“Misure di sicurezza e alternative all`O

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“Misure di sicurezza e alternative all’O.P.G. “
( relazione all’incontro di studio “La salute mentale dei detenuti e degli internati in Toscana :
presente e futuro” , Firenze – Villa Demidoff, 11 luglio 2008 )
1. Nel riferire di alcune problematiche interpretative ed applicative delle misure di sicurezza
alternative all’O.P.G. ( come dal titolo della relazione assegnatami ) vorrei partire
dall’individuazione del contenuto concreto della misura di sicurezza del ricovero in ospedale
psichiatrico giudiziario ( art. 222 c.p. ) : in particolare , c’è un contenuto realmente
“terapeutico “, di cura del paziente psichiatrico autore di reato, in tale misura di tipo
detentivo ( art. 215 cpv. n. 3 ) c.p. ) , riservata dal Codice Rocco del 1930 ai casi di
proscioglimento per vizio totale di mente ( art. 88 c.p. ) dell’autore di reato ?
Infatti, è insita nella natura di misura di sicurezza detentiva del ricovero in O.P.G. la sua
caratteristica “para-carceraria” , di mero contenimento dell’internato , assimilabile alla pena
detentiva : ma in ciò non può esaurirsi il ruolo e la funzione del ricovero in O.P.G. , pena
lo smarrirsi della chiara linea distintiva ( anche nell’ottica del Codice Rocco ) tra pena
detentiva , riservata al reo capace di intendere e di volere , e misura di sicurezza di tipo
terapeutico ( come successivamente qualificata dagli interpreti ), riservata invece al reo
totalmente incapace di intendere e di volere .
In altri termini , se l’O.P.G. fosse pienamente assimilabile al carcere non avrebbe senso
esonerare dalla pena l’infermo di mente che ha commesso un reato e la distinzione pena misura di sicurezza si risolverebbe in un artificio giuridico o in una “truffa delle etichette” ;
ma così non può essere , almeno in linea generale , e dunque l’O.P.G. deve avere caratteri
e requisiti ulteriori che lo differenzino da un normale istituto di pena .
Allora il ricovero in O.P.G. non può limitarsi a contenere soggetti affetti da infermità
psichica e socialmente pericolosi , ma deve avere un quid pluris che ne giustifichi
l’esistenza : questo quid pluris sta appunto nella funzione di cura dell’infermo di mente,
nella funzione terapeutica di cui si diceva all’inizio .
Ma - e di qui la domanda che sopra ponevo - nella realtà effettiva, operativa degli ospedali
psichiatrici giudiziari c’è davvero - e in quale misura - una componente terapeutica , di cura
dell’infermo di mente ?
La domanda non dovrebbe apparire peregrina , se solo si pone mente al fatto che l’O.P.G.
discende direttamente dal “manicomio giudiziario” e quest’ultima è l’ultima struttura di tipo
manicomiale rimasta nel nostro Paese dopo la “rivoluzione basagliana” del 1978 : struttura ,
quindi, intrinsecamente chiusa, segregante , legata ad un approccio culturale alla malattia
mentale inevitabilmente datato , superato dalle successive acquisizioni della moderna scienza
psichiatrica .
Questo ritardo culturale si riflette nella disciplina giuridica delle misure di sicurezza , ma un
legislatore disattento non ha provveduto ad adeguare tale disciplina alla mutata fisionomia
del sapere psichiatrico : come la Corte costituzionale ha ripetutamente rilevato nelle sue
pronunce in materia di misure di sicurezza personali , da ultimo con la famosa sentenza
n. 253 / 2003 ( in cui pure è stigmatizzata l’inerzia del legislatore in questa materia ) .
Ma , tornando alla domanda e cercando di dare una risposta semplificata e sintetica , pur
essendo l’O.P.G. figlio di una concezione superata dell’infermità psichica , in cui l’esigenza
terapeutica passa in secondo piano e cede il posto all’esigenza di contenimento della
pericolosità sociale , nondimeno nella sua concreta fisionomia , delineatasi dal 1975 ( l. 354 /
75 sull’ordinamento penitenziario ) ad oggi , non è assente la componente terapeutica ,
grazie alla quale un istituto obsoleto ed in potenziale contrasto con l’art. 32 Cost . ( tutela
del diritto alla salute ) ha potuto sopravvivere senza eccessivi costi per i diritti individuali
( in primis per il diritto alla salute delle persone internate ) .
