dotGuitar HOME Intervista al Maestro Alessandro Solbiati HOME APPROFONDIMENTI pag. 1 2 3 4 di Fabio Selvafiorita fabio[at]fabioselvafiorita.com PDF E’ per me un grande piacere ed onore condividere con voi questa “inusuale” intervista al compositore Alessandro Solbiati. Inusuale perché a partire dalla sua esperienza e dalla storia dei suoi lavori per chitarra abbiamo affrontato gli argomenti più disparati; da quelli prettamente estetici e poetici, a quelli più scottanti, come quelli sempre più di moda tra i nuovi detrattori della “musica contemporanea” e riguardanti i facili fraintendimenti circa lo status del pensiero musicale odierno. Status, che è sempre più utile ricordare, è rappresentato da una quantità di straordinarie esperienze umane, di interpreti e di compositori attivissimi sul territorio, italico e non, purtroppo continuamente attaccati dalla arroganza di certa risonante e banale divulgazione massmediatica. Solbiati fornisce risposte, probabilmente non del tutto condivisibili, ma chiare ed inequivocabili. Non vi rubo altro tempo. Non credo che il Maestro abbia bisogno di presentazioni (o per chi ne volesse sapere di più lo invito a visitare http://www.esz.it/esz_ita/alessandro_solbiati/ index.htm ) Volevo solo dire che raramente nella mia vita penso di aver incontrato un Maestro che sia stato in grado di trasmettere così tanta passione ed entusiasmo nel raccontare ed insegnare la Musica; si tratti di analizzare Schubert o Ligeti, Mahler, Brahms o Petrassi, di illustrare le tecniche del comporre o semplicemente nel trasmettere il suo amore senza compromessi per uno strumento così particolare e straordinario come la chitarra. Vi auguro quindi una piacevole lettura a tutti. in grado di trasmettere così tanta passione ed entusiasmo nel raccontare ed insegnare la Musica; si tratti di analizzare Schubert o Ligeti, Mahler, Brahms o Petrassi, di illustrare le tecniche del comporre o semplicemente nel trasmettere il suo amore senza compromessi per uno strumento così particolare e straordinario come la chitarra. Vi auguro quindi una piacevole lettura a tutti. Fabio Selvafiorita: Leggo dal catalogo Suvini e Zerboni delle tue musiche che il primo brano che hai scritto per chitarra sono i TRE PEZZI del 1987. Come avvenne l’incontro con lo strumento? M° Alessandro Solbiati: In realtà non è del tutto vero che i TRE PEZZI siano stati il primo brano. Infatti l’anno prima avevo scritto un breve pezzo per chitarra sola per l’amico chitarrista Piero Bonaguri sotto l'influsso della nascita della mia prima figlia; si trattava di una sorta di nenia cullante dedicata "a Sara". La rielaborazione di tale brano è poi diventata il II dei TRE PEZZI, con la dedica "a Sara, un anno dopo". F.S. ...è evidente una scrittura virtuosa per virtuosi... A.S. I TRE PEZZI furono il mio primo lavoro di indagine sistematica dello strumento, con tanto di manico di chitarra ritagliato sul tavolo di lavoro, per la verifica delle posizioni... F.S. …non hai una chitarra? A.S. Si, ma l'avevo a casa dei miei genitori. Come tutti quelli della mia generazione la strimpellavo da giovane, ma ovviamente, in quell'occasione di scrittura, non volevo essere schiavo dello strumento. E’ un po' il rapporto che ho con tutti gli strumenti quando scrivo... F.S. ...comporre sullo strumento è la prassi ordinaria di certi chitarristi-compositori... A.S. Trovo limitante e a rischio di dilettantismo comporre "con lo strumento in mano". La conoscenza del mezzo deve avvenire prima, naturalmente anche attraverso il contatto con lo strumentista. Non essendo un interprete, ma un compositore, voglio essere libero da condizionamenti meccanici, seppur sempre nel rispetto della fisiologia dello strumento. La chitarra classica è uno strumento sbilanciato storicamente verso prassi di compositori spesso mediocri, che sapevano suonare bene ma che componevano in maniera acriticamente idiomatica, cioè partendo dall'oggetto. E così è stato almeno fino al meraviglioso omaggio a Debussy di De Falla. Ricordiamoci poi che tutti i passi più importanti delle tecniche strumentali nascono da chi è in grado di sognare sullo strumento. E' necessario avere un'idea e nello stesso tempo dialogare con l’interprete. Un’idea che non deve essere astratta, ma neanche nascere dalle sole mani. E’ il motivo poi che tutti i passi più importanti delle tecniche strumentali nascono da chi è in grado di sognare sullo strumento. E' necessario avere un'idea e nello stesso tempo dialogare con l’interprete. Un’idea che non deve essere astratta, ma neanche nascere dalle sole mani. E’ il motivo per cui io, da