Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Sessione III
DRUPACEE, NOCE e POMACEE
COORDINATORE:
A. QUACQUARELLI
Istituto Sperimentale per la Patologia Vegetale,
Ministero delle Politiche Agricole Forestali, Roma
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Organismi patogeni di qualità delle drupacee e del noce
T. Amenduni, D. Boscia, C. Cariddi, A. Ippolito, A. Myrta, G. Romanazzi,
L. Schena, N. Vovlas
PREMESSA
1. Batteri
1.1. Cancro batterico del pesco, deperimento batterico e scabbia batterica dei frutti
dell’albicocco.
1.2. Tumore batterico del pesco
1.3. Cancro batterico del ciliegio
1.4. Tumore batterico del pesco
1.5. Cancro batterico del ciliegio
1.6. Mal secco o “macchie nere” del noce
1.7. Colpo di fuoco
2. Funghi
2.1. Marciume radicale fibroso
2.2. Mal della bolla
2.3. Mal del piombo
2.4. Marciume del colletto delle drupacee
2.5. Cancri da nectria
2.6. Marciume radicale lanoso
2.7. Verticilliosi delle drupacee
3. Nematodi
3.1. Pratylenchus penetrans
3.2. Tylenchulus semipenetrans
3.3. Meloidogyne arenaria
3.4. Meloidogyne incognita
3.5. Meloidogyne javanica
3.6. Xiphinema diversicaudatum
3.7. Pratylenchus vulnus
4. Virus
4.1.Virus della maculatura clorotica fogliare del melo (ACLSV)
4.2.Virus del mosaico del melo (ApMV)
4.3.Virus del nanismo del susino (PDV)
4.4.Virus della maculatura anulare necrotica dei Prunus (PNRSV)
4.5.Virus della vaiolatura del susino (PPV)
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
PREMESSA
Il D.M. del 14/4/1997 (Recepimento delle Direttive della Commissione n. 93/48/CEE
del 23 giugno 1993, n. 93/64/CEE del 5 luglio 1993 e n. 93/79/CEE del 21 settembre 1993,
relative alle norme tecniche sulla commercializzazione dei materiali di moltiplicazione delle
piante da frutto destinate alla produzione di frutto) introduce una nuova categoria di materiali
di moltiplicazione, la categoria C.A.C. (Conformità Agricola Comunitaria) e precisa all’art. 5
i requisiti fitosanitari che tali materiali devono possedere:
Il materiale deve essere, almeno all’esame visivo, privo di organismi nocivi o malattie
pregiudizievoli alla qualità, nonché di loro sintomi che limitino la possibilità di utilizzarlo
coma materiale di moltiplicazione e come pianta da frutto; in particolare deve essere privo
degli organismi o delle malattie elencati nell’allegato II del presente decreto per quanto
concerne i generi e le specie considerati.
Considerati le diverse possibili interpretazioni che possono essere date alla definizione
di “requisiti fitosanitari” di cui all’art. 5 e l’elenco dei patogeni di “qualità” riportato
nell’allegato II del D.M. del 14/4/1997 per le Drupacee, sulla base della rilevanza economica
dei patogeni trasmessi attraverso il materiale di propagazione, nonché dei dati disponibili in
letteratura e dell’esperienza maturata nell’ambito del Progetto POM A32, è stato integrato
l’elenco di cui all’allegato II e sono state precisate le specie per alcuni patogeni (Tabella 1).
Per ciascun patogeno è stata realizzata una scheda riportante le informazioni circa
l’inquadramento sistematico, le piante ospiti, la distribuzione geografica, le modalità di
diffusione, la sintomatologia indotta sulle piante, la modalità di diagnosi e i principi su cui si
basa la lotta. Inoltre, si è ritenuto utile indicare anche quegli aspetti che nel processo
produttivo possono creare le condizioni per una possibile infezione (punti critici), gli obblighi
che vivaisti e Servizio fitosanitario devono rispettare e, infine, alcuni consigli pratici rivolti
agli agricoltori.
In particolare, per quanto riguarda i funghi sono state inserite alcune specie di
Phytophthora, responsabili di marciumi radicali, e tra i nematodi, sono stati inseriti i nematodi
delle lesioni Pratylenchus vulnus e penetrans Inoltre, tra i funghi è stata indicata la specie di
Verticillium da considerare (V. dahliae), per i nematodi galligeni sono riportate le specie che
si riscontrano più frequentemente (M. arenaria, incognita e javanica) e per quanto riguarda i
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
virus, si ritiene importante indicare esplicitamente anche ACLSV (virus della maculatura
clorotica fogliare del melo) e ApMV (virus del mosaico del melo), tra i patogeni di qualità.
Infine, è riportata anche la scheda del PPV (virus della vaiolatura delle drupacee), patogeno di
quarantena estremamente dannoso per queste specie.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Tabella 1. Malattie ed organismi patogeni pregiudizievoli la qualità previsti dall’allegato II
D.M. del 14/4/1997 e proposta dal Progetto POM A32
ALLEGATO II
D.M. 14/04/1997
Malattia
PROPOSTA
PROGETTO POM A32
Agente
Malattia
Agente
Batteri
Tumore batterico del
pesco
Cancro batterico del
ciliegio
- Cancro batterico del
pesco
- Deperimento batterico
e scabbia dei frutti
dell’albicocco
Agrobacterium
tumefaciens
Pseudomonas syringae
pv. mors-prunorum
P. syringae pv. syringae
Tumore batterico del
pesco
Cancro batterico del
ciliegio
- Cancro batterico del
pesco
- Deperimento batterico
e scabbia dei frutti
dell’albicocco
Agrobacterium
tumefaciens
Pseudomonas syringae
pv. mors-prunorum
P. syringae pv. syringae
Funghi
Marciume radicale
fibroso
Mal del piombo
parassitario
Cancri rameali
Tracheoverticilliosi
Armillaria mellea
Marciume radicale
lanoso
Bolla (per albicocco,
mandorlo, pesco)
Rosellinia necatrix
Chondrostereum
purpureum
Nectria galligena
Verticillium dahliae
Taphrina deformans
Marciume radicale
fibroso
Mal del piombo
parassitario
Cancri rameali
Tracheoverticilliosi
Armillaria mellea
Marciume radicale
lanoso
Bolla (per albicocco,
mandorlo, pesco)
Marciume del colletto
Rosellinia necatrix
Chondrostereum
purpureum
Nectria galligena
Verticillium dahliae
Taphrina deformans
Phytophtora spp.:
- P. cactorum,
- P. cambivora,
- P. citrophthora,
- P. megasperma,
- P. drechsleri
Virus
Maculatura clorotica
anulare e/o lineare
Maculatura cloroticanecrotica
PDV (virus del nanismo
del susino)
PNRSV (virus della
maculatura anulare
necrotica dei Prunus)
Maculatura clorotica
anulare e/o lineare
Maculatura cloroticanecrotica
Necrosi dei frutti
Mosaico
(per il mandorlo)
PDV (virus del nanismo
del susino)
PNRSV (virus della
maculatura anulare
necrotica dei Prunus)
ACLSV (virus della
maculatura clorotica
fogliare del melo)
ApMV (virus del
mosaico del melo)
Nematodi
Galle alle radici
Meloidogyne spp.
Galle alle radici
Lesioni alle radici
Meloidogyne arenaria,
M. incognita e M.
javanica
Pratylenchus vulnus,
P. penetrans
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
1. BATTERI
I. BATTERI
1.1. Cancro batterico del pesco, deperimento batterico e scabbia batterica dei frutti
dell’albicocco (Tav. I)
Inquadramento tassonomico
Famiglia
Genere
Specie
Pseudomonadacae
Pseudomonas
P. syringae pv. syringae
Distribuzione geografica: ubiquitario
Modalità di diffusione
Il batterio sopravvive nei tessuti vascolari dei rami infetti, nelle gemme e nei cancri ed
è, inoltre, un normale componente della microflora batterica sulla superficie delle piante
ospiti. In condizioni di elevata umidità relativa e con temperature comprese tra i 12 e 20 °C,
ottimali per la sua moltiplicazione, esso è in grado di infettare le piante penetrando attraverso
soluzioni di continuità dei tessuti di rivestimento (aperture fisiologiche e ferite dovute a
pratiche agronomiche ed eventi meteorici). Il periodo autunnale è senza dubbio il più
favorevole alle infezioni poiché i batteri invadono le superfici di distacco dei frutti e delle
foglie per poi diffondersi nei tessuti sottostanti. In primavera si hanno le infezioni fiorali e
fogliari e il batterio inizia a colonizzare epifiticamente le gemme e le foglie in via di
formazione, stabilendosi sulla pianta per tutto il ciclo vegetativo. Le penetrazioni nelle
strutture fiorali attraverso i nettarii e nelle foglie dai tricomi. Nelle camere sottostomatiche
delle foglie il batterio si moltiplica attivamente e in seguito evade nell’ambiente attraverso le
aperture stomatiche. Le infezioni secondarie, attraverso le cicatrici fogliari, avvengono in
autunno, in concomitanza di piogge accompagnate da forte vento che provocano il distacco
prematuro delle foglie. Brinate e primavere fredde e umide, l’introduzione di materiale di
propagazione già infetto e suoli molto sabbiosi sono certamente le principali cause
predisponenti le infezioni di P. s. pv. syringae. La dannosità di tale patogeno è accentuata
dalla sua capacità criogena. Infatti, la maggior parte dei ceppi di P. s. pv. syringae può
fungere da centro di nucleazione del ghiaccio a temperature di poco inferiori allo 0°C e di
conseguenza i danni a carico dei tessuti, nell’evenienza di abbassamenti termici, risultano
esaltati soprattutto sui rami.
Piante ospiti: polifago
Sintomatologia
Pesco: tacche brune sui rami in prossimità dei nodi che spesso circondano l’asse e
causano l’avvizzimento della parte distale, cancri depressi su branche e tronco con fuoriuscita
di gomma.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Albicocco: avvizzimento di rami e di branche con fuoriuscita di gomma e
decolorazione rosso-mattone dei tessuti legnosi sottostanti, maculature idropiche e poi
necrotiche di 1-2 mm di diametro ed impallinatura sulle foglie, lesioni circolari leggermente
rilevate di colore rosso-bruno sui frutti che successivamente divengono più scure e screpolate
(Tavola VIII, fig. 1).
Diagnosi
Isolamento su Agar-Nutritivo-Saccarosio (colonie levaniformi dopo 48 ore a 25°C) o
su Agar-King-B (colonie molto fluorescenti dopo 48 ore a 25°C). Saggio LOPAT ed alcuni
saggi biochimici, nutrizionali e fisiologici differenziali consigliati per la identificazione delle
patovar di Pseudomonas syringae, saggio sierologico (ELISA o immunofluorescenza
indiretta). Saggi di conferma: analisi degli acidi grassi cellulari o PCR.
Lotta
Impiego di materiale sano, evitare suoli molto sabbiosi e squilibri nutrizionali,
eliminare i rami infetti, eseguire potature tardive, disinfettare gli attrezzi di potatura,
trattamenti con composti rameici alla caduta delle foglie e in primavera dopo la fioritura. I
trattamenti con composti rameici vanno evitati su pesco, soprattutto in quelle aree ad inverni
miti, perché potrebbero risultare fitotossici.
Punti critici
Per i vivaisti: utilizzare materiale di moltiplicazione da piante madri sane controllate
mediante controlli visivi e saggi di laboratorio.
Per gli agricoltori: realizzare i nuovi impianti con materiale di propagazione di cui sia
garantita la sanità.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
1.2. Tumore batterico del pesco (Tav. I)
Inquadramento tassonomico
Famiglia Rhizobiaceae
Genere Agrobacterium
Specie Agrobacterium tumefaciens
Distribuzione geografica: ubiquitario
Modalità di diffusione
A. tumefaciens, a differenza dalla maggior parte degli altri batteri fitopatogeni, può
condurre vita saprofitaria nel terreno per diversi anni conservando inalterata la virulenza. Dal
terreno, il patogeno, può infettare le piante penetrando attraverso le ferite recenti a livello del
colletto o delle radici. Una volta penetrato tale batterio ha la caratteristica peculiare di
trasformare, nel giro di 24-48 ore, le cellule normali della pianta in cellule tumorali le quali
tendono ad accrescersi in maniera abnorme e continua anche indipendentemente dalla sua
presenza. Il batterio può muoversi anche sistemicamente all’interno della pianta. Le infezioni
autunnali di solito restano latenti fino alla primavera successiva. I tumori non sempre
persistono per lungo tempo; a volte essi si sfaldano e si distaccano già nella stagione autunnoinvernale successiva alla loro formazione anche se non sono rari i casi in cui, nella primavera
successiva, si può osservare la formazione di nuovi tumori alla periferia e/o in corrispondenza
dei tessuti tumorali preesistenti. Nelle drupacee, in genere, i tumori impiegano più anni per
raggiungere lo sviluppo completo e poi decadono lentamente. Nei casi più gravi si può avere
la morte delle piante nel giro di 2-3 anni. Gli isolati patogeni per il pesco e per i fruttiferi in
genere appartengono alla biovar 1 e 2 con la prevalenza di quest’ultima.
