ogni qualvolta l’amministrazione viene condannata al pagamento del risarcimento del danno civile, anche se in quel caso non viene posta nessuna obiezione al pagamento della sanzione. Quanto al rischio di un’ulteriore estensione della penalizzazione dell’attività amministrativa − con un maggiore «slancio» delle vittime nel ricorso al giudice penale anziché a quello amministrativo − il gruppo di studio si dichiara sprovvisto degli strumenti necessari per compiere un’approfondita analisi a riguardo e si limita a indicare che questi rischi non sono né certi né comprovati, per ora, dalla pratica giudiziaria. Per quanto concerne la violazione del principio della separazione dei poteri amministrativo e giudiziario, gli esperti, con una motivazione che a dire il vero lascia perplessi, ritengono che un’eccezione a tale principio sia già stata introdotta con il codice del 1994 che ha statuito una limitata forma di responsabilità per le persone giuridiche di diritto pubblico. Anziché cioè sostenere che detta responsabilità non 168 E. Pavanello costituisce attentato ai principi dell’ordinamento, gli studiosi si limitano a dichiarare che essendo già stata introdotta un’eccezione al principio, un’eventuale estensione della responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico non potrebbe arrecare ulteriore pregiudizio. Alla luce delle considerazioni sin qui illustrate il gruppo ritiene di aver dimostrato che non vi sono argomentazioni di carattere sostanziale che ostacolano l’estensione della responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico e, pertanto, individua le proposte a suo avviso più idonee per contrastare l’eccessiva penalizzazione dell’attività dei décideurs publics. 16.2. Proposte di estensione della responsabilità penale allo Stato e alle collettività territoriali anche nell’ipotesi di attività di servizio pubblico non delegabile. Il gruppo di studio suggerisce innanzitutto, in alcune ipotesi di faute non intentionnelle, di prevedere la responsabilità penale delle persone giuridiche anche laddove non vi sia un’attività suscettibile di costituire oggetto di delega di servizio pubblico. L’ambito in cui detta estensione dovrebbe operare sarebbe limitato, comunque, alle sole ipotesi di violazione non deliberata di una norma che impone un obbligo di prudenza o sicurezza così come definito agli articoli 221-6 (che prevede la fattispecie di omicidio involontario) e 222-19 (che punisce colui che cagiona ad altri un’incapacità lavorativa per un periodo superiore a tre mesi) del codice penale. In secondo luogo, il gruppo ritiene opportuno distinguere nel caso di violazione delle norme relative alla sicurezza o che impongono un obbligo di prudenza, a seconda che la violazione sia avvenuta in modo volontario (délibéré) o meno. Nel primo caso poiché vi è una volontà cosciente di infrangere la norma, sarebbe necessario coinvolgere anche la responsabilità della persona fisica. Ove invece vi fosse un’omissione non volontaria, allora solo la responsabilità della persone giuridica dovrebbe venire in rilievo. Il gruppo propone quindi di modificare l’art. 121-2 del codice penale, introducendo una norma del tipo: «les personnes morales de droit public sont, sauf s’ils ont été commis de façon délibérée, responsables des manquements à une obligation de sécurité ou de prudence imposée par la loi ou le règlement commis par leurs organes et représentants ayant causé la mort d’autrui ou une incapacité totale de travail pendant plus de trois mois». L’ultimo accorgimento che il gruppo di studio indica è l’introduzione della responsabilità penale dello Stato. Gli argomenti che sono normalmente addotti per avversare l’introduzione di questa responsabilità (come si vedrà infra, la sovranità dello Stato, il suo monopolio nell’esercizio dell’azione pubblica) devono piegarsi di fronte alle esigenze di eguaglianza tra soggetti statali e delle altre collettività territoriali. Consapevole delle implicazioni che l’introduzione di una simile responsabilità L’ordinamento francese 169 potrebbe comportare, il gruppo propone di sperimentarla per un periodo di tempo con la riserva di verificarne poi i risultati sul piano pratico. Il rapporto sin qui illustrato evidenzia le tensioni esistenti nel sistema giuridico francese: da un lato, la volontà di estendere la responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico, anche se non si intende generalizzarla in modo assoluto; dall’altro, la consapevolezza che detta estensione non può giovare ai rappresentanti politici come schermo dietro il quale celare la propria responsabilità. In ogni caso, delle indicazioni fornite dal gruppo Massot il legislatore non sembra aver fatto tesoro. Quest’ultimo si è infatti limitato ad introdurre con la legge 2000647 un differente regime per la responsabilità delle persone fisiche e giuridiche a seconda del nesso di causalità esistente tra la condotta del soggetto e il danno. Solo in caso di nesso di causalità diretto sarà possibile procedere anche nei confronti delle persone fisiche, in caso contrario l’azione penale si dovrà limitare esclusivamente alla persona giuridica. Nulla tuttavia la legge ha disposto con riferimento alle persone giuridiche di diritto pubblico: non è escluso naturalmente che negli anni a venire il legislatore francese decida di seguire le indicazioni del gruppo Massot ma è probabile che prima di procedere ad ulteriori modifiche del testo legislativo, valuterà i risultati che detta responsabilità è in grado di assicurare. 17. Le decisioni della giurisprudenza in tema di responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico diverse dallo Stato. Le decisioni adottate in tema di responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico sono state per lo più dedicate a determinare quando un’attività sia suscettibile di costituire oggetto di delega di servizio pubblico o meno: trattasi evidentemente di una questione spinosa che il giudice penale si trova a dover affrontare nel momento in cui deve decidere della responsabilità dell’ente pubblico. 17.1. Tentativi di definizione dell’attività suscettibile di delega di servizio pubblico: la non delegabilità dell’attività scolastica. Uno dei primi casi assurti agli onori della cronaca giudiziaria in materia di responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico ha fortemente scosso l’opinione pubblica ed ha coinvolto la responsabilità di un Comune, nella fattispecie quello di Grenoble. Il caso – che è giunto sino al vaglio della Corte di Cassazione oltre a presentare interessanti spunti di riflessione in ordine alla nozione di attività 170 E. Pavanello suscettibile di delega di servizio pubblico, affronta la problematica della responsabilità concorrente della persona giuridica e della persona fisica. I tragici eventi che hanno dato origine alla vicenda giudiziaria possono essere così riassunti: ventidue alunni di una scuola pubblica di Grenoble sono stati sorpresi dalla brusca risalita della marea causata dall’apertura delle dighe di sbarramento del fiume Drac, mentre stavano effettuando un’escursione lungo il corso d’acqua per osservarne l’habitat naturale. Gli alunni, accompagnati dalla loro insegnante e da una persona dipendente del Comune, incaricata di gestire il centro comunale che organizzava questo tipo di escursioni, sono stati trasportati dalla corrente: sei bambini sono deceduti, insieme alla loro insegnante, mentre gli altri sono riusciti a salvarsi insieme all’accompagnatrice. Il Tribunale di Grenoble, in primo grado161, ha deciso di procedere per omicidio involontario nei confronti dell’accompagnatrice, dipendente del Comune, nonché nei confronti del Comune, del Sindaco e di un Consigliere Comunale. Per quanto qui interessa ci si limiterà ad analizzare la posizione del Comune. La difesa di quest’ultimo ha contestato, per l’un verso, la possibilità di delegare l’attività effettuata al di fuori dell’orario scolastico e, per l’altro, la mancanza di responsabilità da parte degli organi del Comune. Il Tribunale, con riferimento alla possibilità di delegare a terzi l’attività di organizzazione e gestione delle escursioni lungo il corso d’acqua, ha rilevato che si tratta di attività che si situa alla «periferia» dell’attività dell’insegnamento pubblico, in quanto tale delegabile, che esclude qualsiasi responsabilità pedagogica degli insegnanti. In secondo luogo, il Tribunale ha posto in luce che l’attività in questione presenta le caratteristiche di autonomia e durata che la rendono suscettibile di costituire oggetto di servizio autonomo e quindi delegabile. Quanto infine al criterio della remunerazione che, ad avviso del Comune, ostacolava la qualifica dell’attività come delegabile162, i giudici hanno sostenuto che la stessa è caratteristica del contratto di delega e non del servizio, con la conseguenza che essa non è rivelatrice della natura dell’attività. In tal modo l’organo giudicante si è discostato dalle indicazioni provenienti dalla giurisprudenza amministrativa e dai criteri successivamente indicati nella stessa legge Murcef (all’epoca non era in vigore163) circa il rilievo da attribuire alla remunerazione, quale indicatore della sussistenza di delega. Sotto il profilo della responsabilità degli organi e dei rappresentanti del Comune, l’ente pubblico si era difeso poi sostenendo che nessuna imprudenza poteva essere rimproverata al Sindaco o al Consigliere delegato i quali, ai sensi dell’art. 121-2 del tgi Grenoble, 15 settembre 1997 in «Droit Pénal», comm. n. 5, 1998, con nota di M. Veron, p. 10-11. Il Comune aveva sostenuto, infatti, che, non essendo il servizio finanziato tramite il contributo dei suoi utilizzatori ma attraverso dei fondi comunali, non poteva essere delegato. 163 Per un commento alla nozione di delega di servizio pubblico come forgiata dalla legge Murcef, si rinvia al paragrafo 9.1. 161 162 L’ordinamento francese 171 codice penale, sono gli organi che avrebbero potuto originare la responsabilità della persona giuridica. Il Tribunale contesta questa posizione ritenendo che se la gestione del centro delle attività era affidato a un’animatrice dipendente del Comune che non rivestiva la qualifica di organo o rappresentante dello stesso, al Sindaco competeva comunque il compito di verificare che dette attività non comportassero alcun rischio per la salute o la sicurezza dei bambini. Nel caso di specie ciò non sarebbe avvenuto e il Comune è stato condannato per omicidio involontario al pagamento di un’ammenda di 100.000 franchi (circa 15.000 euro). Il Tribunale ha pronunciato invece un’ordinanza di non luogo a procedere nei confronti del Sindaco e del Consigliere delegato, in quanto ha ritenuto che non fosse stato dimostrato l’elemento soggettivo del reato. Il Tribunale ha confermato così il principio che il comportamento illecito di una persona fisica che riveste la qualifica di organo dell’ente può rilevare ai fini della responsabilità della persona giuridica ma non per questo comporta l’automatica condanna della persona fisica. La sentenza è stata successivamente confermata in grado d’appello con riferimento alla responsabilità del Comune e l’ammenda aumentata all’importo di 76.000 euro164. Il Comune nel proprio ricorso aveva sostenuto, infatti, che l’attività di accompagnamento degli alunni non fosse suscettibile di costituire oggetto di delega in quanto si trattava di una funzione che comportava l’esercizio di poteri pubblicistici, legata alla missione dell’insegnamento che compete allo Stato. La Corte d’Appello, tuttavia, ha contestato questo ragionamento e confermato che si tratta di attività suscettibile di delega in quanto, sulla base di una circolare ministeriale, è possibile conferire le attività di animazione a terzi soggetti. La Corte ha ribadito altresì che le ordinanze di non luogo a procedere pronunciate nei confronti del Sindaco e del Consigliere delegato non impediscono che venga contestualmente accertata la responsabilità del Comune, a condizione che sia stabilita una faute a carico degli organi o rappresentanti del Comune stesso. Successivamente, la Corte di Cassazione ha mutato la posizione sostenuta dalle Corti di merito ritenendo che l’attività di animazione partecipi direttamente dell’attività dell’insegnamento pubblico e, in quanto tale, non sia suscettibile di costituire oggetto di delega. Conseguenza diretta di tale qualificazione è la dichiarazione dell’impossibilità di procedere nei confronti del Comune di Grenoble165. Ad analoghe conclusioni è giunta, sempre con riferimento all’insegnamento pubblico, una sentenza della Corte di Cassazione dell’11 dicembre 2000 secondo cui le Cour d’Appel Grenoble, 12 giugno 1998 in «Gazette du Palais», 1998, p. 460 ss. con nota di Petit e in «Recueil Dalloz», 1999, p. 151-152 con nota di R. De Boubée. 165 Cassation Criminelle, 12 dicembre 2000 in «Droit Pénal», 2001, p. 13 ss. con nota di Véron, il quale condivide la decisione ritenendo che sia difficile ammettere che l’animazione organizzata nell’ambito dell’attività di insegnamento pubblico sia assimilabile ad un’attività di carattere commerciale o industriale, ambito escluso dal campo di applicazione della norma penale. Analogamente Petit, nota 164 172 E. Pavanello attività connesse all’insegnamento non sono delegabili166. In questo caso un alunno era stato ferito mentre utilizzava una macchina fresatrice nell’ambito di un laboratorio organizzato in un liceo tecnico riportando un’incapacità per un periodo inferiore a tre mesi. La regione Franche-Comté era stata perseguita per lesioni involontarie atteso che detto ente pubblico, proprietario della macchina, non aveva predisposto l’apposito dispositivo di protezione così come previsto dalla normativa sulla sicurezza sul lavoro. I giudici di merito hanno ritenuto che il criterio per distinguere tra attività delegabili o meno è quello relativo all’esistenza di prerogative pubbliche e, nel caso di specie, non sussistendo tali prerogative l’attività fosse pienamente delegabile. La Corte di Cassazione invece ha ritenuto che l’attività non fosse delegabile in quanto partecipa dell’insegnamento pubblico. La posizione della Corte desta perplessità in considerazione del fatto che viene esclusa dalla delega un’attività connessa all’insegnamento in senso assai lato e consistente nel rispetto di leggi e regolamenti sulla sicurezza sul lavoro. In un caso è stata poi valutata la delegabilità (in senso penalistico) del trasporto scolastico di alunni che, nel caso di specie, era stato conferito da parte del dipartimento dell’Orna ad una società privata attraverso una convenzione ad hoc. Il trasporto degli alunni avveniva sulla base di fermate prestabilite ed una di queste, in particolare, risultava particolarmente pericolosa in quanto si trovava all’incrocio di diverse strade, era sprovvista di opportuna segnalazione e non vi era lo spazio necessario alle per fermarsi al fine di far scendere o salire i bambini. La decisione di mantenere questa fermata era stata adottata, su richiesta espressa dei genitori, dal Presidente del Consiglio generale del Dipartimento. Purtroppo, come prevedibile, proprio in questo punto di sosta dell’autobus si era verificato un incidente a seguito del quale diverse persone avevano perso la vita. La vicenda processuale che ne è seguita dimostra come la giurisprudenza di merito tenda a dare una definizione abbastanza ristretta di attività delegabile. Il Tribunale di primo grado ha deciso, infatti, di non procedere nei confronti delle persone fisiche che operavano all’interno del Dipartimento pubblico per il reato di omicidio colposo, mancando la faute deliberée necessaria per imputare un reato colposo alle persone fisiche a seguito dell’introduzione della legge del 2000. Solo il dipartimento dell’Orna, persona giuridica, è stato perseguito. Tanto il Tribunale quanto la Corte d’Apa Cour d’Appel Grenoble, 12 giugno 1998, in «Gazette du Palais», 1998, p. 471, che ritiene difficile paragonare un’attività educativa (per quanto periferica rispetto all’attività dell’insegnamento, n.d.s.) che si colloca all’interno di un obbligo nazionale e di una funzione di potestà pubblica ad un’attività economica tout court. Amar, Contribution à l’analyse économique de la responsabilité pénale des personnes morales, cit., p. 6 si mostra critico rispetto all’utilizzo di un criterio formale che non guarda alla natura dell’attività in oggetto, ovvero se la stessa possa essere qualificata come qualitativamente diversa rispetto ad un’attività privata, il quale denuncia il rischio di trattare diversamente persone giuridiche in relazione a condotte del tutto analoghe. 166 Cassation Criminelle, 11 dicembre 2000, in «Droit Pénal», 2002, p. 13 ss. L’ordinamento francese 173 pello hanno ritenuto che l’attività di trasporto scolastico fosse suscettibile di delega e che esistesse un nesso di causalità tra la decisione di mantenere la fermata collocata in un luogo pericoloso e l’incidente stradale. I giudici di merito hanno così condannato il Dipartimento al pagamento dell’ammenda di 5.000 euro per omicidio colposo. La Corte di Cassazione167 − accogliendo così il ricorso presentato dall’ente pubblico − ha invece cassato e annullato la sentenza predetta, ritenendo mancante uno dei presupposti in base ai quali operava la responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico, ovvero l’attività suscettibile di delega. I giudici hanno, infatti, ritenuto che solo l’attività di servizio dei trasporti pubblici fosse delegabile, mentre non lo fosse la sua organizzazione: atteso che la determinazione del percorso e delle fermate che l’autobus doveva effettuare rientrava nel concetto di organizzazione del servizio, essa non era delegabile e il dipartimento non poteva essere perseguito penalmente. Da questa breve disamina si deduce che la scissione all’interno della medesima attività pubblica tra ciò che è delegabile e ciò che non lo è, rischia di ridurre oltremodo il campo di applicazione della responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico. 17.2. La delegabilità dell’attività di messa a norma dell’impianto elettrico di un impianto comunale. La Corte di Cassazione ha ritenuto, invece, delegabile l’attività di messa a norma dell’impianto elettrico di un teatro comunale. La Corte ha confermato, infatti, la condanna nei confronti di un Comune che aveva incaricato, nell’ambito di un appalto pubblico, una società privata di eseguire i predetti lavori. Secondo quanto stabilito dalle norme in materia di lavoro il Comune, in qualità di impresa appaltatrice, avrebbe dovuto predisporre un piano di prevenzione, di concerto con la società privata, al fine di adottare le misure necessarie ad evitare il verificarsi di incidenti. Invece, il piano citato non era stato adottato e nel corso dell’esecuzione dei lavori de quibus un dipendente della società privata era caduto da un’altezza di dieci metri e aveva perso la vita. Il Comune e la società sono stati perseguiti per omicidio involontario e per violazione delle norme che impongono di adottare il piano di prevenzione predetto. Limitandoci all’analisi della posizione dell’ente pubblico, si rileva che non è stata accolta la tesi prospettata dal Comune secondo cui l’attività de qua non era delegabile per il fatto che tra l’ente territoriale e la società privata era stato concluso un appalto pubblico e non un contratto, così come sembrerebbe presupporre la norma dell’art. Cassation Criminelle 6 aprile 2004 pubblicata in «Actualité juridique de droit administratif», n. 8 2005, con nota di P. Le Goff, p. 446 ss. 167 174 E. Pavanello 121-2 c.p. La Cassazione ha ritenuto, infatti, che detta circostanza non avesse alcun rilievo in quanto il ragionamento che deve effettuare il giudice al fine di valutare la delegabilità o meno dell’attività è di tipo eminentemente astratto e deve prescindere dalle circostanze del caso concreto. La soluzione offerta dalla Corte è corretta poiché la lettera dell’art. 121-2 c.p. prevede che la responsabilità delle collettività territoriali sussista laddove esse esercitino attività suscettibili di costituire oggetto di delega. Proprio il termine «suscettibile» sta ad indicare la potenzialità ma non la necessità che l’attività venga delegata mediante contratto e quindi indica una «qualità» dell’attività, a prescindere dagli accordi concretamente posti in essere. Quanto ai criteri per definire l’attività come delegabile, i giudici fanno riferimento alle indicazioni sulla remunerazione provenienti dalla legge Murcef. Nel caso di specie, atteso che si tratta di servizio la cui remunerazione è strettamente legata all’utilizzo del servizio offerto, ovvero il teatro, l’attività è stata considerata delegabile e, per tali ragioni, il Comune è stato condannato al pagamento di un’ammenda di poco più di 7.000 euro168. 17.3. La configurabilità della responsabilità a carico delle Ferrovie francesi, società di diritto pubblico. Per quanto concerne le «altre» persone giuridiche di diritto pubblico, si segnala una decisione con la quale la Corte di Cassazione ha cassato e annullato la sentenza della Corte d’Appello di Nîmes che aveva condannato la SNCF − società pubblica che gestisce il traffico ferroviario e che dispone dello status di stabilimento pubblico commerciale e industriale − per omicidio involontario169. Nel caso di specie un bambino di 11 anni dopo essere sceso dal treno e aver attraversato i binari nell’apposito passaggio pedonale non sorvegliato, era stato travolto da un treno a grande velocità che sopraggiungeva nell’altro binario. L’impatto aveva provocato la morte del bambino. Il Tribunale di primo grado e la Corte d’Appello di Nîmes avevano condannato la sncf per omicidio involontario dopo aver rilevato che, nonostante gli ingegneri e i responsabili locali, avessero classificato quel passaggio come pericoloso e avessero indicato la necessità di adottare opportune misure di prevenzione, le Ferrovie non avevano posto in essere alcuna misura atta a salvaguardare i viaggiatori dai pericoli che potevano derivare dall’attraversamento del passaggio pedonale sui binari (ad esempio mediante la presenza di un agente delle ferrovie incaricato ad hoc). Sono state considerate attività delegabili anche la gestione di un macello comunale (Cassation Criminelle 23 maggio 2000) e di un impianto di sci (Cassation Criminal 14 marzo 2000). 169 Cassation Criminelle 18 gennaio 2000 in «Recueil Dalloz», jurisprudence, commentaire, 2000, con nota di J.C. Saint-Pau, p. 636 ss. 168 L’ordinamento francese 175 Con la decisione indicata il giudice di legittimità non ha contestato le circostanze di fatto che hanno dato origine all’incidente, né che vi fossero state effettive omissioni da parte della società pubblica. La Corte ha rilevato, piuttosto, che i giudici di merito non si fossero preoccupati di valutare se l’inadempimento agli obblighi di sicurezza e diligenza fossero imputabili o meno a soggetti organi o rappresentanti dell’ente. Essendo questa una condicio sine qua non della responsabilità della persona giuridica (pubblica o privata che sia), la Cassazione ha ritenuto opportuno che la questione venga attentamente vagliata dalla Corte d’Appello cui ha rinviato. 18. Rilievi critici (cenni e rinvio). Il sistema di responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico, diverse dallo Stato, ha dato origine a un certo dibattito in Francia. La formulazione dell’art. 121-2 del codice penale comporta alcune difficoltà interpretative, quali l’esatta definizione di organo e rappresentante, nonché l’individuazione dell’elemento soggettivo che deve caratterizzare la condotta della persona giuridica. Le critiche sono state vieppiù severe in relazione all’introduzione della responsabilità penale per le persone giuridiche di diritto pubblico. Le argomentazioni fatte valere sia dai fautori che dagli oppositori dell’introduzione di una simile responsabilità sono state analoghe – pur nelle peculiarità dei diversi ordinamenti giuridici – a quelle avanzate nei Paesi Bassi170. Anche in Francia, infatti, coloro (espressione di un orientamento minoritario) che hanno condiviso l’introduzione di detta responsabilità, hanno indicato che ciò sia necessario per assicurare un eguale trattamento a persone giuridiche di diritto pubblico e privato. Proprio in questa prospettiva è stato criticato il discrimine per stabilire quando un ente pubblico territoriale sia responsabile, ovvero la delegabilità dell’attività. Da un lato, sussiste infatti un’indubbia difficoltà per il giudice penale di far ricorso a concetti propri del diritto amministrativo che gli sono estranei; dall’altro, la mancanza di precedenti giurisprudenziali certi cui ancorare la definizione, rende oltremodo incerta la configurabilità della responsabilità. Le prime decisioni giurisprudenziali testimoniano proprio questa difficoltà: mentre le giurisdizioni di merito sembrano più orientate nel punire le persone giuridiche di diritto pubblico, la giurisdizione di legittimità sembra invece accogliere (almeno per il momento) un concetto più ristretto di attività suscettibile di delega. La conseguenza tangibile di un simile sistema è che, ad esempio, il settore dell’educazione è stato escluso integralmente dall’ambito di applicazione della responsabilità penale. 170 Si rinvia, al riguardo, al capitolo 2. 176 E. Pavanello Oltre alle difficoltà interpretative menzionate, il criterio dell’attività delegabile ad una più approfondita analisi non consente di garantire il rispetto del principio di eguaglianza, in quanto viene escluso dall’ambito di responsabilità delle persone giuridiche di diritto pubblico il c.d. domain privé e, di converso, vi sono attività che presentano le caratteristiche della delegabilità che vengono esercitate anche da persone giuridiche di diritto privato. In considerazione di ciò, alcuni Autori hanno ritenuto che sarebbe stato più opportuno distinguere non tanto a seconda del soggetto attivo del reato (contrapposizione persona giuridica di diritto privato-persona giuridica di diritto pubblico), quanto semplicemente in relazione alla tipologia di attività esercitata (espressione di prerogative pubblicistiche o meno). Sulla necessità di assicurare alle attività espressione di prerogative pubblicistiche un’assoluta immunità si ritornerà in seguito: per comprendere se un simile criterio abbia ragion d’essere, occorre infatti definire in primis la nozione di dette attività e interrogarsi poi sulla necessità di assicurare una totale immunità in questo settore. Non si può nascondere, infine, che le riflessioni dottrinali francesi si caratterizzano per una maggiore ostilità nei confronti della nuova forma di responsabilità rispetto alla dottrina olandese. La tesi secondo cui una simile responsabilità sarebbe in grado di far fronte alla crescente responsabilità dei politici eletti a livello locale non sembra probante. Se, infatti, si può condividere l’esigenza di ridurre l’eccessiva personalizzazione della responsabilità dei politici, non si può tuttavia sostenere che l’istituzione della responsabilità degli enti collettivi in cui prestano l’attività sia il rimedio corretto. In ogni caso, le riserve avanzate alla configurabilità di una responsabilità penale degli enti pubblici, oltre a contestare la bontà del criterio scelto, si basano sul timore che venga sovvertito lo Stato di diritto, attraverso una banalizzazione dell’azione amministrativa. Il piano sanzionatorio è, poi, la questione che più di ogni altra desta preoccupazioni: si ritiene, infatti, che anche laddove in ipotesi fosse possibile sostenere la responsabilità penale, resterebbero comunque numerosi ostacoli in ordine alla effettiva efficacia delle sanzioni imposte. La più contestata resta l’ammenda, unica sanzione che, a quanto ci consta, è sino ad ora stata applicata, in quanto si ritiene che essa oltre a costituire un inutile passaggio di denaro tra i diversi enti di diritto pubblico, finisce per danneggiare tutti i cittadini. 19. L’irresponsabilità penale dello Stato. La disposizione dell’art. 121-2 esclude espressamente dall’ambito di applicabilità della responsabilità penale lo Stato: non possono quindi sussistere dubbi interpretativi L’ordinamento francese 177 in ordine al fatto che l’entità statale (comprensiva dei differenti Ministeri ed entità che dipendono direttamente dallo Stato) non risponde penalmente del proprio operato illecito. Il legislatore ha giustificato questa scelta per il fatto che sarebbe stato inconcepibile prevedere una responsabilità penale dello Stato per «actes relevants par nature de sa puissance souveraine». Il presupposto è che ogni qualvolta lo Stato pone in essere un’attività (ed eventualmente pone in essere una condotta illecita) esercita un potere di natura pubblica. La dottrina francese, dal canto suo, ha enucleato diversi argomenti volti a giustificare la decisione del legislatore; pochi studiosi hanno sostenuto la necessità di introdurre la responsabilità penale dello Stato171 (seppure nei limiti che si illustreranno in seguito), considerando la scelta operata nel 1994 «scioccante» perché dà origine ad una forma di disuguaglianza di trattamento rispetto alle altre persone giuridiche di diritto pubblico (nonché ovviamente quelle di diritto privato)172. De jure condendo, il rapporto Massot ha fatto cenno alla necessità di estendere la responsabilità penale anche allo Stato; tuttavia, almeno per il momento, il legislatore francese non ha provveduto ad introdurre alcuna modifica sul punto. Di seguito si illustreranno le argomentazioni che sono state addotte contro la responsabilità penale dello Stato, per poi procedere all’esame delle motivazioni che invece dovrebbero indurre, secondo parte della dottrina, ad un ampliamento della responsabilità anche nei suoi confronti. 20. Gli argomenti addotti dalla dottrina contro la perseguibilità dello Stato. La titolarità della potestà penale. La sottoposizione dello Stato al diritto penale avrebbe, in questa prospettiva, effetti pratici «ridicoli». Lo Stato, infatti, che pone il precetto penale attraverso l’intermediazione del legislatore, commetterebbe l’infrazione pel tramite dei propri organi o rappresentanti, verrebbe perseguito dalle sue stesse procure, giudicato dai suoi stessi Tribunali e pagherebbe l’ammenda, cui eventualmente fosse condannato, a se stesso173. L’impossibilità logico-giuridica di perseguire lo Stato si baserebbe sul fatto che lo stesso soggetto, unico detentore del potere punitivo, giudicherebbe e nel contempo sarebbe imputato nel procedimento penale. L’argomentazione, che riecheggia l’opiDesportes, Le Gunehec, Droit pénal général, cit., p. 552 non si spingono a tanto ma ritengono che in ogni caso l’esclusione dello Stato finisca per configurare una situazione di diseguaglianza rispetto all’operato dei diversi funzionari pubblici, a seconda che essi dipendano dall’ente statale o locale. 172 C. Mondou, Responsabilité pénale des collectivités territoriales, cit., p. 539. 173 Gartner, L’extension de la répression pénale aux personnes publiques, cit., p. 129. 171 178 E. Pavanello nione espressa dalla dottrina olandese, è quella che più di sovente viene invocata dagli studiosi francesi per giustificare la decisione del legislatore174. Il fatto che i funzionari pubblici vengano puniti per la condotta illecita posta in essere nell’esercizio delle loro funzioni, mentre lo Stato resti impunito per la medesima condotta, non sarebbe fonte di alcuna incoerenza sistematica: l’azione del funzionario, infatti, ancorché commessa nell’esercizio delle sue funzioni pubbliche, arrecherebbe pregiudizio allo Stato ed è per questa ragione che viene punita175. Tuttavia, qualche perplessità sorge per il fatto che resta difficile spiegare per quale ragione un Comune che non segue le norme di igiene in una mensa viene punito, mentre un Ministero alle dipendenze dello Stato che gestisce altresì una mensa va assolto per la medesima condotta. L’opportunità di garantire l’irresponsabilità dello Stato è stata sostenuta anche dal Consiglio di Stato, il quale ha messo in luce un ulteriore aspetto problematico cui darebbe origine un sistema diverso: la sanzione penale si caratterizza, infatti, per il suo carattere vincolante e, normalmente, spetta allo Stato il compito di dare esecuzione a detta pena. Ove si immaginasse un sistema sanzionatorio anche per lo Stato, quest’ultimo dovrebbe «obbligare» se stesso nell’esecuzione della pena176. 20.1. Il contrasto tra responsabilità penale e il principio della sovranità dello Stato. Critiche. La dottrina francese ha sostenuto che la titolarità della sovranità determinerebbe l’impossibilità di perseguire lo Stato. Infatti, la responsabilità penale minerebbe la sua credibilità e sarebbe in contrasto con l’idea dello Stato sovrano. L’argomento è stato criticato in quanto la sovranità dello Stato ammetterebbe già numerose limitazioni sia sul piano interno che internazionale. Paradigmatico l’istituto della responsabilità civile dello Stato che oggi non viene più posta in discussione177. Tant’è che vi è chi si è provocatoriamente interrogato se sussistano ancora attività che possono considerarsi del tutto sovrane: la stessa attività legislativa, atto eminentemente sovrano è sottoposta al vaglio di legittimità costituzionale. La conseguenza è che un organo dello Stato dichiara illegittimo un atto proveniente dallo Stato stesso: anche Pradel, La responsabilité, cit., 84; Stefani, Levasseur, Bouloc, Droit pénal général, cit., p. 271; Viret, La responsabilité pénale de l’administration à l’épreuve du droit pénal contemporain, cit., p. 774; Le Gunehec, Les collectivités locales et le nouveau code pénal, cit., p. 22. 175 Rassat, Droit pénal général, cit., p. 495. 176 Conseil d’Etat, La responsabilité pénale des agents publics en cas d’infractions non intentionnelles : étude adoptée par l’Assemblée générale du Conseil d’Etat le 9 mai 1996, La documentation française, Paris, 1996, p. 98-99. 177 Moureau, La responsabilité pénale des personnes morales de droit public en droit français, cit., p. 44 ; Le Gunehec, Les collectivités locales et le nouveau code pénal, cit., p. 22 e Raimbault, La discrète généralisation de la responsabilité pénale des personnes morales, cit., p. 2429. 174 L’ordinamento francese 179 in questo caso assisteremmo ad una forma di auto-punizione, alla quale, tuttavia, nessuno si oppone. È indubbio però che la declaratoria di illegittimità costituzionale di una norma e la condanna penale per la commissione di un atto illecito, per quanto possano essere considerate entrambe forme di auto-punizione dello Stato, rispondono a logiche e obiettivi del tutto diversi. Nel caso della declaratoria di illegittimità costituzionale lo Stato procederebbe ad auto-sanzionarsi per garantire i diritti dei soggetti; il diritto penale avrebbe, invece, come unico obiettivo soddisfare la domanda di giustizia delle vittime del reato e, per tale motivo, non venendo in rilievo i diritti della collettività, non giustificherebbe un intervento punitivo nei confronti dello Stato178. L’autore inoltre rileva che anche le collettività territoriali decentrate possono disporre di parte del monopolio di punire (pensiamo al Sindaco che può adottare un’ordinanza che, ove violata, costituisce il presupposto per perseguire penalmente il soggetto), eppure il legislatore le ha comunque sottoposte a sanzione penale. L’argomento della sovranità andrebbe escluso come valido fondamento dell’irresponsabilità penale dello Stato, anche in considerazione del fatto che non tutte le attività dallo stesso esercitate possono essere ricondotte all’idea di sovranità (pensiamo, ad esempio, all’ipotesi in cui lo Stato agisce al pari di altri enti di diritto privato o collettività territoriali in ambito economico). La scelta di non punire lo Stato, per taluni corretta, dovrebbe trovare un fondamento diverso. Vi è chi ha invocato, a tal proposito, il concetto di puissance publique: l’ente pubblico nel momento in cui esercita poteri pubblici non può essere sottoposto all’intervento penale179. Inutile dire però che ove questa fosse stata la ratio della riforma, il legislatore avrebbe dovuto distinguere la tipologia di attività posta in essere dallo Stato, analogamente a quanto ha fatto, seppure adottando un criterio insoddisfacente, per le collettività territoriali. Atteso che ciò non si è verificato si deve ritenere che questo non sia stato il filo conduttore della riforma. Critico Planque, La détermination de la personne morale pénalement responsable, op. cit., p. 97, secondo cui atteso che uno degli obiettivi del diritto penale è, tra l’altro, quello special-preventivo di evitare che l’autore del reato commetta nuovamente un illecito, l’auto-sanzione dello Stato garantirebbe i diritti dei cittadini e, anche in questa prospettiva, sarebbe giustificata. 179 Picard, Les personnes morales de droit public, cit., p. 275 ss. e, nello stesso senso, Jorda, La responsabilité pénale des personnes morales de droit public à la lumière de la jurisprudence, cit., p. 187. Secondo le indicazioni provenienti dal diritto amministrativo, la pubblica amministrazione per esercitare la propria attività può utilizzare sia i mezzi che le sono offerti dal diritto privato, sia i mezzi propri del diritto pubblico di cui la stessa gode in virtù della propria qualità di puissance publique. Nella seconda categoria possono essere annoverate le prerogative che esorbitano dal diritto comune o prerogative del potere pubblico, tra cui vanno ricordate le prerogative d’azione (potere di adottare le decisioni necessarie in vista del conseguimento di un interesse generale) e le prerogative di protezione (ad esempio, la sottomissione di una determinata attività al regime di monopolio per sottrarlo alla concorrenza). Chapus, Droit administratif général, cit., p. 419 ss. 178 180 E. Pavanello Strettamente legato all’idea della sovranità vi è poi il fatto che lo Stato non può essere sottoposto a sanzione penale in quanto persegue interessi di carattere generale (collettivi o individuali che siano)180. Anche in Francia è forte, quindi, l’idea che l’ente statale sia preposto alla tutela di interessi superiori ed abbia scopi di carattere generale da giustificare ogni eventuale violazione della legge penale. In questa prospettiva, il riconoscimento della responsabilità penale dello Stato costituirebbe addirittura una forma di arretramento del diritto penale: infatti, se il sistema di repressione pubblica ha potuto sostituirsi alle forme di vendetta privata, è perché, si è sostenuto, alla base c’è l’idea che lo Stato che rappresenta la società si situa al di sopra degli interessi particolari181. 20.2. La ripercussione della sanzione pecuniaria inflitta sui cittadini. Da ultimo, viene invocato anche per lo Stato l’argomento connesso all’inutilità e dannosità della sanzione pecuniaria eventualmente inflitta: l’ammenda, oltre che costituire una semplice operazione contabile che non produrrebbe alcun effetto nei confronti dello Stato, finirebbe per punire una seconda volta i cittadini, i quali dovrebbero subire un’assurda ingiustizia182. 21. La possibile violazione del principio di eguaglianza derivante da’esclusione dello Stato dalla responsabilità penale. Le argomentazioni volte a contestare la possibilità di perseguire lo Stato trovano il proprio fondamento in una concezione unitaria dello stesso. Tuttavia, v’è chi ha opportunamente posto in discussione detta concezione «monolitica» di Stato in quanto la stessa non corrisponde a realtà e − anche in ragione di ciò − ha invocato l’introduzione della responsabilità penale dello stesso. Critiche al fatto che la detenzione del monopolio dell’azione penale possa davvero servire a giustificare l’irresponsabilità penale dello Stato sono state avanzate sulla base del fatto che il privilegio dell’immunità accordato non possa avere un simile fondamento, atteso che lo stesso Consiglio di Stato, già nel 1905, aveva ipotizzato la configurazione della responsabilità dello Stato183. Stefani, Levasseur, Bouloc, Droit pénal général, cit., p. 271, Bouloc, La criminalisation, cit., p. 238. 181 Conseil d’Etat, La responsabilité pénale des agents publics en cas d’infractions non intentionnelles: étude adoptée par l’Assemblée générale du Conseil d’Etat le 9 mai 1996, p. 99. 182 Bernardini, Personne morale, cit., p. 6. 183 Moureau, La responsabilité, cit., p. 42. 180 L’ordinamento francese 181 La necessità di introdurre un sistema di responsabilità penale anche per lo Stato trova il proprio fondamento principale nel fatto che omettere una simile previsione significherebbe violare il principio di eguaglianza giuridica. Si consideri, ad esempio, la situazione degli stabilimenti di diritto pubblico nazionali i quali, pur costituendo una decentralizzazione funzionale dello Stato, sono perseguibili penalmente, non rientrando nel novero degli enti territoriali immuni184. Parte della dottrina ha rilevato che, paradossalmente, garantire l’immunità solo a determinati enti pubblici si ripercuote negativamente sulla condizione dei cittadini che usufruiscono di un determinato servizio pubblico185. L’argomentazione può essere meglio compresa laddove si pensi all’esempio citato sul punto. L’ipotesi è quella di tre diverse mense, due gestite da collettività territoriali e una invece che dipende dal Ministero. Nel caso di infrazione alle norme in materia igienica commessa all’interno di due delle tre mense, quella gestita da un Ministero e quella gestita da una delle collettività, solo la violazione posta in essere nella mensa gestita da quest’ultima potrà essere perseguita. Se si guarda la situazione dalla prospettiva degli utilizzatori della mensa, non vi sarà alcun cambiamento né per coloro che fanno uso della mensa gestita dal Ministero, né per coloro che utilizzano la mensa gestita dalla collettività in cui non è stato posto in essere alcun fatto penalmente rilevante. Verranno, invece, penalizzati – mediante, ad esempio, un aggravamento dei costi − coloro che fanno ricorso al servizio della mensa gestita dalla collettività in cui è stato posto in essere l’illecito: mentre la differenziazione ha un senso tra le mense gestite dalle due collettività, non ha alcun senso mantenere un trattamento differenziato tra la mensa gestita dal Comune e quella gestita dal Ministero, atteso che in esse si è prodotta analoga fattispecie delittuosa. Questa differenziazione che determina una violazione del principio di eguaglianza non è giustificata nella misura in cui non rientra in quelle ipotesi in cui la differenza di trattamento è giustificata dalla diversità delle situazioni. I cittadini pagheranno le conseguenze di un diverso e ingiustificato trattamento sanzionatorio. Meyer, Réflexions sur la responsabilité pénale des personnes de droit public à la lumière des premières applications jurisprudentielles, cit., p. 923-924. Contra Bonichot, La responsabilité pénale des personnes morales de droit public, cit., p. 769 secondo cui essendo possibile perseguire penalmente gli stabilimenti pubblici nazionali, l’irresponsabilità penale dello Stato non sarebbe poi così scioccante. Infatti, in ambito educativo, se non sono perseguibili i servizi centrali di educazione, restano comunque perseguibili gli altri servizi pubblici che si occupano dell’istruzione. Anche se probabilmente, da un punto di vista pratico, questo ragionamento corrisponde a verità, non si vede, a parere di chi scrive, come sia possibile assicurare l’esistenza di un trattamento diversificato che lascia inevitabili vuoti di tutela. Il principio di eguaglianza davanti alla legge dovrebbe implicare che, a fronte di situazioni identiche, identico deve essere il trattamento sanzionatorio assicurato. Invece, solo per citare un esempio, nell’ipotesi di inquinamento causato dal mal funzionamento di un’installazione di depurazione, occorrerà verificare se la stessa dipende dalle collettività territoriali o dallo Stato: solo nel primo caso sarà possibile procedere penalmente. 185 Planque, La détermination de la personne morale pénalement responsable, cit., p. 91 ss. 184 182 E. Pavanello Lo stesso Consiglio di Stato ha indicato che diversi studiosi si sono espressi a favore dell’introduzione della responsabilità penale dello Stato e ciò, oltre che per garantire il rispetto del principio di eguaglianza nei confronti dei cittadini e tra le diverse persone giuridiche, siano esse di diritto pubblico o privato, anche per individuare in modo corretto il responsabile di una condotta illecita maturata all’interno di un contesto di mala gestio dell’amministrazione pubblica186. Non sarebbe, infatti, corretto imputare una condotta illecita al solo funzionario persona fisica piuttosto che allo Stato qualora il danno generato dalla condotta illecita non sia conseguenza di un’attitudine colpevole esclusiva dell’agente-persona fisica. Il Consiglio di Stato ha concluso però nel proprio studio nel senso che ancorché siano condivisibili gli obiettivi che la dottrina citata si pone, non sono comunque superabili gli ostacoli che vengono tradizionalmente addotti alla configurazione di una responsabilità dello Stato. 22. Difficoltà e opportunità di creare un sistema di controllo penale delle attività statali. Uno dei pochi studiosi che in Francia ha ipotizzato l’introduzione di una forma di responsabilità penale per lo Stato, ha tentato di mettere in luce ostacoli e possibilità concrete della configurazione della stessa187. Innanzitutto, è stato criticato il riferimento al concetto generico di Stato. Infatti, lo Stato non sarebbe paragonabile a nessun’altra entità collettiva di natura pubblica o privata poiché è composto di diverse entità relativamente autonome. Se si accedesse alla tesi secondo cui lo Stato è entità unica e inscindibile occorrerebbe ammettere, ad esempio, che all’atto del pagamento dell’iva verrebbero poste in essere due operazioni contabili che si annullerebbero reciprocamente. Da un lato, infatti, il Ministero delle Finanze riceve il pagamento e, dall’altro, i diversi enti statali sono sottoposti al tributo: solo ove si considerino il Ministero e i diversi enti come ontologicamente diversi, sarà possibile giustificare il pagamento dell’imposta. Detta inesattezza conduce in questa prospettiva, a un risultato non appagante in quanto vengono escluse dalla repressione penale non solo quelle attività che non dovrebbero mai essere sottoposte a sanzione (poiché espressione di prerogative pubblicistiche quali l’attività di polizia, promulgazione delle leggi), ma anche quelle attività in cui l’entità statale agisce, in ipotesi, in condizioni identiche a quelle in cui agisce qualsiasi altra società di diritto privato. Un uso attento della terminologia avrebbe condotto pertanto ad operare una distinzione più accorta in quanto lo «Stato» (o quanto meno alcune delle sue entità) Conseil d’Etat, La responsabilité pénale des agents publics en cas d’infractions non intentionnelles: étude adoptée par l’Assemblée générale du Conseil d’Etat le 9 mai 1996, p. 96 ss. 187 Planque, La détermination de la personne morale pénalement responsable, cit., p. 98 ss. 186 L’ordinamento francese 183 è pienamente in grado di delinquere. In particolare, la sua struttura articolata, la possibilità di intervento in qualsiasi settore e il numero elevato di agenti che attuano per suo conto lo rende uno degli attori più temibili da un punto di vista di politica criminale. La responsabilità penale dello Stato non dovrebbe essere prevista a tutto campo ma solo con riferimento a quelle attività in cui lo stesso agisce al pari di qualsiasi altra persona giuridica di diritto privato. Verrebbero quindi escluse le attività espressione di poteri pubblicistici per le quali dovrebbe essere riconosciuta l’immunità allo Stato, per consentirgli di agire liberamente in settori in cui è il solo a poter intervenire. Tuttavia, l’esclusione di responsabilità in questi settori non dovrebbe essere assoluta: anche laddove lo Stato goda di prerogative pubbliche, dovrà essere perseguito se omette di intervenire o comunque non utilizza i propri poteri, causando così un danno o mettendo in pericolo la vita altrui (l’esempio addotto è quello della mancata riparazione di una strada pubblica lungo la quale si producono una serie di incidenti stradali). La soluzione proposta è quella di riformulare l’art. 121-2 c.p. prevedendo che: «l’Etat est pénalement responsable lorsqu’il agit dans un domaine ouvert aux personnes privées sans utiliser ses prérogatives de puissance publique. Dans les domaines où il fait habituellement usage de ses prérogatives de puissance publique, il n’est pénalement responsable que lorsque son abstention constitue une infraction»188. Sotto il profilo sanzionatorio, emergono le perplessità che la dottrina ha espresso già con riferimento alle persone giuridiche di diritto pubblico. L’ammenda, infatti, finirebbe per costituire un’autosanzione; la chiusura dello stabilimento contrasterebbe con il principio di responsabilità della pena in quanto andrebbe a toccare direttamente gli amministrati. Tra le pene esistenti, l’unica efficacemente applicabile viene individuata nella pubblicazione della sentenza e nella sua diffusione: infatti, in questo modo lo scopo di far conoscere ai cittadini la riprovevolezza del comportamento dello Stato sarebbe pienamente raggiunto. Inoltre, si ipotizza l’introduzione di una pena ad hoc per lo Stato, ovvero l’ingiunzione ad un obbligo di fare, a condizione tuttavia che i poteri del giudice penale siano limitati e non si traducano nell’adozione di veri e propri atti dell’amministrazione (con una sostanziale sostituzione del potere giudiziario al ruolo della pubblica amministrazione) ma siano guidati esclusivamente dall’interesse generale. Il sistema sin qui descritto consentirebbe, quindi, di perseguire lo Stato, o meglio le singole entità che lo compongono, anche se non si possono nascondere le difficoltà che detta ipotesi potrebbe comportare. Se cioè dal punto di vista dei principi è possibile ritenere che l’assoluta irresponsabilità dello Stato sia contraria alla stessa coscienza giuridica moderna, dal punto di vista concreto si pongono notevoli limitazioni alla 188 Planque, La détermination de la personne morale pénalement responsable, cit., p. 459. 184 E. Pavanello previsione della sua responsabilità. In buona sostanza non sembra possibile, nemmeno per la dottrina francese, rinunciare in modo assoluto all’immunità dello Stato. 23. Conclusioni. Una delle innovazioni di maggiore interesse introdotte con il codice penale francese del 1994 è stata l’introduzione della responsabilità penale delle persone giuridiche, delineata dall’art. 121-2. Il codice francese esclude dall’ambito di responsabilità oltre che lo Stato, anche le collettività territoriali che abbiano agito nell’esecuzione di un’attività suscettibile di essere oggetto di delega. Il criterio scelto, con riferimento alle collettività territoriali, è stato criticato per la sua indeterminatezza, atteso che il giudice penale, per qualificare detta attività, dovrebbe utilizzare concetti propri del diritto amministrativo. Esso inoltre non risponde alla ratio che ha sostenuto la limitazione di responsabilità, ovvero preservare alcune attività espressione di poteri pubblicistici dal sindacato del giudice penale, poiché esclude che gli enti territoriali possano essere perseguiti quando agiscano nell’ambito privatistico. Sotto questo profilo si condividono le critiche mosse alle scelte operate dal legislatore che ha optato per il criterio dell’attività delegabile proprio del diritto amministrativo, poiché, in questo modo, vengono radicalmente escluse dall’ambito di responsabilità le attività in cui la persona giuridica di diritto pubblico esercita attività e funzioni proprie del diritto privato. Nonostante le critiche avanzate al criterio scelto dal legislatore, solo un numero esiguo di studiosi ha auspicato un’estensione generalizzata della responsabilità delle persone giuridiche di diritto pubblico: la maggior parte ha ritenuto infatti di condividere la linea tracciata dal legislatore, reputando che le peculiarità connesse alla struttura e alle funzioni delle persone giuridiche di diritto pubblico e, in particolar modo dello Stato, debba condurre a una limitazione del penalmente rilevante. Non si è quindi fatta questione sull’opportunità di introdurre simili limitazioni, quanto piuttosto sulle modalità di delimitazione dell’ambito di responsabilità. Sul fronte degli oppositori all’introduzione di detta responsabilità, gli studiosi di diritto amministrativo hanno in particolare ritenuto che il diritto penale non possa giudicare di un illecito avvenuto in un contesto in cui tradizionalmente la competenza è esclusiva del giudice amministrativo. L’idea che sta alla base di tali contestazioni è che esisterebbe una distinzione netta tra i soggetti che perseguono interessi di carattere generale, ovvero gli enti pubblici, e i soggetti che, invece, perseguono esclusivamente scopi di lucro, ovvero persone giuridiche di diritto privato. Se una persona giuridica di diritto pubblico persegue interessi di carattere generale, ogni attività dalla stessa posta in essere sarebbe legittima: l’assunto non considera, tuttavia, L’ordinamento francese 185 che detta distinzione così netta tra enti che perseguono interessi di carattere generale ed enti che invece perseguono fini di lucro non trova un solido fondamento189. A riprova di ciò, basti considerare che lo stesso legislatore francese ha ritenuto di introdurre la responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico e, con riferimento alle collettività territoriali, enti il cui fine dovrebbe essere il perseguimento dell’interesse generale, ha ammesso l’esistenza di un ambito in cui esse agiscono al pari delle persone giuridiche di diritto privato. Inoltre, non sembra che esista sempre una corrispondenza biunivoca tra interesse generale e legittimità dell’azione: è fonte di riflessione la circostanza secondo cui ogni attività (asseritamente) di interesse generale legittimi la commissione di qualsivoglia reato. Ostacoli alla configurazione della responsabilità sono stati evidenziati anche sotto il profilo sanzionatorio: la sanzione penale eventualmente inflitta, si è detto, produrrebbe effetti solo in relazione alle persone giuridiche di diritto privato, le quali dispongono di un proprio patrimonio, mentre l’inflizione della sanzione a carico della persona giuridica di diritto pubblico cagionerebbe un pregiudizio a carico della collettività. La scelta poi di escludere dal novero di responsabilità penale le attività poste in essere dallo Stato può essere criticata alla luce della ratio della riforma e della constatazione che gli argomenti tradizionalmente addotti per giustificare detta forma di irresponsabilità non sono in alcun modo probanti. Ritenere infatti che l’irresponsabilità anziché costituire una lacuna dell’ordinamento, attenti alla sua stabilità mettendone in pericolo i fondamenti, non pare corretto. O quanto meno non sembra che ciò possa essere sostenuto in modo generale: basti pensare a quelle attività che lo Stato compie al pari di qualsiasi altra persona giuridica di diritto privato. Quanto alle altre attività espressione di prerogative e poteri tipicamente pubblici, occorre chiedersi se effettivamente esse dispongano di caratteristiche tali da necessitare un esonero dal controllo penale. Infatti, se è proprio dello Stato di diritto che lo stesso Stato sia sottoposto alla legge, a rigore nessuna esclusione dovrebbe essere prevista. A nulla varrebbe l’esistenza della scriminante dell’adempimento del dovere imposto dalla legge o dall’ordine dell’autorità legittima per scusare in via generale e a priori l’azione dell’amministrazione190. Tuttavia, la dottrina sembra restia ad ammettere una simile estensione della responsabilità penale e il legislatore l’ha in sostanza escluso con la formulazione dell’art. 121-2 del codice penale. La Hermann, Le juge pénal, juge ordinaire de l’administration?, cit., p. 201 sostiene peraltro che anche nello svolgimento di attività di carattere industriale o commerciale le peculiarità delle persone giuridiche di diritto pubblico sono tali da escludere che venga perseguito uno scopo di lucro: esse agirebbero quindi sempre e comunque nell’interesse generale e, in ragione di ciò, non dovrebbero essere perseguite penalmente. 190 Ferrier, Une grave lacune de notre démocratie: l’irresponsabilité pénale des personnes administratives, cit., p. 400. 189 186 E. Pavanello legislazione francese offre spunti di rilievo critico con riferimento alla necessità di un ripensamento dell’intero sistema di responsabilità delle persone giuridiche di diritto pubblico. L’esistenza di interessi generali e il bene supremo della collettività fungono da freno rispetto alla responsabilità della persona giuridica. Il problema centrale della questione è capire se ciò sia corretto o frutto di pregiudizi connessi all’idea dello Stato sovrano, legibus solutus che pone le regole ma non è tenuto a rispettarle. Occorre inoltre interrogarsi sulla possibile interferenza tra potere giudiziario e potere politico e se l’intervento penale sull’operato di collettività territoriali e Stato sia davvero un ostacolo alla realizzazione dello Stato di diritto o non costituisca piuttosto una modalità attraverso il quale lo stesso assurge a contropotere in grado di realizzare in modo pieno il bilanciamento dei poteri. 187 capitolo 4 La responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico nell’ordinamento belga Sommario. 1. La responsabilità penale delle persone giuridiche nell’ordinamento belga: evoluzione storica. – 2. L’ambito di applicazione della responsabilità e i criteri di attribuzione della condotta alla persona giuridica. – 3. La responsabilità concorrente della persona fisica e della persona giuridica. – 3.1. Sulla natura e sull’inapplicabilità retroattiva della causa che esclude il cumulo di responsabilità della persona fisica e giuridica. – 4. Le sanzioni applicabili alle persone giuridiche: ammenda, confisca, dissoluzione, divieto di esercitare una determinata attività, chiusura di uno o più stabilimenti. – 5. La responsabilità delle persone giuridiche di diritto pubblico: l’esclusione espressa dalla responsabilità di Stato, regioni, comunità locali, province, organi territoriali intra comunali, Commissione della comunità francese, fiamminga e comune, centri pubblici d’aiuto sociale, poiché dotati di un organo direttamente eletto secondo le regole democratiche. – 6. Il sistema sanzionatorio: inapplicabilità di talune sanzioni nei confronti delle persone giuridiche di diritto pubblico o delle persone giuridiche che svolgono una attività di servizio pubblico. – 7. Le critiche della dottrina rispetto alle argomentazioni addotte per legittimare il sistema di sostanziale irresponsabilità delle persone giuridiche di diritto pubblico. – 7.1. Le critiche avanzate in relazione alla ratio dell’esclusione degli enti pubblici dall’ambito di applicazione della responsabilità, ovvero l’esistenza al loro interno di un organo democraticamente eletto. – 8. Le decisioni della Corte Costituzionale belga sulla legittimità delle esclusioni dalla responsabilità penale degli enti pubblici. – 8.1. La giustificazione della Corte Costituzionale dell’esclusione delle persone giuridiche di diritto pubblico dotate di un organo democraticamente eletto, poiché soggetti sottoposti al controllo politico. – 8.2. Le reazioni critiche della dottrina alla decisione della Corte Costituzionale. – 8.3. La dichiarazione di legittimità da parte della Corte Costituzionale della norma che limita la responsabilità delle persone giuridiche di diritto pubblico, anche con riferimento al regime di responsabilità ad essa correlato delle persone fisiche. – 9. Conclusioni. 