Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Sessione III DRUPACEE, NOCE e POMACEE COORDINATORE: A. QUACQUARELLI Istituto Sperimentale per la Patologia Vegetale, Ministero delle Politiche Agricole Forestali, Roma Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Organismi patogeni di qualità delle drupacee e del noce T. Amenduni, D. Boscia, C. Cariddi, A. Ippolito, A. Myrta, G. Romanazzi, L. Schena, N. Vovlas PREMESSA 1. Batteri 1.1. Cancro batterico del pesco, deperimento batterico e scabbia batterica dei frutti dell’albicocco. 1.2. Tumore batterico del pesco 1.3. Cancro batterico del ciliegio 1.4. Tumore batterico del pesco 1.5. Cancro batterico del ciliegio 1.6. Mal secco o “macchie nere” del noce 1.7. Colpo di fuoco 2. Funghi 2.1. Marciume radicale fibroso 2.2. Mal della bolla 2.3. Mal del piombo 2.4. Marciume del colletto delle drupacee 2.5. Cancri da nectria 2.6. Marciume radicale lanoso 2.7. Verticilliosi delle drupacee 3. Nematodi 3.1. Pratylenchus penetrans 3.2. Tylenchulus semipenetrans 3.3. Meloidogyne arenaria 3.4. Meloidogyne incognita 3.5. Meloidogyne javanica 3.6. Xiphinema diversicaudatum 3.7. Pratylenchus vulnus 4. Virus 4.1.Virus della maculatura clorotica fogliare del melo (ACLSV) 4.2.Virus del mosaico del melo (ApMV) 4.3.Virus del nanismo del susino (PDV) 4.4.Virus della maculatura anulare necrotica dei Prunus (PNRSV) 4.5.Virus della vaiolatura del susino (PPV) Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 PREMESSA Il D.M. del 14/4/1997 (Recepimento delle Direttive della Commissione n. 93/48/CEE del 23 giugno 1993, n. 93/64/CEE del 5 luglio 1993 e n. 93/79/CEE del 21 settembre 1993, relative alle norme tecniche sulla commercializzazione dei materiali di moltiplicazione delle piante da frutto destinate alla produzione di frutto) introduce una nuova categoria di materiali di moltiplicazione, la categoria C.A.C. (Conformità Agricola Comunitaria) e precisa all’art. 5 i requisiti fitosanitari che tali materiali devono possedere: Il materiale deve essere, almeno all’esame visivo, privo di organismi nocivi o malattie pregiudizievoli alla qualità, nonché di loro sintomi che limitino la possibilità di utilizzarlo coma materiale di moltiplicazione e come pianta da frutto; in particolare deve essere privo degli organismi o delle malattie elencati nell’allegato II del presente decreto per quanto concerne i generi e le specie considerati. Considerati le diverse possibili interpretazioni che possono essere date alla definizione di “requisiti fitosanitari” di cui all’art. 5 e l’elenco dei patogeni di “qualità” riportato nell’allegato II del D.M. del 14/4/1997 per le Drupacee, sulla base della rilevanza economica dei patogeni trasmessi attraverso il materiale di propagazione, nonché dei dati disponibili in letteratura e dell’esperienza maturata nell’ambito del Progetto POM A32, è stato integrato l’elenco di cui all’allegato II e sono state precisate le specie per alcuni patogeni (Tabella 1). Per ciascun patogeno è stata realizzata una scheda riportante le informazioni circa l’inquadramento sistematico, le piante ospiti, la distribuzione geografica, le modalità di diffusione, la sintomatologia indotta sulle piante, la modalità di diagnosi e i principi su cui si basa la lotta. Inoltre, si è ritenuto utile indicare anche quegli aspetti che nel processo produttivo possono creare le condizioni per una possibile infezione (punti critici), gli obblighi che vivaisti e Servizio fitosanitario devono rispettare e, infine, alcuni consigli pratici rivolti agli agricoltori. In particolare, per quanto riguarda i funghi sono state inserite alcune specie di Phytophthora, responsabili di marciumi radicali, e tra i nematodi, sono stati inseriti i nematodi delle lesioni Pratylenchus vulnus e penetrans Inoltre, tra i funghi è stata indicata la specie di Verticillium da considerare (V. dahliae), per i nematodi galligeni sono riportate le specie che si riscontrano più frequentemente (M. arenaria, incognita e javanica) e per quanto riguarda i Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 virus, si ritiene importante indicare esplicitamente anche ACLSV (virus della maculatura clorotica fogliare del melo) e ApMV (virus del mosaico del melo), tra i patogeni di qualità. Infine, è riportata anche la scheda del PPV (virus della vaiolatura delle drupacee), patogeno di quarantena estremamente dannoso per queste specie. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Tabella 1. Malattie ed organismi patogeni pregiudizievoli la qualità previsti dall’allegato II D.M. del 14/4/1997 e proposta dal Progetto POM A32 ALLEGATO II D.M. 14/04/1997 Malattia PROPOSTA PROGETTO POM A32 Agente Malattia Agente Batteri Tumore batterico del pesco Cancro batterico del ciliegio - Cancro batterico del pesco - Deperimento batterico e scabbia dei frutti dell’albicocco Agrobacterium tumefaciens Pseudomonas syringae pv. mors-prunorum P. syringae pv. syringae Tumore batterico del pesco Cancro batterico del ciliegio - Cancro batterico del pesco - Deperimento batterico e scabbia dei frutti dell’albicocco Agrobacterium tumefaciens Pseudomonas syringae pv. mors-prunorum P. syringae pv. syringae Funghi Marciume radicale fibroso Mal del piombo parassitario Cancri rameali Tracheoverticilliosi Armillaria mellea Marciume radicale lanoso Bolla (per albicocco, mandorlo, pesco) Rosellinia necatrix Chondrostereum purpureum Nectria galligena Verticillium dahliae Taphrina deformans Marciume radicale fibroso Mal del piombo parassitario Cancri rameali Tracheoverticilliosi Armillaria mellea Marciume radicale lanoso Bolla (per albicocco, mandorlo, pesco) Marciume del colletto Rosellinia necatrix Chondrostereum purpureum Nectria galligena Verticillium dahliae Taphrina deformans Phytophtora spp.: - P. cactorum, - P. cambivora, - P. citrophthora, - P. megasperma, - P. drechsleri Virus Maculatura clorotica anulare e/o lineare Maculatura cloroticanecrotica PDV (virus del nanismo del susino) PNRSV (virus della maculatura anulare necrotica dei Prunus) Maculatura clorotica anulare e/o lineare Maculatura cloroticanecrotica Necrosi dei frutti Mosaico (per il mandorlo) PDV (virus del nanismo del susino) PNRSV (virus della maculatura anulare necrotica dei Prunus) ACLSV (virus della maculatura clorotica fogliare del melo) ApMV (virus del mosaico del melo) Nematodi Galle alle radici Meloidogyne spp. Galle alle radici Lesioni alle radici Meloidogyne arenaria, M. incognita e M. javanica Pratylenchus vulnus, P. penetrans Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 1. BATTERI I. BATTERI 1.1. Cancro batterico del pesco, deperimento batterico e scabbia batterica dei frutti dell’albicocco (Tav. I) Inquadramento tassonomico Famiglia Genere Specie Pseudomonadacae Pseudomonas P. syringae pv. syringae Distribuzione geografica: ubiquitario Modalità di diffusione Il batterio sopravvive nei tessuti vascolari dei rami infetti, nelle gemme e nei cancri ed è, inoltre, un normale componente della microflora batterica sulla superficie delle piante ospiti. In condizioni di elevata umidità relativa e con temperature comprese tra i 12 e 20 °C, ottimali per la sua moltiplicazione, esso è in grado di infettare le piante penetrando attraverso soluzioni di continuità dei tessuti di rivestimento (aperture fisiologiche e ferite dovute a pratiche agronomiche ed eventi meteorici). Il periodo autunnale è senza dubbio il più favorevole alle infezioni poiché i batteri invadono le superfici di distacco dei frutti e delle foglie per poi diffondersi nei tessuti sottostanti. In primavera si hanno le infezioni fiorali e fogliari e il batterio inizia a colonizzare epifiticamente le gemme e le foglie in via di formazione, stabilendosi sulla pianta per tutto il ciclo vegetativo. Le penetrazioni nelle strutture fiorali attraverso i nettarii e nelle foglie dai tricomi. Nelle camere sottostomatiche delle foglie il batterio si moltiplica attivamente e in seguito evade nell’ambiente attraverso le aperture stomatiche. Le infezioni secondarie, attraverso le cicatrici fogliari, avvengono in autunno, in concomitanza di piogge accompagnate da forte vento che provocano il distacco prematuro delle foglie. Brinate e primavere fredde e umide, l’introduzione di materiale di propagazione già infetto e suoli molto sabbiosi sono certamente le principali cause predisponenti le infezioni di P. s. pv. syringae. La dannosità di tale patogeno è accentuata dalla sua capacità criogena. Infatti, la maggior parte dei ceppi di P. s. pv. syringae può fungere da centro di nucleazione del ghiaccio a temperature di poco inferiori allo 0°C e di conseguenza i danni a carico dei tessuti, nell’evenienza di abbassamenti termici, risultano esaltati soprattutto sui rami. Piante ospiti: polifago Sintomatologia Pesco: tacche brune sui rami in prossimità dei nodi che spesso circondano l’asse e causano l’avvizzimento della parte distale, cancri depressi su branche e tronco con fuoriuscita di gomma. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Albicocco: avvizzimento di rami e di branche con fuoriuscita di gomma e decolorazione rosso-mattone dei tessuti legnosi sottostanti, maculature idropiche e poi necrotiche di 1-2 mm di diametro ed impallinatura sulle foglie, lesioni circolari leggermente rilevate di colore rosso-bruno sui frutti che successivamente divengono più scure e screpolate (Tavola VIII, fig. 1). Diagnosi Isolamento su Agar-Nutritivo-Saccarosio (colonie levaniformi dopo 48 ore a 25°C) o su Agar-King-B (colonie molto fluorescenti dopo 48 ore a 25°C). Saggio LOPAT ed alcuni saggi biochimici, nutrizionali e fisiologici differenziali consigliati per la identificazione delle patovar di Pseudomonas syringae, saggio sierologico (ELISA o immunofluorescenza indiretta). Saggi di conferma: analisi degli acidi grassi cellulari o PCR. Lotta Impiego di materiale sano, evitare suoli molto sabbiosi e squilibri nutrizionali, eliminare i rami infetti, eseguire potature tardive, disinfettare gli attrezzi di potatura, trattamenti con composti rameici alla caduta delle foglie e in primavera dopo la fioritura. I trattamenti con composti rameici vanno evitati su pesco, soprattutto in quelle aree ad inverni miti, perché potrebbero risultare fitotossici. Punti critici Per i vivaisti: utilizzare materiale di moltiplicazione da piante madri sane controllate mediante controlli visivi e saggi di laboratorio. Per gli agricoltori: realizzare i nuovi impianti con materiale di propagazione di cui sia garantita la sanità. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 1.2. Tumore batterico del pesco (Tav. I) Inquadramento tassonomico Famiglia Rhizobiaceae Genere Agrobacterium Specie Agrobacterium tumefaciens Distribuzione geografica: ubiquitario Modalità di diffusione A. tumefaciens, a differenza dalla maggior parte degli altri batteri fitopatogeni, può condurre vita saprofitaria nel terreno per diversi anni conservando inalterata la virulenza. Dal terreno, il patogeno, può infettare le piante penetrando attraverso le ferite recenti a livello del colletto o delle radici. Una volta penetrato tale batterio ha la caratteristica peculiare di trasformare, nel giro di 24-48 ore, le cellule normali della pianta in cellule tumorali le quali tendono ad accrescersi in maniera abnorme e continua anche indipendentemente dalla sua presenza. Il batterio può muoversi anche sistemicamente all’interno della pianta. Le infezioni autunnali di solito restano latenti fino alla primavera successiva. I tumori non sempre persistono per lungo tempo; a volte essi si sfaldano e si distaccano già nella stagione autunnoinvernale successiva alla loro formazione anche se non sono rari i casi in cui, nella primavera successiva, si può osservare la formazione di nuovi tumori alla periferia e/o in corrispondenza dei tessuti tumorali preesistenti. Nelle drupacee, in genere, i tumori impiegano più anni per raggiungere lo sviluppo completo e poi decadono lentamente. Nei casi più gravi si può avere la morte delle piante nel giro di 2-3 anni. Gli isolati patogeni per il pesco e per i fruttiferi in genere appartengono alla biovar 1 e 2 con la prevalenza di quest’ultima. Piante ospiti: polifago Sintomatologia Masse tumorali, presenti generalmente al colletto e lungo le radici principali, dapprima di piccole dimensioni, isolate o aggregate, di forma sferica e superficie liscia, colore biancastro o bruno-chiaro e di consistenza spugnosa che successivamente si accrescono fino a raggiungere un diametro di parecchi centimetri, diventano di colore bruno-scuro, lignificano e divengono rugose in superficie. Le piante malate, oltre ai tumori, possono presentare sintomi aspecifici rappresentati da ingiallimenti diffusi delle foglie e scarso vigore vegetativo (Tavola VIII, fig. 2 e 3). Diagnosi Isolamenti a partire dalla zona sottocorticale dei tumori giovani, previamente disinfettati, sui substrati selettivi di isolamento 1A e 2E. Sul substrato 1A la biovar 1 dopo 3-4 giorni di incubazione a 27 °C forma colonie che presentano la parte centrale rossiccia e il margine giallastro, mentre sul substrato 2E, la biovar 2, forma colonie nelle medesime condizioni di incubazione, aventi colorazione variabile dal verde al rosso vermiglio. Per la identificazione delle biovar vanno effettuati alcuni saggi biochimici, fisiologici e nutrizionali differenziali e il saggio sierologico (ELISA o immunofluorescenza indiretta). Saggi di conferma: analisi degli acidi grassi cellulari o PCR. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Lotta Impiego di materiale sano, evitare ferite alle radici e al colletto durante i trapianti; immergere, prima del trapianto, l’apparato radicale fino al colletto in sospensioni rameiche o, previa autorizzazione, in sospensioni di Agrobacterium radiobacter ceppo K84 o ceppo K1026; eliminare le piante infette; distruggere i residui di vegetazione infetta. Punti critici Per i vivaisti: impiego di materiale sano accertato mediante controlli visivi ed accertamenti di laboratorio. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 1.3. Cancro batterico del ciliegio Inquadramento tassonomico Famiglia Pseudomonadacae Genere Pseudomonas Specie P. syringae pv. morsprunorum Distribuzione geografica: ubiquitario Modalità di diffusione Il batterio sopravvive nei cancri e nelle gemme e da qui colonizza epifiticamente le foglie per poi penetrare in autunno nella pianta attraverso le cicatrici fogliari. Questo patogeno, pur non essendo in grado di nucleare il ghiaccio, si moltiplica attivamente in presenza di basse temperature. Piante ospiti: Drupacee (ciliegio in particolare) Sintomatologia Necrosi alla base delle gemme che spesso si approfondiscono nei tessuti per 4-5 mm, causando la mancata apertura delle stesse; sui rami e sulle branche si formano cancri depressi con fuoriuscita di gomma che quando circondano completamente la base dell’asse causano il rapido avvizzimento degli stessi; sulle foglie maculature idropiche e poi necrotiche che spesso si distaccano dal lembo provocando “impallinatura”; sui frutti piccole macchie circolari (2-3 mm di diametro), scure e leggermente infossate. Diagnosi Isolamento su Agar-Nutritivo-Saccarosio (colonie levaniformi dopo 48 ore a 25°C) o su Agar-King-B (colonie debolmente fluorescenti dopo 48 ore a 25°C). Saggio LOPAT ed alcuni saggi biochimici, nutrizionali e fisiologici differenziali consigliati per la identificazione delle patovar di Pseudomonas syringae, saggio sierologico (ELISA o immunofluorescenza indiretta). Saggi di conferma: analisi degli acidi grassi cellulari o PCR. Lotta Impiego di materiale sano, trattamenti con composti rameici alla caduta delle foglie, poiché le ferite originate dalla caduta delle foglie rappresentano una delle principali vie di penetrazione da parte di tale patogeno; eliminare e distruggere i rami infetti; disinfettare gli attrezzi di potatura in soluzioni di ipoclorito di sodio; effettuare le potature tardivamente a fine inverno; evitare irrigazioni soprachioma. Punti critici Per i vivaisti: impiego di materiale sano accertato mediante controlli visivi ed accertamenti di laboratorio. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 1.4. Mal secco o “macchie nere” del noce (Tav. II) Inquadramento tassonomico Famiglia Pseudomonadacae Genere Xanthomonas Specie Xanthomonas arboricola pv. juglandis (sin. Xanthomonas campestris pv. juglandis) Distribuzione geografica: presente in tutte le aree di coltivazione del noce. Modalità di diffusione Il batterio durante l’inverno sopravvive nei cancri rameali e nelle gemme dormienti e in primavera colonizza gli amenti e le giovani foglie. Sulla nuova vegetazione, dove penetra sia attraverso gli stomi che dalle ferite viene veicolato dal polline, dalla pioggia, dal vento e dalle acque di irrigazione. Condizioni ottimali per lo sviluppo della malattia sono date da alta umidità relativa nell’aria e temperature comprese tra 20 e 28 °C benché il batterio pare che sia attivo con temperature comprese fra 4 e 30 °C. Durante la stagione vegetativa può trovarsi anche allo stato epifita. Piante ospiti: Noce Sintomatologia Foglie: macchie idropiche quasi puntiformi (circa 1 mm) a contorno angolare che, in seguito necrotizzano e causano deformazioni del lembo. Piccole tacche allungate, nerastre possono comparire anche sul rachide, sul picciolo e sulla nervatura principale. Germogli: tacche necrotiche nerastre più o meno allungate che possono portare al disseccamento del germoglio. Rami e branche: cancri allungati di colore nerastro che quando circondano completamente l’asse causano il disseccamento del ramo. Frutti: macchie idropiche, rotondeggianti e leggermente depresse (3-4 mm di diametro) che, col tempo, tendono ad assumere una colorazione nerastra (Tavola VII). Diagnosi Isolamenti su substrato selettivo BS (dopo 4-5 giorni a 25-27 °C si formano colonie circondate da un caratteristico alone di idrolisi dell’amido) o YDC (dopo 4 giorni a 25 °C appaiono colonie giallastre, lucenti, convesse a bordo regolare di 2-3 mm di diametro); saggi biochimici, nutrizionali e fisiologici consigliati per la identificazione delle specie appartenenti al genere Xanthomonas e saggio sierologico (ELISA o immunofluorescenza indiretta). Saggi di conferma: analisi degli acidi grassi cellulari o PCR. Lotta Impiego di materiale sano, evitare una vegetazione troppo fitta, soprattutto in vivaio, in modo da diminuire il tempo di bagnatura delle foglie; evitare abbondanti concimazioni azotate ed irrigazioni che inducono un eccessivo turgore vegetativo rendendo le piante più suscettibili; evitare irrigazioni soprachioma; eliminare le piante infette; distruggere i residui di vegetazione infetti; effettuare trattamenti con composti rameici alla caduta delle foglie e nella fase di apertura delle gemme. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Punti critici Per i vivaisti: impiego di materiale sano accertato mediante controlli visivi ed accertamenti di laboratorio. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 1.5. Colpo di fuoco (Tav. III e IV) Inquadramento tassonomico Famiglia Enterobacteriaceae Genere Erwinia Specie E. amylovora Distribuzione geografica: presente ormai quasi in tutte le aree di coltivazione delle Pomacee. Modalità di diffusione Lo svernamento di E. amylovora avviene principalmente lungo il bordo dei cancri formatisi sui rami, branche e tronchi nella precedente stagione vegetativa. Sedi meno importanti di svernamento possono essere sia i frutti infetti e mummificati, ancora penduli sulla pianta o caduti a terra, che gli essudati disseccati rimasti aderenti ai tronchi o ai rami o sui residui di potatura. Alla ripresa vegetativa, in condizioni favorevoli di umidità e temperatura, i batteri riprendono a moltiplicarsi ai margini dei cancri, invadono nuovo tessuto corticale e producono essudato. Questo nuovo essudato, insieme ai germi resi disponibili dalle mummie e dai vecchi essudati disciolti dall’acqua piovana, costituisce l’inoculo primario primaverile. Questo viene disseminato nell’ambiente a breve e lunga distanza, sulla stessa o su altre piante, dagli schizzi di pioggia o da insetti occasionali (ad esempio: mosche, formiche, ecc.) visitanti i cancri. I germi dell’inoculo primario raggiungono i fiori e/o i giovani germogli e causano le infezioni primarie. Nei fiori possono penetrare attraverso nettarii, stigmi ed antere deiscenti; nei germogli attraverso gli stomi e gli idatodi delle foglie o attraverso ferite. Il periodo di maggiore suscettibilità delle piante ospiti è quello della fioritura in concomitanza di giornate piovose e temperature medie comprese tra 18-24 °C. Dai fiori infetti le api disseminano i germi su altri fiori durante la raccolta del nettare e del polline. Oltre alla pioggia ed al vento, per le infezioni secondarie fungono da attivi vettori gli uccelli e l’uomo. Gli uccelli possono contaminarsi le zampe posandosi su piante infette oppure nutrirsi dei loro frutti e diffondere la malattia anche a lunghe distanze. E. amylovora si troverebbe anche allo stato di epifita nelle gemme, sui fiori e sui giovani germogli e da questi organi, privi di sintomi, i germi sarebbero disponibili alla ripresa vegetativa per le infezioni primarie. Un ruolo determinante nella disseminazione del patogeno a lunghe distanze assume il commercio di materiale vivaistico infetto. Anche le correnti d’aria possono contribuire alla disseminazione del patogeno a distanze relativamente lunghe trasportando cellule batteriche sotto forma di aerosol. Piante ospiti: Rosacee, Pomoidee Sintomatologia Annerimento e distorsione dei fiori, annerimento e mummificazione dei frutticini, necrosi marginale, internervale e disseccamento totale delle foglie, annerimento dei germogli ed incurvamento degli apici, cancri su rami, branche e fusto con fuoriuscita di essudato. Sia i fiori che i frutticini e le foglie infetti, in genere, restano attaccati alla pianta per tutta la stagione vegetativa (Tavole IV e V). Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Diagnosi Isolamento su Agar-Nutritivo-Saccarosio (colonie levaniformi) o sul substrato semiselettivo HSNA (colonie di circa 1 mm di diametro cosparse di numerosi crateri sulla superficie dopo 60 ore a 27 °C) ed i seguenti saggi: saggio di fluorescenza, presenza di ossidasi, ipersensibilità su tabacco, patogenicità su pere immature e saggio sierologico (agglutinazione su vetrino, ELISA o immunofluorescenza indiretta). Saggi di conferma: analisi degli acidi grassi cellulari o PCR. Lotta Distruzione con il fuoco delle piante infette e trattamento delle aree infette secondo quanto riportato dai Decreti di lotta obbligatoria del 27/03/1996 e del 10/09/1999 emanati in Italia. Punti critici Per i vivaisti: utilizzare materiale di moltiplicazione da piante madri sane controllate mediante controlli visivi e saggi di laboratorio. Per gli agricoltori: realizzare i nuovi impianti con materiale di propagazione di cui sia garantita la sanità. Consigli pratici Per gli agricoltori: evitare materiale di propagazione di dubbia origine; per i nuovi impianti, se si hanno notizie sul comportamento varietale nel territorio pugliese, utilizzare possibilmente quelle varietà che hanno mostrato resistenza o almeno una certa tolleranza verso il “colpo di fuoco”. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 TAVOLA I 1 2 4 1 2 3 Fig. 1 - Infezioni di P. syringae pv. syringae su foglie e frutti di albicocco Fig. 2 - “Tumore batterico” su pianta di pesco in campo Fig. 3 - “Tumore batterico” su piante di pesco in vivaio Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 TAVOLA II 22 11 3 1 2 Fig. 1 – “Macchie nere” su foglie di noce Fig. 2 – Cancro su ramo di noce causato da X. arboricola pv. yuglandis Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 TAVOLA III 1 2 2 1 2 1 3 4 2 3 4 Fig. 1 – Gravi infezioni di “colpo di fuoco” batterico su giovani piante di pero Fig. 2 – “Colpo di fuoco” batterico: frutticini di pero anneriti e mummificati Fig. 3 – “Colpo di fuoco” batterico: sintomi su foglie Fig. 4 – “Colpo di fuoco” batterico: fiori di pero anneriti e distorti Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 TAVOLA IV 1 1 3 2 2 4 Fig. 1 – “Colpo di fuoco” batterico: germoglio annerito con apice incurvato Fig. 2 – “Colpo di fuoco” batterico: cancro giovane su ramo Fig. 3 – “Colpo di fuoco” batterico: cancro fessurato su ramo e infiorescenza annerita Fig. 4 – “Colpo di fuoco” batterico: cancro su fusto con emissione di essudato Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 2. FUNGHI 2.1. Marciume radicale fibroso (Tav. V) Inquadramento tassonomico Regno Divisione Phylum Classe Sottoclasse Ordine Famiglia Genere Specie Mycetae Eumycota Basidiomycota Basidiomycetes Holobasidiomycetidae Agaricales Polyporaceae Armillaria A. mellea (Vahl: Fr.) Kummer Malattia Il marciume radicale fibroso è causato da Armillaria mellea, presente su numerose piante arboree ed arbustive agrarie e forestali. Distribuzione geografica Il marciume radicale fibroso è diffuso ovunque siano presenti le specie ospiti. Modalità di diffusione Il patogeno si sviluppa e si conserva nel terreno principalmente sotto forma di micelio nel legno infetto e rizomorfe (Tavola I, Figura 4). I corpi fruttiferi del fungo, comunemente chiamati “chiodini” o “famigliole buone”, possono comparire, durante la stagione umida, al piede delle piante in cui l’infezione è presente da molto tempo (Tavola I, Figura 2). Le rizomorfe costituiscono la principale sorgente di inoculo, diffondendo la malattia a “macchia d’olio”. Il micelio può invadere tessuti sani venuti a contatto con altri infetti senza che si abbia la formazione delle rizomorfe. A. mellea, superati i tessuti corticali e venuta a contatto con i tessuti legnosi si organizza in placche miceliari (Tavola I, Figura 3). La velocità di progressione del microrganismo nei tessuti e di comparsa dei sintomi varia molto, ed è più rapida quando l’infezione avviene nella zona del colletto. Inoltre, il patogeno è favorito dal ristagno idrico che, causando asfissia delle radici, determina un abbassamento delle difese dell’ospite. Temperature ottimali per lo sviluppo della malattia sono comprese tra 20 e 24 °C, mentre temperature estreme ne riducono lo sviluppo. Piante ospiti A. mellea è un patogeno estremamente polifago; in Puglia è particolarmente dannoso su pesco, mandorlo e ciliegio (Tavola I, Figura 1). Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Sintomatologia La malattia si manifesta sulla pianta con uno stato di sofferenza generale aspecifica: vegetazione stentata, clorosi fogliare diffusa o localizzata, appassimento e infine morte. Frequentemente le foglie disseccate rimangono pendenti sulla pianta per un certo periodo dopo la morte. Scalzando il piede della pianta compaiono le manifestazioni sintomatologiche tipiche da Armillaria. La corteccia delle grosse radici e del tronco della zona del colletto è depressa ed appiattita ed ha un colore più scuro del normale. Sollevando le porzioni corticali, che si distaccano facilmente, compaiono placche miceliari color crema che emanano un penetrante odore di fungo fresco e si insinuano tra gli elementi del mantello corticale ed il cilindro legnoso. Sulla superficie degli organi infetti da molto tempo potrebbero riscontrarsi le rizomorfe del patogeno, piatte e larghe qualche millimetro. Il colore delle rizomorfe è dapprima biancastro, poi vira al bruno e, a contatto con l’aria, diventa nero. Diagnosi L’osservazione dei sintomi a livello del colletto e, in particolare, delle placche miceliari tra corteccia e legno consente la diagnosi della malattia con un buon margine di sicurezza. L’osservazione del patogeno in coltura è necessaria quando si vuole accertare la specie di Armillaria. Lotta La lotta si basa essenzialmente su misure preventive. È fondamentale favorire un buon sviluppo vegetativo delle piante ed evitare la presenza del patogeno. In quest’ottica è consigliabile, nel caso di nuovi impianti, ricorrere a materiale di propagazione sano e allontanare le radici della coltura precedente, se suscettibile e ancor più se infetta, prima di procedere a nuovi impianti; inoltre, ove possibile, destinare il terreno alla semina di graminacee per alcuni anni. Se disponibili, utilizzare portinnesti dotati di resistenza alla malattia. Punti critici Per i vivaisti: evitare di utilizzare terreni ove sono state riscontrate infezioni di A. mellea; osservare attentamente il colletto delle piante al momento dell’estirpazione per evidenziare la eventuale presenza di imbrunimenti della corteccia e di placche miceliari sottostanti. Per gli agricoltori: evitare di impiantare colture arboree in appezzamenti ove sono state osservate infezioni di A. mellea; realizzare i nuovi impianti con materiale di propagazione sano. Consigli pratici Per gli agricoltori: osservare attentamente il colletto e l’apparato radicale delle piante al momento dell’acquisto; in caso di attacchi in campo, rimuovere prima possibile le piante infette ed evitare di reimpiantare subito sullo stesso terreno. Per il Servizio fitosanitario: effettuare le ispezioni in vivaio al momento dello svellimento delle piante, ma anche durante la stagione vegetativa per individuare aree con sintomi sospetti di deperimento della chioma. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 TAVOLA V 1 3 2 4 Fig. 1 - Pianta di ciliegio affetta da marciume radicale fibroso. Fig. 2 - Carpofori di Armillaria mellea alla base di una pianta infetta. Fig. 3 - Radice di ciliegio attaccata da Armillaria mellea. Si noti il tipico micelio sottocorticale di colore bianco-cremeo. Fig. 4 - Rizomorfe di Armillaria mellea nel terreno. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 2.2. Mal della bolla (Tav.VI) Inquadramento tassonomico Regno Divisione Phylum Classe Ordine Famiglia Genere Specie Mycetae Eumycota Ascomycota Archiascomycetes Taphrinales Taphrinaceae Taphrina T. deformans (Berk.) Fuckel Malattia: il mal della bolla è causato da Taphrina deformans. Distribuzione geografica: la malattia è diffusa ovunque siano presenti le specie ospiti. Modalità di diffusione Il fungo sverna sotto forma di ascospore o di gemme-conidi nelle anfrattuosità del ritidoma e tra le perule delle gemme. Alla schiusura delle gemme, in presenza di un velo d’acqua, i conidi germinano formando un premicelio che, con un processo meccanico, fora la cuticola e si localizza inizialmente fra la cuticola e l’epidermide della pagina superiore della foglia. Più raramente l’infezione avviene attraverso gli stomi. Il micelio si sviluppa fra le cellule e da esso si formano, in posizione distale, gli aschi, i quali emergono all’esterno riuniti o ravvicinati a formare una fitta palizzata. Gli aschi, contenenti 4-8 ascospore, conferiscono il tipico aspetto vellutato alle foglie bollose. Spesso si verifica un solo ciclo di infezione poiché l’aumento di temperatura diventa incompatibile con la vita del fungo e l’ospite, ispessendo la cuticola, diventa meno suscettibile. Le condizioni ottimali per le infezioni, in coincidenza con la schiusura delle gemme, prevedono un periodo piovoso e piuttosto freddo; la temperatura ottimale è di 15°C, quelle estreme di 7-28°C; oltre i 28°C il fungo perde completamente la vitalità. Piante ospiti: il mal della bolla oltre che sul pesco è presente anche su nettarine e mandorlo. Sintomatologia Tutti gli organi verdi (fiori, foglie, germogli e frutti) sono suscettibili all’infezione ma le foglie subiscono i danni maggiori. I fiori colpiti si presentano deformati, contorti, notevolmente allungati e finiscono per abortire e cadere. Le foglie attaccate manifestano ipertrofia e iperplasia dei tessuti internervali, con deformazioni che si presentano sotto forma di bolle, con la parte convessa nella pagina superiore. La foglia si accartoccia e si ripiega in vario modo, poiché le nervature si accrescono meno rispetto alle zone di parenchima internervale. Le bolle si ingrandiscono, confluiscono tra loro e i tessuti infetti acquistano una consistenza carnosa (Tavola III, Figura 1). Contemporaneamente si hanno delle variazioni cromatiche nei tessuti infetti (Tavola III, Figura 2). Negli stadi finali della malattia, la pagina superiore perde lucentezza e si presenta vellutata per la presenza degli aschi che affiorano all’esterno. Verso maggio-giugno le foglie attaccate disseccano e cadono. I germogli infetti appaiono ispessiti e carnosi, spesso privi di foglie nella parte apicale, con internodi raccorciati e cime contorte, che poi finiscono con il disseccare (Tavola III, Figura 3). Sui frutti l’attacco è meno frequente: se è precoce, il Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 frutticino si atrofizza e cade; mentre sui frutti più sviluppati si formano escrescenze di estensione variabile che col tempo acquistano un colore rossastro e un aspetto suberoso. Quando la temperatura si innalza e l’umidità relativa si abbassa, la malattia si arresta e gli organi colpiti vanno incontro ad una rapida devitalizzazione. Diagnosi: data la specificità dei sintomi, la diagnosi è visiva. Lotta Le varietà coltivate manifestano una diversa suscettibilità al patogeno; pertanto, una possibilità di controllo della malattia potrebbe consistere nell’uso di varietà resistenti. La lotta chimica si basa su due interventi di carattere preventivo contro le forme svernanti, da effettuarsi il primo (con prodotti cuprici) subito dopo la caduta delle foglie e il secondo al rigonfiamento delle gemme. I prodotti generalmente usati sono i ditiocarbammati (ziram, thiram). Punti critici Per i vivaisti: utilizzare marze provenienti da piante regolarmente trattate contro la malattia ed effettuare i trattamenti anticrittogamici preventivi Per gli agricoltori: realizzare i nuovi impianti con materiale di propagazione sano. Consigli pratici Per gli agricoltori: effettuare i trattamenti anticrittogamici preventivi nelle aree favorevoli allo sviluppo della malattia; Per il Servizio fitosanitario: effettuare le ispezioni in vivaio nel periodo di massima espressione sintomatologica della malattia (maggio-giugno). Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Tavola VI 11 2 2 2 3 3 3 2 Fig. 1 - Foglia di pesco con forte deformazione indotta da Taphrina deformans. Fig. 2 - Germoglio di pesco gravemente danneggiato dalla infezione di bolla. Fig. 3 - Giovani astoni di pesco con attacchi di bolla. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 2.3. Mal del piombo (Tav. VII) Inquadramento tassonomico Regno Divisione Phylum Classe Sottoclasse Ordine Famiglia Genere Specie Mycetae Eumycota Basidiomycota Basidiomycetes Holobasidiomycetidae Aphyllophorales Polyporaceae Chondrostereum C. purpureum (Pers.:Fr.) Pouzar Malattia Il mal del piombo, malattia causata da Chondrostereum purpureum, si manifesta su un gran numero di specie arboree, agrarie e forestali. Distribuzione geografica: il mal de piombo è diffuso ovunque siano presenti le specie ospiti. Modalità di diffusione Il mezzo di infezione più frequente è rappresentato dalle basidiospore che, liberate dai carpofori, vengono a contatto con superfici di taglio non protette o con ferite causate da agenti biotici o abiotici. Il fungo può infettare la pianta anche dall’apparato radicale, per poi risalire lungo il tronco e l’impalcatura principale della pianta. Sulle giovani piante l’infezione si può avere quando, nelle operazioni di impianto, viene spuntata la radice principale. Le piante attaccate quando ancora giovani sono irrimediabilmente condannate, mentre quelle infettate da adulte possono sopravvivere anche anni. In qualche caso la malattia può originarsi dai carpofori sviluppati su pali di castagno utilizzati come sostegno. L’infezione è favorita da andamenti climatici primaverili e/o autunnali molto umidi e da temperature di 15-18°C. Piante ospiti Chondrostereum purpureum attacca tutte le drupacee, ma in Puglia si rinviene soprattutto sul pesco. Sintomatologia Il sintomo principale della malattia si osserva sulle foglie, che fin dalla loro comparsa assumono una colorazione metallica, rifrangente. La distribuzione del sintomo sulla chioma è irregolare; talvolta è interessata l’intera pianta, ma più spesso, almeno nelle fasi iniziali della malattia, i sintomi si rinvengono solo su di un certo numero di rami o branche (Tavola V, Figura 1). Le foglie argentate sono carnose, più spesse del normale e papiracee; spesso sono leggermente bollose e deformi, con pigmentazioni antocianiche ai bordi. Nei casi di grave attacco la foliazione subisce un arresto, fino a ridursi a piccole foglioline appena sporgenti dalle perule. L’alterazione delle foglie è un effetto a distanza, dovuto alle tossine prodotte dal fungo sviluppatosi a carico del legno. I tessuti legnosi del tronco e delle branche più grosse presentano imbrunimenti e carie che possono essere settoriali o interessare tutta la sezione. Le stesse manifestazioni si possono riscontrare sulle radici, anche quando il Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 legno della parte aerea appare completamente sano. Sul legno deperiente o già morto compaiono vistosi corpi fruttiferi del fungo, di colore dapprima violaceo e poi scuro. Essi hanno l’aspetto di “orecchiette” dapprima elastiche e poi consistenti, a bordi ondulati, del diametro massimo di 2-3 cm, generalmente embricate o confluenti in gran numero (Tavola V, Figure 2 e 3). Diagnosi I sintomi di mal del piombo sulla chioma possono essere imputabili a C. purpureum (mal del piombo parassitario, o precoce) oppure ad alte temperature e squilibri idrici (mal del piombo non parassitario, o tardivo); i primi si osservano dalla ripresa vegetativa a giugno, i secondi nel periodo estivo (luglio-agosto) e sono più frequenti sui rami in prossimità del terreno. La diagnosi del mal del piombo parassitario può essere visiva, tuttavia, è necessaria una conferma mediante isolamento del patogeno da legno sintomatico. In presenza dei carpofori, la diagnosi è immediata. Lotta Gli interventi contro la malattia consistono nell’estirpare e bruciare le piante o le parti di piante infette, eliminare i substrati di sviluppo dei carpofori (ad es. pali tutori di legno) e proteggere le superfici di taglio della pianta con appositi mastici. Punti critici Per i vivaisti: utilizzare marze provenienti da piante sane. Per gli agricoltori: realizzare i nuovi impianti con materiale di propagazione sano. Consigli pratici Per gli agricoltori: osservare le piante in maggio-giugno per la ricerca dei sintomi; proteggere le ferite di taglio con mastice. Per il Servizio fitosanitario: effettuare le ispezioni in vivaio nel periodo di massima espressione sintomatologica della malattia (maggio-giugno) e imporre la distruzione delle piante infette. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 TAVOLA VII Fig. 1 - Pesco affetto da mal del piombo, con chioma spoglia e colorazione metallica delle foglie. Fig. 2 - Carpofori di Chondrostereum purpureum su legno infetto. Fig. 3 - Particolare dei carpofori di Chondrostereum purpureum. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 2.4. Marciume del colletto delle drupacee (Tav. VIII ) Inquadramento tassonomico Regno Phylum Classe Ordine Famiglia Genere Specie Chromista Oomycota Oomycetes Peronosporales Pythiaceae Phytophthora P. cactorum (L. C.) Schröter P. cambivora (Petri) Buisman P. cinnamomi Rends P. citrophthora (Sm. et Sm.) Leonian P. cryptogea Pethyb. et Laff. P. drechsleri Tucker P. megasperma Drechsler P. syringae Kleb. Malattia Il marciume del colletto è un’affezione che interessa, oltre al colletto, anche l’apparato radicale e zone più o meno estese della parte epigea (Tavola IV, Figura 2, 3). La malattia è particolarmente grave in presenza di portinnesti suscettibili e di errate tecniche colturali. Distribuzione geografica La malattia è presente in tutte le zone di coltivazione delle drupacee. Modalità di diffusione Le diverse specie di Phytophthora vivono nel terreno dove, grazie a più forme di resistenza (oospore, clamidospore), possono permanere vitali per diversi anni. P. cactorum è la specie che si rinviene con maggiore frequenza sulle drupacee. La penetrazione nelle radici più grandi avviene attraverso le lenticelle o attraverso ferite, mentre nelle radici più piccole è diretta. Il micelio, che colonizza molto rapidamente i tessuti corticali produce nel giro di 24-48 ore oogoni e anteridi tipicamente paragini e differenzia nelle cellule invase dell’ospite le oospore. Gli zoosporangi germinano in genere per zoospore o più raramente per micelio. Le radici possono essere infettate sia dalle ife vegetative presenti nel terreno sia dai tubi germinativi emessi dalle zoospore. Terreni compatti e mal drenati, nei quali l’acqua ristagna a lungo creando condizioni di asfissia, provocano un indebolimento della pianta che è così predisposta all’attacco del patogeno. L’impiego di materiale di propagazione infetto rappresenta un metodo di diffusione di Phytophthora anche a notevoli distanze. Piante ospiti Le diverse specie di Phytophthora sono caratterizzate da elevata polifagia. Possono infettare i diversi portinnesti delle drupacee, anche se la suscettibilità varia con la specie. Nelle nostre zone gli attacchi sono più frequenti su pesco e su ciliegio. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Sintomatologia La malattia è presente sia in vivaio, sia in pieno campo. Possono essere colpiti soggetti di qualunque età, ma è più frequente nei vivai e negli impianti giovani e dove i terreni presentano difficoltà di sgrondo. Le piante mostrano sintomi aspecifici di deperimento della parte aerea consistenti nella produzione di foglie clorotiche e più piccole del normale (Tavola IV, Figura 1), rallentamento nello sviluppo dei rami e defogliazione anticipata, mentre nella zona del colletto si producono dei veri e propri cancri, che possono interessare ampie zone, sia delle radici sia del tronco (Tavola IV, Figura 2, 3, 4). Inizialmente si osservano leggeri imbrunimenti e depressioni della corteccia, accompagnati spesso da efflussi gommosi; scortecciando si nota una intensa colorazione scura dei tessuti corticali colpiti (Tavola IV, Figura 2, 3), che presentano margini con marcate zonature, via via più chiare. Anche il tessuto cambiale e le cerchie legnose più esterne sono coinvolti nei processi di necrosi. Quando la lesione interessa l’intera circonferenza del fusto oppure tutte le grosse radici la pianta muore. Diagnosi La diagnosi del marciume del colletto può essere effettuata osservando i sintomi prima descritti; tuttavia, è sempre necessaria una conferma mediante isolamento in piastra ed identificazione del patogeno, o mediante kit ELISA o metodiche molecolari (PCR). Queste tecniche consentono di accertare la presenza dei patogeni sia nei tessuti infetti, sia nel terreno. Lotta La lotta contro il marciume del colletto viene praticata in maniera preventiva con l’uso di materiale di propagazione sano e possibilmente di portinnesti resistenti.. Molta cura deve essere posta all’impianto sistemando il terreno al fine di evitare ristagni superficiali e profondi dell’acqua, evitando di porre le piante ad eccessiva profondità e adottando sistemi di irrigazione che non bagnino il tronco. Con la malattia in atto intervenire applicando al fusto prodotti sistemici a base di Metalaxyl o di Phosetyl-Al. Punti critici Per i vivaisti: usare substrati di coltivazione e terreni esenti da propaguli delle diverse specie di Phytophthora agenti di marciume del colletto e porre in atto tutti gli accorgimenti necessari per evitare infezioni. È consigliabile una sistemazione superficiale del terreno (ad es. baulatura) per facilitare lo sgrondo dell’acqua di irrigazione e di pioggia, e l’utilizzazione di acqua non contaminata da propaguli del patogeno. Per gli agricoltori: realizzare i nuovi impianti con materiale di propagazione sano; livellare il terreno in modo da evitare i ristagni idrici superficiali e drenarlo contro il ristagno idrico profondo; non trapiantare ad eccessiva profondità. Consigli pratici Per gli agricoltori: evitare di bagnare il colletto durante l’irrigazione, evitare la crescita di erbe infestanti e l’accumulo del terreno alla base del tronco; Per il Servizio fitosanitario: controllare che in vivaio vengano adottate tutte le norme di profilassi atte a ridurre le possibilità di contaminazione dei terreni e dei substrati. Per gli eventuali controlli fitosanitari, ispezionare la chioma per la presenza di sintomi deperimento e la zona del colletto per la presenza di gomma e/o di zone depresse e imbrunite. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 TAVOLA VIII Fig. 1 - Giovane pianta di Prunus mahaleb con sintomi iniziali di deperimento sulla chioma dovuti ad attacchi di Phytophthora. Fig. 2 - Ciliegio di 2 anni di età con marciume del colletto da Phytophthora. Fig. 3 - Imbrunimento dei tessuti corticali sottoepidermici in ciliegio con attacchi di Phytophthora al colletto. Fig. 4 - Pianta di pesco con marciume del colletto da Phytophthora. L’eccessiva profondità di impianto è uno dei fattori che predispone la pianta agli attacchi del patogeno. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 2.5. Cancri da nectria Inquadramento tassonomico Regno Divisione Phylum Classe Ordine Famiglia Genere Specie Mycetae Eumycota Ascomycota Pyrenomycetes Hypocreales Hypocreaceae Nectria N. galligena Bres. Malattia I cancri da Nectria galligena sono presenti su diversi fruttiferi ed essenze forestali. Distribuzione geografica N. galligena è un patogeno diffuso ovunque siano presenti le specie ospiti. Modalità di diffusione Il patogeno si diffonde per mezzo di ascospore e conidi, trasportati da vento, pioggia o altri vettori. In presenza di elevata umidità e temperatura favorevole (ottimo 18-24°C, con estremi di 5 e 30°C), i propaguli germinano e producono un premicelio che può penetrare nell’ospite attraverso ferite di qualsiasi natura (grandine, gelo, distacco di peduncoli, ecc.) o anche attraverso le lenticelle. Le infezioni più gravi si hanno in autunno, attraverso le lesioni causate dalla caduta delle foglie e si evidenziano subito dopo la ripresa vegetativa. Piante ospiti N. galligena è dannoso su diverse specie di fruttiferi e su piante forestali. Sintomatologia La malattia si manifesta inizialmente con piccole tacche leggermente depresse, imbrunite, per lo più localizzate alla base di un rametto giovane o attorno ad una precedente ferita. Successivamente, in corrispondenza di ogni tacca, la corteccia necrosata tende a fendersi e a distaccarsi, mentre attorno si forma un cercine cicatriziale. Col tempo, ogni lesione assume l’aspetto di un cancro a bordi rilevati e slabbrati, il cui centro è interessato da un processo di necrotizzazione che raggiunge le parti più profonde dell’organo colpito. Lesioni estese possono portare alla morte di rami o di intere giovani piante. Le fruttificazioni di N. galligena si presentano sotto forma di periteci rotondeggianti, appena visibili ad occhio nudo, di colore rosso vivo, normalmente localizzati nei cancri vecchi. Diagnosi La diagnosi dell’infezione da N. galligena può essere visiva, ma è necessaria una conferma mediante isolamento e osservazione del patogeno al microscopio. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Lotta Le misure di lotta consistono nell’asportazione e nella distruzione dei rami colpiti, e in un trattamento con prodotti cuprici per prevenire l’infezione al momento della caduta delle foglie. Punti critici Per i vivaisti: utilizzare marze provenienti da piante sane. Per gli agricoltori: realizzare i nuovi impianti con materiale di propagazione sano. Consigli pratici Per gli agricoltori: osservare le piante in inverno per la ricerca dei cancri sugli organi legnosi. Per il Servizio fitosanitario: effettuare le ispezioni in vivaio nel periodo invernale per la ricerca dei sintomi sugli organi legnosi. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 2.6. Marciume radicale lanoso (Tav. IX) Inquadramento tassonomico Regno Divisione Phylum Classe Ordine Famiglia Genere Specie Mycetae Eumycota Ascomycota Pyrenomycetes Xylariales Xylariaceae Rosellinia R. necatrix (Hart.) Berl. Malattia Il marciume radicale lanoso, causato da Rosellinia necatrix, è presente su piante arboree, arbustive ed erbacee. Distribuzione geografica Il marciume radicale lanoso è diffuso ovunque siano presenti le specie ospiti. Esso sembra maggiormente presente nelle aree a clima mediterraneo e meno in quelle a clima continentale. Modalità di diffusione Il patogeno si conserva nella sua forma vegetativa differenziando raramente, su radici completamente devitalizzate, le fruttificazioni ascofore di Rosellinia o quelle conidiche di Dematophora (anamorfo). Il microrganismo permane nei tessuti attaccati e nel terreno sotto forma di ammassi stromatici e scleroziali, mentre la diffusione nel suolo avviene per mezzo di speciali “cordoni” costituiti da fasci di ife. Da ciò la progressione della malattia, dalle piante già infette a quelle sane circostanti a “macchia d’olio” (Tavola II, Figura 1). L’insediamento del patogeno nell’ospite si realizza più frequentemente ad iniziare da giovani radici. La pericolosità della malattia è esaltata da preesistenti condizioni di sofferenza delle piante. Il patogeno trova condizioni ottimali in terreni umidi e ricchi di sostanza organica, mentre perde virulenza in terreni secchi, sabbiosi e soleggiati. La temperatura ottimale per l’accrescimento è di 16-18°C. Piante ospiti R. necatrix è caratterizzata da una elevata polifagia; attacca tutte le drupacee e nel Sud Italia è particolarmente dannosa su pesco e ciliegio. Sintomatologia Le piante colpite non mostrano sintomi aspecifici. Esse presentano vegetazione stentata, foglie di dimensioni ridotte, con clorosi più o meno gravi e diffuse, produzione scarsa o nulla e lento deperimento fino alla morte. Accanto a questa forma di deperimento lento si può osservare un andamento rapido, quasi apoplettico, quando si realizzano condizioni ambientali sfavorevoli all’ospite (gelate tardive, minime invernali molto accentuate, siccità e forti caldi estivi). I sintomi specifici si rinvengono sull’apparato radicale e al colletto e consentono la differenziazione di questa alterazione da altri marciumi radicali (Tavola II, Figure 2 e 3). Sulle radici colpite si osserva ad occhio nudo una rete micelica a trama larga, ad andamento avvolgente, dapprima di colore bianco, poi grigio ed infine Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 bruno. Le ife sono caratterizzate da rigonfiamenti ad ampolla, in prossimità dei setti, che costituiscono un importante elemento diagnostico (Tavola II, Figura 4). I tessuti corticali imbruniti si sfaldano facilmente, evidenziando il cilindro legnoso profondamente alterato e spesso imbrunito. Diagnosi Una prima diagnosi della malattia può essere effettuata visivamente mediante osservazione dei sintomi e del micelio del patogeno presenti sull’apparato radicale e sul colletto. L’accertamento diagnostico, tuttavia, richiede l’isolamento in coltura e la successiva osservazione delle strutture vegetative al microscopio, allo scopo di evidenziare, a livello dei setti, i caratteristici ingrossamenti ad ampolla. La diagnosi può essere realizzata anche con metodi molecolari. Lotta La lotta si basa sui comuni interventi preventivi, quali drenaggio e scarsi apporti di sostanza organica. Il fungo può essere eradicato dal terreno mediante trattamenti chimici con Bromuro di metile, Vapam, ecc. Il più delle volte, però, simili interventi non trovano applicazione per il loro elevato costo, gli esiti incerti e l’effetto negativo sull’ambiente. Pertanto, è molto importante un’accurata bonifica idraulica, l’eliminazione dei residui radicali della coltura precedente, nonché l’utilizzazione di materiale di propagazione sano. Ove disponibili, è consigliabile l’uso di portinnesti resistenti. Punti critici Per i vivaisti: evitare di utilizzare terreni ove sono state osservate infezioni di marciume radicale lanoso; osservare attentamente il colletto e l’apparato radicale delle giovani piante al momento dell’estirpazione per evidenziare la presenza della trama miceliare del patogeno. Per gli agricoltori: evitare di impiantare colture arboree suscettibili in appezzamenti ove sono state osservate infezioni di marciume radicale lanoso senza che siano stati messi in atto con attenzione gli interventi prima descritti; realizzare i nuovi impianti con materiale di propagazione sano e, ove disponibile, resistente. Consigli pratici Per gli agricoltori: osservare attentamente l’apparato radicale e il colletto delle piante al momento dell’acquisto; in caso di attacchi in campo, rimuovere il prima possibile le piante infette ed evitare di reimpiantare subito sullo stesso terreno senza aver messo in atto gli interventi prima ricordati. Per il Servizio fitosanitario: effettuare le ispezioni in vivaio al fine di cogliere sintomi di deperimento sulla chioma durante la stagione vegetativa e la presenza della trama miceliare del fungo al colletto e sulle radici. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 TAVOLA IX Fig. 1 - Pianta di mandorlo morta per attacco di Rosellinia necatrix. Fig. 2 - Micelio sottocorticale di Rosellinia necatrix su un giovane astone di ciliegio. Fig. 3 - Apparato radicale di una pianta di mandorlo affetta da Rosellinia necatrix. Esternamente all’ospite il fungo cresce sviluppa una rete micelica a trama larga, dapprima di colore bianco e successivamente grigio. Fig. 4 - Micelio di Rosellinia necatrix mostrante i tipici rigonfiamenti ad ampolla in prossimità dei setti. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 2.7. Verticilliosi delle drupacee (Tav. X) Inquadramento tassonomico Regno Divisione Sottodivisione Classe Ordine Famiglia Genere Specie Mycetae Eumycota Deuteromycotina Hyphomycetes Hyphales Mucedinacee Verticillium V. dahliae Kleb. V. albo-atrum Reinke et Bert. Malattia La verticilliosi è una malattia tracheomicotica di molte specie vegetali erbacee ed arboree. Degli agenti causali, Verticillium dahliae e V. albo-atrum, il primo è di gran lunga il più diffuso, mentre il secondo non è stato mai riportato nelle nostre zone. Distribuzione geografica La verticilliosi è una malattia piuttosto diffusa nei giovani impianti in molte aree di produzione degli Stati Uniti, del Canada e del Bacino del Mediterraneo. Modalità di diffusione I due patogeni sono capaci di sopravvivere nel terreno, in condizioni avverse, fino ad un metro di profondità; V. dahliae si conserva sotto forma di microsclerozi (Tavola VI, Figura 3), mentre V. alboatrum si conserva sotto forma di micelio scuro a pareti ispessite. L’infezione avviene di solito attraverso i peli radicali o ferite naturali, anche se non è escluso che la penetrazione possa avvenire direttamente nelle cellule epidermiche della zona di allungamento delle radici. Le ife, dopo la penetrazione, si localizzano nei vasi xilematici. Le radici infette che rimangono nel terreno dopo l’asportazione delle piante morte costituiscono un’altra fonte di conservazione e di moltiplicazione dell’inoculo. La consociazione con specie ortive suscettibili al patogeno (soprattutto solanacee e carciofo) può determinare un aumento della densità di inoculo del patogeno nel terreno, contribuendo ad una maggiore diffusione della malattia. Tra le tecniche colturali, alcuni metodi di irrigazione (ad es. infiltrazione laterale da solchi e allagamento), così come lo spostamento di macchine e di attrezzi di lavorazione da un terreno contaminato ad un terreno sano, diffondono velocemente i propaguli del patogeno. L’impiego di materiale di propagazione infetto, infine, rappresenta il più efficace metodo di diffusione del patogeno e della malattia anche a grandi distanze. Piante ospiti V. dahliae è agente di tracheomicosi su tutte le drupacee. Sintomatologia I primi sintomi della verticilliosi, cioè l’appassimento unilaterale della chioma e l’ingiallimento delle foglie, si notano all’inizio dell’estate (Tavola VI, Figura 1). La malattia può avere un decorso Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 lento e si ha una defogliazione progressiva, oppure un decorso acuto, nel qual caso interi rami disseccano improvvisamente; i vasi xilematici manifestano una tipica colorazione brunastra, che può interessare l’intera sezione o essere confinata in settori (Tavola VI, Figura 2). Le piante giovani di drupacee, ad eccezione del ciliegio, sono in genere più suscettibili di quelle adulte. In condizioni colturali particolarmente favorevoli e superata la fase giovanile, piante attaccate possono riprendersi e manifestare una regressione dei sintomi, apparendo del tutto guarite. Diagnosi La diagnosi viene effettuata mediante l’isolamento del patogeno da porzioni di tessuto xilematico, utilizzando comuni substrati di coltura artificiale (Agar-Acqua, Agar Patata Saccarosio). La presenza del patogeno nei tessuti è discontinua nel corso dell’anno in funzione dell’andamento climatico e delle reazioni dell’ospite. Solitamente, il patogeno si isola con facilità in primavera-inizio estate. La diagnosi nei tessuti legnosi può essere effettuata anche mediante alcuni Kit commerciali ELISA e tecniche molecolari (PCR, sonde nucleiche). Nel terreno, la presenza di V. dahliae viene accertata mediante isolamento in coltura su substrati semiselettivi. Lotta Attualmente non esistono prodotti chimici pienamente efficaci contro la verticilliosi e la lotta si basa su interventi agronomici e su misure preventive: - quando la malattia è in atto è necessario mantenere le piante indurite, riducendo l’irrigazione e le concimazioni azotate e lasciando inalterati gli apporti di fosforo e potassio; - limitare gli interventi di potatura all’asportazione dei rami con sintomi; - evitare la consociazione con specie suscettibili (solanacee, carciofo, cotone); - non utilizzare tecniche irrigue che diffondono più facilmente i propaguli del patogeno (ad es. scorrimento, infiltrazione laterale e similari); - ove disponibili, utilizzare portinnesti e varietà resistenti. Punti critici Per i vivaisti: utilizzare materiale di moltiplicazione (marze e talee) provenienti da piante madri sottoposte a periodici saggi di laboratorio per accertare l’assenza di infezioni da V. dahliae; accertare l’assenza di propaguli del patogeno nei substrati d’allevamento in vivaio e nel terreno prima dell’impianto. Per gli agricoltori: realizzare i nuovi impianti con materiale di propagazione sano. Consigli pratici Per i vivaisti: utilizzare contenitori nuovi o accuratamente disinfestati mediante trattamento con soluzioni sterilizzanti (ad es. immersione per 10 minuti in soluzioni al 4% di ipoclorito commerciale). Per gli agricoltori: in pieno campo, l’asportazione delle parti infette mediante pesanti potature o capitozzatura dei soggetti malati è sconsigliabile sulle piante giovani, le quali, stimolate a produrre nuova vegetazione, si esauriscono e deperiscono più rapidamente; evitare la diffusione dell’inoculo con macchine o attrezzi di lavorazione che hanno operato in terreni infestati. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 TAVOLA X Fig. 1 - Giovane pianta di mandorlo con disseccamenti sparsi della chioma causati da Verticillium dahliae. Fig. 2 - Rametto di mandorlo con imbrunimento del cilindro legnoso causato da Verticillium dahliae. Fig. 3 - Microsclerozio di Verticillium dahliae. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 3. NEMATODI 3.1. Pratylenchus penetrans (Tav. XI) Premessa I nematodi delle lesioni seguono in ordine di importanza economica quelli galligeni e cisticoli e sono causa di forti perdite di produzione a livello mondiale, fino al 15-18% della produzione annua. La loro vasta diffusione e gamma di ospiti (piante erbacee e arboree) rende indispensabile il loro riconoscimento a livello di specie, per predisporre un preciso programma di norme fitosanitarie, in particolar modo nei vivai di fruttiferi. Inquadramento tassonomico Famiglia Genere Specie Pratyluenchus Pratylenchus penetrans (Cobb, 1917), Chitwood & Oteifa, 1952 Modalità di diffusione Come tutti i nematodi, la diffusione avviene attraverso attrezzi da taglio, acqua e materiale di propagazione. Distribuzione geografica: il nematode è strettamente legato alla presenza della specie ospite. Piante ospiti Oltre 350 specie di piante sono state riportate come ospiti di questo nematode endoparassita migratore. Costituisce il maggior problema nei vivai di piante da frutto, principalmente nella aree temperate. Sintomatologia Parassita obbligato, migra all’interno delle radici e si nutre a spese dei tessuti corticali, ove si riproduce, inducendo all’interno della radice stessa lesioni e necrosi tissutali nei siti di alimentazione. Danni I danni provocati dalle infezioni di questa specie consistono in estese necrosi radicali con perdita della funzionalità della radice stessa, che porta a sintomi evidenti di crescita stentata a carico della parte epigea della pianta, e ad ingiallimenti diffusi. Diagnosi Identificazione a livello specifico basata sulla morfologia, che esamina una serie di parametri biometrici rilevati su esemplari di adulti (femmine e maschi). Lotta Sono indispensabili la disinfestazione del terreno (con mezzi chimici e fisici) e l’eliminazione delle erbe infestanti in vivaio, per mantenere bassi livelli di popolazione del parassita. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Norme fitosanitarie Analisi nematologiche di pre-impianto (su terreno e radici) e l’uso di materiale esente da nematodi sono le norme base per una buona riuscita di nuovi impianti colturali. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 TAVOLA XI Pratylenchus penetrans annuli labiali vulva esofago poro escretore stiletto bulbo mediano f branca postuterina campi laterali ano maschio femmina spicole lobo ghiandolar e esofageoCaratteri morfometrici di 1° c oda del l a fe m m i n a Pratylenchus penetrans: gonade spermateca c oda del m as c hi o branca post-uterina numero di annuli labiali: 3 lunghezza totale : 450-700 µm lunghezza stiletto : 15-17 µm 75-84 23°ann. posiz. % della vulva : lungh.branca post-uterina: 1-1,5 il diam. corpo alla vulva distanza estr. ant.-poro escr.: 74-101 µm n. di annuli ventr. della coda: 15-27 estremità della coda: liscia ano Tanto le larve quanto gli adulti del nematode migrano all’interno del parenchima corticale radice sana radice infetta Tipiche lesioni necrotiche sulla superficie delle radici causate dalla azione trofica del nematode. causando cavità, che portano ad imbrunimenti, fino alla necrosi dei tessuti. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 3.2.Tylenchulus semipenetrans (Tav. XII) Premessa La distribuzione geografica di questa specie coincide con la distribuzione della coltura di agrumi sia in Italia che nel resto del mondo. Inquadramento tassonomico Famiglia Genere Specie Tylenchulus semipenetrans, (Cobb, 1913) Modalità di diffusione Come tutti i nematodi, la diffusione avviene attraverso attrezzi da taglio, acqua e materiale di propagazione. Distribuzione geografica: il nematode è strettamente legato alla presenza della specie ospite. Piante ospiti L’ospite principale di questa specie è il genere Citrus spp., anche se particolari biotipi di questa specie possono infettare altri generi non appartenenti alla famiglia delle Rutaceae. Vitis sp. e Diospyros lotus sono stati rinvenuti come ospiti nell’area Mediterranea. Sintomatologia Le femmine adulte di questa specie sono parassiti obbligati che si nutrono della parte corticale della radice in posizione semiendo-parassitica. Il sito di alimentazione di questa specie è costituito da 4-5 cellule “nutrici”, molto specializzate, ad intensa attività metabolica. Non si presentano alterazioni esterne alla radice. Danni Modificazioni anatomiche a carico dei tessuti corticali della radice. Diagnosi Identificazione a livello specifico basata sulla morfo-anatomia che esamina una serie di parametri specifici sia degli stadi larvali che di esemplari adulti. Lotta Lotta preventiva con la preparazione di piante non infette utilizzando terricci e piante. Norme fitosanitarie Analisi nematologiche preventive e l’uso di materiale esente da nematodi sono le norme base per la riuscita di un nuovo impianto. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 TAVOLA XII Tylenchulus semipenetrans B Femmina matura, con la metà posteriore del corpo sporgente all’esterno della radice A 1) stadio infettivo 2) femmina immatura 3) femmina matura Reazione, a livello istologico, di radice di agrume all’attacco del nematode semiendo-parassita Tylenchulus semipenetrans cellule nutrici nematode Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 3.3. Meloidogyne arenaria (Tav. XIII) Premessa Tra i nematodi fitopararssiti che attaccano le piante da frutto quelli appartenenti al genere Meloidogyne sono certamente i più dannosi. I loro attacchi alle piante in vivaio compromettono sicuramente il buon esito di nuovi impianti mentre in pieno campo ne compromettono la produttività. Inquadramento tassonomico Famiglia Genere Specie Meloidogyne Meloidogyne arenaria, (Neal, 1889) Chitwood, 1949. Modalità di diffusione Come tutti i nematodi, la diffusione avviene attraverso attrezzi da taglio, acqua e materiale di propagazione. Distribuzione geografica: il nematode è strettamente legato alla presenza della specie ospite. Piante ospiti Olivo e drupacee sono gli ospiti che risentono maggiormente degli attacchi dei nematodi “galligeni”; in misura minore la vite. Sintomatologia Il sintomo più caratteristico si manifesta a carico dell’apparato radicale che si mostra nel complesso molto ridotto, con caratteristici rigonfiamenti (“galle”) indotti dall’azione trofica del nematode. Danni Le piante attaccate fioritura ridotta. manifestano crescita stentata della parte aerea, ingiallimenti diffusi e Diagnosi Identificazione a livello specifico basata sulla morfo-anatomia che esamina una serie di parametri specifici sia di stadi larvali che di adulti. Lotta Disinfestazioni del terreno con mezzi chimici, fisici ed agronomici. Norme fitosanitarie Analisi nematologiche in pre-trapianto e l’uso di materiale esente da nematodi sono le norme base per la riuscita di un nuovo impianto. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 TAVOLA XIII Meloidogyne arenaria larva di 2a età maschio A B D stiletto A) regione esofage a B) regione cefalica C C) coda D) regione cefalica E) regione caudale spicole E femmina G I ano poro escretore F J regione perineale H campi laterali vulva F) regione anteriore G) disegno schematico della regione cefalica H) femmina globosa I) regione perineale J) Apparato radicale di una drupacea fortemente deformato dagli attacchi del nematode Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 3.4. Meloidogyne incognita (Tav. XIV) Premessa Questa specie è cosmopolita e riveste notevole importanza economica per numerose colture in climi tropicali e/o subtropicali. Numerosi sono gli ospiti erbacei e molto evidenti sono le deformazioni dell’apparato radicale sulle piante ospiti. Inquadramento tassonomico Famiglia Genere Specie Meloidogyne Meloidogyne incognita (Kofoid & White, 1919) Chitwood, 1949 Modalità di diffusione Come tutti i nematodi, la diffusione avviene attraverso attrezzi da taglio, acqua e materiale di propagazione. Distribuzione geografica: il nematode è strettamente legato alla presenza della specie ospite. Piante ospiti Tra le piante da frutto, olivo e drupacee sono gli ospiti che risentono maggiormente degli attacchi di questa specie, anche la vite, sebbene in misura minore, risulta essere colpita da questa specie. Sintomatologia Il sintomo più evidente e facilmente verificabile si manifesta a carico dell’apparato radicale della pianta ospite che si mostra nel complesso molto ridotto e deformato dai caratteristici rigonfiamenti (“galle”) indotti dall’azione trofica del nematode. Cellule nutrici ipertrofiche, in prossimità dell’estremità anteriore del nematode, caratterizzano i siti di alimentazione. Danni Le piante attaccate manifestano crescita stentata della parte aerea, ingiallimenti diffusi e fioritura ridotta. Diagnosi Identificazione, a livello specifico, basata sulla morfo-anatomia (illustrata in questa scheda), che utilizza una serie di parametri specifici rilevati su larve e adulti. Lotta Disinfestazione del terreno con mezzi fisici, chimici ed agronomici. Norme fitosanitarie Analisi nematologiche in pre-impianto, mantenimento in sanità delle piante in vivaio e uso di materiale sano per la propagazione. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 TAVOLA XIV Tav. XIV Meloidogyne incognita A larve infettive maschio femmina maschi o In muta • Stadi vitali; B,C) Porzione anteriore e posteriore del corpo del maschio; D) Estremità anteriore della femmina; E) Impronta perineale della femmina (principale carattere diagnostico); F) Radici di mandorlo mostranti vistose galle; G) Femmina perlacea sacciforme conficcata in radice di vite; H) Alterazioni anatomiche B C F G D E H Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 3.5. Meloidogyne javanica (Tav. XV) Premessa Questa specie cosmopolita, risulta essere distribuita largamente in climi tropicali e/o subtropicali. Numerosi sono gli ospiti erbacei ed arborei e molto evidenti sono le deformazioni dell’apparato radicale delle piante ospiti. Inquadramento tassonomico Famiglia Genere Specie Meloidogyne Meloidogyne javanica, (Treub,1885) Chitwood, 1949 Modalità di diffusione Come tutti i nematodi, la diffusione avviene attraverso attrezzi da taglio, acqua e materiale di propagazione. Distribuzione geografica: il nematode è strettamente legato alla presenza della specie ospite. Piante ospiti Tra le piante da frutto, olivo e drupacee sono ospiti che risentono maggiormente degli attacchi di questa specie, anche la vite, sebbene in misura minore, risulta essere colpita da questa specie. Sintomatologia Il sintomo più evidente e facilmente verificabile si manifesta a carico dell’apparato radicale della pianta ospite che si mostra nel complesso molto ridotto e deformato dai caratteristici rigonfiamenti (“galle”) indotti dall’azione trofica del nematode. Cellule nutrici ipertrofiche, in prossimità dell’estremità anteriore del nematode, caratterizzano i siti di alimentazione. Danni Le piante attaccate manifestano crescita stentata della parte aerea, ingiallimenti diffusi e fioritura ridotta. Diagnosi Identificazione a livello specifico basata sulla morfo-anatomia illustrata in questa scheda, si basa su una serie di parametri specifici di larve e adulti. Lotta Disinfestazione del terreno con mezzi fisici, chimici ed agronomici. Norme fitosanitarie Analisi nematologiche in pre-impianto, mantenimento in sanità delle piante in vivaio e uso di materiale sano per la propagazione. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 TAVOLA XV Meloidogyne javanica A • • • • • Radice di olivo mostrante vistose deformazioni. Femmina del nematode (N) conficcata nei tessuti radicali. Femmina intera. Regione perineale (principale carattere diagnostico). Sito di alimentazione. B C campi laterali cellule nutrici nematode D E Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 3.6. Xiphinema diversicaudatum (Tav. XVI) Premessa Simile ad altre specie del genere Xiphinema, Xiphinema diversicaudatum è una specie ectoparassita radicale. Inquadramento tassonomico Famiglia Genere Specie Xiphinema Xiphinema diversicaudatum, (Micoletzky, 1927) Thorne, 1939 Modalità di diffusione Come tutti i nematodi, la diffusione avviene attraverso attrezzi da taglio, acqua e materiale di propagazione. Distribuzione geografica: il nematode è strettamente legato alla presenza della specie ospite. Piante ospiti In generale, sono ospiti preferenziali di questa specie diverse popolazioni più numerose si riscontrano su ospiti erbacei. piante arboree, sebbene le Sintomatologia Spesso gli apici radicali delle piante ospiti attaccate da questa specie risultano ispessite, e nelle radici capillari lo stiletto molto lungo può causare necrosi locali al punto di penetrazione. Danni Questa specie è in grado di trasmettere principalmente le seguenti malattie virali: -Arabis mosaic virus (AMV). -Srawberry latent ringspot virus (SRLV). Diagnosi Identificazione a livello di specie, che si basa sulla misurazione di una serie di parametri morfo anatomici specifici (illustrati in questa scheda) di esemplari adulti. Lotta Disinfestazione del terreno con mezzi fisici, chimici ed agronomici. Norme fitosanitarie Analisi nematologiche degli appezzamenti destinati a campi di piante madri di olivo. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 TAVOLA XVI Xiphinema diversicaudatum Caratteri morfometrici di Xiphinema diversicaudatu m lunghezza totale : 4.0-5.5 (4.9) mm odontostilo : 130157(153) µm odontoforo : 70-97 (85) µm posiz.% della vulva: 39-46 (43) mucrone : 12 µm • • • • Estremità anteriore del corpo della femmina; Estremità cefalica della femmina; Corpo della femmina intero mostrante la ‘postura’; Apparato riproduttore posteriore della femmina; E-G) Coda della femmina; H-I) Coda del maschio; J) ‘Organo-Z’ con corpi globulari al suo interno. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 3.7. Pratylenchus vulnus (Tav. XVII) Premessa I nematodi delle lesioni seguono in ordine di importanza economica quelli galligeni e cisticoli e sono causa di forti perdite di produzione a livello mondiale, fino al 15-18% della produzione annua. La loro vasta diffusione e gamma di ospiti (piante erbacee e arboree) rende indispensabile il loro riconoscimento a livello di specie, per predisporre un preciso programma di norme fitosanitarie, in particolar modo nei vivai di fruttiferi. Inquadramento tassonomico Famiglia Genere Specie Pratylenchus Pratylenchus vulnus, Allen & Jensen, 1951 Modalità di diffusione Come tutti i nematodi, la diffusione avviene attraverso attrezzi da taglio, acqua e materiale di propagazione. Distribuzione geografica: il nematode è strettamente legato alla presenza della specie ospite. Piante ospiti Pratylenchus vulnus è essenzialmente parassita di piante arboree, ma invade anche le radici di numerose piante erbacee. Olivo, vite e drupacee sono buoni ospiti di questa specie (endoparassita migratore). Sintomatologia Parassita obbligato, migra all’interno delle radici e si nutre a spese dei tessuti corticali, ove si riproduce, inducendo all’interno della radice stessa lesioni e necrosi nei siti di alimentazione, interessando diversi strati cellulari. Danni I danni provocati dalle infezioni di questa specie consistono in estese necrosi radicali con perdita della funzionalità della radice stessa, che porta a sintomi evidenti di crescita stentata a carico della parte epigea della pianta, e ad ingiallimenti diffusi. Diagnosi Identificazione a livello specifico basata sulla morfologia, che esamina una serie di parametri biometrici rilevati su esemplari di adulti (femmine e maschi). Lotta Sono indispensabili la disinfestazione del terreno (con mezzi chimici e fisici) e l’eliminazione delle erbe infestanti in vivaio, per mantenere bassi livelli di popolazione del parassita. Norme fitosanitarie Analisi nematologiche di pre-impianto (su terreno e radici) e l’uso di materiale esente da nematodi sono le norme base per una buona riuscita di nuovi impianti colturali. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 TAVOLA XVII Pratylenchus vulnus A B C E Caratteri morfometrici di Pratylenchus vulnus: numero di annuli labiali: 3 lunghezza totale : 460-910 µm lunghezza stiletto : 16-18 µm posiz. % della vulva : 78-84 lungh.branca post-uterina: 2,52,7 il diam. corpo alla vulva estremità della coda: conica-liscia D Esemplari del nematode (N) nei tessuti corticali di una radice di olivo A: Femmina intera; B: Regione esofagea della femmina; C: Regione cefalica della femmina; D: coda della femmina; • Necrosi e lesioni su radici di pesco Particolare del sito di • alimentazione Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 4. VIRUS ED AGENTI VIRUS-SIMILI 4.1. Virus della maculatura clorotica fogliare del melo (Tav. XVIII) Inquadramento tassonomico Famiglia Genere Specie Acronimo Trichovirus Apple chlorotic leaf spot virus ACLSV Malattia/Avversità Alcuni isolati inducono malattie severe sulle drupacee quali la butteratura o la falsa sharka su susino e albicocco, le fessurazioni della corteccia del susino, e soprattutto, incompatibilità d’innesto. Distribuzione geografica ACLSV è un virus segnalato dappertutto dove sono coltivate le drupacee, anche se meno frequente di PNRSV e PDV. Modalità di diffusione Il virus si trasmette per moltiplicazione vegetativa del materiale infetto e per innesto. Finora non è stato riportato nessun vettore naturale del virus. Piante ospiti Le specie coltivate delle Prunoidee e delle Pomoidee (melo, pero e cotogno), nonché molte specie ornamentali della famiglia Rosacee. Sulle drupacee si trova più frequentemente su pesco e albicocco. Sintomatologia sugli ospiti naturali Molti isolati di ACLSV sono spesso latenti sulle drupacee, mentre alcuni di loro sono particolarmente virulenti. La sintomatologia può aggravarsi in presenza di altri virus e predisporre gli alberi a stress nutrizionali. Albicocco: i ceppi latenti di ACLSV possono causare l’incompatibilità d’innesto in alcune varietà di albicocco immuni al virus (Luizet Bergeron ecc.). Quando queste varietà si innestano su portinnesti infetti, il nesto non attecchisce oppure si distacca subito dopo a seguito della formazione di una “brown line” al punto d’innesto. Alcuni ceppi virulenti causano su alcune varietà suscettibili la cosiddetta “falsa sharka”, con sintomi di malformazioni, infossature e depressioni sull’epicarpo, distribuiti in maniera irregolare, principalmente in prossimità della sutura della drupa. L’epidermide ed i tessuti sottostanti le aree depresse sono imbruniti e induriti. In prossimità della maturazione l’epidermide assume una colorazione rossastra. La malattia si presenta sulla pianta in modo non uniforme ma, in genere, è caratterizzata dalla comparsa di numerosi frutti alterati. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Susino: anche in queste specie alcuni isolati causano la “falsa sharka” con la comparsa di infossature o da tacche irregolari depresse e irregolarmente distribuite sulla superficie della frutta, mentre il mesocarpo sottostante risulta imbrunito. A differenza di PPV non si ha la cascola anticipata dei frutti. Talora alcune foglie in primavera presentano una debole maculatura clorotica a sviluppo tendenzialmente anulare o irregolare. Alcuni isolati sono stati associati anche a fessurazioni della corteccia del susino europeo. L’affezione evidenzia inizialmente macule corticali, leggermente depresse, sulla superficie del tronco e delle branche, che evolvono in fessurazioni e spaccature della corteccia. La pianta infetta mostra una chioma sofferente, con sensibile riduzione dello sviluppo e della fruttificazione. Pesco: la maggior parte delle varietà sono infette in maniera latente, mentre in alcune suscettibili si evidenziano maculature verdastre delle foglie. Diagnosi Trasmissione meccanica a C. quinoa e N. occidentalis ed ELISA, su foglie giovani e/o fiori campionati in campo nei primi stadi vegetativi, oppure su germogli di talee forzate in serra; RT-PCR anche su floema di talee lignificate; saggio biologico sugli indicatori Prunus persica cv. GF305 e P. tomentosa. Lotta: impiego di materiale di propagazione certificato. Punti critici Per i vivaisti: marze e/o espianti da piante madri esenti da sintomi di mosaico (il controllo non è necessario per le piante portasemi). Per gli agricoltori: realizzazione dei nuovi impianti con materiali di propagazione certificati. Consigli pratici Agricoltori: utilizzare materiale di propagazione certificato; evitare l’utilizzo di marze o astoni di dubbia origine. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 TAVOLA XVIII 1 2 3 4 5 Fig. 1 – Particelle di ACLSV osservate al microscopio elettronico. Fig. 2 – Maculature clorotiche lineari su foglie di susino con ACLSV. Fig. 3 – Maculature anulari clorotiche su foglia di ciliegio indotta da ACLSV. Fig. 4 – Anulature e rotture di colore dell’epicarpo di ciliegie con ACLSV. Fig. 5 – Anulature rossastre sull’epicarpo di albicocche infette dal virus della maculatura clorotica fogliare del melo. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 4.2. Virus del mosaico del melo (Tav. XIX) Inquadramento tassonomico Famiglia Genere Specie Acronimo Bromoviridae Ilarvirus Apple mosaic virus ApMV Malattia/Avversità: Mosaico Distribuzione geografica ApMV è stato segnalato in quasi tutte le aree di coltivazione delle drupacee, con incidenze generalmente modeste, tranne poche eccezioni quali, ad esempio, il mandorlo in Italia meridionale dove, nei vecchi impianti, si ritrova con percentuali d’infezione particolarmente elevate, a volte anche del 100%. Modalità di diffusione Come tutti i virus, ApMV si trasmette attraverso il materiale di propagazione agamica. Non sono note altre modalità di trasmissione. Piante ospiti Può infettare la maggior parte dei Prunus e delle pomacee. Inoltre, si trova in infezioni naturali su nocciolo, fragola, Rubus spp., lupino, ecc. Sintomatologia sugli ospiti naturali ed eventuali sintomi specifici Le piante infette presentano vistose maculature anulari o lineari e/o picchiettature di colore giallo cromo nei mesi primaverili. Col progredire della stagione le aree cromatiche possono assumere la colorazione normale o virare verso una tonalità biancastra, che permane fino alla caduta delle foglie. Su mandorlo sono stati descritti alcuni isolati in grado di causare necrosi delle gemme con una riduzione fino al 20% della produzione. Diagnosi Trasmissione meccanica a C. sativus ed ELISA, su foglie giovani e/o fiori campionati in campo nei primi stadi vegetativi, oppure su germogli di talee forzate in serra; RT-PCR anche su floema di talee lignificate; saggio biologico sull’indicatore P. persica cv. GF 305. Lotta: impiego di materiale di propagazione certificato. Punti critici Per i vivaisti: marze e/o espianti da piante madri esenti da sintomi di mosaico (il controllo non è necessario per le piante portasemi). Per gli agricoltori: realizzazione dei nuovi impianti con materiali di propagazione certificati. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Consigli pratici Agricoltori: utilizzare materiale di propagazione certificato; evitare l’utilizzo di marze o astoni di dubbia origine. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 TAVOLA XIX 1 2 3 4 Fig. 1 – Giallume diffuso su foglie di pesco causato da ApMV. Fig. 2 – Mosaico giallo diffuso su foglie di mandorlo causato da ApMV. Fig. 3 – Maculature lineari gialle su foglie di ciliegio infette da ApMV. Fig. 4 – Mosaico giallo su foglie di albicocco con ApMV. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 3.3. Virus del nanismo del susino (Tav. XX) Inquadramento tassonomico Famiglia Genere Specie Acronimo Bromoviridae Ilarvirus Prune dwarf virus PDV Malattia/Avversità Nanismo del susino. Oltre ad alterazioni fogliari di vario tipo il virus induce riduzioni di sviluppo ed, in alcuni casi, fenomeni di nanismo, soprattutto su pesco e susino. Distribuzione geografica PDV è presente in tutte le aree dove sono coltivate le specie del genere Prunus. Modalità di diffusione Oltre che, come tutti i virus, attraverso il materiale di propagazione agamica, PDV si trasmette anche per seme e per polline. In P. mahaleb, in Puglia, sono stati accertati valori medi di trasmissione per seme del 40%, con punte superiori anche al 50%. Piante ospiti Tutte le specie del genere Prunus, in particolare il ciliegio dolce, il ciliegio acido e susino, sono ospiti di PDV. Sintomatologia sugli ospiti naturali I sintomi possono interessare i diversi organi della pianta e sono caratterizzati da alterazioni di colore e da malformazioni. Sulle giovani foglie si possono osservare maculature clorotiche e/o gialle, anulari e/o lineari, che con l’innalzamento della temperatura tendono ad attenuarsi. Sui frutti, in alcuni casi, in prossimità dell’invaiatura si rilevano anulature o macchie rossastre. Molto frequentemente le alterazioni cromatiche sono accompagnate da malformazioni delle foglie (asimmetria, bollosità, enazioni, ecc.), dei rami (internodi raccorciati, rosette e, in taluni casi, fasciazioni e biforcazioni) e del tronco (butteratura del legno e differenza di diametro tra nesto e portinnesto). Le piante con malformazioni sono meno vigorose e col passare degli anni si presentano sempre più sofferenti (clorosi diffusa, rami secchi, accecamento delle gemme, gommosi, ecc.) con riflessi negativi sulla produzione. I danni in vivaio, che si manifestano con il mancato attecchimento degli innesti, il nanismo o lo scarso sviluppo degli astoni, in molti casi assumono grande rilevanza. Diagnosi Trasmissione meccanica a C. sativus ed ELISA, su foglie giovani e/o fiori campionati in campo nei primi stadi vegetativi, oppure su germogli di talee forzate in serra; RT-PCR anche su floema di talee lignificate; saggio biologico sugli indicatori Prunus serrulata cv. Shirofugen e P. persica cv. GF 305. Lotta Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Impiego di materiale di propagazione di categoria C.A.C. o superiore. L’eventuale produzione di portinnesti da seme deve prevedere l’utilizzo di piante portaseme esenti da PDV. Punti critici Per i vivaisti: materiali di moltiplicazione (semi e marze) da piante madri esenti da PDV in seguito ad accertamenti mediante saggi di laboratorio ed allevate in aree distanti da insediamenti commerciali o spontanei di Prunus (600 metri per i campi di piante madri portaseme di ciliegio e magaleppo, 100 metri per le altre specie ed in generale per le piante portamarze). Per gli agricoltori: realizzazione dei nuovi impianti con materiali di propagazione garantiti esenti dal virus. Consigli pratici Agricoltori: utilizzare materiale di propagazione certificato; evitare l’utilizzo di marze, astoni e semi di dubbia origine. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 TAVOLA XX 1 2 34 5 Fig. 1 – Riduzione di sviluppo di astoni di ciliegio infetto da PDV (pianta a sinistra) in vivaio. Fig. 2 – Maculature clorotiche anulari su foglie di ciliegio infetto da PDV. Fig. 3 – Rosette indotte da PDV su germogli di pesco. Fig. 4 – Maculature puntiformi e malformazioni su Prunus mahaleb indotte da PDV. Fig. 5 – Maculature rossastre su ciliegie all’invaiatura infette da PDV. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 3.4. Virus della maculatura anulare necrotica dei Prunus (Tav. XXI) Inquadramento tassonomico Famiglia Genere Specie Acronimo Bromoviridae Ilarvirus Prunus necrotic ringspot virus PNRSV Malattia/Avversità Isolati diversi del virus causano importanti malattie sulle drupacee, quali: maculatura necrotica, “tatterleaf” del ciliegio, mosaico rugoso del ciliegio, maculatura anulare del pesco, calico del mandorlo, ecc. Distribuzione geografica: PNRSV è presente ovunque siano coltivate le drupacee. Modalità di diffusione Oltre che, come tutti i virus, attraverso il materiale di propagazione agamica, PNRSV si trasmette, con tassi relativamente bassi, anche per seme e per polline. E’ stato segnalato un tasso di trasmissione per seme di pesco di circa 5-8%. Piante ospiti Può infettare tutte le specie di Prunus coltivate e gran parte di quelle spontanee. Inoltre, infetta naturalmente anche la rosa ed il luppolo. Sintomatologia sugli ospiti naturali I sintomi variano notevolmente in relazione alla virulenza del ceppo, alla cultivar e alle condizioni climatiche. Le piante affette da maculatura necrotica presentano generalmente un ritardo nella ripresa vegetativa, sterilità, malformazioni dei sepali e dei petali, foglie più piccole con maculature clorotiche primaverili che tendono a necrotizzare, tessuti che si distaccano, conferendo alle foglie un aspetto bucherellato. In alcuni casi le necrosi possono interessare l’intera lamina fogliare. Particolarmente importanti sono i danni causati da PNRSV in vivaio, sia per le basse percentuali di attecchimento, sia per lo scarso sviluppo delle piante. La presenza di PNRSV è stata riscontrata anche in piante che manifestavano sintomi di maculatura anulare clorotica, maculatura lineare, mosaico lineare e rugoso, necrosi dei frutti. Diagnosi Trasmissione meccanica a C. sativus ed ELISA, su foglie giovani e/o fiori campionati in campo nei primi stadi vegetativi, oppure su germogli di talee forzate in serra; RT-PCR anche su floema di talee lignificate; saggio biologico sugli indicatori Prunus serrulata cv. Shirofugen e P. persica cv. GF 305. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Lotta Impiego di materiale di propagazione di categoria C.A.C. o superiore. L’eventuale produzione di portinnesti da seme deve prevedere l’utilizzo di piante portaseme esenti da PNRSV. Punti critici Per i vivaisti: materiali di moltiplicazione (semi e marze) da piante madri esenti da PNRSV in seguito ad accertamenti mediante saggi di laboratorio ed allevate in aree distanti da insediamenti commerciali o spontanei di Prunus (600 metri per i campi di piante madri portaseme di ciliegio e magaleppo, 100 metri per le altre specie ed in generale per le piante portamarze). Per gli agricoltori: realizzazione dei nuovi impianti con materiali di propagazione garantiti esenti dal virus. Consigli pratici Agricoltori: utilizzare materiale di propagazione certificato; evitare l’utilizzo di marze, astoni e semi di dubbia origine. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 TAVOLA XXI 1 2 3 4 5 6 Fig. 1 - Mosaico e necrosi puntiformi su lamine fogliari, in albicocco infetto dal virus della maculatura anulare necrotica dei Prunus. Fig. 2 – Maculature anulari clorotiche e necrotiche con distacco di tessuto su foglie di albicocco infette da PNRSV. Fig. 3 – Maculature necrotiche con distacco di tessuti su foglie di ciliegio infetto da PNRSV. Fig. 4 – Maculature anulari su foglie di Prunus mahaleb infetto da PNRSV. Fig. 5 – Malformazione di petali e sepali con contemporanea presenza di fiori e frutti. Fig. 6 – Fessurazioni su frutto di albicocco infetto da PNRSV. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 3.5. Virus della vaiolatura del susino (Tav. XXII) Inquadramento tassonomico Famiglia Genere Specie Acronimo Potyviridae Potyvirus Plum pox virus PPV Malattia/Avversità Vaiolatura delle drupacee o Sharka. È la malattia da virus più dannosa per le drupacee Distribuzione geografica: Paesi Europei, Bacino del Mediterraneo, USA, Canada, Cile, India Modalità di diffusione Oltre che con il materiale di propagazione agamico infetto, PPV viene trasmesso per afidi (Mizus persicae, Phorodon hulmi, etc) in maniera non persistente. Piante ospiti Può infettare tutte le specie di Prunus coltivate (principalmente susino, pesco e albicocco) e gran parte di quelle spontanee. Sintomatologia sugli ospiti naturali Sintomatologie aspecifiche: rotture di colore sui petali di alcune varietà di pesco; foglie con maculature anulari e/o con forme sinuose a fiamma sulle nervature secondarie e terziarie, cui talvolta può seguire la deformazione della lamina; anulature clorotiche; butteratura e deformazione dei frutti (principalmente su albicocco e susino); maculature anulari e rotture di colore dell’epicarco (principalmente su pesco); cascola precoce; riduzione dello sviluppo vegetativo e decremento delle produzione. I sintomi sono spesso caratterizzati da distribuzione irregolare, talvolta limitata a porzioni ridotte della chioma. Sintomatologie specifiche: tacche anulari di colore chiaro, che persistono anche all’abrasione (es. utilizzando le unghie) della superficie, sui noccioli di albicocco. Diagnosi Saggio biologico su Prunus persica cv. GF 305 ed Elberta; ELISA; amplificazione genica (RTPCR ed IC-RT-PCR). Lotta Impiego di materiale di propagazione sano; produzione di materiale di propagazione in areali esenti da focolai di sharka; monitoraggio periodico delle aree di coltivazione delle specie suscettibili ed eradicazione tempestiva di focolai d’infezione; attuazione delle norme contenute nel Decreto di lotta obbligatoria contro il virus della “Vaiolatura delle Drupacee” (D.M. del 29/11/1996). Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Punti critici Per i vivaisti: impiego esclusivo di materiali di moltiplicazione da piante madri risultate esenti da PPV in seguito ad accertamenti mediante esame visivo, saggi di laboratorio e saggi biologici. Ubicazione dei campi di piante madri e dei vivai in comprensori esenti da Sharka. Per gli agricoltori: realizzazione dei nuovi impianti con materiali di propagazione garantiti esenti dal virus. Immediata segnalazione di piante sospette alle Istituzioni preposte al controllo fitosanitario. Consigli pratici Agricoltori: utilizzare materiale di propagazione certificato; evitare l’utilizzo di marze ed astoni di dubbia origine. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 TAVOLA XXII 1 3 4 2 5 6 7 Fig. 1 - Rotture di colore su petali di pesco indotte da PPV. Fig. 2 – Maculature clorotiche anulari e a “fiamma” a ridosso delle nervature secondarie e terziarie di foglie di albicocco infetto da PPV. Fig. 3 – Maculature anulari clorotiche su foglia di susino con PPV. Fig. 4 – Butteratura di frutti di albicocco infetti da Sharka. Fig. 5 –Maculature anulari clorotiche su frutto di pesco con PPV. Fig. 6 – Deformazione dei frutti di susino cui corrispondono impregnazione di gomma al mesocarpo indotte da PPV. Fig. 7 – Tacche anulari giallastre su nocciolo di albicocco infetto da Sharka. Questo sintomo specifico ha un elevato valore diagnostico. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Presentazione dei poster riguardanti la messa a punto e validazione di protocolli di monitoraggio, di campionamento, di diagnosi, produzione e standardizzazione di reagenti per corredi diagnostici, ecc. B. Di Terlizzi Istituto Agronomico Mediterraneo, Valenzano (Ba) Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Uso della Scorpion-PCR nella diagnosi di Rosellinia necatrix, agente del marciume radicale lanoso Schena L, Ippolito A, Nigro F, Romanazzi G, Murolo S, Ligorio A e Salerno M. Dipartimento di Protezione delle Piante e Microbiologia Applicata, Università degli Studi di Bari. RIASSUNTO Numerosi primer sono stati disegnati sulla base della sequenza genica delle regioni ITS dei geni ribosomiali di R. necatrix per sviluppare una tecnica d’identificazione basata sulla reazione a catena della polimerasi (PCR). Lo screening dei primer per la specificità ha consentito l’individuazione di due coppie di primer, R2-R8 e R10-R7, amplificanti frammenti rispettivamente di 112 e 493 bp solo da R. necatrix (72 isolati) e non da 99 altri isolati di funghi prevalentemente ottenuti da terreno e comprendenti anche 6 diverse specie di Rosellinia. Il primer R10 è stato modificato per ottenere un primer Scorpion che consente l’identificazione dell’amplificato in tempo reale attraverso l’emissione di un segnale fluorescente. Il primer R10 Scorpion in coppia con quello R7 ha consentito l’identificazione di R. necatrix e la sua differenziazione da tutte le altre specie fungine analizzate. E’ stata sviluppata una procedura veloce e semplice per l’estrazione di DNA direttamente da matrice infetta (radici, corteccia, terreno) che ha consentito l’ottenimento di DNA sufficientemente pulito nell’arco di poche ore. Combinando i protocolli di estrazione con una doppia amplificazione con i primer R2-R8 e R10 Scorpion-R7 (nested Scorpion-PCR) è stato possibile diagnosticare in tempo reale R. necatrix in terreni e su radici di magaleppo artificialmente inoculati nonché su corteccia di melo naturalmente infetta. SUMMARY Several polymerase chain reaction (PCR) primers were designed from the internal transcribed space (ITS) regions of the rDNA genes of Rosellinia necatrix to develop a PCR-based identification method. Screening the primers against 72 isolates of R. necatrix and 93 other fungi from different hosts and geographic areas enabled the identification of two primer pairs, R2-R8 and R10-R7, specific for R. necatrix, amplifying two DNA fragments of 419 and 112 bp, respectively. R10 primer was modified to obtain a Scorpion primer for detecting a specific 112 bp amplicon by fluorescence emitted from a fluorophore through a self-probing PCR assay. This assay specifically recognised the target sequence of R. necatrix over a large number of other fungal species. A simple and rapid procedure for direct DNA extraction from soil, roots, and bark was developed to yield DNA of purity and quality suitable for PCR assays. Combining this protocols with a double amplification with primer R2-R8 and R10 Scorpion-R7 (nested Scorpion-PCR) it has been possible the real time detection of R. necatrix in artificially inoculated soils and roots of mahaleb cherry and on naturally infected bark of apples. INTRODUZIONE Il marciume radicale lanoso causato da Rosellinia necatrix Prill. è diffuso e grave soprattutto in Europa, ma è presente anche in Israele, Giappone, India ed Iran. R. necatrix è un patogeno polifago che attacca piante legnose da frutto e forestali, nonché piante arbustive ed erbacee (Guillaumin, 1988). Le Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 piante colpite manifestano una generale sofferenza e vanno incontro a progressivo deperimento fino alla morte (Sztejnberg et al., 1987). Recenti osservazioni di campo hanno evidenziato un incremento della malattia nell’Italia meridionale dove colture molto suscettibili, come mandorlo, pesco, ciliegio, ecc., sono spesso coltivate in consociazione o in stretta successione. La lotta contro il marciume radicale lanoso è sostanzialmente di tipo preventivo e si basa sull’utilizzazione di materiale di propagazione sano e di terreni non infestati dal patogeno. Al presente, non sono disponibili tecniche di diagnosi rapide e sicure per R. necatrix; il suo isolamento non è semplice da radici infette ed è in pratica impossibile da terreno, a causa della mancanza di specifici substrati selettivi. L’uso di trappole, come ad es. dischetti di foglie di avocado, può consentire la diagnosi del patogeno nel terreno (Sztejnberg et al., 1987), ma richiede tempi lunghi e l’esito è spesso incerto. Recentemente sono state sviluppate tecniche di diagnosi basate sulla reazione a catena della polimerasi (PCR), ma non sono disponibili primer specifici per R. necatrix. Inoltre, l’uso della PCR su larga scala è fortemente frenato da operazioni di postamplificazione, come ad es. elettroforesi e colorazione degli acidi nucleici con bromuro di etidio, che la rendono laboriosa e pericolosa per gli operatori. Gran parte degli inconvenienti della PCR tradizionale possono essere superati con tecniche di PCR che consentono l'identificazione dell’amplificato in tempo reale attraverso l’emissione di un segnale fluorescente (Taqman, molecular beacons e Scorpion-PCR) (Finetti e Gallitelli, 2001). In particolare, la Scorpion-PCR (Whitcombe et al., 1999), basata su una reazione unimolecolare, è favorita dal punto di vista cinetico e termodinamico ed è più rapida e sensibile dei metodi bimolecolari (Molecular Beacons e Taq-Man) (Thelwell et al., 2000; Finetti e Gallitelli, 2001). Essa è stata già utilizzata in patologia vegetale per il monitoraggio di un microrganismo agente di lotta biologica (Schena et al., 2000 e 2001) oltre che per la diagnosi di funghi (Ippolito et al., 2000) e di virus fitopatogeni (Finetti et al., 2000). Nel presente lavoro sono stati definiti primer specifici per l’identificazione e la diagnosi di R. necatrix. Questi primer hanno consentito la diagnosi del patogeno direttamente in matrice infetta (radici, corteccia, terreno), sia mediante PCR convenzionale sia mediante PCR in tempo reale. MATERIALI E METODI Individuazione e saggio di primer specifici. Numerose coppie di primer potenzialmente specifiche per R. necatrix (Tab. 1) sono state definite sulla base dei geni delle regioni ITS1 e ITS2 (internal transcribed spacer regions) dei geni codificanti l'RNA ribosomiale. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Tabella 1. Coppie di primer utilizzati per l’identificazione di R. necatrix, frammento amplificato e specificità Primer R1-R7 R1-R8 R1-R11 R2-R7 R2-R8 R2-R11 R3-R7 R3-R8 R3-R11 R5-R7 R5-R8 Frammento 450 BP 501 bp 453 bp 442 bp 493 bp 445 bp 390 bp 441 bp 393 bp 331 bp 382 bp R5-R11 R10-R7 334 bp 112 bp Specificità R. necatrix R. necatrix R. necatrix, R. mammiformis R. necatrix R. necatrix R. necatrix R. necatrix R. necatrix R. necatrix R. necatrix R. necatrix, R. limoniispora, R. mammiformis, R. filigrana, R. reticulispora R. necatrix, R. filigrana R. necatrix Le sequenze dei geni ITS1 e ITS2 di R. necatrix, R. arcuata, R. quercina e R. pepo sono state allineate con l'ausilio del programma "Clustalw" (EMBL, European Bioinformatics Institute) e le regioni geniche uniche di R. necatrix utilizzate per disegnare primer specifici. La specificità di tutti i primer è stata valutata utilizzando DNA estratto da 93 isolati fungini ottenuti da diversi generi e specie, sei differenti specie di Rosellinia (R. aquila, R. limonispora, R. mammiformis, R. miligrana, R. reticulispora e R. sanguinolenta) e 72 diversi isolati di R. necatrix, comprendenti sia ceppi italiani sia isolati provenienti da Paesi Bassi, Argentina, Spagna e Israele. Per l’estrazione del DNA i funghi sono stati allevati in capsule Petri contenenti agar malto (AM) ricoperto con un foglio di cellophane per prevenirne la crescita nel substrato e favorire la raccolta del micelio. Cinque milligrammi di micelio sono stati sospesi in 400 µl di tampone di rottura (Hoffman and Winston, 1987) ed estratti con 400 µl di fenolo/cloroformio/alcol isoamilico (25:24:1) in presenza di 25 mg di sferule di vetro (acid-washed glass beads, ∅ 425-600 µm) e due sfere di acciaio (∅ 5 mm). I tubi sono stati agitati su vortex a 3000 rpm per 10 min e centrifugati per 15 min a 13000 g. La fase acquosa è stata estratta con un uguale volume di cloroformio/alcol isoamilico (24:1) ed il DNA contenuto precipitato con etanolo assoluto, lavato con etanolo al 70%, essiccato, risospeso in acqua distillata sterile e diluito alla concentrazione di 50 ng/µl. Le reazioni di PCR sono state condotte in un volume totale di 25 µl, contenente 100 ng di DNA totale, 10 mM Tris-HCl (pH 9), 50 mM KCl, 0.1% Triton X-100, 100 µM di ciascun dNTPs, 1 mM Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 MgCl2, 1 unità di DNA polimerasi (Taq DNA polymerase, Promega Corporation, WI, USA) e 2 µM di primer. L’amplificazione è stata realizzata mediante 5 min di denaturazione a 95°C seguita da 35 cicli di 95°C per 30 sec, 60°C per 30 sec e 72°C per 1 min. Gli ampliconi sono stati analizzati mediante elettroforesi in gel di agarosio al 2% con tampone TAE e visualizzati mediante colorazione con bromuro di etidio. Scorpion-PCR Uno dei primer specifici (R10) è stato modificato dalla Oswel Research Products Ltd. (Southampton, UK) per ottenere un primer Scorpion che consente l’identificazione dell’amplificato in tempo reale attraverso l’emissione di un segnale fluorescente. Il primer R10 Scorpion è stato combinato con il primer R7 e valutato per la sua specificità utilizzando gli stessi isolati precedentemente descritti. La miscela di reazione utilizzata era uguale a quella della PCR convenzionale, ma il primer R10 è stato sostituito dal primer R10 Scorpion (0.3 µM). L’amplificazione è consistita di una fase iniziale di denaturazione a 94°C per 5 min seguita da 40 cicli di 45 s a 94°C e 45 s a 57°C. La fluorescenza è stata monitorata in tempo reale utilizzando uno specifico termociclatore (BIO-RAD iCycler Thermal Cycler) che consente la lettura dei livelli di fluorescenza ad ogni ciclo durante la fase di “annealingextension” a 57°C. Il valore di Ct (Cycle threshold), ovvero il ciclo di PCR al quale il segnale fluorescente di uno specifico campione diventa significativamente più elevato della fluorescenza di base (threshold), comune a tutti i campioni, e misurata nei primi cicli di PCR è stato calcolato automaticamente dal “software” iCycler Thermal Cycler a corredo dell’apparecchiatura. Diagnosi di R. necatrix su matrice infetta R. necatrix è stata diagnosticata in terreno e radici artificialmente inoculati con il patogeno, oltre che in corteccia di melo naturalmente infetto. L’inoculo di R. necatrix è stato preparato su cariossidi sterili di grano seguendo la procedura descritta da Sztejnberg e Madar (1980). Le cariossidi infette sono state utilizzate per inoculare un terreno apparentemente sano (3 g di cariossidi/1000 g di terreno), che è servito per allevare 4 semenzali di magaleppo (Prunus mahaleb L.) di due anni in contenitori di plastica di 6 litri. Altri quattro semenzali allevati nel terreno non inoculato sono stati utilizzati come testimone. Le piante sono state mantenute in serra ed irrigate settimanalmente. I terreni e le radici sono stati prelevati da tutte le piante a quattro settimane dal trapianto, quando chiari sintomi di deperimento erano evidenti sulle chiome. I campioni di terreno (circa 1 kg) sono stati essiccati a temperatura ambiente per cinque giorni, frantumati, e setacciati con un vaglio da 2 mm. Per l’estrazione del DNA, Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 tre repliche costituite da 0,5 grammi di terreno, sono state prelevate da ciascun campione e risospesi in 700 µl di tampone di estrazione (0,12 M Na2HPO4, 1,5 M NaCl, 2% CTAB) in tubi Eppendorf da 2 ml. Alla sospensione di terreno sono state aggiunte due sfere di acciaio (Ø 5 mm) e 0,5 g di sferule di vetro. I tubi sono stati agitati su vortex per 10 min e centrifugati a 13000 g per 5 min. La fase acquosa è stata estratta con 750 µl di cloroformio, precipitata con due volumi di isopropanolo, lavata con etanolo al 70%, essiccata e risospesa in 50 µl di acqua distillata sterile. Le radici di magaleppo, prelevate sia da piante con sintomi, vegetanti in terreno inoculato con R. necatrix, sia da piante vegetanti in terreno non inoculato, sono state sottoposte ad estrazione del DNA. La medesima procedura è stata utilizzata per estrarre DNA da corteccia di melo prelevata dal colletto di piante mostranti sintomi di marciume radicale e da cui era stata isolata R. necatrix. Come testimone è stata utilizzata corteccia di piante asintomatiche e risultate negative agli isolamenti. Duetre g di radici o corteccia sono stati lavati con acqua di rubinetto, asciugati con carta assorbente, tagliuzzati con forbici e frantumate con azoto liquido. Circa 50 mg di materiale per ciascun campione sono stati trasferiti in tubi Eppendorf da 2 ml contenenti PVP (uguale volume), 2 sfere di acciaio (Ø 5 mm) e 1,5 ml di tampone di estrazione (Tris HCl 200mM, NaCl 250mM, EDTA 25 mM, SDS 0,5%). I tubi sono stati agitati su vortex per 10 min e centrifugati a 13000 g per 5 min. La fase acquosa è stata estratta per due volte con fenolo/cloroformio (1:1) e cloroformio, precipitata con due volumi di isopropanolo, lavata con etanolo al 70%, essiccata e risospesa in 50 µl di acqua distillata sterile. Prima dell’amplificazione il DNA di tutti i campioni (terreno, radici e corteccia) è stato purificato con Sepharose CL-6B (Pharmacia) seguendo la procedura descritta da Bramwell et al. (1995). Un µl di DNA per ciascun campione e per ciascuna ripetizione è stato amplificato utilizzando una singola coppia di primer e due coppie di primer (nested PCR). Nel primo caso l’amplificazione è stata realizzata mediante PCR convenzionale con i primer R2-R8 e mediante Scorpion PCR con i primer R10 Scorpion-R7. Nel secondo caso un µl di amplificato ottenuto con i primer R2-R8 è stato utilizzato come DNA bersaglio per una seconda amplificazione con i primer R10 Scorpion-R7 (nested ScorpionPCR). Amplificazione ed analisi dei risultati è stata realizzata come descritto in precedenza. RISULTATI E DISCUSSIONE Tutte le coppie di primer analizzate hanno amplificato singoli frammenti di DNA e la maggior parte di esse è risultata specifica per R. necatrix amplificando frammenti di DNA delle dimensioni attese solo da questo fungo (Tab. 1). In particolare, le coppie R2-R8 ed R10-R7 hanno amplificato frammenti specifici rispettivamente di 493 e 112 bp (Fig. 1) e sono stati selezionati poiché idonei per Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 reazioni di nested PCR (la sequenza omologa dei primer R10-R7 è localizzata all’interno del R. sanguinolenta R. reticulispora Fig. Primers R2-R8 R. necatrix R. necatrix R. miligrana R. mammiformis R. limonispora M R. aquila frammento amplificato dai primer R2-R8). 501 bp 404 bp 331 bp 242 bp 190 bp 147 bp Gel di agarosio mostrante i prodotti dell’amplificazione ottenuti con i primer R2-R8 e R10-R7 da Rosellinia necatrix Primers R10-R7 501 bp 404 bp 331 bp 1. 242 bp 190 bp 147 bp 110 bp Il primer R10 è stato modificato per ottenere uno Scorpione molecolare ed utilizzato, in coppia con il primer R7, per identificare in tempo reale R. necatrix. Uno specifico incremento di fluorescenza è stato ottenuto solo in presenza di DNA di R. necatrix, mentre la fluorescenza è risultata bassa durante l’amplificazione per tutte le altre specie di funghi analizzate (Fig. 2). A 300 Isolati di R. necatrix 200 100 Fig. 2. Identificazione in tempo reale di isolati di Rosellinia Soglia (Threshold) necatrix. In A è riportata la fluorescenza relativa normalizzata 40 38 36 34 32 30 28 Testimone (H2O) 26 24 22 20 18 16 14 12 8 10 6 4 0 2 Fluorescenza (∆Rn) 400 -100 (∆Rn) ottenuta amplificando DNA di R. necatrix a confronto B con il testimone negativo (acqua), mentre in B è evidenziata 3 00 Testimone positivo (R. necatrix) 2 00 l’assenza di incremento di fluorescenza per tutti gli altri isolati Altre specie fungine 1 00 fungini analizzati a confronto con il testimone positivo (DNA di R. necatrix) Soglia (Threshold) 40 38 36 34 32 30 28 26 24 22 20 18 16 14 12 8 6 10 -1 00 4 0 2 Fluorescenza (∆Rn) 4 00 PC R cycles La separazione su gel di agarosio e la colorazione con bromuro di etidio della miscela di reazione utilizzata per l’analisi in tempo reale ha confermato l’amplificazione di un frammento delle Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 dimensioni attese (112 bp) solo per i campioni risultati positivi all’analisi colorimetrica (dati non mostrati). I protocolli utilizzati per estrarre il DNA da terreno, radici e corteccia hanno permesso l’ottenimento in poche ore di acidi nucleici sufficientemente puliti per l’amplificazione genica. In tutti i campioni analizzati la presenza di R. necatrix non è stata rilevata dopo una amplificazione singola, sia con i primer convenzionali (R2-R8) sia con quelli Scorpion (R10 Scorpion-R7). Nella reazione di nested Scorpion-PCR tutti i campioni artificialmente inoculati (terreno e radici) sono risultati positivi mentre per i testimoni non inoculati non è stato rilevato alcun incremento di fluorescenza (Fig. 3). Inoltre, un significativo incremento di fluorescenza è stato ottenuto utilizzando DNA estratto da corteccia di melo con sintomi di marciume radicale e non da corteccia prelevata da piante apparentemente sane (dati non mostrati). Fig. 3. Diagnosi in tempo reale di R. necatrix in terreni artificialmente inoculati. Nella reazione di nested Scorpion-PCR sono stati rilevati Terreni inoculati 200 incrementi di fluorescenza (∆Rn) solo per i terreni inoculati con il patogeno 100 Terreni non inoculati S o glia 39 37 35 33 31 29 27 25 23 21 19 17 15 13 9 7 5 11 -1 0 0 3 0 1 Fluorescence (∆ Rn) 300 C ic li di PC R In definitiva, combinando un protocollo rapido di estrazione del DNA con due amplificazioni consecutive e separate, la prima con i primer convenzionali (R2-R8), la seconda con quelli marcati (R10 Scorpion-R7), è stato possibile diagnosticare il patogeno in una giornata lavorativa sia nel terreno che su radici e corteccia. Rispetto ad una PCR convenzionale, l’uso di primer marcati non richiede nessuna operazione aggiuntiva e dispensa dalle lunghe e costose operazioni successive all’amplificazione genica (ad es. elettroforesi e colorazione con bromuro di etidio, quest’ultima, peraltro, molto pericolosa). Questa tecnica inoltre, analogamente a quanto riportato per altri sistemi basati sulla fluorescenza, può essere utilizzata per l’analisi quantitativa e multipla di microrganismi (Bates et al., 2001; Cullen et al., 2001). Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 CONCLUSIONI La ricerca svolta ha consentito lo sviluppo di una tecnica rapida, sensibile e specifica per la diagnosi di R. necatrix, basata sulla reazione a catena della polimerasi. La disponibilità di questa tecnica può avere una grande importanza pratica considerato che la prevenzione è la metodologia di lotta più efficiente ed attualmente disponibile contro il marciume radicale lanoso, non essendo possibile la lotta curativa. La tecnica sviluppata, consentendo la diagnosi su larga scala del materiale di propagazione e dei terreni in cui si intende impiantare un nuovo frutteto sarà pertanto essenziale nel prevenire o comunque limitare la diffusione del marciume radicale lanoso. BIBLIOGRAFIA Bates J.A., Taylor E.J.A., Kenyon D.M. e Thomas J.E . 2001. The application of real-time PCR to the identification, detection and quantification of Pyrenophora species in barley seed. Molecular Plant Pathology 2: 49-57 Bramwell P.A., Barollon R.V., Rogers H.J. e Bailey M.J. 1995. Extraction and PCR amplification of DNA from the rhizoplane. Molecular Microbial Ecology Manual 1.4.2: 1-20 Cullen D.W., Lees A.K., Toth I.K. e Duncan J.M. 2001. Conventional PCR and real-time quantitative PCR detection of Helminthosporium solani in soil and potato tubers. European Journal of Plant Pathology 107: 387-398 Finetti Sialer M. e Gallitelli D. 2001. Identificazione dei patogeni delle piante in tempo reale.Informatore Fitopatologico 6: 58-62 Finetti Sialer M., Schena L. e Gallitelli D. 2000. Real-Time Diagnosis in Plant pathology with selfprobing amplicons (Scorpions). In: Atti “5th Congress of the European Foundation for Plant Pathology”, Taormina, Italia, 18-22 Septembre (riassunto) Guillaumin J.J. 1988. Rosellinia necatrix Prill. In: Smith I.M., Dunez J., Lelliot R.A., Phillips D.H. e Archer S.A. (ed) European Handbook of Plant Diseases. (pp 333-335) Blackwell Scientific Publication, Oxford, UK Hoffman C.S. e Winston F. 1987. A ten-minute DNA preparation from yeast efficiently releases autonomous plasmids for transformation of Escherichia coli. Gene 57:267-272 Ippolito A., Schena L., Nigro F. e Salerno M. 2000. Detection of Phytophthora nicotianae and P. citrophthora from roots and rhizosphere of citrus plants using PCR and Scorpion-PCR. 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Mode of action and application of Scorpion primers to mutation detection. Nucleic Acids Research 28: 3752-3761 Whitcombe D., Theaker J., Guy S.P., Brown T. e Little S. 1999. Detection of PCR products using selfprobing amplicons and fluorescence. Nature Biotechnology 17:804-807 Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 I principali fito-nematodi delle piante da frutto (Diagnosi, sintomi e patogenesi) Vovlas N. e A. Troccoli Istituto di Nematologia Agraria, CNR, Bari RIASSUNTO Nell’Italia meridionale molte piante da frutto, sia in vivaio che in pieno campo, ospitano nematodi fitoparassiti. Di questi, molti sono endoparassiti migratori (Pratylenchus spp.), o endoparassiti sedentari (Meloidogyne spp.,), o semi-endoparassiti (Tylenchulus semipenetrans), patogeni di diverse specie fruttifere. Alcuni nematodi ectoparassiti, invece, costituiscono un serio problema fitosanitario perché sono capaci di trasmettere virus vegetali (ad es. Xiphinema index). Delle più importanti specie di nematodi fitoparassiti sono riportate le principali caratteristiche morfologiche utili alla loro diagnosi, e descritti i sintomi ed i danni indotti da questi parassiti ai loro ospiti. ABSTRACT The main plant parasitic nematode species on fruit trees (Diagnosis, symptoms and pathogenesis). In Southern Italy, olive, citrus, grape and stone fruits, are hosts for a fairly long list of plant parasitic nematodes. Several of these nematodes are migratory endoparasitic (Pratylenchus spp.), or sedentary endoparasitic (Meloidogyne spp.), or semi–endoparasitic (Tylenchulus semipenetrans) forms, some of which are recognised as pathogens to their hosts. A serious phytosanitary problem is also due to some ectoparasitic nematodes (such as Xiphinema index) which are able to transmit vegetable viruses. The main morphometric characteristics useful for species identification, the damage they cause to the host, and measures suggested for effective nematode management in nurseries are illustrated for Meloidogyne spp., Xiphinema index, Tylenchulus semipenetrans, and Pratylenchus spp., all common parasites of olive, grape, Citrus sp. and stone fruits, respectively. INTRODUZIONE I nematodi fitoparassiti, con la loro attività trofica, causano profonde alterazioni anatomiche alle piante da frutto, come nel caso dei nematodi appartenenti ai generi: Meloidogyne, Pratylenchus, e Tylenchulus, o danni indiretti come la trasmissione di virus da parte di nematodi appartenenti al genere Xiphinema. In questo contributo sono illustrate, per ognuno dei gruppi di nematodi elencati in precedenza, alcune caratteristiche morfometriche utilizzabili nella diagnosi, i principali sintomi indotti ed alterazioni anatomiche causate nei loro siti di alimentazione in alcuni ospiti. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 MATERIALI E METODI Popolazioni di nematodi estratti da campioni di terreno e da radici sono state identificate e classificate in base ad osservazioni microscopiche di parametri morfometrici ottenuti da preparati temporanei e/o permanenti infiltrati in glicerina. Le descrizioni istologiche dei siti di alimentazione, invece, e l’illustrazione delle alterazioni anatomiche causate dalle singole specie di nematodi nei loro ospiti, sono state effettuate basandosi sulla osservazione di preparati permanenti di sezioni di 10-12 µm di tessuti infetti, opportunamente colorati. Osservazioni morfologiche ed istologiche Nematodi “galligeni” Meloidogyne spp. Tre specie appartenenti al genere Meloidogyne (M. arenaria, M. incognita e M. javanica) sono frequentemente rinvenute in vivaio o in pieno campo, in Puglia, associate a radici di olivo, pesco e vite. A C B Fig. 1. A) Apparato radicale di olivo fortemente deformato dagli attacchi dei nematodi galligeni; B) Femmina del nematode (N) conficcata nei tessuti radicali; C) stadi di sviluppo del nematode. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Il sintomo tipico delle infezioni di questi nematodi si manifesta a carico dell’apparato radicale che appare nel complesso ridotto e presenta caratteristici rigonfiamenti (“galle”) che sono conseguenza dell’attività trofica del parassita. Le femmine di Meloidogyne spp. sono piriformi e possono deporre centinaia di uova. Da ogni uovo emerge il secondo stadio larvale del nematode, il quale è vermiforme e rappresenta l’unico stadio infettivo di questi nematodi. In condizioni di temperatura ottimale (26-28°C) un ciclo vitale si compie in circa 30 giorni. Dopo l’insediamento della larva infettiva, nella radice della pianta, intorno alla porzione cefalica del nematode si formano 4-8 cellule specializzate. Queste cellule sono molto più voluminose di quelle adiacenti e, per questa loro caratteristica, sono chiamate “cellule giganti”. Esse sono polinucleate, con nuclei e nucleoli ipertrofici, ed hanno la funzione di cellule nutrici del parassita. La presenza del nematode e l’espansione di queste cellule nutrici causano spesso interruzioni dei fasci conduttori della linfa per cui la funzionalità della radice infetta ne risulta fortemente compromessa. Il nematode degli Agrumi: Tylenchulus semipenetrans. Questa specie è caratterizzata da un accentuato dimorfismo sessuale evidente anche negli stadi larvali. I maschi adulti e le lave di seconda età sono vermiformi e mobili, mentre le femmine adulte sono sacciformi e sedentarie. Il ciclo biologico si svolge esclusivamente sulle radici capillari della pianta ospite. A B C Fig. 2. A) Femmina di Tylenchulus semipenetrans conficcata nella radice di agrumi; B) Corpo intero del nematode; C) cellule nutrici (colorate in rosso). Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Il sito di alimentazione è costituito da 5-8 cellule “nutrici” attorno alla porzione cefalica del nematode. Le cellule nutrici sono simili a quelle adiacenti, ma possiedono nuclei più grossi, pareti ispessite e presentano un differente comportamento nella loro reazione ai coloranti. Il tessuto corticale della radice, a seguito all’attività trofica del nematode, spesso si scolla dal cilindro centrale con conseguente disfacimento della radichetta per il successivo intervento di altri agenti patogeni, quali batteri e funghi. Una sintomatologia atipica di malnutrizione, accompagnata da clorosi e defogliazione, si manifesta sulla parte aerea delle piante fortemente infestate dal nematode. I nematodi delle lesioni Pratylenchus spp. Sono nematodi migratori endoparassiti che penetrano nella radice e colonizzano i tessuti corticali causando estese cavità, necrosi e lesioni. Fig. 3. A) Lesioni necrotiche sulla superficie radicale di pesco infetta da Pratylenchus sp.; B) Sezione longitudinale di radice infetta mostrante necrosi corticali. Le lesioni di color rosso-scuro o marrone sono visibili sulla superficie della radice infestata. Le specie più comuni che interessano le piante da frutto sono Pratylenchus penetrans e Pratylenchus vulnus, entrambe polifaghe, spesso diffuse con il materiale vivaistico. I nematodi vettori di virus Xiphinema index. Le specie del genere Xiphinema sono in grado di trasmettere particelle virali di forma poliedrica (NEPO). Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 A B C D Fig. 4. A) Morfologia della femmina matura del nematode Xiphinema index; B) Galle radicali indotte dall’azione trofica del nematode su di una radice di vite; C, D) Estremità anteriore e posteriore del corpo del nematode. Tra i nepovirus trasmessi da specie apparetenenti a questo genere, particolare importanza riveste il “Grapevine Fanleaf Virus” che ha come principale vettore naturale la specie Xiphinema index. Ospite principale di questa specie è la vite, ma fico e rosa permettono una notevole riproduzione del parassita. I primi danni provocati dalle infezioni di X. index sono di natura meccanica e consistono in deformazioni dell’apparato radicale con conseguente perdita della funzionalità. Di maggior gravità però è la malattia virale trasmessa dal nematode in seguito alla sua nutrizione prima sulle piante infette dal virus e poi su quelle sane. La sospensione per 2-3 anni della coltivazione di piante ospiti sui terreni infestati dal parassita, eventualmente seguita da una disinfestazione chimica, può risultare sufficiente a bonificare appezzamenti infetti e renderli idonei all’ uso. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 CONCLUSIONE Tenendo conto del numero delle specie di nematodi di ogni genere e la vasta gamma degli ospiti di ognuna di esse, nonché delle disposizioni ministeriali sulla regolamentazione della produzione del materiale vivaistico, risulta evidente la necessità di effettuare analisi nematologiche del terreno in vivai, in campi di piante madri ed in pieno campo per identificare le specie di nematodi eventualmente presenti. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Diagnosi di PNRSV e PDV mediante amplificazione genica da diverse specie di Prunus Minafra A., M.R. Silletti, A. Bazzoni Dipartimento di Protezione delle Piante e Microbiologia Applicata, Università degli Studi e Centro di Studio del CNR sui Virus e Virosi delle Colture Mediterranee, Bari RIASSUNTO La certificazione delle drupacee richiede uno strumento di diagnosi sensibile e riproducibile per PNRSV e PDV. Nell’ambito del progetto POM A32 sono stati comparati diversi primer per amplificazione, è stata applicata una estrazione cromatografica di RNA totale da piante arboree e quindi validata la RT-PCR su materiale proveniente da pieno campo durante tutta la stagione vegetativa. Il vantaggio della diagnosi via RT-PCR di PDV e PNRSV consiste in un più ampio periodo di campionamento rispetto al saggio sierologico e nel poter usare floema in dormienza. Si può consigliare l’uso per la selezione di piante madri o per controlli periodici del materiale in propagazione. Summary Certification schemes for stone fruit plants require a sensitive and reliable diagnostic tool for PNRSV and PDV. In the frame of POM A32 project, different PCR primers were compared, a chromatographic total RNA extraction from woody plants was applied and RT-PCR detection validated on field samples through all the seasons. The advantage of PNRSV and PDV RT-PCR diagnosis is represented by a larger sampling period if compared to serological tests and in the use of phloem from dormant budwood. The use of the technique could be suggested for mother plants selection or for periodical controls of propagation material. INTRODUZIONE Fra i diversi virus che infettano le drupacee (Prunus spp.), il virus della maculatura anulare dei Prunus (PNRSV) e quello del nanismo del susino (PDV), appartenenti al genere Ilarvirus, sono stati presi in considerazione quali agenti pregiudizievoli della qualità per il deleterio effetto che possono avere sulla produzione, sullo sviluppo delle piante e per la insidiosa capacità di diffondersi per polline, se ne obbliga la esenza nel materiale di propagazione vivaistica di tali colture a partire dalla categoria ‘CAC’ (DM 14.4.1997). Ne deriva la necessità, per quanti siano coinvolti nei programmi di certificazione, di dotarsi di strumenti di diagnosi applicabili su ampia scala, con costi contenuti e sensibilità adeguata a rilevare questi virus, che hanno scarsa ed erratica concentrazione nelle piante infette. Oltre al saggio biologico tramite innesto su indicatori, che richiede spazi e costi adeguati anche per un numero ristretto di piante (Boscia et al., 1999), i saggi sierologici sinora utilizzati (ELISA; Clark e Adams, 1977), a causa della scarsa immunogenicità di questi virus, offrono un ridotto titolo degli antisieri policlonali ed una insufficiente sensibilità. Inoltre, questi virus sono estremamente sensibili alle Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 temperature elevate e vi è una ristretta finestra stagionale, immediatamente successiva alla ripresa vegetativa, in cui il saggio sierologico può essere effettuato con qualche successo. L’ incremento delle conoscenze sui genomi di questi virus, ha favorito negli ultimi anni lo sviluppo di metodi molecolari di diagnosi che, con elevata sensibilità, ricercano negli estratti delle piante ospiti specifiche porzioni di RNA virale. L’ibridazione molecolare, soprattutto con lo sviluppo di sonde a RNA complementare, marcate con digoxigenina (Pallas et al., 1998), rappresenta un ottimo strumento per la diagnosi di un largo numero di campioni ed è suscettibile di automazione e quantificazione. Tuttavia, la comparazione del limite di sensibilità della ibridazione con quello della amplificazione genica (RT-PCR) ha dimostrato che quest’ultima può rilevare fino a pochi picogrammi di virus (Sanchez-Navarro et al., 1998; Saade et al., 2000) o che è possibile individuare RNA di ilarvirus da floema di talee dormienti di pesco e mandorlo (Rosner et al., 1997) o di ciliegio (Bazzoni et al., 2001). Uno svantaggio della RT-PCR consiste nel dover utilizzare preparazioni sufficientemente purificate del substrato da amplificare, per evitare inibizioni delle reazioni enzimatiche, e sebbene siano state descritte per PNRSV e PDV tecniche di amplificazione che partono da virus adsorbito a pozzetti di polistirene (direct-binding; Rowhani et al., 1995) o eluito da succo assorbito su carta da filtro (print capture-PCR; Cambra et al., 1998), la purificazione di acido nucleico totale resta ineludibile per la affidabilità del saggio. I protocolli di certificazione del materiale vivaistico di drupacee, nell’ambito dei quali lo stato sanitario di poche piante madri può pregiudicare la produzione di migliaia di piante commercializzate, devono quindi essere supportati da uno strumento di diagnosi sensibile e riproducibile per PNRSV e PDV. Tale strumento non viene peraltro suggerito dalle disposizioni legislative che prescrivono la certificazione. Nell’ambito del progetto POM A32 il nostro obiettivo è stato quello di i) comparare diversi oligonucleotidi per amplificazione descritti in letteratura per PNRSV e PDV, ii) applicare una tecnica rapida di estrazione di RNA totale da piante arboree basata sull’adsorbimento cromatografico a particelle di silice (Foissac et al., 2000), e quindi iii) validare la RT-PCR su materiale proveniente da pieno campo durante tutta la stagione vegetativa. MATERIALI E METODI Materiale vegetale infetto da virus Nove piante di quattro specie (albicocco, susino, ciliegio e mandorlo), sono state selezionate nella collezione del DPPMA (agro di Valenzano, Bari), per il loro stato di infezione con PNRSV e Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 PDV sulla base di precedenti saggi sierologici (Tab. 1). I campioni da sottoporre a saggio – 10 foglie espanse da ciascuna pianta - sono stati raccolti mensilmente nella primavera-estate del 2000 e del 2001. In sporadici campionamenti autunnali è stato utilizzato floema da talee. Oltre alla amplificazione genica gli stessi campioni sono stati sottoposti al saggio ELISA (Boari et al., 1997; Myrta et al., 2001). Un isolato ciascuno di PNRSV e di PDV sono stati mantenuti su cetriolo in serra a 25°C per essere usati come controllo positivo. Estrazione di acido nucleico da tessuto vegetale e amplificazione (RT-PCR) RNA totale è stato estratto da 100mg di tessuto (foglie o floema da talee) con il metodo descritto da Foissac et al. (2000). I frammenti di tessuto vengono omogeneizzati in microtubi in presenza di 1ml di tampone di estrazione (4.0 M guanidina isotiocianato, 0.2 M NaOAc, pH5.2, 25 mM EDTA, 1.0 M potassio acetato, 2.5% PVP-40, 2% sodio metabisolfito) e microsfere metalliche in un estrattore a vibrazione (Mixer Mill 300, Retsch) per 2 min. L’omogenato viene incubato a 70°C con sodio lauril sarcosina, centrifugato per rimuovere il residuo cellulare e fatto adsorbire, in presenza di sodio ioduro ed etanolo, a particelle di silice per 10min a temperatura ambiente. Dopo due lavaggi della resina con STE (50 mM NaCl, 100 mM Tris pH 8, 1mM EDTA) con 50% di etanolo, l’acido nucleico viene eluito in 150µl di acqua sterile per 4 min a 70°C ed infine quantificato mediante lettura spettrofotometrica. Circa 200 ng di RNA totale vengono denaturati con 0.5 µg di esameri casuali di DNA (random primers) per 3 min a 95°C e quindi si aggiunge la miscela di sintesi di cDNA (con 200U di trascrittasi inversa MMLV in 50 µl di reazione) incubando per 1h a 42°C. 5 µl di cDNA, dopo un trattamento a 70°C per 10 min, vengono addizionati a 45 µl di miscela di amplificazione contenente primer specifici (120 nM finale), 1.5mM MgCl2 ed 1U di Taq DNA polimerasi. L’amplificazione avviene con una temperatura di appaiamento dei primer di 52°C per 30-35 cicli (Minafra e Gallitelli, 1995). I primer utilizzati nel lavoro e l’ampiezza dei relativi prodotti PCR sono descritti in Tab. 2. Analisi dei prodotti amplificati Un decimo della reazione PCR è stata analizzata dopo migrazione in gel di poliacrilammide al 5% in Tris-borato-EDTA pH 8.3 per circa 1h. Il gel viene poi rapidamente fissato in acido acetico e sviluppato con argento nitrato. Alternativamente, 5 - 7 microlitri di prodotto PCR vengono addizionati a un ugual volume di soluzione di denaturazione (concentrazione finale : 200mM NaOH, 5mM EDTA) e incubati a 95°C per 3min, per essere poi deposti su una membrana di nylon (Hybond Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 N+, AP Biotech) e ibridati con una sonda a DNA, costituita dallo stesso frammento PCR purificato e marcato con fosfatasi alcalina (AlkPhos Direct kit, Amersham Life Science). Circa 10ng di DNA marcato per ml di tampone di ibridazione vengono fatti ibridare a 55°C per almeno 2h secondo le istruzioni della casa produttrice. Dopo 2 lavaggi della membrana per rimuovere la sonda non ibridata, si aggiunge direttamente substrato chemioluminescente (CSPD, Roche) e si espone con una lastra radiografica per 1-3h. L’intensità del segnale di ibridazione è correlato con la quantità di DNA amplificato. RISULTATI E CONCLUSIONI L’ amplificazione di PDV e PNRSV da estratti di acido nucleico di drupacee infette in pieno campo si è dimostrata attendibile e riproducibile. Circa il 90% dei saggi effettuati ha risposto secondo le attese. Di estrema importanza, per il tipo di piante arboree e di virus labili in esame, è la possibilità, ulteriormente verificata, di diagnosticare l’infezione nell’arco di tutta la stagione vegetativa, utilizzando anche estratti da floema di talee non vegetanti (Rosner et al., 1997). Uno dei possibili inconvenienti della PCR risiede nella variabilità intrinseca alle sequenze di RNA virali che conducono talora ad attribuire risultati negativi pur in presenza di infezioni, a causa dell’incompleto appaiamento di alcuni primer al cDNA. Per una preliminare valutazione dei primer descritti in letteratura, due isolati per ciascun virus, mantenuti rispettivamente su pianta erbacea ed ospite arboreo, sono stati amplificati con diverse coppie di primer (Fig. 1, A e B). Sebbene i primer utilizzati nella prova siano stati disegnati nella regione conservata del gene codificante la proteina capsidica, coterminale negli RNA 3 e 4 di Ilarvirus, si è visto che alcuni di essi amplificano poco o affatto la sequenza bersaglio, alle condizioni di amplificazione descritte. Le coppie di primer che hanno prodotto amplificazioni più consistenti (PDV 1c/1h, Rowhani et al., 1998; PNRSV I /III, Rosner et al., 1997) sono state utilizzate successivamente per la validazione su isolati di campo (Fig. 2, A e B). In tutti i campionamenti, da aprile sino a luglio e, per alcuni casi, in autunno su floema o in pieno inverno su giovani foglie emesse in cella climatica da talee forzate, è stato possibile amplificare le sequenze virali. Nei paralleli saggi sierologici, la presenza di virus è riscontrabile negli stessi tessuti solo nei primi mesi primaverili di vegetazione (aprile – maggio). È interessante segnalare che alcuni dei campioni saggiati, selezionati per la sola infezione a PNRSV in base a precedenti informazioni sierologiche, dimostravano frequentemente anche la presenza di PDV. Il dato tuttavia non è sorprendente in quanto i campioni provengono da una collezione in campo di piante virosate, sottoposte ad infezioni di PDV facilmente veicolato per polline. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Al fine di semplificare la preparazione dei campioni, si è tentato con successo di miniaturizzare la purificazione cromatografica di acido nucleico con l’uso di microcolonne da centrifugazione prodotte in laboratorio (microtubi da 0.8 ml con fondo forato, stratificati con cotone idrofilo sterile e gel di silice, e inseriti a loro volta in microtubi da 1.8ml). L’estratto di acido nucleico è stato così purificato nello stesso tempo e con la stessa qualità delle spin-column commerciali, ma ad un costo irrisorio. La Fig. 3 mostra l’amplificazione di PDV da acido nucleico estratto con questo metodo da piante erbacee ed arboree. Una ulteriore semplificazione della procedura è possibile al momento della analisi dei prodotti PCR, che generalmente vengono evidenziati mediante elettroforesi in gel di agarosio o poliacrilammide. Per un saggio rapido e quantificabile di prodotti PCR per virus di piante arboree sono stati descritti sistemi immunoenzimatici quali PCR-ELISA (Cambra et al., 1998) e rivelazione colorimetrica (Rowhani et al., 1998). Per aumentare il numero di campioni analizzati contemporaneamente e la sensibilità del rilevamento, nel presente lavoro è stata applicata con successo una rapida ibridazione a macchia dei prodotti PCR con una sonda di DNA, direttamente marcata con fosfatasi alcalina, in modo da ridurre tempi e manipolazioni. La fig. 4 mostra che, con adeguati controlli, è possibile individuare campioni di PDV positivi alla PCR anche al limite della sensibilità della colorazione con argento nitrato in gel di poliacrilammide. In conclusione, il vantaggio del metodo di amplificazione PCR sviluppato per la diagnosi di PDV e PNRSV consiste nell’avere a disposizione un più ampio periodo di campionamento rispetto al saggio sierologico e addirittura nel poter usare floema in dormienza. Una applicazione massale della PCR alla diagnosi di virus di piante da frutto deve essere comunque considerata con cautela, per le possibili contaminazioni che inducono ad equivoche interpretazioni dei risultati, nonché per i costi e la perizia tecnica richiesta. Tuttavia, per la sua elevata sensibilità e specificità, se ne può consigliare l’uso in fase di selezione di piante madri per i programmi di certificazione o per controlli periodici del materiale in propagazione. BIBLIOGRAFIA Bazzoni A., A. Minafra, A. Ippolito, V. Savino. 2001. I punti critici del processo produttivo e normativo del materiale vivaistico di ciliegio. Frutticoltura, 3, 18-24. Boari A., D. Boscia, M. Yurtmen, O. Potere, C. Turturo, V. Savino. 1997. Production of monoclonal antibodies to prune dwarf ilarvirus and their use in the serological characterization of almond virus isolates. EPPO Bulletin, 27, 555-556. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Boscia D., A.M. D’Onghia, B. Di Terlizzi, F. Faggioli, A. Minafra, R. Osler. 1999. Accertamenti fitosanitari sul materiale di propagazione. In: Atti del Convegno Nazionale su Certificazione delle Produzioni Vivaistiche, 15 Ottobre 1999, 99-153. Cambra M., A. Olmos, M. Asensio, O. Esteban, M.T. Gorris, T. Candresse, D. Boscia. 1998. Detection and typing of Prunus viruses in plant tissues and in vectors by print and spot-capture PCR, heminested-PCR and PCR-ELISA. Acta Horticulturae, 472, 257-263. Candresse T., S.A. Kofalvi, M. Lanneau, J. Dunez. 1998. A PCR-ELISA procedure for the simultaneous detection and identification of prunus necrotic ringspot and apple mosaic ilarviruses. Acta Horticulturae, 472, 219-224. Clark M.F., A.N. Adams. 1977. Characteristics of the microplate method of the Enzyme linked immunosorbent assay for the detection of plant virus. Journal of General Virology, 34, 475-483. Foissac X., L. Svanella-Dumas, P. Gentit, MJ. Dulucq, T. Candresse. 2000. Polyvalent detection of fruit tree tricho, capillo and foveaviruses by nested RT-PCR using degenerated and inosine containing primers (PDO RT-PCR). 18th International Symposium Virus and Virus-like diseases of Fruit Trees, July 9-15, 2000, 48. Minafra A., D. Gallitelli. 1996. Improved PCR methods for identification of phytopathogenic viruses. In: Methods in Molecular Biology. vol 50: Species diagnostic protocols: PCR and other nucleic acid methods (ed. J.P. Clapp) Humana Press. 81-91. Myrta A., B. DiTerlizzi, D. Boscia, E. Choueiri, M. Gatt, I. Gavriel, K. Caglayan, C. Varveri, H. Zeramdini, F. Aparicio, V. Pallas, V. Savino. 2001. Serological characterization of mediterranean Prunus necrotic ringspot virus isolates. Journal of Plant Pathology, 83, (1) 45-49. Pallas V., P. Mas, J.A.. Sanchez-Navarro. 1998. Detection of plant RNA viruses by non-isotopic dotblot hybridization. Plant virus protocols: from virus isolation to transgenic resistance (eds. G. Forster and S. Taylor), Humana Press. 461-468. Parakh D.R., A.M. Shamloul, A. Hadidi, S.W. Scott, H.E. Waterworth, H.E. Howell, G.I. Mink. 1995. Detection of prune dwarf ilarvirus from infected stone fruits using reverse transcriptionpolymerase chain reaction. Acta Horticulturae, 386, 421-430. Rosner A, L. Maslenin, S. Spiegel. 1997. The use of short and long PCR products for improved detection of prunus necrotic ringspot virus in woody plants. Journal of Virological Methods, 67, 135-141. Rowhani A., M.A. Maningas, L.S. Lile, S.D. Daubert, D.A. Golino. 1995. Development of a detection system for viruses of woody plants based on PCR analysis of immobilized virions. Phytopathology, 85, 347-352. Rowhani A., L. Biardi, G. Routh, S.D. Daubert, D. Golino. 1998. Development of a sensitive colorimetric PCR assay for detection of viruses in woody plants. Plant Disease, 82, 880-884. Saade M., F. Aparicio, J.A. Sanchez-Navarro, M.C. Herranz, A. Myrta, B. DiTerlizzi, V. Pallas. 2000. Simultaneous detection of the three ilarviruses affecting fruit trees by non-isotopic molecular hybridization and multiplex reverse transcription-polymerase chain reaction. Phytopathology, 90, 1330-1336. Sanchez-Navarro J.A., F. Aparicio ,A. Rowhani, V. Pallas. 1998. Comparative analysis of ELISA, non radioactive molecular hybridization and PCR for the detection of prunus necrotic ringspot virus in herbaceous and Prunus hosts. Plant Pathology, 47, 780-786. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Tabella 1. Fonti di Prunus infette da PNRSV e PDV utilizzate nella prova Specie mandorlo ciliegio ciliegio ciliegio ciliegio susino susino albicocco albicocco codice PNRSV Pnrsv c Pnrsv h VP77deg VP78NR Pnrsv/I Pnrsv/III Pnrs/Rw1c Pnrs/Rw 1h PDV Pdv c Pdv h Pdv/Rw 1c Pdv/Rw 1h VP77deg VP80D varietà/codice M5 Bing Bing S 222 M1 California Lopez Prugna Borgia Boccuccia Tirynthos ubicazione f4p18 f10p6 f10p14 screenhouse screenhouse f1p19 f1p18 f1p10 f3p1 infezione (ELISA) PNRSV, PDV PNRSV PNRSV PNRSV PNRSV, PDV PNRSV, PDV PNRSV PNRSV PNRSV Tabella 2. Oligonucleotidi per amplificazione sequenza frammento PCR TTCTAGCAGGTCTTCATCGA CAACCGAGAGGTTGGCA GCT/ATCCCTAAC/AGGGGCATC GAACCTCCTTCCGATTTAG TCACTCTAGATCTCAAGCA GACACTTTTGCGCGTACGCA TTCTGTACCTGCCAATATCCTACTTCG AGACGTCGTGACAGACGTCGAAG TAGTGCAGGTTAACCAAAAGGAT ATGGATGGGATGGATAAAATAGT TAGTGCAGGTTAACCAAAAGGAT CCGGTATGATATCTCGTACCGAG GCT/ATCCCTAAC/AGGGGCATC CAACGTAGGAAGTTCACAG rif. bibl. 243 Candresse et al., 1998 356 Saade et al., 2000 170 Rosner et al., 1997 304 Rowhani et al., 1998 172 Parakh et al., 1995 580 Rowhani et al., 1998 517 Saade et al., 2000 Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 A 1 2 3 4 5 6 7 B 8 1 2 3 4 5 6 Fig. 1 Confronto fra amplificazioni con diverse coppie di primer su isolati erbacei ed arborei di PNRSV (A) e PDV (B). Analisi in gel di poliacrilammide colorato con argento nitrato. (A) 1 e 5 : Saade; 2 e 6: Candresse; 3 e 7: Rowhani ; 4 e 8: Rosner. (B) 1 e 2 : Parakh; 3 e 4, Rowhani; 5 e 6: Saade. A B Fig. 2 – Analisi di prodotti PCR amplificati in un campionamento mensile da foglie e floema per PNRSV (A) e PDV (B). (A) : amplificazione con primer Rosner (170bp). (B): amplificazione con primer Rowhani (580bp). Ultimi pozzetti di ciascun gel: campione sano e controllo no-cDNA. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 1 2 3 4 5 6 7 8 Fig. 3 - Prodotti PCR di PNRSV e PDV amplificati da acido nucleico di piante erbacee (24) ed arboree (6-8) estratte con centrifugazione su microcolonne di gel di silice:(1) marker,(2 – 3 ) e (6 – 7) PNRSV, (4) e (8) PDV; (5) controllo nocDNA. 7 Fig. 4 – Ibridazione diretta con sonda a DNA marcata con fosfatasi alcalina su prodotti PCR di PDV. Controllo sano e no-cDNA nei pozzetti 4 e 5 superiori, controllo erbaceo nel pozzetto 7. Rilevazione chemioluminescente a 6h di esposizione. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Distribuzione di PPV in piante di Prunus: alcune esperienze di diagnosi mediante ELISA A. Myrta1, O. Potere2, F. Ismaeil1, D. Boscia2 1 Istituto Agronomico Mediterraneo, Valenzano, Bari 2 Dipartimento di Protezione delle Piante e Microbiologia Applicata, Università degli Studi e Centro di Studio sui Virus e le Virosi delle Colture Mediterranee, CNR, Bari RIASSUNTO Si riportano i risultati di alcuni saggi ELISA eseguiti su foglie, sintomatiche e non, di diverse parti della chioma di piante affette da Sharka. L’erraticità dei risultati dimostra la scarsa affidabilità del metodo ELISA per la diagnosi del virus della vaiolatura del susino (PPV) in foglie asintomatiche. L’analisi comparativa di diverse sezioni del lembo fogliare ha fornito indicazioni promettenti sulla possibilità di migliorare l’efficacia del saggio, tuttavia la definizione di una più efficace metodologia di campionamento necessita di ulteriori sperimentazioni. SUMMARY The results of ELISA tests done on leaves, with and without symptoms, sampled in different areas of the canopy of trees affected by Sharka are reported. The results demonstrate that ELISA is not reliable for Plum pox virus (PPV) detection when asymptomatic leaves are used. Comparative analysis of different areas of the leaf blade indicates the possibility of improving the efficiency of the test. However, the definition of a more efficient sampling methodology needs further studies. INTRODUZIONE La vaiolatura del susino (sharka), causata dal virus della vaiolatura del susino (PPV), è la più grave malattia virale delle drupacee in Europa e nel Mediterraneo. È stata segnalata inoltre in Sud America (Roy e Smith, 1994), India (Bwardhaj, 1995), USA (Levy et al., 2000) e Canada (Thompson et al., 2001) a dimostrazione della forte espansione geografica in atto negli ultimi anni. La disponibilità di mezzi diagnostici rapidi ed affidabili risulta indispensabile per attuare un controllo tempestivo ed efficace della malattia. Il metodo ELISA, che viene ormai adoperato largamente nella diagnosi del virus, spesso non lo rileva nelle foglie asintomatiche di piante infette, a causa della sua distribuzione irregolare (Adams, 1978; Knapp et al., 1995). Al fine di ottenere indicazioni più precise sull’affidabilità della diagnosi di PPV in foglie asintomatiche, sono state effettuate prove sperimentali di cui si riferisce in questa nota. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 MATERIALI E METODI Per la realizzazione della prova sono stati utilizzati due alberi di albicocco identificati in un frutteto commerciale in due momenti diversi della stagione e alcune piante di GF 305 da collezione di isolati di PPV del Dipartimento di Protezione delle Piante e Microbiologia Applicata dell’Università di Bari. Tutte le piante oggetto della prova sono state sottoposte ad accurato rilievo visivo per individuare i sintomi di infezione (foglie con aree clorotiche diffuse o maculature lungo le nervature secondarie e ad anello). L’identificazione di PPV è stata fatta mediante DASI-ELISA utilizzando l’anticorpo monoclonale universale MAb 5B (Cambra et al., 1994) mentre per la determinazione del ceppo virale sono stati adoperati MAb ceppo-specifici (Boscia et al., 1998). Sono stati eseguiti saggi immunoenzimatici anche per diagnosticare l’eventuale presenza nelle piante del virus del nanismo del susino (PDV), del virus della maculatura anulare necrotica dei Prunus (PNRSV), del virus del mosaico del melo (ApMV) e del virus della maculatura clorotica fogliare del melo (ACLSV). La prima pianta sottoposta a saggio è stata un albicocco di cv. Tirynthos, individuato in agro di Ugento (LE) all’inizio della stagione vegetativa (fine marzo) nell’ambito del Programma “Monitoraggio delle malattie da quarantena di drupacee ed agrumi” della Regione Puglia. Dalla pianta, di circa 15 anni di età con sintomi virali, sono stati prelevati numerosi rametti, alcuni dei quali solo con foglie prive di sintomi ed altri portanti anche foglie sintomatiche. I saggi sono stati effettuati su 76 foglie asintomatiche ancora parzialmente sviluppate (circa 2-3 cm di larghezza), 38 delle quali provenienti da rametti totalmente privi di sintomi, e altrettante prelevate da rametti che portavano anche foglie con sintomi. I testimoni erano costituiti da 4 foglie con sintomi evidenti. Un secondo campionamento è stato effettuato su un’altra pianta di cv. Tyrinthos rinvenuta nello stesso frutteto nel corso di un rilievo successivo, dalla quale sono state raccolte foglie completamente sviluppate, in prossimità della maturazione dei frutti (metà maggio). Dai rami portanti foglie sintomatiche sono state prelevate 100 foglie prive di sintomi adiacenti a quelle con sintomi evidenti. Nel contempo sono state raccolte 100 foglie sintomatiche che sono state esaminate visivamente al fine di individuare la localizzazione dei tipici sintomi virali su ciascun lembo fogliare, in particolare sulle quattro sezioni in cui esso è suddivisibile tracciando una croce di S. Andrea (Fig. 1). Tra le foglie sintomatiche ne sono state selezionate 40 prive di sintomi nella zona basale (area 1) per saggiare sia la porzione sintomatica che quella asintomatica di ogni foglia. Da ciascuna delle foglie asintomatiche Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 raccolte sono stati prelevati quattro dischi (circa 1,5 cm di diametro) distribuiti sulle diverse sezioni del lembo fogliare (Fig. 2) che sono stati saggiati. A fine primavera (inizio giugno) da due piante di GF 305 infette solo con il ceppo PPV-M, allevate in vaso in una serra a rete dove è ospitata una collezione di isolati del virus, sono state saggiate 20 foglie con sintomi ed altrettante asintomatiche, non adiacenti alle precedenti. Infine in autunno (15 ottobre) da altre due piante di GF 305 della stessa collezione, anch’esse infette solo con il ceppo M, sono state campionate e saggiate 40 foglie asintomatiche (da rami privi di sintomi) e 4 foglie con sintomi. RISULTATI E DISCUSSIONE La prima pianta di cv. Tyrinthos oggetto di indagine è stata preliminarmente saggiata mediante ELISA per verificarne lo stato sanitario ed è risultata esente da PDV, PNRSV, ApMV e ACLSV e infetta dal ceppo PPV-D. Contrariamente alle 4 foglie con sintomi (testimoni) che hanno tutte dato reazione positiva, sulle 76 foglie prive di sintomi è stato ottenuto solo il 15,8% di risposta positiva al saggio ELISA per quelle prelevate dai rami anche con foglie sintomatiche e ancor meno (5,3%) per quelle raccolte dai rami asintomatici (Tab. 1). Anche la seconda pianta di cv. Tyrinthos è risultata esente da PDV, PNRSV, ApMV e ACLSV e infetta da PPV-D. Nel saggio eseguito sui quattro dischi ottenuti da ciascuna delle 100 foglie asintomatiche è risultato positivo il 56% delle foglie in almeno una delle porzioni considerate. Inoltre, comparando l’esito del saggio effettuato sui quattro dischetti, è stato rilevato che l’82% dei campioni infetti (46) è rappresentato dalla porzione 1, prossima al picciolo, e che una percentuale molto più ridotta è data dagli altri tre dischi (Tab. 2). Su ognuna delle 100 foglie sintomatiche è stata rilevata la distribuzione dei sintomi nelle quattro aree considerate per ciascun lembo fogliare: solo nel 6% dei casi i sintomi erano diffusi sull’intera pagina fogliare mentre solitamente (76%) essi erano circoscritti a uno o due settori del lembo. Sorprendentemente, la sezione 1, che nelle foglie asintomatiche era quella in cui più di frequente è stato ritrovato PPV, è apparsa la meno interessata dalla comparsa dei sintomi (soltanto 26 campioni) (Tab. 3). Dal saggio ELISA eseguito su 40 foglie senza sintomi nel settore basale e con sintomi in almeno una delle altre porzioni, tutti i tessuti sintomatici sono risultati positivi, mentre 8 sezioni basali asintomatiche (20%) non hanno dato reazione. L’analisi dell’intensità di tali reazioni in base alle letture Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 fotometriche ha evidenziato una correlazione tra valori di assorbanza e visibilità dei sintomi: valori di lettura elevati in presenza di sintomi e medio-bassi in assenza di essi. Il saggio effettuato a giugno su GF 305 allevati in vaso ha confermato la piena corrispondenza tra presenza di sintomi e risultato positivo in tutte le 20 foglie sintomatiche, ma non ha rilevato nessun campione positivo tra le 20 foglie asintomatiche delle stesse piante. Va rilevato che, a differenza del saggio di maggio su Tyrinthos, in cui le foglie asintomatiche erano state scelte in prossimità di quelle con sintomi, in questo caso si è seguito un criterio opposto (massima distanza dalle foglie con sintomi). Infine, il saggio effettuato ad ottobre su due piante di GF 305 della stessa collezione, oltre alla reazione positiva delle 4 foglie testimoni con sintomi, ha confermato la difficoltà a rilevare PPV in foglie asintomatiche, che hanno dato reazione positiva solo nel 30% dei casi, con notevoli differenze tra le due piante (Tab. 4). CONCLUSIONI Il saggio ELISA di piante di albicocco e GF 305 infette, rispettivamente, da PPV-D e PPV-M ha confermato l’affidabilità del saggio per l’individuazione del virus su foglie sintomatiche. Tuttavia l’analisi delle foglie asintomatiche delle stesse piante ha evidenziato l’elevato rischio di ottenere falsi negativi. Il saggio di parti diverse del lembo fogliare, pur necessitando di ulteriori conferme su un più ampio numero di isolati e di specie e/o varietà, sembra indicare che l’utilizzo della porzione prossimale al picciolo riduca in maniera significativa, anche se ancora insoddisfacente, il rischio di falsi negativi. La scarsa affidabilità del saggio su foglie asintomatiche di piante infette e che mostrano sintomi fa ipotizzare, inoltre, che questa situazione sia ancor più marcata in piante infette ma ancora asintomatiche e, pertanto, pone grossi dubbi sull’utilità del ricorso all’ELISA nel controllo del mantenimento in sanità delle fonti di approvvigionamento che, per definizione, sono asintomatiche. BIBLIOGRAFIA Adams A.N. 1978. The detection of plum pox virus in Prunus species by enzyme-linked immunosorbent assay (ELISA). Ann. Appl. Biol. 90, 215-221. Boscia D., Myrta A., Potere O., Cambra M., Crescenzi A., Di Terlizzi B., Candresse T., Savino V. 1998. Impiego di anticorpi monoclonali per la identificazione dei diversi ceppi del virus della vaiolatura delle drupacee (PPV). Notiziario sulla Protezione delle Piante 9 (Nuova Serie), 207212. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Bwardhaj S.V., Thakur P.D., Kohosla K., Sharma D.R. Detection of Plum pox virus in India. 1995. Acta Horticulturae 386, 237-240. Cambra M., Asensio M., Gorris M.T., Pérez E., Camarasa E., Garcia J.A., Moya J.J., Lòpez-Abella D., Vela C., Sanz A. 1994. Detection of plum pox potyvirus using monoclonal antibodies to structural and non-structural proteins. EPPO Bulletin 24, 569-579. Knapp E., da Camara Machado A., Puhringer H., Wang Q., Hanzer V. , Weiss H., Weiss B., Katinger H., Laimer da Camara Machado M. 1995. Localization of fruit tree viruses by immuno-tissue printing in infected shoots of Malus sp. and Prunus sp. Journal of Virological Methods 55, 157173. Levy L., Damsteegt V., Welliver R. 2000. First report of plum pox virus (Sharka Disease) in Prunus persica in the United States. Plant Disease 84, 202. Pasquini G., Barba M. 1997. Plum pox potyvirus strains: an overview. In: Proceedings of the Middle European Meeting ’96 on Plum Pox. Budapest, 2nd - 4th October 1996, 168-171. Roy A., Smith I. 1994. Plum pox situation in Europe. EPPO Bulletin 24, 515-523. Thompson D., McCann M., Mac Leod M., Lye D., Green M., James D. 2001. First report of Plum pox potyvirus in Ontario, Canada. Plant Disease 85, 97. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Tabella 1. Risultati del saggio ELISA su giovani foglie asintomatiche di pianta adulta di Tyrinthos ad inizio vegetazione (fine marzo) foglie asintom. foglie asintom. positive (%) negative (%) ramo con sintomi 6 (15,8%) 32 (84,2%) ramo senza sintomi 2 (5,3%) 36 (94,7%) TOTALE 8 (10,5%) 68 (89,5%) Tabella 2. Risultati del saggio ELISA delle diverse porzioni di 100 foglie asintomatiche di pianta adulta di Tyrinthos in prossimità della maturazione (15 Maggio) Porzione N° Campioni Incidenza relativa sul fogliare positivi totale positivi (%) 1 46 82,1 2 16 28,6 3 18 32,1 4 11 19,6 1+2+3+4 56 Tabella 3. Distribuzione dei sintomi in 100 foglie sintomatiche di pianta adulta di Tyrinthos in prossimità della maturazione (15 Maggio) Porzioni fogliari Frequenza (%) 1 2 3 4 17 + + 14 + + 10 + 9 + + 9 + 8 + + + 7 + 6 + + + + 5 + + + 5 + + + 3 + + 3 + + 2 + + + 1 + 1 + + 100 26 58 65 56 + presenza di sintomi; - mancanza di sintomi Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Tabella 4. Risultati del saggio ELISA di foglie asintomatiche di due piante di GF 305 (15 Ottobre) Pianta 1 Pianta 2 TOTALE Positive (%) 9 (45%) 3 (15%) 12 (30%) Negative (%) 11 (55%) 17 (85%) 28 (70%) 2 Figura 1. Suddivisione del lembo fogliare adottata per il rilievo e la localizzazione dei sintomi. 4 3 1 2 3 4 1 Figura 2. Posizione dei dischetti fogliari oggetto dell’analisi Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Messa a punto e validazione di un protocollo per l'accertamento sanitario delle diverse specie di Prunus nei confronti di PPV Comes S., Fanigliulo A., Pacella R., Piazzolla P. e Crescenzi A. Dipartimento di Biologia, Difesa e Biotecnologie Agro-Forestali. Università degli Studi della Basilicata Riassunto Il virus della vaiolatura del susino (PPV) è un virus da quarantena per il quale è prevista la lotta obbligatoria (D.M. 29/11/96). E' evidente la necessità di disporre di un metodo di diagnosi quanto mai sensibile per l'identificazione del patogeno nel materiale di moltiplicazione delle diverse specie di Prunus suscettibili. Infatti, è alto il rischio che nel corso dei processi di certificazione del materiale vivaistico siano selezionate piante madri falsamente negative a PPV, visto che è possibile rilevarlo, con i mezzi di diagnosi comunemente utilizzati, solo all'inizio della ripresa vegetativa e con una sensibilità molto bassa a causa della minore concentrazione e della distribuzione non uniforme del virus nella pianta. Viene riportata la preparazione di un anticorpo policlonale anti-PPV e la messa a punto e validazione di un protocollo di diagnosi di PPV nelle diverse specie di Prunus, dotato di elevata sensibilità, riproducibilità e specificità applicabile alla diagnosi del virus per tutta la durata della fase vegetativa delle diverse specie di drupacee. Il protocollo si sviluppa attraverso le fasi di immunocattura e trascrizione inversa realizzate nello stesso tubo, seguite da amplificazione a catena della polimerasi (PCR) specifica per tutti gli isolati di PPV noti. Summary Plum pox virus (PPV) is a quarantine virus against which obligatory control is foreseen (D.M. 29/11/96). It is necessary to have available a highly sensible diagnostic method for the pathogen detection in the propagation material of susceptible Prunus species. It is likely that, during certification programmes on plant propagative material, PPV false negative mother plants are selected. In fact, it is possible to detect the virus - with the commonly used diagnostic methods - only in spring and with a very low sensibility due to the low concentration and uneven distribution of the virus in plant. Anti-PPV polyclonal antiserum production is reported, together with the defining and validation of a PPV diagnostic method in different Prunus species. This method is endowed with high sensibility, reproducibility and specificity, and is applicable to PPV diagnosis throughout all vegetative phase of the Prunus species. The protocol develops through 3 phases: immuno-capture and reverse transcription (performed in the same tube) followed by PPV-specific polymerase chain reaction. INTRODUZIONE Ai sensi del D.M. 29/11/96, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 10 dicembre 1996 n. 289 "Lotta obbligatoria contro il virus della vaiolatura delle drupacee (Sharka)" - il virus della vaiolatura del susino (PPV) è un virus a lotta obbligatoria. Dalla prima segnalazione in pieno campo in Bulgaria Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 nel 1917, la malattia da esso indotta si è rapidamente diffusa in quasi tutti i paesi europei: ex Iugoslavia, Ungheria, Romania, Albania, Repubblica Ceca, Slovacchia, Germania, Austria, Polonia, Unione Sovietica, Paesi Bassi, Grecia, Svizzera, Gran Bretagna, Turchia, Francia, Svezia, Italia, Belgio, Spagna e Portogallo. Nell’area mediterranea è stata successivamente riscontrata in Libano, Cipro, Egitto e Siria (Roy e Smith, 1994). Nel 1992 essa è stata rinvenuta in Cile (Roy e Smith, 1994), nel 1994 in India (Thakur, 1994), nel 1999 negli U.S.A. (Levy et al., 2000) e nel 2000 in Canada (Ferguson e Prange 2001). La diffusione su così ampia scala della vaiolatura del susino è sicuramente imputabile al movimento di materiale di propagazione di drupacee infetto. Risulta, quindi evidente la necessità di migliorare i metodi di diagnosi del virus in particolare nel materiale di propagazione che, se infetto, può seriamente compromettere il successo di nuovi impianti frutticoli e - soprattutto introdurre il virus in aree ancora indenni. Attualmente, metodi molto sensibili nella diagnosi di PPV sono quelli basati sulla RT-PCR che parimenti a quelli biologici (richiedenti però spazi e costi più elevati), e a differenza di quelli sierologici, permettono l'identificazione del virus anche in periodi diversi da quello di massima espressione sintomatologica della malattia e di massima concentrazione del virus nella pianta - ripresa vegetativa - (Crescenzi et al., 1994a). Un forte limite associato all'applicazione di tali metodiche per la diagnosi virale nelle specie arboree è sicuramente la presenza - negli estratti fogliari - di una serie di fattori organici che inibiscono la PCR, generando talvolta dei falsi negativi (Demeke e Adams, 1992; Henson e French, 1993). È dunque evidente l'importanza di ottenere un acido nucleico privo di fattori che potrebbero inficiare la diagnosi. Nel 1994 il PPV è stato isolato per la prima volta da infezione naturale su ciliegio dolce (Crescenzi et al., 1994b) e acido (Kalashyan et al., 1994). Essendo P. avium e P. cerasus fino allora considerate resistenti a PPV, non erano previsti controlli fitosanitari su queste specie e sul rispettivo materiale di propagazione nei confronti di PPV. Nell'ambito del progetto POM-A32, uno dei nostri obbiettivi è stato quello di mettere a punto e validare un protocollo sperimentale per l'accertamento sanitario delle diverse specie di Prunus - ed in particolare del ciliegio - nei confronti di PPV. Tale protocollo prevede l'applicazione di una metodica di RT-PCR modificata nel fatto che l'RNA virale viene estratto direttamente da virioni immunocatturati (IC-RT-PCR) per mezzo di anticorpi policlonali preparati nei confronti dell'isolato da ciliegio dolce PPV-SwC. Il protocollo è semplificato dalla realizzazione della trascrizione inversa nello stesso tubo in cui è avvenuta l'immuno-cattura, ed è applicabile alle principali specie di Prunus. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 MATERIALI E METODI Materiale vegetale ed isolati virali. Sono stati utilizzati per le prove i seguenti isolati di PPV appartenenti ai 4 gruppi noti: PPV-SwC (C) (Crescenzi et al., 1994b) mantenuto su Prunus cerasus e P. avium; PPV-EA (Wetzel et al., 1991a) mantenuto su P. armeniaca cv. Tyrinthos; PPV- SK68 (M) (Palkovics et al., 1993) mantenuto su P. armeniaca cv. Tyrinthos, P. persica cv. Babygold 9 e P. domestica cv. Ozark premier; PPV- Rank (D) (Lain et al., 1989) e mantenuto su P. armeniaca cv. Tyrinthos. Ciascun isolato è stato mantenuto anche su P. persica GF305 in serra termo-condizionata ed utilizzato negli esperimenti come controllo positivo. I campioni fogliari da sottoporre a saggio sono stati raccolti a cadenza mensile, nel periodo di vegetazione degli anni 2000 e 2001. Produzione di un antisiero policlonale nei confronti del PPV-SwC. Per la produzione di un antisiero policlonale nei confronti del virus della vaiolatura del susino, del'isolato, SwC, il virus è stato purificato da Nicotiana benthamiana secondo la procedura descritta da Crescenzi et al. (1997), ed utilizzato come antigene per immunizzare conigli. In particolare, è stata effettuata una iniezione intramuscolare con 2 mg di virus risospeso nell'adiuvante completo di Freund seguita da 3 iniezioni intramuscolari a cadenza quindicinale con l'antigene risospeso nell'adiuvante incompleto di Freund. Il siero è stato ottenuto una settimana dopo l'ultima iniezione e, dopo aggiunta di un ugual volume di glicerolo e sodio azide allo 0,05%, è stato conservato a -20°C. Il titolo è stato determinato in immuno microscopia elettronica ed immuno western blot nei confronti dell'isolato virale omologo. Immuno - cattura di virioni da tessuto fogliare di diverse specie di Prunus. Tubi da PCR sono stati sensibilizzati per 2 ore con 200 µl di antisiero (anti PPV-SwC) diluito 1/500 in tampone di sensibilizzazione ( NaHCO3 2,93 g/l + Na2CO3 1.59 pH 9.6 ). Sono stati dunque sottoposti a 3 lavaggi di 3’ ognuno con tampone di lavaggio (PBS, NaCl 0,08 %, KH2PO4 0.002 %, Na2HPO4 0,0115 %, KCl 0.002 %, NaN3 0.002%, pH 7,2-7,4) + Tween 0.05%, e successivamente incubati per 12-16 ore a 4°C con 200 µl di succo estratto da tessuto fogliare in PBS contenente il 2% PVP ed 0.05% di Tween 20. Infine, sono stati effettuati 5 lavaggi di 5’ cadauno con tampone di lavaggio. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Sintesi del cDNA. La miscela di appaiamento (annealing) è stata preparata direttamente nei tubi in cui è stata effettuata l'immuno-cattura dei virioni: 10 µl di tampone di trascrizione (Rav2 buffer) 5X, 5 µl di DTT 0,1 M, 1 µl di primer complementare PPV-C (5’-CAGACTACAGCCTCGCCAGA-3’, Wetzel et al., 1991b) 1µg/µl, 5 µl di ß-ME 0,3 M, 2,5 µl di dNTPs 10mM, 6 µl di Triton X100 1.7% e 18,5 µl di H2O. Per consentire il rilascio dell' RNA virale e la sua denaturazione i tubi sono stati incubati per 5’ a 100°C, posti immediatamente in ghiaccio per 5’ e quindi incubati a temperatura ambiente per 20’. Alla miscela sono stati successivamente aggiunti 1 µl di trascrittasi inversa Rav2 (30U/µl) (Amersham) ed 1 µl di inibitore di ribonucleasi RNasin ( 40u/µl) (Ambion). La miscela di sintesi di cDNA così ottenuta è stata incubata per 30’ a 45°C. Amplificazione mediante PCR L'amplificazione è stata condotta su 5 µl di cDNA, in un volume finale di 50 µl, in presenza di 5 µl di tampone di amplificazione 10X, 1 µl di primer PPV-C 0,1 µg/µl, 1 µl di primer omologo PPV-H (5’-ACCGAGACCACTACACTCCC-3’) (Wetzel et al., 1991b) 0,1 µg/µl, 1 µl di dNTPs 10mM e 1 U di DynaZime DNA polymerase (Finnyzimes Oy). E' stata condotta con un hot start a 85°C per 5', 30 cicli di denaturazione a 94°C per 30", appaiamento a 62°C per 30" e sintesi a 72°C per 45", 1 ciclo di estensione a 72°C per 5’. Il prodotto della PCR è stato analizzato mediante elettroforesi su gel di poliacrilammide (PAGE) al 5% seguita da colorazione mediante nitrato d'argento o etidio bromuro. Il frammento ottenuto dall'amplificazione, delle dimensioni attese di 243 paia di basi (pb), è stato sottoposto ad analisi del polimorfismo di lunghezza dei frammenti di restrizione (RFLP) con gli enzimi RsaI e AluI (New England Biolabs) per verificare l'appartenenza dell'isolato virale in esame ad uno dei diversi gruppi di PPV. Infine, il prodotto del RFLP è stato verificato mediante PAGE all' 8% colorato mediante nitrato d'argento o etidio bromuro. RISULTATI E DISCUSSIONE L'antisiero policlonale prodotto utilizzando come antigene l'isolato SwC di PPV è in grado di riconoscere tutti gli isolati di PPV appartenenti ai gruppi finora noti (C, D, EA, e M). Il titolo dell'antisiero, determinato in immuno microscopia elettronica è pari a 1/12000, quello determinato in immuno western blot è pari a 1/60000. L'applicazione del protocollo sperimentale qui riportato per la diagnosi di isolati di PPV appartenenti ai 4 gruppi noti ha dato risultati riproducibili per tutta la durata della fase vegetativa delle Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 piante di diverse specie di Prunus sottoposte a saggio, comprese P. avium e P. cerasus, notoriamente ricche di sostanze ossidanti. L'utilizzo dei primer designati da Wetzel et al., (1991b) per la diagnosi di PPV conferma ancora una volta la sua piena validità nei confronti di tutti gli isolati saggiati. L' RFLP sul prodotto della PCR ottenuta permette inoltre di identificare rapidamente il sottogruppo di appartenenza. L'analisi RFLP non permette di discriminare tra gli isolati appartenenti ai gruppi EA ed M, che però possono essere distinti mediante analisi sierologica con Mab ceppo specifici (Boscia et al., 1998). Nel corso dell'ottimizzazione del protocollo di diagnosi di PPV mediante IC-RT-PCR è risultata fondamentale la scelta della trascrittasi inversa. La Rav-2, consentendo di operare a temperature di trascrizione fino a 45°C, ha permesso di superare i problemi legati ad eventuali strutture secondarie dell'RNA virale, e quindi di ridurre i tempi di sintesi e aumentare la specificità e la quantità del cDNA prodotto. L'immuno-cattura dei virioni che precede la sintesi di cDNA, piuttosto che l'utilizzo di uno dei diversi metodi di estrazione dell'RNA totale noti, consente di concentrare le particelle virali dal succo estratto (aumentando la sensibilità del metodo) ed inoltre di aumentare la specificità nella fase di amplificazione (non sono mai state ottenute bande diverse da quella attesa). La possibilità di realizzare immuno-cattura dei virioni e trascrizione inversa nello stesso tubo consente, oltre che di ridurre i tempi di esecuzione del saggio, di limitare notevolmente il rischio di contaminazione dei campioni. La sensibilità, specificità e riproducibilità del protocollo descritto per l'intera durata della fase vegetativa delle diverse specie di Prunus ricompensa i maggiori costi da affrontare se si pensa a quanto sia grave il pericolo di introduzione della malattia in aree ancora indenni e soprattutto quello legato alla diffusione di isolati dotati di maggiore virulenza (quelli appartenenti al gruppo M) nelle aree in cui purtroppo la sharka è già endemica. In conclusione, la possibilità di disporre di un metodo di diagnosi altamente sensibile per il virus della vaiolatura del susino per le diverse specie di Prunus suscettibili consente di ridurre notevolmente il rischio di selezionare, nei processi di certificazione del materiale vivaistico, piante madri falsamente negative. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 BIBLIOGRAFIA Boscia D., Myrta A., Potere O., Cambra M., Crescenzi A., Di Terlizzi B., Candresse T. e Savino V. 1998. Impiego di anticorpi monoclonali per l'identificazione dei diversi ceppi del virus della vaiolatura delle drupacee. Notiziario sulla protezione delle piante 9, 207 - 212. Crescenzi A., Nuzzaci M. and Piazzolla P. 1994a. Sensitivity of the detection of plum pox potyvirus by molecular assays. EPPO Bulletin 24, 579 – 583. Crescenzi A., Nuzzaci M., Levy L., Piazzolla P., Hadidi A. 1994b. Infezioni di sharka su ciliegio dolce in Italia meridionale. L'Informatore agrario 34, 73 - 75. Crescenzi A, d'Aquino L, Nuzzaci M, Ostuni A, Bavoso A, Comes S, De Stradis A. and Piazzolla P. 1997. Production of strain specific antibodies against a synthetic polypeptide corresponding to the N-terminal region of the plum pox potyvirus coat protein. J. Virol Methods 69, 181 - 189. Demeke T., and Adams, R.P. 1992. The effects of plant polysaccharides and buffer additives on PCR. Biotechniques 12, 332 – 334. Ferguson B. and Prange K. - 2001. Plum Pox Virus Confirmed in Canada. http://www.caf.wvu.edu/kearneysville/disease_descriptions/PPV/ppvcanada.htm Henson, J. M. and French R. 1993. The polymerase chain reaction and plant disease diagnosis. Ann. Rev. Plant Pathol. 31, 81 – 109. Kalashyan Y. A., Bilkey N.D., Verderevskaya T.D. and Rubina E.V. 1994. Plum pox potyvirus on sour cherry in Moldava. EPPO Bulletin 24, 645 – 650. Lain S., Riechmann J.L. and Garcia J.A. 1989. 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A highly sensitive immunocapture polymerase chain reaction method for plum pox potyvirus detection. J. Virol Methods 39, 27 – 37. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Controlli virologici su materiali per la propagazione vegetativa di prunoidee Babini A. R., M. Cardoni, R. Bissani, E. Tura CAV Centro Attività Vivaistiche, Via Tebano 144, 4018 Faenza (RA) RIASSUNTO Per ottemperare a quanto previsto dalla legislazione vigente in materia di vivaismo (D.M. 14/04/97) nel biennio 2000-2001 è stato organizzato dal CAV un programma di controlli sanitari di piante di fonte appartenenti a diverse specie di prunoidee, finalizzati all’individuazione di infezioni causate da virus in particolare dal virus della maculatura anulare necrotica dei Prunus (PNRSV), dal virus del nanismo del susino (PDV) e dal virus della vaiolatura delle drupacee (PPV). E’ stato così messo a punto un protocollo che prevede sopralluoghi in campo per l’osservazione di eventuali sintomi, il prelievo di campioni e poi l’analisi in laboratorio impiegando la tecnica DAS ELISA. Nel biennio 2000 – 2001 sono stati analizzati complessivamente 9686 campioni, prelevati da altrettante piante madri di molteplici varietà di prunoidee, di cui l’11,5% delle piante esaminate, pur prive di sintomi, è risultata interessata dai virus considerati, in particolare PNRSV e PDV. Solo le piante di alcune fra le varietà più diffuse, soprattutto per il susino e l’albicocco, sono risultate interessate in elevata percentuale dalle infezioni di PDV e PNRSV, mentre molte nuove varietà e selezioni in corso di licenziamento, con particolare riferimento a pesco e nettarine, sono state riscontrate conformi a quanto previsto dai decreti vigenti. SUMMARY During the last two years, CAV supported associated nurseryman for quality controls which are compulsory in Europe and it have been managed controls for mother plants of Prunus species in order to detect PNRSV, PPV, PDV. The control protocol is based on field surveys, to collect samples that are analysed in laboratory employing DAS-ELISA techniques. Up to now, 9686 samples from mother plants have been tested and 11.5% of them have resulted to be infected from PNRSV and/or PDV. Between the main cultivated varieties, a few apricot and plum cultivars resulted virus infected. On the other hand, new peach and nectarine varieties and selections from breeding programs are found negative to controls for above mentioned viruses. INTRODUZIONE La produzione e commercializzazione di materiali di propagazione vegetale è regolamentata nell’UE da decreti che prevedono parametri minimi di qualità per evitare la diffusione di patologie di origine infettiva gravemente dannose alle produzioni agricole. Questo in particolare riguarda il settore frutticolo, gravemente minacciato in questi ultimi anni dalla diffusione di malattie causate da virus , fitoplasmi e batteri capaci di pregiudicare la sopravvivenza della frutticoltura in intere aree vocate. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 L’Emilia-Romagna è una delle regioni italiane più importanti per la produzione frutticola, in particolare per la coltivazione del pesco e delle altre prunoidee “minori” come susino, albicocco e ciliegio, ed è nel contempo l’areale italiano con la maggiore presenza di aziende vivaistiche che producono piante di queste specie. Le problematiche riguardanti la qualità sanitaria del materiale vivastico sono perciò molto sentite dagli operatori del settore, sia vivaisti che produttori di frutta. L’obiettivo della qualificazione delle produzioni vivaistiche si può ottenere in primo luogo attraverso la corretta applicazione delle normative vigenti, in particolare quelle finalizzate alla produzione di materiale CAC (Conformità Agricola Comunitaria). Per questo motivo i vivaisti associati al CAV si sono rivolti alla propria struttura consortile per attuare una serie di controlli sanitari sulle piante di fonte del materiale di propagazione da loro utilizzato per la produzione di pesco, susino e albicocco. Il CAV da parte sua ha maturato una specifica esperienza nel controllo sanitario dei materiali di propagazione vivaistica poiché da oltre 15 anni partecipa ai programmi regionali e nazionali di certificazione di fruttiferi e fragola, occupandosi dell’individuazione, controllo e moltiplicazione dei materiali di prebase e base nel processo di certificazione. In questo lavoro si riportano i risultati dei controlli virologici di piante madri di fonte di pesco, susino, albicocco e ciliegio, eseguiti nel 2000–2001, per accreditarle come idonee all’attività vivaistica MATERIALI E METODI Il controllo del materiale vivaistico è obbligatoriamente sancito dal DM 14/04/97 che individua nel vivaista il primo responsabile della qualità sanitaria dei propri materiali. Per coadiuvare il vivaista nell’attuazione di quanto previsto dal suddetto decreto, il CAV già da alcuni anni ha predisposto, messo a punto e realizzato un protocollo di controllo della qualità, per agevolare l’attività dei vivaisti nell’adempimento di quanto previsto dal già citato decreto ministeriale. In questo protocollo è prevista l’esecuzione di saggi volti all’individuazione, nelle piante considerate di fonte, dei principali virus pregiudizievoli per la qualità delle piante (Giunchedi e Poggi Poggiolini, 1985) cioè il virus della maculatura anulare necrotica dei Prunus (PNRSV), il virus del nanismo del susino (PDV) e soprattutto il virus della vaiolatura del susino (PPV), patogeno da quarantena ai sensi delle direttiva CEE 77/93. Per attuare il controllo il vivaista deve in primo luogo individuare e contrassegnare le piante di fonte da utilizzare per l’attività vivaistica, riportandone chiaramente la posizione in una mappa. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Queste piante sono sottoposte ad un controllo in campo per l’osservazione di eventuali sintomi e al prelievo di campioni per la successiva analisi di laboratorio. Il sopralluogo in campo è di solito eseguito durante il periodo primaverile ed all’inizio dell’estate, cioè nel momento di rapido accrescimento dei germogli che coincide anche con la massima espressione sintomatica di eventuali malattie infettive. Durante il sopralluogo le singole piante prescelte vengono controllate accuratamente in ogni parte della chioma per rilevare eventuali alterazioni sulla vegetazione ascrivibili alla presenza di patogeni di origine infettiva. A seguito dell’accurato controllo visivo viene poi prelevato, in tre differenti punti della chioma, un campione costituito da giovani foglie e, se presenti, anche da fiori, in particolare petali. I campioni così prelevati, debitamente conservati in un refrigeratore portatile, vengono poi trasferiti in laboratorio dove sono analizzati mediante la tecnica sierologica immunoenzimatica DAS - ELISA per i virus PNRSV, PDV, PPV, impiegando antisieri commerciali (Bioreba A.G., Basilea; Agritest di Valenzano, Bari). Il protocollo applicato è quello riportato in letteratura (Clarck e Adams, 1977) e consigliato per l’uso del kit di antisiero. Qualora si ritenga necessario approfondire l’esame diagnostico per confermare eventuali risultati dubbi del test ELISA, in specifico nei riguardi del PPV, si fa ricorso alla tecnica di biologia molecolare basata sull’immunocattura di eventuali particelle virali e la successiva reazione di amplificazione mediante specifici primer, dell’acido ribonucleico (RNA) virale (IC-RT-PCR) del trascritto (Corvo et al., 1995). Questa tecnica molto più sensibile del test ELISA e, nello stesso tempo, abbastanza agevole nell’esecuzione, poiché permette di amplificare sequenze nucleotidiche virali senza estrazione degli acidi nucleici, è stata impiegata anche per il monitoraggio di frutteti situati in aree “a rischio” in quanto non lontano da zone “focolaio” del PPV, prima di decidere la loro destinazione ad un uso di tipo vivaistico. RISULTATI E DISCUSSIONE Nel biennio 2000-2001 sono state controllate sia piante già utilizzate nell’attività di propagazione, sia piante di varietà di nuova introduzione e, limitatamente a pesco e nettarine, anche nuove selezioni in corso di valutazione. Riguardo al controllo di eventuali sintomi sulla vegetazione primaverile e sui frutticini, soltanto poche piante fra quelle esaminate mostravano decolorazioni del lembo fogliare, maculature clorotiche o variegature negli spazi internervali e lungo le nervature, tipicamente ascrivibili ad infezioni di origine virale. Tutte le piante che mostravano, al controllo visivo, Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 qualcuno dei sintomi sopra descritti venivano scartate, e solo in qualche caso è stato effettuato il prelievo del campione e l’analisi di laboratorio per determinare il patogeno implicato. Il prelievo era perciò di norma eseguito solo su piante completamente asintomatiche. Il numero delle cultivar esaminate per ogni specie è riportato in tabella 1. I risultati delle analisi eseguite negli anni 2000-2001 riportati nelle tabelle 2 e 3 hanno complessivamente riguardato 9686 campioni, prelevati da altrettante piante madri di molteplici varietà di prunoidee, provenienti dal nord Italia (in particolare Emilia Romagna e Piemonte) e dal meridione (Campania), utilizzate prevalentemente da vivaisti dell’Emilia Romagna. A seguito dell’analisi, l’11,5% delle piante esaminate, pur prive di sintomi, sono risultate infette da PDV o PNRSV. Il virus riscontrato più frequentemente è risultato essere il PNRSV, in particolare su albicocco dove è risultato presente nel 16,5% delle piante esaminate e nel susino dove le piante infette sono risultate il 15,4%. La presenza di questo virus in piante di nettarine pesche e percoche è risultata sempre inferiore al 10%. Il PDV è stato riscontrato sporadicamente, salvo che su piante di ciliegio dove è risultato presente nel 9,6% delle piante esaminate. Alcuni campioni, sono stati esaminati anche per i virus della maculatura fogliare clorotica del melo (ACLSV) , del mosaico del melo (ApMV) e della maculatura anulare latente della fragola (SLRV), i quali, peraltro, non sono stati mai riscontrati ad eccezione del ACLSV presente con una certa frequenza soprattutto su albicocco, come risulta in tabella 3. I dati presentati nelle tabelle 5, 6, 7, 8, 9 e 10 sono indicativi dello stato sanitario di piante madri delle varietà di drupacee maggiormente coltivate nelle aree frutticole del nord Italia, dalle quali si evince che nella gran parte dei casi sono esenti da virus od infette in bassa percentuale da PNRSV e PDV. Anche le piante di nuove selezioni della specie pesco, in corso di valutazione prima del licenziamento, sono risultate interessate in misura estremamente limitata da infezioni di PNRSV (tab. 9). In nessun caso sono stati riscontrati infezioni da PPV su piante individuate come fonte di materiale di propagazione, neanche attraverso l’impiego di IC-RT-PCR. Questa tecnica ha evidenziato 2 soli campioni positivi reperiti durante il monitoraggio di frutteti non lontano da aree che ospitavano focolai di PPV (tab.10). Dai risultati ottenuti durante un biennio di saggi che hanno coinvolto 38 aziende vivaistiche, emerge un quadro di diffusione dei principali virus delle prunoidee abbastanza contenuto. La presenza di virus, soprattutto di PNRSV, è stata riscontrata seppur in percentuale limitata, sia in piante di varietà tradizionali che di nuove varietà all’inizio del loro percorso di moltiplicazione Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 vivaistica. Quando per queste varietà non è stato possibile individuare nemmeno una pianta esente da PNRSV, si è deciso di abbandonarne la moltiplicazione. Quasi tutte le selezioni di alcuni costitutori sia istituzionali che privati, da cui in un prossimo futuro scaturiranno le novità varietali, sono risultate esenti dai virus considerati nella CAC. La tecnica ELISA, largamente applicata, è risultata idonea a svolgere rapidamente i controlli richiesti con un costo accettabile per le aziende vivaistiche. Si è inoltre rivelata affidabile, data la corrispondenza dei risultati ottenuti quando i controlli sono stati ripetuti sulle stesse piante per più anni consecutivi. La tecnica IC-RT-PCR è risultata indispensabile allorché è stato necessario avere la massima attendibilità del saggio finalizzato ad evidenziare la presenza di PPV che è il virus più dannoso in assoluto per le prunoidee da frutto. La pericolosità di tale virus è legata alla sua modalità di diffusione in campo da pianta a pianta, attraverso molte specie di afidi vettori. È perciò raccomandabile collocare l’attività dell’intera filiera di produzione vivaistica in aree indenni da focolai di PPV. Il ricorso ad analisi approfondite per la presenza di questo virus, anche mediante l’uso di IC-RT-PCR, ha consentito di indirizzare la scelta dei vivaisti verso zone adeguatamente isolate da aree “a rischio PPV” per realizzare le loro produzioni. CONCLUSIONI Sono ormai passati 4 anni dall’entrata in vigore del decreto che istituisce la CAC e l’applicazione di un sistema di controlli rappresenta un cambiamento sostanziale nel modo di attuare l’attività vivaistica. I vivaisti che operano nelle principali regioni frutticole e che si rivolgono a produttori professionalmente qualificati per l’approvvigionamento del materiale di propagazione attuano regolarmente il protocollo dei controlli sanitari previsti per le produzioni vivaistiche, in particolare utilizzano materiale esente da determinati virus. Attraverso questo continuo monitoraggio dello stato sanitario del materiale di propagazione è possibile reperire fonti di approvvigionamento sempre più affidabili perché esenti dai patogeni di qualità. La concreta finalità del settore vivaistico più lungimirante è quella di promuovere così l’ulteriore progresso tecnico del vivaismo italiano nella consapevolezza che le migliori produzioni in termini di qualità delle piante si possono ottenere solo impiegando materiale di propagazione sano. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 BIBLIOGRAFIA Giunchedi L., C. Poggi Pollini. 1985. Virosi del pesco. In "Le virosi delle piante da frutto" L'Italia Agricola, 122, pag. 166-182. Clark M.F., Adams A.N. 1997. Characteristics of the microplate method of enzyme-linked immunosorbent assay for the detection of plant viruses. J. Gen. Virol., 34, pag. 475-483. L.M. Corvo, M. Sousa Santos, G. Nolasco. 1995. Detection of Plum Pox Virus using simplified polymerase chain reaction procedure. Acta Horticolturae, 386, pag. 383-390. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Tabella 1. Numero di varietà controllate nel biennio 2000/2001 per l'accreditamento delle piante di utilizzo vivaistico SPECIE Varietà controllate 2000 Varietà controllate 2001 PESCO 127 95 NETTARINA 82 119 PERCOCA 13 11 CILIEGIO 52 47 ALBICOCCO 60 38 SUSINO 53 42 Tabella 2. Campioni di prunoidee controllati per i virus rilevanti ai sensi del D.M. 14/04/97nel biennio 2000-2001 e relative percentuali di infezione ANNO N° CAMPIONI PPV PDV PNRSV PESCO 2000 1375 0 21 83 6% PNRSV; 1,5% PDV PESCO 2001 986 0 4 74 7,5% PNRSV; 0,4%PDV NETTARINA 2000 2052 0 25 129 6,28% PNRSV; 1,21% PDV NETTARINA 2001 2049 0 4 246 12% PNRSV; 0,19%PDV PERCOCA 2000 181 0 3 19 10,4%PNRSV; 1,6%PDV PERCOCA 2001 93 0 0 3 3,22% PNRSV CILIEGIO 2000 391 0 31 14 3,5%PNRSV; 7,92% PDV CILIEGIO 2001 242 0 47 2 ALBICOCCO 2000 1035 0 5 149 0,82%PNRSV; 19,42%PDV 14,39%PNRSV; 0,4% PDV; 0,09% PPV ALBICOCCO 2001 601 0 0 122 20,29%PNRSV SUSINO 2000 436 0 22 74 16,85% PNRSV; 5%PDV SUSINO 2001 245 0 9 31 12,65%PNRSV; 3,67%PDV CULTIVAR PERCENTUALE DI PIANTE INFETTE Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Tabella 3. Campioni di prunoidee controllati per ACLSV, ApMV, SLRV nel biennio 2000-2001 e relative percentuali di infezioni ANNO N° CAMPIONI ACLSV ApMV SLRV PESCO 2000 61 3 0 0 PESCO 2001 245 3 0 NETTARINA 2000 139 15 0 0 NETTARINA 2001 328 20 0 0 PERCOCA 2000 3 0 0 0 PERCOCA 2001 19 0 0 0 CILIEGIO 2000 9 0 CILIEGIO 2001 15 0 ALBICOCCO 2000 140 65 ALBICOCCO 2001 2 0 0 SUSINO 2000 72 29 0 SUSINO 2001 5 0 0 CULTIVAR PERCENTUALE DI PIANTE INFETTE 1,22% ACLSV 6,09% ACLSV 0 0 0 0 46,4% ACLSV 0 40,27% ACLSV Tabella 4. Risultati del controllo di piante madri delle principali varietà di ciliegio saggiate nel biennio 2000/2001 N° camp. PPV PNRSV PDV BLAZE STAR 11 0 0 0 BURLAT 16 0 1 0 CANADA GIANT 11 0 0 0 CELESTE 33 0 0 5 15,1% PDV FERROVIA 45 0 0 8 18% PDV GIORGIA 11 0 3 0 27,27% PDV KORDIA 43 0 0 0 LAPINS 50 0 0 0 MERCHANT 29 0 0 0 MOREAU 26 0 0 0 REGINA 10 0 0 0 SONATA 10 0 0 6 60% PDV SWEET HEART 54 0 0 9 16,6% PDV TECLOVAN 10 0 0 0 VARIETA' PERCENTUALE PIANTE INFETTE 6,25% PNRSV 1,1% PNRSV 7,8% PDV Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Tabella 5. Risultati del controllo di piante madri delle principali varietà di albicocco saggiate nel biennio 2000/2001 VARIETA' N° camp. PPV PNRSV PDV PERCENTUALE PIANTE INFETTE AURORA 30 0 0 0 HAROGEM 15 0 0 0 MARIETTA 55 0 0 0 NINFA 77 0 6 0 7,8%PNRSV ORANGE RED 18 0 1 0 5,5% PNRSV PELLECCHIELLA 122 0 86 0 70,5% PNRSV PINK COT 63 0 0 0 PISANA 28 0 0 2 7,14% PNRSV PORTICI 167 0 13 1 7,8% PNRSV 1,04% PDV ROSA 67 0 1 0 1,49% PNRSV SAN CASTRESE 90 0 41 0 45,5% PNRSV SILVERCOT 69 0 7 2 9,8% PNRSV VITILLO 145 0 14 1 10,3% PNRSV 1,31% PDV 17,86% PNRSV 0,6% PDV Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Tabella 6. Risultati del controllo di piante madri delle principali varietà di nettarina saggiate nel biennio 2000/2001 N° camp. PPV PNRSV PDV AMBRA 147 0 1 1 AMIGA 68 0 0 0 AM 7 50 0 0 1 2% PDV BIG TOP 353 0 3 2 0,8% PNRSV 0,5% PDV CALIFORNIA 21 0 0 0 CRISTINA 48 0 0 0 EARLY TOP 50 0 0 0 FORLIVESE 38 0 0 0 GIOIA 27 0 0 0 GUERRIERA 295 0 2 0 INDIPENDENCE 25 0 0 0 LADY ERICA 10 0 0 1 10% PDV LAURA 70 0 56 0 80% PNRSV M. AURELIA 46 0 25 1 5,4% PNRSV 2% PDV MAEBA TOP 65 0 0 0 MAX 7 39 0 0 0 MORSIANI 60 39 0 0 0 MORSIANI 90 25 0 0 0 NECTAROSS 21 0 0 0 ORION 51 0 0 0 RITA STAR 56 0 1 1 1,78% PNRSV 1,78% PDV ROSE DIAMOND 50 0 2 0 4% PNRSV RUBRA 63 0 63 0 100% PNRSV STARK RED GOLD 318 0 7 0 2,2% PNRSV SUPER CRIMSON 15 0 0 0 SUPER RED 55 0 0 7 12,72% PDV SWEET LADY 169 0 2 1 1,1% PNRSV 0,5%PDV SWEET RED 78 0 11 3 14,1% PNRSV 3,8%PDV VENUS 65 0 1 0 1,5% PNRSV VARIETA' PERCENTUALE PIANTE INFETTE 0,6% PNRSV 0,6% PDV 0,6% PNRSV 7,3% PNRSV 0,7%PDV Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Tabella 7. Risultati del controllo di piante madri delle principali varietà di percoca saggiate nel biennio 2000/2001 N° camp. PPV PNRSV PDV ANDROSS 49 0 0 0 BABY GOLD 5 0 0 0 BABY GOLD 6 2 0 0 0 BABY GOLD 7 2 0 0 0 BABY GOLD 9 8 0 1 0 12,5% PNRSV CARSON 43 0 9 0 20,9% PNRSV EGEA 2 0 1 1 50% PNRSV 50% PDV JONIA 6 0 0 0 JUNGERMAN 64 0 2 2 LOADEL 4 0 0 0 MERIAM PERCOCA ROMAGNOLA 14 0 9 0 3 0 0 0 ROMEA 49 0 0 0 VARIETA' PERCENTUALE PIANTE INFETTE 3,1% PNRSV 3,1% PDV 64,28% PNRSV 8,76% PNRSV 1,1% PDV Tabella 8. Risultati del controllo di piante madri delle principali varietà di susino saggiate nel biennio 2000/2001 N° camp. PPV PNRSV PDV ANGELENO 132 0 35 2 26,5% PNRSV 1,5% PDV FORTUNE 69 0 3 6 4,34% PNRSV 8,69%PDV FRIAR 11 0 0 0 GOLDEN PLUMZA 16 0 9 0 GREEN SUN 12 0 0 0 LARODA 12 0 0 0 T.C. SUN 27 0 0 0 EARLY BIG EGG 16 0 0 0 GROSSA DI FELISIO 15 0 13 0 86,66% PNRSV PRESIDENT 15 0 12 0 80% PNRSV STANLEY 24 0 0 0 VARIETA' PERCENTUALE PIANTE INFETTE 56,25% PNRSV 20,63% PNRSV 2,2% PDV Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Tabella 9. Risultati del controllo di piante madri delle principali varietà di pesco saggiate biennio 2000/2001 N° camp. PPV PNRSV PDV CRIMSON LADY 45 0 0 0 FAYETTE 21 0 0 0 FLORDA STAR 29 0 0 3 FRANCOISE 59 0 0 0 GUGLIELMINA 16 0 0 0 MAY CREST 30 0 17 0 NEMAGUARD 63 0 0 0 O'HENRY 34 0 0 0 ORION 34 0 0 0 RED HAVEN 16 0 2 0 12,5 % PNRSV RICH LADY 146 0 8 0 5,4% PNRSV RICH MAY 80 0 0 0 ROME STAR 30 0 0 0 ROYAL GEM 146 0 1 0 0,6% PNRSV ROYAL GLORY 18 0 1 0 5,5% PNRSV RUBY RICH 131 0 0 0 SIMPHONIE 24 0 0 0 SPRING BELLE 109 0 3 0 2,7% PNRSV SPRING CREST 68 0 0 1 1,4% PDV STARLITE 10 0 10 0 100% PNRSV SYMPHONIE 68 0 1 7 1,47% PNRSV 10,2% PDV TARDIBELLE 25 0 6 0 24% PNRSV ZINGAR 5 99 0 2 0 2% PNRSV VARIETA' PERCENTUALE CAMPIONI INFETTI 10,3 % PDV 56,6% PNRSV 3,9%PNRSV 0,8% PDV nel Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Tabella 10: Indagine sulla diffusione di PPV mediante analisi con test DAS ELISA e IC-RT-PCR SP VARIETA' DAS ELISA IC-RT- PCR AL AURORA - 1 - - AL AURORA - 2 - - AL PISANA - - NT AMBRA - 1 - - NT AMBRA - 2 - - NT BIG TOP - 1 - - NT BIG TOP - 2 - - NT LAURA - 1 - - NT LAURA - 2 - - NT RICH LADY - - NT STARK RED GOLD - - PS MARIA MARTA - - PS RUBY RICH - - PC ROMEA - - PI MRS 2/5 - 1 + + PI MRS 2/5 - 2 - + Legenda: AL = Albicocca NT = Nettarina PS = Pesco PC = Percoca PI = Porta Innesto Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 1 Conservazione dei campioni fogliari: Un aspetto importante nella diagnosi del virus della sharka (PPV) Pasquini G. e M. Barba Istituto Sperimentale per la Patologia Vegetale (ISPaVe), Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, Roma RIASSUNTO Il virus della vaiolatura del susino (PPV) è l’agente causale della più grave malattia virale che colpisce le drupacee. La diagnosi del virus viene effettuata in una ben definita fase vegetativa della pianta, che corrisponde a fine primavera-inizio estate. Infatti, solo in questo periodo, in cui le piante sono in ripresa vegetativa, il virus raggiunge nei tessuti fogliari una concentrazione tale che ne consente il rilevamento tramite il saggio sierologico (ELISA). Per questo motivo, i laboratori coinvolti nella diagnosi del PPV, si trovano spesso nelle condizioni di dover manipolare un elevato numero di campioni in un arco di tempo relativamente breve. Nel nostro laboratorio sono state effettuate diverse prove al fine di verificare la possibilità di diagnosticare il virus in campioni fogliari conservati a diverse temperature per periodi di varia lunghezza. Foglie sintomatiche sono state prelevate a giugno da diverse specie di drupacee naturalmente infette dai due ceppi PPV-D e PPV-M. I campioni sono stati suddivisi in tre gruppi: I) aliquote di 0,5 gr. di tessuto fogliare sono state mantenute a 4°C; II) aliquote di 0,5 gr. di tessuto fogliare sono state congelate a –20°C; III) aliquote di 0,5 gr. di tessuto fogliare sono state polverizzate in azoto liquido e congelate a –20°C. Tutti i campioni sono stati analizzati con ELISA e saggio molecolare (RT-PCR) dopo quattro periodi di conservazione: 15, 30, 60 e 90 giorni. I risultati ottenuti hanno evidenziato che i campioni fogliari possono essere mantenuti a 4°C per circa 10 giorni, mentre le foglie congelate possono essere analizzate, con entrambe le tecniche considerate, anche dopo 60 giorni di conservazione senza osservare diminuzioni nella sensibilità dei test. La polverizzazione con azoto liquido ed il successivo congelamento della polvere a –20°C è sicuramente risultato il miglior sistema di conservazione. Infatti, anche dopo tre mesi, sono stati ottenuti risultati positivi, sia con l’ELISA che con l’RT-PCR, da tutti i campioni infetti analizzati. SUMMARY Plum pox virus, the most important virus affecting stone fruit trees, is responsible for heavy losses in orchards. PPV diagnosis must be performed during a well defined vegetative stage of the plants: springearly summer. Only in this period, in fact, the viral concentration in green tissues allows to obtain reliable results during diagnostic assays. For this reason laboratories must manipulate a high number of samples in a very short time. To overcome this problem, trials were performed in our laboratory by monitoring the possibility of PPV detection in samples stored at different temperatures for periods of different length. i 1 Lavoro svolto nell’ambito del Programma triennale di ricerca agricola, agro-ambientale, agroalimentare e agro-industriale del Lazio (PRAL), codice 26/99 – Allestimento di protocolli diagnostici per il rilevamento di agenti patogeni virali. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Symptomatic leaf samples were collected in June from different stone fruit plants naturally infected with PPV D and M strains. Samples were split into three groups: I) 0.5 g. aliquots stored at 4°C; II) 0.5 g. aliquots frozen at –20°C; III) 0.5 g. aliquots powdered in liquid nitrogen and stored at – 20°C. All samples were analysed both by ELISA and RT-PCR techniques after four different storage periods: 15, 30, 60 and 90 days. The results showed that samples can be maintained at 4°C for about 10 days, whereas frozen samples could be analysed, with bothmethods, until 60 days of storage without loosing in reliability. Powdering in liquid nitrogen and maintenance of samples at –20°C resulted the best storage system. In fact, also after three months, positive results were obtained from all infected samples either by ELISA or RT-PCR techniques. INTRODUZIONE Il virus della vaiolatura del susino (PPV) è l’agente causale della più grave malattia virale che colpisce le drupacee. Severe misure di controllo vengono applicate in tutti i paesi dove il virus è stato individuato e le normative fitosanitarie prevedono controlli in campo per valutare lo stato sanitario del materiale di propagazione e per stimare la diffusione del PPV nei vivai e nei frutteti. Questi monitoraggi comportano annualmente un ingente lavoro di campionamento e un numero molto elevato di saggi diagnostici da effettuare in laboratorio. Al momento, diversi metodi di diagnosi sono applicabili per l’identificazione del PPV nei tessuti vegetali, ma l’ELISA, pur avendo problemi di sensibilità, è sicuramente il saggio diagnostico più utilizzato per i controlli massali, a causa del suo basso costo, della facilità di esecuzione e del fatto che consente di saggiare un elevato numero di campioni al giorno. Per poter ridurre il problema della limitata sensibilità del test, che rende difficile l’individuazione del virus in piante completamente asintomatiche o in piante in cui il virus non è diffuso su tutte le branche, l’ELISA viene effettuata su campioni fogliari prelevati in una ben definita epoca temporale che, nel bacino del Mediterraneo, va da fine primavera ad inizio estate. Infatti, solo in questo periodo, in cui le piante sono in ripresa vegetativa, il virus raggiunge nei tessuti fogliari una concentrazione tale che ne consente il rilevamento tramite il saggio sierologico. Per questo motivo, i laboratori coinvolti nella diagnosi del PPV si trovano spesso nelle condizioni di dover manipolare un elevato numero di campioni in un arco di tempo relativamente breve. E’ necessaria, pertanto, una buona organizzazione al fine di ridurre il rischio di errori tecnici ed, inoltre, nei casi dubbi, la possibilità di ripetere l’analisi è limitata. Considerando le proprietà fisico-chimiche dei potyvirus, gruppo a cui il PPV appartiene, nel nostro laboratorio sono state effettuate diverse prove di conservazione di campioni fogliari, prelevati in campo a metà giugno, al fine di verificare la possibilità di procrastinare il saggio diagnostico. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 In questo lavoro vengono riportati i risultati ottenuti analizzando campioni fogliari mantenuti a diverse temperature e per diversi periodi di tempo. MATERIALI E METODI Nell’ambito della collezione ISPaVe di isolati di PPV, sono state scelte quattro piante di pesco, susino ed albicocco, che sono state rinvasate e mantenute sotto una serra a prova di insetto. L’IC-RTPCR (Wetzel et al., 1992) ha confermato la presenza del virus e l’analisi dei profili enzimatici di restrizione dell’amplicone, digerito con Rsa I, ha permesso di caratterizzare il ceppo del virus (Tab. 1). Piantine di pesco GF305 sane sono state usate come controlli negativi. A metà giugno, dalle quattro piante selezionate sono state raccolte foglie sintomatiche, che sono state suddivise come segue: - aliquote di 0,5 gr. di tessuto fogliare sono state mantenute a 4°C in bustine di plastica; - aliquote di 0,5 gr. di tessuto fogliare sono state congelate a –20°C in bustine di plastica; - aliquote di 0,5 gr. di tessuto fogliare sono state polverizzate in azoto liquido, la polvere così ottenuta è stata inserita all’interno di provette di plastica e congelata a –20°C. Tutti i tipi di campioni sono stati analizzati con ELISA ed IC-RT-PCR dopo diversi intervalli di tempo: 15, 30, 60 e 90 giorni. I controlli positivi di ciascun test erano rappresentati da foglie fresche sintomatiche prelevate, ad ogni intervallo di tempo considerato, direttamente dalle piante mantenute sotto rete a prova di insetto. Il test ELISA è stato effettuato con il Mab universale 5B (Agritest, Italia), seguendo le istruzioni tecniche della Ditta fornitrice. I protocolli della IC-RT-PCR sono quelli riportati in Pasquini et al., 2000. L’estrazione del virus dai tessuti fogliari mantenuti a 4°C o congelati a –20°C è stata effettuata, come per i campioni freschi, tramite la macerazione, nel rapporto 1:10 (g/l) in PBS-T contenente 2% PVP K25 e 20 mM Dieca. La polvere, mantenuta a –20°C, ottenuta dalla macerazione in azoto liquido dei tessuti fogliari, è stata diluita 1:20 nello stesso tampone di estrazione. RISULTATI I risultati riportati in Tabella 2 mostrano che è possibile individuare la presenza del PPV nei campioni fogliari mantenuti a diverse temperature e con diverse modalità. Inoltre, l’efficacia della Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 diagnosi sierologica e molecolare sui campioni conservati è risultata correlata prevalentemente alle condizioni di mantenimento e non al ceppo virale e/o alla pianta ospite. Sia il saggio sierologico che quello molecolare hanno evidenziato la presenza del virus in tutti i campioni analizzati alla fine di giugno, dopo 15 giorni di conservazione. Dopo 30 giorni (fine di luglio) il saggio molecolare ha mostrato poca efficacia nel riconoscimento del virus nei campioni mantenuti a 4°C, mentre l’ELISA è stata ancora in grado di individuare il virus in tutti i campioni refrigerati, anche se i valori di assorbimento ottico sono risultati deboli se confrontati con quelli dei corrispondenti campioni fogliari prelevati direttamente dalle piante infette. I tessuti fogliari congelati tal quali e la polvere congelata, ottenuta dalla macerazione in azoto delle foglie, hanno dato sempre risultati positivi sia in ELISA che in IC-RT-PCR. Dopo 60 giorni di conservazione (fine di agosto), il PPV è stato individuato dal materiale congelato a –20°C. In questo periodo le temperature ambientali hanno raggiunto i 30-32°C e i sintomi di sharka sono scomparsi dalle foglie delle piante infette mantenute sotto rete. In conseguenza a questa situazione, l’ELISA, effettuata sul materiale prelevato direttamente dalle piante ha dato esito negativo, con eccezione dei campioni fogliari provenienti dal susino. Alla fine di settembre (dopo 90 giorni di conservazione), è stato possibile individuare la presenza del virus su tutti i campioni polverizzati in azoto liquido e mantenuti a –20°C. Le foglie congelate come tali hanno cominciato ad evidenziare alcuni problemi: l’ELISA infatti è riuscita ad individuare il virus in soli due campioni e l’IC-RT-PCR ha dato esiti positivi con tre campioni sul totale di quattro. Per quanto riguarda l’analisi dei campioni freschi, l’ELISA, come già individuato a fine agosto, ha fallito nell’individuare il virus in matrici di pesco e albicocco infette. CONCLUSIONE I risultati ottenuti evidenziano che è possibile conservare i campioni di tessuti fogliari prelevati in campo in un periodo ottimale per la diagnosi del PPV e saggiarli successivamente, sia con il saggio sierologico che molecolare. Questo dato ha una notevole rilevanza perché spesso i laboratori di diagnosi hanno difficoltà ad operare con un elevato numero di campioni in poco tempo. Inoltre, se si considera che il PPV è un organismo da quarantena coperto da norme fitosanitarie, e che il materiale di propagazione deve essere esente dal virus e che tutte le piante trovate infette devono essere immediatamente eradicate, la possibilità di conservare i campioni per un periodo lungo consente di ripetere il test in caso di contenzioso. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Il mantenimento a 4°C è risultato il metodo meno efficiente per la conservazione dei campioni. I processi di fermentazione, infatti, compromettono la qualità dei tessuti interferendo nei legami antigene-anticorpo ed aumentando la concentrazione degli inibitori della PCR. Alla luce dei risultati ottenuti sembra conveniente, quindi, mantenere i campioni nelle celle frigorifere per un massimo di 10 giorni per evitare la possibilità di avere campioni falsi negativi. Il congelamento a –20°C dei tessuti fogliari ha dato risultati molto soddisfacenti fino a due mesi di mantenimento, un intervallo di tempo accettabile nella programmazione della diagnosi di un numero elevato di campioni di piante. La polverizzazione dei tessuti fogliari in azoto liquido ed il successivo congelamento della polvere a –20°C, pur essendo più laborioso, rappresenta sicuramente il metodo di conservazione più efficiente, che consente di mantenere i campioni inalterati per un periodo di tempo molto lungo: polvere mantenuta per un anno a –20°C ha dato segnali positivi in IC-RT-PCR (dati non riportati). La conservazione dei campioni per un idoneo periodo di tempo, inoltre, non interferisce nella sensibilità del test. E’ possibile, infatti, effettuare l’ELISA su campioni prelevati nella fase vegetativa della pianta più idonea alla diagnosi del virus e conservati in opportune condizioni, senza perdita di sensibilità, risolvendo i problemi relativi alla maggiore sensibilità del saggio molecolare in alcune fasi vegetative delle piante. In conclusione, la possibilità di conservare i campioni fogliari in opportune condizioni e per idonei intervalli di tempo consente di ottimizzare la diagnosi del virus della sharka, facilitando quindi l’organizzazione dei laboratori e permettendo, inoltre, di ripetere i test. La possibilità di conservare i campioni consente anche di aumentare il numero delle piante analizzabili in un anno e di migliorare, quindi, la lotta che rimane essenzialmente preventiva contro questa malattia. BIBLIOGRAFIA Kegler H. and Schade C.,1971. Plum pox virus. CMI/AAB Description of plant viruses, 70. Pasquini G., Mazzei M., Barba M., 1995. Improvement of detection of Plum Pox Virus in stone fruits by ELISA. Acta Horticulturae, 384, 543-548 Pasquini G., A.M. Simeone, L. Conte and M. Barba, 2000. RT-PCR evidence of the non-transmission through seed of Plum Pox Virus strain D and M. Journal of Plant Pathology, 82, 221-226. Roy A.S. and Smith I.M., 1994. Plum Pox situation in Europe. EPPO Bulletin, 24, 515-524. Wetzel T., Candresse T., Macquaire G., Ravelonandro M., Dunez J., 1992.A highly sensitive immunocapture polymerase chain reaction method for Plum Pox potyvirus detection. Journal of Virological Methods, 39, 27-37. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Tabella 1. Isolati di PPV mantenuti sotto la rete a prova di insetto. N° isolati 1 2 3 4 5 Specie susino albicocco pesco pesco pesco Varietà Morettini Perla Royal Glory Rich Lady GF 305 Ceppo D D D M sano Tabellae 2. Risultati ottenuti con l’ELISA e l’IC-RT-PCR effettuate su foglie fresche, su foglie congelate e su foglie polverizzate in azoto liquido e poi mantenute a –20°C. Isolati Campioni freschi ELISA IC-RTPCR Foglie at 4°C ELISA IC-RTPCR Foglie congelate a – 20°C ELISA IC-RT-PCR Foglie polverizzate mantenute a –20°C ELISA IC-RTPCR 15 giorni (fine di giugno) 1 2 3 4 5 + + + + - + + + + - + + + + - + + + + - + + + + - + + + + - + + + + - + + + + - 30 giorni (fine di luglio) 1 2 3 4 5 + + + + - + + + + - + + + + - + + - + + + + - + + + + - + + + + - + + + + - 60 giorni (fine di agosto) 1 2 3 4 5 + - + + + + - n.s. n.s. n.s. n.s. n.s. n.s. n.s. n.s. n.s. n.s. + + + + - + + + + - + + + + - + + + + - 90 dgiorni (fine di settembre) ) 1 2 3 4 5 + - + + + + - n.s. n.s. n.s. n.s. n.s. n.s. n.s. n.s. n.s. n.s. + + - + + + - + + + + - + + + + - + = risultato positivo; - = risultato negativo; n.s. = non saggiato. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 2 Diffusione di virus e viroidi in germoplasma di drupacee nell’ Italia centro-meridionale Ferretti L., F. Faggioli, E. Ragozzino, G. Pasquini, M. Barba Istituto Sperimentale per la Patologia Vegetale, Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, Roma RIASSUNTO Differenti varietà di pesco, albicocco, susino e ciliegio, provenienti da campi collezione e da centri di moltiplicazione di germoplasma frutticolo, sono state analizzate, con saggi sierologici e molecolari, per verificare la presenza dei principali agenti virali e viroidali dei fruttiferi. Oltre il 70% del germoplasma di pesco, albicocco e susino e più del 30% del germoplasma di ciliegio è risultato infetto da uno o più agenti virali. Il virus della maculatura anulare clorotica del melo (ACLSV) è risultato il virus più diffuso su pesco, albicocco e susino, mentre su ciliegio è stato rinvenuto solo il virus del nanismo del susino (PDV). Oltre il 50% del germoplasma di pesco è risultato infetto dal viroide del mosaico latente del pesco (PLMVd), assente o poco frequente, invece, su albicocco, susino e ciliegio. Elevate anche le percentuali di infezione del viroide del nanismo del luppoli (HSVd) in particolare, su susino. I dati mettono in evidenza che, laddove è stata effettuata una selezione sanitaria efficace, l’incidenza di alcuni virus (ilarvirus e sharka) è significativamente bassa o addirittura assente, mentre nel caso di patogeni emergenti o poco considerati (PLMVd, HSVd e ACLSV), la loro diffusione è molto alta e compromettente la qualità del germoplasma frutticolo. SUMMARY VIRUSES AND VIROIDS AFFECTING STONE FRUIT GERMOPLASM IN SOUTHERN-CENTRAL ITALY Different peach, apricot, plum and cherry varieties, individuated in mother plant and germplasm collection fields, were analysed, by serological and molecolar methods, for the presence of the most important viruses and viroids. More than 70% of peach, apricot and plum germplasm and about 30% the cherry germplasm were found infected by one or more of the considered pathogens. Apple chlorotic leaf spot virus (ACLSV) resulted the most widespread virus on peach, apricot and plum trees. Prune dwarf (PDV) was the only virus found in cherry. Peach latent mosaic viroid (PLMVd) occurred mainly in peach samples (54,4%), never in cherry and only sporadically in apricot and plum, while Hop stunt viroid (HSVd) was detected, in high percentage, in peach, plum and apricot but not in cherry samples. The results show that an appropriate sanitary selection, performed in the past for the ilarviruses and Plum pox virus (PPV), is able to reduce the incidence of viral agents, whereas for the emergent or not considered pathogens, great efforts must been done to control their diffusion, so to increase the stone fruit germplasm quality. 2 Lavoro svolto in parte nell’ambito del Programma triennale di ricerca agricola, agro-ambientale, agroalimentare e agroindustriale del Lazio (PRAL), codice 26/99 – Allestimento di protocolli diagnostici per il rilevamento di agenti patogeni virali. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 INTRODUZIONE Le drupacee, al pari di altre colture agrarie, sono affette da un alto numero di malattie ad eziologia virale che ne compromettono la produttività quanti-qualitativa (Desvignes, 1999; Nemeth, 1986; Uyemoto e Scott, 1992). La Sezione di Virologia dell’Istituto Sperimentale per la Patologia Vegetale di Roma, allo scopo di valutare e, se possibile, migliorare la qualità sanitaria del germoplasma di drupacee, ha svolto un’attività di monitoraggio che, nel corso di un triennio, ha portato ad acquisire dati sufficienti per una valutazione della diffusione di questi patogeni nel germoplasma di drupacee in alcune regioni dell’Italia centro-meridionale (in particolare Lazio e Campania) . A tal fine, sono stati presi in considerazione i risultati di saggi sierologici e molecolari effettuati su campioni di pesco, albicocco, susino e ciliegio provenienti da campi collezione o da centri di moltiplicazione di germoplasma frutticolo. In questo modo è stato possibile estendere l’analisi ad un ampio numero di varietà e, quindi, di riferire i risultati ad un campione sufficientemente rappresentativo del panorama varietale presente in queste zone italiane. Scopo del presente lavoro è stato quello di definire, sulla base delle percentuali di diffusione, quali siano i virus e viroidi ai quali si deve porre maggiore attenzione nella produzione di materiale di propagazione sanitariamente qualificato. L’indagine è stata rivolta ai principali virus e viroidi riscontrabili nelle drupacee, ovvero: virus del nanismo del susino (PDV), virus della maculatura anulare necrotica dei Prunus (PNRSV), virus del mosaico del melo (ApMV), virus della maculatura clorotica fogliare del melo (ACLSV), virus della vaiolatura anulare del susino (PPV), viroide del mosaico latente del pesco (PLMVd) e viroide del nanismo del luppolo (HSVd). Di ognuno di questi, è stata calcolata la percentuale di diffusione rapportando il numero delle piante infette al totale delle piante saggiate per ciascuna specie. MATERIALI E METODI Origine del materiale L’indagine ha interessato campi collezione di germoplasma e campi di piante madri del Lazio e della Campania. Tutti i campioni provenienti dai campi di piante madri non presentavano sintomi virali evidenti, mentre fra quelli provenienti dai campi collezione e dai frutteti commerciali, alcuni mostravano sintomi più o meno specifici. In particolare, sono state saggiate 443 piante di cui: 134 campioni di pesco appartenenti a 63 varietà e 7 selezioni, 173 campioni di susino appartenenti a 14 varietà, 113 campioni di albicocco appartenenti a 24 varietà, 2 selezioni, 1 susinococco e, infine, 23 campioni di ciliegio appartenenti a 10 Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 varietà. La minore incidenza del ciliegio nell’ambito del panorama frutticolo delle regioni considerate, giustifica il minor numero di campioni saggiati rispetto alle altre specie. La lista delle varietà analizzate è riportata in tabella 1. Saggi diagnostici Per la diagnosi dei virus sono stati effettuati prevalentemente saggi di tipo sierologico (DASELISA) con kit commerciali utilizzati in accordo con le istruzioni delle Ditte produttrici; si è ricorso a saggi di tipo molecolare (IC-RT-PCR) solo per quei virus per i quali la diagnosi sierologica è possibile solo in periodi vegetativi molto ristretti (ACLSV) o non è sufficientemente sensibile nel caso di campioni asintomatici (PPV). Per la diagnosi dei viroidi invece, sono state adottate tecniche molecolari e, precisamente, l’ibridazione molecolare con sonde clonate non radioattive (tissue printing e spot blot) e l’amplificazione genica (RT-PCR). In particolare, per gli ilarvirus (PDV, PNRSV, ApMV) sono stati utilizzati antisieri commerciali (DSMZ, Germania) in DAS-ELISA diretta a partire da foglie prelevate in primavera, o da fiori ottenuti da rami raccolti in inverno e pre-germogliati in serra. Per la diagnosi del PPV è stata eseguita una DAS-ELISA indiretta, utilizzando l’anticorpo monoclonale universale 5B (Agritest, Italia), a partire da foglie e fiori raccolti in primavera. Sui campioni asintomatici, è stata invece effettuata una IC-RT-PCR utilizzando per l’immunocattura un anticorpo policlonale prodotto da questo Istituto (ISPaVe 21) ed il protocollo descritto da Faggioli et al., (1998). L’ACLSV è stato saggiato su foglie raccolte in primavera mediante IC-RT-PCR, utilizzando l’antisiero policlonale ISPaVe 82 per l’immunocattura e un protocollo di RT-PCR precedentemente messo a punto (Paquini et al., 1998) con la coppia di iniziatori specifici A52/A53 (Candresse et al,. 1995). Per problemi occorsi durante lo stoccaggio dei campioni, questo virus non è stato saggiato in ciliegio. La diagnosi dei viroidi mediante RT-PCR è stata effettuata seguendo il protocollo messo a punto da Faggioli et al., (2001); l’ibridazione molecolare a goccia (spot blot) e l’impronta di tessuto (tissue printing) è stata eseguita secondo il protocollo di Loreti et al., (1999). RISULTATI Con riferimento al pesco, il 72,4% delle piante saggiate è risultato infetto da uno o più dei patogeni considerati. In particolare, le infezioni virali più frequentemente riscontrate, sono state quelle da ACLSV (26,1%) e PNRSV (18,6%); decisamente inferiore è risultata, invece, la presenza di PDV Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 (2,9%), per altro sempre in infezione mista, mentre non sono mai state riscontrate infezioni da PPV e ApMV. Molto diffusa la presenza di infezioni viroidali, in particolare del PLMVd riscontrato in oltre il 50 % delle piante saggiate; presenti, ma meno diffuse, invece, le infezioni da HSVd (28,4%). Nel 16,7% dei casi, inoltre, questi viroidi sono stati contemporaneamente riscontrati nella stessa pianta. Percentuali di diffusione simili, sono state rilevate anche per le infezioni miste ACLSV+PLMVd (22,4%) e PNRSV+PLMVd (16,4%) mentre meno frequenti sono risultate le infezioni miste PDV+PLMVd (1,4%) e PDV+PNRSV+PLMVd (1,5%). Piuttosto simile la situazione riscontrata su albicocco. La percentuale totale di piante infette è risultata pari al 77,9%. Anche per questa specie l’ACLSV è risultato il virus più diffuso (21,2%), seguito dal PNRSV (15,%); più frequenti, rispetto al pesco, le infezioni da PDV, che su albicocco raggiungono una percentuale di diffusione del 5,3%. Anche in questo caso, non sono state rilevate infezioni da ApMV e PPV. Per quanto riguarda i viroidi, invece, i saggi effettuati hanno messo in evidenza una presenza decisamente maggiore di infezioni da HSVd (37,2%) rispetto al PLMVd (0,8%). Molto bassa la percentuale d’infezione mista che ha riguardato solo i virus PDV e PNRSV (1,8%). L’ACLSV risulta essere il virus più diffuso anche su susino sul quale è stato riscontrato con una frequenza del 40,5%. Fra gli ilarvirus, invece, è il PDV ad essere il più diffuso (13,9%) seguito dal PNRSV (9,2%). Ancora assenti sono risultati il PPV e l’ApMV. Per quanto riguarda i viroidi, solo l’HSVd è presente in percentuale elevata (49,7%) mentre appena lo 0,6% delle piante è risultata infetta da PLMVd. Elevate sono risultate le infezioni miste HSVd+ACLSV (23,1%) mentre la contemporanea presenza dei due ilarvirus (PDV+PNRSV) è stata riscontrata nel 6,9% dei campioni. In totale, la percentuale delle piante risultate infette da almeno un patogeno virale è stata del 83,8%. Su ciliegio, le uniche infezioni riscontrate sono state quelle da PDV che è risultato presente nel 34.8% delle piante saggiate. Assenti tutti gli altri virus e viroidi mentre, come precedentemente riportato, non è stato effettuato il test dell’ACLSV. Tutti i risultati sono riassunti nella tabella 2. CONCLUSIONI Dall’indagine effettuata, il germoplasma di drupacee dell’Italia centro-meridionale appare largamente compromesso dalla presenza di uno o più agenti infettivi di origine virale: ad eccezione del ciliegio, per il quale la percentuale di diffusione di virus risulta comunque superiore al 30%, per tutte le altre specie la presenza di patogeni virali è risultata sempre superiore al 70%. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Va comunque osservata una diversa incidenza dei singoli agenti virali sulle percentuali d’infezione in relazione a diversi fattori. Gli ilarvirus (PDV, PNRSV, ApMV) ed il PPV, che sono oggetto di un sistematico controllo sanitario reso possibile anche grazie alla disponibilità di tecniche diagnostiche rapide ed affidabili, ricorrono in percentuale generalmente bassa (PDV e PNRSV) o sono del tutto assenti (ApMV e PPV). Solo su ciliegio, il PDV ha raggiunto una frequenza superiore al 30% che è comunque bassa se si considera la diffusione in natura piuttosto elevata di questo virus sulle drupacee. Al contrario, l’ACLSV, la cui diagnosi presenta maggiori difficoltà tecniche rispetto ad altri virus e per il quale non è previsto il controllo ai fini della produzione di qualità, si riscontra con una maggiore frequenza. Un discorso a parte meritano i viroidi per i quali le elevate percentuali di infezione riscontrate, almeno su certe specie, sono imputabili alla loro recente scoperta e, conseguentemente, alla mancanza, in passato, di controlli attraverso tecniche diagnostiche semplici, rapide e sensibili. Per quanto riguarda il PLMVd sono state confermate le elevate percentuali di infezione su pesco mentre molto bassa o nulla è risultata la sua presenza sulle altre specie. Elevate sono risultate anche le percentuali di infezione da HSVd il quale, inoltre, dimostra di essere più polifago del PLMVd riscontrandosi in percentuale elevata su pesco, albicocco e susino. Considerato il danno economico che questi patogeni arrecano alle drupacee, le percentuali d’infezione così elevate potrebbero compromettere in maniera considerevole la produttività di tali colture sia in termini quantitativi che qualitativi. Nell’ottica di un miglioramento sanitario del germoplasma frutticolo, appare dunque indispensabile tenere in seria considerazione la assenza di tali agenti patogeni. In conclusione, questi dati mettono in evidenza che, laddove è stata effettuata una selezione sanitaria efficace (per maggiore conoscenza dei patogeni, migliore disponibilità di test diagnostici, interventi legislativi), l’incidenza di alcuni virus (ilarvirus e PPV) è significativamente bassa o addirittura assente, mentre nel caso di patogeni emergenti o poco considerati (PLMVd, HSVd e ACLSV), la loro diffusione è molto alta e compromettente la qualità del germoplasma frutticolo. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Tabella 1. Elenco delle varietà e selezioni oggetto della prova Pesco Regina bianca Pontina Albicocco Susino Ciliegio Bellella di Melito Vitillo Fortune Late Lory Diamond princess Rose diamonde Lampetella Barone Angeleno Early Bigi Guglielmina Tardibelle Micariello Voccuccia liscia Blackamber Bertiello Fairtime White top Torca Nicola qualità Empress Cornaiola Crown princess Carson Luscianese Sayeb Emperor Della Rocca Crimson lady Andross Regina Boreale Red noble Tinta nera Spring lady Jungerman Riccia a fuoco Pellecchiella Obilnaja Malizia Rossa S. Carlo Loadel La Marca Ninfa Settembrina nera Pagliaccio Maycrest Baby gold 9 Baby Gold 7 Portici Sorriso precoce Sciazza Springbelle Armking Biotipo Npb01 Laura Marmulegna Spernocchia Flavorcrest Spring red Biotipo Npg01 Robada Genova giallo-verde Red top Flavor top Biotipo Pc03 Kyoto San Rafele Elegant lady Stark redgold Biotipo Ppb01 Lady rose Florentia Fayette Maria Aurelia Biotipo Ppb14 Bergarouge Sorriso di primavera Redhaven Firebrite Biotipo Ppb17 Karpatin Glohaven Maria Laura Biotipo Pc07 Kompakta Early O’Henry Indipendence Opal Maria bianca Zingara nera Valjevka White lady Ciccio Petrino Venturina Maria delizia Silvette Signora Alix Terzarola col pizzo Boccuccia spinosa Doris Terzarola gialla Ebolitana Early giant Poma 1 Ceccona Early silver Giallona di Siano Persechella June brite Poma 2 Biotipo AB02 Maeba star Chiazziera Biotipo AB03 Maria dorata Rossa tardiva di Caiazzo Susinococco Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Tabella 2. Percentuale di diffusione degli agenti virali in germoplasma di drupacee.oggetto della prova Specie N° di N° di piante piante saggiate infette % PDV Pesco 134 97 72,4 Albicocco 113 88 77,9 Susino 173 145 83,8 Ciliegio 23 8 PNRSV 2,9% 18,6% (2,9%)* (2,2%) 5,3% 15,0% (1,8%) (1,8%) 13,9% 9,2% (6,9%) (6,9%) 34,8 34,8% 0% ApMV 0% 0% 0% 0% ACLSV PPV PLMVd HSVd 26,1% (22,4%) 21,2% 40,5% (23,1%) n.s. 0% 54,5% 28,4% (38,8%) (16,4%) 0% 0,8% 0% 0,6% 0% 0% 37,2% 49,7% (23,1%) 0% * La percentuale, in corsivo tra parentesi, è riferita alle infezioni miste descritte nel testo. n.s: non saggiato BIBLIOGRAFIA Candresse T., Lanneau M., Revers F., Grasseau N., Macquaire G., German S., Malinowski T. e Dunez J. 1995. An immunocapture PCR assay adapted to the detection and the analysis of the molecular variability of the apple chlorotic leaf spot virus. Acta Horticulturae, 386, 136 – 147. Desvigne J. C. 1999. Les virus des arbres fruitiers. Ctifl, Paris. Faggioli F., Pasquini P., Barba M. 1998. Comparison of different methods of RNA isolation for Plum Pox Virus detection by reverse transcription – polymerase chain reaction. Acta Virologica, 42, 219 – 221. Faggioli F., Ragozzino E., Barba M. 2001. Simultaneous detection of stone and pome fruit viroids by single tube RT-PCR. Acta Horticolturae, 550, 59-64. Loreti S., Faggioli F., Cardoni M., Mordenti G., Babini A.R., Poggi Pollini C. and Barba M. 1999. Comparison of different diagnostic methods for detection of peach latent mosaic viroid. EPPO Bulletin, 29, 433-438. Nemeth M. 1986. Virus, mycoplasma and rickettsia diseases of fruit trees. Martinus – Nijhoff Publishing, Dordrecht, the Netherlands and Akademiai Kiado, Budapest, 1-841. Pasquini G., Faggioli F., Pilotti M., Lumia V., Barba M., 1998. Characterization of apple chlorotic leaf spot virus isolates from Italy. Acta Horticulturae, 472, 195-202. Uyemoto J. K. e Scott S. W., 1992. Important diseases of Prunus caused by viruses and other grafttransmissible pathogens in California and South Carolina. Plant Disease, 76, 5 – 11. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 La diagnosi del viroide del mosaico latente del pesco Faggioli F. e M. Barba Istituto Sperimentale per la Patologia Vegetale, Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, Roma RIASSUNTO Il mosaico latente del pesco è una malattia che causa rilevanti danni economici in tutte le aree peschicole mondiali. Le piante colpite, infatti, hanno una scarsa vigoria vegetativa e i frutti maturano in maniera irregolare, sono malformati e di pezzatura ridotta. L'agente causale è un viroide (viroide del mosaico latente del pesco, peach latent mosaic viroid -PLMVd) che, per la sua pericolosità, è considerato un patogeno da quarantena e rientra nell'elenco dei patogeni di cui si deve accertare l'assenza nel materiale di propagazione peschicolo sanitariamente qualificato. La diagnosi si basava, fino a pochi anni fa, esclusivamente sull'uso del saggio biologico sull'indicatore legnoso pesco GF 305 mediante la tecnica della protezione incrociata (cross-protection) e richiedeva almeno tre-quattro mesi di tempo. Recentemente, il sequenziamento del PLMVd e la messa a punto di moderne tecniche di biologia molecolare hanno stimolato studi tendenti a semplificarne la diagnosi, soprattutto in termini di tempo. Considerata la pericolosità del patogeno e la necessità di verificare l' assenza del viroide nelle piante capostipiti di pesco utilizzate per la produzione di materiale certificato esente da virus, è stata impostata una prova comparativa, per verificare la sensibilità, specificità e riproducibilità di differenti metodi di diagnosi. In questa nota viene riportato il protocollo di diagnosi per “impronta di tessuto” risultato il metodo migliore per il rilevamento del PLMVd in diverse matrici vegetali (foglie, gemme e corteccia) prelevate da piante di pesco infette. La validità del metodo è stata confermata, successivamente, verificandone la attendibilità su larga scala. SUMMARY Peach latent mosaic viroid (PLMVd) detection Peach latent mosaic (PLM) is a quarantine world-wide spread disease caused by the peach latent mosaic viroid (PLMVd). Some strain induce mosaic symptoms on leaves, delay of foliation, flowering and maturity, calico and malformation of fruits with cracked sutures and enlarged pits, bud necrosis and, in the more severe cases, early decline of the trees. To prevent the use of infected propagative material, international certification schemes foresee the absence of PLMVd from peach mother plants. Until few years ago its detection was mainly based on cross protection tests on GF305 peach seedlings. Recently, the improved knowledges of PLMVd genome and the optimization of molecolar techniques applied to the diagnosis of plant pathogens have stimulated studies aimed at point out a diagnostic method sensitive, reliable and less time consuming. A ring test among different Institutions has been set up to compare the sensitivity, specificity and riproducibility of the diagnostic techniques available at the moment and routinely applied to PLMVd detection in peach germoplasm. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 In this paper we report the “tissue blot”protocol, resulted the most suitable and reliable for detecting PLMVd in different matrices (leaves, buds and bark) collected from infected peach plants. The method, has been successively validated by mass scale application. INTRODUZIONE Il mosaico latente del pesco (PLM ) è una malattia che causa rilevanti danni economici in tutte le aree peschicole italiane. Il PLM deve il suo nome di "latente" al fatto che, generalmente, non induce forti sintomi cromatici sull'apparato vegetale, anche se alcuni ceppi particolarmente virulenti possono indurre sintomi di calico su foglie e frutti o mosaici gialli, più o meno diffusi. I sintomi più tipici di PLM compaiono su piante di quattro-cinque anni di età, che presentano ritardi di 4-6 giorni nella fioritura, foliazione e successiva maturazione dei frutti. Nelle piante infette si riscontra spesso un deperimento generalizzato, con vegetazione scarsa, fogliame sparso, accecamento delle gemme con successivo disseccamento dei rametti giovani; tutto ciò porta ad un più rapido declino ed invecchiamento delle piante, che presentano una maggiore sensibilità al freddo e agli altri agenti patogeni che causano cancri. Molto tipici, evidenti e spesso dannosi, sono i sintomi riscontrabili sui frutti. Questi ultimi presentano, infatti, delle piccole aree circolari depigmentate, associate, talvolta, a forti deformazioni dovute a spaccature necrotiche della linea di sutura che li rendono non commerciabili. In alcuni casi sono state rilevate anomale colorazioni bianco-rosacee dei petali (specialmente associate a condizioni di alte temperature), e butteratura del legno dei rami e delle branche principali (Desvignes, 1999). L'agente causale della malattia è il viroide del mosaico latente del pesco (Peach latent mosaic viroid, PLMVd) (Flores et al., 1990), presente in Italia in circa il 50% del germoplasma di pesco e nettarine, per lo più di importazione giapponese ed americana (Loreti et al, 1998). La diffusione del PLMVd avviene principalmente mediante materiale di propagazione vegetativa. Inoltre, è stata dimostrata la sua trasmissibilità mediante gli attrezzi da taglio (Hadidi et al., 1997), per afidi (Desvignes, 1986) ed ultimamente anche per polline (Ragozzino et al. 2001); Date la sua pericolosità e diffusione, questo patogeno è considerato da quarantena (Barba, 1999). In considerazione di tutto ciò, importanza fondamentale riveste la messa a punto di una metodologia diagnostica sensibile, rapida, attendibile e riproducibile, applicabile ad un grande numero di campioni e utilizzabile in ogni epoca stagionale. I viroidi, i più piccoli agenti di malattie infettive conosciuti nelle piante superiori, sono molecole di RNA circolare a singolo filamento aventi dimensioni ridotte, fra le 250 e le 380 basi circa (Diener, Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 1991). L'RNA viroidale non codifica per alcun prodotto proteico per cui, diversamente dai virus, è privo del rivestimento proteico. In conseguenza di ciò, i viroidi hanno una bassa risposta immunogenica che rende difficile e poco affidabile una loro diagnosi sierologica (IEM, ELISA); pertanto le uniche tecniche diagnostiche utilizzabili per il loro rilevamento in pianta sono biologiche o molecolari. Qui di seguito viene riportato il protocollo di diagnosi per “impronta di tessuto” risultato, in una precedente prova comparativa (Loreti et al.,1999) il metodo migliore per il rilevamento del PLMVd in diverse matrici vegetali (foglie, gemme e corteccia) prelevate da piante di pesco infette. Il metodo, infatti è: di facile esecuzione: utilizza una sonda non radioattiva applicabile anche in laboratori non specializzati, stabile per oltre un anno, e molto sensibile (individua fino ad una diluizione di 1/10.000 di TNA e fino a 10 femtogrammi di trascritto di RNA, in vitro, complementare al viroide, dati non pubblicati) e specifica (non si osservano reazioni col sano); rapido: evita la fase preliminare di estrazione degli acidi nucleici, necessaria sia per l'ibridazione a goccia che per l'RT-PCR, riducendo notevolmente i tempi di lavoro, aspetto molto importante in una diagnosi massale; affidabile: questa tecnica è stata utilizzata negli anni passati per accertare l’esenza del viroide sia in piante di pesco allevate in pieno campo che utilizzate come fonti primarie nel processo di certificazione. In alcuni casi il saggio biologico (cross protection su GF 305 ) non è stato in grado di evidenziare la presenza del PLMVd mentre l’ibridazione si (Babini e Barba comunicazione personale). PROTOCOLLO Campionamento La diagnosi può essere eseguita, utilizzando matrici diverse, in ogni periodo dell’anno. Il campione da sottoporre ad analisi deve provenire da almeno 4 rametti di uno o due anni di età prelevati nei quattro punti cardinali. Le matrici in cui è stata riscontrata la maggior concentrazione del viroide, a seconda della stagione in cui viene eseguita la diagnosi sono riportate qui di seguito. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Matrice Inverno Primavera Estate Autunno Gemme +++ ---- ---- ---- Corteccia ++ +++ +++ ++ Foglie --- ++ +++ ++ Frutto --- ++++ ++++ --- È opportuno sottolineare che l’utilizzo delle gemme prelevate durante il riposo invernale consente di effettuare l’accertamento dello stato sanitario del materiale di propagazione proprio durante il periodo in cui più attiva è la sua commercializzazione. Il campione, appena prelevato, deve essere cartellinato e conservato, ermeticamente chiuso in buste di plastica, in idonee borse frigorifere e, giunto in laboratorio, trasferito in camera fredda a 4°C. Se ben conservato, il campione può essere analizzato entro un arco di tempo di 5 giorni, per foglie e frutti, e di circa un mese per gemme e corteccia. Ibridazione molecolare per impronta di tessuto ("tissue printing") È una tecnica molecolare che, attraverso l’uso di una sonda di cRNA marcata con digoxigenina, consente di rilevare la presenza dell’RNA viroidale. La sintesi della sonda di cRNA avviene mediante trascrizione in vitro del cDNA complementare all' intera sequenza di PLMVd clonato nel plasmide PGEM3ZF(+). La sonda viene successivamente coniugata con digoxigenina seguendo le istruzioni di un kit commerciale (DIG RNA Labelling Kit SP6/T7 – Roche). Si deve lavorare con guanti, utilizzando materiale sterile (tamponi e vetreria). Il saggio di diagnosi prevede le seguenti fasi: Impronta di tessuto (tissue printing): attivare la membrana di nylon (del tipo caricato positivamente) immergendola per 20' in H2O distillata e 20' in 2xSSC; asciugare la membrana su carta da filtro e disegnare uno schema (celle quadrate di cm 1,5 di lato); tagliare il tessuto scelto per il saggio con una lama da bisturi e, aiutandosi con una pinzetta, premere la superficie di taglio sulla membrana di nylon per consentire l'assorbimento della linfa; avvolgere la membrana con una pellicola trasparente; trasferire la membrana in un cross-linker (Optimal cross-linker) o esporla per 15 min agli UV al fine di fissare gli acidi nucleici; conservare la membrana a 4°C proteggendola tra due lastre di vetro. La membrana può essere mantenuta in queste condizioni anche per diversi mesi. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Pre-ibridazione trasferire la membrana in provettoni sterili contenenti 10 ml di miscela di pre-ibridazione così composta: Miscela (concentrazioni finali): x 10 ml 50% formammide 5xSSC 0,1% NLS 0,02% SDS 2% Blocking Reagent 100 µg/µl SSD* dH2O 5 ml della soluzione madre 2,5 ml della soluzione madre 20x 100 µl della soluzione madre 10% 20 µl della soluzione madre 10% 2 ml 10 µl 370 µl *il salmon sperm DNA va denaturato a 100°C per 3' (direttamente nella boccetta) agitare in un fornetto da ibridazione per 2-3 ore a 70°C su un agitatore rotante. Ibridazione Aggiungere, nello stesso provettone dove è stata eseguita la pre-ibridazione, 0,2-0,5 µg/ml di sonda digoxigenata. (la concentrazione varia in funzione della sensibilità della sonda); agitare tutta la notte a 70°C in fornetto di ibridazione rotante; N.B. è possibile conservare a – 20°C, o meglio a – 80°C, la miscela di ibridazione contenente la sonda è riutilizzabile fino ad almeno 5 eventi di ibridazione senza perdita di sensibilità. Lavaggi Estrarre la membrana, trasferirla in un nuovo provettone sterile e sciacquarla come segue (sempre agitando nel fornetto di ibridazione rotante): - 2 volte: 15' a temperatura ambiente in 25 ml di 2xSSC + 0,1%SDS (5 ml SSC 20x + 500 µl SDS 10% portati a 50 ml con acqua sterile) - 2 volte: 15' a 55°C nel fornetto in 25 ml di 0,1x SSC + 0,1% SDS (250 µl SSC 20x + 500 µl SDS 10% portati a 50 ml con acqua sterile) Rilevamento Si utilizzano i tamponi ed i protocolli indicati dalla Ditta fornitrice del kit (DIG-Luminescent Detection Kit - Roche). Trasferire la membrana in un contenitore sterile (vaschetta di plastica o vetro) ed immergerla: 5' in 25 ml di tampone di lavaggio (WB); 30' in 20 ml di tampone B2; 30' in 20 ml di tampone B2 contenente anti-DIG-AP diluito1:5.000 (4 µl in 20 ml); 5' x 3 lavaggi in 25 ml di tampone di lavaggio (WB); 2' in 20 ml di tampone B3; Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Quindi: su un foglio da lucidi dispensare la soluzione di substrato (CSPD) diluito 1:100 in tampone B3 (circa 1 ml per 100 cm2 di filtro); appoggiare sul velo di tampone la membrana; eliminare il liquido in eccesso tamponando la membrana con carta da filtro; mettere a contatto la membrana con un film autoradiografico e conservare al buio in scatole di esposizione; sviluppare e fissare il film dopo un periodo variabile da 30 minuti a 5-6 ore. Tamponi utilizzati Tampone di lavaggio (WB) 100 ml tampone B1 + 0,3% Tween 20 Tampone B1 Tampone B2 0,1 M Acido maleico pH 7,5 con NaOH in gocce 0,15 M NaCl autoclavare soluzione 1:10 del bloking reagent (in dotazione del kit) in tampone B1 Tampone B3 0,1 M Tris-HCl 0,1 M NaCl 50 mM MgCl2 SSC 10x: 3M NaCl 0.3M trisodio citrato 2H2O pH 9,5 (non si può autoclavare per cui si filtra e si tiene al buio) pH 7 con HCl In Fig. 1 è riportato un filtro in cui si evidenziano le risposte che si ottengono con materiale infetto. Limitazioni d’uso La principale limitazione d’uso può essere dovuta alla preparazione della sonda. Questa, infatti, al momento non è presente in commercio ma può essere richiesta all’Istituto Sperimentale per la Patologia Vegetale di Roma sia già pronta all’uso che sotto forma di plasmide. Inoltre, è possibile sensibilizzare i filtri con i campioni e poi inviarli ai laboratori già in possesso della sonda per completare le successive fasi di rilevamento. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Strumentazione specifica Il laboratorio di diagnosi deve essere dotato della normale strumentazione di base (bilance, pHmetro, frigorifero, distillatore d’acqua) nonché di fornetto da ibridazione e apparato ad UV per fissare gli acidi nucleici. È necessaria, inoltre, una camera oscura per eseguire tutte le procedure di sviluppo e fissaggio del film autoradiografico. BIBLIOGRAFIA Barba M. 1999. Il viroide del mosaico latente del pesco e il virus del mosaico del pesco. Notiziario sulla protezione delle piante, 10, 117-122. Desvignes J.C. 1986. Peach latent mosaic and its relation to peach mosaic and peach yellow mosaic virus diseases. Acta Horticulturae 193:51-57. Desvignes J.C., Boye R., Cornaggia D. and Grasseau N. 1999. Maladies à virus des arbres fruitieres. Centre technique interprofessionel des fruits et legumes , CTIFL Editor, Paris. Diener T.O. 1991. Subviral pathogens of plants: Viroid and Viroid-like satellite RNAs. FASEB J., 2808-2813. Flores R., Hernandez C., Desvignes J. C. and Llàcer G. 1990. Some properties of the viroid inducing peach latent mosaic disease. Res. Virol., 141, 109-118. Hadidi, A., Giunchedi, L., Shamloul, A.M., Poggi Pollini C., and Amer A.M. 1997. Occurrence of peach latent mosaic viroid in stone fruits and its trasmission with contaminated blades. Plant Disease, 81: 154-158. Loreti S., Faggioli F., Barrale R. and Barba M. 1998. Occurrence of viroids in temperate fruit trees in Italy. Acta Horticulturae, 492, 55-59. Loreti S., Faggioli F., Cardoni M., Mordenti G., Babini A.R., Poggi Pollini C. and Barba M. 1999. Comparison of different diagnostic methods for detection of peach latent mosaic viroid. EPPO Bulletin, 29, 433-438. Ragozzino E., Barrale R., Simeone A.M., Conte L., Faggioli F., Barba M. 2001. Il viroide del mosaico latente del pesco: studio sulle possibili vie di trasmissione. Atti VIII Convegno Nazionale SIPaV, p 24, Potenza 3-5 ottobre 2001. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 3 La diagnosi del fitoplasma degli scopazzi del melo Barba M.1, G. Boccardo2, L. Carraro3, P. Del Serrone1, P. Ermacora3, G. Firrao3, N. Loi3, M. Malfitano4, C. Marcone4, C. Marzachì2, R. Musetti3, R. Osler3, S. Palmano3, A. Ragozzino4 1 Istituto Sperimentale per la Patologia Vegetale, Roma; 2 Istituto di Fitovirologia del CNR, Torino; 3 Dipartimento di Biologia Applicata alla Difesa delle Piante, Udine; 4 Istituto di Patologia Vegetale, Portici Riassunto Quella degli scopazzi del melo (AP) è una grave malattia delle pomacee di natura fitoplasmale la cui diagnosi, fino a pochi anni fa, era essenzialmente affidata alla osservazione dei sintomi e all'uso di indicatori biologici e di tecniche di microscopia. Recentemente, l'applicazione di tecniche sierologiche e di biologia molecolare ha consentito di identificare il fitoplasma agente causale della malattia direttamente nelle piante legnose. Tuttavia, anche per queste metodiche, per garantirne l’affidabilità e la ripetitività dei risultati, è stato necessario mettere a punto procedimenti analitici standardizzati e verificati.. Si sono quindi definiti 2 protocolli: quello sierologico e quello molecolare, che consentono di diagnosticare AP nelle piante di melo. SUMMARY Apple proliferation diagnosis Apple proliferation (AP) is an economically important disease of pome fruit trees caused by phytoplasmas whose diagnosis, until few years ago, was mainly based on symptom expression, on microscope observation and on the use of biological indicators. Recently, serology and molecolar techniques are used as sensitive and reliable diagnostic methods, to detect phytoplasmas directly in woody hosts. Specific protocols for serological and molecular biology AP-phytoplasma detection have been set up. Based on the described protocols AP detection is possible on apple - trees. INTRODUZIONE Apple proliferation = AP = scopazzi del melo, è una malattia da quarantena di origine fitoplasmatica che crea seri danni economici ai melicoltori. Segnalata per la prima volta in Italia negli anni ‘50, ha mostrato, recentemente, una certa recrudescenza in alcuni comprensori a forte vocazione melicola della Val d’Aosta e del Trentino. In Italia, la sua distribuzione geografica, può essere così riassunta: 3 Lavoro svolto nell’ambito del PF “Biotecnologie” - Area diagnostici, finanziato dal MiPAF. Progetto N. 453. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Friuli Venezia Giulia Veneto Emilia Romagna Alto Adige Trentino Liguria Lombardia Piemonte Valle d’Aosta Presenza media Sporadica Nessuna segnalazione Presenza limitata in zone ad altitudine superiore ai 600 m Presente in percentuale più elevata in Val di Sole e Val di Non (altitudine superiore agli 800 m) Nessuna segnalazione Presenza sporadica Segnalata in alcuni frutteti a produzione biologica Presente fin dal 60. Incidenza significativa su tutto il territorio. Per AP, è in fase di predisposizione, da parte del Ministero per le Politiche Agricole e Forestali, un decreto di lotta obbligatoria applicabile a livello regionale. E’ opportuno ricordare, inoltre, che questa malattia non deve essere presente in materiale di propagazione commercializzato come “certificato”. Le piante infette da AP generalmente non muoiono ma mostrano anomalie e malformazione dei germogli consistenti in scopazzi, rosettamenti e vegetazione anticipata; le foglie sono piccole, irregolari e con grandi stipole; i frutti sono piccoli, malformati e con picciolo allungato. Il blocco del flusso floematico può causare clorosi ed arrossamenti fogliari, fragilità dei tessuti e ispessimento della corteccia. Alcune varietà sono particolarmente sensibili: Golden delicious, Renetta del Canadà, Granny Smith, Idared, Gravenstein, Starking ed anche le cultivar resistenti alla ticchiolatura, come Florina. Nel caso di ceppi particolarmente aggressivi, su varietà molto sensibili, si può avere una perdita di produzione molto elevata. Le piante infette, inoltre, sono più soggette ad attacchi di Phytophtora, di oidio e di Stereum. In meleti infetti la percentuale di piante malate aumenta nei primi anni (2-3) per poi stabilizzarsi. La diffusione è a chiazze o file. L’osservazione dei sintomi è facilitata in autunno (arrossamenti fogliari, malformazioni e decolorazioni varie) ed inverno (scopazzi). Agente causale della malattia è un fitoplasma strettamente correlato a quello della moria del pero e dei giallumi europei delle drupacee. E’ diffuso in campo da psille (Cacopsylla costalis, C. melanoneura). Fino a pochi anni fa la diagnosi di AP era affidata esclusivamente all'utilizzo di indicatori biologici o ad osservazioni al microscopio ottico, a luce fluorescente, di sottili sezioni di tessuto corticale, colorate con il fluorocromo DAPI (4-6 diamidino-2-fenilindolo) che si lega in modo aspecifico agli acidi nucleici (Seemüller, 1976). In seguito alla applicazione di tecniche basate sull'amplificazione di sequenze degli acidi nucleici (PCR) è stato possibile migliorare la identificazione e la caratterizzazione dei fitoplasmi anche Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 in piante arbustive ed arboree, nelle quali la loro concentrazione è spesso al di sotto della soglia di sensibilità di altre tecniche (Ahrens e Seemüller, 1992). L'analisi del gene codificante il 16S rRNA ha permesso, inoltre, di suddividere i fitoplasmi in diversi gruppi in base ai vari gradi di omologia di sequenza (Seemüller et al., 1994). La disponibilità delle sequenze ha permesso di individuare siti di restrizione diagnostici per gli specifici gruppi di fitoplasmi. Anche le tecniche sierologiche – basate sull’utilizzo di anticorpi monoclonali (Mabs)- quali ELISA ed immunofluorescenza (IF), sono state applicate con successo al rilevamento dei fitoplasmi in matrici vegetali infette (Jiang et al., 1989; Schwartz et al., 1989). Qui di seguito vengono riportati i protocolli di diagnosi sierologica e molecolare risultati, (attraverso una precedente prova comparativa, Barba et al., 1998) idonei a rilevare AP in piante di melo infette. Il metodo sierologico (ELISA), grazie alla semplicità d’uso, può essere utilizzato in una fase iniziale di selezione sanitaria o in indagini massali (decreti di lotta obbligatoria) dove il numero di analisi da effettuare è particolarmente elevato. Il metodo molecolare, più laborioso ma più sensibile, è suggerito, invece, per verificare la assenza di AP in germoplasma di pregio (accessioni primarie dei costitutori, piante capostipiti in un processo di certificazione, piante madri) o, per confermare eventuali risultati dubbi. DIAGNOSI SIEROLOGICA La diagnosi sierologica di AP si è basata sull'utilizzo di un anticorpo monoclonale (Mab) prodotto da un ibridoma denominato 1F4/1E2, ottenuto presso il Dipartimento di Biologia Applicata alla Difesa delle Piante dell'Università di Udine (Loi et al., 1998) e attualmente commercializzato dalla Ditta BIOREBA AG (Reinach, Svizzera). Protocollo ELISA 1. Campionamento Il test ELISA può essere eseguito su campioni di foglie, rametti e radici di melo. Foglie. Il periodo ottimale per il campionamento va da luglio ad ottobre; le foglie, 12-15 per pianta, devono essere prelevate a “random” da almeno 4 rametti diversi (privilegiando le parti sintomatiche, se presenti); il materiale non deve essere senescente. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Rametti. Il campionamento può essere effettuato da luglio fino ad inverno avanzato (dicembregennaio) prelevando 4-5 porzioni di rametti di 1 anno di età e di 20-25 cm di lunghezza. Radici. Il campionamento può essere effettuato durante tutto il periodo dell'anno, prelevando radichette capillari (1,5-2 grammi) o radici secondarie (stessa modalità vista per i rametti). Il campione, appena prelevato, deve essere chiuso ermeticamente in buste di plastica e conservato in idonee borse frigorifere; giunto in laboratorio, va trasferito in camera fredda, a 4°C. Se ben conservato, il campione può essere analizzato entro un arco di tempo di 3 giorni. 2. Preparazione dell’antigene Foglie. Nervature fogliari vengono separate dalla lamina fino al raggiungimento di 1,5-2g di materiale e quindi macerate (in mortaio, pressa o apposito apparato) in tampone di estrazione nel rapporto 1:10 W/V. Rametti. Dopo eliminazione della corteccia, mediante raschiatura superficiale, si preleva la porzione del floema, escludendo i tessuti xilematici più interni; il campione va quindi macerato come sopra. Radici. I campioni vanno abbondantemente lavati per rimuovere ogni traccia di terra; le radichette vengono quindi macerate direttamente come descritto per le nervature fogliari; le radici secondarie vengono trattate come i rametti, tenendo presente che in questo caso i fasci floematici sono più profondi. 3. DAS-ELISA Per la sensibilizzazione delle piastre ELISA (NUNC MaxiSorp) si utilizza Mab purificato alla concentrazione di 5 µg/ml, in tampone carbonato/bicarbonato, in ragione di 200µl per ciascun pozzetto della piastra; l'incubazione può essere condotta a 30°C per 4 ore o per tutta la notte a 4°C. Nei pozzetti sensibilizzati, dopo 3 lavaggi con PBS-Tween 20, si aggiungono i succhi dei campioni la cui incubazione va condotta a 4°C per 14-16 ore. Dopo la rimozione dell'antigene in eccesso, nei pozzetti ELISA viene aggiunto il Mab coniugato e diluito 1:1000 in apposito tampone; la durata dell'incubazione è di 5 ore a 30°C. L'ultima fase della procedura prevede l'aggiunta del substrato di reazione per l'enzima. La presenza dell'enzima e quindi dell'antigene si rende evidente mediante la formazione di un composto colorato; l'intensità di tale colorazione, in rapporto diretto con la concentrazione dell’antigene, viene misurata allo spettrofotometro. I valori di densità ottica (al netto del bianco) dei campioni positivi, dopo 2 ore di incubazione, possono variare da 0,200 a 1,300; per i controlli negativi i valori oscillano da 0,030 a 0,065. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 5. Avvertenze. Per questa tecnica devono e possono essere utilizzate parti diverse della pianta, in funzione dei periodi dell'anno. E’ comune l’esito positivo dei test applicati alle radici e negativo alla chioma, specialmente su piante asintomatiche. La conservazione dei campioni in congelatore è sconsigliata in quanto questa porta ad una drastica diminuzione dei valori ELISA. 6. Strumentazione specifica. Il laboratorio di diagnosi deve essere dotato della normale strumentazione di base (bilance, pHmetro, frigorifero, distillatore d’acqua) nonchè di termostato e lettore di piastre ELISA. 7. Tamponi. Sono quelli indicati dalla Ditta fornitrice del Kit e comunemente impiegati in ELISA per il rilevamento dei virus (http://www.biorba.ch). DIAGNOSI MOLECOLARE La diagnosi molecolare prevede tre fasi operative: estrazione degli acidi nucleici, amplificazione a catena della polimerasi (PCR), analisi della lunghezza dei frammenti di amplificazione. Protocollo PCR 1.Campionamento Foglie verdi, prelevate ad inizio estate e prive di necrosi evidenti, sono la matrice ottimale su cui eseguire la diagnosi. Le foglie, minimo 12 per pianta, devono provenire da almeno 4 rametti di uno o due anni prelevati nei quattro punti cardinali. Il campione, appena prelevato, deve essere cartellinato e conservato, ermeticamente chiuso in buste di plastica, in idonee borse frigorifere e, giunto in laboratorio, trasferito in camera fredda a 4°C. Se ben conservato, il campione può essere analizzato entro un arco di tempo di 3 giorni. Il periodo suggerito per la raccolta e l'analisi dei campioni è il mese di luglio. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 2. Estrazione degli acidi nucleici Nell’ambito della prova comparativa è stato definito un metodo standard di preparazione degli acidi nucleici giudicato soddisfacente da tutti i partecipanti. Al fine di renderlo accessibile a tutti, è stata preparata una versione multimediale del protocollo (accessibile presso il sito http://www.uniud.it/ phytoplasma/DNAprep.html) che si avvale di alcune immagini per illustrare i passaggi maggiormente critici. Il protocollo, basato sulla procedura originariamente pubblicata da Ahrens e Seemüller (1992), prevede le seguenti operazioni: 1. Preparare circa 1,5 g di nervature centrali da foglie verdi senza necrosi evidenti. Utilizzando un bisturi, tagliare le nervature e raccoglierle in piccoli pezzi in un mortaio precedentemente raffreddato e mantenuto in ghiaccio, aggiungendo 7/8 ml di PGB (Phytoplasma grinding buffer) freddo e preparato poco prima di essere usato. Incubare in ghiaccio per 10-15 minuti. 2. Aggiungere circa 50 mg di sabbia di quarzo (Sigma cat. S9887) e sminuzzare accuratamente col pestello. Aggiungere ancora 5 ml di tampone freddo nel mortaio e continuare la frantumazione ora in modo più veloce fino ad ottenere una miscela omogenea. Lasciare in ghiaccio per 10 minuti. 3. Trasferire la miscela in una provetta da 15 ml e centrifugare (il rotore deve essere stato preventivamente raffreddato) a 2.500 g (4.500 rpm in un rotore Sorvall SS34) per 5 minuti. Quindi trasferire con cautela il surnatante in una provetta Corex da 15 ml pulita e preraffreddata in ghiaccio. 4. Centrifugare a 18.000 g (21.500 rpm in Sorvall SS34) per 25 minuti. Scartare con attenzione il surnatante e far asciugare le provette capovolte per uno o due minuti. 5. Risospendere bene (senza fare schiuma) il pellet in 2 ml di CTAB buffer usando pipette Pasteur in plastica monouso con bocca larga. Trasferire 1 ml in provetta Eppendorf da 2 ml. Incubare i tubi in bagno termostatato (60°C) per 15-60 minuti. Possibilmente agitare (vortex) le provette un paio di volte durante il periodo di incubazione. 6. Aggiungere approssimativamente 1 ml di cloroformio isoamylalcol (24:1), mescolare la soluzione energicamente e passarla al vortex per omogenizzarla. Centrifugare a 6.000 rpm per 10 minuti a temperatura ambiente, poi prelevare con attenzione la fase acquosa (superiore) contenente gli acidi nucleici e trasferirla in una provetta Eppendorf da 2 ml. Trascurare l'interfaccia. I pigmenti dovrebbero rimanere nella fase organica. 7. Precipitare gli acidi nucleici aggiungendo un volume di isopropanolo freddo e mescolando. Mettere i tubi a 4°C o in ghiaccio per 1 ora. Centrifugare a 10.000 rpm per 10 minuti. Quindi scartare il surnatante alcolico e lavare attentamente la provetta con 80% etanolo. Asciugare in liofilizzatore per 5 minuti. 8. Risospendere gli acidi nucleici nel tubo con 400 l di TE. Precipitare gli acidi nucleici aggiungendo 40 l di 3M Na Acetato e 0,9 ml di etanolo (95%). Lasciar incubare per almeno 2 ore a 20°C o 30 minuti a -80°C. Centrifugare a 10.000 rpm per 10 minuti. Quindi scartare il surnatante alcoolico e lavare attentamente la provetta con 80% etanolo. Asciugare in liofilizzatore per 5 minuti. 9. Risospendere il DNA in 100 l di acqua (PCR grade). Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Tamponi utilizzati PGB (PHYTOPLASMA GRINDING BUFFER) per 1 litro K2HPO4 16,7g (anidro) o 21,7g (3 idrato) KH2PO4 4,1g Saccarosio 100g BSA (fraction V) 1,5g PVP10000 20g Acido ascorbico 5,3g pH=7,6 Preparare poco prima dell'uso. NON AUTOCLAVARE. 2% CTAB BUFFER CTAB Tris pH8 EDTA pH8 NaCl PVP 10000 per 500ml 10g 50ml da 1M 20 ml da 0.5 M 40,9g 5g 3. Reazione a catena della polimerasi La reazione di amplificazione specifica è stata condotta in un volume totale di 50 µl in presenza di: 1 X PCR Buffer (Roche), 0.5 µM primer fO1 (5'-CGGAAACTTTTAGTTTCAGT-3'), 0.5 µM primer rO1 (5'-AAGTGCCCAACTAAATGAT-3'), 100 µM dNTPs, 2 U. Taq polimerasi, 5µl di acidei nucleici dall'estrazione precedentemente descritta. La reazione è stata sottoposta al seguente ciclo di incubazioni: 2 minuti a 95° C seguita da 35 cicli costituiti da 30 secondi a 95° C, 75 secondi a 55° C e 90 secondi a 72° C. Infine la reazione è stata completata con 10 minuti di incubazione a 72° C. La reazione è stata eseguita anche su estratti di acidi nucleici da almeno un controllo positivo ed uno negativo. 4. Esame della lunghezza dei frammenti di amplificazione Cinque µl dei prodotti amplificati sono stati analizzati in gel di agarosio al 1.5%, colorati con bromuro d'etidio e visualizzati agli UV su transilluminatore. Tutti i campioni devono presentare un amplificato di circa 1500 bp nella reazione di controllo. I campioni risultano positivi quando è presente un amplificato di 1050 bp nella reazione di amplificazione specifica. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 5. Limitazioni d’uso. Punto critico del protocollo è l’estrazione degli acidi nucleici dai campioni fogliari. Una scarsa qualità del DNA totale, infatti, può compromettere la fase successive di amplificazione. 6. Strumentazione specifica. Il laboratorio di diagnosi deve essere dotato della normale strumentazione di base (bilance, pHmetro, frigorifero, distillatore d’acqua) nonchè di termociclatore, apparati elettroforetici, transilluminatore. BIBLIOGRAFIA Ahrens U. e E.Seemüller, 1992. Detection of DNAof plant pathogenic mycoplasmalike organisms by a polymerase chain reaction that amplifies a sequence of the 16S rRNA gene.Phytopathology, 82: 828-832. Barba M., Boccardo G., Carraro L., Del Serrone P., Ermacora P., Firrao G., Giunchedi L., Loi N., Malfitano M., Marcone C., Marzachì C., Musetti R., Osler R., Palmano S., Poggi Pollini C., Ragozzino A., 1999. Confronto fra differenti tecniche di diagnosi applicate al rilevamento di fitoplasmi in Pomacee. Notiziario sulla protezione delle piante, 9 (nuova serie): 263-277. Jiang Y.P., Chen T.A., Chiykowski, Sinha R. C., 1989. Production of monoclonal antibodies to peach eastern X-disease agent and their use in disease detection. Canadian Journal of Plant Pathology, 11(4):325-331. Loi N., P. Ermacora, L. Carraro, R. Osler, T.A. Chen, 1998. Apple proliferation detection using monoclonal antibodies. Proceedings XII International Congress of the International Organization for Mycoplasmology. Sidney, Australia, July 22-28, 1998 Lorenz K.H., B.Schneider, U.Ahrens e E.Seemüller, 1995. Detection of the apple proliferation phytoplasma and pear decline phytoplasma by PCR amplification of ribosomial and nonribosomial DNA. Phytopathology, 85: 771-776. Schwartz Y., Boudon-Padieu E., Grange J., Meignoz R., Caudwell A., 1989. Obtention d'anticorps monoclonaux specifiques de l'agent pathogene de type mycoplasme (MLO) de la flavescence doree de la vigne. Res. Microbiol., 140:311-324. Seemüller E. 1976. Investigations to demonstrate mycoplasmalike organisms in diseased plants by fluorescence microscopy. Acta Horticulturae 67: 109-112 Seemüller E., L.Kunze e U.Schaper, 1984. Colonization behavior of MLO and symptom expression of proliferation-diseased apple trees and decline-diseased pear trees over a period of several years.Z. Pflkrautkh.Pflschutz, 91: 525:532. Seemüller E., B.Schneider, R.Maurer, U.Ahrens, X.Daire, B.Kison, K.H.Lorenz, G. Firrao, L.Avinent, B.B.Sears e E.Stackebrandt, 1994.Phylogenetic classification of phytopathogenic mollicutes by sequence analysis of 16S ribosomial DNA. Int.Jour.Syst.Bacteriol., 44: 440-446. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Protocolli per gli accertamenti sanitari degli organismi patogeni di qualità delle drupacee A. Bazzoni, D. Boscia, A. Cardone, A. Crescenzi, A. Ippolito, A. Minafra, F. Nigro, G. Romanazzi, L. Schena, M. Silletti, N. Vovlas Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 I. FUNGHI INTRODUZIONE Nella proposta di protocollo di produzione del materiale di propagazione per le drupacee elaborata nell’ambito di questo Progetto (Bazzoni et al., 2001) sono stati indicati i seguenti patogeni fungini pregiudizievoli per la qualità: Armillaria mellea, Rosellinia necatrix, Chondrostereum purpureum, Nectria galligena, Taphrina deformans, Verticillium dahliae e diverse specie di Phytophthora (P. cactorum, P. cambivora, P. citrophthora, P. drechsleri, P. megasperma); il DM del 14 aprile 1997, invece, per Verticillium e per Phytophthora non fornisce indicazioni sulle specie coinvolte. Per C. purpureum (agente del mal del piombo) e V. dahliae (agente della tracheoverticilliosi) è previsto un controllo visivo sulle fonti di approvvigionamento. Sul terreno dei campi di fonti iniziali, sul substrato e sul terreno in semenzaio e in vivaio è invece prevista la diagnosi per la presenza di V. dahliae e delle specie di Phytophthora agenti di marciume del colletto. Marciume del colletto La diagnosi del marciume del colletto può essere effettuata mediante isolamento del patogeno in piastra su substrato semiselettivo o mediante ELISA. Queste tecniche consentono di accertarne la presenza sia nel terreno, sia nei tessuti infetti. L’isolamento su substrato semiselettivo fornisce una misura quantitativa precisa del numero di propaguli di Phytophthora spp. nel terreno e sulle radichette; inoltre, tale tecnica permette l’individuazione delle specie coinvolte e fornisce una risposta nell’arco di 4-8 giorni. L’ELISA, sebbene non riesca a discriminare le specie di Phytophthora coinvolte, fornisce una risposta in tempi più brevi (24 ore). Gommosi del colletto Phytophthora cactorum (L. C.) Schröter, P. cambivora (Petri) Buisman, P. citrophthora (Sm. et Sm.) Leonian, P. drechsleri Tucker, P. megasperma Drechsler Tipo di diagnosi Isolamento su terreno di coltura semiselettivo, ELISA Isolamento su terreno di coltura semiselettivo Affidabilità del Buona saggio Terreno Matrice Da inizio primavera a metà autunno Epoca di campionamento I campioni, raccolti in sacchetti in polietilene sterili, devono essere conservati a Modalità di temperatura ambiente e analizzati nell’arco di 4-7 giorni conservazione Diagnosi di Phytophthora spp. nel terreno mediante isolamento su substrato Protocollo semiselettivo (Allegato 1) adoperato Malattia Agenti Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Nel substrato selettivo possono crescere anche funghi appartenenti a generi Note e limitazioni d’uso affini come Pythium e Mortierella. Per isolare P. cactorum, è necessario preparare un substrato selettivo per Phytophthora spp. (Allegato 1-A) senza l’aggiunta di hymexazol, sostanza tossica per questa specie ELISA Affidabilità del Buona saggio Disponibilità di Discreta corredi di anticorpi sul mercato Terreno Matrice Da inizio primavera a metà autunno Epoca di campionamento I campioni, raccolti in sacchetti in polietilene sterili, devono essere conservati a Modalità di temperatura ambiente e analizzati nell’arco di 4-7 giorni conservazione Diagnosi di Phytophthora spp. mediante ELISA (Allegato 2) Protocollo adoperato In caso di risposta positiva, tale tecnica non riesce a distinguere la specie di Note e limitazioni d’uso Phytophthora coinvolta Verticilliosi Verticillium dahliae, responsabile della tracheomicosi delle drupacee nota come verticilliosi, è un fungo ad habitat tellurico, dove può sopravvivere a lungo grazie alla differenziazione di microsclerozi. Ai fini di una diagnosi precoce del patogeno (prima della comparsa dei sintomi esterni) e per escludere infezioni asintomatiche, oltre ai rilievi visivi, sono necessari accertamenti di laboratorio sul terreno dei campi di piante madri e sul terriccio in vivaio. Per il campo di piante madri, la diagnosi dovrà essere effettuata al momento dell’impianto, determinando la densità di inoculo dei microsclerozi in almeno 10 campioni/Ha. Inoltre, è necessario che il terriccio utilizzato in vivaio durante il ciclo colturale sia esente dal fungo; pertanto, l’accertamento sanitario deve essere effettuato ogni qualvolta si prepari una nuova miscela, analizzando almeno un campione ogni 5 m3 di terriccio. Per la diagnosi di V. dahliae nel terreno sono disponibili substrati semiselettivi che consentono l’accertamento della densità di inoculo dei microsclerozi del patogeno nel terreno in circa due mesi. Verticilliosi Malattia Verticillium dahliae Kleb. Agente Tipo di diagnosi Isolamento su terreno di coltura semiselettivo Isolamento su terreno di coltura semiselettivo Affidabilità del Ottima saggio Terreno Matrice Intero anno Epoca di campionamento I campioni, raccolti in sacchetti di plastica sterili chiusi, possono essere Modalità di conservati a temperatura ambiente anche per 3 mesi conservazione Diagnosi di V. dahliae nel terreno mediante isolamento su substrato Protocollo Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 semiselettivo (Allegato 3) adoperato I tempi necessari per la diagnosi sono piuttosto lunghi (2 mesi) Note e limitazioni d’uso Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 PROTOCOLLI Allegato 1 Diagnosi di Phytophthora spp. nel terreno mediante isolamento su terreno di coltura semiselettivo a) Prelievo dei campioni di terreno 1) individuare la forma e la superficie dell’appezzamento da sottoporre ad accertamento; 2) definire lo schema di prelievo dei campioni secondo percorsi preordinati dipendenti dalla forma dell’appezzamento (ad es. a W, a doppio W, a Z, a X, etc.), in modo tale da non escludere settori dal prelievo e da effettuare un campionamento sistematico-randomizzato, ossia prelievo del campione ad intervalli regolari di n metri; 3) dopo aver allontanato uno strato superficiale di circa 5 cm, prelevare il campione di terreno fino ad una profondità di 20-25 cm; 4) per ogni ettaro di terreno da sottoporre ad accertamento sanitario, prelevare almeno 10 campioni di circa 1 kg, costituiti ciascuno da 10 subcampioni; 5) nel caso dei terricci in vivaio, prelevare da punti diversi della massa un campione di circa 1 kg, costituito da 10 subcampioni, ogni 5 m3; 6) sistemare i terreni o i terricci in buste di plastica per il trasporto in laboratorio e conservarli a temperatura ambiente fino al momento dell’analisi. b) Lavorazione dei campioni in laboratorio 7) mescolare accuratamente i campioni nelle stesse buste ove sono contenuti; 8) setacciare i campioni con vaglio a maglie di 2 mm; 9) pesare due aliquote da 10 g di terra fina e porli in beute da 100 ml; 10) prelevare una aliquota da 20 g per la determinazione del peso secco (mediante essiccazione in stufa a 105°C per 24 ore); 11) diluire in agar acqua (0,1%) ciascuna aliquota da 10 g in rapporto 1/10 (p/v); 12) porre in agitazione la sospensione per 3 min mediante un agitatore magnetico; 13) pipettare 1 ml della sospensione in 10 piastre Petri (Ø 90 mm) contenenti 12,5 ml di un substrato semiselettivo (Masago et al., 1977; Ippolito et al., 1991) (Allegato 1-A); 14) incubare le piastre in termostato al buio alla temperatura di 19±1°C; 15) contare le colonie di Phytophthora spp. dopo 4 e 8 giorni di incubazione. La densità di inoculo (DI) di Phytophthora spp. nel terreno viene espressa come numero di propaguli per grammo di terreno secco. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Allegato 1A Substrato semiselettivo per Phytophthora spp. (Masago et al., 1977) 1) porre in un cilindro da litro 17 g di corn meal agar e portare al volume di 900 ml con acqua distillata; 2) sterilizzare in autoclave a 1 atm per 20 min a 121°C; 3) raffreddare il substrato in bagno termostatato a 45-50°C; 4) aggiungere 100 ml di una soluzione antibiotica, contenente 27 mg di nystatin, 59 mg di PCNB, 27 mg di benomyl, 14 mg di rifampicina, 580 mg di ampicillina, ognuno dei quali sciolto in 20 ml di acqua distillata, e 0,25 ml di hymexazol; 5) agitare e dosare in piastre Petri con diametro di 90 mm (12,5 ml/piastra). Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Allegato 2 Diagnosi di Phytophthora spp. mediante ELISA Il seguente protocollo è utile nella diagnosi di Phytophthora spp. sulla terra fina, ottenuta per setacciamento del campione di terreno attraverso un vaglio con maglie di 2 mm. Un miglioramento della sensibilità si ottiene utilizzando per la diagnosi i residui organici surnatanti, ricavati ponendo in agitazione in matracci frangiflusso (270 rpm per 10 minuti) 100 g di terreno, sospesi in 200 ml di acqua distillata (Romanazzi et al., 2001). I kit disponibili sono commercializzati dalle Ditte Agdia e Loewe. Procedura: 1) numerare i campioni da saggiare e predisporre lo schema della loro distribuzione nella piastra, includendo in ogni prova almeno un paio di campioni sicuramente infetti e altrettanti sicuramente sani; 2) frantumare 1 g di terreno in azoto liquido; 3) sospendere il frantumato in 10 ml del tampone di estrazione; 4) filtrare la sospensione; 5) avviare la sensibilizzazione della piastra distribuendo in ciascun pozzetto 100 µl di IgG diluite in tampone di sensibilizzazione, seguendo le indicazioni del fornitore; 6) coprire le piastre con apposito coperchio e incubare per 4 ore a 37°C; 7) eseguire cinque lavaggi con tampone di lavaggio; 8) seguendo lo schema predeterminato, distribuire in ciascun pozzetto 100 µl della sospensione del campione corrispondente; 9) coprire le piastre con apposito coperchio e incubare per una notte a 4°C; 10) eseguire cinque lavaggi con tampone di lavaggio; 11) distribuire 100 µl della sospensione di IgG coniugate con fosfatasi alcalina, diluite in tampone di coniugazione come indicato dal fornitore; 12) coprire le piastre con apposito coperchio e incubare per 4 ore a 37°C; 13) eseguire cinque lavaggi con tampone di lavaggio; 14) distribuire in ogni pozzetto 100 µl di P-nitrofenil-fosfato (1 mg/ml) disciolto, pochi minuti prima dell’utilizzo, in tampone per il substrato, accertandosi che il contenitore per la soluzione sia privo di impurità; 15) lasciar sviluppare la reazione colorimetrica (viraggio a color giallo) a temperatura ambiente per 0,5 - 2 ore; 16) effettuare la lettura dei valori di assorbanza dei singoli pozzetti della piastra, ad intervalli di circa 30 minuti, mediante un fotometro (lettore di piastre ELISA) a 405 nm. Si considerano infetti i campioni con una assorbanza uguale o superiore alla somma tra la media delle letture fotometriche relative ai testimoni non infetti e il triplo della loro deviazione standard (Sutula et al., 1986). Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Allegato 3 Diagnosi di V. dahliae nel terreno mediante isolamento su substrato semiselettivo a) Prelievo dei campioni di terreno Il prelievo dei campioni di terreno deve essere effettuato con le stesse modalità previste per la diagnosi di Phytophthora spp. (Allegato 1). Note - I campioni devono essere prelevati con terreno in tempera. Qualora fosse noto che un settore dell’appezzamento sia stato precedentemente coltivato con una specie ortiva suscettibile a V. dahliae, è opportuno che i campioni di terreno prelevati da tale settore siano tenuti separati da quelli prelevati dal resto dell’appezzamento. b) Lavorazione dei campioni in laboratorio 1) disporre i singoli campioni su fogli di carta assorbente, in modo da formare uno strato di 1-2 cm; 2) far essiccare i campioni di terreno o di miscela all’aria per circa 25-30 giorni, in un ambiente fresco e ventilato, smuovendo periodicamente lo strato e sbriciolando le zolle più grosse; 3) una volta essiccati, mescolare accuratamente i terreni e setacciarli con vaglio a maglie di 2 mm; 4) pesare 25 g di terra fina e porli in una beuta frangiflusso da 250 ml; 5) portare ad un volume di 100 ml con acqua distillata sterile; 6) porre in agitazione per 1 h a 270 rpm su agitatore rotativo; 7) filtrare il terreno attraverso due setacci impilati aventi rispettivamente maglie da 150 e 20 µm; 8) raccogliere il materiale presente sul setaccio inferiore in una beuta e risospenderlo in 100 ml di acqua distillata; 9) seminare uniformemente la sospensione su substrato semiselettivo di Harris (Allegato 3A) nella misura di 2 ml per piastra (∅ 100 mm), per un totale di 10 piastre; 10) lasciare asciugare le piastre per circa 30 min sotto cappa e incubarle a 24°C al buio per 15 giorni; 11) lavare le piastre sotto acqua corrente, in modo da allontanare i residui di terreno presenti; 12) incubare nuovamente le piastre a 24°C, al buio, per 15 giorni; 13) rilevare il numero di colonie da microsclerozi servendosi di uno stereomicroscopio (almeno 20 ingrandimenti). NOTE - Il numero di microsclerozi per grammo di terra (N) fina può essere calcolato come segue: N = n x 2, dove n = numero medio di microsclerozi per piastra; 2 = fattore di diluizione. Difficoltosa risulta la distinzione dei microsclerozi di V. dahliae da quelli di V. tricorpus. In quest’ultima specie i microsclerozi sono più grandi e più tondeggianti, caratteristiche difficilmente apprezzabili con un esame allo stereomicroscopio; osservate attentamente in coltura, invece, le due specie possono essere distinte per la presenza di clamidospore e di ife scure che caratterizza V. tricorpus. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Allegato 3A Preparazione del substrato semiselettivo per Verticillium dahliae (Harris et al., 1993) Preparazione dell’estratto di suolo: Porre 1 kg di terreno in 1000 ml di acqua distillata, sterilizzare ad 1 atm per 20 min, far decantare la sospensione, filtrare sottovuoto su carta Whatman e conservare a 5°C. Preparazione del substrato agarizzato: In un cilindro da litro porre: • 24 ml di estratto di suolo; • 1,5 g di KH2PO4; • 4 g di K2HPO4; • 1 ml di tergitolo; • 2 g di sodio polipectato; • 15 g di agar; • 2 ml di soluzione salina contenente 10 g di KH2PO4, 5 g di KCl, 5 g di MgSO4, 0,1 g di FeSO4, 20 g di NaNO3 in 100 ml di acqua distillata; • portare al volume di 900 ml con acqua distillata; • versare il contenuto del cilindro in una bottiglia da litro e sterilizzare in autoclave ad 1 atm per 20 min; • dopo aver raffreddato il substrato in bagno termostatato a 45-50°C, aggiungere 100 ml di una soluzione antibiotica contenente 60 mg di cloramfenicolo, 60 mg di clortetraciclina, 50 mg di streptomicina solfato e 6 mg di biotina; • agitare e dosare in piastre Petri con diametro di 100 mm (12,5 ml/piastra). Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 BIBLIOGRAFIA Bazzoni A., Minafra A., Ippolito A., Vovlas N., Cariddi C., Amenduni T., Finetti-Sialer M.M., Di Terlizzi B., Savino V. 2001. Punti critici delle drupacee. In: Savino V. (Coordinatore), Atti del convegno Progetto POM A32 - I risultati di due anni di attività. Termoli, 1-2 marzo 2001, 22 pp. (http://www.agr.uniba.it/poma32/Termoli/AttiTermoli.htm). Harris D.C., Yang J.R., Ridout M.S. 1993. The detection and estimation of Verticillium dahliae in naturally infested soil. Plant Pathology 42: 238-250. Ippolito A., De Cicco V., Salerno M. 1991. Aspetti eziologici ed epidemiologici del marciume radicale degli agrumi da Phytophthora spp. in Puglia e Basilicata. Phytopathologia Mediterranea 30: 47-51. Masago H., Yoshikawa M., Fukada M., Nakanishi N. 1977. Selective inhibition of Pythium spp. from soils and plants. Phytopathology 67: 425-428. Romanazzi G., Nigro F., Schena L., Ligorio A., Pentimone I., Ippolito A. 2001. Impiego di kit commerciali ELISA nella diagnosi di Phytophthora spp. agenti del marciume radicale degli agrumi. Atti XIV Convegno Nazionale di Micologia, Selva di Fasano, Fasano (BR), 22-27 ottobre. Micologia Italiana (in stampa). Sutula C.L., Gillet J.M., Morrissey S.M., Ramsdell D.C. 1986. Interpreting ELISA data and establishing the positive-negative threshold. Plant Disease 70: 722-726. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 II. NEMATODI INTRODUZIONE Per l’accertamento della presenza di nematodi fitoparassiti in un ambiente agrario e la successiva determinazione della specie, fondamentale importanza rivestono la raccolta e l’esame diagnostico di laboratorio dei campioni di terreno e delle parti della pianta infestati. La conoscenza, quindi, del comportamento biologico dei nematodi e del loro rapporto con le diverse parti della pianta ospite è basilare per una corretta estrazione quantitativa e qualitativa. CAMPIONAMENTO E METODI DI ESTRAZIONE I campioni di vegetali e/o di terreno da analizzare, costituiti da sub-campioni prelevati a caso (almeno 10 campioni finali per una superficie di 1 ha), devono essere posti in sacchetti di polietilene e conservati, in attesa di essere esaminati, in cella frigorifera a 4–6°C per evitare alterazioni (schiusa delle uova, morte delle larve, ecc.). PRELIEVO E COMPOSIZIONE DEL CAMPIONE Per il campionamento dei nematodi delle piante arbore (endoparassiti migratori e sedentari, semi-endoparassiti e vettori di virus vegetali), ogni momento richiesto per un controllo fitosanitario risulta adatto. Il campione (1-2 kg circa), prelevato dalla rizosfera della pianta ospite ad una profondità di 5-40 cm, deve essere preferibilmente composto da radici capillari e terreno circostante. METODI DI ESTRAZIONE DEI NEMATODI DALLE RADICI I nematodi fitoparassiti, in genere, possono invadere varie parti della pianta ospite. Nelle radici di piante da frutto vari stadi di sviluppo di nematodi endoparassiti e semi-endoparassiti possono essere presenti in varie fasi del loro sviluppo e possono essere estratti con il metodo della omogeneizzazione. Questo metodo è generalmente usato per estrarre i vari stadi di sviluppo di nematodi sia endo- che semi-endo parassiti sedentari (Meloidogyne spp.e Tylenchulus semipenetrans) e endo-parassiti migratori (Pratylenchus spp.). Le attrezzature necessarie sono: - un comune frullatore - due setacci con maglie da 710 e 40 µm, rispettivamente. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Le varie fasi si possono riassumere così: riduzione delle radici in pezzi da 1-1,5 mm; frantumazione delle radici (10 g. circa in 100 ml di acqua) con il frullatore; filtrazione della sospensione ottenuta attraverso i due setacci, posti l’uno sull’altro, con maglie da 710 e 40 µm e successiva raccolta di nematodi e residui vegetali in sospensione acquosa; osservazione microscopica della sospensione ed identificazione dei nematodi. La sospensione di nematodi, ottenuta con il metodo sinora descritto, può essere resa più limpida con una opportuna centrifugazione. METODI DI ESTRAZIONE DEI NEMATODI DAL TERRENO I nematodi fitoparassiti possono essere presenti nel terreno sotto forma di uova, larve infestanti, stadi larvali intermedi e adulti. I nematodi liberi nella rizosfera possono essere recuperati con il metodo del travaso e con il metodo della centrifugazione. Travaso o setacciamento Sono richiesti alcuni secchi da 5-6 litri e una serie di setacci con maglie di varia apertura per raccogliere gli esemplari di tutte le dimensioni. Le varie fasi dell’estrazione possono essere così riassunte: sospensione in acqua di circa 1 kg di terreno; uno o due travasi della sospensione in secchi successivi, osservando brevi pause per favorire la decantazione dei residui terrosi più grossi; filtrazione della sospensione attraverso 2 setacci da 710 e 40 µm per raccogliere i nematodi e particelle terrose; osservazione microscopica del campione. Centrifugazione Questo metodo è molto indicato per la raccolta di nematodi liberi attivi e passivi presenti nel terreno. Le attrezzature che occorrono sono: centrifuga con contenitori da almeno 500 ml; rimescolatore (agitatore) a vibrazione. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Procedimento: sospendere il campione di terreno da esaminare in 4-5 litri di acqua; concentrare attraverso un setaccio detriti organici e nematodi in modo da ottenere un campione di 400 –500 ml, aggiungendo 10-20 g di caolino; centrifugare per 3-5 minuti a 2500 giri; eliminare il supernatante; sospendere nuovamente il residuo (detriti e nematodi ) in una soluzione di solfato di magnesio avente una densità di 1,2 (465 g di prodotto commerciale per litro di acqua), mediante un agitatore; centrifugare nuovamente per 2-3 minuti a 2000 giri/m; recuperare i nematodi filtrando il supernatante attraverso un setaccio di 5 µm; osservazione microscopica della sospensione. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 III. VIRUS ED AGENTI VIRUS-SIMILI INTRODUZIONE Nella proposta di protocollo di produzione del materiale di propagazione per le drupacee elaborata nell’ambito di questo progetto, come agenti virali pregiudizievoli alla qualità della drupacee sono stati indicati i seguenti virus: il nanismo del susino (PDV), la maculatura anulare necrotica dei Prunus (PNRSV), la maculatura clorotica fogliare del melo (ACLSV) ed il mosaico del melo (ApMV). Inoltre, nello stesso protocollo è stato considerato anche PPV, virus oggetto di lotta obbligatoria. Per il loro accertamento sanitario, lo stesso protocollo prevede i rilievi visivi (esame dei sintomi) e saggio diagnostico in laboratorio, che secondo il periodo effettuato ed il tipo di tessuto utilizzato, può essere sia sierologico (ELISA) che molecolare (RT-PCR). PDV (virus del nanismo del susino) PDV è presente in tutte le aree dove sono coltivate le specie del genere Prunus. I sintomi causati da PDV possono classificarsi in due tipologie principali: i) maculature clorotiche e necrotiche, o, a volte, mosaico giallo sulle foglie del ciliegio, le cui piante si presentano meno vigorose e sofferenti; ii) nanismo su pesco e susino. In alcuni casi sui frutti possono manifestarsi, all’invaiatura, anulature o macchie rossastre, mentre con l’innalzamento della temperatura i sintomi fogliari vengono mascherati. PDV è un virus trasmissibile meccanicamente, ma meno facilmente di PNRSV. I tessuti erbacei (fiori e/o giovani foglie) sono inoculati su Cucumis. sativus, che fornisce risposte nell’arco di 6-10 giorni dall’inoculazione. Con l’indexaggio, mediante innesto di piante di Prunus. serrulata cv. Shirofugen e pesco cv. GF305, la diagnosi della malattia può essere ottenuta in 5-8 settimane. Alcuni isolati blandi del virus non rispondono al saggio biologico su GF 305. Per questo, l’indexaggio su questo indicatore è normalmente accompagnato dal saggio ELISA delle giovani foglie, raccolte da 5-10 piante in un campione. Per le difficoltà di isolamento e di purificazione dai tessuti erbacei ed una bassa immunogenicità di questo virus, sono disponibili sul mercato kit ELISA con discreti livelli di sensibilità. La determinazione della sequenza genica del virus permette di produrre diagnostici molecolari (primer per PCR e sonde per ibridazioni), ad elevata specificità e sensibilità. Un Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 limite nell’applicazione della diagnosi molecolare è però nella complessità delle attrezzature e nella elevata professionalità richiesta agli operatori Agente PDV (virus del nanismo del susino) Discreta Disponibilità di corredi di anticorpi sul mercato Sequenze (RNA 3 e 4) da diversi isolati presenti in banche dati. Primer Disponibilità di per PCR disegnati su diverse porzioni del genoma e già validati. sequenze per PCR Tipo di tessuto - fiori e/o foglie giovani; floema da talee dormienti (solo PCR) Epoca di campionamento - fiori: durante la fioritura foglie giovani: in primavera; marze legnose (solo PCR): autunno-inverno (il saggio viene eseguito su floema e/o foglie ottenute con forzatura delle talee) Modalità di conservazione - foglie e fiori: in bustine di plastica, a 4°C, max. per 7-10 gg; marze legnose: in torba od altro substrato inumidito avvolto nella plastica, a 4°C, fino a 3 mesi Protocollo adoperato DAS-ELISA o TAS-ELISA (vedi allegato 1) RT-PCR (vedi allegato 2) Note e limitazioni d’uso Per la costituzione del campione da saggiare in ELISA è preferibile utilizzare tessuti prelevati da punti diversi della chioma. In particolare, si consiglia di prelevare un campione costituito da almeno 5-10 foglie prelevate dalle porzioni apicali. PNRSV (Virus della maculatura anulare necrotica dei Prunus) PNRSV è presente ovunque siano coltivate le drupacee. Isolati diversi del virus causano importanti malattie quali: maculatura necrotica, “tatterleaf” del ciliegio, mosaico rugoso del ciliegio, maculatura anulare del pesco, calico del mandorlo, ecc. PNRSV è un virus di cui è possibile la trasmissione meccanica. Utilizzando idonei tessuti erbacei (fiori e/o giovani foglie) la sua diagnosi può essere agevolmente effettuata mediante inoculazione su ospiti erbacei (C. sativus, Chenopodium quinoa, ecc.) che forniscono risposte nell’arco di 6-10 giorni Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 dall’inoculazione. Con l’indexaggio, mediante innesto di piante di P. serrulata cv. Shirofugen e pesco cv. GF305, la diagnosi della malattia può essere ottenuta in 5-8 settimane. Alcuni isolati blandi del virus non rispondono al saggio biologico su GF 305; pertanto, l’indexaggio è normalmente accompagnato dal saggio ELISA delle giovani foglie, raccolte da 5-10 piante in un campione. Per la facilità di isolamento e purificazione dai tessuti erbacei e la discreta immunogenicità di questo virus, sono disponibili sul mercato antisieri reattivi che consentono di poter effettuare la diagnosi, in particolare con la tecnica ELISA, con buona sensibilità, affidabilità e rapidità. La determinazione della sequenza genica del virus permette di produrre diagnostici molecolari (primer per PCR e sonde per ibridazioni), ad elevata specificità e sensibilità. Un limite nell’applicazione della diagnosi molecolare è però nella complessità delle attrezzature e nella elevata professionalità richiesta agli operatori. Agente PNRSV (virus della maculatura anulare necrotica dei Prunus) Disponibilità di corredi di anticorpi sul mercato Disponibilità di sequenze e/o di primer per amplificazione Elevata Tipo di tessuto - Fiori e/o foglie giovani floema da talee dormienti (solo PCR) Epoca di campionamento - fiori: durante la fioritura foglie giovani: in primavera marze legnose (solo PCR): autunno-inverno (il saggio viene eseguito su floema e/o foglie ottenute con forzatura delle talee) Modalità di conservazione - foglie e fiori: in bustine di plastica, a 4°C, max. per 7-10 gg marze legnose: in torba od altro substrato inumidito avvolto nella plastica, a 4°C, fino a 3 mesi Protocollo adoperato - DAS-ELISA o TAS-ELISA (vedi allegato 1) RT-PCR (vedi allegato 2) Sequenze da diversi isolati (soprattutto RNA 3 e 4) presenti in banche dati (GenBank). Primer per PCR disegnati su diverse porzioni del genoma e già validati in letteratura Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 ACLSV (Virus della maculatura clorotica fogliare del melo) ACLSV è segnalato ovunque siano coltivate le Rosacee. Molti isolati di ACLSV sono spesso latenti sulle drupacee, altri invece sono particolarmente virulenti. L’infezione virale può accentuare i sintomi in presenza di altri virus o predisporre gli alberi ad una carenza nutrizionale. ACLSV si trasmette meccanicamente su ospiti erbacei (C. quinoa, N. occidentalis, ecc.). La trasmissione richiede tessuti erbacei (fiori e/o giovani foglie) e fornisce risposte nell’arco di 10-15 giorni dall’inoculazione. Con l’indexaggio, mediante innesto di piante di pesco cv. GF305 o P. tomentosa, la diagnosi della malattia può essere ottenuta in 5-8 settimane. Attualmente sono disponibili sul mercato antisieri di buona reattività che consentono di poter effettuare una diagnosi, in particolare con la tecnica ELISA, con elevata sensibilità, affidabilità e rapidità. La determinazione della sequenza genica del virus permette di produrre diagnostici molecolari (primer per PCR e sonde per ibridazioni), ad elevata specificità e sensibilità. Un limite nell’applicazione della diagnosi molecolare è però nella complessità delle attrezzature e nella elevata professionalità richiesta agli operatori. Agente ACLSV (virus della maculatura clorotica fogliare del melo) Disponibilità di corredi di anticorpi sul mercato Discreta Disponibilità di Sequenze per PCR Tipo di tessuto Sequenze complete di diversi isolati e Primer "universali" - fiori e/o foglie giovani; floema da talee dormienti (solo PCR) Epoca di campionamento - fiori: durante la fioritura foglie giovani: in primavera; marze legnose (solo PCR): autunno-inverno (il saggio viene eseguito su floema e/o foglie ottenute con forzatura delle talee) Modalità di conservazione - foglie e fiori: in bustine di plastica, a 4°C, max. per 7-10 gg; marze legnose: in torba od altro substrato inumidito avvolto nella plastica, a 4°C, fino a 3 mesi. Protocollo adoperato - DAS-ELISA e TAS-ELISA (allegato 1) RT - PCR (allegato 3) Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Il virus ha una distribuzione irregolare nella pianta, pertanto per la costituzione del campione da saggiare è preferibile utilizzare tessuti prelevati da punti diversi della chioma. In particolare, si consiglia di prelevare un campione costituito da 5-10 foglie prelevate dalle parti apicali dei germogli. Note e limitazioni d’uso ApMV (virus del mosaico del melo) ApMV è stato segnalato nella maggior parte delle arre di coltivazione delle drupacee, con incidenze generalmente modeste, tranne poche eccezioni (mandorlo in Italia meridionale). Le piante infette presentano maculature anulari o lineari e/o picchiettature di colore giallo cromo nei mesi primaverili. Col progredire della stagione le aree cromatiche possono assumere la colorazione normale o virare verso una tonalità biancastra, che permane fino alla caduta delle foglie. ApMV si trasmette meccanicamente da tessuti erbacei (fiori e/o giovani foglie) su ospiti erbacei (C. sativus) su cui compaiono i sintomi nell’arco di 6-10 giorni dall’inoculazione. L’indexaggio si esegue mediante innesto di piante di pesco cv. GF305. Per questo virus sono disponibili sul mercato antisieri che consentono di poter effettuare la diagnosi ELISA, con buona sensibilità e affidabilità. La determinazione della sequenza genica del virus permette di produrre diagnostici molecolari (primer per PCR e sonde per ibridazioni), ad elevata specificità e sensibilità. Un limite nell’applicazione della diagnosi molecolare è però nella complessità delle attrezzature e nella elevata professionalità richiesta agli operatori. Agente ApMV (virus del mosaico del melo) Elevata Disponibilità di corredi di anticorpi sul mercato Disponibili alcune sequenze parziali Disponibilità di Sequenze per PCR - fiori e/o foglie giovani; Tipo di tessuto - floema da talee dormienti (solo PCR) Epoca di campionamento - Modalità di - fiori: durante la fioritura foglie giovani: in primavera; marze legnose (solo PCR): autunno-inverno (il saggio viene eseguito sulle foglie e/o fiori ottenuti in forzatur foglie e fiori: in bustine di plastica, a 4°C, max. per 7-10 gg; Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 conservazione - marze legnose: in torba od altro substrato inumidito avvolto nella plastica, a 4°C, fino a 3 mesi. Protocollo adoperato - DAS-ELISA o TAS-ELISA (vedi allegato 1) RT-PCR (vedi allegato 3) Note e limitazioni d’uso Per la costituzione del campione da saggiare in ELISA è preferibile utilizzare tessuti prelevati da punti diversi della chioma. In particolare, si consiglia di prelevare un campione costituito da almeno 5-10 foglie prelevate dalle porzioni apicali. PPV (virus della vaiolatura delle drupacee) PPV causa la vaiolatura delle drupacee o Sharka, che è sicuramente la malattia da virus più dannosa per le drupacee. Il quadro sintomatologico, dipendente dal ceppo virale e dalla specie ospite, è variegato con maculature fogliari con forme sinuose a fiamma e/o anulari sulle nervature secondarie e terziarie delle foglie; butteratura e deformazione dei frutti di albicocco e susino, maculature anulari e rotture di colore dei fiori e dell’epicarpo di pesco, nonché cascola precoce dei frutti di albicocco e susino. PPV si trasmette meccanicamente su ospiti erbacei (N. benthamiana, C. foetidum, ecc.). La trasmissione richiede tessuti erbacei (fiori e/o giovani foglie) e fornisce risposte nell’arco di 10-15 giorni dall’inoculazione. Con l’indexaggio, mediante innesto di piante di pesco cvs. GF305 o Elberta, la diagnosi della malattia può essere ottenuta in 5-8 settimane. Per la relativa facilità della purificazione dai tessuti di ospiti erbacei e la buona immunogenicità di questo virus, sono disponibili sul mercato antisieri che consentono di poter effettuare la diagnosi, in particolare con la tecnica ELISA, con buoni livelli di sensibilità e affidabilità; tuttavia, la sensibilità del saggio ELISA è soddisfacente solo in tessuti sintomatici, mentre è ad altissimo rischio di risultato falsamente negativo quando l'infezione è ancora latente. La determinazione della sequenza genica del virus permette di produrre diagnostici molecolari (primer per PCR e sonde per ibridazioni), ad elevata specificità e sensibilità, che permettono la più facile rilevazione dell'infezione anche in assenza di sintomi. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Agente PPV (Virus della vaiolatura delle drupacee) Disponibilità di corredi di anticorpi sul mercato Disponibilità di sequenze per PCR Elevata. Disponibilità di antisieri policlonali e monoclonali (sia "universali" che specifici per i quattro ceppi del virus) Tipo di tessuto - Epoca di campionamento Sequenze complete e parziali di numerosi isolati. Primer ceppo-specifici e "universali" fiori e/o foglie giovani floema da talee dormienti (solo PCR) fiori: durante la fioritura foglie giovani: in primavera marze legnose (solo PCR): autunno-inverno (il saggio viene eseguito su floema e/o foglie ottenute con forzatura delle talee) foglie e fiori: in bustine di plastica, a 4°C, max. per 7-10 gg; marze legnose: in torba od altro substrato inumidito avvolto nella plastica, a 4°C, fino a 3 mesi Modalità di conservazione - Protocollo adoperato - Note e limitazioni d’uso Il virus ha una distribuzione irregolare nella pianta, pertanto per la costituzione del campione da saggiare è preferibile utilizzare tessuti prelevati da punti diversi della chioma. In particolare, si consiglia di prelevare un campione costituito da almeno 5-10 foglie, prelevate dalle parti mediane dei germogli e soprattutto ombreggiate. Si consiglia, inoltre, di utilizzare per il saggio la porzione del lembo fogliare prossima al picciolo. DAS-ELISA o TAS-ELISA (vedi allegato 1) RT-PCR (vedi allegati 3 e 4) Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Allegato 1 DAS-ELISA (Clark e Adams, 1977) 1. Assegnare a ciascun campione da saggiare un’apposita numerazione e predisporre lo schema della loro distribuzione nella piastra su apposita scheda. Accertarsi di includere nello schema, come testimoni, anche alcuni campioni (almeno due) sicuramente infetti ed altrettanti sicuramente sani; 2. preparare i campioni da saggiare omogeneizzando i tessuti con mortaio e pestello, o altra idonea apparecchiatura meccanica, in presenza di tampone di estrazione (in rapporto di circa 1:10 peso/volume), trasferire il succo in provette e lasciare decantare a 4°C; 3. avviare la sensibilizzazione della piastra distribuendo in ciascun pozzetto 100 µl di IgG purificate diluite in tampone di sensibilizzazione, seguendo le indicazioni del fornitore; 4. coprire la piastra con apposito coperchio o film adesivo e porla in camera umida; 5. incubare 2 h a 37 °C o 16 h a 4 °C; 6. eseguire tre lavaggi di 3' ciascuno con tampone di lavaggio; 7. seguendo lo schema predeterminato, distribuire in ciascun pozzetto 100 µl di succo, privo di sedimenti, del campione corrispondente; 8. coprire la piastra con apposito coperchio o film adesivo e porla in camera umida; 9. incubare a 4 °C per tutta la notte; 10. eseguire tre lavaggi di 3' ciascuno con tampone di lavaggio; 11. distribuire 100 µl della soluzione di IgG coniugate con fosfatasi alcalina, diluite in tampone di coniugazione come indicato dal fornitore; 12. coprire la piastra con apposito coperchio o film adesivo e porla in camera umida; 13. incubare 2 h a 37°C o 16 h a 4 °C; 14. eseguire tre lavaggi di 3' ciascuno con tampone di lavaggio; 15. distribuire 100 µl per pozzetto di P-nitrofenil-fosfato disciolto (1 mg/ml), pochi minuti prima dell'utilizzo, in tampone substrato (accertarsi che il contenitore utilizzato per disciogliere il substrato sia assolutamente privo di impurità); 16. lasciar sviluppare la reazione colorimetrica (viraggio a color giallo) a temperatura ambiente per circa 0,5 – 2 ore; 17. effettuare la lettura dei valori di assorbanza dei singoli pozzetti della piastra, ad intervalli di 30', mediante un fotometro (lettore di piastre ELISA) a 405 nm; In caso di momentanea indisponibilità del lettore è possibile bloccare la reazione mediante ulteriore distribuzione di 25 µl di NaOH 3,0 M per pozzetto. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 TAS-ELISA 1. Assegnare a ciascun campione da saggiare un’apposita numerazione e predisporre lo schema della loro distribuzione nella piastra su apposita scheda. Accertarsi di includere nello schema, come testimoni, anche alcuni campioni (almeno due) sicuramente infetti ed altrettanti sicuramente sani; 2. preparare i campioni da saggiare omogeneizzando i tessuti con mortaio e pestello, o altra idonea apparecchiatura meccanica, in presenza di tampone di estrazione (in rapporto di circa 1:10 peso/volume), trasferire il succo in provette e lasciare decantare a 4°C; 3. avviare la sensibilizzazione della piastra distribuendo in ciascun pozzetto 100 µl di IgG purificate diluite in tampone di sensibilizzazione, seguendo le indicazioni del fornitore; 4. coprire la piastra con apposito coperchio o film adesivo e porla in camera umida; 5. incubare 2 h a 37 °C o 16 h a 4 °C; 6. eseguire tre lavaggi di 3' ciascuno con tampone di lavaggio; 7. seguendo lo schema predeterminato, distribuire in ciascun pozzetto 100 µl di succo, privo di sedimenti, del campione corrispondente; 8. coprire la piastra con apposito coperchio o film adesivo e porla in camera umida; 9. incubare a 4 °C per tutta la notte; 10. eseguire tre lavaggi di 3' ciascuno con tampone di lavaggio; 11. distribuire 100 µl per pozzetto di anticorpi secondari (monoclonali) diluiti in PBS o tampone coniugato, come indicato dal fornitore; 12. coprire la piastra con apposito coperchio o film adesivo e porla in camera umida; 13. incubare 2 h a 37 °C o 16 h a 4 °C; 14. eseguire tre lavaggi di 3' ciascuno con tampone di lavaggio; 15. distribuire 100 µl della soluzione di IgG anti-topo coniugate con fosfatasi alcalina, diluite in tampone di coniugazione come indicato dal fornitore; 16. coprire la piastra con apposito coperchio o film adesivo e porla in camera umida; 17. incubare 2 h a 37°C o 16 h a 4 °C; 18. eseguire tre lavaggi di 3' ciascuno con tampone di lavaggio; 19. distribuire 100 µl per pozzetto di P-nitrofenil-fosfato disciolto (1 mg/ml), pochi minuti prima dell'utilizzo, in tampone substrato (accertarsi che il contenitore utilizzato per disciogliere il substrato sia assolutamente privo di impurità); 20. lasciar sviluppare la reazione colorimetrica (viraggio a color giallo) a temperatura ambiente per circa 0,5 – 2 ore; 21. effettuare la lettura dei valori di assorbanza dei singoli pozzetti della piastra, ad intervalli di 30', mediante un fotometro (lettore di piastre ELISA) a 405 nm; In caso di momentanea indisponibilità del lettore è possibile bloccare la reazione mediante ulteriore distribuzione di 25 µl di NaOH 3,0 M per pozzetto. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Composizione dei tamponi PBS 8 g NaCl 0,2 g KH2PO4 2,9 g Na2HPO4 x 12 H2O (1,15 g se anidro) 0,2 g KCl 0,2 g NaN3 H2O distillata fino a 1 lt pH 7,4 Tampone di sensibilizzazione (coating buffer) 1,59 g Na2CO3 2,93 g NaHCO3 0,2 g NaN3 H2O distillata fino a 1 lt pH 9,6 Tampone di lavaggio (washing buffer) 1,0 lt PBS 0,5 ml Tween 20 pH 7,4 Tampone di estrazione (extraction buffer) 1 lt PBS 0,5 ml Tween 20 20 g Polivinilpirrolidone, MW 24.000 pH 7,4 Tampone di coniugazione (conjugate buffer) 1 lt PBS 0,5 ml Tween 20 20 g Polivinilpirrolidone, MW 24.000 2 g Sieroalbumina bovina (BSA) pH 7,4 Tampone substrato (substrate buffer) 97 ml Dietanolammina 0,2 g NaN3 HCl fino a pH 9,8 a volume di 1 lt con acqua distillata Attrezzature necessarie Premesso che attualmente l’industria è in grado di fornire apparecchiature che consentono la parziale automazione di tutte le operazioni ELISA, di seguito vengono indicate le apparecchiature e strumentazioni ritenute più importanti o indispensabili (queste ultime in corsivo). Piastre in Polistirene a 96 pozzetti Mortai e pestelli Vetreria (cilindri, beute) Pipette graduate (mono e multicanali) Agitatori magnetici pH-metro Frigorifero e congelatore Incubatore (a 37 °C) Lettore di piastre Apparecchiature per la estrazione dei campioni (presse, trapani, ecc.) Bi-distillatore Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Fra i reagenti ricordiamo: anticorpi monoclonali e/o policlonali prodotti chimici comuni per la preparazione di soluzioni e tamponi enzimi (se si effettua direttamente la coniugazione) substrati Gli anticorpi possono essere acquistati presso ditte commerciali. Fra esse ricordiamo: Agdia, Agritest, Bioreba AG, Boehringer, Loewe Biochemia GmbH e Biorad (ex-Sanofi Diagnostic Pasteur), Real Durviz. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Allegato 2 PROTOCOLLO RT-PCR PER LA DIAGNOSI DI PNRSV E PDV IN PRUNUS DA PIENO CAMPO MEDIANTE Applicazioni Il protocollo descritto è stato sviluppato per la diagnosi dei virus delle drupacee, in particolare il virus della maculatura anulare dei Prunus (PNRSV ) e il virus del nanismo del susino (PDV). Il protocollo è stato validato nel corso di saggi di laboratorio effettuati presso il Dipartimento di Protezione delle Piante e Microbiologia Applicata (Università degli Studi) e Centro di Studio del CNR sui Virus e le Virosi delle Colture Mediterranee (Bari), adoperando isolati virali di differente provenienza geografica , mantenuti su piante infette allevate in pieno campo presso l'Azienda Didattico Sperimentale "Martucci" (Valenzano, Bari). Limitazioni d’uso • La scarsa concentrazione dei virus in oggetto nella pianta infetta e/o eventuali variazioni del loro titolo nel corso della stagione vegetativa possono ridurre la sensibilità della diagnosi con gli strumenti proposti. Pertanto, un risultato negativo non garantisce l’esenza del virus in esame nella pianta, ma piuttosto l’inabilità di diagnosticarlo nel substrato utilizzato. • Gli oligonucleotidi sintetici per l'amplificazione dei virus in oggetto adoperati nel protocollo proposto sono stati descritti in letteratura a partire da differenti isolati. Un risultato negativo potrebbe quindi derivare dalla esistenza di isolati virali aventi sequenze varianti. Abbreviazioni usate nel testo cDNA RT PCR RNA RNAsi M-MLV µm DTT Tris dNTPs Sarcosyl µl APS TEMED complementary DNA reverse transcriptase polymerase chain reaction acido ribonucleico ribonucleasi Moloney Murine leukemia v irus nanometri ditiotreitolo triidrossimetil ammino metano deossinucleotidi trifosfati sodio lauryl sarcosina microlitro ammonio persolfato tetraetilen-metilendiammina Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Breve sintesi del protocollo di diagnosi Questo protocollo descrive un metodo di diagnosi di virus delle drupacee in foglie o floema adoperando la tecnica di reverse transcription (RT)- polymerase chain reaction. Il metodo di diagnosi permette di amplificare sequenze specifiche dei virus descritti nella Tab. 1 mediante l’uso degli oligonucleotidi riportati. L’RNA totale, estratto da tessuti (foglie/piccioli o floema) di viti infette mediante un metodo cromatografico di adsorbimento a particelle di silice (Foissac et al., 2000), è adoperato per la sintesi (RT) di un DNA complementare a singola elica (cDNA) iniziata da oligonucleotidi sintetici a sequenza casuale (random primers). Tale cDNA “multivalente” è di seguito utilizzato in una reazione di amplificazione genica (PCR) per la diagnosi virale ad opera di specifici oligonucleotidi sintetici. L’identificazione dei frammenti amplificati é in seguito effettuata mediante elettroforesi in gel di poliacrilammide. Il metodo di estrazione degli RNA totali è stato ottimizzato per l’estrazione da piccole quantità di tessuto e risulta economicamente vantaggioso per la qualità degli estratti ottenuti. 1. Sequenze degli oligonucleotidi sintetici specifici per l'amplificazione di PNRSV e PDV Virus Primer PNRSV/I PNRSV/III PDV/Rw 1c PDV/Rw 1h TCACTCTAGATCTCAAGCA GACACTTTTGCGCGTACGCA TAGTGCAGGTTAACCAAAAGGAT CCGGTATGATATCTCGTACCGAG Gene adoperato Dimensioni amplicone Bibliografia RNA3 (CP) 170bp Rosner et al.1997 RNA3 (CP) 580bp Rowhani etal.,1998 2. Strumentazione necessaria Il protocollo è stato sviluppato adoperando la seguente strumentazione. L'uso di modelli di altre ditte, particolarmente per il thermal cycler, potrebbe richiedere adattamenti del metodo. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Strumento Celle per elettroforesi Microcentrifuga da banco (14K rpm) Micropipette tarate Thermal cycler Freezer a bassa temperatura (-80°C) Stufa per sterilizzazione Autoclave per sterilizzazione agitatore per microtubi Omogeneizzatore a vibrazione per microtubi Alimentatore per elettroforesi Modello BioRad / Biometria Eppendorf Gilson Perkin Elmer 2400 (Applied Biosystems) Retsch Mixer Mill300 GPS 200/400(AP Biotech) 3. Reagenti e soluzioni MgCl2 25 mM (fornita con l’enzima Taq Dna polimerasi) Soluzione di dNTPs 2,5 mM (miscelando soluzioni madri 100mM da Roche Biochemica) Tampone 10X per PCR (fornita con l’enzima Taq Dna polimerasi) DTT 100mM ( fornita con l'enzima MMLV- RT) EB tampone di estrazione per l'RNA :4.0 M guanidina tiocianato; 0.2 M sodio acetato pH 5.2; 0.025 M EDTA bisodico; 1.0 M potassio acetato; 2.5 % polivinil pirrolidone-40K ; conservare in frigorifero , aggiungere immediatamente prima dell'uso : 2% metabisolfito di sodio. Sarcosyl (sodio lauryl sarcosina) 10% in acqua distillata sterile Sospensione di particelle di silica: aggiungere 60 g di silica particles (Sigma S5631) a 500 ml di H2O distillata in un cilindro, mescolare e lasciar decantare per 24 h; eliminare 470 ml di H2O distillata, aggiungerne altri 500 ml, mescolare e lasciar decantare per 5 h; eliminare 440 ml di H2O distillata e portare i restanti 60 ml di sospensione a pH 2.0 con HCl; autoclavare e conservare in bottiglia scura in frigorifero a 4°C. Soluzione di NaI: sciogliere 0.75 g di sodio solfito in 40 ml di acqua e successivamente 36 g di sodio ioduro (Sigma S8379) WB: SOLUZIONE DI LAVAGGIO PER RNA 0.01M TRIS-CL PH 7.5, 5 MM EDTA bisodico; 0.05M cloruro di sodio; 50% alcol etilico TBE 10X: 90 mM Tris-HCl, 90 mM acido borico, 2. 5mM Na2EDTA pH 8.3) Gel loading buffer: 15% Ficoll (type400, Amersham, Pharmacia), 0.25% blu di bromofenolo, in H2O distillata Marker di peso molecolare per DNA: DNA fago Hind III (Roche Biochemica) APS soluzione 10% in acqua distillata TEMED soluzione commerciale (BioRad) Soluzione di acrilammide/bisacrilammide 40% (19:1) (BioRad) Soluzione di AgNO3: 100 mg AgNO3, 150 µl formaldeide al 37% in 100 ml H2O distillata Soluzione di Na2CO3: 3 g Na2CO3 anidro, 150 µl formaldeide al 37%, 4 µl di una soluzione di Na2S2O3 (200 mg/ml) Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Enzimi e consumabili vari DNA polymerasi termostabile (Taq DNA polimerasi) M-MLV reverse transcriptase Provette da microcentrifuga da 1,5 ml Puntali per pipette Puntali per pipette "aerosol free" Provette da 200 ml per PCR a parete sottile 5 U/ µl 200 U/ µl (Promega) (Invitrogen) 4. Preparazione di RNA totali da tessuti di piante Gli RNA totali sono preparati secondo un metodo microcromatografico di adsorbimento a particelle idratate di silice. I tessuti adoperabili sono: • foglie durante la stagione vegetativa o provenienti da forzatura di marze. • floema di talee dormienti in autunno-inverno. Le foglie da privilegiare nel campionamento devono essere giovani ma completamente espanse; in tarda estate o inizio autunno scartare le foglie con inizio di senescenza o necrosi. Raccogliere almeno 5-6 foglie da diversi rami lungo il perimetro della pianta e prelevare il campione di circa 100 mg da estrarre strappando una piccola striscia mediana da ciascuna foglia. Il floema da rami giovani (legno dell'anno, circa 5 mm di spessore) dormienti va preparato raschiando con un coltello piccoli trucioli del tessuto verde. Il tessuto da estrarre può essere processato subito o conservato in aliquote a -70°C. Il metodo prevede la macerazione dei tessuti in presenza di un tampone di lisi inibente l' enzima RNasi e il successivo adsorbimento ed eluizione di RNA totale da particelle di silice microcristallina. 4.1. Macerazione del tessuto. Disporre in un microtubo sterile da 2 ml contenente 1ml di tampone di estrazione (EB), il tessuto vegetale da estrarre (100 mg) e 2-3 microsfere metalliche da 3mm di diametro e far agitare per 2 min a 25 Hz in un omogeneizzatore a vibrazione (nel nostro laboratorio è in uso il Mixer Mill 300, Retsch). In alternativa si può usare una bustina di plastica trasparente ed un pestello di porcellana per macerare il tessuto in presenza di tampone. 4.2. Aggiunta di Sarkosyl e incubazione a 70°C per 10 min. Trasferire 0,5 ml di omogenato in un provetta eppendorf da 1,5 ml e aggiungere 0,1 ml di 10% Sarcosyl. Agitare ed incubare, con agitazioni periodiche (ogni 2-3 min), per 10 min a 70°C. 4.3. Incubazione in ghiaccio e centrifugazione Incubare in ghiaccio per 2 min. e centrifugare alla massima velocità (12.000 x g) per 3 min. I residui cellulari si concentrano nel pellet; evitare di riportarli in sospensione. 4.4. Incubazione del supernatante con NaI, etanolo e silica Trasferire 0,3 ml di supernatante in una nuova provetta eppendorf da 1,5 ml ed aggiungere 0,3 ml di soluzione di NaI, 0,15 ml di etanolo assoluto e 25 µl di sospensione di particelle di silica. Incubare con agitazioni periodiche (ogni 2-3 min) per 5 - 10 min a temperatura ambiente. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 4.5. 1a Centrifugazione e lavaggio del pellet Centrifugare a 6000rpm per 1 min, eliminare il supernatante ed aggiungervi 0,5 ml di washing buffer. Agitare energicamente su vortex in modo da risospendere il pellet. 4.6. 2a Centrifugazione e lavaggio del pellet Centrifugare e risospendere il pellet nuovamente come in 4.5. 4.7. 3a Centrifugazione ed eliminazione del supernatante Centrifugare come in 4.5, eliminare il supernatante e lasciare asciugare il pellet tenendo le provette capovolte per circa 10 min a temperatura ambiente su carta pulita. Non lasciar disidratare il pellet. 4.8. Eluizione di RNA totale Il pellet è risospeso in 0,15 ml di acqua sterile con agitazione su vortex ed incubato per 2 min a 70 ° C. Centrifugare alla massima velocità per 3 min.e trasferire il supernatante in una nuova provetta. 4.9. Dosaggio spettrofotometrico della concentrazione di RNA totale e conservazione dell'estratto. Quantificare l'RNA totale estratto con un dosaggio spettrofotometrico valutando l'assorbimento a 260 nm e 280 nm. Le preparazioni possono essere conservate per alcuni mesi a -80°C o alternativamente l'RNA può essere precipitato in alcool e conservato a -20°C (aggiungendo 0.1 vol di sodio acetato 3 M pH 5.5 e 2.5 vol di etanolo assoluto). NOTA : Per le informazioni generali sulla RT-PCR, sulla sicurezza degli operatori e la prevenzione delle contaminazioni, si fa riferimento al capitolo "Protocollo di diagnosi RT-PCR dei virus della vite" Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 5. Protocollo di RT-PCR 5.1 Trascrizione di DNA complementare con random primers 5.1.1 Preparazione del master mix e denaturazione di RNA totale Preparare in una provetta da 1,5 ml il seguente mix X µl RNA totali corrispondenti a 0,5 µg 1 µl esanucleotidi ( random primers, 0,5 µg) X µl acqua sterile 30 µl volume finale Incubare a 95° C per 3 min e trasferire la provetta immediatamente in ghiaccio. 5.1.2 Sintesi del cDNA Aggiungere all'RNA denaturato il seguente mix: 10 µl 5 X RT buffer 2,5 µl 2,4 µl soluzione di desossiribonucleotidi (2,5 mM ciascuno) DTT 0,1 M 1 µl M-MLV reverse transcriptase 200 U/ µl 4,1 µl acqua distillata sterile Incubare a 42 ° C per 1 ora. Al termine della reazione di sintesi incubare per 10 min a 70°C, raffreddare in ghiaccio e centrifugare brevemente. Infine aliquotare 5 µl di cDNA in microtubi "thin wall"; le aliquote si possono conservare a - 80° C. 5.2 Aggiunta del PCR mix al cDNA sintetizzato Aggiungere ai 5 µl di cDNA aliquotato 45 µl di miscela PCR preparata come segue: 5 µl 10 X PCR buffer 1 µl 2 µl Soluzione di desossiribonucleotidi (2.5 mM ciascuno) MgCl2 25 mM 1 µl 1 µl 0,2 µl Soluzione di reverse primer 6 µM Soluzione di forward primer 6 µM Taq DNA polimerasi (5 U/ µl) 35 µl Acqua distillata sterile Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 5.3. Reazione di amplificazione Se non si dispone di un thermal cycler con coperchio riscaldato, è necessario stratificare sopra il mix di PCR 25 µl di olio minerale onde evitare l'evaporazione del campione. Previa programmazione del thermal cycler ininziare la reazione caricando i microtubi quando il blocco termostatato ha raggiunto la temperatura di 94° C. Effettuare 30-35 cicli secondo i programmi consigliati per ciascun set di primers. 6. Analisi dei risultati 6.1. Elettroforesi in gel di poliacrilammide: preparazione del gel I prodotti di reazione di PCR sono analizzati mediante elettroforesi in gel di poliacrilammide al 5%, preparato secondo lo schema seguente (per 5ml totali): 0,65 ml Acrilammide / Bisacrilammide al 40 % 0,5 ml 35 µl 3,5 µl 3,85 ml TBE 10 X APS 10% TEMED acqua sterile La soluzione è versata nell'apparato per elettroforesi verticale utilizzando un pettine di teflon ed evitando di formare bolle d'aria. Attendere 20-30 min per la solidificazione del gel che avviene a temperatura ambiente. 6.2. Elettroforesi in gel di poliacrilammide: caricamento dei campioni e corsa Dopo la solidificazione del gel, rimuovere il pettine, assemblare il gel nell'apparato per elettroforesi e ripulire i pozzetti. I lavaggi sono effettuati spruzzando TBE 1 X (tampone di corsa elettroforetica) con una siringa da 5 ml. I campioni da analizzare sono addizionati di 2 µl di gel loading buffer per ogni 10 µl di prodotto PCR e caricati con micropipetta nei singoli pozzetti. La elettroforesi è condotta fino a che il blu di bromofenolo giunge ad 1 cm dal termine del gel applicando un voltaggio di 100 V costanti. 6.3. Elettroforesi in gel di poliacrilammide: visualizzazione del DNA amplificato mediante colorazione con nitrato d'argento Al termine dell'elettroforesi, i prodotti di DNA amplificato sono visualizzati mediante colorazione del gel con nitrato di argento: • immergere il gel in una vaschetta (in plastica o vetro) contente una soluzione di acido acetico al 10% per 20 min; • lavare il gel per 3 volte con un eccesso di acqua distillata; ogni lavaggio dovrà essere di 1 min; • incubare il gel per 3 min in 1% acido nitrico; • lavare il gel per 3 volte con un eccesso di acqua distillata; • incubare il gel nella soluzione di AgNO3 per 30 min; • lavare una volta con un eccesso di acqua distillata per 30 secondi; • sviluppare il gel nella soluzione di Na2CO3; • arrestare la reazione eliminando il Na2CO3 ed aggiungendo una soluzione di acido acetico al 5%. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Note: 1. tutta la reazione è condotta a temperatura ambiente agitando delicatamente il gel su di un agitatore orbitale; 2. la reazione di sviluppo in Na2CO3 può avvenire molto rapidamente (1-3 min). 6.4. Elettroforesi in gel di poliacrilammide: fotodocumentazione del gel Il gel sviluppato potrà essere posto tra due fogli di lucidi per fotocopiatrice e fotografato o acquisito elettronicamente. 7. Interpretazione dei risultati I risultati sono interpretati qualitativamente come positivi o negativi a seconda della presenza o assenza di specifici frammenti di DNA amplificato. Ogni reazione di RT-PCR dovrebbe includere i seguenti controlli: 1. Un RNA totale adoperato come controllo negativo precedentemente estratto da tessuti di una pianta sana e conservato a -20°C , verificata come tale in test precedenti e/o con differenti altri test diagnostici. La comparsa di specifici frammenti di DNA amplificato nel controllo negativo dopo RT-PCR indica una probabile cross-contaminazione e rende necessaria la ripetizione dell'intero set di analisi effettuato. 2. Un RNA totale adoperato come controllo positivo precedentemente estratto da tessuti di una pianta sicuramente infetta. La mancata osservazione di una specifico frammento di DNA amplificato nel controllo positivo indica l'assenza di sintesi del cDNA o di amplificazione di quest'ultimo, e induce a ripetere l'intero set di analisi effettuato. 3. Un campione di tessuto di pianta infetta dal quale si è proceduto ad estrarre gli RNA totali, sintesi di cDNA e PCR nello stesso tempo e nelle stesse condizioni con cui si sono estratti gli RNA totali dai campioni da analizzare. L'assenza di amplificazione nel campione di tessuto di pianta infetta, insieme ad un risultato positivo dell'RNA adoperato come controllo positivo, lascia presupporre un problema intervenuto durante l'estrazione degli RNA totali e determina la ripetizione dell'intero set di analisi. Ogni set di analisi condotto dovrà essere conservato come fotodocumentazione contenetente le seguenti informazioni: • data • nome dell'operatore • protocollo adoperato per l'estrazione degli RNA totali • protocollo adoperato per l'RT-PCR • codice identificativo di ogni campione analizzato • analisi dei risultati per ogni campione analizzato • commenti dell'operatore Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 BIBLIOGRAFIA Foissac X., L. Svanella-Dumas, P. Gentit, MJ. Dulucq, T. Candresse. 2000 Polyvalent detection of fruit tree tricho, capillo and foveaviruses by nested RT-PCR using degenerated and inosine containing primers (PDO RT-PCR). 18th International Symposium Virus and Virus-like diseases of Fruit Trees, July 9-15, 2000, 48. Mackenzie D.J., McLean M.A., Mukerij S., Green M. 1997. Improved RNA extraction from woody plants for the detection of viral pathogens by reverse transcriptase – polymerase chain reaction. Plant Disease 81, 222-226. Minafra A., D.Gallitelli. (1996). Improved PCR methods for identification of phytopathogenic viruses. In: Methods in Molecular Biology, vol.50. Species Diagnostics Protocols: PCR and other Nucleic Acid Methods (J.P.Clapp ed.), Humana Press Inc., Totowa, NJ, 81-91. Rosner A, L. Maslenin, S. Spiegel. 1997. The use of short and long PCR products for improved detection of prunus necrotic ringspot virus in woody plants. Journal of Virological Methods, 67, 135-141. Rowhani A., M.A. Maningas, L.S. Lile, S.D. Daubert, D.A. Golino. 1995. Development of a detection system for viruses of woody plants based on PCR analysis of immobilized virions. Phytopathology, 85, 347-352. Rowhani A., L. Biardi, G. Routh, S.D. Daubert, D. Golino. 1998. Development of a sensitive colorimetric PCR assay for detection of viruses in woody plants. Plant disease, 82, 880-884. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Allegato 3 PROTOCOLLO PER LA MEDIANTE RT-PCR DIAGNOSI DI PPV, ACLSV ED APMV IN PRUNUS DA PIENO CAMPO Applicazioni Il protocollo descritto è stato sviluppato per la diagnosi dei virus delle drupacee, in particolare il virus da "quarantena" della vaiolatura del susino (PPV) ed i virus di "qualità" virus del mosaico del melo (ApMV) e virus della maculatura clorotica del melo (ACLSV). Il protocollo è stato validato nel corso di saggi di laboratorio effettuati presso il Dipartimento di Biologia, Difesa e Biotecnologie Agro-Forestali dell'Università degli Studi della Basilicata, Potenza. Sono stati adoperati isolati virali di diversa provenienza geografica mantenuti su diverse specie di Prunus. Limitazioni d’uso Scarsa concentrazione dei virus nella pianta infetta o sue variazioni nel corso della stagione vegetativa, distribuzione non uniforme del virus della pianta: tali limitazioni possono compromettere l'esattezza della diagnosi generando dei "falsi negativi" che non sono sinonimo di assenza del virus ma piuttosto di una scarsa sensibilità del metodo diagnostico adoperato. Utilizzo per le reazioni di amplificazione mediante PCR di inneschi di sintesi disegnati sulla base delle sequenze finora note dei diversi isolati virali: potrebbero non essere in grado di rilevare la presenza di isolati virali da quelli divergenti a livello di sequenza nucleotidica. ABBREVIAZIONI USATE NEL TESTO APS β-ME cDNA DNA dNTPs EB EDTA IC pb PCR RFLP RNA RNase RT SDS SwC TEMED TNA Ammonio persolfato Beta mercapto-etanolo DNA complementare Acido deossiribonucleico Nucleotidi trifosfati Extraction Buffer Acido etilen diammino tetracetico Immuno Cattura Paia di basi Amplificazione a catena della Polimerasi (Polymerase Chain Reaction) Restriction fragment lenght polymorfism Acido ribonuleico Ribonucleasi Trascrizione Inversa Sodio Dodecil Solfato Sweet Cherry Tetraetilen-metilendiammina Total nucleic Acids TRIS U µl Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Triidrossimetil ammino metano Unità Microlitri Breve sintesi del protocollo di diagnosi Il presente protocollo descrive il corretto procedimento per effettuare la diagnosi di PPV, ACLSV ed ApMV in diverse specie di Drupacee. Prevede l'applicazione di una metodica di RTPCR a partire da acidi nucleici totali (TNA) estratti da tessuto fogliare. I TNA, estratti secondo la procedura descritta da Crescenzi et al., 1997, fungono da substrato per la sintesi - mediante trascrizione inversa catalizzata dalla Rav-2 - di un DNA complementare a singola elica (cDNA) iniziata da oligonucleotidi sintetici specifici per le suddette specie virali, la cui sequenza è di seguito riportata. Tale cDNA è successivamente utilizzato in una reazione di amplificazione genica (PCR). L’identificazione dei frammenti amplificati è effettuata mediante elettroforesi su gel di poliacrilammide e colorazione con nitrato d'argento. Relativamente alla diagnosi di PPV, l'analisi del polimorfismo dei frammenti di restrizione (RFLP), ottenuti per digestione del prodotto dell'amplificazione con gli enzimi AluI ed RsaI, consente di stabilire il gruppo di appartenenza degli isolati eventualmente diagnosticati. Sequenze degli oligonucleotidi sintetici specifici per l'amplificazione di PPV, ACLSV, ApMV. VIRUS PRIMER PPV/C 5’-CAGACTACAGCCTCGCCAGA-3’ PPV/H 5’-ACCGAGACCACTACACTCCC-3’ ACLSV/C 5’-CAGACCCTTATTGAAGTCGAA-3’ ACLVS/H 5’-GGCAACCCTGGAACAGA-3’ ApMV/C 5’-CTTGACCTGCAATATCCTACTCG-3’ ApMV/H 5’-GAATAGTGTTTCAGTATG-3’ DIMENSIONI AMPLICONE RIFERIMENTO BIBLIOGRAFICO 243 pb Wetzel et al., 1991 CP 358 pb Nemchinov et al., 1994 CP 687 pb Rowhani 1955. GENE CP et al., Strumentazione Necessaria Il protocollo è stato sviluppato adoperando la strumentazione di seguito riportata. L'uso di modelli di altre ditte potrebbe richiedere adattamenti del metodo. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Strumento Alimentatore per elettroforesi (200V) Autoclave per sterilizzazione Bilancia analitica Celle per elettroforesi verticale Centrifuga refrigerata Freezer a bassa temperatura (-80°C) Gel dryer Microcentrifughe da banco Micropipette tarate Speed Vac Modello LKB - Bromma Stufa per sterilizzazione Termostato Explorer OHAUD BioRad Sigma 3K30 Forma Scientific model 583 - BioRad ALC micro-Centrifughette 4214 ALC International s.r.l. Gilson Universal Vacuum System plus UVS400A - SC110 SVPT - Savant ISCO Grant Boekel PHC19 Thermal cycler Gene Amp PCR System 9700 - Perkin Elmer Reagenti e soluzioni Acqua deionizzata sterile; Azoto liquido; Fenolo; Cloroformio; Alcool isoamilico; Tampone d'estrazione per TNA (EB 1x: SDS 2%, N-Lauryl Sarcosina 1%, EB 10x); EB 10x (per 500 ml: glicina 38,5 g, NaCl 29,0 g, EDTA 0,5 M pH 8,0); Ammonio acetato 10 M; Alcool etilico assoluto e 70%; DTT 0,1 M; dNTPs 10 mM; β-ME 0,3 M; Marker di peso molecolare per DNA (New England Biolab); TRITON X100; Soluzione al 40% di acrilammide/bis-acrilammide; TBE (TRIS 90 mM, Acido borico 90 mM, EDTA 2mM, pH 8,3), Acido acetico, Nitrato d'argento, Etidio bromuro, TEMED, APS, Idrossido di sodio, Sodio borato, Formaldeide (37%), Glicerolo. Enzimi - Rnase inhibitor 40 U/µl, inibitore di RNase (Ambion); - DynaZyme 2 U/µl, DNA polimerasi termostabile (Finnyzimes Oy) e relativo tampone; - RAV-2 11 U/µl trascrittasi inversa (Amersham) e relativo tampone; - AluI 5 U/µl (New England Biolabs); - RsaI 10 U/µl (New England Biolabs). Consumabili vari Provette da microcentrifuga da 0,2, 1,5 e 2 ml; puntali per pipette; vaschette per pesate; Gel Drying film V713B (Promega). Protocollo di RT-PCR su TNA 1. Campionamento I campioni da sottoporre a saggio devono essere raccolti nel periodo di vegetazione delle diverse specie di Prunus indagate per la presenza di PPV. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Il protocollo in oggetto è applicabile essenzialmente a tessuto fogliare, raccolto durante la stagione vegetativa o successivamente alla forzatura di marze. 2. Tecnica di diagnosi 2.1. Preparazione di Acidi Nucleici Totali da tessuto fogliare di Drupacee 2.1.1. Macerazione del tessuto. Porre 100 mg di tessuto fogliare in un tubo eppendorf ed immergerlo in azoto liquido, polverizzare finemente il campione con pestello sterile e aggiungere 400µl di tampone di estrazione (EB) e 800µl di fenolo-cloroformio-alcol-isoamilico (25-24-1). Miscelare energicamente su vortex per 1’ e incubare in ghiaccio per 5’. 2.1.2.Estrazione fenolo-cloroformio e precipitazione con ammonio acetato. Agitare su vortex per 1’ e centrifugare a 12000 g per 10’. Recuperare la fase acquosa e trasferirla in un tubo pre-raffreddato. Addizionare 1 volume di miscela fenolo-clmoroformio-alcoolisoamilico (25:24:1). Agitare su vortex per 1’ e centrifugare a 12000 g per 10’. Recuperare la fase acquosa e trasferirla in un tubo pre-raffreddato. Addizionare 1-volume di cloroformio-alcoolisoamilico (24:1). Agitare su vortex e centrifugare a 12000 g per 10’. Recuperare la fase acquosa e trasferirla in un tubo pre-raffreddato. Addizionare alla fase acquosa 1/5 del volume di ammonio acetato 10M e 3-5 volumi di alcool etilico assoluto freddo (-20°C). Agitare su vortex per 1’ e incubare a –70°C per 30’. Centrifugare a 12000 g per 10’ in centrifuga refrigerata (4°C), allontanare il sovranatante e lavare il pellet con alcool etilico freddo (-20°C) al 70%. Centrifugare a 12000 g per 5’ in centrifuga refrigerata (4°C) e lavare nuovamente il pellet con alcool etilico freddo (-20°C) al 70%. Essiccare il pellet sotto vuoto e risospenderlo in 20µl di H2O bidistillata sterile RNase-free. 2.2. Sintesi dell’elica complementare (cDNA) all’RNA virale 2.2.1. Preparazione della miscela di annealing − Preparare in una provetta da 1.5 ml la seguente miscela (volume finale 30 µl): 5 µl 6 µl 3 µl 1 µl 15 µl − − − − TNA Rav-2 buffer 5X DTT 0,1 M Primer complementare 1µg/µl H2O Agitare delicatamente. Incubare per 5’ in H2O bollente. Incubare per 3'-5’ in ghiaccio. Incubare per 15-20 a temperature ambiente. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 2.2.2. Sintesi del cDNA − Addizionare alla miscela di annealing, 20 µl della seguente miscela di trascrizione: 4 µl Rav-2 buffer 5X 2 µl DTT 0,1 M 5 µl ß-ME 0,3 M 2,5 µl dNTPs 10mM 4,5 µl H2O sterile 1 µl RNasin 1 µl Rav-2 (30U/µl ) − Agitare delicatamente. − Incubare per 30-45' a 45 – 50 °C. 2.3. Amplificazione mediante PCR: Preparare in un nuovo tubo da PCR la seguente miscela di reazione (volume finale 50 µl): 5 µl cDNA 5 µl PCR buffer 10X 1 µl dNTPs 10mM 1 µl Primer complementare 0,1µg /µl 1 µl Primer omologo 0,1µg /µl 36,5 µl H20 0,5 µl DynaZime (FynniOy) (1 U) 2.3.1. Programmi di amplificazione Impostare sul Thermal Cycler ed avviare il programma di amplificazione specifico per ogni virus: PPV Hot start Denaturazione Appaiamento Sintesi del cDNA Sintesi 85°C x 5' 94°C x 30" 62°C x 30" 72°C x 1’ 72°C x 10’ 1 ciclo 30 cicli 1 ciclo ACLSV Hot start Denaturazione Appaiamento Sintesi del cDNA 85°C x 5' 94°C x 30" 48°C x 30" 72°C x 1’ 1 ciclo 30 cicli Sintesi Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 72°C x 10’ 1 ciclo ApMV Hot start Denaturazione Appaiamento Sintesi del cDNA Sintesi 85°C x 5' 94°C x 30" 40°C x 30" 72°C x 1’ 72°C x 10’ 1 ciclo 30 cicli 1 ciclo 3. Analisi dei risultati mediante elettroforesi in gel di poliacrilammide 3.1. Preparazione del gel I prodotti di reazione di PCR sono analizzati mediante elettroforesi in gel di poliacrilammide al 5%, preparato secondo lo schema seguente: 5,625 ml Acrilammide/Bis-Acrilammide al 19:1 4,5 ml TBE 5X 612 µl APS 10% 45 µl TEMED 34,85 ml acqua sterile La soluzione è versata nell'apparato per elettroforesi verticale utilizzando un pettine di teflon ed evitando di formare bolle d'aria. Attendere 30-45' per la solidificazione del gel, che avviene a temperatura ambiente. 3.2. Caricamento dei campioni e corsa elettroforetica Dopo la solidificazione del gel, rimuovere il pettine, assemblare il gel nell'apparato per elettroforesi e ripulire i pozzetti. I lavaggi sono effettuati spruzzando TBE 1 X (tampone di corsa elettroforetica) con una siringa da 5 ml. I campioni da analizzare sono addizionati di 3 µl di gel loading buffer per ogni 10 µl e caricati con micropipetta nei singoli pozzetti. L'elettroforesi è condotta fino a che il blu di bromofenolo ha migrato ad 1 cm dal termine del gel applicando un voltaggio di 150 V. 3.3. Visualizzazione del DNA amplificato mediante colorazione con nitrato d'argento Al termine dell'elettroforesi, i prodotti di DNA amplificato sono visualizzati mediante colorazione del gel con nitrato di argento a come di seguito riportato: − Immergere il gel per 40' in una vaschetta (in plastica o vetro) contenente una soluzione acquosa (200 ml) di acido acetico glaciale 1% ed alcool etilico assoluto 10%; − Lavare il gel per 3 volte con 200 ml di acqua sterile (ogni lavaggio dovrà essere di 30’’); − Colorare il gel per 40' in una soluzione costituita da 0,39 g di nitrato d’argento in 200ml di acqua distillata; − Lavare il gel per 3 volte con 200 ml di acqua sterile (ogni lavaggio dovrà essere di 30’’); − Incubare il gel in una soluzione contenente 4,2 g di NaOH, 20 mg di sodio borato e 800 µl di formaldeide al 37% (preparare la soluzione subito prima dell’uso); Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 − Attendere lo sviluppo delle bande (5 – 15'); − Allontanare la soluzione di sviluppo e lavare con acqua distillata (2 – 3 lavaggi di pochi secondi ognuno); − Fissare la colorazione con una soluzione contenente etanolo 40% e acido acetico 5%; per un tempo variabile da 1 ora ad 14-16h; − Essiccare il gel con apposite membrane a temperatura ambiente per 2 – 3 giorni. 3.4. Fotodocumentazione del gel Il gel potrà essere fotografato su Transilluminatore Photo UV 20 C (EuroClone) ed acquisito mediante sistema di foto-documentazione PhotoPRINT II (EM-TFC20M, EuroClone). 4. Analisi RFLP del frammento ottenuto per PCR su campioni infetti da PPV 4.1. Digestione con RsaI Preparare la seguente miscela di reazione (volume finale 10 µl): - 5 µl Prodotto di PCR (0,5 µg) 1 µl Buffer 10X 0,5 µl RsaI 1 U/µl 3,5 µl H2O Agitare delicatamente e centrifugare per pochi secondi a 12.000 g. Incubare per 1 h a 37 °C. Verificare il prodotto dell'RFLP in elettroforesi su gel di poliacrilammide (PAGE) 5% e colorare il gel mediante Silver staining. 4.2. Digestione con AluI Preparare la seguente miscela di reazione (volume finale 10 µl): - 5 µl Prodotto di PCR (0,5 µg) 1 µl Buffer 10X 0,5 µl AluI 1 U/µl 3,5 µl H2O Agitare delicatamente e centrifugare per pochi secondi a 12.000 g. Incubare per 1 h a 37 °C. Verificare il prodotto dell'RFLP in elettroforesi su gel di poliacrilammide (PAGE) 5% e colorare il gel mediante Silver staining. 5. Interpretazione dei risultati I risultati sono interpretati qualitativamente come positivi o negativi a seconda della presenza o assenza di specifici frammenti di DNA amplificato. In ogni reazione dovrebbero essere effettuati i seguenti controlli: Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 1. Un controllo negativo su tessuti di una pianta sana (verificata tale in test precedenti e/o con differenti altri test diagnostici). La comparsa di specifici frammenti di DNA amplificato nel controllo negativo dopo RT-PCR su TNA indica una probabile crosscontaminazione e rende necessaria la ripetizione dell'intero set di analisi effettuato. 2. Un controllo positivo a partire da TNA ottenuto da pianta sicuramente infetta da PPV (verificata tale in test precedenti e/o con differenti altri test diagnostici). La mancata osservazione di una specifico frammento di DNA amplificato nel controllo positivo indica l'assenza di sintesi di cDNA o di amplificazione di quest'ultimo, e induce a ripetere l'intero set di analisi effettuato. 3. Un controllo positivo a partire da cDNA ottenuto (adoperando lo stesso protocollo) da pianta sicuramente infetta da PPV (verificata tale in test precedenti e/o con differenti altri test diagnostici). La mancata osservazione di uno specifico frammento di DNA amplificato nel controllo positivo indica l'assenza di amplificazione di quest'ultimo, e induce a ripetere l'intero set di analisi effettuato. Ogni set di analisi condotto dovrà essere conservato come fotodocumentazione contenente le seguenti informazioni: − Data − Nome dell'operatore − Protocollo adoperato per l'RT-PCR − Codice identificativo di ogni campione analizzato − Analisi dei risultati per ogni campione analizzato − Commenti dell'operatore BIBLIOGRAFIA Boscia D., Myrta A., Potere O., Cambra M., Crescenzi A., Di Terlizzi B., Candresse T. e Savino V. 1998. Impiego di anticorpi monoclonali per l'identificazione dei diversi ceppi del virus della vaiolatura delle drupacee. Notiziario sulla Protezione delle Piante 9, 207 - 212. Crescenzi A., d'Aquino L., Nuzzaci M., Ostuni A., Bavoso A., Comes S., De Stradis A. e Piazzolla P. 1997. Production of strain specific antibodies against a synthetic polypeptide corresponding to the N-terminal region of the plum pox potyvirus coat protein. Journal of Virological Methods 69, 181 - 189. Nemchinov L., Hadidi A., Candresse T., Foster J.A. e Verderevskaya T. 1994. Sensitive detection of applechlorotic leaf spot virus from infected apple or peach tissue using RT-PCR, IC-RTPCR, or multiplex IC-RT-PCR. Acta Horticulturae 386: 51-57. Rowhani A., Maningas M.A., Lile L.S., Daubert S.D. e Golino D.A. 1995. Development of a detection system for viruses of woody plants based on PCR analysis of immobilized virions. Phytopathology 85 (3), 347-352. Wetzel T., Candresse T., Ravelonandro M. e Dunez J. 1991. A highly sensitive immunocapture polymerase chain reaction method for plum pox potyvirus detection. Journal of Virological Methods 39, 27 – 37. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Allegato 4 PROTOCOLLO PER LA DIAGNOSI DI PPV IN PRUNUS DA PIENO CAMPO MEDIANTE IC-RT-PCR. Applicazioni Il protocollo descritto è stato sviluppato per la diagnosi del virus della vaiolatura del susino (PPV) nelle principali specie di Prunus, ed è applicabile per tutta la durata della fase vegetativa delle stesse. È stato messo a punto e validato nel corso di saggi di laboratorio effettuati presso il Dipartimento di Biologia, Difesa e Biotecnologie Agro-Forestali dell'Università degli Studi della Basilicata, Potenza. Allo scopo sono stati adoperati isolati virali di diversa provenienza geografica. Limitazioni d’uso Utilizzo per le reazioni di amplificazione mediante PCR di inneschi di sintesi disegnati sulla base delle sequenze finora note dei diversi isolati virali: potrebbero non essere in grado di rilevare la presenza di isolati virali da quelli divergenti a livello di sequenza nucleotidica. L'analisi RFLP non permette di discriminare tra gli isolati appartenenti ai gruppi EA ed M, che però possono essere distinti mediante analisi sierologica con anticorpi monoclonali ceppo specifici (Boscia et al., 1998). ABBREVIAZIONI USATE NEL TESTO APS β-ME cDNA DNA dNTPs EDTA IC pb PBS PCR PPV PVP RFLP RNA Rnase RT SwC TEMED TRIS U µl Ammonio persolfato Beta mercapto-etanolo DNA complementare Acido deossiribonucleico Nucleotidi trifosfati Acido etilen diammino tetracetico Immuno Cattura Paia di basi Tampone fosfato salino Amplificazione a catena della Polimerasi (Polymerase Chain Reaction) Plum pox virus Poli-vinil-pirrolidone Restriction fragment lenght polymorfism Acido ribonuleico Ribonucleasi Trascrizione Inversa Sweet Cherry Tetraetilen-metilendiammina Triidrossimetil ammino metano Unità Microlitri Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Breve sintesi del protocollo di diagnosi Il presente protocollo è dotato di elevata sensibilità, riproducibilità e specificità nella rilevazione della presenza di PPV in diverse specie di Prunus. Si sviluppa attraverso le fasi di immuno-cattura del virione (IC) e trascrizione inversa (RT) realizzate nello stesso tubo, seguite da amplificazione a catena della polimerasi (PCR) specifica per tutti gli isolati di PPV noti. Prevede l'uso di anticorpi policlonali preparati nei confronti dell'isolato da ciliegio dolce PPV-SwC nella fase di immuno-cattura. Tali anticorpi "catturano" le particelle virali dal succo estratto da foglie di drupacee infette. Successivamente, l'RNA virale rilasciato dai virioni funge da stampo per la sintesi - mediante trascrizione inversa catalizzata dalla Rav-2 - di un DNA complementare a singola elica (cDNA) iniziata da un oligonucleotide sintetico complementare all'RNA virale e specifico per PPV, la cui sequenza è di seguito riportata (tab. 1). Tale cDNA è quindi utilizzato in una reazione di amplificazione a catena della polimerasi (PCR). L’identificazione dei frammenti amplificati è effettuata mediante elettroforesi su gel di poliacrilammide e colorazione con nitrato d'argento. L'analisi del polimorfismo dei frammenti di restrizione (RFLP), ottenuti per digestione del prodotto dell'amplificazione con gli enzimi AluI ed RsaI, consente di stabilire il gruppo di appartenenza degli isolati di PPV eventualmente diagnosticati. L'immuno-cattura dei virioni che precede la sintesi di cDNA, piuttosto che l'utilizzo di uno dei diversi metodi di estrazione dell'RNA totale noti, consente di concentrare le particelle virali dal succo estratto ed inoltre di aumentare la specificità nella fase di PCR. La possibilità di realizzare immuno-cattura dei virioni e trascrizione inversa nello stesso tubo consente oltre che di ridurre i tempi di esecuzione del saggio, di limitare notevolmente il rischio di contaminazione dei campioni. Sequenze degli oligonucleotidi sintetici specifici per l'amplificazione di PPV DIMENSIONI NOME PRIMER GENE PPV/C 5’-CAGACTACAGCCTCGCCAGA-3’ CP PPV/H 5’-ACCGAGACCACTACACTCCC-3’ CP AMPLICONE 243 pb BIBLIOGRAFIA Wetzel et al., 1991 Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Strumentazione necessaria Il protocollo è stato sviluppato adoperando la strumentazione di seguito riportata. L'uso di modelli di altre ditte potrebbe richiedere adattamenti del metodo. Strumento Modello Alimentatore per elettroforesi (200V) Autoclave per sterilizzazione Bilancia analitica Celle per elettroforesi verticale Centrifuga refrigerata Freezer a bassa temperatura (-80°C) Gel dryer Microcentrifughe da banco Micropipette tarate Speed Vac Stufa per sterilizzazione Termostato Thermal cycler LKB - Bromma Explorer OHAUD BioRad Sigma 3K30 Forma Scientific model 583 - BioRad ALC micro-Centrifughette 4214 ALC International s.r.l. Gilson Universal Vacuum System plus UVS400A - SC110 SVPT - Savant ISCO Grant Boekel PHC19 Gene Amp PCR System Perkin Elmer 9700 - Applied Biosystem Reagenti e soluzioni Acqua deionizzata sterile; Antisiero anti PPV-SwC; Tampone di sensibilizzazione (NaHCO3 2,93 g/l + Na2CO3 1.59 g/l pH 9.6). PBS (NaCl 0,08 %, KH2PO4 0,002 %, Na2HPO4 0,0115 %, KCl 0.002 %, NaN3 0.002%, pH 7,2-7,4); Tween, PVP; DTT 0,1 M; dNTPs 10 mM; β-ME 0,3 M; Marker di peso molecolare per DNA (New England Biolab); TRITON X100; Soluzione al 40% di acrilammide/bis-acrilammide; TBE (TRIS 90 mM, Acido borico 90 mM, EDTA 2mM, pH 8,3), Acido acetico, Nitrato d'argento, TEMED, APS, Idrossido di sodio, Sodio borato, Formaldeide (37%), Glicerolo. Enzimi - Rnase inhibitor 40 U/µl, inibitore di RNase (Ambion); - DynaZyme 2 U/µl, DNA polimerasi termostabile (Finnyzimes Oy) e relativo tampone; - RAV-2 11 U/µl, trascrittasi inversa (Amersham) e relativo tampone; - AluI 5 U/µl (New England Biolabs); - RsaI 10 U/µl (New England Biolabs). Consumabili vari Provette da microcentrifuga da 0,2, 1,5 e 2 ml; puntali per pipette; vaschette per pesate; Gel Drying film V713B (Promega). Protocollo di IC-RT-PCR 1. Campionamento I campioni da sottoporre a saggio devono essere raccolti nel periodo di vegetazione delle diverse specie di Prunus indagate per la presenza di PPV. Il protocollo in oggetto è applicabile Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 essenzialmente a tessuto fogliare. I campioni devono essere raccolti lungo le diagonali degli impianti sottoposti ad indagine, da piante di 4 – 10 anni, sia sintomatiche sia asintomatiche. Circa il 5% delle piante presenti negli impianti investigati deve essere saggiato per la presenza del virus perché il risultato della diagnosi sia statisticamente attendibile. In particolare, si devono raccogliere tre subcampioni fogliari per pianta che devono essere successivamente riuniti a formare un unico campione da sottoporre ad analisi. 2. Tecnica di diagnosi 2.1. Immuno - cattura di virioni da tessuto fogliare di diverse specie di Prunus - Sensibilizzare per 2 ore i tubi da PCR con 200 µl di antisiero policlonale anti PPV-SwC diluito 1/500 in tampone di sensibilizzazione. Effettuare 3 lavaggi di 3’ ognuno con tampone di lavaggio (PBS + Tween 0.05%). Porre nei tubi 200 µl di succo estratto in PBS contenente il 2% PVP ed 0.05% di Tween 20. Incubare per 12-16 ore a 4°C. Effettuare 5 lavaggi di 5’ ognuno con PBS + Tween 0,05%. 2.2. Sintesi del DNA complementare all'RNA virale (cDNA) - Porre nei tubi in cui è stata effettuata l'immuno-cattura dei virioni la seguente miscela di annealing: - 10 µl Rav-2 buffer 5X 5 µl DTT 0,1 M 1 µl Primer complementare 0,1 µg/µl 5 µl ß-ME 0,3 M 2,5 µl dNTPs 10mM 6 µl Triton X100 1.7% 18,5 µl H2O sterile Incubare per 5’ a 100°C, agitando di tanto in tanto i tubi. Porre immediatamente i tubi in ghiaccio per 5’. Incubare a temperatura ambiente per 20’. Aggiungere 1 µl di Rav2 (11U/µl ) ed 1 µl di RNasin ( 40U/µl ). Agitare al vortex, centrifugare per pochi secondi a 12.000 g e incubare per 30’ a 45°C. 2.3. Amplificazione mediante PCR Preparare in un nuovo tubo da PCR la seguente miscela di reazione (volume finale 50 µl): 5 µl cDNA 5 µl PCR buffer 10X 1 µl dNTPs 10mM 1 µl Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 Primer complementare 0,1 µg/µl 1 µl Primer omologo 0,1 µg/µl 36 µl H20 1 µl DynaZime (FynniOy) (2U/µl) Impostare sul Thermal Cycler ed avviare il programma di amplificazione: Hot start Denaturazione Appaiamento Sintesi Sintesi 85°C x 5' 94°C x 30" 62°C x 30" 72°C x 45" 72°C x 5’ 1 ciclo 30 cicli 1 ciclo 2.4. Analisi dei risultati mediante elettroforesi in gel di poliacrilammide 2.4.1 Preparazione del gel I prodotti di reazione di PCR sono analizzati mediante elettroforesi in gel di poliacrilammide al 5%, preparato secondo lo schema seguente: 5,625 ml Acrilammide/Bis-Acrilammide al 19:1 4,5 ml TBE 5X 612 µl APS 10% 45 µl TEMED 34,85 ml acqua sterile La soluzione è versata nell'apparato per elettroforesi verticale utilizzando un pettine di teflon ed evitando di formare bolle d'aria. Occorrono 30-45' per la solidificazione del gel che avviene a temperatura ambiente. 2.4.2 Caricamento dei campioni e corsa elettroforetica Dopo la solidificazione del gel, rimuovere il pettine, assemblare il gel nell'apparato per elettroforesi e ripulire i pozzetti. Effettuare i lavaggi spruzzando TBE 1x (tampone di corsa elettroforetica) con una siringa da 5 ml. Addizionare ai campioni da analizzare 3 µl di loading buffer per ogni 10 µl e caricarli con micropipetta nei singoli pozzetti. Condurre l'elettroforesi fino a che il blu di bromofenolo migra ad 1 cm dal termine del gel, applicando un voltaggio costante di 150 V. 2.4.3 Visualizzazione del DNA amplificato mediante colorazione con nitrato d'argento Al termine dell'elettroforesi i prodotti di DNA amplificato sono visualizzati mediante colorazione del gel con nitrato di argento, effettuata secondo il seguente protocollo: − Immergere il gel per 40' in una vaschetta (plastica o vetro) contenente una soluzione acquosa (200 ml) di acido acetico glaciale 1% ed alcool etilico assoluto 10%; − Effettuare 3 lavaggi di 30" cad. con 200 ml di acqua sterile; − Colorare il gel per 40' in una soluzione costituita da 0,39 g di nitrato d’argento in 200 ml di acqua distillata; Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 − Effettuare 3 lavaggi di 30" cad. con 200 ml di acqua sterile; − Incubare il gel in una soluzione contenente 4,2 g di NaOH, 20 mg di sodio borato e 800 µl di formaldeide al 37% (preparare la soluzione subito prima dell’uso); − Attendere lo sviluppo delle bande (5 – 15'); − Allontanare la soluzione di sviluppo e lavare con acqua distillata (2 – 3 lavaggi di pochi secondi ognuno); − Fissare la colorazione con una soluzione contenente etanolo 40% e acido acetico 5%; per un tempo variabile da 1 a 14-16 ore; − Acquisire il gel mediante un sistema di fotodocumentazione o essiccarlo in Gel Dryer model 583 (BioRad) a temperatura ambiente per 2 – 3 giorni. 2.4.4 Fotodocumentazione del gel Il gel sviluppato potrà essere fotografato su Transilluminatore Photo UV 20 C (EuroClone) ed acquisito mediante sistema di foto-documentazione PhotoPRINT II (EM-TFC20M, EuroClone). 2.5 Analisi RFLP del frammento ottenuto per PCR 2.5.1. Digestione con RsaI Preparare la seguente miscela di reazione (volume finale 10 µl): - 5 µl Prodotto di PCR (0,5 µg) 1 µl Buffer 10X 0,5 µl RsaI 1 U/µl 3,5 µl H2O Agitare delicatamente e centrifugare per pochi secondi a 12.000 g. Incubare per 1 h a 37 °C. Verificare il prodotto dell'RFLP in elettroforesi su gel di poliacrilammide (PAGE) 5% e colorare il gel mediante Silver staining. 2.5.2 Digestione con AluI Preparare la seguente miscela di reazione (volume finale 10 µl): - 5 µl Prodotto di PCR (0,5 µg) 1 µl Buffer 10X 0,5 µl AluI 1 U/µl 3,5 µl H2O Agitare delicatamente e centrifugare per pochi secondi a 12.000 g. Incubare per 1 h a 37 °C. Verificare il prodotto dell'RFLP in elettroforesi su gel di poliacrilammide (PAGE) 5% e colorare il gel mediante Silver staining. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001 2.6 Interpretazione dei risultati I risultati sono interpretati qualitativamente come positivi o negativi a seconda della presenza o assenza di specifici frammenti di DNA amplificato. In ogni reazione dovrebbero essere effettuati i seguenti controlli: 1. Un controllo negativo su tessuti di una pianta sana (verificata tale in test precedenti e/o con differenti altri test diagnostici). La comparsa di specifici frammenti di DNA amplificato nel controllo negativo dopo IC-RT-PCR indica una probabile crosscontaminazione e rende necessaria la ripetizione dell'intero set di analisi effettuato. 2. Un controllo positivo a partire da prodotto di IC (virione e relativo RNA virale) ottenuto da pianta sicuramente infetta da PPV (verificata tale in test precedenti e/o con differenti altri test diagnostici). La mancata osservazione di una specifico frammento di DNA amplificato nel controllo positivo indica l'assenza di sintesi di cDNA o di amplificazione di quest'ultimo, e induce a ripetere l'intero set di analisi effettuato. 3. Un controllo positivo a partire da prodotto di IC-RT (cDNA) ottenuto da pianta sicuramente infetta da PPV (verificata tale in test precedenti e/o con differenti altri test diagnostici). La mancata osservazione di uno specifico frammento di DNA amplificato nel controllo positivo indica l'assenza di amplificazione di quest'ultimo, e induce a ripetere l'intero set di analisi effettuato. Ogni set di analisi condotto dovrà essere conservato come fotodocumentazione contenetente le seguenti informazioni: • Data • Nome dell'operatore • Codice dell'antisiero utilizzato • Protocollo adoperato per l'immuno-cattura dei virioni • Protocollo adoperato per l'RT-PCR • Codice identificativo di ogni campione analizzato • Analisi dei risultati per ogni campione analizzato • Commenti dell'operatore BIBLIOGRAFIA Boscia D., Myrta A., Potere O., Cambra M., Crescenzi A., Di Terlizzi B., Candresse T. e Savino V. 1998. Impiego di anticorpi monoclonali per l'identificazione dei diversi ceppi del virus della vaiolatura delle drupacee. Notiziario sulla protezione delle piante 9, 207 - 212. Wetzel T., Candresse T., Ravelonandro M. and Dunez J. 1991. A highly sensitive immunocapture polymerase chain reaction method for plum pox potyvirus detection. Journal of Virological Methods 39, 27 – 37. Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche” Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001