diplomato in pianoforte, in fondo ho maggiori difficoltà proprio quando scrivo per il mio strumento. F.S. I compositori, soprattutto in passato, hanno spesso lamentato una "difficoltà" unica, particolare, nel comporre per chitarra. Come mai secondo te? A.S. Probabilmente perché ha le caratteristiche di una tastiera ma un decadimento rapido del suono; inoltre si tratta di una tastiera complessa, in quanto composta da sei corde (due in più degli archi) che però si suonano con una sola mano. Questo si scontra con la tradizionale formazione pianistica del compositore. Ma tutto ciò non fa altro che accentuare il fatto che si tratta di un territorio non ancora sufficientemente esplorato, sia dal punto di vista timbrico che polifonico-articolativo. F.S. Torneremo sull'argomento. Prima di andare oltre farei un piccolo passo indietro rispetto ai TRE PEZZI. Vedo che hai utilizzato la chitarra in un Concerto per Violino e Orchestra... Si, Di Luce, che vinse il Concorso Rai Paganini nel 1982. Nel concerto c'è una specie di parte concertante per chitarra. Avendo Paganini come "riferimento", mi sembrava coerente utilizzare un violino che avesse come ombra una chitarra. In quel concerto mi prefiguravo una sorta di programma che veniva dall'Idiota di Dostoevskij. Immaginai qualcosa che nascesse dal nulla, dalle tenebre e che ci ritornasse dopo un momento di massima tensione. E siccome una delle immagini del Principe My!kin che volevo mettere in scena era il suo essere innamorato, pensai ad una zona centrale che diventasse quasi una Serenata. Ma, come spesso capita, nel momento in cui pensavo a questa situazione nacque un'idea ancora più forte. Poiché il concetto stesso di "concerto solistico" in quegli anni era ancora circondata da un'aureola vagamente post-romantica, sentivo di aver bisogno di strutturare solidamente il rapporto solista/orchestra. In omaggio all’immaginario dialogo Paganini - My!kin pensai quindi di passare musicalmente alcuni materiali del violino alla chitarra, che non ha la vocazione di strumento d'orchestra. Tali materiali vengono via via trasferiti all’arpa, viceversa strumento orchestrale, e da lì all’orchestra. Così, in un gioco quasi piramidale, la chitarra fungeva letteralmente da tramite tra le esigenze del solista e l’ampio organico orchestrale. F.S. Torniamo allora ai TRE PEZZI e cominciamo con il primo: l’espansione di un unisono in sequenze di arpeggi... Torniamo allora ai TRE PEZZI e cominciamo con il primo: l’espansione di un unisono in sequenze di arpeggi... Incipit del primo dei Tre Pezzi per chitarra* A.S. …ero affascinato da un'idea che avevo già usato in un pezzo per soprano e orchestra tre anni prima, Più sopra le stelle. In quel caso avevo voluto mettere in scena la nascita stessa della voce facendone scaturire la sequenza melodica dall'orchestra, mediante ripetute espansioni degli archi e successive contrazioni su un'unica nota che passava alla voce. Mi resi conto che quest'idea poteva essere espressa sulla chitarra quasi idiomaticamente, cioè con arpeggi che si aprono e chiudono su un unisono, in modo da poter liberamente disegnare una sequenza melodica. Tutto ciò mi affascinava molto... F.S. ...poi questa sequenza viene perturbata, disturbata e quasi assorbita da una progressione sempre più fitta di percussioni sulla cassa armonica... A.S. …esattamente, quasi un disturbo che si va insinuando in quella superficie armonica, fino ad allora espressa solo espandendosi e ritraendosi, come un respiro... F.S. A Sara, un anno dopo; come dicevi, ti è particolarmente caro. A mio parere è un brano anche molto dolce e cullante, emerge un aspetto peculiare di certa tua scrittura... A.S. …aspetto peculiare che però è venuto dopo e si può dire nato con questo brano. E' una sorta di arco narrativo personale, che ho scritto diventando padre e che avrei potuto scrivere solo in quelle condizioni. Mi era sembrato di assistere alla nascita stessa del mondo, alla creazione, poiché mi ero reso conto che in quell’istante si apriva di fronte a me un punto di vista nuovo sull'universo. …aspetto peculiare che però è venuto dopo e si può dire nato con questo brano. E' una sorta di arco narrativo personale, che ho scritto diventando padre e che avrei potuto scrivere solo in quelle condizioni. Mi era sembrato di assistere alla nascita stessa del mondo, alla creazione, poiché mi ero reso conto che in quell’istante si apriva di fronte a me un punto di vista nuovo sull'universo. Il brano è quindi intimamente legato a quella situazione, alla nascita e alla meraviglia. Ho considerato tutte le terze minori che si possono