Articoli Invernale 06 12-07-2006 18:17 Pagina 32 AVVENTURE NEL MONDO • AVVENTURE NEL MONDO Turchia Cappadocia, Pasa Bagi Cappadocia invernale Cinque buone ragioni per un viaggio invernale in Turchia La neve La mattina dopo il nostro arrivo a Istanbul la neve e il vento creano mulinelli bianchi attorno ai minareti. Ho la bava alla bocca: io da mesi in Italia scio sulle pietre e oplà, qui è tutto bianco bianco bianco e in movimento. Si posa come polvere densa sulle cupole rotonde. I turchi fanno a palle di neve per la strada, poca gente in giro, anche perchè è domenica e le tempeste di neve domenicali solleciterebbero ore di piumone:e invece no! Usciamo intabarrati,sfidando le intemperie, affondiamo indomiti in questo splendore candido che avvolge e intontisce. E’ suggestivo, sembra di essere dentro quel film che ho visto di recente,Uzak, mi sembra si intitolasse, nel quale c’era la neve a Istanbul e io pensavo che fosse finta, che lì non nevicasse mai… Mi sporgo dal terrazzino del Topkapi per spingere lo sguardo verso il Bosforo, che è una sfumatura di grigio dalla quale emergono navi fantasma avvolte dalla nebbia gelata. Gabry mi guarda con i suoi occhietti piccoli, stretti dal freddo.Attorno alle cupolone e ai minareti della Moschea Blu volano gabbiani di ghiaccio illuminati da luci gialle, nella notte. La città mi appare magica, ancora di più mentre emergo dalle sue interiora umide, dalla grande Cisterna sotterranea,e mi sembra un enorme bellissimo insetto congelato. La poesia Ho sempre pensato che certi posti perdano in fascino quando sono invasi da orde di turisti. Intendo quei turisti caciaroni, intruppati e distruttori di atmosfere. Ecco. Il mese del freddo glaciale da questo punto di vista è uno splendore. Franco il nostro capogruppo cammina sulle mura di Ha32 Testo di Claudia Bertolè Foto di Franco Rolfo tusa_, la capitale ittita. La sua figura è solitaria. Per forza, nel sito ci siamo solo noi e i restanti quattro del gruppo sono un po’ indietro. Hatusa_ prende il mio cuore di mancata archeologa e lo strizza ben bene: dalla porta dei leoni, fiancheggiata dagli enormi massi con musi felini,lo sguardo si perde sulle colline imbiancate. I leoni sono lì per difendere la città dagli spiriti maligni, ma lo spirito più maligno di tutti, il tempo che passa, quello neanche loro sono riusciti a fermarlo.A Yazılıkaya arriviamo al tramonto e ad accogliere i cinque viandanti solitari c’è una processione di divinità con cappelli a cono, scolpite nella pietra. La poesia delle pietre e del silenzio è così intensa: mi giro improvvisamente e ho davanti la biblioteca di Celso a Efeso, drammatica e maestosa nella luce fredda dell’inverno. Una sera a Hürgüp,in Cappadocia.Mi ritrovo a vagare nelle vie deserte e buie del paese.Il freddo punge le mani.Un ragazzo turco mi ha indicato la strada per ….. e io cerco, i negozi stanno chiudendo, qualche passante infreddolito si gira a guardarmi: sarà per il mio piumino bianco, reperto degli anni ’80. Alla fine la trovo, piantata in mezzo ad una strada come per caso. Il vento è gelido e io ho dimenticato i guanti in albergo. Non c’è nessuno in giro. E’ buio e forse mi sono anche allontanata dal centro del paese. Una strana sensazione. Nel cuore freddo della Turchia. Tiro su la cornetta del molto poetico telefono pubblico e chiamo casa. Il vento Non un vento qualsiasi, ma quello che filtra, che gioca attraverso le rocce traforate, le piccionaie, gli archi scolpiti dal vento stesso nella montagna. In Cappadocia è tutto roccia, pizzi di roccia, merletti di roccia, forme improbabili. E’ sibilo di vento che passa attraverso buchi o sotto volte inventate da uomini in fuga. Lo senti che vortica attorno ai “camini delle fate”, che si innalzano da campi innevati e pieni di arbusti da paesaggio neorealista; filtra fin giù nelle città sotterranee, come Derinkuyu; percorre veloce la valle di Ihlara,gola innevata sulle cui pareti sono incastonate chiesette rupestri piene di dipinti. A Zelve entra il solito quintetto con l’aggiunta di qualche cane del posto, che ci trotterella dietro, contento di incontrare altre forme di vita.Zelve è un incrocio di valli nelle cui rocce scavate come alveari vivevano comunità. E’ un insediamento antico, anche se gli ultimi abitanti sono stati evacuati negli anni ’50, perché le pareti di roccia non sono stabili, hanno cominciato a franare in certi punti.Adesso il vento la fa da padrone, tra le aperture ad altezze improbabili, sui