Piante ospiti: polifago
Sintomatologia
Masse tumorali, presenti generalmente al colletto e lungo le radici principali, dapprima
di piccole dimensioni, isolate o aggregate, di forma sferica e superficie liscia, colore
biancastro o bruno-chiaro e di consistenza spugnosa che successivamente si accrescono fino a
raggiungere un diametro di parecchi centimetri, diventano di colore bruno-scuro, lignificano e
divengono rugose in superficie. Le piante malate, oltre ai tumori, possono presentare sintomi
aspecifici rappresentati da ingiallimenti diffusi delle foglie e scarso vigore vegetativo (Tavola
VIII, fig. 2 e 3).
Diagnosi
Isolamenti a partire dalla zona sottocorticale dei tumori giovani, previamente
disinfettati, sui substrati selettivi di isolamento 1A e 2E. Sul substrato 1A la biovar 1 dopo 3-4
giorni di incubazione a 27 °C forma colonie che presentano la parte centrale rossiccia e il
margine giallastro, mentre sul substrato 2E, la biovar 2, forma colonie nelle medesime
condizioni di incubazione, aventi colorazione variabile dal verde al rosso vermiglio. Per la
identificazione delle biovar vanno effettuati alcuni saggi biochimici, fisiologici e nutrizionali
differenziali e il saggio sierologico (ELISA o immunofluorescenza indiretta). Saggi di
conferma: analisi degli acidi grassi cellulari o PCR.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Lotta
Impiego di materiale sano, evitare ferite alle radici e al colletto durante i trapianti;
immergere, prima del trapianto, l’apparato radicale fino al colletto in sospensioni rameiche o,
previa autorizzazione, in sospensioni di Agrobacterium radiobacter ceppo K84 o ceppo
K1026; eliminare le piante infette; distruggere i residui di vegetazione infetta.
Punti critici
Per i vivaisti: impiego di materiale sano accertato mediante controlli visivi ed
accertamenti di laboratorio.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
1.3. Cancro batterico del ciliegio
Inquadramento tassonomico
Famiglia Pseudomonadacae
Genere Pseudomonas
Specie P. syringae pv. morsprunorum
Distribuzione geografica: ubiquitario
Modalità di diffusione
Il batterio sopravvive nei cancri e nelle gemme e da qui colonizza epifiticamente le
foglie per poi penetrare in autunno nella pianta attraverso le cicatrici fogliari. Questo
patogeno, pur non essendo in grado di nucleare il ghiaccio, si moltiplica attivamente in
presenza di basse temperature.
Piante ospiti: Drupacee (ciliegio in particolare)
Sintomatologia
Necrosi alla base delle gemme che spesso si approfondiscono nei tessuti per 4-5 mm,
causando la mancata apertura delle stesse; sui rami e sulle branche si formano cancri depressi
con fuoriuscita di gomma che quando circondano completamente la base dell’asse causano il
rapido avvizzimento degli stessi; sulle foglie maculature idropiche e poi necrotiche che spesso
si distaccano dal lembo provocando “impallinatura”; sui frutti piccole macchie circolari (2-3
mm di diametro), scure e leggermente infossate.
Diagnosi
Isolamento su Agar-Nutritivo-Saccarosio (colonie levaniformi dopo 48 ore a 25°C) o
su Agar-King-B (colonie debolmente fluorescenti dopo 48 ore a 25°C). Saggio LOPAT ed
alcuni saggi biochimici, nutrizionali e fisiologici differenziali consigliati per la identificazione
delle patovar di Pseudomonas syringae, saggio sierologico (ELISA o immunofluorescenza
indiretta). Saggi di conferma: analisi degli acidi grassi cellulari o PCR.
Lotta
Impiego di materiale sano, trattamenti con composti rameici alla caduta delle foglie,
poiché le ferite originate dalla caduta delle foglie rappresentano una delle principali vie di
penetrazione da parte di tale patogeno; eliminare e distruggere i rami infetti; disinfettare gli
attrezzi di potatura in soluzioni di ipoclorito di sodio; effettuare le potature tardivamente a
fine inverno; evitare irrigazioni soprachioma.
Punti critici
Per i vivaisti: impiego di materiale sano accertato mediante controlli visivi ed
accertamenti di laboratorio.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
1.4. Mal secco o “macchie nere” del noce (Tav. II)
Inquadramento tassonomico
Famiglia Pseudomonadacae
Genere Xanthomonas
Specie Xanthomonas arboricola pv. juglandis (sin. Xanthomonas campestris pv. juglandis)
Distribuzione geografica: presente in tutte le aree di coltivazione del noce.
Modalità di diffusione
Il batterio durante l’inverno sopravvive nei cancri rameali e nelle gemme dormienti e in
primavera colonizza gli amenti e le giovani foglie. Sulla nuova vegetazione, dove penetra sia attraverso
gli stomi che dalle ferite viene veicolato dal polline, dalla pioggia, dal vento e dalle acque di
irrigazione. Condizioni ottimali per lo sviluppo della malattia sono date da alta umidità relativa
nell’aria e temperature comprese tra 20 e 28 °C benché il batterio pare che sia attivo con temperature
comprese fra 4 e 30 °C. Durante la stagione vegetativa può trovarsi anche allo stato epifita.
Piante ospiti: Noce
Sintomatologia
Foglie: macchie idropiche quasi puntiformi (circa 1 mm) a contorno angolare che, in seguito
necrotizzano e causano deformazioni del lembo. Piccole tacche allungate, nerastre possono comparire
anche sul rachide, sul picciolo e sulla nervatura principale.
Germogli: tacche necrotiche nerastre più o meno allungate che possono portare al disseccamento
del germoglio.
Rami e branche: cancri allungati di colore nerastro che quando circondano completamente l’asse
causano il disseccamento del ramo.
Frutti: macchie idropiche, rotondeggianti e leggermente depresse (3-4 mm di diametro) che, col
tempo, tendono ad assumere una colorazione nerastra (Tavola VII).
Diagnosi
Isolamenti su substrato selettivo BS (dopo 4-5 giorni a 25-27 °C si formano colonie circondate da
un caratteristico alone di idrolisi dell’amido) o YDC (dopo 4 giorni a 25 °C appaiono colonie giallastre,
lucenti, convesse a bordo regolare di 2-3 mm di diametro); saggi biochimici, nutrizionali e fisiologici
consigliati per la identificazione delle specie appartenenti al genere Xanthomonas e saggio sierologico
(ELISA o immunofluorescenza indiretta). Saggi di conferma: analisi degli acidi grassi cellulari o PCR.
Lotta
Impiego di materiale sano, evitare una vegetazione troppo fitta, soprattutto in vivaio, in modo da
diminuire il tempo di bagnatura delle foglie; evitare abbondanti concimazioni azotate ed irrigazioni che
inducono un eccessivo turgore vegetativo rendendo le piante più suscettibili; evitare irrigazioni
soprachioma; eliminare le piante infette; distruggere i residui di vegetazione infetti; effettuare
trattamenti con composti rameici alla caduta delle foglie e nella fase di apertura delle gemme.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Punti critici
Per i vivaisti: impiego di materiale sano accertato mediante controlli visivi ed accertamenti di
laboratorio.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
1.5. Colpo di fuoco (Tav. III e IV)
Inquadramento tassonomico
Famiglia Enterobacteriaceae
Genere Erwinia
Specie E. amylovora
Distribuzione geografica: presente ormai quasi in tutte le aree di coltivazione delle Pomacee.
Modalità di diffusione
Lo svernamento di E. amylovora avviene principalmente lungo il bordo dei cancri formatisi sui
rami, branche e tronchi nella precedente stagione vegetativa. Sedi meno importanti di svernamento
possono essere sia i frutti infetti e mummificati, ancora penduli sulla pianta o caduti a terra, che gli
essudati disseccati rimasti aderenti ai tronchi o ai rami o sui residui di potatura. Alla ripresa vegetativa,
in condizioni favorevoli di umidità e temperatura, i batteri riprendono a moltiplicarsi ai margini dei
cancri, invadono nuovo tessuto corticale e producono essudato. Questo nuovo essudato, insieme ai
germi resi disponibili dalle mummie e dai vecchi essudati disciolti dall’acqua piovana, costituisce
l’inoculo primario primaverile. Questo viene disseminato nell’ambiente a breve e lunga distanza, sulla
stessa o su altre piante, dagli schizzi di pioggia o da insetti occasionali (ad esempio: mosche, formiche,
ecc.) visitanti i cancri. I germi dell’inoculo primario raggiungono i fiori e/o i giovani germogli e
causano le infezioni primarie. Nei fiori possono penetrare attraverso nettarii, stigmi ed antere deiscenti;
nei germogli attraverso gli stomi e gli idatodi delle foglie o attraverso ferite. Il periodo di maggiore
suscettibilità delle piante ospiti è quello della fioritura in concomitanza di giornate piovose e
temperature medie comprese tra 18-24 °C. Dai fiori infetti le api disseminano i germi su altri fiori
durante la raccolta del nettare e del polline. Oltre alla pioggia ed al vento, per le infezioni secondarie
fungono da attivi vettori gli uccelli e l’uomo. Gli uccelli possono contaminarsi le zampe posandosi su
piante infette oppure nutrirsi dei loro frutti e diffondere la malattia anche a lunghe distanze. E.
amylovora si troverebbe anche allo stato di epifita nelle gemme, sui fiori e sui giovani germogli e da
questi organi, privi di sintomi, i germi sarebbero disponibili alla ripresa vegetativa per le infezioni
primarie. Un ruolo determinante nella disseminazione del patogeno a lunghe distanze assume il
commercio di materiale vivaistico infetto. Anche le correnti d’aria possono contribuire alla
disseminazione del patogeno a distanze relativamente lunghe trasportando cellule batteriche sotto
forma di aerosol.
Piante ospiti: Rosacee, Pomoidee
Sintomatologia
Annerimento e distorsione dei fiori, annerimento e mummificazione dei frutticini, necrosi
marginale, internervale e disseccamento totale delle foglie, annerimento dei germogli ed incurvamento
degli apici, cancri su rami, branche e fusto con fuoriuscita di essudato. Sia i fiori che i frutticini e le
foglie infetti, in genere, restano attaccati alla pianta per tutta la stagione vegetativa (Tavole IV e V).
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Diagnosi
Isolamento su Agar-Nutritivo-Saccarosio (colonie levaniformi) o sul substrato semiselettivo
HSNA (colonie di circa 1 mm di diametro cosparse di numerosi crateri sulla superficie dopo 60 ore a
27 °C) ed i seguenti saggi: saggio di fluorescenza, presenza di ossidasi, ipersensibilità su tabacco,
patogenicità su pere immature e saggio sierologico (agglutinazione su vetrino, ELISA o
immunofluorescenza indiretta). Saggi di conferma: analisi degli acidi grassi cellulari o PCR.
Lotta
Distruzione con il fuoco delle piante infette e trattamento delle aree infette secondo quanto
riportato dai Decreti di lotta obbligatoria del 27/03/1996 e del 10/09/1999 emanati in Italia.
Punti critici
Per i vivaisti: utilizzare materiale di moltiplicazione da piante madri sane controllate
mediante controlli visivi e saggi di laboratorio.
Per gli agricoltori: realizzare i nuovi impianti con materiale di propagazione di cui sia garantita la
sanità.
