un-anno-di-conversario-inquieto-novembre-2004-2005

Gabriele Maestri (Gamma 83)
Edito in proprio
Premessa (d’obbligo)
Il primo post di Conversario inquieto è datato 14 novembre 2004, ma l’idea del blog nacque due settimane
prima. A spingermi a tentare l’impresa nella Rete fu l’amico Matteo Artoni, che qualche giorno prima aveva
aperto il suo piccolo spazio resistente, dietro il nome di DrMuppet.
Posto strano un blog, a partire dal nome e dalla sua etimologia (pare sia la crasi di web log, «diario di bordo
sulla Rete»); si racconta di sé o di fatti ritenuti interessanti, un po’ come in un diario, rivolgendosi a lettori in
gran parte sconosciuti. Difficile sapere se i visitatori occasionali sono in sintonia con chi scrive o
appartengono ad altri mondi; ogni tanto capita che qualcuno si incuriosisca, legga, magari lasci un
commento e decida di tornare.
Accolsi l’invito di Matteo come una sfida: abituato alle colonne del mio quotidiano di provincia, scrivere senza
una redazione che predeterminasse il contenuto o il “taglio” dei miei pezzi mi attirava. Inizialmente speravo
solo di divertirmi; non avrei certo creduto di superare i 7500 contatti (vabbè, un centinaio sono miei, ma non
di più). Col passare del tempo ho cercato di personalizzare sempre di più il mio spazio, in particolare con una
testata che mi rappresentasse. I volti di Guccini, Fabrizio De André e Giorgio Gaber, uno dei dischi più belli di
Battiato (artista citato anche nel sottotitolo del blog, con la magica espressione «l’alba dentro l’imbrunire»)
sono uno specchio piuttosto fedele dei miei interessi musicali: di me parlano anche la bandiera della pace
(ideale da perseguire sempre), la foto di Montanelli in Ungheria (un omaggio ad un Grande Italiano e ad un
grande giornalista), il logo del Pranzo è servito (come trasmissione e come simbolo della tv) ed il volto
impresso nella Sindone (rappresenta intensamente Colui in cui credo).
In questi 12 mesi ho cercato di raccontare molte cose parlando di me (o forse viceversa): ho avuto alcune
opportunità importanti, specie in campo musicale (su tutte, le interviste con Franco Zanetti e Michele Bovi)
ed ho dato voce ad esperienze che hanno lasciato un segno dentro di me.
Mi resta da aggiungere un augurio di buona lettura a chi si addentrerà in queste pagine per la prima volta e
a chi vorrà ritrovare righe già scorse nelle settimane precedenti. Il blog è ancora sulla Rete, per essere
«conversarlo inquieto» che accoglie tutti coloro che, per caso o per scelta, vi si imbattono.
Gabriele Maestri (Gamma83)
Desidero ringraziare tutti coloro che, in questo anno di vita del sito, sono intervenuti anche solo una volta o
hanno semplicemente varcato l’ingresso della mia home page: non mi è stato possibile inserire qui i
commenti ai singoli articoli (e me ne scuso), ma gli interventi sono ancora consultabili nelle pagine del blog.
Un ringraziamento però è dovuto a chi ha contribuito più di altri alla vitalità del mio spazio: a Botta, al
fratellone Gelmo e a DrMuppet che hanno contribuito direttamente alla redazione del sito; a Flavia (la
prima ad avere scoperto la mia piccola isola), Farewelll, Pulvigiu (anche per la lirica sull’11/9) e Giossi
per la loro presenza frequente; a chi si è fatto intervistare da me, con un’attestazione notevole di fiducia
(spero ben riposta); infine un grazie anche a Bloggers.it che fornisce il servizio (ed anche i tecnici pazienti
che ho interpellato per risolvere alcuni problemi).
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Novembre 2004
Generale
14/11/2004
PER COMINCIARE...
Autore: Gamma83
Inizia qui un'avventura per me nuova; mi auguro che possa essere un'occasione di crescita e di scambio.
Sono qui per imparare da chi legge e da chi commenta. A voi la penna (o meglio, la tastiera del computer):
lasciate la vostra traccia e sarà come conversare per davvero.
GAMMA
15/11/2004
PAGINE DA SFOGLIARE
Autore: Gamma83
Fa sempre piacere trovare qualcosa che si è inseguito a lungo. Meglio ancora se il "ritrovamento" è inatteso.
Oggi sono andato in biblioteca, con la sola intenzione di restituire due cd presi a prestito; appoggiati i due
dischi sul banco del ricevimento, ho adocchiato il cestone dei libri "in offerta", donati da chi si è stancato di
loro. In pochi secondi ho intravisto un autore familiare ed ho sperato che il libro fosse quello da tempo
cercato: sono stato davvero fortunato.
Consiglio a tutti La casa dei cento Natali di Maria Fida Moro; da anni è pressoché introvabile, più o meno
da quando ho preso a cercarlo. In un periodo in cui la tv pretende di dirci tutto sui politici, ma non sappiamo
nulla sugli "uomini", sulle "persone" (eccezion fatta per chi ha tanti denari e può permettersi di confezionare
una pubblicazione sulla sua storia personale, di riempirla con ciò che vuole e di mandarla a milioni di
italiani), è bello scoprire che c'è stato un tempo in cui c'era spazio per momenti "privati", da non dare in
pasto allo spettacolo. Una tenerezza ai figli, un dialogo sereno con la moglie dopo una dura giornata a
Palazzo sembrano scene vecchie di ere geologiche: pagine di vita normale cui non siamo più abituati.
«Ho sempre pensato alla mia casa come a un rifugio sicuro e lieto - dice all'inizio la figlia primogenita di
Moro - tanto lieto che sembrava che lì fosse molto spesso Natale». A pensarci bene, anche questa frase
forse non ci appartiene più. E non è una bella notizia.
16/11/2004
RIFLESSIONI CON UNA FORCHETTA IN MANO
Autore: Gamma83
Riassunto della giornata di oggi: lezione dalle 8:15 (sveglia poco dopo le 5!) alle 17:30, materie non
particolarmente leggere, una notizia personale tutt'altro che edificante (nessuna speranza di lasciare il
mondo dei singles, almeno per i prossimi mesi) ed un treno acchiappato all'ultimo minuto.
Sono giorni come questi che ti lasciano completamente sfinito, anche se poi ti ricordi che molte persone
stanno peggio di te e forse non è il caso che ti lamenti.
Sceso dall'automobile decisamente stanco, ho avuto appena la forza di sedermi sul divano, ma purtroppo
quasi di riflesso ho afferrato il telecomando. Avrei fatto decisamente meglio a non accendere il televisore: è
poco salutare passare, in un minuto, da un quiz con contorno di vallette miste a un reality show su un'isola
sperduta, da un telegiornale-farsa ad un altro giochino con stacchetti e canzoncine. La stanchezza che hai
addosso ti può persino costringere a non cambiare canale.
Il rito della cena potrebbe essere un momento tranquillo (almeno finché non suona il telefono, rompendo la
pace): un'occasione insolita per fermarsi almeno qualche minuto a pensare a sé, alle assurdità o alle cose
sensate dette durante la giornata, alle emozioni di ieri e di domani. Meglio se si ha accanto qualcuno, con cui
condividere tutto ciò. A patto di non tenere il volume della tv troppo alto: è inaccettabile che i presenzialisti
di turno si prendano anche l'ultimo spazio tranquillo prima del sonno.
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17/11/2004
CONSIGLIO PER IL RELAX: SWINGIN'
Autore: Gamma83
Cerco di rilassarmi alcuni minuti, prima di andare a dormire dopo un'altra giornata da massacro: non c'è
nulla di meglio di un po' di buona musica per rimettersi in sesto.
Non credo di dovermi vergognare se il sottoscritto, 21 anni, ha acquistato pochi giorni fa l'ultimo (atteso)
disco di Giorgio Guidi, in arte Johnny Dorelli, 66 anni ed in questo momento lo sta apprezzando appieno.
Quella di Dorelli è una voce calda come poche, che rende speciale qualunque cosa canti (anche brani ironici
come Arriva la bomba). Questo disco è particolarmente belloper due ragioni: perché arriva dopo 15 anni
dall'ultimo dell'artista e perché lo swing si addice decisamente al cantante. Il 2004 è forse l'anno fortunato
per questo genere (vedi il fenomeno Bublé) ed è più che giusto il ritorno di Johnny, che accanto a classici
come My funny Valentine e Fly me to the moon infila anche una versione dell'Immensità da antologia.
Ecco come fare buona musica. Senza gridare.
18/11/2004
UNA VOCE SUL PALCOSCENICO
Autore: Gamma83
La musica mi è sempre piaciuta, ma più della musica ho sempre badato al testo: se le parole non mi sono
chiare dal principio faccio fatica ad ascoltare. Dev'essere questo il motivo per cui non sono mai riuscito ad
apprezzare davvero la musica straniera (pure se "mastico" l'inglese) e, per altri versi, la lirica. Eppure il bello
sa farsi riconoscere. Sono da poco tornato dall'apertura della stagione teatrale di Guastalla, la mia città: sul
palco Rossella Falk fino a pochi minuti fa era Maria Callas e dell'artista ha incarnato l'anima e il pensiero.
Vissi d'arte, vissi d'amore si intitolava lo spettacolo, e davvero quel titolo sembra un ritratto della Callas
(anche per chi, come me, l'ha conosciuta meglio solo questa sera). Le registrazioni della cantante, i ricordi
(spesso dolorosi) della sua vita sono diventati un racconto avvincente, una storia che la bella voce di
Rossella Falk ha caricato di atmosfera.
Una cosa ho gradito soprattutto: che la Falk, a fine spettacolo, abbia voluto offrire un ricordo personale
dell'artista (l'ultimo incontro è avvenuto a Parigi, pochi giorni prima della morte della Callas). Troppo spesso
gli attori prendono gli applausi (magari meritati) e se ne vanno, come se la storia che hanno appena
raccontato non li riguardasse. Qualcuno dice che dei ricordi si dovrebbe essere gelosi: forse è vero, ma chi
riesce a metterli in comune e a renderli vivi per tutti merita un plauso. Uno in più di altri, per lo meno.
21/11/2004
SLOWFOOD IN OSTERIA (OVVERO: NON FATEVI ROVINARE IL MOMENTO DEL PRANZO)
Autore: Gamma83
Fa piacere riscoprire i sapori di una volta (soprattutto se, in effetti, non li hai mai conosciuti per davvero
perché «una volta» non c'eri); meglio ancora se questo succede in un luogo particolare. Oggi è stata riaperta
l'osteria "storica" della mia città, la Fratellanza. Sembra che fosse attiva già nel 1874 (quindi 130 anni fa
esatti) e che anche Garibaldi vi abbia messo piede. Per tanto tempo è stata solo una delle osterie di
Guastalla, poi è diventata l'unica osteria della città, ma nel 2000 aveva dovuto chiudere i battenti.
I vecchi frequentatori non si erano arresi all'idea che fosse chiusa; e non si erano arresi nemmeno il
proprietario dell'immobile ed un ristoratore guastallese. La loro caparbietà oggi è stata premiata: la
Fratellanza è ancora lì, ad accogliere cittadini e turisti (è appena iniziata la nostra fiera) che cercano i piatti
tipici del luogo: cose semplici e genuine, saporite e poco elaborate. Tutto il contrario di quello che si serve
nei pub, i nuovi luoghi "di aggregazione".
Certo che discutere di qualunque cosa, dalla crisi di governo alla questione di lavoro, davanti ad una tazza
fumante di cappelletti o ad una porzione di trippe è tutta un'altra cosa: si parla più volentieri, ci si alza da
tavola con la pancia piena (d'accordo, nel caso delle trippe troppo piena), e si è certi di aver mangiato bene
(da certi ristoranti si esce completamente vuoti, e non solo nel portafogli) e in tranquillità. Niente musica
TUNZ-TUNZ che sfascia i timpani, niente liste o menù chilometrici che trasformano la scelta in imbarazzo,
niente camerieri assillanti che fulminano con occhi di bragia chi osa dire «Non prendo niente» o non
risponde entro quattro secondi.
Ogni tanto non fa male prendersi una vera pausa all'ora dei pasti. Ecco perché spero che la Fratellanza (o
qualunque altro posto simile) sia sempre piena di gente.
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Generale
26/11/2004
"DEAD OR ALIVE", IL FAR WEST ITALIANO ALL'ORA DI CENA
Autore: Gamma83
Dopo una giornata passata tra università, pullman ed articoli di giornale, cerco di rilassarmi qualche minuto
seduto a tavola, anche perché una febbriciattola e un po' di mal di testa hanno cambiato i miei programmi
serali (in questo momento avrei dovuto essere in piscina). Accendo la televisione e mi sintonizzo sul
telegiornale: alla seconda notizia comincio ad inveire contro il teleschermo.
Cos'è successo? Semplicemente un Ministro della Repubblica ha avuto la brillante idea di istituire una
«taglia» per beneficiare chi avesse aiutato a catturare l'assassino di un militante del suo partito «perché
nessuno può permettersi di toccare un padano». Non pago della mostruosità appena pronunciata, questo
Ministro (secondo la grammatica merita la maiuscola, secondo me no) ha precisato che avrebbe voluto
«qualcosa del tipo "vivo o morto"», ma qualcuno (un fanatico del garantismo, suppongo) deve avergli
ricordato che questo in Italia non è possibile, vai a sapere perché.
Tutti gli italiani che quest'oggi hanno seguito un notiziario hanno così saputo che il Bel Paese è ufficialmente
diventato un Far West, dove una carica dello Stato offre 25 mila euro (domandina: da dove verranno? Dagli
annunciati tagli alla spesa?) per ottenere un comportamento che dovrebbe essere automatico (una volta si
chiamava "dovere civico") e spinge, con malcelato orgoglio, i cittadini a farsi giustizia da sé: un'ottima
concezione della giustizia, non c'è che dire. Una concezione affine a quella di un altro Ministro che alla
Giustizia (questa sì, con la maiuscola) dovrebbe sovrintendere e che, invece, pensa di evitare personali crisi
di coscienza bloccando una decisione del Presidente della Repubblica che persino membri dell'attuale
maggioranza hanno definito «un atto di misericordia».
Qualcuno, per giustificare un "no" alla grazia a Bompressi, ha ricordato con insistenza: «Chi ha sbagliato
deve pagare». Giusto, ma è giusto anche avere considerazione di chi in carcere c'è stato e lì si è anche
ammalato gravemente (una pena espiata in modo "alternativo"). Eppoi la regola vale per tutti: perché
nessuno (di quelli che contano) ha ancora consigliato al ministro di lasciare il suo scranno, dopo la sua
atroce affermazione? Qualcuno me lo spieghi, per favore: non ho troppa fretta.
28/11/2004
LA PRIMA STORIA... DIETRO LE SBARRE
Autore: Gamma83
Inizia qui la sezione "Storie": con il racconto della mia esperienza di sabato in carcere a Lodi. Una giornata
in cui ho imparato da tutti e che valeva la pena di trascorrere così.
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Dicembre 2004
10/12/2004
NOTE, GOBBI E COMPAGNIA BELLA (SI FA PER DIRE...)
Autore: Gamma83
Decido di prendermi una pausa di qualche minuto dallo studio di Diritto Amministrativo (per l'esame di
lunedì: ecco la spiegazione della mia assenza dal blog) in un modo che – l'ho già detto – potrebbe essere
poco sano: accendendo il televisore. Mi arrivano le note del Ragazzo della via Gluck e mi sovviene che Rai
Uno stasera avrebbe programmato una nuova puntata di «50 canzonissime», tutta dedicata al festival di
Sanremo.
Essendo io estimatore della musica italiana (traduci: quando sono al piano o alla chitarra strazio con pezzi
nostrani le orecchie degli amici che preferiscono il rock o il metal), ho deciso di non cambiare canale,
affidandomi alla cognizione ed al gusto degli autori del programma. Il fatto che il classico di Celentano fosse
interpretato da Gigi D'Alessio avrebbe dovuto mettermi in allarme: anche nelle altre edizioni del format
alcuni artisti ed alcune canzoni erano state per lo meno discutibili. Ma tant'è, sono rimasto. Ho resistito, lo
confesso, venti minuti: non di più.
Prima riflessione: cosa succederebbe alla tv italiana se, all'improvviso, abolissero i "gobbi"? Sono proprio
loro, i rammentatori dei testi (un tempo erano rulli o cartelli di carta, adesso sono maxi-schermi), i
protagonisti di tutti i programmi. Dai telegiornali al varietà, sembra che non se ne possa più fare a meno e,
se le telecamere li riprendono, nessuno si scandalizza. Posso capire che il conduttore abbia bisogno di
ricordare molte informazioni, ma penso che Carlo Conti non perderebbe in professionalità se ricuperasse la
cara, vecchia cartellina: non dà fastidio a nessuno. Che dire però dei testi delle canzoni, scritti a caratteri
cubitali a beneficio di chi li canta da anni e, magari, non canta che quel brano?
Ecco il secondo problema: dei settanta brani messi in gioco dagli autori, alcuni sono pietre miliari della
nostra musica leggera, ma di altri si poteva (o si doveva) fare a meno. Non c'è da stupirsi, poi, se il pubblico
nazionalpopolare premia Mino Reitano (Italia) o Bella da morire degli Homo Sapiens, noti quasi soltanto
per quella canzone eppure anche loro gobbo-dipendenti. Quanto agli interpreti (tutti ben supportati dal
maestro De Amicis e dall'orchestra), mi ha fatto piacere risentire voci poco valorizzate, quali Paolo Vallesi,
Gigi Finizio, Aleandro Baldi o Francesca Alotta (peccato però aver cercato il rilancio con Music farm...);
l'archivio della manifestazione ha giustamente dato spazio a chi ci sa fare, come Gigliola Cinguetti o Don
Backy (stesso discorso fatto per la Alotta: che errore la Talpa !). Qualcuno però mi spieghi il senso di altre
presenze: Anna Tatangelo, che infila un sospiro ad ogni fine verso (a parte questo, non sarebbe male); i
Collage, che hanno forse lo stesso pubblico degli Homo Sapiens; Michele Scommegna, alias Nicola di Bari,
che sa ancora il fatto suo, ma è apparso in video come se l'avessero prelevato da ere geologiche addietro
(mortificando la sua professionalità, peraltro: ho la netta impressione che Il cuore è uno zingaro fosse in
playback...).
Mi fermo qui, anche perché mi rendo conto che è tardissimo. Peraltro, urge una confessione pubblica: ho
appena finito di canticchiare, quasi in fila, Donne, L'uomo volante, Io che non vivo, Ancora. La musica è
musica, un bel pezzo colpisce sempre, anche se l'interpretazione non è l'ideale; adesso, però, non venitemi a
dire che Italia merita più di E se domani...
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21/12/2004
DUE O TRE COSE SU GESÙ BAMBINO
Autore: Gamma83
Dopo una settimana estenuante, trascorsa tra i due esami (che peraltro sono andati bene) ed un concerto
sabato sera, posso finalmente tornare a giornate più tranquille. A chi fosse nella mia condizione suggerisco
un libro adatto al periodo natalizio. Si tratta di Ipotesi su Gesù Bambino, è stato scritto da Andrea Tornielli
e può incontrare l'interesse dei credenti, come pure dei semplici curiosi (sia pure cum grano salis).
L'autore, da giornalista quale è, analizza la figura di Gesù (nome, peraltro, molto diffuso in Palestina)
ponendosi alcune domande fondamentali, interrogandosi per prima cosa sull'esistenza storica del Cristo;
successivamente passa in rassegna la famiglia di Gesù, mettendone in luce vari aspetti interessanti (dalla
professione del padre agli antenati "poco presentabili"). Si ricorda con cura anche la già nota questione
dell'anno di nascita di Cristo, assieme agli altri particolari della nascita, come la "stella" o il luogo preciso
della nascita (capanna, grotta o casa?) Tutti gli aspetti delle prime vicende di Cristo sono trattati in modo
chiaro con varie citazioni ai testi (canonici, apocrifi ed esegetici) e vengono riportate e varie opinioni di chi,
nel tempo, si è occupato di questi argomenti.
Il mio giudizio sull'opera è estremamente positivo, il costo del volume è pienamente accessibile (Euro 6,90).
Mi spiace soltanto che il libro sia venduto in abbinamento con il Giornale, testata che non incontra affatto i
miei favori e di cui Tornielli è vaticanista: il testo avrebbe meritato una distribuzione autonoma, non credo
che le vendite ne avrebbero risentito. Certo, il non gradimento è un problema mio, ma do volentieri atto
all'autore della sua perizia nel trattare l'argomento ed ai responsabili editoriali della buona scelta del
"panino" (lo stesso devo dire per le iniziative di Biblioteca storica, specie l'ultima serie). In ogni caso, ai
lettori che si avventurano su queste righe consiglio di concentrarsi sul libro e di lasciare al suo destino il
quotidiano: naturalmente ognuno si regoli come meglio crede.
23/12/2004
AUGURI AL CAPO E... UN CONSIGLIO
Autore: Gamma83
Si aggiunge un altro capitolo alla sezione Storie: stavolta per salutare il mio caposervizio che sta per
approdare a La7: qualcosa su di lui e su di me.
A chi non trova modi migliori per impiegare il proprio tempo domenicale (pranzi interminabili con
parenti/amici/colleghi, pulizie straordinarie /o altro), suggerisco di recarsi nella chiesa guastallese di San
Rocco alle ore 17 e 30: il coro "Voci di giubilo" si esibirà in un concerto natalizio. Tra i musicisti (ahivoi)
anche il sottoscritto, che avrà l'ardire di proporsi alla tastiera.
Questo il programma del concerto:
Prima parte: Verbum panis (Casacci-Balduzzi), Ave Maria (Gounod), La mia anima canta (Gen Verde), Lo
frate sole (A. Ruggiero), Io vedo il Re (RnS), Voglio stare accanto a Te (RnS), Adeste fideles (trad.), Io
scelgo Te (RnS), Con gioia veniamo a Te (RnS).
Seconda parte: Kyrie (A. Ruggiero), Astro del ciel (trad.), In dulci jubilo (trad.), Hail Holy Queen (da Sister
Act), Hallelujah (L.Cohen e J. Buckley), I will follow Him (da Sister Act), E sia la pace (RnS), O happy day
(trad.)
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Gennaio 2005
01/01/2005
NUOVI AUSPICI E PESSIME CONCLUSIONI
Autore: Gamma83
Apro il nuovo post auspicando per tutti i visitatori un buon 2005 (ma basterebbe che fosse migliore dell'anno
appena passato), in cui chiunque possa trovare serenità, gioia e soddisfazione. Ne abbiamo bisogno tutti e
ne ha bisogno il nostro paese; a questo proposito, nella nuova storia, ecco un tot di riflessioni su una
vergognosa conferenza stampa di fine anno.
11/01/2005
FABER, SEI ANNI DOPO
Autore: Gamma83
Sei anni fa Fabrizio De André lasciava il nostro mondo per raggiungerne un altro, diverso. Non so dove sia
in questo momento, se stia suonando e cantando nel coro dei Cieli o infilando un altro dei suoi innumerevoli
belìn detti in vita, per dirci che non è il caso di parlare di nuovo di lui.
Certo è che Faber ci manca: vorremmo ancora le sue canzoni, il suo essere scontroso, disponibile e
comprensivo allo stesso tempo; ci piacerebbe ascoltare nuove storie, di nuvole, di persone, di santi
senz'aureola o di «servi disobbedienti alle leggi del branco» (Smisurata preghiera). Ciò non è possibile e,
almeno per qualche minuto, ci chiudiamo nel ricordo.
Sono personalmente grato a chi continua a parlarci di Fabrizio in tanti modi: con libri, dediche, interviste, tesi
di laurea. È un modo (molto umano ed "artigianale", forse, ma efficace) di sentirlo ancora al nostro fianco, a
ricordarci che esistono «figli, vittime di questo mondo» (La città vecchia), amici fragili (tra cui lui stesso) ed
altre persone che non vediamo o non vogliamo vedere.
A chi vuole conoscere meglio questo personaggio, mi permetto di consigliare due libri, diversi tra loro (senza
nulla togliere alle biografie, in particolare Amico fragile a cura di Cesare Romana e Non per un dio ma
nemmeno per gioco. Vita di Fabrizio De André di Luigi Viva). Il primo è Uomini e donne di Fabrizio De André
(Fratelli Frilli editore): l'autore, Alfredo Franchini, pone l'accento sui "simili" di Fabrizio, sui protagonisti
delle storie del cantante; non mancano ricordi di chi lo ha incontrato e cenni a varie esperienza vissute da
Faber. Vivido e bello da sfogliare.
L'ultimo è Il Vangelo secondo De André, scritto da Paolo Ghezzi (direttore del quotidiano L'Adige) ed edito
da Ancora: analizza in modo ragionato e completo il rapporto tra Fabrizio e il "sacro", con uno sguardo alle
figure che emergono dai testi delle canzoni, alle altre parole di Faber ed alla considerazione, tutta
particolare, che questi provava per quella «entità superiore» che qualcuno chiama Dio. Il volume si può
leggere d'un fiato o a pezzi (come un dizionario): vi si possono trovare, che si sia credenti o meno, spunti
per riflettere su Faber, su di Lui e (perché no) su di noi.
21/01/2005
ABBIAMO BISOGNO DI EROI?
Autore: Gamma83
Mi dispiace che l'Italia, oggi, debba aggiungere una croce al numero dei soldati (prima ancora, delle
persone) morti lontano da casa: una croce che ha un nome (Simone Cola), un volto, una storia (anche se
non mi leggeranno mai, esprimo tutto il mio cordoglio alla famiglia di Cola, che attendeva qualche settimana
per riabbracciarlo). Mi dispiace ancora di più di aver sentito di nuovo quella parola, in bocca ad una persona
della famiglia: eroe.
Il fratello della vittima merita profondo rispetto, innanzitutto da parte mia; mi duole, però, cha abbia
pronunciato quella maledetta parola. «Infelice la terra che ha bisogno di eroi»: non mi stancherò mai di
ripetere questa frase, che Bertold Brecht fa dire a Galileo, dopo la sua condanna.
Non credo di infangare la memoria di nessuno dicendo che chi cade in guerra è certamente vittima, ma mai
eroe: ce lo hanno fatto credere per anni, quasi volendo dire che «la guerra è bella anche se fa male»
(prendendo a prestito le parole di Francesco De Gregori); chi dalla guerra non torna è degno del ricordo,
delle preghiere (per chi ci crede), ma non ha senso ogni volta cercare degli eroi.
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Se per sentirci uniti, se per mettere a tacere le discordie, se per avere dei punti di riferimento condivisi
abbiamo bisogno di questo, a mio giudizio dobbiamo preoccuparci. Non si è eroi perché si muore uccisi dalle
armi o si è legati al concetto di forza, non si è eroi per un senso del dovere che, secondo alcuni, si vede
soprattutto sui campi di battaglia: non sono forse eroi, allora, anche coloro che affrontano le difficoltà
quotidiane, in famiglia o sul lavoro? Sono più "sfortunati" (mi verrebbe un'altra parola, ma è poco rispettosa)
perché non dimostrano il loro valore in guerra?
Qualcuno mi ricorderà che i nostri militari sono in Iraq in missione di pace, dunque non sono là per
combattere (anche se Bush, in fondo, non lo pensa affatto): rispetto chi crede alle definizioni ufficiali, ma io
non riesco a fermarmi a questo. Non vorrei ricordare che forze di vari paesi debbono portare la pace dopo
una guerra che nemmeno doveva cominciare; in ogni caso, è difficile parlare di "missione di pace" anche
solo scorrendo i titoli di quotidiani e telegiornali. Ho fatto fatica fin dall'inizio ad immaginare la partenza dei
nostri soldati come una "missione di pace", e sarei molto curioso di sapere cosa intende il padre della
vittima, quando dice «Mio figlio non voleva andare; l'hanno costretto quelli della caserma» (dichiarazione
rilasciata al Tg3 delle 19). Nobile intento, il portar pace: ma non sapevo che a questo scopo servissero le
mitragliatrici. Occorrono per la difesa, certo: ma se ci si deve difendere, non si è in pace.
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Febbraio 2005
Musica
05/02/2005
GUIDA AL FENOMENO DEL COPIA-COPIA (E UNA NUOVA STORIA)
Autore: Gamma83
Torno a farmi vivo sulle colonne del blog per suggerire agli amanti "curiosi" della musica un bel libro che
esplora un argomento di cui spesso si parla (rectius: si sparla) senza avere le idee troppo chiare: il plagio.
Chi voleva saperne di più era costretto a battere la rete in cerca di materiale (trovandone poco), attendere il
festival di Sanremo e le inevitabili polemiche, spesso innescate da Striscia, oppure scorrere i palinsesti di
Raidue, sperando di incrociare qualche programma (Tg2 Dossier, Serata/Speciale/Eventi pop) che ne
parlasse. Trasmissioni belle, con immagini rare e, spesso, brani inediti, ma collocate ad orari problematici.
Ora l'ideatore e curatore di quei programmi, il giornalista Michele Bovi, rispiega la materia per chi era
assente con il volume Anche Mozart copiava, edito da Auditorium.
Nelle sue pagine Bovi analizza l'universo della somiglianza in tutti i suoi aspetti, a cominciare da quello legale
(3mila cause di plagio pendenti in Italia). Segue poi una panoramica dettagliata sugli anni '60 della musica
italiana, che di italiano aveva solo i testi: si potranno scoprire le vere origini di molti brani che ancora oggi si
cantano e che, a volte, sono testimoni di vere violazioni del diritto d'autore (una trattazione più
approfondita è riservata al Clan Celentano ed al fenomeno dei gruppi o «complessi»); lo scenario non
cambia di molto passando al palcoscenico sanremese, che dovrebbe ospitare sempre brani inediti e che
invece (lo si è già visto) ha destato sospetti di plagio fin dalle prime edizioni.
Altre pagine sono dedicate alle controversie più famose riguardanti denunce di autori italiani (Al Bano
plagiato da Michael Jackson, Sergio Endrigo e Riccardo Del Turco copiati da Luis Bacalov, Ricky Gianco
copiato da Claudio Baglioni) ed alle controversie internazionali (alla più nota di esse, che ha visto
condannato George Harrison per il suo capolavoro My sweet lord, è dedicato un approfondimento), nonché
al fenomeno delle copiature nei testi, nella pubblicità e nella musica classica e da film. L'ultima parte affronta
il tema della somiglianza tra artisti originali, "cloni", sosia, tribute band e simili.
Tutta l'opera è scritta con uno stile accattivante ed un linguaggio semplice, adatto tanto agli appassionati
quanto agli addetti ai lavori, senza che si scada nella faciloneria: il testo si avvale di numerosi contributi di
musicisti, cantanti, direttori d'orchestra, arrangiatori, nonché dell'apporto comico di Gene Gnocchi e del tocco
personale di Pasquale Panella, autore anche del «manifesto del Plagenio».
Per finire, una nuova storia, dedicata a chi, ogni tanto o ogni giorno, deve misurarsi con problemi di look :
un'occasione per sorridere di alcune piccole manie diffuse.
Attualità
07/02/2005
LA STORIA NEL POZZO
Autore: Gamma83
Ho visto ieri sera la prima parte della fiction di Raiuno Il cuore nel pozzo, che trae spunto dall'oscura pagina
italiana delle foibe. Sono contento che abbia vinto la sfida dell'Auditel, posto che questa sfida abbia un
senso: il titolo è azzeccato e "bello", gli attori sono di valore ed espressivi (bravo Beppe Fiorello, ma anche
Leo Gullotta, la Liskova, e tutti gli altri, compresi i bambini); la musica è abbastanza bella, anche se in
qualhe scena mi è parsa "di troppo"; solo i dialoghi ed il "ridoppiaggio" mi hanno deluso un po', ma ciò non
scalfisce il mio gradimento per il prodotto. Invito tutti a guardare la seconda puntata e ad interrogarsi su
cosa sia veramente accaduto, come siamo stati (altrettanto giustamente) invitati a fare pochi giorni fa, in
occasione del «Memory day». Vorrei cogliere l'occasione, tuttavia, per un piccolo spunto di riflessione.
Personalmente non amo le semplificazioni, né chi tenta di scaricare le proprie colpe. È giusto che si parli di
un evento storico - quello delle foibe - su cui si è per troppo tempo sorvolato, se non altro per ricordare
quale atrocità può causare l'uomo o una sua idea: tuttavia non mi sembra corretto, da qui, compiere
passaggi logici azzardati. Per fare un parallelo, è giusto conoscere la storia di un uomo chiamato Gesù di
Nazaret e del suo assassinio, toccando con mano le conseguenze della follia di altre persone; è ingiusto,
però, a secoli di distanza chiamare gli ebrei «deicidi» o «perfidi» (oltre che sbagliato: ad uccidere Cristo sono
stati gli uomini, credo che nulla sarebbe cambiato se avesse diffuso il suo messaggio dirompente in un altro
popolo). Allo stesso modo, non si può imputare alla sinistra intera (specie a quella attuale, ben diversa da
quella di 60 anni fa) la responsabilità per l'orrore delle foibe o per averlo messo sotto silenzio.
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Per concludere, vorrei ricordare la frase di Ida Marcheria, triestina sopravvissuta ad Auschwitz. Nel libro Le
non persone di Roberto Olla, autorevole giornalista del Tg1, la donna racconta la propria esperienza di
deportata e, parlando della sua città, dice: «Trieste era sotto l'incubo delle foibe [...] Ma le foibe sono
cominciate al tempo dei fascisti. Qualche slavo l'hanno buttato dentro anche loro. Poi gli slavi hanno fatto un
massacro, dei fascisti e degli altri». Una strage è una strage punto e basta, non è rossa o nera; anche
perché a dire i colori si rischia di far confusione e di dimenticare un pezzo della verità.
Libri
14/02/2005
PAGINE ALLA SCOPERTA DI BUKOWSKI
Autore: Gamma83
Non so quanti, tra gli sparuti frequentatori di questo blog, amino la letteratura americana "di protesta". La
mia esperienza è nata a scuola, a partire dalla cosiddetta beat generation, tanto diversa dalle poesie o dagli
scritti che solitamente rientrano nei programmi "ufficiali". La seconda occasione si è manifestata nell'incontro
con Fernanda Pivano: credo che in Italia nessuno conosca la letteratura americana (tutta!) come lei, che
l'ha letta, tradotta e a volte l'ha vista nascere (Hemingway, Kerouack, Ginsberg, Corso, ...).
Conoscevo piuttosto poco, se non di nome, Charles Bukowski (1920-1994), forse perché a scuola non si
riteneva opportuno farci leggere anche quello. Devo qualche cognizione in più ad un altro incontro letterario
e personale: quello con Paolo Roversi. Si tratta di un suzzarese, classe 1975, che ha trasformato le sue
passioni in professioni o attività persistenti: l'informatica e la lettura-scrittura. Il 13 marzo 2004 mi fu chiesto
di presentare due suoi libri in un incontro pomeridiano nella mia città: l'autore aveva descritto con ironia e
un po' di sana cattiveria (a la Beppe Severgnini, mito personale di chi vi scrive ora e citato da Roversi
stesso) le idiosincrasie ed i caratteri fondamentali degli smanettatori di computer di professione, nonché dei
suoi conterranei in due libri editi da Sonda che consiglio a tutti per passare qualche ora in allegria
(Informatici e Mantovani). In quell'occasione dialogammo in pubblico circa le sue passioni letterarie ed
emerse netta la figura del «grande Buk»: a lui Paolo aveva già dedicato un libretto di aforismi, pubblicato
con Stampa Alternativa nel 1997 e dal titolo evocativo degli ultimi istanti di vita dello scrittore americano
(Bukowski : Seppellitemi vicino all'ippodromo così che possa sentire l'ebbrezza della volata finale).
Oggi Paolo Roversi torna a parlare di e con Buk attraverso un nuovo libro: Scrivo racconti poi ci metto il
sesso per vendere, pubblicato sempre da Stampa Alternativa e dal costo contenuto (10 euro). Nella pista
personale che porta autore e lettori a «vita, vizi e virtù dello scrittore maledetto», accanto a tracce
biografiche, foto, ricordi non può mancare una robusta presenza di Nanda Pivano, che in una lunga
intervista parla dello scrittore-amico Bukowski.
Il titolo del libro è indubbiamente "forte", come Buk è sempre stato: anche la vita spesso mi pare così
(anche se, francamente, qualche esagerazione è legittimamente "di troppo") e alle volte si può arrivare allo
stato in cui «La strada dell'eccesso conduce al palazzo della saggezza» (per citare una frase nota del
poeta William Blake). Auspico che il mio gradimento per gli scritti di Paolo sia anche quello di tante altre
persone, che se vorranno potranno visitare il suo pianeta virtuale all'indirizzo www.roversiplanet.com e
scoprire molto altro su di lui.
Foto dell'incontro del 13 maggio 2004 (quello a destra è il sottoscritto, nella versione inedita di introduttore)
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Attualità
17/02/2005
LIBERATE GIULIANA E TUTTI I GIORNALISTI, ADESSO!!
Autore: Gamma83
Mi si riempie il cuore di tristezza e (mi spiace dirlo) di rabbia, nel ripensare alle immagini disperate, alle
parole, alle lacrime di Giuliana Sgrena, che ho visto circa 24 ore fa, dopo che ne avevo trascorse quasi 12
in università. Tristezza per la vista di una persona che indubbiamente sta malissimo, come stanno malissimo
la famiglia e la redazione del manifesto (una seconda famiglia, in un certo modo). Rabbia per il fatto che,
ancora una volta, a pagare sono le persone che hanno come unica colpa il loro essere là, a raccontare la
guerra o le sue conseguenze. Non conoscevo la Sgrena prima, non sono un lettore abituale del suo
quotidiano, ma chi le è vicino non smette di ricordare che lei «ha sempre lottato con loro» (come lei stessa
dice in quel tragico messaggio). Sembra facile dire, e forse non è sbagliato, che non bisogna cedere ai
ricatti, che bisogna sforzarsi di liberare Giuliana con la diplomazia e senza strepitare, ma è difficile ragionare
così quando una persona implora ogni singolo telespettatore in quel modo.
Ho apprezzato molto il vibrante articolo di Luciana Castellina sul manifesto di oggi: «è proprio la nostra
Giuliana» dice, ripercorre le sue parole, i suoi gesti, parla della manifestazione di sabato, in cui
inevitabilmente si parlerà della giornalista che non potrà parteciparvi. Vorrei tanto potervi partecipare, ma
più di tutto non vorrei mai più vivere l'angoscia di 24 ore fa: la guerra non è una passeggiata, l'inviato sa che
non è stato mandato in vacanza premio, ma non è giusto vedere trattati così dei testimoni. Nessun
giornalista deve più morire/sparire/essere perseguitato in nessuna parte del mondo, nessuno deve più
morire per una guerra giusta (che non esiste) o sbagliata (tutte). Scusate la demagogia e alla prossima.
Cinema
20/02/2005
RAGAZZE, TALENTO E MUSICA
Autore: Gamma83
Un suggerimento cinematografico è la mia nuova storia: andate a vedere Ma quando arrivano le ragazze?
di Pupi Avati, per passare qualche ora diversa. Poi pensateci su, se ne avete voglia (ma, per carità, non
davanti alla tv o allo stereo col volume a palla).
Attualità
22/02/2005
L'INFERNO DI AUSCHWITZ
Autore: Gamma83
Lunedì partirò per il «viaggio della Memoria», organizzato da Istoreco, assieme ad alcune classi dell'istituto
Russell di Guastalla (la mia vecchia scuola). Destinazione principale del viaggio: Auschwitz. In preparazione
alla visita di quello che considero un inferno creato dall'uomo, propongo la storia di una persona che può
raccontare cosa è accaduto in quell'inferno: Piero Terracina. Buona lettura e buona riflessione.
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Marzo 2005
Attualità
12/03/2005
FOSSIMO UN PAESE SERIO...
Autore: Gamma83
Rieccomi qui, alcuni giorni dopo il mio ritorno da Auschwitz. La visita ai campi è stata un'esperienza "diquelle-che-lasciano-il-segno", perché un conto è sapere, un altro è vedere. Sapere fa riflettere, vedere
trasmette emozioni. Ai sentimenti per ciò che ho visto in quei giorni si è aggiunta la gioia per la liberazione di
Giuliana Sgrena. Gioia che è durata pochi secondi, il tempo di apprendere della morte di Nicola Calipari.
La fine di quell'uomo mi ha rattristato: non definirei nemmeno lui un eroe (resto convinto del fatto che è
meglio non cercarne) ma certamente ha avuto il merito di aver salvato una vita umana sacrificando la
propria e questo è ammirevole.
Un po' meno ammirevoli sono le circostanze in cui è morto ed il dopo. Non sapremo mai se i soldati
americani sapevano dell'arrivo della Sgrena (meglio diffidare delle informazioni ufficiali): so solo che l'idea di
un mezzo crivellato di colpi (anche se per qualche notiziario erano "solo una ventina") e con a bordo delle
persone mi sgomenta. Una persona che era con me ad Auschwitz e ha visto personalmente come operano
militari e giornalisti in zona di guerra mi ha detto: "Purtroppo non mi stupisce ciò che è successo: gli
americani, nel dubbio, sparano". Se è così, non posso che arrabbiarmi nel sentir parlare di tragica fatalità. Gli
episodi di "fuoco amico" (alla faccia dell'amico) non sono mai tragica fatalità, dove alla fine nessuno paga.
Un amico che sa molte cose di tattica militare sostiene che la fanteria Usa sia peggiore di molte altre e che
quanto è successo a Calipari va contro ogni buona regola legata ai posti di blocco. Lui sostiene che, se
fossimo un paese serio, mezz'ora dopo l'attacco al nostro mezzo l'Italia avrebbe dovuto circondare le basi
Stars'n'Stripes in Iraq o in Italia, far fuoco sulla prima camionetta americana di passaggio e poi giustificarsi
seraficamente all'incavolatissimo diplomatico Usa con le parole: "tragica fatalità". Io non sono affatto
d'accordo sui metodi, ma certamente il nostro paese ha perso un'occasione per dimostrare la propria serietà
(o dignità, se si preferisce: basterebbe...).
L'esperienza passata del Cermis (sostanzialmente un nulla di fatto, a parte qualche sparuta condanna, ed
un silenzio agghiacciante) avrebbe dovuto metterci sull'avviso, farci pretendere di più: e invece abbiamo
accettato la soluzione grottesca della commissione mista, ove gli americani parleranno il doppio degli italiani
e ciò che ci sarà permesso parrà una concessione all'amico Silvio, più che a quanto ci è dovuto per ricercare
la verità. Se il "fuoco amico" avesse colpito un paese forte, questo avrebbe preteso di indagare da solo,
senza interferenze statunitensi (l'America non pretende, all'inverso, di giudicare personalmente chi ha
commesso fatti gravi contro chiunque dei suoi?). Spero di sbagliarmi, ma di questo passo Nicola Calipari
rischia di non avere giustizia, e non è una bella conclusione.
Attualità
24/03/2005
LA VITA DI TERRY SCHIAVO, LE IDEE DEGLI ALTRI
Autore: Gamma83
Mi permetto anch'io di esprimere alcune idee sul caso di Terry Schiavo: alla vicenda è dedicata la nuova storia.
Attualità
24/03/2005
BUONA PASQUA ... E UNA RIFLESSIONE D'AUTORE
Autore: Gamma83
Domani, tra poco più di un'ora, si ricorderà la morte di Gesù. Il figlio di Dio, secondo alcuni; un profeta,
secondo altri; un cialtrone o un guaritore, un pericoloso sovversivo o un giusto, secondo i suoi
contemporanei. Sicuramente, un uomo: come gli altri, più di altri.
Nell'augurare buona Pasqua (a tutti, qualunque significato abbia questa festa per chi legge), voglio ricordare
le ultime ore di vita di quell'Uomo con i versi scritti da Mario Luzi nel 1999, in occasione della Via Crucis. A
mio modo di vedere, della figura di Cristo restituiscono la sofferenza e la Passione, che il Vangelo condensa
in una semplice frase, che quasi sembra stonare su quelle labbra: «Mio Dio, mio Dio, perché mi hai
abbandonato?».
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Padre mio, mi sono affezionato alla terra
quanto non avrei creduto.
È bella e terribile la terra.
Io ci sono nato quasi di nascosto,
ci sono cresciuto e fatto adulto
in un suo angolo quieto
tra gente povera, amabile ed esecrabile.
Mi sono affezionato alle sue strade,
mi sono divenuti cari i poggi e gli uliveti,
le vigne, perfino i deserti.
È solo una stazione per il Figlio tuo,
ma ora mi addolora lasciarla
e perfino questi uomini e le loro occupazioni,
le loro case e i loro ricoveri
mi dà pena doverli abbandonare.
[...]
Congedarmi mi dà angoscia più del giusto.
Sono stato troppo uomo tra gli uomini o troppo poco?
Il terrestre l'ho fatto troppo mio o l'ho rifuggito?
[...]
Padre, non giudicarlo
questo mio parlarti umano quasi delirante,
accoglilo come un desiderio d'amore,
non guardare alla sua insensatezza.
Sono venuto sulla terra per fare la tua volontà
eppure talvolta l'ho discussa.
Sii indulgente con la mia debolezza, te ne prego.
[...]
Qui termina veramente il cammino.
Il debito dell'iniquità è pagato all'iniquità.
Ma tu sai questo mistero. Tu solo.
Musica
30/03/2005
UN ARTISTA QUASI DIMENTICATO
Autore: Gamma83
La storia di oggi è dedicata a Sergio Endrigo: un cantante che troppa parte del mondo della musica
sembra aver cancellato. Non i suoi fans, vecchi e nuovi.
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Aprile 2005
Generale
02/04/2005
CITTÀ DEL VATICANO, ORE 21.37
Autore: Gamma83
Questa volta è finita davvero. Il momento che tanti di noi (in fondo ognuno di noi) temevano e
contemporaneamente aspettavano con rassegnazione è giunto. Le lacrime scendono naturali e non c'è da
vergognarsi.
Chi ha incontrato Karol Wojtyla ("Lolek", per i veri amici) non dimenticherà mai il suo viso, il suo sguardo, le
sue mani; chi l'ha solo visto da lontano (come me, al Congresso eucaristico nazionale di Bologna), sui
teleschermi o sui giornali, ricorderà le stesse cose. Perché in questo è riuscito, Giovanni Paolo, più di tutti
coloro che lo hanno preceduto: raggiungere chiunque, con la sua voce, i suoi gesti. Negli ultimi giorni è
bastata l'espressione contratta, sofferente, così tanto umana e così poco divina, ad esprimere più di ogni
discorso scritto e pronunciato.
Giovanni Paolo non è solo il Papa che ha sconfitto il comunismo (come certuni, tra politici e giornalisti, ci
hanno ricordato di continuo in questi giorni, quasi che per costoro fosse l'unica cosa veramente degna di
nota): è l'Uomo (mi si perdoni la maiuscola, ma credo sia più che meritata) che ha compreso l'uomo, si è
fatto giovane, anziano, italiano, romano, europeo, servo, padre, figlio più di ogni altro. Ha dato voce alle
speranze di chi non ne aveva più da tempo; ha innalzato alla gloria degli altari (non necessariamente quelli
di pietra) decine di persone, consacrate e laiche, mistiche e concrete, celebri e sconosciute; ha unito milioni
di persone davanti ai maxischermi come ai confessionali (come alla Gmg del Giubileo); ha commosso il
mondo intero con la sua sofferenza; ha tuonato contro il male (indimenticabile la sua condanna contro la
mafia) ed ha scherzato con la folla e con gli innocenti.
Di fronte ad una persona che, nella sofferenza più atroce (dall'attentato agli ultimi giorni) ha saputo sempre
dire «totus tuus» a Maria, con una forza ed una convinzione che non appartiene a molti di noi (di certo non
a me); di fronte ad un uomo che non ha avuto paura di mostrare i suoi sentimenti e le sue debolezze; di
fronte a Karol Wojtyla non possiamo che dire «Grazie, Papa» (vedete voi se aggiungere l'accento all'ultima
parola).
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Televisione
09/04/2005
DUE GIORNATE DA "EREDITIERE"
Autore: Gamma83
Sia pure con qualche giorno di anticipo, nella nuova storia parlo della mia prima (forse ultima, ma non
posso dirlo: altrimenti Matteo mi ricatta) partecipazione ad un programma televisivo: L'Eredità. Non ho
vinto nulla, ma mi sono molto divertito. Certamente avrete cose più importanti da risolvere: la sistemazione
della vostra casa, la costruzione di castelli mentali, un buon sonno riparatore. Se tuttavia, sciaguratamente,
vorrete seguirmi in tv, andrò in onda lunedì e martedì prossimo (preferenza per la 1° puntata). Ciao a tutti.
Religione
17/04/2005
CHI HA PAURA DELLO SPIRITO SANTO?
Autore: Gamma83
Tra meno di ventiquattr'ore sapremo se il primo scrutinio, tra gli affreschi michelangioleschi della Sistina,
avrà definito l'identità del nuovo Papa. Speciali ed approfondimenti giornalistici ci stanno informando
minuziosamente sulle procedure che regoleranno le operazioni di voto (è curioso, a volte ne sanno più i
giornalisti dei porporati) e, più in generale, il funzionamento del Conclave. Nobile intento l'informazione
(non impiegherei parte del mio tempo a collaborare con un quotidiano, se non ci credessi), ma forse stavolta
piuttosto inutile. Tanto nessuno di noi saprà cosa accadrà veramente a Santa Marta e nella Cappella Sistina.