ricavare dagli armonici naturali delle corde della chitarra e ho messo in scena il percorso che quei due occhi avrebbero vissuto. Allora composi dapprima una ninna nanna di terze minori oscillanti, via via sostituite da un gioco, un brulichio accompagnato dal presentarsi di scale e trilli fino che infine si richiudono sulla nenia iniziale. Tutto ciò è inoltre scandito da rintocchi rituali di ampie ottave estranee alle note delle terze minori. E' sicuramente uno dei pezzi del mio cuore. Incipit del terzo dei Tre Pezzi per chitarra* F.S. Il terzo, a prima vista il più donatoniano: frammenti di scale alternate a sequenze di accordi placcati… A.S. Ho pensato di proporre un contrappasso alla dolcezza del II pezzo, rivelando l'anima tagliente della chitarra. Volevo un pezzo finale con raffiche di note staccatissime e non risonanti... F.S. …pensi ai TRE PEZZI in modo unitario, o possono essere eseguiti singolarmente? A.S. A Sara può essere eseguito singolarmente, gli altri no. F.S. F.S. La prima serie dei quattro STUDI PER CHITARRA nasce invece quasi dieci anni dopo, 1997-99... A.S. …revisionati in parte nel 2002 dopo l'esecuzione di Luigi Attademo… F.S. …rispetto al titolo di STUDI, l'impressione tutta personale è quella di un dialogo interiore non esclusivamente finalizzato all'esplorazione tecnica… A.S. …infatti sono studi nel senso compositivo... F.S. …si palesano i tratti tipici della tua poetica… A.S. La prima serie dei quattro STUDI PER CHITARRA, e ti confesso di avere gli appunti anche per una seconda serie, nascono nel periodo di massima collaborazione con Filomena Moretti. Straordinaria interprete di grande profondità. Pensavo di dedicarle qualcosa che fosse nelle sue corde espressive e che prescindesse dallo strumento per trasformarsi quasi in un’idea orchestrale. Ho un affetto estremo per la chitarra intesa come strumento polifonico, sul quale cioè si possano accostare e sovrapporre figure diverse, quasi fossero "voci" di un ideale contrappunto. Nel I studio, ad esempio, vi è l'idea di un corale che evolve fino a fiorire, per diventare alba, ed essere infine cullato da un carillon finale. F.S. Disegni orchestrali, immagini uditive, archetipi sonoriali, in tutta la tua musica, compresa quella per chitarra, ma in particolare in questi studi, è percepibile una direzionalità, determinata anche da quello che si può considerare un aspetto fondamentale della tua poetica: cioè una particolare interpretazione dell'idea di figura, termine con il quale si è soliti contraddistinguere una delle più interessanti e varie derive critiche post-seriali. Ce ne vuoi parlare? A.S. Credo che la conquista fondamentale del comporre musica degli ultimi trent’anni, per lo meno dalla fine degli anni 70, sia quella che chiamo figura musicale. Che cos’è la figura? E' un evento sonoro che traduce e attua un'immagine musicale, un evento ben identificabile al suo apparire, al suo evolvere e al suo eventuale riapparire. Per arrivare a delineare una figura è essenziale innanzitutto aver chiaro la natura e la formazione del gesto che la caratterizza. Ti faccio subito un esempio: pensa ad una fascia di suoni di archi, al ponticello, nella regione grave e in un ambito intervallare ristretto, tenuto, con ricorrenti forcelle irregolari che vanno dal pppp al p e ritorno; ecco, posso anche non sapere che note sono, ma sicuramente sento già come suonano. Cioè ho attribuito parametri di carattere articolativo, dinamico, di Cioè ho attribuito parametri di carattere articolativo, dinamico, di registro, sufficienti a descrivere un evento, un gesto. Naturalmente non so ancora se questa fascia è destinata ad accelerare, diventare fff, espandersi ecc. ecc. E’ sarà proprio il suo vivere nel tempo che permetterà al gesto di diventare figura. Ma se non conoscessi lo stato attuale del gesto non potrei riconoscerne una evoluzione, un ritorno. Tutto ciò si sviluppa con forza negli anni '70 perché prima vi era una sorta di timore per una forte conoscibilità dell'evento sonoro. Sapeva troppo di "tematismo". E' interessante notare che questo percorso verso la conoscibilità dell'evento ha caratterizzato la musica di ogni generazione compositiva agente nel corso degli anni '70 e '80. E' indiscutibile. Se di Pierre Boulez si considerano ad esempio STRUCTURES e RITUEL, composti rispettivamente nel 1951 e nel 1975, è molto difficile riconoscere lo stesso autore. Lo stesso vale per la produzione di Berio, Donatoni e persino di Ferneyhough o Grisey; tra i primi brani spettrali e Vortex Temporum, c'è un abisso. La mia generazione, viceversa, è già nata così, con la possibilità