Consigli pratici
Per gli agricoltori: evitare materiale di propagazione di dubbia origine; per i nuovi impianti, se si
hanno notizie sul comportamento varietale nel territorio pugliese, utilizzare possibilmente quelle
varietà che hanno mostrato resistenza o almeno una certa tolleranza verso il “colpo di fuoco”.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
TAVOLA I
1
2
4
1
2
3
Fig. 1 - Infezioni di P. syringae pv. syringae su foglie e frutti di albicocco
Fig. 2 - “Tumore batterico” su pianta di pesco in campo
Fig. 3 - “Tumore batterico” su piante di pesco in vivaio
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
TAVOLA II
22
11
3
1
2
Fig. 1 – “Macchie nere” su foglie di noce
Fig. 2 – Cancro su ramo di noce causato da X. arboricola pv. yuglandis
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
TAVOLA III
1
2
2
1
2
1
3
4
2
3 4
Fig. 1 – Gravi infezioni di “colpo di fuoco” batterico su giovani piante di pero
Fig. 2 – “Colpo di fuoco” batterico: frutticini di pero anneriti e mummificati
Fig. 3 – “Colpo di fuoco” batterico: sintomi su foglie
Fig. 4 – “Colpo di fuoco” batterico: fiori di pero anneriti e distorti
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
TAVOLA IV
1
1
3
2
2
4
Fig. 1 – “Colpo di fuoco” batterico: germoglio annerito con apice incurvato
Fig. 2 – “Colpo di fuoco” batterico: cancro giovane su ramo
Fig. 3 – “Colpo di fuoco” batterico: cancro fessurato su ramo e infiorescenza annerita
Fig. 4 – “Colpo di fuoco” batterico: cancro su fusto con emissione di essudato
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
2. FUNGHI
2.1. Marciume radicale fibroso (Tav. V)
Inquadramento tassonomico
Regno
Divisione
Phylum
Classe
Sottoclasse
Ordine
Famiglia
Genere
Specie
Mycetae
Eumycota
Basidiomycota
Basidiomycetes
Holobasidiomycetidae
Agaricales
Polyporaceae
Armillaria
A. mellea (Vahl: Fr.) Kummer
Malattia
Il marciume radicale fibroso è causato da Armillaria mellea, presente su numerose piante
arboree ed arbustive agrarie e forestali.
Distribuzione geografica
Il marciume radicale fibroso è diffuso ovunque siano presenti le specie ospiti.
Modalità di diffusione
Il patogeno si sviluppa e si conserva nel terreno principalmente sotto forma di micelio nel legno
infetto e rizomorfe (Tavola I, Figura 4). I corpi fruttiferi del fungo, comunemente chiamati “chiodini” o
“famigliole buone”, possono comparire, durante la stagione umida, al piede delle piante in cui
l’infezione è presente da molto tempo (Tavola I, Figura 2). Le rizomorfe costituiscono la principale
sorgente di inoculo, diffondendo la malattia a “macchia d’olio”. Il micelio può invadere tessuti sani
venuti a contatto con altri infetti senza che si abbia la formazione delle rizomorfe. A. mellea, superati i
tessuti corticali e venuta a contatto con i tessuti legnosi si organizza in placche miceliari (Tavola I,
Figura 3). La velocità di progressione del microrganismo nei tessuti e di comparsa dei sintomi varia
molto, ed è più rapida quando l’infezione avviene nella zona del colletto. Inoltre, il patogeno è favorito
dal ristagno idrico che, causando asfissia delle radici, determina un abbassamento delle difese
dell’ospite. Temperature ottimali per lo sviluppo della malattia sono comprese tra 20 e 24 °C, mentre
temperature estreme ne riducono lo sviluppo.
Piante ospiti
A. mellea è un patogeno estremamente polifago; in Puglia è particolarmente dannoso su pesco,
mandorlo e ciliegio (Tavola I, Figura 1).
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Sintomatologia
La malattia si manifesta sulla pianta con uno stato di sofferenza generale aspecifica:
vegetazione stentata, clorosi fogliare diffusa o localizzata, appassimento e infine morte.
Frequentemente le foglie disseccate rimangono pendenti sulla pianta per un certo periodo dopo la
morte. Scalzando il piede della pianta compaiono le manifestazioni sintomatologiche tipiche da
Armillaria. La corteccia delle grosse radici e del tronco della zona del colletto è depressa ed appiattita
ed ha un colore più scuro del normale. Sollevando le porzioni corticali, che si distaccano facilmente,
compaiono placche miceliari color crema che emanano un penetrante odore di fungo fresco e si
insinuano tra gli elementi del mantello corticale ed il cilindro legnoso. Sulla superficie degli organi
infetti da molto tempo potrebbero riscontrarsi le rizomorfe del patogeno, piatte e larghe qualche
millimetro. Il colore delle rizomorfe è dapprima biancastro, poi vira al bruno e, a contatto con l’aria,
diventa nero.
Diagnosi
L’osservazione dei sintomi a livello del colletto e, in particolare, delle placche miceliari tra
corteccia e legno consente la diagnosi della malattia con un buon margine di sicurezza. L’osservazione
del patogeno in coltura è necessaria quando si vuole accertare la specie di Armillaria.
Lotta
La lotta si basa essenzialmente su misure preventive. È fondamentale favorire un buon sviluppo
vegetativo delle piante ed evitare la presenza del patogeno. In quest’ottica è consigliabile, nel caso
di nuovi impianti, ricorrere a materiale di propagazione sano e allontanare le radici della coltura
precedente, se suscettibile e ancor più se infetta, prima di procedere a nuovi impianti; inoltre, ove
possibile, destinare il terreno alla semina di graminacee per alcuni anni. Se disponibili, utilizzare
portinnesti dotati di resistenza alla malattia.
Punti critici
Per i vivaisti: evitare di utilizzare terreni ove sono state riscontrate infezioni di A. mellea;
osservare attentamente il colletto delle piante al momento dell’estirpazione per evidenziare la
eventuale presenza di imbrunimenti della corteccia e di placche miceliari sottostanti.
Per gli agricoltori: evitare di impiantare colture arboree in appezzamenti ove sono state osservate
infezioni di A. mellea; realizzare i nuovi impianti con materiale di propagazione sano.
Consigli pratici
Per gli agricoltori: osservare attentamente il colletto e l’apparato radicale delle piante al momento
dell’acquisto; in caso di attacchi in campo, rimuovere prima possibile le piante infette ed evitare
di reimpiantare subito sullo stesso terreno.
Per il Servizio fitosanitario: effettuare le ispezioni in vivaio al momento dello svellimento delle
piante, ma anche durante la stagione vegetativa per individuare aree con sintomi sospetti di
deperimento della chioma.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
TAVOLA V
1
3
2
4
Fig. 1 - Pianta di ciliegio affetta da marciume radicale fibroso.
Fig. 2 - Carpofori di Armillaria mellea alla base di una pianta infetta.
Fig. 3 - Radice di ciliegio attaccata da Armillaria mellea. Si noti il tipico micelio
sottocorticale di colore bianco-cremeo.
Fig. 4 - Rizomorfe di Armillaria mellea nel terreno.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
2.2. Mal della bolla (Tav.VI)
Inquadramento tassonomico
Regno
Divisione
Phylum
Classe
Ordine
Famiglia
Genere
Specie
Mycetae
Eumycota
Ascomycota
Archiascomycetes
Taphrinales
Taphrinaceae
Taphrina
T. deformans (Berk.) Fuckel
Malattia: il mal della bolla è causato da Taphrina deformans.
Distribuzione geografica: la malattia è diffusa ovunque siano presenti le specie ospiti.
Modalità di diffusione
Il fungo sverna sotto forma di ascospore o di gemme-conidi nelle anfrattuosità del ritidoma e tra
le perule delle gemme. Alla schiusura delle gemme, in presenza di un velo d’acqua, i conidi germinano
formando un premicelio che, con un processo meccanico, fora la cuticola e si localizza inizialmente fra
la cuticola e l’epidermide della pagina superiore della foglia. Più raramente l’infezione avviene
attraverso gli stomi. Il micelio si sviluppa fra le cellule e da esso si formano, in posizione distale, gli
aschi, i quali emergono all’esterno riuniti o ravvicinati a formare una fitta palizzata. Gli aschi,
contenenti 4-8 ascospore, conferiscono il tipico aspetto vellutato alle foglie bollose. Spesso si verifica
un solo ciclo di infezione poiché l’aumento di temperatura diventa incompatibile con la vita del fungo e
l’ospite, ispessendo la cuticola, diventa meno suscettibile. Le condizioni ottimali per le infezioni, in
coincidenza con la schiusura delle gemme, prevedono un periodo piovoso e piuttosto freddo; la
temperatura ottimale è di 15°C, quelle estreme di 7-28°C; oltre i 28°C il fungo perde completamente la
vitalità.
Piante ospiti: il mal della bolla oltre che sul pesco è presente anche su nettarine e mandorlo.
Sintomatologia
Tutti gli organi verdi (fiori, foglie, germogli e frutti) sono suscettibili all’infezione ma le foglie
subiscono i danni maggiori. I fiori colpiti si presentano deformati, contorti, notevolmente allungati e
finiscono per abortire e cadere. Le foglie attaccate manifestano ipertrofia e iperplasia dei tessuti
internervali, con deformazioni che si presentano sotto forma di bolle, con la parte convessa nella pagina
superiore. La foglia si accartoccia e si ripiega in vario modo, poiché le nervature si accrescono meno
rispetto alle zone di parenchima internervale. Le bolle si ingrandiscono, confluiscono tra loro e i tessuti
infetti acquistano una consistenza carnosa (Tavola III, Figura 1). Contemporaneamente si hanno delle
variazioni cromatiche nei tessuti infetti (Tavola III, Figura 2). Negli stadi finali della malattia, la pagina
superiore perde lucentezza e si presenta vellutata per la presenza degli aschi che affiorano all’esterno.
Verso maggio-giugno le foglie attaccate disseccano e cadono. I germogli infetti appaiono ispessiti e
carnosi, spesso privi di foglie nella parte apicale, con internodi raccorciati e cime contorte, che poi
finiscono con il disseccare (Tavola III, Figura 3). Sui frutti l’attacco è meno frequente: se è precoce, il
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
frutticino si atrofizza e cade; mentre sui frutti più sviluppati si formano escrescenze di estensione
variabile che col tempo acquistano un colore rossastro e un aspetto suberoso. Quando la temperatura si
innalza e l’umidità relativa si abbassa, la malattia si arresta e gli organi colpiti vanno incontro ad una
rapida devitalizzazione.
Diagnosi: data la specificità dei sintomi, la diagnosi è visiva.
Lotta
Le varietà coltivate manifestano una diversa suscettibilità al patogeno; pertanto, una possibilità
di controllo della malattia potrebbe consistere nell’uso di varietà resistenti. La lotta chimica si basa su
due interventi di carattere preventivo contro le forme svernanti, da effettuarsi il primo (con prodotti
cuprici) subito dopo la caduta delle foglie e il secondo al rigonfiamento delle gemme. I prodotti
generalmente usati sono i ditiocarbammati (ziram, thiram).
Punti critici
Per i vivaisti: utilizzare marze provenienti da piante regolarmente trattate contro la malattia ed
effettuare i trattamenti anticrittogamici preventivi
Per gli agricoltori: realizzare i nuovi impianti con materiale di propagazione sano.
Consigli pratici
Per gli agricoltori: effettuare i trattamenti anticrittogamici preventivi nelle aree favorevoli allo
sviluppo della malattia;
Per il Servizio fitosanitario: effettuare le ispezioni in vivaio nel periodo di massima espressione
sintomatologica della malattia (maggio-giugno).
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Tavola VI
11
2
2
2
3
3
3
2
Fig. 1 - Foglia di pesco con forte deformazione indotta da Taphrina deformans.
Fig. 2 - Germoglio di pesco gravemente danneggiato dalla infezione di bolla.
Fig. 3 - Giovani astoni di pesco con attacchi di bolla.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
2.3. Mal del piombo (Tav. VII)
Inquadramento tassonomico
Regno
Divisione
Phylum
Classe
Sottoclasse
Ordine
Famiglia
Genere
Specie
Mycetae
Eumycota
Basidiomycota
Basidiomycetes
Holobasidiomycetidae
Aphyllophorales
Polyporaceae
Chondrostereum
C. purpureum (Pers.:Fr.) Pouzar
Malattia
Il mal del piombo, malattia causata da Chondrostereum purpureum, si manifesta su un gran numero
di specie arboree, agrarie e forestali.
Distribuzione geografica: il mal de piombo è diffuso ovunque siano presenti le specie ospiti.
Modalità di diffusione
Il mezzo di infezione più frequente è rappresentato dalle basidiospore che, liberate dai
carpofori, vengono a contatto con superfici di taglio non protette o con ferite causate da agenti biotici o
abiotici. Il fungo può infettare la pianta anche dall’apparato radicale, per poi risalire lungo il tronco e
l’impalcatura principale della pianta. Sulle giovani piante l’infezione si può avere quando, nelle
operazioni di impianto, viene spuntata la radice principale. Le piante attaccate quando ancora giovani
sono irrimediabilmente condannate, mentre quelle infettate da adulte possono sopravvivere anche anni.
In qualche caso la malattia può originarsi dai carpofori sviluppati su pali di castagno utilizzati come
sostegno. L’infezione è favorita da andamenti climatici primaverili e/o autunnali molto umidi e da
temperature di 15-18°C.