1. La responsabilità penale delle persone giuridiche nell’ordinamento belga: evoluzione storica. La responsabilità penale delle persone giuridiche è stata introdotta in Belgio con la legge n. 60 del 4 maggio del 1999 − entrata in vigore il 2 luglio dello stesso anno − che ha modificato l’art. 5 del codice penale. Prima di allora solo i soggetti fisici erano perseguibili penalmente191In linea di principio l’art. 5 c.p. prevede che anche A. Masset, La responsabilité pénale dans l’entreprise, in «Guide Juridique de l’entreprise», Titre xii, Livre 119.3, éditions juridiques Belgique, Diegem 2001, 2e édition, p. 15-16 ricorda, tuttavia, che 191 188 E. Pavanello le persone giuridiche di diritto pubblico siano perseguibili, salvo poi stabilire delle eccezioni che limitano notevolmente la portata della regola generale. A mente del quarto comma dell’art. 5 c.p. non possono, infatti, essere soggetti attivi del reato lo Stato federale, le Regioni, le Comunità, le Province e, in generale, tutte le collettività territoriali. La legge belga è quindi, sotto questo profilo, più restrittiva rispetto alle legislazioni olandese e francese. L’interesse allo studio del sistema de quo è tuttavia duplice e scaturisce, da un lato, dall’analisi delle ragioni che hanno condotto il legislatore belga a limitare la responsabilità solo a talune persone giuridiche di diritto pubblico e, dall’altro, dal fatto che in due occasioni la Cour d’Arbitrage (Corte Costituzionale belga) ha avuto modo di pronunciarsi sulla legittimità della norma. Dopo aver delineato il meccanismo di funzionamento della responsabilità penale delle persone giuridiche, si passerà a considerare la situazione peculiare delle persone giuridiche di diritto pubblico e si analizzeranno, infine, le sentenze della Corte Costituzionale cui si è fatto cenno. Il regime di responsabilità cui sono state sottoposte le persone giuridiche ha conosciuto nell’ordinamento belga, così come in altri ordinamenti, un’evoluzione intrinsecamente legata alla mutata concezione di persona giuridica, prima considerata unicamente una «finzione», poi considerata vero e proprio soggetto di diritto. Inizialmente, infatti, la giurisprudenza, con argomentazioni condivise dalla dottrina, aveva ritenuto che societas delinquere non potest in ragione del fatto che le persone giuridiche, non essendo dotate di autonoma volontà, non potevano porre in essere gli illeciti penali per i quali sarebbe stato necessario accertare la sussistenza dell’elemento soggettivo, espressione di una volontà libera e cosciente. Inoltre, ad ostacolo ulteriore della perseguibilità penale dell’ente veniva invocato il principio della personalità della pena192. Successivamente, la giurisprudenza ha ammesso la possibilità che anche le persone giuridiche potessero porre in essere un illecito penale: societas delinquere potest, sed puniri non potest193. Tuttavia, laddove si fosse accertato che l’ente, per il tramite di un a fronte dell’impossibilità di punire direttamente le società per le infrazioni poste in essere dai loro rappresentanti, il legislatore aveva previsto un regime che, di fatto, mirava in taluni casi a punire le persone giuridiche. Ad esempio, erano previste la responsabilità civile delle società per il pagamento delle sanzioni pecuniarie irrogate alle persone fisiche e la pubblicazione della sentenza di condanna all’esterno dello stabilimento societario in cui era stata posta in essere l’infrazione. 192 Per un’illustrazione delle ragioni a sostegno dell’irresponsabilità penale delle persone giuridiche, si confrontino J. Constant, La responsabilité pénale des personnes morales et de leur organs en droit belge, in «Revue internationale de droit pénal», 1951, p. 597 ss. e S. Glaser, L’Etat en tant que personne morale est-il pénalement responsabile?, in «Revue de droit pénal et de criminologie», 1949, p. 425 ss. il quale tratta anche della problematica concernente l’eventuale responsabilità penale dello Stato per crimini internazionali. 193 Si confronti per l’evoluzione della posizione di dottrina e giurisprudenza sulla (ir)responsabilità L’ordinamento belga 189 soggetto fisico, aveva posto in essere un illecito penale, solo la persona fisica veniva punita. L’individuazione del soggetto fisico punibile era nella maggioranza delle ipotesi demandata al giudice (cosiddetta imputazione giudiziale) il quale, partendo dagli elementi del caso concreto, stabiliva quale soggetto fisico, organo di fatto o di diritto, fosse responsabile per la violazione della legge penale (accertava quindi che lo stesso avesse materialmente posto in essere la condotta illecita per conto della società o non avesse fatto quanto in suo potere per evitare che l’illecito penale si verificasse). Solo in taluni casi, invece, era la stessa legge a indicare il soggetto punibile. Ad esempio, l’art. 81 della legge 4 agosto 1996 prevedeva la responsabilità del datore di lavoro, dei suoi preposti o dei suoi mandatari per violazione delle norme relative alla salute dei lavoratori all’interno dell’azienda194. Il sistema così delineato, tuttavia, non consentiva di far fronte alla crescente criminalità d’impresa di cui da più parti si denunciava la pericolosità. Il rischio era tra l’altro di punire taluni soggetti fisici sulla base di un criterio oggettivo per fatti di cui essi, al limite, non erano nemmeno a conoscenza. Così, (anche) su sollecitazione della dottrina e sulla base delle indicazioni provenienti dagli organismi internazionali (tra cui la raccomandazione n. 18 del Consiglio d’Europa del 1988), è stata adottata la legge del 4 maggio 1999 (Loi instaurant la responsabilité pénale des personnes morales)195. La legge de qua ha modificato l’art. 5 del c.p. belga il quale prevede che: Toute personne morale est pénalement responsable des infractions qui sont intrinsèquement liées à la réalisation de son objet ou à la défense de ses intérêts, ou de celles dont les faits concrets démontrent qu’elles ont été commises pour son compte. penale delle persone giuridiche, tra gli altri, A. Masset, La responsabilité pénale dans l’entreprise, cit, p. 13-14; A. Masset, La loi du 4 mai 1999 instaurant la responsabilité pénale des personnes morales: une extension du filet pénal modalisée, in «Journal des Tribunaux», 1999, p. 653 ss.; F. Lagasse, Manuel de droit pénal social, Larcier, Bruxelles 2003, p. 92 ss., F. Roggen, Participation et imputabilité: l’application de ces principes à l’épreuve de la responsabilité pénale des personnes morales, in Actualités de droit pénal et procédure pénale, Editions du jeune Barreau de Bruxelles, Bruxelles 2001, p. 12 ss.; W. Cassiers, La responsabilité pénale des personnes morales: une solution en trompe-l’œil?, in «Revue de droit pénale et de criminologie», 1999, p. 823 ss.; F. Kefer, La responsabilité pénale de la personne morale: une réponse de plus à la délinquence d’entreprise, in Roggen F., Schamps G., Le point de vue sur le droit pénal, cup, février 2000, p. 15 ss. 194 Masset, La responsabilité pénale dans l’entreprise, cit., p. 14. 195 La legge è stata adottata nonostante il parere contrario espresso in data 5 ottobre 1998 dal Consiglio di Stato. La bibliografia sul punto è estesa. Si confrontino, tra gli altri, oltre ai contributi indicati sub nota n. 193, P. Hamer, S. Romanello, La responsabilité des personnes morales, Kluwer éditions juridique Belgique, Diegem 1999; M. Gollier, F. Lagasse, La responsabilité pénale des personnes morales: le point sur la question après l’entrée en vigeur de la loi du 4 mai 1999, in «Chroniques de droit social», 1999, p. 521 ss.; La responsabilité pénale des personnes morales en Belgique, sous la direction de M. Nihoul, La Charte, Bruxelles 2005; J. Overath, M. Geron, C. Gheur, T. Matray, La responsabilité pénale des personnes morales, Larcier, Bruxelles 2007. 190 E. Pavanello Lorsque la responsabilité de la personne morale est engagée exclusivement en raison de l’intervention d’une personne physique identifiée, seule la personne qui a commis la faute la plus grave peut être condamnée. Si la personne physique identifiée a commis la faute sciemment et volontairement, elle peut être condamnée en même temps que la personne morale responsable. Sont assimilées à la personne morale: les associations momentanées et les associations en participation; les sociétés visées à l’article 2, alinéa 3, des lois cordonnées sur les sociétés commerciales, ainsi que les sociétés commerciales en formation; les sociétés civiles qui n’ont pas pris la forme d’une société commerciale. Ne peuvent pas être considérées comme des personnes morales responsables pénalement pour l’application du présent article: l’Etat fédéral, les régions, les communautés, les provinces, l’agglomération bruxelloise, les communes, les zones pluricommunales, les organe territoriaux intra-communaux, la Commission communautaire française, la Commission communautaire flamande, la Commission communautaire commune et les centres publics d’aide sociale196. Come è agevole intuire l’attenzione sarà dedicata in particolar modo alle previsioni contenute nel quarto comma. Si ritiene tuttavia opportuno delineare in generale il sistema di responsabilità configurato: il passaggio si rivela tra l’altro necessario al fine di comprendere le ragioni che hanno dato origine alle questioni pregiudiziali avanti alla Corte Costituzionale cui sopra si è fatto cenno. 2. L’ambito di applicazione della responsabilità e i criteri di attribuzione della condotta alla persona giuridica. Il sistema di responsabilità penale belga è generale per quanto concerne i reati che possono essere posti in essere dalla persona giuridica, non esistendo alcuna limitazione sul punto. Le persone giuridiche sono responsabili penalmente delle violazioni che sono strettamente connesse alla realizzazione del loro oggetto o dei loro interessi, o di quelle i cui fatti concreti dimostrano che sono commesse per loro conto. Quando la responsabilità della persona giuridica deriva esclusivamente dell’intervento di una persona fisica identificata, solo il soggetto che ha posto in essere la condotta più grave può essere condannato. Se la persona fisica ha posto in essere la violazione volontariamente e consapevolmente, potrà essere condannata insieme alla persona giuridica. Sono assimilate alla persona giuridica: le associazioni temporanee e le associazioni in partecipazione, le società previste dall’art. 2, comma 3, delle leggi sulle società commerciali, così come le società commerciali in via di costituzione. Non possono essere considerate persone giuridiche responsabili penalmente per l’applicazione di questo articolo: lo Stato federale, le Regioni, le Comunità, le Province, l’agglomerato di Bruxelles, i Comuni, le zona pluricomunali, gli Organi Territoriali intra comunali, la Commissione della comunità francese, la Commissione della comunità fiamminga, la Commissione comune alle comunità, i centri pubblici di aiuto sociale. 196 L’ordinamento belga 191 Quanto ai soggetti attivi del reato, la nozione penalistica di persona giuridica include oltre agli enti dotati di personalità giuridica anche altri soggetti collettivi che, pur non disponendo del riconoscimento giuridico, sono stati inclusi nell’elencazione dell’art. 5. La parificazione delle due categorie di soggetti non è, tuttavia, totale in quanto non sono inclusi nella nozione di persona giuridica le associazioni senza scopo di lucro in formazione e alcune associazioni di fatto, come i sindacati e i partiti politici197. A differenza di quanto è avvenuto in altri ordinamenti, il legislatore belga non ha individuato i soggetti fisici in grado di impegnare la responsabilità della persona giuridica198, con la conseguenza che, al fine di attribuire un fatto di reato all’ente stesso, sarà necessario che la condotta gli sia ascrivibile sotto il profilo oggettivo e soggettivo199. Il codice penale indica al comma 2, in via alternativa, i criteri oggettivi di imputazione della condotta alla persona giuridica. La violazione della legge penale le sarà attribuibile se (i) intrinsecamente legata alla realizzazione dell’oggetto sociale della persona giuridica o (ii) alla difesa dei propri interessi o se (iii) i fatti concreti dimostrino che essa è stata posta in essere per suo conto. I criteri citati non danno luogo a particolari problemi interpretativi ed escludono sostanzialmente che siano attribuibili alla persona giuridica i fatti di reato posti in essere dalla persona fisica che ha agito all’interno dell’ente giovandosi del quadro istituzionale in cui operava per porre in C. Hennau, J. Verhaegen, Droit pénal général, Bruylant, Bruxelles 20033, p. 291. Criticamente Kefer, La responsabilité pénale de la personne morale: une réponse de plus à la délinquence d’entreprise, cit., p. 30 rileva che detta distinzione di trattamento all’interno delle persone giuridiche che non sono dotate di personalità è difficile da giustificare alla luce dei principi costituzionali di eguaglianza e non discriminazione. Il rilievo è tanto più pertinente laddove si guardi alle motivazioni contenute nella relazione alla legge di riforma, in cui si precisa che l’assimilazione parziale degli enti non dotati di personalità alle persone giuridiche è dovuta alla volontà di evitare possibili discriminazioni nel trattamento delle diverse persone giuridiche. Si confronti la relazione presentata dalla Commissione Giustizia Exposé des motifs, Doc. Parl., Sénat, s.o. 1998-99, 1-1217/6 (in seguito Rapporto 1217/6), par 1.1. 198 Rapporto 1217/6, par. 1.2.: la scelta è stata determinata dal fatto che l’elencazione tassativa dei soggetti fisici avrebbe potuto risultare limitativa, poiché, da un punto di vista pratico, avrebbe consentito a tali soggetti di eludere la responsabilità, nella misura in cui essi evitano di prendere formalmente parte alle decisioni aventi carattere illecito. 199 A. Misonne, Le concours de responsabilités, in La responsabilité pénale des personnes morales en Belgique, cit., p. 89 ritiene che il legislatore belga abbia optato per una responsabilità intermedia tra il sistema francese – in cui vengono espressamente elencate le persone fisiche in grado di impegnare la responsabilità delle persone giuridiche – e il sistema olandese – in cui invece il legislatore si è limitato a sancire che le persone giuridiche sono responsabili penalmente al pari delle persone fisiche e la determinazione dei criteri attraverso cui individuare i soggetti fisici che impegnano la responsabilità della persona giuridica è stata demandata all’individuazione della giurisprudenza. A parere di B. Gervasoni, La loi du 4 mai 1999 instaurant la responsabilité pénale des personnes morales: incidences en droit de l’environnement, in «Aménagement Environnement», 2003, p. 206, il legislatore ha in questo modo evitato il rischio di punire la persona fisica semplicemente per la posizione che essa riveste nell’ambito dell’ente. 197 192 E. Pavanello essere una violazione della legge penale nel proprio esclusivo interesse. Criticamente vi è chi ha rilevato che l’ipotesi dell’infrazione posta in essere per il conseguimento dell’oggetto sociale della persona giuridica, sarà di limitata applicazione in quanto è difficilmente ipotizzabile che un ente ponga espressamente tra i propri obiettivi istituzionali attività a carattere illecito200. La legge nulla dice, invece, quanto all’elemento soggettivo che deve essere accertato in capo alla persona giuridica. Nel corso dei lavori preparatori si è ritenuto trattarsi di una questione di fatto che deve essere lasciata alla libera valutazione del giudice e, in particolare, «il devra être établi soit que la réalisation de l’infraction découle d’une décision intentionnelle prise dans le chef de la personne morale, soit qu’elle provient par un lien de causalité déterminé, d’une négligence dans le chef de la personne morale»201. Gli esempi che vengono addotti per illustrare il principio sono l’esistenza di un deficit nell’organizzazione interna o di tagli al budget che creano le condizioni per la realizzazione del reato. Parte della dottrina belga si è mostrata scettica nei confronti di una simile soluzione che presuppone l’accertamento di una volontà distinta in capo alla persona giuridica: secondo questo approccio, infatti, la persona giuridica non sarebbe capace di esprimere detta volontà se non per il tramite dei soggetti fisici che la compongono202. A ben vedere, tuttavia, i lavori preparatori sembrano contraddire l’impostazione «antropomorfica». Infatti in tale sede si è sostenuta la necessità di verificare oltre all’esistenza dell’elemento soggettivo in capo alla persona giuridica secondo le modalità illustrate, anche di fornire la prova dell’elemento soggettivo della colpa o del dolo in capo alle autorità dirigenti della persona giuridica quando la violazione commessa sia intenzionale203. Il che sembra voler dire che sarà sempre necessario verificare anche l’elemento soggettivo che ha animato la persona fisica che materialmente ha posto in essere la condotta. Lagasse, Manuel de droit pénal social, cit., p. 96. Secondo Misonne, Le concours de responsabilités, cit., p. 92, non sarà sufficiente guardare allo scopo sociale dichiarato nello statuto, ma occorrerà prendere in considerazione anche lo scopo realmente perseguito dalla persona giuridica: solo in questo modo il disposto avrà un reale significato e si eviterà che sia la persona giuridica a determinare la misura in cui la stessa è responsabile penalmente. 201 Rapporto 1217/6, par. 1.3. 202 Per un’illustrazione delle posizioni dottrinali sull’imputazione soggettiva della condotta alla persona giuridica, si confronti Hamer, Romanello, La responsabilité des personnes morales, cit., p. 6-12. Misonne, Le concours de responsabilités, cit., p. 133 ritiene che la difficoltà maggiore presentata dalla legge del 1999 è proprio la logica antropomorfica adottata dal legislatore, atteso che è difficile concepire che una persona giuridica possa agire senza l’intervento e la volontà delle persone fisiche che ne fanno parte. 203 Rapporto 1217/6, par. 1.3. 200 L’ordinamento belga 193 3. La responsabilità concorrente della persona fisica e della persona giuridica. Il sistema belga prevede la responsabilità concorrente di persona fisica e giuridica solo in via residuale, unicamente nell’ipotesi in cui la responsabilità dell’ente sia stata determinata dall’intervento di una persona fisica individuata. La scelta, secondo quanto indicato nella relazione legislativa, è stata determinata dalla volontà di evitare che il soggetto fisico possa giovarsi dello «schermo» dell’ente per compiere qualsivoglia attività illecita nel proprio interesse. Il secondo comma dell’art. 5 c.p. indica, con una previsione considerata inutilmente complicata, entro che limiti detto cumulo operi. Sarà innanzitutto necessario individuare la persona fisica all’interno dell’ente che ha posto in essere la condotta illecita e accertare che il reato si è prodotto esclusivamente in ragione del suo intervento. In presenza di siffatte condizioni occorrerà valutare se la persona fisica abbia agito sciemment et volontairement. In caso affermativo, essa potrà essere condannata unitamente alla persona giuridica (non vi è comunque da parte del giudice un obbligo di procedere anche nei confronti del soggetto fisico, essendo la valutazione demandata alla sua decisione discrezionale); nel caso in cui, invece, la condotta illecita non sia stata posta in essere sciemment et volontairement, il giudice dovrà condannare alternativamente la persona (fisica o giuridica) che ha posto in essere la faute la plus grave. La previsione legislativa mette in evidenza alcune problematiche interpretative. Innanzitutto, prevede come condizione perché non operi la regola del cumulo di responsabilità il fatto che l’illecito sia stato determinato esclusivamente dall’intervento della persona fisica. Ad interpretare letteralmente la norma sembrerebbe doversi intendere che, a fronte di un’infrazione alla legge penale dovuta unicamente alla condotta illecita della persona fisica, ne risponde anche la persona giuridica o addirittura solo la persona giuridica qualora venga accertato che essa ha posto in essere la colpa più grave. Il che parrebbe privo di significato perché se l’illecito è dovuto esclusivamente alla condotta della persona fisica, non sarà possibile accertare una faute plus grave in capo alla persona giuridica204: esiste infatti una contraddizione In questo senso, Masset, La loi du 4 mai 1999, cit., p. 656; L. Bihain, Responsabilité pénale des personnes morales: présentation synthetique, in «Revue de jurisprudence de Liège, Mons et Bruxelles», n. 10, 2001 p. 2; Roggen, Participation et imputabilité: l’application de ces principes à l’épreuve de la responsabilité pénale des personnes morales, cit., p. 16 e Hamer, Romanello, La responsabilité des personnes morales, cit., pp. 22 ss., i quali si chiedono se l’inserimento del termine esclusivamente non abbia svuotato di significato la stessa regola del non cumulo, atteso che i casi di responsabilità penale della persona giuridica esclusivamente dovuti all’intervento della persona fisica sono assai rari. Sul fronte giurisprudenziale, la Corte d’Appello di Gand con sentenza del 5 settembre 2001 n. 1803 – che ha rilevato l’esistenza di detta contraddizione in termini e la difficoltà di giungere a una soluzione coerente – ha affermato che se vi è stato l’intervento esclusivo da parte della persona fisica, deve ritenersi che la stessa ha posto in essere la faute la plus grave, considerato che non vi sono altre condotte colpose 204 194 E. Pavanello tra il concetto di intervento esclusivo e quello di responsabilità concorrente dei soggetti, l’uno escludendo in linea di principio l’altra205. L’unica interpretazione possibile per non «svuotare» di significato la norma − eccettuata l’ipotesi di omettere il termine «esclusivamente» dalla lettura del disposto in quanto ciò sarebbe contrario ai principi di interpretazione stretta del diritto penale − resta quella di attribuire significati distinti alla nozione di «intervention» e «faute»: il primo dovrà essere inteso come il compimento di un’azione determinata, mentre il secondo come l’elemento soggettivo richiesto per la realizzazione di un’infrazione. In questo modo il concorso di responsabilità si verificherà unicamente nell’ipotesi in cui le condotte colpose della persona fisica e della persona giuridica si sono manifestate attraverso l’intervento esclusivo (condotta) della persona fisica206. Altro punto critico della disposizione è la mancata individuazione del significato della faute la plus grave. La dottrina è pressoché concorde nel ritenere che si faccia riferimento alla condotta che ha avuto un ruolo di maggior rilievo nella realizzazione del reato207. Quanto ai criteri cui il giudice deve attenersi per valutare quale delle due condotte sia stata maggiormente determinante nella realizzazione del reato, la giurisprudenza ha tenuto in considerazione il criterio della funzione esercitata in concreto dal soggetto, con la conseguenza che più elevata sarà la posizione gerarchica rivestita dallo stesso, più grave sarà la sua faute. In terzo luogo, controversa è la nozione di condotta posta in essere dalla persona fisica sciemment et volontairement. Secondo quanto potrebbe dedursi dalla relazione accompagnatoria alla legge, l’espressione fa riferimento alla distinzione tra infrazioni volontarie (ovvero dolose) e non, cosicché il concorso di responsabilità tra persona fisica e giuridica potrebbe verificarsi solo laddove fossimo in presenza di un’infraction intentionnelle208. Preliminare alla valutazione del possibile concorso di responsabilità cui comparare quella della persona fisica. 205 Va precisato che l’avverbio «esclusivamente» non era presente nel testo in origine sottoposto alla Commissione giustizia del Senato: la responsabilità della persona fisica e della persona giuridica potevano sussistere contemporaneamente nel caso in cui la condotta illecita fosse stata posta in essere da parte di una persona fisica individuata. 206 Sul punto si confronti Misonne, Le concours de responsabilités, cit., p. 110. 207 In questo senso depone anche il Sénat de Belgique, session de 1998-99, 1217/1 (in seguito Rapporto 1217/1) par. 1.4. in cui si legge «il appartiendra au juge de vérifier au cas par cas laquelle de la responsabilité de la personne morale ou de la personne physique est déterminante». 208 Si confronti Rapporto 1217/1, par. 1.4., secondo cui «contrairement à ce que le Conseil d’État semble affirmer dans son avis, l’exclusion du cumul des responsabilités ne concerne que les délits commis avec la négligence comme élément intentionnel. Le point de départ est par conséquent la qualification légale de l’infraction». Per comprendere quanto indicato nella relazione è necessario tenere a mente che nel diritto penale belga normalmente si distingue tra infrazioni intentionnelles e non intentionnelles. Le prime sono quelle poste in essere da parte del soggetto con cognizione di causa e con la volontà di violare la legge penale − dolo diretto − o quantomeno accettando il rischio di violare la legge penale − dolo eventuale – (quella del dolo è la regola per le infrazioni contenute nel codice penale); nelle seconde è sufficiente, L’ordinamento belga 195 sarebbe quindi la qualificazione legale dell’infrazione: solo in caso di infrazioni dolose sarebbe possibile il cumulo di responsabilità tra persona fisica e giuridica, sempre che il giudice lo ritenga opportuno (seconda parte del secondo comma dell’art. 5 c.p.); nel caso di infrazioni colpose, invece, si procederà alla punizione del solo soggetto che ha posto in essere la condotta che ha svolto un ruolo preponderante nella realizzazione del reato (prima parte del secondo comma dell’art. 5 c.p.). Tuttavia, a ben vedere, così come rilevato dalla dottrina maggioritaria, il dettato legislativo non risponde a questo intento, atteso che il concetto di sciemment et volontairement non corrisponde appieno alla nozione di dolo e che anche le infrazioni cosiddette regolamentari − quindi non intentionnelles − possono essere realizzate con coscienza e volontà209. In questo senso si è orientata anche la giurisprudenza maggioritaria, la quale ha chiarito che per determinare se sia possibile o meno applicare il cumulo, sarà necessario guardare allo stato d’animo del soggetto e verificare in concreto se egli abbia agito con coscienza e volontà210. È possibile concludere che se il legislatore, al di là di quanto indicato nella relazione preparatoria, avesse voluto fare riferimento alla distinzione tra infrazioni intenzionali e non, avrebbe dovuto utilizzare una terminologia diversa. Da segnalare, tuttavia, che le difficoltà interpretative cui si è fatto cenno hanno condotto lo stesso legislatore a proporre l’abrogazione dell’art. 5, comma 2, con il progetto di legge n. 51 del 19 febbraio 2007211. La proposta di abrogazione è stata invece, l’elemento soggettivo della colpa (per le infrazioni non previste nel codice penale, in mancanza di indicazioni espresse, l’elemento soggettivo richiesto è di regola la colpa). Parte della dottrina distingue un’ulteriore categoria di infrazioni (da collocare comunque all’interno di quelle non intentionnelles) dette materiali o regolamentari: per queste ultime sarebbe sufficiente la semplice constatazione che vi è stata violazione della norma per rendere punibile il soggetto, a prescindere dalla dimostrazione dell’elemento soggettivo. Altra parte della dottrina e la giurisprudenza ritengono che anche in questa ipotesi, in virtù delle regole generali che presiedono al diritto penale, non possa esistere una responsabilità oggettiva: è dunque necessario ricercare l’elemento soggettivo in capo al soggetto agente che si potrà concretare nel dolo o nella colpa. Sul punto si vedano Misonne, Le concours de responsabilités, cit., p. 147 ss. e Kefer, La responsabilité pénale de l’entreprise et le droit social, cit., p. 26. 209 Roggen, Participation et imputabilité: l’application de ces principes à l’épreuve de la responsabilité pénale des personnes morales, cit., p. 15; Kefer, La responsabilité pénale de l’entreprise et le droit social, cit., p. 26 e Masset, La responsabilité, cit., p. 22 ss. Depongono nel senso della non coincidenza della nozione di sciemment et volontairement con la nozione di dolo, anche le indicazioni fornite dal Ministero della Giustizia il quale, citando un esempio concreto sul punto, ha rilevato come pure il reato di scarico delle acque possa essere posto in essere sciemment et volontairement nonostante la fattispecie non richieda il dolo come elemento soggettivo dell’infrazione. L’esempio è contenuto nel Rapporto 1217/6, par. 23 e 24. 210 Si confronti Corte di Cassazione 4 marzo 2003, rinvenibile nel sito <http://www.projuop.cit.be/ Colloques_JpRPPM-Class.chrono.htm>, la quale ha sostenuto che il cumulo di responsabilità può applicarsi tanto nel caso di infrazioni intenzionali quanto nel caso di infrazioni non intenzionali. Analogamente e più di recente, Cassation Criminelle, 7 settembre 2004, in «Pasicrisie Belge», i, 2004, p. 1263. 211 Il progetto n. 51 2929/001 è rinevibile nel sito della Camera <http://www.dekamer.be/kvvcr/index. cfm?language=fr.>. Cfr. F. Lugentz, O. Klees, Le point sur la responsabilité pénale des personnes morales, 196 E. Pavanello giustificata per il fatto che è contraddittorio prevedere la responsabilità autonoma della persona giuridica e nel contempo che detta responsabilità consegua esclusivamente all’intervento di una persona fisica determinata. Tuttavia allo stato la proposta legislativa non è stata approvata. 3.1. Sulla natura e sull’inapplicabilità retroattiva della causa che esclude il cumulo di responsabilità della persona fisica e giuridica. La dottrina belga ha qualificato come una causa d’excuse absolutoire, ovvero una circostanza che lascia sussistere il carattere delittuoso dei fatti e che ha come unica conseguenza di escludere l’applicazione della pena, il meccanismo attraverso cui viene esclusa la responsabilità penale della persona fisica nel caso in cui essa non abbia posto in essere la faute la plus grave212. Nonostante detta qualificazione, le giurisdizioni di merito hanno ritenuto, nella maggior parte dei casi, di assolvere l’imputato persona fisica o addirittura di dichiarare l’azione non procedibile nei suoi confronti, utilizzando quindi formule assolutorie che mal si conciliano con una causa di esenzione da pena213. La Corte di Cassazione in una sentenza del 3 ottobre 2000 ha avallato la tesi della causa di non punibilità e ha in particolare sostenuto che «l’article 5, alinéa 1er et 2, du Code pénal, crée, dans le cas visé par le préambule du deuxième alinéa, une cause d’excuse absolutoire applicable, lorsqu’une infraction a été commise tant par une personne physique que par une personne morale, à celle de ces deux personnes ayant commis la faute la moins grave»214. in «Revue de droit pénal et de criminologie», 2008, p. 190 ss. per un’analisi delle principali pronunce giurisprudenziali e della proposta di modifica al codice penale del 2007. 212 Misonne, Le concours de responsabilités, cit., p. 150 e Kefer, La responsabilité pénale de l’entreprise et le droit social, cit., p. 25. Si tratta di quelle cause di esenzione da pena, le quali lasciano sussistere sia l’antigiuridicità del fatto sia la colpevolezza del soggetto agente e sono previste dal legislatore per ragioni di opportunità. 213 Si veda sul punto Tribunale Turnhout, sentenza dell’8 gennaio 2001 inedita e citata da Misonne, Le concours de responsabilités, cit., p. 150. Occorre considerare che, in presenza di una causa di excuse absolutoire, il giudice dovrebbe comunque accertare la colpevolezza del soggetto anche se non potrebbe poi procedere all’applicazione della pena. Da un punto di vista risarcitorio questo meccanismo è molto importante perché consente alla vittima di rivalersi nei confronti dell’autore del reato, il quale resta responsabile civilmente dell’illecito. 214 Corte di Cassazione 3 ottobre 2000, rinvenibile nel sito <http://www.projuop.cit.be/Colloques_ JpRPPM-Class.chrono.htm>. Si confronti sul punto anche L. Bihain, Responsabilité pénale des personnes morales petite synthèse cinq ans après l’entrée en vigeur, in «Revue de jurisprudence de Liège, Mons et Bruxelles», n. 40, 2004, p. 1762. L’ordinamento belga 197 Con riferimento a questo specifico aspetto della norma ci si è interrogati sulla sua eventuale applicabilità retroattiva, in quanto legge penale più favorevole215. Infatti, mentre l’introduzione della responsabilità penale della persona giuridica è sicuramente legge più severa rispetto al passato e, quindi, in quanto tale, essa non è applicabile retroattivamente, più controversa risulta invece la posizione delle persone fisiche. Queste ultime sono punibili solo nel caso in cui abbiano agito sciemment et volontairement; ove ciò non avvenga, ovvero qualora abbiano agito senza coscienza e volontà, esse possono essere punite solo se è dimostrato che hanno commesso la faute la plus grave rispetto alla persona giuridica. La nuova disposizione determina un trattamento più favorevole delle persone fisiche rispetto al passato. Parte della dottrina ha invocato l’applicazione del disposto con riferimento a questo specifico aspetto anche per i casi anteriori all’entrata in vigore della legge, sostenendo che in questo modo le persone fisiche avrebbero potuto beneficiare di un trattamento più favorevole216. La giurisprudenza ha però propeso per la soluzione negativa. In particolare, la Corte di Cassazione, già nella sentenza del 3 ottobre 2000, ha sostenuto che la causa di non punibilità può applicarsi unicamente sotto il vigore della legge del 1999 atteso che «il ressort de la circonstance que la loi associe la cause d’excuse absolutoire au fait que la personne morale puisse être sanctionnée, que l’objectif poursuivi par la nouvelle disposition légale n’était incontestablement pas que cette cause exclusive de peine puisse être applicable aux infractions commises sous l’empire de l’ancienne loi, mais uniquement à celles qui auraient été commises après l’entrée en vigueur de la nouvelle loi». L’orientamento è stato confermato anche da una successiva sentenza della Suprema Corte, in cui i giudici hanno rilevato la compatibilità dell’irretroattività del disposto, oltre che con le regole sancite all’art. 2 del codice penale belga, anche con i principi contenuti nell’articolo 15 del Patto internazionale dei diritti civili e politici (che riconosce il principio di retroattività della norma penale più favorevole a livello internazionale) e nell’art. 7 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo (che sancisce il principio del nulla poena sine lege), invocate a sostegno della diversa tesi dell’applicabilità retroattiva. La Corte ha ritenuto che la causa di non punibilità non sia indice della volontà del legislatore di eliminare l’illiceità della condotta della persona fisica, ma sia dettata da una semplice valutazione di opportunità, in considerazione della possibilità di perseguire la persona giuridica: per tale ragione non Ai sensi dell’art. 2 del codice penale belga, infatti, «nulle infraction ne peut être punie de peines qui n’étaient pas portées par la loi avant que l’infraction fut commise. Si la peine établie au temps du jugement diffère de celle qui était portée au temps de l’infraction, la peine la moins forte sera appliquée». 216 Kefer, La responsabilité pénale de l’entreprise et le droit social, in Les sociétés bientôt punissables, Bruylant, Bruxelles 1999, p. 198-199. 215 198 E. Pavanello è possibile sostenerne l’efficacia retroattiva perché ciò significherebbe, al contrario, lasciare impunita l’azione illecita del soggetto fisico217. La questione è giunta poi al vaglio della Corte Costituzionale cui è stato chiesto di valutare la compatibilità dell’irretroattività del secondo comma dell’art. 5 c.p. con gli articoli 10 e 11 della Costituzione belga218, che sanciscono il principio di eguaglianza, nonché con le norme internazionali sopra citate. L’organo di giustizia costituzionale ha rigettato la questione ritenendo che «la personne physique qui est poursuivie pour des infractions commises, ni sciemment ni volontairement, avant l’entrée en vigueur de la loi du 4 mai 1999, et qui ne peut bénéficier de la même cause exclusive de peine, se trouve dans une situation qui ne permet pas de la comparer à la personne dont la situation est décrite en B.5.1 (ovvero, quella successiva all’introduzione della legge del 1999). Il serait illogique pour la Cour d’examiner si le législateur ne viole pas le principe d’égalité en refusant à la personne physique, alors qu’elle est seule punissable, une cause exclusive de peine qui n’a de sens que parce qu’il a instauré un concours de responsabilités»219. La questione dell’eventuale applicabilità retroattiva della norma è quindi stata definitivamente risolta in senso negativo, sulla base della considerazione che la causa di esclusione trova la propria ragione d’essere solo in correlazione alla responsabilità degli enti. 4. Le sanzioni applicabili alle persone giuridiche: ammenda, confisca, dissoluzione, divieto di esercitare una determinata attività, chiusura di uno o più stabilimenti Le sanzioni applicabili alle persone giuridiche sono regolate dall’art. 7 bis del codice penale, il quale distingue le pene a seconda del tipo di violazione cui afferiscono. Il Corte di Cassazione 11 dicembre 2000, rinvenibile nel sito <http://www.projuop. cit.be/Colloques_ JpRPPM-Class.chrono.htm>. Successivamente un’ulteriore conferma del principio di irretroattività della causa di non punibilità è venuta dalla sentenza della Cassazione del 19 novembre 2003 rinvenibile anch’essa nel sito <http://www.projuop. cit.be/Colloques_JpRPPM-Class.chrono.htm>. 218 L’art. 10 della Costituzione belga prevede: «(1) Nello Stato non vi è alcuna distinzione di ordini. (2) I belgi sono uguali davanti alla legge; soltanto essi possono venire ammessi agli impieghi civili e militari, salvo le eccezioni che possono essere stabilite da una legge in casi particolari». L’art. 11 prevede: «Il godimento della libertà e dei diritti riconosciuti ai belgi deve essere assicurato senza discriminazione. A tal fine, la legge e i decreti garantiscono in particolare i diritti e le libertà delle minoranze ideologiche e filosofiche». La Cour d’Arbitrage nel proprio giudizio ha lo scopo di verificare se le disposizioni sottoposte al suo vaglio siano conformi alle norme della Costituzione. Per reperire la traduzione italiana della Costituzione belga nonché un commento al testo costituzionale, si confronti Le Costituzioni dei Paesi dell’Unione Europea, a cura di E. Palici di Suni Prat, F. Cassella, M. Comba, seconda ed., cedam, Padova 2001. 219 Cour d’Arbitrage, decisione n. 99 del 2 luglio 2003 rinvenibile nel sito <http://www.projuop. cit.be/ Colloques_JpRPPM-Class.chrono.htm>. 217 L’ordinamento belga 199 disposto prevede, infatti, l’applicazione per tutte le infrazioni della legge penale (siano esse crimini, delitti o contravvenzioni) dell’ammenda e della confisca. L’ammenda è la pena principale con riferimento alle persone giuridiche: la determinazione della misura in cui essa deve essere irrogata − fatte salve ovviamente le ipotesi in cui la violazione della legge penale da parte della persona fisica sia anch’essa sanzionata con l’ammenda − è regolata dall’art. 41 bis, il quale fissa i tassi di conversione delle altre pene alla sanzione pecuniaria. Quanto alla confisca, si tratta di una sanzione accessoria di natura patrimoniale che priva la persona condannata del vantaggio tratto dalla propria attività illecita. Essa può riguardare sia le cose che hanno costituito oggetto della violazione della legge penale, sia quelle che sono servite o che sono state destinate alla commissione del reato quando la proprietà delle stesse appartenga al condannato. In queste ipotesi la confisca trova una limitazione con riferimento alle persone giuridiche di diritto pubblico, atteso che non sono suscettibili di confisca i beni che non possono essere sottoposti ad esecuzione forzata ai sensi dell’art. 1412 bis del codice di procedura (su cui in particolare infra). Oltre a ciò, la confisca può anche avere ad oggetto le cose che sono il prodotto della violazione della legge penale (ad esempio, dei biglietti falsi fabbricati da un falsario) nonché i vantaggi patrimoniali tratti dalla violazione della legge penale: in questa ipotesi la sanzione accessoria non trova limitazioni con riferimento alle persone giuridiche di diritto pubblico. L’art. 7 bis elenca poi altre sanzioni accessorie, le quali possono trovare applicazione solo in ipotesi di crimini o delitti: trattasi in particolare della dissoluzione, che non potrà essere pronunciata nei confronti di persone giuridiche di diritto pubblico, del divieto di esercitare un’attività che abbia a che vedere con l’oggetto sociale, ad eccezione delle attività che vengono in rilievo con riferimento ad un servizio pubblico, della chiusura di uno o più stabilimenti, ad eccezione di quelli ove si svolgono attività che rilevano per il servizio pubblico e della pubblicazione o della diffusione delle sentenze. Allo stato attuale, nonostante la legge di riforma ne avesse previsto la creazione, non esiste ancora un casellario giudiziario delle persone giuridiche analogo a quello esistente per le persone fisiche. 200 E. Pavanello 5. La responsabilità delle persone giuridiche di diritto pubblico: l’esclusione espressa dalla responsabilità di Stato, regioni, comunità locali, province, organi territoriali infra comunali, Commissione della comunità francese, fiamminga e comune, centri pubblici d’aiuto sociale, poiché dotati di un organo direttamente eletto secondo le regole democratiche. L’articolo 5 del codice penale conia una nozione «penalistica» di persona giuridica che differisce rispetto a quella civilistica220 poiché, da un lato, include anche le persone giuridiche che non sono dotate di personalità e, dall’altro, esclude dalla nozione di persona responsabile determinati enti collettivi pubblici in virtù del fatto, come indicato nella relazione accompagnatoria alla legge, che essi dispongono di un organo direttamente eletto secondo regole democratiche221. Le esclusioni riguardano espressamente lo Stato federale, le Regioni, le Comunità, le province, l’agglomerazione di Bruxelles, i Comuni, gli organi territoriali intercomunali, la Commissione della comunità fiamminga, la Commissione della comunità francese, la Commissione comune delle comunità e i centri pubblici di aiuto sociale (cosiddetti cpas)222. Il fondamento dell’esclusione − ancorché esso non venga esplicitato dal legislatore − è da rinvenirsi nel fatto che se la persona giuridica è dotata di un organo eletto dai cittadini, essa è soggetta ad un controllo politico il quale rende superfluo − pare doversi ritenere − ogni eventuale controllo penale sul suo operato. Il legislatore belga non si è tuttavia limitato ad escludere alcune persone giuridiche di diritto pubblico dal novero dei soggetti responsabili, ma ha anche previsto che non trovino applicazione determinate sanzioni nei confronti di soggetti di diritM. Nihoul, Le champ d’application, in La responsabilité pénale des personnes morales en Belgique, cit., p. 25 parla di phénomène de marée in quanto la legge include nella nozione «penalistica» di persona giuridica gruppi che non sono dotati di personalità e, in compenso, deposita sull’argine dell’immunità una categoria privilegiata di soggetti collettivi. A suo parere la differenziazione di trattamento tra persone giuridiche di diritto privato e pubblico non è giustificabile. 221 Si confronti sul punto il Rapporto 1217/6 par. 1.1. Con l’art. 133 della legge del 26 aprile 2002, nell’elenco dei soggetti esclusi sono state aggiunte anche le zones pluricommunales. 222 L’esclusione degli organi territoriali intercomunali è stata introdotta a seguito di un emendamento proposto dal senatore Erdman, in ragione del fatto che «l’article 41 de la Constitution prévoit la possibilité de créer des organes territoriaux intracommunaux. Le texte exclut les communes et les centres publics d’aide sociale, il faut aussi exclure les organes en question». Si confronti Sénat de Belgique, session 1998-99, 20 janvier 1999, n. 1 1217/2, amendements. Critico rispetto all’introduzione di tale emendamento, S.van Garsse, De strafrechtelijke verantwoordelijkheid van publiekrechtelijke rechtspersonen, in «Chroniques de droit public», n. 4, 2000, p. 350, il quale ha ritenuto che al legislatore deve essere sfuggito che detti organi non sono a rigori delle persone giuridiche di diritto pubblico dotate di autonoma personalità bensì dei distretti intercomunali parti integranti dei Comuni stessi. Successivamente, con l’art. 133 della legge del 26 aprile 2002, nell’elenco dei soggetti esclusi sono state aggiunte anche le zones pluricommunales. 220 L’ordinamento belga 201 to pubblico o di soggetti che, indipendentemente dalla loro natura pubblica o privata, svolgono attività di natura pubblica (su questo specifico aspetto si veda infra)223. Il fatto che gli enti non dotati della personalità giuridica penale siano esenti da responsabilità, non esclude che le persone fisiche che hanno agito al loro interno possano essere perseguite penalmente secondo i normali criteri di responsabilità224. Al di là della «opportunità» di utilizzare il criterio dell’organo democraticamente eletto per individuare le persone giuridiche di diritto pubblico che non sono perseguibili − su cui come si vedrà nel prossimo paragrafo si è espressa in modo assai critico la dottrina belga − si possono avanzare dubbi circa l’effettiva coerenza tra il criterio individuato e le persone che sono state escluse. Già nel corso dei lavori preparatori si è rilevato, ad esempio, che solo pochi centri di aiuto sociale225 sono dotati di un organo democraticamente eletto ma, nonostante ciò, non sono perseguibili penalmente. Per tale ragione era stato proposto un emendamento volto a circoscrivere l’irresponsabilità penale ai soli centri di aiuto dotati di un organo eletto; tuttavia, si è poi ritenuto che ciò avrebbe determinato una discriminazione di trattamento non giustificabile tra i diversi centri e, conseguentemente, si è proceduto ad escludere l’intera categoria dall’ambito di applicazione della responsabilità penale226. Si confronti Rapport de la Commission de Justice, Doc. Parl., Camera sess. Ord., 1998-1999, 2093/598/99 (in seguito Rapporto 2093/5), 28. Come ricordano Hamer, Romanello, La responsabilité des personnes morales, cit., p. 33, nel corso dei lavori preparatori era stato proposto di applicare lo stesso regime sanzionatorio agevolato a tutte le persone giuridiche che svolgono attività attinenti al servizio pubblico: tuttavia, si è ritenuto che ciò avrebbe dato spazio ad abusi da parte delle associazioni criminali le quali, per beneficiare di detto regime sanzionatorio, avrebbero posto tra i loro obiettivi istituzionali il perseguimento di attività di servizio pubblico. 224 Sul punto si veda in particolare la legge n. 85 del 4 maggio 1999, entrata in vigore il successivo 7 agosto, relativa alla responsabilità civile e penale di sindaci, assessori, membri della délégation permanente. La legge prevede che nel caso in cui dette persone fisiche debbano rispondere civilmente o penalmente del proprio operato, esse possono chiamare in causa il Comune o lo Stato (a seconda che abbiano agito in qualità di organo dello Stato o in qualità di organo comunale), i quali saranno considerati civilmente responsabili per il reato posto in essere dalla persona fisica. Lo scopo della norma è evidentemente quello di assicurare che le vittime del reato verranno adeguatamente compensate sotto il profilo risarcitorio. Per un commento alla normativa, si confrontino A. Masset, La loi du 4 mai 1999 relative à la responsabilité civile et pénale des bourgemestres, échevins et membres de la diputation permanente, in «Le point de vue sur le droit pénal», febbraio 2000, p. 250-267 e T. De Gendt, De strafrechtelijke aansprakelijkheid van burgmeesters en schepenen na de wet van 4 mei 1999, Die Keure, Brugge 2001. 225 I centri di aiuto sociale sono persone giuridiche di diritto pubblico che si occupano dell’assistenza sociale dei soggetti più bisognosi e gestiscono, ad esempio, l’assegnazione dei sussidi statali. 226 Secondo Van Garsse, De strafrechtelijke verantwoordelijkheid van publiekrechtelijke rechtspersonen, cit., p. 351, l’esclusione della responsabilità di tutti i centri di aiuto è altrettanto discriminatoria nella misura in cui le strutture gestite da detti centri (come ad esempio gli ospedali) sono immuni dall’azione penale. In particolare, non sarebbe chiara la ragione per cui dovrebbe esistere una differenza di trattamento dal punto di vista penalistico tra ospedali gestiti dai centri ed ospedali privati, atteso che 223 202 E. Pavanello 6. Il sistema sanzionatorio: inapplicabilità di talune sanzioni nei confronti delle persone giuridiche di diritto pubblico o delle persone giuridiche che svolgono una attività di servizio pubblico. Per quanto qui interessa particolare attenzione sarà dedicata alle disposizioni che, sotto il profilo sanzionatorio, concernono le persone giuridiche di diritto pubblico o le persone giuridiche che svolgono attività di servizio pubblico, indipendentemente dalla loro natura pubblica o privata. L’articolo 7 bis del codice penale prevede, in particolare, che la confisca speciale disciplinata dall’art. 42, primo comma, c.p. concernente le cose che hanno costituito oggetto dell’infrazione penale e quelle che sono state utilizzate per la sua realizzazione, abbia un limite qualora sia applicata nei confronti delle persone giuridiche di diritto pubblico (nozione questa che fa riferimento alle persone giuridiche diverse dalle collettività territoriali elencate al quarto comma dell’art. 5 c.p.). Detta confisca infatti potrà riguardare unicamente i beni civilmente confiscabili al fine di assicurare la continuità del servizio pubblico227. Per comprendere quali siano i beni civilmente confiscabili occorre fare riferimento all’art. 1412 bis del code judiciare, secondo il quale, in principio, i beni appartenenti alle persone giuridiche di diritto pubblico non possono essere confiscati; tuttavia, possono essere sottoposti a confisca i beni che le persone giuridiche di diritto pubblico (rectius, i relativi organi competenti) hanno indicato come «confiscabili» o − in assenza di detta indicazione o qualora i beni elencati non siano sufficienti a soddisfare il creditore − i beni che non sono utili alle persone giuridiche di diritto pubblico per l’esercizio delle loro funzioni o per la continuità del servizio pubblico228. Come già precisato, la confisca concernente gli utili provenienti dal reato non è sottoposta ad analoghe limitazioni. La dissoluzione della persona giuridica, sanzione che normalmente può essere applicata quando l’ente sia stato creato allo scopo preciso di svolgere attività illecite entrambi partecipano del traffico economico ed offrono analoghi servizi. Anche P. Waeterinckx, De strafrechtelijke verantwoordelijkheid van de rechtspersoon, in «Strafrecht van nu en straks», Die Keure, Brugge 2003, p. 199 si è mostrato critico circa la compatibilità del criterio scelto e l’esclusione dei centri di aiuto. 227 O. Leroux, Les sanctions pénales, in «La responsabilité pénale des personnes morales en Belgique», cit., p. 190. 228 Per comprendere le ragioni che hanno indotto il legislatore belga ad adottare l’art. 1412 bis, occorre tratteggiare brevemente l’evoluzione della disciplina della confisca dei beni appartenenti alle persone giuridiche di diritto pubblico. Sulla base della disciplina anteriore al 1994 non era possibile procedere in via esecutiva nei confronti delle persone giuridiche di diritto pubblico, al fine di assicurare la continuità del servizio pubblico. Diversi i fondamenti che venivano addotti per giustificare l’impossibilità di procedere con la confisca: la buona fede e la presunzione di solvibilità dell’amministrazione, l’impossibilità logica di ricorrere alla forza pubblica contro l’autorità pubblica titolare della medesima forza, l’esistenza di altre vie di esecuzione quale quella amministrativa e il principio della separazione dei L’ordinamento belga 203 o quando esso abbia deviato dal proprio oggetto sociale ed abbia posto in essere illeciti penali, non si applica alle persone giuridiche di diritto pubblico. Anche in questo caso si deve ritenere che la ratio sia stata quella di garantire la continuità del servizio pubblico. La limitazione non concerne le persone giuridiche di diritto privato che svolgono attività di servizio pubblico: esse potranno quindi essere sciolte, nonostante perseguano un interesse di carattere generale229. La sanzione del divieto temporaneo o definitivo di esercitare una delle attività previste dall’oggetto dello statuto non può essere applicata quando si tratti di attività che rilevano per il servizio pubblico. Ciò ovviamente non significa che la sanzione non possa essere pronunciata nei confronti di una persona giuridica di diritto pubblico: il giudice dovrà valutare la sussistenza o meno di un’attività rilevante per il servizio pubblico. È sottoposta ad identico limite la sanzione della chiusura di uno o più stabilimenti in cui è stata posta in essere l’attività illecita. Sia nel caso del divieto di esercizio di attività, sia nell’ipotesi della chiusura dello stabilimento, la ragione che ha indotto il legislatore belga ad introdurre detti vincoli è stata evidentemente quella di evitare che l’applicazione delle sanzioni rechi un qualche pregiudizio al servizio pubblico, indipendentemente dalla natura pubblica o privata delle persone giuridiche che lo pongono in essere. Ciò, ad avviso di chi scrive, costituisce un ulteriore elemento che depone in favore del fatto che il legislatore belga ha voluto, da un lato, escludere talune persone giuridiche di diritto pubblico dal novero dei soggetti responsabili in virtù della loro funzione «politica» e, dall’altro, preservare talune attività di interesse generale dalla possibile paralisi conseguente all’applicazione di determinate sanzioni. Non esistono, invece, limitazioni nell’applicabilità delle sanzioni dell’ammenda e della pubblicazione e diffusione della sentenza con riferimento alle persone giuridiche di diritto pubblico. poteri. Alcune deroghe al principio sono state apportate dalla giurisprudenza, attraverso decisioni che avevano dichiarato possibile la confisca dei beni a patto che ciò non risultasse in concreto in contrasto con il principio di continuità del servizio pubblico. Tuttavia, solo nel 1994 è stato introdotto l’art. 1412 bis del codice di procedura che ha previsto una limitata forma di esecuzione forzata nei confronti delle persone giuridiche di diritto pubblico. La disposizione pone una disciplina che contempera la duplice esigenza di salvaguardare le continuità del servizio pubblico e di garantire che il creditore possa trovare soddisfazione delle proprie ragioni. Per un commento alla legge che ha introdotto l’art. 1412 bis si confrontino, A.M. Stranart, P. Goffaux, L’immunité d’execution des personnes publiques et l’article 1412 bis du code judiciare, in «Journal des Tribunaux», 1995, p. 437-447 e C. Nyssens, Le principe de l’immunité d’éxécution des pouvoirs publics assoupli par le législateur, in «Revue régionale de droit», 1994, p. 299 ss. 229 Masset, La loi du 4 mai, cit., p. 658. Secondo Messinne, Propos provisoires sur un texte curieux: la loi du 4 mai 1999 instaurant la responsabilité pénale des personnes morales, cit., p. 646, l’inapplicabilità della dissoluzione alle persone giuridiche di diritto pubblico costituisce una discriminazione di trattamento. 204 E. Pavanello 7. Le critiche della dottrina rispetto alle argomentazioni addotte per legittimare il sistema di sostanziale irresponsabilità delle persone giuridiche di diritto pubblico. Alcuni studiosi hanno avanzato critiche in relazione alle argomentazioni che sono state invocate per negare la possibilità di procedere penalmente nei confronti delle persone giuridiche di diritto pubblico. In relazione all’asserita violazione del principio della separazione dei poteri è stato rilevato come analoghe questioni non si pongano qualora si tratti di perseguire penalmente i singoli funzionari delle persone giuridiche di diritto pubblico per condotte illecite che essi hanno tenuto nell’esercizio delle proprie funzioni e nell’ambito dei poteri pubblicistici di cui gli stessi sono dotati. In queste ipotesi, sebbene il giudice sarà chiamato a valutare la legittimità dell’azione amministrativa e, quindi, vi sarà una commistione tra i diversi poteri, nessuna obiezione viene sollevata. Inoltre, il principio della separazione dei poteri non pone ostacoli a che venga in gioco la responsabilità civile o amministrativa delle persone giuridiche230. Piuttosto, l’esclusione della responsabilità degli enti pubblici assicura un’area di ingiustificata immunità che contrasta con la necessità, a più riprese affermata, di rendere maggiormente trasparente l’azione amministrativa e con il principio del bilanciamento dei poteri (cosiddetta teoria del check and bilance) che trova sua origine proprio nel principio della separazione dei poteri231. Non vengono poi ritenuti meritevoli di menzione né l’argomentazione della perdita di fiducia dei cittadini nelle istituzioni, diretta conseguenza dell’esercizio del procedimento penale nei confronti delle persone giuridiche di diritto pubblico, né la messa in pericolo della continuità del servizio pubblico stesso. Infatti, la continuità del servizio pubblico ha costituito preoccupazione del legislatore che per tale ragione ha limitato l’applicazione di talune sanzioni nei confronti di persone giuridiche di diritto pubblico. Inoltre, proprio la Corte di Cassazione ha limitato la portata del principio, statuendo che lo stesso tende unicamente ad assicurare l’esistenza delle istituzioni pubbliche e il loro funzionamento, ma non esclude in principio il vaglio penale dell’attività pubblica232. Trova un qualche riscontro, invece, l’argomentazione che viene precipuamente invocata in relazione alla posizione dello Stato, ovvero il fatto che quest’ultimo condannerebbe se stesso a pagare una somma di denaro, ciò che risulterebbe inutile H. van Driessche, Evolutie naar de strafrechtelijke (mileu)-aansprakelijkheid van alle publiekrechtelijke rechtspersonen?, in «Rechtskundig weekblad», n. 25, 1999-2000, p. 838. 231 In questo senso P. van de Bon, De beperkte strafrechtelijke verantwoordelkijkheid van de publiekrechtelijke rechtspersoon wegens niet-naleving van de wet inzake het welzijn van de werknemers bij de uitvoering van hun werk, in «Rechtskundig weekblad», n. 31, 2002-2003, p. 1214. 232 Nihoul, L’immunité pénale des collectivités publiques est-elle «constitutionnellement correcte»?, in «Revue de droit pénal et de criminologie», ii, 2003, p. 805 ss. 230 L’ordinamento belga 205 (vestzak-broekzak). Anche chi condivide questa argomentazione ritiene comunque auspicabile che si pronunci una condanna cui non segua però l’applicazione di alcuna sanzione (e in ogni caso non l’ammenda) ogni qualvolta sia coinvolta la responsabilità delle entità territoriali233. Non sono mancate le critiche basate sulla considerazione che lo Stato non può essere considerato un’unità inscindibile e che l’ammenda potrebbe rivestire da un punto di vista pratico una funzione di prevenzione in quanto ove inflitta potrebbe costituire una perdita anche per l’ente pubblico, altri sostengono, pur condividendo queste riflessioni234. In una prospettiva de jure condendo la dottrina belga è comunque orientata nel senso di un ampliamento dell’ambito applicativo della legge, sotto il profilo soggettivo, e ciò per assicurare il rispetto del principio di eguaglianza tra le diverse persone giuridiche e fisiche. 7.1. Le critiche avanzate in relazione alla ratio dell’esclusione degli enti pubblici dall’ambito di applicazione della responsabilità, ovvero l’esistenza al loro interno di un organo democraticamente eletto. Le censure più rilevanti hanno riguardato il criterio individuato dal legislatore quale discrimine per considerare responsabile un determinato ente pubblico, ovvero l’esistenza di un organo democraticamente eletto. Detto criterio, infatti, non sarebbe dotato di un fondamento giuridico in grado di giustificare l’esenzione dall’applicazione della legge penale nei confronti di talune persone giuridiche di diritto pubblico e violerebbe il principio di eguaglianza giuridica sancito agli articoli 10 e 11 della Costituzione belga. Da sempre il diritto penale, infatti, prevede delle forme di immunità (si pensi alle immunità parlamentari o diplomatiche) allo scopo di assicurare il buon funzionamento delle istituzioni cui questi soggetti appartengono235. Nel caso di specie, invece, l’esclusione non avrebbe questo scopo. A voler ragionare in questo modo si arriva a sostenere che la democrazia «giustifica» e legittima la delinquenza: atteso infatti che gli organi delle persone giuridiche di diritto pubblico, anche se come visto non tutti, sono eletti dai cittadini, Ivi p. 813 e Nihoul, Le champ d’application, cit., p. 31. H. van Driessche, Evolutie naar de strafrechtelijke (mileu)-aansprakelijkheid van alle publiekrechtelijke rechtspersonen?, cit., p. 840. 235 A. Messinne, Propos provisoires sur un texte curieux: la loi du 4 mai 1999 instaurant la responsabilité pénale des personnes morales, in «Revue de droit pénale et de criminologie», i, 2000, p. 645-646. 233 234 206 E. Pavanello esse riceverebbero il mandato di compiere qualsiasi attività, ivi incluse le attività di carattere illecito236. Al di là della mancanza di un provato fondamento del criterio predetto, la censura che in generale viene avanzata nei confronti del principio dell’organo democraticamente eletto è che lo stesso dà per presupposta l’esistenza di un contrasto ineluttabile tra controllo politico o amministrativo: l’esistenza del primo sarebbe infatti di per sé sufficiente ad escludere il sindacato penale sull’attività delle persone giuridiche di diritto pubblico. Tuttavia, non esistono ragioni di principio in grado di ostacolare la contemporanea esistenza delle due tipologie di responsabilità237. Anche perchè la responsabilità politica concerne il singolo soggetto e non l’ente nel suo insieme. L’uomo politico risponde quindi dell’illecito che è stato commesso nell’interesse dell’ente avanti agli organi dell’ente medesimo. Ciò significa che, anche sotto il profilo della responsabilità politica, vi è una carenza di tutela con riferimento alla persona giuridica. Il che condurrà inevitabilmente a far pesare sul soggetto fisico responsabilità che sono proprie dell’ente collettivo238. Il criterio sarebbe, a parere di taluno, discriminatorio in quanto l’immunità concessa dalla legge si estenderebbe all’intera persona giuridica anche se solo uno dei suoi organi è eletto secondo regole democratiche. Senza contare poi che il tenore della disposizione legislativa conduce a ritenere, per antitesi, che le regole di designazione degli organi delle altre persone giuridiche non sono democratiche, assunto questo inaccettabile239. Infine, il criterio è stato stigmatizzato perchè non conduce a soluzioni rigorose quanto al trattamento di persone giuridiche belghe e straniere. Poiché non esiste A questo proposito M.A. Delvaux, L’eventuelle inconstitutionnalité de la loi du 4 mai 1999, in «Recueil annuel de jurisprudence en droit des sociétés commerciales», 2003, p. 275 si interroga circa il fatto che l’esistenza di un organo democraticamente eletto sia effettivamente in grado di escludere la possibilità che all’interno della persona giuridica vengano posti in essere reati. 