di scrivere una musica più esplicita senza risultare necessariamente "vetero-tematica". Nel momento in cui impongo alle mie situazioni musicali parametri atti a rendere ben evidente un evento, sto conquistando anche la possibilità di far evolvere tale evento, di ri-conoscerlo nel tempo. E se esso è riconoscibile posso giocare con la memoria, posso farne ritornare elementi ben percepibili senza che si consideri ciò una ripresa. In questo modo si può strutturare il tempo della percezione musicale. F.S. ...implica quindi, contrariamente ai dogmi seriali, un pensiero forte sulla memoria... A.S. Ripresa sta a tematismo, come memoria sta a figura. Possiamo dire che tutta l'esperienza umana è fatta di ritorni. Se fosse notte e non avessi la certezza che tornasse la luce, sarei preso da angoscia. Mediante la memoria posso quindi "aspettarmi qualcosa", poiché riconosco nel diventar buio quello che ho già conosciuto nella mia esperienza di vita come passaggio alla notte. L'ascolto è un’esperienza umana che vive solo nel tempo e la memoria ne è componente imprescindibile. Quello che mette in difficoltà nella fruizione della musica degli anni '50 non è la serialità, l'atonalismo, l’organizzazione quindi delle altezze, ma il loro non essere prevedibili. La musica, nella storia, si è sempre mossa tra questi due estremi; quando è interamente prevedibile è banale, perché so già cosa accadrà, ad esempio quando ogni dominante risolve in tonica. Ma se non posso prevedere nulla, vengo preso da una sorta di timore dell'ascolto, mi sento in una foresta in cui ad ogni passo potrei incontrare un serpente quanto una fata, e questa è una perfetta metafora dell'angoscia. F.S. dell'ascolto, mi sento in una foresta in cui ad ogni passo potrei incontrare un serpente quanto una fata, e questa è una perfetta metafora dell'angoscia. F.S. Non ritieni che quella seriale sia comunque stata un'esperienza necessaria? A.S. Assolutamente necessaria, sebbene un po' "imprigionante". L'errore ideologico è consistito nel considerare quella del serialismo integrale un’esperienza definitiva, come se esistesse un qualcosa di definitivo nell’evoluzione delle cose. Ma la gratitudine verso chi è nato prima di me è infinita… F.S. ...affrontiamo allora l'argomento tanto che ci siamo… secondo te perché continua ad esistere un problema "musica contemporanea"? E’ un problema di educazione? Poca disponibilità all'ascolto? Musica eseguita male? A.S. Parto dallo smentire l'ultima domanda. Anzi, mediamente, il livello e la qualità delle esecuzioni della musica d'oggi sono nettamente più alti di un tempo. Ti faccio un significativo esempio personale: nel 2006, all'inizio della prova di lettura della mia SINFONIA SECONDA, il direttore Daniel Kawka si è permesso di fare con l'Orchestra Sinfonica della RAI di Torino qualcosa che quindici anni prima avrebbe avuto un esito disastroso con la maggior parte delle orchestre italiane: è salito sul podio, ha alzato le braccia e ha diretto un'esecuzione filata, a tempo, in lettura, di tutti i 25 minuti del brano. Vent’anni prima, avrebbero incominciato in ottanta e finito in tre. Anzi, la prova d’orchestra non sarebbe neanche terminata e sarei stato subissato di domande tipo questo cosa vuol dire, questo come si fa a fare ecc. ecc. Invece hanno suonato tutto ed erano contenti di essersi fatti una prima idea del pezzo. Questo principalmente perché nella maggioranza dei casi il notevole numero di giovani subentrato conosce e ha già praticato le scritture della musica d'oggi e non si fa né sorprendere né sconcertare. Tornando alla prima domanda, più che un problema musica contemporanea c’è, a priori, un problema Musica. Nella coscienza collettiva manca tout court la nozione stessa di Storia della Musica. In qualche modo, quando si parla di pittura, tutti sanno che Michelangelo nacque dopo Giotto, e i più conoscono i nomi di alcuni pittori impressionisti e sanno collocarli storicamente e geograficamente. Questo perché comunque qualcosa a scuola ti hanno raccontato, di arti figurative. Invece, nella coscienza collettiva, la Musica Classica rimane una “roba”, uno scatolone, dove ci si butta dentro di tutto, indifferentemente, da Bach a Tchaikovsky. Mi capitò ad un convegno su Musica e Fede di sedere di fronte ad una platea di studenti universitari senza che nessuno dei presenti avesse mai sentito una nota di Palestrina. Anzi, a dire il vero non conoscevano nemmeno il suo nome. Incredibilmente, sono quindi costretto a considerare normale che persone che studiano lettere all'Università, e che quindi insegnando perpetueranno questa