Piante ospiti
Chondrostereum purpureum attacca tutte le drupacee, ma in Puglia si rinviene soprattutto sul
pesco.
Sintomatologia
Il sintomo principale della malattia si osserva sulle foglie, che fin dalla loro comparsa assumono
una colorazione metallica, rifrangente. La distribuzione del sintomo sulla chioma è irregolare; talvolta è
interessata l’intera pianta, ma più spesso, almeno nelle fasi iniziali della malattia, i sintomi si
rinvengono solo su di un certo numero di rami o branche (Tavola V, Figura 1). Le foglie argentate sono
carnose, più spesse del normale e papiracee; spesso sono leggermente bollose e deformi, con
pigmentazioni antocianiche ai bordi. Nei casi di grave attacco la foliazione subisce un arresto, fino a
ridursi a piccole foglioline appena sporgenti dalle perule. L’alterazione delle foglie è un effetto a
distanza, dovuto alle tossine prodotte dal fungo sviluppatosi a carico del legno. I tessuti legnosi del
tronco e delle branche più grosse presentano imbrunimenti e carie che possono essere settoriali o
interessare tutta la sezione. Le stesse manifestazioni si possono riscontrare sulle radici, anche quando il
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
legno della parte aerea appare completamente sano. Sul legno deperiente o già morto compaiono vistosi
corpi fruttiferi del fungo, di colore dapprima violaceo e poi scuro. Essi hanno l’aspetto di “orecchiette”
dapprima elastiche e poi consistenti, a bordi ondulati, del diametro massimo di 2-3 cm, generalmente
embricate o confluenti in gran numero (Tavola V, Figure 2 e 3).
Diagnosi
I sintomi di mal del piombo sulla chioma possono essere imputabili a C. purpureum (mal del
piombo parassitario, o precoce) oppure ad alte temperature e squilibri idrici (mal del piombo non
parassitario, o tardivo); i primi si osservano dalla ripresa vegetativa a giugno, i secondi nel periodo
estivo (luglio-agosto) e sono più frequenti sui rami in prossimità del terreno. La diagnosi del mal del
piombo parassitario può essere visiva, tuttavia, è necessaria una conferma mediante isolamento del
patogeno da legno sintomatico. In presenza dei carpofori, la diagnosi è immediata.
Lotta
Gli interventi contro la malattia consistono nell’estirpare e bruciare le piante o le parti di piante
infette, eliminare i substrati di sviluppo dei carpofori (ad es. pali tutori di legno) e proteggere le
superfici di taglio della pianta con appositi mastici.
Punti critici
Per i vivaisti: utilizzare marze provenienti da piante sane.
Per gli agricoltori: realizzare i nuovi impianti con materiale di propagazione sano.
Consigli pratici
Per gli agricoltori: osservare le piante in maggio-giugno per la ricerca dei sintomi; proteggere le
ferite di taglio con mastice.
Per il Servizio fitosanitario: effettuare le ispezioni in vivaio nel periodo di massima espressione
sintomatologica della malattia (maggio-giugno) e imporre la distruzione delle piante infette.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
TAVOLA VII
Fig. 1 - Pesco affetto da mal del piombo, con chioma spoglia e
colorazione metallica delle foglie.
Fig. 2 - Carpofori di Chondrostereum purpureum su legno infetto.
Fig. 3 - Particolare dei carpofori di Chondrostereum purpureum.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
2.4. Marciume del colletto delle drupacee (Tav. VIII )
Inquadramento tassonomico
Regno
Phylum
Classe
Ordine
Famiglia
Genere
Specie
Chromista
Oomycota
Oomycetes
Peronosporales
Pythiaceae
Phytophthora
P. cactorum (L. C.) Schröter
P. cambivora (Petri) Buisman
P. cinnamomi Rends
P. citrophthora (Sm. et Sm.) Leonian
P. cryptogea Pethyb. et Laff.
P. drechsleri Tucker
P. megasperma Drechsler
P. syringae Kleb.
Malattia
Il marciume del colletto è un’affezione che interessa, oltre al colletto, anche l’apparato radicale e
zone più o meno estese della parte epigea (Tavola IV, Figura 2, 3). La malattia è particolarmente
grave in presenza di portinnesti suscettibili e di errate tecniche colturali.
Distribuzione geografica
La malattia è presente in tutte le zone di coltivazione delle drupacee.
Modalità di diffusione
Le diverse specie di Phytophthora vivono nel terreno dove, grazie a più forme di resistenza
(oospore, clamidospore), possono permanere vitali per diversi anni. P. cactorum è la specie che si
rinviene con maggiore frequenza sulle drupacee. La penetrazione nelle radici più grandi avviene
attraverso le lenticelle o attraverso ferite, mentre nelle radici più piccole è diretta. Il micelio, che
colonizza molto rapidamente i tessuti corticali produce nel giro di 24-48 ore oogoni e anteridi
tipicamente paragini e differenzia nelle cellule invase dell’ospite le oospore. Gli zoosporangi
germinano in genere per zoospore o più raramente per micelio. Le radici possono essere infettate sia
dalle ife vegetative presenti nel terreno sia dai tubi germinativi emessi dalle zoospore. Terreni compatti
e mal drenati, nei quali l’acqua ristagna a lungo creando condizioni di asfissia, provocano un
indebolimento della pianta che è così predisposta all’attacco del patogeno. L’impiego di materiale di
propagazione infetto rappresenta un metodo di diffusione di Phytophthora anche a notevoli distanze.
Piante ospiti
Le diverse specie di Phytophthora sono caratterizzate da elevata polifagia. Possono infettare i
diversi portinnesti delle drupacee, anche se la suscettibilità varia con la specie. Nelle nostre zone gli
attacchi sono più frequenti su pesco e su ciliegio.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Sintomatologia
La malattia è presente sia in vivaio, sia in pieno campo. Possono essere colpiti soggetti di
qualunque età, ma è più frequente nei vivai e negli impianti giovani e dove i terreni presentano
difficoltà di sgrondo. Le piante mostrano sintomi aspecifici di deperimento della parte aerea consistenti
nella produzione di foglie clorotiche e più piccole del normale (Tavola IV, Figura 1), rallentamento
nello sviluppo dei rami e defogliazione anticipata, mentre nella zona del colletto si producono dei veri e
propri cancri, che possono interessare ampie zone, sia delle radici sia del tronco (Tavola IV, Figura 2,
3, 4). Inizialmente si osservano leggeri imbrunimenti e depressioni della corteccia, accompagnati
spesso da efflussi gommosi; scortecciando si nota una intensa colorazione scura dei tessuti corticali
colpiti (Tavola IV, Figura 2, 3), che presentano margini con marcate zonature, via via più chiare.
Anche il tessuto cambiale e le cerchie legnose più esterne sono coinvolti nei processi di necrosi.
Quando la lesione interessa l’intera circonferenza del fusto oppure tutte le grosse radici la pianta
muore.
Diagnosi
La diagnosi del marciume del colletto può essere effettuata osservando i sintomi prima descritti;
tuttavia, è sempre necessaria una conferma mediante isolamento in piastra ed identificazione del
patogeno, o mediante kit ELISA o metodiche molecolari (PCR). Queste tecniche consentono di
accertare la presenza dei patogeni sia nei tessuti infetti, sia nel terreno.
Lotta
La lotta contro il marciume del colletto viene praticata in maniera preventiva con l’uso di
materiale di propagazione sano e possibilmente di portinnesti resistenti.. Molta cura deve essere posta
all’impianto sistemando il terreno al fine di evitare ristagni superficiali e profondi dell’acqua, evitando
di porre le piante ad eccessiva profondità e adottando sistemi di irrigazione che non bagnino il tronco.
Con la malattia in atto intervenire applicando al fusto prodotti sistemici a base di Metalaxyl o di
Phosetyl-Al.
Punti critici
Per i vivaisti: usare substrati di coltivazione e terreni esenti da propaguli delle diverse specie di
Phytophthora agenti di marciume del colletto e porre in atto tutti gli accorgimenti necessari per
evitare infezioni. È consigliabile una sistemazione superficiale del terreno (ad es. baulatura) per
facilitare lo sgrondo dell’acqua di irrigazione e di pioggia, e l’utilizzazione di acqua non
contaminata da propaguli del patogeno.
Per gli agricoltori: realizzare i nuovi impianti con materiale di propagazione sano; livellare il
terreno in modo da evitare i ristagni idrici superficiali e drenarlo contro il ristagno idrico
profondo; non trapiantare ad eccessiva profondità.
Consigli pratici
Per gli agricoltori: evitare di bagnare il colletto durante l’irrigazione,
evitare la crescita di
erbe infestanti e l’accumulo del terreno alla base del tronco;
Per il Servizio fitosanitario: controllare che in vivaio vengano adottate tutte le norme di profilassi
atte a ridurre le possibilità di contaminazione dei terreni e dei substrati. Per gli eventuali controlli
fitosanitari, ispezionare la chioma per la presenza di sintomi deperimento e la zona del colletto
per la presenza di gomma e/o di zone depresse e imbrunite.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
TAVOLA VIII
Fig. 1 - Giovane pianta di Prunus mahaleb con sintomi iniziali di
deperimento sulla chioma dovuti ad attacchi di Phytophthora.
Fig. 2 - Ciliegio di 2 anni di età con marciume del colletto da Phytophthora.
Fig. 3 - Imbrunimento dei tessuti corticali sottoepidermici in ciliegio con
attacchi di Phytophthora al colletto.
Fig. 4 - Pianta di pesco con marciume del colletto da Phytophthora.
L’eccessiva profondità di impianto è uno dei fattori che predispone la pianta
agli attacchi del patogeno.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
2.5. Cancri da nectria
Inquadramento tassonomico
Regno
Divisione
Phylum
Classe
Ordine
Famiglia
Genere
Specie
Mycetae
Eumycota
Ascomycota
Pyrenomycetes
Hypocreales
Hypocreaceae
Nectria
N. galligena Bres.
Malattia
I cancri da Nectria galligena sono presenti su diversi fruttiferi ed essenze forestali.
Distribuzione geografica
N. galligena è un patogeno diffuso ovunque siano presenti le specie ospiti.
Modalità di diffusione
Il patogeno si diffonde per mezzo di ascospore e conidi, trasportati da vento, pioggia o altri
vettori. In presenza di elevata umidità e temperatura favorevole (ottimo 18-24°C, con estremi di 5 e
30°C), i propaguli germinano e producono un premicelio che può penetrare nell’ospite attraverso ferite
di qualsiasi natura (grandine, gelo, distacco di peduncoli, ecc.) o anche attraverso le lenticelle. Le
infezioni più gravi si hanno in autunno, attraverso le lesioni causate dalla caduta delle foglie e si
evidenziano subito dopo la ripresa vegetativa.
Piante ospiti
N. galligena è dannoso su diverse specie di fruttiferi e su piante forestali.
Sintomatologia
La malattia si manifesta inizialmente con piccole tacche leggermente depresse, imbrunite, per lo
più localizzate alla base di un rametto giovane o attorno ad una precedente ferita. Successivamente, in
corrispondenza di ogni tacca, la corteccia necrosata tende a fendersi e a distaccarsi, mentre attorno si
forma un cercine cicatriziale. Col tempo, ogni lesione assume l’aspetto di un cancro a bordi rilevati e
slabbrati, il cui centro è interessato da un processo di necrotizzazione che raggiunge le parti più
profonde dell’organo colpito. Lesioni estese possono portare alla morte di rami o di intere giovani
piante. Le fruttificazioni di N. galligena si presentano sotto forma di periteci rotondeggianti, appena
visibili ad occhio nudo, di colore rosso vivo, normalmente localizzati nei cancri vecchi.
Diagnosi
La diagnosi dell’infezione da N. galligena può essere visiva, ma è necessaria una conferma
mediante isolamento e osservazione del patogeno al microscopio.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Lotta
Le misure di lotta consistono nell’asportazione e nella distruzione dei rami colpiti, e in un
trattamento con prodotti cuprici per prevenire l’infezione al momento della caduta delle foglie.
Punti critici
Per i vivaisti: utilizzare marze provenienti da piante sane.
Per gli agricoltori: realizzare i nuovi impianti con materiale di propagazione sano.
Consigli pratici
Per gli agricoltori: osservare le piante in inverno per la ricerca dei cancri sugli organi legnosi.
Per il Servizio fitosanitario: effettuare le ispezioni in vivaio nel periodo invernale per la ricerca
dei sintomi sugli organi legnosi.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
2.6. Marciume radicale lanoso (Tav. IX)
Inquadramento tassonomico
Regno
Divisione
Phylum
Classe
Ordine
Famiglia
Genere
Specie
Mycetae
Eumycota
Ascomycota
Pyrenomycetes
Xylariales
Xylariaceae
Rosellinia
R. necatrix (Hart.) Berl.
Malattia
Il marciume radicale lanoso, causato da Rosellinia necatrix, è presente su piante arboree, arbustive
ed erbacee.