«Silenzio!» È forse questa la parola più pronunciata (assieme a «segreto») negli ultimi giorni da cronisti e
religiosi. E silenzio ci sarà, a partire da domani pomeriggio. Silenzio che dovrebbe, secondo i fedeli,
permettere agli elettori di ascoltare soltanto la voce dello Spirito, senza distrazioni o condizionamenti.
Sarà pure così, ma davvero le orecchie dei cardinali hanno bisogno della schermatura dai telefoni cellulari
per non udire altro che lo Spirito? Pur da cattolico credente (anche se «peccatore dell'anno Ottantamila»),
non riesco a capire la necessità e, ancora di più, l'utilità di questo isolamento al giorno d'oggi. Forse è
opportuno ricordare l'origine del Conclave, che inizialmente era scritto con la minuscola e voleva dire
semplicemente «con la chiave». E con la chiave erano stati chiusi i cardinali ed il loro seguito nel palazzo
"dei Papi" di Viterbo, circa nel 1270, ad opera di una popolazione stremata, che non reggeva più l'indecisione
sulla nomina del nuovo successore di Pietro. Era stata l'impossibilità di mantenere ancora a lungo tutta la
corte dei principi della Chiesa, non un'altra ragione, a suggerire quel gesto (rafforzato, secondo alcuni, dallo
scoperchiamento del tetto dopo un'ulteriore fase di stallo).
Dubito che oggi si presenterebbe la stessa necessità di allora: dunque, perché tutto questo? Che senso ha
tenere «tutti fuori» (extra omnes)? Perché il portavoce Navarro ha sottolineato che tanto le schede, quanto
gli appunti privati dei cardinali saranno bruciati? Mi è capitato di sentire alcune persone non credenti (e non
necessariamente poco rispettose di chi ripone fiducia in Dio) che parlano del Conclave come di un «circolo
massonico» o anche peggio. Pur non essendo d'accordo con quest'idea, anch'io preferirei una votazione
assai meno "blindata". A parte il fatto che proprio l'idea del «segreto» non facilità chi vorrebbe dipingere la
Chiesa come un'istituzione aperta e trasparente (anzi, ne agevola i detrattori), non capisco cosa si vorrebbe
evitare o prevenire con quest'isolamento. Forse influenze o pressioni indebite sui cardinali? Ma via, non
prediamoci in giro. Se quelle pressioni ci sono, è ridicolo pensare che possano esistere fino ad un attimo
prima dell'inizio del Conclave e poi, d'incanto, più nulla. Come se non lasciassero tracce nell'animo umano.
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Il segreto, in più, qualcosa potrebbe contare per interferenze "esterne", ma non certo per i condizionamenti
interni. Non credo che siano fandonie inventate dai colleghi quelle che individuano "blocchi" e "coalizioni"
interne al Sacro Collegio che sostengono una figura o ne avversano un'altra. Nessuno chiaramente conferma
quelle voci, ma nessuno le smentisce. L'idea che una trentina di porporati si sia già espressa privatim per
l'investitura a Pontefice di Joseph Ratzinger (cosa che, personalmente, mi atterrisce, come pure
un'eventuale nomina del mio comprovinciale Camillo Ruini) pur di contrastare la candidatura di Carlo M.
Martini o di Dionigi Tettamanzi (ipotesi decisamente migliore) mi sembra poco spirituale e molto umana,
quasi da Transatlantico. Il pensiero che gli Stati Uniti possano aver espresso, in qualche modo, un veto su
alcuni nomi o sui cardinali di alcuni stati mi pare intollerabile.
Tutto questo rischia di far nascere nei fedeli un senso di disagio, il sospetto assolutamente sgradevole che,
in fondo, anche il Conclave sia una variazione del sordido gioco della politica. «La Chiesa ha bisogno di santi,
non di critici» mi ha detto più volte un mio amico diacono: gli do ragione, ma è più facile non ingenerare
critiche con una normalissima votazione a scrutinio segreto; è difficile parlare di trasparenza se si ha paura
che un ascensorista (figura che quasi nessuno, peraltro, ha mai visto) o un cuoco del Conclave possa rivelare
chissà quale notizia, per cui gli si paventa una scomunica. E non sarà il clima di mistero indotto dal segreto a
conferire carisma e una sorta di "aura di rispetto" per il Santo Padre. Ci vuole altro.
A una mia domanda sul senso dell'extra omnes, un sacerdote che stimo molto ha risposto: «Questo ti
dimostra che, a volte, l'uomo riesce a far sì che perfino lo Spirito Santo agisca inutilmente e resti inascoltato
o con la bocca tappata». Forse è il caso di riflettere, per il futuro.
Religione
20/04/2005
FUMATA BIANCA...
Autore: Gamma83
Habemus Papam. Purtroppo, sarei tentato di aggiungere. Domenica avevo espresso chiaramente il mio
pensiero (legittimo, naturalmente come quello di chiunque altro), parlando di una candidatura Ratzinger
che mi atterriva. Non pensavano lo stesso i cardinali, che hanno ritenuto (legittimamente, per carità) di
scegliere il Cardinale Decano come successore di Pietro (e di Karol Wojtyla).
Non posso (né voglio) certo essere io a giudicare se Benedetto XVI sarà davvero «umile lavoratore nella
vigna del Signore»: l'immagine scelta è un bel programma, mantenerlo è un'altra cosa. Come hanno
sottolineato in molti nelle ore successive alla fumata bianca, Ratzinger si trova in una situazione nuova,
rispetto a molti suoi predecessori, perché gran parte dei fedeli sa già molte cose di lui. Sarà per questo,
forse, che l'applauso alla sua apparizione alla loggia delle benedizioni c'è stato, sì, ma è stato meno forte di
quello che la folla ha indirizzato a Giovanni Paolo II quando il nuovo pontefice lo ha nominato (qualche
giornalista ha aggiunto che l'entusiasmo della folla era piuttosto "tiepido": preferisco non esprimermi).
Forse mi sbaglio, ma proprio perché ho visto almeno una piccola parte dell'azione di Ratzinger posso avere
dubbi sul futuro: ritenevo preferibile un Papa più concreto e meno dottrinale e legato al Magistero. I dubbi
non sono solo miei: se n'è accorto chi, come me, iersera ha visto Porta a Porta. Accanto all'onnipresente
Andreotti, ad Andrea Riccardi, al lucidissimo card. Tonini ed altri, c'era anche Pamela Villoresi: all'attrice
era stato chiesto di leggere alcuni passi di Senza radici, il libro che Ratzinger aveva scritto qualche mese fa
col presidente del Senato Marcello Pera (altra figura che non incontra i miei favori). Arrivata ai brani
relativi al matrimonio ed agli omosessuali, la Villoresi ha esordito così: «Non conoscevo questi scritti... ci
sono rimasta male». Dopo la lettura dell'ultimo brano, l'attrice ha deciso di esternare le sue perplessità su
quanto aveva appena letto e, più in generale, sull'atteggiamento di certa Chiesa. Rivolta ai sacerdoti e, più in
generale, alla Chiesa, ha detto: «Mi viene da dire, da cristiana [...] che qualche volta vi sentiamo veramente
lontani da noi. Se per esempio le donne cattoliche facessero l'amore col marito solo quando vogliono i figli,
con tutto quel che c'è in giro, prostituzione, [...] saremmo la rovina dei pochi matrimoni che restano in piedi.
Per non parlare degli anticoncezionali per l'Aids e per i malati: poi va a finire che ognuno si vive la fede un
po' per conto suo». Pur non condividendo l'intero "sfogo" (mi si permetta di chiamarlo così) di Pamela
Villoresi, apprezzo il suo coraggio: in molti fedeli spesso manca il desiderio di fare domande (è più facile
non farsene) e, d'altra parte, nei ministri di culto a volte c'è la tendenza a non rispondere o a eludere la
risposta a problemi che esistono e sono spinosi, caspita se lo sono.
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In più, nella puntata di iersera di Porta a porta in molti hanno tentato una sorta di "operazione simpatia": in
molti hanno cercato di sottolineare che Ratzinger, che in pubblico appare così algido e freddo, in privato è
una persona cordiale, gentile, riservata, a suo modo simpatica e tutt'altro che inarrivabile. Sarà pure così,
ma non basterà questo a scalzare dalla mente dei fedeli (tutti, quelli che apprezzano il neo-pontefice e quelli
che avrebbero preferito una scelta diversa) espressioni come «mastino della fede cattolica», «custode
dell'ortodossia» o l'idea, espressa da molti vaticanisti europei, che «Ratzinger più che unire dividerà».
Ricordo che nel marzo dello scorso anno usci l'istruzione Redemptionis sacramentum, emanata dalla
Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, ma elaborata «d'intesa» con la
Congregazione per la dottrina della fede, che Ratzinger ha presieduto fino a pochi giorni fa. Quel documento
aveva fatto scalpore, almeno nella sua prima versione: tra le altre cose, si chiedeva la limitazione della
presenza sull'altare delle ragazze, in funzione di "chierichette" (il nome tecnico è ministranti), nonché la
rimozione di altri abusi (quali l'abitudine di delegare a persone non consacrate l'omelia, o gli applausi
durante la messa), che i fedeli erano invitati a denunciare. Molti fedeli protestarono nei forum e nei blog, al
punto che quando il documento fu promulgato qualcosa parve edulcorato ed alcune indicazioni sparirono (tra
le quali, proprio la tendenziale esclusione delle chierichette).
Per concludere, vorrei estrapolare anch'io una frase dal commento scritto da Ratzinger per l'ultima Via Crucis
del Venerdì Santo: «Quanta sporcizia, quanta superbia c'è nella Chiesa, proprio anche fra coloro che nel
sacerdozio dovrebbero appartenere completamente a Lui». Mi chiedo se nella «sporcizia» e nella «superbia»
rientrino i sacerdoti che si comportano in modo acido e accolgono solo chi ritengono "adatto" oppure coloro
che cercano soprattutto la relazione con la persona e si ingegnano per stare a contatto con gli altri, anche a
costo di qualche "concessione" (o di qualche strappo, se vogliamo essere meno benevoli) a certe regole; mi
domando se sul libro dei cattivi finiscano i ministri che danno ascolto solo ad alcune voci, meglio se
provengono da chi ha denaro, potere e stima, oppure i sacerdoti che non si coprono gli occhi e cercano di
affrontare i problemi che esistono, essendo disposti al confronto ed anche a dire «Sì, forse questa norma
non comprende la tua situazione». Con tutto questo, aspetto, conservo la mia fede in Dio e lo prego perché
guidi il Servo dei suoi Servi.
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Maggio 2005
Politica
01/05/2005
STORIA CON FINALE GIÀ SCRITTO
Autore: Gamma83
Non era bastato vedere la fine della vicenda Cermis per convincere gli scettici-arciamericani che il caso
Nicola Calipari si sarebbe concluso con un «tutti assolti», lasciando l'inchiesta sostanzialmente in mano agli
americani. Guarda caso, è andata proprio così.
Non si tratta di scrollarci le colpe di dosso a tutti i costi: semplicemente non ha senso che il sospettato
indaghi su se stesso. Lo ha sottolineato pure Piero Ostellino (ex-direttore del Corriere, certo non un
antioccidentale), nel suo articolo del 27 aprile: ha parlato di «logica fortemente distorcente sotto il profilo del
diritto», ricordando che sistematicamente gli Usa si oppongono al fatto che i suoi militari di stanza all'estero
siano giudicati da tribunali non americani.
Inqualificabile il paese di Bush (mi riferisco alle istituzioni e non ai comuni cittadini: ma su questo mi
piacerebbe discutere con Lexi Amberson, che americana lo è per metà e conosce meglio quella realtà), che
delirante nella sua posizione di «guardiano del mondo» pretende sempre di lavare da sé i suoi "panni
sporchi" – salvo poi strepitare se qualcuno rifiuta di far giudicare dagli Usa autori di crimini contro l'America;
decisamente debole il nostro paese, che non ha saputo (voluto? Potuto?) imporsi, chiedendo di indagare da
solo su quanto era accaduto, e che ha accettato la foglia di fico della commissione mista (comunque a
prevalenza americana), fidandosi di un "paese amico" (sic!)
Per finire, buon lavoro ai magistrati italiani, che dovranno cercare di arrivare alla verità in condizioni
proibitive: con un rapporto Usa già scritto e pieno di omissis pesanti (se davvero quelle persone sono
innocenti, perché nascondere nomi e dati? Di che si ha paura?), una Toyota che forse non vale più come
prova (alcuni colleghi parlano di inquinamento Usa), Giuliana Sgrena e l'autista che continuano a
contraddire gli esperti statunitensi e non ricevono un briciolo di attenzione e un riscatto fantasma, che Mr. B
nega tenacemente, ma che agli americani dà molto fastidio. God save Justice.
Musica
09/05/2005
RICORDANDO MIMÌ
Autore: Gamma83
Il 12 maggio di 10 anni fa ci lasciava Domenica Berté, meglio nota come Mia Martini, per chi le voleva
bene Mimì. Allora avevo 11 anni, non sapevo bene chi lei fosse (l'avevo vista solo qualche volta in
televisione); col tempo ho imparato a conoscerla e ad apprezzarla, per i suoi bellissimi occhi e per i quadri
che dipingeva con la voce. Troppo tardi.
Pensare che un'artista di fama potesse andarsene senza che nessuno le fosse a fianco allora mi impressionò;
a distanza di tempo penso di sapere come è potuto accadere. È una cosa insensata credere che una persona
porti sfortuna; chi se lo sente dire o finisce per crederci e si adegua (vedi il Chiarchiaro di Pirandello) o la
vita e la porta via, anche a 47 anni. Ponendo fine in un attimo a tutte le speranze, i sogni, nonché alle
speranze ed ai sogni di chi a quella persona si sente vicino. Mimì se n'è andata, senza poter salutare, e forse
ce lo meritiamo, perché almeno una volta abbiamo dato ascolto ai cacciatori-di-iettarori-a-tutti-i-costi. Aveva
ragione Marco Masini, che prima di ritirarsi dalle scene ha avuto parole durissime per quei personaggi: «Io
Mia l'ho conosciuta e tu no, io ho sentito cantare la sua anima e tu no, io ho suonato per lei e tu no, ho
cantato le sue canzoni e tu no; quando se ne è andata io mi sono sentito un po' stronzo e tu no». Masini
allora non mi piaceva (forse neanche adesso, ma L'uomo volante resta un bellissimo pezzo, cantato da lui),
ma sottoscrivo ogni sua parola.
Eppure, quando c'è da scegliere una bella canzone, di diritto alcuni pezzi di Mimì escono: come dimenticare,
tra i tanti, Piccolo uomo, l'aggressività sofferta di Padre davvero, la bellezza di Minuetto (mi sono stupito,
sapendo che l'aveva scritta Franco Califano), l'intensità di Almeno tu nell'universo, la delicatezza della
Nevicata del '56, ma soprattutto quello splendido, impietoso affresco che è Gli uomini non cambiano. L'ha
suonata e poi cantata Masini (quell'addio al palco con quel brano, nel programma di Celentano, mi fece
venire le lacrime agli occhi), l'ha rifatta intensamente Dolcenera la scorsa settimana in tv, l'ho cantata
(ignobilmente) persino io, per vendicare una mia amica che ha conosciuto il ritratto peggiore dell'uomo della
canzone.
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Chi non vuole dimenticare Mimì, ed ha perso (come me, purtroppo), il bel programma di Michele Bovi
dedicato alle voci femminili spezzate (anche Iolanda Gigliotti – Dalida e Gabriella Ferri), segua questa sera lo
speciale di La storia siamo noi, alle ore 22 e 50. Storia di una voce, si intitola: consulente del programma è
Menico Caroli, grecista, ricercatore presso l'università di Foggia, grande esperto di musica e di censura
(consiglio a tutti il suo libro Proibitissimo! Edito da Garzanti), ma soprattutto sincero estimatore di Mia
Martini. Davanti al video ci sarò anch'io, con un po' di rimpianto e una profonda amarezza.
Una bella immagine di Mimì, dal sito di Menico Caroli
Attualità
25/05/2005
RACCONTARE GNOCCONIA... PERCHÉ I FATTI CI COSANO!
Autore: Gamma83
Domenica è stata una giornata massacrante, ma mi sono molto divertito. Per poco più di un giorno la mia
città (Guastalla - Re) si è trasformata in un regno, il regno di Gnocconia. Non fate facili allusioni, non si tratta
di un luogo zeppo di belle figliuole (anche se ce ne sono ed è tutt'altro che spiacevole): parliamo proprio di
gnocchi, quelli di patate. Sono stati loro i veri protagonisti di questo fine settimana. Per il mio giornale (la
Gazzetta di Reggio) ho dovuto raccontare la manifestazione: sono stato impegnato fino alle 9 di ieri sera, ma
ne è valsa la pena.
La Gnoccata (così si chiama la festa) è nata nel 1869, un po' per protestare contro la tassa sul macinato
che colpiva le popolazioni povere, un po' perché non si dice mai di "no" ad un momento di gioia collettiva.
Col tempo l'aspetto socio-politico è andato scemando ed è rimasta solo la voglia di una città di divertirsi, di
passare, almeno una volta ogni tanto (ogni tre anni, per la precisione), due giorni diversi. Ci si è inventati un
sovrano gigantesco, in carne ed ossa, che cambia nome e volto, ma è sempre il solito dispensatore di
gnocchi; da lì tutti i cittadini partecipano alla festa, come comparse, come volontari, anche come semplici
spettatori, perché pure il pubblico ha un suo ruolo. Non sarebbe la stessa festa, infatti, se la gente non si
avventasse (quasi che non toccasse cibo da mesi) sui tavoli delle cucine montate in piazza, per appropriarsi
prima degli altri di una vaschetta di gnocchi, né sarebbe la stessa cosa se qualcuno non approfittasse della
situazione per tracannare qualche bottiglia, con la scusa che «i gnocchi» (guai a dire «gli» a quelli che
abitano qui, più attenti alla forchetta che alla gramamtica: come minimo non ti capiscono, in ogni caso
pensano che abbia sbagliato tu) sono pesanti da digerire. Qualcuno tra i più fini aveva persino ideato un
ragionamento sillogistico, inserito nel proclama storico della Gnoccata di quaranta-cinquanta anni fa: Qui
bibit bene dormit, qui dormit non peccat; ergo, bibere non est peccatum (penso non ci sia bisogno di
tradurre, comunque: «Chi beve dorme bene, chi dorme non pecca; pertanto, bere non è peccato»). Tutto
fila: cosa non si fa, per autogiustificarsi un litrozzo di vino in più...
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Quest'anno, per la prima volta, sul carro del re (impersonato dal simpaticissimo Stefano Dori Marchetti, il Re
gnocco più imponente che Guastalla-Gnocconia abbia mai avuto) è salito anche Paolo Cevoli, uno dei miei
miti: l'assessore alle «atività varie ed eventuali» di Roncofritto Palmiro Cangini era veramente a pochi
centimetri da me ed ho potuto intervistarlo, per qualche minuto. È stato davvero un momento extradiversivo
(come forse direbbe il buon Cevoli, che ho avuto il piacere di "clonare" in uno spettacolo di qualche anno fa),
come è stato bello raccontare la storia di due giorni diversi. Che poi è la storia di persone che hanno dato il
loro tempo per organizzare la festa, o che si sono divertite per le "patacate" di Cevoli-Cangini e le trovate
comiche degli amici di Radio Circuito 29, che ci hanno fatto ridere tutta la mattina.
Al 2008, dunque, aspettando il ritorno di Re Serpo XI e una nuova abbuffata di gnocchi (lasciate perdere i
cambi di vocale, mi raccomando...).
I cuochi di Gnocconia al lavoro
Il regal carro in arrivo
La simpatia ridanciana di re Serpo X…
… e la faccia eloquente di Paolo Cevoli,
davanti alle domande di un invornito
Politica
28/05/2005
SERATA CONTRO IL REGIME
Autore: Gamma83
Ogni tanto informarsi fa bene. Frase tristissima, ma necessaria: ormai gran parte dei mass media (per non
dire la totalità) ha smesso di informarci dei fatti e ci scodella opinioni, spesso monocolori, a volte multicolori,
ma soltanto opinioni. Per questo ogni tanto è opportuno sapere come stanno i fatti, visto che non è possibile
farlo sempre. Consiglio a tutti il libro Regime, scritto dai giornalisti Peter Gomez e Marco Travaglio, che
iersera si trovava a Commessaggio (Mn) per presentare il volume ed era in ottima compagnia: al suo fianco
Michele Santoro e Loris Mazzetti, regista del Fatto, ora (meno male) collaboratore di Fabio Fazio.
Non sono il solo a cercare i fatti: ieri nella piazza di un paesino della campagna mantovana, difficile da
trovare (a causa di una segnaletica stradale carente) c'erano quasi 200 persone, riunite per partecipare
all'incontro di «Libera l'informazione». Niente cantanti, star del calcio, bellone da copertina: tre «testimoni
dei fatti», che si sono fatti ascoltare per oltre due ore e mezza, senza segni di cedimento del pubblico.
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Io avevo già letto il libro, in buona parte ne conoscevo il contenuto, ma non ho potuto evitare di stupirmi
della quantità di casi di censura che il mondo dell'informazione o dello spettacolo, in questi anni, ha subito
nell'indifferenza (e nell'ignoranza) di molti. Ieri si è parlato: di dibattiti televisivi all'insegna di una teorica par
condicio e della mancanza di informazione; di un «contratto con gli italiani» chiuso in un cassetto, per non
mostrarne l'inadempimento (con la complicità dei giornalisti che non se ne occupano); di personaggi spariti
repentinamente dal video e di altri che farebbero meglio a sparire ma non si schiodano da lì; di politici che si
accapigliano davanti alle telecamere poi, spenta la lucetta, diventano amici e si spartiscono le poltrone; di
onorevoli che hanno rapporti con personaggi discutibili (i.e. mafiosi, anche se fanno gli "stallieri" o i
"lavandai", o partecipano a matrimoni in tight) e di cui nessuno sa nulla...
Nel 2001, come tanti, avevo conosciuto Marco Travaglio (un vero giornalista, che peraltro iersera ha
dimostrato anche grandi doti drammatiche: se un giorno non ci sarà più un giornale libero potrai darti al
teatro e ti seguirò) nei suoi 25 minuti di fuoco a Satyricon; lo incontrai di persona due anni fa in un altro
incontro sulla libertà d'informazione e ho desiderato essere presente anche questa volta, non restando
deluso. Mazzetti, forse il meno conosciuto, è stato efficacissimo: ha ricordato che la Rai senza Il Fatto ed
Enzo Biagi ha perso in qualità e danaro (fortunatamente anche Biagi ogni tanto si riaffaccia al video grazie
all'oasi di Che tempo che fa) e si è indignato nel vedere che nemmeno certi direttori di quotidiani hanno il
coraggio di sbugiardare il Cavaliere quando dice plateali menzogne. Santoro ha rivendicato per tutti i
giornalisti il ruolo di controllori, denunciando la mancanza di libertà, non risparmiando fendenti alla politica di
ogni colore (a proposito, sta per partire con un programma televisivo sperimentale: in bocca al lupo!).
Tanti applausi e un sacco di risate, mentre Travaglio e gli altri snocciolavano le "battute" (sembravano tratte
da una pièce grottesca) e le imprese di Berlusconi & co. Peccato che si tratti di fatti e di parole vere, e che
da ridere ci sia ben poco. Anche perché la libertà di informazione ed i fatti rompono le palle a tutti e spesso
nemmeno l'opposizione è immune da questo fastidio: non è una bella notizia.
La copertina del libro Regime
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Il sottoscritto con Marco Travaglio
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Giugno 2005
Televisione
10/06/2005
LA TELEVISIONE RICICLATA
Autore: Gamma83
Puntuale come un orologio svizzero (o una cambiale o un libro di Vespa, fate voi), anche quest'anno è finita
la stagione televisiva invernale e si sono aperti i mesi estivi, all'insegna del riciclaggio (uno dei pochi settori
in cui il meccanismo è compreso e sfruttato). Ci apprestiamo a vedere (o a subire) un'estate di repliche di
vent'anni fa e dell'altro ieri, con pochissime novità.
Basta scorrere il palinsesto feriale di Raiuno per rendersene conto: a parte l'edizione estiva (più leggera e
fatua) di Uno Mattina, si trovano molti telefilm e fiction, spesso ben fatti, ma già visti e rivisti, quasi sempre
d'estate (La signora del West, La signora in giallo, L'Ispettore Derrick, Don Matteo); la sera, poi, c'è il
montaggio di spezzoni Varietà, che riporta il sorriso dopo le notizie del tiggì, ma nient'altro. L'anno scorso,
con la scusa dei 50 anni di tv, nella fascia mattutina festiva erano stati proposti sceneggiati storici e belli da
rivedere, ma pescati forse alla rinfusa: memorabili Le avventure di Pinocchio, Odissea, Marco Polo, La freccia
nera, Cuore ed altre serie, un po' meno Petrosino (pure firmato da Arrigo Petacco), Gian Burrasca (musiche
di Nino Rota a parte), Storie d'amore e d'amicizia (bello solo perché ha rifatto vedere Ferruccio Amendola).
Le altre reti pubbliche e private non faranno diversamente: vedremo una caterva (scusate il termine tecnico,
ma rende bene) di film di Elvis, di "musicarelli" di Morandi & co. (che hanno sbancato il botteghino, ma è
storia di parecchi anni fa) ed altre pellicole/rubriche/format tappabuchi. Tra i pochi programmi "aperti per
ferie", SuperQuark (che da anni va in onda solo in estate, in controtendenza rispetto a molte altre
trasmissioni) e qualche documentario (che piace anche quando è già stato visto).
Non sono contrario alle repliche: fatte con criterio potrebbero essere interessanti. Per mesi abbiamo sperato
in una "notte delle sigle", che mandasse in onda i jingles che hanno segnato l'infanzia e la crescita di molti
(da quando sono nato sono cambiate almeno 6 sigle del Tg1, tanto per dire). Ci auguravamo di rivedere (e
non solo sul satellite) molte pagine di valore: film storici spariti da cinema e tv; gli spettacoli-culto di
Arbore, Chiambretti, il primo Bagaglino (più divertente, con l'indimenticata Gabriella Ferri); frammenti
di personaggi più o meno dimenticati (Bernacca, Bisio alla Rai, Tortora, Frajese, Valentini, Piero Angela
in versione mezzobusto, le inchieste Rai di un tempo...). Magari le hanno passate di notte, ma nessuno ci ha
avvertito e a quell'ora sono svegli solo gli insonni ed i medici di guardia (come dice Sergio Zavoli).
Ai dirigenti televisivi innalzo una prece: per una volta ascoltate le nostre richieste. Non abbiamo gusti così
strampalati: quei programmi non faranno ascolto quanto Grande fratello, ma raccoglieranno gli appassionati,
che sopporteranno meglio l'indigestione di reality shows che ci attende nella prossima stagione.
Costume
11/06/2005
MANUALE DEL PERFETTO ALIENO - 1
Autore: Gamma83
Breve immersione, questa mattina, in un mondo estraneo. Sono stato invitato all'inaugurazione di uno studio
di architettura, aperto 17 anni fa ed oggi completamente rinnovato, dal mio ex insegnante di disegno e
storia dell'arte, Roberto Rinaldi: ho accettato di buon grado di partecipare, per l'amicizia che mi lega a lui,
anche dopo la fine delle scuole.
Mi sono presentato a Reggiolo, davanti allo studio, con un discreto anticipo (mi piace evitare le figuracce,
ogni tanto). Gli invitati erano ancora pochi, per cui Roberto mi ha mostrato i locali: lo spazio è molto bello,
allestito con gusto e sobrietà. In una vecchia storia avevo ricordato come la nostra sia la società
dell'immagine, "dell'apparenza", per cui la scelta di una buona cornice per la propria attività non può che
giovare. Se il contenuto della cornice è all'altezza (e in questo caso lo è), tutto dovrebbe andar liscio.
Col tempo sono arrivate molte altre persone, discorso di benvenuto, benedizione, taglio del nastro, applausi,
buffet e chiacchiere libere. Proprio in quel momento ho capito che il sottoscritto non appartiene alla classe
scientifica «Animalia inauguralia» (non me ne voglia Linneo), perché non ha nemmeno una caratteristica in
regola. Innanzitutto, di tutte le persone che si sono presentate alla festa – saranno state oltre 50 – ne
conoscevo soltanto 5: nessuno mi ha presentato agli altri, ma in effetti non sono crucciato per questa cosa,
tant'è che nemmeno io mi sono fatto avanti.
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In molti parlavano di progetti, materiali e impianti, cose di cui i giurisprudenti come me ben poco capiscono;
d'altra parte, proporre una discussione su codici, decreti e sentenze non è salutare (magari si finisce a
parlare di condoni e normativa anti-incendio) e non è prudente chiacchierare di musica, senza conoscere
nulla sui gusti personali degli interlocutori. Secondo (cosa assai più grave), sono refrattario ai rinfreschi, che
solitamente diserto o comunque trascuro, appropriandomi solo di un salatino o di una pasta. Un ospite
asociale si può tollerare, ma un asociale digiunante è inaccettabile: non fa onore alla casa e, se apre bocca,
è terribilmente noioso. Per questo ho ringraziato Roberto e, dopo un'oretta, ho saggiamente salutato i pochi
conoscenti rimasti per prendere la via di casa.
Per concludere, un'altra nota sul look: nel mio profilo già ho fatto cenno alla mia passione per le cravatte,
per cui stamani ero una delle quattro persone munite del suddetto arnese. Peccato che, a motivo del caldo
estivo, avessi optato per una maglietta polo, più informale ma meno foriera di sudore. Nessuno dei presenti
all'inaugurazione ha osato dirmi nulla (forse ricordando il motto di Rinaldi, che alle volte si presenta a scuola
in farfallino e dice: «Nella vita ogni tanto si deve trasgredire»); in compenso, appena tornato nella mia
Guastalla, un'amica simpatica e sincera (dico davvero!), dopo un rapido saluto, mi ha immediatamente
rampognato. Look bocciato, trasgressione finita.
Lo strampalato look di oggi...
... e una foto altrettanto avventurosa,
scattata nel corso di una cena dal mio
fratellone Gelmo (notare la bottiglia,
vera protagonista dell'immagine)
Politica
13/06/2005
REFERENDUM: UNA LUNGA RIFLESSIONE
Autore: Gamma83
13 giugno 2005: probabilmente giorno del de profundis per il referendum in Italia. Mi ero guardato finora dal
parlarne in questo spazio, ma mi pare arrivato il momento di dire qualcosa coram populo internectante,
esercitando in questo modo la mia funzione di cittadino. A chi è interessato, buona lettura.
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Musica
14/06/2005
BUON COMPLEANNO, MAESTRONE
Autore: Gamma83
65 anni fa, in via Cucchiari a Modena, nacque un contastorie, che adesso è laureato in Scienze della
formazione, ma per chi lo segue, lo ascolta, lo legge è rimasto comunque il Maestrone. È bello ricordare così
Francesco Guccini, uno che di storie vere ne ha raccontate tante.
Nel primo disco parlava di «sociali» ipocriti ed «antisociali», di inferni post-atomici e tragedie storiche
avvenute per mano d'uomo, di un'amica partita «così presto» e di fantomatici viaggi milanesi in stile talkin':
il tutto con quella "erre" che assomiglia tanto alla mia e che qualche miope funzionario Rai non gradì,
considerando il signor Guccini Francesco inadatto alla trasmissione radio. Nell'ultimo cd (il ventesimo!) ha
dato voce ad Ulisse ed a Ernesto, ha ricordato Carlo Giuliani; ha cercato di spiegare, con parole magiche e
semplici, cosa sia per lui una canzone e perché non si possa fare a meno delle vite degli altri, con le loro
storie accanto alle nostre. Nel mezzo, sette libri (la trilogia personale, a cavallo tra Pavana, Modena e
Bologna, nonché i quattro gialli scritti con Loriano Macchiavelli), un racconto lungo, il dizionario italianopavanese, una parte in Radiofreccia di Luciano Ligabue, tanti concerti in continuo dialogo con il pubblico ed
una storia in più da raccontare.
Al Guccio devo molto: buona parte della mia coscienza politica, la passione per il valore ed il "gusto" della
parola, una maggiore comprensione dell'animo umano, l'incontro nella musica con alcuni personaggi unici, in
particolare il disegnatore Bonvi (con il quale aveva collaborato a Salomone pirata pacioccone; a lui ed
all'amico Victor Sogliani ha dedicato una splendida Lettera) e Silvia Baraldini (grazie all'artista ho
conosciuto la sua storia ed ho cominciato a capire le contraddizioni della società americana). Varie canzoni di
Guccini sono state inserite nel percorso che preparai in occasione del mio esame di Stato (dalla meravigliosa
L'isola non trovata alla classica, ma non certo scontata Il vecchio ed il bambino). Molti dei miei ricordi sono
legati a Francesco: qualche pagina triste (per anni non ho potuto ascoltare Canzone per un'amica, troppo
legata all'incidente in cui ho rischiato di perdere mia madre), ma molte altre bellissime, specie quelle relative
alla mia pur breve carriera giornalistica (ho recensito alcune sue esibizioni, l'ho intervistato, ma soprattutto
ero presente quando gli fu conferita a Reggio la laurea honoris causa). In più gli sono grato per aver scritto,
assieme a Dati e a Bigazzi, Cyrano, che tante volte ho ascoltato e credo sia davvero il mio ritratto.
«Nell'anno duemilacinque di nostra vita» o comunque quanto prima, spero di poter ascoltare presto il suo
nuovo lavoro, certo di ritrovare gli stessi valori che Francesco Guccini da Modena (ma con l'infanzia a Pavana
ed il cuore a Bologna) offre con coerenza dal 1964 (anno di Auschwitz) a chiunque lo ascolti, «mio ipocrita
uditore, mio simile, mio amico».
Una copertina improbabile, ma che mi piace dedicare a Francesco
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Web
17/06/2005
IL PRANZO È SERVITO ... SUL WEB
Autore: Gamma83
Mi permetto di prendermi un po' di spazio per il ricordo e di riservarlo ad una trasmissione cui ripenso
volentieri: al Pranzo è servito ed al grande sito web che un gruppo di appassionati (del quale faccio parte)
gli ha voluto dedicare: un bel modo per passare un po' di tempo.
Attualità
20/06/2005
LO SAI CHE PIÙ SI INVECCHIA...
Autore: Gamma83
Più il tempo passa, più ci si commisera, ci si commuove (spesso per un nonnulla), ci si rassegna o ci si altera
troppo. Spero dunque che mi perdonerete anche se oggi...
Ho un anno di più ... e qualcosa in meno (Mogol)
Musica
20/06/2005
ALICE: MUSICA E SENSAZIONI DI UNA SERA
Autore: Gamma83
Sabato sera ho passato una serata all'insegna dell'ottima musica (buona sarebbe dir poco). Capita davvero
di rado di poter ascoltare una voce bella, intensa come quella di Alice. Nella sua carriera, almeno un pezzo
da hit parade storica, tante perle disseminate qua e là nei dischi, collaborazioni italiane ed internazionali di
altissimo profilo, nonché una riservatezza ed uno stile davvero encomiabili. Dev'essere per questo che varie
persone di diverse parti d'Italia sabato si sono ritrovate nella bella cornice del cortile di Palazzo Gonzaga a
Guastalla, ascoltando parole, interagendo con l'artista, vivendo emozioni.
«Ho iniziato a scrivere le mie canzoni quando non ho trovato brani altrui in cui potessi rispecchiarmi».
Questa la molla che ha trasformato Carla Bissi da Forlì in Alice: nel 1980 usci Il vento caldo dell'estate e in
tanti notarono quella voce così particolare, tanto abile negli alti quanto espressiva nelle note basse. Il brano,
come ha ricordato Enzo Gentile (giornalista e musicologo, che sul palco ha dialogato con la cantautrice) fu
un "tormentone estivo", ma per l'artista fu la realizzazione di un sogno, «l'aver finalmente trovato qualcuno
sintonizzato con me» ha spiegato.
Neanche un anno dopo Per Elisa si impose al festival di Sanremo (battendo Maledetta primavera, con scorno
di Loretta Goggi) e i critici musicali parlarono di «rivoluzione», di «punto di non ritorno» per la rassegna
sanremese (poi nel 1982 vinse Riccardo Fogli e addio svolta). E quella melodia così incalzante, assieme al
robusto accompagnamento musicale di Franco Battiato e Giusto Pio, entrò nella testa di mezza Italia: ad
Alice Per Elisa portò la definitiva notorietà, ma divenne anche un incubo («Giravo per strada, spesso mi
riconoscevano e sentivo canticchiare o sibilare "Per-E-li-saaaa"; ero tanto ossessionata al punto da non
eseguire, per lungo tempo, quel brano nei miei concerti»).
Il pezzo di Sanremo è forse la pagina più nota del sodalizio con Battiato (che prima o poi su queste pagine
avrà lo spazio che merita: il blog ed il suo curatore gli devono molto, lo si nota fin dalla testata), ma non è la
più affascinante. Alice sabato ha offerto due "assaggi" di Chanson egocentrique (che il Maestro di Jonia non
voleva incidere, e per fortuna anche grazie a lei ha cambiato idea) e dei Treni di Tozeur (forse il brano di
Battiato più riuscito di sempre, ad insindacabile giudizio del sottoscritto) accompagnata alla chitarra dal
bravo Marco Guarnerio, ma soprattutto ha proposto una Prospettiva Nevski pianoforte e voce, per cui
veniva voglia di chiudere gli occhi ed immaginarsi davvero al centro di San Pietroburgo, camminando tra la
neve, incontrando personaggi di lustro e donne all'uscita delle funzioni, oppure ascoltando un maestro per
capire davvero come sia «difficile trovare l'alba dentro l'imbrunire».
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Alice che conversa con Enzo Gentile...
... e accompagnata da Marco Guarnerio
Sono proprio le parole a compiere questo miracolo: le parole che Alice ha voluto valorizzare adeguatamente
nell'ultimo suo lavoro discografico (per il prossimo dovremo attendere un annetto). In Viaggio in Italia Carla
Bissi ha recuperato pagine note o nascoste dei cantautori italiani, testi poetici con la stessa dignità di quelli
di Pier Paolo Pasolini che Mino di Martino ha musicato appositamente per il cd.
Sbagliato ridurre l'operazione ad un disco di covers – probabilmente ci sono cascato anch'io, all'inizio – visto
che qui la parola recupera finalmente tutto il suo potenziale comunicativo. Brani noti come Auschwitz o Il
blasfemo (di Fabrizio De André) stanno benissimo accanto all'ultimo lavoro di Giorgio Gaber Non insegnate ai
bambini e persino ai brani della coppia Battisti-Panella, adeguatamente rivalorizzati. Solo un'artista vera
poteva concepire l'esperienza coraggiosa di God is my dj, il viaggio musicale e personale nel sacro che l'ha
portata ad esibirsi anche davanti a Giovanni Paolo II (lo ha ricordato, con un po' di emozione, sollecitata
dal pubblico).
Alla fine della serata (che mi sono fatto tutta in piedi) ero decisamente stanco, ma soddisfattissimo:
ascoltando Alice si capisce perché artisti di fama mondiale e di notevole levatura, spesso inarrivabili per
stelle e stelline de noantri, abbiano voluto collaborare con lei (Enzo Gentile ne ha ricordati molti, da Phil
Manzanera a Peter Hammil, senza dimenticare Waggershauen e Tony Levin). I brani alternati alla
conversazione hanno fatto trascorrere in un batter d'occhio oltre 100 minuti, con Guarnerio che ha reso
davvero bene le atmosfere dei pezzi (e non è facile sostenere una gemma di Battiato con la sola chitarra);
alla fine c'è stato ancora spazio per due brani firmati Alice (impagabile soprattutto Dammi la mano amore,
punta di diamante dell’album Charade). Si può pretendere altro, da un momento di magia durato quasi due
ore? La risposta trovatela voi.
Una foto ricordo alla fine di una serata fantastica
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Una piccola curiosità: ad assistere alla chiacchierata in musica c'era anche Paola Iori, mia insegnante di
inglese per quattro anni al liceo. Quando ho conosciuto la musica di Alice, mi sono reso conto che Paola era,
in qualche modo, un suo clone. Provate a mettere a confronto l'Alice di Per Elisa e la mia prof, vedrete se
non è così. Per questo, l'incontro tra la cantante ed il suo clone è stato documentato qui.
Alice sul palco di Sanremo
Paola Iori ed Alice
Introspezioni
30/06/2005
IMPRESE FOLLI E SPECCHI DI CARTA
Autore: Gamma83
Lunedì ho superato bene l'esame di Diritto del Lavoro, dopo un mese di studio altalenante e dieci giorni di
indigestione giuridica. Neanche il tempo di tirar fiato, visto che la sera stessa stavo sui libri di Diritto Penale.
Tutto per tentare un'impresa da folli: cercare di presentarmi all'appello del 7 luglio. Nessuna mente sana
(«nessun agente modello», direbbe il mio docente di Penale) avrebbe preso in considerazione una simile
ipotesi: staremo a vedere se mi sarà riservata una randellata in piena faccia o, piuttosto, qualcosa di meglio.
Per rimandare di qualche giorno l'esaurimento, frattanto, la mia mente autonomamente ha deciso di
impegnarsi in un simpatico giochino. Potremmo chiamarlo Specchi di carta e funziona così: in quali
personaggi "cartacei" ritrovi la tua immagine? Qualunque ambito letterario è concesso, dagli oscuri
frammenti di Saffo e Alceo all'ultima fatica (si fa per dire) di Melissa P, senza scordare fumetti, testi teatrali e
quant'altro sia stato, nel tempo, scritto, stampato e diffuso. Forse è una perdita di tempo, ma alla fine si sa
qualcosa di più su sé stessi rispetto a prima.
Il primo personaggio-specchio della mia vita è stato Paperino: fin dall'inizio ho provato simpatia per lui,
quando ancora credevo che «simpatia» avesse solo un significato ridanciano. Ora, che ho imparato il vero
significato di quella parola (tradotto a braccio, «comunanza di sentire»), so che quella sensazione era giusta:
ci accomuna spesso una cronica sfortuna, specie sul piano pratico; anch'io ho fissazioni sugli indumenti
(niente casacca marinara e papillon, solo la già nota cravatta), nonché un Paperoga (anzi, più d'uno, magari
compreso il sottoscritto) che ogni tanto si fa vivo, proponendo idee strampalate. Unica differenza sensibile:
Paperino per lo meno ha una fidanzata, con cui litiga spesso, ma fa parte della commedia umana.
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Credo che il mio specchio più fedele in assoluto sia Cyrano: mi mancano il naso fuori misura ed il piglio da
guascone, ma il resto quadra. Dal fisico tutt'altro che notevole, inguaribile (ed inapplicato) romantico,
fustigatore alla bisogna (anche e soprattutto su queste pagine), ideatore di missive altrui (l'ho fatto davvero
a volte) ma sempre e comunque solo, spesso mi sono identificato con lo spadaccino di Rostand. Non è un
caso che la mia canzone preferita in assoluto di Francesco Guccini sia Cyrano: un ritratto decisamente
somigliante, per uno che non sopporta «i nani» come i «feroci conduttori di trasmissioni false», ma che, alla
fine non ha una compagna «per colpa o per destino» e si sfoga scrivendo (costringendo chi incappa in un
suo articolo o nel suo blog ad una sofferenza indicibile, suppongo).
Per un certo periodo (dalla fine del liceo fino ad alcuni mesi fa) mi sono sentito vicino al «vecchio marinaio»
fissato sulla carta da Coleridge. Ho ripercorso alcune delle sue tappe: un naufragio (sia pure di natura
personale), il tormento, la confessione ed il continuo racconto del mio errore, unica strada per purgarmi e
non rendere inutili i miei scampoli di vita. E se, in un certo senso, ho visto «il ventre del mare», ma poi sono
tornato, come Darrell, il marinaio tracciato da Baricco in Oceano mare (lui però preferiva tacere, facendo
forse meno danni), ora sento di somigliare decisamente ad Alex D, il protagonista del Jack Frusciante di
Enrico Brizzi. Un personaggio che cerca a tutti i costi di «uscire dal libro» e per questo mi piace. Creo di
essere appena meno "sfatto" di lui (niente fughe e vodke e serate etiliche e puttansuore e), ma anch'io ho
conosciuto un'Aidi con cui non sono riuscito a parlare, per la quale sono stato (sto?) male e alla quale vorrei
chiedere ancora perché?
La lamentazione è finita: chiedo scusa se il gioco ha intristito qualcuno. Ma adesso mi conoscete meglio e, se
lo stomaco non vi si è guastato, potrete passare ancora di qui.
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Luglio 2005
Attualità
02/07/2005
RISPOSTA... INDECENTE
Autore: Gamma83
Ho letto volentieri, su consiglio di Flavia (che amministra il blog Caravaggio – in ordine sparso) alcuni dei
suoi post in cui si parla di Sicilia e di politica. Mi permetto, a lettura avvenuta, di rovistare nell'archivio della
mia (piuttosto esigua) esperienza.
Conosco poco la Trinacria: ci ho passato solo 10 giorni della mia vita, decisamente pochi per costruirmene
un'idea decente. All'isola, tuttavia, sono legati alcuni dei miei ricordi più belli. I luoghi che ho visto in quel
viaggio estivo, compiuto da fresco sedicenne (indimenticabili Monreale, i templi greci, Piazza Armerina); i
cannoli siciliani appena fatti e la pasta di mandorle; le opere di Pirandello, che ho portato persino
all'esame; le storie di Andrea Camilleri, il cui idioma italo-siculo mi ha affascinato anche in questo periodo
di tensione pre-esame (gli ultimi due libri di Montalbano divorati in due giorni): tutto questo non può che
«pittare» bene l'immagine della Sicilia. L'isola, poi, annovera tra i «figli so» anche Antonio Roccuzzo, il mio
primo caposervizio al giornale: non potrò mai dimenticarlo, perché mi ha insegnato a lavorare e molte altre
cose (anche l'umiltà, visto che si definiva egli stesso un «terrone», cui noi aggiungevamo subito «buono»).
Per tutti questi motivi, non posso che essere fiero di quella terra.
O almeno dovrei. Perché, ad esempio, quando leggo su Televideo che uno studente universitario blocca il
cammino (ormai prossimo al traguardo) della laurea honoris causa a Franco Battiato, buttando la
faccenda in politica, mi arrabbio terribilmente. L'artista medita di andarsene da Catania in caso di vittoria
della CdL? E noi (anzi, io), visto che abbiamo vinto, la laurea non te la diamo. Immagino che Battiato, da
persona "superiore" quale è, non abbia accolto con turbamento la notizia; a turbarsi sono quelli come me,
che credono che la cultura sia "altro" dalla politica, e che tra una laurea in Scienze della comunicazione a
Valentino Rossi (con tutto il rispetto per lui e i suoi sostenitori) ed un titolo a Battiato sia assai più meritato e
motivato il secondo.
Non sono disposto a credere all'equazione «x siciliani = x terroni» (parola che pure, inizialmente, era uno
stato di fatto, addirittura con una connotazione affettuosa); né intendo sostituire, sic et simpliciter, terroni
con mafiosi (è ingiusto e ingeneroso). Non posso avercela con la Sicilia, che mi permette di ghignare quando
sento parlare Aldo (Baglio) o Giovanni Cacioppo, di ridere a crepapelle quando vedo Fiorello, persino
quando clona Ignazio La Russa. Certo, non mi allietano affatto Schifani e gli altri. Ma forse è colpa mia, non
certo del Sud.
Attualità
07/07/2005
"OTIA" ESTIVI E CATTIVE NOTIZIE
Autore: Gamma83
7 luglio, ore 10 e 30 (all'incirca): sono iniziate ufficialmente le vacanze del sottoscritto. Da oggi sul mio
libretto universitario figura anche l'esame di Diritto Penale (Qualcuno dall'Alto deve avermi dato una buona
mano, dunque lo ringrazio), per cui finalmente posso inaugurare un periodo di riposo. Preferirei, in verità,
parlare di otium: dedizione alla lettura, alla buona musica, ad approfondimenti personali ed agli svaghi in
comitiva, pur senza trascurare le attività che mi competono. Niente nullafacenza, dunque (il relatore della
mia tesi di laurea ed il mio capo al giornale non sarebbero contenti), ma un po' di "sano sfogo".
Certo, avrei preferito ricrearmi dallo "stress post-esame" apprendendo notizie migliori di quelle che i
telegiornali propongono, a ciclo continuo, da questa mattina. Sapere che persone normali sono morte in
tragedia, senza avere in sé alcuna colpa, mi rattrista decisamente. Sono stanco da tempo di vedere che i
tiggì e i quotidiani inanellano troppo spesso penose serie di notizie dolorose (anche se bisogna darle: è
altrettanto sbagliato tacerle o minimizzarle, facendo passare l'idea che «tutto va bene»).
Anche per questo vorrei ricordare a tutti una poesia di Gianni Rodari, un autore che affascina i piccoli, ma
piace anche ai grandi. Egli, nel parlare dei mestieri (anche attraverso colori e odori) tratteggiò pure Il
giornalista: i versi hanno circa 45 anni, ma li sottoscrivo in pieno, e vorrei che un giorno fossero realtà.
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O giornalista inviato speciale
quali notizie porti al giornale?
Sono stato in America, in Cina,
in Scozia, Svezia e Argentina,
tra i Soviéti e tra i Polacchi,
Francesi, Tedeschi, Sloveni e Slovacchi;
ho parlato con gli Eschimesi,
con gli Ottentotti e con i Siamesi,
vengo dal Cile, dall'India e dal Congo,
dalla tribù dei Bongo-Bongo...
e sai che porto? Una sola notizia!