ignoranza, possano disquisire sulla poesia del '400 parlando ad esempio del Poliziano senza conoscere il Incredibilmente, sono quindi costretto a considerare normale che persone che studiano lettere all'Università, e che quindi insegnando perpetueranno questa ignoranza, possano disquisire sulla poesia del '400 parlando ad esempio del Poliziano senza conoscere il estratto dal Secondo Studio per chitarra* nome di Josquin Desprez, grande compositore fiammingo che componeva musica contemporaneamente nella stessa corte. F.S. ...probabilmente non ne riconoscono il valore... A.S. La musica non viene considerata parte integrante della cultura e del pensiero umano, ma solo una forma di intrattenimento. Non oso sperare nell'inserimento di un corso di storia della musica nei licei, anche se sarebbe doveroso farlo. Mi limito ad auspicare che un docente di letteratura italiana, durante una lezione su Dante, faccia ascoltare il suono della musica che si produceva nella Firenze del '2-300. Quale suono aveva nelle orecchie Dante quando lo cacciarono da Firenze? In sostanza: quale era il suono di un'epoca? Tutti ammiriamo meravigliati la nostra straordinaria produzione pittorica rinascimentale e seicentesca, comprese le straordinarie iconografie musicali, fatte di cetre, liuti etc., ma non facciamo il passo ulteriore di voler sapere come suonavano. Come suonavano effettivamente nella prassi, quelle cose, nell'immaginario dei compositori allora contemporanei? Ancora, e scusami se mi accaloro, ma come è possibile che si vada alla maturità classica e si parli di Romanticismo senza conoscere il nome di Chopin o di Schumann? Detto tutto questo, l'opinione diffusissima (soprattutto tra i direttori artistici) che il pubblico della musica colta non desideri ascoltare brani contemporanei incomincia ad apparirmi una fola, una generalizzazione stupida e falsa. possibile che si vada alla maturità classica e si parli di Romanticismo senza conoscere il nome di Chopin o di Schumann? Detto tutto questo, l'opinione diffusissima (soprattutto tra i direttori artistici) che il pubblico della musica colta non desideri ascoltare brani contemporanei incomincia ad apparirmi una fola, una generalizzazione stupida e falsa. Assisto a molte esecuzioni di musica d'oggi che finiscono tra convintissimi applausi. Ma davvero la gente quindi non vuole ascoltare la musica d'oggi? O forse è meglio dire che non gliela sappiamo porgere, e allora si vedono sciocchi cartelloni che, dopo dieci programmi di musica "storica" spesso trita e ritrita improvvisamente propongono (o impongono) un concerto tutto contemporaneo senza nemmeno controllare la qualità della proposta, solo per "mettersi a posto la coscienza" dell'impegno culturale? Nego, nel modo più assoluto, che la gente che ha voglia di ascoltare musica, perché la selezione vera la si fa su questo punto, non abbia anche la curiosità di ascoltare musica d'oggi: certo, bisogna sceglierla e contestualizzarla. F.S. Da parte mia vedo che le nuove generazioni sono molto più predisposte a confrontarsi con ciò che è nuovo, non ancora ascoltato, anche sperimentalmente ardito... A.S. Si, però con le nuove generazione vedo una ulteriore difficoltà. Immerse nel supermercato globale hanno la tendenza a mettere sullo stesso piano, ad esempio, Vasco Rossi e Béla Bartók. I giovani non si tirano indietro, sono spesso aperti e disponibili ad ascoltare di tutto. Ma tendono a non saper valutare e a non riconoscere i differenti spessori del pensiero musicale, incapacità che avrebbero assai meno qualora si parlasse di arti della parola. Si possono amare sia Topolino sia Thomas Mann, ma bisogna evidentemente essere consapevoli che si trovano su piani del tutto differenti. Non è possibile cioè sostenere che esprimano l’essere umano al medesimo grado di profondità. Non si vede perché non debba essere così anche in musica: l’opinione secondo cui "non esiste musica colta e musica leggera, ma solo musica bella e meno bella" è del tutto falsa, e non si tratta di snobismo intellettuale ma di oggettiva valutazione di differenti livelli di rappresentazione dell’essere umano. E questo con le giovani generazioni si fa un po’ fatica a farlo passare. Anzi, "è tutta Musica" sta diventando sempre più una comoda opinione molto diffusa anche tra intellettuali alla ricerca di facile consenso. F.S. …questione spinosa…confondere l'analisi fenomenologica con l'espressione di un giudizio di valore; è un po’ l'impasse teorica di certa accademia militante... A.S. ...hai ragione...ti faccio un altro esempio, anche a proposito dei miei trascorsi chitarristici di