gradini che vanno verso sale crollate. Lo sento che sibila, maligno, sferzando la fragilità della terra. Entriamo in una delle valli, procediamo nella neve, seguiti dai cani di Zelve. Non è un luogo reale, sembra più un set per fumetti cyber. Forse i cani sono esseri dell’iperspazio che a breve ingaggeranno con noi cinque umanoidi una guerra di mondi, forse il vento è causato da qualche gigantesca astronave che sta decollando proprio dietro le rocce bucherellate, forse, siccome sono l’ultima della fila, verrò attaccata per prima da qualche alieno robotico che cercherò di soffocare con il mio piumino anni ’80, forse la grande sala scolpita era un bar per androidi e Luke Skywalker nella sua tunichina candida si fionderà fuori da qualche grotta e verrà a salvarci, forse. Sulla via del ritorno mi volto indietro e il vento freddo mi colpisce in volto. Le rocce sono mute. Uno dei cani alza il muso per un attimo e poi riprende la strada,giù per la valle deserta. Il vapore Provate. Provate a uscire da un mondo bianco di neve, freddo, pure divertente, ma comunque gelato, ed entrare in una nuvola calda, che vi avvolge con una miriade di minuscole accoglienti manine di vapore,che vi prendono,pacioccano, accarezzano, riscaldano… Ecco. Il bagno turco. Hammam. Sono sicura che d’estate si perde il meglio di questo passaggio tra mondi. L’hammam in questione è a Istanbul, il Çemberlita_ Hamami.Entriamo un po’ guardinghi,noi occidentali poco (se non per niente) usi al meccanismo ristoratore… Silvia ed io veniamo divise dal resto del gruppetto e convogliate nel settore femminile: ci accolgono donnone un po’ rudi che parlano solo turco. Bene.A gesti intuiamo di doverci liberare delle inutili vesti e di dover entrare in una sala: lì il vapore ci abbraccia come una mamma.Al centro della sala circolare, che ha un soffitto traforato da cui entra la luce e nicchie d’attorno per lavarsi, c’è una piattaforma di marmo sulla quale è riversa carne umana di ogni genere. Che fare: ci stendiamo anche noi. La mia pressione, già bassa, precipita nel vuoto. Moschea Blu, Istanbul Articoli Invernale 06 12-07-2006 18:18 Pagina 33 AVVENTURE NEL MONDO • AVVENTURE NEL MONDO Ad un certo punto la scena si trasforma in un film di Fellini:entrano le donnone incontrate all’ingresso.Non so se sono le visioni della pressione bassa, ma le signore cantano e hanno forme tipo la tabaccaia di Amarcord che ondeggiano festose sulla faccia delle clienti da trattare. Ma molto bene. Mi volto verso Silvia che è stata arpionata da una massaggiatrice. La perdo di vista, perché subito dopo una faccina mi sorride e due braccia robuste fanno di me carne inutilizzabile sbattuta sul marmo… Quando hanno finito sono una donna nuova, la mia periartrite intona famose canzonette, la mia pelle è come quella di un neonato. Ci ritroviamo con il resto del gruppo parte maschile nella specie di hall del bagno.Tutti caldi e contenti come pasque. Fantastico. Uscendo anche la neve ci fa un baffo. Stesso indescrivibile godimento nella piscina calda di Pamukkale,costruita sopra una sorgente termale,all’interno del nostro albergo. Fuori c’è la notte turca gelida e noi sguazziamo attorno ad una specie di pietra arancione su cui scorre l’acqua bollente. Ci metto i piedi sopra e vaneggio, mentre i due Franco (ebbene sì, in un gruppo di cinque ce n’erano due…) scompaiono come fantasmi nel vapore caldo insieme ai pochissimi altri ospiti tedeschi. L’aria gelida delle gonne dei dervisci Silvia parla dei dervisci con aria sognante e io sogno con lei, perché anche se i dervisci di oggi non sono più quelli di una volta, il fascino è indubbio. A Konya c’è il museo di Mevlâna, quello che disse tra le altre cose “Vieni, ritorna, chiunque tu sia… La nostra non è la porta della disperazione e del tormento, vieni”. Mi piace. Vago scalza e con una sciarpa in testa nel mausoleo, dove troneggiano la tomba di Mevlana e di suo figlio, fondatore dei dervisci danzanti. E’ un luogo suggestivo. Una sera andiamo in un antico caravanserraglio ristrutturato a vederli danzare. Il posto è freddo, ovviamente. Siamo seduti proprio a ridosso della zona in cui dovrebbero danzare e così quando entrano, con i cappelli di feltro a forma di cono e i mantelli neri sopra le vesti bianche,li abbiamo vicinissimi, davanti a noi. Quando si tolgono il mantello ci investe una profumo di fiori.Poi inizia la danza,prima lenta, poi sempre più incalzante e dalle gonne bianche che roteano sale una