Sarò licenziato per pigrizia,
ma la notizia è sensazionale
e merita un titolo cubitale:
tutti i popoli della terra
han dichiarato guerra alla guerra.
Musica
09/07/2005
COME TROVARE L'ALBA DENTRO L'IMBRUNIRE
Autore: Gamma83
«Ci sono concerti e concerti», ha esordito in un suo recente post l'amica Farewelll (gucciniana di ferro,
come me), ed ha ragione. La nuova storia è per l'appunto dedicata al concerto più bello della mia vita, cui
ho assistito quasi un anno fa. È un ricordo ed insieme un omaggio a un grande artista e a una persona
"superiore": Franco Battiato.
Libri
11/07/2005
VIAGGIATORI NOTTURNI...
Autore: Gamma83
Sono contento che il Premio Strega sia andato a Maurizio Maggiani ed al suo Viaggiatore notturno. E non
solo perché il romanzo è davvero molto bello: è come se quel riconoscimento toccasse anche a chi, come
me, è rimasto colpito a prima vista dall'autore.
Vi è mai capitato di comprare un libro sapendo poco o nulla di chi lo ha scritto? Per me è stata la prima volta
e lo devo proprio a Maggiani e a Fabio Fazio, che lo ha ospitato nella sua imperdibile trasmissione Che
tempo che fa. Dell'opera mi attirava il titolo (io adoro l'idea del viaggio), dell'autore le sue parole. Ricordo
che parlò del suo rapporto col padre (che indubbiamente nel libro emerge): un padre che aveva fatto la
guerra giovanissimo, e che insegnava la vita a Maurizio. Mi sono rimaste impresse queste frasi: «Mio padre
mi diceva in dialetto: "Gioca tu, che puoi giocare"; mi faceva mangiare molto, dicendo "Mangia, tu che puoi
mangiare". Si arrabbiava quando non studiavo e mi rimproverava: "Studia, tu che puoi studiare"; da lui ho
imparato che la vita è conoscenza, gioia e salute». Basta questo per convincervi a comprare il libro di cui si
parla? Per me è stato sufficiente.
Non mi sono pentito della mia scelta. Sono tante le storie di viaggiatori (persone ed animali), che si
intrecciano nel libro. C'è il protagonista narrante (a tratti sembra difficile distinguere la sua voce scritta da
quella di Maggiani), un "irundologo", un esperto delle rondini e delle loro migrazioni. Lo troviamo in Africa,
nel deserto, ad attendere l'arrivo degli uccelli. Nel luogo in cui, per antonomasia, non c'è vita, essa finisce
per manifestarsi in molte forme: i tagil, un popolo dalla lingua senza scrittura, che stima le donne, dimostra
una fiera saggezza e non si mette in viaggio senza un poeta; un ulivo, che vive da millenni nella spaccatura
di una roccia senza che esista un motivo razionale; un uomo nudo, o forse con maglietta e pantaloni militari,
che cammina nel deserto, ma che «da un punto di vista ragionevole [...] non dovrebbe essere qui, e se fosse
qui non dovrebbe essere vivo, non più da un bel pezzo».
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Nel racconto del protagonista si affacciano vari personaggi, a partire dal padre Dinetto (abilissimo con le
mani) e da père Focauld, figura di asceta francese un tempo soldato, indubbiamente ispirata a Charles de
Focauld, ma che lungo tutto il romanzo fa riemergere riflessioni e pensieri elaborati (ottimamente) dallo
stesso Maggiani. Si mescolano le storie: la migrazione delle rondini riporta lo studioso all'unica volta in cui
gli chiesero di occuparsi di orsi. È così che l'irundologo scopre che l'orsa Amapola ha lasciato i Balcani per
fuggire la guerra; una traccia di sangue sul pelo dell'orsa porta ad una donna misteriosa, la Perfetta,
incontrata nel racconto di un armeno e poi alle porte della città bosniaca di Tuzla. La stessa città che, due
giorni dopo l'arrivo del protagonista cade tra il sangue, alla fine di un lungo assedio. E nelle zone di guerra si
deve comunque viaggiare: di notte, perché è più sicuro.
Non si tratta affatto di «troppe idee e tutte confuse», come l'insegnante di Lettere rimproverava a Maggiani:
è piuttosto l'intreccio (comune e quotidiano) delle vita, un continuo ed inevitabile rimando ad esperienze già
vissute, a ricordi ed impressioni. Ed è anche una storia della bellezza: la meraviglia dell'ulivo in quella parte
di deserto, considerata alternativamente «il buco del culo del mondo» o «il centro dell'universo»; le luci negli
occhi di una giovane tagil o della Perfetta, che continua ad incedere, con la sua sacca di plastica; la
consapevolezza, soprattutto, che anche nel disastro della guerra «la bellezza è essere. Essere sempre è ciò
che ci è chiesto».
È vero, per dirla con Maurizio Maggiani, che «conta davvero fare la vita, non raccontarla»; ma leggete
questo libro. Vi spingerà a finirlo, a ricordare, a riflettere: a vivere, insomma.
Libri & musica
13/07/2005
ESTATE IN MUSICA, IERI E OGGI
Autore: Gamma83
Ogni estate porta con sé alcune canzoni, fa conoscere artisti a volte meritevoli, altre volte presto dimenticati;
certi brani resistono al tempo e «si fanno ricordare», come recita lo slogan di una nota emittente
radiofonica, altri naufragano nel mare estivo, senza troppi rimpianti delle stesse persone che avevano
comprato il disco. Un'ottima guida alle "canzoni sotto l'ombrellone" è l'ultimo libro di Enzo Gentile
(giornalista e musicofilo da sempre), che per il titolo sceglie proprio uno dei successi estivi, Legata a un
granello di sabbia (brano datato 1961, successo intramontabile di un ispirato Nico Fidenco).
Il volume (edito da Melampo e con una saporosa prefazione di Gianni Mura) ripercorre in poco meno di
200 pagine oltre 40 estati musicali italiane, tra ricordi, analisi sociali e di costume ed interessanti racconti di
chi c'era. Vietato attendersi un pesante elenco di nomi, date e aneddoti: non si racconta così la vita.
Perché proprio attraverso le canzoni dell'estate de noantri possiamo imparare molto su noi stessi, su come
abbiamo cambiato la musica e viceversa. A decidere la sorte delle canzoni nelle manifestazioni estive
principali (di cui Gentile ricorda utilmente la genesi e, in due casi su tre, l'estinzione) erano i consumatori di
dischi, che votassero con le palette (Cantagiro), con le cartoline (Disco per l'estate) o con le monete nel
juke-box (Festivalbar); spesso però gli stessi consumatori di dischi poco sanno del ruolo di autori,
discografici e speaker radiofonici.
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Un successo estivo poteva essere la versione italiana di un brano straniero o una melodia pensata sul ballo
del momento (così Edoardo Vianello ha costruito gran parte dei suoi successi); lo stesso brano poteva
essere inserito in un video da cinebox (poco visto in Italia) o in un film (come i "musicarelli" di Fizzarotti &
co, girati con pochi soldi e destinati a sbancare il botteghino grazie a Morandi, Bobby Solo, Al Bano...)
oppure tornare in auge molti anni dopo, magari rifatto in versione spensierata da Ivan Cattaneo o inserito
in una inevitabile trasmissione di revival oppure sparato a palla in chiave disco-remix (vedi Bandiera gialla,
botto di Gianni Pettenati ora suonato a ritmo di tunz-tunz nei locali). Il libro, con brio, arguzia e
competenza, racconta tutto ciò: anche per questo, il 22 luglio l'autore riceverà il prestigioso premio Lunezia,
come autore del miglior libro dell'anno in ambito musicale.
Il sottoscritto con Enzo Gentile...
... e la copertina del libro
Nei 158 brani estivi individuati da Enzo (l'elenco è ben rappresentativo, ogni pezzo ha note illustrative) ci
sono ben 7 canzoni di Vianello, i tre successi maggiori dei Righeira (Vamos a la playa in testa), una valanga
di cover spesso affidate a gruppi famosi (Dik Dik, Equipe 84, i Nomadi di Come potete giudicar) o a
formazioni che spesso debbono la loro notorietà a quell'unico brano (Franco IV e Franco I, Giuliano e i
Notturni, quelli del Ballo di Simone, in un certo senso i Cugini di Campagna e Maurizio); tra la musica
d'autore che ha retto bene l'estate anche gemme di Claudio Baglioni, Franco Battiato, Francesco
Guccini (Dio è morto per i Nomadi), Ricky Gianco e Gino Paoli, pietre miliari della coppia MogolBattisti (dimenticare Acqua azzurra acqua chiara o Questo folle sentimento? Scherziamo?), nonché buone
prove di Gianna Nannini, Nada ed Alice (tra le altre donne presenti in questa summer hit parade,
Caterina Caselli, Mina, Patty Pravo, Giuni Russo e Rita Pavone).
I pezzi scelti da Gentile (alcuni dei quali proposti anche nella loro veste grafica, grazie alle copertine messe a
disposizione da Italo Gnocchi) mi erano noti al 90%, e questo mi fa piacere. Mi stupisce invece constatare
che su 158 canzoni, soltanto 35 siano più giovani di me (dalle pressoché coetanee Bollicine e Vamos a la
playa alle più recenti Fuori dal tunnel e La canzone del capitano). E in quel 20% di brani pubblicati dopo l'83
ci sono pagine d'autore (Bennato, Ligabue, Paoli, Vasco, Vecchioni), canzoni interessanti o
semplicemente divertenti (Frena, La mia signorina) ma anche one shots di rapido consumo, se non
imbarazzanti (parlo di pezzi come Vamos a bailar o www.mipiaci.tu). Altri brani, semplicemente, non hanno
lasciato traccia: e pensare che alcuni dei pezzi estivi più datati sono sopravvissuti quasi 50 anni.
Musica
14/07/2005
MUSICALMENTE NON TUO... LUCIO
Autore: Gamma83
Tra i volti e le figure musicali inserite nella testata del blog manca quello di Lucio Battisti. Non è forse
l'artista che mi rispecchia maggiormente, ma sono tra i primi a cantare e suonare i suoi pezzi quando, in
mezzo a un crocchio di amici, in un pullman o in una escursione, improvvisamente spunta una chitarra. Mi
sembra giusto, pertanto, dedicare a Lucio la nuova storia, scegliendo però un punto di vista particolare: ho
parlato di alcune iniziative più o meno "battistiane" con il loro ideatore, il giornalista Franco Zanetti. Buona
lettura.
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Televisione
17/07/2005
VERY ENGLISH, MR CAPRARICA
Autore: Gamma83
Nella mia pur breve carriera di giornalista (uh, che parolone) / scribacchino (più realistico), ho avuto modo di
conoscere colleghi "veri": dai redattori del mio giornale (alcuni, più che colleghi, sono diventati amici) a
persone trasformate in "divinità" dal piccolo schermo. Di altri ho solamente seguito il loro lavoro, cercando di
imparare qualcosa dal loro modo di porsi davanti alle notizie e al pubblico. Come è ovvio, ho individuato dei
modelli, diversi a seconda dell'argomento: ad esempio, nello sport vorrei avere la competenza e la
compostezza di Claudio Valeri (che, peraltro, non è sguarnito sulla musica); nella scienza ammiro la
chiarezza di Piero Angela; potrei proseguire, ma rimando l'elenco completo ad altra sede.
Dovendo scegliere, però, in assoluto il mio "mito" personale tra i corrispondenti attuali (per il passato idem
ut supra), non avrei dubbi: indicherei immediatamente Antonio Caprarica. Avevo 10 anni, ma ricordo il
volto di Caprarica nei servizi da Mosca, il posto che fino a pochi mesi prima era stato di Demetrio Volcic.
Scopro solo ora il suo curriculum: giornalista politico all'Unità, poi a Paese Sera, per diventare corrispondente
dalla zona calda del Medio Oriente (1989-92); ignoravo completamente che si dedicasse anche alla scrittura
(nel sito di Che tempo che fa leggo che ha all'attivo due best-sellers degli anni '80, sarei curioso di trovarli).
Di Caprarica ammiro praticamente tutto: lo stile, il viso rassicurante, il modo di parlare forbito, il vezzo che lo
porta a dire «iersera», come nessun altro, ma soprattutto l'ironia very english che traspare quasi sempre nei
suoi servizi da Londra. Mia madre dice che tutti coloro che corrispondono dall'Inghilterra finiscono per
acquisire quel modo di fare (lei pensa soprattutto a Sandro Paternostro); può essere, ma credo che
Antonio Caprarica (senza far torto a nessuno) attualmente sia tra i migliori. Nei giorni dell'attentato
londinese ha gestito ottimamente il lungo spazio a lui affidato all'interno dei telegiornali, trattando le notizie
e lanciando i servizi con sobrietà e prontezza. Egli si dimostra tanto serio e lucido nelle situazioni difficili,
quanto gradevole e scherzoso nel misurarsi con argomenti più leggeri e quotidiani.
Qualcuno lo accusa, talora, di eccedere nel gossip, ma non credo che le cose stiano così: non sempre c'è un
fatto di cronaca "seria" da raccontare, ed il corrispondente si occupa anche di descrivere la società ed il
costume. Inevitabile, per chi si è trovato a Londra in questi anni, dedicare più di un pezzo alle vicende
(spesso tragicomiche) della famiglia reale: non è un caso che molti di quei servizi abbiano costituito
materiale per un simpaticissimo programma di RaiSat Extra: Cinema Caprarica. Servizi confezionati con la
giusta dose di levità, che oltre che l'Inghilterra ritraggono gli inglesi ed il loro modo di vivere o di complicarsi
la vita. Ad una persona così si può perdonare tutto, financo le cravatte avventurose che, di tanto in tanto,
indossa. Forza Antonio Caprarica: i fans attendono un nuovo pezzo da Londra.
Un impeccabile Antonio Caprarica in smoking
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Libri
19/07/2005
ESPLORARE IL MONDO DI PATRICIA WOLF
Autore: Gamma83
A volte la musica fa strani scherzi: fa incontrare persone distanti chilometri, senza che si conoscessero
prima. Poco più di un anno fa avevo scoperto che esisteva una versione italiana di Je entends siffler le train,
che avevo conosciuto nella bellissima interpretazione di Battiato; mi ero messo in testa di cercarla, senza
successo. Un giorno, cercando su internet, trovai un racconto che cominciava con quelle parole: «Sento già
che il treno va». Lessi il racconto (che si chiamava Donna per un giorno), mi colpì molto: il sito che lo
ospitava mi mise in contatto con l'autrice che fu gentilissima. Non solo mi fece avere la canzone di Richard
Anthony che cercavo da tempo, ma mi mandò anche il suo ultimo libro: Fuori dal gioco.
Sfogliai quelle pagine con curiosità e, storia dopo storia, sentivo di non volermi fermare. I personaggi che
animavano quei racconti erano (sono) maledettamente veri, quasi sempre "diversi", per un motivo o per
l'altro. Soprattutto in ogni storia non mancano i due agenti vivificanti: la musica (nelle sue varie forme,
ascoltata, suonata, idolatrata) ed i sentimenti. Per questo ho voluto sapere di più sull'autrice, Patricia Wolf:
dietro questo pseudonimo si cela una giornalista, che ama lo sport, la vita e la musica sopra ogni cosa; una
persona con una sensibilità non comune, capace di cogliere e (cosa non da tutti) di esprimere ogni
sfumatura del sentimento. Senza paura di raccontare, con profondo realismo, situazioni personali estreme
che caratterizzano la vita di ogni giorno.
Nella sua parte di mondo accessibile a tutti (il sito www.patriciawolf.net) si può scoprire molto di lei, delle
sue influenze cinematografiche, letterarie e musicali (piuttosto esterofile, dall'anima rockettara al
rhythm&blues, senza trascurare la prima fase di Gianna Nannini ed il talento inarrivabile di Mia Martini);
soprattutto si può trovare il "suo" mondo, raccontato dalla sua stessa penna, o in forma di autobiografia
(Dietro la maschera) o attraverso le storie che racconta, servendosi di personaggi o della poesia (che
peraltro si ritrova anche nella prosa). Tipico di chi «esce dagli schemi» (come mi ha scritto nella dedica del
suo libro) riuscire a fare tutto questo con molta coerenza e con il necessario coraggio, quello che serve a
mettersi in contatto con gli altri e a disvelare la propria idea di sentimento. Se amate le emozioni, le vostre e
quelle degli altri, per "conoscere" e vivere, leggete i libri di Patricia: non si resta delusi. Mai. Perché questo è
il racconto:
Raccontami
un tuo scorcio d'esistenza
Raccontamela a piccoli sorsi
per non ubriacarmi in una notte sola
Raccontamela in punta di piedi
scalzi su un sentiero impolverato
Raccontamela tenendomi lì
un dito sulle labbra
come a resuscitare un sapore di favola
[...]
Ma fa’ in fretta o finirò per credere
d'averla già ascoltata
e vagherò
folle e sbigottita
in fondo alla notte
ridendo da sola
della mia pazza ingenuità
di continuare ad aspettarti.
Politica
21/07/2005
CONTRORIFORMA PUNITIVA: L'HA DETTO LUI
Autore: Gamma83
Chissà se qualcuno spiegherà ai festanti leaders della Casa delle Libertà (orgogliosi per aver sbarrato un altro
punto del programma) che non vale la pena di stappare lo champagne e che, in ogni caso, la festa l'ha
rovinata il Capo in persona.
Se qualcuno si fosse limitato ad ascoltare le dichiarazioni dei parlamentari di maggioranza, avrebbe potuto
persino credere che quella appena approvata dalla Camera fosse una buona riforma dell'ordinamento
giudiziario. Forse ascoltando le critiche dell'opposizione quell'idea avrebbe potuto vacillare (ma chi dà ancora
credito, oggi, a questi avanzi di comunisti, giusto?); magari le critiche degli addetti ai lavori, magistrati ed
avvocati, l'avrebbero messa in serio pericolo. Ma il Grande Capo (le maiuscole, beninteso, sono fuori luogo)
non ha resistito ed ha parlato di «giudici assistiti da pm che purtroppo la sinistra ha saputo impiantare
nell'asse della giustizia e che quindi ancora oggi hanno posizioni troppo vicine a partiti dell'attuale
opposizione».
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A questo punto negare la natura «puntiva» (l'ha dichiarato il presidente dell'Anm) della riforma è perfino
imbarazzante. Naufraga miseramente il tentativo di far credere indispensabile e non rinviabile quella legge.
Forse non tutto è da buttare, intendiamoci, ma qui si continua a negare l'evidenza. Come si può dire che la
fiducia è necessaria per assicurare immediatamente ai cittadini una buona legge, quando essa scontenta
gravemente avvocati e magistrati (ovviamente per motivi diversi)? Perché ci si preoccupa di censurare in
blocco le critiche del Csm (sulle forme di quelle osservazioni si può discutere), quando il Parlamento è sì
titolare del potere legislativo, ma annovera al suo interno un buon numero di avvocati, specie in uno dei due
schieramenti? Castelli ha ricordato fino alla nausea (la nostra, non la sua) che i magistrati devono applicare
le leggi, non criticarle: forse che non potranno nemmeno dire la loro su un provvedimento che li riguarda in
prima persona?
Qui mi fermo: mentre stavo scrivendo, son capitato sul sito di un quotidiano ed ho appreso di un nuovo
attentato a Londra. Nessuna vittima, a quanto pare (per fortuna); in ogni caso, questa faccenda è ben più
grave della legge-frusta approvata ieri. Meglio pensare ai guai veri. Anche perché domani Lui dirà che quei
cattivoni di giornalisti lo hanno franiteso.
Musica
24/07/2005
HADLEY E FABER: EMOZIONI DIVERSE
Autore: Gamma83
I concerti danno emozioni. Ogni volta diverse tra loro, ma sempre emozioni. Questa sera andrò a sentire (e
ad intervistare) i Negramaro alla festa della Birra di Casoni (Re), ma vorrei mettere a confronto due serate
diverse (anche se susseguenti) e due emozioni diverse. Quella di martedì, sempre a Casoni, e quella di
mercoledì, davanti alla televisione.
Martedì sul palco di Casoni c'era Tony Hadley, per quasi un decennio voce e leader degli Spandau Ballet.
Un gruppo di culto per gli amanti di quel periodo, assieme ai Duran Duran; un gruppo quasi sconosciuto per
me, che avevo 5 anni quando la band si sciolse (ricordo solo che erano invitati ad una puntata di TeleMike,
anche se, in realtà, dovevano essersi già sciolti). Dovevo fare la recensione per la Gazzetta di Reggio, per cui
sono andato al concerto pur con la mia ignoranza sul gruppo. Devo dire che ho fatto bene.
Pur conoscendo solo una canzone su 15 (in particolare, i coretti di True), ho ascoltato brani degli anni '80
che mi fanno rivalutare quel decennio (troppo spesso l’avevo associato alle batterie elettroniche, alle luci
disco ed alle peggiori scenografie della storia). Forse anche grazie all'ottima band di martedì, forse grazie
alla sua voce potente che non è mai cambiata, Tony Hadley ha regalato emozioni a tutti: al pubblico che,
tutto assieme, lo segue da anni ed ha cantato a memoria i brani; a quelli come me, che hanno apprezzato
per la prima volta Through the barricades o Lifeline, ma che non hanno disdegnato affatto le covers di lusso
che Hadley ha infilato tra un pezzo e l'altro: su tutti Walking in Memphis e Suffragette city. Una serata che
ricorderò: anche se sono tornato a casa alle tre; anche se ho dovuto fare l'intervista in inglese, lottando
contro la supersonica parlata di Tony e i limiti temporali ineludibili della produzione.
Mercoledì, invece, ho seguito il concerto in memoria di Fabrizio De André trasmesso da Rai1. Ho già
scritto, un mesetto fa, che col tempo si piange con poco: confermo, visto che per i primi tre pezzi ho pianto
incessantemente, forse perché il primo era Le nuvole, forse perché Il pescatore un po' a Faber doveva
somigliare, forse perché Marinella esiste anche oggi, ma nessuno si preoccupa più di dedicarle una canzone.
Col senno di poi forse non tutto è stato perfetto dal bellissimo anfiteatro di Cagliari: non sempre impeccabile
Pamela Villoresi, ahimé proprio sulle Nuvole (mi spiace perché lei è brava, forse era emozionata); un po'
troppo imprecisi i cantanti, che tante volte hanno sbagliato il testo, proprio nel ricordare un artista che nei
testi aveva trovato la sua cifra principale; almeno un abbinamento azzardato, perché non era il caso di
affidare un pezzo relativamente composto come Canzone dell'amore perduto a Dolcenera, che invece ha
fatto bene il brano omonimo e avrebbe reso benissimo Amico fragile (che invece non ho sentito, forse
perché troppo lunga).
Ciò detto, per me è stata una bella serata: ho rivisto artisti che il piccolo schermo spesso emargina (su tutti
Francesco Di Giacomo e Andrea Parodi, senza nulla togliere alla bravura di Massimo Ranieri). Ho
avuto conferma del fatto che il talento, almeno ogni tanto, viene premiato: cos'altro dire davanti alla
versione di Volta la carta proposta dalle Balentes, che forse qualcuno ricorda come «le antagoniste italiane
alle Las Ketchup» col loro brano sardo Cixiri (mercoledì, invece, alla loro bellezza si accompagnavano i lunghi
e fruttuosi studi di canto).
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Soprattutto ho sentito canzoni che in tv non ci erano finite quasi mai, per i temi trattati e per la censura di
mamma-matrigna Rai: Via del campo (buona l'accoppiata Mario Venuti - Nicolai & Di Battista), Il
testamento (Neffa), Inverno (ancora Nicky Nicolai), La città vecchia e La ballata dell'eroe (brani
interpretati dalla sensibilità di Sergio Cammariere). Due appunti, per finire: 1) perché nessuno ha fatto Il
testamento di Tito, che sarebbe stato perfetto, magari grazie a Morgan e Di Giacomo? 2) Perché, se Neffa
e Venuti hanno pronunciato in video la parola «puttana» (e Morgan in Un giudice ha parlato di «buco del
culo»), perché così stava scritto nei loro pezzi, Antonella Ruggiero si è preoccupata di tagliare da Creuza
de ma il verso allusivo che parlava sì di preservativi, ma era meno diretto ed addirittura scritto in genovese?
Peccato Antonella, perché Ave Maria l'hai cantata benissimo...
Attualità
26/07/2005
BATTITO DI CIGLIA (DAL BRASILE, N°1)
Autore: Botta
Ospito volentieri un intervento di Matteo Boattini, che ho conosciuto due settimane fa a casa di un
comune amico. Matteo (per tutti Botta) è arrivato in Brasile il 19 luglio e ci rimarrà per un po' di tempo,
stando a contato con la realtà di quel luogo: quella che, spesso, in tv non ci fanno vedere. Mi auguro che
l'appuntamento possa proseguire nel tempo, perché Botta possa raccontare pienamente il suo Brasile.
Gamma83
Il destino (o "Nostro Senhor", come dicono quaggiù) ha deciso che debba lanciare qualche segnale di fumo
da una stazione di autobus, effetto collaterale di una terapia che mi vuole sempre di passaggio.
La prima settimana in Brasile é passata, Sao Paulo é immensa e molto variegata. Ho conosciuto solo una
piccolissima parte della realtà di Padre Lancillotti, vero e proprio profeta della strada con carisma
sudamericano e senso del traffico arabo.
Gestisce da più di quindici anni una casa-comunità (CASA VIDA) per bambini e adolescenti sieropositivi,
orfani o reietti. Hanno tutti un'immensa voglia di vivere: fino a qui sono stato piuttosto banale.
E allora succede che passi del tempo con loro, usano le tue spalle come trespoli, le ragazzine adolescenti
ridono e scherzano sui tuoi capelli-tagliati-da-solo e il tempo passa. Dividono tutto, con i loro fratelli e con te
che sei ospite. Gradito, sempre.
Poi a tavola ti inchiaccheri, ti raccontano di loro, Thais e Angelica hanno circa 17 anni e vorrebbero fare le
attrici. Thais sta molto attenta a ciò che mangia perché non vuole ingrassare, poi a tavola mi dice che lo
scorso anno é stata ricoverata diverse settimane per una fastidiosa polmonite e "agua nei polmoni", come
dice lei. Ha sofferto tanto ma é ancora lí.
Mi dice anche che la dottoressa sospetta che potrebbe essere affetta da tubercolosi. Mangia un cucchiaio di
gelato e di nascosto butta nel mio piatto quello che avanza. Ha solo paura di ingrassare.
E poi Sao Paolo é un mare di stracci e merda, di bitorzoli di uomini e donne ubriachi che vivono per strada,
sotto-sopra e dentro i viadotti. Razzolano tra l'immondizia alla ricerca di qualcosa di cui sfamarsi.
Suor Ivette mi ha detto che nessuno a Sao Paolo muore di fame, i rifiuti dei ricchi riescono a sfamare i più
poveri e i poveri che stanno per strada si "accontentano" di mangiare merda e di dormire per strada con
qualche straccio addosso pur di trovarsi qualche "real" extra per ubriacarsi.
La risposta che Suor Ivette si é data é che il riscatto del povero parte dalla dignità che ci si può guadagnare
attraverso il lavoro e allora ha partecipato alla fondazione del Movimento "Catadores de Rua", raccoglitori e
riciclatori di rifiuti.
La rivoluzione nasce dalla creatività degli indigeni. Forse non basterà ma così é.
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Musica
28/07/2005
CHI FA DEL MALE ALLA MUSICA
Autore: Gamma83
Finora della musica ho cercato di parlare bene (e ci mancherebbe: una vita senza suono sarebbe
assolutamente incolore), ma questo non significa che il pianeta musica sia completamente "mondo": è
venuto il momento di dire alcune cose su certi signori e certi modi di fare.
Volutamente non ho detto nulla dopo il concerto dei Negramaro, cui ho assistito domenica a Casoni, ed è
stato un bene. L'esibizione mi è piaciuta molto: ciò non toglie che il personale del retropalco fosse il più
maleducato che io abbia mai visto. Vietato stare dietro al palco, anche se non si sta facendo nulla di male.
Vietato anche chiedere il motivo del divieto: quei loschi figuri dovevano essere ferventi adoratori del motto
«è così perché è così (e l'ho deciso io)». Ho visto organizzatori pluriennali della festa insolentiti come pivelli,
ragazze col pass da «dirigente» cui è stato urlato contro «non so nemmeno chi vi ha fatto entrare» (la
risposta era: «quelli che hanno cacciato i soldi per voi», ma le mie amiche sono educate) e poi è stato
negato pure un autografo, con un gesto di protervia mascherato da un «vi stiamo chiedendo gentilmente di
lasciar perdere» (fossero stati cattivi le avrebbero ammazzate di botte?).
L'opera di queste persone all'interno dei concerti non è priva di effetti: difficilmente chi si è scontrato con la
loro maleducazione avrà lo stesso affetto per l'artista (spesso incolpevole) e, prima di spendere per un cd o
un concerto, ci penserà una volta di più. Questa è l'altra faccia del problema. Da una parte, gli artisti (o
meglio le loro produzioni, ancora una volta) chiedono spesso somme esagerate, che ricadono sui biglietti,
non più alla portata di tutti; dall'altra c'è il problema annoso del costo dei cd. Proprio a Casoni, l'anno scorso,
parlai con una discografica di musica scaricata e masterizzata. Lei era molto critica verso tutto ciò e non
voleva sentir parlare di dischi troppo costosi (anzi, secondo lei il discografico col prezzo attuale quasi ci
rimette). Sarà, ma sono convinto che 20 euro per un disco nuovo siano troppi, specie se interessa un solo
brano (anche i singoli sono cari). È vero, alcuni criticano la musica "salata" e poi spendono cifre folli per una
sera in discoteca o altro; non è una scusa, però, per tenere i prezzi alti.
Ci sono buoni motivi per cambiare le cose: 1) dei 20 euro di un cd gli autori ricevono ben poco (ma per la
loro sacrosanta protesta non mandino avanti Mogol: apprezzo molti dei suoi brani, ma grazie a quelle
canzoni non è certo povero in canna, dunque non è credibile); 2) con la scusa della masterizzazione, si
alzeranno ancora i prezzi dei dischi e la gente ne comprerà ancora meno, per cui il prezzo alto è quasi
un'istigazione a delinquere (perché Berlusconi può dire impunemente che le tasse alte sono un ladrocinio ed
invitano all'evasione, mentre chi copia un cd prestato è un criminale e magari viene punito?) 3) a forza di
aumentare i prezzi, quasi nessuno comprerà più dischi, si spegnerà davvero la creatività, non si faranno più
concerti e i nostri maleducati da retropalco resteranno senza lavoro. Ottimo risultato, non c'è che dire.
Televisione
30/07/2005
DALLA MEMORIA ... LE SIGLE
Autore: Gamma83
Non so se avesse ragione quel detto, ormai datato, secondo il quale «chi ben comincia è a metà dell'opera».
Proviamo però a trasportarlo in ambito televisivo: se un programma è riconoscibile e (magari) accattivante
fin dall'inizio, ci sono buone probabilità di successo (se il telespettatore abbocca). Per questo motivo, oltre ai
conduttori ed al titolo, spesso di una trasmissione rimane impressa la sigla, che con immagini e suoni fa da
prologo e (un tempo) da conclusione di un programma. Ne parlo, nella nuova storia con un amico che ha
parecchio materiale e conosce bene l'argomento: è un siglivoro come me (del resto, l'ultima immagine della
testata-banner parla chiaro).
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Agosto 2005
Musica
02/08/2005
LA VOCE DI FABER: SILENZIO ED AUTOCRITICA
Autore: Gamma83
Quando vidi il mio primo concerto avevo nove anni e mezzo. Era il 23 gennaio 1993, andai con i miei genitori
al teatro Storchi di Modena: sul palco c'era Fabrizio De André. Di lui conoscevo poco: tre brani tradizionali
(La canzone di Marinella, La guerra di Piero, Il pescatore), la recente Don Raffaè e, già allora, Il testamento
di Tito (certo mi dovettero spiegare cosa fossero gli Apocrifi e perché mai un signore, che non mi sembrava
un sacerdote, si mettesse a parlare dei Comandamenti). Della serata non ricordo molto (salvo che piansi a
dirotto perché in scaletta c'era il brano del ladrone buono, ma Faber non lo cantò), ma di certo quel primo e,
ahimé, unico incontro con Fabrizio è rimasto nella mia memoria, pronto a riemergere al momento giusto.
Anche per questo ho letto con piacere il lavoro di ricerca di un mio amico, Marco Benatti, laureatosi alcuni
mesi fa con una tesi su Faber. Il titolo è accattivante ed impegnativo: Fabrizio De Andrè, il doppio livello del
silenzio, una ricerca sul rapporto voce-testo. Marco è partito da un raffronto tra il percorso artistico di De
André e quello letterario di Albert Camus: percorso che, in entrambi i casi, si articolerebbe su due periodi. Da
una fase di critica, perseguita di solito attraverso un'ironia distruttiva (che però finisce per "nascondere" la
voce scrivente-narrante) Benatti riconosce il passaggio ad un momento più maturo, in cui alla critica si
accompagna l'auto-critica, che lascia intendere il coinvolgimento dell'artista in ciò che scrive e canta.
Gran parte della prima produzione di Faber può essere accostata al filone critico, mentre l'autocritica emerge
più chiaramente a partire dalla metà degli anni '70. In un primo tempo, le storie dei derelitti, delle «vittime di
questo mondo» (come le chiama il finale della Città vecchia) sono raccontate da Fabrizio con una sorta di
indifferenza, di distacco quasi "silenzioso" che traspare anche nella voce (assolutamente pulita e con un
ampio utilizzo, quasi compiaciuto, dei toni bassi: si pensi allo Spiritual o alla Ballata dell'eroe); più avanti,
invece, la stessa voce di De André si svela in tutta la sua espressività e permette a chi ascolta di distinguere
il testo scritto dalla parola cantata: due "voci" che possono coincidere o, in altri casi, rimanere distinte.
Il punto di rottura, secondo Marco, va individuato in Amico fragile, uno dei brani che forse rappresenta
meglio Faber. La genesi del pezzo rivela un altissimo coinvolgimento personale (l'artista lo scrisse in una
notte "da ubriaco", dopo aver litigato con un pubblico che rifiutava il dialogo e voleva farlo cantare per
forza), il testo ha una struttura metrica e semantica piuttosto libera, assai poco distaccata. E se in Volume
VIII (il disco in cui il brano fu inserito per la prima volta) la canzone è cantata ancora con un tono lineare,
quasi straniante, in tutte le esibizioni dal vivo successive l'interpretazione sarà decisamente più energica
(specie dal verso «E poi sospeso tra i vostri "Come sta?"...»): un vero grido, che dà voce al testo
autobiografico, mentre contrasta e «si riflette» nell'ironia distaccata del resto del pezzo.
Quella suggerita da Marco Benatti è una nuova chiave di lettura per analizzare l'opera di De André. Così
trovano spazio pure l'uso del dialetto come rapporto con gli altri individui (frutto dunque del coinvolgimento)
e l'importanza del rinnovato rapporto col "religioso" – Faber lo chiamava «entità superiore» – che emerge di
prepotenza negli ultimi brani, Ho visto Nina volare e (ancor di più), Smisurata preghiera: «Ricorda Signore
questi servi disobbedienti / alle leggi del branco / non dimenticare il loro volto». E certamente a Fabrizio non
dispiacerà che non abbiamo dimenticato il suo, di volto, come le sue parole e la sua voce.
Curiosità
03/08/2005
MEMORIE "DINOSAURICHE" (GRAZIE A PIERO ED EMANUELE)
Autore: Gamma83
Alcuni giorni fa ho ricordato come tra i miei modelli di giornalisti televisivi ci sia certamente Piero Angela:
tra i miei primi ricordi televisivi ci sono gli appuntamenti pomeridiani con Il mondo di Quark e, poco più
avanti, le mitiche «pillole», specie quelle a cartoni animati disegnate da Bruno Bozzetto (di tutte preferivo
quella "della semina", sull'importanza della ricerca). Per anni ho registrato tutte le puntate, poi lo spazio per
le videocassette è finito: sono tuttavia grato a Piero perché il suo SuperQuark (la formula più "universale" del
format) è uno dei pochi programmi che d'estate riesce a regalare riflessioni, novità e spunti di interesse.
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Le prime grandi emozioni targate Angela, tuttavia, per me arrivarono con La macchina meravigliosa. La
trasmissione (messa in onda 15 anni fa, a partire da ottobre) ebbe, tra gli altri meriti, quello di arrivare al
momento giusto: già dal 1989 i miei coetanei andavano pazzi per Esplorando il corpo umano, la
pubblicazione a fascicoli con il modellino umano da comporre (che ancora oggi giace, suppongo pieno di
polvere, su scaffali, ripiani o in scatoloni di molte case) e qualche milione di italiani trovò interessante il
programma, con Piero che da studio illustrava con sobrietà i vari argomenti e Piero-due che viaggiava
(grazie ad effetti grafici e immagini al microscopio strepitose) in ogni parte del corpo.
L'avventura che voglio ricordare qui, tuttavia, risale a 12 anni fa (mamma mia, quanto tempo è già
passato...): si tratta del Pianeta dei dinosauri. Anche quel programma, accuratissimo e ben preparato, capitò
al momento giusto: andò in onda poco dopo l'uscita di Jurassic Park e si inserì nel filone di iniziative
"dinosauriche" che spopolavano tra noi bambini (ero ancora in 5° elementare!). Io ed i miei amici
(specialmente un mio omonimo, espertissimo e che, purtroppo, non vedo da anni) restammo incollati allo
schermo per tutte le quattro puntate, ammirando i modelli utilizzati e cercando di carpirne i segreti;
soprattutto perdevamo giorni interi a chiederci, quasi che fosse un dilemma fondamentale, cosa potesse
aver provocato l'estinzione dei «lucertoloni terribili» (traduzione un po' casereccia della parola «dinosauro»).
Un mio giovanissimo amico, Emanuele Paris, che alla bella età di 15 anni ha già visto più programmi
scientifici di me (i suoi idoli televisivi, manco a dirlo, sono Piero Angela e Mario Tozzi, di cui aveva fatto
addirittura una parodia), si è fatto un'idea precisa sull'estinzione. Anche lui pensa ad un asteroide venuto
dallo spazio e caduto nell'area del Golfo del Messico, nella penisola dello Yucatan. Tra le tracce rivelatrici
dell'impatto, Emanuele chiama in causa anche il «triangolo delle Bermuda»: sarebbe frutto della magnetite
presente in quantità all'interno dell'asteroide. Per spiegare come mai parte degli animali sia sopravvissuta al
cataclisma, il mio amico si affida ad una delle altre teorie: quella delle uova "termocondizionate": la
temperatura circostante le uova è in grado di influire sul sesso dei nascituri, per cui uno sbalzo violento di
temperatura sarebbe stato fatale per i dinosauri; gli altri animali si sarebbero salvati forse per ibernazione.
Non ho le conoscenze per dire se la teoria di Emanuele sia giusta o zoppichi. Di sicuro mi ha fatto ricordare
un momento sereno della mia infanzia: per questo sono grato al mio amico e gli auguro di tutto cuore un
avvenire scientifico a tutti gli effetti.
Piero Angela in mongolfiera...
... e il disegno di un Brontosauro-Apatosauro secondo Walter Fogato
Curiosità
06/08/2005
MANUALE DEL PERFETTO ALIENO - 2 (E BUONE VACANZE!)
Autore: Gamma83
Mancano poche ore alla mia partenza per la Valle d'Aosta: alle sei e mezza saluterò l'afa di Guastalla, per cui
quasi tutto è pronto. Resta solo da risolvere un difficile problema: come introdurre nei miei bagagli la giacca
a vento, sapendo che non c'è più uno spazio libero (non ci starebbe nemmeno una cravatta, per cui niente
tentazione stavolta) e che non ho nessuna intenzione di indossare il suddetto capo quando parto. Ho fino
alle sei e qualche minuto per uscire da questa faccenda, spero di farcela.
Otto giorni di relax non sono moltissimi (anche perché dovrò utilizzarli in parte per studiare Procedura
Penale), ma sono fondamentali per ricaricare le batterie, esaurite da un anno di esami ed iniziative di vario
tipo, divertenti ed utili fin che si vuole, ma decisamente laboriose. Dev'essere per questo che, in certe
circostanze, si perde completamente il senso del tempo: domenica scorsa ne ho avuto la prova.
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Avevo promesso da tempo ad un'amica concittadina di andarla a trovare: alle ore 18 e 30 di domenica
pomeriggio, dunque, mi sono presentato alla porta di Maria Vittoria. L'avevo conosciuta in occasione di un
mio servizio giornalistico, per poi ritrovarla all'università (frequenta la Scuola di Specializzazione e collabora
con un dipartimento della facoltà): condividendo spesso il viaggio in treno/pullman, abbiamo parlato più
volte di molte cose. Di Maria Vittoria conosco anche la sorella, Elisabetta: lei frequentava il secondo anno
di liceo quando io superai l'esame di stato. Quest'anno la maturità è toccata a lei e l'università è ormai
vicina: probabilmente presto troverò anche lei a Giurisprudenza.
Per questo motivo la nostra conversazione domenicale, contornata da un'ottima crostata fatta dalla madre
delle ragazze (lei non sa di aver compiuto un miracolo: il sottoscritto non mangia frutta, né tantomeno
marmellata...), all'inizio sapeva soprattutto di esami, crediti formativi, testi consigliati ed affini. Ciò non toglie
che (credo) ci siamo divertiti molto: come si dice al nostro paese, «ce la siamo contata» ricordando imprese
mirabili di amici, colleghi o conoscenti, magari cospargendo un po' di sana ironia sulle nostre memorie
scolastiche e personali. Ci siamo rilassati tanto, nel parlare, che al momento di guardare l'orologio i miei
occhi hanno avuto un piccolo sussulto: com'era possibile che si fossero fatte le 10 di sera? Nello stesso
momento mi si sono accavallati vari pensieri negativi (Che figuraccia hai fatto! Quando metterai argini al tuo
parlare alluvionale? Tua nonna sola in casa come si deve sentire? Ti rendi conto che non hanno ancora
cenato e tu li stai costringendo al digiuno?) che mi hanno ragionevolmente consigliato di alzare i tacchi e di
lasciare, finalmente la famiglia delle ragazze alla sua vita quotidiana. Il problema è sempre lo stesso: quando
davanti hai persone simpatiche, disponibili e recettive il tempo perde significato. O meglio, mostra una sola
caratteristica: sembra sempre troppo poco.
***
Prima di lasciare incustodito questo spazio per otto lunghi giorni (sette e
mezzo, visto che è già sabato) desidero che sul blog lasci una traccia
anche Elena. Oltre ad essere la soave figura della foto a fianco, Elena
(anzi, Anna Elena) è la ragazza che, mio malgrado, ho eliminato nella
mia prima puntata dell'Eredità. È grazie a lei che sono diventato vice
campione (ma lei lo avrebbe meritato più di me), ma soprattutto è la
persona con cui, nei mesi successivi alla trasmissione, ho avuto più
contatti. Ci siamo scritti più volte via posta elettronica ed ho potuto
apprezzare i suoi tanti interessi, ma soprattutto la sua spontaneità e
sincerità (credo siano tra le caratteristiche più importanti di una
persona). Presto posterò anche le foto che ci erano state scattate in
studio; per l'intanto, ecco un'immagine di Anna Elena alle prese con un
vero narghilé all'aroma di vaniglia (la foto è stata scattata ad una festa di
laurea, per cui mi sorge un'inquietudine: cos'accadrà quando verrà il mio
turno???). BUONE VACANZE A TUTTI!
Attualità
15/08/2005
CANI FOTONICI, TIRANNOPOLLI ED ALTRE STORIE DELLA VALLE D'AOSTA
Autore: Gamma83
Arieccome su queste pagine, dopo una pausa settimanale piuttosto rigenerante: da un anno attendevo di
passare un periodo di condivisione con “la mia seconda famiglia” (così considero il gruppo dell’oratorio, con
don Roberto su tutti) che in tutti questi anni mi ha sempre aiutato e sostenuto. È l’ottava volta consecutiva
che la casetta, un tempo scuola frazionale di Fenilliaz (paesino di poche case nel cuore della Valle d’Aosta),
mi ospita e di tutti questi anni ho un bel ricordo. Non che sia andato sempre tutto liscio (dicono che si litiga
anche nelle migliori famiglie, posto che esistano ancora…), ma si è trattato di incidenti di percorso
assolutamente dimenticabili.
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Eravamo in parecchi quest’anno, sotto il piccolo tetto valdostano: una ventina di ragazzi, più il don, il
diacono Paolo e la mitica coppia Elpidio & Maddalena. Con loro mi sono veramente divertito ed anche gli altri
credo possano dire lo stesso. Belle e stancanti le gite (a dire il vero ne ho fatta una su tre, visto che gli altri
giorni ho letto il libro di Procedura); bello il tempo, che non ci ha mai messo il muso; ottimo il cibo che
Madda ha cucinato nei vari giorni (Francesco fino all’ultimo si è ostinato a non darle un bel 10 pieno…),
ottima soprattutto la compagnia, con cui ho trascorso parecchi momenti ridendo, parlando e riflettendo.
Era molto bello di sera, dopo la cena, ascoltare le riflessioni di don Roberto, seduti sui gradini della casa,
senza la frenesia e la fretta imperante nella vita di ogni giorno; ci si divertiva un mondo quando, subito
dopo, si faceva qualche centinaio di metri a piedi per andare al solito bar (l’unico luogo di svago nel giro di
qualche chilometro), dove ci si fermava per un po’. Qualcuno si rilassava sorseggiando una cioccolata calda o
demolendo un gelato; altri preferivano giocare in gruppo, sfidando l’età e le fatiche della giornata; chi
restava fuori da ciò poteva sempre riflettere guardando il cielo, che in montagna è molto bello (anch’io ho
visto due “stelle cadenti” enormi, anche se quella sera non ero dell’umore adatto per apprezzarle).
Anche quando veniva il momento del sonno, come spesso accade, non mancavano le occasioni per distrarsi.
Il mio compagno di camera leggeva; altri si mettevano d’accordo per assaltare alcuni malcapitati che
cercavano di dormire, lasciando come vittima per l’ultima sera il sottoscritto (è chiaro che qui si sono divertiti
loro, io assai di meno. Questa attività è stata svolta fin dalla mia prima Valle d’Aosta, con tanto di addetto
all’accensione-spegnimento della luce della stanza: da qui viene il nome «strobo», che per me è diventato
sinonimo di «botte da prendere» e che ha ispirato ad alcuni di noi l’idea per un cortometraggio. Il titolo sarà
Jack Strobo vs. Fritz Tamarro, chissà se un giorno vedrà la luce). E mentre nella stanza del don si recitava la
compieta e ci si preparava a dormire, nella camera di Gelmo si rievocavano le vicende degli anni passati,
ognuna con al centro un animale strampalato, frutto della fantasia di alcuni soggetti: così le macchine
agricole di alcuni sentieri diventavano «cani fotonici», in una gita battuta dalla pioggia spuntavano
inquietanti «tirannopolli», mentre su un percorso scivoloso ci si poteva imbattere in una «vacca che
ruzzola».
Ripensando alle tante risate, alla maestà delle montagne ed all’aria “diversa” respirata lassù (aria di casa,
senza troppi gas di scarico e contagiosi germi di ansia), spariscono i problemi che qua e la hanno fatto
capolino (dai capricci di uno dei pullman, prontamente fronteggiati da Elpidio, alla defezione del bagno delle
ragazze, che hanno dovuto condividere il nostro): anche quest’anno abbiamo vissuto la Valle d’Aosta e la
certezza che potremo farlo anche l’anno prossimo già ci mette di buon umore.
Attualità
17/08/2005
RICORDI DEL PALIO: IL BRUCO E PAOLO FRAJESE
Autore: Gamma83
Ieri pomeriggio, verso le 19, ho acceso il televisore e mi sono ricordato che doveva essere trasmesso il Palio
di Siena: ho pigiato il tasto «2» sul telecomando in tempo per vedere il fantino di rincorsa entrare nei
canapi e dare inizio alla giostra (Emilio Ravel lo ricorda sempre: il Palio non è una corsa, è una giostra).
Si tratta certo di un mondo che non mi appartiene: di cavalli nulla so, ignoro il significato di vari termini
specifici, ma soprattutto mi manca lo spirito dei senesi, quelli che secondo Aceto (storico fantino della
manifestazione) fanno davvero il Palio. Solo loro possono stare nel Campo per ore, sotto un sole martellante,
a non perdere un minuto del rito, ad attendere con pazienza quei tre giri di circuito che durano meno di
cinque minuti, a festeggiare i vincitori come fossero idoli. Nonostante tutto, anch'io ho avuto la mia
soddisfazione quando, al Palio del 2 luglio, ha trionfato il Bruco: sentimentalmente faccio parte di quella
contrada. Mi ci ero trovato casualmente, in un agosto sfortunato (per me) di 12 anni fa: a pochi passi da me
c'era il cavallo del Bruco, mentre tutt'attorno i contradaioli festanti portavano la loro creatura verso il Campo.
È un ricordo che m'è rimasto impresso: un "battesimo" che mi ha legato al simpatico Bruco per sempre.
Rivedendo il Palio e sentendo le voci dei commentatori ho ripensato, inevitabilmente, a Paolo Frajese che
per tanti anni aveva seguito la manifestazione. Nemmeno lui era senese, ma si era appassionato (anche
grazie alla moglie Ester Vanni) quei riti che circondano il Palio, raccontandoli come nessun altro: scopro
adesso che il giornalista era un "chiocciolino" e mi fa piacere, visto che la Chiocciola è alleata del Bruco.