Distribuzione geografica
Il marciume radicale lanoso è diffuso ovunque siano presenti le specie ospiti. Esso sembra
maggiormente presente nelle aree a clima mediterraneo e meno in quelle a clima continentale.
Modalità di diffusione
Il patogeno si conserva nella sua forma vegetativa differenziando raramente, su radici
completamente devitalizzate, le fruttificazioni ascofore di Rosellinia o quelle conidiche di
Dematophora (anamorfo). Il microrganismo permane nei tessuti attaccati e nel terreno sotto forma di
ammassi stromatici e scleroziali, mentre la diffusione nel suolo avviene per mezzo di speciali “cordoni”
costituiti da fasci di ife. Da ciò la progressione della malattia, dalle piante già infette a quelle sane
circostanti a “macchia d’olio” (Tavola II, Figura 1). L’insediamento del patogeno nell’ospite si realizza
più frequentemente ad iniziare da giovani radici. La pericolosità della malattia è esaltata da preesistenti
condizioni di sofferenza delle piante. Il patogeno trova condizioni ottimali in terreni umidi e ricchi di
sostanza organica, mentre perde virulenza in terreni secchi, sabbiosi e soleggiati. La temperatura
ottimale per l’accrescimento è di 16-18°C.
Piante ospiti
R. necatrix è caratterizzata da una elevata polifagia; attacca tutte le drupacee e nel Sud Italia è
particolarmente dannosa su pesco e ciliegio.
Sintomatologia
Le piante colpite non mostrano sintomi aspecifici. Esse presentano vegetazione stentata, foglie di
dimensioni ridotte, con clorosi più o meno gravi e diffuse, produzione scarsa o nulla e lento
deperimento fino alla morte. Accanto a questa forma di deperimento lento si può osservare un
andamento rapido, quasi apoplettico, quando si realizzano condizioni ambientali sfavorevoli all’ospite
(gelate tardive, minime invernali molto accentuate, siccità e forti caldi estivi). I sintomi specifici si
rinvengono sull’apparato radicale e al colletto e consentono la differenziazione di questa alterazione da
altri marciumi radicali (Tavola II, Figure 2 e 3). Sulle radici colpite si osserva ad occhio nudo una rete
micelica a trama larga, ad andamento avvolgente, dapprima di colore bianco, poi grigio ed infine
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
bruno. Le ife sono caratterizzate da rigonfiamenti ad ampolla, in prossimità dei setti, che costituiscono
un importante elemento diagnostico (Tavola II, Figura 4). I tessuti corticali imbruniti si sfaldano
facilmente, evidenziando il cilindro legnoso profondamente alterato e spesso imbrunito.
Diagnosi
Una prima diagnosi della malattia può essere effettuata visivamente mediante osservazione dei
sintomi e del micelio del patogeno presenti sull’apparato radicale e sul colletto. L’accertamento
diagnostico, tuttavia, richiede l’isolamento in coltura e la successiva osservazione delle strutture
vegetative al microscopio, allo scopo di evidenziare, a livello dei setti, i caratteristici ingrossamenti ad
ampolla. La diagnosi può essere realizzata anche con metodi molecolari.
Lotta
La lotta si basa sui comuni interventi preventivi, quali drenaggio e scarsi apporti di sostanza
organica. Il fungo può essere eradicato dal terreno mediante trattamenti chimici con Bromuro di
metile, Vapam, ecc. Il più delle volte, però, simili interventi non trovano applicazione per il loro
elevato costo, gli esiti incerti e l’effetto negativo sull’ambiente. Pertanto, è molto importante
un’accurata bonifica idraulica, l’eliminazione dei residui radicali della coltura precedente, nonché
l’utilizzazione di materiale di propagazione sano. Ove disponibili, è consigliabile l’uso di portinnesti
resistenti.
Punti critici
Per i vivaisti: evitare di utilizzare terreni ove sono state osservate infezioni di marciume radicale
lanoso; osservare attentamente il colletto e l’apparato radicale delle giovani piante al momento
dell’estirpazione per evidenziare la presenza della trama miceliare del patogeno.
Per gli agricoltori: evitare di impiantare colture arboree suscettibili in appezzamenti ove sono
state osservate infezioni di marciume radicale lanoso senza che siano stati messi in atto con
attenzione gli interventi prima descritti; realizzare i nuovi impianti con materiale di propagazione
sano e, ove disponibile, resistente.
Consigli pratici
Per gli agricoltori: osservare attentamente l’apparato radicale e il colletto delle piante al momento
dell’acquisto; in caso di attacchi in campo, rimuovere il prima possibile le piante infette ed
evitare di reimpiantare subito sullo stesso terreno senza aver messo in atto gli interventi prima
ricordati.
Per il Servizio fitosanitario: effettuare le ispezioni in vivaio al fine di cogliere sintomi di
deperimento sulla chioma durante la stagione vegetativa e la presenza della trama miceliare del
fungo al colletto e sulle radici.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
TAVOLA IX
Fig. 1 - Pianta di mandorlo morta per attacco di Rosellinia necatrix.
Fig. 2 - Micelio sottocorticale di Rosellinia necatrix su un giovane astone di
ciliegio.
Fig. 3 - Apparato radicale di una pianta di mandorlo affetta da Rosellinia
necatrix. Esternamente all’ospite il fungo cresce sviluppa una rete micelica a
trama larga, dapprima di colore bianco e successivamente grigio.
Fig. 4 - Micelio di Rosellinia necatrix mostrante i tipici rigonfiamenti ad ampolla
in prossimità dei setti.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
2.7. Verticilliosi delle drupacee (Tav. X)
Inquadramento tassonomico
Regno
Divisione
Sottodivisione
Classe
Ordine
Famiglia
Genere
Specie
Mycetae
Eumycota
Deuteromycotina
Hyphomycetes
Hyphales
Mucedinacee
Verticillium
V. dahliae Kleb.
V. albo-atrum Reinke et Bert.
Malattia
La verticilliosi è una malattia tracheomicotica di molte specie vegetali erbacee ed arboree. Degli
agenti causali, Verticillium dahliae e V. albo-atrum, il primo è di gran lunga il più diffuso, mentre il
secondo non è stato mai riportato nelle nostre zone.
Distribuzione geografica
La verticilliosi è una malattia piuttosto diffusa nei giovani impianti in molte aree di produzione
degli Stati Uniti, del Canada e del Bacino del Mediterraneo.
Modalità di diffusione
I due patogeni sono capaci di sopravvivere nel terreno, in condizioni avverse, fino ad un metro di
profondità; V. dahliae si conserva sotto forma di microsclerozi (Tavola VI, Figura 3), mentre V. alboatrum si conserva sotto forma di micelio scuro a pareti ispessite. L’infezione avviene di solito
attraverso i peli radicali o ferite naturali, anche se non è escluso che la penetrazione possa avvenire
direttamente nelle cellule epidermiche della zona di allungamento delle radici. Le ife, dopo la
penetrazione, si localizzano nei vasi xilematici.
Le radici infette che rimangono nel terreno dopo l’asportazione delle piante morte costituiscono
un’altra fonte di conservazione e di moltiplicazione dell’inoculo. La consociazione con specie ortive
suscettibili al patogeno (soprattutto solanacee e carciofo) può determinare un aumento della densità di
inoculo del patogeno nel terreno, contribuendo ad una maggiore diffusione della malattia. Tra le
tecniche colturali, alcuni metodi di irrigazione (ad es. infiltrazione laterale da solchi e allagamento),
così come lo spostamento di macchine e di attrezzi di lavorazione da un terreno contaminato ad un
terreno sano, diffondono velocemente i propaguli del patogeno. L’impiego di materiale di propagazione
infetto, infine, rappresenta il più efficace metodo di diffusione del patogeno e della malattia anche a
grandi distanze.
Piante ospiti
V. dahliae è agente di tracheomicosi su tutte le drupacee.
Sintomatologia
I primi sintomi della verticilliosi, cioè l’appassimento unilaterale della chioma e l’ingiallimento
delle foglie, si notano all’inizio dell’estate (Tavola VI, Figura 1). La malattia può avere un decorso
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
lento e si ha una defogliazione progressiva, oppure un decorso acuto, nel qual caso interi rami
disseccano improvvisamente; i vasi xilematici manifestano una tipica colorazione brunastra, che può
interessare l’intera sezione o essere confinata in settori (Tavola VI, Figura 2). Le piante giovani di
drupacee, ad eccezione del ciliegio, sono in genere più suscettibili di quelle adulte. In condizioni
colturali particolarmente favorevoli e superata la fase giovanile, piante attaccate possono riprendersi e
manifestare una regressione dei sintomi, apparendo del tutto guarite.
Diagnosi
La diagnosi viene effettuata mediante l’isolamento del patogeno da porzioni di tessuto
xilematico, utilizzando comuni substrati di coltura artificiale (Agar-Acqua, Agar Patata Saccarosio). La
presenza del patogeno nei tessuti è discontinua nel corso dell’anno in funzione dell’andamento
climatico e delle reazioni dell’ospite. Solitamente, il patogeno si isola con facilità in primavera-inizio
estate. La diagnosi nei tessuti legnosi può essere effettuata anche mediante alcuni Kit commerciali
ELISA e tecniche molecolari (PCR, sonde nucleiche). Nel terreno, la presenza di V. dahliae viene
accertata mediante isolamento in coltura su substrati semiselettivi.
Lotta
Attualmente non esistono prodotti chimici pienamente efficaci contro la verticilliosi e la lotta si
basa su interventi agronomici e su misure preventive:
- quando la malattia è in atto è necessario mantenere le piante indurite, riducendo l’irrigazione e
le concimazioni azotate e lasciando inalterati gli apporti di fosforo e potassio;
- limitare gli interventi di potatura all’asportazione dei rami con sintomi;
- evitare la consociazione con specie suscettibili (solanacee, carciofo, cotone);
- non utilizzare tecniche irrigue che diffondono più facilmente i propaguli del patogeno (ad es.
scorrimento, infiltrazione laterale e similari);
- ove disponibili, utilizzare portinnesti e varietà resistenti.
Punti critici
Per i vivaisti: utilizzare materiale di moltiplicazione (marze e talee) provenienti da piante madri
sottoposte a periodici saggi di laboratorio per accertare l’assenza di infezioni da V. dahliae;
accertare l’assenza di propaguli del patogeno nei substrati d’allevamento in vivaio e nel terreno
prima dell’impianto.
Per gli agricoltori: realizzare i nuovi impianti con materiale di propagazione sano.
Consigli pratici
Per i vivaisti: utilizzare contenitori nuovi o accuratamente disinfestati mediante trattamento con
soluzioni sterilizzanti (ad es. immersione per 10 minuti in soluzioni al 4% di ipoclorito
commerciale).
Per gli agricoltori: in pieno campo, l’asportazione delle parti infette mediante pesanti potature o
capitozzatura dei soggetti malati è sconsigliabile sulle piante giovani, le quali, stimolate a
produrre nuova vegetazione, si esauriscono e deperiscono più rapidamente; evitare la diffusione
dell’inoculo con macchine o attrezzi di lavorazione che hanno operato in terreni infestati.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
TAVOLA X
Fig. 1 - Giovane pianta di mandorlo con disseccamenti sparsi della chioma
causati da Verticillium dahliae.
Fig. 2 - Rametto di mandorlo con imbrunimento del cilindro legnoso causato
da Verticillium dahliae.
Fig. 3 - Microsclerozio di Verticillium dahliae.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
3. NEMATODI
3.1. Pratylenchus penetrans (Tav. XI)
Premessa
I nematodi delle lesioni seguono in ordine di importanza economica quelli galligeni e cisticoli e
sono causa di forti perdite di produzione a livello mondiale, fino al 15-18% della produzione annua. La
loro vasta diffusione e gamma di ospiti (piante erbacee e arboree) rende indispensabile il loro
riconoscimento a livello di specie, per predisporre un preciso programma di norme fitosanitarie, in
particolar modo nei vivai di fruttiferi.
Inquadramento tassonomico
Famiglia
Genere
Specie
Pratyluenchus
Pratylenchus penetrans (Cobb, 1917), Chitwood & Oteifa, 1952
Modalità di diffusione
Come tutti i nematodi, la diffusione avviene attraverso attrezzi da taglio, acqua e materiale di
propagazione.
Distribuzione geografica: il nematode è strettamente legato alla presenza della specie ospite.