gioventù. Come molti, ho sempre amato Fabrizio De André. Ma in questi giorni si è andati oltre, e nel decennale della scomparsa ho assistito ad una vera e propria santificazione: lo si è definito grande poeta e grande compositore, il che è francamente eccessivo e sostanzialmente falso, e gli si è dedicata un'intera giornata televisiva. Viceversa quando è morto Luciano Berio, riconosciuto in tutto il mondo occidentale come uno dei più grandi compositori della seconda metà del XX secolo, ho sentito solo una breve notizia al TG3, mentre in Francia ad esempio gli sono stati immediatamente dedicati una serie di programmi televisivi. Le cose hanno un peso specifico differente, ma l'informazione dei mass media snatura tutto e non credo ci siano oggi i margini e le condizioni per far passare questo messaggio. una breve notizia al TG3, mentre in Francia ad esempio gli sono stati immediatamente dedicati una serie di programmi televisivi. Le cose hanno un peso specifico differente, ma l'informazione dei mass media snatura tutto e non credo ci siano oggi i margini e le condizioni per far passare questo messaggio. Mi accontenterei della semplice contestualizzazione nelle scuole di cui parlavo prima. F.S. Sono contento di questa digressione, e che questa si sia formata intorno ad un discorso sulla chitarra, strumento che io, contrariamente all'immaginario collettivo o probabilmente proprio perché a fondamento di un immaginario collettivo profondo, ho sempre associato ad un passato ancestrale, all'immagine del monocordo pitagorico e alle prassi rinascimentali. Torniamo quindi ai tuoi lavori e agli Studi, in particolare al secondo, probabilmente il più visionario tra i quattro: lunghe acciaccature eseguite solo con la mano sinistra e con la destra che contribuisce solo ad accentuare alcune note isolate... A.S. …espressione del desiderio di accentuare la natura polifonica e politimbrica della chitarra. L'utopia in questo caso consisteva nel riuscire a fare della mano sinistra un ulteriore appoggio strumentale alla destra che pizzica. L'oggetto di studio nasce da questo: nel voler trasformare la chitarra in uno strumento in cui anche la mano sinistra suona, e con l'idea che questa suoni note rapidissime. Sicuramente in questo senso questo studio è il più polifonico tra tutti, anche perché successivamente emerge una melodia, una linea sopra degli andamenti... F.S. …nel terzo hai fatto una cosa curiosa, hai scordato la chitarra affidando due coppie di terze maggiori alle quattro corde interne, la-do#, lasciando quindi inalterata la coppia sol-si, e un tritono alle corde superiori con il cantino innalzato di un semitono (si-fa) e il mi basso che scende a mib. In sostanza la chitarra appare scordata così: mib - la - do# sol - si - fa. A.S. Era un modo per ottenere arpeggi complessi con diteggiature relativamente semplici. Ottenere risonanze libere che non fossero le quarte dello strumento... F.S. …la parte è scritta in suoni reali… A.S. ...nel rispetto di chi ha orecchio assoluto e fatica a leggere una nota e sentirne un'altra. In questi casi bisognerebbe sempre realizzare una doppia versione, una con i suoni trasposti, l'altra con i suoni reali. Ma scrivere con i suoni trasposti è complicato, perché è necessario dire su che corda si deve suonare ogni nota... bisognerebbe sempre realizzare una doppia versione, una con i suoni trasposti, l'altra con i suoni reali. Ma scrivere con i suoni trasposti è complicato, perché è necessario dire su che corda si deve suonare ogni nota... F.S. …che è quello che hai fatto nello studio successivo quando compaiono i bitones (i suoni oltre tastiera) usando una notazione tipo quella per gli armonici. Indichi simbolicamente il tasto e la corda da premere, e la nota risultante ad altezza reale. A.S. In quest'ultimo studio volevo indagare l'idea quasi coreografica della mano destra che abbraccia la sinistra, con il relativo dialogo di timbri che si instaura... F.S. …timbro affascinante quello dei bitones...l'accordatura qui torna normale, ad eccezione del tritono superiore che rimane. C'è un motivo? A.S. Per non avere il doppio mi, non volevo un'automatica risonanza ottavante all'esterno. La scordatura dà problemi notevoli, come ho constatato anche sugli archi, ma non potevo prescindere in questi studi da una ricerca sui suoni possibili sulla chitarra. Ma non per "essere sperimentale", non mi interessa, in sé, l'essere sperimentale. Mi interessa sperimentare un suono per una figura, per un'idea. F.S. Parlavo prima di virtuosismo ma so che hai dedicato alla chitarra anche una piccola serie di brani, I QUATTRO