Paolo ci ha lasciati il 9 giugno 2000, a 60 anni da poco compiuti. Fin da piccolo ho apprezzato la sua
autorevolezza e sobrietà nel porgere le notizie; mi è rimasta impressa la sua voce calda e tranquilla con cui
ha condotto il Tg1.
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Sono troppo giovane per conoscere bene la carriera di Frajese, ma in questi anni ho potuto ripercorrerne le
tappe. Indimenticabile il suo servizio («da antologia» lo definì Maria Grazia Buzzone) sull'attentato di via
Fani, subito dopo il rapimento di Aldo Moro; fortissimo il pezzo, realizzato per Tv7, in cui il giornalista si vestì
da barbone, per vivere di persona quell'esperienza (ancora oggi rivedere quelle immagini mi mette i brividi).
Paolo Frajese lavorò bene anche come corrispondente da Parigi, dove rimase sino alla fine; c'è chi lo collega
al calcio che diede in diretta a Gabriele Paolini, ma ricordarlo per questo è davvero ingeneroso. Quando nei
titoli del Tg1 fu annunciata la morte di Frajese mi dispiacque molto: avevo solo 17 anni, ma ebbi la
sensazione che da quel momento in poi sarebbe venuto meno un volto rassicurante e schietto
dell'informazione. Dev'essere per questo che lo ricordo ancora volentieri e ne rimpiango la professionalità.
La bandiera della Nobil contrada del Bruco...
... e Paolo Frajese
Curiosità
19/08/2005
SAPORI DI SICILIA: RICORDI E RIMPIANTI
Autore: Gamma83
Ho già parlato, più di un mese fa, del mio rapporto con la Sicilia, della mia stima per alcuni figli (di ieri e di
oggi) di quell'isola, nonché dei miei ricordi. Ora vorrei parlare, nello specifico, di Catania, o meglio di una
sua caratteristica: il sapore. La città, infatti, mi ha lasciato un bel ricordo ed un rammarico, tutti e due
afferenti al palato.
Non credo di essere particolarmente goloso, anche se non disdegno affatto i dolci. Non sono il tizio che si
abbuffa di pasticcini ai rinfreschi (l'ho già scritto tempo fa), ma dovendo scegliere ho una spiccata
predilezione per le paste con il cioccolato (superlative quelle col disegno della chiave di violino...) e per i
cannoli alla crema. Guai, però, a confondere il cannolo nostrano con quello vero, della Trinacria. La forma è
diversa (il nostro è proprio un cannoncino, quello siciliano ha una cialda quadrata leggermente arrotolata),
ma soprattutto cambia il ripieno. Niente crema pasticciera o cioccolato: esclusivamente ricotta, di quella
buona.
Curioso di sperimentare le differenze, quando mi trovai in Sicilia sei anni fa decisi di assaggiare un cannolo
"originale". Ci trovammo una sera proprio a Catania e, avendo la sera a disposizione, ci infilammo in un bar
per questo "esperimento". Ricordo un barista molto gentile, che prese le cialde e le riempì lì, davanti a noi
(pensavo che ci avrebbe dato una pasta già fatta, ma è molto più bello vederla preparare così). Non ero
abituato ai dolci con la ricotta, ma quel cannolo fu davvero un'esperienza indimenticabile: il gusto caldo e
pastoso di quel dolce mi rimase in bocca per parecchi giorni e, probabilmente, è una delle cose più buone
che io abbia mai mangiato in Sicilia. Eravamo tanto entusiasti che avremmo voluto portare con noi qualche
altro esemplare di dolce; purtroppo eravamo a metà della nostra vacanza e, col tempo, la ricotta si sarebbe
guastata. Peccato, il miracolo non si è ripetuto.
Ho anche un rammarico, tuttavia, quanto a Catania: esserci rimasto troppo poco per poter sperimentare le
bibite di uno dei chioschi della città. Soprattutto non ho mai provato una vera granita di limone, senz'altro
imbattibile dagli emuli nostrani. Pazienza, mi accontenterò con questa lirica di Pasquale Panella, scritta
due settimane fa per lanciare un servizio di Tg2 Mistrà sui chioschi catanesi: dedico questi versi (e l'intero
post) a Flavia, catanese doc che più di tutti è assidua nel lasciare traccia di sé in questo sperduto luogo
della Rete.
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Vorrei essere assetato a Catania,
camminare per strada io e il sole,
sentire le cicale trapanare il cielo;
fanno i buchi per le stelle di stanotte...
avere le visioni, vedere le oasi
e dire: che ci faccio?
Io so cosa voglio...
E' afoso il mondo come una stireria all'aperto,
un forno, e l'uomo
è il pane che cresce e si cuoce
soprattutto d'estate come adesso,
che cammino assetato a Catania...
E io so che ci sono città dai cento
grattacieli,
dai cento mulini a vento,
dai cento decentramenti, dai cento
isolotti pedonali al centro,
dai cento supplementi
dei giornali, dai cento
interventi straordinari,dai cento
ripulimenti delle strade con cento
divieti di sosta in certi orari...
Io so che ci sono città
che non sanno vivere
come si vive a Catania d'estate,
quando più fa caldo meglio è.
Perché non ha vissuto
chi non sa cos'è
un chiosco delle bibite a Catania...
E ce ne sono cento...
E tu ti avvicini,
portando il tuo deserto
sulla lingua e un principio
di incendio tra i capelli...
e senti il ghiaccio spezzarsi
come il cuore di un ghiacciaio,
per te che quasi fuso passi...
e senti la frutta
spasimare e liquefarsi in succo...
così è... allora sì che è estate,
l'estate passionale
a Catania,quando
tutta la tua umana
sete ti assale.
Attualità
21/08/2005
CUBA SECONDO ME
Autore: Dr.Muppet
Ospito molto volentieri il racconto del mio grande amico Dr.Muppet, da poco rientrato a casa dopo tre
settimane trascorse a Cuba. Un viaggio in mondo distante, con la voglia di conoscere come compagno di
avventura. Buona lettura.
Gamma83
Cuba. Che luogo, quante cose può evocare in un solo momento questo nome. Un'isola piccola, che però ti fa
perdere: non ne capisci fino in fondo i confini. La memoria della rivoluzione è viva, fa parte della storia di
ogni cubano; dall'altra parte si avverte il peso di un sistema che sta implodendo - ho il presentimento che la
sua fine riuscirà a fare poco rumore, con molta gioia (e la subdola collaborazione) di alcuni.
Girando per le strade de L'Havana ci si trova dentro ad un sistema che ha poco in comune col nostro. Il
fascino diroccato della città trascina il visitatore ad averne quasi timore (quello che si prova per le cose
sconosciute) e ad un tempo attrazione. Vai per strade buie di notte e hai subito l'impressione che intorno la
vita non si spenga mai, che prosegua come il ritmo ossessivo di una Rumba, che ognuno abbia qualcosa da
fare: qualunque cosa, tranne dormire. In pochi giorni associ quel ritmo con l'odore di povertà, di precarietà,
di bisogni non soddisfatti o soddisfatti a fatica; una povertà molto dignitosa, che però tiene sveglia un'intera
città, nel cercare di strappare qualche dollaro qua e là, con l'arte che si possiede. All'Havana, sul Malecòn,
ogni notte è da spremere, da mungere fino all'ultimo dollaro, col sudore e col pianto.
In mezzo a questo marasma trovi gente d'ogni tipo, persone che interpretano per te uno spettacolo
improvvisato, per necessità o per il gusto di socializzare. A Cuba oggi si avverte per davvero, nei nuclei
familliari, nei rapporti di vicinato al di fuori della città, nei gruppi di amici, una condivisione che riguarda le
cose materiali, di cui si ha necessità; e nonostante questo ho visto una grande originalità dell'individuo, che
emerge quando ogni persona sta al suo posto, a fare le sue cose, e ognuno ne è consapevole. Ci sono poche
cose, c'è poco da condividere: ma lo si condivide. Qui il capitalismo non è arrivato, nemmeno nelle forme più
embrionali: non c'è pubblicità, nel supermercato trovi quello che serve e in varietà ridotta. Ciò ha favorito il
persistere di un modello di vita semplice, basato su ciò che è disponibile: il resto in fondo è superfluo.
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La riflessione che mi ha incalzato continuamente nel mio viaggio (e che continua a farlo senza che io possa
trovare una risposta) riguarda l'ipotetica scelta tra due modelli: da una parte quello di un potenziale diritto di
fare ogni cosa, limitato solo dal rispetto per la libertà di chi vive intorno; dall'altra la rinuncia a parte delle
nostre libertà, in cambio di una tutela e di una garanzia per i bisogni fondamentali. La nostra libertà (di cui ci
vantiamo) sarebbe egualmente così luminosa ed irrinunciabile, se fosse causa di discriminazioni e ingiustizie
agite nei nostri confronti? In fondo (anzi, mica tanto in fondo) noi stiamo bene. Ma quanto sarebbe diversa
la nostra vita se non avessimo una casa in cui dormire, o se non sapessimo come arrivare a fine mese
mangiando tutti i giorni, o non riuscissimo a garantirci le cure essenziali o la possibilità di istruirci, non
potendo pagare? In giro per il mondo c'è di peggio, ma in questi anni ho conosciuto realtà che, esaminate
dal punto di vista politico (deformazione che ho e che non mi sembra sciocca) mi hanno dimostrato come
nemmeno qui in Italia si viva in una democrazia degna di lode.
E allora si parlava di Cuba. Bisogna andar fuori dalla capitale per rendersi conto di quanto il paese sia vasto,
benché sulla carta geografica quell'isola quasi non si veda. Vastità dovuta a strade strette, piene di buche,
che rendono difficili i trasporti. In certi luoghi remoti difficilmente arriva il telefono, neanche il cellulare
prende; l'elettricità è fornita da batterie, l'acqua è in un bidone sul tetto delle case. Da L'Havana a Santiago
de Cuba (la prima a ovest, la seconda a est) c'è molta differenza, di cui ti parlano per primi i cubani: lo noti
dall'atmosfera che si respira. In mezzo ci sono molti mondi, composti da piccoli paesini, abitati in gran parte
da contadini. La particolarità di ognuno è riassunta dai piccoli locali che è sempre possibile trovare: cortili
dotati di bar nei quali c'è musica tutte le notti, e si balla, e ognuno si sente come fosse sempre stato lì.
Perché, se c'è una cosa che i cubani (nonostante tutto) non hanno mai dimenticato, è proprio la musica.
Religione
23/08/2005
COLONIA, LA VEGLIA DAVANTI ALLA TV
Autore: Gamma83
Non so quanti italiani, sabato sera, abbiano assistito alla veglia della Gmg di Colonia; davanti al televisore
(che abbiamo tentato di trasformare in maxischermo, registrando più di un insuccesso) c'ero anch'io,
assieme agli altri ragazzi della mia comunità parrocchiale. Stando a quanto siamo riusciti a vedere, mi è
parsa una buona cerimonia; indubbiamente meno calorosa di quelle cui ci aveva abituato Giovanni Paolo
II, ma non per questo meno apprezzabile.
È difficile "vivere" un momento come questo guardando un teleschermo (soprattutto se le voci dei
telecronisti si premurano di riempire ogni spazio vuoto, senza lasciare spazio al silenzio ed alla riflessione
personale), ma ho cercato di concentrarmi il più possibile nell'ascoltare il discorso di Benedetto XVI e devo
dire che non mi è dispiaciuto. Forse perché ha insistito molto sui Magi, figure che mi hanno sempre
affascinato; forse perché anch'io credo che certi santi abbiano risollevato le sorti di una Chiesa «sempre in
pericolo di sprofondare» (parole del Papa). Di certo Francesco d'Assisi è tra i primi «santi riformatori» che
citerei: all'università, grazie alle lezioni di Franco Micolo (mio insegnante di Diritto Comune), ho potuto
approfondire la mia conoscenza di Francesco e del suo messaggio davvero "dirompente".
Mi ha colpito molto, poi, una delle ultime riflessioni del Pontefice, dedicata alla Chiesa come istituzione:
«Essa è una rete con dei pesci buoni e dei pesci cattivi, un campo con il grano e la zizzania». Il papa ha
anche ricordato le numerose richieste di perdono, da parte di Karol Wojtyla, per gli errori passati,
concludendo: «In fondo, è consolante il fatto che esista la zizzania nella Chiesa. Così, con tutti i nostri difetti
possiamo tuttavia sperare di trovarci ancora nella sequela di Gesù, che ha chiamato proprio i peccatori». Uno
stile indubbiamente diverso da quello di Giovanni Paolo, quello di Ratzinger: non ha assecondato granché
l'assemblea (che, a quanto mi è stato detto, si è sentita meno coinvolta del solito, ma non posso dirlo di
persona), non ha abbracciato gli artisti, non ha regalato fuori programma come Wojtyla. Tuttavia, nella sua
timidezza ed aderenza alla teologia, Benedetto XVI ha forse trovato una via personale per farsi
comprendere; staremo a vedere se ciò sarà possibile in futuro (anche perché occorrerà intendersi su quali
personaggi incarnino la «zizzania»: vari riformatori, prima di essere canonizzati, hanno conosciuto non pochi
ostacoli, cui la gerarchia ecclesiastica non era sempre estranea).
Un'ultima riflessione. La Gmg 2005 ha smontato finalmente il mito dell'organizzazione made in Germany. I
partecipanti con cui ho parlato e che ho sentito in televisione hanno stigmatizzato (chi più, chi meno) i molti
inconvenienti subiti nei giorni scorsi; alcuni giornalisti si divertivano a canzonare in ogni servizio «i risultati
della disorganizzazione tedesca». Un ruolo - quello dei bersagliati - che solitamente tocca agli italiani; a chi
toccherà la prossima volta?
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Musica
25/08/2005
WITH NOTHING ON MY TONGUE BUT ...
Autore: Gamma83
La nuova storia parla di un brano musicale, che un giorno di qualche anno fa ha incontrato la mia vita e non
l'ha mai lasciata, anche grazie ad una voce fuori dal comune. Per questo nella mia ipotetica compilation
esistenziale non può mancare Hallelujah, cantata da Jeff Buckley. Buona lettura.
Curiosità
27/08/2005
I BURATTINI E MANGIAFUOCO: LA STORIA DI DIMMO
Autore: Gamma83
Per anni hanno costituito l'unico spettacolo per le persone della campagna, lontane dai teatri ed abituate ai
racconti da filòs (i ritrovi serali nella stalla o sull'aia); oggi i burattini sono una delle poche attrazioni in
grado di catturare l'attenzione dei bambini. Oggi l'unico vero burattinaio professionista in provincia è un mio
concittadino, che conosco bene: la storia di Dimmo Menozzi è bella da raccontare. Inutile chiedergli l'età:
ci si sentirebbe dire un numero spropositato di anni. Di certo l'ultimo quarto di secolo l'ha trascorso in
baracca (il teatrino dei burattini), maneggiando i suoi personaggi di legno che hanno fatto divertire più
generazioni di bambini (compreso il sottoscritto) e sogghignare, più o meno di nascosto, anche i genitori.
Dimmo è "figlio d'arte": il padre Mario, Marion per tutti i guastallesi, aveva iniziato a fare spettacoli nel 1923,
alternandoli ad altre attività "di campagna". I suoi copioni, naturalmente fatti per gli adulti, erano storie
avventurose, da romanzo d'appendice, ma non mancavano mai i personaggi tipici della nostra cultura
emiliana (Sandrone e Fagiolino, per capirci), che spesso a suon di baciollate (popolari randellate) e battute
sagaci mettevano alla berlina il governo ed il potere. Nella seconda metà degli anni Settanta Mario smise di
fare spettacoli; il figlio fino ad allora si era occupato di tutt'altro. Marion, da uomo concreto coi piedi per
terra, gli aveva consigliato «Studia, che t'an sarè mai un cojón» (non credo ci sia bisogno di tradurre...); per
cui Dimmo si diplomò alle magistrali, svolgendo poi per anni il mestiere di contabile. Ad un certo punto lasciò
il proprio lavoro e di lì cambiò tutto. Dopo un'immersione prolungata nelle tradizioni della Bassa, Dimmo
accettò la sfida: ridare vita a quei burattini, facendo di quell'attività la propria professione.
Vidi il mio primo spettacolo di Dimmo alla scuola materna (si chiamava La bestia nera, risi parecchio);
soprattutto con Dimmo ho imparato (si fa per dire) a "fare" ed "usare" i burattini. In terza e quarta
elementare partecipai, assieme ai miei compagni di classe, a due laboratori di animazione, alla fine dei quali
allestimmo due spettacoli (nel secondo, La scoperta della Merica, ricordo di aver fatto il protagonista,
Cristombolo Coloforo). Dimmo e la moglie Anna Rosa (che da sempre lo aiuta in baracca) ci insegnarono a
costruire burattini con materiali semplici, come cucchiai di legno o pezzi di cartoncino e ricordo che ci
divertimmo come pazzi. Ho imparato allora ad apprezzare il teatro e le persone che vi lavorano.
I burattini di Dimmo (quelli veri, di legno) nascono nella mansarda di casa sua, una sorta di "stanza delle
meraviglie" in cui i personaggi prendono forma ed anima. «Ho ancora una ventina dei burattini di mio padre
- spiega - mentre un centinaio li ho costruiti io». Ben allineati sui tavoli, infilzati sui loro sostegni ci sono vari
Sandrone, diversi Fagiolino, la Pulonia (altro personaggio tipico: è la moglie di Sandrone), due Minghine (il
pupazzo scheletro della morte, ammantato di nero, con o senza falce), un dottor Balanzone e tanti altri. In
una cassa ci sono quelli usati più di rado, che ogni tanto tira fuori: «quando i miei nipotini me lo chiedono».
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Fa una certa impressione ascoltare parole tenere da una persona che, fin dal primo sguardo, non può non
ricordare Mangiafuoco. Dimmo, in realtà, è una persona molto buona e disponibile, ma regge bene la
parte. Ogni bambino lo chiama spontaneamente come il personaggio di Collodi (anche se la barba non è più
nera come pece) e lui naturalmente non si arrabbia, anzi è contentissimo. «I bambini sono molto recettivi racconta – Capiscono tutto e quando ti si avvicina un bimbo alto cosi e dice a me e a mia moglie "Signor
Mangiafuoco, signora strega, ci posso aiutare?" è una gioia incredibile».
I personaggi delle storie di Dimmo sono in buona parte gli stessi di alcuni decenni fa: tra essi il Sandrone
"scarpa grossa", testone e sgrammaticato, e Fagiolino, scaltro bastonatore con accento bolognese. A
cambiare sono i testi: abbandonata la satira politica, i burattini ora danno voce a fiabe o vecchie fòle (le
storie tramandate dal popolo) opportunamente rivisitate, oppure a storie più recenti, magari riprese dai libri
di Gianni Rodari (dalla Torta in cielo a Tonino l'invisibile). I bambini ridono ancora molto e capiscono perfino
il dialetto che ancora non conoscono: si stupiscono delle voci che fa il burattinaio e degli "effetti speciali fatti
in casa" (tutte le volte che Dimmo fa il "fuoco", con la sua latta di metallo e la polverina «comprata
all'inferno» i bimbi, anche quelli cresciutelli come me, vanno in visibilio). Ecco perché Dimmo fa ancora 80
serate l'anno, ogni volta con il pienone. E i bambini si divertono tanto: non c'è tv o PlayStation che tenga.
Dimmo nella "stanza delle meraviglie", con Sandrone e Fagiolino
31/08/2005
5 BLOG PER IL BLOGDAY
Autore: Gamma83
Anch'io, col mio diario sulla Rete, aderisco al Blog Day: un'iniziativa che mira a diffondere il contenuto degli
altri blog ed a favorire le conoscenze ed i contatti. In questo post darò dunque cinque indirizzi di diari non
ancora inseriti tra i link (quelli forse li conoscete già), con una breve descrizione: buona ricognizione.
1) Le Lunatiche: La testata-banner recita «mondo di paturnie, pensieri e fantasia»; e tra quei pensieri
fantastici ne ho trovati parecchi. Vietato l'ingresso a chi non è più in grado di sognare, o pensa che leggere
versi o riflessioni sia una perdita di tempo e di denaro.
2) Il blog di Pulvigiu: Un siciliano doc come Flavia che (oltre ad aver avuto parole gentili per il mio post su
Catania) non manca mai di dare un contributo quotidiano con le sue riflessioni e poesie. È parecchio visitato
ed aspetta certamente anche voi.
3) Lo spazio di Cinzietta: Che si firmi Cica82 oppure la first lady non importa:ha conquistato la mia
attenzione con una lirica di Tagore ed ha centrato perfettamente l'obiettivo. Il resto del blog è pieno di
momenti ironici e poetici; imperdibile il tenerissimo banner...
4) Avrei voluto: «avrei voluto...» rischia di essere una delle frasi che più spesso ripetiamo nel corso della
nostra vita. Questo blog è pieno di spunti ad interrogarsi, a pensare, semplicemente a cercare emozioni
dentro di sé. Certamente così non potremo dire: «avrei voluto vivere più intensamente». Eppoi
l'amministratore ama la musica "vera": Faber e Guccini...
5) Il blog di Shrek81: Lo confesso, questo blog figura qui essenzialmente per due ragioni. A) Perché sento
parecchie affinità con il personaggio di Shrek e chi sceglie per sé questo nick merita simpatia. B) Perché mi
sono divertito troppo nel leggere il post «Dieci regole per uscire con mia figlia», fatelo anche voi...
Chi non è compreso in questa lista o in quella dei link non si crucci: probabilmente tra poco sarà il suo turno.
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Settembre 2005
Attualità
01/09/2005
BATTITO DI CIGLIA (N°2)
Autore: Botta
Cedo nuovamente il posto a Matteo Boattini, che continua il racconto della sua esperienza in Sudamerica
con una passione ed una lucidità che ammiro sinceramente. Buon viaggio, senza timore di perdervi.
Gamma83
Il vento, satiro e lussurioso, aggredisce i capelli di una giovane indio. Vesto di nuovo le mie dita di carta e
inchiostro per cercare di offrirti un po' d'acqua del pozzo in cui ho intiepidito bocca e fronte nelle ultime
settimane.
Credo che dietro alle ragnatele che popolano l'angolo più nascosto della mia testa ci sia traccia di un
desiderio che mi fa vibrare. Un'eco di luci e immagini crea un ponte tra me e la Terra Santa , teatro in questi
giorni di mutamenti fittizi, minimalisti (oltre che dovuti e con un ritardo di circa quarant'anni).
Un barcone asmatico mi ha guidato lungo il Rio delle Amazzoni per quattro giorni e quattro notti, attraverso
luoghi alla fine del mondo, su un'amaca sudaticcia, cercando nuvole in affitto e stringendo patti con gabbiani
erranti. Il cuore rallenta, la testa cammina.
Porto con me tutti i volti degli indios d'Amazzonia che ho incontrato, appesi al sottile filo di ragno che separa
miseria e fortuna. Volti che l'unica abitudine che non riescono a togliersi é quella di vivere. I miei occhi sono
diventati più tattili che ottici. Così credo di sentire quello che vedo, di sfiorare quello che sento e di sentire
l'odore di ciò che tocco. Le parole mostrano senza far vedere, fanno intuire senza far afferrare, stimolano
alla ricerca piuttosto che far spalancare la bocca per farci entrare il cucchiaio traboccante di minestra.
Credo che non si possa capire a fondo questa terra e questi uomini perché la nostra non è più vita dal
momento in cui crediamo di aver lontana la morte e di conoscere tutte le mille astuzie che servono per
tenerla a debita distanza. Distante dalla nostra pelle, dal nostro cervello e dalla nostra anima. Probabilmente
dovremmo provare un po' di vertigine per tornare a camminare diritti.
Il viaggio ha toccato il suo punto piú a nord, anche se mi trovo sotto stelle equatoriali, e già stanotte inizierà
la discesa verso sud. Credo che per tutte le cose esista un Nord e un Sud. Nel mondo esiste un Nord e un
Sud con il relativo gradiente di ricchezza. Anche nelle nazioni e nelle città esistono Nord e Sud. Un centro
che ingrassa con banche e uffici finanziari, e una periferia che raccoglie tutto il resto.
Forse esistono Nord e Sud anche nelle relazioni tra persone. Il Sud del Latinoamerica (che si trova pure nel
nord geografico) é fatto di persone solidali, consapevoli d'appartenere a un'unica razza meticcia che si
estende dalla Patagonia al Messico ed incrocia sogni e desideri di indigeni e afroamericani. Un solo popolo
vittima di cinquecento anni di colonialismo, che tra saudade e allegria non ha più voglia di stare a guardare.
Quel lento dondolare lungo la madre di tutti i fiumi é stato accompagnato da letture e da incontri che hanno
reso la mia mente un pollaio affollato. Parole vive in grado di farmi vibrare verso l´arcipelago dell´esodo che
separa la volontá di vivere "per" i poveri da quella di vivere "con" i poveri.
Mi gioco tutto perché non mi manca niente. Insieme ai quei volti che portano in spalla la vita ciondolando su
sentieri disegnati e cancellati subito dopo dal destino.
«Con i poveri della terra voglio giocare la mia sorte». (José Martí)
Attualità
06/09/2005
UN "PICCOLO PAESE" INDIMENTICABILE
Autore: Gamma83
Dedico la nuova storia (che ora si trova nella sezione "articoli") ad un'esperienza straordinaria che ho
vissuto sabato 27 agosto con alcuni amici della mia comunità parrocchiale. Siamo approdati al Piccolo
Paese del Lago di Monte Colombo: un luogo in cui abitano davvero la pace, l’amore e la fratellanza. Arrivati
a sera non avremmo più voluto andarcene e speriamo di tornarvi quanto prima.
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Libri & musica
06/09/2005
LE "SMISURATE PREGHIERE" DI FABER
Autore: Gamma83
Torno a parlare con immenso piacere di Fabrizio de André, un po’ perché sento di doverglielo (per tutto
ciò che mi ha insegnato in questi anni), un po’ perché è uscito un nuovo libro su di lui che varrebbe la pena
di leggere. Domenica sera sono andato alla Festa dell’Unità di Reggio per assistere alla presentazione di
Smisurate preghiere, l’ultima opera di Cesare G. Romana. L’autore del volume (edito da Arcana) non è
solo un bravo giornalista (è redattore del Giornale): ligure come Faber, ha assistito alla nascita di molti dei
suoi dischi e ne ha condiviso i contenuti. «Passavamo notti intere - ha raccontato - a parlare e a discutere,
magari complice il vino: si parlava di musica, di politica, del mondo e di tante altre cose».
Un testimone fedele, dunque, che ha già raccontato la vita di De André nell’unica biografia autorizzata
(Amico fragile, pubblicata da S&K) e stavolta propone un viaggio nella poetica e nei dischi di Faber. Romana
ha voluto tracciare soprattutto un ritratto dell’uomo: «Molti non hanno potuto conoscere Fabrizio come
persona: io ho avuto la fortuna di passare 35 anni di vita fraterna con un genio».
Il giornalista ha ricordato come la notorietà di De André, ad oltre 6 anni dalla morte, costituisca l'eccezione
nel mondo effimero della musica. «Tanti elementi hanno reso unico Faber - ha spiegato - Una voce
straordinaria, il suo profondo rispetto per il pubblico, la capacità di trasmettere emozioni e di esserne allo
stesso tempo tormentato». Ognuno di questi elementi meriterebbe un’analisi a sé: a partire dalla voce che,
secondo Michele Serra, «sapeva fare il silenzio intorno a sé e costringere all’ascolto». Il pubblico, che mai
si è sentito abbandonato o tradito da De André, conosceva bene quel potere e continua ad ascoltare e
cantare quei brani. «Per questo - ha spiegato Cesare Romana - possiamo dire che Fabrizio non è morto
davvero: io stesso, pur essendo un ateo sereno e rigoroso, gli parlo spesso e credo che lui mi senta».
Dal libro di Romana emerge il ritratto di un uomo profondo, in continua evoluzione (non ha mai scritto due
volte lo stesso disco), sempre vicino all'attualità e spesso anticipatore degli eventi: secondo il giornalista «era
un utopista col senso della realtà». Stimava importanti artisti italiani e stranieri ed era ricambiato (Cohen l’ha
definito «fratello in musica», un’espressione che mi piace molto); attestazioni di ammirazione da parte dei
“grandi”, tuttavia, spiazzavano De André e lo mettevano in imbarazzo (Romana ha ricordato gli episodi di
Marinella cantata da Joan Baez o del concerto mancato con Bob Dylan).
Faber ha cantato quando ne sentiva il bisogno (decidendo di stare zitto anche per anni, quando credeva di
non aver nulla da dire) e non esitava ad ispirarsi alla letteratura: da Villon (Il testamento, La Ballata degli
impiccati) a Lee Masters (tutto il disco tratto da Spoon River), da Angiolieri (S’i fosse foco) a Mutis (viene da
lui quella Smisurata preghiera che dà il titolo al libro e che rappresenta tanto Fabrizio), ma anche i Vangeli
apocrifi e gli scritti dei pensatori anarchici, che hanno segnato la coscienza politica di De André. Storie
diverse, di tanti personaggi che troviamo sulla «cattiva strada» che poi, a ben guardare, così cattiva non
dev’essere: il libro di Cesare Romana può essere un’utile guida per noi viaggiatori.
Il libro su Faber...
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... e l'autore, Cesare G. Romana
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Musica
07/09/2005
ADDIO A SERGIO ENDRIGO
Autore: Gamma83
È scomparso a 72 anni Sergio Endrigo, uno dei personaggi cui la musica d’autore italiana deve di più. A
portarlo via è stato un male lungo, di cui l’artista non aveva parlato che con poche persone. Nato a Pola nel
1933, Endrigo fu tra i primi artisti noti al pubblico come «cantautori»: il primo brano, Bolle di sapone,
nacque quasi per caso, su richiesta del discografico Nanni Ricordi, ma dopo quella canzone ne arrivarono
tante altre, decisamente di valore. In tutta la sua carriera Endrigo si è sempre distinto per un’eleganza
notevole nella scrittura, un tono venato di malinconia, ma con una voce sempre calda e pulita.
Nella seconda metà degli anni ’60 il cantautore istriano aveva regalato agli italiani un pugno di brani
indimenticabili: alcuni arrivarono al grande pubblico attraverso Sanremo, da Adesso sì (1966, fu uno dei
pochi brani altrui che Lucio Battisti cantò) al trionfo di Canzone per te (1968, cantata con Roberto Carlos),
senza dimenticare Lontano dagli occhi e L’arca di Noè, delle due edizioni successive. Altri pezzi (magari scritti
da Sergio Bardotti) sono entrati comunque a pieno titolo nel repertorio della musica italiana: Teresa, Te lo
leggo negli occhi (cantata da Dino e ripresa ottimamente da Franco Battiato, come Aria di neve), Io che amo
solo te, Girotondo intorno al mondo, Mani bucate, Via Broletto soltanto per citarne alcune.
Di tutti gli artisti italiani, Sergio Endrigo è quello che più ha collaborato coi poeti italiani e stranieri: da Rafael
Alberti a Vinicius de Moraes, Ungaretti (con gli ultimi due diede vita al capolavoro La vita, amico, è l’arte
dell’incontro), Pasolini e altri. Pure i bambini avevano familiarità con le sue canzoni: Ci vuole un fiore (scritta
con Luis Bacalov su testo di Gianni Rodari) e La casa sono tra i pezzi più cantati nelle scuole dell’infanzia.
Negli ultimi anni Endrigo era stato messo ai margini del mondo della musica: quasi nessuno gli dava spazio,
gli si ordinavano nuovi dischi stampati in numero irrisorio di copie, da tempo non erano disponibili nemmeno
le ristampe dei suoi successi (salvo, ironia della sorte, il disco scritto con Rodari). Una quarantina dei brani
più famosi era stata riproposta su cd grazie all’impegno di un folto gruppo di fans, guidato da Matteo
Perazzi (che si occupa pure del sito dell’artista). In televisione lo si è visto di rado: nei programmi musicali
di Michele Bovi e, più di recente, al festival di Sanremo, ospite di Paolo Bonolis. Lì aveva presentato il suo
libro, Quanto mi dai se mi sparo, una denuncia in forma di noir divenuto rapidamente un caso editoriale.
La scomparsa di Sergio Endrigo fa venire meno un altro tassello fondamentale della musica italiana,
interrompe progetti musicali e letterari che l’artista aveva in programma, ma soprattutto toglie dalla scena
un professionista, che ha saputo scrivere, da solo o con altre persone, brani che sono giunti fino a noi ed
hanno resistito all’usura del tempo, in barba a successi strombazzati di pochi anni o mesi fa che sono stati
prontamente dimenticati. «La festa appena incominciata / è già finita…»
Una foto recente di Sergio Endrigo (a destra) con Matteo Perazzi
Per un post più completo su Sergio Endrigo vi rinvio a questa storia, scritta all’inizio di aprile. Ringrazio di
tutto cuore Matteo Perazzi, che mi ha riavvicinato ad un grande artista.
L’articolo è stato pubblicato anche sulla fanzine del Fans club di Iva Zanicchi (numero di ottobre): per questo
si ringrazia Mirko Simionato, direttore del club ed amico di escursioni televisive.
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Attualità
08/09/2005
BATTITO DI CIGLIA (FEBBRE FREDDA, N°3)
Autore: Botta
Ecco una nuova istantanea del Brasile, scattata da Matteo Boattini: continua il suo viaggio in una realtà
agli antipodi dalla nostra, una realtà che troppo spesso dimentichiamo o non vogliamo vedere. Buona
lettura.
Gamma83
Sulla quarantina, miope, Jorge é un medico tedesco. Insegna Epidemiologia all’Università Federale di
Medicina di Fortaleza ed é membro di Mandacaru, una Ong che ha diversi progetti socio-sanitari nelle favelas
immerse nella città.
Mandacaru é il nome di una particolare specie di cactus il cui fiore, secondo la tradizione popolare, annuncia
l’arrivo della pioggia. Fortaleza é la capitale del Cearà, uno degli stati più poveri del Brasile: la siccità ha
costretto alla migrazione milioni di persone. Mandacaru é simbolo di speranza e di resistenza, viste le spine.
La strada sale, ai lati ci sono grandi ville assediate da alte mura e cavi elettrici, neanche ci fossero i
palestinesi qua attorno. In cima alla collina due poliziotti provano ad ingannare il destino e vigilano come
grandi uccelli neri racchiusi nelle divise brunite. La favela si chiama Morro do Sandra e ospita circa duecento
famiglie, mille persone. Dietro l’angolo la strada incomincia a scendere: non ci sono insegne in ferro battuto
che annuncino quanto il lavoro renda liberi ma ho la sensazione di stare per entrare in uno dei tanti
bassifondi della Storia.
Il centro Mandacaru ospita un centro ricreativo per bambini da 3 a 7 anni, una scuola di capoeira per gli
adolescenti, corsi di alfabetizzazione, un laboratorio per il riciclo della carta e un ambulatorio medico.
Mariela vive in favela da dieci anni. Possiede solo un rifugio di spaziosa argilla, oltre al titolo di studio che dà
la vita. Mi accompagna a fare un giro tra le baracche. Come una lanternina minuta che si spegne e si
riaccende mi guida perché riesca a distinguere il sentiero sulla sabbia affaticata.
Ogni viottolo é confinato tra muri alti e sottili su cui sembra inalberarsi il rancore. Si sale e si scende su un
percorso molto difficile, poche ombre per strada, posso solo intuire qualche presenza per il volume al minimo
di un televisore. Mariela dice che le case in mattoni e cemento posso costare dai 6mila ai 9mila reais (23mila euro), mentre per uno "scompartimento", ricavato con cartoni e assi di legno impastati a fango e
merda, ne bastano 3mila(1000euro).
Un ombrellone con il simbolo MASTERCARD fottuto chissà dove mi provoca una leggera smorfia sul viso che
mi viene subito placata dall’immondezzaio che mi si para davanti. Un fiume di chiarore indeciso con lasciti di
chissà quale provenienza traccia il confine con le case dei ricchi.
Il centro é dotato di un archivio, la maggior parte delle patologie comprende dermatiti, micosi e tutto
l’insieme di malattie che i libri della nostra medicina definiscono «da basso standard sociale». La malattia ha
una predilezione per i poveri. Inoltre in quel «da basso standard sociale» sembra esserci un ulteriore
declassamento, tipico del Primo Mondo, anche nella classificazione.
Al tramonto una nuvola di ragazzini vestiti di scoloriti stracci scuri gioca a calcio su un campetto di sabbia
organizzato su una pendenza. Esiste un filo rosso che collega l’asprezza della vita di una qualsiasi
persona con il campo da calcetto in cui ha giocato da bambino. Gran parte dei nostri bambini gioca a calcio
alla Playstation.
Mi convinco ogni giorno che passa che questa sia la vita vera. Non la mia da viaggiatore immobile, capace di
incassare colpi e frustate in parte e solo di striscio, ma quella di queste persone che rantolano e
razzolano, ogni lurida mattina. Come legni scomparsi, morsi dalle onde e sdegnati perfino dalla morte.
Come pesci sorpresi venduti per niente.
La favela é un diamante violento. Dove la miseria si é formata squama su squama. É polvere morta, artiglio
penetrante. Odora di luce che scotta sul volto. Non c’é posto per la sfumatura. È un anello senza zircone né
dito, un grido senza bocca né lingua. É un respiro lungo, soffio corporeo che ossigena facendoti restare in
vita. È una voce dura che esce roca dai polmoni. Si può ascoltarla. Oppure si può ricevere sulla faccia come
uno schiaffo il suo richiamo. Diventa un’idea che ti cresce dentro e ti scava solchi come i parassiti locali. Ti
vibra dolcemente nell’orecchio per conto del destino. É una febbre fredda.
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La mia penna é sempre la stessa. Scorre sulla carta nello stesso modo ormai da qualche anno. È più vicina al
sangue che all’inchiostro. Forse incapace di valutare la complessità degli eventi. Ma allo stesso tempo
incapace di infilarsi di nuovo il cappuccio così come una persona abbassa lo sguardo. È così che il suo tratto
mi sembra più preciso.
La mia penna prova a stringere la corda che memoria e oblio intrecciano senza lasciare che la bava della
paura copra le mascelle. Alla mia penna piace fare all’amore con la poesia e col filo spinato. Non disegna
sentieri né indica percorsi da seguire. È la strada che si apre camminando. Vorrei che il mio silenzio fosse
anche il mio parlarti fino al prossimo battito di ciglia magari scoccato a qualche palmo di distanza. A presto.
Musica
09/09/2005
LUCIO... ALTRE EMOZIONI
Autore: Gamma83
Sette anni fa concludeva la sua vita terrena Lucio Battisti. I suoi brani composti dagli anni ’60 al 1980
hanno segnato la vita e le esperienze di almeno due generazioni, che hanno cantato, suonato, massacrato,
in certi casi sdegnato quelle canzoni, ma sicuramente non le hanno dimenticate.
La mia prima esperienza “battistiana” risale al 1989: mi innamorai letteralmente della splendida 29
settembre (che poi scoprii essere anche il mio onomastico) che in quell’anno Maurizio Vandelli aveva
reinciso. In uno spartito dell’Equipe 84 che avevo in casa cercai quella canzone e, sotto al titolo, lessi
«Musica di L.Battisti». Più avanti imparai a conoscere altri brani memorabili o anche solo interessanti che
Lucio aveva scritto insieme a Mogol. Se chi legge queste righe è amante della musica italiana più di quella
straniera, in una sua ipotetica top ten probabilmente ha alcuni di questi brani: Acqua azzurra acqua chiara,
Amarsi un po’, Anche per te, Emozioni, I giardini di marzo, Il mio canto libero, Io vorrei… non vorrei…, Mi
ritorni in mente, Non è Francesca, Pensieri e parole, per citarne giusto una decina di quelli cantate da lui (tra
i pezzi affidati ad altri ci sono ulteriori gemme, cantate da Dik Dik, Equipe, Bruno Lauzi, Mina…). Cose
interessanti si possono trovare, sia pure con più attenzione ed impegno, anche nella produzione successiva,
dal disco di transizione E già (magari Straniero) fino ai cinque “bianchi” realizzati con Pasquale Panella: un
Battisti indubbiamente diverso, più ostico, ma certamente da scoprire.
La fama di Lucio Battisti fa sì che molti spazi della Rete abbiano la sua opera al centro. Il sito attualmente
più importante e voluminoso (www.luciobattisti.info) è gestito da Fabio Sanna e in molti hanno contribuito
alla sua crescita: ha superato da tempo i 100mila contatti e contiene una vastissima scelta di informazioni
sulla produzione dell’artista, sulle sue apparizioni televisive e radiofoniche, sui volumi a lui dedicati. Molti
fans occasionali o metodici si ritrovano poi nel forum del sito o, spesso alternativamente, nel newsgroup
it.fan.musica.lucio-battisti (accessibile da vari portali internet): i presenti propongono argomenti di
discussione, contribuiscono a questioni già aperte e si scambiano informazioni.
Lucio, dunque, è ancora presente nella memoria musicale di molti italiani. Devono pensarlo anche i
discografici (e forse non solo loro), che da domani metteranno in vendita l’ennesima compilation del periodo
mogoliano, cercando di nobilitare con un inedito un prodotto di cui non è chiaro il target: non il comune
consumatore musicale (pochi i brani davvero noti e troppo elevato il costo, anche per un disco triplo), non il
pubblico davvero appassionato (che possiede già tutti i brani, inedito compreso, ergo risparmierà 30 euro).
Meglio, molto meglio disertare i negozi di dischi domani e cercare una delle città italiane in cui, a
mezzogiorno, risuoneranno le note della Canzone del sole: il progetto BandaBattisti, di cui mi aveva parlato
Franco Zanetti (direttore di Rockol) a metà luglio, coinvolgerà oltre 220 bande in tutta l’Italia. Quello che
troppo spesso è considerato il pezzo spaccatimpani dei chitarristi alle prime armi sarà al centro della più
grande esecuzione simultanea mai tentata. Un risultato che forse nemmeno Lucio avrebbe mai immaginato.
La copertina di due degli album più belli di Lucio
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Attualità
11/09/2005
QUANTI 11 SETTEMBRE...
Autore: Gamma83
Un intervento rapidissimo ma dovuto, prima di tornare a studiare Procedura penale. Come già alcuni di voi
hanno scritto nei loro commenti, oggi è un anniversario triste: quattro anni fa, a New York, per una ventina
di mani assassine morirono quasi 3000 persone, vittime innocenti dell’odio che un uomo può provare.
32 anni fa, un altro 11 settembre (solo meno noto e meno ricordato) spazzò via il governo
democraticamente eletto in Cile: in pochi giorni furono imprigionate, torturate ed uccise oltre 1800 persone,
ma il bilancio complessivo fu assai più pesante.
Due avvenimenti, egualmente tragici, che ci insegnano molte cose: tra l’altro, che la cattiveria e la violenza
umana possono portare risultati terribili e che lo stesso paese può ritrovarsi carnefice e vittima (il golpe di
Pinochet era stato appoggiato dal governo statunitense, poiché avrebbe risolto una situazione “sgradita”).
Con le polemiche chiudo qui: ho troppo rispetto per le persone che sono morte senza colpa per attribuire
loro un colore. Anche perché è giusto ricordare, come ha scritto in un commento Manuelito, «le donne e gli
uomini che non possiedono né grattacieli né aerei e per i quali é 11 settembre tutti i giorni, da almeno 500
anni». Lo faccio attraverso una bella lirica (quasi una preghiera laica) che traggo dal blog di Pulvigiu: per
ricordare che «non è mai troppo tardi» per esternare i propri sentimenti, visto che non siamo padroni del
nostro tempo. Possa il vero Signore del tempo avere misericordia di loro. E di noi.
Se sapessi che è l'ultima volta che ti guardo mentre ti addormenti,
ti rimboccherei meglio le coperte. e chiederei a Dio di vegliare sulla tua anima.
Se sapessi che è l'ultima volta che ti vedo uscire dalla porta, ti abbraccerei
e ti bacerei per poi richiamarti per un altro bacio ancora.
Se sapessi che è l'ultima volta che sento la tua voce
registrerei ogni gesto e ogni parola; così da poter rivedere, giorno dopo giorno.
Se sapessi che è l'ultima volta in cui posso fermarmi per un momento,
per dirti "Ti voglio bene" invece di andarmene, dato che lo sai che ti voglio bene…
Se sapessi che è l'ultima volta che posso essere lì, per passar la giornata con te,
perché sono sicuro che ci saranno ancora giorni in cui potremo farlo…
E così posso lasciar trascorrere questo. Ci sarà sempre una mattina
in cui commetteremo degli errori e in cui avremo bisogno
di una seconda possibilità per mettere a posto le cose.
Ci sarà sempre un altro giorno per dire "Ti voglio bene" e ci sarà sempre
un'altra possibilità per dire "Posso fare qualcosa per te?"
Ma nel caso avessi torto e ci fosse rimasto solo oggi, vorrei dirti che
ti voglio bene e che spero che non ci dimenticheremo mai...
Il Domani non è stato promesso a nessuno, giovane o vecchio, e oggi
potrebbe essere l'ultima possibilità che abbiamo di tenerci stretta la vita.
Così perché non fai oggi quello che rimandi a domani?
A volte Domani non arriverà mai, e ti pentirai profondamente di non esserti
preso del tempo, per un sorriso, un abbraccio o un bacio e di essere stato
troppo occupato, per offrire a qualcuno quello che poi avrebbe espresso
come ultimo desiderio.
Ricordati dei tuoi cari oggi e sussurrargli nell'orecchio; di’ loro quanto li ami
e quanto li amerai sempre. Prenditi il tempo per dire "Mi dispiace"
"Ti prego ascoltami", "Grazie", o "È tutto a posto?"
e se non ci sarà nessun domani
non ti pentirai di quello che (non) hai fatto oggi.
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Libri & musica
15/09/2005
VIAGGI IN MUSICA
Autore: Gamma83
Rieccomi sulle colonne del mio piccolo spazio sulla Rete, dopo la giornata campale di ieri, in cui ho superato
piuttosto bene anche l’esame di Procedura penale. Ironia della sorte, mentre io stavo finendo
l’interrogazione con il professore, un amico a Napoli iniziava ad illustrare il suo ultimo libro, dal titolo Andare
lontano… Luoghi e non luoghi della canzone italiana. L’autore si chiama Ernesto Capasso, l’ho conosciuto
l’anno scorso ad Aprile, quando venne a Guastalla per presentare il suo primo saggio, Poeti con la chitarra
(pubblicato, come l’attuale, da Bastogi). Il volume analizzava il rapporto tra la canzone e la letteratura nella
produzione di De André, De Gregori, Vecchioni e Fossati: quattro artisti che stimo moltissimo, dunque non
potevo mancare alla presentazione.
Il tema della nuova pubblicazione è, se possibile, più avvincente: un viaggio testuale, attraverso pagine
notevoli di cantautori italiani che descrivono luoghi esistenti, immaginari o generici. L’argomento mi attira
anche perché mi riporta alla memoria un altro esame, sostenuto più di 3 anni fa: all’esame di Stato, dovendo
preparare la famigerata «mappa concettuale», scelsi di sviluppare un percorso intitolato Mondi lontanissimi
tra scienza e pensiero. Il titolo ed il tema venivano, inevitabilmente, da Franco Battiato: e se per ogni
materia scolastica avevo individuato un argomento collegabile al concetto di «mondo lontanissimo», l’ultima
parte della mia esposizione era riservata proprio alla musica d’autore italiana. Avevo creato un percorso
attraverso liriche di Vecchioni, De Gregori, Battisti, Dalla, Guccini, unite dall’idea di lontananza o di viaggio; a
Battiato avevo dedicato una sezione apposita, un po’ perché da lui era venuta l’idea, un po’ perché i brani
adatti erano davvero tanti.
Proprio Franco Battiato (che tra i suoi pezzi annovera un evocativo Invito al viaggio) ha un grande spazio nel
libro di Ernesto, assieme ad altri artisti che hanno lasciato, nelle loro opere in musica, tracce di luoghi. Ci
sono le città reali, quali Genova (attraverso le immagini di Fabrizio De André, Gino Paoli e Paolo Conte)
o Napoli (vista mediante la sensibilità di Edoardo Bennato e Pino Daniele); ci sono percorsi interessanti
ed accostamenti spesso non prevedibili, soprattutto se accostano il “tempio” calcistico di San Siro, il “teatro
del destino” di Samarcanda e le contraddizioni di Malindi (è il caso di Roberto Vecchioni) o le periferie
urbane ritratte da Lucio Dalla e Renato Zero (che condividono anche un titolo di canzone, Il cielo, sia
pure sviluppato in modo diverso). Nulla vieta però di considerare luoghi lontani dalla fisicità, non per questo
meno intriganti. Un luogo che funga da riparo contro gli affanni del tempo e in ci si possono ritrovare affetto
e sincerità (Il luogo del pensiero, di Giorgio Gaber), oppure dove mettere in scena (o vedere da spettatori)
momenti di vita, con tutte le loro sfaccettature prettamente umane (ad esempio nei brani di Sergio
Cammariere).
Viaggiare di questi tempi è quasi un lusso: i prezzi a volte sono proibitivi e comunque manca il tempo.
Sarebbe bello cogliere questa occasione di andare lontano: per 10 euro vale la pena di passare qualche
minuto od ore (a voi la scelta) al largo dalla monotonia, spesso avvilente ed obbligata, di certa quotidianità.