237 Gervasoni, La loi du 4 mai 1999 instaurant la responsabilité pénale des personnes morales: incidences en droit de l’environnement, cit., p. 209. Cfr. Van Garsse, De strafrechtelijke verantwoordelijkheid van publiekrechtelijke rechtspersonen, cit., p. 349 e H. Van Driessche, Evolutie naar de strafrechtelijke (mileu)aansprakelijkheid van alle publiekrechtelijke rechtspersonen?, cit., p. 839 criticano il criterio indicato anche in ragione del fatto che per le persone fisiche esso non vale. L’esistenza della responsabilità politica di un ministro, infatti, non impedisce la sua contestuale responsabilità penale. 238 Si veda Van Driessche, Evolutie naar de strafrechtelijke (mileu)-aansprakelijkheid van alle publiekrechtelijke rechtspersonen?, cit., p. 833 il quale censura la scelta del legislatore belga con particolare riferimento al diritto penale ambientale. 239 In questo senso Nihoul, L’immunité pénale des collectivités publiques est-elle «constitutionnellement correcte»?, cit., p. 797 e Nessinne, Propos provisoires sur un texte curieux: la loi du 4 mai 1999 instaurant la responsabilité pénale des personnes morales, cit., p. 645-646. Sotto questo profilo lo studioso ha ritenuto quindi che vi fosse una violazione del principio di eguaglianza consacrato dagli articoli 10 e 11 della Costituzione belga ed ha ipotizzato l’intervento sul punto della Corte Costituzionale, anticipando così quello che in effetti è avvenuto. 236 L’ordinamento belga 207 alcuna indicazione sul punto nell’articolo 5 c.p., le persone giuridiche di diritto pubblico straniere, ancorché dispongano di un organo democraticamente eletto, potranno essere perseguite penalmente, fatta salva l’eventuale applicazione delle immunità esistenti in diritto internazionale240. In posizione minoritaria vi è stato chi ha, invece, considerato la scelta del legislatore giustificabile per il fatto che le persone giuridiche di diritto pubblico adempiono ad un’attività rilevante per il servizio pubblico (e, quindi, sembra doversi ritenere, per l’interesse generale dei consociati)241. Tuttavia, non sembra essere stato questo il criterio di discrimine adottato dal legislatore: basti considerare il fatto che sono inclusi tra i soggetti responsabili anchele persone giuridiche di diritto privato, ancorché esercitino una missione di servizio pubblico, quali gli ospedali e le scuole242. Il legislatore sembra piuttosto aver voluto distinguere da un lato la sussistenza di un organo democraticamente eletto e, dall’altro, lo svolgimento di attività di natura pubblica, cui consegue la non applicabilità di determinate sanzioni243. 8. Le decisioni della Corte Costituzionale belga sulla legittimità delle esclusioni dalla responsabilità penale degli enti pubblici. Come già ricordato nell’introdurre la responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico in Belgio, ciò che rende particolarmente interessante (e unico nel panorama europeo) lo studio del sistema belga è il fatto che la Corte Costituzionale è stata chiamata a pronunciarsi in due diverse occasioni sulla legittimità della limitata responsabilità attribuita alle persone giuridiche di diritto pubblico. In particolare, la prima decisione ha espressamente riguardato la violazione del principio di eguaglianza del disposto che esclude le collettività territoriali dal Nihoul, L’immunité pénale des collectivités publiques est-elle «constitutionnellement correcte»?, cit., p. 800. Lagasse, Manuel, cit., p. 94. 242 Ch. Vanderlinden, La loi instaurant la responsabilité pénale des personnes morales et le droit pénal social, in «Revue de droit pénale et criminologie», i, 2000, p. 661. 243 Gervasoni, La loi du 4 mai 1999 instaurant la responsabilité pénale des personnes morales: incidences en droit de l’environnement, cit., p. 212 nota criticamente che l’utilizzo del criterio della natura dell’attività svolta dall’ente (così come è avvenuto in Francia) in alternativa a quello dell’organo democraticamente eletto per discriminare tra comportamenti perseguibili penalmente e non, potrebbe rivelarsi foriero di difficoltà correlate «à l’extrême plasticité du critère sur le quel elle repose», ovvero la definizione di attività di servizio pubblico. Da un lato, infatti, ove detta attività fosse intesa in senso restrittivo, essa non sarebbe in grado di limitare il ricorso all’azione penale nella misura in cui una persona giuridica di diritto pubblico, per definizione, non ha tra i suoi scopi statutari quello di porre in essere attività illecite. Ove invece fosse intesa in senso ampio, il rischio sarebbe quello di includere tutte le attività poste in essere dai poteri pubblici e di condurre all’immunità pressoché totale dell’attività svolta dalle persone giuridiche di diritto pubblico. 240 241 208 E. Pavanello novero dei soggetti responsabili. La seconda sentenza, invece, ha riguardato solo indirettamente la legittimità della scelta di limitare la responsabilità a talune persone giuridiche in quanto la Cour d’Arbitrage ha valutato il diverso trattamento cui sono sottoposte le persone fisiche a seconda che le stesse prestino la propria attività alle dipendenze di un ente pubblico o privato. 8.1. La giustificazione della Corte Costituzionale dell’esclusione delle persone giuridiche di diritto pubblico dotate di un organo democraticamente eletto, poiché soggetti sottoposti al controllo politico. Con la sentenza 128/2002, la Cour d’Arbitrage è stata chiamata a giudicare tre diverse questioni pregiudiziali244: le prime due hanno avuto ad oggetto le disposizioni contenute nell’art. 5, comma 2 del c.p. e, segnatamente, la loro compatibilità rispetto al diritto della difesa e al principio di legalità delle incriminazioni, della procedura penale e della pena245. La terza questione – quella che più interessa ai fini della ricerca – ha invece riguardato l’(eventuale) illegittimità costituzionale dell’art. 5, quarto Cour d’Arbitrage, sentenza 128 del 10 luglio 2002 rinvenibile nel sito <http://www.projuop. cit. be/Colloques_JpRPPM-Class.chrono.htm>. Per la traduzione italiana della sentenza e il relativo commento si veda A.F. Morone, Belgio: La responsabilità penale degli enti al vaglio della Costituzione, in «Diritto penale xxi secolo», n.1, 2005, p. 159 ss. 245 La prima questione pregiudiziale ha riguardato la compatibilità della discrezionalità attribuita al giudice di condannare o meno la persona fisica in caso di infrazione posta in essere da quest’ultima «sciemment et volontairement» con gli articoli 10 e 11 della Costituzione belga – i quali pongono il principio di eguaglianza – e con gli articoli 6 e 7 della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo – i quali sanciscono i principi del diritto ad un processo equo e di legalità della pena. La Corte Costituzionale si è pronunciata nel senso della piena compatibilità della disposizione e ha motivato la propria posizione facendo riferimento ai lavori parlamentari che hanno condotto all’adozione della norma: la ratio della disposizione era infatti quella di evitare, da un lato, l’impunità delle persone fisiche che avrebbero altrimenti potuto celarsi dietro lo schermo delle persone giuridiche e, dall’altro, una sistematica condanna di persone fisiche e giuridiche, a prescindere dalla valutazione del caso concreto. Legittima è dunque la discrezionalità attribuita al giudice nella valutazione della posizione della persona fisica. La seconda questione pregiudiziale ha riguardato invece la disposizione che consente di condannare unicamente quella tra persona fisica e giuridica che ha commesso la faute la plus grave: veniva chiesto alla Corte di valutare la compatibilità della norma predetta nella misura in cui non definisce la nozione di la faute la plus grave con gli articoli 10 e 11 della Costituzione belga, nonché 6 e 7 della Convenzione Europea dei Diritti dell’uomo. Anche in questo caso la Corte ha respinto la questione ritenendo che la mancata definizione della faute plus grave contrasterebbe con i principi di eguaglianza e con il diritto di difesa solo laddove comportasse l’impossibilità sia per la persona fisica, sia per la persona giuridica di valutare a priori il rischio penale cui vanno incontro. Il che non avviene nel caso specifico in quanto la disposizione non modifica in alcun modo né la definizione dei crimini né impedisce alle persone, siano esse fisiche o giuridiche, di valutare esattamente le conseguenze penali del loro comportamento. 244 L’ordinamento belga 209 comma c.p. nella parte in cui esclude talune persone giuridiche di diritto pubblico dal novero dei soggetti destinatari della responsabilità penale. La ricorrente, società belga di diritto privato che gestiva una brasserie, avevano in particolare fatto valere che «les communes et les organes territoriaux intercommunaux gèrent des exploitations de même nature que celles qu’ils [i ricorrenti] exploitent, qu’ils sont dans un rapport de concurrence étroit avec eux et qu’ils exercent leur activité dans des conditions similaires»246. Dunque essi ritenevano che la loro immunità non fosse giustificabile e che, al contrario, violasse il principio di uguaglianza sancito agli articoli 10 e 11 della Costituzione belga. A fronte di tale questione, la Cour d’Arbitrage ha messo innanzitutto in luce come le persone giuridiche di diritto pubblico si distinguano dalle persone giuridiche di diritto privato in quanto pongono in essere attività di servizio pubblico e, nel fare ciò, tendano a soddisfare unicamente l’interesse generale. Attesa questa diversità, ad avviso della Corte il legislatore, nel promulgare una legge che ha come scopo quello di contrastare la criminalità organizzata, non era obbligato ad adottare nei confronti delle persone giuridiche di diritto pubblico misure identiche a quelle adottate per le persone giuridiche di diritto privato. Ciò posto, i giudici hanno preso in considerazione il fatto che alcune persone giuridiche di diritto pubblico svolgono attività che sono simili, sotto il profilo contenutistico, a quelle esercitate dalle persone giuridiche di diritto privato e che, nell’esercizio di tali attività, le prime possono rendersi colpevoli di infrazioni che non si distinguono in alcun modo da quelle che possono porre in essere le seconde. È compito del legislatore, quindi, per assicurare il rispetto del principio di eguaglianza includere nel campo di applicazione della legge anche le persone giuridiche di diritto pubblico che non si distinguono, se non per il loro status giuridico, da quelle di diritto privato. Dopo aver evidenziato queste premesse teorico-generali, la Corte ha quindi analizzato la scelta in concreto effettuata dal legislatore belga. Il giudice costituzionale ha osservato che la differenza di trattamento tra persone giuridiche di diritto privato e talune persone giuridiche di diritto pubblico si fonda su di un criterio oggettivo, ovvero il fatto che la persona giuridica disponga o meno di un organo democraticamente eletto. Le persone giuridiche escluse dal campo di applicazione sono incaricate di una missione politica essenziale e dispongono di un’assemblea democraticamente eletta e di organi sottoposti al controllo politico. Alla luce di ciò, il legislatore ha ragionevolmente temuto che l’estensione della responsabilità penale anche alle persone giuridiche di diritto pubblico avrebbe comportato più inconvenienti che vantaggi e, segnatamente, avrebbe causato dei ricorsi in cui l’obiettivo reale sarebbe stato quello di condurre delle battaglie politiche attraverso lo strumento giudiziario 246 Sentenza para A.4.1. 210 E. Pavanello (battaglie che dovrebbero, invece, essere condotte esclusivamente sul piano politico). L’immunità accordata è dunque, a parere della Corte, giustificata. Il ragionamento della Corte belga è stato di recente confermato anche nella sentenza n. 31/2007247 in cui si era posta la questione della responsabilità penale delle wateringues, persone giuridiche di diritto pubblico che si occupano di sviluppare, gestire e mantenere le reti idriche. I giudici hanno ritenuto che detti enti non possano beneficiare dell’esclusione dalla responsabilità penale poiché, da un lato, essi non si occupano di svolgere una missione politica essenziale, al pari delle persone giuridiche di diritto pubblico escluse, e dall’altro non dispongono di un organo democraticamente eletto248. 8.2. Le reazioni critiche della dottrina alla decisione della Corte Costituzionale. Le reazioni della dottrina a detta decisione sono state critiche. Infatti, anche coloro che in certa misura hanno condiviso il ragionamento della Corte, ritenendo che le persone giuridiche di diritto pubblico non possano vedere paralizzata la loro attività a causa di ricorsi intempestivi destinati a destabilizzare il loro assetto più che a reprimere le violazioni alla legge penale, hanno poi riconosciuto che, sotto il profilo dei risultati, detta immunità può condurre a conseguenze deplorevoli, soprattutto in taluni settori quale quello ambientale. Molto spesso infatti è impossibile risalire alla persona fisica individualmente responsabile e si tende a sanzionare il comportamento dell’ente nel suo insieme: ciò, tuttavia, non potrà avvenire nel caso delle persone giuridiche di diritto pubblico249. Le critiche che sono state mosse alla decisione adottata dalla Corte Costituzionale si sono comunque concentrate soprattutto sulla sommarietà della motivazione addotta. La Corte, infatti, si è limitata a chiarire che il principio dell’organo democraticamente eletto indica che laddove esiste un controllo politico non può sussistere anche il controllo penale. Essa tuttavia non ha spiegato per quale ragione il controllo politico sarebbe in grado di escludere il controllo penale. La stessa Corte Europea dei diritti dell’Uomo ha chiarito in più di un’occasione che anche le persone giuridiche di diritto pubblico possono rendersi responsabili, da Cour d’Arbitrage, sentenza 31 del 21 febbraio 2007, rinvenibile nel sito <http://www.const-court.be/ fr/common/home.html>. 248 Per un commento alle sentenze citate si veda Overath, La responsabilité pénale des personnes morales, cit., p. 17 ss. 249 M.A. Delvaux, L’eventuelle inconstitutionnalité de la loi du 4 mai 1999, in «Recueil annuel de jurisprudence en droit des sociétés commerciales», 2003, p. 275-276. 247 L’ordinamento belga 211 un punto di vista civilistico, degli eventuali illeciti commessi. In quest’ottica sarebbe dunque ingiustificato prevedere l’impunità penale di detti enti pubblici250. Inoltre, la Corte sarebbe caduta in contraddizione nella misura in cui ha riconosciuto che in principio vi sono persone giuridiche di diritto pubblico (anche tra quelle che sono state escluse dall’applicabilità della nuova normativa) che non eseguono attività rilevanti per il servizio pubblico, ma nonostante questo ha loro riservato un trattamento più favorevole rispetto alle persone giuridiche di diritto privato, il che è contrario al principio di eguaglianza. La Cour d’Arbitrage non è stata poi in grado di individuare gli svantaggi che conseguono all’instaurazione del procedimento penale nei confronti delle persone giuridiche di diritto pubblico, ma si è limitata ad elencarne solamente uno, ovvero il pericolo di una sovrapposizione tra controllo politico e giudiziario. In che misura questo rischio sia reale non è dato sapere, anche perché la Corte ha effettuato questa affermazione in maniera apodittica, senza prendere in considerazione le circostanze del caso concreto251. Infine, è stato rilevato che se effettivamente si volesse evitare che determinate battaglie venissero condotte sul piano giudiziario, anziché su quello politico, sarebbe necessario prevedere un’immunità penale anche dell’attività dei singoli uomini politici, atteso che attraverso l’esercizio del procedimento penale nei loro confronti si va incontro allo stesso rischio252. Che si condivida o meno il giudizio della Corte Costituzionale, dalla lettura della sentenza emerge un dato incontestabile: la questione che era stata posta circa il rispetto del principio di eguaglianza giuridica della previsione che disciplina in modo differenziato la responsabilità di persone giuridiche di diritto pubblico e privato ha trovato, almeno per il momento, risposta negativa. Quanto alla motivazione che i giudici costituzionali hanno offerto a sostegno della propria decisione essa pare alquanto «superficiale». Essi infatti si sono limitati a citare parte dei lavori preparatori della norma e, in tal modo, hanno inteso farsi interpreti della volontà del legislatore, senza tuttavia rispondere in modo esaustivo al quesito che veniva loro sottoposto alla luce dei parametri invocati dai ricorrenti. Waeterinckx, De strafrechtelijke verantwoordelijkheid van de rechtspersoon, cit., p. 197. Lo studioso sottolinea peraltro come nei casi di impunità della persona giuridica si procederà nei confronti della persona fisica. Tuttavia, nel caso di violazioni della legge penale che conseguiranno molto spesso da decisioni collegiali, sarà difficile risalire al soggetto che ha materialmente posto in essere l’infrazione. 251 Nihoul, L’immunité pénale des collectivités publiques est-elle «constitutionnellement correcte»?, cit., p. 788. 252 Ivi, p. 793. 250 212 E. Pavanello 8.3. La dichiarazione di legittimità da parte della Corte Costituzionale della norma che limita la responsabilità delle persone giuridiche di diritto pubblico, anche con riferimento al regime di responsabilità ad essa correlato delle persone fisiche. Con la decisione 8/2005 la Corte Costituzionale ha valutato il possibile contrasto dell’art. 5 comma 4 c.p. con gli articoli 10 e 11 della Costituzione belga sotto un diverso profilo, ovvero quello della possibile discriminazione nel trattamento delle persone fisiche a seconda che esse svolgano la propria attività alle dipendenze di una persona giuridica di diritto privato o pubblico. Nella prima ipotesi, infatti, la persona fisica eviterà la condanna, laddove sia accertato che essa non ha commesso la faute la plus grave, che è stata invece posta in essere dalla persona giuridica, mentre nel secondo caso la stessa non potrà invocare questa causa di esenzione da pena e sarà condannata (sempre che siano accertati a suo carico gli elementi costitutivi del reato)253. Come si ricorderà, infatti, il cumulo di responsabilità tra persona fisica e giuridica è previsto nella legislazione belga solo in via eccezionale. Il caso concreto traeva origine da un incidente verificatosi in una strada di proprietà della regione della Wallonie, a seguito del quale alcune persone avevano riportato delle lesioni e una era deceduta. Una perizia sul rivestimento della strada regionale, aveva posto in dubbio le qualità tecniche dello stesso. Per tale ragione, l’ingegnere funzionario in servizio presso la regione della Wallonie era stato perseguito per omicidio involontario e lesioni involontarie. Avanti al Tribunale di Police di Verviers, l’imputato aveva fatto valere l’irricevibilità dell’azione penale nei suoi confronti in quanto, a suo avviso, l’irresponsabilità delle persone giuridiche di diritto pubblico avrebbe dovuto estendersi anche alle persone fisiche che lavorano per conto di una delle persone giuridiche escluse perché altrimenti si sarebbe creata una disparità di trattamento a seconda che la persona fisica operi alle dipendenze di una persona giuridica di diritto pubblico o privato. Il Tribunale solleva allora la questione di legittimità avanti alla Corte Costituzionale, affinché quest’ultima chiarisca se il regime diversificato violi o meno il principio di eguaglianza giuridica254. Nella memoria a sostegno della propria posizione, l’imputato ha fatto in particolare valere che non trovando applicazione la regola della faute la plus grave il Cour d’Arbitrage, sentenza 8 del 12 gennaio 2005 rinvenibile nel sito <http://www.projuop.cit.be/ Colloques_JpRPPM-Class.chrono.htm>. 254 La questione pregiudiziale sollevata avanti alla Corte era del seguente tenore: «l’article 5, alinéa 2, du Code pénal, tel qu’il a été rétabli par la loi du 4 mai 1999 instaurant la responsabilité pénale des personnes morales, viole-t-il les articles 10 et 11 de la Constitution en ce que la personne employée par une personne morale de droit privé qui a commis une infraction involontaire, peut ne pas être condamnée si elle a commis une faute moins grave que son employeur, alors que la personne employée par une personne morale de droit public qui a commis la même infraction devra nécessairement être condamnée, le cumul des responsabilités étant possible dans le second cas, non visé par ledit article?». 253 L’ordinamento belga 213 giudice, ove accerti a carico del funzionario tutti gli elementi del reato, procederà alla sua condanna, anziché operare una valutazione comparata tra la condotta della persona giuridica e quella della persona fisica, così come avverrebbe nel caso in cui il funzionario fosse alle dipendenze di una persona giuridica di diritto privato. La differenziazione di trattamento è, ad avviso dell’imputato, ancor meno giustificabile ove si consideri che il legislatore ha voluto, adottando il principio del non cumulo in caso di infrazioni commesse non sciemment e volontairement, proteggere i lavoratori ed evitare che la loro responsabilità sia sistematicamente messa in gioco. L’imputato indica inoltre che un’eventuale dichiarazione di incostituzionalità non rimetterebbe in questione le esclusioni di responsabilità di cui al comma 4, ma si limiterebbe alla disposizione di cui al comma 2, concernenti le persone fisiche. Il Consiglio dei Ministri, a difesa della disposizione legislativa contenuta nel secondo comma dell’articolo 5 c.p., ha invece sostenuto che la norma non pone alcun problema sotto il profilo della violazione del principio di eguaglianza, in quanto in nessuna ipotesi essa consente di procedere al cumulo di responsabilità tra persona fisica e giuridica qualora si tratti di faute commessa sciemment e volontairement. Infatti, se viene posta in essere una faute involontaire da parte di una persona fisica per conto di una persona giuridica di diritto privato, allora sarà punita unicamente la persona che ha posto in essere la colpa più grave; se invece la persona giuridica è di diritto pubblico allora solo la persona fisica sarà perseguita. Tuttavia, il Consiglio dei Ministri non considera che il problema consiste non nell’esistenza di un cumulo di responsabilità, quanto nel fatto che laddove il reato sia stato posto in essere da parte di un soggetto fisico nell’interesse di una persona giuridica di diritto pubblico, solo la persona fisica risponderà del proprio operato. Ad opinione dell’esecutivo, in ogni caso, la differenza di trattamento fatta valere dal giudice a quo trova la sua fonte non nell’art. 5, comma 2 c.p. quanto piuttosto nel comma 4 che esclude in linea generale la responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico espressamente elencate ed in quanto tale è giustificabile. La questione pregiudiziale concerne pertanto, sempre ad avviso del Consiglio dei Ministri, categorie di persone giuridiche che non sono comparabili, in quanto la logica che ha condotto ad attribuire l’immunità alle persone giuridiche di diritto pubblico non è applicabile alle persone giuridiche di diritto privato. La differenza di trattamento si fonda, quindi, su di un criterio obiettivo e l’esclusione della perseguibilità ha come scopo di evitare che talune persone giuridiche, dotate di un organo eletto a suffragio universale, siano paralizzate nel loro funzionamento da ricorsi giudiziali. Se si dovesse estendere l’immunità anche alle persone fisiche che sono alle dipendenze delle persone giuridiche di diritto pubblico, di fatto, l’infrazione penale resterebbe impunita, non potendo essere condannata né la persona fisica né la persona giuridica. Ora, l’obiettivo dell’art. 214 E. Pavanello 5, comma 2 era evitare che un’infrazione fosse sistematicamente punita due volte e non che un’infrazione rimanesse assolutamente impunita. La risposta fornita dalla Corte Costituzionale a fronte di questa nuova questione pregiudiziale, la quale come è dato comprendere è intimamente legata al problema dell’irresponsabilità delle persone giuridiche di diritto pubblico, non è nemmeno in questa occasione, sufficientemente motivata. I giudici hanno innanzitutto ribadito che attraverso la previsione del meccanismo della faute la plus grave, il legislatore ha instaurato una cause d’excuse absolutoire la quale non esclude comunque l’antigiuridicità o la colpevolezza dell’azione e che la legge ha consacrato il principio del cumulo di responsabilità unicamente laddove l’infrazione possa essere imputata personalmente a una persona fisica che ha agito in modo volontario. Il fatto, dunque, che la persona fisica possa godere della causa di esclusione della pena è dovuto unicamente alla circostanza che la legge designa due possibili autori dell’infrazione, ovvero la persona fisica e la persona giuridica per la quale la stessa ha agito. La regola del non cumulo non avrebbe dunque ragion d’essere laddove solo la persona fisica potesse essere punita e questa è la condizione che si verifica rispetto a talune persone giuridiche di diritto pubblico, le quali non possono essere considerate responsabili penalmente. La Corte quindi nello spiegare la ratio in base alla quale è stata prevista la regola del non cumulo, indica che essa può operare nella misura in cui sarà possibile punire quantomeno la persona giuridica. Tuttavia, a ben vedere, tale spiegazione non costituisce null’altro che l’esegesi dell’art. 5 c.p., senza che sia stato fatto alcun riferimento alla ragione per la quale il legislatore ha limitato la responsabilità a taluni soggetti. La Corte si limita a riportare integralmente la scarna motivazione della precedente sentenza e non argomenta ulteriormente circa la legittimità dell’opzione. Si ha la sensazione che anche in questo caso i giudici costituzionali non abbiano inteso porre in discussione le scelte del legislatore, né analizzare le argomentazioni addotte dalla dottrina contro dette scelte. Limitandosi ad affermare infatti che il sistema del non cumulo di responsabilità ha un senso solo ove sussista la responsabilità della persona giuridica, senza tuttavia chiedersi in che misura l’esclusione di talune persone giuridiche dal novero dei soggetti responsabili sia corretta, i giudici hanno, a parere di chi scrive, scelto una comoda via di «fuga». La decisione è stata ritenuta criticabile soprattutto in considerazione del fatto che i giudici hanno adottato un approccio affatto diverso rispetto a quello della Corte Europea dei diritti dell’Uomo la quale nel momento in cui deve effettuare una valutazione comparata tra interessi privati e pubblici in gioco, normalmente procede a un’analisi in concreto, anziché affidarsi ad una semplice clausola di stile255. 255 Nihoul, La protection de l’immunité pénale des collectivités publiques par la Cour d’Arbitrage, in L’ordinamento belga 215 9. Conclusioni. La responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico è stata oggetto di analisi critica anche in questo Paese ove, almeno in linea di principio, esse sono perseguibili penalmente. Tuttavia, a fronte del principio generale di applicabilità della nuova disposizione anche alle persone giuridiche di diritto pubblico, vengono poste una serie notevole di eccezioni che mira ad escludere, di fatto, tutte le collettività territoriali (non solo lo Stato centrale quindi). In particolare, l’applicazione dell’art. 5 c.p. rischia di determinare una discriminazione non solo tra le diverse persone giuridiche di diritto privato e pubblico ma anche tra le persone fisiche che prestano la propria attività lavorativa al loro interno, così come dimostra il fatto che sono state sollevate delle questioni pregiudiziali sul punto avanti la Cour d’Arbitrage. La dottrina, dal canto suo, ha mostrato le proprie riserve critiche nei confronti del sistema di responsabilità delineato, stigmatizzando soprattutto il criterio che consente di distinguere tra persone giuridiche di diritto pubblico punibili e non, ovvero l’esistenza di un organo democraticamente eletto al loro interno. Il criterio risulta infatti limitativo perché l’esistenza di tale presupposto non sembra essere in grado di giustificare di per sé l’assenza di un controllo penale sul loro operato. Senza contare poi che le persone giuridiche escluse dal novero dei soggetti responsabili non sono tutte dotate di un organo democraticamente eletto, da intendersi come di elezione popolare. Il dato interessante che emerge è tra l’altro che il legislatore già al momento dell’adozione della norma si è mostrato consapevole del fatto che anche le persone giuridiche di diritto pubblico possono porre in essere illeciti penalmente rilevanti. Analogamente ha fatto la Corte Costituzionale nella prima delle decisioni citate. Eppure tale consapevolezza non si è poi tradotta in una normazione conseguente. È poi legittimo dubitare del fatto che il disposto dell’art. 5 c.p. non violi il principio di eguaglianza: l’esperienza belga ci dimostra tuttavia come nemmeno la Corte Costituzionale sia stata in grado di abbandonare i preconcetti legati alla teoria della sovranità e abbia, pertanto, avallato le scelte legislative. «Revue de jurisprudence de Liège, Mons et Bruxelles», n. 14, 2005, p. 603. Lo studioso rileva tra l’altro che in ragione della questione pregiudiziale sollevata, la Corte avrebbe dovuto concentrarsi sulla situazione concreta del lavoratore e non sulla ratio che ha ispirato l’adozione del sistema legale. Già in altre occasioni, infatti, la Corte Costituzionale aveva preso le distanze da queste posizioni invocando l’immunità in favore dei lavoratori dalla loro responsabilità civile, proteggendoli così dal rischio cui gli stessi vengono esposti nell’esecuzione del contratto di lavoro. 217 capitolo 5 La responsabilità penale della Corona in Inghilterra Sommario. 1. La responsabilità penale delle persone giuridiche in Inghilterra. Dalla vicarious liability all’identification theory: i modelli della corporation liability. – 2. La responsabilità penale delle persone giuridiche per le strict liability offences (reati bagatellari) e per i reati di mens rea (dolosi o colposi). – 3. Il concetto di Corona e di ente pubblico nel diritto inglese. – 3.1. L’individuazione degli enti appartenenti alla Corona: la qualificazione contenuta nella legge istitutiva dell’ente. – 3.2. Criteri sussidiari di qualificazione dell’ente in senso «pubblico». Le funzioni svolte dallo stesso. – 3.3. Il controllo esercitato sull’ente «pubblico» da parte del Governo. – 3.4. Gli enti che non fanno parte della Corona: governo locale e industrie nazionalizzate. – 4. L’rresponsabilità assoluta della Corona e degli enti della Corona. – 4.1. Le affermazioni giurpsrudenziali circa l’irresponsabilità penale della Corona. – 4.2. Recenti pronunce e nuove previsioni degli statute: prime indicazioni verso il superamento del principio dell’irresponsabilità penale della Corona. – 5. Gli argomenti addotti a favore dell’irresponsabilità penale. L’asserita «impossibilità» per la Corona di commettere illeciti. – 5.1. L’impossibilità per la Corona di perseguire se stessa e l’asserita inutilità dell’applicazione di una sanzione pecuniaria. – 6. L’introduzione del reato di omicidio colposo per le persone giuridiche (corporate manslaughter) e il (parziale) superamento dell’immunità dei Crown bodies. – 6.1. La responsabilità per il reato di corporate manslaughter sussiste quando una delle attività gestite o organizzate dal senior management causa la morte di una persona ed è dipesa da una grave violazione del dovere di diligenza cui l’organizzazione era tenuta nei confronti della persona fisica. – 6.2. L’inclusione della Corona tra i soggetti destinatari della nuova fattispecie. Limiti della disposizione. – 6.3. Critiche alla limitata responsabilità della Corona. In particolare, l’asserita incompatibilità di tali limitazioni con le previsioni della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. – 7. Riflessioni conclusive. 1. La responsabilità penale delle persone giuridiche in Inghilterra. Dalla vicarious liability all’ identification theory: i modelli della corporation liability. Preliminare all’analisi dei principi che governano la responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico in Inghilterra è l’illustrazione, seppure per cenni, del sistema di responsabilità penale delle persone giuridiche, nonché la definizione dei concetti di Corona e crown body. Con tale espressione si fa riferimento 218 E. Pavanello agli enti che sono emanazione della Corona e che vengono esclusi dalla responsabilità penale. Solo recentemente, con il Corporate Manslaughter and Corporate Homicide Act 20071, è stata prevista, come si illustrerà in seguito, la responsabilità il reato di omicidio colposo anche per i Crown bodies. In Inghilterra la possibilità di perseguire penalmente le persone giuridiche ha origini lontane nel tempo. Sebbene in un primo momento siano stati invocati ostacoli di carattere teorico (quali la natura impalpabile della persona giuridica e il fatto che il diritto penale si rivolge per natura ai soli soggetti fisici) e pratico (l’impossibilità di infliggere alla persona giuridica la sanzione della reclusione o la difficoltà di immaginare una società sulla sbarra degli imputati)2, ad oggi la possibilità di procedere penalmente nei confronti degli enti non è contestata. Essenzialmente due i modelli di responsabilità che si sono susseguiti e convivono tuttora nell’ordinamento inglese. Oltre a quello della vicarious liability o respondeat superior − che trova limitata applicazione nell’ordinamento inglese mentre conosce una maggiore estensione negli Stati Uniti − esistono il modello dell’identification theory o alter ego e il modello organicistico. La identification theory che trova applicazione in Inghilterra ma anche in Canada con riferimento ai reati di mens rea, si fonda sulla piena identificazione della persona giuridica con alcuni membri che la compongono e che si trovano al suo vertice. Il modello olistico, fa invece riferimento alla cultura illecita di impresa ed è stato di recente riconosciuto proprio con la previsione del reato di corporate manslaughter3. La vicarious liability «costruisce» la responsabilità della persona giuridica come responsabilità oggettiva: il dirigente di una persona giuridica risponde degli illeciti posti in essere dai suoi dipendenti. Il modello è stato «utilizzato» per sanzionare la responsabilità della persona giuridica sul piano civilistico prima e sul piano penale Il Corporate Manslaughter and Corporate Homicide Act 2007 è stato approvato il 26 luglio 2007 ed è entrato in vigore il 6 aprile 2008. Il testo è rinvenibile nel sito <www.opsi.gov.uk>. 2 A. Pinto, M. Evans, Corporate criminal liability, Sweet & Maxwell, London 2003, p. 15-16. Per la manualistica si confrontino Ard, Cross and Jones, Criminal law, Oxford University Press, Oxford 200818, p. 798 e ss., J. Herring, Criminal law, Palgrave Macmilian, Basingstoke 20096, p. 81 ss. 3 C. Wells, Corporations and criminal responsibility, Oxford University Press, Oxford 20012, p. 84 ss. e, in lingua italiana, Wells, La responsabilità penale delle persone giuridiche nel diritto di common law, in Verso un codice penale modello per l’Europa, Offensività e colpevolezza, a cura di A. Cadoppi, cedam, Padova 2002, p. 41 ss. Per una prima ricostruzione del modello di responsabilità canadese si confronti C. de Maglie, L’etica e il mercato, cit., p. 163 ss. e la bibliografia ivi citata, S. Don, Canadian criminal law, Carswell, Toronto 20014, p. 629-634 e P. Beliveau, La responsabilité pénale des corporations en droit canadien, in «Révue de Science Criminelle», 1999, p. 1 ss. Si ritiene opportuno precisare che nel corso del presente lavoro si effettueranno riferimenti a casi provenienti dall’ordinamento canadese, australiano e neozelandese. Tale modo di procedere è dettato dalla constatazione che le giurisdizioni inglesi si richiamano a precedenti appartenenti ad altri ordinamenti di common law (e viceversa): sarebbe stato impossibile offrire un quadro della situazione inglese senza citare contemporaneamente decisioni appartenenti a questi ordinamenti. 1 L’ordinamento inglese 219 poi4. Così, la persona giuridica sarà responsabile degli illeciti posti in essere da uno dei suoi dipendenti nei limiti in cui l’infrazione contestata sia di natura oggettiva (c.d. strict liability offences). Inizialmente si tendeva a limitare la responsabilità alle sole ipotesi in cui vi fosse stata una vera e propria delega di funzioni da parte del manager della società al dipendente, mentre successivamente si è ammessa la punizione del responsabile della persona giuridica per la posizione che lo stesso riveste, indipendentemente dalla sua partecipazione, diretta o indiretta, all’azione criminosa5. Qualunque dipendente della società può involgere la responsabilità della persona giuridica; tale modello trova, tuttavia, un limite fondamentale nel fatto che solo le strict liability offences sono contestabili all’ente. Le limitazioni suddette hanno dato origine a delle critiche sia sul piano giurisprudenziale che dottrinale. Ci si è interrogati, infatti, sulla opportunità di punire le persone giuridiche anche per i reati di mens rea, per i quali è necessario dimostrare la sussistenza dell’elemento soggettivo in capo al soggetto agente. Le difficoltà connesse all’estensione della responsabilità degli enti a qualsiasi tipo di reato erano collegate alla problematica dimostrazione dell’elemento soggettivo della condotta richiesto in capo ad un’entità giuridica, in quanto tale non dotata di una propria e autonoma volontà6. Per superare le difficoltà delineate, nel corso del 1900 ha cominciato a farsi strada l’idea che non occorra individuare dei criteri di attribuzione particolari della colpevolezza alla persona giuridica7, in quanto l’operato di determinati soggetti fisici all’interno della società coincide con l’operato della stessa persona giuridica ed è, quindi, espressione della sua volontà8. Dopo una serie di pronunce in cui timidamente trova cittadinanza questo principio, il riconoscimento definitivo del principio dell’identificazione è contenuto nella sentenza Tesco Supermarkets Ltd v. Natrass9. La pronuncia de qua ha stabilito, infatti, Leading case in materia sono R. v. Birmingham and Gloucester Rly. Co. del 1842 e R. v. Great North of England Rly. Co. del 1846. Entrambi sono citati da De Maglie, L’etica, cit., p. 148. 5 Affinché sia possibile procedere alla punizione sarà necessario che la condotta illecita possa essere posta in essere da persona diversa rispetto a chi poi ne risponde penalmente. Un esempio è quello dell’offence collegata alla vendita di carne. Nel caso in cui l’assistente del titolare dell’esercizio abbia venduto della carne, anche in assenza del suo principale, è ragionevole ritenere che la carne sia stata venduta da quest’ultimo. Non sarà invece possibile attribuire al titolare quelle condotte illecite che per loro natura possono essere poste in essere unicamente da un soggetto, come avviene nel caso dei reati connessi alla guida di un autoveicolo. Gli illeciti suddetti potranno essere attribuiti al solo soggetto che materialmente stava conducendo l’auto. 6 Cfr. B. Sullivan, The attribution of culpability to limited companies, in «Cambridge Law Journal», 55, 1996, p. 515 ss., il quale analizza la colpevolezza della persona giuridica così come intesa nell’ambito della identification theory e del modello olistico. 7 Sullivan, The attribution of culpability to limited companies, cit., p. 546. 8 R.S. Welsh, The criminal liability of corporation, in «The law quarterly review», 1946, p. 357. 9 House of Lords, Tesco Supermarkets Ltd v. Natrass, in «Weekly Law reports», 1971, p. 1166. 4 220 E. Pavanello provveduto ad azionare il meccanismo di chiusura e si era addormentata. L’inchiesta aveva altresì evidenziato come non esistessero sulla nave dispositivi in grado di segnalare l’apertura della porta sul ponte di comando. Queste dunque potevano sembrare le cause della tragedia. Tuttavia, il team di esperti addetti alle indagini aveva evidenziato come le condizioni generali di sicurezza della nave fossero precarie e che pertanto «all concerned in management […] were guilty of fault in that all must be regarded as sharing responsibility for the failure od management». Il giudice ha ritenuto nonostante ciò di non poter condannare i soggetti membri dell’equipaggio in quanto non erano emersi nel corso del procedimento elementi sufficienti a dimostrare la sussistenza in capo a loro degli elementi del reato e per tale ragione aveva escluso altresì la possibilità di condannare la società12. D’altro canto, nell’ordinamento inglese non ha trovato riconoscimento la teoria dell’aggregazione, una forma di responsabilità collettiva in cui vengono associate le condotte dei singoli rappresentanti della persona giuridica di per sé non illecite in quanto nessuna di essa integra i presupposti del reato, ma nel complesso rilevanti da un punto di vista penale13. Di qui la tipizzazione del reato di corporate manslaughter da intendersi come una carenza dell’intera amministrazione della persona giuridica, piuttosto che comportamento illecito di un singolo soggetto fisico attribuibile alla persona giuridica, al fine di superare il modello di attribuzione della responsabilità di carattere antropocentrico sin qui analizzato e adattare lo schema di responsabilità alla peculiarità delle persone giuridiche. È bene precisare, infine, che nel diritto inglese si ritiene vi siano dei limiti intrinseci alla possibilità di perseguire le persone giuridiche, legati alla natura del reato (ad esempio, bigamia e incesto) o al fatto che detti reati siano sanzionati con la sola pena della reclusione. Per un commento critico alla decisione seguita alla tragedia di Zeebrugge si veda Wells, Corporations and criminal responsibility, cit., p. 107 ss. e P. Leyland, Corporate manlsaughter: where should the blame lie?, in «Annali dell’ Università di Ferrara», xvi, 2002, p. 105 ss., il quale evidenzia altresì i limiti della identification theory: essa presuppone infatti che una persona giuridica possa essere condannata per manslaughter solo se un senior manager è personalmente colpevole, il che come detto nel caso di specie era stato escluso. 13 Per una descrizione dell’aggregation theory si veda Sullivan, The attribution of culpability to limited companies, cit., p. 527 ss. C.M.V. Clarkson, Kicking corporate bodies and damning their souls, in «The Modern Law review», 59, 1996, p. 569 rileva, con riferimento alla dottrina dell’aggregazione che la stessa in realtà perpetui la costruzione della responsabilità penale della persona giuridica secondo parametri «personalistici». L’unica differenza rispetto alla identification theory sarebbe costituita dal fatto che anziché ricercare la persona (che ha posto in essere la condotta) con cui può essere identificata la società, verranno individuate le persone costituenti la directing mind della società. L’autore rileva pertanto che anche questo modello non consenta di prendere in considerazione le strutture organizzative della società, le policies della stessa, in breve non consente di considerare le persone giuridiche in sé ma semplicemente come summa dei singoli componenti persone fisiche. 12 L’ordinamento inglese 221 che la persona giuridica può essere «autore» di un illecito: le persone fisiche agiscono non in nome e per conto della società, ma in quanto ente collettivo. Cosicché, non ci troveremmo di fronte ad un meccanismo di attribuzione della responsabilità riflessa rispetto a quella della persona giuridica come avviene nella vicarious liability, bensì alla individuazione della condotta illecita della stessa persona giuridica. Il modello dell’identificazione consente nell’ordinamento inglese di procedere penalmente nei confronti della persona giuridica per qualsiasi tipo di reato. Secondo questa ricostruzione, la colpevolezza della società è diretta derivazione della colpevolezza del soggetto fisico: l’accertamento della sussistenza della mens rea richiesta per il reato in capo alla persona giuridica corrisponde all’accertamento dell’elemento soggettivo richiesto in capo a taluni soggetti della società. Essenziale, dunque, individuare le persone fisiche in grado di esprimere la volontà dell’ente. Pur non esistendo parametri predefiniti, dall’analisi della giurisprudenza sviluppatasi sul punto, è possibile affermare che le condotte delle persone fisiche rilevanti sono unicamente quelle di coloro che dispongono di un certo potere di controllo all’interno della società e, in particolare, di un potere discrezionale nell’attività alla quale il crimine è correlato. Fattore di rilievo è dato dalla circostanza che la persona fisica in discorso non sia subordinata agli ordini di altro soggetto all’interno della società ed abbia quindi libertà di agire. La ragione della limitazione del numero di soggetti espressione della volontà della società va rinvenuta nel fatto che un semplice impiegato, non dotato di poteri discrezionali o autonomi di decisione, difficilmente sarà espressione della directing mind and will della società. Limite alla costruzione teorica in esame è il fatto che qualora non sia possibile identificare gli elementi della condotta illecita in capo ad un senior officer, la corporation sarà esente da responsabilità, con il rischio che si determini una strutturazione della società nel senso della «organised irresponsibility»10. Anche questo modello è stato sottoposto a valutazione critica, poiché sembra adattarsi unicamente alle ipotesi in cui alcuni individui al suo interno abbiano agito in modo cosciente e indipendente11. Invece, la realtà ha dimostrato che nell’ambito di grandi società molto spesso non sia possibile identificare la condotta illecita del singolo agente, ma le azioni criminose derivano dai comportamenti di più soggetti in sé non illeciti. Esemplificativo al riguardo il caso verificatosi presso il porto di Zeebrugge: la nave inglese Herald of Free Enterprise, dopo poco essere partita dal porto, aveva cominciato ad imbarcare acqua fino ad affondare, causando la morte di centonovantadue persone. Dalle indagini svolte successivamente alla tragedia era emerso che la persona addetta alla chiusura del portellone della nave non aveva Così, Pinto, Evans, Corporate criminal liability, cit., p. 59. Harding, Criminal liability of corporations-United Kingdom, in Criminal liability of corporations, cit., p. 374. 10 11 222 E. Pavanello 2. La responsabilità penale delle persone giuridiche per le strict liability offences (reati bagatellari) e per i reati di mens rea (dolosi o colposi). Il soggetto, persona fisica o giuridica, può essere condannato per il reato se l’accusa dimostra sia l’actus reus, ovvero la condotta intesa da un punto di vista oggettivo, sia la colpevolezza dell’agente stesso. Solo in alcune limitate ipotesi – strict liability offences – non sarà necessario per l’accusa dimostrare la mens rea, ma sarà sufficiente allegare la materiale violazione della norma14. Si configura, quindi, una vera e propria ipotesi di responsabilità oggettiva. L’elemento soggettivo della mens rea si ritiene integrato in due distinte ipotesi, ovvero quando il soggetto abbia agito con intention o con recklessness. L’intenzione viene tradizionalmente distinta nella due forme della direct intention – quando il soggetto intende realizzare un determinato risultato illecito attraverso la propria condotta – e oblique intention – quando, invece, il soggetto agisce non mirando a quel determinato illecito, ma considerando e accettando lo stesso quale effetto collaterale della propria condotta. Le ipotesi sono dunque paragonabili rispettivamente alle categorie del dolo intenzionale e del dolo diretto15. Il criterio di valutazione adottato dalla giurisprudenza per determinare quale sia l’intenzione è soggettivo, poiché occorrerà verificare la volontà del reo al momento della sua azione o omissione16. Più complicato sembra invece il secondo parametro della recklessness, che trova il proprio fondamento in considerazioni di ordine psicologico: un soggetto che ha maturato una certa esperienza nel passato è in grado di prevedere le conseguenze dei propri atti nel futuro. Ed è perciò in grado di evitare le condotte che possono ragionevolmente produrre illeciti penalmente rilevanti. La nozione non è di semplice interpretazione in quanto la giurisprudenza per determinare quando un soggetto abbia agito con recklessness ha mostrato di utilizzare, a seconda delle ipotesi, criteri di giudizio soggettivo e oggettivo. Con la prima opzione interpretativa si valuta la consapevolezza del soggetto agente nel caso specifico di assumere un rischio, previsto e accettato La distinzione di cui ci si occupa concerne dunque il profilo della colpevolezza dell’agente. La distinzione tra reati di common law e statute law trova invece tradizionalmente origine nella diversità di fonti che caratterizza il diritto penale inglese (e, per estensione, dei Paesi di Common Law): mentre il diritto penale di common law trova fondamento nel diritto comune e si è evoluto nel tempo attraverso le diverse pronunce adottate dai giudici (gli interventi della legge scritta sono stati in questo ambito alquanto limitati), la statute law trova origine a partire dalla metà del xix secolo in numerosi testi scritti che sono andati ad integrare il diritto di common law. I due sistemi tuttora convivono e interagiscono reciprocamente, dando origine ad un unicum. Per un approfondimento dei rapporti tra common law e statute law nel diritto inglese, si veda S. Vinciguerra, Diritto penale inglese comparato, cedam, Padova 20022, p. 45 ss. 15 Sul punto si veda Vinciguerra, Diritto penale inglese comparato, cit., p. 280 ss. 16 C. Elliott, F. Quinn, Criminal Law, Pearson Longman, London 20045, p. 14. 14 L’ordinamento inglese 223 nella propria mente17, mentre con la seconda si considera la capacità di prevedere il rischio insito nella condotta, e quindi di evitarlo, dell’uomo diligente, del soggetto ragionevole. La nozione di recklessness intesa oggettivamente comprende pertanto non solo le nozioni di dolo diretto (rappresentazione della probabilità dell’offesa) e di dolo eventuale (rappresentazione della possibilità dell’offesa) ma anche di colpa incosciente grave (non rappresentarsi un’offesa ovvia per qualsiasi persona ragionevole)18. Nonostante la dottrina abbia avanzato argomenti convincenti volti a sostenere tanto la nozione oggettiva quanto quella soggettiva di recklessness, non esiste un’interpretazione univoca19. Le strict liability offences sono, invece, ipotesi di responsabilità oggettiva: un soggetto verrà condannato per il semplice fatto che si trovi in possesso di una cosa o abbia causato un determinato evento senza che lo statute richieda una verifica dell’elemento soggettivo che ha animato il soggetto agente20. Esse mirano a tutelare interessi di natura sociale e ad attivare quel meccanismo in base al quale i soggetti, potenziali trasgressori della norma, sono indotti ad adottare tutte le precauzioni necessarie affinché detta violazione non si verifichi. Le materie che tradizionalmente sono regolate dalla strict liability concernono la circolazione stradale, l’inquinamento, il diritto alimentare e la tutela del consumatore. È dunque esclusa qualsiasi valutazione circa l’immoralità del fatto: così, superare il limite di velocità non ha nulla di immorale, ma il Legislatore ha previsto una offence per tutelare l’interesse generale della sicurezza. La legittimità di tali offences viene rinvenuta in ragioni sia di carattere sostanziale (si è detto, ad esempio, che se un soggetto trae vantaggio da un’attività rischiosa, egli deve pure subirne le conseguenze o, ancora, che il rispetto della norma riveste un interesse sociale tale per cui è giustificato provvedere alla condanna senza procedere alla verifica della colpevolezza), sia di carattere più pragmatico (l’onere della prova nelle ipotesi di strict liability offences è limitato all’actus reus, il che rende più agevole la possibilità per l’accusa di perseguire dette violazioni). Parte della dottrina si oppone però a queste argomentazioni e stigmatizza il fatto che se un soggetto ha violato la norma viene punito, a prescindere dalla circostanza Secondo la definizione offerta nella pronuncia House of Lords, R. v. Cunningham (1957), il soggetto ha agito con recklessness ove «has foreseen that the particolar kind of harm might be done and yet has gone on to take risk of it». Il caso è citato in Elliott, Quinn, Criminal Law, cit., 16. 18 Così Vinciguerra, Diritto penale inglese comparato, cit., p. 313. 19 Vinciguerra, Diritto penale inglese comparato, cit., p. 317, secondo cui normalmente la nozione soggettiva viene utilizzata con più frequenza in riferimento ai delitti contro la persona, mentre l’indirizzo oggettivo trova applicazione per i reati patrimoniali. 20 Tuttavia dovrà essere dimostrato l’actus reus. Così se un soggetto viene accusato di aver guidato sotto l’effetto dell’alcol, l’accusa non dovrà provare la mens rea del soggetto, ma dovrà dimostrare che quel soggetto era effettivamente alla guida del veicolo. Esse si differenziano pertanto dalle ipotesi di absolute liability in cui non è richiesta legal fault in relazione all’intero actus reus. T. Storey, A. Lidbury, Criminal law, Willan, Cullompton 20043, p. 45. 17 224 E. Pavanello che abbia adottato tutte le misure possibili atte ad evitare l’illecito. Ciò condurrebbe, sulla base delle critiche avanzate, al risultato opposto a quello auspicato: il soggetto consapevole di essere punito a prescindere dalla dimostrazione di mens rea, riterrà irrilevante l’adozione delle misure volte ad evitare la violazione della norma e considererà la sua punizione ingiusta. Inoltre, il rilievo secondo cui le ipotesi di responsabilità oggettiva sono «bagatellari» e, di conseguenza, la loro violazione è sanzionata con una pena mite, non corrisponde, secondo parte degli studiosi, alla realtà dei fatti: si assiste in alcuni casi infatti all’irrogazione della pena della reclusione per strict liability offences21. Quando una offence sia di strict liability o invece richieda mens rea è questione che viene lasciata alla determinazione del caso concreto. In linea generale è possibile affermare che laddove lo statute indichi espressamente che si tratta di un reato con mens rea tale indicazione sarà vincolante22. In mancanza di espressa indicazione, verranno in rilievo criteri sussidiari come l’utilizzo di determinati termini (ad esempio knowingly farebbe riferimento a un’ipotesi di mens rea), l’entità e la tipologia della pena23. In alcuni casi tuttavia, la qualificazione della tipologia di reato cui i giudici si trovano di fronte non è semplice. Dopo queste opportune premesse si intende ora verificare se anche gli enti pubblici, rectius i Crown bodies, siano responsabili penalmente nell’ordinamento inglese in quanto persone giuridiche e, in caso affermativo, per quale tipologia di reati. Per fare ciò è in primis essenziale delineare il concetto di Corona. 3. Il concetto di Corona e di ente pubblico nel diritto inglese. In Inghilterra non esiste un concetto di Stato e di ente pubblico così come tipizzata negli ordinamenti continentali24. Qui infatti ci si riferisce alla Corona, nozione che tuttavia solo in parte può essere fatta coincidere con quella di Stato25. In questo Cfr. M. Jefferson, Criminal Law, Longman Pearson, Harlow 20036, p. 189-194 per l’illustrazione degli argomenti addotti contro e a favore delle ipotesi di strict liability offence. 22 Jefferson, Criminal Law, cit., p. 178 rileva che i reati di common law costituiscono ipotesi di reati con mens rea, ad eccezione di alcune ipotesi determinate: molestia pubblica (public nuisance), oltraggio alla Corte (contempt of Court), pubblicazione diffamatoria e oltraggio alla pubblica decenza (oltraging public decency). 23 Secondo Jefferson, Criminal Law, cit., p. 184 nel caso in cui sia prevista una due diligence defence, sussiste un’ipotesi di strict liability offence. In caso contrario, ovvero in presenza di un reato che presuppone mens rea, infatti, la previsione della defence non avrebbe senso perché in ogni caso l’accusa dovrebbe dimostrare tutti gli elementi del crimine. La conclusione tuttavia non pare certa in quanto molto spesso in caso di due diligence defence ci si trova di fronte ad una categoria «ibrida» di reati. 24 D. Foulkes, Administrative law, Butterworths, London 19958, p. 12 indica che, a dimostrazione di ciò, si pone la circostanza che raramente nelle leggi inglesi si utilizza la parola Stato. 25 Si veda M. Luoghin, The State, the Crown and the law, in M. Sunkin, S. Payne, The nature of the 21 L’ordinamento inglese 225 senso è stato infatti sostenuto che: «instead of the State we have the Crown, which serves as a central, organizing principle of government. The Crown is associated with the idea of executive authority rather than with that of the common interest: the major public powers are vested in the Crown, or in ministers who are servants of the Crown. The Crown is characterized in law as a corporation, though of what kind there is some doubt»26. La nozione di Corona parrebbe corrispondere «though not exactly, with terms of political science like “the Executive” or “the Administration” or “the Government”, barely known to the law, which has retained the historical terminology. The legal concept which seems to me to fit best the contemporary situation is to consider the Crown as a corporation aggregate headed by the Queen. The departments of state including the ministers at their head (whether or not either the department or the minister has been incorporated) are then themselves members of the corporation aggregate of the Crown»27. Semplificando, è possibile affermare che la Corona in generale rappresenti la somma dei poteri del Governo centrale. La nozione non include l’intera pubblica amministrazione, atteso che parte delle attività amministrative sono di titolarità di enti che non sono parte o membri della Corona28. Questi ultimi, ove sussistano i presupposti giuridici e siano organizzati in una corporation, potranno essere perseguiti penalmente alla stregua dei principi che governano la responsabilità penale delle persone giuridiche. Sul fronte giurisprudenziale, le pronunce in ordine alla possibilità di perseguire i Crown bodies sono limitate e si occupano per lo più di indicare l’estensione della Crown immunity. L’illustrazione delle argomentazioni in esse contenute costituisce comunque un’importante traccia di riflessione da cui cominciare. Crown, Oxford University Press, Oxford 1999, p. 33 ss. sulle difficoltà di costruire un concetto di «Stato» nell’ordinamento inglese. 26 «In luogo dello Stato abbiamo la Corona, che costituisce l’organizzazione centrale del geoverno. La Corona è associata all’idea di autorità esecutiva più che a quella di interesse comune. La maggior parte del pubblici poteri sono riferiti alla Corona, o ai ministri che sono funzionari della Corona. La Corona è una società, ma vi è qualche dubbio sulla sua natura». C. Turpin, British Government and the Constitution. Text, Cases and Materials, Weidenfeld and Nicolson, London 1990, p. 138. 27 «Anche se non esattamente con teminologia delle scienze politiche a “esecutivo” o “amministrazione” o “governo” conosciuti dalla legge, che fanno riferimento alla terminologia storica. Il concetto legale che mi sembra adattarsi meglio alla situazione contemporanea è quello di considerare la Corona una società con a capo la Regina. I dipartimenti di Stato inclusi i ministeri che vi sono a capo (sia che i ministri o i dipartimenti siano stati incorporati) sono essi stessi parte della società della Corona. Così nella sentenza Town Investments Ltd v Department of the Environment, in «Law Reports, Appeal Cases», 1978, p. 359. W. Wade, Crown, ministers and officials: legal status and liability, in The nature of the Crowns, cit., p. 24 rileva invece come il termine Corona faccia unicamente riferimento a «Queen», la quale verrà considerata nelle sue capacità legali sia come persona fisica che come corporation sole. 28 Foulkes, Administrative law, cit., p. 14. 