Piante ospiti
Oltre 350 specie di piante sono state riportate come ospiti di questo nematode endoparassita
migratore. Costituisce il maggior problema nei vivai di piante da frutto, principalmente nella aree
temperate.
Sintomatologia
Parassita obbligato, migra all’interno delle radici e si nutre a spese dei tessuti corticali, ove si
riproduce, inducendo all’interno della radice stessa lesioni e necrosi tissutali nei siti di alimentazione.
Danni
I danni provocati dalle infezioni di questa specie consistono in estese necrosi radicali con
perdita della funzionalità della radice stessa, che porta a sintomi evidenti di crescita stentata a carico
della parte epigea della pianta, e ad ingiallimenti diffusi.
Diagnosi
Identificazione a livello specifico basata sulla morfologia, che esamina una serie di parametri
biometrici rilevati su esemplari di adulti (femmine e maschi).
Lotta
Sono indispensabili la disinfestazione del terreno (con mezzi chimici e fisici) e l’eliminazione
delle erbe infestanti in vivaio, per mantenere bassi livelli di popolazione del parassita.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Norme fitosanitarie
Analisi nematologiche di pre-impianto (su terreno e radici) e l’uso di materiale esente da
nematodi sono le norme base per una buona riuscita di nuovi impianti colturali.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
TAVOLA XI
Pratylenchus penetrans
annuli labiali
vulva
esofago
poro
escretore
stiletto
bulbo mediano
f
branca
postuterina
campi
laterali
ano
maschio
femmina
spicole
lobo
ghiandolar
e esofageoCaratteri morfometrici di
1°
c oda del l a
fe m m i n a
Pratylenchus penetrans:
gonade
spermateca
c oda del
m as c hi o
branca
post-uterina
numero di annuli labiali:
3
lunghezza totale : 450-700 µm
lunghezza stiletto : 15-17 µm
75-84
23°ann. posiz. % della vulva :
lungh.branca post-uterina:
1-1,5 il diam.
corpo alla vulva
distanza estr. ant.-poro escr.: 74-101 µm
n. di annuli ventr. della coda: 15-27
estremità della coda:
liscia
ano
Tanto le larve
quanto gli adulti
del nematode
migrano all’interno
del parenchima
corticale
radice sana
radice infetta
Tipiche lesioni
necrotiche
sulla superficie
delle radici
causate dalla
azione trofica del
nematode.
causando
cavità, che
portano ad
imbrunimenti, fino
alla necrosi
dei tessuti.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
3.2.Tylenchulus semipenetrans (Tav. XII)
Premessa
La distribuzione geografica di questa specie coincide con la distribuzione della coltura di
agrumi sia in Italia che nel resto del mondo.
Inquadramento tassonomico
Famiglia
Genere
Specie
Tylenchulus semipenetrans, (Cobb, 1913)
Modalità di diffusione
Come tutti i nematodi, la diffusione avviene attraverso attrezzi da taglio, acqua e materiale di
propagazione.
Distribuzione geografica: il nematode è strettamente legato alla presenza della specie ospite.
Piante ospiti
L’ospite principale di questa specie è il genere Citrus spp., anche se particolari biotipi di questa
specie possono infettare altri generi non appartenenti alla famiglia delle Rutaceae. Vitis sp. e Diospyros
lotus sono stati rinvenuti come ospiti nell’area Mediterranea.
Sintomatologia
Le femmine adulte di questa specie sono parassiti obbligati che si nutrono della parte corticale
della radice in posizione semiendo-parassitica. Il sito di alimentazione di questa specie è costituito da
4-5 cellule “nutrici”, molto specializzate, ad intensa attività metabolica.
Non si presentano alterazioni esterne alla radice.
Danni
Modificazioni anatomiche a carico dei tessuti corticali della radice.
Diagnosi
Identificazione a livello specifico basata sulla morfo-anatomia che esamina una serie di
parametri specifici sia degli stadi larvali che di esemplari adulti.
Lotta
Lotta preventiva con la preparazione di piante non infette utilizzando terricci e piante.
Norme fitosanitarie
Analisi nematologiche preventive e l’uso di materiale esente da nematodi sono le norme base
per la riuscita di un nuovo impianto.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
TAVOLA XII
Tylenchulus semipenetrans
B
Femmina matura, con la metà
posteriore del corpo sporgente
all’esterno della radice
A
1) stadio
infettivo
2) femmina
immatura
3) femmina
matura
Reazione, a livello istologico, di radice di agrume all’attacco
del nematode semiendo-parassita Tylenchulus semipenetrans
cellule
nutrici
nematode
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
3.3. Meloidogyne arenaria (Tav. XIII)
Premessa
Tra i nematodi fitopararssiti che attaccano le piante da frutto quelli appartenenti al genere
Meloidogyne sono certamente i più dannosi. I loro attacchi alle piante in vivaio compromettono
sicuramente il buon esito di nuovi impianti mentre in pieno campo ne compromettono la produttività.
Inquadramento tassonomico
Famiglia
Genere
Specie
Meloidogyne
Meloidogyne arenaria, (Neal, 1889) Chitwood, 1949.
Modalità di diffusione
Come tutti i nematodi, la diffusione avviene attraverso attrezzi da taglio, acqua e materiale di
propagazione.
Distribuzione geografica: il nematode è strettamente legato alla presenza della specie ospite.
Piante ospiti
Olivo e drupacee sono gli ospiti che risentono maggiormente degli attacchi dei nematodi
“galligeni”; in misura minore la vite.
Sintomatologia
Il sintomo più caratteristico si manifesta a carico dell’apparato radicale che si mostra nel
complesso molto ridotto, con caratteristici rigonfiamenti (“galle”) indotti dall’azione trofica del
nematode.
Danni
Le piante attaccate
fioritura ridotta.
manifestano crescita stentata della parte aerea, ingiallimenti diffusi e
Diagnosi
Identificazione a livello specifico basata sulla morfo-anatomia che esamina una serie di
parametri specifici sia di stadi larvali che di adulti.
Lotta
Disinfestazioni del terreno con mezzi chimici, fisici ed agronomici.
Norme fitosanitarie
Analisi nematologiche in pre-trapianto e l’uso di materiale esente da nematodi sono le norme base
per la riuscita di un nuovo impianto.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
TAVOLA XIII
Meloidogyne arenaria
larva di 2a età
maschio
A
B
D
stiletto
A) regione
esofage
a
B) regione
cefalica
C C) coda
D) regione
cefalica
E) regione
caudale
spicole
E
femmina
G
I
ano
poro
escretore
F
J
regione
perineale
H
campi
laterali
vulva
F) regione anteriore
G) disegno schematico della
regione cefalica
H) femmina globosa
I) regione perineale
J) Apparato radicale di una
drupacea fortemente deformato
dagli attacchi del nematode
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
3.4. Meloidogyne incognita (Tav. XIV)
Premessa
Questa specie è cosmopolita e riveste notevole importanza economica per numerose colture in
climi tropicali e/o subtropicali. Numerosi sono gli ospiti erbacei e molto evidenti sono le deformazioni
dell’apparato radicale sulle piante ospiti.
Inquadramento tassonomico
Famiglia
Genere
Specie
Meloidogyne
Meloidogyne incognita (Kofoid & White, 1919) Chitwood, 1949
Modalità di diffusione
Come tutti i nematodi, la diffusione avviene attraverso attrezzi da taglio, acqua e materiale di
propagazione.
Distribuzione geografica: il nematode è strettamente legato alla presenza della specie ospite.
Piante ospiti
Tra le piante da frutto, olivo e drupacee sono gli ospiti che risentono maggiormente degli attacchi di
questa specie, anche la vite, sebbene in misura minore, risulta essere colpita da questa specie.
Sintomatologia
Il sintomo più evidente e facilmente verificabile si manifesta a carico dell’apparato radicale della
pianta ospite che si mostra nel complesso molto ridotto e deformato dai caratteristici rigonfiamenti
(“galle”) indotti dall’azione trofica del nematode. Cellule nutrici ipertrofiche, in prossimità
dell’estremità anteriore del nematode, caratterizzano i siti di alimentazione.
Danni
Le piante attaccate manifestano crescita stentata della parte aerea, ingiallimenti diffusi e fioritura
ridotta.
Diagnosi
Identificazione, a livello specifico, basata sulla morfo-anatomia (illustrata in questa scheda), che
utilizza una serie di parametri specifici rilevati su larve e adulti.
Lotta
Disinfestazione del terreno con mezzi fisici, chimici ed agronomici.
Norme fitosanitarie
Analisi nematologiche in pre-impianto, mantenimento in sanità delle piante in vivaio e uso di
materiale sano per la propagazione.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
TAVOLA XIV
Tav. XIV
Meloidogyne incognita
A
larve infettive
maschio
femmina
maschi
o
In muta
• Stadi vitali;
B,C) Porzione
anteriore e
posteriore del
corpo del
maschio;
D) Estremità
anteriore della
femmina;
E) Impronta
perineale della
femmina
(principale
carattere
diagnostico);
F) Radici di mandorlo
mostranti vistose
galle;
G) Femmina
perlacea
sacciforme
conficcata in
radice di vite;
H) Alterazioni
anatomiche
B
C
F
G
D
E
H
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
3.5. Meloidogyne javanica (Tav. XV)
Premessa
Questa specie cosmopolita, risulta essere distribuita largamente in climi tropicali e/o
subtropicali. Numerosi sono gli ospiti erbacei ed arborei e molto evidenti sono le deformazioni
dell’apparato radicale delle piante ospiti.
Inquadramento tassonomico
Famiglia
Genere
Specie
Meloidogyne
Meloidogyne javanica, (Treub,1885) Chitwood, 1949
Modalità di diffusione
Come tutti i nematodi, la diffusione avviene attraverso attrezzi da taglio, acqua e materiale di
propagazione.
Distribuzione geografica: il nematode è strettamente legato alla presenza della specie ospite.
Piante ospiti
Tra le piante da frutto, olivo e drupacee sono ospiti che risentono maggiormente degli attacchi
di questa specie, anche la vite, sebbene in misura minore, risulta essere colpita da questa specie.
Sintomatologia
Il sintomo più evidente e facilmente verificabile si manifesta a carico dell’apparato radicale
della pianta ospite che si mostra nel complesso molto ridotto e deformato dai caratteristici
rigonfiamenti (“galle”) indotti dall’azione trofica del nematode. Cellule nutrici ipertrofiche, in
prossimità dell’estremità anteriore del nematode, caratterizzano i siti di alimentazione.
Danni
Le piante attaccate manifestano crescita stentata della parte aerea, ingiallimenti diffusi e
fioritura ridotta.
Diagnosi
Identificazione a livello specifico basata sulla morfo-anatomia illustrata in questa scheda, si
basa su una serie di parametri specifici di larve e adulti.
Lotta
Disinfestazione del terreno con mezzi fisici, chimici ed agronomici.
Norme fitosanitarie
Analisi nematologiche in pre-impianto, mantenimento in sanità delle piante in vivaio e uso di
materiale sano per la propagazione.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
TAVOLA XV
Meloidogyne javanica
A
•
•
•
•
•
Radice di olivo
mostrante vistose
deformazioni.
Femmina del
nematode (N)
conficcata nei
tessuti radicali.
Femmina intera.
Regione perineale
(principale carattere
diagnostico).
Sito di
alimentazione.
B
C
campi
laterali
cellule
nutrici
nematode
D
E
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
3.6. Xiphinema diversicaudatum (Tav. XVI)
Premessa
Simile ad altre specie del genere Xiphinema, Xiphinema diversicaudatum è una specie
ectoparassita radicale.
Inquadramento tassonomico
Famiglia
Genere
Specie
Xiphinema
Xiphinema diversicaudatum, (Micoletzky, 1927) Thorne, 1939
Modalità di diffusione
Come tutti i nematodi, la diffusione avviene attraverso attrezzi da taglio, acqua e materiale di
propagazione.
Distribuzione geografica: il nematode è strettamente legato alla presenza della specie ospite.
Piante ospiti
In generale, sono ospiti preferenziali di questa specie diverse
popolazioni più numerose si riscontrano su ospiti erbacei.
piante arboree, sebbene le
Sintomatologia
Spesso gli apici radicali delle piante ospiti attaccate da questa specie risultano ispessite, e nelle
radici capillari lo stiletto molto lungo può causare necrosi locali al punto di penetrazione.
Danni
Questa specie è in grado di trasmettere principalmente le seguenti malattie virali:
-Arabis mosaic virus (AMV).
-Srawberry latent ringspot virus (SRLV).
Diagnosi
Identificazione a livello di specie, che si basa sulla misurazione di una serie di parametri morfo
anatomici specifici (illustrati in questa scheda) di esemplari adulti.