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Curiosità
17/09/2005
SIMPATIA FELINA (E UNA PICCOLA INQUIETUDINE)
Autore: Gamma83
L’autoradio può essere un elemento non trascurabile in un viaggio in macchina, specie se la strada è lunga,
si vuole un diversivo e, magari, si ha la fortuna di imbattersi in un brano che piace. Per chi non aggiorna la
propria conoscenza musicale, tuttavia, anche l’ascolto della radio può risultare difficoltoso: spesso le canzoni
sono proposte senza soluzione di continuità (solo la pubblicità può permettersi di interrompere) e,
soprattutto, senza che uno speaker caritatevole ne ricordi il titolo e l’autore.
Io stesso riconosco piuttosto agevolmente i brani dei cantautori o i successi storici degli anni ’60-‘70, ma ho
qualche problema con la valanga di canzoni estive o pseudo-tali proposte in questo periodo; alcuni miei
amici che non ascoltano la radio di frequente non riescono nemmeno a riconoscere le voci nuove. Un’amica,
invece, riconosce solo quelle che le danno fastidio, a partire da Carmen Consoli. A me «la cantantessa» non
dispiace, soprattutto per i testi che scrive; il suo giudizi, invece, è ulteriormente peggiorato quando ha
saputo che un suo brano si intitola Matilde odiava i gatti. «I mici non si possono odiare», ha sentenziato.
Già, i gatti. Entrano in tante case, spesso per restarci: la mia non fa eccezione, qui si sono avvicendati
quattro felini, l’ultimo dei quali (Bizet, perché assomiglia a quello degli Aristogatti) “ci ha adottato” e va da
una stanza all’altra, lasciando tracce di pelo ovunque vada. Bambini che ne vogliono uno (specie quando
genitori e condomini non sono della stessa idea), pensando di potersi divertire; persone di varia età che
conoscono la responsabilità del crescere l’animale, ma godono della compagnia che un quattrozampe con
pelo e baffi può fornire: sono tanti i casi in cui la famiglia si allarga ed accoglie il piccolo ospite, che spesso
diventa il padrone della casa (o, se si accontenta, del divano). I graffi delle unghie su mobili e (ahinoi) sulla
nostra epidermide passano in secondo piano di fronte alla tranquillità che infonde il manto accarezzato o alla
simpatia di un micio che “fa toeletta”, con una cura che fa invidia ad una dama.
Tutto bello il rapporto coi gatti? Secondo alcuni no. Il mio giovane amico Emanuele Paris mi ha parlato
recentemente di un protozoo (Toxoplasma gondii), che può essere presente (oltre che nell’acqua
contaminata e nelle carne cruda) nelle deiezioni dei gatti; secondo alcuni scienziati, in certe condizioni
l’indesiderato ospite potrebbe essere causa di schizofrenia, in particolare nel periodo di gravidanza (con
rischi per il nascituro).
C’è da preoccuparsi? Non credo. «La prudenza non è mai troppa», ma un altro proverbio d’epoca ammoniva
che «il troppo stroppia». Ci dà già grattacapi a sufficienza l’influenza aviaria: giusto prepararci
adeguatamente, ma troppe persone inutilmente atterrite chiedono consulenze ai loro medici, come se questa
«influenza dei polli» fosse già qui a far danni. Non tollereremmo di dover rinunciare alle fusa di un felino
domestico per un rischio azzerabile con elementari misure igieniche. Soprattutto non accetteremmo che
qualcuno, con la scusa di evitare la schizofrenia, pensasse di abbandonare il proprio gatto per strada. Una
precauzione sanitaria? No, un’inciviltà e una crudeltà, altro che storie.
Introspezioni
19/09/2005
ATTIMI FUGGENTI
Autore: Gamma83
Alle 7 e 30 di stamattina ero già sul pullman, destinazione Parma. Che la vita sia o no un «eterno ritorno
dell’uguale», si è deciso che le lezioni universitarie iniziassero il 19 settembre ed eccomi oggi puntualmente
là. Passi uno in fila all’altro in corridoi già noti, saluti ai colleghi di sventura non visti da tre mesi, prima
lezione agghiacciante (un po’ perché dopo le vacanze debbo “carburare”, un po’ perché Analisi economica
del diritto stenderebbe chiunque) e la prima giornata accademica è filata via. Spetterà alla profondità degli
amici, all’intelligenza dei professori ed alla convinzione di noi stessi far sì che il periodo appena iniziato sia
uno spicchio di vita vissuta e non somigli ad una «intronata routine» di cui farei volentieri a meno.
Per darmi un po’ di carica ieri sera ho voluto rivedere L’attimo fuggente, un film cui sono davvero molto
legato. Lo vidi per la prima volta quand’ero bambino: capii ben poco del contesto, ma mi rimase impressa la
scena finale dei ragazzi in piedi sui banchi e, soprattutto, «O Capitano, mio Capitano». Non potevo sapere
che dietro quell’atto di ribellione c’era ben di più. Il personaggio interpretato da Robin Williams era riuscito
a scardinare, almeno per un po’, un sistema che sacrificava l’estro, il pensiero ed il sentimento (i fondamenti
di una vera crescita personale) sull’altare di «tradizione, disciplina», di un supposto «onore» e di una
«eccellenza» modellata solo sui risultati scolastici e sulla posizione sociale.
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Trovo personalmente inaccettabile una società che voglia (parafrasando un verso di Mogol-Battisti)
«cancellare anche l’ultima e più piccola emozione». Peggio ancora se a farlo è la scuola (pretendendo di
misurare la qualità di una poesia sul piano cartesiano): se davvero dev’essere «maestra di vita» è opportuno
che insegni anche questo; la trigonometria, con tutto il rispetto per coseni e tangenti, non dovrebbe
risentirne, gli adulti di domani sì. Nella pagina più bella e più famosa di Qoelet si legge «Per ogni cosa c’è il
suo momento»: non è forse un invito (sia pure lontano da ogni eccesso) a riconoscere le occasioni e, se
serve, a «cogliere l’attimo»? Spesso «gli orizzonti perduti non ritornano»; e quando le occasioni si
ripresentano molto tempo dopo, chi si comporta come avrebbe dovuto fare vent’anni prima non è un
ritardatario, è solo patetico (così ci dicono). Eppoi imparare a provare emozioni vere, a ragionare, a dubitare
(anche di sé stessi) è estremamente difficile; impararlo da adulti lo è ancora di più.
Pensando alla mia esperienza di studente, credo di aver incontrato almeno due John Keating di recente, che
mi hanno ricordato quanto sia importante pensare con la propria testa, senza paura di mostrarsi “contro”,
quando occorre (ringrazio Chi ha messo sulla mia strada queste persone ed ha voluto che mi
accompagnassero fino ad un traguardo importante). Poche volte mi sono capitati insegnanti prevedibili e
scontati e sarei stato ancora più contento se la maggior parte delle persone che ho conosciuto avesse avuto
il carisma di Keating. Troppo spesso ci manca la spinta, il desiderio di «osare cambiare» quando ce n’è
bisogno, oppure la voglia di poesia e di riflessione, quando intorno ci sono troppe persone a ricordarti che se
una cosa non porta ordine e danaro è poco utile. Per questo ho visto con piacere L’attimo fuggente
annoverato tra i film più belli della storia, in una rubrica di Tg2 Mistrà: forse qualcuno non si è rassegnato al
conformismo e non vuole scoprire troppo tardi «di non aver vissuto».
Una scena "storica" del film L'attimo fuggente
Libri
21/09/2005
TAGLI E RITAGLI: UN LIBRO PER CONOSCERLI
Autore: Gamma83
Scrivo queste nuove righe dopo una giornata massacrante, che non sfigurerebbe affatto in un’ipotetica città
chiamata Copropoli. Sono quei casi in cui, una volta parcheggiata l’automobile davanti a casa, verrebbe
voglia di baciare la terra, come Ulisse tornato ad Itaca; scarto però subito l’idea, poco attratto dal pensiero di
sfiorare asfalto, bitume, pietrisco ed altre pulite amenità.
Decisamente meglio archiviare le ultime 13 ore ed immergersi in giuste e sensate letture. O riletture. Perché
certi libri sono fatti apposta per essere posati e risfogliati, consultati al bisogno o allo sfizio. Così una notizia
letta su Televideo mi ha spinto a riprendere in mano Proibitissimo!, un testo che ripercorre più di 80 anni di
censura radiotelevisiva, attraverso testimonianze dirette, documenti e racconti. Il volume (edito nel 2003 da
Garzanti) è stato scritto da Menico Caroli, giovane ricercatore grecista all’università di Foggia e che ho già
citato in un post dedicato a Mia Martini (Menico infatti ha scritto anche la biografia – ormai introvabile –
della cantante).
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Scorrendo le oltre 250 pagine del libro, scritte con uno stile accattivante e mai noioso o scontato, si
ricordano piccoli divieti e grandi scandali (dalla Canzonissima ’62 della coppia Dario Fo - Franca Rame alla
più recente sparizione di Beppe Grillo dalla Rai), numerose mutilazioni a brani musicali più o meno noti, tagli
a film e persino ai cartoni animati. Solo scorrendo l’elenco di artisti che sono incappati nelle maglie della
censura si trovano i nomi più importanti della musica leggera italiana: tra essi Modugno, De André, Gaber,
Mina, Paoli, Ciampi, Cocciante, Dalla (in particolare con 4 marzo 1943, che doveva chiamarsi Gesù Bambino
e fu prontamente alleggerita di ladri, puttane ed altra umanità), Elio e le Storie Tese, ma anche insospettabili
come Lucio Battisti e Claudio Baglioni (persino Questo piccolo grande amore non sfuggì al maglio: «la voglia
di essere nudi» e le mani «ansiose di cose proibite» non passavano in radio); per non parlare del celebre
caso di C’era un ragazzo…, brano purgato nei versi che parlavano della guerra in Vietnam e che scatenò
perfino un’interrogazione parlamentare. Di alcune persone, poi, era meglio non parlare del tutto: niente
video dunque per Umberto Bindi (per la sua omosessualità) e ostracismo quasi totale per Mia Martini, che
oltre a cantare pezzi scomodi aveva anche il difetto di essere considerata una “porta-iella”.
Il libro può essere un’occasione magnifica (ma sarebbe meglio usare un altro aggettivo: Menico ricorda che
“magnifica” era stata bandito da radio e tv delle origini, così come altre parole, perché evocava un termine
volgare) per conoscere una storia spesso passata in secondo piano, ma che (comunque la si pensi) ha
caratterizzato il passato dell’Italia e, secondo più di una voce, rischia di non abbandonare il presente. A
proposito, aspetto ancora di vedere Enzo Biagi al suo posto, dietro una scrivania a commentare «il fatto» del
giorno: già domani potrebbe essere troppo tardi.
Televisione
24/09/2005
MONTALBANO STRAVINCE...
Autore: Gamma83
Sono lieto che giovedì sera quasi 9 milioni di persone abbiano assistito in tv al ritorno di Salvo Moltalbano.
Questo personaggio, nato dalla penna di Andrea Camilleri e valorizzato dall’interpretazione di Luca
Zingaretti, è riuscito a conquistare un posto di assoluto rilievo nel cuore di tanti italiani. Non è un caso che
anche la “corazzata” Elisa di Rivombrosa abbia dovuto cedere davanti al nuovo episodio di Montalbano.
Non so se al pubblico piaccia di più l’umanità del protagonista (eterno fidanzato con Livia, intenso nei
rapporti con gli altri), la sua abilità nel risolvere i casi, la comprensibile insofferenza nei confronti di ordini o
regole insensati o chissà cos’altro; sta di fatto che le puntate nuove hanno sempre ottenuto lusinghieri dati
di ascolto e persino le repliche si sono difese molto bene dalla controprogrammazione di Mediaset & co.
Ormai il pubblico ha imparato a conoscere il nucleo di attori che caratterizza le storie: Cesare Bocci nei panni
del vice commissario Mimì Augello, Angelo Russo che dà corpo all’irresistibile Agatino Cagarella e tutto il
resto della squadra (a proposito, complimenti a Rita Forzano che ha curato il casting: il personaggio di
Marzilla era «una stampa e una figura» con quello che mi ero immaginato io).
Qualcuno degli appassionati ha apprezzato il film dopo aver letto i libri; molti altri sono arrivati alle pagine
ruvide dei volumetti blu della Sellerio (sensazione d’altri tempi, quella della carta sfogliata, in un’epoca
fatta di pagine web) proprio grazie a Zingaretti e a tutti gli attori che hanno dato vita alle storie. Certamente
i film non possono restituire la stessa atmosfera della pagina scritta, ma non è detto che sia un male.
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Il linguaggio televisivo è indubbiamente diverso e non ha le stesse esigenze del libro, per cui certi elementi
vanno inevitabilmente perduti (sempre sotto la guida di Camilleri, coautore della sceneggiatura). Sono
sparite alcune caratterizzazioni della storia, comprese alcune in senso politico (ma è significativo che ad
aprire l’episodio sia stata la rabbia per i fatti di Genova e Napoli, che stavano per portare l’integro
commissario alle dimissioni); manca soprattutto quell’immersione nella sicilianità, che l’italiano intriso di
dialetto, le descrizioni dei luoghi e dei cibi possono dare al lettore. Nonostante questo, il prodotto televisivo è
certamente di alto livello e merita di essere visto.
Luca Zingaretti ha annunciato che questi quattro episodi saranno gli ultimi con lui nei panni di Montalbano:
chiaramente mi dispiace, ma posso capire la sua scelta. Chi si sentirà orfano dell’umanissimo commissario
Salvo, farà buona cosa a riprendere in mano i libri, senza paura di immergersi nel racconto.
Musica
25/09/2005
SPECIALE POP: LA MUSICA SECONDO MICHELE BOVI
Autore: Gamma83
Il blog oggi propone un articolo imperdibile per i veri appassionati di musica: un’intervista senza rete a
Michele Bovi, giornalista del Tg2. Si parla di tutto: plagi, inediti, Endrigo, Battisti, ma soprattutto di cosa
non va (tanto) nella musica che oggi passa in televisione. Buona lettura.
Ritratti
30/09/2005
ULISSE, IL "FOLLE VOLATORE" - 1
Autore: Gamma83
In un vecchio post avevo proposto un gioco (Specchi di carta), elencando vari personaggi della letteratura in
cui, almeno in parte, mi sono identificato. Tuttavia l’uomo di carta che mi ha affascinato di più è certamente
Ulisse: vidi la splendida Odissea televisiva di Franco Rossi quando ero piccolo e volli leggere la sua storia.
Col tempo ho imparato a conoscere l’uomo Ulisse, scaltro sino alla scorrettezza, legato alla moglie (ed al
figlio mai visto) non senza cadute; ma soprattutto mai spaventato dai limiti, umani o divini che fossero.
Tanti scrittori e poeti in musica hanno dedicato una pagina ad Ulisse, spesso con risultati straordinari: vorrei
dunque condividerle con voi, che capitate su questo lido del mare telematico. Comincio da una bellissima
(anche se lunga) poesia di Alfred Tennyson, autore ottocentesco, pienamente romantico. I suoi versi
colgono Odisseo dopo il ritorno ad Itaca: è un Ulisse che, dopo aver tanto viaggiato, non è più appagato
dalla vita “stanziale”, dagli affetti familiari e dalla quotidianità. Avevo visto un’immagine simile in Nessuno,
l’Odissea raccontata da Luciano De Crescenzo: il re, dopo aver guardato nella notte moglie e figlio, inizia
a sospirare thalatta, thalatta (il mare, il mare) e decide di partire di nuovo coi compagni.
Qui accade lo stesso: Ulisse considera disdicevole «arrugginire inutilizzato» in una società che non si cura di
lui, dopo aver conosciuto nei suoi viaggi molte realtà, mentre tante altre gli restano ignote. Meglio lasciare il
governo a Telemaco, persona giudiziosa, e prendere il largo coi compagni per «seguire la conoscenza come
una stella» (ricorda tanto «seguir virtude e conoscenza» di Dante), visto che c’è da vedere tutto quel mondo
inesplorato, «i cui cigli svaniscono ad ogni mia nuova mossa» (forse Guido Gozzano e Francesco Guccini
pensavano a questo verso, scrivendo due rispettivi capolavori: La più bella e L’isola non trovata).
Questa poesia, dopo le prime letture, mi affascinò a tal punto che decisi di portarla all’esame di Stato; la
ritrovai con gioia nell’Attimo fuggente, letta dai nuovi «Poeti estinti». Ora la propongo a voi (la traduzione,
spero il più fedele possibile, è mia) per proporvi un primo viaggio: altri ne seguiranno.
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Serve a poco che io, re ozioso, davanti a questo
calmo fuoco, tra queste sterili rocce,
unito ad una donna di tarda età, misuri e dispensi
leggi ineguali a questa gente selvaggia
che accumula e dorme e mangia e non mi conosce.
Non posso aver riposo dal viaggiare: fino alla feccia
berrò la vita. Per tutto il tempo ho gioito
e sofferto grandemente, con chi mi amò
e in solitudine; sulla terra e quando
attraverso turbini veloci le piovose Iadi velarono
il mare di fitta nebbia. Conquistai una fama:
ché andando sempre con cuore mai sazio
molto ho veduto e conobbi: le città degli uomini
e i loro usi, climi, consessi e poteri: li conobbi
non meno di me stesso, e fui onorato da tutti loro
e bevvi la gioia della battaglia coi miei pari, lontano,
sulle risonanti piane di Troia, battuta dal vento.
Di quanto ho incontrato io sono parte; eppure
tutta l’esperienza è un arco, attraverso
cui balugina quel mondo inesplorato, e i suoi cigli
svaniscono ad ogni mia nuova mossa.
Quanto è sciocco fermarsi, porsi un limite,
far ruggine inesausti,
non brillare come arma sguainata.
Come se respirare equivalesse a vivere.
Vita su vita sarebbe poco, e di una vita a me
poco rimane, ma ogni ora è al sicuro
dal silenzio eterno, porta qualcosa di più,
nuove cose; e sarebbe vile
per tre anni o giù di lì mettere da parte me stesso
e quest’anima che arde nel desiderio
di seguire la conoscenza come una stella che cade
oltre l’estremo limite dell’umano pensare.
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Questo è mio figlio, il mio Telemaco,
cui lascio lo scettro e l’isola;
mio prediletto, che ha giudizio per compiere
quest’opera, l’acquietare con cauta prudenza
un popolo rude, e attraverso leggi miti
sottometterlo a ciò che è utile e buono.
Soprattutto egli è irreprensibile, saldo
nei suoi doveri comuni, buono
nell’usare mitezza e nel tributare degna adorazione
agli dei che custodiscono la mia famiglia;
quando sarò andato, lui farà il suo compito, io il mio.
Laggiù c’è il porto; il vascello gonfia la sua vela:
Là il mare ampio, oscuro. Marinai miei,
anime che avete faticato, penato e pensato con me,
che sempre con allegro saluto accoglieste
il tuono come il sole, che opponeste
cuori liberi, libere fronti: voi ed io siamo vecchi;
tuttavia l’età tarda ha il suo onore ed il suo sforzo.
La morte è la fine di tutto: ma prima qualcosa,
qualche opera degna di nota, si può ancora fare,
non disdicevole per uomini che affrontarono gli Dei.
Le luci ora sfavillano dalle rocce:
il lungo giorno svanisce, la luna lentamente si leva,
l’abisso d’intorno geme con molte voci. Venite,
amici,
ché non è troppo tardi per cercare un mondo nuovo.
Al largo, sedete in ordine e battete
le scie sonore; mio saldo scopo è
navigare oltre il tramonto ed il lavacro
di tutte le stelle d’occidente, finché io muoia.
Forse i vortici ci risucchieranno;
magari toccheremo le Isole Felici, e vedremo
il grande Achille, che abbiamo conosciuto.
Molto ci è stato preso, molto rimane;
e pur non avendo la stessa forza che un giorno
mosse terra e cielo siamo sempre noi,
un’unica tempra di eroici cuori,
indeboliti dal tempo e dal fato, ma forti nella volontà
di lottare, cercare, trovare e non arrendersi.
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Ottobre 2005
Politica
07/10/2005
L'ITALIA DEI PROSSIMI MESI: UN INFERNO
Autore: Gamma83
Si prospettano mesi di sofferenza per la politica italiana: ancor più di quelli, pur difficili, che stiamo vivendo
ora. Da una parte una maggioranza che insiste nel voler sembrare compatta e credibile, ma rischia la rottura
ogni giorno e sembra non rinunciare a progetti di legge quantomeno discutibili (quello sui tempi di
prescrizione in primis); gli stessi soggetti sperano di vincere approvando negli ultimi mesi della legislatura
una legge che, nelle parole dello stesso presidente del consiglio, «riporterà Forza Italia al 30%» (allora non è
l’Unione che ha paura di perdere con la nuova legge: è la Cdl che sa di perdere con quella attuale).
Dall’altra parte c’è il centro-sinistra che, impegnandosi adeguatamente, rischia di perdere le elezioni. Ne
sono, ahime, piuttosto convinto, dopo aver visto in tv il monologo di Daniele Luttazzi Bollito misto con
mostarda: è di sei mesi fa (e si vede, visto che i ministri sono quelli di allora), ma sembra scritto domani. Il
comico nello spettacolo elenca, tra l’altro, una sequela pressoché infinita di errori compiuti dalla sinistra che
rischia di far dimenticare i successi elettorali ottenuti in questi anni. Si spera di non doverne aggiungere altri
(per esempio, non mi pare opportuno candidare Pippo Baudo a Catania, anche se come presentatore lo
stimo) e di mantenere anche nei fatti questa “Unione” che, un po’ troppo spesso, sembra vacillare.
Ci attende una campagna elettorale senza risparmio di colpi, soldi (i nostri) e bassezze. Nel frattempo le
nostre truppe sono ancora in Iraq e non si è ancora fatto abbastanza per riportarle a casa (non obbedire a
Bush non è un delitto, se lo ricordino); l’economia, a detta di molti, è allo sfascio e la credibilità del nostro
paese pure, visto il teatrino inguardabile dei vertici della finanza italiana; come se non bastasse, sulle schede
elettorali 2006 rischiamo di trovare di nuovo nomi di persone già condannate dalla giustizia italiana. Basta
leggere il blog di Beppe Grillo per vedere una lista di 23 parlamentari condannati con sentenza definitiva:
non tutti sono riconducibili al centro destra (così non ci si accuserà di faziosità), alcuni sono in procinto di
mutare schieramento. Nessuno chiede la gogna per loro: non è giusto. Saremmo già abbastanza felici di non
pagare più il lauto stipendio che chi sta in parlamento percepisce. Forse quei soldi andranno altrove, magari
per qualcosa di buono o (siamo realisti) in altri affari poco onorevoli; ma sarà sempre un primo passo.
Introspezioni
09/10/2005
IL PERICOLO DEL CASSETTO
Autore: Gamma83
Avete mai sperimentato, voi che leggete queste pagine, quanto possa essere pericoloso un gesto semplice
come aprire un cassetto? Fate voi stessi la prova, scegliendo un cassetto di una scrivania o del comodino
(piccola avvertenza: se contiene solo vestiti, l’esperimento non vale). Oggi parteciperò ad un raduno scout
nella mia città (il nostro gruppo compie 85 anni di vita) e ieri stavo cercando il ferma-fazzolettone che avevo
smesso di usare più di sette anni fa. I miei ricordi mi hanno guidato, appunto, verso il cassetto della mia
scrivania: una volta aperto, sono stato preda di inevitabili conseguenze.
Solitamente la luce che illumina il parallelepipedo di legno o metallo rivela un grado di disordine notevole,
direttamente proporzionale al tempo trascorso dall’ultima apertura (questa relazione non è mai stata
scientificamente provata). Le cose che stanno dentro al cassetto sembrano affastellate senza un ordine
logico e cercare qualcosa di preciso diventa un’impresa notevole.
Quando, passato lo sconforto per la confusione, si inizia la ricerca, si presenta subito la seconda insidia. Per
vedere meglio gli oggetti contenuti nel vano, capita che se ne tolgano alcuni: inevitabilmente si volge loro lo
sguardo. Se l’oggetto ci appartiene o (peggio) è legato ad un’esperienza particolare scatta la trappola del
ricordo: non si può fare a meno di abbandonarsi, per un tempo più o meno lungo, a rievocare il periodo in
cui la cosa (anche e soprattutto quando è manifestamente futile) veniva acquistata, regalata, utilizzata,
condivisa, litigata o quant’altro. Moltiplicando i secondi andati in pensieri per il numero di oggetti da togliere
dai cassetti si rischia di ottenere una quantità di tempo notevole; considerando che quando si cerca qualcosa
solitamente si ha fretta, il viaggio mnemonico-temporale rischia di tradursi in una più concreta (e dannosa)
perdita di tempo. Io ieri non avevo troppa fretta, ma mezz’ora di scavi archeologici per trovare un oggetto di
due centimetri cubi mi sembra un po’ eccessiva. Tanto più che la cosa mi preoccupa: se i ricordi di una
ventina d’anni di vita hanno prodotto questo effetto, cosa potrebbe accadermi dopo la soglia degli “-anta”?
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L’ultima conseguenza dell’apertura del cassetto è assai più prosaica, ma deve necessariamente essere
affrontata: una volta trovata la cosa oggetto di ricerca (quando va bene) occorre comunque rimettere tutto a
posto, specie se si è usato il letto come punto d’appoggio. Qui la geometria solida prende il sopravvento
sulla volontà: oggetti che prima stavano nel cassetto ora non trovano più il loro posto, perché disposti in
modo ancor più disordinato (dicono le mamme) o perché lo esigono le leggi di Murphy e della termodinamica
(tentativo di giustificazione scientifica del disordine). Valutate tutto ciò la prossima volta che cercherete
qualcosa e vi diranno «È nel cassetto della tua stanza»: se cuore e pazienza reggono, buon viaggio.
Attualità
10/10/2005
I COLLABORATORI: LA REALTÀ (MAGRA) DEI GIORNALI LOCALI
Autore: Gamma83
Ho ascoltato volentieri, in occasione dello sciopero dei giornalisti televisivi, il comunicato che è stato letto dai
lettori delle notizie (sono stato contentissimo, tra l’altro, di rivedere Claudio Valeri sul desk del Tg2, non mi
capitava da tempo). Delle situazioni difficili chiamate in causa in quel testo ne conosco in particolare una,
quella dei «giornalisti libero professionisti» poco protetti: in un certo senso, anch’io ne faccio parte. Di rado
ho parlato qui del mio “lavoro” per il giornale, ma credo sia giusto che più di una persona conosca la realtà
delle tante persone che svolgono la mia stessa attività.
Quando incontrai per la prima volta il caposervizio per iniziare la mia collaborazione, mi parlò anche
dell’aspetto economico precisando: «Non ti fare illusioni, ti ci compri un gelato». All’inizio si accetta sempre
con entusiasmo, soprattutto se prima non si guadagnava nemmeno un soldo; col tempo, però, qualche
riflessione la si fa. In base all’accordo che mi lega al gruppo editoriale, un mio articolo è pagato al massimo
5 euro lordi (se è di lunghezza contenuta o si tratta di una breve la paga è minore): a quanto mi dicono, le
tariffe sono le stesse di sette anni fa. In più, se il pezzo non esce (ogni tanto mi capita), io non vedo un
soldo a dispetto del tempo utilizzato e dei chilometri eventualmente percorsi. È vero che, sempre in base
all’accordo che ho sottoscritto, non sono inserito nell’organico aziendale e, in quanto autonomo, posso
«accettare o meno le singole richieste» di articolo, ma serve a poco: è intuitivo che non è il caso di rifiutare
troppe proposte di articoli della redazione, se si vuole che la collaborazione prosegua (le persone corrette
fanno così) e che qualche soldino nel portamonete arrivi, se non altro per ripagare telefonate e altre spese.
Con alcune distinzioni, questa è la situazione in cui versano molti collaboratori dei quotidiani locali di tutta
l’Italia. Anche nel mio giornale le pagine sono piene di articoli scritti da corrispondenti che operano nelle mie
stesse condizioni. Certamente si tratta di persone che non vivono con quei soldi (anche scrivendo, al limite,
due pezzi al giorno, più di 240 euro al mese non si può raccogliere e si è costretti a cercare più
collaborazioni); eppure all’interno dei quotidiani i «liberi collaboratori esterni» sono essenziali. Senza di loro
tutto ciò che accade dovrebbe essere coperto dai redattori, cosa praticamente impossibile per molti giornali;
è attraverso di loro che in redazione arrivano notizie di colore o di servizio che altrimenti non troverebbero
spazio da nessuna parte.
Sapere che qualcuno ha scioperato anche per difendere persone poco tutelate (e non per colpa delle
redazioni, che fanno quello che possono) come il sottoscritto mi fa piacere; mi fa sperare che le cose
possano migliorare e che questa possa essere, un giorno, la mia professione.
Musica
12/10/2005
PIERANGELO BERTOLI: ANCORA "A MUSO DURO"
Autore: Gamma83
Il 7 ottobre di tre anni fa ci lasciava Pierangelo Bertoli, cui la musica d’autore italiana deve alcune delle
pagine più belle ed intense. Quel giorno era stato un pesantissimo lunedì (uno dei primi trascorsi
all’università): aspettavo di lasciare Parma in treno, quando mi arrivò un messaggio sul cellulare che mi
comunicava la notizia. Mi intristii molto: le sue canzoni per me avevano significato qualcosa di importante.
Il primo “incontro” è datato estate 1991: era l’anno di Spunta la luna dal monte, cantata a Sanremo con i
Tazenda ma poi divenuta, in qualche modo, colonna sonora dell’estate. Avevo solo 8 anni, ma attraverso
quel brano (bello, ma forse non il più significativo tra quelli di Pierangelo) imparai a conoscere un artista che
non aveva paura di mostrarsi “così com’era” al pubblico dell’Ariston e dei televisori e che, soprattutto, era in
grado di comunicare e dare voce ad emozioni molto più di altri presunti “cantanti di successo”.
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Col tempo mi misi alla ricerca di brani di Bertoli e mi trovai di fronte quelli più noti: la denuncia-speranza di
Eppure soffia, la poesia di Pescatore (con la bellissima voce di Fiorella Mannoia), il manifesto-ritratto sincero
e tagliente di A muso duro (che sottoscrivo in pieno). Ebbi però la fortuna di ascoltare altri pezzi,
generalmente esclusi dalla programmazione delle radio, anche le più “intelligenti”: ho potuto così conoscere
il racconto appassionato e pieno di immagini ed emozioni di Rosso colore, l’amarezza disincantata ed
impietosa di Il centro del fiume, la dolcezza di Chiama piano (scritta con Luca Bonaffini e cantata con Fabio
Concato), gli interrogativi intimi di I miei pensieri sono tutti lì (sperimentati in prima persona) e il quadro a
pennellate decise di Sera di Gallipoli. In questo momento mi risuonano nella mente le parole di due brani che
dovremmo ricordare qualche volta di più per riscoprire noi stessi ed il mondo intorno a noi: la semplicità
disarmante, dunque dirompente, suggerita da Per dirti t’amo (ascoltatela tutta per conto vostro, è meglio) e
l’invettiva dura e profetica di Italia d’oro («Racconteranno che adesso è più facile / che la giustizia si
rafforzerà / che la ragione è servire il più forte / e un calcio in culo all’umanità»).
È indubbio che Pierangelo abbia ricevuto molta meno attenzione di altri artisti della scena musicale italiana,
in vita e dopo la sua dipartita (questo anche per colpa – devo dirlo – di noi giornalisti che spesso non siamo
stati capaci di mostrarne il valore). Oggi l’artista vive ancora grazie a chi desidera che la sua musica, le sue
parole non siano dimenticate: tra loro anche gli appassionati che animano e mantengono vivo il sito
ufficiale (ben fatto, con i testi indimenticabili e molto altro materiale). Il rammarico più grande per me è
stato non aver conosciuto Pierangelo, ma soprattutto non aver potuto assistere ad un suo concerto: sono
arrivato fuori tempo massimo, ma sapere che c’è ancora chi ne vuol conservare memoria mi rasserena e mi
spinge a ricordare che, nonostante tutte le nostre umane brutture, «eppure il vento soffia ancora».
Ritratti
15/10/2005
ULISSE, IL "FOLLE VOLATORE" - 2
Autore: Gamma83
Torniamo a parlare di Ulisse e di come poeti e scrittori abbiano ritratto questa figura profondamente umana
eppure non inquadrabile nei nostri standard contemporanei di vita. Certamente un eroe, almeno a giudicare
dalle imprese e dai racconti che lo vedono protagonista: se Odisseo era, in fondo, un re di un’isoletta ed un
condottiero, si può star certi che pochi hanno avuto l’attenzione riservata a lui. Pochi e quasi sempre di alto
lignaggio.
È sempre stato così e le cose (purtroppo) non sono cambiate. Quando c’è un eroe di mezzo i meriti toccano
invariabilmente a lui, senza che chi gli sta intorno riceva spesso un decimo della fama o della riconoscenza
data al primus: non importa chi davvero abbia sopportato la fatica ed i dolori di un’impresa, il verdetto delle
storie non cambia. Così i marinai di quelle «concave navi», se fossero vissuti veramente, sarebbero stati
degli illustri sconosciuti: li avremmo magari saputi affabulatori dal racconto facile se fossero esistite le
osterie, ma al ritorno a casa non avrebbero trovato una reggia, una regina ed un “principe” ad attenderli.
Tanti di loro non se ne sarebbero curati poi tanto, visto che per colpa dell’eroe sono stati stritolati e mangiati
da un gigante con un occhio solo o divorati da un mostro a sei teste.
È questa la storia che Lucio Dalla raccontò 34 anni fa, in un brano chiamato, guarda caso, Itaca, il cui testo
(che si può trovare qui) è firmato con Gianfranco Baldazzi e Sergio Bardotti. Protagonista della canzone è
uno di quei marinai che hanno seguito Ulisse per buona parte del viaggio: un itacese come tanti altri, che a
differenza del suo re soffre la fame e rema di continuo per condurre la nave. Un marinaio che erra in un
Mare ostile, scontando spesso le “colpe” e le scelte del comandante-eroe, «mentre il mio più gran peccato –
dice – fa sorridere gli dei». È un uomo come gli altri, questo narratore, che non nasconde la paura che le
avventure cui è costretto gli procurano giorno dopo giorno; la stessa paura che però, in fondo, dà un certo
colore alla sfida ai limiti ed al viaggio. Per questo motivo, dopo le lamentazioni emerge una disponibilità in
qualche modo inaspettata: «Se ci fosse ancora mondo / sono pronto: dove andiamo?»
Ulisse è ritratto solo in secondo piano, anche se quel «Capitano» rappresenta indubbiamente l’eroe greco.
Sembra quasi strano che questo Ulisse e quello raccontato da Dante o altri siano la stessa persona; eppure
anche queste poche pennellate, intrise di amarezza e sogno, possono contribuire a ricostruire la figura di
Ulisse, a volte contraddittoria, in ogni caso tipicamente umana.
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Politica
16/10/2005
LE PRIMARIE ED IL FUTURO DEI CATTOLICI
Autore: Gamma83
Oggi ho dato il mio minuscolo contributo al futuro dell’Unione, partecipando alle Primarie e votando per
Romano Prodi. Spero che come me lo abbiano fatto in tanti: ho sempre creduto di vivere in un paese
libero (nonostante qualcuno faccia di tutto per incrinare questo mio pensiero) e sono tuttora convinto che
avesse ragione Giorgio Gaber nel cantare «Libertà è partecipazione». Non si tratta di «scegliere
attentamente il mio prossimo problema», parafrasando Frankie Hi NRG: semplicemente mi sono avvalso
della facoltà di rispondere, visto che (per una volta) qualcuno ha deciso di interpellarci.
Mi auguro che questa sera, quando sarà terminato lo spoglio delle schede, si abbiano dei risultati chiari e
che soprattutto, una volta verificato il gradimento dei vari candidati, si smetta definitivamente di litigare
all’interno della coalizione. Troppo spesso siamo stati costretti ad assistere ad uno spettacolo poco dignitoso,
fatto di dispute e litigi che ai più sono apparsi insensati: ora saranno i sostenitori del centrosinistra a dire di
persona da chi vorrebbero essere governati e quali sono le percentuali di gradimento degli altri partiti (chissà
che non si riesca ad andare al voto sapendo già la possibile lista dei ministri…).
Nel frattempo si prepara una battaglia politica durissima, con una legge elettorale dal meccanismo
incomprensibile per la persona normale e che fa venire il mal di testa anche ai più volenterosi che cercano di
leggerla. In più ci sarà l’incognita della posizione dei cattolici: a parte le dimissioni rassegnate ieri da Marco
Follini (cui riconosco grande coerenza e responsabilità), sarà curioso vedere come la base cattolica – posto
che ne esista effettivamente una – leggerà le indicazioni che già ora arrivano dalla Chiesa. Secondo quanto
si è saputo delle discussioni del Sinodo ancora in corso in Vaticano, sarebbe stata chiesta coerenza a chi
normalmente fa la comunione, perché scelga di «rispettare la famiglia». Forse difendere la famiglia significa,
come è parso di capire, non sostenere l’aborto? Sarebbero ben pochi i partiti “sani” da questo punto di vista.
Eppure sostenere la famiglia significa anche aiutarla, mettendo a disposizione servizi, cultura, mezzi: cosa
che fanno molti partiti abortisti, assai più di altri che non lo sono. Infine, per difendere la famiglia si parte
dalla propria realtà: difendono forse la famiglia un presidente del consiglio divorziato risposato con figli, un
presidente della camera separato e, come si sarebbe detto un tempo, «pubblico concubino»? Chi difende per
davvero, dunque, la famiglia?
Musica
22/10/2005
IL FANTASTICO MONDO DI ROCCO TANICA
Autore: Gamma83
Quando nel 1996 a Sanremo salirono sul palco alcuni strani soggetti, che cantavano uno stranissimo pezzo
infarcito di riferimenti all’attualità che non capivo, mi dissi: «Ma che gente hanno preso quest’anno al
festival?» A mia scusante posso dire che avevo 13 anni non ancora compiuti, non sapevo che su quello
stesso palco un giorno sarebbe tornato Mino Reitano (questa era la vera tragedia) e, francamente, non ne
potevo più di sentir canticchiare «Italia sì, Italia no» a destra ed a manca dai miei amici, che non ne
azzeccavano una nota.
Col tempo (e meno male!) le mie idee su Elio e le Storie tese sono cambiate, naturalmente in meglio:
grazie ad alcuni miei amici (il brother Gelmo in testa) mi sono innamorato di vari brani, a partire dall’inno
Tapparella e la recente Fossi figo. Ho potuto sperimentare la potenza distruttiva di Eelst, che sono riusciti a
trasformare un mio amico serissimo in un fervente ammiratore: quando smette camicia e cravatta bancarie,
rischia di farsi scoprire nell’atto di inventare un nuovo demenziale testo per Mio cuggino. Anche per questo,
quando due anni fa il gruppo aprì il festival della birra di Casoni, ho fatto di tutto per essere là. Di quella sera
ricordo una delle interviste più assurde della mia vita e una “toppa” musicale clamorosa. Elio decantò per
due ore di concerto le meraviglie di un «nuovo tastierista 18enne» dall’avventuroso nome di Carambola: egli
non era altro che Rocco Tanica, il funambolico (o vulcanico, trovate voi l’aggettivo) tastierista del gruppo.
Io ci cascai e nel pezzo del giorno dopo nominai tanto RT, quanto l’esordiente Carambola: me ne vergognai
per almeno una settimana, poi ci risi sopra.
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Ecco perché ho appreso con piacere da un amico l’esistenza di un sito interamente dedicato a Rocco (che in
realtà si chiama Sergio Conforti). L’ideatrice del folle e doveroso spazio è una mia concittadina, che si fa
chiamare Formytesa; dice di aver lavorato due mesi della sua preziosissima estate per dar corpo a questa
creatura e credo abbia fatto bene. Scorrendo le pagine del sito si scopre un’immagine completa dell’artista
che, oltre ad essere il formidabile «tastiere» della band (e, prima dell’arrivo di Meyer, anche emulatore di
batteria), si dimostra un uomo di spettacolo a quattro dimensioni. Non c’è solo Elio, infatti, nel mondo di
Rocco: apprendo con piacere che l’uomo in questione ha lavorato, tra l’altro, con Guccini, Ranieri, Fortis,
Bertoli (proprio in Italia d’oro) ed ha contribuito al capolavoro di Faber Le nuvole; in più ha numerose
esperienze all’attivo nel campo del cabaret (ricordo con una salva di risate gli stacchetti composti per Claudio
Bisio a Zelig e le tante altre collaborazioni con l’attore ed amico) ed ha fatto anche l’attore. «Rocco Tanica è
forse il più completo degli Elii – spiega la “uebmastera” – fa di tutto e lo fa da dio; in più, avendolo
conosciuto, posso dire che è una persona simpatica, disponibile e modesta».
Nel sito si trovano anche foto di concerti, brani musicali, collegamenti a contenuto demenzial-musicale ed un
forum, su cui furoreggiare con commenti, impressioni, commenti e quant’altro possa riguardare il Confo
(altro soprannome del Nostro). Passateci di lì, è un ottimo passatempo e in più farete contenta una
simpaticissima «fava» come Formy, che si è messa davvero d’impegno. Impegno che è piaciuto a RT, che al
suo sito ha dedicato un simpaticissimo biglietto, che campeggia nella “anticamera” dello spazio web: «Caro
sito su di me, tu sei assai bello. Lo dico sulla fiducia perché non ti ho ancora visto visto. Ti voglio già un po’
di bene, sito». Impagabile.
La home page del sito dedicato a Rocco Tanica (la foto in alto)
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Politica
29/10/2005
POVERINI, NON LI HANNO ASCOLTATI...
Autore: Gamma83
E così oggi gli italiani sono venuti a sapere che il loro ineffabile presidente del consiglio ed il suo vice hanno
profuso tutti i loro sforzi per convincere un cocciutissimo Bush a non fare questa guerra irachena. Poverini,
ma soprattutto sorprendenti. Con una precisione chirurgica, non appena due pezzi da novanta dell’entourage
di Bush rischiano di pagare caro un intralcio alla giustizia sul fondamento del conflitto in Iraq (le armi di
distruzione di massa) e quando mancano meno di sei mesi alle elezioni, i due esponenti più autorevoli – si fa
per dire – del governo esternano dubbi e tormenti vecchi di mesi ed anni.
Che dovremmo fare, a questo punto? Ringraziarli, per aver dato risposta ad un dubbio che certamente ha
tolto il sonno a milioni di connazionali? Rimproverarli con un buffetto sulla guancia, per aver tenuto questi
pensieri a loro esclusivo uso e consumo per troppo tempo? Forse sarebbe sufficiente riflettere un po’ su
alcune cose: 1) Ammesso (e non concesso) che le frasi di Berlusconi e Fini siano vere, Bush sarà pure «my
American friend» per Silvio, ma ciò non significa che i due si capiscano o si ascoltino (o meglio, Bush non
ascolta Berlusconi se non gli fa comodo); 2) Se George W. non ha cambiato idea, le capacità persuasive di
Mr B. avranno forse fatto cilecca? O è piuttosto l’Italia a contare «come il due di coppe a bastoni», checché
ne dicano i suoi governanti? 3) Se davvero i vertici del governo erano tanto dubbiosi sull’opportunità di una
guerra, perché mandare le nostre truppe a farsi massacrare laggiù, con la scusa della missione di pace? (No,
signor Fini, non mi basta che Lei dica che i nostri sono andati in Iraq a guerra finita: molti iracheni credono
che il conflitto sia ancora in atto e ci vedono come intrusi, dunque ci sono poche ragioni per restare).
Ognuno può dare le risposte che vuole a questi spunti: l’importante è che non li schivi, lavandosene le mani.
I genitori di chi è morto in Iraq e di chi è ancora là a rischiare la vita meritano almeno questo.
Curiosità
31/10/2005
MANUALE DEL PERFETTO ALIENO - 3 (AL SUPERMERCATO)
Autore: Gamma83
Piacerebbe anche me fare un ingresso alla Roberto Benigni, con tanto di Banda del pinzimonio (il brano
scanzonato, scritto da Nicola Piovani, che solitamente accoglie il comico toscano) e fare il matto, su un
palcoscenico o semplicemente con degli amici in gruppo. L’altro ieri, assai più modestamente (e
saggiamente), ho fatto il mio ingresso al supermercato cittadino, nel quale non mettevo piede da qualche
tempo. L’esperienza è stata notevole e non senza conseguenze.
La Coop della mia città porta il nome di «centro commerciale», ma non ha niente a che vedere con le
«cattedrali del consumo» descritte da Edmondo Berselli nel suo Post italiani e che si possono trovare,
senza andar troppo lontano, a Reggio, Mantova, Modena e Parma. Non che manchi la confusione, specie ad
un’ora inoltrata del sabato pomeriggio (tra un mese, col Natale alle porte, anche qui sarà un inferno o, se
preferite, una «fiesta consumistica»); tuttavia lo spazio è ancora vivibile, il numero dei negozi è contenuto e
buona parte della merce esposta mantiene un certo grado di utilità. A patto di trovarla, questa merce.
Il fattore disorientante per chi frequenta poco i supermercati è proprio questo: capire le logiche di chi ha
disposto gli scaffali in quei luoghi spesso richiederebbe una laurea in Psicologia, di cui malauguratamente
non sono provvisto. Mi sfugge il motivo per cui dovrei trovare la frutta all’inizio del percorso (dovrebbe stare
verso la fine, con gli altri alimentari, o al più nel mezzo), ma non capisco assolutamente perché nel bel
mezzo del reparto frutta ci siano le videocassette o l’ultima offerta di sapone per le mani. In un altro negozio
di un’altra catena ho trovato un dispenser di prodotti per finestre e preservativi: sfido chiunque ad
individuare un nesso logico tra le due cose. È l’ultima trovata di questi bizzarri signori per farci perdere
tempo tra le corsie del supermercato: quelle più vecchie, come mettere sale, zucchero ed olio fuori dalla
portata degli occhi, ormai erano diventate prevedibili (pure se non hanno perso il loro potenziale: a livello di
sguardo ci sono ancora i dolci e gli snack più improbabili, con il rischio concreto che finiscano nel carrello).
Morale: sono entrato nella Coop alle 14 e 30 e, pur avendo una lista delle compere da fare – che dovrebbe,
tra le altre cose, ridurre i tempi – ne sono uscito oltre due ore dopo: me ne sono accorto alla fine, anche
perché (come ricorda Beppe Severgnini in Manuale dell’uomo domestico) non ci sono orologi alle pareti
del centro commerciale ed il tempo è lasciato alla soggettività di ognuno. Tra l’altro, nel cercare articoli che
(invariabilmente) non erano al loro posto, ho incontrato molti conoscenti impegnati nel rito settimanale della
spesa, magari provetti esperti del supermercato, ma altrettanto disorientati. Potremmo provare con una
bussola, ma basterebbe una piantina degli scaffali o, magari, un po’ di buon senso in più.
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Novembre 2005
Televisione
01/11/2005
L'EREDITÀ, SETTE MESI DOPO...
Autore: Gamma83
Oggi sono trascorsi esattamente sette mesi dalla conclusione della mia unica esperienza televisiva. Il 1°
aprile, infatti, ho registrato la seconda puntata dell’Eredità, dalla quale sono uscito piuttosto in fretta. A
distanza di tempo ho mantenuto un buon ricordo di quei due giorni a Milano, senza però “mitizzarli”: è stata
un’esperienza interessante, che mi mancava e di cui mi sono “tolto lo sfizio”, ma niente di più. Chiaramente
mi sono divertito (sono pur sempre stato vicecampione, accidenti!) e ora posso dire di conoscere meglio
quello che c’è “dietro” lo schermo; ma sono assolutamente sereno, visto che non ero a caccia di premi
sostanziosi (vabbè, lo ammetto, non li avrei buttati se li avessi vinti) o di quarti d’ora di celebrità. Quando
qualcuno mi ricorda quei giorni o dice di avermi visto in tv spesso mi diverto a raccontare l’esperienza, ma a
molti sembra incredibile che io sia andato là solo per giocare, invece è proprio così: anche per questo non
credo di voler fare il bis, magari andando a Chi vuol essere milionario.
A riportarmi, almeno con la mente, negli studi di corso Sempione di
Milano è stata una busta, con bella grafia, che mi è arrivata per
posta alcuni giorni fa. Mittente era Anna Elena, la ragazza
campana che ho eliminato durante la prima puntata. Mi ha fatto
molto piacere riceverla anche perché all’interno ho trovato anche la
foto che abbiamo fatto insieme nella sede della Rai, prima che il
tempo tiranno mi costringesse a volare via per raggiungere il treno.
Entrambi abbiamo ancora i vestiti della registrazione tv (addirittura,
in basso a destra, si vede il famigerato libro di Tutela dei diritti, che
tentavo di studiare in quei giorni) ed eravamo reduci da una
giornata davvero piena. Lei certamente non ha dimenticato quel 31
marzo ed avrebbe certamente meritato di diventare vicecampionessa al posto mio; ho potuto constatare, prima e dopo la
registrazione, la sua simpatia e spontaneità, ma soprattutto il suo
“essere vera”.
Non è un caso che Elena ed io siamo rimasti in contatto anche dopo
la trasmissione (come peraltro è capitato anche con il campione ed
un altro concorrente): persone come lei sono piuttosto rare e la
voglia di comunicare non può esaurirsi. Spero che un giorno le
nostre strade possano incontrarsi di nuovo, senza i fari accecanti di
uno studio tv, ma col desiderio di condividere esperienze e ricordi.