226 E. Pavanello 3.1. L’individuazione degli enti appartenenti alla Corona: la qualificazione contenuta nella legge istitutiva dell’ente. Fondamentale ai fini della presente ricerca è determinare quando un soggetto sia emanazione della Corona e quando invece, pur esplicando funzioni attinenti alla pubblica amministrazione, non ne sia parte. Da un punto di vista soggettivo, nel concetto di Corona non rientra unicamente il Sovrano, persona fisica, ma sono compresi anche il Governo e l’amministrazione statale oltre che le persone fisiche o giuridiche qualificabili come Crown bodies. È bene considerare, infatti, che il diritto inglese fa molto spesso riferimento al concetto di crown agent29 per indicare i soggetti che godono delle prerogative tipiche della Corona, ivi inclusa − come si avrà cura di illustrare in seguito − l’immunità dall’azione penale (in questo senso si parla di scudo della Corona). Non rientrano nella nozione di crown agent gli enti che non ne sono parte costitutiva come le local authorities. La questione dell’appartenenza di un determinato soggetto alla Corona non è piana poiché non è sempre chiaro sulla base di quali parametri sia possibile qualificare come Crown body un determinato ente o, meglio, non esiste una regola generale applicabile in tutti i casi. Il primo criterio che viene in rilievo è la qualificazione data dallo statute costituivo dell’ente. In linea di principio, laddove lo statute indichi espressamente la sua natura di agent of the Crown, esso dovrà essere considerato tale e godrà di immunità analoga a quella di cui gode il Sovrano, ivi inclusa quella dall’azione penale. La ratio risiede nel fatto che il Parlamento è libero di conferire nell’ambito delle proprie competenze ad un ente di diritto pubblico le immunità e i privilegi che ritenga più opportuni30. L’immunità varrà nei limiti funzionalistici in cui essa è legislativamente concessa. Ad esempio, nel caso che ha riguardato la British Columbia Electric Ltd. (compagnia canadese che si occupava della distribuzione dell’energia elettrica e che era qualificata dallo Statuto come «an agent of Her Majesty the Queen in right of the Province»), la Corte d’Appello dello Stato del British Columbia ha ritenuto che la società non potesse far valere la propria immunità in quanto la stessa non aveva agito per i fini che, a L’espressione è diventata di uso comune per designare enti che godono delle prerogative della Corona. Sinonimi talvolta utilizzati sono «servant of the Crown», «instrumentality of the Crown», «emanation of the Crown». La terminologia citata è tuttavia, a parere di W.P. Hogg, P.J. Monahan, Liability of the Crown, Carswell, Toronto 20003, p. 332, equivoca in quanto potrebbe far pensare che gli enti sono parte costitutiva della Corona, mentre è più opportuno considerarli come organismi distinti. 30 Hogg, Monahan, Liability of the Crown, cit., p. 337 ss. Di converso, non potrà essere considerato organo della Corona quell’ente per il quale sia espressamente esclusa la qualifica. A titolo esemplificativo si veda la section 6(5) del Post Office Act del 1969 il quale prevede che «it is hereby declared that the Post Office is not to be regarded as the servant or agent of the Crown, or as enjoying any status, immunity or privileg of the Crown». 29 L’ordinamento inglese 227 mente dello statuto, le erano stati conferiti e permettevano di qualificarla agente della Corona31. Ciò conferma l’esistenza di una stretta correlazione tra l’attribuzione della qualifica di crown body da parte del legislatore e le funzioni che lo stesso deve perseguire. Laddove questi agisca al di fuori delle previsioni statutarie, la presunzione di legittimità dell’azione, strettamente connessa alla valutazione effettuata ab origine dal Parlamento, viene meno e riemerge la discrezionalità dell’organo giudiziario che assume il potere di vagliare in concreto la «pubblicità» o meno dell’ente. 3.2. Criteri sussidiari di qualificazione dell’ente in senso «pubblico». Le funzioni svolte dallo stesso. La giurisprudenza, al fine di determinare la natura pubblica dell’ente, ha fatto applicazione anche dei criteri del function test e del control test. Il primo criterio, che si è sviluppato in Inghilterra nel corso del xix secolo32, ha avuto, in talune più recenti decisioni, nuova linfa vitale33. Esso, come suggerisce il nome, prende in considerazione le funzioni svolte da un ente: se rientrano nell’ambito di competenza del Governo, allora l’immunità sussiste, in caso contrario l’ente potrà essere perseguito. Come si può arguire, il criterio si rivela di difficile applicazione nei casi ove non sia chiara la natura «pubblica» dell’attività esercitata, anche in considerazione del fatto che sarebbe necessario previamente definire cosa è pubblico e cosa non lo è. Il compito si rivela vieppiù complicato oggi giorno poiché i Governi, attraverso le maggiori competenze di cui sono dotati, tendono ad «invadere» settori di tradizionale competenza privatistica. British Columbia Power Corporation Limited v Attorney General, in «Western Weekly Reports» 657, 1962, 38 34 d.l.r. (2d) p. 25. Il principio vale anche laddove l’ente abbia agito illecitamente e quindi ovviamente al di fuori dei limiti statutari. Sul punto si confronti il caso Canadian Broadcasting Corporation v The Queen, in «Supreme Court Reports, Canada» 1, 1983, p. 339. La fattispecie riguardava la proiezione di film osceni da parte di questo ente qualificato come agent of the crown. In virtù di tale qualifica, l’ente aveva fatto valere la propria immunità, ma il rilievo venne respinto in quanto la società, nel proiettare film osceni, aveva agito al di fuori delle proprie competenze. 32 Si confrontino sul punto tra le altre le decisioni, Mersey Docks and Harbour Bd. V. Cameron, in «Clark & Finnelly’s House of Lords Reports New Series», 1, 1865, p. 443, e Middlesex County Council v St. George’s Union, in «Law Reports Queen’s Bench Q.B. 64 (c.a.)», 1897, p. 1. 33 Esemplificativa al riguardo la decisione Tamlin v Hannaford risalente al 1950 nella quale si legge che la British Transport Commission non è mandatario della Corona in quanto esercita funzioni di natura commerciale. Il solo fatto che la renderebbe mandatario della Corona è la circostanza che essa è controllata dal Ministero dei Trasporti, ma tale cricostanza non pare decisiva ai fini della qualificazione in senso «pubblicistico». Tamlin v Hannaford (1950) Court of Appeal, in «Law reports», King’s Bench, k.b., 1, p. 18. 31 228 E. Pavanello È stato osservato criticamente34 che il function test condurrebbe a soluzioni contraddittorie in quanto non sarebbe mai possibile assimilare in tutto e per tutto la posizione del Governo a quella delle società private: anche laddove, infatti, un ente pubblico acceda ad attività commerciali, lo stesso non sarà motivato unicamente da fini di lucro, così come avviene per una società di diritto privato, ma − pare doversi ritenere − dovrà evidentemente prendere in considerazione anche l’interesse pubblico nel quale agisce. 3.3. Il controllo esercitato sull’ente «pubblico» da parte del Governo. Secondo il criterio del controllo, un ente è mandatario della Corona e, pertanto, è titolare delle relative prerogative, qualora il Governo eserciti sullo stesso un certo grado di vigilanza. Al fine di verificare quale sia il controllo necessario e sufficiente che l’Esecutivo deve esercitare rileveranno, ad esempio, la possibilità di un Ministro di nominare i componenti della compagine societaria, il diritto di ricevere informazioni circa la gestione dell’attività sociale, l’eventuale titolarità dello Stato del capitale sociale. Dalla lettura delle decisioni che hanno preso in considerazione la questione non è comunque chiara l’intensità di controllo cui si fa riferimento: la tendenza pare essere quella di considerare operante l’immunità solo laddove vi sia una vigilanza molto serrata da parte dell’esecutivo sull’attività dell’ente stesso. Uno dei leading case in materia è rappresentato dalla decisione della Corte d’Appello del New South Wales, Metropolitan Meat Industry Board v. Sheedy, risalente al 1927. Nel caso di specie, i membri del Consiglio di amministrazione della società erano di nomina pubblica, ad opera del governatore di New South Wales e tanto il Governatore quanto il Ministro avevano poteri diretti all’interno del Consiglio. Nonostante ciò, la Corte ha ritenuto di escludere la qualifica dell’ente come mandatario della Corona sulla base del fatto che il Consiglio disponeva di propri poteri autonomi e poteva agire in modo discrezionale senza dover previamente consultare i rappresentanti della Corona35. Nella sentenza R. v Forest protection Ltd., emessa dalla Corte d’Appello canadese di New Brunswick, i Giudici hanno riconosciuto l’esistenza di diversi criteri per determinare la natura di mandatario della Corona di un determinato ente pubblico e, segnatamente, quelli della natura e delle funzioni svolte, del grado di controllo eserHogg, Monahan, Liability of the Crown, cit., p. 334. Metropolitan Meat Industry Board v Sheedy, in «Law Reports, Appeal Cases», 1927, p. 899. Ha fatto applicazione del medesimo principio richiamandosi espressamente a questo precedente anche la decisione della Corte Suprema canadese Perehinec v. Northern Pipeline Agency, in «Canada Law Reports, Supreme Court, r.c.s.», 1983, p. 2. 34 35 L’ordinamento inglese 229 citato dal Governo e dei poteri che sono conferiti allo stesso, ma hanno poi ritenuto applicabile esclusivamente il criterio del controllo da parte dell’esecutivo36. Il Giudice dovrà considerare il controllo di diritto (quello cioè che il Governo ha il potere legale di esercitare) e non quello di fatto che l’esecutivo può eventualmente esercitare sull’ente. Da quanto sopra emerge, dunque, che l’immunità di cui gode la Corona vale anche per quelle persone giuridiche che, o sulla base di quanto disposto dallo statuto o alla stregua dei criteri sin qui indicati, sono qualificabili come agenti della Corona. 3.4. Gli enti che non fanno parte della Corona: governo locale e industrie nazionalizzate. Si ritiene interessante sottolineare come altri enti, pure pubblici, non rientrino nel concetto di Corona. Questo è il caso innanzitutto del local government: si tratta di persone giuridiche istituite mediante legge, dotate di autonoma personalità giuridica che non fanno parte del Governo centrale (la disciplina applicabile è contenuta nel Local Government Act del 1972 e successive modifiche)37. I poteri di cui esse sono dotate derivano o da leggi generali di diritto pubblico o da specifici Atti del Parlamento e, in quanto persone giuridiche, sono sottoposte alle norme di diritto civile e penale cui sono sottoposte le persone giuridiche di diritto privato, con la conseguenza che non sono soggette all’immunità di cui gode la Corona38. Alla stregua di tale principio nel 1974 lo West Mersea Urban District Council è stato condannato per non aver fornito l’acqua così come avrebbe dovuto ad un utente39 e nel 1982 il London Borough of Southwark è stato condannato ad una multa di £ 2.000 per non aver provveduto a rimuovere una catasta di sabbia sulla strada, causa della morte di un uomo40. R. v Forest Protection, in «CarswellNB», 1979, 274, par. 29. I Giudici hanno ritenuto che il grado di controllo esercitato dal Governo sulla società fosse così incisivo da renderlo paragonabile a quello che il Governo esercita sui propri dipendenti, persone fisiche e, così, hanno qualificato la società come mandatario della Corona. Da tale qualifica è discesa l’immunità della società con riferimento all’applicazione del Pest Control Products Act espressamente non applicabile alla Corona (di converso la società non è stata ritenuta esente dall’applicazione del Fisheries Act, di cui si contestava altresì la violazione nel caso di specie,atteso che tale Atto prevedeva espressamente di vincolare la Corona). 37 Cfr. Ch. Cross and S. Bailey, Cross on Local Government Law, Sweet & Maxwell, London 1986, p. 2. secondo cui «The term local authority is applied to principal councils and to the councils of parishes and communities. Joint authorities and residuary bodies are treated als local authorties for specified purposes. All these authorities are corporate bodies and have the characteristics of corporations […] One feature common to local authorities is their corporate status». 38 In questo senso, M. Sunkin, Crown immunity from criminal liability in English Law, in «Public Law», 2003, p. 716, sub nota n. 4. 39 West Mersea Urban District Council v Fraser, in «All Englands Law Reports», 1, 1950, p. 990. 40 Il caso è citato in Foulkes, Administrative law, cit., p. 511-512, il quale indica tuttavia che diversamente nei casi Leeds City Council v West Yorkshire Police, in «Law Reports Appeal Cases» 1, 1983, 36 230 E. Pavanello Con il concetto di nationalised industries si fa, invece, tradizionalmente riferimento a quelle società controllate dallo Stato il quale, pel tramite del Ministro, nomina i responsabili e amministratori. Questi ultimi hanno il dovere di gestire la società nel rispetto di una serie di obblighi imposti dal Ministro stesso, il quale è responsabile in Parlamento per le decisioni che sono state adottate in seno alla società41. Le società che fanno parte di questa categoria sono ad esempio la British Railways , il London Regional Transport e il Post Office. Anche se la loro importanza sta diminuendo in ragione della crescente privatizzazione cui sono state sottoposte negli ultimi anni, degno di nota è il fatto che esse non sono considerate Crown bodies (salvo naturalmente che ciò sia espressamente indicato o che alla stregua del control test i Giudici ritengano praticabile tale qualifica). Al pari di qualsiasi altra corporation, pertanto, sono sottoposte alle norme di diritto civile e penale. 4. L’irresponsabilità assoluta della Corona e degli enti della Corona. In Inghilterra per lungo tempo ha trovato riconoscimento il principio dell’assoluta immunità della Corona e dei crown bodies, non solo in materia penale, ma anche in diritto civile. Infatti, affinché uno statute sia applicabile alla Corona, deve esservi un’espressa indicazione in tal senso. Basti pensare che sino all’introduzione del Crown Proceedings Act nel 1947 si riteneva che la Corona non rispondesse del proprio operato nemmeno in ambito di tort42. Il principio the king can do no wrong ha origini antiche e risale al periodo del feudalesimo, quando il monarca veniva considerato come colui che dispensava giustizia e, in quanto tale, non poteva essere perseguito penalmente43. Egli, dunque, non disponeva dei poteri per compiere attività illecite e, per tale ragione, non poteva mai p. 29 e R v Horseferry Ropad Magistrate Ct, ex Broadcasting Authority, in «Law Reports Queen’s Bench», p. 54, si è ritenuto di non poter procedere nei confronti delle autorità pubbliche coinvolte. In Canada, è lo stesso art. 2 del codice penale ad includere espressamente le autorità locali all’interno dei soggetti che possono essere soggetti attivi del reato. Critico tuttavia riguardo alla prospettiva che anche i comuni possano essere perseguiti penalmente Beliveau, La responsabilité pénale des corporations en droit canadien, cit., 6-7, il quale rileva che non esiste giurisprudenza sul punto. L’autore ritiene che la possibilità di perseguire dette persone giuridiche di diritto pubblico che non sono emanazione della Corona potrebbe rivelarsi controproducente: se da un lato, infatti, il ruolo economico che le stesse rivestono potrebbe deporre in favore di una loro responsabilità, quest’ultima comporterebbe l’inflizione di una sanzione che verrebbe in sostanza pagata dai cittadini innocenti la cui unica colpa è quella di risiedere in un determinato luogo e si tradurrebbe nella semplice trasmissione di fondi da un’autorità locale all’altra. 41 Così Foulkes, Administrative law, cit., p. 31. 42 Si confronti sul punto Foulkes, Administrative law, cit., p. 466-467. 43 In questo senso si confronti Sunkin, Crown immunity from criminal liability in English Law, cit., p. 720. L’ordinamento inglese 231 essere perseguito (l’interpretazione è riconducibile in particolare ai giuristi medievali). Il principio è stato successivamente inteso nel senso che qualunque azione posta in essere dal Re fosse legittima, in quanto Egli rispetta i principi di legge. Nemmeno in questo secondo senso si porrà il problema della sottomissione del Sovrano alla legge penale per ragioni, tuttavia, diverse rispetto alla prima interpretazione indicata: vi è, infatti, una sorta di «presunzione» di legittimità dell’azione posta in essere dal monarca anche se in principio il Re, nell’ambito delle proprie competenze, potrebbe porre in essere attività illecite. La natura di questa immunità ancorché simile, coinciderebbe solo in parte con l’immunità conferita ai capi di Stato nel diritto internazionale perché diverse sono le ragioni sulla cui base essa è attribuita. La crown immunity, infatti, è personale della Corona in un duplice senso: essa mira a proteggere la persona che esercita le funzioni di Sovrano e l’istituzione della monarchia in quanto tale. L’immunità concessa ai capi di Stato a livello internazionale sarebbe, invece, personale unicamente nel primo senso e mira a proteggerli in quanto personificazione dello Stato44. Il principio dell’immunità penale della Corona che per anni è stato riconosciuto come valido anche dalla giurisprudenza, è stato in parte scalfito dall’introduzione del Corporate Manslaughter and Corporate Homicide Act che, seppure con le limitazioni di cui si dirà, prevede espressamente che anche gli enti della Corona, come ad esempio i dipartimenti governativi, possano essere puniti in relazione alla nuova fattispecie introdotta. 4.1. Le affermazioni giurisprudenziali circa l’irresponsabilità penale della Corona. Tradizionalmente si ritiene che il principio dell’immunità della Corona dall’azione penale abbia trovato riconoscimento giurisprudenziale in un caso che la letteratura inglese cita a sostegno dell’impossibilità di perseguire la Corona nelle ipotesi di strict liability offences. Si tratta del caso Cain v Doyle45 deciso dalla Corte australiana in cui veniva in rilievo la responsabilità della Corona per il tramite del responsabile di uno stabilimento governativo di munizioni, accusato di aver favorito la commissione di un reato previsto dal Commonwealth australiano. Nel caso di specie non vi era alcun dubbio che lo statute di cui si contestava la violazione vincolasse la Corona, atteso che ciò veniva indicato espressamente nel testo legislativo. La questione verteva, dunque, intorno alla responsabilità penale della persona giuridica che godeva degli attributi della Corona, in presenza di uno statute che la rendeva direttamente destinataria del precetto normativo. 44 45 Sunkin, Crown immunity from criminal liability in English Law, cit., p. 722 e 724. Cain v Doyle, in «Criminal law review», 1946, p. 409. 232 E. Pavanello L’opinione espressa sul punto dai giudici è stata diversificata. La posizione più critica è stata espressa dal giudice Latham il quale ha ritenuto che il fatto che fosse stata ammessa la responsabilità per tort nei confronti della Corona, non costituiva ragione per estendere detta responsabilità anche in ambito penale. Egli ha motivato la propria posizione rilevando che la Corona, ove condannata, avrebbe perseguito se stessa e ciò avrebbe attentato alla King’s peace; in secondo luogo, egli ha ritenuto che l’eventuale irrogazione di una sanzione pecuniaria al Governo si sarebbe tradotta in un’auto-condanna poiché l’Esecutivo avrebbe pagato a se stesso la sanzione pecuniaria. L’impossibilità di procedere penalmente nei confronti della Corona è stata motivata anche in ragione del fatto che, laddove la sanzione prevista fosse stata la reclusione, essa non avrebbe potuto essere applicata nei confronti dell’ente giuridico. Due diversi giudici componenti del collegio, pur ammettendo la possibilità che lo statute trovasse applicazione in ogni sua parte anche nei confronti della Corona e dei suoi organi, hanno ritenuto che le argomentazioni volte a sostenere la posizione contraria dovessero prevalere. Innanzitutto, essi hanno messo in rilievo come non vi fossero precedenti di condanna nei confronti della Corona, il che doveva far deporre nel senso dell’impossibilità di procedere penalmente. In secondo luogo, hanno ritenuto insuperabile l’argomentazione secondo cui il Ministero del Tesoro avrebbe dovuto, di fatto, pagare la sanzione a se stesso e hanno concluso quindi nel senso che sarebbe stato più opportuno infliggere la sanzione penale alle sole persone fisiche componenti l’ente de quo. Infine, due giudici hanno ammesso expressis verbis la possibilità che anche la Corona fosse perseguita penalmente, ritenendo pienamente ammissibile che un organo sovrano statuisca dei diritti e delle obbligazioni nei suoi confronti, sottoponga la determinazione di detti diritti ed obblighi alle Corti e stabilisca i mezzi per dare applicazione agli stessi. La maggioranza dei Giudici ha concluso, tuttavia, che la Corona (rectius, la persona giuridica che disponeva delle prerogative della Corona), nel caso di specie, non potesse essere condannata penalmente per il fatto, adducendo tuttavia impostazioni teoriche e motivazioni di natura diversa. Ad opinione di alcuni commentatori la sentenza, se letta nel modo corretto, porterebbe ad un risultato opposto rispetto a quello al quale tradizionalmente si ritiene conduca. Infatti, la maggioranza dei giudici non avrebbe escluso che la Corona possa essere responsabile penalmente del proprio operato, l’unica posizione preclusiva della possibilità di prevedere una simile responsabilità essendo stata espressa dal giudice Latham46. In particolare, nel criticare la decisione, è stato osservato come in un’epoca in cui i dipartimenti governativi e molte società indipendenti controllate direttamente o indirettamente dal Governo, assumono un numero crescente di funzioni e respon46 In questo senso Hogg, Monahan, Liability of the Crown, cit., p. 315. L’ordinamento inglese 233 sabilità nella vita sociale ed economica, non sia possibile giustificare un’immunità dall’azione penale che ha come scopo stigmatizzare il loro comportamento47. In questa prospettiva, il tradizionale fondamento volto a sostenere l’impianto dell’immunità dall’azione penale della Corona e dei suoi organi non si rivelerebbe così solido come si vorrebbe pensare. Il che dovrebbe indurre a rivedere le posizioni preclusive dell’esercizio dell’azione penale. 4.2. Recenti pronunce e nuove previsioni degli statute: prime indicazioni verso il superamento del principio dell’irresponsabilità penale della Corona. Le critiche espresse in relazione alla sentenza Cain v Doyle e l’esito di alcune recenti pronunce da parte delle giurisdizioni di common law – di cui si darà conto nel presente paragrafo − dimostrano come si cominci a fare strada l’idea che anche la Corona48, al pari degli altri soggetti fisici e giuridici, sia responsabile penalmente del proprio operato. A testimonianza di ciò starebbe, inoltre, la tendenza emersa in Inghilterra negli ultimi anni di indicare negli statute che disciplinano alcune ipotesi di strict liability offences la Corona come destinataria dell’atto stesso. Sul fronte giurisprudenziale viene in rilievo un caso analizzato dalla Corte Suprema australiana49, il quale trova origine dal ricorso presentato dal signor Bropho, cittadino australiano di origini aborigene, nei confronti dello Stato dell’Western Australia e della società Western developement Corporation. A suo dire, infatti, gli imputati avevano violato la sezione 17 dell’Aboriginal Heritage Act del 1972 in quanto intendevano sfruttare alcuni terreni che si trovavano nella zona dell’ovest dell’Australia e che, ai sensi della citata legislazione, erano protetti in quanto facenti parte della zona aborigena. La Western Australia Development Corporation era stata chiamata in causa, in quanto era la società istituita con l’Western Australia Developement Corporation Act del 1983 con lo scopo generale di promuovere lo sviluppo economico nell’ovest W. Friedmann, Law in a changing society, Stevens, London 1972, p. 211. Analogamente con riferimento all’ordinamento canadese M. Belanger, La responsabilité de l’Etat et ses sociétés en environnement, in Droits de la personne: l’émergence de droits nouveaux, Les éditions Yvon Blais Inc., 1992, p. 417 che considera la subordinazione dello Stato alla responsabilità civile e penale una condizione essenziale affinché i cittadini dispongano della fiducia nelle istituzioni che li rappresentano. Si interrogano sulla questione M. Andenas, D. Fairgrieve, Reforming crown immunity – the comparative Law perspective, in «Public Law», 2003, p. 730 ss., i quali si chiedono se «can or should the state or public authorities be held criminally liable?» e ritengono alla luce delle esperienze di diritto comparato che gli argomenti tradizionalmente invocati ad ostacolo di una simile responsabilità dovrebbero essere superati in ragione del fatto che lo Stato, in quanto tale, non può e non deve godere di privilegi. 48 La Corona viene naturalmente utilizzata sempre nel senso ampio comprensivo anche di quelle persone fisiche e giuridiche che sono qualificati come crown bodies. 49 Bropho v State of Western Australia and other, in «Commonwealth law Report», 171, p. 1. 47 234 E. Pavanello dell’Australia, attraverso attività di varia natura. Secondo quanto espressamente stabilito dallo Statuto, la società era agent of the Crown per cui avrebbe goduto dell’immunità propria della Corona. Tuttavia, la High Court ha ritenuto di poter condannare la società − rectius i dipendenti e i funzionari di quella società − in quanto ha stabilito che vi fosse un chiaro proposito legislativo di vincolare la società alla disposizione normativa. Dalla lettura della motivazione della Corte emerge come la maggiore preoccupazione dei Giudici, nel rendere la propria decisione, sia stata quella di evitare che l’immunità trovasse un terreno di fertile applicazione nel contesto australiano, laddove molte società che ruotavano intorno all’ambito governativo pongono in essere attività di carattere commerciale. Sarebbe stato limitativo, oltre che ingiusto, esonerare da responsabilità dette società per il semplice fatto che esse sono agent of the crown. La sentenza viene invocata a sostegno del fatto che laddove lo statute lo indichi espressamente, la Corona è vincolata allo stesso anche agli effetti penali50. Tuttavia da tale principio non potrebbe automaticamente discendere la responsabilità penale della Corona51. Infatti, la sentenza ha addotto ragioni di opportunità più che di sostanza, riferendosi al fatto che l’applicazione del principio dell’immunità condurrebbe a risultati non auspicabili laddove applicato nel territorio australiano, ove operano molte società emanazione della Corona. A ben vedere poi la High Court, per quanto concerne il profilo penale che più strettamente ci occupa, ha ritenuto che la legislazione in oggetto fosse applicabile ai funzionari e agenti della società ma non alla società stessa. Con ciò i Giudici hanno fatto applicazione dell’art. 17 dell’Aborigenal Heritage Act che prevede la sua applicazione per le «natural persons» e non contempla, invece, le ipotesi di responsabilità penale delle corporations. Con il che evidentemente viene sensibilmente sminuito il risultato della pronuncia, dettato da ragioni di carattere equitativo, più che da un meditato orientamento interpretativo. Due ulteriori casi vengono, poi, invocati a fondamento di un’apertura rispetto all’immunità assoluta della Corona. Nel primo, si contestava la violazione da parte di una società canadese, agent of the Crown, del Sunday Observance Act. Quattro dei sette giudici che componevano la Corte hanno ritenuto che fosse possibile perseguire la Corona, ma che per fare ciò lo statute avrebbe dovuto prevederlo in modo espresso. Nel caso specifico si è ritenuto che lo statute non intendesse vincolare la Corona e, per tale, ragione non si è proceduto nei suoi confronti52. In questo senso Hogg, Monahan, Liability of the Crown, cit., p. 315. S. Kneebone, The Crown’s presumptive immunity from statute: new light in Australia, in «Public Law», 1991, p. 368. 52 Il caso cui si fa riferimento è Canadian Broadcasting Corporation v. Attorney General for Ontario,, 1959, Canada Law Reports, Supreme Court, 188 r.c.s., 188, ed è citato in Hogg, Monahan, Liability of the Crown, cit., p. 315, i quali ritengono di poter offrire questa interpretazione della pronuncia. 50 51 L’ordinamento inglese 235 Il secondo caso invocato è, invece, stato oggetto di esame da parte di una Corte neozelandese, la quale, nella motivazione della sentenza, ha ritenuto che la Corona possa essere considerata responsabile penalmente, ma che ciò costituisca un problema di interpretazione dello statute. Tuttavia, anche in questo caso specifico, si è ritenuto che la Corona non fosse vincolata dal testo legislativo53. Le pronunce sin qui analizzate se, da un lato, hanno avuto il merito di indicare che uno statute può vincolare la Corona anche laddove contenga previsioni penali, dall’altro, non costituiscono indice certo di una modificazione dell’orientamento che considera l’immunità una prerogativa irrinunciabile per i crown bodies. Come sopra accennato, poi, diversi statute (che prevedono anche sanzioni penali) in Inghilterra hanno negli ultimi anni espressamente dichiarato la loro applicabilità alla Corona. Con riferimento alla possibilità di dichiarare quest’ultima penalmente responsabile, si sono tuttavia dimostrati più restii e hanno adottato un approccio di compromesso in base al quale nel caso in cui la Corona non adempia a quanto previsto nello statute si procederà a una dichiarazione di non adempimento (non compliance) piuttosto che a una vera e propria condanna sul piano penale54. Da sottolineare, inoltre, il fatto che le pronunce sino ad ora esaminate fanno riferimento unicamente ad ipotesi di strict liability offences. Sulla possibilità di perseguire gli enti della Corona in ipotesi di mens rea, non si segnalano precedenti. Interessante tuttavia, l’opinione di parte della dottrina secondo cui, alla luce delle recenti pronunce giurisprudenziali qui esaminate, la Corona è soggetta alle sanzioni penali previste per statute sia in ipotesi di strict liability offences, quanto in caso di mens rea offences, non sussistendo ostacoli nel configurare la responsabilità della Corona anche in queste ipotesi55. Sarà tuttavia necessario identificare il dipartimento governativo che è responsabile per l’attività in discorso; identificare il Ministro o l’ufficiale di tale dipartimento che costituiscono i directing mind dell’attività e stabilire se la persona in questione disponga del necessario state of mind. A parere di chi scrive queste (timide) indicazioni circa l’opportunità di escludere l’immunità dei crown bodies hanno trovato definitiva consacrazione nel Corporate manslaughter and Corporate homicide Act di cui diremo infra. Sothland Acclimatisation Society v Anderson and the Minister of Mines, in «New Zeland Law Reports», 1978, p. 838. 54 Esemplificativo al riguardo l’articolo 54 del Food Safety Act del 1990. Esso dispone che le previsioni dello statute (il quale introduce una serie di offences in materia di diritto alimentare volte a tutelare il consumatore da possibili abusi) vincolino la Corona. Tuttavia, il secondo comma dell’articolo aggiunge che nessuna violazione delle disposizioni citate possono rendere la Corona responsabile penalmente; la High Court e, in Scozia, la Court of Session potranno unicamente dichiarare che la stessa ha agito o ha omesso di agire contravvenendo alle disposizioni di legge. 55 Hogg, Monahan, Liability of the crown, cit., p. 316-317. 53 236 E. Pavanello 5. Gli argomenti addotti a favore dell’irresponsabilità penale. L’asserita “impossibilità” per la Corona di commettere illeciti. Dall’analisi delle sentenze sin qui citate emerge come sostanzialmente tre siano le ragioni che conducono a ritenere la Corona esente dalla responsabilità penale. Innanzitutto, il principio secondo cui The king can do no wrong ha indotto a ritenere che la Corona non può porre in essere alcuna azione penalmente illecita. Si parte cioè dal presupposto che la legittimità dell’azione del Sovrano e degli organi che rappresentano la monarchia non possa essere contestata. È invece possibile perseguire i funzionari pubblici in quanto persone fisiche, anche se non sono mancate voci critiche in ragione del fatto che i civil servants «it seems» are not libale for crimes committed in their representative (official) capacities56. Particolarmente rilevante al riguardo un passaggio della sentenza Home Office che, pur riguardando l’ipotesi di responsabilità civile del Governo, ben esprime le preoccupazioni connesse alla possibilità di perseguire la Corona. Dopo aver dichiarato che la Corona, in quanto tale, can do no wrong, viene affermato che «a litigant complaining of a breach of the law by the executive can sue the Crown as executive bringing his action against the minister who is responsible for the departement of State involved»57. Ciò sarebbe di per sé sufficiente a garantire che il reato eventualmente commesso venga punito. Critiche al riguardo sono state avanzate in ragione della contraddittoria posizione attribuita alla Corona, cui viene riconosciuta la piena personalità giuridica quando debba concludere un contratto e nel contempo detta personalità viene negata quando debba rispondere penalmente o civilmente del proprio operato. Inoltre, la responsabilità di un Ministro non sarebbe sufficiente a escludere la contemporanea responsabilità della Corona, non esistendo alcuna preclusione al riguardo. In questa prospettiva, la Corona potrebbe essere giudicata davanti alle Corti, senza che ciò rechi attentato ai principi della separazione dei poteri o allo status di cui è titolare la Corona stessa58. Inoltre, taluni hanno rilevato che la possibilità di perseguire lo Stato o gli enti pubblici contribuirebbe sicuramente a dare applicazione al principio di eguaglianza tra i diversi soggetti giuridici e costituirebbe manifestazione della riprovevolezza della condotta posta in essere59. Halbury’s Laws Of England, Lord Lester of Herne Hill and D. Oliver editors, 1998, 4th edition Butterworths, vol. 8 (2), para. 388. 57 House of Lords, M. v Home office, in «Law Reports Appeal Courts», 1, 1994,p. 395. 58 S. Sedley, The Crown in its own Courts, in C. Forsyth, I. Hare, The golden metwand and the crooked cord, Christopher Forsyth, Ivan Hare, Oxford 1998, p. 253 ss. 59 Sul punto si confrontino Andenas, Fairgrieve, Reforming crown immunity – the comparative Law perspective, cit., p. 752. 56 L’ordinamento inglese 237 5.1. L’impossibilità per la Corona di perseguire se stessa e l’asserita inutilità dell’applicazione di una sanzione pecuniaria. Ostacoli alla perseguibilità della Corona sono stati avanzati anche in ragione dell’asserita impossibilità di perseguire se stessa60. Infatti, il Crown Prosecution Office detiene il monopolio dell’esercizio dell’azione penale. Si finirebbe, quindi, per creare una sovrapposizione tra autorità procedente e soggetto perseguito. Correlata a questa argomentazione emerge l’idea che il principio della separazione dei poteri non consenta di perseguire un ente che opera ed è stato creato in nome della Corona. Anche nell’ordinamento inglese è venuta in rilievo, sotto il profilo sanzionatorio, la difficoltà di applicare una sanzione pecuniaria alla Corona. Nella sentenza Cain v Doyle il giudice Latham ha ritenuto che non vi fosse alcuna ragione che legittimasse il pagamento da parte del Commonwealth di un’ammenda a se stesso61. Critiche a questo principio sono state espresse da parte della dottrina, la quale ha ritenuto che non vi sia nulla di controproducente nel prevedere il pagamento di una sanzione con un passaggio di denaro da un dipartimento governativo all’altro62. Particolarmente rilevante una pronuncia della Corte Canadese, R. v Right in British Columbia63, in cui la Corte ha affermato come vada contestata la posizione della difesa, società agent of the Crown, secondo cui un’eventuale condanna al pagamento di una sanzione pecuniaria non troverebbe fondamento perché i cittadini di fatto pagherebbero la sanzione inflitta. La sanzione pecuniaria costituisce infatti, a parere della Corte, un chiaro segno di disapprovazione della condotta della società. In ogni caso, nell’ipotesi di uno Stato federale laddove sia condannato un ente provinciale, la multa dovrà essere corrisposta alla Corona federale, per cui non si porrebbero problemi di identità tra soggetto che effettua il pagamento e soggetto che lo riceve. L’unica ipotesi di identità si potrebbe verificare nel caso in cui fosse un ente federale ad essere sottoposto alla sanzione. Ma anche in questo caso, l’effetto stigmatizzante della sanzione dovrebbe prevalere. Essa costituirebbe infatti uno stimolo per i funzionari pubblici a rispettare le procedure previste dalla legge, soprattutto laddove, come avveniva nel caso di specie, si trattava di ipotesi di inquinamento ambientale che offendeva l’interesse di tutti i cittadini. Si confronti Cain v Doyle, in «Common Law Report», 72, 1946, p. 418. Cain v Doyle, cit., p. 418. 62 Si veda sul punto lo studio dell’Australian Institute of Criminology: Government illegality, edited by P. Grabosky, Canberra, Australian Institute of Criminology, 1986, p. 130-138, in cui si analizzano le argomentazioni che vengono tradizionalmente addotte per negare sotto il profilo sanzionatorio la possibilità di procedere nei confronti delle entità governative. Lo studio conclude nel senso che le motivazioni citate sono infondate e si auspica che, in ragione della maggiore efficacia di cui le stesse godono,si prevedano delle «ingiunzioni penali» volte ad esempio a prevedere delle riforme istituzionali all’interno dell’ente per prevenire il verificarsi di futuri illeciti. 63 R. Right in British Columbia, cit., par. 35. 60 61 238 E. Pavanello 6. L’introduzione del reato di omicidio colposo per le persone giuridiche (corporate manslaughter) e il (parziale) superamento dell’immunità dei Crown bodies. La crescente consapevolezza della crisi di effettività del modello dell’identification theory di responsabilità degli enti in caso di incidenti con conseguenze mortali, ha condotto il legislatore inglese a un ripensamento della responsabilità degli enti con riferimento alle ipotesi di omicidio. Condotte che nel passato si consideravano semplicemente frutto di un errore umano, oggi si ritengono meritevoli di sanzione penale64 e hanno palesato la necessità di adottare una riforma efficace65. Prima dell’introduzione del reato di corporate manslaughter, l’ordinamento inglese conosceva diverse forme di omicidio. La più grave è il murder in base al quale viene punito il soggetto agente che ha provocato la morte di una persona che egli aveva effettivamente la volontà di uccidere. L’altra ipotesi è invece quella di manslaughter che si distingue in voluntary − quando il reo intendeva causare la morte della vittima o procurarle delle lesioni, ma non è integrata l’ipotesi di murder − e involuntary, in cui non vi è intenzione del soggetto agente di uccidere. Quest’ultima forma di manslaughter, a sua volta si distingue in unlawful act manslaughter, quando la persona che ha causato la morte del soggetto lo ha fatto in esecuzione di un’attività che normalmente porta con sé il rischio di cagionare lesioni, e gross negligence manslaughter, la quale è di più difficile definizione ma può essere in via di semplificazione ricondotta a quelle ipotesi in cui il reato è posto in essere da chi ha causato la morte di un soggetto per grave negligenza. Nel corso degli anni la realtà ha dimostrato come l’applicazione dell’ipotesi di manslaughter nei confronti delle persone giuridiche fosse particolarmente difficile, in considerazione delle limitazioni che presentava il modello della identification theory. Il risultato è stato che solo in poche occasioni le Corti inglesi hanno provveduto a condannare delle persone giuridiche per manslaughter. Il più delle volte quando si sono verificati disastri che hanno cagionato la morte di diverse persone, strettamente collegati al mancato rispetto delle misure di sicurezza necessarie per tutelare la salute degli individui, si è proceduto nei confronti della persona giuridica sulla base dell’Health and Safety Act del 1974. Tale atto consente di perseguire, infatti, gli enti sulla base del modello della vicarious liability, quando sia dimostrato che il datore di lavoro ha violato l’obbligo di tutelare, per quanto possibile, la salute, la sicurezza e il benessere al lavoro di tutti i suoi dipendenti. L’organo preposto ad assicurare l’esecuzione di tale normativa è l’Health and Safety Executive (hse)66, il quale ha il potere di indicare alle C. Wells, Corporate manslaughter: a cultural and legal form, in «Criminal Law Forum», 1995, p. 45 ss. Cfr. D. Bergman, Manslaughter and corporate immunity, in «New Law Journal», 2000, p. 316 ss. parla di un «desperate desire for reform». 66 Si tratta di un ispettorato che si occupa dell’attuazione della normativa in materia di sicurezza. In relazione all’attività svolta dall’Istituto si veda E. Fronza, La tutela della sicurezza del lavoro in Inghilterra, 64 65 L’ordinamento inglese 239 società quali questioni meritino da parte loro particolare attenzione sotto il profilo della sicurezza nonché di svolgere le indagini che condurranno all’apertura di un procedimento penale nei confronti della società stessa. Nei pochi casi in cui le indagini dell’hse hanno condotto a perseguire le persone giuridiche, le sanzioni inflitte sono state pene pecuniarie di non rilevante entità67. Le violazioni di norme relative alla sicurezza e alla salute, normalmente conducono all´imposizione di sanzioni amministrative e possono dare luogo al risarcimento dei danni sotto il profilo civilistico68. La constatazione dell’incapacità del diritto penale di porre rimedio a gravi negligenze delle persone giuridiche – con esiti spesso mortali – ha condotto all’introduzione di una nuova fattispecie di corporate manslaughter, affatto diversa rispetto a quella prevista dalla common law, costruita in modo tale da superare gli ostacoli che sino ad oggi si ponevano alla perseguibilità delle persone giuridiche, al fine di punire gli enti in relazione alle condotte che dimostrino come non siano stati rispettati gli standard minimi relativi alla sicurezza69. Il Corporate Manslaughter and Corporate Homicide Act 2007 (in seguito, per brevità, cmch Act), entrato in vigore in Gran Bretagna il 6 aprile del 2008, è stato adottato dopo più di dieci anni dalla prima proposta legislativa70. La doppia denominazione, corporate and homicide, dipende dal fatto che in La riforma dei reati contro la salute pubblica, a cura di M. Donini, cedam, Padova 2007, p. 155 ss. 67 C.M.V. Clarkson, Corporate manslaughter: yet more Government proposals, in «Criminal Law Review», 2005, p. 677-678. 68 V. Howes, B. Wright Frank, Corporate manslaughter: an international perspective, in G. Forlin, Corporate Liability: work related deaths and criminal prosecutions, Forlin general editor, Lexisnexis, London 2003, p. 485 ss. 69 Per un commento alle raccomandazioni espresse sul punto dalla Law Commission inglese e scozzese che già prima dell’introduzione del nuovo reato si era espressa nel senso della necessità di una riforma, si vedano C. Wells, A new offence of corporate killing – the English Law Commission’s proposal, in A. Eser, G. Heine, B. Huber, Criminal responsibility of legal and collective entities. International colloquium, Iuscrim, Freiburg im Bresgau 1998, p. 119 ss. 70 La prima proposta della Law Commission, organo indipendente creato dal Parlamento che ha tra i suoi compiti quello di vagliare la legislazione esistente e di proporre eventuali riforme, risale al 1996 e si inserisce nell’ambito del progetto di studio di riforma del codice penale. In particolare, la Commissione intendeva introdurre la seguente fattispecie: «(1) Una società è responsabile di corporate killing se: (a) una carenza nell’amministrazione della società è la causa o una delle cause della morte di una persona e (b) questa carenza integra una condotta che rientra al di sotto di ciò che può ragionevolmente aspettarsi dalla società in dette circostanze. (2) Ai fini del paragrafo(1) che precede: (a) vi è carenza nell’amministrazione da parte della società quando il modo in cui essa amministra o gestisce le sue attività è tale da non riuscire ad assicurare la salute e la sicurezza delle persone dipendenti della società stessa o delle persone che sono interessate da dette attività; (b) tale carenza deve essere considerata come la causa della morte della persona nonostante la causa immediata sia l’azione o l’omissione di un individuo.» Sullivan, The attribution of culpability to limited companies, cit., p. 530 ritiene che l’espressione inglese utilizzata – management failure – si riferisse a un’ipotesi di carenza strutturale e organizzativa della 240 E. Pavanello diverse sono le tradizioni linguistiche degli ordinamenti locali: mentre in Inghilterra, Galles e Irlanda del Nord la denominazione è corporate manslaughter, in Scozia si fa riferimento al corporate homicide. 6.1. La responsabilità per il reato di corporate manslaughter sussiste quando una delle attività gestite o organizzate dal senior management causa la morte di una persona ed è dipesa da una grave violazione dell’obbligo di diligenza cui l’organizzazione era tenuta nei confronti della vittima. La nuova fattispecie costituisce una statutory offence, fondata – pare doversi ritenere – su un criterio corrispondente alla gross negligence. A differenza di quanto avveniva in passato per condannare una persona giuridica per omicidio involontario non sarà più necessario individuare una responsabilità personale di un soggetto posto al vertice della società71. Ai sensi dell’art. 1 del cmch Act l’organizzazione è responsabile del reato di omicidio colposo se le modalità attraverso le quali una delle attività di organizzazione sono gestite o organizzate della stessa: società stessa. Detta carenza era integrata quando la morte del soggetto non si sarebbe mai verificata se la società fosse stata organizzata in modo diverso per quanto concerne le misure di sicurezza e le misure a tutela della salute dei soggetti. Il progetto era stato rivisto attraverso un consultation paper dal Governo nel 2000 che rispecchiava la proposta della Law Commission, anche se indicava la necessità di estendere la nuova fattispecie agli undertakings, quali ospedali, scuole etc. Per un commento su tale testo si vedano tra gli altri: Sullivan, Corporate killing – some governmental proposals, in «Criminal Law review», 2001, p. 31-39; J. Gobert, Corporate killing at home and abroad- Reflesctions on the Governmental’s proposals, in «Law Quarterly review» vol. 118, 2002, p. 72 ss.; S. Parsons, The doctrine of identification, causation and corporate liability for manslaughter, in «The Journal of Criminal law», 2003, p. 69 ss. e V. Todarello, Corporations don’t kill people – peolple do: exploring the goals of the United Kingdom’s Corporate Homicide bill, in «New York Law School review», 2003, p. 851 ss., il quale ultimo aveva assunto una posizione molto critica con riferimento all’effettiva utilità di introdurre una fattispecie ad hoc per le persone giuridiche. Critiche al Progetto, ma per ragioni diverse, erano state avanzate anche da Clarkson, Corporate manslaughter: yet more Government proposals, cit., p. 569, il quale non metteva in discussione l’opportunità dell’adozione di questa forma di corporate killing ma riteneva limitativo introdurre la responsabilità esclusivamente per la fattispecie di omicidio. Detta consultazione ha dato poi origine nel 2005 alla redazione di un Draft Bill, successivamente emendato dalla House of Commons e trasmesso all’analisi della Camera dei Lords con il nome di Corporate manslaughter and Corporate Homicide Act 2006. Critico rispetto al testo da ultimo approvato in relazione alla mancata penalizzazione delle condotte dei dirigenti e dei senior managers, F.B. Wright, Criminal liability of Directors and Senior Mangers for Deaths at work, in «Criminal Law review», 2007, p. 950. 71 D. Castronuovo, La responsabilità dell’impresa come organizzazione complessa per i reati colposi: profili comparativi sulle recenti riforme introdotte in taluni Paesi dell’UE, in Il diritto penale nella prospettiva di riforma dei trattati europei, relazione al Convegno di studi di Verona (27-28 giugno 2008), p. 5. L’ordinamento inglese 241 a) causa la morte di una persona e, b) dipende da una grave violazione di un obbligo di diligenza (relevant duty of care) cui l’organizzazione era tenuta nei confronti della vittima. La fattispecie trova applicazione sia nei confronti delle persone giuridiche di diritto privato, ad eccezione delle persone giuridiche unipersonali, nonché nei confronti dei dipartimenti governativi o degli enti della Corona espressamente indicati nella lista annessa alla proposta di legge72, oltre che nei confronti delle forze di polizia. L’ente è responsabile solo nel caso in cui le modalità attraverso cui le sue attività sono organizzate o gestite dal senior management73 costituiscono un elemento sostanziale della violazione del dovere di diligenza sopra indicato. La pena prevista in caso di violazione della norma è la sanzione pecuniaria, la cui entità non è specificata (section 1,6)74. Inoltre, le Corti potranno imporre dei remedial orders, misure che le persone giuridiche dovranno adottare per rimediare alla violazione dell’obbligo di diligenza che è stato violato75, ovvero dei publicity orders, consistenti nel dare notizia della condanna inflitta76. La lista include tra gli altri l’Ufficio del Gabinetto, il Crown Prosecution Service, i vari dipartimenti governativi e diversi uffici statali, quali il Foreign and Commonwealth Office, l’Office of the Deputy of the Prime Minister, Departement for Transport. Il Segretario di Stato ha il potere, secondo quanto stabilito dall’art. 22, di modificare l’elenco dei soggetti responsabili con apposito provvedimento. 73 Con l’espressione senior management deve intendersi «the persons who play significant roles in (a) the making of decisions about how the whole or a substantial part of its activities are to be managed or organised or (b) the actual managing or organizing of the whole or a substantial part of those activities». Essa ha sostituito la precedente espressione senior manager per far fronte alle critiche avanzate circa la definizione del senior manager e la difficoltà di individuare i soggetti che hanno organizzato l’attività che ha determinato la morte della persona. S. Griffin, Corporate manslaughter: a radical reform?, in «Journal of Criminal Law», 71, 2007, p. 154 hanno rilevato che che il riferimento al senior management non introduce alcuna novità sostanziale, poiché seppure la nuova espressione ha il merito di porre l’accento sul fatto che al fine di stabilire la responsabilità della persona giuridica è necessario individuare una carenza in capo alla struttura di comando della stessa (e non ad esempio ad un junior manager), la definizione di senior management contenuta nel testo emendato è sostanzialmente analoga a quella di senior manager indicata nel precedente Draft Bill. 74 Sotto il profilo sanzionatorio è stato rilevato da E. Mujih, Sentencing for Health and Safety Offences: Is the Court of Appeal Going Soft?, in «Journal of Criminal Law», 72, 2008, p. 370, che le corti di merito hanno dimostrato nel corso degli ultimi anni di applicare agli enti pubblici sanzioni pecuniarie di minor entità rispetto a quelle applicate agli enti privati. A parere dello Studioso la ragione di ciò va rinvenuta nel fatto che i fondi per il pagamento della sanzione andrebbero rinvenuti nei fondi pubblici: si vuole evitare, dunque, che venga fatta ricadere sulla collettività il costo della sanzione. È da ritenere che analogo ragionamento verrà effettuato anche nell’applicazione di sanzioni in virtù del Corporate manslaughter act. 75 Castronuovo, La responsabilità dell’impresa come organizzazione complessa per i reati colposi, cit., rileva che il remedial order è istituto che presenta analogie con il sistema delle prescrizioni previsto nel nostro ordinamento dal d.lgs. 758/1994. 76 Secondo quanto indicato nelle linee guida del Ministero della Giustizia (A guide to the Corporate Manslaughter and Corporate Homicide Act 2007, reperibili nel sito <www.nio.gov.uk/corp_mans_ 72 242 E. Pavanello La nuova fattispecie dovrà trovare applicazione solo come ultimo rimedio, a integrazione delle ipotesi già previste nell’ordinamento da specifiche offences a tutela della salute e della sicurezza. Per tale ragione, anche se il cmch Act esclude la responsabilità delle singole persone fisiche che abbiano eventualmente favorito, consigliato, raccomandato la commissione del reato di corporate manslaughter, le stesse possono essere perseguite individualmente per il reato di manslaughter o per la violazione delle offences a tutela della salute e della sicurezza. Affinché la persona giuridica possa essere condannata, sarà necessario dimostrare la violazione dello specifico obbligo di diligenza cui era tenuta, violazione che ha causato la morte di una persona. La legge indica che l’ente è tenuto a rispettare il dovere di diligenza quando esso sussista «under the law of negligence» in relazione alla vita delle persone coinvolte nell’organizzazione. Detto obbligo sussiste in connessione a talune specifiche posizioni rivestite dal soggetto, ovvero quella di datore di lavoro che implica, ad esempio, la creazione di un ambiente di lavoro sicuro; quella di occupante di un determinato immobile che comporta la responsabilità per la sicurezza; quello di fornitore di merci o servizi che determina, ad esempio, il dovere della società di fornire prodotti sicuri e, infine, quella relativa a qualsiasi altra attività commerciale77. Si anticipa sin da ora che la legge espressamente esclude la sussistenza di un simile dovere di diligenza qualora venga in rilievo una attività di natura esclusivamente pubblica (public policy decision), inclusa in particolare la distribuzione di risorse pubbliche o la comparazione tra diversi interessi pubblici. Sono poi esclusi dal concetto di dovere di diligenza le funzioni che sono nelle prerogative della Corona o che per loro natura sono esercitabili solo attraverso l’autorità conferita dall’esercizio di queste prerogative o attraverso le previsioni statutarie (sul punto infra). La grave violazione (gross breach) di tale dovere di diligenza è integrata quando la condotta della persona giuridica si situa al di sotto di quanto ci si poteva legittimamente aspettare dall’ente in quelle circostanze. Il Giudice, nel valutare se vi sia stata gross breach, dovrà considerare l’eventuale violazione di norme relative alla salute e alla sicurezza e, in caso positivo, quanto grave sia stata questa violazione e se il senior management fosse a conoscenza della stessa o quantomeno avrebbe dovuto conoscerla78. leaflet_web_revised.pdf_9_oct_07-3.pdf>), la determinazione dell’entità della pena pecuniaria dovrà essere operata caso per caso dal giudice, in accordo con le sentencing guideline che dovranno essere adottate entro l’autunno del 2008. 77 Gli esempi citati erano espressamente indicati nel Corporate manslaughter: the Government’s Draft Bill reform, p. 36 ss. 78 Criticamente Clarkson, Corporate manslaughter: yet more Government proposals, cit., p. 682 ss. osserva che il concetto di condotta al di sotto di ciò che ci si poteva ragionevolmente aspettare dall’ente è vago e indeterminato. L’ordinamento inglese 243 6.2. L’inclusione della Corona tra i soggetti destinatari della nuova fattispecie. Limiti della disposizione. Con l’entrata in vigore del cmch Act, per la prima volta nella storia inglese, la Corona in quanto tale potrà essere perseguita penalmente. L’articolo 11 prevede, infatti, che an organization that is servant or agent of the Crown is not immune from prosecution under this Act for that reason79. L’articolo 11, al comma 2, specifica espressamente che, ai fini dell’atto, i dipartimenti governativi elencati nell’apposito allegato nonché le società che sono agent della Corona devono essere equiparati alle persone giuridiche di diritto privato. Tuttavia, a fronte di questa statuizione che consentirebbe di affermare il superamento del principio dell’immunità penale, quantomeno con riferimento al reato di corporate manslaughter, vengono poste una serie di limitazioni che, de facto, limitano fortemente la responsabilità penale degli enti emanazione della Corona. L’articolo 3 infatti, nel disciplinare il dovere di diligenza, dispone che un ente autorità pubblica80 non è tenuto a tale dovere qualora si tratti di questione attinente alla public policy, quando costituisca esercizio di una pubblica funzione o quando si tratti di ispezioni governative. È funzione pubblica quella attività che rientra tra le prerogative specifiche della Corona o è per sua natura esercitabile solo mediante poteri autoritativi espressamente conferiti. Resta salva, invece, la responsabilità della Corona quando l’ente assuma la qualità di datore di lavoro rispetto ai suoi dipendenti, nonché la qualifica di proprietario dell’immobile in relazione alla sicurezza dello stesso anche nel caso si tratti di esercizio di funzione pubblica. Esiste, inoltre, un’ulteriore limitazione alla responsabilità delle autorità locali e delle altre autorità pubbliche le quali non saranno tenute al dovere di diligenza in Peraltro, già il Draft Bill del 2005 prevedeva, in modo generale, «to the extent provided by this Act, it binds the Crown». 80 Per reperire una nozione di autorità pubblica occorre fare riferimento, all’articolo 6 dello Human Rights Act del 1998 il quale definisce tali le Corti, i Tribunali e qualsiasi persona le cui funzioni sono di natura pubblica. Lo Human Rights Act, entrato in vigore il 2 ottobre 2000, dà attuazione in Inghilterra alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, consentendo che i diritti in essa riconosciuti possano essere fatti valere davanti alle Corti inglesi. In particolare, l’Atto intende garantire che la legislazione inglese sia compatibile con i diritti dallo stesso riconosciuti e, come vedremo, una particolare sezione attribuisce ai cittadini la possibilità di ricorrere alle Corti per ottenere il risarcimento del danno nel caso in cui le autorità pubbliche abbiano agito illecitamente. Sullo Human Rights Act si vedano tra gli altri, senza pretesa di esaustività, D. Cheney, Criminal justice and the Human Rights Act 1998, Jordans, Bristol 2001; J. Wadham, H. Mountfield, A. Edmundson, Blackstone’s Guide to The Human Rights Act 1998, Oxford University Press, Oxford 2003; S. Grosz, J. Beatson, P. Duffy, Human Rights the 1998 Act and the European Convention, Sweet & Maxwell, London 2000; P. Chandran, A Guide to the Human Rights Act 1998, Butterworths, London 1998. 79 244 E. Pavanello relazione all’esercizio di quelle funzioni che hanno come scopo la protezione del minore o le attività esplicate dal probation service81. La legge esplicita chiaramente, quindi, che le decisioni che coinvolgono questioni di pubblico interesse sono al di fuori dello scopo dell’offence: non si ritiene, infatti, possibile per le Corti procedere ad una valutazione degli interessi pubblici che hanno determinato l’ente ad assumere una certa decisione, ancorché la stessa integri un illecito penalmente rilevante. Come indicato nelle note predisposte dal Ministero della Giustizia, la ragione di dette esclusioni va rinvenuta nel fatto che, in taluni casi, gli enti pubblici svolgono attività a beneficio della comunità nel suo complesso, piuttosto che limitarsi a fornire servizi ai singoli individui. Con particolare riferimento all’esclusione da responsabilità per fatti concernenti decisioni di politica pubblica il Ministero afferma che esse coinvolgono priorità di carattere pubblico o altre questioni di politica pubblica che non sono suscettibili di essere sottoposte al vaglio giudiziario82. Alla stregua di queste indicazioni, le persone giuridiche di diritto pubblico potranno essere perseguite nella misura in cui non esercitino una pubblica funzione e le autorità pubbliche potranno essere perseguite nella misura in cui non si tratti di questioni che concernono il pubblico interesse. Esiste quindi una sostanziale e incolmabile differenza tra enti di diritto pubblico, emanazione della Corona, ed enti di diritto privato non tanto in ragione della loro natura, quanto in relazione alla tipologia di attività svolte. Non sarebbe stato, infatti, auspicabile perseguire il Governo o altri enti pubblici nella misura in cui esercitino funzioni di natura esclusivamente pubblica (core public functions). Gli esempi citati già nel corso dei lavori preparatori in favore di tale assunto riguardano le attività svolte dal Governo in una situazione di emergenza civile o le attività connesse alla custodia dei detenuti. Nel caso in cui ad esempio si verifichino dei decessi in prigione ricollegabili ad una cultura illecita di impresa verranno eseguite indagini di natura pubblica i cui risultati saranno a disposizione dei cittadini. Con la conseguenza che in questi casi sarà «superfluo» l’esercizio dell’azione penale. In questi settori la responsabilità dei singoli funzionari continua ad essere presente, mentre con riferimento all’ente potranno venire in rilievo eventuali meccanismi alternativi di controllo, quali la responsabilità dei Ministri per il proprio operato nei confronti del Parlamento o i meccanismi di responsabilità disposti dallo Human Rights Act83. Ciò significa che, ad esempio, non potrà essere rinvenuta alcuna responsabilità in capo all’ente pubblico per la morte di un minore che non era stato individuato come a rischio e, per tale ragione, non era stato sottoposto a forme di protezione adeguate. 