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2. Ma è stata la sentenza costituzionale n. 253 / 2003 , già menzionata , ad aprire nuove
strade e nuovi percorsi nella materia che ci occupa , con il rimuovere l’”automatismo”
insito nel disposto dell’art. 222 c.p., là dove imponeva al giudice di applicare al soggetto
non imputabile ritenuto socialmente pericoloso la sola ed unica misura di sicurezza del
ricovero in O.P.G. ( per la durata minima di due o cinque o dieci anni , a seconda
dell’entità della pena applicabile al reato commesso ).
Ora invece , a seguito della citata sentenza , il giudice può applicare al soggetto non
imputabile socialmente pericoloso una misura di sicurezza anche diversa dal ricovero in
O.P.G. , purchè prevista dalla legge ( per il principio di legalità delle misure di sicurezza
di cui all’art. 25, 3° comma, Cost. e all’art. 199 c.p. ) ed idonea ad assicurare adeguate cure
alla persona dell’infermo di mente e, nel contempo , a far fronte alla sua pericolosità
sociale .
Nella motivazione della sentenza in questione si accenna alla libertà vigilata come possibile
misura di sicurezza “alternativa “ al ricovero in O.P.G., misura le cui prescrizioni non
tipizzate ( art. 228, 2° comma , c.p. ) possono assumere valenza terapeutica e, quindi , possono
fronteggiare la pericolosità sociale di grado non elevato di talune persone affette da
infermità psichica in maniera più adeguata rispetto ad una misura segregante come quella di
cui all’art. 222 c.p. .
Ma il riferimento alla misura non detentiva della libertà vigilata , pur chiaramente espresso
nel corpo della motivazione della sentenza n. 253 del 2003 , non è stato ancora - a mio
modesto avviso - colto a sufficienza nelle applicazioni giurisprudenziali successive , in cui i
giudici di cognizione appaiono talvolta un po’ timidi nel recepire le indicazioni della
sentenza costituzionale e, soprattutto, collocano accanto alla libertà vigilata , come possibile
misura alternativa all’O.P.G., anche il ricovero in casa di cura e custodia di cui all’art. 219
c.p..
Quest’ultima indicazione, giustificata come il ricorso ad una misura “gradata”, intermedia tra
il ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario e la libertà vigilata , suscita però non poche
perplessità , sul piano sia giuridico-sistematico sia pratico-operativo : dal primo punto di
vista, equipara due misure di tipo detentivo con presupposti diversi , l’una ( ricovero in
O.P.G. ) relativa a soggetti prosciolti per vizio totale di mente e l’altra ( ricovero in casa
di cura e custodia ) relativa invece a soggetti condannati a pena diminuita per vizio
parziale di mente ; dal secondo punto di vista, oblitera il dato fattuale del profilo esecutivo
delle due misure di sicurezza , che è sostanzialmente coincidente , dal momento che in
concreto nel nostro sistema non esistono “case di cura e custodia” , bensì soltanto “sezioni
di casa di cura e custodia presso l’O.P.G. “ ( v. art. 62 l. 354 / 1975 ) .
Allora , considerare misura alternativa all’O.P.G. la casa di cura e custodia , quando anche
quest’ultima si esegue presso gli O.P.G., rischia di essere una soluzione apparente ,
nominalistica e non sostanziale , al problema affrontato e risolto dalla Corte costituzionale
con la sentenza n. 253 del 2003 , problema che può sintetizzarsi come il superamento
dell’obbligatorio ed automatico ricorso all’O.P.G. come misura di sicurezza applicabile alla
persona non imputabile socialmente pericolosa .
Senza considerare la possibile confusione nella determinazione della durata minima della
misura della casa di cura e custodia come misura sostitutiva dell’O.P.G. : durata talora
indicata dai giudici di merito in due anni , alla stregua del dettato dell’art. 222, 1° comma,
c.p., anziché in un anno o in sei mesi , come previsto invece dall’art. 219 c.p..
Concludendo sul punto , la portata innovativa della sentenza costituzionale sopra richiamata
viene valorizzata dall’utilizzazione della libertà vigilata come misura di sicurezza alternativa
al ricovero in O.P.G. , nei casi in cui quest’ultima misura appaia eccessivamente gravosa
rispetto al livello di pericolosità sociale concretamente ravvisabile nella persona affetta da
infermità psichica ; mentre viene sostanzialmente neutralizzata dall’utilizzazione della casa di
cura e custodia ex art. 219 c.p., per i motivi sopra illustrati .