Lotta
Disinfestazione del terreno con mezzi fisici, chimici ed agronomici.
Norme fitosanitarie
Analisi nematologiche degli appezzamenti destinati a campi di piante madri di olivo.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
TAVOLA XVI
Xiphinema diversicaudatum
Caratteri
morfometrici di
Xiphinema
diversicaudatu
m
lunghezza totale :
4.0-5.5
(4.9) mm
odontostilo :
130157(153) µm
odontoforo :
70-97 (85)
µm
posiz.% della
vulva:
39-46 (43)
mucrone :
12 µm
•
•
•
•
Estremità anteriore del corpo della femmina;
Estremità cefalica della femmina;
Corpo della femmina intero mostrante la ‘postura’;
Apparato riproduttore posteriore della femmina;
E-G) Coda della femmina;
H-I) Coda del maschio;
J)
‘Organo-Z’ con corpi globulari al suo interno.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
3.7. Pratylenchus vulnus (Tav. XVII)
Premessa
I nematodi delle lesioni seguono in ordine di importanza economica quelli galligeni e cisticoli e
sono causa di forti perdite di produzione a livello mondiale, fino al 15-18% della produzione annua. La
loro vasta diffusione e gamma di ospiti (piante erbacee e arboree) rende indispensabile il loro
riconoscimento a livello di specie, per predisporre un preciso programma di norme fitosanitarie, in
particolar modo nei vivai di fruttiferi.
Inquadramento tassonomico
Famiglia
Genere
Specie
Pratylenchus
Pratylenchus vulnus, Allen & Jensen, 1951
Modalità di diffusione
Come tutti i nematodi, la diffusione avviene attraverso attrezzi da taglio, acqua e materiale di
propagazione.
Distribuzione geografica: il nematode è strettamente legato alla presenza della specie ospite.
Piante ospiti
Pratylenchus vulnus è essenzialmente parassita di piante arboree, ma invade anche le radici di
numerose piante erbacee. Olivo, vite e drupacee sono buoni ospiti di questa specie (endoparassita
migratore).
Sintomatologia
Parassita obbligato, migra all’interno delle radici e si nutre a spese dei tessuti corticali, ove si
riproduce, inducendo all’interno della radice stessa lesioni e necrosi nei siti di alimentazione,
interessando diversi strati cellulari.
Danni
I danni provocati dalle infezioni di questa specie consistono in estese necrosi radicali con
perdita della funzionalità della radice stessa, che porta a sintomi evidenti di crescita stentata a carico
della parte epigea della pianta, e ad ingiallimenti diffusi.
Diagnosi
Identificazione a livello specifico basata sulla morfologia, che esamina una serie di parametri
biometrici rilevati su esemplari di adulti (femmine e maschi).
Lotta
Sono indispensabili la disinfestazione del terreno (con mezzi chimici e fisici) e l’eliminazione
delle erbe infestanti in vivaio, per mantenere bassi livelli di popolazione del parassita.
Norme fitosanitarie
Analisi nematologiche di pre-impianto (su terreno e radici) e l’uso di materiale esente da
nematodi sono le norme base per una buona riuscita di nuovi impianti colturali.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
TAVOLA XVII
Pratylenchus vulnus
A
B
C
E
Caratteri morfometrici di
Pratylenchus vulnus:
numero di annuli labiali: 3
lunghezza totale :
460-910 µm
lunghezza stiletto :
16-18 µm
posiz. % della vulva :
78-84
lungh.branca post-uterina:
2,52,7
il diam. corpo alla vulva
estremità della coda:
conica-liscia
D
Esemplari del nematode
(N) nei tessuti corticali di
una radice di olivo
A: Femmina intera; B: Regione esofagea della femmina; C: Regione cefalica della femmina; D: coda della
femmina;
•
Necrosi e lesioni su radici di pesco
Particolare del sito di
•
alimentazione
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
4. VIRUS ED AGENTI VIRUS-SIMILI
4.1. Virus della maculatura clorotica fogliare del melo (Tav. XVIII)
Inquadramento tassonomico
Famiglia
Genere
Specie
Acronimo
Trichovirus
Apple chlorotic leaf spot virus
ACLSV
Malattia/Avversità
Alcuni isolati inducono malattie severe sulle drupacee quali la butteratura o la falsa sharka su
susino e albicocco, le fessurazioni della corteccia del susino, e soprattutto, incompatibilità d’innesto.
Distribuzione geografica
ACLSV è un virus segnalato dappertutto dove sono coltivate le drupacee, anche se meno
frequente di PNRSV e PDV.
Modalità di diffusione
Il virus si trasmette per moltiplicazione vegetativa del materiale infetto e per innesto. Finora non
è stato riportato nessun vettore naturale del virus.
Piante ospiti
Le specie coltivate delle Prunoidee e delle Pomoidee (melo, pero e cotogno), nonché molte
specie ornamentali della famiglia Rosacee. Sulle drupacee si trova più frequentemente su pesco e
albicocco.
Sintomatologia sugli ospiti naturali
Molti isolati di ACLSV sono spesso latenti sulle drupacee, mentre alcuni di loro sono
particolarmente virulenti. La sintomatologia può aggravarsi in presenza di altri virus e predisporre gli
alberi a stress nutrizionali.
Albicocco: i ceppi latenti di ACLSV possono causare l’incompatibilità d’innesto in alcune
varietà di albicocco immuni al virus (Luizet Bergeron ecc.). Quando queste varietà si innestano su
portinnesti infetti, il nesto non attecchisce oppure si distacca subito dopo a seguito della formazione di
una “brown line” al punto d’innesto.
Alcuni ceppi virulenti causano su alcune varietà suscettibili la cosiddetta “falsa sharka”, con sintomi di
malformazioni, infossature e depressioni sull’epicarpo, distribuiti in maniera irregolare, principalmente
in prossimità della sutura della drupa. L’epidermide ed i tessuti sottostanti le aree depresse sono
imbruniti e induriti. In prossimità della maturazione l’epidermide assume una colorazione rossastra. La
malattia si presenta sulla pianta in modo non uniforme ma, in genere, è caratterizzata dalla comparsa di
numerosi frutti alterati.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Susino: anche in queste specie alcuni isolati causano la “falsa sharka” con la comparsa di
infossature o da tacche irregolari depresse e irregolarmente distribuite sulla superficie della frutta,
mentre il mesocarpo sottostante risulta imbrunito. A differenza di PPV non si ha la cascola anticipata
dei frutti. Talora alcune foglie in primavera presentano una debole maculatura clorotica a sviluppo
tendenzialmente anulare o irregolare. Alcuni isolati sono stati associati anche a fessurazioni della
corteccia del susino europeo. L’affezione evidenzia inizialmente macule corticali, leggermente
depresse, sulla superficie del tronco e delle branche, che evolvono in fessurazioni e spaccature della
corteccia. La pianta infetta mostra una chioma sofferente, con sensibile riduzione dello sviluppo e della
fruttificazione.
Pesco: la maggior parte delle varietà sono infette in maniera latente, mentre in alcune
suscettibili si evidenziano maculature verdastre delle foglie.
Diagnosi
Trasmissione meccanica a C. quinoa e N. occidentalis ed ELISA, su foglie giovani e/o fiori
campionati in campo nei primi stadi vegetativi, oppure su germogli di talee forzate in serra; RT-PCR
anche su floema di talee lignificate; saggio biologico sugli indicatori Prunus persica cv. GF305 e P.
tomentosa.
Lotta: impiego di materiale di propagazione certificato.
Punti critici
Per i vivaisti: marze e/o espianti da piante madri esenti da sintomi di mosaico (il controllo non è
necessario per le piante portasemi).
Per gli agricoltori: realizzazione dei nuovi impianti con materiali di propagazione certificati.
Consigli pratici
Agricoltori: utilizzare materiale di propagazione certificato; evitare l’utilizzo di marze o astoni di
dubbia origine.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
TAVOLA XVIII
1 2
3 4
5
Fig. 1 – Particelle di ACLSV osservate al microscopio elettronico.
Fig. 2 – Maculature clorotiche lineari su foglie di susino con ACLSV.
Fig. 3 – Maculature anulari clorotiche su foglia di ciliegio indotta da ACLSV.
Fig. 4 – Anulature e rotture di colore dell’epicarpo di ciliegie con ACLSV.
Fig. 5 – Anulature rossastre sull’epicarpo di albicocche infette dal virus della maculatura
clorotica fogliare del melo.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
4.2. Virus del mosaico del melo (Tav. XIX)
Inquadramento tassonomico
Famiglia
Genere
Specie
Acronimo
Bromoviridae
Ilarvirus
Apple mosaic virus
ApMV
Malattia/Avversità: Mosaico
Distribuzione geografica
ApMV è stato segnalato in quasi tutte le aree di coltivazione delle drupacee, con incidenze
generalmente modeste, tranne poche eccezioni quali, ad esempio, il mandorlo in Italia meridionale
dove, nei vecchi impianti, si ritrova con percentuali d’infezione particolarmente elevate, a volte anche
del 100%.
Modalità di diffusione
Come tutti i virus, ApMV si trasmette attraverso il materiale di propagazione agamica. Non
sono note altre modalità di trasmissione.
Piante ospiti
Può infettare la maggior parte dei Prunus e delle pomacee. Inoltre, si trova in infezioni naturali
su nocciolo, fragola, Rubus spp., lupino, ecc.
Sintomatologia sugli ospiti naturali ed eventuali sintomi specifici
Le piante infette presentano vistose maculature anulari o lineari e/o picchiettature di colore
giallo cromo nei mesi primaverili. Col progredire della stagione le aree cromatiche possono assumere
la colorazione normale o virare verso una tonalità biancastra, che permane fino alla caduta delle foglie.
Su mandorlo sono stati descritti alcuni isolati in grado di causare necrosi delle gemme con una
riduzione fino al 20% della produzione.
Diagnosi
Trasmissione meccanica a C. sativus ed ELISA, su foglie giovani e/o fiori campionati in campo
nei primi stadi vegetativi, oppure su germogli di talee forzate in serra; RT-PCR anche su floema di
talee lignificate; saggio biologico sull’indicatore P. persica cv. GF 305.
Lotta: impiego di materiale di propagazione certificato.
Punti critici
Per i vivaisti: marze e/o espianti da piante madri esenti da sintomi di mosaico (il controllo non è
necessario per le piante portasemi).
Per gli agricoltori: realizzazione dei nuovi impianti con materiali di propagazione certificati.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Consigli pratici
Agricoltori: utilizzare materiale di propagazione certificato; evitare l’utilizzo di marze o astoni di
dubbia origine.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
TAVOLA XIX
1 2
3 4
Fig. 1 – Giallume diffuso su foglie di pesco causato da ApMV.
Fig. 2 – Mosaico giallo diffuso su foglie di mandorlo causato da ApMV.
Fig. 3 – Maculature lineari gialle su foglie di ciliegio infette da ApMV.
Fig. 4 – Mosaico giallo su foglie di albicocco con ApMV.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
3.3. Virus del nanismo del susino (Tav. XX)
Inquadramento tassonomico
Famiglia
Genere
Specie
Acronimo
Bromoviridae
Ilarvirus
Prune dwarf virus
PDV
Malattia/Avversità
Nanismo del susino. Oltre ad alterazioni fogliari di vario tipo il virus induce riduzioni di
sviluppo ed, in alcuni casi, fenomeni di nanismo, soprattutto su pesco e susino.
Distribuzione geografica
PDV è presente in tutte le aree dove sono coltivate le specie del genere Prunus.
Modalità di diffusione
Oltre che, come tutti i virus, attraverso il materiale di propagazione agamica, PDV si trasmette
anche per seme e per polline. In P. mahaleb, in Puglia, sono stati accertati valori medi di trasmissione
per seme del 40%, con punte superiori anche al 50%.
Piante ospiti
Tutte le specie del genere Prunus, in particolare il ciliegio dolce, il ciliegio acido e susino, sono
ospiti di PDV.
Sintomatologia sugli ospiti naturali
I sintomi possono interessare i diversi organi della pianta e sono caratterizzati da alterazioni di
colore e da malformazioni. Sulle giovani foglie si possono osservare maculature clorotiche e/o gialle,
anulari e/o lineari, che con l’innalzamento della temperatura tendono ad attenuarsi. Sui frutti, in alcuni
casi, in prossimità dell’invaiatura si rilevano anulature o macchie rossastre. Molto frequentemente le
alterazioni cromatiche sono accompagnate da malformazioni delle foglie (asimmetria, bollosità,
enazioni, ecc.), dei rami (internodi raccorciati, rosette e, in taluni casi, fasciazioni e biforcazioni) e del
tronco (butteratura del legno e differenza di diametro tra nesto e portinnesto). Le piante con
malformazioni sono meno vigorose e col passare degli anni si presentano sempre più sofferenti (clorosi
diffusa, rami secchi, accecamento delle gemme, gommosi, ecc.) con riflessi negativi sulla produzione. I
danni in vivaio, che si manifestano con il mancato attecchimento degli innesti, il nanismo o lo scarso
sviluppo degli astoni, in molti casi assumono grande rilevanza.