Ritratti
03/11/2005
ULISSE, IL "FOLLE VOLATORE" - 3
Autore: Gamma83
Sono poche le pagine della Commedia di Dante che rimangono impresse nella mente di chi ha sfogliato quel
libro per studiarlo, magari con un po’ di interesse ma senza particolare passione. Nella galleria dei
personaggi indimenticabili, accanto al nocchiero Caronte, agli amanti Paolo e Francesca ed all’inquietante
conte Ugolino, non può mancare proprio Ulisse. Anzi, forse l’Ulisse dantesco ha contribuito ancor più
dell’Odissea ad esplorare questo personaggio ed a far emergere connotazioni che nel poema magari erano
più nascoste di altre.
Sono tante le immagini che colpiscono, in quel canto XXVI dell’Inferno, a partire dal «maggior corno della
fiamma antica» in cui è rinchiuso Ulisse: impossibile immaginare una lingua di fuoco ferma, così come non si
è mai fermato questo re, aduso al viaggio ed alle imprese. Egli si trova all’Inferno – per la precisione tra i
«consiglieri di frode» – a causa delle macchinazioni messe in atto nell’ambito della guerra di Troia, su tutte
l’inganno del cavallo. Come tutti i condannati alla pena eterna, Odisseo dovrebbe suscitare riprovazione nel
lettore, specie se credente: eppure, alla fine della lettura, la sensazione che di solito si prova è ben diversa.
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Nessuno è in grado di leggere il racconto di Ulisse senza un minimo di “compassione” (nel senso
etimologico della parola, «comune sentire»), specie nell’«orazion picciola» a quasi tutti nota: l’idea di
“andare oltre” ha un fascino indubbio (che può essere pericoloso in talune circostanze), ma è difficile restare
indifferenti di fronte all’esortazione «Fatti non foste a viver come bruti / ma per seguir virtute e
canoscenza». Certo, nella storia di Dante il prezzo pagato da Ulisse e dai compagni è altissimo: la perdita
della vita, ma ancor prima il distacco dagli affetti familiari (lo ricorda lo stesso re itacese, nei versi 94-99). Io
per primo non sarei disposto a privarmi di tanto per «divenir del mondo esperto»: tuttavia, troppo spesso
finiamo per dimenticarci di quell’endiadi – virtute e canoscenza – che davvero dovrebbe caratterizzarci.
È vero, la virtute di cui parla Ulisse non è esattamente la “virtù” morale o cristiana (lo ricorda bene Vittorio
Sermonti, nel suo splendido ed affascinante Inferno di Dante, riedito di recente da Rizzoli e che consiglio a
tutti i curiosi del poema dantesco); eppure, quando la nave parte, coi remi che fungono da ali per il «folle
volo», si ha l’impressione che la scelta di Ulisse e dell’equipaggio non sia poi così sbagliata. Tant’è che, pur
facendolo morire tragicamente e “schiaffandolo” all’Inferno, Dante sembra concedere “l’onore delle armi” al
nostro eroe proprio mediante il suo racconto. Se il canto XXVI si chiude con l’acqua del mare, ultimo e
tremendo sarcofago per chi ha osato sfidare il limite, difficilmente si estingue il desiderio di esplorare
l’ignoto, per conoscere cose troppo a lungo nascoste, per cercar di capire, o anche solo per non arrendersi.
Attualità
04/11/2005
CHE DISGRAZIA, UN LAUREATO IN PIÙ!
Autore: Gamma83
Chiedo scusa ai lettori se in questo post parlerò esclusivamente di me stesso (come non sono abituato a
fare), ma una volta ogni tanto credo sia concesso. Da oggi in poi chi vi scrive può dire di appartenere alla
schiera dei laureati, sia pure dei fratelli minori triennalisti. Intorno alle ore 17, infatti, mi è stata conferita la
laurea in Scienze Giuridiche, con tanto di 110 e lode come voto finale. Per la mia sfacciataggine forse
meriterei di essere bersagliato con oggetti più o meno contundenti; in realtà gli amici mi hanno persino
risparmiato il «dottore-dottore-dottoredelbucodel...», quindi mi è andata decisamente di lusso.
Sono stati mesi duri, questi, che dopo l’ultimo esame mi hanno visto molto impegnato nella preparazione
della tesi, al punto che spesso ho trascurato questa piccola isola nel mare della Rete. Ora l’impegno non è
certo concluso, visto che sto già seguendo i corsi della laurea specialistica, ma un primo traguardo è stato
raggiunto e – mi permetto di dirlo – non immeritatamente. Si festeggia domani, con gli amici che da anni mi
stanno accanto, mi sostengono e più di tutti mi sopportano (beh, tutti tutti no: nessuno può battere mia
madre e mia nonna quanto a sopportazione!)
In questo momento così importante per me desidero ringraziare chiunque abbia contribuito, nel bene, a
rendere particolare questo periodo (a partire da Franco Micolo che mi ha seguito costantemente nel
cammino della tesi): inevitabilmente chi ha lasciato in questi giorni il suo augurio nei suoi messaggi rientra
tra queste persone. Grazie per l’affetto e la stima che mi riservate ogni volta: spero siano ben riposti. Da
domani, poi, si ricomincia con i soliti post, per cui buona lettura fin da adesso.
Il sottoscritto durante la discussione (a sinistra, il mio relatore, Franco Micolo)
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Subito dopo la proclamazione (con la
toga)...
...e con uno strampalatissimo tocco (mortarboard)
in testa
Musica
05/11/2005
PER RICORDARE PIERANGELO IN MUSICA
Autore: Gamma83
Per smaltire la stanchezza della laurea ieri sera ho ascoltato uno dei regali ricevuti: il disco tributo dedicato
«a Pierangelo Bertoli» (è proprio il titolo del cd, edito da Sugar). Fin da quando avevo saputo della sua
uscita l’idea mi aveva attratto molto: avevo voglia di risentire quei brani che avevo sempre sentito cantare
da lui ed ero curioso di sapere come altri artisti avrebbero affrontato quei testi e quelle musiche.
Personalmente non guardo con diffidenza le operazioni tributo, che molti accusano di stravolgere brani
considerati immodificabili: non accetto tutto supinamente (come si è visto per il concerto di luglio dedicato a
Fabrizio De André), ma ascolto volentieri, almeno all’inizio. Con questo disco sono arrivato senza problemi
alla fine e senza pentimenti.
Buono l’inizio, coi Nomadi che (in coppia con Giulia) offrono la loro versione di Pescatore; abbastanza
convincente anche Nek, che canta Chiama piano. Affascinante Spunta la luna dal monte, proposta con un
arrangiamento interessante dalle voci belle e pulite delle Balentes e da quella già nota di Andrea Parodi.
Per te diventa quasi una composizione da camera moderna grazie alla Piccola orchestra Avion Travel; I
miei pensieri sono tutti lì cambia volto con l’esecuzione ritmica ma non sgradevole di Gerardina Trovato.
La coppia Enrico Ruggeri – Andrea Mirò si conferma ottima esecutrice, nel dare la propria versione del
Centro del fiume; si adattano bene a Marco Masini la riflessione ed il disincanto di Voglia di libertà. Fa
piacere, poi, riascoltare due voci belle (anche se in modo diverso) e troppo spesso emarginate con due pezzi
indimenticabili: Aleandro Baldi con Per dirti t’amo e Bruno Lauzi con un’emozionante Sera di Gallipoli.
Da notare anche il classico Rosso colore nell’esecuzione degli Istentales (e a metà brano spunta anche la
voce di Elio), ma soprattutto la toccante versione di A muso duro che Fiorello propose alla fine dell’ultima
puntata del suo Stasera pago io … revolution: a seguirlo fino a quell’ora furono diversi milioni di persone e a
commuovermi nel ricordo di Pierangelo c’ero anch’io. Unica piccola delusione, Eppure soffia: l’avrei preferita
tutta cantata da Branduardi, mentre fatta dagli Stadio mi comunica meno emozioni (anche se non posso dire
che sia brutta). Nel cd ci sono anche Le cose cambiano, un brano inedito di Luciano Ligabue (che tuttavia
non avrebbe sfigurato nel repertorio di Pierangelo), cantato da Alberto Bertoli (il figlio), uno strumentale di
Marco Dieci ed una ghost track dialettale, L’Erminia teimp adré, che Pierangelo canta con Caterina
Caselli e rischia di far spuntare almeno una lacrima di nostalgia.
Consiglio vivamente di comprare questo disco: compriamolo davvero, almeno stavolta, e non copiamolo tra
di noi. Magari prestiamolo ad un amico per sondare il suo gradimento, ma poi invitiamolo a comprarlo o,
magari, regaliamoglielo: il contenuto ed il ricordo di questo artista lo meritano davvero.
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Musica
06/11/2005
SERGIO ENDRIGO: UNO SPECIALE PER RICORDARLO
Autore: Gamma83
Domani saranno trascorsi due mesi dalla scomparsa di Sergio Endrigo, esponente indiscusso – ma troppo
spesso dimenticato – della canzone d’autore italiana. In questo periodo molte persone hanno riscoperto la
sua musica, cercando tra i dischi vecchi o, magari, approfittando della raccolta di singoli pubblicata con
successo pochi mesi fa; altri hanno aderito alla petizione che chiede la ristampa in cd dell’intera produzione
dell’artista istriano, per poter finalmente disporre (dopo anni di emarginazione discografica) di tutti i suoi
album con una migliore qualità sonora. Soprattutto, però, di Endrigo è rimasta la sua compostezza, la
disponibilità e la tenacia, che gli hanno consentito di non arrendersi fino alla fine, anche di fronte ad un
mondo musicale dominato dal principio del profitto e che lo ha emarginato per anni.
Non sono state molte, negli ultimi tempi, le occasioni per vedere Sergio in televisione, per parlare di sé o
cantare i suoi capolavori: gli appassionati o i semplici curiosi ora possono trovare sul sito dedicato all’artista
la trasmissione speciale di Raidue che Michele Bovi (legato al cantante da un profondo rapporto di stima
ed amicizia) confezionò in occasione della morte di Endrigo. Il programma contiene molte delle esecuzioni
televisive che hanno visto Sergio protagonista ed attraverso le immagini ripropone i brani fondamentali della
sua carriera, da Io che amo solo te a L’arca di Noè, senza dimenticare Ci vuole un fiore (indimenticabile il
duetto con Pippo Baudo); i filmati più risalenti sono intervallati da brani di interviste più recenti – realizzate
da Bovi per alcuni dei suoi programmi – e da testi letti da uno speaker.
Benché gli interventi di Endrigo siano stati pensati per altri appuntamenti televisivi, lo speciale scorre
fluidamente, come se fosse stato confezionato direttamente dall’artista per quell’occasione: anche per
questo motivo è giusto cogliere l’opportunità di rivedere la trasmissione, ricordando una figura che piu di
tante altre ha arricchito e nobilitato il panorama musicale italiano.
Musica
07/11/2005
LO SWING DI JOHNNY DORELLI, TRA MUSICA E IMMAGINI
Autore: Gamma83
Tra le uscite discografiche di questo periodo mi permetto di segnalarvi il dvd Swingin’ live, che contiene il
concerto che Johnny Dorelli ha tenuto lo scorso anno all’Auditorium di Roma. In uno dei miei primi post
(del 17 novembre 2004, quasi un anno fa) avevo parlato bene del cd omologo, per la voce calda e sempre
piacevole di Dorelli e per il suo ottimo (e nient’affatto improvvisato) approccio allo swing.
Vedere un concerto (sia pure registrato) dà più emozioni rispetto al semplice ascolto: si può così apprezzare
meglio l’intera esibizione, sempre ottimamente supportata dall’orchestra Sinfonietta di Roma, diretta da
Gianni Ferrio. I pezzi classici, quasi tutti notissimi, sono trattati con delicatezza da Dorelli, pure quando la
voce aumenta di volume, senza mai diventare sgraziata o eccessivamente imperiosa. Non ci si stupisce ad
ascoltare, dunque, la giusta levità con cui sono trattate Fly me to the moon o A foggy day; l’artista si
esprime al meglio anche con i molti brani estratti dal repertorio di Frank Sinatra (da Night and day a Mack
the knife, senza tralasciare l’immortale tema di New York, New York) e con il classico di Bernstein Maria.
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Il dvd poi dà più spazio, rispetto al disco, ai pezzi di Dorelli in lingua italiana: se l’ammirazione per le versioni
live di Una grande storia d’amore (presa a prestito da Gino Paoli) e L’immensità è immutata rispetto al cd, fa
piacere ascoltare altri brani storici come Solo più che mai (guarda caso, una traduzione di Sinatra), Love in
Portofino e persino Lettera a Pinocchio e Arriva la bomba. Non vanno poi trascurati i contenuti extra, che
ripropongono il medley strumentale ed imperdibile già presente nel disco (Parole parole – Piccola musica
notturna – Piccolissima serenata) ed aggiungono un’ampia intervista al cantante e un’ottima cover di Astor
Piazzola, Invierno Porteno.
Vale la pena di pensare a questo dvd, che offre un suono in Dolby Surround 5.1, le immagini curate da
Giangi Mangoni ed oltre 20 pezzi da antologia ad una cifra più che contenuta (12,90 euro: costa meno di un
cd medio prezzo): sarebbe il giusto omaggio ad una voce tutt’altro che superata e che, alla bella età di 67
anni, ha ancora molto da trasmettere.
Ritratti
11/11/2005
ULISSE, IL "FOLLE VOLATORE" - 4
Autore: Gamma83
Dopo un po’ di giorni passati a vivere per parecchie ore al giorno in facoltà, riprendo oggi il viaggio sulle
tracce di Ulisse, questa volta dedicandomi al ritratto composito ed imperdibile tracciato da Francesco
Guccini. Non poteva, il Maestrone di Pavana, sfuggire al personaggio di Odysseus (così si chiama il pezzo),
attraente almeno quanto il Filemazio di Bisanzio o gli altri uomini finiti nel suo ultimo disco, Ritratti. Di tutte
le possibili vie di narrazione, Francesco sceglie quella antologico-personale: nel testo si ritrovano riferimenti
a coloro che di Ulisse avevano già scritto (da Omero a Dante, passando per Kavafis – di cui scriverò presto –
Jean Claude Izzo, Ugo Foscolo ed un certo Prandi, che il Guccio svela essere un suo cugino), senza
rinunciare ad inserti personali e soluzioni interessanti.
Intuizione prettamente del Nostro cantautore è il dipingere il re itacese come uomo di monte e di terra fin
dal principio della canzone («Bisogna che lo affermi fortemente / che, certo, non appartenevo al mare»).
Può sembrare un contrasto patente un uomo di terra che regna su un’isola circondata dall’acqua: eppure è
affascinante pensare che, in quel pezzo di mondo, ricco di pietre, ulivi, campi da arare ed animali da pascolo,
una persona possa essere attratta a poco a poco dal mare, per influsso degli dei o, più semplicemente
perché «un monte che hai di faccia / senti che ti sospinge ad un altro monte». Forse è proprio così che si
inizia a viaggiare, finché un’altra sensazione suggerisce il ritorno a casa.
È a bordo di quelle concave, anzi «concavi navi dalle vele nere» (bellissimo questo arcaismo) che si svolge
gran parte di vita di Ulisse che conosciamo: la nave in viaggio è l’esatto contrario di chi resta immobile e non
cerca mai. Non si tratta solo di seguire il vento e le stelle, sfidare gli Dei che osteggiano il ritorno o vincere la
paura che non abbandona mai neppure un eroe. C’è forse anche la voglia di andare, con «soffio di vento e
forza delle braccia», per compiere tutte le esperienze che la vita pone davanti a sé. E se Ulisse nel poema di
Omero desidera viaggiare per tornare a Itaca, qui gli anni che avanzano presentano un Odisseo ancora
navigante ma “diverso”: la sua memoria è confusa, la sua mano è tremante ed in lui cresce la
consapevolezza che la morte è «vicina quando tutto tace / sul mare». Non per questo il viaggio giunge al
capolinea: resta tutto il mondo da percorrere, in ogni direzione e con compagnia ogni volta diversa, grazie
ai racconti di aedi e poeti che hanno trasformato un “re di terra prestato al mare” in un mito.
Quando Luca Cardinalini confezionò per Tg2 Mizar un servizio sul disco Ritratti, vi inserì un brano di
Odysseus. Mi bastò ascoltare «Nel futuro trame di passato / si uniscono a brandelli di presente, / ti esalta
l’acqua e al gusto del salato / brucia la mente» per innamorarmi definitivamente di quella canzone. Spero
che qualcosa di simile avvenga anche per voi.
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Attualità
13/11/2005
NO COPIA? AHI AHI AHI (IN CHE MONDO VIVIAMO?)
Autore: Gamma83
Apprendo con orrore dal Tg2 che una bambina di 11 anni sarebbe stata picchiata per aver detto NO a chi le
chiedeva di far copiare un compito. Sarà compito della scuola capire cosa davvero è accaduto e prendere
provvedimenti, ma è bene che sull’argomento si rifletta tutti e in fretta.
Il fenomeno del copia-copia sembra abbastanza radicato negli ambienti scolastici (e non solo lì: anche ai
concorsi capita di “buttare l’occhio”) ed a volte raggiunge livelli di organizzazione pari a quelli di una società
per azioni. O a delinquere. Mi colpì molto Edmondo Berselli quando, nel suo libro Post italiani, parlava di
«mafie infantili e adolescenziali in funzione di corsi e lezioni», riferendosi alle torme di studenti che
sembrano avere come unico scopo «l’ingannare l’uomo o la donna che è in cattedra», infrangendo imperativi
morali nel luogo dell’insegnamento per eccellenza. Il fatto che questo atteggiamento sia un prodotto
tipicamente italiano (lo ammetto, in America non funziona così) è in linea con l’idea, diffusa tra molti, che
«truffare lo Stato non è reato» o lo è molto meno e, soprattutto, che «chi fa la spia» è peggio di chi copia.
Sta di fatto che il copiare, secondo molti, è un’arte: a volte provoca risultati sorprendenti (che si fa quando A
ha copiato un test da B, il “cervello” della classe, ed il primo prende 6 se non di meno, mentre al secondo
tocca 8,5?), ma tant’è.
Se tutto questo è vero, posso ritenermi fortunato. In oltre 3 lustri di carriera scolastica ho fatto copiare i
«compiti a casa» assai poco; sarà capitato una volta che io abbia passato una risposta di una verifica. Il mio
comportamento – abominevole e scarsamente solidale, secondo alcuni miei compagni – era dovuto alla mia
marcata inettitudine alla copiatura (i professori mi avrebbero sicuramente beccato), ma anche ad alcune mie
convinzioni. Qualche volta, lo ammetto, ho copiato anch’io, ma non ho mai sfruttato il lavoro di un mio
collega: è proprio questa la cosa che mi irrita, una sorta di cannibalismo che, almeno all’interno della scuola,
non dovrebbe esistere.
Ricordo bene che in prima liceo un mio compagno, nel raccogliere per l’insegnante le verifiche d’inglese,
notò sul mio compito (peraltro non particolarmente riuscito) una risposta che a lui mancava e si affrettò ad
aggiungerla. Mi accorsi della cosa, protestai invano con lui e, per ottenere giustizia (non avevo nemmeno
dato il “consenso” alla copiatura!), mi rivolsi alla prof; la quale, con grande solerzia, provvide a togliere un
punto a lui ed a me. Attonito, le chiesi spiegazioni e mi rispose, alla fine: «era meglio che tu tacessi». Mi fa
orrore l’idea che a scuola si insegni l’omertà (non confondiamola con l’educazione, please) ed anche per
questo non sopporto che chi non si omologa a questo sistema finisca per prendere botte: è per lo meno
ingiusto.
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29/11/2004 00:14
A Lodi, dietro le sbarre
Una giornata a visitare il carcere lodigiano.
A parlare con chi passa molte ore in quel luogo: di qua o di là dalla porta della cella.
Ieri ho vissuto quella che nei programmi scolastici sarebbe annoverata tra le «esperienze formative»:
solitamente lo sono assai poco, ma non è il caso della mia. Assieme a vari miei compagni di facoltà ed al
nostro docente di Procedura penale, prof. Piermaria Corso, ho visitato il carcere (in burocratese «casa
circondariale») di Lodi; il direttore, dott. Luigi Morsello, ha accettato di mostrarci la struttura e ci ha
illustrato la storia e le attività del carcere. Soprattutto ci ha permesso di parlare con alcuni detenuti e con la
polizia penitenziaria: questa è stata la vera visita.
Nella casa circondariale di Lodi i reclusi hanno una biblioteca, un locale attrezzato a palestra, spazi che
ospiteranno laboratori di musica, computer e altro; il sottotetto dell'edificio è la redazione del
periodico (Uomini liberi, visibile sul sito www.uominiliberi.org) che alcuni detenuti confezionano ogni
mese, raccontando la loro vita ed i loro pensieri. Circa il 10% dei carcerati della struttura ha un lavoro,
all'interno della casa circondariale o in aziende del luogo: è sicuramente un'occasione di crescita e di
recupero (secondo il direttore l'unica seria alternativa alla pena "classica" in carcere), ma ciò non cambia di
molto la realtà. Queste persone sono pur sempre in carcere, e in carcere (quali che siano i servizi offerti) si
sta male.
Il carcere di Lodi è stato costruito all'inizio del Novecento ed è relativamente piccolo: in ogni caso è ancora a
dimensione umana. Le celle sono nate per ospitare una sola persona, ma succede di rado. Abbiamo
camminato lungo i corridoi; quando ci aprono alcune celle decido di entrare (è giusto provare, anche solo
per qualche secondo, cosa significhi stare in uno spazio di pochi metri quadrati) e di scambiare qualche
parola con le persone che stanno dentro. Qualcuno mangia qualcosa, altri guardano la televisione: ci dicono
che gli manca la famiglia (molti sono sposati ed hanno dei figli), quasi quanto la libertà. Gli chiedo se da
dietro le sbarre riescono a sapere cosa accade "fuori", la risposta mi colpisce: «Certo che sappiamo, a volte
ci rendiamo conto meglio di voi che succede; del resto abbiamo molto tempo per pensare». Già, il tempo.
18 ore al giorno chiusi in cella, uguali tutti i giorni se non ci sono attività alternative: sembra assurdo parlare
di "tempo libero" nel luogo in cui la libertà, per definizione, non esiste. Qualcuno trascorre queste ore
leggendo, qualcuno pensa, qualcuno trova la forza per pregare Dio (a Lui, ai ricordi ed agli affetti ci si
aggrappa per uscire).
Agli agenti di polizia penitenziaria chiedo cosa significhi per loro il metallo delle sbarre ed il rumore del ferro
dei cancelli quando si chiudono. Mi spiegano che segna la loro giornata, come quella dei detenuti. «Il tuo
rapporto con loro - mi dice il comandante - cambia molto se tu sbatti il cancello oppure lo accompagni: è
come se tu lasciassi loro la speranza che un giorno quella porta si riaprirà». Un altro agente mi mostra le
celle di isolamento: è appena arrivato a Lodi, ma ha passato 18 anni a San Vittore. Durante la sua
esperienza a Milano ha visto una decina di persone darsi la morte: non tutti credono alle porte che si
riaprono. Qualcuno dei detenuti parla con noi senza problemi; altri ci guardano interrogativi. Ci chiedono
cosa abbiamo capito visitando il carcere. Provo un po' di imbarazzo, perché temo di dire banalità, poi dico
loro una cosa che ho detto prima: ho capito che in carcere si sta male. È vero, nessuno (immagino) ha
obbligato questi uomini a finire lì dove stanno, ove siano colpevoli di qualcosa: nulla, però, può far
dimenticare che si tratta di persone, e che come tali devono poter vivere, pensando ad un futuro "fuori".
Credo abbia ragione Franco Micolo, mio professore di storia del diritto italiano, quando suggerisce di fare
lezione dietro le sbarre ai futuri professionisti legali: troppo spesso capita che la gente dica «in galera, in
galera» senza sapere cosa sia davvero un carcere e come ci si sta.
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23/12/2004 18:09
Buona fortuna, Anto'
Un ricordo ed un augurio insieme ad Antonio Roccuzzo, il mio caposervizio al giornale
che è stato nominato caporedattore di La7 ed è in partenza.
Chiedo scusa ai miei venticinque (ma ho il legittimo sospetto che siano assai di meno) lettori se ciò che sto
per scrivere non li interesserà, ma mi pare giusto dar spazio ad una persona che, negli ultimi tempi, ha
avuto nella mia vita professionale (che parolone, suona bene) un ruolo importante. Sto parlando di Antonio
Roccuzzo, il mio caposervizio alla Gazzetta di Reggio: nominato caporedattore del tg di La7, in questi giorni
lascerà il suo incarico al quotidiano di Reggio. Si tratta certamente di un traguardo importante: Roccuzzo era
arrivato alla Gazza nel 2000, dopo un cammino di tutto rispetto. Aveva iniziato a lavorare al manifesto, per
passare all'Indipendente (lasciato con l'arrivo alla direzione di Vittorio Feltri); collaborò con Michele Santoro
per il programma Il Rosso e il Nero, approdando all'Europeo e ad Avvenimenti, per giungere infine a Reggio.
Ricordo molto bene il giorno in cui l'ho incontrato per la prima volta: era il 4 maggio 2002, io avevo offerto
da tempo (attraverso la prof. Gloria Panizzi) la mia disponibilità a collaborare con il giornale ed ero stato
contattato qualche giorno prima, per il mio primo articolo su una conferenza nella mia scuola. Chissà
perché mi ero immaginato una persona in giacca e cravatta e con un'aria severa: quando arrivai in redazione
(era la seconda che vedevo, dopo una visita di istruzione fatta cinque anni prima) mi fu presentato un uomo
alto circa come me, camicia azzurra, primo bottone slacciato ed un viso tutto meno che truce. Ci
presentammo: io, incerto e timoroso, gli consegnai alcuni testi scritti da me; lui, tranquillo, in pochi minuti mi
diede le istruzioni esenziali (le ricordo ancora: lunghezza massima 20 moduli, cioè 2320 battute, pochi
aggettivi, frasi non contorte e chiare, uso di citazioni).
Da allora ho scritto molto, compatibilmente con i miei impegni di studente, liceale prima e universitario poi.
Non c'è stata ogni volta l'emozione del primo articolo, ma certamente ho avuto più di una soddisfazione
(penso ad alcune interviste, a certi incarichi o alle "sfide" vinte con la nostra testata concorrente). In tutto il
cammino Antonio è stato presente, suggerendomi temi, chiarendo i dubbi che spesso mi sorgevano,
dandomi consigli. Qualche volta, ne sono convinto, ho messo a dura prova la sua pazienza: non credo gli
abbiano fatto piacere i miei tempi lunghi nel mandare i pezzi, le mie fotografie spesso banali, soprattutto la
mia violenta "allergia" alle inchieste. Il fatto è che mi è sempre sembrato di dar fastidio alle persone,
chiedendo loro di parlare e di farsi fotografare: nella mia città è particolarmente vero, la gente si ritrae
appena vede una macchina fotografica. In questi due anni e mezzo, però, abbiamo lavorato bene insieme,
riuscendo a dare spazio a molte realtà (comprese le iniziative scolastiche ed al volontariato, spesso trascurati
in periferia); ho potuto verificare la mia maggiore attitudine a trattare alcuni temi, in particolare politica e
musica; ho fatto alcuni incontri importanti, a partire dai colleghi "veri" con cui ho parlato (Botteri, Gruber,
Travaglio, Zavoli); soprattutto, ho conosciuto meglio la città in cui vivo e le realtà che la caratterizzano.
Per tutto ciò sono grato ad Antonio ed alla redazione (senza voler far torto agli altri, mi sembra giusto
nominare chi mi ha sopportato di più: i miei concittadini Franco Dallasta e Tiziano Soresina alla cronaca,
Chiara Cabassa alla cultura); spero che il lavoro di tutti noi collaboratori possa continuare in modo sereno
(e che qualcuno interceda per farci aumentare lo stipendio), chiunque sia chiamato a sostituire Roccuzzo.
Per Antonio, che ritorna a Roma con moglie e figlio, auspico un futuro pieno di soddisfazioni. Ti dico "In
bocca al lupo" (anche se la formula che usavi con me, prima degli esami, era un po' più ... colorita) e, mi
raccomando: non ti dimenticare di chi hai incontrato sulla tua strada. Parlo per me: non pensare che, andato
via tu, improvvisamente mi metterò a fare le inchieste per farti dispetto (se tu lo sperassi, nella tua terra
siciliana direbbero "nottata persa e figlia fimmina"). Rimarrò il solito zuccone, che non si scorda di te.
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01/01/2005 20:15
I soliti comunisti e la nuova costituzione USA
Un tot di riflessioni su una squallida conferenza stampa di un modesto presidente.
Auguriamoci che il nuovo anno inizi meglio, rispetto a come il 2004 si è concluso. Ho avuto la (s)ventura di
ascoltare l'ultima parte della tradizionale (e strabordante) conferenza stampa della Presidenza del
Consiglio, quanto basta per restarne sconfortato. Alla domanda del collega Emilio Carelli sulla riduzione delle
tasse e sui futuri "nodi cruciali" dell'attività di governo, non si è limitato a rispondere a tono. Per i poveri
uditori, specie quelli casalinghi, che hanno atteso invano l'arrivo del telegiornale delle 13:30) è iniziata una
sequela di accuse ai soliti "comunisti" che hanno governato per sei anni l'Italia.
L'affondo parte con una contraddizione: il presidente (ormai la mia regola delle maiuscole è nota) dice
testualmente: «Per chi viene dall'ideologia marxista è una cosa contro natura diminuire il potere del
Governo». Può essere che sia vero, non posso essere il giudice migliore: certo è strano che a dire ciò sia un
esponente politico che circa due anni fa ha dichiarato di volere a tutti i costi il presidenzialismo (da sempre
segno di aumento di potere governativo) ed, a bella posta, ha aggiunto: «Il presidenzialismo a cui penso è
quello francese perché consente al presidente di presiedere le riunioni del governo e di nominare il premier, nonché di
revocare gli incarichi... Sarebbe tutto più facile avendo i poteri che oggi ha Tony Blair». Davvero coerente.
Subito dopo Mr. B. ritorna al suo leitmotiv preferito: «questa sinistra ... è fatta ancora degli stessi uomini
che per decenni hanno sposato l'idea comunista, che hanno un'attrazione fatale nei confronti di tutte le
dittature, da Castro a Saddam Hussein, alla Cina; che non hanno mai seriamente rinunciato al loro passato e
abiurato la loro idea di partenza». Non so se spetti al capo del governo giudicare il grado di serietà
dell'abiura: se occorrano auto da fe in favore dell'anticomunismo sulla pubblica piazza o se sia sufficiente
qualcosa di meno. In ogni caso, siamo alla consueta semplificazione, che ricorda da vicino il «quattro gambe
buono, due gambe cattivo» di Orwell e che, al solito, tralascia qualche elemento. Di certo esistono nostalgici
di quel comunismo che ha causato morti, come esistono di altre ideologie o regimi: non è un caso che più di
una testata giornalistica (e non di quelle "comuniste") definisca autorevoli esponenti dell'attuale esecutivo
come «picchiatori fascisti non pentiti»; alcune uscite infelici di costoro e dello stesso presidente rimandano
pericolosamente a quel periodo storico e non aiutano a parlare di «seria rinuncia al passato», per chi quel
passato lo ha vissuto (quanto alle dittature, è prudente non enumerare i regimi militari africani o
sudamericani appoggiati da almeno una superpotenza per convenienze economiche o politiche).
Il trionfo dell'assurdo, tuttavia, arriva qualche secondo dopo. Senza alcun vero collegamento con l'oggetto
della domanda, l'oratore-guitto ricorda il primo scopo della sua "discesa in campo": «la paura che per l'Italia
si presentasse la possibilità di un male». Già qui torna prepotente l'immagine dell'Unto del Signore (non ci si
accusi di blasfemia, sono parole dello stesso presidente) che vuole evitare la presa del potere da parte dei
"comunisti". Un presidente che si preoccupa di evitare la «secolarizzazione» del partito (un termine che
sembra estratto dagli archivi storici della Chiesa più battagliera) perché questa è la sua missione: «evitare
che prevalga il male... Non voglio parlare in termini apocalittici, della lotta degli angeli contro i demoni, di
quella del Cristo contro l'Anticristo, ma forse un paragone può servire a chiarire le idee per chi chiare non le
ha». Non trovo un aggettivo migliore di agghiacciante, per definire queste parole, che sembrano provenire
da una persona in pieno delirio di onnipotenza e che vive in un mondo tutto suo; mi stupisce e mi duole che
nessuna voce autorevole dal mondo ecclesiastico si faccia sentire per esprimere anche solo un timido
dissenso: non voglio credere che questo sia il pensiero ufficiale della Chiesa.
Assolutamente fuori luogo, infine, è la "santificazione" di Bush e della sua politica: «Lui pensa al
mondo... si preoccupa del male generato dal governo di quei paesi in cui non vige la democrazia e la libertà,
che quindi non possono raggiungere soddisfacenti gradi di benessere». Sentivamo il bisogno dell'immagine
di un George W. "missionario della democrazia", se non altro per spegnere l'altra immagine, ben più
realistica, del presidente guerrafondaio, che pensa persino le missioni umanitarie in termini militari (lo si
evince chiaramente dalle sue dichiarazioni sul maremoto asiatico); ritengo ci si debba congratulare pure con
il nostro capo del governo, che si erge a nuovo costituente americano, visto che secondo lui la carta
costituzionale USA «dice che l'America, come Stato primo nel mondo, deve anche caricarsi della difesa e
della diffusione della democrazia e della libertà», parole che inspiegabilmente non riesco a trovare nel testo.
Basterà questo a definire tutto ciò una pessima conclusione di anno (a proposito, come si fa a definire
"liberticida" la legge della par condicio? LUI dice che è indegno che un partito come il suo (30%) ed il
microbico Partito Umanista abbiano lo stesso spazio in tv: ma solo così gli italiani potranno conoscere tutti i
programmi. Se i tempi fossero proporzionali agli ultimi consensi, vedremmo quasi solo gli "spot" dei partiti
maggiori e saremo costretti a veder vincere di nuovo (horribile dictu!) chi ci governa).
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05/02/2005 18:05
Look, un problema per tutti
Nella vita di ogni giorno possiamo incontrare situazioni
in cui l'apparenza è fondamentale. E nessuno ne è immune.
Rieccomi qua, dopo settimane dedicate a bona fides, memorie di sterminio, musica sacra ed altre
esperienze. In questo momento sto cercando cose che mi interessano sulla rete ed ho un abbigliamento
normale: jeans, camicia azzurra, maglioncino; tra poche ore sarò con altre persone per un concerto (tocca a
me suonare) e, come loro, vestirò la divisa del coro, più una "tatticissima" camicia nera, frutto di una lunga
ricerca al supermercato (in parte infruttuosa: la volevo un po' più lucida). In un certo senso si può dire che
anch'io sono rimasto vittima del «morbo di Look»: la passione per le cravatte ne è un altro, inquietante
segno.
Se esistesse un vocabolario del linguaggio giovanile, probabilmente il termine look avrebbe un certo risalto.
Si sa, infatti, quanto sia importante, per certi studenti, presentarsi a scuola, o in qualunque altro posto, con
un abbigliamento studiato (giuste dosi di strappi, pieghe, colori e macchie), il taglio di capelli più o meno
elaborato e così via. Sarebbe sbagliato, tuttavia, pensare che i problemi di apparenza (è la traduzione del
termine inglese; forse è meno elegante, ma sempre di ciò si tratta) facciano perdere preziosi minuti (a volte
anche ore) soltanto ai più giovani.
Proviamo a pensare, per un attimo, a coloro che svolgono una professione di rilievo nella società, quali
avvocati, notai o commercialisti: per molti di essi la giornata sembra non cominciare nemmeno se non hanno
indossato un abito "serio" (spesso bello e costoso, ma le due cose non vanno sempre di pari passo) che
permetta loro di affrontare decine di clienti. D'altra parte, anche questi ultimi sono inevitabilmente contagiati
dalla mania del look: quanto credito sareste disposti a dare ad un penalista che vi riceve in studio in una tshirt gialla con disegni, bermuda verdi e ciabatte infradito, che per di più si presenta al lavoro con una Fiat
Panda usata?
In tema di apparenza sono moltissime le leggi non scritte, che tuttavia quasi tutti sembrano intuire
facilmente: così non è consigliabile il look trasandato o da "sfatto" per chi si presenta ad un esame o,
peggio, ad un colloquio di lavoro; allo stesso modo, un frac per una merenda con gli amici o un completo
giacca-pantalone per un concerto hip-hop sarebbero per lo meno sprecati; in Parlamento esistono sanzioni
per chi non indossa la cravatta (ma nessuna multa è prevista se quella cravatta è un'accozzaglia di colori e
disegni), come esistono locali in cui senza scarpe adatte non ti fanno neanche entrare.
Per non parlare degli appuntamenti personali: l'uomo e la donna (non importa l'età: in questo gli adulti
sembrano ragazzini alla prima esperienza) perdono una quantità incredibile di tempo per la scelta
dell'abbigliamento adatto, studiano nel minimo dettaglio parole, gesti, cura del corpo; conosco persone che
riescono a costruire a tavolino perfino la trascuratezza, col giusto grado di arruffamento dei capelli, le
imperfezioni del trucco (per le ragazze), la lunghezza ed il disordine della barba (per i maschi).
La vita, insomma, è ricca di limiti e problemi relativi all'apparenza; alcuni ci vengono imposti (dal buon gusto,
dal buon senso o da varie autorità), altri vengono creati direttamente da noi (per timore, paura o gusto di
sofisticazione). Pensiamoci bene la prossima volta che guarderemo la nostra immagine in uno specchio.
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20/02/2005 16:14
Ma quando arrivano le ragazze?
Il racconto di un bel film e qualche considerazione personale
Ieri sera ho visto un bel film, che consiglio a chi vuole riflettere, divertirsi ed ascoltare buona musica. La
pellicola si chiama Ma Quando Arrivano le Ragazze? ed è diretta da Pupi Avati.
La scena si apre così: un trombettista molto bravo si sta esibendo in un bel teatro bolognese, suona brani
classici assieme ad un'orchestra; in platea un suo coetaneo ascolta, con un po' di tensione, stringendo la
mano di una donna a lui molto cara. Pochi istanti dopo inizia un flash-back lungo quasi come il film: gli stessi
ragazzi (di 8 anni prima) sono su un treno, diretti ai corsi di Umbria Jazz. Gianca (Paolo Briguglia) suona il
sax ed è assillato dalle aspettative di un padre frustrato (il bravissimo Johnny Dorelli, nei panni di un
commercialista), che lo costringe ad accompagnarlo, mentre suona al pianoforte; Nick (Claudio
Santamaria) ha alle spalle una famiglia disastrata, ha trovato una tromba per caso in un'auto rubata, non
sa leggere la musica, ma sa improvvisare.
Tra i due scatta un'alchimia particolare, basata tutta sulla musica: assieme ad altri musicisti dalla storia
singolare (al pianoforte un astrofisico con la passione delle comete e delle donne sposate, alla batteria ed al
contrabbasso due soggetti improbabili, dal look trasandato ed apparentante lontanissimi dal jazz), faranno
concerti, prima in sordina, poi attirando molto pubblico. Una volta arrivato il successo, però, Nick ha
raggiunto un livello musicale molto alto ed inizia la sua avventura musicale da solo: a lui ormai plaudono il
pubblico, i discografici, le ragazze. A proposito di donne, Gianca si era innamorato perdutamente di
Francesca (interpretata da Vittoria Puccini, abbastanza brava, non bellissima), tanto da non perderla di
vista, anche se era prossima al matrimonio con un tale che poi l'ha lasciata quasi davanti all'altare: il ragazzo
tanto fa e tanto briga da riuscire a intrigarla, ma nel bel mezzo di un compleanno si ripresenta Nick, che
porta con il suo arrivo un nuovo tour musicale per il gruppo, ma anche l'inquietudine. Quel vecchio amico,
che già gli aveva messo incinta la sorella, ora forse gli ha sfilato la fidanzata: se Gianca nelle sue cose mette
passione, Nick ha talento, e la passione davanti al talento soccombe, portandosi via (forse) anche la felicità.
I percorsi si separano di nuovo: il talento sui palchi di mezzo mondo con contorno di bellezze intercambiabili,
la passione repressa tra pratiche commerciali e modelli fiscali.
Le ultime scene ritornano all'apertura del film: Nick sul palco, Gianca in platea che stringe la mano di
Francesca (che nel frattempo ha sposato, sempre col dubbio). Nick a sorpresa decide di rieseguire il brano
che aveva dato il successo al gruppo e che lo stesso Gianca aveva scritto al piano: Quando Arrivano le
Ragazze (bellissimo tema, coinvolgente, scritto da Riz Ortolani). Quella stessa sera, il rapporto di amicizia tra
i due musicisti termina: in camerino, l'ultimo sguardo complice tra Francesca e Nick ne è la testimonianza.
Guardando il film si riflette (è una storia un po' amara, visto che nessuno dei due personaggi sarà davvero
felice: Gianca coi suoi dubbi e le sue frustrazioni per la musica lasciata, Nick con la sua vita da eterno
vagabondo talentuoso della musica e degli affetti), ci si diverte (i musicisti che vanno in giro sotto la neve
con un'auto senza portiera, alcuni numeri musicali, certe trovate sono davvero esilaranti; i due protagonisti,
poi, sono davvero bravi), si ascolta buona musica (gli esecutori veri dei brani sono ottimi, in particolare
Flavio Boltro alla tromba e Danilo Rea al piano; una garanzia Riz Ortolani per la colonna sonora; altrettanto
sul sicuro si va con Dorelli al pianoforte). I frequenti riferimenti alle comete (non voglio spiegare di più:
andatevi a vedere quel film, è meglio) proiettano anche gli spettatori nello spazio; la musica fa vivere a chi lo
vuole un'altra bella e sofferta avventura. La conclusione può lasciare storditi: non è mai appagante sapere
che il talento non equivale alla tranquillità, come pure che la passione deve, ancora una volta, fare i conti
con la realtà; che le frustrazioni delle persone si riversano su chi non dovrebbe riceverle (il padre che
danneggia il figlio vedendo un talento che non ha, il figlio che un po' poco o un po' tanto gli crede e si fa del
male). Nel frattempo, continuo a temere di somigliare molto a Gianca (con un impaccio ancora maggiore nei
rapporti interpersonali): non so se è grave o umano, ditemelo voi.
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23/02/2005 00:59
Piero Terracina: prima e dopo l'inferno
A pochi giorni dalla mia partenza per Auschwitz, un incontro con chi
in quel luogo ha trascorso i mesi più devastanti della propria vita.
Fa uno strano effetto poter parlare direttamente con una persona che solitamente hai visto in televisione o
di cui hai letto in qualche libro. Ieri pomeriggio ho parlato con Piero Terracina, una persona che ha visto
l'inferno con i suoi occhi. Piero è sopravvissuto ad Auschwitz, unico di tutta la sua famiglia: da tempo il suo
ruolo di testimone della Shoah lo impegna in molte occasioni, ma soprattutto all'interno delle scuole. Ieri
mattina doveva parlare ai ragazzi dell'istituto Russell di Guastalla, prima che partissero per il «Viaggio della
memoria» (che ogni anno Istoreco organizza), ma una forte nevicata ha costretto a sospendere tutto;
desideravo tuttavia incontrare Terracina, così l'ho raggiunto a Reggio Emilia.
È sconvolgente pensare che a 15 anni Piero aveva già visto la morte, il sangue, le persone andate in fumo.
A quell'età – fa notare mia madre, che mi ha accompagnato e fa qualche domanda a Terracina – oggi ci si
preoccupa per un foruncolo, per il videogioco che non viene acquistato o altre faccende che sembrano vitali.
Non abbiamo parlato molto di ciò che è accaduto nel campo: non perché non sia importante, ma perché
l'orrore, ciò che nessuna mente umana è in grado di spiegare, è uguale per tutti. Il prima e il dopo, invece
no, quelli sono diversi per ogni persona. Piero così ricorda che l'inferno per lui non è cominciato al momento
della cattura (lui lo ricorda bene: la notte del 7 aprile 1944), ma ben prima, nel 1938, quando furono
emanate le leggi razziali. Un giorno una maestra gli disse «Esci, che tu non puoi stare qui» e lo cacciò fuori
dalla sua scuola romana. Perché era ebreo. Il padre aveva perso il lavoro e i fratelli dovevano smettere di
studiare e darsi da fare. Perché erano ebrei. Il passaggio dalla vita felice alla non-vita è iniziato lì: tutte le
persone con cui si è scherzato o parlato fino al giorno prima ora si tengono lontane, i luoghi vissuti ora
diventano preclusi, e tutto questo per un adulto è terribile, figurarsi per un bambino.
Sopravvivere all'inferno creato dagli uomini è difficile, sopravvivere dopo aver visto l'inferno anche. A Piero ci
sono voluti 11 mesi, passati in un ospedale militare, per rimettersi in salute e metabolizzare l'esperienza,
anche se nessuno dopo i campi potrà mai dirsi "normale". Quando è tornato a Roma, nel dicembre 1945,
non ha trovato nessuno ad aspettarlo: questo lo ha fatto ripiombare nella disperazione. Certo, presto ha
trovato affetto, chi gli ha offerto un impiego e, con tutte le energie che aveva potuto recuperare, si è
impegnato e, lavorando sodo, è riuscito a diventare dirigente d'azienda: ma Auschwitz è un ricordo che non
si può scacciare. E come scacciarlo, se è sufficiente un suono, un rumore, una musica o un gesto a riportarti
nel campo? Che si deve fare, quando ti chiedono notizie di altre persone che non sono più tornate, ti
guardano e ti chiedono «Ma tu come ti sei salvato?» e tu non sai cosa rispondere? (Alle donne andava
peggio: «Chissà che hai fatto per salvarti...» era il ritornello agghiacciante con cui venivano accolte al
ritorno, quasi che l'essere ancora vive fosse stato ottenuto a prezzo di chissà quale atto vergognoso). E poi
l'indifferenza di chi non vuole sapere cosa è stato, che non crede ad una parola di ciò che gli si racconta
sulla Shoah (a proposito, Terracina ricorda che non si può parlare di "olocausto": quella parola significa
«sacrificio a Dio col fuoco» e non si è certo trattato di un'offerta religiosa. «Per di più – ha aggiunto Piero –
nell'olocausto il carnefice deve avere il consenso della vittima. Noi certo non l'abbiamo dato»). Più di una
volta Terracina si è chiesto se altre persone non meritassero di sopravvivere più di lui; ripensando alla vita
ad Auschwitz, ha detto: «Nel campo c'era chi rovistava nelle tasche dei compagni morti, prima che
"passassero per il camino". Non biasimo chi lo ha fatto: sarebbe stato un sacrilegio permettere che anche
solo un pezzo di pane, nelle tasche di una vittima, finisse bruciato. E' da condannare senza attenuanti,
invece, chi rubava il pane ad un prigioniero "vivo": la persona derubata poteva morire subito, senza quel po'
di cibo. Del resto, quando un terribile rumore di tubi di metalli ci svegliava la mattina, per prima cosa ci
chiedevamo se saremmo riusciti ad arrivare vivi fino a sera».
Quando Piero e la sua famiglia furono portati nel carcere romano di Regina Coeli, il padre raccomandò ai
suoi ragazzi: «Qualsiasi cosa accada, non perdete mai la dignità; ricordatevi che siete persone». Una frase
che oggi può suonare strana, ma che fu profetica: la dignità agli ebrei, come alle altre vittime dello
sterminio, fu tolta, rimasero "non-persone", come ricorda Ida Marcheria, che di inverni ad Auschwitz ne ha
trascorsi due. Ora produce una cioccolata eccezionale in un laboratorio di Roma, e Piero spesso la va a
trovare. Una volta, mentre stavano registrando un programma televisivo (uno dei tanti che il bravo Roberto
Olla ha prodotto per il Tg1), Terracina ha sostenuto che, per la sua esperienza, nei campi c'era qualche
briciolo di umanità perfino nei tedeschi; Ida negava tenacemente ed il ricordo la faceva commuovere.
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Il giorno dopo le riprese, Piero è tornato da lei per finire il discorso e Ida ha spiegato come, all'interno dei
campi, la normalità fosse costituita dalle sevizie e dalla morte, per cui quella che poteva sembrare "umanità"
era (là dentro) pura follia. «Ad una risposta come questa – ha spiegato Piero – non ho saputo obiettare».
Ricky, un mio amico di Reggiolo, si era chiesto (a 15 anni) come mai gli alleati non avessero bombardato i
treni che conducevano gente all'inferno ed è rimasto sconcertato, quando l'insegnante l'ha accusato di «fare
sempre domande banali». Ho chiesto a Terracina cosa ne pensa. No, che non è banale quella domanda:
Piero (e come lui Ida e tanti deportati) se l'è fatta spesso e non sempre ha trovato risposta. Ancora non si è
spiegato perché i partigiani (che pure avevano visto i convogli) non hanno mai tentato un'azione di disturbo;
quanto agli alleati, la spiegazione si è avuta dopo e non si tratta di motivi confortanti. Forse un attacco ai
trasporti di prigionieri sarebbe stato controproducente per la politica militare, che imponeva di concentrare
gli scontri lontano dal cuore europeo; forse i generali avrebbero dovuto spiegare che gli attacchi servivano a
difendere gli ebrei e si sarebbero sentiti rispondere «E noi dovremmo morire per loro? Per degli ebrei?»