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3. Il possibile ruolo “terapeutico” della libertà vigilata è altresì confermato da un istituto
sviluppatosi nella prassi giurisprudenziale degli ultimi anni : la c.d. licenza finale di
esperimento .
Con tale istituto passiamo alla fase dell’esecuzione delle misure di sicurezza , fase alla
quale “sovraintende” il magistrato di sorveglianza ( art. 679, 2° comma, c.p.p. e art. 69, 3°
comma, ord. pen. ) .
E’ appunto il magistrato di sorveglianza l’organo competente alla concessione ( o meno )
della licenza finale di esperimento in favore degli internati , su richiesta di questi ultimi o
su proposta dell’equipe dell’O.P.G. : il riferimento normativo è all’art. 53, 1° comma ,
ord.pen., che parla di “una licenza di sei mesi nel periodo immediatamente precedente alla
scadenza fissata per il riesame di pericolosità” .
In realtà , nella prassi questi dati temporali previsti dalla norma ( licenza di sei mesi nel
periodo immediatamente precedente alla scadenza della misura ) non appaiono vincolanti ,
anche alla luce del principio secondo il quale è sempre possibile chiedere - e disporre - la
“revoca anticipata “ della misura di sicurezza, rispetto alla scadenza naturale fissata per il
riesame di pericolosità ( cfr. art. 69 , 4° comma, ord. pen. ) .
Pertanto, nella pratica ci sono licenze finali di esperimento di durata ben superiore a sei
mesi ( dalla data della concessione ) , concesse altresì quando la scadenza della misura di
sicurezza è superiore al termine di sei mesi .
Una volta concessa dal magistrato di sorveglianza la licenza finale in esame , l’internato
viene dimesso dall’Istituto ( O.P.G. anche nel caso della misura della casa di cura e
custodia , come sopra si è detto ) e sottoposto al regime della libertà vigilata , per tutta la
durata della licenza ( art. 53, 4° comma, ord. pen. ) : tale situazione giuridica ( di internato in
licenza finale con contestuale sottoposizione alla libertà vigilata ) dura finchè non venga
revocata la misura di sicurezza in corso di esecuzione ( misura di sicurezza che rimane
formalmente quella detentiva applicata al soggetto ) , a meno che non sia revocata la
licenza stessa per condotte dell’internato incompatibili con il suo mantenimento ( in
quest’ultimo caso, evidentemente, l’internato dovrà fare rientro in O.P.G. per proseguire
l’esecuzione della misura di sicurezza ) .
Questo meccanismo della dimissione degli internati con licenza finale di esperimento è
abbastanza diffuso , nella prassi giurisprudenziale più recente , e ad un sommario esame
risulta piuttosto soddisfacente : da un lato , consente un buon numero di dimissioni che
altrimenti non si verificherebbero , attesa la difficoltà di revocare misure di sicurezza senza
un congruo periodo di sperimentazione all’esterno del soggetto internato ; dall’altro, agevola
la predisposizione per gli internati di programmi terapeutici strutturati e individualizzati , da
parte delle equipe degli O.P.G. in collaborazione con i Servizi Psichiatrici territoriali , e
consente poi un penetrante controllo e verifica sull’attuazione degli stessi programmi ,
attraverso le prescrizioni della libertà vigilata con contenuto terapeutico cui l’internato è
sottoposto .
Anche con questo strumento, quindi , viene incrinata la rigidità ed il potenziale effetto
segregante dell’istituto dell’O.P.G. , senza peraltro eccessive fughe in avanti che possano
compromettere l’esigenza di contenimento della pericolosità sociale degli internati : il
mantenimento di un vincolo giuridico rappresentato dalla misura soft della libertà vigilata,
con la previsione della possibilità di revocare la licenza finale e ripristinare la misura
detentiva originaria “se l’internato durante la licenza trasgredisce agli obblighi impostigli “
( art. 53, 5° comma, ord. pen. ) , vale appunto ad assicurare il soddisfacimento dell’esigenza
contenitiva , insieme all’esigenza terapeutica .
Nella direzione di un graduale e progressivo superamento degli O.P.G., anche alla luce del
D.P.C.M. del 1° aprile 2008 , strumenti come il ricorso alla libertà vigilata nella fase di
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cognizione e la licenza finale di esperimento nella fase di esecuzione appaiono gli strumenti
più appropriati ed idonei per gestire l’attuale momento di transizione .
Massimo Niro
( magistrato di sorveglianza - Firenze )
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