82 Cfr. sul punto Corporate manslaughter and corporate homicide act 2007, Explanatory notes, rinvenibili nel sito <http://www.opsi.gov.uk>. 83 La section 6 dello Human Rights Act dispone che «it is unlawful for a public authority to act in a way which is incompatible with a Convention right». Come già ricordato, sono tali quegli organi non solo 81 L’ordinamento inglese 245 La soluzione adottata intende consentire un contemperamento delle esigenze pubblico/privato mediante, da un lato, la parificazione degli enti della Corona agli enti privati con riferimento alle attività di carattere privatistico e, dall’altro, una fondamentale differenziazione per quelle attività che non possono essere svolte dalle persone giuridiche di diritto privato o il cui esercizio presuppone particolari prerogative attribuite dalla legge. L’articolo 4 esclude poi la sussistenza del dovere di diligenza qualora l’illecito si verifichi nell’esecuzione di operazioni di peacekeeping, attività di preparazione o supporto o pianificazione di operazioni di combattimento o di attività rischiose84. L’eccezione da ultimo indicata può dare adito a qualche perplessità nella misura in cui anche le operazioni di peacekeeping vengono incluse nella nozione di operazioni di combattimento: se esse sicuramente sono volte a garantire la sicurezza, destinatario di detta sicurezza non è lo Stato cui appartengono le Forze Armate, bensì lo Stato ove le truppe sono chiamate a prestare servizio. Attraverso detta esclusione si è con ogni probabilità voluto tutelare l’interesse dello Stato, in un settore tanto delicato quale quello della difesa, a prescindere da una meditata riflessione sul punto. 6.3. Critiche alla limitata responsabilità della Corona. In particolare, l’asserita incompatibilità di tali limitazioni con le previsioni della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Nel lungo iter che ha condotto da ultimo all’approvazione del cmch Act, le disposizioni volte a limitare la responsabilità della Corona sono state oggetto di riflessione critica da parte del Centre for Corporate Accountability’s (cca). Si tratta di un’associazione che si occupa della tutela dei lavoratori e della loro sicurezza. Tra le varie attività che esso ha promosso vi è stata proprio la campagna per l’adozione del reato di corporate manslaughter85. Il cca – coinvolto nelle attività di consultazioni svolte dal pubblici per definizione (Corti, Tribunali, polizia etc.) ma anche quelli che, indipendentemente dalla loro natura pubblica o privata, esercitano una funzione pubblica. Nel caso in cui detta autorità abbia contravvenuto alle disposizioni dell’Atto, è previsto che la vittima possa instaurare un giudizio nei confronti dell’Autorità al fine di ottenere il risarcimento dei danni conseguenti alla decisione illecita o fare in modo che la Corte annulli detta decisione o impedisca all’autorità pubblica per il futuro di adottare decisioni analoghe. Non si tratta, quindi, di responsabilità penale, ma di un meccanismo di risarcimento del danno in forma pecuniaria o per equivalente per l’attività illecita delle autorità pubbliche. 84 La ragione di tale esclusione, che era stata già inserita nella proposta formulata dal Governo, è stata rinvenuta nel fatto che si è ritenuto che l’interesse pubblico sia perseguito in modo più efficace da parte delle Forze Armate se queste sono immuni dall’azione penale in relazione alle attività dalle stesse poste in essere. Infatti, sarebbe controproducente eseguire indagini e perseguire penalmente le Forze Armate le quali svolgono un compito di difesa e di sicurezza fondamentale per tutelare lo Stato. 85 I documenti del cca di cui si discute sono rinvenibili nel sito dell’organizzazione http://www. 246 E. Pavanello Governo – ha redatto un documento contenente i propri rilievi riguardo alla parziale immunità che veniva (e viene tuttora) garantita alla Corona86. Innanzitutto, il cca ha criticato il criterio del duty of care poiché si tratta di principio che trova la propria origine nel diritto civile e ha scopi completamente diversi rispetto a quelli propri del diritto penale. In secondo luogo, il cca ha pure criticato l’esclusione dalla responsabilità degli enti che esercitino esclusive funzioni pubbliche, in ragione delle difficoltà di individuazione delle funzioni predette, atteso che non esiste uno specifico elenco che le indichi in modo tassativo. Il Centro ha ritenuto che i meccanismi alternativi di controllo non siano efficaci al pari dell’azione penale cui non sono in alcun modo sovrapponibili. Quanto all’esclusione dalla perseguibilità penale dei public body nella misura in cui sono coinvolti interessi di carattere generale, si è stigmatizzato il fatto che ciò contribuisca a fornire un messaggio sbagliato in base al quale anche se sussistono i presupposti di responsabilità dell’ente, esso andrà esente da sanzione. Critiche sono state avanzate, inoltre, per il fatto che le Forze Armate siano state escluse dal novero dei soggetti responsabili: infatti, viene sostanzialmente esclusa la responsabilità per qualsiasi attività dalle stesse poste in essere. La esclusione è tanto più criticabile per il fatto che le Forze Armate sono sottoposte alle nome poste a tutela della sicurezza e della salute degli individui. Incongruo risulterebbe quindi renderle immuni dall’azione penale nel caso in cui da dette attività derivi la morte di un soggetto. Un parere ad hoc era stato inoltre redatto dal cca al fine di valutare la compatibilità della prima proposta di legge del Governo rispetto alla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo (cedu) nella misura in cui determinati soggetti vengono esclusi dal novero dei soggetti responsabili87. In particolare, era stata rilevata l’asserita incorporateaccountability.org/. 86 Il cca aveva espresso le proprie perplessità anche rispetto ad alcuni passaggi del primo progetto. In particolare il Draft proposto dalla Law Commission prevedeva di non perseguire penalmente la Corona, ma di creare un meccanismo alternativo come quello previsto dal Food Safety Act, in base al quale si sarebbe potuto procedere ad una dichiarazione di non compliance, anzichè ad una vera e propria condanna. Ciò creava a parere del centro un’assurda discriminazione rispetto alla situazione delle local authorities, le quali invece avrebbero potuto essere perseguite. Già allora peraltro si era paventata l’ipotesi di una possibile violazione della normativa degli articoli 2,13,14 della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo. In particolare si veda il documento del cca, Joint opinion on the proposed criminal offence of corporate killing and its compatibility with the ECHR, rinvenibile nel sito <http://www. corporateaccountability.org/>. 87 Trattasi del parere pubblicato del 28 maggio 2005: cca, Crown bodies - Liability for corporate manlsaughter under the Government’s new draft bill, rinvenibile nel sito http://www.corporateaccountability.org/ Il cca aveva evidenziato che seppure degna di nota fosse l’inclusione dei soggetti appartenenti alla Corona tra i destinatari dell’Atto, le limitazioni poste al riguardo erano in contrasto non solo con le disposizioni della cedu, per le ragioni che si esporranno infra, ma anche con altre disposizioni esistenti nell’ordinamento. Basti pensare ad esempio al fatto che le previsioni contenute nell’Health and Safety Act sono più ampie e prevedono che gli enti destinatari delle disposizioni penali siano un numero maggiore rispetto a quanto L’ordinamento inglese 247 compatibilità della previsione in relazione all’articolo 2, che tutela il diritto alla vita, all’articolo 13, che impone l’obbligo per gli Stati di prevedere un rimedio effettivo a tutela dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla Convenzione e all’articolo 14, che impone agli Stati l’obbligo di assicurare il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla Convenzione senza nessuna discriminazione. L’articolo 2, secondo quanto indicato nel parere citato, imporrebbe agli Stati tre diversi obblighi: (i) non privare una persona della vita; (ii) adottare tutte le misure possibili volte a salvaguardare la vita delle persone e (iii) indagare sulla morte del soggetto qualora si possa ritenere che uno dei due obblighi precedenti sia stato violato. Il cca evidenzia che la giurisprudenza di Strasburgo ha interpretato l’articolo 2, in correlazione con l’articolo 13 imponendo in generale il diritto ad un ricorso interno adeguato ed effettivo, nel senso che in alcuni casi sarà necessario fare ricorso al diritto penale al fine di assicurare il diritto alla vita, in particolare quando gli altri rimedi previsti dall’ordinamento si rivelino inadeguati allo scopo. Nel rapporto viene espressamente citata, tra le altre, la sentenza Oneryildiz v Turchia88 – che come si ricorderà era già stata oggetto di particolare analisi da parte della dottrina olandese con riferimento ai casi Enschede e Volendam89 − ad indicare il fatto che qualora non siano sufficienti i rimedi extrapenali, l’esercizio dell’azione penale deve essere assicurato e garantito da parte dello Stato. L’articolo 2, infatti, impone il rimedio penale qualora gli altri mezzi di tutela disponibili siano insufficienti e ciò a prescindere dalla natura giuridica della persona che ha violato la norma e dalle funzioni dalle stessa esercitate. Consentire il ricorso all’azione penale solo qualora la morte di un soggetto sia riconducibile alla politica del management di determinati enti o meglio di enti che esercitino determinate attività, crea una palese violazione della disposizione. Alla stregua di questa impostazione era stato riconosciuto, inoltre, che l’immunità violasse anche la disposizione dell’art. 14 cedu nella misura in cui è previsto l’esercizio dell’azione penale solo con riferimento a determinati autori del reato: tale differenziazione non è stata ritenuta giustificabile. Difficile infatti spiegare ai familiari di una persona deceduta per quali ragioni essi possono o non avere, a seconda delle circostanze, accesso all’azione penale. Il cca nelle proprie conclusioni aveva quindi ritenuto incompatibile il Draft Bill con gli articoli citati della cedu sia per la formulazione incerta di talune sue parti (ad esempio non sarebbe chiara la nozione di attività pubblica), sia perché la limitazione dei soggetti responsabili viola il diritto delle vittime alla giustizia. Nonostante le critiche espresse, il testo definitivo del cmch Act non ha apportato le modifiche auspicate volte a superare la parziale immunità concessa agli enti della Corona. previsto nel Draft Bill. 88 cedh, Öneryildiz v. Turchia, no. 48939/1999. 89 Si confronti, in particolare, il capitolo 2, paragrafo 2.22. 248 E. Pavanello 7. Riflessioni conclusive. Gli argomenti tradizionalmente invocati nell’ordinamento inglese a sostegno dell’immunità della Corona sono correlati, come visto, sia al piano sostanziale che al piano sanzionatorio. Il fondamento dell’immunità sin qui analizzata è inoltre strettamente ancorato al fatto che il soggetto, persona fisica o giuridica, sia emanazione della Corona e sia quindi titolare di una serie di prerogative e poteri tali da renderlo esente non solo dall’azione penale ma, in generale, dall’applicazione di uno statute in mancanza di diverse indicazioni. Diversamente, invece, le public authorities che pure gestiscono servizi di interesse generale e le società controllate dallo Stato possono essere perseguite. Anche laddove queste ultime siano, di fatto, sotto il controllo statale e quindi siano espressione pure della volontà dello Stato, in assenza di qualifica di Crown body, sono sottoposte alle sanzioni penali previste dall’ordinamento. La linea di discrimine tra soggetti collettivi punibili e soggetti non punibili propria del diritto inglese è da ricollegare alla tradizione monarchica che considera il Sovrano e l’intero apparato statale, legibus solutus. La dottrina dei Paesi di Commonwealth ha auspicato un ripensamento di questa tradizionale impostazione, in ragione dell’opportunità di includere tra i destinatari della responsabilità penale anche la Corona, intesa non come persona fisica, bensì come organizzazione dell’amministrazione centrale. Alcune recenti pronunce della giurisprudenza, da un lato, e le recentissime scelte del legislatore inglese, dall’altro, mostrano come tale esigenza sia stata in parte accolta. Interessante è notare come la giurisprudenza, sino ad ora, nel valutare la possibilità di perseguire la Corona, abbia sempre preso in esame ipotesi di strict liability offences, ovvero ipotesi che si collocano quasi ai confini del diritto penale. Il fatto che non si sia fatta menzione della responsabilità in caso di reati mens rea è probabilmente dovuto, da un lato, alla difficoltà di immaginare che la Corona commetta illeciti penali di rilevante gravità, attribuibili alla stessa anche sul piano della colpevolezza. Dall’altro lato anche in questi casi si manifestano le limitazioni connesse all’utilizzo della identification theory, poiché in tal caso sarebbe necessario identificare il funzionario statale che riveste una posizione tale da poter essere ritenuto espressione della volontà della Corona (e, quindi, ad esempio un Ministro o comunque la persona al vertice di un dipartimento governativo), accertare che egli ha commesso il fatto illecito e ritenere che lo stesso sia espressione della volontà dell’ente in questione. Il che non è sicuramente operazione semplice. È indubbio che così costruita, la responsabilità penale delle persone giuridiche (siano esse Crown bodies o meno) rischia di rivelarsi meno efficace di quanto si vorrebbe. L’ordinamento inglese 249 Tuttavia, nuovi scenari si aprono in considerazione dell’entrata in vigore del cmch Act il quale ha sancito, seppure con le numerose limitazioni di cui si è detto, il superamento dell’irresponsabilità penale degli enti della Corona. La nuova fattispecie introdotta − che mira a sopperire alle carenze che il modello della identification theory in relazione alla struttura complessa e articolata delle persone giuridiche e alla difficile imputazione di omissioni colpose agli enti − è applicabile ai Crown bodies e alle società che sono espressione degli stessi. Limitazioni sono state previste in relazione al tipo di attività esercitata dalle persone giuridiche pubbliche che mirano a contemperare le esigenze di sottoporre anche la Corona al diritto penale (o meglio alla fattispecie di corporate manslaughter) e assicurare che determinate attività non siano sottoposte al vaglio del giudice penale. La scelta di porre dette limitazioni può essere stigmatizzata per più di una ragione. Innanzitutto, perché l’unico criterio in base al quale sono riconoscibili le attività pubbliche è il fatto che le stesse siano accompagnate da prerogative pubblicistiche, senza tuttavia che esista un elenco chiaro di quando ciò in concreto avvenga. In secondo luogo, perché attraverso detto criterio il Governo ha inteso assicurare quell’immunità tanto criticata nel caso in cui vengano in gioco attività per le quali lo Stato può anche essere autorizzato a delinquere (esemplificativo al riguardo il caso delle Forze Armate le quali, si è detto, meglio possono assicurare il perseguimento dell’interesse generale se non sono vincolate dalla legislazione penale). Inoltre, la dottrina inglese verosimilmente si interrogherà sulle ragioni che inducono a punire lo Stato per un reato tanto grave quanto l’omicidio e non per altre fattispecie (in questo momento pensiamo, ad esempio, ai reati ambientali). È singolare, infatti, come si sia deciso di punire gli enti della Corona, seppure con tutte le limitazioni già indicate, proprio con riferimento ad un reato così grave, tralasciando invece altre manifestazioni criminose cui tuttavia lo Stato non sembra sottrarsi. 251 capitolo 6 La responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico negli Stati Uniti Sommario. 1. La responsabilità penale delle persone giuridiche negli Stati Uniti: evoluzione storica. Il modello della vicarious liability e la colpevolezza d’impresa. – 2. La responsabilità penale degli enti locali: dalle origini ai giorni nostri. – 2.1. La responsabilità penale degli enti territoriali nella legge federale. – 3. Le ragioni addotte contro la responsabilità penale degli enti territoriali: la dannosità di un’eventuale sanzione pecuniaria inflitta, lo svolgimento di attività di carattere «pubblico» e la teoria della sovranità. Critiche. – 3.1. Gli argomenti addotti in favore della perseguibilità penale degli enti territoriali: la «necessità» di punire il vero responsabile dell’illecito e la funzione di «prevenzione» svolta dal diritto penale. – 4. Conclusioni. 1. La responsabilità penale delle persone giuridiche negli Stati Uniti: evoluzione storica. Il modello della vicarious liability e la colpevolezza d’impresa. La responsabilità penale delle persone giuridiche negli Stati Uniti ha origini (relativamente) lontane nel tempo1. In un primo momento la responsabilità penale delle persone giuridiche era di carattere oggettivo, limitata alle ipotesi di strict liability, in quanto si considerava insuperabile l’ostacolo legato alla definizione di colpevolezza dell’ente; successivamente, sulla base del modello del respondeat superior, ha trovato spazio anche negli Stati Uniti la vicarious liability, in base alla quale è possibile imputare il comportamento di determinate persone fisiche alla persona giuridica, purché la persona fisica (la cui nozione non è nell’interpretazione giurisprudenziale dominante limitata ai soli soggetti che fanno parte della dirigenza della società ma è estesa V.S. Khanna, Corporate liability standards: when should corporations be held criminally liable?, in «American Criminal Law Review», 37, 2000, p. 1239 ss. («corporate criminal liability is a doctrine of considerable antiquity in the United States and one that has expended consistently over the years»); J. Arlen, Corporate criminal liability in the United States: using prosecutorial discretion to induce corporations to join the war against crime, in A. Alessandri, E. Amodio, G. Forti, P. Marchetti, M. Onadi, G. Rossi, S. Seminara, Impresa e giustizia penale: tra passato e futuro, vol. xxv, Giuffré, Milano 2009, p. 303 ss. 1 252 E. Pavanello a tutto il personale collocato a qualsiasi livello di gerarchia) abbia posto in essere il reato nell’esercizio delle funzioni che gli sono state attribuite allo scopo di recare un vantaggio alla persona giuridica2. Nel 1962 è stato poi adottato il Model Penal Code che dettava, tra l’altro, disposizioni precise con riferimento alla responsabilità delle persone giuridiche e tentava di limitarla, in relazione alle mens rea offences, alle sole ipotesi in cui il comportamento illecito costituisse emanazione diretta e inconfutabile del «cervello» della società3. Dal canto suo la dottrina era dell’idea che fosse necessario costruire un concetto di colpevolezza autonomo della persona giuridica per i reati che richiedevano la dimostrazione di un elemento soggettivo, anziché fare riferimento alla colpevolezza di una o più persone fisiche operanti nell’ente. Così, mentre la giurisprudenza ha cominciato a riferirsi al concetto del collective intent (la colpevolezza di impresa è, quindi, la somma della colpevolezza dei soggetti fisici che compongono la persona giuridica), la dottrina ha mostrato di adottare una nozione di colpevolezza strutturale che inerisce all’impresa e che può essere desunta, ad esempio, dal mancato rispetto di determinate procedure o dalla sistematica violazione delle norme deputate a garantire la sicurezza all’interno della società. Il Legislatore americano con le Federal Sentences Guidelines del 1991 ha preso posizione nel senso indicato dalla dottrina e ha ritenuto che la colpevolezza della persona giuridica – cui occorre fare riferimento per determinare l’entità della sanzione − si determini sia in relazione alle misure adottate dalla persona giuridica prima della commissione del reato, al fine di prevenire i comportamenti criminosi, sia in considerazione del comportamento tenuto dalla persona giuridica in un momento successivo al reato4. Cfr. C. De Maglie, L’etica, cit., p. 12 ss.; M.E. Beck, M.E. O’Brien, Corporate criminal liability, in «American Criminal Law Review», 37, 2000, p. 261-289; C.E. Carrasco, Corporate criminal liability, in «American Criminal Law Review», 1999, p. 445, e S.R. Fisher, Corporate criminal liability, in «American Criminal Law Review», 41, 2004, p. 367-395, e P. O’Malley, Appunti sulla responsabilità penale societaria negli U.S.A., in «Diritto penale xxi sec.», 2, 2008, p. 347 ss. 3 Il Model Penal Code è stato adottato dall’American Law Institute e al paragrafo 2.07 ha in particolare tratteggiato un modello di responsabilità delle persone giuridiche, distinguendo a seconda della tipologia di reato posta in essere. Nel caso di mens rea offences, il codice imponeva la responsabilità della persona giuridica unicamente laddove l’amministratore della società o un funzionario che faceva parte del management avesse autorizzato, ordinato, sollecitato, posto in essere o negligentemente tollerato un illecito da parte di un funzionario o un dipendente della società. In ipotesi di reati meno gravi per i quali si poteva desumere dal tenore della disposizione legislativa la volontà di rendere responsabili anche le persone giuridiche, il codice estendeva la responsabilità alle persone giuridiche sulla base dei principi del respondeat superior. Nelle ipotesi in cui uno statute imponesse specifici divieti alla società che non venivano rispettati da quest’ultima, essa sarà responsabile in via oggettiva. Per un commento alle previsioni contenute nel Model Penal Code con riferimento alle corporations si veda R.S. Gruner, Corporate criminal liability and prevention, Law Journal Press, New York, 2004, par. 7.04. 4 Cfr. H.J. Amoroso, Organizational ethos and corporate criminal liability, in «Campbell Law Review», 17, 2 L’ordinamento americano 253 Negli Stati Uniti è quindi possibile punire una persona giuridica per qualsiasi tipo di reato. Sotto il profilo oggettivo, la condotta verrà imputata all’ente alla stregua dei criteri del respondeat superior; sotto il profilo soggettivo, ove si sia in presenza di un’ipotesi di mens rea offence, si farà affidamento al concetto di collective intent o, secondo le indicazioni contenute nelle Federal Sentences Guidlines, di colpevolezza di impresa. Con riferimento alle persone giuridiche di diritto pubblico poche sono state le pronunce che hanno preso in considerazione la questione − limitatamente peraltro alle municipalities − e pochi anche i contributi della letteratura americana sul punto. Nell’analizzare la possibilità di perseguire le persone giuridiche di diritto pubblico nell’ordinamento americano si darà pertanto conto delle sentenze che hanno vagliato la posizione delle municipalities. Quanto alla possibilità di perseguire lo Stato si precisa che esso, a differenza dei Governi locali, gode di una protezione assoluta in ragione della funzione fondamentale che si ritiene svolga nella politica nazionale ed è considerato pertanto immune dall’azione penale5. 2. La responsabilità penale degli enti locali: dalle origini ai giorni nostri. Negli Stati Uniti l’evoluzione della responsabilità penale delle persone giuridiche segue un percorso (per certi versi) antitetico rispetto a quello che ha cartterizzato altri ordinamenti giuridici. Curiosamente, infatti, la possibilità di perseguire le municipalities è ad oggi (quantomeno) in dubbio, mentre alle origini della responsabilità penale degli enti era possibile perseguire le città (in quanto persone giuridiche) in relazione a quei reati che non richiedevano mens rea6. Infatti, a partire dal 1819 e sino agli inizi del ventesimo secolo7, i local governments americani sono 1995, p. 47 ss. e W.S. Laufer, Culpability and the sentencing of corporations, in «Nebraska Law Review», 71, 1992, p. 1049 ss., sul concetto di colpevolezza così come costruito nelle Federal Sentences Guidelines. 5 R. Briffault, Our localism part I-The structure of local government law, in «Columbia Law Review», 90, I, 1990, p. 93 e, in particolare, sub nota 385 afferma che a differenza dei governi locali che possono aspirare ad una forma di autonomia dal governo centrale ma non di sovranità, lo Stato godrebbe di prerogative tali da renderlo immune dall’azione penale. 6 P. Stuart Green, The criminal prosecution of local governments, in North Carolina Law Review, 72, 1993-1994, p. 1197 ss. ha affrontato la questione dell’opportunità e degli eventuali ostacoli connessi alla procedibilità penale nei confronti delle municipalities. Si tratta di uno dei pochi studi sul punto cui altri Autori nei propri scritti concernenti la responsabilità penale delle persone giuridiche fanno riferimento in relazione alla possibilità di configurare ad oggi una responsabilità penale delle municipalities. 7 Invero, l’ultimo caso in cui viene in discussione la responsabilità di una persona giuridica di diritto pubblico risalirebbe al 1984 e farebbe riferimento alla azione penale esercitata nei confronti della Veterans Administration. L’agenzia governativa non è stata nel caso di specie condannata in quanto si è ritenuto che la disposizione asseritamente violata da parte dell’ente non indicava se essa dovesse trovare applicazione anche nei confronti dei dipartimenti governativi. United States Court of Appeals for the ninth Circuit, People of the State of California v Veterans administration, in «United States Court of 254 E. Pavanello stati sottoposti all’azione penale secondo statute law8. La possibilità di procedere penalmente nei confronti delle municipalities derivava direttamente dalle norme sulle corporation ed era limitata alle sole ipotesi di non-mens rea offences che recassero pregiudizio alla collettività9. La ratio di tale esclusione era dovuta al fatto che si ritenevano le corporation incapaci di formare una volontà colpevole che necessariamente deve essere accertata nei reati con mens rea e, sotto il profilo sanzionatorio, si evidenziava l’impossibilità per le stesse di essere condannate alla sanzione della reclusione, pena che normalmente era associata a tale tipologia di reati. Nelle ipotesi in cui era possibile procedere penalmente nei confronti delle municipalities, era invece preclusa la possibilità di far valere a loro carico la responsabilità per tort in quanto sarebbe stato difficile concedere a tutti coloro che vedevano lesi i propri interessi dall’azione illecita delle città la possibilità di esercitare l’azione di risarcimento del danno. Meglio allora attribuire il monopolio dell’esercizio dell’azione penale allo Stato. Con il passare del tempo, tuttavia, le città cominciano ad essere considerate non solo degli enti autonomi, ma anche delle suddivisioni «organizzative» dello Stato che svolgono (tra l’altro) attività e funzioni proprie dell’ente centrale in ambito locale e sono, in quanto tali, destinatarie di immunità10. In considerazione della duplice natura delle municipalities, organi politici e rappresentanti dello Stato, da un lato, e vere e proprie corporation, dall’altro, si ritiene più opportuno distinguere, nell’applicare loro le norme penali degli statute, a seconda della tipologia di attività dalle stesse poste in essere. Una delle prime pronunce che ha fatto applicazione di detto principio è stata The people of the State of Illinois v. The city of Chicago. Alla città di Chicago veniva contestata la violazione della norma che imponeva un limite massimo nell’orario di lavoro delle lavoratrici donne con riferimento ad una donna dipendente dell’ospedale della Appeals report», lexis 1984, 17885. 8 K. Brickey, Corporate criminal liability, vol. i, Clark Wilmette, Boardman Callaghan editor, 19922, p. 74 ss. giustifica l’esercizio dell’azione penale nei confronti delle municipalities in relazione al fatto che numerose erano all’epoca le persone giuridiche di diritto pubblico. 9 Il pregiudizio pubblico cui si faceva riferimento poteva assumere due forme, ovvero quella del danno creato al pubblico per un’azione connessa all’abuso del diritto (cosiddetta misfeasance) e quella connessa ad un’omissione di un’attività loro dovuta (ipotesi di nonfeasance). Nel caso invece in cui non sussistesse questo tipo di pregiudizio, poteva eventualmente essere invocata la responsabilità civile (per tort). Secondo alcuni commentatori l’azione non era penale in senso stretto ma si collocava piuttosto ai confini col diritto civile. Tuttavia, sembrano deporre nel senso della natura penale dell’azione sia l’espressa indicazione in tal senso in tutti i manuali di diritto penale dell’epoca, sia la circostanza che tali azioni non avevano alcuna funzione compensativa – così come avveniva per le azioni da tort – ma si ponevano piuttosto l’obiettivo tipicamente penale di punire, correggere gli atteggiamenti scorretti e prevenire la loro reiterazione. Stuart, Green, The criminal prosecution of local governments, cit., p. 1201 ss. 10 Per un’approfondita analisi dello status legale delle città americane dalle origini ad oggi si veda G.E. Frug, The city as a legal concept, in «Harvard Law Review», vol. 93, 1980, p. 1062 ss. L’ordinamento americano 255 città11. La città si è difesa sostenendo che non era possibile condannare penalmente una municipal corporation che costituisce «a public political subdivision of the State, formed for governmental purposes only, in the excersise of which is the mere instrument agent of the State», con la conseguenza che «a criminal prosecution against the municipality would be indirectly an action of the State against itself»12. La Corte, preso atto delle difese avanzate dalle città, ha riconosciuto che la municipal corporation è organizzata sotto l’autorità dello Stato ma ha ritenuto anche che fosse necessario operare una distinzione a seconda delle attività dalla stessa esercitate: qualora infatti eserciti funzioni «governative» non risponderà penalmente del proprio operato; quando invece si tratti di attività che si collocano più propriamente in ambito privatistico, sarà responsabile penalmente al pari di ogni altro individuo e persona giuridica di diritto privato. In questo modo la Corte esclude che si possa ipotizzare una «auto-persecuzione» dello Stato: infatti, laddove la municipality eserciti una attività di carattere privatistico lo farà in nome proprio e non vi sarà coincidenza tra le due persone giuridiche. La sovrapposizione tra i due enti si verifica unicamente nell’ipotesi in cui la municipal corporation agisca nell’esercizio di una funzione di carattere governativo e, quindi – pare doversi ritenere – per conto dello Stato. Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che la gestione di un ospedale integrasse un’ipotesi di attività privata e che pertanto la città dovesse essere condannata al pagamento della sanzione pecuniaria. Il criterio in base al quale decidere se si tratta di una funzione privatistica o governativa si è rivelato tuttavia non sempre di facile applicazione nei casi concreti13, anche perché in alcune pronunce le Corti americane hanno mostrato di «ampliare» l’immunità delle municipalities, ritenendola sussistente anche per funzioni «privatistiche». In questo modo la determinazione della natura discrezionale o legislativa dell’attività viene lasciata alla decisione del caso concreto e alla «sensibilità» dei giudici14. Da questo breve excursus «storico» emerge che la responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico non era preclusa alla stregua delle disposizioni penali previste dai singoli Stati. Supreme Court of Illinois, The People of the State of Illinois vs. The city of Chicago, in «Illinois Reports», 256, p. 558. 12 Supreme Court of Illinois, cit., p. 558. 13 In una sentenza di poco successiva a quella citata, ad esempio, la Suprema Corte di Washington ha ritenuto che integrasse una funzione governativa il mantenimento e la cura di un parco pubblico cittadino, con la conseguenza che la municipal corporation era immune in quanto, nella gestione di tale attività, rappresentava lo Stato. Supreme Court of Washington, State v. Metropolitan Park. Dist. Of Tacoma, in «Washington reports», 100, p. 449. 14 Nel caso Board of Chosen Freeholders of the County of Bergen v. State, ad esempio, la Corte si interroga a lungo se il fatto di non aver riparato un ponte della città, costruito e poi utilizzato nell’interesse pubblico, costituisca o meno un’attività discrezionale e alla fine opta per la soluzione negativa, considerando così la Contea perseguibile. New Jersey Supreme Court, Board of Chosen Freeholders of the County of Bergen 11 256 E. Pavanello Successivamente, la tendenza è stata di limitare il ricorso all’azione penale alle sole ipotesi in cui non venissero esercitate funzioni governative da parte delle municipalities in ragione del fatto che in questo modo si intendevano superare gli ostacoli connessi alla auto-persecuzione da parte dello Stato, cui avrebbe dato luogo l’ammissione di una responsabilità senza limiti delle municipalities. L’argomentazione da ultimo citata, in uno con la previsione del Model Penal Code contenuta nel para 2:07 (4) secondo cui «a corporation does not include an entity organized as or by a governmental agency for the execution of the governmental program», hanno contribuito al progressivo declino della possibilità di perseguire le municipalities da parte dei singoli Stati federati. È opportuno tuttavia interrogarsi sulla possibilità di perseguire detti enti pubblici da parte dello Stato federale: in questa ipotesi l’obiezione dell’auto-persecuzione - che sembra costituire uno degli ostacoli maggiori che ha nel xix secolo frenato l’espansione della responsabilità penale delle municipalities − verrebbe superata in quanto soggetto procedente (Stato federale) e soggetto imputato (città che costituisce «emanazione» dello Stato federato) sono diversi. 2.1. La responsabilità penale degli enti territoriali nella legge federale. La legge federale non contiene disposizioni specifiche in relazione alla possibilità di procedere penalmente nei confronti delle municipalities. Il fatto che non vi siano previsioni esplicite sul punto non può tuttavia condurre a nessuna conclusione certa. Occorre quindi procedere per gradi e verificare se nella nozione di «persona» soggetto attivo del reato possano essere incluse anche le municipalities e, in caso affermativo, se esista una forma di immunità nei loro confronti che osti all’esercizio dell’azione penale. Nel fare ciò, ovviamente, si terranno in considerazione le pronunce giurisprudenziali che, direttamente o indirettamente, si sono occupate della questione. Normalmente, quando un federal statute indica i soggetti destinatari della norma, fa riferimento ai concetti di person o whoever. In talune ipotesi lo statute specifica che nella nozione debbano essere incluse anche le municipalities: così avviene ad esempio nell’ambito del diritto ambientale15. Laddove tuttavia non esistano indicazioni precise sul punto, l’estensione della nozione dovrà essere valutata caso per caso. Nei limiti del presente lavoro si indichev State, in «New Jersey Law reports», 42, p. 263. 15 In questo senso Stuart Green, The criminal prosecution of local governments, cit., p. 1215 e, in particolare per l’indicazione degli statute contenenti l’espressa menzione dei destinatari, sub nota n. 107. Analogamente avviene con riferimento al Racketeer influenced and corrupt organization act il quale disciplina le ipotesi in cui vi sia un investimento diretto o indiretto, l’acquisizione, il mantenimento di L’ordinamento americano 257 ranno le sentenze che, con riferimento ad alcuni statute, hanno offerto, crediamo, importanti spunti di riflessione sul punto. Per quanto concerne la legge antitrust contenuta nello Sherman Act, assume rilievo una decisione della Suprema Corte degli Stati Uniti del 1978, in cui è stato affermato che nella nozione di persona sono incluse anche le municipalities16. Le città imputate nel procedimento si sono difese sostenendo che esse, in quanto suddivisioni dello Stato, non rientrano tra i soggetti destinatari dello statute17. In secondo luogo, hanno rilevato che, dal punto di vista sanzionatorio, sarebbe stato incoerente sottoporle ad una pena (civile o penale) e che, in ogni caso, la loro responsabilità doveva eventualmente essere fatta valere sul piano politico e non su quello giudiziario. Inoltre, esse hanno sostenuto che l’obiettivo che si pongono con la propria attività è di carattere pubblico, il che è sufficiente a renderle esenti da responsabilità penale. La Corte risponde a queste argomentazioni, sostenendo che il richiamo effettuato dalle città alla sentenza Parker v Brown non sia in grado provare alcunché: con la sentenza citata, infatti, la Suprema Corte aveva statuito che lo Stato in quanto tale non è sottoposto alla legge antitrust ma nulla aveva disposto in relazione alle municipalities che restano organi ontologicamente distinti dall’ente centrale. Il fatto poi che sarebbe possibile applicare loro altre sanzioni e, segnatamente, quelle di natura politica non è sufficiente, nell’opinione dei giudici, ad escludere l’intervento del diritto punitivo. Viene inoltre contestata l’argomentazione secondo cui l’interesse pubblico che esse perseguono giustificherebbe una loro esclusione dall’azione penale: se è vero, ha sostenuto la Corte, che loro obiettivo è assicurare il massimo beneficio alla comunità, è anche vero che nel fare ciò esse opereranno delle scelte di carattere «economico» che in nulla si differenziano da quelle delle persone giuridiche di diritto privato. La Corte conclude ritenendo che le municipalities devono essere incluse nella nozione di person ma non dichiara espressamente che esse sono soggette all’azione penale che deriva dalla violazione dello statute. L’analisi della sentenza offre un panorama delle argomentazioni che normalmente vengono addotte a sostegno dell’immunità dall’azione penale degli enti pubblici, un interesse in o la partecipazione negli affari di un’enterprise che è impegnata o la cui attività concerne il commercio tra gli Stati o all’estero. Le attività proibite devono avere diretta rilevanza in un quadro di estorsione o di assunzione di un’obbligazione illecita. Tra le enterprise che possono essere coinvolte, vengono espressamente incluse anche le public entities. Brickey Kathleen, Corporate criminal liability, i, Clark Wilmette, Boardman Callaghan editor, 19912, 7:09. 16 Lo Sherman Act prevede sanzioni sia civili che penali connesse alla violazione delle norme sull’antitrust. La decisione cui ci si riferisce è Supreme Court of the United States, City of Lafayette v Louisiana Power & Light Company, in «United States Supreme Court Reports», 435, p. 389. 17 Con ciò dichiarano di richiamarsi alla decisione Parker v Brown, nella quale la Suprema Corte aveva sostenuto l’inapplicabilità dello statute nel caso di azioni che venissero esperite nei confronti dello Stato o di agenzie statali. Supreme Court of the United States, Parker v Brown, in «United States Supreme Court Reports», 317, p. 341. 258 E. Pavanello puntualmente contrastate dalla Corte Suprema. Inoltre emerge chiara l’idea che – quantomeno con riferimento alla legge sull’antitrust – l’azione nei confronti dello Stato sia assolutamente da escludere. Il Criminal civil rights statute18 sanziona chiunque nell’esercizio delle funzioni che gli sono attribuite dalla legge (under color of any law) abbia privato un soggetto dei diritti, privilegi o immunità di cui egli è titolare in base alla Costituzione o alle leggi degli Stati Uniti e lo sottopone a sanzioni che possono essere o di natura civile (che mirano a compensare il soggetto per i danni subiti) o di natura penale (punitive damages) qualora il soggetto abbia agito maliciously o wantonly. Al fine di poter agire in base alla sezione 1983 sarà necessario dimostrare che una persona è stata privata dei propri diritti civili, da parte di «state and local law officers who exert authority derived from state law». La questione che si è posta davanti alle Corti americane ha riguardato la possibilità di includere nella nozione di soggetto anche un ente pubblico che fa parte della municipalità, con particolare riferimento alle ipotesi di violazione poste in essere dalla polizia che sono manifestazione non della volontà del singolo individuo, quanto piuttosto di precise «direttive» o «ordini» più o meno espliciti dell’ente e, quindi, di una «politica» dell’ente. Le risposte della giurisprudenza sono state diversificate. In un primo momento, con la sentenza Monroe v Pape19, la Corte Suprema ha, infatti, ritenuto che la municipality non sia una persona nel senso inteso dalla sezione 1983. Tale conclusione viene raggiunta (anche) in considerazione del fatto che il Congresso, nell’approvare la legge, aveva deciso di non includere l’ipotesi di municipal liability, così come invece era stato proposto originariamente dal Senato: a parere della Corte, ciò deponeva in favore del fatto che il Congresso non intendesse considerare le municipalities responsabili alla stregua del disposto normativo. Di contrario avviso una sentenza successiva, Monell v Departement of Social Service20, secondo la quale, invece, i local governments sono persone ai sensi della sezione 1983 quando hanno agito attraverso i loro agenti e la condotta di questi ultimi ragionevolmente rappresenta la politica ufficiale dell’ente. Alla stregua di quest’ultiStatute introdotto nel codice americano (18 u.s.c. §§ 241 e 242) in seguito alla guerra civile in origine diretto a sanzionare le condotte illecite volte a privare dei propri diritti gli schiavi e, in generale, le persone di colore. Per un commento alla sezione 1983 si vedano M.R. Smith, Law enforcement liability under section 1983, in «Criminal Law Bullettin», 1995, p. 129; N. Abrams, S.S. Beale, Federal criminal Law and its enforcement, St. Paul Minn., West Group, 2000, p. 528 ss.; M. Avery, D. Rudovsky, K. M. Blum, Police misconduct law and litigation, S.l., Thomson West, 20033, § 4:15 e V.E. Kappeler, M.S. Vaughn, Law enforcement: when the pursuit becomes criminal-Municipal liability for police sexual violence, in «Criminal Law Bullettin», 1997, p. 352-376. 19 Supreme Court of United States, Monroe v Pape, in «United States Supreme Court Reports», 365, p. 167. 20 Supreme Court of United States, Monell v Departement of social Services of the city of New York, in «United States Supreme Court Reports», 436, p. 658. 18 L’ordinamento americano 259 ma pronuncia, è stato sostenuto che anche le municipalities sono persone giuridiche nell’ambito della section 1983. Ciò, tuttavia, non è sufficiente per affermare che le stesse, al pari di ogni altro individuo, siano responsabili penalmente del proprio operato, poiché lo statute si colloca a metà strada tra diritto civile e penale e prevede sanzioni tanto civili quanto criminali. Sembrerebbe deporre nel senso di precludere qualsiasi responsabilità penale della municipality la sentenza City of Newport v Fact Cincerts Inc.21 in cui la Corte Suprema ha ritenuto che se la municipality è sicuramente destinataria della section 1983, ciò non significa che essa possa essere sanzionata attraverso punitive damages. La Corte giunge a tale conclusione rilevando che il Congresso al momento dell’adozione dello statute nel 1871 non si poneva come obiettivo quello di punire la municipality (e tantomeno le corporation) con delle sanzioni punitive, ma unicamente con delle sanzioni per tort: la ragione di tale limitazione era dovuta al fatto che si ritenevano le corporation «incapaci» di manifestare alcun elemento soggettivo. La Corte rileva tra l’altro che i punitive damages eventualmente inflitti nei confronti di una municipality avrebbero avuto ricadute negative nei confronti dei cittadini-contribuenti, i quali sarebbero di fatto stati sanzionati per una condotta illecita che altri ha posto in essere. Criticamente è stato osservato che la decisione da ultimo citata non possa essere interpretata nel senso di conferire un’immunità generale alle municipalities. Infatti la Corte ha ricercato la voluntas legis dell’epoca in cui lo statute era stato adottato, quando cioè si riteneva che non fosse possibile per la persona giuridica disporre di una propria autonoma volontà e per tale ragione si considerava che né la municipality né qualsiasi altra corporation di diritto privato potesse essere responsabile per i reati di mens rea (cui normalmente era connessa l’applicazione di una sanzione penale). Erroneamente la Corte avrebbe ritenuto di trasporre questo principio anche al giorno d’oggi, quando invece non è più messo in discussione che una corporation possa «volere» una determinata condotta illecita e possa essere sottoposta ad una sanzione penale22. Il fondamento fatto valere dalla Corte non sarebbe a ben vedere sufficiente ad escludere la responsabilità penale dell’ente pubblico. Secondo lo studioso americano, il quale conduce la propria ricerca, come ricordato, essenzialmente in ambito di antitrust, delitti ambientali e civil rights, inoltre non possono rinvenirsi disposizioni generali volte ad attribuire ai governi locali un’immunità dall’azione penale23. Allo stato attuale è quindi possibile affermare che la municipality in quanto tale può essere destinataria di uno statute che preveda un federal crime e che non esiste Supreme Court of the United States, City of Newport v Fact concerts Inc., in «United States Supreme Court Reports», 453, p. 247. 22 Stuart, Green, The criminal prosecution of local governments, cit., p. 1222 ss. 23 In generale, a parere di Stuart, Green, The criminal prosecution of local governments, cit., p. 21 260 E. Pavanello un’immunità di carattere generale applicabile all’ente né un’immunità che deriva dalle particolari funzioni che lo stesso esercita (e ciò quantomeno nei tre ambiti oggetto di analisi). Nonostante non vi siano preclusioni legislative al riguardo, tuttavia, non si registrano procedimenti nei confronti delle municipalities sulla base della federal law. 3. Le ragioni addotte contro la responsabilità penale degli enti territoriali: la dannosità di un’eventuale sanzione pecuniaria inflitta, lo svolgimento di attività di carattere «pubblico» e la teoria della sovranità. Critiche. Pare a questo punto imprescindibile individuare le argomentazioni a favore e contrarie alla possibilità di perseguire le municipalities, così come sono emerse dalle sentenze sin qui citate e dalle riflessioni critiche della dottrina. Gli argomenti giuridici che le decisioni hanno addotto per negare la possibilità di perseguire la municipality hanno riguardato, innanzitutto, il profilo sanzionatorio. Nella sentenza City of Newport v Fact Cincerts Inc., infatti, la Corte Suprema ha illustrato come una delle ragioni che ostacolerebbero la via penale è il fatto che l’eventuale sanzione pecuniaria ricadrebbe su cittadini innocenti (blameless), fenomeno questo che dovrebbe essere scongiurato perché si otterrebbe un effetto contrario rispetto a quello che si vorrebbe perseguire con la responsabilità penale dell’ente pubblico. Sotto questo profilo, si è rilevato che analoghi ostacoli dovrebbero sussistere in caso di responsabilità per tort, quando una municipality è condannata al pagamento del risarcimento del danno causato. L’eventuale effetto negativo connesso al pagamento da parte della città – ad esempio sottrazione di fondi destinati ai cittadini per reperire le risorse per pagare i danni – ricadrebbe anche in questo caso su tutti i cittadini, indipendentemente dal fatto che essi abbiano supportato o meno la politica del Governo locale che ha condotto all’attività illecita. Pur riconoscendo le diverse finalità che queste differenti sanzioni si pongono, si ritiene che la comunità, anche nel caso di sanzione penale, sarebbe disposta a sopportare tale «ingiustizia» – seppure di lieve entità – pur di vivere in una città più tranquilla e purché coloro che hanno posto in essere un reato vengano effettivamente puniti24. In secondo luogo, dall’esame di alcune decisioni, emerge l’idea che laddove venisse inflitta alla città una sanzione penale (pecuniaria), ciò potrebbe provocare dei dissesti economici che potrebbero condurre anche al fallimento della città stessa, con 1228-1229, è necessario ammettere che un’eventuale immunità delle municipalities non possa trovare fondamento nella distinzione tra attività governative e privatistiche che per un certo periodo ha interessato la giurisprudenza americana. Ad oggi infatti la distinzione sarebbe particolarmente complessa, in considerazione delle crescenti competenze attribuite agli enti pubblici. 24 Stuart, Green, The criminal prosecution of local governments, cit., p. 1240 ss. L’ordinamento americano 261 una ricaduta negativa nei confronti dei cittadini25. Anche questa obiezione viene ritenuta da parte della dottrina superabile in considerazione del fatto che non esiste alcuna prova della effettiva incidenza negativa maggiore della sanzione pecuniaria penale rispetto a quella che avrebbe la sanzione pecuniaria civile. Quanto al fatto che lo Stato perseguirebbe se stesso, in un ordinamento federale la questione dell’identità tra soggetto che esercita l’azione penale e soggetto destinatario della stessa non costituisce un vero problema in quanto i due agenti restano giuridicamente distinti. In caso di federal crime pertanto non vi sarebbe spazio per questo tipo di obiezione. Da ultimo, va rilevato come anche nell’ordinamento americano sia emersa l’idea che esistano attività immuni nel cui ambito la municipality agisce in nome e per conto dello Stato e perciò non può essere perseguita. La teoria della sovranità osta quindi a procedere nei confronti dello Stato ma anche, sembra di potersi dedurre, nei confronti di quegli enti pubblici che ne siano rappresentazione. 3.1. Gli argomenti addotti in favore della perseguibilità penale degli enti territoriali: la «necessità» di punire il vero responsabile dell’illecito e la funzione di «prevenzione» svolta dal diritto penale. Gli argomenti «positivi», in favore della perseguibilità penale delle municipalities sono individuati nel fatto che il diritto penale deve punire l’effettivo responsabile della condotta illecita, che non sempre sarà il singolo individuo quanto piuttosto l’ente nel suo insieme. Infatti, non si può procedere alla punizione di un singolo che funge da capro espiatorio e lasciare poi l’ente ancora libero di delinquere. Esistono delle situazioni in cui sarebbe più opportuno procedere nei confronti dell’ente nel suo insieme piuttosto che nei riguardi del singolo individuo, in quanto la condotta illecita è espressione della politica dell’ente più che frutto della scelta del singolo26. Inoltre, e paradossalmente, il procedimento penale offre garanzie che il procedimento civile ad esempio non assicura, sia sotto il profilo sostanziale sia sotto il profilo In questo senso si sono espressi con riferimento al civil rights statute la sentenza City of Newport v Fact concerts, cit., p. 265 e, in relazione allo Sherman Act, il giudice Blackmun nella dissenting opinion della sentenza City of Lafayette v Louisiana Power & Light Company. Quest’ultimo ha in particolare evidenziato che la condanna della municipality avrebbe significato il fallimento per la città stessa. A suo parere, «even if petitioners ultimately prevail, their citizens will have to bear the rapidly mounting costs of antitrust litigation through increased taxes or decreased services». City of Lafayette v Louisiana Power & Light Company, cit., p. 440-441. 26 Stuart, Green, The criminal prosecution of local governments, cit., p. 1198 al riguardo cita un caso concernente la polizia di Houston. I poliziotti erano soliti adottare la tecnica del throw-down guns, ovvero normalmente disponevano di un’arma non registrata che veniva lasciata accanto alla vittima per (tentare di) giustificare una morte che in realtà era stata provocata dagli stessi poliziotti senza alcun 25 262 E. Pavanello procedurale (divieto del ne bis in idem, garanzie procedurali quanto alla confisca, condanna solo quando sia stata provata la responsabilità del soggetto oltre ogni ragionevole dubbio e così via): in questa prospettiva sarebbe quindi «conveniente» anche per la città essere giudicata in un procedimento penale. Connessa a questa argomentazione sta la constatazione che l’azione penale nei confronti del local government si rivelerebbe più efficace rispetto a quella esercitata nei confronti dei singoli individui: essa, infatti, consentirebbe di ovviare ai problemi connessi all’individuazione della persona fisica che ha commesso la violazione. Senza contare poi che normalmente le giurie sono più inclini a condannare una persona giuridica piuttosto che una persona fisica. Infine, ciò che sembra particolarmente rilevante, l’ente sarebbe in questo modo più stimolato ad adottare tutte le misure volte ad evitare che una condotta illecita venga nuovamente posta in essere27. È auspicabile secondo parte della dottrina che le Corti federali procedano nei confronti delle municipalities, laddove esse secondo statute siano dirette destinatarie delle disposizioni normative e, in caso contrario, che il Legislatore americano provveda a dichiarare gli statute in ambito di antitrust e di civil rights law espressamente applicabili anche alle città. Il diritto penale dovrebbe trovare spazio unicamente come ultimo rimedio, qualora fosse chiaro che ogni altro mezzo punitivo non è sufficiente a sanzionare in modo efficace (anche in una prospettiva futura) la condotta illecita dell’ente. In particolare tre sono gli ambiti in cui potrebbe risultare utile immaginare una responsabilità penale anche delle municipalities: trattasi dei reati ambientali, delle sanzioni penali dettate a tutela dei diritti civili e delle norme sull’antitrust. La responsabilità dovrebbe essere fatta valere nelle ipotesi in cui risulti evidente che la condotta illecita non sia frutto dell’iniziativa della persona fisica ma di una vera e propria cultura illecita di impresa. motivo legittimo (in tal modo si intendeva dimostrare che i poliziotti erano stati costretti ad utilizzare le proprie armi per contrastare il pericolo derivante dal fatto che l’altro soggetto era armato ed aveva fatto fuoco). Secondo le indagini era risultato che gli stessi istruttori di polizia insegnavano le potenzialità di un’arma non registrata e che dette armi erano a disposizione di circa l’80% dei poliziotti della città. Ora, proprio in ipotesi come queste in cui a fronte di un responsabile diretto della morte del soggetto (un determinato poliziotto) vi è anche una responsabilità «istituzionale» della polizia nel suo insieme, appare più che mai opportuno l’utilizzo della responsabilità penale nei confronti dell’ente in quanto tale, a prescindere dal fatto che si tratti di una persona giuridica di diritto pubblico. 27 Per l’analisi delle argomentazioni «positive» si veda Green, The criminal prosecution of local governments, cit., p. 1232 ss. L’ordinamento americano 263 4. Conclusioni. Al termine di questa breve analisi relativa alla disciplina della responsabilità penale delle municipalities nell’ordinamento americano, ci siano consentite alcune riflessioni. In primo luogo va rilevato come non esistano norme che fanno espressamente divieto dell’esercizio dell’azione penale nei confronti delle municipalities. Nonostante ciò, costituisce un dato di fatto la non applicazione degli statute che prevedano federal crimes (quantomeno quelli relativi all’ambiente, all’antitrust e ai civil rights) nei confronti delle città. Osterebbero a ciò sia il fatto che le municipalities sono emanazione dello Stato – il quale è immune sulla base della teoria della sovranità – sia le considerazioni relative al pregiudizio che l’applicazione delle sanzioni penali potrebbe causare loro. In secondo luogo, occorre rilevare che non esiste negli Stati Uniti un dibattito dottrinale sul punto come, invece, si è potuto verificare in altri ordinamenti. Uno tra i pochi studiosi che si è occupato della materia, ha auspicato l’introduzione di detta forma di responsabilità in quanto ha ritenuto che le argomentazioni che tendono a negare la possibilità di perseguire le città evocate nelle sentenze qui analizzate non siano convincenti. Egli ha proposto tuttavia di utilizzare detta azione limitatamente alle ipotesi in cui ciò si riveli estremamente necessario, quando cioè la condotta illecita non sia (solo) frutto del comportamento del singolo ma risponda ad una generalizzata «politica» illecita. Dette riflessioni paiono di particolare interesse perché pongono la questione della legittimità di un’immunità che di fatto esiste ma che legislativamente non è prevista. Tuttavia, occorre rilevare che allo stato attuale l’ordinamento americano sia ben lungi dall’idea di introdurre modifiche legislative ad hoc al fine di perseguire gli enti pubblici. 265 Capitolo 7 La responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico nell’ordinamento italiano Sommario. 1. La responsabilità penale-amministrativa delle persone giuridiche in Italia e il decreto legislativo 231/2001. – 1.2. I criteri di attribuzione della condotta alla persona giuridica. – 1.3. L’apparato sanzionatorio. – 2. La controversa qualificazione della natura penale, amministrativa o di terzo genere della responsabilità degli enti. – 3. L’ambito soggettivo di applicazione del decreto. Le indicazioni contenute nella legge delega: l’esclusione degli enti che esercitano pubblici poteri. La non corretta attuazione del criterio nel decreto. – 4. L’esclusione dello Stato, degli enti pubblici territoriali e degli enti che svolgono funzioni costituzionali. – 5. L’esclusione degli enti pubblici non economici. – 6. L’applicazione del decreto agli enti pubblici economici e agli enti privati di interesse pubblico. – 7. Alcune incertezze applicative. Società miste, società privatizzate e società c.d. pubbliche. – 8. Valutazione critica delle esclusioni. – 8.1. Ripercussioni in ambito privatistico delle limitazioni della responsabilità degli enti pubblici. – 9. Considerazioni in ordine alla possibilità di configurare una responsabilità penale degli enti pubblici alla stregua del d.lgs. 231/2001, con riferimento ai reati presupposto, alla nozione di interesse e vantaggio, nonché all’apparato sanzionatorio previsto. – 10. La previsione della responsabilità penale delle persone giuridiche nel progetto della Commissione Pisapia. 1. La responsabilità penale-amministrativa delle persone giuridiche in Italia e il decreto legislativo 231/2001. Le questioni connesse all’introduzione di una responsabilità propriamente penale delle persone giuridiche in Italia1 non sono state superate dall’entrata in vigore del d.lgs. 231/20012, il quale ha istituito un sistema «punitivo» – formalmente amministrativo – diretto alle persone giuridiche. L’opportunità e gli ostacoli di prevedere una vera e propria responsabilità penale dell’ente collettivo hanno costituito oggetto di intenso dibattito, anche in Cfr. F. Bricola, Il costo del principio «societas delinquere non potest» nell’attuale dimensione del fenomeno societario, in «Rivista italiana di diritto e procedura penale», 4, 1970, p. 951 ss. e lo stesso autore, Luci e ombre nella prospettiva di una responsabilità penale degli enti (nei Paesi della CEE), in «Giurisprudenza Commerciale», i, 1979, p. 647 ss. ove analizza i «costi» che la mancanza di un adeguato sistema punitivo delle società commerciali può determinare, nonché M. Romano, Societas delinquere non potest (nel ricordo di Franco Bricola), in «Rivista italiana di diritto e procedura penale», 1995, p. 1031 ss. 2 Il decreto legislativo 231/2001 relativo alla Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell’art. 11 1 266 E. Pavanello considerazione delle sollecitazioni provenienti da altri ordinamenti che si sono orientati – come visto – nel senso della responsabilità penale dell’ente. In particolare, ci si è a lungo interrogati sulla compatibilità della responsabilità (penale) delle persone giuridiche con il principio della personalità della responsabilità penale, sancito nell’articolo 27 della Costituzione, inteso sia nel suo significato minimo sia nel suo significato massimo, oltre che sull’effettività delle sanzioni eventualmente inflitte3. D’altro canto, la necessità di individuare delle risposte adeguate sul piano legislativo con riferimento alla criminalità di impresa si è rivelata nel corso degli anni sempre più pressante, in quanto la realtà ha dimostrato come le persone giuridiche ben possano delinquere e, talvolta, con un potenziale lesivo maggiore rispetto a quello dei singoli individui. Potenzialità che si rivela assolutamente «nociva» laddove sia accompagnata da una sostanziale irresponsabilità degli enti4. La «occasione» per l’introduzione della responsabilità collettiva è stata la ratifica di una serie di atti internazionali5 che ha condotto alla creazione di un vero e proprio della legge 29 settembre 2000, n. 300 è stato pubblicato nella g.u. n. 140 del 19 giugno 2001. 