È trascorsa oltre un'ora, tra domande, ricordi e riflessioni: spesso sono stato sul punto di commuovermi e
spero proprio che gli studenti possano ascoltare un racconto "vivo" come l'ho sentito io. «I ragazzi queste
cose le capiscono – ha detto Piero – Serve un minimo di preparazione, ma quando a raccontare sono dei
testimoni, le parole restano impresse e confermano che questo è stato». Con buona pace di chi continua a
negare.
Eccomi durante l’intervista a Piero Terracina
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24/03/2005 14:52
Terry Schiavo, la vita, le leggi-lampo, l'eredità
Alcune riflessioni su un caso che sta dividendo una famiglia e, inopinatamente, l’America ed il mondo intero
Non so come andrà a finire la tristissima (e per certi versi surreale) vicenda di Terry Schiavo, la donna
americana da quindici anni in uno stato che ai più appare puramente vegetativo. Le cronache se ne
occupano da giorni, dando al caso ed a tutte le sue sfaccettature (famiglia, politica, movimenti d'opinione,
etica) molto, forse troppo spazio. Un dramma privato è diventato di dimensioni mondiali, chiunque (io
compreso, a quanto pare) è in grado di intervenire nel dibattito che riguarda fondamentalmente una
persona, o quello che resta di lei.
Per questo caso si sono scomodate espressioni di uso sempre più frequenti, quali «accanimento terapeutico»
o «eutanasia». Vorrei concentrarmi innanzitutto su quest'ultima, che etimologicamente significa
«buona/dolce morte». Personalmente non ho mai accettato volentieri l'idea che qualcuno possa porre fine ad
una vita di un'altra persona, anche su sua richiesta (ho sofferto anche quando i gatti che avevo in casa sono
stati uccisi da un'iniezione); forse dipende dal fatto che mi è stato insegnato che la vita non ci appartiene,
né ci è concesso di concluderla nostra sponte.
Forse quella di Terry Schiavo non è più vera vita da anni, senza sensazioni, con un legame inscindibile con
un tubo ed una macchina: non sta a me giudicare questo. Certo non credo che il modo migliore di far
concludere questa storia sia staccare il tubo dell'alimentazione. Un gesto simile equivale a condannare il
corpo e la persona alla morte per fame; può essere che la persona non provi sofferenze (pare che non sia
più in grado), ma il corpo certamente sì. La fine richiederà tempo, forse giorni: persino un'iniezione letale
(che pure non condivido, né come punizione estrema né come strumento di "buona morte") nella sua
rapidità di azione, sembra più "umana" di un trattamento simile.
La morte è un fatto umano, ed è normale che provochi emozioni, reazioni, a volte anche scomposte. Ha però
qualcosa di surreale lo scontro tra i genitori della donna (che cercano di allontanare il più possibile il
momento della morte) ed il marito, che vorrebbe porre fine alla sofferenza della moglie (dice lui) ed ha
ottenuto dal giudice che i tubi fossero staccati. Già, il giudice. Più che la discordanza di idee, impressiona il
numero di persone che, volenti o nolenti, si sono occupate della vicenda. Si sono fatti intervenire giudici,
corti, uomini che hanno dovuto decidere della vita di una loro simile (non vorrei mai trovarmi in quella
situazione); hanno scritto filosofi, politici, teologi, ministri di culto.
Si sono mossi persino il parlamento americano, che ha approvato a tempo di record una legge subito
ribattezzata «salva-Terry», nonché il presidente Bush, che ha addirittura rinunciato al sonno di una notte nel
suo ranch per firmare quel provvedimento. Uno sforzo mai visto, una tenacia che manca su altre questioni
importanti e più spinose (non ho notato la stessa rapidità nel trattare il caso Calipari). Uno sforzo fortemente
voluto dalla destra religiosa, che ha fatto di questo caso una battaglia ed ha convinto la politica ad affrontare
con urgenza la faccenda (mentre la maggioranza degli americani non vorrebbe il ripristino dell'alimentazione
a Terry Schiavo e considera il blitz parlamentare una intollerabile ingerenza, giudizio che sottoscrivo).
Uno sforzo soprattutto inutile, perché l'organo giudicante che la legge-lampo ha investito della questione e
che, nelle previsioni, avrebbe dovuto salvare la vita a Terry ha respinto le richieste dei genitori della donna,
che hanno dovuto soccombere anche in appello. Presidente Bush deluso dalla sentenza, famiglia che non
molla, il marito nemmeno, opinione pubblica sempre più irritata. Ora resta solo la Corte Suprema: staremo a
vedere, in ogni caso la storia sembra andare a finire male.
Un'ultima considerazione: il quotidiano torinese La Stampa ha riportato, nei giorni scorsi, una frase attribuita
al marito di Terry Schiavo, che suona così: «Ma quando muore quella cagna?» Ho troppa stima per quel
quotidiano per pensare che non sia vera; se lo fosse, la situazione sarebbe agghiacciante. Già è triste
assistere ad uno scontro sulla vita di una persona; sapere che al fondo c'è una questione di danaro ed una
scarsa considerazione per chi sta morendo (non si dimentichi che "cagna" in inglese di solito si dice "bitch":
a ciascuno lascio la traduzione più comune di questo vocabolo) sarebbe persino ributtante.
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30/03/2005 18:38
Ci vuole Endrigo...
Alla scoperta di Sergio Endrigo attraverso la memoria ed il sito curato da un ragazzo di 25 anni.
Nel 1974 ancora non ero nato, ma come tanti della mia età, ricordo molto bene che da piccolo, all'asilo o alle
elementari, ci facevamo cantare a squarciagola Ci vuole un fiore, incisa proprio in quell'anno: ricordo che mi
affascinava quella continua nascita a cascata di tutte le cose (per fare un tavolo ci vuole il legno, per il quale
serve l'albero, ... fino ad arrivare al fiore, che dunque è necessario per costruire un tavolo e tutto quanto il
resto). Non sapevo che il testo fosse di Gianni Rodari (un mito per noi piccoli, ma anche per i più grandi,
se è vero che Favole al telefono è ritenuto uno dei libri più belli: consiglio a tutti di leggere il racconto
Giacomo di Cristallo), ma soprattutto non conoscevo il cantante, dotato di una bella voce calda. Lo scoprii
molti anni dopo, cominciando ad appassionarmi all'«archeologia musicale» (come mi piace chiamarla): il
cantante (nonché autore della parte musicale, assieme a Luis Bacalov) era Sergio Endrigo, che aveva
scritto un altro "tormentone" della nostra "primary school hit parade": La casa , quella «molto carina / senza
soffitto e senza cucina» (il testo era una lirica del grande poeta sudamericano Vinicius De Moraes).
Altro di Endrigo non sapevo, salvo che aveva avuto molto successo tra gli anni '60 e '70; alla ricerca di
materiale su di lui, trovai molto poco, come se in tanti si fossero dimenticati di lui. Riuscii a dare un volto a
quella voce grazie a Michele Bovi, vulcanico giornalista del Tg2 che nei suoi programmi musicali intervistò
più volte il cantautore istriano (anche in merito alla causa di plagio che lo vede contrapposto al maestro
Bacalov; per saperne di più consultate questa pagina del blog); ritrovai alcuni brani attraverso Franco
Battiato (che reinterpretò magistralmente Aria di neve e Te lo leggo negli occhi) e un vecchio disco di
Lucio Battisti (ove cantava Adesso sì, rintracciata sempre grazie a Bovi); la maggior parte delle notizie,
tuttavia, la devo ad un mio quasi-coetaneo, Matteo Perazzi, fidentino, anche lui interessato alla musica
d'annata (ed ai bei quiz di una volta, visto che ci siamo conosciuti come soci del Pranzo è servito fans club).
Anche Matteo, all'inizio, conosceva Endrigo solo grazie a quelle canzoni a torto definite "infantili". Due anni
fa il momento epifanico: un cd datato, lasciato su uno scaffale per parecchio tempo, gli ha fatto nascere
curiosità ed un desiderio di approfondire la conoscenza di quell'artista. Compito non facile, e non solo per la
mancanza di informazioni: da anni i suoi dischi non venivano più ristampati (soprattutto su cd) ed era arduo
ascoltare le sue canzoni. Allora è nata una sfida continua: primo passo, mettere in rete informazioni su
Endrigo, in modo che non fosse più un illustre sconosciuto. Nacque così il sito www.sergioendrigo.it. «Io
non avevo mai realizzato siti internet prima di allora – spiega Matteo – Mi sono documentato, ho studiato un
po' ... e ho fatto tanta pratica. Il risultato è soddisfacente. Bisogna mettere in preventivo parecchio tempo,
ma dopotutto è un'attività ricca di soddisfazioni: soprattutto quando gli appassionati di tutto il mondo
scrivono per ringraziare di aver creato finalmente un punto di riferimento per tutti i fan».
Sono state davvero molte le soddisfazioni: innanzitutto, aver instaurato un rapporto personale con
l'artista. Costanza, interesse ed un po' di fortuna hanno permesso a Matteo di trovare un contatto: ora lui e
Sergio sono amici e si sentono spesso per scambiarsi informazioni. Lo sforzo di Matteo, tuttavia è andato
oltre: ha messo in rete una petizione per la ristampa del catalogo discografico di Endrigo ed è riuscito ad
ottenere risultati importanti: «Se non ci fosse stato il nostro appello, il dirigente della Warner che sta
curando il progetto [che per ora ha riportato nei negozi di dischi lo storico album La vita, amico, è l'arte
dell'incontro, con liriche di De Moraes, lette da Ungaretti e cantate, ndb] non avrebbe mai messo in moto
tutto il meccanismo: è stato proprio lui a confidarmelo quando mi ha chiamato per la prima volta al telefono.
Da lì è partito un po' tutto. Adesso ci attende a breve una compilation di singoli che copre il periodo 65-73,
per la quale è pronto anche uno spot televisivo; insomma abbiamo messo carne al fuoco». Nella raccolta,
distribuita anche nelle edicole, ci saranno 43 brani, scelti tra i successi e le pagine meno note di quegli anni
(il prezzo sarà speciale: 10,90 € per un cd doppio); in seguito è in programma la ristampa degli altri album.
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L'attività di Endrigo, tuttavia, non si esaurisce con le canzoni e i concerti (che forse riprenderanno in tarda
primavera): nei mesi scorsi è uscita, per i tipi di Stampa alternativa, la ristampa di un libro scritto da Sergio.
Il titolo è Quanto mi dai se mi sparo? Una storia avvincente, che molto prende dall'esperienza amara vissuta
dall'autore (i concerti senza pubblico, i dischi realizzati senza promozione pubblicitaria, impresari e
discografici poco raccomandabili): un'esperienza da cui il protagonista del libro cerca di uscire per sempre,
con un gesto tragico, ma di sicuro effetto. La storia è ben scritta, il linguaggio è moderno, tagliente ed
accattivante. Del resto Endrigo ha dimestichezza con le parole, fin da quando ha scritto (un po' per caso,
ricorda lui) le prime canzoni e musicava le liriche di grandi poeti, come Rafael Alberti, i già ricordati Rodari e
De Moraes; in proposito, Matteo Perazzi racconta: «Endrigo è uno dei pochi cantautori che sia riuscito a
coniugare la poesia con la musica. In più molte sue canzoni sono ispirate alle poesie di Paul Fort,
Ferlinghetti, O'Nell. Esiste pure materiale poetico musicale rimasto inedito e chissà che un giorno non possa
vedere la luce...».
«La festa appena incominciata è già finita», scriveva Sergio Endrigo all'inizio del brano che gli fece vincere
Sanremo nel '68 (Canzone per te); mentre l'artista è impegnato a scrivere un altro romanzo, stavolta
dedicato alla sua gioventù trascorsa in Istria ed alle tensioni socio politiche di quel tempo, mi auguro che la
sua festa possa riprendere, anche attraverso Matteo.
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09/04/2005 23:25
Due giornate da "ereditiere"
Il racconto della mia partecipazione alla trasmissione di Raiuno “L’Eredità”
(puntate trasmesse nei giorni 11 e 12 aprile 2005)
Giovedì 31 marzo, ore 13 e 20. Milano, Corso Sempione 27. Può capitare di trovare chiunque, davanti alla
sede della Rai. Anche il criminologo Francesco Bruno: era la prima persona che ho visto, a due metri da
me, in fila per entrare negli studi. Lui doveva partecipare ad una puntata dell'Italia sul Due (il talk-show
condotto da Monica Leofreddi); io alle registrazioni dell'Eredità. È iniziata in quel momento la mia prima
breve incursione nel mondo della tv: fino a quel momento la televisione l'avevo solo guardata, spenta,
apprezzata, accusata, ma mai "vissuta" dal vero. Non ero solo in quell'avventura: al mio fianco c'era Matteo
"Gelmo" Gelmini, che ha 4 anni più di me e da tempo considero il mio fratello maggiore (anche lui alla
prima volta televisiva: non male, per uno che si è laureato in Scienze della comunicazione).
Avevo seguito con interesse il game-show di Amadeus
fin dalla sua prima messa in onda, nel 2002,
preferendolo sempre alle proposte della concorrenza; i
concorrenti spesso mi erano simpatici e, tra l'altro, ero in
grado di rispondere a gran parte delle domande. Più di
una volta, per scherzo, avevo prospettato una mia
partecipazione al gioco ed altre persone mi avevano
incoraggiato. A metà gennaio mi iscrissi via telefono; a
fine febbraio mi chiamarono; il 16 marzo feci il provino a
Milano (purtroppo ricordo bene quel giorno, perché nel
ritorno mi tamponarono) e, sei giorni dopo, la redazione
mi comunicò – con entusiasmo di mia madre pari allo
zero – che avevo passato le selezioni. E così, eccomi qui
davanti alla sede Rai, a completare il mio percorso
catodico; assieme a noi, Vincenzo (della Bolognina,
anche lui concorrente) e Simone, simpaticissimo autista,
che fino a due minuti prima ho intronato di domande sul
quiz e sulla tv in generale.
Appoggiamo armi (nessuna, a dire il vero) e bagagli (molti,
almeno io: un trolley pieno di vestiti e ricambi, nonché il libro di
Tutela dei diritti, che ho studiato persino in stazione) nel
camerino e poi via in mensa, anche perché ormai si sono fatte
le due. Mentre Matteo condisce il suo riso con un rapido
movimento delle posate (vedi foto), notiamo Amadeus e
Giovanna Civitillo (era struccata e stava decisamente meglio
così) che arrivano a pranzo, prendono qualcosa da mangiare e
si piazzano in un tavolo dall'altra parte della sala. Decidiamo di
lasciarli in pace, come è giusto che sia, e continuiamo a dar
lavoro ai nostri stomaci. Subito dopo il pranzo, iniziano tutte le
procedure burocratiche: liberatorie, regolamenti, rimborsi.
Federica, della produzione, ci illustra per bene il programma
della nostra giornata milanese; io e Matteo ci guardiamo
intorno, curiosi di ogni particolare e, docili ai comandi,
firmiamo.
Mentre nello studio Tv3 registrano la prima puntata (e ci arrivano i suoni degli applausi) aspettiamo di fare
l'ultimo provino, per compilare la scheda che Amadeus leggerà. Parliamo un po' con gli altri concorrenti:
Vincenzo e la moglie sono davvero simpatici, Orem partecipa alla trasmissione senza nemmeno sapere
come funziona il gioco (ne avevo sentite tante, ma questa...), Elena, campana, è molto gentile ed anche
carina.
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Una delle autrici, Paola, ci riceve e ci sottopone al terzo grado: in particolare mi interroga sulla mia passione
per Il pranzo è servito, una trasmissione che mi ha fatto crescere (anche fisicamente: quando girava la ruota
io ridevo e mi imboccavano...) e che ricordo tanto volentieri da essermi iscritto al fans club che si è formato
su internet. Proprio il Pranzo era connesso alla mia partecipazione all'Eredità: autore dello storico
programma di Corrado era anche Stefano Santucci, che scrive questo quiz e la cui voce spesso fornisce le
spiegazioni alle risposte. Da tempo mi sarebbe piaciuto conoscere questo personaggio, e quale occasione
migliore della partecipazione al programma. «Te lo presentiamo sicuramente» promette Paola, che intanto
comincia a farmi domande sugli ambienti che frequento e sul perché sono ancora single. Non mi aspettavo
questo argomento e, mentre rispondo, sia pure in modo un po' evasivo, spero che Amadeus non veda quel
pezzo di scheda.
Manca poco alla registrazione (sono quasi le 17 e
30), Gelmo ogni tanto sparisce: sta studiando
anche lui e sfrutta come me il camerino per
sfogliare qualche pagina. Anch'io sfoglio qualcosa
come 300 pagine: non del libro di Tutela, stavolta,
bensì dell'elenco delle fonti per le domande del
gioco. Sono una lista impressionante: impossibile
scorrerne anche solo una parte.
Ci accompagnano nello studio, in una stanza in cui attendiamo
istruzioni: siamo già vestiti con gli abiti che useremo nella
puntata, compreso il cartellino con il nostro nome. Dalla porta
spunta il mitico Parisotto (che di nome fa Paolo), spesso
"massacrato" da Amadeus nelle più disparate occasioni. «Oggi
siete condannati a divertirvi» ci ricorda, mentre spiega il
meccanismo dei giochi, specie di quelli da poco introdotti.
Accetto volentieri la "condanna": non sono andato a Milano per
vincere o per farmi vedere, quindi va benissimo così. «Mi
raccomando, saluti brevi: se non li fate è anche meglio» precisa
Parisotto, pur sapendo che nessuno si asterrà; intanto veniamo
microfonati ad uno ad uno e le truccatrici ci passano un po' di
cipria sul viso, per affrontare le luci dello studio. Entriamo, ci
affidano le postazioni (a me tocca la 3) e Matteo si sistema tra il
pubblico: faccio la conoscenza di alcune signore che assistono
sempre alle registrazioni e ne approfitto per chiedere loro
alcune cose (per lo meno so chi mi dirà «Bravo» o «Ahi, ahi»).
Dopo poco entra Amadeus e si comincia a registrare.
Dopo Vincenzo ed Orem è il mio turno: Amadeus mi fa parlare del Pranzo è servito e lo faccio molto
volentieri: le belle trasmissioni si ricordano volentieri e ne approfitto per ricordare gli amici del club ed
"invocare" (il verbo non è fuori luogo: lui è in alto e non lo si vede...) direttamente Santucci. Dopo le prime
domande la tensione cala: non erano troppo difficili e comunque riesco a superarle abbastanza bene. Alla
«Patata bollente» BiancaStella, la vice-campionessa, mi rifila una domanda di biologia, con i nomi in latino:
ne va della mia reputazione di latinofilo (cinque anni di duro liceo saranno pur serviti a qualcosa), ma fino a
questo punto la sorte mi sorregge e rispondo. Poco dopo la signora marchigiana se ne va: peccato, era
davvero forte, soprattutto quando ha raccontato che il suo gatto non riesce a trovare una "lei" in tutto il
quartiere (Amadeus ha perfino lanciato un appello...).
Con mia sorpresa nessuno punta il dito su di me ed arrivo alla «Scossa»: la prendo subito e proprio su una
domanda di religione, che rabbia! (E si che ne avevo scelta un'altra, ma poi ho detto quella sbagliata...)
Mentre mi chiedo se sia una vendetta per aver guardato il monitor piuttosto che Giovanna durante il balletto
(desideravo non distrarmi: ognuno faccia i commenti che vuole), addito istintivamente Elena. Col senno di
poi mi dispiace, perché non avrei dovuto: l'avevano già sfidata tre volte ed aveva accumulato 250mila euro,
per cui se fossi, per caso, arrivato in finale avrei avuto domande molto difficili. In più, l'ho già detto, Elena
mi era davvero simpatica: ha sempre risposto a tono e ragionando, ama la musica ed il teatro come me ed
ha (mi si perdoni, ma anche questo conta) un bel viso. Forse anch'io non ho osato sfidare il campione, forse
ho pensato che, dopo alcuni duelli facili, ne capitasse uno che mi permettesse di salvarmi. Fatto sta che
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Elena, pur avendo ragionato bene, sbaglia la risposta (ma l'avrei sbagliata anch'io) e mi manda all'ultima
sfida con 300mila euro: traguardo che mai avrei pensato di raggiungere.
In una piccola pausa chiacchiero un po' con il
campione in carica: si chiama Daniele, è
della provincia di Mantova (dunque non
siamo lontanissimi) ed è davvero preparato,
oltre
che decisamente
"alla
mano".
Un'assistente di studio ci porta dell'acqua e
siamo pronti per «L'ultima sfida». Amadeus ci
fa domande a raffica, che a casa
generalmente azzecco sempre: qui invece ne
sbaglio due in fila e perdo troppo tempo (a
proposito, qualcuno sa come si chiamano le
mascottes delle olimpiadi invernali di Torino
2006? Io non le ho mai sentite...). Alla fine
vado talmente "in balla" da cadere persino su
una domanda di musica: vince Daniele e se
lo merita.
Seguo dalla stanza in cui ci ha ammaestrato Parisotto le domande finali del riconfermato campione e
constato che avrei potuto vincere 2mila euro (ma a me, a causa del mio montepremi, sarebbero capitate più
difficili). La puntata finisce, sapendo che devo tornare il giorno dopo. Io e Gelmo (che purtroppo non è mai
intervenuto in trasmissione, nemmeno quando sono stato a rischio di eliminazione) raccattiamo le nostre
cose in fretta per andare in stazione, ma non posso non fermarmi, assieme al campione, per una foto con
Elena (la madre insisteva perché ci scambiassimo i numeri di telefono e mi dispiace non aver avuto il tempo
di farlo). Riusciamo, in modo molto avventuroso, a salire sul treno appena in tempo e torniamo a casa alle
23 e 30, alla fine di una lunga giornata.
***
Il giorno dopo, venerdì, tocca a me soltanto, perché Matteo è già impegnato; sul treno cerco di studiare,
visto che avrei perso anche quella giornata. Giovedì sera in tanti mi avevano telefonato per chiedere com'era
andata e quando ho chiamato mia madre per annunciarle che, in quanto vice-campione, sarei dovuto
tornare l'indomani, le dissi «Devo darti una brutta notizia...», perché sapevo che si sarebbe preoccupata per
il mio esame (alla fine è andato, anche se mi sono dovuto accontentare di un 24).
Alla stazione ritrovo Simone e Daniele: nel viaggio verso gli studi chiacchieriamo un po' e ricordiamo la
puntata del giorno prima. Procedura d'ingresso (mentre dalla sede esce Luca Sofri), camerino, mensa (con
Gene Gnocchi che pranza due tavoli più in là), camerino (Barbara Chiappini si sta sistemando in una stanza
vicina), un po' di firme, conoscenza degli altri concorrenti e poi dritti nello studio. Una volta microfonati ed
incipriati, andiamo alle nostre postazioni. Mentre aspettiamo Amadeus, vedo Belinda Belotti che mi aveva
fatto il provino due settimane prima, e la saluto: con lei c'è il regista, Maurizio Pagnussat. Come al solito
curioso di tutto, gli chiedo dove sia la cabina di regia, visto che non la vedo: lui me la indica ed aggiunge:
«Se aspetti cinque minuti ti ci accompagno». L'è c'me invidar un'oca a bevar, «come invitare un'oca a bere»,
come si dice da noi: difatti non mi sogno nemmeno di rifiutare la proposta. Un'idea di come funzioni la
macchina del quiz ce l'ho (grafica, missaggio audio e video, camere), ma rimango ugualmente sconvolto dal
gran numero di apparecchiature, soprattutto dalle dimensioni del banco di regia.
Non dirò molto sulla puntata, anche perché sono stato eliminato alla seconda manche in modo non troppo
dignitoso per un vice-campione (avrei dovuto riflettere un po' di più). Stavolta, tra l'altro, Amadeus ha notato
quella parte di scheda sul mio essere single ed ha insistito per qualche minuto sulla cosa: sorvoliamo (anche
se mi sono divertito molto nel siparietto con il campione; durante il balletto alla fine del primo gioco, tra
l'altro, Amadeus mi ha sorriso dicendomi «Sei stato molto simpatico», sarà...).
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Il momento più importante della giornata, però, è stato alla fine
della registrazione: subito dopo l'Ultima sfida, che ha visto
prevalere di nuovo Daniele (in tutto ha fatto 4 puntate: bravo e
fortunato), son tornato in studio per complimentarmi col
campione ed ho visto qualcuno che parlava con lui. La faccia mi
era nuova, la voce nient'affatto: era proprio Stefano Santucci.
Dopo le ultime spiegazioni a Daniele mi ha visto e mi ha salutato,
invitandomi a restare fino alla fine della puntata per poter
scambiare qualche battuta. Ho accettato volentieri: ho atteso la
conclusione delle domande finali (che anche questa volta, per la
cronaca, sapevo quasi per intero) e, dopo qualche minuto di
pazienza, il mio desiderio di parlare con l'autore si è avverato.
Abbiamo ricordato i bei tempi del Pranzo: lui mi ha raccontato che a quella trasmissione ha lavorato fin dalla
prima edizione, persino come "trovarobe", poi come ghost-writer, fino a diventare autore a tutti gli effetti.
Abbiamo ripensato al grande Corrado, che sicuramente sarà contento di vedere che non ci siamo
dimenticati di quel programma: Santucci ha ricordato come lavorare accanto a Corrado sia stata
un'esperienza indimenticabile, che lo ha davvero formato; io ho parlato del fans club, che ormai conta più di
80 iscritti, provenienti da tutta l'Italia. Molto disponibile, Stefano Santucci ha accettato anche di farsi
fotografare con me (lo scatto è opera addirittura del direttore della fotografia del programma).
Aveva ragione Parisotto (cui peraltro ho dato un dispiacere, visto che ho salutato anch'io): mi sono divertito
davvero. E pazienza per gli errori che ho fatto (anche se qualcuno mi brucia ed è giusto che mi abbiano
eliminato): è stata una bella esperienza. Il mondo della tv mi aveva sempre interessato, quello dei quiz
anche: da piccolo ho "peccato" parecchio, guardando un sacco di giochi televisivi. Forse è un caso, ma
quando con gli amici capita di fare dei giochi in cui è prevista la figura del "notaio", non riesco mai a giocare
e mi rifilano sempre quel ruolo: di solito protesto (ogni tanto vorrei giocare anch'io), ma in fondo mi diverto.
Dev'essere per questo che mi ha fatto davvero piacere incontrare Santucci, e chissà che un giorno (laurea in
giurisprudenza permettendo), non riesca davvero ad arrivare in tv come autore o come giornalista (l'altra
mia grande passione). Per ora mi diverto col videogioco dell'Eredità che Amadeus mi ha regalato: stando al
computer avrei già vinto 400mila euro. Fuori tempo massimo.
Desidero ringraziare tutte le persone, molto gentili, che hanno incrociato i miei due giorni da "ereditiere":
− Simone, l'autista, che mi ha dovuto sopportare per ben quattro viaggi da e verso la stazione
centrale e mi ha spiegato per primo cosa davvero accade in tv;
− Federica, che ci ha seguito passo a passo negli studi Rai, mi ha fatto produrre un numero
esorbitante di firme ed ha indagato il mio sguardo sospeso alla fine delle registrazioni;
− Belinda Belotti e Paola, che mi hanno "provinato" (assieme a Silvia e Nicoletta) ed hanno
compilato la mia scheda con simpatia e un giusto pizzico di malizia;
− Tutte le ragazze e le signore della sartoria, che hanno controllato i colori dei vestiti, hanno stirato le
camicie e sono state cortesissime anche quando mi hanno visto entrare nella stanza a prendere le
chiavi del camerino, per la quindicesima volta;
− Marina, delegata di produzione, che ci ha dimostrato che gli autori delle domande consultano fonti
dal mattino alla sera, dunque non hai speranza di poterli fregare;
− (Paolo) Parisotto, perché i giochi spiegati da lui sono un'altra cosa, molto più divertente;
− Lo zio Giuliano e tutte le signore del pubblico (non me ne vogliano i figuranti maschi!), perché
i complimenti me li hanno fatti anche dietro le quinte e mi ha fatto piacere;
− Antonio il microfonista e tutti gli assistenti di studio, che ci hanno guidato con pazienza tra cavi e
postazioni;
− Le truccatrici, perché hanno fatto il possibile: se il mio viso è poco presentabile non è colpa loro;
− Maurizio Pagnussat, perché mi ha dimostrato che fare il regista è più complicato che scrivere un
articolo, ma in fondo è dannatamente divertente;
− Stefano Santucci, perché se non ci fosse bisognerebbe inventarli (lui, il "Pranzo" e le domande);
− Daniele, perché anche dopo la puntata si è fatto vivo e mi ha chiesto com'è andato l'esame;
− Amadeus e tutte le altre persone che mi sono dimenticato (certamente non di proposito).
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13/06/2005 18:43
Referendum: una sconfitta
Alcune riflessioni sul voto di questi due giorni: hanno vinto davvero Ruini e gli altri?
Fino a sabato mattina mi chiedevo «Riusciremo a raggiungere il quorum almeno stavolta?»; questa mattina
la domanda che mi assillava era «Ce la faremo ad arrivare almeno al 25% dei votanti?». Lo scorrere del
tempo rende ottimisti, come si vede (il secondo obiettivo, per lo meno, è stato raggiunto, ma non stappo lo
spumante per questo). Diceva Camillo Prampolini, all'incirca cent'anni fa, diceva: «Fate che tutta l'Italia sia
Reggio Emilia ed avrete la rivoluzione»; questa volta non sarebbe bastato neppure per raggiungere il
quorum, anche se noi reggiani ci abbiamo provato ed abbiamo registrato l'affluenza più alta dopo Bologna e
Ravenna (l'Emilia Romagna è la regione in cui si è votato di più, con buona pace di Ruini e di Casini).
A cantar vittoria in questo momento, politici, religiosi, alcuni medici ed i testimonial del non-voto; a piangere
sconfitta, oltre ai referendari (tranne chi, come Pannella, non si era illuso), anche lo strumento stesso della
consultazione popolare ed anche un certo modo di intendere la partecipazione.
LEGGE BLINDATA. Questo referendum ha avuto anche la mia firma ed il mio voto. Fin dall'inizio avevo
creduto che questa legge fosse, sotto certi profili, semplicemente mostruosa ed un po' sospetta. Certo,
era necessaria una disciplina chiara sul tema della procreazione medicalmente assistita, avrebbe dovuto
pensarci l'Ulivo quando governava il paese: non l'ha fatto e siamo stati puniti. Durante il dibattito
parlamentare si è vista una "blindatura" seconda solo alle leggi fatte su misura per alcuni personaggi poco
raccomandabili: ci avevano fatto credere che il testo votato in parlamento (che in questo caso credo meriti la
minuscola) fosse il migliore possibile e, in ogni caso, immodificabile. Soprattutto qualcuno aveva cercato di
far passare l'idea - lo ha ricordato benissimo Alberto Melloni, storico della Chiesa e collaboratore del
Corriere - che una legge più "cattiva" sarebbe stata più etica e più "cattolica", dimenticando che su temi di
questo tipo i fedeli sono tutt'altro che compatti: anzi, sono "sfrangiati" in molte posizioni, dalla più severa
(la fecondazione non è mai ammessa) alla più possibilista.
LA 40 NON SI CAMBIA. ANZI SI'. La legge è improvvisamente divenuta «perfettibile e modificabile» solo
dopo la raccolta di firme (andata inaspettatamente a buon fine) e dopo il giudizio di ammissibilità da parte
della Corte Costituzionale. Gli stessi parlamentari che prima difendevano a spada tratta la legge 40 si sono
detti disponibili a rivedere «una legge che non è la migliore possibile». A far loro cambiare idea,
probabilmente, soltanto lo spettro del referendum; diversamente, infatti, la legge sarebbe rimasta così
com'è per qualche anno. E così rimarrà. Credo poco infatti a chi promette di cambiare la normativa:
certamente non lo farà in tempi brevi (anche perché l'anno prossimo ci saranno le elezioni politiche), ma non
c'è alcuna garanzia né sull'effettività delle modifiche, né sul loro contenuto.
Un esito positivo della consultazione referendaria, invece, oltre a cancellare disposizioni in forte odore di
incostituzionalità ed altre per lo meno censurabili, avrebbe costretto le camere a tornare rapidamente sul
testo, per colmare alcuni "buchi" lasciati dall'abrogazione (come la regolamentazione della fecondazione
eterologa). Ora quegli "onorevoli" parlano di «trionfo del non-voto attivo» e di «vittoria del Parlamento» (il
loro, sì, con la maiuscola), infilando una sciocchezza dopo l'altra: non vince il parlamento quando un milione
di cittadini chiede un referendum che, in sostanza, contesta l'operato di quell'organo, né si dovrebbe esultare
se la gente non ha votato per spirito di appartenenza, per una supposta obbedienza alla Chiesa o, più
semplicemente, perché non lo fa da anni o non aveva voglia di capire cosa venisse chiesto (così ha perso
una buona occasione per scrollarsi di dosso la patente di ignoranza).
CATTOLICI OSSERVANTI? Di questo dovrebbero ricordarsi anche i vescovi e tutti i cattolici che, a partire
da gennaio, hanno invitato caldamente i fedeli a disertare le urne, per un doppio no, ai quesiti ed allo
strumento del referendum così utilizzato. Chi pensa che gli italiani abbiano dato ragione a Ruini & co.
commette un errore madornale, non conosce gli italiani e sopravvaluta l'influenza dei prelati (vero Baget
Bozzo?) Non si può credere veramente che in Italia ci siano tanti cattolici osservanti ed obbedienti agli inviti
(invero piuttosto pressanti) della gerarchia ecclesiastica: se così fosse non dovremmo ascoltare, più volte
all'anno, le preoccupazioni e gli allarmi degli stessi vescovi per le chiese troppo spesso vuote e per l'assenza
di valori tra la popolazione.
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È apparso chiaro solo in questi giorni come la Cei abbia suggerito la via dell'astensione dopo un sondaggio,
svolto all'indomani del "via libera" da parte della Consulta, secondo il quale meno del 20% avrebbe votato
NO al referendum. Da allora sono nati comitati per il non-voto che hanno raccolto gran parte
dell'associazionismo cattolico; si è ricordato che «la legge 40 va difesa, anche se non è la migliore possibile»
(ma pochi hanno detto che «migliorarla», per il pensiero ufficiale della Chiesa, significherebbe proibire la
fecondazione assistita o precluderne l'accesso almeno alle coppie non sposate: perché questa reticenza?); ci
si è preoccupati di rivendicare l'assoluta legittimità dell'astensione "militante", valendosi delle dichiarazioni
dei presidenti delle Camere (che avrebbero fatto meglio a tacere, sapendo che le loro parole sarebbero state
strumentalizzate), facendosi scudo di alcuni giuristi "buoni" (sulla cui integrità non mi permetto di dubitare) e
prendendo a male parole gli altri (come Stefano Rodotà, Giovanni Sartori e Michele Ainis: credo che
quest'ultimo avesse ragione, nel ricordare che i Costituenti avevano introdotto il quorum per dare
consistenza all'espressione «dovere civico» relativa al voto, nonché per evitare l'abrogazione di una legge ad
opera di una sparuta minoranza, ma non pensavano certo ad un'astensione "attiva"); ci si è scandalizzati per
la discesa in campo di attrici famose ed avvenenti a favore del SÌ (trovando invece normalissimo che Vittoria
Belvedere, Bianca Guaccero ed altre si schierassero per il non-voto); si è infine completata l'opera,
diffondendo in tutte le chiese il verbo astensionista e, nonostante gli appelli alla non-scomunica-reciproca del
card. Tettamanzi, isolando le voci che chiedevano di accettare il confronto referendario (il caso di Don
Andrea Gallo, straordinario sacerdote che opera in una comunità di recupero di Genova, ne è un esempio).
SCIENZIATI E RADICALI, NE SAPETE NIENTE? Non c'è stato, in ogni caso, il rispetto che lo stesso
Ruini si era augurato a gennaio: nei dibattiti pubblici e televisivi di solito sono i sostenitori del SÌ a sembrare
violenti: questa volta ho visto molta aggressività (a volte vera maleducazione) da parte del fronte del nonvoto. Gli schieramenti hanno spesso scelto personaggi irritabili, capaci più di alzare il volume dello scontro
che non di sostenere decentemente le proprie posizioni: in tv e sui giornali abbiamo visto troppo spesso
Severino Antinori, che con il suo modo di fare più di ogni altro è responsabile di questa legge; d'altra
parte gli astensionisti si sono avvalsi quasi sempre di medici e ricercatori cattolici o operanti in strutture a
carattere religioso (Università pontificie o ospedali non laici), che poco si prestano a convincere gli scettici. In
più quegli stessi "esperti" citavano spesso dati contrapposti, quasi che esistessero una scienza per il SÌ e una
per il non-voto. Tutto questo non dev'essere piaciuto agli elettori.
Infine, se questa consultazione ha segnato «la morte dello strumento referendario» (per dirla con Stefania
Prestigiacomo), tra i suonatori del de profundis occorre annoverare anche i Radicali. Ho detto di aver
firmato anch'io per questo referendum (anche per quello proposto da loro e bocciato dalla Consulta), ma
non ci vuole un genio per ricordarsi che le consultazioni referendarie successive al 1995 sono fallite tutte,
sempre per mancanza del quorum. È un fatto (deprecabile, ma bisogna prenderne atto) che la gente provi
crescente disinteresse per le votazioni, di qualunque tipo, visto che l'affluenza è sempre in calo. Chiamare al
voto gli italiani troppo spesso, magari per pronunciarsi su parecchi quesiti per volta, molto diversi tra loro
(come i Radicali hanno fatto più di una volta), rischia di essere controproducente. Dare la colpa alla cattiva
informazione (che peraltro c'è stata) o alla non corretta rilevazione dell'affluenza peggiora solo le cose.
Ritenevo che i referendum appena falliti fossero gli unici in grado di giungere ad un risultato valido, perché
toccavano da vicino la salute della donna ed il suo corpo: così non è stato.
Per tutte queste ragioni sono dispiaciuto per il fallimento della consultazione, ma non sono pentito di essere
andato a votare e di aver detto NO alla fecondazione eterologa e di aver risposto SÌ agli altri quesiti. Anche
se come cattolico non avrei dovuto votare. Anche se non so cosa sarà ora del mio destino di fedele. Anche
se penso che l'Italia avrebbe meritato una figura migliore.
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17/06/2005 16:24
Il Pranzo rivive... sulla Rete
Il ricordo di una trasmissione bella, anche grazie ad un gruppo che ne condivide la memoria. Su internet.
Inizio la storia con un piccolo esperimento, rivolto a chi ha più o meno la mia età (21 o 22 anni, a seconda
che guardiate il post prima o dopo il 20 giugno) o comunque è cresciuto negli anni '80. Provate a pensare:
cosa facevate da piccoli all'ora di pranzo? Se la risposta è: «Guardavamo la tv», probabilmente il televisore
non era sintonizzato sulla Rai (nei primi anni a quell'ora c'era il monoscopio, solo più avanti sono arrivati Uno
mattina ed altri programmi); forse i vostri occhi si dividevano tra il piatto ed un quiz semplice ma divertente,
rimasto sui teleschermi più di un decennio: Il Pranzo è servito.
IL RICORDO. Ho già avuto modo di ricordare questo mio spezzone d'infanzia, raccontando la mia
esperienza all'Eredità, ma dirò brevemente qualcos'altro qui. Sono nato nel 1983, un anno dopo il Pranzo (la
prima puntata fu trasmessa su Canale 5 il 13 settembre 1982): ho quindi potuto seguire quasi tutte le
edizioni. Includo anche quelle dei miei primi anni di vita, perché (lo avevo già richiamato) sono state
fondamentali per la mia crescita. Fin da piccolissimo ero già molto cocciuto e mangiavo pochissimo, pur
essendo figlio di due medici. L'unico sistema per farmi ingurgitare qualcosa trovava un'arma fondamentale
nel Pranzo: la musichetta della ruota (composta da Augusto Martelli) mi faceva ridere tantissimo (anche
perché intanto mio padre si metteva a saltare come un canguro per stimolarmi il riso). Mia madre, dunque,
aspettava che io aprissi la bocca per inserirvi con rapidità decisione la "pappa" (non sempre riuscendo
nell'impresa, visto che sputavo come il bambino della pubblicità della Rai). Se quindi, tra uno sputo e l'altro,
sono diventato un po' più grande di vent'anni fa, lo devo anche a Corrado Mantoni ed agli altri autori del
programma (Riccardo Mantoni, Stefano Jurgens, Jacopo Rizza); un posto particolare tocca a Stefano
Santucci, che ha collaborato al programma sin dalla nascita, fino a divenirne autore.
IL PROGRAMMA. La trasmissione è andata in onda fino al 1993 (è il format più longevo tra i giochi, dopo
Ok il prezzo è giusto e La Ruota della fortuna) e la figura di Corrado, ideatore e conduttore del programma,
è rimasta viva in tutti gli spettatori di allora, grazie alla simpatia, al garbo ed all'intelligenza del personaggio.
Anche quando, dopo otto anni, il game-show è passato nelle mani di Claudio Lippi, il pubblico ha
continuato a premiare il gioco con una buona percentuale d'ascolto; la trasmissione è stata poi chiusa da
Davide Mengacci, che per alcuni mesi ne condusse la (non fortunatissima) versione serale su Retequattro,
dal titolo La Cena è servita, per poi tornare al Pranzo, conducendo l'ultima puntata il 19 giugno 1993.
IL CLUB E IL SITO. Domenica saranno trascorsi esattamente 12 anni dalla fine del Pranzo, ma in questo
periodo c'è chi non ha dimenticato. Il 1° ottobre 2002 un ragazzo veneziano, Mirko Simionato (allora
venticinquenne, laureato in statistica, con una grande passione per la tv ed i giochi a quiz, in particolare
quelli condotti da Iva Zanicchi) mette in rete alcune pagine a contenuto televisivo. Quello spazio ha attirato
l'attenzione di alcuni frequentatori del web, che presto hanno cominciato a raccogliere materiale, immagini,
testimonianze di concorrenti: tutto ciò che potesse ricordare il programma di Corrado.
Ad un anno di distanza nasce il «Pranzo è servito Fun Club», inizialmente composto da una decina di
persone. La pagina web dedicata al Pranzo, intanto, è diventata un sito autonomo, che si arricchisce di
dettagli, fotografie e molto altro: l'indirizzo, facilmente identificabile - www.ilpranzoeservito.it - è raggiunto
da tante persone, che spesso decidono di iscriversi al club (io stesso ci sono arrivato per caso ed ho la
tessera n°31, datata 13 gennaio 2004, ed è stato proprio Mirko a convincermi ad andare all'Eredità).
All'interno del sito si può ripercorre la storia del programma, accompagnata dal regolamento, testimonianze
di concorrenti, frammenti audio e video, molto materiale da scaricare. Più di tutto, però, colpisce una
straordinaria simulazione giocabile del programma, anch'essa scaricabile sul computer: il videogioco è stato
elaborato dal riminese Andrea Urbinati che, con l'aiuto di molti amici del sito, ha migliorato la grafica ed il
funzionamento. Ora il gioco ricostruisce fedelmente le varie edizioni del programma, lo studio, il regolamento
ed il classico giro di ruota.
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L'home page del sito del Pranzo, realizzato dai componenti del club
RITORNO IN TV? Oggi il fan club conta 82 componenti, di ogni professione e provenienza (qualcuno
risiede all'estero): molti membri hanno partecipato a trasmissioni televisive, alcuni proprio al Pranzo. In ogni
caso tutti gli iscritti sono animati da un grande desiderio: poter rivedere la loro trasmissione preferita sugli
schermi televisivi. In tanti hanno scritto a Sorrisi e canzoni per avanzare la loro proposta (ricevendo
attenzione dal direttore Massimo Donelli); Mirko ed altri soci hanno conosciuto, nel tempo, molti
personaggi chiave del programma, a partire da Lippi (che li ha ringraziati pubblicamente su Sorrisi ed ha
manifestato il suo "sogno" di poter condurre una nuova edizione del Pranzo), Mengacci e Marina Donato,
produttrice del programma e vedova di Corrado.
Quando ho incontrato Stefano Santucci al programma di Amadeus, mi ha detto di avere un ricordo
bellissimo del Pranzo è servito, della figura di Corrado e dell'atmosfera di allora: chissà che la speranza di
rivedere in video un bel programma, senza troppe pretese, ma simpatico e garbato non possa realizzarsi
proprio ora?
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09/07/2005 10:13
Come trovare l’alba dentro l’imbrunire
I ricordi e le emozioni di una serata di un anno fa. Musica, pensieri, viaggi in compagnia di Franco Battiato
All'incirca un anno fa ho assistito al concerto più bello della mia vita: merito del luogo, ma soprattutto
dell'artista. Uno spettacolo nell'Esedra di Palazzo Te a Mantova trova certamente un'ottima cornice, ma se
sul palco c'è Franco Battiato non si possono avere dubbi: appena calerà il buio, inizierà una grande serata.
Per questo tra il pubblico, il 26 luglio 2004 c'ero anch'io. Avevo chiesto a Stefano Scansani (caposervizio
della redazione cultura alla Gazzetta di Mantova) di poter essere accreditato come giornalista: lui mi ha
accontentato e la mia coscienza musicale gli sarà grata per sempre.
Solo un "grande" come Battiato avrebbe potuto concentrare in due ore ventinove canzoni e 31 anni di
carriera: da Aria di rivoluzione (l'unico brano pescato dalla prima fase "sperimentale") alla più recente Porta
dello spavento supremo, allora inedita e poi inserita in «Dieci stratagemmi». Nella scaletta, tra l'altro, hanno
fatto capolino anche due lieder di Brahms e Beethoveen: «due canzonette dell'epoca - aveva detto allora il
Maestro di Jonia - di cui però occorre far memoria anche oggi, per non disperdere il patrimonio della musica
classica». Aveva ragione: un'amica di famiglia, che sentendo quei brani su disco li aveva bollati come
«inascoltabili», al concerto li ascoltava rapita, pur non capendo nulla (erano in tedesco). Merito
dell'atmosfera, chissà?
Sul palco, oltre a Battiato, soltanto gli archi del Nuovo quartetto italiano, le tastiere di Angelo Privitera ed
il pianoforte fatato di Carlo-Schumann-Guaitoli. La scelta della formazione da camera ha escluso dalla
scaletta i brani più incalzanti (una sezione ritmica campionata ha permesso comunque al pubblico di
scatenarsi su Voglio vederti danzare, nota anche ai più giovani grazie al remix di Dj Prezioso); quella
soluzione tuttavia ha consentito di recuperare piccoli gioielli nascosti (Haiku, Le sacre sinfonie del tempo),
ma soprattutto di rivisitare in chiave acustica capolavori come La stagione dell'amore o La cura, che senza
batteria e chitarre elettriche sembrava pura essenza, e mi ha trasportato in una sorta di sogno commosso.
Era riuscito ad accontentare tutti, Battiato: chi voleva ascoltare un affascinante dialetto siculo (Stranizza
d'amuri) e chi cercava accostamenti arditi (le immagini di Magic shop o del Re del mondo); chi credeva alla
politica in canzone (in Povera patria, gemma amara e speranzosa ad un tempo, all'inciso «Tra i governanti /
quanti perfetti e inutili buffoni» è partito l'appaluso, e credo di essere stato il primo a battere le mani) e chi
invece attendeva versi ricchi di immagini e di luoghi tanto lontani quanto magici (Invito al viaggio e
Prospettiva Nevski, di cui ho abbondantemente parlato nel mio post su Alice). Non rimase deluso nemmeno
chi cercava, nella voce di Battiato, note e parole di altri poeti in musica: l'artista rilesse al meglio pagine di
De André (Canzone dell'amore perduto), Jacques Brel (Canzone dei vecchi amanti), ma soprattutto di Sergio
Endrigo, proponendo Aria di neve e Te lo leggo negli occhi con un accompagnamento da sogno (tutti i miei
complimenti a Carlo Guaitoli).
Franco Battiato in concerto
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Non si dimentica facilmente una serata così, in cui dopo un'ora e mezza il pubblico ha ancora voglia di
scatenarsi, mentre il quartetto d'archi suona un'indiavolata Era del cinghiale bianco, ma subito dopo scatena
un applauso incontenibile, accennando l'introduzione inconfondibile dell'Animale. Tutto era al suo posto,
quella sera di un anno fa: anche Manlio Sgalambro, che si presenta sul palco per recitare poesie (bella
Non ci sono amici) e cantare La mer di Trenet; anche Lettera al governatore della Libia, che forse si capisce
ancora meno di altri testi ma non sfigurava affatto, eppoi era un modo elegante e discreto per ricordare
Giuni Russo. E quando è venuto il momento di smettere, di spegnere le luci su una magia lunga due ore,
dispiaceva separarsi con una manciata di brani in cui si sperava, ma che non sono arrivati; ma è stato bello
congedarsi con la dolcezza di E ti vengo a cercare (che per la prima volta sono riuscito ad ascoltare con
serenità, dopo il mio naufragio) e poi con l'incontenibile «voglia di vivere a un'altra velocità» che comunicano
I treni di Tozeur: difficile credere che sia una città della Tunisia, e non piuttosto in un mondo lontano anni
luce, con un deserto, i treni, le miniere di sale abbandonate come le chiese, adibite a cantieri spaziali.