MARI, dalla scrittura molto semplice… A.S. …per me è molto importante l’esercizio di una scrittura facile senza rinunciare al mio pensiero, che è una delle cose che, almeno nel recente passato, è venuta un po’ a mancare. Un'accusa spesso fatta, forse giustamente, alla musica “contemporanea” è di essere sempre "difficile", di non aver pensato in modo organico a difficoltà progressive e didattiche. La serie degli Jatekok di Kurtag rimane ancora oggi il modello di quello che invece i compositori dovrebbero fare. Scrivere qualcosa che sdrammatizzi molto l'approccio alla letteratura contemporanea, ma senza scrivere in modo banale. Ed in questi brani è un po’ quello che ho cercato di fare. F.S. E veniamo al Concerto per Chitarra e Orchestra… A.S. …gli eventi della vita… F.S. Genesi travagliata? A.S. Diciamo di si. Nel'88 ebbi un colloquio a Santa Cecilia con Francesco Siciliani, mitico direttore artistico, il quale voleva invitare il chitarrista Emanuele Segre. Per l’occasione mi propose la composizione di questo concerto dove io, per lo meno, mi aspettavo un determinato organico, consono allo strumento chitarra. Invece no. Mi è stato in un certo senso imposto l'utilizzo dell'immenso organico totale di quell'orchestra. quell'orchestra. estratto dal Concerto per chitarra e orch.* Ci sarebbe voluto Jimi Hendrix altro che chitarra classica. L'idea invece era quella di un concerto proprio per chitarra e grande orchestra. Accadde che, a 20 giorni dalla prima, ricevetti una telefonata dove mi si diceva che il direttore, il quale aveva avuto a disposizione la partitura da ben otto mesi, ritenuta la musica “difficile”, richiedeva una prova ulteriore, probabilmente con la speranza che non gliela dessero. Gliela diedero. E lui ritelefonò per ribadire che il pezzo era troppo difficile e che non l'avrebbe diretto. Rescisso il contratto con quel direttore, il problema rimaneva quello di sostituirlo, anche perché ci sarebbe stata la diretta radiofonica. A quindici giorni dalla prima si riuscì a trovare un direttore statunitense che accettava la situazione "estrema" ed era ben accetto a Santa Cecilia. Ma accadde l'imprevedibile: nella fretta, la partitura venne spedita ad un indirizzo sbagliato. Ok. A quel punto ho issato bandiera bianca. A causa della "difficoltà" del direttore, saltò sia il concerto sia la diretta RAI. F.S. E' per queste vicissitudini che il Concerto per chitarra ebbe diverse versioni? A.S. In parte. Successivamente per il Festival Pontino realizzai una versione parziale e F.S. E' per queste vicissitudini che il Concerto per chitarra ebbe diverse versioni? A.S. In parte. Successivamente per il Festival Pontino realizzai una versione parziale e cameristica, estrapolando alcuni episodi dalla struttura generale del brano. Nacque così un brano per chitarra e ensemble. Invece poi per l'orchestra Verdi di Milano effettuai una versione forse più sensata, con un’orchestra di organico ridotto e accorciando alcune zone del concerto. La ritengo ad oggi la versione migliore. Malgrado queste vicissitudini mi piacerebbe comunque ascoltare oggi la versione originale, che ho sentito una sola volta, in una situazione un po' "avventurosa", in Romania. F.S. Il rapporto tra chitarra e grande orchestra fa sempre un po’ Davide e Golia. Vorrei chiederti se e come sei riuscito a risolvere questo problema approfondendo dunque la genesi di queste tre differenti versioni del concerto. A.S. La richiesta di Santa Cecilia non era sicuramente molto saggia e la riduzione successiva di organico si rivelò poi una scelta giusta; ma ci fu anche inizialmente un po’ di voglia di sfida, da parte mia. Avevo immaginato una serie di possibili, differenti rapporti tra solista e orchestra, proprio per articolare questa enorme differenza di volume sonoro (si tenga presente che la chitarra era comunque da amplificare, ovviamente). estratto dal Quarto Studio per chitarra* Si andava da zone di orchestra sola, ad altre di orchestra intera, anche con dinamica forte in rapidissima alternanza con la chitarra, ad altre ancora in cui la chitarra veniva estratto dal Quarto Studio per chitarra* Si andava da zone di orchestra sola, ad altre di orchestra intera, anche con dinamica forte in rapidissima alternanza con la chitarra, ad altre ancora in cui la chitarra veniva circondata da situazioni cameristiche molto connotate timbricamente, oppure semplicemente riverberata dall'orchestra, fino a giungere ad un breve frammento di chitarra sola. Il progetto era quindi molto ambizioso e valeva qualche rischio. F.S. …e veniamo quindi alle trascrizioni cameristiche. Chansone