3 Si confronti, inter alia, per una illustrazione di siffatte problematiche, M. Parisi, Riflessioni in tema di responsabilità penale delle persone giuridiche, in «Rivista penale», ii, 1999, p. 1057-1064; in relazione all’aspetto sanzionatorio, A. Manna, La responsabilità delle persone giuridiche: il problema della sanzioni, in «Rivista trimestrale di diritto penale dell’economia», 1999, p. 919 ss.; C.E. Paliero, Problemi e prospettive della responsabilità penale dell’ente nell’ordinamento italiano, in «Rivista trimestrale di diritto penale dell’economia», 1996, p. 1173 ss., il quale ipotizza tre diverse soluzioni per superare gli ostacoli connessi alla configurazione di una responsabilità penale della persona giuridica: (i) la costruzione di un modello di colpevolezza ad hoc per le persone giuridiche che consenta di superare il principio nulla poena sine culpa di cui all’art. 27 Cost.; (ii) il potenziamento di modelli extrapenali già esistenti, quale ad esempio il meccanismo del civilmente obbligato di cui all’art. 197 c.p.; (iii) l’abbandono di ogni questione dogmatica e l’opzione per una soluzione basata sull’effettività, attraverso l’adozione di misure interdittive e sospensive che incidano sulla politica di impresa. Per un’illustrazione del dibattito sulla responsabilità penale delle persone giuridiche si cfr. inoltre A. De Risio, Societas delinquere potest?, in «Giurisprudenza di merito», 5, 2006, p. 1153 ss. 4 Per F. Compagna, La responsabilizzazione delle società commerciali come scelta di politica criminale, in «Indice penale», 2, 2007, p. 644, il diritto penale ha manifestato la propria inefficacia in taluni settori sia da un punto di vista della prevenzione generale che della prevenzione speciale che hanno indotto il legislatore a riconsiderare l’intero apparato punitivo nei confronti delle società commerciali. 5 Il decreto legislativo costituisce attuazione, anche se come si vedrà non fedele, della legge delega n. 300/2000 con la quale lo Stato italiano ha ratificato e dato esecuzione ad una serie di accordi internazionali tra cui figurano la Convenzione ocse del dicembre 1997 sulla lotta alla corruzione dei pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali e il secondo Protocollo della Convenzione pif del 1997 che prevedevano la necessità di introdurre una forma di responsabilità per gli enti che, a mezzo dei propri dipendenti, si rendono responsabili di atti di corruzione. Per un commento alla legge delega si veda G. Marra, Note a margine dell’art. 6 ddl n. 3915-S contenente una «delega al governo per la disciplina della responsabilità penale delle persone giuridiche», in «Indice penale», 2000, p. 827 ss. Per un’analisi delle indicazioni provenienti dall’Unione Europea, dal Consiglio d’Europa e dall’ocse in materia di responsabilità penale delle persone giuridiche si veda M.F. Fontanella, Corruzione e superamento del principio societas delinquere non potest nel contesto internazionale, in «Liuc Papiers» n. 83, serie «Impresa e Istituzioni», 15 febbraio 2001. Per un’illustrazione della disciplina L’ordinamento italiano 267 sistema autonomo, extra codice, il quale detta la disciplina sostanziale e processuale cui ancorare la responsabilità dell’ente definita amministrativa ma, nella sostanza, dipendente da reato6. Un sistema di parte generale che è forse «sproporzionato» relativa alla responsabilità penale degli enti nei Paesi aderenti all’ocse si veda R. Calderone, La responsabilità degli enti nei Paesi aderenti all’OCSE, in Responsabilità degli enti per i reati commessi nel loro interesse, in «Cassazione penale», 2003, supplemento al n. 6, p. 57 ss. 6 Numerosi i contributi dottrinali di commento e analisi alla nuova normativa. Tra le opere monografiche si segnalano: M. Arena, G. Cassano, La responsabilità da reato degli enti collettivi, Giuffré Milano 2007; A. Giarda, E.M. Mancuso, G. Spangher, G. Varraso, Responsabilità «penale» delle persone giuridiche, ipsoa, Milano 2007; R. Guerrini, La responsabilità da reato degli enti, Giuffré, Milano 2006; Bassi, Epidendio, Enti e responsabilità da reato, Giuffré, Milano 2006; M.A. Pasculli, La responsabilità da reato degli enti collettivi nell’ordinamento italiano, Cacucci, Bari 2005; Reati e responsabilità degli enti, a cura di G. Lattanzi, Giuffré, Milano 2005; La responsabilità degli enti: un nuovo modello di giustizia punitiva, a cura di G. De Francesco, G. Giappichelli, Torino 2004; A. Fiorella, G. Lancellotti, La responsabilità dell’impresa per i fatti di reato, G. Giappichelli, Torino 2004; Societas puniri potest, a cura di F. Palazzo, cedam, Padova 2003; S. di Pinto, La responsabilità amministrativa da reato degli enti, G. Giappichelli, Torino 2003; Responsabilità degli enti per illeciti amministrativi dipendenti da reato, a cura di G. Garuti, cedam, Padova 2002; S. Gennai, A. Traversi, La responsabilità degli enti per illeciti amministrativi dipendenti da reato, Giuffré, Milano 2001. Per la manualistica, si confrontino tra gli altri L. Conti, La responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, xxv, cedam, Padova 2001, p. 861 ss.; A. Alessandri, Parte Generale, in C. Pedrazzi, A. Alessandri, L. Foffani, S. Seminara, G. Spagnolo, Manuale di diritto penale dell’impresa, Monduzzi, Bologna 2000, p. 79 ss.; E.M. Ambrosetti, Efficacia della legge penale nei confronti delle persone, in La legge penale, opera diretta da M. Ronco, Zanichelli, Bologna 2006, p. 182 ss.; E.M. Ambrosetti, E. Mezzetti, M. Ronco, Diritto penale dell’impresa, Zanichelli, Bologna 20092, p. 34 ss.; F. Mantovani, Diritto penale, parte generale, cedam, Padova 20096, p. 114 ss.; T. Padovani, Diritto penale, Giuffré, Milano 20089, p. 91 ss.; A. di Amato, Diritto penale dell’impresa, Giuffré, Milano 2006, p. 531 ss.; A. Carmona, Premesse a un corso di diritto penale dell’economia, cedam, Padova 2002, p. 202 ss.; G. Marinucci, E. Dolcini, Manuale di diritto penale. Parte generale, Giuffrè, Milano 20062, p. 125 ss.; G. Fiandaca, E. Musco, Diritto penale. Parte generale, Zanichelli, Bologna 20096, p. 164 ss.; M. Pelissero, La responsabilità degli enti, in F. Antolisei, Manuale di diritto penale. Leggi complementari, a cura di C.F. Grosso, Milano, Giuffré 200713, i, p. 845 ss. Per un inquadramento generale, si vedano inoltre i seguenti contributi: M. Pelissero, G. Fidelbo, La «nuova» responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, in «La legislazione penale», 2002, p. 575 ss.; Ronco, voce Responsabilità delle persone giuridiche, in Enciclopedia Giuridica Treccani, xxvii, Roma, aggiornamento, 2002, 1 ss.; Marinucci, «Societas puniri potest»: uno sguardo sui fenomeni e sulle discipline contemporanee, in «Rivista italiana di diritto e procedura penale», 2002, p. 1193 ss.; M. Guernelli, La responsabilità delle persone giuridiche nel diritto penale-amministrativo interno dopo il d.legisl. 8 giugno 2001, n. 231 (prima parte), in «Studium iuris», i, 2002, p. 281 ss. e lo stesso autore, La responsabilità delle persone giuridiche nel diritto penale-amministrativo interno dopo il d.legisl. 8 giugno 2001, n. 231 (seconda parte), in «Studium iuris», i, 2002, p. 425 ss.; G. Amarelli, Mito giuridico ed evoluzione della realtà: il crollo del principio societas delinquere non potest, in «Rivista trimestrale di diritto penale dell’economia», 2003, p. 941 ss.; M. Romano, La responsabilità amministrativa degli enti, società e associazioni: profili generali, in «Rivista delle Società», 2002, p. 393 ss.; S. Riondato, Prevenzione dei reati riconducibili alla politica dell’ente e personalità delle responsabilità penale dell’ente (d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231), in «Rivista trimestrale di diritto penale dell’economia», 2003, p. 824 ss.; L. Bertonazzi, 268 E. Pavanello rispetto al numero di reati per i quali è stata pensata la nuova forma di responsabilità. Tuttavia, è da ritenere che la scelta inizialmente restrittiva del legislatore sia stata dettata principalmente da una certa cautela e dalla volontà di valutare l’impatto che il nuovo sistema avrebbe potuto avere sulle persone giuridiche coinvolte. Tant’è che, ad oggi, l’ambito di applicazione è stato notevolmente esteso, senza a dire il vero che sia stata seguita un’organica politica7. Al contrario, il catalogo dei reati, inizialmente limitato a ipotesi connesse alla criminalità di impresa, è stato poi incrementato, includendo ogni categoria di reati che desta particolare allarme sociale8. Obiettivo del presente lavoro è illustrare le scelte del legislatore con riferimento ai destinatari della nuova normativa sul versante «pubblicistico»: sono stati esclusi dalla responsabilità infatti tutti gli enti pubblici, a eccezione degli enti pubblici economici. È opportuno interrogarsi sul fondamento di tali restrizioni e sull’opportunità di creare un trattamento differenziato a seconda della natura pubblica o privata dell’ente, natura che, in taluni casi, risulta di difficile individuazione. Si ritiene comunque prima di ciò imprescindibile descrivere le modalità attraverso le quali viene in gioco la responsabilità dell’ente e, in particolare, i presupposti oggettivo e soggettivo in base ai quali opera la stessa nonché l’impianto sanzionatorio introdotto Il d.lgs. n. 231 del 2001 e il nuovo modello sanzionatorio dei soggetti collettivi, in «Diritto processuale amministrativo», 2001, p. 1167 ss., D. Pulitanò, La responsabilità «da reato» degli enti: i criteri di imputazione, in «Rivista italiana di diritto e procedura penale», 2002, p. 415 ss.; G. di Francesco, Gli enti collettivi: soggetti dell’illecito o garanti dei precetti normativi?, in «Diritto penale e processo», 2005, n. 6, p. 753 ss.; A. Travi, La responsabilità della persona giuridica nel d.lgs. n. 231/2000: prime considerazioni di ordine amministrativo, in «Le società», n.11, 2005, p. 1305 ss.; F. Da Riva Grechi, L’illecito funzionale degli enti collettivi, in «La giustizia penale», parte ii, 2003, p. 437 ss.; Pasculli, Questioni insolute ed eccessi di delega nel d.L.vo n. 231/2001, in «Rivista penale», ii, 2002, p. 739 ss.; A. Mereu, La responsabilità «da reato» degli enti collettivi e i criteri di attribuzione della responsabilità tra teoria e prassi, in «Indice penale», 1, 2006, p. 27 ss.; F. Vignoli, La responsabilità «da reato» dell’ente collettivo fra rischio d’impresa e colpevolezza, in «La responsabilità amministrativa delle società e degli enti», 2, 2006, p. 103 ss., <http://www.rivista231.it/>. Con particolare riferimento all’attività bancaria, F. Giunta, Attività bancaria e responsabilità ex crimine degli enti collettivi, in «Rivista trimestrale di diritto penale dell’economia», 1, 2004, p. 1 ss.; per i profili giuslavoristici cfr. A. Garlatti, D.lgs. 231/01 e riflessi giuslavoristici, in «D&L Rivista critica di diritto del lavoro», 2006, p. 341 ss. Gli esiti applicativi della nuova forma di responsabilità ad oltre un lustro dalla sua introduzione, sono stati analizzati da diversi studiosi. Si confrontino, in particolare, La responsabilità da reato degli enti collettivi, a cura di G. Spagnolo, Milano, Giuffré 2007; E. Garavaglia, La responsabilità amministrativa da reato delle persone giuridiche: i primi anni di applicazione giurisprudenziale, in «Giurisprudenza commerciale», parte ii, 2006, p. 383 ss.; G. Amato, Finalità, applicazione e prospettive della responsabilità amministrativa degli enti, cit., p. 140 secondo cui il giudizio sull’efficacia e sull’operatività del sistema è senz’altro positivo. Contra M. La Rosa, Teoria e prassi del controllo «interno» ed «esterno» sull’illecito dell’ente collettivo, in «Rivista italiana di diritto e procedura penale», 4, 2006, p. 1297 ss. che definisce il sistema un «corpus normativo più “simbolico” che reale, poiché tende a perseguire uno scopo diverso da quello espresso in modo chiaro nei precetti: rassicurare la collettività piuttosto che guarire il sistema». 7 Pelissero, La progressiva espansione dei reati-presupposto, in «Giurisprudenza Italiana», 2009, p. 1834. 8 N. Mazzacuva, E. Amati, Diritto penale dell’economia, cedam, Padova 2010, p. 64. L’ordinamento italiano 269 dal nuovo decreto. Il d.lgs. 231/2001 prevede, infatti, ai fini della configurazione della responsabilità, che venga posta in essere da parte di soggetti che rivestono peculiari posizioni all’interno dell’ente (soggetti in posizione apicale o sottoposti alla vigilanza di questi ultimi), una delle fattispecie criminose tassativamente indicate nel decreto9. Non vi è stata, comunque, una chiara presa di posizione circa la natura della responsabilità in discorso da parte del legislatore che ha preferito adottare L’elenco delle modifiche apportate al testo è lunghissimo. Sinteticamente si consideri che con la legge n. 116/2009 è stata estesa la responsabilità dell’ente anche per il reato di cui all’art. 377 bis c.p. (induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all’autorità giudiziaria); prima di allora la l. 94/2009 aveva esteso la responsabilità per i reati in materia di criminalità organizzata. Con il d.lgs. 81/2008 era stato invece modificato l’art. 25 septies (introdotto dall’art. 9 della l. 123 del 3 agosto 2007) relativo alla responsabilità degli enti per i reati di omicidio colposo, lesioni colpose gravi e gravissime, commessi con violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela dell’igiene e della salute sul lavoro. Per un commento si vedano Castronuovo, La responsabilità degli enti collettivi per omicidio e lesioni alla luce del d.lgs. n. 81 del 2008, in La prevenzione dei rischi e la tutela della salute in azienda. Il testo unico e le nuove sanzioni, a cura di Basenghi et al., ipsoa, Milano 2008, p. 159 ss.; M. Lepore, la legge delega sulla sicurezza: prime riflessioni, in «Il lavoro nella giurisprudenza», 11, 2007, p. 1079 ss.; G. Zanalda, La responsabilità degli enti per gli infortuni sul lavoro, prevista dalla legge 3 agosto 2007, n. 123, in «La responsabilità amministrativa delle società e degli enti», 2007, p. 97 ss, <http://www.rivista231. it/>. In generale sul nuovo t.u. si veda, Il testo unico della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, a cura di M. Tiraboschi, Giuffré, Milano 2008 e F. Giunta, D. Micheletti, Il nuovo diritto penale della sicurezza nei luoghi di lavoro, Giuffré, Milano 2010. In precedenza la legge n. 146 del 16 marzo 2006, di ratifica ed esecuzione della Convenzione e dei Protocolli delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale, con la quale è stata introdotta la responsabilità delle persone giuridiche in relazione al «reato transnazionale». Ai sensi dell’art. 3 è tale il reato che comporta il coinvolgimento di un gruppo criminale organizzato, la cui pena non è inferiore nel massimo a quattro anni e che, in via alternativa sia commesso: a) in più di uno Stato; b) in un solo Stato, ma una parte sostanziale della sua preparazione, pianificazione, direzione o controllo avvenga in un altro Stato; c) in uno Stato, ma sia implicato un gruppo criminale organizzato, impegnato in attività criminali in più di uno Stato; d) in un uno Stato, ma abbia effetti sostanziali in un altro Stato. La responsabilità delle persone giuridiche ai sensi del d.lgs. 231/2001 è espressamente prevista dall’art. 10 della l. 146/2006, il quale indica la tipologia delle sanzioni applicabili. Per un commento critico all’estensione della responsabilità degli enti in relazione al reato transnazionale si veda S. Bartolomucci, «Reato transnazionale»: ultima (opinabile) novellazione al d.lgs. n. 231/2001, in «Le società», 9, 2006, p. 1163 ss. In generale sul crimine transnazionale si veda A. Martino, Criminalità organizzata e reato transnazionale, diritto penale nazionale: l’attuazione in Italia della c.d. Convenzione di Palermo, in «Diritto penale e processo», 1, 2007, p. 15 ss. Prima di allora, la legge n. 7 del 9 gennaio 2006 aveva introdotto la responsabilità degli enti per il reato di mutilazioni genitali femminili, previsto all’articolo 583 bis del codice penale. Tale estensione desta qualche perplessità con riferimento agli obiettivi che il legislatore aveva dichiarato di perseguire mediante l’introduzione della responsabilità amministrativa dipendente da reato: nella relazione al decreto legislativo si legge, infatti, che «il legislatore delegante aveva di mira la repressione di comportamenti illeciti nello svolgimento di attività di natura squisitamente economica e cioè assistite da fini di profitto». Cfr. Relazione al decreto legislativo n. 231/2001 in appendice al testo di Gennai, Traversi, La responsabilità degli enti per illeciti amministrativi dipendenti da reato, cit., p. 380. Il reato di mutilazioni genitali femminili difficilmente si inserisce in questa prospettiva, così come risulta dall’articolo 1 della l. 7/2006 in cui è chiaramente statuito che le pratiche suddette costituiscono violazioni dei diritti fondamentali all’integrità della 9 270 E. Pavanello (formalmente) una soluzione di compromesso. Infatti, sebbene esistano elementi che hanno consentito ai più di sostenere la natura schiettamente penale, è indubbio che esistano anche «indizi» di una natura amministrativa della responsabilità, in primis la formula legislativa utilizzata che parla, appunto, di responsabilità amministrativa dipendente da reato. È opportuno precisare, sin d’ora, che anche laddove si ritenesse di aderire alla tesi che qualifica la responsabilità degli enti come amministrativa10, il discorso che effettueremo con riferimento alla impossibilità di punire le persone giuridiche di diritto pubblico resta rilevante. È evidente infatti come assuma rilievo la circostanza che il legislatore nel momento in cui ha deciso di introdurre un sistema punitivo per le persone giuridiche, ancorato alla commissione di un reato, abbia sentito l’esigenza di escludere taluni soggetti dal novero dei destinatari. Ciò costituisce sintomo della volontà di esonerare il potere pubblico dal sindacato del giudice penale ed assume rilievo generale perché consente di riflettere sulle limitazioni di responsabilità introdotte, vieppiù laddove si consideri che le argomentazioni utilizzate dal legislatore e dalla dottrina − la quale non ha mostrato di dedicare particolare attenzione alla questione − sono analoghe a quelle avanzate in altri ordinamenti. 1.2. I criteri di attribuzione della condotta alla persona giuridica. Dopo aver individuato i soggetti destinatari della nuova forma di responsabilità e sancito il principio di legalità e di successione delle leggi nel tempo, gli articoli da 5 a 7 descrivono le modalità attraverso cui la responsabilità delle persone giuridiche viene in rilievo. persona e alla salute delle donne e delle bambine. In questo senso si è espresso anche Amato, Finalità, applicazione e prospettive della responsabilità amministrativa degli enti, in «Cassazione penale», 1, 2007, p. 354. Criticamente, L.D. Cerqua, La responsabilità amministrativa degli enti collettivi: principi generali e prime applicazioni giurisprudenziali, in «La responsabilità amministrativa delle società e degli enti», 2, 2006, p. 155, <http://www.rivista231.it/>, ha rilevato che l’introduzione di tale fattispecie di reato quale presupposto della responsabilità dell’ente costituisce «ulteriore prova della disomogeneità della categoria, trasformata in un contenitore nel quale sono stati inseriti alla rinfusa i più svariati illeciti penale». Per un commento al reato, si vedano B. Giuditta, Prevenzione e divieto delle mutilazioni genitali femminili: genealogia (e limiti) di una legge, in «Quaderni costituzionali», fasc. 3, 2007, p. 567 ss.; B. Fabio, Società multiculturali, immigrazione e reati culturalmente motivati (comprese le mutilazioni genitali femminili), in «Rivista italiana di diritto e procedura penale», fasc. 4, 2007, p. 1296 ss. Con la l. 62/2005 era stato introdotto l’art. 25 sexies in relazione ai delitti di abuso di informazioni privilegiate e di manipolazione del mercato. Per un commento si veda D. Fondaroli, La responsabilità dell’ente, in F. Sgubbi, D. Fondaroli, A.F. Tripodi, Diritto penale del mercato finanziario, cedam, Padova 2008, p. 147 ss. 10 Il che parrebbe da escludere, stante l’espressa presa di posizione della Suprema Corte di cui si dirà infra (Cass., sez. ii, 30 gennaio 2006, n. 3615). L’ordinamento italiano 271 Sotto il profilo oggettivo, è necessario che i soggetti che si collocano in posizione apicale e le persone sottoposte all’altrui vigilanza e direzione, compiano uno dei reati per i quali è prevista la responsabilità dell’ente nell’interesse o a vantaggio di quest’ultimo. I concetti di interesse e vantaggio assumono connotazioni diversificate e sono stati posti, secondo parte della dottrina, dal legislatore in via alternativa, come dimostrebbe la possibilità di pagamento della sanzione in misura ridotta, disciplinata all’art. 12, quando l’autore del reato ha commesso il fatto nel prevalente interesse proprio e l’ente non ne ha ricavato vantaggio11. Altra parte della dottrina ritiene invece che i due termini abbiano una sostanziale identica portata semantica12. La giurisprudenza tanto di merito quanto di legittimità ha avallato la prima delle interpretazioni citate, sostenendo che i termini interesse e vantaggio non costituiscono un’endiadi rafforzativa ed «esprimono concetti giuridicamente diversi: potendosi distinguere un interesse “a monte” della società ad una locupletazione – prefigurata, pur se di fatto, eventualmente, non più realizzata – in conseguenza dell’illecito, rispetto ad un vantaggio obiettivamente conseguito all’esito del reato, perfino se non espressamente divisato ex ante dall’agente»13. L’interesse sarebbe quindi suscettibile di una verifica sul piano soggettivo e accertabile ex ante sulla base dell’elemento volitivo che ha caratterizzato la condotta del soggetto agente, a prescindere dagli esiti della condotta di tale soggetto. Il concetto farebbe riferimento alla finalizzazione della condotta illecita che integra il reato presupposto. Il vantaggio, invece, che non necessariamente assume carattere patrimoniale, farebbe riferimento a una valutazione di carattere oggettivo e richiederebbe sempre una verifica ex post14, al fine di valutare gli effetti favorevoli che per l’ente sono scaturiti dalla condotta penalmente illecita posta in essere dal dirigente o da persona sottoposta all’altrui direzione o vigilanza. A. Astrologo, «Interesse» e «vantaggio» quali criteri di attribuzione della responsabilità dell’ente nel d.lgs. 231/2001, in «Indice penale», 2003, p. 656 ss. e analogamente Epidendio, Bassi, Enti e responsabilità da reato, cit., p. 162 ss. 12 N. Selvaggi, L’interesse dell’ente collettivo quale criterio di iscrizione della responsabilità da reato, Jovene, Napoli 2006, p. 112. 13 Cassazione penale 20 dicembre 2005, n. 3615 pubblicata in «Foro Italiano», ii, 2006, p. 329 e in «Le società», 6, 2006, p. 756, con nota di S. Bartolomucci, Reato dell’amministratore e parametro oggettivo di imputazione della persona giuridica, ivi, p. 759 ss. e, analogamente, Trib. Milano, sez. xi, ordinanza 14 dicembre 2004, in «Foro Italiano», 2005, ii, col. 527. Secondo O. Di Giovine, Lineamenti sostanziali del nuovo illecito punitivo, in Reati e responsabilità degli enti, a cura di G. Lattanzi, Giuffré, Milano 2005, p. 63, tuttavia, il criterio del vantaggio potrebbe rivelarsi di maggiore utilità in futuro «laddove si dovesse allungare la lista dei reati, dal momento che si adatta particolarmente bene alle ipotesi in cui il reato sia realizzato dalla persona fisica con colpa, piuttosto che dolosamente». Per l’illustrazione delle diverse posizioni espresse dalla dottrina sul punto, si confronti De Risio, Societas delinquere potest?, cit., p. 1158. 14 D. PulitanÒ, voce Responsabilità amministrativa per i reati delle persone giuridiche, in Enciclopedia del Diritto, Garzanti, Milano, aggiornamento iv, 2002, p. 958. 11 272 E. Pavanello La persona giuridica non risponde nel caso in cui le persone fisiche individuate abbiano agito nel proprio esclusivo interesse o di terzi: la norma è espressione del principio secondo cui laddove la persona fisica abbia potuto giovarsi della struttura dell’ente per trarne esclusivo personale vantaggio, la persona giuridica non possa e non debba rispondere dell’illecito essendo stata semplice occasione per la commissione del reato. In questi casi occorre infatti prendere atto che la condotta illecita costituisce addirittura deviazione rispetto all’attività dell’ente collettivo15. Sulla congruità, tuttavia, dei concetti di interesse e vantaggio per ascrivere i fatti di reato all’ente forti dubbi sono stati avanzati e, a ragione, dalla dottrina: difficile immaginare, soprattutto per le ipotesi di reato colposo recenetemente introdotte, che si possa (sempre) ravvisare un interesse o vantaggio dell’ente. Sarebbe stato probabilmente più opportuno sancire che la responsabilità viene in gioco quando la persona fisica ha agito «per conto» dell’ente, analogamente ad esempio a quanto previsto dall’ordinamento francese, ovvero ha agito nello svolgimento delle proprie funzioni16. Sotto il profilo soggettivo, il legislatore indica i criteri di attribuzione della responsabilità che sono diversificati a seconda del soggetto che ha commesso il reato. In particolare si distinguono due ipotesi. Laddove il reato sia stato posto in essere dai soggetti che si collocano in posizione apicale – coloro che, secondo un criterio oggettivo funzionale, rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia funzionale e finanziaria, nonché quei soggetti che esercitano, di fatto, la gestione e il controllo dell’ente stesso17 – l’ente non risponde (unicamente) se dimostra di aver adottato ed efficacemente attuato «modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi»(art. 6). La ragione di questa «presunzione» di responsabilità18 va rinvenuta nel fatto che, normalmente, il soggetto in posizione apicale è espressioCfr. Selvaggi, L’interesse dell’ente collettivo quale criterio di iscrizione della responsabilità da reato, cit., p. 181. 16 P. Aldrovandi, I «modelli di organizzazione e di gestione» nel d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231: aspetti problematici dell’«ingerenza penalistica» nel «governo» delle società, in «Rivista trimestrale di diritto penale dell’economia», 3, 2007, p. 481. V. Selvaggi, L’interesse dell’ente collettivo quale criterio di iscrizione della responsabilità da reato, cit., p. 116 ss., il quale mette in guardia sui rischi di eccessiva estensione della responsabilità dell’ente attraverso il criterio dell’aver agito per conto della persona giuridica. 17 Alla stregua di questa definizione, sono esclusi dalla categoria i sindaci, i quali svolgono funzioni di controllo ma non di effettiva gestione. Sul punto si vedano Ambrosetti, Efficacia della legge penale nei confronti delle persone, cit., p. 198 e Mereu, La responsabilità «da reato» degli enti collettivi e i criteri di attribuzione della responsabilità tra teoria e prassi, cit., p. 50-51. 18 Cerqua, La responsabilità amministrativa degli enti collettivi: principi generali e prime applicazioni giurisprudenziali, cit., p. 162 ritiene che la scelta del legislatore di introdurre un’inversione dell’onere della prova a carico dell’ente sia dovuta ad esigenze garantiste, al fine di poter recuperare una dimensione di colpevolezza ed evitare sin troppo semplici automatismi di imputazione della condotta illecita dell’amministratore alla società. 15 L’ordinamento italiano 273 ne della politica di impresa: solo laddove sia dimostrato che detta politica differisce dall’operato del singolo soggetto fisico, l’ente andrà esente da responsabilità. Quando, invece, la fattispecie criminosa sia stata posta in essere da soggetti sottoposti all’altrui direzione o vigilanza – soggetti che sono inquadrati all’interno dell’ente in uno stabile rapporto di lavoro subordinato o che comunque ancorch’è non dipendenti dell’ente svolgano un determinato incarico sotto la direzione o il controllo dei vertici dell’ente stesso19 – l’ente risponde del reato unicamente se la sua realizzazione è stata resa possibile dall’inosservanza degli obblighi connessi alle funzioni di direzione e vigilanza. L’inosservanza è esclusa se l’ente prima della commissione del reato ha adottato ed attuato un modello organizzativo idoneo a prevenire il reato. Come si può arguire, elemento centrale nella nuova normativa è costituito dai modelli organizzativi che laddove siano stati efficacemente predisposti e attuati prima della commissione del reato sono in grado di escludere la responsabilità dell’ente; qualora invece siano adottati ex post (purché prima dell’apertura del dibattimento), incidono sull’entità e sulla natura della pena applicabile all’ente20. 1.3. L’apparato sanzionatorio. Le sanzioni cui può essere sottoposto l’ente sono disciplinate nella sezione ii del d.lgs. 231/2001 (art. 9-22) e si distinguono in sanzioni generali (sanzione pecuniaria e confisca); speciali, applicabili solo in occasione della commissione di determinati illeciti, (misure interdittive) e accessorie (pubblicazione della sentenza di condanna). La sanzione pecuniaria è disciplinata dagli articoli 10-12 del decreto sulla base del meccanismo delle quote. Essa è strutturata in maniera tale che il Giudice, per procedere alla determinazione della pena in concreto, debba passare attraverso due distinti momenti valutativi: nel primo, determinerà il numero delle quote − che non In questo senso in dottrina, tra gli altri, Mereu, La responsabilità «da reato» degli enti collettivi, cit., p. 53 e Garavaglia, La responsabilità amministrativa da reato, cit., p. 387. Contra, Gennai, Traversi, La responsabilità degli enti per illeciti amministrativi dipendenti da reato, cit., p. 43. In giurisprudenza, da segnalare l’ordinanza del Tribunale di Milano del 27 aprile 2004, con la quale è stato definito come «sottoposto» ai sensi dell’art. 5, 1 comma, lett. b) un ex dipendente, divenuto successivamente consulente esterno all’azienda. Critico rispetto a questa decisione F. Pernazza, Commento ad ordinanza Tribunale di Milano 27 aprile 04, in «Le società», 2004, p. 1283 ss., nonché L. Antonetto, Sistemi disciplinari e soggetti sottoposti ex d.lgs.231/2001, in «La responsabilità amministrativa delle società e degli enti», 4, 2006, p. 70, <http://www.rivista231.it/>. 20 Sul ruolo e sulla qualificazione dogmatica dei modelli di prevenzione si veda G. Cocco, L’illecito degli enti dipendente da reato ed il ruolo dei modelli di prevenzione, in «Rivista italiana di diritto e procedura penale», 2004, p. 90 ss., nonché A. Nisco, Responsabilità amministrativa degli enti: riflessioni sui criteri ascrittivi «soggettivi» e sul nuovo assetto delle posizioni di garanzia delle società, in «Rivista trimestrale di diritto penale dell’economia»,1-2, 2004, p. 295 ss., con particolare riferimento al ruolo svolto da tali modelli in relazione all’individuazione dell’elemento soggettivo della condotta. 19 274 E. Pavanello potrà essere inferiore a cento né superiore a mille − tenendo conto della gravità del fatto, del grado della responsabilità dell’ente nonché dell’attività svolta per eliminare o attenuare le conseguenze del fatto e per prevenire la commissione di ulteriori illeciti; nel secondo, invece, il Giudice fisserà il valore della singola quota − valore che può andare da un minimo di duecentocinquanta a un massimo di millecinquecento euro − tenendo in considerazione le condizioni economiche e patrimoniali dell’ente. La previsione de qua si rivela quanto mai opportuna per garantire efficacia alla sanzione pecuniaria che, ove non sia adeguatamente calibrata alle dimensioni e alle capacità dell’ente21, rischierebbe di rivelarsi un mero costo di impresa (rischio che comunque sussiste laddove sia irrogata la sola sanzione pecuniaria che potrebbe essere iscritta al bilancio dell’ente al pari di altri costi di gestione dell’impresa). Nelle singole fattispecie di reato previste agli articoli 24 e seguenti del decreto sono indicati gli intervalli edittali delle quote associati alla singola figura di reato: così, ad esempio, nel caso di concussione e corruzione il giudice potrà applicare la sanzione pecuniaria fino a duecento quote. La confisca, vera e propria sanzione a carattere generale, è disciplinata all’art. 19 e costituisce la «preoccupazione» maggiore per gli enti sottoposti a indagine22. Essa consegue infatti obbligatoriamente alla sentenza di condanna e ha ad oggetto il prezzo o il profitto del reato, senza estendersi al patrimonio dell’impresa. Con la sentenza 2 luglio 2008, n. 26654, le Sezioni Unite della Cassazione hanno chiarito che «il profitto del reato nel sequestro preventivo funzionale alla confisca disposto – ai sensi degli artt. 19 e 53 d.lgs. 231/2001 – nei confronti dell’ente collettivo, è costituito dal vantaggio economico di diretta e immediata derivazione causale dal reato ed è concretamente determinato al netto della effettiva utilità eventualmente conseguita dal danneggiato, nell’ambito del rapporto sinallagmatico con l’ente». In altre parole, per individuare il profitto si deve tenere conto dell’insieme dei vantaggi economici tratti dall’illecito a questo strettamente pertinenti, dovendosi escludere, invece, il ricorso a criteri aziendalistici di profitto che imporrebbero di dedurre gli eventuali costi affrontati per la realizzazione del reato23. Obiettivo del legislatore è impedire che l’ente possa godere Guerrini, La responsabilità da reato degli enti, cit., p. 159 ritiene che il meccanismo di commisurazione sulla base delle quote sia «il maggior pregio della disciplina relativa alla pena pecuniaria». Parlano di un sistema che consente una commisurazione «equa» della pena G. Fornasari, A. Meneghini, Percorsi europei di diritto penale, cedam, Padova 2005, p. 203. 22 L. Pistorelli, Il profitto oggetto di confisca ex art. 19 d.lgs. 231/2001 nell’interpretazione delle Sezioni Unite della Cassazione, in «La responsabilità amministrativa delle società e degli enti», 4, 2008, p. 136, <http://www.rivista231.it/>. 23 La sentenza è pubblicata in «Diritto penale e processo», 10, 2008, p. 1263 ss. Condivide la scelta effettuata dalla Suprema Corte Pistorelli, Il profitto oggetto, cit., p. 146-147, poiché la sentenza nel respingere in radice l’alternativa tra profitto lordo e profitto netto e nel riaffermare per converso il criterio di diretta pertinenzialità come unico parametro di selezione dell’oggetto della confisca, ha restituito al dato normativo un contenuto sufficientemente preciso. Analogamente, Epidendio, La nozione di profitto oggetto 21 L’ordinamento italiano 275 dei frutti derivanti dall’illecito commesso nel suo interesse o vantaggio ed evidentemente arginare la spinta alla criminalità del profitto24. Quanto alle sanzioni interdittive, esse sono espressamente elencate nell’art. 9, secondo comma e consistono nell’interdizione dall’esercizio dell’attività, nella sospensione o nella revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito, nel divieto di contrattare con la pubblica amministrazione25, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio, nell’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi o nell’eventuale revoca di quelli già concessi e nel divieto di pubblicizzare beni o servizi. Le misure de quibus, all’interno delle quali non rientra la chiusura dello stabilimento o della sede commerciale26, hanno la finalità di privare di un determinato diritto o di una capacità l’ente e ben si affiancano alla sanzione pecuniaria che, da sola, potrebbe rivelarsi inefficace o addirittura controproducente in quanto rischierebbe di riversarsi sull’utente-consumatore27. Le sanzioni interdittive possono avere carattere temporaneo con durata compresa da tre mesi a due anni e, in casi di particolare gravità, possono essere disposte in via definitiva. Presupposto per la loro applicazione è che l’ente abbia tratto dal reato un profitto di rilevante entità ovvero vi sia reiterazione degli illeciti28, mentre la loro di confisca a carico degli enti, in «Diritto penale e processo», 10, 2008, p. 1267 ss., ritiene pregevole la soluzione ermeneutica delineata dalla Suprema Corte anche se mette in guardia circa le difficoltà di concretamente determinare la parte di profitto derivante dal reato rispetto a quella derivante dall’attività lecita di impresa. In relazione a questo ultimo aspetto, A. Rossetti, La nozione di profitto oggetto di confisca a carico degli enti, in «Diritto penale e processo», 10, 2008, p. 1281 ss., ritiene che si possa parlare di un temperato accoglimento del c.d. «principio del netto». 24 Guerrini, La responsabilità da reato degli enti, cit., p. 182. 25 Il Consiglio di Stato, con decisione adottata all’adunanza della sezione terza dell’11 gennaio 2005, in relazione al Parere richiesto dal Ministero delle Attività Produttive in materia di applicazione delle misure cautelari interdittive previste dagli art. 45 e ss. del d.lgs. 231/2001, ha chiarito con specifico riferimento al divieto di contrattare con la pubblica amministrazione che la nozione di pubblica amministrazione deve intendersi comprensiva dell’insieme di tutti i soggetti, ivi inclusi i privati concessionari di servizi pubblici, le imprese pubbliche e gli organismi di diritto pubblico secondo la terminologia comunitaria, che sono chiamati ad operare, in relazione all’ambito di attività considerato, nell’esercizio di una pubblica funzione. La decisione è rinvenibile in «La responsabilità amministrativa delle società e degli enti», Giurisprudenza, <http://www.rivista231.it/>. 26 Non condivide la scelta G. De Marzo, Le sanzioni amministrative: pene pecuniarie e sanzioni interdittive, in «Le società», 11, 2001, p. 1314. Analogamente, Guerrini, La responsabilità da reato degli enti, cit., p. 170, rileva che la normativa contenuta nel decreto aspira comunque a porsi come disciplina a carattere generale con riferimento alla responsabilità degli enti e che, in ogni caso, la sanzione de qua avrebbe potuto contribuire ad evitare la reiterazione di illeciti legati alle particolari condizioni ambientali in cui opera l’ente stesso. 27 Così Lottini, Il sistema sanzionatorio, in Responsabilità degli enti, a cura di G. Garuti, cit., p. 153. 28 Cfr. art. 13 d.lgs. 231/2001. 276 E. Pavanello applicazione è esclusa laddove la sanzione pecuniaria sia ridotta ai sensi dell’art. 12 primo comma29. Di particolare rilievo è la disposizione dell’articolo 15, che disciplina un’apposita sanzione sostitutiva: il legislatore ha previsto, infatti, che laddove sussistano i presupposti per l’applicazione di una sanzione interdittiva che determina l’interruzione dell’attività dell’ente, il giudice potrà disporre la continuazione della sua attività da parte di un commissario ad hoc quando «l’ente svolge un pubblico servizio o un servizio di pubblica necessità la cui interruzione può provocare un grave pregiudizio alla collettività» o quando «l’interruzione dell’attività dell’ente può provocare, tenuto conto delle sue dimensioni e delle condizioni economiche del territorio in cui è situato, rilevanti ripercussioni sull’occupazione». In entrambe le ipotesi l’interruzione dell’attività comporterebbe gravi pregiudizi per la comunità o per la mancata fruizione di un servizio essenziale ovvero per le ricadute negative sull’occupazione. Laddove sia applicata una sanzione interdittiva, l’art. 18 del decreto dispone che possa essere disposta dal Giudice, in via facoltativa la pubblicazione della sentenza, per intero o per estratto, in uno o più giornali o mediante affissione nel Comune ove l’ente ha la sede principale. 2. La controversa qualificazione della natura penale, amministrativa o di terzo genere della responsabilità degli enti. Nel commentare il nuovo decreto gli studiosi si sono divisi nel qualificare la responsabilità come amministrativa, penale o di terzo genere30, e a seconda della tesi sostenuta hanno privilegiato taluni elementi presenti nel dettato normativo piuttosto che altri. Non si intende qui ripercorrere in maniera approfondita gli iter interpretativi seguiti − altri l’hanno già fatto in modo esaustivo31 − ma si richiameranno brevemente i termini della questione. Parte della dottrina ha ritenuto che la responsabilità introdotta sia amministrativa32 sulla base del nomen juris che la legge attribuisce alla stessa: si parla, infatti, di Le ipotesi di riduzione della sanzione pecuniaria sono correlate al fatto che il reato sia stato commesso dal soggetto persona fisica nel prevalente interesse proprio o di terzi o che il danno patrimoniale cagionato sia di particolare tenuità o ancora al fatto che prima dell’apertura del dibattimento l’ente abbia risarcito il danno ed abbia eliminato le conseguenze dannose o pericolose derivanti dal fatto di reato o si sia dotato di un modello organizzativo idoneo atto a prevenire reati della specie di quello verificatosi. 30 Pulitanò, voce Responsabilità amministrativa per i reati delle persone giuridiche, cit., p. 954 ha ritenuto comunque irrilevante la questione della qualificazione circa la tipologia della responsabilità: a suo avviso infatti «la classificazione come “penale” o “amministrativa” si riduce a mera questione accademica». 31 Pasculli, La responsabilità da reato degli enti collettivi nell’ordinamento italiano, cit., p. 128 ss. 32 Si confrontino in particolare Romano, La responsabilità amministrativa degli enti, società e associazioni: 29 L’ordinamento italiano 277 una responsabilità amministrativa e non penale. Esistono, inoltre, altri elementi di «sostanza» che legittimerebbero una lettura della nuova responsabilità in chiave amministrativistica: trattasi, in particolare, della disciplina dettata con riferimento alla prescrizione dell’illecito (articolo 22) che ricalca in modo pedissequo le disposizioni contenute della l. 689/81, nonché del carattere amministrativo che può rivestire la sanzione prevista nei confronti degli enti creditizi33. In questa prospettiva verrebbe salvaguardato il principio della responsabilità penale personale di cui all’art. 27 della Costituzione e sarebbe possibile «aggirare» gli ostacoli connessi al finalismo rieducativo della pena, difficilmente configurabile – si sostiene – in relazione alla persona giuridica. La dottrina che ha, invece, sostenuto la natura schiettamente penale della nuova forma di responsabilità34 lo ha fatto sulla base innanzitutto dell’assonanza di talune disposizioni del decreto con le norme contenute nel codice penale (si pensi al principio di legalità, al principio di irretroattività e alla disciplina dettata per i reati commessi all’estero che richiama espressamente gli articoli 7, 8, 9 e 10 del codice penale). Inoltre, dato fondamentale è la considerazione che la responsabilità è ancorata alla commissione di un reato. Non esistono, infatti, comportamenti tipizzati come illeciti amministrativi, ma la responsabilità discende dalla realizzazione di fattispecie criminose espressamente previste nel codice penale, cosicché se si qualificasse la responsabilità dell’ente come amministrativa, si finirebbe per differenziare la natura della responsabilità a fronte di una medesima condotta materiale. Si è fatto inoltre notare profili generali, cit., p. 398; Marinucci, «Societas puniri potest»: uno sguardo sui fenomeni e sulle discipline contemporanee, cit., p. 1201 ss.; G. Ruggiero, Capacità penale e responsabilità degli enti, G. Giappichelli, Torino 2004, p. 277 ss. e lo stesso Autore, Soggetto, persona, cittadino e diritto penale, in «Rivista trimestrale di diritto penale dell’economia», 2006, p. 105 ss., nonché G. De Simone, I profili sostanziali della responsabilità c.d. amministrativa degli enti: la «parte generale» e la «parte speciale» del d.lgs. 8 giugno 2001 n. 231, in Responsabilità degli enti, a cura di G. Garuti, p. 77 ss., il quale ritiene che anche se indici sintomatici della natura penale della responsabilità parrebbero rinvenirsi nelle modalità di contestazione dell’illecito nonché nell’elevato grado di afflittività di certi meccanismi sanzionatori introdotti nel decreto, tuttavia, occorre tenere in considerazione i referenti costituzionali dell’art. 27 e le difficoltà di strutturare una responsabilità penale tout court delle persone giuridiche che fanno propendere nel senso di una responsabilità amministrativa. 33 L’articolo 97 bis del d.lgs. n. 197/2004 impone, infatti, al pubblico ministero che inizi le indagini verso una banca, di darne comunicazione alla Banca d’Italia e alla Consob. Non solo. L’esecuzione delle sanzioni interdittive è affidata alla stessa Banca d’Italia, venendo quindi in considerazione «schemi e modalità che evocano modelli tradizionalmente amministrativi di intervento». In questo senso D. Tassinari, L. Stortoni, La responsabilità degli enti: quale natura? quali soggetti?, in «Rivista trimestrale di diritto penale dell’economia», 1, 2006, p. 14. 34 Contra Marinucci, Societas puniri potest: uno sguardo sui fenomeni e sulle discipline contemporanee, cit., p. 1202, il quale non considera l’accertamento nel processo penale elemento decisivo. A Parere dello Studioso, infatti, la sanzione amministrativa può essere ben inflitta anche nel corso di un procedimento penale, come avveniva già in passato in caso di connessione obiettiva di un illecito amministrativo con un reato. 278 E. Pavanello come, in taluni casi, il legislatore preveda testualmente che il reato sia commesso dall’ente (artt. 28-30 d.lgs.)35. Da un punto di vista procedurale, poi, l’accertamento della responsabilità si realizza attraverso e nel procedimento penale36: il che induce a ritenere che il complesso apparato del processo penale e il rispetto delle garanzie37 previste nel processo stesso, siano indubbio sintomo di una responsabilità schiettamente penalistica. Inoltre, sotto il profilo sostanziale, l’articolo 8 del decreto prevede la possibilità di condannare la persona giuridica anche laddove l’autore del reato non sia stato identificato o quando il reato si estingua per causa diversa dall’amnistia. Se la responsabilità della persona giuridica è indipendente da quella della persona fisica, essa deve necessariamente avere carattere penale in quanto, se così non fosse, si assisterebbe al paradosso dell’archiviazione della notitia criminis per la persona fisica che non è stata identificata o che non è imputabile e al contestuale proseguimento del procedimento penale a carico dell’ente allo scopo di accertare la sua responsabilità amministrativa38. Anche l’istituzione di un’anagrafe nazionale delle sanzioni applicate alle persone giuridiche presso il casellario giudiziale depone nel senso di una responsabilità penale dell’ente, attesa la funzione del casellario di documentare i precedenti penali di ogni soggetto39. Oltre a ciò, il sistema sanzionatorio, fortemente affittivo, sarebbe di chiara natura penale. In particolare, la possibilità di punire l’ente anche in caso di tentativo costituisce un’anticipazione di tutela che può essere giustificata unicamente in relazione ad una responsabilità di carattere penale40. Alla stregua di tali argomentazioni, non pare seriamente dubitabile che vi sia una capacità dell’ente di vedersi ascritta una responsabilità penale e ciò a prescindere dalla qualificazione «formale» in senso amministrativo effettuata dal legislatore, dovuta probabilmente alla difficoltà di giustificare l’inversione dell’onere della prova della Patrono, Verso la soggettività penale di società ed enti, cit., p. 188. Contra Marinucci, Societas puniri potest: uno sguardo sui fenomeni e sulle discipline contemporanee, cit., p. 1202, il quale non considera l’accertamento nel processo penale elemento decisivo. A parere dello Studioso, infatti, la sanzione amministrativa può essere ben inflitta anche nel corso di un procedimento penale, come avveniva già in passato in caso di connessione obiettiva di un illecito amministrativo con un reato. 37 In particolare, l’art. 35 del decreto prevede l’applicazione delle garanzie previste in favore dell’imputato all’ente in quanto compatibili. Sul punto R. Garofoli, Manuale di diritto penale Parte generale, Giuffré, Milano 2005, p. 194. A. Cadoppi, P. Veneziani, Manuale di diritto penale, cedam, Padova 2005, p. 225. 38 Sul punto si veda in particolare Amarelli, Mito giuridico ed evoluzione della realtà: il crollo del principio societas delinquere non potest, cit., 972 ss. 39 Patrono, Verso la soggettività, cit., p. 188. 40 Amarelli, Mito giuridico ed evoluzione della realtà: il crollo del principio societas delinquere non potest, cit., 972 ss. 35 36 L’ordinamento italiano 279 colpa, per i fatti commessi dai soggetti apicali, che mal si concilia con il principio della presunzione di innocenza di cui all’art. 27 Costituzione41. Per parte nostra si ritiene di condividere questa seconda impostazione: la soluzione compromissoria «pubblicizzata» dal legislatore non pare convincente in quanto esistono i presupposti sostanziali e procedurali affinché si possa parlare di una vera e propria responsabilità penale. A ciò si aggiunga che il progetto di riforma del codice penale elaborato dalla Commissione Pisapia ha espressamente previsto, all’articolo 56, l’introduzione di un modello di responsabilità degli enti alla stregua del d.lgs. 231/2001 nel codice penale, previa l’eliminazione dei riferimenti a una responsabilità di natura amministrativa42. Inoltre, di recente la stessa Suprema Corte ha statuito che, «ad onta del nomen juris, la nuova responsabilità, nominalmente amministrativa, dissimula la sua natura sostanzialmente penale»43. Per completezza, non si nasconde comunque che vi è chi, mostrando di condividere l’impostazione adottata dal legislatore44, ha ritenuto che gli elementi sin qui menzionati a sostegno dell’una o dell’altra lettura non siano decisivi e che, per tale ragione, sia più opportuno parlare di una responsabilità che si colloca a metà strada e che è partecipe della natura di entrambi gli illeciti45. Donini, Il volto attuale dell’illecito penale, Giuffré, Milano 2004, 47-48, a parere del quale oggi è possibile definire il reato come fatto tipico, antigiuridico e colpevole, di una persona fisica o giuridica, sanzionato con la pena. 42 Il Progetto Pisapia (articolato e relazione) è disponibile nel sito <http://www.giustizia.it>. Per l’analisi del Progetto con riferimento alla responsabilità degli enti si veda in questo capitolo il paragrafo 10. 43 Cass., sez. ii, 30 gennaio 2006, n. 3615 citata da C.E. Paliero, La responsabilità degli enti: profili di diritto sostanziale, in A. Alessandri, E. Amodio, G. Forti, P. Marchetti, M. Monadi, G. Grossi, S. Seminara, Impresa e giustizia penale: tra passato e futuro, vol. xxv, Giuffré, Milano 2009, p. 281. 44 Nella relazione alla legge delega si legge infatti testualmente che la responsabilità così delineata diverge in non pochi punti dal paradigma di illecito amministrativo (così ad esempio per il fatto che è legata alla commissione di un reato e che sono state attribuite tutte una serie di garanzie tipicamente penali nel processo) delineato dalla l. 689/81, con la conseguenza che esso dà luogo alla nascita di un tertium genus «che coniuga i tratti essenziali del sistema penale e di quello amministrativo». Relazione, cit., p. 377. 45 Così Bertonazzi, Il d.lgs. n. 231 del 2001 e il nuovo modello sanzionatorio dei soggetti collettivi, cit., p. 1174, in particolare sub nota n. 12, il quale ritiene che ostacoli di ordine costituzionale impediscano di qualificare la responsabilità come penale, ma che il modello sanzionatorio originale e innovativo diverga altresì dal paradigma racchiuso nella l. 689/81. L’autore testualmente ritiene che «la soluzione che si è preferita in ordine alla natura giuridica della “responsabilità amministrativa” dei soggetti collettivi, oltre a rendere il d.lgs. 231 del 2001 compatibile con il quadro costituzionale, [...] appare altresì rispettosa del dato letterale e dell’intenzione del legislatore». Analogamente G. Flora, Le sanzioni punitive nei confronti delle persone giuridiche: un esempio di «metamorfosi» della sanzione penale?, in «Diritto penale e processo», 11, 2003, p. 1399, N. Monfreda, D.lvo. n. 231/2001: l’ambito soggettivo di applicazione alla luce della sentenza n. 18941/2004 della Corte di Cassazione, in «Rivista Penale», 12, 2005, p. 1306; Ambrosetti, Efficacia della legge penale nei confronti delle persone, cit., p. 191 e De risio, Societas delinquere potest?, cit., p. 1160 a parere del quale sembra «invalicabile il limite naturalistico che si pone come uno degli indefettibili presupposti della responsabilità penale», cosicché potrebbe parlarsi di responsabilità penale soltanto «se astrattamente risulti applicabile anche la sanzione principe del diritto penale, cioè la restrizione 41 280 E. Pavanello 3. L’ambito soggettivo di applicazione del decreto. Le indicazioni contenute nella legge delega: l’esclusione degli enti che esercitano pubblici poteri. La non corretta attuazione del criterio nel decreto. Il d.lgs. 231/2001 indica i soggetti destinatari della nuova normativa e introduce una nozione di ente peculiare rispetto al sistema di responsabilità in analisi. Secondo quanto stabilito dall’articolo 1, infatti, le disposizioni previste nel decreto «si applicano agli enti forniti di personalità giuridica e alle società e associazioni anche prive di personalità giuridica» (comma 2), mentre non si applicano «allo Stato, agli enti pubblici territoriali, agli altri enti pubblici non economici nonché agli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale» (comma 3). Quest’ultima indicazione non si distingue sicuramente per la chiarezza, lasciando spazio a diversi dubbi interpretativi. Una breve notazione per quanto attiene i soggetti privati inclusi nella nozione di «ente», al cui interno vanno annoverati, oltre agli enti dotati di personalità giuridica anche agli enti che, pur essendo autonomi soggetti di diritto, non hanno attribuita dall’ordinamento giuridico la distinzione del patrimonio comune da quello dei singoli soci, associati o fondatori. La ratio dell’inclusione nel novero dei soggetti responsabili anche degli enti non dotati di personalità giuridica va rinvenuta nel fatto che essi sono sottoposti ad analogo rischio di realizzare attività illecite e, pertanto, sarebbe stato ingiustificato creare vere e proprie aree di immunità46. Dall’esame del decreto si evince che l’ente, per poter essere responsabile, deve disporre di una propria organizzazione, perseguire un proprio interesse e vantaggio e rispondere dell’obbligazione per il pagamento della sanzione pecuniaria con il proprio patrimonio o con il fondo comune. A parere di alcuni studiosi le società con partecipazione dello Stato e degli enti pubblici (art. 2449 c.c.) e le società di interesse nazionale (art. 2451 c.c.)47, sarebbedella libertà personale». Secondo Di Giovine, Lineamenti sostanziali del nuovo illecito punitivo, in Reati e responsabilità, cit., p. 14-15 la soluzione di compromesso sembra più che mai giustificabile laddove si consideri la peculiarità della materia. 46 Con la sentenza della Corte di Cassazione 3 marzo 2004, n. 18941 è stato peraltro chiarito che «l’ambito soggettivo di applicazione della recente disciplina in tema di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche non può essere esteso anche alle imprese individuali. Invero il divieto di analogia in malam partem impedisce una lettura della normativa in esame che ne estenda le previsioni anche alle ditte individuali, si tratterebbe infatti di interpretazione chiaramente contraria all’art. 25 comma 2 Cost.». La sentenza è pubblicata in «Cassazione penale», 2004, p. 4046 ss. con nota di P. di Geronimo, La Cassazione esclude l’applicabilità alle imprese individuali della responsabilità da reato prevista per gli enti collettivi: spunti di diritto comparato, ivi, p. 4049-4051. 47 Ritiene che si tratti di enti di natura essenzialmente privatistica, R. Galli, D. Galli, Corso di diritto amministrativo, cedam, Padova 20044, p. 339, natura che non viene meno nonostante il loro assoggettamento ad una disciplina derogatoria del diritto comune. Il modello di riferimento sarebbe oggi costituito dalla Rai s.p.a., società a totale partecipazione pubblica che gestisce il servizio pubblico radiotelevisivo, in virtù di apposita convenzione con il Ministero delle Comunicazioni. L’ordinamento italiano 281 ro equiparabili agli enti privati e, per l’effetto, assoggettati a responsabilità48 poiché dispongono di una struttura privatistica. Tuttavia, la questione a nostro avviso non è piana poiché dubbi possono legittimamente essere avanzati in ordine all’inclusione di dette società nel novero dei soggetti penalmente responsabili49. Per quanto concerne la disposizione relativa agli enti a soggettività pubblica, essa, oltre a destare perplessità in ordine all’estensione e al fondamento delle eccezioni previste, contrasta con il principio di tassatività che dovrebbe governare il diritto penale e costituisce una non fedele trasposizione delle indicazioni contenute nella legge delega50. L’art. 11, primo comma della legge 300/2000, indicava, infatti, tra i destinatari della nuova disciplina le persone giuridiche, gli enti forniti di personalità giuridica, eccettuati lo Stato e gli altri enti pubblici che esercitano pubblici poteri51. Criterio discretivo per determinare quando una persona giuridica fosse tale era l’esercizio di pubblici poteri, nozione questa che «non trova adeguato, tassativo pendant nell’esperienza giuridica amministrativo-pubblicistica»52. Infatti, in una accezione Gennai, Traversi, La responsabilità degli enti per illeciti amministrativi dipendenti da reato, cit., 15 e A. Serafini, Riflessioni sull’applicazione del d.lgs. 231/2001 alle società pubbliche. Il caso di Enav s.p.a., in «La responsabilità amministrativa delle società e degli enti», 2, 2006, p. 225 ss., <http://www.rivista231. it/>, il quale considera senza alcun dubbio applicabile la nuova normativa anche alle società pubbliche, quale Enav spa (Società nazionale di assistenza al volo). G. Grassi, La responsabilità amministrativa dipendente da reato delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni prive di personalità giuridica, in «Contratto e impresa», ii, 2001, p. 1451, in particolare sub nota n. 69, con riferimento ai soggetti collettivi in cui uno degli azionisti sia lo Stato o il Ministero dell’Economia, osserva che − atteso che ai sensi dell’articolo 27 del decreto dell’obbligazione per il pagamento della sanzione pecuniaria risponde soltanto l’ente con il suo patrimonio o con il fondo comune – in ogni caso il soggetto pubblico non risponderà direttamente degli illeciti commessi dalla società partecipata. Saranno possibili tuttavia «ricadute» indirette degli effetti pregiudizievoli connessi all’irrogazione di una sanzione pecuniaria sull’ente pubblico-azionista, atteso che la sanzione grava sul patrimonio del soggetto controllato. Dello stesso parere Mazzacuva, Amati, Diritto penale dell’economia, cit., p. 65. 49 Sul punto si veda in particolare, il paragrafo 7. 50 In questo senso, tra gli altri, Pulitanò, Responsabilità amministrativa per i reati delle persone giuridiche, in «Enciclopedia del Diritto», iv aggiornamento, Garzanti, Milano 2002, p. 958; Riondato, Sulla responsabilità penale degli amministratori di società pubbliche, et de publica societate quoe delinquere potest, in «Rivista trimestrale di diritto penale dell’economia», 2005, p. 790; Ambrosetti, Efficacia della legge penale, cit., p. 192-193; P. Ielo, Società a partecipazione pubblica e responsabilità degli enti, in «La responsabilità amministrativa delle società e degli enti», 2, 2009, p. 102, <http://www.rivista231.it/>. 51 In particolare l’articolo 11 primo comma prevedeva che fossero destinatari della nuova normativa le società, le associazioni o gli enti privi di personalità giuridica che non svolgono funzioni di rilievo costituzionale. M. Valero, La responsabilità amministrativa degli enti: brevi osservazioni sull’ambito soggettivo di applicazione del D.L.vo n. 231/2001, in «Giustizia Amministrativa», ii, 2001, p. 687 ritiene che la scelta del legislatore delegato sia stata dettata da ragioni di opportunità indicate espressamente nella Relazione più che derivare da un dato oggettivo emergente dalla legge delega. 