brezza fresca e profumata. Hanno una mano rivolta verso il cielo e una verso il basso e la testa reclinata. Un gruppo di uomini che rotea facendo alzare splendide gonne candide.Un po’ inquietante ed esteticamente un piacere per gli occhi. E senza dubbio è così bello pensare alla profonda concentrazione,alla trance che si raggiunge nel roteare. Lo trovo un movimento gioioso e confortante. Cinque ragioni per cinque cavalieri, sicuramente degni dei gioielli offerti dal Febbraio di ghiaccio… Ce ne sarebbero tante altre di ragioni per andare in Turchia, in qualsiasi stagione. E’ certo però che il freddo evidenzia,non distrae,ti fa stringere nella giacca a pensare e certe stelle nel cielo invernale hanno una luce più splendente. Cappadocia, il gruppo a Uchisar Iran Yazd,Amir Chakhmagh Nel cuore Islam dell’ Un’esaltante scoperta del passato e del presente Testo di Patrizia Fabbri Foto di Antonio Venturini cchi grandi e neri, spalancati da ilare stupore, la piccola mano che cerca di mascherare il sorriso sbarazzino e, dopo un rapido parlottare, lo scoppio dei:“Where are you from?”,“How are you?”,“What’s your name?”.Al di là dei paesaggi stupefacenti, delle moschee sfavillanti, dei villaggi misteriosi, l’immagine dell’Iran che giunge diretta al cuore è quella di ragazzine curiose, e per niente intimorite, che ti circondano e riempiono lo spazio intorno a te di domande.Avvolte in tetri chador neri che annullano i loro corpi o con il solo capo coperto da colorati foulard, le adolescenti iraniane manifestano una tale immediata, spontanea e gioiosa curiosità per il nostro gruppo che l’immagine cupa e terribile di un Iran rinchiuso in se stesso e nemico dell’Occidente svolazza rapidamente via al primo contatto con queste ventate di allegria. O La partenza Mancano pochi giorni alla data del volo e dal sito di Avventure rimbalza sul video del mio computer il poco confortante n.2 sulla riga dei partecipanti iscritti al viaggio Tesori di Persia. Solo io e Antonio, dunque, e, quindi, pochissime probabilità di raggiungere la meta.Poi,nel giro di poche ore, la situazione si sblocca: prima quattro, poi cinque e,infine,la comparsa del nome del coordinatore.Una settimana prima della partenza,la conferma:andremo in Iran. All’aeroporto di Linate troviamo Rosi,la capogruppo,Marisa e Giuseppe, una coppia di Alessandria, per congiungerci, a Roma, con Cristina e partire, con qualche ora di ritardo, alla volta di Teheran. L’ho letto in quasi tutti gli articoli sull’Iran post rivoluzione islamica, ma la trasformazione che, durante il volo, avviene nelle passeggere non può lasciare indifferenti:partite da Fiu- micino con i capelli sciolti, i jeans attillati, le gonne leggere e trasparenti, le scollature generose, le donne iraniane (il volo è composto quasi interamente da iraniani che rientrano a casa per le vacanze) si calano gradatamente nei panni della legge islamica. Spariscono le minigonne, compaiono informi camicioni,calze nere vengono indossate per nascondere le unghie dipinte, sui visi il trucco si attenua e quando l’aereo tocca il suolo della Repubblica Islamica dell’Iran anche i capelli (compresi i nostri) vengono occultati dai foulard. Il primo impatto con la capitale, sebbene chiusi nel pulmino che ci conduce in albergo, è una sorpresa, la prima delle tante che caratterizzeranno questo viaggio. Le guide raccomandano di portarsi libri da leggere perché la sera le città si svuotano e non è pensabile uscire dall’albergo.Arriviamo che è già buio e ci prepariamo a un noioso trasferimento in hotel. E invece. L’aeroporto è vicinissimo alla città e ben presto ci troviamo immersi in un girandola di luci: insegne luminose pubblicizzano ogni genere di prodotto, ghirlande di palloncini colorati tracciano i contorni degli edifici,improbabili palme arancioni e verdi si accendono a intermittenza e illuminazioni multicolore simulano fuochi artificiali. Le strade sono popolate di gente e nelle aiuole spartitraffico (niente a che vedere con le spelacchiate macchie milanesi, ma praticelli verdi con fiori, alberi e arbusti perfettamente curati), intere famiglie, ragazzi e… ragazze stanno tranquillamente sdraiati a chiacchierare, godendosi le ultime ore prima della notte. Siamo stanchi e, dopo una rapida cena in albergo, andiamo a dormire anche se Marisa, la cui energia non finirà di stupirci per tutto il viaggio, si adegua a malincuore a chiudersi in camera senza avere almeno “annusato” questa prima notte in Iran. 33