d'Aube del 1995 nella versione per flauto e chitarra e quella del 2004 per violino e chitarra. Poi PAPE MOE del 1998 per violino chitarra e fisarmonica e la versione del 2004 per chitarra e fisarmonica. A.S. Chanson d'Aube è la trascrizione di un brano che scrissi in origine per flauto e arpa intitolato DAWN. L’alba è un momento della giornata che io amo molto. Da ragazzino, ad occhi chiusi, riuscivo a capire quale era il momento esatto in cui sorgeva il sole dal disporsi nello spazio del canto degli uccelli. C'era infatti un momento esatto in cui l'addensarsi del canto in fascia giungeva al culmine. Quello era il momento in cui il sole sorgeva. C’è poi almeno un riferimento musicale importante che è l'Aube di Daphnis et Chloé di Ravel. Il brano era dedicato ad un duo che lo eseguì moltissime volte e con buon successo, forse grazie anche a questa curva formale così evidente. Per cui pensai di farne delle trascrizioni. La versione per violino e chitarra è a mio parere la più riuscita. Rispetto al tuo elenco aggiungerei anche un altro brano per chitarra e flauto, edito da Curci, che si intitola UT e di cui sono molto contento. Fu inciso meravigliosamente da Filomena Moretti con il flautista Giuseppe Nova sul cd allegato alla partitura. PAPE MOE, titolo tratto da un meraviglioso quadro di Gauguin e che significa "la sorgente della vita", proviene dai DIECI PEZZI per fisarmonica e trio d'archi del 1995. Quando ebbi l’occasione di scrivere un brano per violino, fisarmonica e chitarra, pensai che alcuni di quei pezzi si prestavano ad una trascrizione. Ma sicuramente migliore è la successiva, ulteriore riduzione d'organico a chitarra e fisarmonica, realizzata per Francesco Gesualdi e Luigi Attademo: senza violino, la "pulizia" timbrica risulta assai maggiore. F.S. Maestro, l'ultimissima domanda, anche a proposito di queste immagini e del potere evocativo dello strumento. La chitarra, così come la fisarmonica, è uno strumento fortemente radicato nell'immaginario “popolare” e tuttavia alla chitarra sono riservate parole e lavori importanti da parte, ad esempio, di compositori del magistero di Petrassi. All’interno di questo continuum di culture, quale è l'immagine sonora che evoca la chitarra classica nel tuo pensiero musicale? A.S. Partiamo dagli immaginari che detesto, proprio per la grande considerazione che nutro per la chitarra: innanzitutto, quello riconducibile al repertorio “spagnolo”, idiomatico e autoreferenziale, e, per evidente debolezza musicale, quello riconducibile all’epoca classico-romantica italiana di Carulli, Giuliani, Legnani. A.S. Partiamo dagli immaginari che detesto, proprio per la grande considerazione che nutro per la chitarra: innanzitutto, quello riconducibile al repertorio “spagnolo”, idiomatico e autoreferenziale, e, per evidente debolezza musicale, quello riconducibile all’epoca classico-romantica italiana di Carulli, Giuliani, Legnani. Si tratta di chitarristi-compositori che produssero lavori veramente deboli e piuttosto banali. Più tardi lo stesso Segovia ebbe gravi responsabilità nel limitare l’immagine della chitarra, preferendo a compositori del calibro di Stravinsky, Bartok o Ravel, che avrebbero arricchito a dismisura il repertorio e il carattere stesso dello strumento, autori ispano-latino-americani spesso marginali. Quando io penso alla chitarra, il mio immaginario sonoro si identifica, come ti dicevo, con quello della polifonia. Riesco a visualizzare la sua polifonia attraverso la tastiera, cosa che ad esempio non riuscirei mai a fare con l'arpa. Il mondo sonoro in me risvegliato è decisamente quello rinascimentale. Complementare a questo vi è in me un affetto per l'evocazione di una radice popolare, dello spirito del popolo e non di una singola identità nazionale. Ad esempio, visto il mio amore per la melodia, penso alla chitarra come ad uno strumento da Serenata, da canto semplice. Il melodizzare accompagnato evoca in me tutto l’immaginario del canto in omaggio, che è la forma-Serenata nella Storia della Musica. La chitarra è uno strumento intimo e dolce, più severo dell'arpa e più lieve del pianoforte. A questo proposito invidio molto il titolo Suoni Notturni di Petrassi. E' il titolo che sognerei di dare io ad un pezzo per chitarra e che per me riassume meravigliosamente tutto ciò che di misterioso e di evocativo si cela intorno alla Serenata. Le dimensioni timbrico/melodiche e polifoniche della chitarra sono ancora molto da esplorare. Ed è quello che vorrei fare in futuro. *Gli estratti delle partiture sono forniti per gentile concessione delle Edizioni SuviniZerboni, Milano