52 Riondato, Sulla responsabilità penale degli amministratori di società pubbliche, et de publica societate quoe delinquere potest, in «Rivista trimestrale di diritto penale dell’economia», 2005, p. 790 e Travi, La 48 282 E. Pavanello «minimalista» si sarebbe potuto fare riferimento a tutte le potestà di cui la pubblica amministrazione è titolare in quanto tale, come quelle certificative, autoritative e di autotutela. In questa prospettiva, sarebbero stati esclusi ad esempio le Università e le aziende ospedaliere, soggetti per i quali, invece, molto spesso sarebbe stato opportuno prevedere una forma di responsabilità collettiva. L’accezione che forse meglio avrebbe potuto rispondere alle esigenze connesse all’applicazione della nuova normativa53, sarebbe stata quella di includere i soli poteri attinenti alla sovranità dello Stato e non delegabili ai privati, quali, ad esempio, l’attività giudiziaria, tributaria, di polizia54. O ancora, si sarebbe potuto far coincidere la nozione di prerogativa pubblica con quella di esercizio di poteri autoritativi, intesi come possibilità di incidere unilateralmente sulla posizione di terzi, in linea con quanto indicato dalla giurisprudenza comunitaria che ha chiarito, seppur a diversi fini, come la deroga all’esercizio della libertà di investimento sia ammessa solo nei casi in cui l’attività svolta o l’impiego previsto siano caratterizzati dall’autoritatività55. Sin da queste prime notazioni, è possibile cogliere l’incertezza che regna con riferimento alla definizione di pubblico potere, la cui determinazione è essenziale per valutare in che misura il criterio indicato nella legge delega sia stato correttamente tradotto in sede di legge delegata. In ogni caso, il Governo, forse anche per uscire dall’impasse in cui si trovava nell’attuare la delega, ha preferito una nozione di pubblico potere alquanto estesa, disattendendo la volontà del legislatore delegato di limitare il più possibile le eccezioni all’applicazione della nuova normativa. L’articolo 1 del decreto ha infatti disposto, oltre alla già prevista esclusione degli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale (probabilmente sarebbe stato più opportuno utilizzare la nozione di ente costituzionale) e alla (intervenuta) parificazione tra Stato ed altri enti pubblici territoriali, l’esclusione di tutti gli enti pubblici non economici. Eppure è pacifico che questi non sono gli unici enti a non esercitare pubblici poteri, tant’è che la stessa Relazione al decreto legislativo indica che tra gli enti pubblici territoriali e gli enti pubblici economici residua una zona d’ombra perché «costituisce [...] un dato acquisito che da tale nozione esulano, accanto agli enti pubblici economici, numerosi altri enti pubblici» che non esercitano pubblici poteri56. responsabilità della persona giuridica nel d.lgs. n. 231/2000: prime considerazioni di ordine amministrativo, cit., p. 1306. 53 G. Fares, La responsabilità dell’ente pubblico per i reati commessi nel proprio interesse, in «Cassazione penale», 2004, p. 2224, in particolare sub nota 82. 54 Propende per un’interpretazione analoga anche C. De Maglie, Principi generali e criteri di attribuzione della responsabilità, in «Diritto penale e processo», 11, 2001, p. 1350. 55 Così riferisce E. Casetta, Manuale di diritto amministrativo, Giuffré, Milano 2005, p. 95. 56 Relazione, cit., p. 379. L’ordinamento italiano 283 Il Governo, ha incluso i soli enti pubblici economici, organismi di diritto pubblico ma che, di fatto, agiscono in regime di diritto privato. L’Esecutivo ha preferito optare per una soluzione «drastica», al fine di salvaguardare le esigenze di certezza del diritto57 ed ha giustificato poi tale opzione con argomentazioni di carattere pratico e di opportunità. In questo modo però, la legge delega non è stata attuata correttamente. Per completezza si segnala che in senso contrario c’è chi ha rilevato come la legge di attuazione della delega avrebbe in realtà esteso l’area dei soggetti responsabili, includendovi anche le società concessionarie di un servizio pubblico essenziale, le quali, invece, avrebbero dovuto essere escluse ai sensi della legge delega in quanto esercenti anche poteri pubblici58. L’esclusione di taluni enti pubblici è ancora meno giustificata ove si consideri che tra i soggetti destinatari della normativa sono inclusi anche quegli enti privati che esercitano un servizio pubblico in virtù di concessione o altro atto amministrativo. Non conta, sembrerebbe doversi ritenere, il tipo di attività esercitato dall’ente, quanto piuttosto la natura dell’ente che esercita quell’attività. Tale inclusione rivela la sua incoerenza laddove si consideri che gli enti pubblici − che garantiscono un pubblico servizio in condizioni magari analoghe a quelle in cui si trovano gli enti privati − non possono essere ritenuti responsabili di reati commessi nel loro interesse e vantaggio: la disparità di trattamento potrebbe essere giustificata solo laddove fosse possibile reperire una ragione obiettiva a sostegno della scelta legislativa. Inoltre, a ben vedere, il legislatore delegato confonde i criteri della natura dell’ente (rectius, dei poteri esercitati dall’ente) e della funzione svolta, nella misura in cui afferma che la ragione dell’inclusione degli enti che erogano un pubblico servizio tra i destinatari delle disposizioni è data (anche) dalla finalità economica perseguita dagli stessi. La scelta del legislatore sarebbe da condividere in quanto gli enti privati che svolgono funzioni nell’interesse della collettività o un pubblico servizio o una pubblica funzione, non potendo scaricare i costi di un’eventuale sanzione pecuniaria sulla collettività, risultano sensibili agli effetti della sanzione che andrebbe a incidere direttamente sui fondi dell’ente59. La finalità economica dell’attività esercitata assumerebbe in questa prospettiva rilievo nonostante l’indicazione iniziale da parte del legislatore delegante − dell’esercizio da parte dell’ente di prerogative pubbliche − fosse apparentemente slegata da qualsiasi valutazione circa la finalità di lucro perseguita dall’ente60. L’obiezione appare debole in quanto anche in questo caso i costi della sanzione potrebbero essere scaricati (indirettamente) sugli utenti attraverso l’aumento del servizio offerto. Ibidem. S. Vinciguerra, Sui principali problemi in tema di responsabilità dell’ente per il reato commesso nel suo interesse o vantaggio. Contestazioni e proposte, in «Giurisprudenza Italiana», 2009, p. 1828. 59 Bassi, Epidendio, Enti e responsabilità da reato, cit., p. 78. 60 Gennai, Traversi, La responsabilità degli enti per illeciti amministrativi dipendenti da reato, cit., p. 17. 57 58 284 E. Pavanello Ciò induce a ritenere che il vero criterio di discrimine utilizzato nell’individuazione dei soggetti responsabili sia quello del loro esercizio dell’attività economica, giustificato anche in relazione all’obiettivo programmatico che il legislatore si è posto con la nuova forma di responsabilità, ovvero contrastare la criminalità di impresa. Resta poi da chiarire per quale ragione siano stati inclusi anche gli enti (privati) non aventi scopo di lucro tra i destinatari della normativa. Inoltre, le recenti estensioni del catalogo dei reati presupposto anche a fattispecie che nulla hanno a che vedere con i reati economici, induce a chiedersi se effettivamente il criterio dell’economicità possa coerentemente essere invocato per giustificare l’esclusione di tutti gli enti pubblici. Sotto il versante degli enti pubblici, che più strettamente ci interessa, diamo ora uno sguardo ai grandi esclusi61. 4. L’esclusione dello Stato, degli enti pubblici territoriali e degli enti che svolgono funzioni costituzionali. L’esclusione dello Stato, da intendersi nella accezione più ampia, comprensiva di tutte le articolazioni62, non è stata posta sostanzialmente in discussione dalla dottrina la quale, al contrario, nel commentare il decreto ha sostanzialmente avallato l’esclusione. Anche se potrebbe ritenersi che l’esclusione dello Stato «abbia il sapore di un odioso privilegio», essa sarebbe condivisibile in quanto costituisce solo un’apparente ingiustificata immunità63. Sarebbe infatti, una contraddizione in termini prevedere che lo Stato possa essere perseguito penalmente «per l’ovvia ragione che il titolare della pretesa punitiva non può allo stesso tempo esserne destinatario»: questa dunque la ratio che giustificherebbe in primis l’esclusione64. L’eccezione troverebbe, inoltre, saldo fondamento nella nostra tradizione giuridica che da sempre ha escluso la responsabilità dello Stato sotto il profilo penale. Non Pasculli, Responsabilità da reato degli enti collettivi nell’ordinamento italiano, cit., p. 167. Cfr. Bassi, Epidendio, Enti e responsabilità da reato, cit., p. 75, secondo cui nonostante nel decreto non siano contenute espresse indicazioni relative alla nozione cui occorre fare riferimento, deve ritenersi che l’accezione sia quella più ampia possibile. A.M. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, Jovene, Napoli 1989, p. 6 ss. distingue tra Stato-comunità, da intendersi come la comunità statale nel suo complesso (e quindi come insieme degli individui che lo compongono); Stato-apparato, come l’insieme delle strutture amministrative, tra cui vanno annoverati anche gli enti pubblici, che svolgono l’attività amministrativa per il perseguimento degli interessi del medesimo Stato-comunità e, infine, Stato-ordinamento, da intendersi come l’insieme di norme e degli organi che le pongono, attraverso i quali in un’ottica super partes, si regolano i rapporti interni e si perseguono gli interessi statali. 63 Di Giovine, Lineamenti sostanziali del nuovo illecito punitivo, cit., p. 31; nello stesso senso Tassinari, Stortoni, La responsabilità degli enti: quale natura? quali soggetti?, cit., p. 26; De Simone, I profili sostanziali della responsabilità c.d. amministrativa degli enti: la «parte generale» e la «parte speciale» del d.lgs. 8 giugno 2001 n. 231, cit., p. 85. 64 Ronco, voce Responsabilità delle persone giuridiche, cit., p. 4. 61 62 L’ordinamento italiano 285 a caso ciò è avvenuto anche con riferimento all’obbligazione civile discendente da reato (il riferimento corre all’istituto disciplinato all’art. 197 c.p.)65. Senza contare, poi, che le scelte di diritto positivo di altri Paesi si sono orientate tutte nel senso di escludere lo Stato dal novero dei soggetti responsabili e che la scelta sarebbe stata giustificata in origine in ragione del ristretto campo applicativo della legge, di talché «l’ordinamento sarebbe entrato in contraddizione con se stesso se avesse considerato la pubblica amministrazione come soggetto attivo ed al tempo stesso soggetto passivo degli illeciti in esame»66. La scelta effettuata dal legislatore è stata valutata come una sorta di «iter obbligato» cui in nessun modo il Governo avrebbe potuto sottrarsi. Sarebbe stato impossibile anche solo ipotizzare il contrario: immaginare uno Stato che persegue se stesso in relazione alla tipologia di reati previsti nel decreto non era, pare doversi ritenere, concepibile. E ciò essenzialmente perché lo Stato opera nel perseguimento di un interesse pubblico, il quale sembrerebbe legittimarlo financo a violare la legge penale. L’esclusione dello Stato consentirebbe inoltre di evitare un’indebita ingerenza della magistratura che potrebbe strumentalizzare il sistema della responsabilità in esame per influire sulle scelte statali67. Dette argomentazioni riecheggiano l’idea dello Stato come legibus solutus. La supremazia del potere statale comporta che il potere sovrano non subisca limitazioni o condizionamenti, essendo non solo la volontà superiore a tutte le altre presenti nell’ordinamento, ma anche la fonte di ogni competenza (competenza delle competenze). In quanto tale lo Stato afferma la sua autorità su tutte le entità e istituzioni esistenti nel proprio territorio che comunque, essendo legittimate da norme dello Stato, acquistano posizione derivata68. Del pari, è passata quasi sotto silenzio l’esclusione degli altri enti pubblici territoriali, enti cioè nei quali il territorio è elemento costitutivo (Regioni, Province, Comuni), politicamente rappresentativi del gruppo stanziato su quest’area e che esercitano su di questo un potere in posizione di superiorità69. A tali enti vengono equiparati le Comunità montane70, le Comunità isolane o di arcipelago e le Unioni di Comuni in quanto entità che raggruppano diversi enti territoriali. Ambrosetti, Efficacia della legge penale, cit., p. 192. Di Giovine, Lineamenti sostanziali del nuovo illecito punitivo, cit., p. 31-32 la quale considera che il discorso meriterebbe di essere approfondito laddove il legislatore decidesse di ampliare il novero dei reati cui consegue la responsabilità perché altrimenti rischierebbe di darsi corpo alla massima presuntiva che lo Stato agisce sempre nell’interesse pubblico. 67 Bassi, Epidendio, Enti e responsabilità da reato, cit., p. 74. 68 E. Cuocolo, Istituzioni di diritto pubblico, Giuffré, Milano 200312, p. 81. 69 Casetta, Manuale di diritto amministrativo, Giuffré, Milano 20054, p. 84. 70 S. Vinciguerra, La responsabilità dell’ente per il reato commesso nel suo interesse, d.lgs. 231/2001, cedam, Padova 2004, p. 7. 65 66 286 E. Pavanello Il legislatore è stato sicuramente indotto a prevedere tale esclusione per il fatto che si tratta di enti che svolgono funzioni prettamente pubblicistiche ed hanno rilievo costituzionale71: si pongono infatti anche in questo caso problematiche analoghe a quelle che si pongono per lo Stato. Oltre a ciò, la parificazione è stata voluta presumibilmente per ragioni di carattere sistematico, in correlazione alla disposizione dell’art. 197 c.p. che, nel delineare la figura del civilmente responsabile, assimila gli enti pubblici territoriali de quibus allo Stato72. Si conferma quindi la posizione di «preminenza» degli enti de quibus rispetto ai cittadini che si esplica mediante la titolarità e l’esercizio di poteri sovrani. L’esercizio di detti poteri, in via esclusiva o meno, comporta quegli stessi rischi, connessi all’ingerenza della magistratura ordinaria in scelte politiche e sovrane palesati con riferimento allo Stato73. Da queste riflessioni comincia ad emergere l’idea che la connessione tra l’esclusione di un ente e l’esercizio da parte sua di prerogative pubbliche sia giustificata in ragione di un pericolo di commistione tra il potere politico e il potere giudiziario. Fino a che punto questo pericolo di commistione sia fondato è da dimostrare, anche perché in queste ipotesi il potere della magistratura non si potrebbe tradurre in un arbitrario giudizio relativo alla sussistenza di una condotta colpevole, ma sarebbe pur sempre ancorato alla verifica dell’esistenza dei presupposti oggettivi e soggettivi cui il decreto ancora la responsabilità. Seppure con riferimento ad un diverso ambito, ovvero il sindacato che il giudice penale può effettuare nei confronti dell’attività amministrativa posta in essere dai singoli agenti, è stato ad esempio criticamente rilevato che il pregiudizio della insindacabilità dell’azione penale, accreditato da un’equivoca interpretazione del principio della separazione dei poteri, non può trovare applicazione in termini assoluti nei confronti del giudice penale: il giudice penale inquesti casi non si sostituisce all’amministrazione, ma giudica senza interferire nella sfera del potere amministrativo74. Così Ronco, voce Responsabilità delle persone giuridiche, cit., p. 4. Cfr. Bertonazzi, Il d.lgs. n. 231 del 2001 e il nuovo modello sanzionatorio dei soggetti collettivi, cit., p. 1181 secondo cui deve considerarsi pacifica l’assimilazione allo Stato degli enti pubblici territoriali e M. Romano, G. Grasso, T. Padovani, Commentario sistematico del codice penale, Giuffré, Milano 1994, sub art. 197, 341 a parere dei quali nonostante non esistano previsioni espresse in relazione alla responsabilità solidale della persona giuridica per gli illeciti penali-amministrativi del rappresentante o dipendente (art. 6 l. 689/1981), anche in queste ipotesi sia opportuno ritenere esclusi gli enti pubblici territoriali, in quanto si tratta degli stessi enti beneficiari della sanzione amministrativa eventualmente applicata. 73 Bassi, Epidendio, Enti e responsabilità da reato, cit., p. 74. 74 C. Franchini, Giudice penale e sindacato dell’attività amministrativa (teoria e prassi nell’esperienza di un recente caso in materia di opere ferroviarie), in «Diritto processuale amministrativo», 2001, p. 697-698. L’Autore rileva che qualora sia necessario ai fini dell’accertamento di un reato valutare se l’attività amministrativa risponda ai fini previsti dalla legge, il giudice penale non può esimersi da una valutazione intrinseca dell’attività che passa necessariamente anche attraverso la valutazione del perseguimento effettivo dello scopo pubblico, cui l’azione amministrativa deve sempre essere volta. 71 72 L’ordinamento italiano 287 Non solo: la rappresentatività politica degli enti territoriali rispetto al gruppo stanziato sul territorio e la loro operatività tendenzialmente nell’interesse di tutto il gruppo, parrebbero divenire elementi sufficienti a garantire che il loro operato sia esente da censure sul piano giudiziario. L’esistenza di un organo democraticamente eletto parrebbe attribuire agli enti pubblici anche il mandato a delinquere. Vengono esclusi inoltre dal novero dei soggetti responsabili gli organi che svolgono funzioni di rilievo costituzionale. Probabilmente il legislatore ha voluto riferirsi agli organi che trovano espressa previsione nella Costituzione attraverso cui vengono svolte le funzioni legislativa, giurisdizionale e di governo. Con tale nozione, pertanto, si fa riferimento alla Camera dei Deputati, al Senato della Repubblica, al Consiglio dei Ministri, alla Corte Costituzionale, al Segretariato generale della Presidenza della Repubblica, al CSM ed al Cnel75. L’esclusione è volta ad evitare ingerenze da parte dell’autorità giudiziaria nell’attività di tali organi76. La dottrina ha, inoltre, ritenuto dall’analisi di tale disposto come siano stati esclusi anche i partiti politici e i sindacati, scelta di carattere politico77 in certo modo apprezzata per il rischio che il diritto penale si tramuti in controllo de facto politico per organismi che svolgono una funzione essenziale nella vita del Paese78. Quanto agli altri enti pubblici, occorre distinguere tra enti pubblici economici e non, al fine di comprendere quando un soggetto sia sottoposto alla forma di responsabilità di cui al decreto legislativo 231/2001. 5. L’esclusione degli enti pubblici non economici. Gli enti pubblici sono soggetti dotati della capacità di diritto pubblico e sono sottoposti a un regime giuridico peculiare e diverso rispetto a quello che impone il diritto comune. Si tratta di enti che costituiscono, insieme agli organi amministrativi dello Stato, l’amministrazione pubblica in senso soggettivo79 e sono, quindi, deputati alla cura degli interessi pubblici. Essi derivano i loro poteri direttamente dallo Stato, Bassi, Epidendio, Enti e responsabilità da reato, cit., p. 76. Ivi, p. 75 ss. 77 In questo senso, tra gli altri, M. Riverditi, La responsabilità degli enti: un crocevia tra repressione e special prevenzione, Jovene, Napoli 2009, p. 142. 78 De Simone, I profili sostanziali della responsabilità c.d. amministrativa degli enti: la «parte generale» e la «parte speciale» del d.lgs. 8 giugno 2001 n. 231, cit., p. 84 ha rilevato che la soluzione avrebbe potuto essere diversa, analogamente a quella adottata dal codice penale francese, attraverso la previsione di una responsabilità anche di tali enti ma con l’esclusione di determinate sanzioni particolarmente invasive per la «vita» di detti organismi. 79 Galli, Galli, Corso di diritto amministrativo, cit., p. 293. L’amministrazione in senso soggettivo va intesa come l’insieme dei soggetti giuridici pubblici e degli organi che sono competenti a curare gli interessi dei soggetti pubblici. 75 76 288 E. Pavanello sulla base del cosiddetto criterio gerarchico (dall’ente Stato vengono fatti derivare i poteri degli enti ad esso subordinati) o, in un’altra concezione, dall’ordinamento nel suo complesso. L’ente pubblico deve svolgere l’attività amministrativa in adempimento della cura di un interesse generale che fa capo alla comunità nel suo complesso, ritenuto meritevole da parte dell’ordinamento, il quale ne garantisce i soggetti e i modi in cui deve essere curato80. L’attività dell’ente pubblico si distingue, quindi, da quella di un ente privato, poiché qui manca l’autonomia di scelta degli interessi da curare e delle modalità attraverso cui farlo: l’interesse è pubblico e le modalità attraverso cui perseguirlo sono fissate dalla legge. Gli enti pubblici sono, inoltre, sottoposti a un regime giuridico particolare che implica, innanzitutto, che gli stessi debbano necessariamente essere costituiti per legge, abbiano il potere di auto-organizzarsi attraverso atti amministrativi e possano darvi attuazione tramite provvedimenti autoritativi, esecutivi ed esecutori. Inoltre, gli enti pubblici sono investiti di poteri di cura di interessi collettivi81. La categoria degli enti pubblici comprende al suo interno soggetti giuridici assai diversi, tant’è che la dottrina che si è occupata del tema non è stata in grado di darne una definizione unitaria, attesa l’impossibilità di ricondurre ad unico modello le figure in cui lo stesso si articola82. Autorevole dottrina ha ritenuto comunque che possa escusivamente definirsi pubblico l’ente «la cui esistenza è considerata necessaria dall’ente territoriale che vi intrattiene rapporti»83. In generale è possibile affermare che l’ente viene considerato pubblico, in assenza di una esplicita previsione legislativa, in ragione dei fini perseguiti (se un ente persegue fini di carattere pubblico, esso potrà essere qualificato in senso pubblicistico), del regime dei controlli cui l’ente è sottoposto (sono pubblici quegli enti che sono assoggettati a controlli che assicurano la rispondenza della loro azione alla tutela dell’interesse pubblico loro affidato) e del controllo sulla gestione economica (sono pubblici quegli enti il cui rendiconto è sottoposto all’approvazione da parte di organi statali o regionali)84. Altro indice rivelatore della pubblicità è l’esistenza di una particolare relazione organizzativa con l’ente territoriale da cui dipende: si guarderà, quindi, alle modalità di nomina dei titolari degli organi, al potere di controllo e di direzione dell’attività o di conferimento dei V. Ottaviano, voce Ente pubblico, in Enciclopedia del diritto, Milano, 1965, xiv, p. 964-965: «l’ente per essere pubblico deve svolgere, anzitutto, attività amministrativa […] attività questa esercitata nell’adempimento di un dovere ad al fine della cura di un interesse collettivo»; «per converso l’attività privata presuppone che chi la compie goda di autonomia, sicchè egli sarà libero di scegliere gli interessi da tutelare e il come e il quando farlo». 81 Galli, Galli, Corso di diritto amministrativo, cit., 293 ss. 82 Ivi, p. 289 ss. 83 G. Rossi, voce Ente Pubblico, in Enciclopedia giuridica Treccani, aggiornamento, xii, Istituto dell’Enciclopedia italiana Giovanni Treccani, Roma 2004, p. 20 84 A. Bardusco, voce Ente Pubblico, in Digesto delle discipline pubblicistiche, iii, utet, Torino 1993, p. 70. 80 L’ordinamento italiano 289 mezzi finanziari. Solo laddove gli indici rivelatori depongano tutti nello stesso senso, sarà possibile classificare l’ente come pubblico85. Come detto, il legislatore delegante all’interno della categoria degli enti pubblici, ha ritenuto di escludere gli enti che esercitano pubblici poteri (di cui peraltro non è stata fornita alcuna definizione): per stabilire quando un ente sia destinatario della responsabilità dipendente da reato, il legislatore delegato avrebbe dovuto guardare, quindi, non alle funzioni dallo stesso esercitate bensì alla natura dei poteri di cui è dotato. Non così è avvenuto. Il Governo, infatti, ha escluso tutti gli enti pubblici non economici indipendentemente dall’esercizio di pubblici poteri. Per quanto concerne gli enti associativi, il Governo ha ritenuto, in particolare, che la loro controversa qualificazione non ne consigliasse la sottoposizione a responsabilità. Peraltro, a parere dell’esecutivo, la loro esclusione non avrebbe generato particolari problemi in quanto detti enti sono soggetti ad una progressiva privatizzazione che ne comporterà l’estinzione a breve86. È rimasta così una zona grigia costituita, in via esemplificativa ma non esaustiva, da enti pubblici associativi dotati di una disciplina negoziale «ma a cui le leggi hanno assegnato natura pubblicistica per ragioni contingenti (ACI, CRI)», da enti associativi istituzionali come gli Ordini o i Collegi Professionali e da «enti che erogano un pubblico servizio» che pur non esercitando pubblici poteri, sono stati esclusi dall’applicaizione del decreto. Sono stati del pari esclusi anche gli enti pubblici esercenti un pubblico servizio. Sul punto, il legislatore delegante ha evidenziato come sarebbe stata di ostacolo all’affermazione della loro responsabilità la previsione di sanzioni interdittive, con conseguente scarico dei costi sulla collettività. A tale assunto si può obiettare che si sarebbe comunque potuto diversificare la risposta sanzionatoria, riservando a questi enti la sola sanzione pecuniaria87. La soluzione non ha evidentemente convinto il legislatore delegato il quale ha ritenuto che nei confronti degli enti pubblici la sanzione pecuniaria non avrebbe sortito quell’effetto generale e special-preventivo che è in grado di spiegare nei confronti degli enti privati più sensibili alla ragione economica. Inoltre, il novero dei reati (inizialmente) indicati dal legislatore dà la misura della volontà del legislatore di colpire gli enti nello svolgimento di attività puramente economiche. Fares, La responsabilità dell’ente pubblico per i reati commessi nel proprio interesse, cit., p. 2211. Ivi, p. 2210 segnala che gli ultimi orientamenti legislativi, in particolare la legge finanziaria del 2003, mostrano di perseguire l’obiettivo di un drastico assottigliamento della categoria degli enti pubblici non indispensabili, con l’esclusione di quegli enti, istituti, agenzie e organismi che svolgono «compiti di garanzia di diritti di rilevanza costituzionale, o che gestiscono a livello di primario interesse nazionale la previdenza sociale, o che risultano essenziali per le esigenze della difesa o la cui natura pubblica è garanzia per la sicurezza, o che svolgono funzioni di prevenzione e vigilanza per la salute pubblica». 87 In caso di società private che prestano servizi di pubblica necessità, il legislatore ha ovviato a questo pericolo attraverso l’istituto del commissariamento di cui all’art. 15. 85 86 290 E. Pavanello Queste le ragioni addotte per escludere tutti gli enti pubblici ad eccezione di quelli economici: considerazioni di carattere pratico, di opportunità, ma non espressamente legate al criterio dei pubblici poteri indicato dal legislatore delegante. Risulta, a nostro avviso, palese il difetto dell’attuazione della legge di delega nella parte in cui ha circoscritto gli enti pubblici destinatari della normativa88. Occorrerebbe a questo punto interrogarsi sull’opportunità di far valere l’incostituzionalità della norma per difetto di delega: in dottrina v’è chi ha sostenuto che il difetto di esecuzione della legge delega non potrebbe confluire in una questione di costituzionalità89, ma al contempo altri ha evidenziato che la prassi costituzionale è nel senso contrario e che la disposizione determinerebbe, dal punto di vista penalistico, disuguaglianze talmente gravi che non sarebbe eludibile l’affermazione della incostituzionalità della scelta di includere soltanto alcuni enti pubblici90. Guardando alle singole tipologie di enti esclusi, gli enti pubblici associativi sono costituiti dall’associazione fra persone interessate alla loro attività91. Tra di essi militano enti che appartengono a quella zona grigia cui sopra si è fatto cenno ovvero gli ordini e i collegi professionali, i quali sono sottoposti alla vigilanza del Ministero della Giustizia ma sono dotati di autonomia ed indipendenza, sia sul piano organizzativo che sul piano contabile. Quanto, invece, agli enti che erogano servizi, si pensi a Università o ad Aziende Sanitarie Locali92 o ad Aziende Autonome − aziende municipalizzate a livello statale o locale93 − le quali ultime dispongono di soggettività giuridica. Di particolare rilievo sembra quest’ultima categoria di enti pubblici i quali dispongono di un patrimonio «separato» la cui titolarità resta in capo all’ente e la cui gestione è affidata all’azienda stessa. Si tratta di vere e proprie aziende che gestiscono attività imprenditoriali, operano, come detto, in un sostanziale regime di diritto privato (sulla controversa Nel senso che si tratta di soluzione di «dubbia costituzionalità«, Ielo, Società a partecipazione pubblica e responsabilità degli enti, cit., p. 103. 89 Fares, La responsabilità dell’ente pubblico per i reati commessi nel proprio interesse, cit., p. 2208. 90 Quasi testualmente, Riondato, Publica societas delinquere potest, cit., p. 4. 91 Sugli enti pubblici associativi si veda G. Rossi, Enti pubblici associativi, Jovene, Napoli 1979. Lo studioso rileva come detti enti, costituiti da privati che tendono a curare gli interessi generali della categoria di appartenenza, mettano in crisi i criteri di distinzione tra pubblico e privato. Queste figure hanno infatti natura politica in quanto sono espressione della volontà degli individui e dei gruppi di creare forme nuove e dirette di potere sociale ma offuscano la figura dello Stato rappresentativo portatore di interesse generale, rispetto a enti particolari portatori di interessi particolari. 92 Galli, Galli, Corso di diritto amministrativo, cit., p. 307 ritiene che nonostante le asl siano deputate ad erogare servizi sociali in forma imprenditoriale, all’inquadramento delle stesse nell’ambito degli enti pubblici imprenditoriali ostano varie ragioni, ovvero la natura del servizio che le stesse sono chiamate a svolgere, tipicamente sociale, lo scopo non lucrativo che le stesse perseguono e la circostanza che esse assumono un ruolo di mera gestione esecutiva dei programmi fissati a livello statale o regionale. Pertanto, esse devono più propriamente essere inquadrate nell’ambito degli «altri enti pubblici». 93 Per una analisi dell’evoluzione delle aziende municipalizzate, si veda ivi, p. 311-315. 88 L’ordinamento italiano 291 natura di tali aziende si è anche pronunciato il t.a.r. Friuli Venezia Giulia, il quale si è interrogato sulla conciliabilità della «suddetta autonomia imprenditoriale, che dovrebbe accomunarle (le Aziende sanitarie) ad organizzazioni private tipiche di attività a scopo di lucro, con il fine istituzionale di perseguimento dei livelli essenziali di assistenza che, invece, la legge assegna alle aziende sanitarie, in quanto enti organizzativi sub regionali»94, ma nonostante ciò sono, a rigori, esonerate dall’applicazione del decreto in quanto tecnicamente non qualificabili come enti pubblici economici95. Sul punto, autorevole dottrina ha rilevato che in relazione alle aziende sanitarie locali o ospedaliere la limitazione di responsabilità si giustificherebbe innanzitutto per il tipo di attività che le aziende predette svolgono, non di tipo economico tout court; in secondo luogo, per l’assurdità di sanzionare con la pena pecuniaria un ente che si troverebbe decurtato di fondi vincolati nella loro destinazione al raggiungimento dei più alti livelli di assistenza e, in terzo luogo, in ragione della impossibilità di ipotizzare un reato commesso nell’interesse o vantaggio dell’ente. È piuttosto plausibile che eventuali reati vengano commessi direttamente nell’interesse proprio (dei soggetti in posizione apicale o dei dipendenti) o di terzi96. Al di là di queste considerazioni desta comunque interesse la circostanza che, in via sperimentale, il Governo regionale della Lombardia abbia previsto l’applicazione del modello organizzativo 231/2001 a due Asl e a un’azienda ospedaliere. Pur non considerando applicabile nei confronti di tali enti la nuova forma di responsabilità, il Governo regionale ha ritenuto opportuno mutuare il contenuto dei modelli previsti dal decreto quale ulteriore garanzia della migliore organizzazione e trasparenza dell’operato delle aziende, definendone principi etici di comportamento97. Il sistema di responsabilità di cui al d.lgs. 231/2001 finisce quindi per svolgere la propria funzione (a carattere preventivo) anche nei confronti di enti espressamente esclusi dalla sua applicazione. Tar Friuli Venezia Giulia, 22 aprile 2003, n. 159, che dopo aver rilevato che le aziende sanitarie, configurate come enti pubblici, sono dotate di una non meglio precisata autonomia imprenditoriale e agiscono mediante atti di diritto privato, conclude nel senso che vi è una certa contraddittorietà nella normativa inerente la loro attività latu sensu economica. 95 Per dovere di completezza si precisa peraltro che si sta assistendo al progressivo smantellamento delle aziende autonome per far confluire l’attività di gestione di un servizio pubblico in capo ai cosiddetti enti-impresa, i quali sono pur sempre creati pel tramite di un atto normativo da parte di Stato, Regioni o enti pubblici e, quindi sotto il profilo organizzativo sono caratterizzati in senso pubblicistico, ma in relazione al tipo di attività esercitata e alla gestione della stessa si caratterizzano in senso privatistico. 96 A. Rossi, Responsabilità «penale-amministrativa» delle persone giuridiche (profili sostanziali), in Reati societari, a cura di A. Rossi, utet, Torino 2005, p. 520 ss. 97 Al riguardo di veda P. Previtali, L’applicazione del d.lgs. 231/2001 in sanità. Il caso delle aziende sanitarie e ospedaliere lombarde, in «La responsabilità amministrativa delle società e degli enti», Interventi, 2007, <http://www.rivista231.it/>. 94 292 E. Pavanello Sono poi sicuramente escluse le Autorità di Vigilanza, in quanto soggetti che esercitano pubblici poteri e che hanno la veste di enti pubblici98. In particolare, esse giocano un ruolo di rilievo con riferimento allo svolgimento dell’attività di impresa e talvolta svolgono funzioni che si sovrappongono a quelle esercitate dalla magistratura ordinaria in tema di accertamento di illeciti amministrativi e di reati99. Il legislatore nel determinare l’ambito soggettivo di applicazione del decreto non ha quindi preso in considerazione quella parte di attività della pubblica amministrazione che non si svolge a mezzo di atti autoritativi e che per espressa previsione legislativa è sottoposta alle norme di diritto privato. Infatti, l’art. 1 bis l. 241/1990, così come modificato dalla l. 15/2005, espressamente prevede che «la pubblica amministrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato»100. Si tratta del riconoscimento espresso della natura dicotomica dell’amministrazione che può agire alla stregua di una persona giuridica di diritto privato, ovvero mediante la potestà coercitiva che le consente di agire anche attraverso atti che limitano la sfera giuridica del singolo senza il consenso del destinatario dell’atto101. Se dunque questa distinzione è palpabile, reale, colpisce ancor di più che anche per quegli atti residuali in cui l’amministrazione agisce seguendo logiche «economiche» proprie del diritto privato, si sia deciso di rendere immune l’azione di detti enti. Sul fronte dottrinale si rileva come, anche in questo caso, poche siano state le voci che hanno denunciato l’incoerenza di un sistema che è ancorato ad una linea di discrimine alquanto labile, ovvero la qualifica legislativa di ente come pubblico economico102. Le scelte sono state considerate dai più logiche e conseguenti. Infatti, secondo questa prospettazione, gli enti pubblici che non esercitano pubblici poteri (ma che In questo senso E. Galanti, Responsabilità amministrativa delle persone giuridiche ex d.lgs. n. 231/2001 e vigilanza sulle imprese finanziarie: quale coordinamento?, in «Diritto della banca e del mercato finanziario», 2003, p. 233. 99 Galanti, Responsabilità amministrativa delle persone giuridiche ex d.lgs. n. 231/2001 e vigilanza sulle imprese finanziarie: quale coordinamento?, cit., p. 242 ss. 100 Sul punto si vedano, tra gli altri, D. De Pretis, L’attività contrattuale della p.a. e l’art. 1- bis della l. n. 241/1990: l’attività non autoritativa secondo le regole del diritto privato e il principio di specialità, in «Giustizia amministrativa», 6, 2006, p. 1133 ss.; F. Gaspari, Rilievi critici in tema di attività amministrativa di diritto privato, in «Giustizia amministrativa», 3, 2007, p. 573 ss.; G. Napolitano, L’attività amministrativa e il diritto privato, in «Giornale di diritto amministrativo», 5, 2005, p. 481 ss. 101 F. Trimarchi Banfi, Il principio di legalità e l’impiego del diritto privato per compiti dell’amministrazione pubblica, in «Amministrare», 1-2, 2008, p. 6. 102 Si veda in particolare Fares, La responsabilità dell’ente pubblico per i reati commessi nel proprio interesse, cit., p. 2222 che mette in luce il rischio di disparità di trattamento con conseguente violazione del principio di eguaglianza «se si colpisce un ente che spesso per ragioni contingenti si trova al di qua o al di là di una linea di confine sempre più mobile e incerta», nonché Riverditi, La responsabilità degli enti, cit., p. 132 ss., secondo cui la scelta di includere i soli enti pubblici economici non sia in sé e per sé 98 L’ordinamento italiano 293 non sono economici) non possono essere equiparati agli omologhi privati che svolgano analoghe attività. Negli enti pubblici permarrebbe un elemento differenziatore, consistente nel dovere istituzionale di svolgere una determinata attività o di prestare un certo servizio con la conseguenza che l’applicazione nei loro confronti di sanzioni interdittive potrebbe rivelarsi controproducente103. La nozione di ente pubblico nel decreto andrebbe, quindi, caratterizzata sulla base del criterio di attribuzione dei poteri autoritativi all’ente che lo pongono in una posizione di superiorità rispetto ai privati e che portano a qualificare la sua attività come di diritto amministrativo, in quanto tale insindacabile dalla giurisdizione ordinaria. Il tipo di attività svolta, economica o meno, avrebbe rilievo solo in un secondo momento qualora, a fronte della qualificazione dell’ente in senso pubblicistico, essa possa essere considerata squisitamente privatistica, sia per le finalità lucrative che persegue sia per gli strumenti che utilizza nel farlo104. Tuttavia, in questo modo, si attribuisce rilievo ad un criterio – quello dell’economicità, pubblicizzato anche dal legislatore che nella relazione aveva espressamente indicato come il legislatore delegante aveva di mira la repressione di comportamenti illeciti nello svolgimento di attività di natura squisitamente economica e cioè assistite da fini di profitto – che viene contraddetto in altre parti del decreto, laddove ad esempio si consente di perseguire enti che per statuto non dispongono di scopi di lucro o ancora si perseguono le persone giuridiche per il reato di mutilazioni genitali femminili. 6. L’applicazione del decreto agli enti pubblici economici e agli enti privati di interesse pubblico. Gli unici enti pubblici cui è applicabile la normativa in discorso sono gli enti pubblici economici, i quali ai sensi dell’art. 2201 del codice civile, «hanno per oggetto esclusivo o principale un’attività commerciale». È da ritenere che proprio per questa ragione essi siano stati inclusi tra i destinatari della normativa. Infatti, non vi sarebbero rischi di indebita ingerenza dell’autorità giudiziaria in decisioni politiche e, d’altro condivisibile, soprattutto in relazione all’ampia categoria di enti che erogano un servizio pubblico e che, a seconda della loro qualificazione, possono essere destinatari della normativa o meno. 103 Travi, La responsabilità della persona giuridica nel d.lgs. n. 231/2001: prime considerazioni di ordine amministrativo, cit., p. 1306. 104 Bassi, Epidendio, Enti e responsabilità da reato, cit., p. 79. Contra, Di Giovine, Lineamenti sostanziali del nuovo illecito punitivo, cit., p. 37, a parere della quale, invece, il legislatore ha inteso circoscrivere l’area dell’intervento agli enti mossi da finalità lucrative, lasciandosi guidare dalla qualificazione oggettivo funzionale piuttosto che dalla soggettività pubblica o privata dell’ente. Si veda Ruggiero, Capacità penale e responsabilità degli enti, cit., p. 29, nel senso che il fatto che l’ente eserciti un’attività economica non sarebbe comunque sufficiente a far venir meno l’esercizio di pubblici poteri da parte dell’ente pubblico. 294 E. Pavanello canto, gli enti de quibus sarebbero sensibili all’applicazione di una sanzione pecuniaria in quanto esercenti un’attività economica105. Detti enti, pur non disponendo di poteri autoritativi, sono comunque dotati di potestà pubbliche, quali la potestà di certificazione, il potere di autoorganizzazione interna e la prerogativa dell’autotutela (caratteri questi che normalmente attengono agli enti pubblici). All’interno della categoria, la cui individuazione non è piana106, vengono normalmente distinti enti di gestione delle partecipazioni azionarie (quali iri ed eni) ed enti di produzione veri e propri che, a differenza degli enti locali, sorgono per la tutela e la gestione di un solo interesse. Essi sono stati sottoposti, soprattutto negli ultimi anni, a penetranti modifiche che hanno condotto alla loro trasformazione in società di diritto privato107 e poi alla loro sostanziale estinzione108. Pochi, infatti, gli esempi di enti pubblici economici che si possono oggi menzionare, tra cui ricordiamo l’Agenzia del Demanio, ente pubblico ai sensi dell’art. 61 d.lgs. 300/1999109. L’unica tipologia di ente incluso tra i destinatari del decreto di rilevanza pubblicistica ha forse ben poco di pubblico poiché, al di là della qualificazione formale, Bassi, Epidendio, Enti e responsabilità da reato, cit., p. 77-78. Nell’opinione di Fares, La responsabilità dell’ente pubblico per i reati commessi nel proprio interesse, cit., p. 2203, in particolare sub nota 4-bis sono economici gli enti pubblici comunque denominati operanti nel campo della produzione e dediti ad attività prevalentemente o esclusivamente economica. 107 Casetta, Manuale di diritto amministrativo, cit., p. 229 e N. Irti, L’ordine giuridico del mercato, glf Editori Laterza, Roma-Bari 2003, p. 159 ss., il quale ricostruisce sotto il profilo storico il «destino» dell’ente pubblico economico. In particolare con la l. 359/1992 si è dato avvio al processo di privatizzazione per trasformare gli enti pubblici economici in società per azioni. Con tale legge sono stati trasformati in società di diritto privato, l’iri, l’eni, l’ina e l’enel. È da precisare che, alla luce di certa giurisprudenza e di certa dottrina, non è pacifica nemmeno la qualificazione nel senso pubblicistico o privatistico della società che consegue alla trasformazione dell’ente pubblico economico: infatti, secondo quanto sostenuto, ad esempio, dal Consiglio di Stato con la decisione 1206/2001, le Poste Italiane Spa sono soggetto di diritto pubblico in quanto al di là della loro veste formale, ovvero società di diritto speciale, esse sono ancora interamente possedute dallo Stato, deputate al conseguimento di finalità pubblicistiche e soggette ai poteri decisionali e di controllo esercitati dall’unico azionista. Critico rispetto a questa prospettiva Galli, Galli, Corso di diritto amministrativo, cit., p. 334 ss. poiché, anche se si può concordare sul fatto che dette società presentino indubbi connotati pubblicistici, esse comunque svolgono attività privatistica e sono assoggettati alle norme di diritto comune. 108 Tendenza vieppiù rafforzata dalla legge finanziaria del 2003 il cui articolo 34 ha disposto la soppressione di tutti gli enti pubblici che non abbiano come missione la tutela di diritti fondamentali, quali previdenza ed assistenza. Sul punto si confronti Fares, La soppressione degli enti pubblici nella legge finanziaria 2003, in «Studium Iuris», 2003, p. 291 ss. 109 V. Ottaviano, voce Ente pubblico economico, in Digesto discipline pubblicistiche, vi, utet, Torino 1993, p. 87 elenca, inoltre, tra gli enti pubblici economici l’Istituto centrale per il credito a mediotermine in favore di medie e piccole industrie, gli istituti regionali quali l’irfis o il cis, credito industriale sardo. 105 106 L’ordinamento italiano 295 l’attività economica pubblica esercitata non sarebbe attività della pubblica amministrazione110 e, soprattutto, è un ente inesorabilmente destinato all’estinzione. Inoltre, a ben vedere, si potrebbe pure dubitare della fondatezza e della legittimità della inclusione dell’ente pubblico economico nel novero dei soggetti responsabili in ragione delle funzioni imprenditoriali dallo stesso svolte: anche questi enti, infatti, perseguono finalità pubblicistiche, ancorché attraverso strumenti di diritto privato. L’interesse è «imposto» dall’esterno e non viene – come invece accade per gli enti privati – determinato dallo stesso ente, cosicché anche in ipotesi di esercizio di attività commerciale (pensiamo alla commercializzazione di un prodotto) il prezzo di vendita potrebbe essere imposto dallo Stato al fine di calmierare, ad esempio, i cartelli che si sono creati nel mercato. In un’area contigua a quella degli enti pubblici si pongono, poi, gli enti privati di interesse pubblico. Si tratta, infatti, di enti di natura privatistica a cui una norma impone una connotazione marcatamente pubblicistica, pur non arrivando a qualificarli come veri e proprio enti pubblici. Sono tali gli enti di patronato, e di assistenza sociale, gli enti lirici, le fondazioni bancarie. Essi si pongono a metà strada tra il pubblico e il privato, poichè, ad esempio, hanno accesso alle fonti pubbliche di finanziamento, ma non sono sottoposti ai controlli e ai vincoli di amministrazione tipico dei soggetti pubblici111 e dispongono di una struttura marcatamente privatistica. Attesa la loro qualifica di soggetti privati, è da ritenere che siano destinatari della nuova disciplina in commento, pur potendo sorgere legittimi dubbi in ordine alla coerenza delle scelte del legislatore che, basandosi su di una qualificazione eminentemente formale, annovera tra i destinatari del decreto anche soggetti giuridici che perseguono interessi pubblici e che, quindi, avrebbero anche potuto essere esclusi dall’applicazione della stessa. 7. Alcune incertezze applicative. Società miste, società privatizzate e società c.d. pubbliche. La determinazione dell’ambito soggettivo di applicazione del decreto, da un lato, si rivela problematica e, dall’altro, rende evidenti le incoerenze delle scelte legislative. Incerta si rivela la determinazione del campo applicativo delle disposizioni introdotte dal d.lgs. 231/2000 in relazione all’universo magmatico e complesso delle società in mano pubblica e privatizzate. Al riguardo, pare opportuno operare una distinzione tra le c.d. società miste, società privatizzate e società pubbliche. 110 111 Carmona, La responsabilità degli enti: alcune note sui reati presupposto, cit., p. 220. Sul punto si veda Rossi, Enti pubblici, cit., p. 11 ss. 296 E. Pavanello Quanto alle prime, si tratta di società che possono essere costituite unicamente su iniziativa del soggetto pubblico, il cui capitale è costituito da conferimenti effettuati da soggetti pubblici e privati, utilizzate per la gestione dei servizi pubblici locali. La natura di tali enti è stata variamente considerata dalla giurisprudenza: i giudici amministrativi, ritenendo trattarsi di «moduli organizzativi dell’ente locale a preminente connotazione pubblicistica»112, ne hanno riconosciuto la natura pubblica, mentre la giurisprudenza civile li ha qualificati come soggetti di natura privata, sganciati dalla collettività di riferimento113. È emersa, inoltre, una terza via interpretativa da parte del Consiglio di Stato che ha qualificato dette società come «intermedie», in ragione del vincolo funzionale con l’ente pubblico che va valutato di volta in volta114. La differente qualifica rispecchia il fatto che detti soggetti sono dotati di una struttura societaria, e che, da un punto di vista «sostanziale», presentano elementi di «pubblicità». La soluzione circa l’applicabilità o meno della nuova forma di responsabilità sarà diversa a seconda che si intenda dare prevalenza alla forma societaria, ovvero alla «sostanza» dei fini perseguiti da detti soggetti115. A sostegno della prima opzione interpretativa si pone l’utilizzo dell’espressione «società», senza alcuna specificazione ulteriore, contenuta nell’articolo 1, secondo comma d.lgs. 231/2001: il legislatore sembra aver voluto in tal modo attrarre nell’ambito applicativo del decreto qualsiasi forma organizzata societaria, indipendentemente dal perseguimento di attività lucrative. Viene in rilievo, inoltre, il riferimento contenuto nell’art. 15 agli enti che svolgono un servizio pubblico o di pubblica necessità, riferimento che sembra riguardare proprio le società miste deputate allo svolgimento di un pubblico servizio. L’opinione non è tuttavia pacifica e a sostegno della interpretazione opposta si valorizza la giurisprudenza amministrativa che ha qualificato come soggetti pubblici In questo senso, Cons. Stato, ad. gen., 16 maggio 1996, n. 90, in «Il Consiglio di Stato», i, 1996, p. 1640. 113 Si veda, in particolare, Cass. sez. un., 6 maggio 1995 n. 4991, in «Rivista italiana di diritto pubblico comunitarioe», 1996, p. 1266, secondo cui le società per azioni costituite dai comuni e dalle province a norma dell’art. 22, comma 3, della l. 142/1990 per la gestione di pubblici servizi, operano come persone giuridiche di diritto privato, nell’esercizio della propria autonomia negoziale, senza alcun collegamento con l’ente pubblico di riferimento, nei cui confronti hanno assunto l’obbligo di gestire il servizio. 114 Cons. Stato, sez. v, 25 giugno 2002, n. 3448, in «Diritto e Giustizia», 4, 2003, p. 91. La disposizione dell’art. 26, comma 3 del Codice dei contratti pubblici individua tre diversi elementi costitutivi dell’organismo di diritto pubblico: a) personalità giuridica; b) sottoposizione a un’influenza pubblica; c) fine perseguito costituito dal soddisfacimento di bisogni di interesse generale non aventi carattere industriale e commerciale. 115 F. Vignoli, Brevi note sulla controversa responsabilità «da reato» ed erariale delle società a partecipazione pubblica, in «La responsabilità amministrativa delle società e degli enti», 4, 2006, p. 108, <http://www. rivista231.it/>. 112 L’ordinamento italiano 297 le società miste e ritiene che «sembrerebbe illogico che venissero configurate, a suo carico, anche le ipotesi di responsabilità amministrativa introdotte dal decreto 231» 116. La Suprema Corte di Cassazione ha avuto di recente modo di pronunciarsi al riguardo, aderendo alla prima linea interpretativa. La fattispecie riguardava un Istituto ospedaliero veneto (riconosciuto come ospedale specializzato interregionale), partecipato per il 49% da capitale privato e per il 51% da capitale pubblico, cui era stato contestato il reato di truffa. Il Gip del Tribunale di Belluno aveva disposto il sequestro preventivo di una rilevante somma sul bilancio dell’Istituto predetto. Successivamente, il Tribunale di Belluno, sezione riesame, aveva annullato la misura cautelare, sul presupposto che il d.lgs. 231/2001 non si applicasse al citato Istituto ospedaliero, da qualificarsi come «ente pubblico». La Corte di Cassazione, in accoglimento del ricorso esperito dal p.m., ha a sua volta annullato l’ordinanza del Tribunale di Belluno, ritenendo del tutto illegittima l’esclusione dall’applicazione del d.lgs. 231/2001 dell’Istituto di cura. Infatti, nell’opinione della Corte, alla stregua del tenore letterale del d.lgs. 231/2001 non è sufficiente che l’ente abbia natura pubblicistica per escluderlo dal novero dei soggetti responsabili, ma è anche necessario che esso non eserciti attività economica. Nel caso di specie, l’Istituto ospedaliero ha natura di s.p.a., il che contraddirrebbe in radice l’assenza di attività economica: infatti, «ogni società è costituita pur sempre per l’esercizio di un’attività economica al fine di dividerne gli utili, a prescindere da quella che sarà – poi – la destinazione degli utili medesimi, se realizzati». Né, hanno ritenuto i giudici di legittimità, può sostenersi (come affermato dalla difesa dell’Istituto) che l’ente in questione svolga attività di rilievo costituzionale: infatti, «non può confondersi il valore [...] della tutela della salute con il rilievo costituzionale dell’ente e della relativa funzione, riservato esclusivamente a soggetti (almeno) menzionati nella Carta Costituzionale». Anche perché, conclude la Corte molto significativamente, «supporre che basti – per l’esonero dal d.lgs. 231/2001 – la mera rilevanza costituzionale di uno dei valori più o meno coinvolti nella funzione dell’ente è opzione interpretativa che condurrebbe all’abberrante conclusione di escludere dalla portata applicativa della disciplina un numero pressoché illimitato di enti operanti non solo nel settore sanitario, ma in quello dell’informazione, della sicurezza antinfortunistica e dell’igiene del lavoro, della tutela ambientale e del patrimonio storico e artistico, dell’istruzione, della ricerca scientifica, del risparmio e via enumerando valori (e non «funzioni») di rango costituzionale»117. La Corte ha quindi mostrato di optare per una interpretazione restrittiva delle esclusioni normativamente previste, tenuto conto della natura di società degli enti a capitale misto. Quanto alle società c.d. privatizzate, occorre brevemente richiamare il concetto di privatizzazione, che indica il passaggio da un regime di diritto pubblico ad un regime C. Manacorda, La responsabilità amministrativa delle società miste, in «La responsabilità amministrativa delle società e degli enti», 1, 2006, p. 161, <http://www.rivista231.it/>. 117 Corte di Cassazione, 21 luglio 2010, n. 28699, <http://www.cortedicassazione.it>. 116 298 E. Pavanello di diritto privato e, in particolare, per quanto qui interessa, la sostituzione di un ente pubblico con una società di capitali o con una persona giuridica del libro i del codice civile. Tale processo può essere scisso in due fasi: la prima, c.d. fredda, comporta il mutamento della veste formale delle imprese pubbliche in private mediante un apposito provvedimento amministrativo o in virtù di una specifica previsione legale, la seconda, c.d. calda, che prevede la determinazione del quanto privatizzare, ovvero di quante azioni dismettere e di quante riservarne alla mano pubblica e del procedimento da seguire per provvedervi118. Allo stato attuale della privatizzazione, le neo costituite società, si trovano, di fatto, in una fase di stallo, in cui il Ministero del Tesoro, che detiene l’intero pacchetto azionario, è tenuto alla loro gestione. Con il che, particolarmente complessa risulta la loro qualificazione giuridica, la quale mal si concilia con un modello privatistico tout court, al cui regime sono assoggettate solo da un punto di vista formale, mentre il loro controllo resta integralmente in capo all’ente pubblico che detiene il pacchetto azionario di maggioranza. Rilevante al riguardo sembra certa giurisprudenza penale che, all’indomani della «privatizzazione formale» delle Ferrovie dello Stato, ha affermato il permanere della qualifica di incaricato di pubblico servizio o pubblico ufficiale in capo ai suoi dipendenti, sostenendo come «la privatizzazione delle Ferrovie dello Stato si è esaurita in una operazione di natura formale e cioè nella trasformazione [...] in una persona giuridica di diritto privato che, pur esercitando un’attività imprenditoriale in regime di diritto privato, persegue, tuttavia, pubbliche e cogenti finalità», «ferma restando la natura pubblicistica dell’attività di trasporto ferroviario e delle altre forme assimilate, strettamente strumentale a finalità di preminente interesse generale»119. La Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi in sede di conflitto di attribuzioni, ha ritenuto che la linea di demarcazione tra ente privato ed ente pubblico sia Galli, Galli, Corso di diritto amministrativo, cit., p. 321 ss. Corte d’Appello di Roma, 27 aprile 1994 pubblicata con commento di G. Santacroce, Aspetti penali della «privatizzazione»delle imprese pubbliche. Modificazioni «mediate» della fattispecie criminosa e successione di leggi penali, in «Foro Italiano», 10, 1994, p. 605-612. Analogamente Cass. pen. 6 febbraio 1997 pubblicata in «Diritto penale e processo», 12, 1997, p. 1478 ss., con nota di G. Viciconte, La vexata quaestio della responsabilità penale dei soggetti che operano nell’ambito delle società a partecipazione statale, p. 1480 a parere del quale la giurisprudenza penale avvalora quella lettura in base alla quale dette società mantengono connotazioni della loro peculiare natura pubblicistica nella misura in cui lo Stato mantiene la partecipazione esclusiva o prevalente nel capitale azionario, con la conseguenza che sono in sostanza disciplinate da una normativa di carattere pubblicistico ed appartengono all’amministrazione svolgendo in senso lato un servizio pubblico. (Contra, Cass. pen., sez. iv, 30 novembre 1994 in «Rivista penale», 1995, p. 906 ss., secondo cui la società in mano pubblica non muta la sua natura di soggetto privato solo perché lo Stato o altri enti pubblici ne detengono le azioni.) Occorre interrogarsi sui riflessi che può avere questa giurisprudenza con riferimento all’ente trasformato in Spa Se cioè i soggetti fisici vengono mantengono le qualifiche pubblicistiche, dobbiamo evidenziare come diversamente avvenga per la persona giuridica, la cui struttura privatistica è sufficiente ad inquadrarla tra i soggetti di diritto privato, indipendentemente dalle funzioni svolte e dal controllo, magari molto incisivo, del pacchetto 118 119 L’ordinamento italiano 299 oggi sempre più affievolita, ma ha altresì ribadito che le società per azioni «privatizzate» mantengono connotati propri della loro originaria natura pubblicistica120. Tale indirizzo, sembra essere stato confermato anche da una recente decisione del Consiglio di Stato, il quale ha affermato che Poste Italiane s.p.a. è soggetto di diritto pubblico, in quanto società di diritto speciale ancora interamente posseduta dallo Stato, deputata ex lege al perseguimento di finalità pubblicistiche e soggetta ai poteri decisionali dell’unico azionista (Ministero del Tesoro)121. Anche in questa ipotesi si pone la necessità di optare tra attribuire prevalente rilievo alla struttura societaria di cui detti enti sono dotati e, quindi, ritenerli assoggettati alla nuova forma di responsabilità o piuttosto, considerare la loro natura «pubblica» per ritenerle escluse dal novero dei soggetti responsabili. Dubbi, poi, possono sorgere in ordine all’applicabilità della normativa anche nei confronti delle società pubbliche tout court, ovvero enti che presentano una struttura analoga a quella delle società di diritto privato ma che sono qualificati come pubblici in quanto perseguono interessi di carattere generale e per fare ciò sono dotati dei poteri e delle prerogative di diritto pubblico122. Volendo accogliere l’impostazione di quella dottrina − e giurisprudenza − che qualifica l’ente come pubblico quando manca in capo allo stesso l’autonomia di scelazionario da parte dello Stato. Critico F. Goisis, Gli amministratori e funzionari di società in mano pubblica come pubblici ufficiali ed incaricati di pubblico servizio, in «Diritto processuale amministrativo», 2002, p. 779 e 790 il quale rileva che gli stessi enti pubblici economici, non ancora trasformati in Spa, che non esercitano un pubblico servizio o una pubblica funzione rilevanti ai sensi degli articoli 357 e 358 c.p. non possono trasmettere la qualifica di pubblico agente ai loro organi. Per quanto concerne le società in mano pubblica, non è comunque da escludere che laddove queste esercitino una funzione pubblica delegata i dipendenti delle stesse siano classificabili come pubblici agenti. In generale, sulle società in mano pubblica si veda Goisis, Contributo allo studio delle società in mano pubblica come persone giuridiche, Giuffré, Milano 2004. 120 Corte Cost. 28 dicembre 1996, n. 466, in «Giurisprudenza Costituzionale», 1994, p. 3829. 121 Consiglio di Stato, sez. vi, 2 marzo 2001, n. 1206, in «Urbanistica e appalti», 2001, p. 563. Critico Galli, Galli, Corso di diritto amministrativo, cit., p. 337, secondo cui «Si può anche concordare [...] sulla configurazione giuridica dei nuovi soggetti come società di diritto speciale, perché presentano l’immanenza di indubbi connotati pubblicistici [...] ma non si può condividere la tesi della natura sostanzialmente pubblicistica dell’attività da essi svolta [...] se non nei circoscritti limiti temporali in cui si protragga la fase della privatizzazione formale e fino a quando non divenga operativa quella della privatizzazione sostanziale. Diversamente opinando si svuota di tutta la sua portata il programma di privatizzazione». 122 Per la definizione di società pubbliche si veda Galli, Galli, Corso di diritto amministrativo, cit., p. 340, il quale ritiene che dette società debbano essere qualificate come pubbliche. Cfr. Serafini, Riflessioni sull’applicazione del d.lgs. 231/2001 alle società pubbliche, cit., p. 230 il quale ritiene applicabile la nuova forma di responsabilità alla società Enav Spa, società pubblica. Nel caso di specie il vantaggio e l’interesse di cui al d.lgs. 231/2001 deve «essere valutato tenendo presente che essa [la società] persegue il duplice obiettivo di massimizzare la creazione del valore pubblico, improntando la propria gestione a logiche di funzionamento aziendale finalizzate al perseguimento dell’efficacia, dell’efficienza e dell’economicità». Emerge, quindi, chiara l’idea che nella società pubblica convivano l’obiettivo dell’interesse pubblico e la gestione in senso privatistico dell’azienda. 