Di quel 26 luglio ripercorrerei tutto: la conferenza stampa di presentazione, le due parole scambiate con
Battiato (ora che ci penso, è l'unico artista cui non sono riuscito a dare del "tu": quando gli ho consegnato
la tesina della maturità, ispirata dal suo disco «Mondi lontanissimi», ho provato un'emozione incontenibile),
la bella apertura di Ivan Segreto e poi le due ore di musica ed emozioni. Unico neo, aver mandato un sms
di troppo durante La cura: col senno di oggi è stato un errore, ma non riuscirà a rovinarmi il ricordo di una
serata perfetta.
Battiato alla conferenza stampa
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14/07/2005 22:47
Musicalmente non tuo...
Tre iniziative, un personaggio al centro: Lucio Battisti da Poggio Bustone.
Una conversazione con il giornalista Franco Zanetti
All'incirca tre mesi fa mi capitò per le mani un disco strano, uscito nel 2003. Un gruppo a me sconosciuto, gli
EquiVoci, ed un titolo curioso: Sinceramente non tuo. All'interno quattordici brani scritti da Lucio Battisti e
Pasquale Panella. Fino ad allora conoscevo assai poco la produzione di Battisti-Post-Mogol, che piace
molto a pochi e non piace per niente a molti. Tuttavia decisi di tentare l'ascolto del cd e ne rimasi
piacevolmente colpito: i pezzi erano stati riletti in chiave acustica, con le tre voci del gruppo a cappella o
sorrette (di solito) da un quartetto d'archi. Un disco che si ascolta volentieri, ottimamente cantato e suonato.
IL DISCO. Incuriosito dall'idea assai originale, ho contattato l'ideatore del progetto discografico. Franco
Zanetti, direttore editoriale del sito Rock On Line, ricorda volentieri l'esperienza: «Cinque o sei anni fa ebbi
l'idea di omaggiare l'opera della coppia Battisti-Panella: mi sarebbe piaciuto dar vita ad un disco tributo,
coinvolgendo artisti noti, ma riscontrai scarso interesse. Poi, ad un concorso musicale per giovani, mi sono
imbattuto in questi tre ragazzi, che avevano un repertorio completamente diverso, ma cantavano benissimo.
Proposi loro di eseguire alcuni brani dell'ultimo Battisti: non conoscevano quel Battisti, per cui misi a
disposizione i miei dischi. Dopo alcuni ascolti i ragazzi accolsero l'idea: era l'inizio di Sinceramente non tuo».
Ascoltando le tracce del cd (scelte tra quelle che meglio si adattavano ad un arrangiamento con gli archi)
emerge un suono pulito e caldo, ben distante dalle "macchine sonore" che avevano caratterizzato gli ultimi
cinque dischi di Lucio. «Si è pensato - spiega Zanetti - che l'unico modo per rileggere quel repertorio fosse
estraniarsene completamente: abbiamo così rinunciato al ritmo ed all'elettronica, preferendo la soluzione del
quartetto d'archi. In realtà i brani "madre" non sono stati toccati: le trascrizioni delle parti ripercorrono
fedelmente la partitura originale». Tuttavia, in questa versione, i pezzi mostrano una linea melodica prima
nascosta, con ottimi risultati in Don Giovanni e (soprattutto) Le cose che pensano: le stesse liriche di
Pasquale Panella, pur rimanendo in più punti oscure e spiazzanti, risaltano meglio con il nuovo
accompagnamento musicale ed il canto degli EquiVoci. L'esperimento musicale ha ricevuto parecchi consensi
di critica e, ciclicamente, suscita l'interesse di chi, come è capitato a me, vi si imbatte e ascolta.
La copertina di Sinceramente non tuo...
...e quella del "pesce d'aprile"
Il "PESCE". Arrangiamenti a parte, tutto il disco è un omaggio al binomio Battisti-Panella (soprattutto a
Panella, precisa Zanetti): i brani, il titolo (un verso di Don Giovanni) ed il nome bimorfico del gruppo. La
copertina, in più, rimanda ad un riuscitissimo "pesce d'aprile" che Franco Zanetti ideò alcuni anni prima. Si
tratta della stessa immagine scelta per rappresentare, nel 1998, un fantomatico "nuovo" disco che Battisti
avrebbe messo in vendita su internet, senza servirsi di case discografiche; il cd doveva chiamarsi L'asola (e
la copertina raffigurava, appunto, un bottone stilizzato).
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Zanetti racconta, ancora divertito, la genesi della burla: «Nel febbraio 1998 tornavo dal festival di Sanremo
ed ero piuttosto arrabbiato con varie testate giornalistiche, che riprendevano le notizie da noi pubblicate in
tempo reale, e le utilizzavano senza citare la fonte. Durante il viaggio decisi che l'unico modo per porre fine a
tutto ciò era mettere in circolo una notizia falsa per poi sbugiardare chi l'aveva ripresa, avendo cura di fare il
tutto nel momento appropriato». L'idea di scegliere Lucio Battisti come pretesto per la "bufala" si rivelò
azzeccata: l'artista era irrintracciabile e in quel periodo non aveva alcun contratto discografico. «In marzo continua Zanetti - architettammo lo scherzo: aprimmo il sito per la "vendita" e scelsi i brani per il disco, in
modo che le iniziali dei titoli, lette di seguito, formassero la frase "pesce d'aprile". Questo era solo uno dei
sette indizi che avevamo inserito: lo stesso titolo del disco avrebbe dovuto allarmare almeno i giornalisti
romani, visto che "L'asola" somiglia molto a "La sola", cioè la fregatura, in romanesco».
La falsa notizia fu pubblicata nel sito nel tardo pomeriggio, poco dopo fu ripresa da un'agenzia di stampa,
avvalorando ulteriormente le voci. Molti giornali ci cascarono, scrivendo in poche ore articoli fluviali su un
disco che non esisteva (il Corriere, addirittura, dovette uscire con una nuova edizione, avendo fiutato lo
scherzo); persino Mario Lavezzi, collaboratore storico di Battisti, ritenne plausibile la lista dei brani
elaborata da Zanetti. L'asola fu premiato, in seguito, come miglior "pesce d'aprile" dell'anno.
BANDABATTISTI. Franco Zanetti ora si sta dedicando ad un'altra iniziativa ambiziosa, stavolta incentrata
sul solo Battisti. Con Sinceramente non tuo aveva reso omaggio al repertorio meno popolare; oggi si dedica
a uno dei brani più popolari della coppia Mogol-Battisti. Tutte le bande d'Italia sono invitate a partecipare
al progetto BandaBattisti: a mezzogiorno del 10 settembre (il giorno dopo l'anniversario della morte di Lucio)
tutti le formazioni aderenti suoneranno La canzone del sole. «È un'immersione nel "popolare" - spiega il
direttore di Rockol - Popolare è il brano scelto, popolare è la banda, che per me è stata la prima esperienza
di musica dal vivo. L'idea di suonare lo stesso pezzo contemporaneamente in tutt'Italia è una sfida ardita,
ma hanno aderito già in molti. Speriamo di raggiungere cento adesioni entro fine luglio». Maggiori
informazioni sull'iniziativa si possono trovare nel sito www.bandabattisti.it.
Se gli si chiede un giudizio sull'artista Lucio Battisti, Zanetti risponde: «Battisti è stato, ad un tempo, il meno
italiano ed il più italiano degli artisti. Il meno italiano per la sua forte vena di rythm&blues, il più italiano
perché i suoi brani erano pieni della vita delle persone ed erano cantati in modo credibile». Dimostra di
preferire i dischi fatti con Panella (ed ha in animo di rivisitare l'album E già, scritto sui testi di Grazia Letizia
Veronesi) «anche perché - dice - il periodo mogoliano è stato eccessivamente masticato e rimasticato; ciò
non toglie che abbia lasciato una traccia indelebile in chi lo ha ascoltato». Tanto indelebile che, come ricorda
il giornalista Michele Bovi, citazioni di Mogol-Battisti finirono tanto in un comunicato delle Brigate Rosse,
quanto in uno scritto dell'estrema destra.
Lucio Battisti, che lo si ami o no, ha rappresentato un punto fondamentale per la musica leggera italiana. Ha
fatto molto (troppo, secondo lui) parlare di sé per anni, continua a farlo tuttora, grazie agli inediti ritrovati
(che, a proposito, Zanetti non ha mai voluto ascoltare: «Se non sono stati inseriti in questo o quel disco un
motivo ci sarà, per cui rispetto la volontà di chi ha scelto così») e probabilmente lo farà di nuovo. Dipende
anche da noi: il lettore cd (o il giradischi) è pronto, sta a noi mettere il disco.
La home page di Rock on line
Questa storia è dedicata a Daniele Naselli, Federico De Luca, Federico Buquicchio e a tutto il mondo
di www.luciobattisti.net che rimpiango con amarezza (i diritti d'autore devono costruire, non distruggere).
Una dedica anche a Michele Bovi, senza il quale non saprei nulla della musica e di come la si racconta.
Un grazie sentitissimo a Franco Zanetti ed a Raffaella Valmassoni per la copertina dell'Asola
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30/07/2005 12:35
Dalla memoria... le sigle
Come sono cambiate negli anni le sigle televisive e quali il tempo
non ha cancellato (anche grazie al lavoro di infaticabili collezionisti di ricordi)
Note ed immagini possono insinuarsi in un cantuccio della nostra mente e tornare a galla in qualunque
momento; possono evocarci sensazioni piacevoli o ricordi poco felici, ma sortiscono comunque un effetto.
Sarà forse per questo che spesso la mente si attiva quando riconosce lo spezzone audio o video di una sigla
televisiva: magari del programma non si ricorda moltissimo, ma quei primi minuti rimangono.
MUTAZIONI. In cinquant'anni di televisione sono passate centinaia di sigle, o forse di più: molte non hanno
lasciato tracce, altre le ricordano quasi tutti, anche se sono nati dopo. Col tempo sono cambiati i modi di
concepire quei piccoli momenti: all'inizio servivano per marcare i confini del programma e a rievocarlo (la
stessa parola «sigla» viene dal latino tardo singula signa, che vale «abbreviazione, rappresentazione», in
questo caso della trasmissione), successivamente hanno assunto soprattutto una funzione promozionale.
Rivedere oggi frammenti video di vari anni fa può provocare sensazioni diverse. «Negli anni 60-70 le sigle
più famose erano legate ai programmi più seguiti, in particolare i varietà e magari gli sceneggiati» spiega
Lino Rinaldi, insegnante di scuola media a Perugia ma con la passione per quella che io chiamo
"archeologia televisiva" (pure il sottoscritto ne è stato contagiato, sia pure in forma più lieve).
NOTE E IMMAGINI CELEBRI. Se la prima sigla cantata famosa fu, con tutta probabilità, Domenica è
sempre domenica (in coda al Musichiere di Mario Riva), ha per lo meno l'età della Rai il jingle che ha quasi
sempre accompagnato l'informazione televisiva: fin dal primo giorno di trasmissioni, infatti, il Telegiornale fu
preceduto dalle note marziali di Serenata celeste (o Giramondo), brano scritto da Egidio Storaci. Col tempo
la grafica delle sigle è cambiata parecchio (è stato il campo, assieme alla pubblicità, in cui si è sperimentato
maggiormente, specie con l'avvento del computer), ma quella musica, dal '76 passata al Tg1, è
sopravvissuta a ritocchi ed arrangiamenti; il Tg2, per parte sua, nella sua sigla ha mutato parecchie cose,
tranne le tre note secche in scala, ancora oggi riconoscibili.
Ma mentre i telegiornali erano introdotti solo da pochi secondi di musica, per gli altri programmi era
solitamente prevista una canzone, anzi due: negli ultimi anni, invece, la sigla di coda spesso è stata
eliminata («per non far calare l'audience», ha spiegato una volta il regista Paolo Beldì). Quei brani, spesso,
hanno accompagnato il successo di una trasmissione e, sul piano discografico, hanno scalato le classifiche:
molti di quei 45 giri sono ancora in circolazione (anche l'abitudine di trasformare in disco una sigla si è persa
dopo gli anni '80; solo negli ultimi tempi si assiste ad un timido ritorno al passato).
Spesso la musica della sigla di apertura era scritta appositamente per quel programmi e le immagini si
regolavano di conseguenza. Lino Rinaldi ricorda come le più originali fossero quelle basate sui disegni
animati: migliore interprete è stato certamente il disegnatore Bruno Bozzetto, che con il suo gruppo (da
ricordare Guido Manuli) creò le animazioni di Scommettiamo, Luna Park, Portobello, Chi (il brano era il
mitico Johnny Bassotto) ed altre trasmissioni. Più spesso, se il brano era cantato, veniva proposto da
personaggi in carne ed ossa, in diretta oppure in un video ambientato in studio o altrove; la sigla di chiusura,
invece, era sempre basata su una canzone, con tanto di coreografie. Proprio gli spettacoli del sabato sera
hanno sfornato una manciata di brani mai dimenticati, assieme ai loro interpreti: le gemelle Kessler di
Dadaumpa e La notte è piccola per noi (Studio Uno), Raffaella Carrà da Ma che musica maestro (sigla di
Canzonissima '70) a Tanti auguri (chiudeva Ma che sera) e i moltissimi brani di Heather Parisi che hanno
accompagnato Fantastico o altri programmi (da Disco Bambina a Crilù, senza dimenticare il tormentone
Cicale). Né si dimenticano le canzoni culto degli sceneggiati Sandokan e, prima, La freccia nera.
«SIGLIVORI». Il mondo delle sigle è decisamente vasto e molti se ne occupano: ci sono siti in cui ci sono
informazioni tecniche e indicazioni per reperire gli originali, ma in altri luoghi si discute e si condividono
ricordi. Io, per esempio, ho conosciuto Lino Rinaldi (almeno di nome) circa due anni fa, quando (per caso e
pura curiosità) iniziai a frequentare il forum di un sito di nostalgici incalliti: Animamia (come si vede, è stato
il primo sito linkato). Tra i moltissimi frequentatori di quello spazio (e anche dell'omologo Forum Memoria)
alcuni si sono specializzati nelle sigle televisive, tanto da guadagnarsi la patente di «siglivori»: uno di loro, in
particolare (Martino) aveva preparato una splendida e completa monografia su molte delle sigle della Rai,
con uno sguardo molto attento ai telegiornali.
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Lino, che ha un archivio musicale sterminato, dà pure la sua top ten personale di sigle, costellata di brani di
Raffaella Carrà, Loretta Goggi ed Heather Parisi: dal 2° al 10° posto, senza assegnare un ordine preciso,
ha scelto Ma che musica maestro, Vieni via con me, Ruota libera, Felicità Ta Ta, Disco Bambina, L'aria del
sabato sera e persino la Sandra Mondaini di Piru Pirulì, Tititiritera e Ma quant'è forte Tarzan. Al primo posto
è indiscutibilmente Chissà se va, altro successo della Carrà, sigla dell'edizione 1971 di Canzonissima: «È il
primo 45 giri che mi hanno regalato – spiega Rinaldi – ed è l'unica canzone che inserisco senza dubbio nella
mia hit parade; gli altri pezzi, in realtà, fanno tutti parte della mia vita».
Anche per me è difficile stilare una classifica delle sigle di oggi e di ieri: mi limito ad indicarne cinque, scelte
tra i programmi Rai. Ecco dunque Chanson balladée (l'indimenticabile introduzione dell'Almanacco del giorno
dopo), Sempre (finale di Dove sta Zazà, col volto e la voce di Gabriella Ferri), Buon appetito all'Italia che va
(del Fantastico di Montesano), L'aria del sabato sera e la classica Aria dalla suite n°3 (o sulla 4° corda) di
Bach, rigorosamente in versione Swingle Singers, da sempre accompagnata ai programmi di Piero Angela
(indimenticabile anche la sigla elettronica, con la grafica verde e rossa). In più consentitemi di aggiungere il
jingle che Augusto Martelli compose, all'inizio degli anni '80, per Il pranzo è servito: se qualcosa ha occupato
la mia memoria bambina, certamente è stato il programma di Corrado e la sua musichetta accattivante.
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25/08/2005 18:41
"With nothing on my tongue but... HALLELUJAH"
Storia di una canzone, passata spesso di mano e scoperta grazie alla grande voce di Jeff Buckley
Ci sono canzoni che hanno fatto il giro del mondo, passando attraverso le tante voci che le hanno cantate.
In certi casi resta migliore la versione originale, altre volte le cover si distinguono e meritano una dignità a
parte. Questa storia appartiene al secondo gruppo.
Il mio amico Dymes, in un giorno di agosto del 1998 (o 1999), inserì un cd nello stereo della sua camera da
letto / da musica, selezionò la traccia 6 e premette play. Dalle casse uscì un sospiro, poi una lunga serie di
note di chitarra elettrica e, solo dopo un minuto esatto, una voce sofferta iniziò a cantare «I've heard there
was a secret chord...». Colpito mi voltai verso le casse e (cosa rara per me) ascoltai il brano in silenzio, fino
alla fine. La voce era di Jeff Buckley, nel suo unico vero album, Grace: il titolo della canzone, tante volte
ripetuto e gridato, era Hallelujah. Profondamente impressionato da quell'ascolto, volli saperne di più.
Leonard Cohen negli anni '80
UN QUARTO DI SECOLO. Il pezzo fu inciso per la prima volta nel 1984 dal suo autore, Leonard Cohen,
nell'album Various positions: quattro strofe lente, intense, cantate su una musica melodicamente semplice
(come è tipico di Cohen), ma con un che di maestoso, soprattutto nel coro che ripeteva l'invocazione
Hallelujah. Il testo aveva una decisa impronta religiosa: l'«accordo segreto» con cui il pastorello (poi re
d'Israele) Davide deliziava il Signore, il riferimento all'episodio di Betsabea (ed in parte a Sansone), il
riconoscimento finale della propria infimità e la redenzione cantando, di nuovo, Hallelujah. Certamente un
bel brano, ma forse ciò non sarebbe bastato a farlo sopravvivere più di vent'anni.
A partire dall'88 Cohen propose il brano in concerto cambiando quasi per intero il testo (ed il modo di
cantare il pezzo): egli disse di aver compreso «che non era necessario riferirsi ancora alla Bibbia, per cui
riscrissi la canzone, un Hallelujah laico, secolare». Dalla nuova lirica pare emergere una storia tormentata,
fatta di amore creduto, difficile, con momenti di intesa passionale; un amore in ogni caso passato, al punto
da diventare solo «un Hallelujah freddo e spezzato». Nel 1991 la canzone fu ripresa da John Cale, per un
tributo a Cohen. Pare che l'ex Velvet Underground avesse chiesto personalmente al cantautore canadese il
testo di Hallelujah: Cohen gli avrebbe inviato qualcosa come 15 strofe. Cale ne scelse alcune, due dalla
prima versione, tre dalla seconda: velocizzò il pezzo, cantandolo con la sua voce dolente e con un
arrangiamento di solo pianoforte. Ne uscì una buona versione, apprezzata, ma non ancora da antologia.
Ci volle l'arrivo di Jeff Buckley per l'ultimo passo. Figlio d'arte (il padre Tim fa parte a pieno titolo della
musica a cavallo tra i '60 e i '70), morto nel 1997 a 30 anni in un fiumiciattolo di Memphis, prese in mano la
prima chitarra elettrica a 13 anni. Quindici anni dopo uscì il suo primo disco, che conteneva Hallelujah. Il
testo era quello scelto da John Cale (quasi tutti coloro che riprenderanno la canzone faranno lo stesso), ma
l'arrangiamento era tutta un'altra cosa. Dopo il sospiro iniziale, solo una chitarra elettrica, la sua Telecaster
(forse c'è qualche nota di basso, ma non ci giurerei) e soprattutto la sua voce. Ora sommessa, ora violenta;
venata di tristezza, sofferta, ma non sconsolata; certamente mai piatta o fredda. Nelle registrazioni dal vivo
disponibili non c'è una versione uguale all'altra: Jeff ha sempre aggiunto il suo tocco personale, modificando
l'accompagnamento scarno e suggestivo, oppure accostandovi altri brani. Una volta, dopo un concerto,
avrebbe detto: «Non sono credente, ma con questa canzone potrei diventarlo. Per questo la suono».
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Copertina di Grace, l'album di Jeff Buckley che contiene Hallelujah
55 INTERPRETI. Oggi si contano 55 versioni di Hallelujah (escluse quelle di Cohen); io ne conosco una
decina ed ognuna ha trovato qualcosa di diverso in quello stesso brano. Bob Dylan l'ha trasformata in una
ballata rock, che non sfigurerebbe affatto nel suo repertorio; Bono l'ha completamente stravolta, recitando il
testo su una base ritmica incalzante e lasciando soltanto l'Hallelujah liberatorio. Patricia O'Callaghan ha
scelto una versione pulita, a tratti operistica; Rufus Wainwright, per la colonna sonora di Shrek, ha
ricalcato sostanzialmente l'interpretazione di John Cale, con una voce egualmente dolente ma meno secca.
Allison Crowe ha seguito le orme della O'Callaghan, con un canto a voce piena ed un pianoforte più
martellante; con k.d. lang il brano (col primo testo di Cohen) è diventato un inno dolce, proposto da una
voce sommessa (anche sulle note alte) ed un accompagnamento misurato, con piano ed archi in evidenza.
Tra gli italiani che si sono cimentati con Hallelujah, Elisa ha scelto un tappeto di organo, quasi piatto, che
mette in risalto la sua voce gentile ed espressiva; Eugenio Finardi ha preferito una versione "sporca" del
pezzo, vicina a quella di Buckley nella struttura, ma arricchita da piano, batteria e strumenti a fiato.
Nessuna di queste cover, tuttavia, finora ha raggiunto l'intensità di quella che Jeff Buckley propose dal 1993
(concerti al Sin-è di New York) sino alla fine; forse altre versioni sono migliori, ma a me non hanno dato
sensazioni più profonde. Dev'essere per questo che, dei brani che suonavo con il coro della mia parrocchia
nei concerti di Natale, Hallelujah è quello che mi manca di più. La versione è proprio quella di Jeff, con in più
il piano suonato da me: il resto lo facevano la Stratocaster di Matteo "Gelmo" Gelmini e la bella voce di
Dymes. Non poteva essere che lui, a chiudere il cerchio.
Dedico questa storia a Farewell, che ama davvero la musica, e a Patricia Wolf, che mi ha insegnato
l'importanza di uscire dagli schemi. Un po' come Jeff.
(Questo post ha ricevuto il plauso degli appassionati di Leonard Cohen in un post del forum
www.radiohidebound.com)
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05/09/2005 00:00
Un "piccolo paese" indimenticabile
Storia di un'esperienza da non perdere, che consiglio a tutti:
il "piccolo paese fuori dal mondo" di Monte Colombo (RN)
Ci sono esperienze strane, decise all’improvviso e che, tuttavia, possono “dare” moltissimo: la mia giornata
di sabato 27 agosto ne è un perfetto esempio. Tutto era iniziato due settimane prima.
Al ritorno dalla Valle d’Aosta il mio amico Gelmo cercava su internet notizie su un bellissimo musical sulla vita
di S.Chiara, Chiara di Dio: i miei amici avevano già visto due volte lo spettacolo e si cercava una data vicina.
Gelmo scoprì casualmente che gli attori della compagnia facevano parte di una comunità ispirata ai «frutti
della Pasqua», la pace, l’amore e la fratellanza. In più, in questa realtà è molto forte la vocazione “artistica”,
che in questi anni ha portato i membri del gruppo ad esprimere la loro spiritualità con la musica, il teatro
ed altre forme d’arte. Incuriositi da ciò, noi ragazzi della parrocchia di San Giacomo abbiamo deciso di
conoscere meglio quella esperienza, andando “sul posto”. Il 27 agosto, dunque, io e gli altri ci siamo
svegliati presto per poter raggiungere un luogo situato vicino a Rimini: il Lago di Monte Colombo. Arrivati in
treno a Rimini, siamo stati accompagnati nella comunità e la nostra bella avventura è iniziata.
UN UOMO SENZA TEMPO. La prima sorpresa: a portarci dalla stazione al Lago sono due attori della
compagnia. Così capiamo subito che l’ideale di comunità è stato davvero messo in pratica. I nostri
accompagnatori sono Leo Barbato (sul palco balla e veste i panni di frate Ginepro, uno dei primi seguaci di
Francesco d’Assisi) e Giacomo Zatti (nello spettacolo interpreta il Poverello di Assisi). Mentre percorriamo i
venti minuti di strada che portano a Monte Colombo, Leo ci spiega come si è formato il gruppo: una storia
incredibile, ma gli effetti sono visibili a tutti. Fino a trent’anni fa in quell’area c’era solo un lago («regno dei
rospi e delle canne palustri» scherza Leo), oggi c’è un paese; anzi, un «piccolo paese fuori dal mondo»,
come i ragazzi lo chiamano. L’impulso di tutto venne da Leo Amici (Leo è un nome che abbiamo incontrato
spesso, in quel giorno), un uomo nato vicino a Roma, laico cattolico dalla grande fede, che a Civitavecchia,
negli anni ’60-’70 accoglieva chiunque venisse da lui, chiedendo aiuto.
Dopo aver tenuto molti incontro in Italia ed all’estero, dando aiuto a centinaia di persone, Leo Amici all’inizio
degli anni ’80 arrivò sulle colline di Rimini. Qui volle dar corpo al suo sogno: costruire un paese interamente
dedito all’amore, alla pace ed alla fratellanza. Il sogno fu costruito, pezzo per pezzo, grazie alle mani ed al
lavoro di tante persone che si sono personalmente occupate delle strade, delle coltivazioni, delle fondamenta
del progetto. A rimboccarsi le maniche attorno a Leo inizialmente fu un nucleo di famiglie (anch'esse
originarie di Civitavecchia) che avevano scelto di seguirlo fin lì per il suo progetto, “rischiando” tutto quanto
avevano in quel sogno. Da quel nucleo originario sono nate moltissime esperienze e storie, di giovani e adulti
provenienti da ogni parte d’Italia ed anche da fuori.
Oggi, dopo anni di sudore, attorno al lago (che, incredibilmente, ha la forma di un cuore) ci sono varie case
d’accoglienza, un agriturismo, un’azienda agricola biologica, un albergo di alto livello con centro medico e
termale, un ristorante ed altre strutture: tutti frutti della fede e dell’impegno di Leo e di chi gli era accanto.
Leo Amici
Uno scorcio del ristorante sul Lago di Monte Colombo
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CONDIVISIONE. A pranzo dividiamo la mensa (un po’ come i primi cristiani) con una quindicina di persone
della comunità: la maggior parte è impegnata anche nel musical. Una di loro (Monia Sclano, nello
spettacolo interpreta la madre di Chiara) ha una personalità molto spiccata, materna e amica allo stesso
tempo: suo marito, Costantino, ha suonato le chitarre nel musical e nella vita è chitarrista di Daniele Groff.
Verso la fine del pasto ognuno racconta la propria storia. Davanti a noi ci sono ragazzi dai venti ai trent’anni
ed alcuni adulti; le loro vicende umane sono molto diverse, ma tutte sulla loro strada hanno incontrato Leo
Amici o Carlo Tedeschi. Carlo, oltre che essere il regista di Chiara di Dio, è stato uno dei primi ad
affiancare Amici nel suo sogno del Piccolo Paese e, dopo la morte del «Maestro» (così i ragazzi della
comunità chiamavano affettuosamente Leo) nel 1986, ne ha ereditato il carisma ed è la “guida”, soprattutto
spirituale, del gruppo.
A tavola i ragazzi, nel giro di due ore, ci hanno insegnato tante cose: l’importanza della condivisione, del
“dirsi tutto”, del parlare apertamente dei propri problemi (alcuni ragazzi avevano problemi con la droga e,
ora che ne sono usciti, ce ne hanno parlato senza remore). Ci hanno dato una dimostrazione pratica di cosa
significhi mettersi in gioco e dare una svolta alla propria vita: c’è chi ha lasciato una vita di “sballo” e
mondanità, chi una carriera avviata. Alcuni tra i più giovani stanno facendo un’esperienza di vita in comune,
con tutto ciò che comporta la gestione autonoma della casa e la vita quotidiana “gomito a gomito” con altre
persone. Tutti lavorano senza risparmio all’interno delle strutture del Piccolo Paese. Soprattutto, tutti dicono
di sentirsi finalmente appagati, e si deve credere loro: basta guardare lo sguardo sereno dei loro occhi,
anche quando vivono situazioni difficili. La stessa sensazione abbiamo provato quando, nel pomeriggio, tanti
altri ragazzi ci hanno parlato della loro esperienza, facendolo come se ci conoscessero da sempre.
I ragazzi della comunità durante l'incontro (in fondo si vedono, da destra, Leo, Giacomo e Monia)
"MIRACOLI" E IMPEGNO. Dopo pranzo i ragazzi ci portano a visitare il paese. Nella comunità di Monte
Colombo i miracoli accadono davvero. Il teatro in cui avremmo assistito al musical, per esempio, è stato
costruito in soli tre mesi. Lo stesso spettacolo Chiara di Dio è stato scritto in tre giorni ed allestito a tempo di
record, dopo che Carlo Tedeschi aveva accettato (senza pensarci troppo su) una richiesta in tal senso dei
frati di San Damiano ad Assisi. La compagnia teatrale era nata quasi per sfida negli anni ‘80, per rallegrare le
tante «facce grigie» che Leo Amici vedeva nei luoghi in cui i giovani si ritrovavano.
Oggi la comunità dispone di un’accademia di arte, di uno studio di registrazione, oltre che di strutture di
aggregazione per giovani. Le compagnie teatrali oggi sono addirittura due: oltre a quella professionista,
Carlo Tedeschi ha voluto che se ne creasse una seconda, fatta di allievi dell’accademia (loro ci hanno
presentato lo spettacolo di quella sera, con un risultato decisamente buono). Tanti dei ragazzi non
pensavano di essere adatti per il teatro, il canto o la danza: tutti hanno avuto un ruolo, che svolgono col
massimo impegno. Carlo per loro è come un padre, come era la loro “mamma” Maria Di Gregorio (altra
colonna della comunità, da sempre a contatto con Leo Amici), scomparsa nel 2002. Nel parlare di lei e di Leo
molti hanno trattenuto a stento le lacrime: abbiamo imparato anche il valore del pianto, quello vero, e di
questi tempi non è poco.
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Il nostro gruppo assieme a tutta la comunità – compagnia
Per maggiori informazioni sulla comunità seguire i link www.leoamici.it e www.lagodimontecolombo.it
Grazie a tutti i ragazzi che abbiamo conosciuto in quel giorno meraviglioso, con la speranza di poter tornare
e ripetere l'esperienza. Un grazie anche a Gelmo che ha collaborato alla stesura dell'articolo.
(Buona parte di questo articolo è stato trasfuso in un pezzo del «Corriere di Gela», a firma Jerry Italia)
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25/09/2005 00:00
Speciale Pop: la musica secondo Michele Bovi
Viaggio nella musica italiana al fianco di un narratore d’eccezione
Ci sono sostanzialmente due modi di trattare la musica in televisione: la si può banalizzare, abbandonandosi
alle logiche promozionali ed alle prime serate riempite di canzoni di ieri e di oggi scelte alla rinfusa (Tobias
Jones, in un suo famoso articolo, scrisse: «“Canzonissima”, nel senso di “Canzone all’ennesima potenza” è
una parola chiave della tv italiana […] La televisione sembra un unico, lungo spettacolo di karaoke»).
Oppure la si può valorizzare, cercando di costruire un percorso ragionato, che inserisca brani ed esecutori in
un contesto plausibile, magari offrendo qualche rarità di valore. È quanto cerca di fare con i suoi programmi
Michele Bovi, personaggio ben noto ai veri estimatori della musica (ma anche a molti semplici curiosi).
Un giovanissimo Michele Bovi al sax, quando militava nelle Pecore Nere; la persona più a destra nella foto è
Mauro Chiari, che suonava il basso con Lucio Battisti nel gruppo di Leo di San Felice
IL PERSONAGGIO. Giornalista dal 1974, Bovi è arrivato in Rai nel 1987, approdando al Tg2: in quella
testata ha ricoperto vari ruoli: caporedattore del Desk, capo della redazione Scienze e capo della Segreteria
di redazione. Nel 2004 è stato capostruttura a Milano per l’intrattenimento di Raidue: da lì ha seguito vari
programmi di successo ed ha dato vita a sperimentazioni ardite; da alcuni mesi è tornato al Tg2 come
caporedattore centrale. Durante tutto questo tempo, tuttavia, il giornalista non ha mai smesso di coltivare la
passione per la musica, che da ragazzo lo ha portato a militare in vari gruppi: nella sua biografia leggo che
a 17 anni ha suonato il sassofono (ma ha studiato anche contrabbasso e clarinetto) nei Boa Boa, formazione
che accompagnava Pierfranco Colonna, e con loro ha fatto da spalla a Jimi Hendrix nei suoi quattro
concerti al Teatro Brancaccio di Roma (era il maggio 1968); ha suonato poi con altri gruppi (Maya, le Pecore
Nere, i Baronetti, con Maria Luigia del Clan, The Others and Pataxo) e nel musical Viva la gente del 1971.
Nei suoi primi vent’anni da giornalista Michele Bovi non si era mai occupato di musica; tutto cambiò nel
1997, in seguito ad una proposta speciale dell’allora direttore del Tg2, Clemente J. Mimun. «Mimun è come
me un grande appassionato di musica - racconta Bovi - Nel 1968 c’era anche lui al Brancaccio a sentire
Hendrix; io ero sul palco, lui tra il pubblico per assistere al suo primo concerto. Spesso avevamo scherzato
su quella coincidenza, poi un giorno Mimun mi invitò ad occuparmi nel tg di musica da “ex addetto ai lavori”,
con un taglio originale, niente a che vedere con le consuete recensioni e promo-interviste. Accettai,
continuando però ad occuparmi d’altro: le mie incursioni nel settore dello spettacolo erano e continuano ad
essere sporadiche e mirate, soltanto argomenti che mi interessano e divertono. Più hobby che lavoro».
PROGRAMMI E RARITÀ. L’hobby, in ogni caso, ha prodotto molto materiale: dal ’97 in poi Michele Bovi ha
firmato vari servizi, parecchie trasmissioni speciali e numerosi cicli di programmi a tema (Canzoni segrete,
Serata e Dopopranzo Pop, Speciale Pop, Eventi Pop, Terre da musica, I ’60 a colori). L’ultima “impresa”, in
ordine di tempo, è Tg2 Mistrà, appuntamento quotidiano in onda dopo il tg delle 13, che fino alla scorsa
settimana ha riproposto materiale già trasmesso in altre rubriche della testata, aggiungendo però un tocco
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personale: uno spazio per canzoni italiane e film richiesti dai telespettatori, una coda con immagini rare o
introvabili e i lanci poetici del funambolo della parola Pasquale Panella. «Mistrà è stata un’operazione
audace – ricorda Bovi – Sfidare Beautiful e Tg1 con repliche di servizi, le poesie di Panella e due rassegne di
vecchie canzoni e vecchi film sembrava una missione impossibile. Ma il format ha funzionato con critiche
eccellenti ed ascolti alti, risultando ogni giorno il primo o il secondo programma più seguito della rete».
Tanti dunque gli appassionati che hanno preferito Mistrà; molti di loro conoscevano già le trasmissioni di
Bovi, al punto da considerarlo una sorta di «marchio di fabbrica», come il grammelot musicale che apre
quasi tutti i programmi curati dal giornalista. Il brano si chiama The Hamburger Song ed è proposto nella
versione originale di Bobby Moore & the Rhythm Aces, un gruppo soul degli anni ’60 americani. «Mi
avevano regalato il disco che conteneva quel pezzo – spiega Bovi - Ricordo che la canzone entrò nel
repertorio del mio gruppo di allora, I Maya (all’organo c’era Giorgio Brandi, della formazione originale dei
Cugini di campagna) e cercammo di ricreare l’atmosfera. Fin da quegli anni il brano mi è rimasto impresso,
per questo l’ho usato spesso come sigla; a quanto pare ha portato fortuna».
Il logo di Tg2 Mistrà
COPIA COPIA? Nel corso dei suoi programmi Michele Bovi ha trattato un gran numero di temi, dai testi alla
musica “arrabbiata”, dalla censura alle interpretazioni femminili, passando per le voci prematuramente
scomparse e la musica popolare. Il tema affrontato con più cura, tuttavia, è senz’altro il plagio musicale o,
per meglio dire, le somiglianze tra brani. Molti servizi e speciali hanno messo a confronto brani italiani e
stranieri, svelato citazioni o parentele più o meno evidenti, intervistato persone coinvolte.
«Sono un appassionato di jazz - dice Bovi – e mi sono sempre molto piaciute le improvvisazioni con il ricorso
a citazioni di altri temi. Ho sviluppato negli anni l’esercizio a cogliere le assonanze, che nella musica pop
sono frequenti. Anzi, obbligate. Perché nella cosiddetta musica leggera nessun compositore può inventare
qualcosa di davvero nuovo. È già stato tutto scritto». Quella appena enunciata è anche la tesi di Ennio
Morricone ed altri esperti musicali; il loro pensiero si ritrova, oltre che negli speciali televisivi, nel libro che
Michele Bovi ha scritto sull’argomento, Anche Mozart copiava (se ne era parlato qui all’inizio di febbraio).
Tutte le puntate dedicate al plagio hanno permesso di riscontrare negli ascoltatori un interesse particolare
per la materia. «Alla gente in generale credo piaccia accorgersi di questo fenomeno a cui non aveva fatto
caso prima. E magari sia ancor più stuzzicata dall’aspetto malizioso, ossia pensare che un popolare artista
abbia potuto plagiare, rubare. In questo caso riscuotono maggiore successo programmi come Striscia la
Notizia o Le Jene, in cui si mette alla berlina un artista dandogli pubblicamente del ladro. Io non faccio
scorrere sangue; al contrario vado in soccorso del presunto reo».
La copertina di Anche Mozart copiava
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IL CORAGGIO DI LUCIO. Tra gli artisti cui Michele Bovi si è dedicato maggiormente in questi anni c’è
sicuramente Lucio Battisti: sono almeno sette le monografie che il giornalista ha dedicato all’artista di
Poggio Bustone dopo la sua scomparsa (senza contare le citazioni all’interno di altri programmi). «L’interesse
per Battisti è nato casualmente - racconta Bovi – alimentato da amici comuni e da miei collaboratori che lo
seguivano da tempo con attenzione, come Luciano Ceri o Michele Neri. Lucio non è neppure tra gli artisti che
preferisco, ma di certo è uno di quelli che maggiormente stimo. Battisti è stato il più coraggioso, meglio
sarebbe dire l’unico coraggioso, visto che tutti rimasticano i propri successi nel terrore di sbagliare e cadere
nel dimenticatoio. Lui invece si è spinto sempre in avanti, con Anima latina, con E già, con Panella; non si è
trattato mai di sperimentazione, bensì dell’affermazione consapevole di indubitabili capolavori».
I vari programmi hanno raccolto testimonianze e ricordi di vari personaggi legati a Lucio, a partire da Mogol
e Roby Matano, caporchestra dei Campioni, l’ultimo gruppo in cui militò Battisti prima della carriera solista.
Matano, che aveva scritto anche il testo dei primi brani composti da Lucio, ha collaborato a vari altri
programmi di Bovi, con il quale ha stretto una solida amicizia: lo stesso vale per Pasquale Panella (una delle
poche occasioni di vederlo era proprio nelle “code” dei vari Speciale ed Eventi pop), che in Anche Mozart
copiava è definito «fratello di concetti e di escursioni». L’appuntamento con gli speciali su Lucio Battisti
cadeva generalmente a fine agosto – inizio settembre, ma quest’anno gli appassionati non hanno trovato
nulla su Raidue e non è stato un caso. «Di Battisti ho scovato e trasmesso molto materiale inedito o mai
apparso sui teleschermi italiani - spiega Bovi – Ritengo di aver offerto un quadro esauriente dell’artista; se
vado oltre mi ripeto, ed ho promesso ai suoi eredi di non realizzare altro in mancanza di materiale nuovo o di
un’idea insolita. Tornerò sull’argomento soltanto in presenza di novità sostanziali».
La copertina di Ancora tu di Lucio Battisti:
Michele Bovi ha ritrovato il videoclip a colori del brano, che riprende questa immagine
PERLE RITROVATE. Sicuramente potrebbe esserci un nuovo speciale su Battisti se dovesse emergere una
gran quantità di materiale inedito come avvenne nel 2000, quando il collezionista Italo Gnocchi reperì ben
18 brani degli esordi, firmati Matano-Battisti, in versione voce e chitarra: a dare la notizia, naturalmente, fu il
Tg2 (nella rubrica Costume e società) con un pezzo a firma Michele Bovi. Le trasmissioni curate dal
giornalista, peraltro, hanno proposto molto spesso inediti di vari artisti: anzi, quando nel 1997 Bovi iniziò ad
occuparsi di musica fece ascoltare in esclusiva la prima versione di Questo piccolo grande amore, mai
pubblicata, dal titolo Ci fosse lei. Altro cavallo di battaglia di Bovi sono le immagini, quasi sempre a colori,
provenienti in gran parte dalle pellicole destinate ai video juke-box (si chiamavano cinebox o scopitones): ad
esse ha dedicato un intero ciclo di puntate (I ’60 a colori). Anche pensando a questo il giornalista e scrittore
Edmondo Berselli, nel suo libro Post italiani, traccia questo ritratto del dominus di Eventi pop (il quale è
molto fiero della descrizione): «Michele Bovi esercita la sua passione archeologica dando la caccia a
frammenti rari e preziosi, a quel “mai più visto” che è l’unico sale del ricordo».
Anche qui, però, il primato degli inediti trasmessi appartiene a Lucio Battisti. Il motivo lo spiega Bovi: «I miei
amici, Gnocchi per primo, mi misero a disposizione materiale che riguardava Lucio, infinitamente più
interessante dei brani non pubblicati di Zero, Ramazzotti o Dalla. I pezzi altrui sono scarti manifesti, quelli di
Battisti il frutto di decisioni che a noi ascoltatori appaiono discutibili, tanto quei pezzi ci sembrano efficaci».
Riguarda sempre il cantante di Poggio Bustone l’inedito più curioso ricevuto da Bovi: si tratta di una bobina
di oltre 2 ore di conversazioni telefoniche tra Lucio e Franco Petrignani, che aveva suonato il basso in uno
dei primi gruppi in cui aveva militato il chitarrista Battisti. «Lucio e Franco erano in America - spiega Bovi nel periodo in cui il primo tentava di proporre i suoi lavori al pubblico statunitense e il secondo cantava con
discreto successo nei night-club di Las Vegas. Ogni volta che si telefonavano, Petrignani registrava la
conversazione, ancora non ho capito perché. Dall’ascolto di quei nastri emerge la vera anima del Battisti di
quel periodo: le sue opinioni sugli artisti che stima e detesta, i rapporti umani e affettivi, i giudizi su Mogol, i
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discografici ed i giornalisti; le aspettative americane e la delusione finale. Si tratta di sfoghi e confidenze
reali: per questo del nastro ho trasmesso solo pochi secondi nel Tg2 Dossier del 2002, nessun appello al
diritto di cronaca potrebbe giustificare una tale violazione della privacy».
ADDIO SERGIO. Nei cicli di trasmissioni che ha curato, Michele Bovi ha trattato i vari argomenti con
diverso grado di tecnicità, riuscendo però sempre a fornire una panoramica esaustiva dei temi. Il ricordo più
emozionante, tuttavia, è legato allo speciale su Sergio Endrigo, trasmesso all’indomani della sua morte. Al
dispiacere per la scomparsa di un grande artista si univa il particolare rapporto tra lui e Bovi. «Volevo bene a
Sergio ed ero orgoglioso della nostra amicizia – ricorda – Quando morì Gaber chiesi a Endrigo di condurre un
programma che ricordasse l’artista scomparso: lui accettò e fu sobrio e corretto come sua abitudine. Ne
scaturì una sgradevole polemica con persone vicine a Gaber, quasi che Endrigo non fosse abbastanza
autorevole per parlare del collega. Rispetto molto Gaber per i suoi lavori teatrali, ma come cantautore non
ho dubbi sulla tonda superiorità di Sergio, sia compositiva che interpretativa».
Una foto recente di Michele Bovi (a sinistra), con due amici d'eccezione: Sergio Endrigo e Pasquale Panella
MUSICA DA RIFARE. Endrigo è dunque il migliore tra gli italiani secondo Michele Bovi: quanto agli altri, è
il giornalista stesso a confessare di coltivare «opinioni molto personali e blasfeme» sui cantautori di casa
nostra: «Antepongo Paoli a De Andrè, Tenco a De Gregori, Gianni Meccia a Venditti, Don Backy a Battiato,
Susanna Parigi alla Nannini». In questo periodo per la sua auto ha scelto dischi di Divine Comedy, Georgie
Fame, Dave Brubeck Quartet, Eva Cassidy, K.D. Lang e Chet Baker; tra le sue preferenze spiccano anche
Otis Redding, Jacques Brel, Gilbert Becaud, Neil Sedaka e tutto il jazz con Lester Young e Stan Getz in testa.
Bovi è un vero estimatore della musica e, tra l’altro, ricorda con emozione il periodo in cui suonava dal vivo;
lo ha fatto per l’ultima volta quattro anni fa, in una serata evento e con una formazione jazz d’eccezione
(Nunzio Rotondo alla tromba, Claudio Colasazza al pianoforte, Dario Rosciglione al contrabbasso, Gianni
Iadonisi al sax tenore, Bovi stesso al sax baritono e un sorprendente Pasquale Panella alla voce). Una
persona con questo background difficilmente gradisce il trattamento che riceve la musica oggi in televisione:
il giudizio di Michele Bovi, infatti, è molto severo. «Per restituire decoro ed interesse alla musica in tv
bisognerebbe ripristinare buone abitudini degli anni ‘60, inizio ‘70. Si dovrebbe abolire il playback, riesumare
l’orchestra, le esibizioni a tutto campo, con il cantante che si mette in gioco visitando altri repertori,
con duetti estemporanei. Questo accadeva in trasmissioni come Senza Rete o Teatro 10; anche oggi, quando
artisti come Celentano, Morandi o Fiorello rispolverano quella formula è festa grande per la Musica,
mortificata invece tutto l’anno nelle piatte apparizioni promozionali per il lancio dell’ultimo album o nelle
ripetitive clip che più sono fantasiose e prima inducono allo sbadiglio».
Secondo Bovi il Festival di Sanremo è la testimonianza palese della codardia degli artisti: «Può una popstar
rischiare di arrivare anche solo seconda? E se arrivasse ultima cosa accadrebbe domani? Un tempo c’erano
discografici illuminati che imponevano le proprie scelte: “ecco la squadra che va a Sanremo e guai a chi
fiata!” E a Celentano capitava di venire bocciato dalla giuria (con Il ragazzo della via Gluck) e di essere
puntualmente esaltato dal pubblico e dalle vendite dei dischi. Oggi un direttore artistico di una discografica
incontra a malapena il cantante altrimenti rappresentato da manager, agente, avvocato, commercialista,
maga, stalliere. Abbiamo discografici spenti e artisti tremebondi: la conseguenza sono spettacoli musicali in
tv senza mordente e senza audience».
La diagnosi è dura, ma il malato non è irrecuperabile: basterebbe che “le persone giuste” la pensassero
esattamente così. A pensarci bene ne guadagneremmo tutti.
Un ringraziamento non misurabile a Michele Bovi, che ha accettato senza troppi dubbi di raccontarsi su
queste pagine.
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Cenni semiseri sull’autore
Gamma si fa chiamare Gabriele (ma ha avuto vari soprannomi, tra cui Faustino, Cabras, Bit, Gabriddu e
Archeologo) ed è nato il 20 giugno 1983, con due mesi di anticipo. La fretta ingiustificata alla nascita si è
trasformata, come contrappasso, in una smaccata tendenza alla calma ed alla lentezza negli anni successivi,
per la disperazione di chi vive con l'orologio stampato in fronte.
Si è sentito spesso attratto da un mondo fatto di banchi, lavagne e cattedre: per questo nessuno gli toglierà
mai la patente di «secchione». Con il tempo si è reso conto che lo studio è un'attività importante, ma non è
l'unica possibile (e meno male): da allora svolge con alterne fortune le funzioni di musicante, circense,
ministrante, giocatore, confidente e cronachista (dal maggio 2002 occupa righe e righe della Gazzetta di
Reggio con i suoi articoli).
Da ultimo ha trovato asilo presso la facoltà di Giurisprudenza di Parma, che ogni giorno ne sopporta
benignamente gli sproloqui e segue i suoi appostamenti ai professori.
Pare che una volta abbia ammesso, sotto l'effetto di poche gocce di birra (è astemio per scelta), di essere
una delle persone più noiose del mondo, ma non ci sono testimonianze certe. È uno sfrenato estimatore
della musica ben suonata (e con un testo sensato), dell'informatica, della comicità non volgare e delle
persone sincere.
Complimenti ad Alessandro Paterlini per aver scovato la citazione: che sia caduto anch’io nel plagio?
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Indice
P REME SS A ( D ’ OBBL I GO ) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3
NO VEM BRE 2 0 04 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7
D I CE M B R E 2 0 0 4 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 1
GE NNA I O 20 0 5 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 3
F E B BR A I O 2 0 0 5 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 5
M AR ZO 20 05 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 9
A PR I LE 2 00 5 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 1
M A GGI O 2 00 5 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 5
GIU GNO 2 00 5 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 9
L UGL IO 200 5 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 7
A GO STO 200 5 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 7
S ETTEM BRE 20 05 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 7
O TTO BRE 20 0 5 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6 9
NO VEM BRE 2 0 05 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 5
L E ST OR IE D I « C O NVER SARI O I NQ UI ETO» . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8 1
C ENNI SEMISE R I SUL L’ AU T ORE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 1 7
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