300 E. Pavanello ta degli interessi da curare e delle modalità attraverso cui farlo123, si deve concludere che, al fine di determinare in modo inequivoco l’ambito di applicazione della responsabilità, sarà necessario verificare di volta in volta se lo scopo dell’ente è per così dire etero o autodeterminato. Solo in quest’ultimo caso, pare doversi ritenere, le società risponderanno a titolo di responsabilità amministrativa dipendente da reato. Nel caso di fini «etero» determinati, infatti, anche queste società, a prescindere dalla loro struttura di carattere privatistico, ripetono caratteristiche tipiche degli enti pubblici, le stesse caratteristiche cioè che hanno indotto il legislatore ad escludere gli altri enti pubblici dal novero dei soggetti responsabili. Ed è questo il fil rouge che andrebbe utilizzato anche per determinare quando un ente possa davvero essere considerato «economico»: solo laddove esso sia davvero libero di orientare la propria politica di impresa verso fini di carattere etero-individuali, non predeterminati dal referente governativo che ne governa l’agire, allora si potrà ravvisare un indice rivelatore della sua assimilabilità al soggetto privato che ne giustifica l’assoggettamento al decreto124. Peraltro la posizione «sostanzialista» − che guarda, quindi, non alla qualifica formale dei soggetti, quanto piuttosto agli interessi perseguiti e alle modalità attraverso cui gli stessi sono perseguiti – è stata fatta propria, seppure in ambito diverso da quello che ci occupa, prima dal Consiglio di Stato125 e poi dalla stessa Corte di Cassazione126 che si sono trovati a dover definire la natura (pubblica) di talune società. Con la conseguenza che vi è «la tendenza a considerare come appartenenti all’area pubblicistica soggetti costituiti con le forme del diritto privato»127. Tuttavia, la Corte di Cassazione con la sentenza relativa all’Istituto ospedaliero sopra richiamato e con una recentissima sentenza concernente una Spa che svolgeva funzioni in in materia di raccolta e smaltimento dei rifiuti trasferite alla stessa da un Ottaviano, voce Ente pubblico, cit., p. 963 ss. Riverditi, La responsabilità degli enti, cit., p. 139-140. 125 Consiglio di Stato, sez. vi, 28 ottobre 1998, n. 1478, in «Foro Italiano», iii, 1999, 178, con nota di R. Garofoli, Sviluppi in tema di giurisdizione amministrativa e regole costituzionali: organo indiretto, nozione comunitaria di amministrazione aggiudicatrice, riparto per blocchi di materie (d.leg. 80/98). Nel caso di specie il Consiglio di Stato ha affermato che «l’Interporto toscano Spa, in quanto caratterizzato dalla totale partecipazione pubblica e istituito per la gestione in esclusiva di un servizio pubblico d’interesse generale, deve considerarsi, nonostante la veste societaria, «organismo di diritto pubblico» ai sensi del d.leg. 406/91 e della l. 109/94». 126 Cass. civ. sez. un., 3 maggio 2005 n. 9096, in «Foro Italiano», i, 2006, p. 195, secondo cui, «ai fini di cui all’art. 3 r.d.l. n. 1578 del 1933, la qualificazione di un ente come società di capitali, non è sufficiente ad escludere la natura di istituzione pubblica dell’ente stesso, dovendosi procedere, volta per volta, alla valutazione concreta; pertanto, l’Ama − azienda municipale ambiente-spa, le cui quote societarie sono integralmente detenute da soggetti pubblici − deve essere qualificata istituzione pubblica, poiché costituisce una longa manus degli enti territoriali, per la gestione del servizio pubblico della raccolta dei rifiuti, peraltro finanziato con entrate di natura pubblicistica». 127 Vignoli, Brevi note sulla controversaresponsabilità da reato ed erariale delle società a partecipazione pubblica, cit., p. 109. 123 124 L’ordinamento italiano 301 ente pubblico territoriale, nei cui confronti ha ritenuto applicabile il decreto128, ha mostrato di optare per una diversa linea interpretativa. Linea interpretativa propugnata anche da parte della dottrina secondo cui non sussisterebbero argomenti idonei a escludere dalla disciplina della responsabilità degli enti le società a partecipazione pubblica. Al contrario, l’inclusione tra i reati presupposto della concussione, reato che può essere posto in essere esclusivamente dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di pubblico servizio, comporterebbe l’inclusione degli enti espressione della Pubblica Amministrazione in senso oggettivo, tra cui le società a partecipazione pubblica in cui i soggetti agenti sono qualificati come incaricato di pubblico servizio ovvero pubblico ufficiale in ragione delle funzioni concretamente svolte129. 8. Valutazione critica delle esclusioni. A questo punto si ritiene opportuno trarre le prime conclusioni in relazione alle esclusioni che il legislatore delegato ha posto con riferimento ai soggetti di natura pubblica. Due sono le osservazioni di maggior rilievo. Da un lato, sta la constatazione che l’esclusione dello Stato e degli enti pubblici territoriali è stata considerata dalla dottrina «comprensibile» per ragioni sistematiche, in ragione dell’esistenza di un sistema legislativo improntato a escludere la responsabilità civile discendente da reato (il riferimento va all’art. 197 c.p.). Inoltre, con riferimento specifico allo Stato non è parsa al legislatore in alcun modo superabile la contraddizione di uno Stato, titolare della potestà punitiva, che persegue se stesso. Le esclusioni paiono poi giustificate anche in ragione dell’elemento della sovranità: i cittadini attribuiscono mediante la propria scelta politica un mandato all’ente pubblico il quale è preposto alla tutela degli interessi di tale comunità e perciò è autorizzato ad utilizzare anche poteri coercitivi e, financo, a delinquere se ciò garantisce il perseguimento di quegli obiettivi. Le argomentazioni indicate non sono, si ritiene, sufficienti a legittimare un sistema di sostanziale immunità. Il fatto che, ad esempio, sul piano internazionale sia ammessa la rilevanza del comportamento illecito criminoso dello Stato, deve indurre a riflettere sull’effettivo fondamento di una simile esclusione, legata evidentemente all’idea che lo Stato, nelle sue articolazioni territoriali, possa anche agire illecitamente poiché la finalità della sua azione è il perseguimento di un interesse pubblico di carattere generale. O forse, a voler ragionare diversamente, che sia comunque inopportuna da un punto di vista politico la previsione di una responsabilità penale. Dall’altro lato sta, invece, la riflessione che l’esclusione di tutti gli altri enti pubblici tranne quelli economici è poco comprensibile e, forse, ancor meno giustificabile, non 128 129 Corte di Cassazione, 10 gennaio 2011, n. 234, <http://www.cortedicassazione.it/>. Ielo, Società a partecipazione pubblica e responsabilità degli enti, cit., p. 106-107. 302 E. Pavanello foss’altro per le difficoltà di proporre un’esatta qualificazione della natura giuridica dell’ente. La qualificazione non è semplice come dimostra il fatto che, in alcuni casi, la giurisprudenza è divisa nell’attribuire la soggettività pubblica a un ente a seconda della decisione del caso concreto o, addirittura, è intervenuta una legge a dichiarare la natura pubblica di un ente in precedenza dubbia (è il caso questo della Croce Rossa Italiana130). Il fatto che un ente non sia qualificato come pubblico economico non dice nulla di certo sulla sua natura, sui poteri di cui lo stesso è dotato e talvolta nemmeno sul tipo di funzione che lo stesso svolge. Quanto alla magmatica categoria delle società pubbliche, non sempre è piana la loro qualificazione in senso pubblicistico e, soprattutto, non è chiaro se per il solo fatto che esse siano costituite in forma societaria possano essere assoggettate a responsabilità, sebbene le prime indicazioni giurisprudenziali facciano propendere per la risposta affermativa. Naturalmente poi sorge la questione del valore che sotto il profilo penalistico (o, per utilizzare un’espressione neutra, punitivo) assume la qualifica operata dal diritto pubblico-amministrativo. Le ragioni che hanno indotto il legislatore ad escludere determinati enti sono da rinvenire nel fatto che questi sono dotati di pubblici poteri anche se non può essere (solo) questa la ragione di una simile esclusione poiché a ben vedere considerazioni di carattere economico hanno avuto rilievo preponderante nell’individuazione dei soggetti responsabili. Il fatto che un ente eserciti attività di carattere economico, anche se dotato di personalità giuridica di diritto pubblico, è di per sé sufficiente a renderlo responsabile ai sensi del decreto, come confermato dalle recenti pronunce giurisprudenziali. Tuttavia, questa interpretazione rischia di contrastare con il principio della necessaria continuità dell’attività pubblica: anche per gli enti pubblici economici rimane valido il rilievo essi svolgono un’attività al fine del perseguimento di un interesse pubblico e che, in quanto tale, può forse risentire negativamente dell’applicazione di sanzioni penal-punitive. Le contraddizioni nel sistema, dunque, non mancano. In quest’ambito a complicare la questione si pongono, inoltre, il diritto e la giurisprudenza comunitari che fanno riferimento talvolta a nozioni di pubblico/privato diverse rispetto a quelle nazionali, forgiando così categorie «nuove». In particolare, il diritto comunitario considera che, a prescindere dalla natura privatistica o pubblicistica della struttura, è comunque da considerare pubblico (con tutte le conseguenze che da ciò discendono) l’ente che pur promuovendo, incentivando o sostenendo l’altrui azione economica, non svolga attività di produzione di beni o servizi in regime concorrenziale, o pur essendo preposto all’esercizio di attività commerciali, miri al soddisfacimento di singoli enti pubblici. Per ciò che concerne le società miste si In particolare con la legge n. 613/1980 la Croce Rossa era stata riconosciuta come ente privato di interesse pubblico, mentre poi con la l. 490/1995 è stata qualificata come ente pubblico non economico. 130 L’ordinamento italiano 303 segnala una pronuncia della Corte di Giustizia131, secondo cui il solo fatto che il «capitale» sociale sia detenuto anche da privati, rende queste ultime incompatibili con il perseguimento di interessi pubblici, con la conseguenza che esse, di fatto, sono qualificabili in tutto e per tutto come soggetti di diritto privato132. Alla luce delle difficoltà di individuare una categoria unitaria di ente pubblico, che si caratterizzi in modo inequivoco, si condividono le critiche avanzate in ordine alla violazione del principio di legalità, poiché l’applicazione della normativa è legata all’individuazione nel caso concreto della natura dell’ente, natura talvolta contestata. Occorre segnalare, peraltro, che la legittimità della limitazione della responsabilità degli enti ai soli soggetti di diritto privato è stata sottopostadi recente, seppure in modo incidentale, a vaglio critico dal giudice delle indagini preliminari di Firenze133. Il caso riguardava le lesioni gravissime di un operaio e il decesso di un altro in conseguenza dei lavori per la rimozione di alcuni dispositivi di sicurezza degli scambi sui nodi ferroviari di Firenze per conto di rfi (Rete Ferroviaria Italiana). Nel capo di imputazione veniva richiesto anche il rinvio a giudizio delle due società di cui erano dipendenti gli operai, nei cui confronti gli imputati chiedevano potersi costituire parti civili. Il G.i.p. del Tribunale toscano rilevava che il d.lgs. n. 231/2001 e successive modificazioni, non prevedeva «espressamente» la possibilità della costituzione di parte civile nei confronti degli enti imputati nel processo penale. Detta interpretazione della normativa è stata confermata dalla giurisprudenza in forza del fatto che la responsabilità di cui si discute è di tipo indiretto e sussidiario e prevede sanzioni proprie e tipiche di carattere pecuniario che escluderebbero una responsabilità diretta nei confronti delle vittime. Ciò posto, il Giudice si è interrogato sulla legittimità di una simile opzione legislativa e ha chiesto alla Corte di Giustizia della Comunità Europea di pronunciarsi in via pregiudiziale, ai sensi degli artt. 234 tce e 35 tue, sull’interpretazione delle norme comunitarie adottate a tutela delle vittime del reato134 e di chiarire se la normativa italiana in tema di responsabilità amministrativa degli enti/persone giuridiche di cui al d.lgs. cit. sia conforme alla stessa laddove non prevede espressamente la possibilità di costituirsi parte civile. cgce, Stadt/Halle 11 gennaio 2005, causa c-26/03. Critico rispetto a questa decisione M.M. Fracanzani, Le società degli enti pubblici: tra codice civile e servizio ai cittadini, 2005, p. 27, <http://www.giustizia-amministrativa.it/>, poiché considera l’aspetto «quantitativo» della partecipazione privata all’ente rispetto invece all’aspetto qualitativo dell’attività svolta e della natura degli interessi perseguiti, in precedenza assunto a criterio discretivo per la medesima Corte. 133 Ufficio del Giudice delle indagini preliminari di Firenze, rinvio pregiudiziale per interpretazione ex art. 234 tce del 9 febbraio 2011. 134 Trattasi in particolare della Decisione quadro n. 2001/220/Gai del 15 marzo 2001 e della Direttiva 2004/80/CE del 29 aprile 2004 relative all’indennizzo delle vittime del reato e alla loro posizione nel procedimento penale. 131 132 304 E. Pavanello Nell’argomentare le ragioni che inducono a ritenere una simile limitazione non conforme al diritto comunitario, in quanto limitativa della possibilità per le vittime di chiedere e ottenere il ristoro dei danni subiti nel medesimo procedimento penale anche nei confronti degli enti per i quali venga ravvisato un profilo di responsabilità, il Giudice ha osservato che ulteriore elemento di irrazionale discriminazione della vittima è dato dall’esclusione dai soggetti punibili dello Stato e degli altri enti pubblici. A parere del Giudice, la riserva leggermente «hobbesiana» di tutela della sovranità dello Stato dalla responsabilità amministrativa da reato non significa che un Organo dello Stato, della Pubblica Amministrazione o di un ente territoriale non possa essere citato nel processo come responsabile civile per il fatto dell’imputato […]. Ancora, ha sostenuto che la limitazione è tanto più censurabile laddove si consideri che pacificamente lo Stato o i suoi organi possono essere chiamati nel processo penale per rispondere civilmente dei danni provocati secondo le leggi civili. La questione posta non è di secondario rilievo e, con riferimento allo specifico profilo di interesse, è indice della sottoposizione a vaglio critico della scelta del legislatore italiano. La pronuncia interpretativa della Corte dovrà quindi, auspicabilmente, affrontare anche il tema oggetto di indagine nel presente lavoro al fine di indicare quale debba essere la corretta interpretazione alla luce delle disposizioni di diritto comunitario. E se la limitazione del novero dei soggetti responsabili costituisca davvero un «odioso privilegio» non giustificabile. 8.1. Ripercussioni in ambito privatistico delle limitazioni della responsabilità degli enti pubblici. Il «privilegio» dell’immunità concesso agli enti pubblici territoriali ed esercenti funzioni costituzionali rischia inoltre di essere «trasportato» anche sul fronte privatistico. In una delle prime decisioni che hanno dato applicazione alla responsabilità da reato degli enti, il Gip del Tribunale di Salerno ha, infatti, escluso l’applicabilità della misura cautelare della revoca dei finanziamenti pubblici nei confronti di una società privata che aveva ottenuto detti finanziamenti non direttamente dall’ente erogante, ma mediante un’operazione di cessione del credito da parte del Comune e della Comunità montana, enti beneficiari del finanziamento statale135. La fattispecie oggetto di esame concerneva l’attività illecita di un sodalizio criminoso organizzatosi nel salernitano all’indomani dell’alluvione che aveva colpito il Comune di Sarno del 1998. Il sistema aveva come scopo l’ottenimento di illegali Gip Salerno, ordinanza 28 marzo 2003, in «Cassazione penale», sub 114, 2004, p. 267 con nota di G. Fidelbo, Misure cautelari nei confronti delle società: primi problemi applicativi in materia di tipologia delle «sanzioni» e limiti all’operatività del commissario giudiziale, in «Cassazione penale», 2004, p. 276 ss. 135 L’ordinamento italiano 305 finanziamenti pubblici − a tal fine, attraverso la corruzione dei pubblici funzionari ministeriali e degli amministratori locali, venivano prodotte false polizze fideiussorie, false documentazioni fiscali e falsi collaudi − in favore di comuni e comunità montane che poi venivano integralmente ceduti, da parte dell’ente pubblico beneficiato, a fronte della stipula da parte di quest’ultimo del contratto di appalto dei lavori con una delle società gestite dai membri del sodalizio criminoso. Le indagini avevano accertato che la pressoché totalità dei contributi statali erogati erano stati riconosciuti in favore di enti che non ne avevano diritto136. In relazione alla richiesta del p.m. di revoca dei finanziamenti illecitamente erogati, la decisione è stata negativa poiché detta revoca avrebbe finito per colpire gli enti pubblici territoriali che non sono destinatari della nuova forma di responsabilità. Nella motivazione dell’ordinanza si legge che la ratio del decreto legislativo va individuata nella «volontà di reprimere comportamenti illeciti nello svolgimento di attività di natura squisitamente economica», e cioè assistite dal fine di profitto, e che per tale ragione sono state esclusi quegli enti pubblici che perseguono interessi pubblici prescindendo da finalità lucrative. Il Gip ha ritenuto che l’eventuale applicazione di una misura cautelare tesa a revocare dei finanziamenti pubblici avrebbe, di fatto, colpito l’ente pubblico territoriale, con una misura eccedente rispetto al suo scopo originario. Se è vero, infatti − sostiene il Gip − che a seguito della cessione del finanziamento all’ente privato, quest’ultimo vanta direttamente nei confronti del Ministero un diritto all’erogazione del contributo, è anche vero che in caso di revoca del finanziamento predetto la sanzione verrebbe a produrre gli effetti suoi propri nei confronti dell’ente pubblico, il quale non è destinatario della normativa. La decisione è criticabile, anche perché si rischia di aprire lo spiraglio ad indebite percezioni di denaro da parte di soggetti terzi, giustificate proprio per il fatto che esse hanno in qualche modo destinazione pubblica137. 9. Considerazioni in ordine alla possibilità di configurare una responsabilità penale degli enti pubblici alla stregua del d.lgs. 231/2001, con riferimento ai reati presupposto, alla nozione di interesse e vantaggio, nonché all’apparato sanzionatorio previsto. Si ritiene opportuno a questo punto indicare, seppure per cenni, se la configurazione della responsabilità sia possibile alla stregua del sistema configurato dal d.lgs. 231/2001 Per un’analisi esauriente e motivata della fattispecie oggetto di decisione, cfr. M.T. Belmonte, L’esperienza giurisprudenziale in Campania, in La responsabilità da reato degli enti collettivi, a cura di G. Spagnolo, cit., p. 73 ss. 137 Criticamente rispetto a questa decisione si è espressa A. Rossi, La responsabilità degli enti (d.lgs. 231/2001): i soggetti responsabili, in «La responsabilità amministrativa delle società e degli enti», 2, 2008, p. 187, <http://www.rivista231.it/>. 136 306 E. Pavanello e ciò a prescindere dalla tipologia dei reati che sino ad ora sono stati inclusi tra i reatipresupposto che involgono tale responsabilità. Infatti, se si guarda alle fattispecie individuate nell’art. 24, ovvero malversazione a danno dello Stato (art. 316-bis)138, indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato (art. 316-ter), truffa (art. 640), frode informatica (art. 640-ter)139, sembra difficile ipotizzare una responsabilità degli enti pubblici, poiché si tratta di fattispecie che tendono a tutelare proprio gli interessi degli enti pubblici erogatori del finanziamento140. Analogo discorso può essere effettuato in relazione all’articolo 26, che individua tra i reati-presupposto ipotesi legate alla corruzione e alla concussione (in particolare, si tratta della corruzione per un atto d’ufficio ex art. 318 c.p., della corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio ex art. 319 c.p., della corruzione in atti giudiziari ex art. 319-ter c.p., della concussione ex art. 317 c.p., della corruzione di persona incaricata di pubblico servizio ex art. 320 c.p., dell’istigazione alla corruzione ex art. 322 c.p. e del peculato, concussione, corruzione e istigazione alla corruzione di membri degli organi delle Comunità europee e di funzionari delle Comunità europee e di Stati esteri ex art. 322-bis c.p.): esisterebbe infatti una contraddizione tra l’interesse tutelato, ovvero il buon andamento dell’attività amministrativa141, e il soggetto che viola tale interesse, ovvero un ente pubblico il quale sarebbe al contempo destinatario della tutela e autore A. Pagliaro, Principi di diritto penale, Giuffré, Milano 2000, p. 95: bene tutelato è l’interesse dello Stato o di altro ente pubblico o della Comunità Europea a che il sostegno ad attività economiche di pubblico interesse non sia reso vano da abusi dello stesso soggetto che riceve la sovvenzione. 139 Cfr. A. Carmona, La responsabilità degli enti: alcune note sui reati presupposto, in «Rivista trimestrale di diritto penale dell’economia», 2003, p. 995 ss., per un commento con riferimento alla (iniziale) scelta dei reati presupposto da parte del Governo cui è connessa la responsabilità della persona giuridica. 140 Gennai, Traversi, La responsabilità degli enti per illeciti amministrativi dipendenti da reato, cit., p. 150 rileva che i reati elencati nell’articolo rappresenterebbero la manifestazione di comportamenti illeciti attuabili nello svolgimento di attività economiche e, in quanto tali, destinatari privilegiati sarebbero imprenditori di pochi scrupoli che pur di accedere a finanziamenti o agevolazioni sono anche capaci di predisporre documentazione falsa. 141 C. Pedrazzi, Manuale di diritto penale dell’impresa, Monduzzi, Bologna 2003, p. 144-151 rileva che non esiste concordia in dottrina circa l’individuazione del bene giuridico tutelato dalle diverse ipotesi di corruzione. Si è fatto riferimento alla tutela di un generico dovere d’ufficio o di fedeltà, alla tutela dell’imparzialità dell’azione amministrativa, alla tutela contro l’indebita accettazione di doni o contro la compravendita di atti d’ufficio. A prescindere dalla teoria che si intenda prediligere è comunque chiaro che in queste ipotesi vi sarà offesa ad un bene giuridico che mira a tutelare l’attività della pubblica amministrazione e sarebbe quindi una contraddizione in termini punire poi la stessa amministrazione che si intende in linea di principio tutelare. È pur vero però che le qualifiche soggettive richieste da questi reati sono integrate a prescindere dall’esistenza di un inquadramento organico del soggetto stesso nell’amministrazione e solo in relazione alla svolgimento effettivo di una funzione pubblica, in senso penalistico, (si pensi ad esempio al caso dell’Ente Ferrovie dello Stato sopra menzionato) ma resta il fatto che laddove le qualifiche soggettive richieste ineriscono normalmente a soggetti che operano nell’ambito di enti pubblici. Con la conseguenza che se non si tratta di un episodio isolato legato alla condotta dei singoli ma costituisca piuttosto manifestazione della politica dell’ente, verrebbe ad essere punito il singolo in luogo della collettività. 138 L’ordinamento italiano 307 della violazione142. Tuttavia con particolare riferimento al reato di concussione, è stato rilevato che l’esclusione dello Stato e degli altri enti pubblici come destinatari della normativa, fa perdere importanza alla portata applicativa del disposto, il quale sarebbe essenzialmente ridotto alle ipotesi in cui l’autore sia incaricato di pubblico servizio e, in particolare alle ipotesi di concessionario privato. Il che legittimerebbe l’idea che l’inserimento della concussione tra i dei reati-base sia motivato più da intenti simbolici che non da un reale finalismo preventivo-repressivo143. L’articolo 25-bis estende le fattispecie da cui deriva la responsabilità, anche a quelle concernenti la cosiddetta tutela penale dell’euro: si ritiene difficilmente concepibile che gli enti pubblici possano rendersi responsabili di dette violazioni. Analogamente può dirsi, per i reati in materia societaria144 in quanto detti enti dovrebbero essere sottoposti a controlli in virtù della loro natura pubblica, e per i reati con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico. Perplessità sussistono con riguardo alla possibilità che un ente (e non solo pubblico) sia perseguito per il reato di mutilazioni genitali femminili, nonché in relazione alla previsione concernente i delitti contro la personalità individuale (art. 25-quinquies), gli abusi di mercato (art. 25-sexies), e il reato transazionale, introdotto con la novella del 16 marzo 2006145. Diversamente per la truffa, che mira a tutelare non solo il patrimonio ma anche la libertà del consenso nei negozi patrimoniali146 e la frode informatica che tutela il Con particolare riferimento al delitto di concussione cfr. Gennai, Traversi, La responsabilità degli enti per illeciti amministrativi dipendenti da reato, cit., p. 155 a parere dei quali il fatto che l’ente debba necessariamente assumere in questi casi qualifica pubblicistica comporta che l’eventuale sanzione inflitta finirebbe per gravare sulla stessa collettività che subirebbe un pregiudizio a causa del comportamento illecito di un organo infedele, anche se quest’ultimo ha agito nell’interesse o a vantaggio dell’ente. 143 Stortoni, Tassinari, La responsabilità degli enti: quale natura? quali soggetti?, cit., p. 26. 144 Per una disamina della riforma dei reati societari si veda F. Giunta, La vicenda delle false comunicazioni sociali. Dalla selezione degli obiettivi di tutela alla cornice degli interessi in gioco, in «Rivista trimestrale di diritto penale dell’economia», 2003, p. 601 ss., nonché lo stesso autore, La riforma dei reati societari ai blocchi di partenza-Prima lettura del d.lg. 11 aprile 2002 n. 61, in «Studium iuris», 2002, p. 695 e 833. Per un’analisi della responsabilità delle persone giuridiche in relazione ai «nuovi» reati societari, si veda S. Putinati, Responsabilità amministrativa delle società, in S. Seminara, A. Giarda, A. Barazzetta, I nuovi reati societari, a cura di A. Lanzi e A. Cadoppi, cedam, Padova 2002, p. 231 ss. 145 In ordine ai riflessi dell’introduzione della fattispecie del reato transnazionale sulla responsabilità degli enti, si vedano, oltre alle indicazioni contenute nella nota n. 562, i seguenti contributi: G.M. Armone, La convenzione di Palermo sul crimine organizzato transnazionale e la responsabilità degli enti: spunti di riflessione, in A. Astrologo, La nozione di reato commesso ex art. 3 legge 146/2006 e i riflessi sul d.lgs. 231/2001, in «La responsabilità amministrativa delle società e degli enti», 3, 2006, p. 111 ss., <http://www.rivista231.it/>; M.A. Pasculli, Sul rapporto esistente tra le fattispecie introdotte dalla legge 16 marzo 2006, n. 146, in tema di responsabilità da reato e le impostazioni dogmatiche relative al sistema penale italiano, in «La responsabilità amministrativa delle società e degli enti», 1, 2007, p. 109 ss., <http://www.rivista231.it/>. 146 Così F. Antolisei, Manuale di diritto penale, parte speciale I, Giuffré, Milano 2008, p. 364. 142 308 E. Pavanello patrimonio attraverso la repressione della manipolazione di dati147. In queste ipotesi non è dato escludere che determinati enti pubblici possano porre in essere le fattispecie citate. Come pure è da ritenere che le ipotesi di omicidio e lesioni gravi e gravissime legate alla violazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro, possano venire in rilievo anche per gli enti pubblici148, ferme restando le difficoltà di imputare la responsabilità all’ente in relazione a un reato commesso nel suo interesse o vantaggio per colpa di uno dei soggetti apicali149. Al di là dei limiti che emergono in relazione all’attuale novero dei reati presupposto, non si può sottacere che la responsabilità potrebbe divenire rilevante anche per altri reati. In tragedie come quelle che talvolta hanno segnato il nostro Paese (si pensi, ad esempio, ai terremoti dovuti all’incuria di tante amministrazioni pubbliche che non si sono premurate di concedere i permessi edilizi nel rispetto delle norme o che hanno sottovalutato i rischi connessi a determinate situazioni) è opportuno interrogarsi circa l’opportunità che solo l’amministratore di turno, persona fisica, risponda personalmente dell’accaduto e che invece non sia coinvolta l’amministrazione nel suo complesso, suscettibile di una sola censura in campo politico. Che la censura in campo politico, ovvero attraverso un giudizio espresso dai cittadini nelle elezioni in cui devono scegliere i propri rappresentanti a livello locale o nazionale, sia di dubbia forza è palese in quanto le persone difficilmente modificano così facilmente la propria posizione politica. Restano gli altri controlli di natura politica che, tuttavia, hanno natura discrezionale. Per immaginare una simile forma di responsabilità, stante il modello del d.lgs. Per un commento al reato di frode informatica si veda, tra gli altri, C. Pecorella, Il diritto penale dell’informatica, cedam, Padova 2000, p. 61 ss. 148 L’art. 300 T.U. Sicurezza (d.lgs. 81/2008) ha sostituito l’art. 25 septies d.lgs. 231/2001 modificando l’originaria formulazione, specialmente con riguardo alle conseguenze sanzionatorio. Il nuovo testo prevede che: «1. In relazione al delitto di cui all’articolo 589 del codice penale, commesso con violazione dell’articolo 55, comma 2, del decreto legislativo attuativo della delega di cui alla legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di salute e sicurezza sul lavoro, si applica una sanzione pecuniaria in misura pari a 1.000 quote. Nel caso di condanna per il delitto di cui al precedente periodo si applicano le sanzioni interdittive di cui all’articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore a tre mesi e non superiore ad un anno. 2. Salvo quanto previsto dal comma 1, in relazione al delitto di cui all’articolo 589 del codice penale, commesso con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, si applica una sanzione pecuniaria in misura non inferiore a 250 quote e non superiore a 500 quote. Nel caso di condanna per il delitto di cui al precedente periodo si applicano le sanzioni interdittive di cui all’articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore a tre mesi e non superiore ad un anno. 3. In relazione al delitto di cui all’articolo 590, terzo comma, del codice penale, commesso con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, si applica una sanzione pecuniaria in misura non superiore a 250 quote. Nel caso di condanna per il delitto di cui al precedente periodo si applicano le sanzioni interdittive di cui all’articolo 9, comma 2, per una durata non superiore a sei mesi». 149 V. Masia, Infortuni sul lavoro e responsabilità d’impresa: colpa di organizzazione e organizzazione della colpa, anche alla luce del d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, in «La responsabilità amministrativa delle società e degli enti», 3, 2008, p. 109, <http://www.rivista231.it/>. 147 L’ordinamento italiano 309 231/2001, si pongono diverse questioni. Innanzitutto, occorrerà valutare se e come la responsabilità dell’ente pubblico possa venire in rilievo: se cioè anche per detto ente sia effettivamente configurabile una «colpa d’organizzazione» e come la stessa possa atteggiarsi150. Sarebbe probabilmente opportuno attribuire soggettività giuridica alle singole entità componenti lo Stato, per consentire di risalire ad esempio al soggetto in posizione apicale e imputare a sue omissioni la fattispecie rilevante. In relazione a tale aspetto, occorre poi valutare cosa possa significare l’interesse o il vantaggio per un ente pubblico e, dall’altro, la compatibilità e l’utilizzabilità del sistema sanzionatorio vigente in relazione agli enti pubblici. Sotto il primo profilo, si è dato atto delle perplessità espresse in ordine all’effettività di un simile criterio, il quale probabilmente avrebbe potuto essere sostituito con il concetto di agire per conto dell’ente. In ogni caso, per valutare quando si abbia interesse in capo ad un ente pubblico occorre considerare quale sia in generale l’interesse di tale persona giuridica. Gli studiosi rinvengono spesso la linea di discrimine tra ciò che è pubblico e ciò che è privato nel fatto che solo nella prima ipotesi il soggetto agisca per la tutela del bene comune, della generalità dei consociati. Potrebbe allora venire in rilievo la responsabilità quando l’interesse per il quale l’ente ha agito (e quindi ha posto in essere la condotta illecita) è solo apparentemente quello generale dei cittadini. Difficile tuttavia ravvisare un interesse dell’ente alla commissione di reati. Quanto invece al vantaggio − costituito in genere da un’utilità (non necessariamente economica in quanto il concetto non coincide con quello di profitto) - esso risulta più semplicemente configurabile anche con riferimento agli enti pubblici. Infatti, potrebbe accadere che attraverso la violazione di una norma penale l’ente pubblico sia in grado di ottenere detto vantaggio. Si pensi all’ipotesi in cui un ente, non rispettando determinate procedure in materia di sicurezza ambientale, ottenga un notevole risparmio sul piano finanziario e, quindi, consegua un’utilità. Il secondo aspetto, ovvero quello del profilo sanzionatorio, è problematico in generale con riferimento alla configurazione della responsabilità della persona giuridica. Infatti, la sanzione penale per eccellenza è considerata la reclusione che, per sua natura, si rivolge esclusivamente alle persone fisiche151. Esclusa la reclusione, la sanzione applicabile alle persone giuridiche non può essere in primo luogo che quella Interessante al riguardo lo studio condotto da F. Vignoli, Il tormentato percorso della colpa organizzativa della pubblica amministrazione: un confronto tra sistema punitivo e modello risarcitorio, in «Giustizia Civile», 2006, p. 3 ss., con riferimento alla configurabilità di una colpa di organizzazione in capo alla pubblica amministrazione: l’autore conclude la propria analisi ritenendo che malgrado le perplessità di fondo, la colpa della pubblica amministrazione non solo possa enunciarsi, ma anche trovare autonoma individuazione. 151 Cfr. K. Volk, La responsabilità penale degli enti collettivi, in «Critica del diritto», 3-4, 2002, p. 231 secondo cui il fatto che non potrebbero essere utilmente applicate pene nei confronti delle imprese non è condivisibile, poiché «basta […] togliere alle imprese quella libertà che esse hanno, cioè la loro libertà di movimento nel mercato», prevedendo quindi sanzioni alternative a quella pecuniaria. 150 310 E. Pavanello pecuniaria. E, infatti, l’articolo 10 del decreto in esame espressamente prevede l’applicazione di una sanzione pecuniaria la cui misura verrà determinata mediante quel procedimento bifasico cui sopra si è fatto cenno. I costi della sanzione pecuniaria potrebbero riflettersi nei confronti di soggetti innocenti, dipendenti della società, amministratori che non hanno preso parte alla decisione e gli stessi cittadini su cui si riversa il costo della sanzione. La critica sarebbe vieppiù fondata poiché trattandosi di denaro pubblico i cittadini rischierebbero di veder aumentare i costi dei servizi pubblici proprio perché all’ente erogante è stata applicata una sanzione pecuniaria. Inoltre, la sanzione pecuniaria rischierebbe di rivelarsi sostanzialmente inutile poiché costituirebbe un semplice passaggio di fondi da un «ramo» della pubblica amministrazione ad un altro o in ultima analisi finirebbe per ricadere sui cittadini anziché sui soci e sugli associati152. Oltre al fatto che per gli enti la sanzione pecuniaria potrebbe essere considerata alla stregua di un normale costo, in quanto tale, imputata a bilancio senza che ciò consenta di ottenere le finalità che la pena pecuniaria normalmente si prefigge153, si consideri che la sanzione rischierebbe di rivelarla ancor più inefficace perché in ogni caso andrebbe a colpire un ente (pubblico) in cui il profitto non assume alcun rilievo e, quindi, un’eventuale sanzione che incida sull’aspetto economico non avrebbe ragion d’essere. Con riferimento a tale ultimo profilo, non sembra possibile escludere tout court che l’eventuale inflizione di una sanzione pecuniaria passi davvero inosservata. E ancora, è da rilevare che non solo gli enti pubblici sono finanziati con denaro pubblico e, pertanto, non solo in riferimento a tali persone giuridiche si pone il problema della inefficacia-inopportunità della sanzione pecuniaria eventualmente inflitta: il riferimento va, ad esempio, agli enti privati, destinatari della responsabilità, finanziati con risorse di natura pubblica quali gli enti di patronato154. Inoltre, con riferimento al fatto che il costo della sanzione verrebbe scaricato sui cittadini, non è da escludere che anche le società di diritto privato lo facciano aumentando i costi dei servizi offerti o dei beni prodotti. Da ultimo, si consideri che gli enti pubblici possono essere già sottoposti a sanzioni pecuniarie, ancorché non penali: con il che si ritiene che le argomentazioni sin qui citate che intendono porre in dubbio la legittimità e l’opportunità delle sanzioni pecuniarie dovrebbero trovare applicazione anche in tali ipotesi. Non si ritiene, cioè, che ostacolo alla configurazione di una responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico possa davvero essere rinvenuta nell’eventuale inflizione di una sanzione pecuniaria. Galanti, Responsabilità amministrativa delle persone giuridiche ex d.lg. 231del 2001 e vigilanza sulle imprese finanziarie: quale coordinamento?, in «Diritto della banca e del mercato finanziario», 2003, p. 234. 153 Per alcune considerazioni (già prima dell’approvazione del decreto 231/2001) circa la compatibilità di un sistema sanzionatorio penale con la struttura della persona giuridica si veda Manna, La responsabilità delle persone giuridiche e il problema delle sanzioni, cit., p. 919-928. 154 Fares, La responsabilità dell’ente pubblico per i reati commessi nel proprio interesse, cit., p. 2223. 152 L’ordinamento italiano 311 L’articolato apparato sanzionatorio disciplinato dal decreto introduce poi una serie di sanzioni interdittive cui è opportuno ora volgere lo sguardo. Esse sono applicabili, ai sensi dell’art. 13 del d.lgs. 231/2001, solo qualora l’ente abbia tratto dal reato un profitto di rilevante entità e il reato sia stato commesso da soggetti in posizione apicale o da soggetti sottoposti all’altrui direzione quando la commissione del reato è stata determinata o agevolata da gravi carenze organizzative o quando si tratti di reiterazione di reato. La sanzione interdittiva, ai sensi dell’art. 14 del decreto in commento, ha ad oggetto la specifica attività alla quale si riferisce l’illecito dell’ente. La sanzione interdittiva che presenta maggior carattere affittivo è senza alcun dubbio l’interdizione dall’esercizio di attività che, in talune ipotesi, può essere disposta in via definitiva (art. 16). Ad essa si accompagnano la sospensione o la revoca della autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito, il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e il divieto di pubblicizzare beni o servizi. Il decreto in esame ha, tuttavia, costruito un sistema per cui, qualora dette sanzioni debbano essere applicate ad enti che svolgono un’attività connessa ad un pubblico servizio o ad un servizio di pubblica necessità155, è consentita la prosecuzione dell’attività. Infatti, l’art. 15 dispone la nomina di un commissario giudiziale cui sarà affidata la prosecuzione dell’attività per il tempo equivalente alla durata della pena se l’ente svolge un pubblico servizio o un servizio di pubblica necessità la cui interruzione può provocare un grave pregiudizio alla collettività156. In questo modo potrebbe essere superato il rilievo secondo cui l’applicazione delle sanzioni interdittive, comportando la paralisi dell’attività dell’ente, sarebbero incompatibili con Cfr. Bassi, Epidendio, Enti e responsabilità da reato, cit., p. 358 secondo cui per reperire una definizione di servizio di pubblica necessità occorrerà riferirsi alle indicazioni provenienti da altro settore dell’ordinamento e, segnatamente, in materia di diritto di sciopero. Quanto invece al servizio pubblico, esso si connoterebbe per il fatto che può essere usufruito da una generalità indistinta di utenti. Il pregiudizio si rivelerebbe quando il servizio pubblico incide sullo svolgimento delle attività quotidiane della comunità statale. 156 In particolare, una volta che il giudice avrà riscontrato i presupposti per la nomina del commissario giudiziale, dovrà provvedere ad indicare i compiti e i poteri dello stesso, il cui operato sarà assoggettato ad un controllo periodico da parte del giudice e del pubblico ministero. Per un’analisi della figura del commissario giudiziale nominato in sede di irrogazione di sanzione cautelare, si veda P. Di Geronimo, Responsabilità da reato degli enti: l’adozione dei modelli post factum ed il commissariamento giudiziale nell’ambito delle dinamiche cautelari, in «Cassazione penale», i, 2004, p. 254 ss.; G. De Marzo, Le sanzioni amministrative: pene pecuniarie e sanzioni interdittive, cit., p. 1320 rileva che il disposto dell’art. 15 prevede la nomina del commissario giudiziale qualora vi sia stata applicazione di una sanzione interdittiva «che determina l’interruzione dell’attività dell’ente», riferendosi pertanto non solo all’interdizione dall’esercizio dell’attività, ma a tutte le sanzioni che nel determinare l’interruzione dell’attività dell’ente, siano suscettibili di arrecare pregiudizio al regolare svolgimento del pubblico servizio o del servizio di pubblica necessità. 155 312 E. Pavanello la natura pubblica dell’ente157. Le ipotesi di commissariamento potrebbero, di converso, giovare all’ente, anche in ragione del fatto che il commissario dovrà curare ed attuare modelli di organizzazione e di controllo idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi (art. 15, 3 comma). Sul punto vale rilevare che detto potere è stato riconosciuto dal G.i.p. del Tribunale di Bari anche in sede cautelare. Nel caso di specie, infatti, il Giudice ritenuta la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 45 d.lgs. 231/2001, stante il pericolo di reiterazione del reato da parte delle società sottoposte al procedimento, ha disposto in via cautelare l’interdizione dall’esercizio dell’attività e il commissariamento dell’ente, che si rendeva necessario attesa l’attività di pubblica necessita (pulizia dei nosocomi) svolta, la cui interruzione avrebbe impedito alla collettività di fruire di servizi essenziali. Tuttavia, in un primo momento il Giudice aveva escluso espressamente che il commissario potesse adottare nuovi modelli di organizzazione, in quanto tale onere sarebbe stato giustificato solo in presenza di una sentenza di accertamento della responsabilità dell’ente, e non quindi in sede cautelare. Successivamente, il G.i.p., rilevato che è la stessa ratio della norma che prevede la nomina del commissario per adeguare i modelli comportamentali della società, ha parzialmente modificato l’ordinanza de qua attribuendo ai commissari i poteri di adottare modelli comportamentali urgenti158. Nell’ottica dell’applicazione anche agli enti pubblici del decreto in esame sarebbe, invece, opportuno prevedere l’esclusione dell’applicazione della sanzione di interdizione dall’esercizio dell’attività in via definitiva – ipotesi questa in cui è altresì esclusa la nomina del commissario giudiziale – poiché si potrebbe verificare quella paralisi dell’attività pubblica già denunciata dalla dottrina. L’apparato sanzionatorio del decreto è stato costruito in modo tale da non pregiudicare il regolare svolgimento del servizio pubblico, tant’è che il divieto di concludere contratti con la pubblica amministrazione non si applica per quei contratti che sono finalizzati al conseguimento di prestazioni di pubblico servizio. Infine, non sembrano sussistere particolari ostacoli applicativi anche con riferimento al divieto di pubblicizzare beni o servizi o all’esclusione da agevolazioni, finanziamenti e sussidi pubblici. In particolare, con riferimento a quest’ultima sanzione, sono inclusi tra i destinatari anche i soggetti che hanno comunque una finanza derivata dagli enti pubblici; pertanto costituirebbe una discriminazione non Galanti, Responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, cit., p.234. L’ordinanza del Gip di Bari del 18 aprile 2005 è pubblicata in Le società, 3, 2006, p. 365 ss., con commento critico di S. Bartolomucci, Esigenze cautelari ex d.lgs. n. 231/2001: nomina e ruolo del commissario giudiziale, p. 370 ss. in ordine all’impossibilità per i commissari giudiziali di adottare nuovi modelli organizzativi. Quanto alla modifica parziale dell’ordinanza, il testo e la spiegazione delle ragioni che hanno indotto il Gip, dr. De Benedictis, ad operare tale correzione sono riportate dallo stesso De Benedictis, Esperienze giurisprudenziali in Puglia, in La responsabilità da reato degli enti collettivi, a cura di G. Spagnolo, cit., p. 118-119. 157 158 L’ordinamento italiano 313 giustificata includere solo taluni di detti enti pubblici tra i destinatari della sanzione interdittiva159. Allo stato attuale non esiste una forma di responsabilità degli enti pubblici ma delle precise delimitazioni che sono da un lato molto eloquenti e dall’altro altrettanto criticabili. In una prospettiva de jure condendo e di allargamento progressivo dei reati presupposto è da immaginare che l’esclusione degli enti pubblici dalla responsabilità, provocherà critiche molto accese. Quanto all’aspetto sanzionatorio, non sembrano allo stato sussistere aspetti problematici insuperabili con riferimento agli enti pubblici. Il punto cruciale della questione resta la necessità o meno di prevedere un trattamento differenziato per gli enti pubblici160. 10. La previsione della responsabilità penale delle persone giuridiche nel progetto della Commissione Pisapia. La Commissione Pisapia in data 21 marzo 2008 ha consegnato al Ministro della Giustizia la versione definitiva dello Schema di disegno di legge recante la delega legislativa al Governo della Repubblica per l’emanazione della parte generale di un nuovo codice penale161. Ai nostri fini, particolarmente interessante risulta la previsione dell’art. 56 il cui titolo è Responsabilità degli enti che prevede di inserire nel codice penale detta responsabilità, configurata sul modello di cui al d.lgs. 231/2001. Si indica, peraltro, che la responsabilità non dovrebbe essere qualificata come amministrativa e che pure le sanzioni non dovrebbero essere qualificate come amministrative: si tratta di un’importante innovazione rispetto a quanto indicato nel precedente progetto di riforma ad opera della Commissione Grosso. Fares, La responsabilità dell’ente pubblico per i reati commessi nel proprio interesse, cit., p. 2223. Fares, La responsabilità dell’ente pubblico, cit., p. 2224-2225, ad esempio, ritiene comunque opportuno considerare gli enti pubblici distinguendo a seconda che essi agiscano per tutelare interessi collettivi di rilievo preminente altrimenti non realizzabili, sulla base del criterio della infungibilità della funzione svolta. E ciò anche in considerazione del fatto che secondo la giurisprudenza recente della Cassazione, l’amministrazione svolge attività amministrativa anche quando persegue finalità sue proprie attraverso un’attività disciplinata in tutto o in parte dal diritto privato. Ripropone la contrapposizione esercizio di attività economica/attività non economica, De Maglie, L’etica, cit., p. 390 secondo la quale nella nozione di persona giuridica di un «nuovo» modello di responsabilità dovrebbero essere inclusi tutti gli enti pubblici che svolgono attività di natura economica. 161 La Commissione ha avuto l’incarico con decreto del Ministro della Giustizia del 30 luglio 2006. Il Progetto Pisapia è rinvenibile nel sito <www.giustizia.it>. 159 160 314 E. Pavanello Per essere imputabili all’ente i reati devono essere commessi nel suo interesse: viene meno, invece, il riferimento al vantaggio. La realizzazione delle fattispecie criminose deve essere stata resa possibile da una lacuna organizzativa o dalla carenza di sorveglianza o controllo o comunque devono essere state commesse su indicazione dei vertici organizzativi e gestionali. La responsabilità ipotizzata sarebbe dunque penale a tutti gli effetti e prenderebbe a modello il d.lgs. 231/2001. Sotto il profilo dei soggetti attivi del reato vengono confermate le esclusioni degli enti pubblici (Stato, Regioni, gli enti pubblici territoriali), a eccezione di quelli che esercitano attività economica, oltre che delle Autorità indipendenti. Si tratta di organismi idonei ad assicurare per la loro terzietà la massima indipendenza organizzativa e di giudizio da ogni tipo di condizionamento politico o economico. Esse non curano interessi di natura pubblica di propria pertinenza ma dirimono in via preventiva potenziali conflitti di interessi collettivi, diffusi, di categoria e individuali, fissando regole di disciplina di settore (in via preventiva) e provvedendo, poi, attraverso l’uso di poteri correttivi e sanzionatori a ricondurre l’attività dei singoli o dei gruppi nella legalità e correttezza162. Si caratterizzano, quindi, per un aspetto punitivo nel senso che sono in grado di infliggere sanzioni che rilevano soprattutto nel diritto di impresa e che per certi versi assumono connotazioni analoghe a quelle che caratterizzano il diritto penale, senza che tuttavia siano offerte le medesime garanzie connaturate a quest’ultimo163. La ragione che ha indotto la Commissione a escluderle espressamente dal novero dei soggetti responsabili è probabilmente rinvenibile nel fatto che sebbene non esercitino una funzione strettamente economica, sono destinate a «regolare» l’attività di impresa, intervenendo magari prima che un illecito penale venga commesso ma ponendosi comunque come giudice, anche se non assumono funzioni giurisdizionali in senso stretto. Nella relazione allo schema di disegno di legge, si dà atto del fatto che l’inserimento della responsabilità penale delle persone giuridiche nel codice penale, pur non generalmente condivisa, si pone quale elemento di garanzia non potendo la relativa disciplina discostarsi dai principi riconosciuti nella parte generale del codice penale. Nessuna riflessione viene invece dedicata all’esclusione degli enti pubblici, quasi si trattasse di un dato acquisito, in relazione al quale non si può porre alcun dubbio. Del resto, già prima di questo progetto, il titolo vii del Progetto Grosso, così come approvato dalla Commissione Ministeriale per la riforma del codice penale nel Galli, Galli, Corso di diritto amministrativo, cit., p. 254 ss. Per un primo inquadramento di tali autorità si veda Riondato, S. Zancani, Le autorità amministrative indipendenti nelle reti penali e punitivo-amministrative, in P. Cavaleri, G. Dalle Vedove, P. Duret, Autorità indipendenti e Agenzie. Una ricerca giuridica interdisciplinare, cedam, Padova 2003, p. 129 ss. il quale rileva il crescente ruolo svolto dalle autorità amministrative indipendenti anche nella vicenda penale con particolare riferimento al controllo dell’attività di impresa. 162 163 settembre del 2001, che era interamente dedicato alla responsabilità della persona giuridica, aveva escluso gli enti pubblici dal novero dei soggetti responsabili164. Il titolo comprendeva dieci articoli che disciplinavano tanto l’aspetto sostanziale di detta responsabilità, quanto quello sanzionatorio. In particolare, l’art. 121, comma 2, disponeva che, ai fini della disposizione concernente la responsabilità, per persona giuridica occorre intendere «tutti gli enti, società, associazioni anche non riconosciute, che svolgono attività economica. Sono esclusi lo Stato, le Regioni, gli altri enti pubblici territoriali e le Autorità indipendenti». Da segnalare il fatto che accanto agli enti pubblici territoriali venivano espressamente escluse anche in questo caso le Autorità amministrative Indipendenti. Il modello di responsabilità punitivo cui dunque si orienta l’ordinamento italiano con il progetto di riforma da ultimo approvato prevede l’espressa esclusione della responsabilità degli enti che non esercitino attività economica, o meglio di quegli enti che siano connotati da elementi di «pubblicità». La Commissione di riforma era stata istituita con d.m. 1 ottobre 1998. Il testo del progetto Grosso, rinvenibile nel sito <http://www.giustizia.it>, è stato approvato dalla Commissione ministeriale per la riforma il 26 maggio 2001. Cfr. C.F. Grosso, Relazione introduttiva: presentazione del progetto preliminare di riforma della parte generale del codice penale, in La riforma della parte generale del codice penale, a cura di A. Stile, Jovene, Napoli 2003, p. 26 il quale nota come «nonostante la convinzione della maggioranza della Commissione della necessità di prevedere una responsabilità penale delle persone giuridiche, rispettando le opinioni critiche abbiamo voluto essere particolarmente cauti: non abbiamo definito espressamente come penale la nuova responsabilità, ma l’abbiamo intesa come una sorta di tertium genus fra quella penale e quella amministrativa». In generale sull’aspetto della colpevolezza nel Progetto Grosso si veda S. Canestrari, La responsabilità colpevole nell’articolato della parte generale del Progetto Grosso, in «Rivista italiana di diritto e procedura penale», 3, 2001, p. 884 ss. 164 317 capitolo 8 Profili comparati Sommario. 1. I tratti «comuni» della responsabilità degli enti pubblici. L’irresponsabilità penale dello Stato e la previsione di una limitata responsabilità degli altri enti pubblici. – 1.1. Le critiche avanzate in relazione ai criteri utilizzati per individuare gli enti pubblici responsabili penalmente diversi dallo Stato. – 1.2. L’irresponsabilità penale dello Stato. – 2. La tensione tra responsabilità politica e responsabilità penale degli enti pubblici. – 3. Le argomentazioni avanzate contro la configurazione di una responsabilità penale degli enti pubblici. – 4. Sulla possibilità e sull’opportunità di configurare un sistema di responsabilità penale degli enti pubblici alla luce delle indicazioni di diritto comparato. 5. Verso un possibile modello di responsabilità penale degli enti pubblici? Considerazioni conclusive. 1. I tratti «comuni» della responsabilità degli enti pubblici. L’irresponsabilità penale dello Stato e la previsione di una limitata responsabilità degli altri enti pubblici. L’analisi condotta con riferimento alla disciplina normativa, alla giurisprudenza e al dibattito dottrinale sviluppatosi intorno alla controversa questione della responsabilità penale degli enti pubblici ha messo in luce l’esistenza di elementi comuni che denotano la condivisione di alcune questioni di fondo. Innanzitutto, lo Stato, per espressa previsione legislativa1 o per applicazione giurisprudenziale2, è sempre escluso da responsabilità penale. Unica eccezione è costituita dalla responsabilità della Corona per il reato di corporate manslaughter3 in Inghilterra. Quanto agli enti pubblici territoriali, esiste una tendenza, soprattutto nelle legislazioni più recenti, a indicare in modo espresso se e in che misura essi siano destinatari della responsabilità penale. Nel codice penale francese del 1994, ad esempio, si limita la responsabilità di tali enti alle attività suscettibili di delega ai privati4 e in Si ricordano al riguardo le previsioni espresse contenute nel codice penale francese, analizzate nel capitolo 3, e nel codice penale belga, su cui si veda capitolo 4, nonché in Italia nel d.lgs. 231/2001, su cui veda capitolo 7. 2 In questo senso si è espressa la Corte di Cassazione olandese nel caso Volkel in cui l’azione penale nei confronti dello Stato è stata dichiarata improcedibile (si veda in particolare, il capitolo 2, paragrafo 2.16.). 3 Si veda, in particolare, il capitolo 5, paragrafo 6. 4 Per un’analisi delle limitazioni previste nel codice penale francese, si rinvia al capitolo 3. 1 318 E. Pavanello quello belga del 19995, dopo aver stabilito che, in linea di principio, la responsabilità penale delle persone giuridiche concerne tutti gli enti vengono introdotte, di fatto, una serie ampia di eccezioni. Esse garantiscono, in misura maggiore o minore, che gli enti pubblici siano esonerati dalla responsabilità penale. Si tratta di un dato interessante, perché le dichiarazioni concernenti l’ambito di applicabilità della norma parrebbero costituire implicite ammissioni del fatto che anche le persone giuridiche pubbliche menzionate delinquono e vi sono ragioni (di opportunità o di sostanza) che inducono ad escluderle dalla responsabilità penale. Laddove il legislatore non è intervenuto in modo espresso, la giurisprudenza ha provveduto, in ogni caso, a chiarire che non tutti gli enti pubblici possono essere perseguiti penalmente: è questo, ad esempio, ciò che è avvenuto in Olanda, ove il codice penale non contiene alcuna indicazione specifica con riferimento alla responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico. Ciò nonostante, la prassi giurisprudenziale ha stabilito che taluni enti pubblici possono essere responsabili penalmente qualora l’illecito sia stato commesso nell’esercizio di funzioni non pubbliche (che le sentenze hanno progressivamente tentato di individuare). Tali pronunce hanno indicato inoltre i criteri in base ai quali le persone giuridiche possono essere perseguite, individuando un «sistema» di responsabilità definito che impone al giudice penale di valutare sempre l’opportunità di procedere nei confronti dell’ente pubblico, verificando in particolare se siano applicabili le cause di giustificazione dell’esercizio del diritto e dell’adempimento del dovere, e di applicare in caso di condanna la sanzione più adatta alle peculiare natura pubblica della persona giuridica6. Scelta parzialmente diversa è stata effettuata nell’ordinamento italiano, in cui sono stati esclusi tutti gli enti pubblici, a eccezione di quelli economici. L’opzione riecheggia, per certi versi, il sistema di responsabilità degli enti previsto nell’ordinamento inglese laddove la Corona (e tutti gli organi che ad essa sono equiparati) è stata tradizionalmente esclusa dalla responsabilità perché non può compiere alcun male: qui il problema concerne come visto non tanto e non solo la sua punibilità, ma addirittura la possibilità che le norme (non solo penali) trovino applicazione nei suoi confronti. Si pone in sostanza il problema dell’applicabilità delle norme al Sovrano-Stato, il quale risulta in tal modo legibus solutus7. Peculiare la situazione nell’ordinamento americano: mentre in un passato non troppo lontano le persone giuridiche di diritto pubblico (o meglio gli enti territoriali diversi dallo Stato) venivano perseguite sulla base della state law, oggi la giuriSi veda, in particolare, sul punto quanto indicato al capitolo 4. Si rinvia sul punto al capitolo 2, paragrafo 2.6. 7 Si rinvia al riguardo al capitolo 5, paragrafo 5.4. 5 6 Profili comparati 319 sprudenza, salvo alcuni limitati casi, tende ad escluderne la responsabilità sotto il profilo penale8. Il primo elemento su cui riflettere è, dunque, che esistono delle limitazioni – che nel caso italiano si traducono in una pressoché generalizzata immunità – con riferimento all’applicabilità alle persone giuridiche di diritto pubblico della responsabilità penale, limitazioni che sono state introdotte per via legislativa o giurisprudenziale. La seconda circostanza su cui interessa porre l’accento è data dai criteri in base ai quali viene operata la distinzione tra enti pubblici responsabili e non. Normalmente, accanto ad un criterio di carattere prettamente «formale» (alla stregua del quale sono esclusi dalla responsabilità lo Stato e gli enti pubblici territoriali tassativamente individuati), convive un criterio «sostanziale», in base al quale tra gli enti pubblici occorre operare una verifica atta a determinare l’attività nell’ambito della quale l’illecito è stato commesso. Nell’ordinamento olandese, ad esempio, un ente pubblico tra quelli elencati nel capitolo 7 della Costituzione, ovvero le Province, i Comuni, gli enti preposti alla cura delle acque (criterio formale) è escluso dalla responsabilità penale nella misura in cui svolge un’attività «esclusiva», che non può essere posta in essere da persone giuridiche di diritto privato. La ratio della delimitazione sta in ciò: poiché l’esercizio di tale attività è per legge d