Diagnosi
Trasmissione meccanica a C. sativus ed ELISA, su foglie giovani e/o fiori campionati in campo
nei primi stadi vegetativi, oppure su germogli di talee forzate in serra; RT-PCR anche su floema di
talee lignificate; saggio biologico sugli indicatori Prunus serrulata cv. Shirofugen e P. persica cv. GF
305.
Lotta
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Impiego di materiale di propagazione di categoria C.A.C. o superiore. L’eventuale produzione
di portinnesti da seme deve prevedere l’utilizzo di piante portaseme esenti da PDV.
Punti critici
Per i vivaisti: materiali di moltiplicazione (semi e marze) da piante madri esenti da PDV in
seguito ad accertamenti mediante saggi di laboratorio ed allevate in aree distanti da insediamenti
commerciali o spontanei di Prunus (600 metri per i campi di piante madri portaseme di ciliegio e
magaleppo, 100 metri per le altre specie ed in generale per le piante portamarze).
Per gli agricoltori: realizzazione dei nuovi impianti con materiali di propagazione garantiti esenti
dal virus.
Consigli pratici
Agricoltori: utilizzare materiale di propagazione certificato; evitare l’utilizzo di marze, astoni e
semi di dubbia origine.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
TAVOLA XX
1 2
34
5
Fig. 1 – Riduzione di sviluppo di astoni di ciliegio infetto da PDV (pianta a sinistra) in vivaio.
Fig. 2 – Maculature clorotiche anulari su foglie di ciliegio infetto da PDV.
Fig. 3 – Rosette indotte da PDV su germogli di pesco.
Fig. 4 – Maculature puntiformi e malformazioni su Prunus mahaleb indotte da PDV.
Fig. 5 – Maculature rossastre su ciliegie all’invaiatura infette da PDV.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
3.4. Virus della maculatura anulare necrotica dei Prunus (Tav. XXI)
Inquadramento tassonomico
Famiglia
Genere
Specie
Acronimo
Bromoviridae
Ilarvirus
Prunus necrotic ringspot virus
PNRSV
Malattia/Avversità
Isolati diversi del virus causano importanti malattie sulle drupacee, quali: maculatura necrotica,
“tatterleaf” del ciliegio, mosaico rugoso del ciliegio, maculatura anulare del pesco, calico del mandorlo,
ecc.
Distribuzione geografica: PNRSV è presente ovunque siano coltivate le drupacee.
Modalità di diffusione
Oltre che, come tutti i virus, attraverso il materiale di propagazione agamica, PNRSV si
trasmette, con tassi relativamente bassi, anche per seme e per polline. E’ stato segnalato un tasso di
trasmissione per seme di pesco di circa 5-8%.
Piante ospiti
Può infettare tutte le specie di Prunus coltivate e gran parte di quelle spontanee. Inoltre, infetta
naturalmente anche la rosa ed il luppolo.
Sintomatologia sugli ospiti naturali
I sintomi variano notevolmente in relazione alla virulenza del ceppo, alla cultivar e alle
condizioni climatiche. Le piante affette da maculatura necrotica presentano generalmente un ritardo
nella ripresa vegetativa, sterilità, malformazioni dei sepali e dei petali, foglie più piccole con
maculature clorotiche primaverili che tendono a necrotizzare, tessuti che si distaccano, conferendo alle
foglie un aspetto bucherellato. In alcuni casi le necrosi possono interessare l’intera lamina fogliare.
Particolarmente importanti sono i danni causati da PNRSV in vivaio, sia per le basse percentuali di
attecchimento, sia per lo scarso sviluppo delle piante.
La presenza di PNRSV è stata riscontrata anche in piante che manifestavano sintomi di maculatura
anulare clorotica, maculatura lineare, mosaico lineare e rugoso, necrosi dei frutti.
Diagnosi
Trasmissione meccanica a C. sativus ed ELISA, su foglie giovani e/o fiori campionati in campo
nei primi stadi vegetativi, oppure su germogli di talee forzate in serra; RT-PCR anche su floema di
talee lignificate; saggio biologico sugli indicatori Prunus serrulata cv. Shirofugen e P. persica cv. GF
305.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Lotta
Impiego di materiale di propagazione di categoria C.A.C. o superiore. L’eventuale produzione
di portinnesti da seme deve prevedere l’utilizzo di piante portaseme esenti da PNRSV.
Punti critici
Per i vivaisti: materiali di moltiplicazione (semi e marze) da piante madri esenti da PNRSV in
seguito ad accertamenti mediante saggi di laboratorio ed allevate in aree distanti da insediamenti
commerciali o spontanei di Prunus (600 metri per i campi di piante madri portaseme di ciliegio e
magaleppo, 100 metri per le altre specie ed in generale per le piante portamarze).
Per gli agricoltori: realizzazione dei nuovi impianti con materiali di propagazione garantiti esenti
dal virus.
Consigli pratici
Agricoltori: utilizzare materiale di propagazione certificato; evitare l’utilizzo di marze, astoni e
semi di dubbia origine.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
TAVOLA XXI
1 2
3 4
5 6
Fig. 1 - Mosaico e necrosi puntiformi su lamine fogliari, in albicocco infetto dal virus della maculatura
anulare necrotica dei Prunus.
Fig. 2 – Maculature anulari clorotiche e necrotiche con distacco di tessuto su foglie di albicocco infette
da PNRSV.
Fig. 3 – Maculature necrotiche con distacco di tessuti su foglie di ciliegio infetto da PNRSV.
Fig. 4 – Maculature anulari su foglie di Prunus mahaleb infetto da PNRSV.
Fig. 5 – Malformazione di petali e sepali con contemporanea presenza di fiori e frutti.
Fig. 6 – Fessurazioni su frutto di albicocco infetto da PNRSV.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
3.5. Virus della vaiolatura del susino (Tav. XXII)
Inquadramento tassonomico
Famiglia
Genere
Specie
Acronimo
Potyviridae
Potyvirus
Plum pox virus
PPV
Malattia/Avversità
Vaiolatura delle drupacee o Sharka. È la malattia da virus più dannosa per le drupacee
Distribuzione geografica: Paesi Europei, Bacino del Mediterraneo, USA, Canada, Cile, India
Modalità di diffusione
Oltre che con il materiale di propagazione agamico infetto, PPV viene trasmesso per afidi
(Mizus persicae, Phorodon hulmi, etc) in maniera non persistente.
Piante ospiti
Può infettare tutte le specie di Prunus coltivate (principalmente susino, pesco e albicocco) e
gran parte di quelle spontanee.
Sintomatologia sugli ospiti naturali
Sintomatologie aspecifiche: rotture di colore sui petali di alcune varietà di pesco; foglie con
maculature anulari e/o con forme sinuose a fiamma sulle nervature secondarie e terziarie, cui talvolta
può seguire la deformazione della lamina; anulature clorotiche; butteratura e deformazione dei frutti
(principalmente su albicocco e susino); maculature anulari e rotture di colore dell’epicarco
(principalmente su pesco); cascola precoce; riduzione dello sviluppo vegetativo e decremento delle
produzione. I sintomi sono spesso caratterizzati da distribuzione irregolare, talvolta limitata a porzioni
ridotte della chioma.
Sintomatologie specifiche: tacche anulari di colore chiaro, che persistono anche all’abrasione
(es. utilizzando le unghie) della superficie, sui noccioli di albicocco.
Diagnosi
Saggio biologico su Prunus persica cv. GF 305 ed Elberta; ELISA; amplificazione genica (RTPCR ed IC-RT-PCR).
Lotta
Impiego di materiale di propagazione sano; produzione di materiale di propagazione in areali
esenti da focolai di sharka; monitoraggio periodico delle aree di coltivazione delle specie suscettibili ed
eradicazione tempestiva di focolai d’infezione; attuazione delle norme contenute nel Decreto di lotta
obbligatoria contro il virus della “Vaiolatura delle Drupacee” (D.M. del 29/11/1996).
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Punti critici
Per i vivaisti: impiego esclusivo di materiali di moltiplicazione da piante madri risultate esenti da
PPV in seguito ad accertamenti mediante esame visivo, saggi di laboratorio e saggi biologici.
Ubicazione dei campi di piante madri e dei vivai in comprensori esenti da Sharka.
Per gli agricoltori: realizzazione dei nuovi impianti con materiali di propagazione garantiti esenti
dal virus. Immediata segnalazione di piante sospette alle Istituzioni preposte al controllo
fitosanitario.
Consigli pratici
Agricoltori: utilizzare materiale di propagazione certificato; evitare l’utilizzo di marze ed astoni
di dubbia origine.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
TAVOLA XXII
1
3
4
2
5
6 7
Fig. 1 - Rotture di colore su petali di pesco indotte da PPV.
Fig. 2 – Maculature clorotiche anulari e a “fiamma” a ridosso delle nervature secondarie e terziarie di
foglie di albicocco infetto da PPV.
Fig. 3 – Maculature anulari clorotiche su foglia di susino con PPV.
Fig. 4 – Butteratura di frutti di albicocco infetti da Sharka.
Fig. 5 –Maculature anulari clorotiche su frutto di pesco con PPV.
Fig. 6 – Deformazione dei frutti di susino cui corrispondono impregnazione di gomma al mesocarpo
indotte da PPV.
Fig. 7 – Tacche anulari giallastre su nocciolo di albicocco infetto da Sharka. Questo sintomo specifico
ha un elevato valore diagnostico.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Presentazione dei poster riguardanti la messa a punto e validazione di
protocolli di monitoraggio, di campionamento, di diagnosi, produzione e
standardizzazione di reagenti per corredi diagnostici, ecc.
B. Di Terlizzi
Istituto Agronomico Mediterraneo, Valenzano (Ba)
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Uso della Scorpion-PCR nella diagnosi di Rosellinia necatrix, agente del marciume radicale
lanoso
Schena L, Ippolito A, Nigro F, Romanazzi G, Murolo S, Ligorio A e Salerno M.
Dipartimento di Protezione delle Piante e Microbiologia Applicata, Università degli Studi di Bari.
RIASSUNTO
Numerosi primer sono stati disegnati sulla base della sequenza genica delle regioni ITS dei geni
ribosomiali di R. necatrix per sviluppare una tecnica d’identificazione basata sulla reazione a catena
della polimerasi (PCR). Lo screening dei primer per la specificità ha consentito l’individuazione di due
coppie di primer, R2-R8 e R10-R7, amplificanti frammenti rispettivamente di 112 e 493 bp solo da R.
necatrix (72 isolati) e non da 99 altri isolati di funghi prevalentemente ottenuti da terreno e
comprendenti anche 6 diverse specie di Rosellinia. Il primer R10 è stato modificato per ottenere un
primer Scorpion che consente l’identificazione dell’amplificato in tempo reale attraverso l’emissione di
un segnale fluorescente. Il primer R10 Scorpion in coppia con quello R7 ha consentito l’identificazione
di R. necatrix e la sua differenziazione da tutte le altre specie fungine analizzate. E’ stata sviluppata una
procedura veloce e semplice per l’estrazione di DNA direttamente da matrice infetta (radici, corteccia,
terreno) che ha consentito l’ottenimento di DNA sufficientemente pulito nell’arco di poche ore.
Combinando i protocolli di estrazione con una doppia amplificazione con i primer R2-R8 e R10
Scorpion-R7 (nested Scorpion-PCR) è stato possibile diagnosticare in tempo reale R. necatrix in terreni
e su radici di magaleppo artificialmente inoculati nonché su corteccia di melo naturalmente infetta.
SUMMARY
Several polymerase chain reaction (PCR) primers were designed from the internal transcribed
space (ITS) regions of the rDNA genes of Rosellinia necatrix to develop a PCR-based identification
method. Screening the primers against 72 isolates of R. necatrix and 93 other fungi from different hosts
and geographic areas enabled the identification of two primer pairs, R2-R8 and R10-R7, specific for R.
necatrix, amplifying two DNA fragments of 419 and 112 bp, respectively. R10 primer was modified to
obtain a Scorpion primer for detecting a specific 112 bp amplicon by fluorescence emitted from a
fluorophore through a self-probing PCR assay. This assay specifically recognised the target sequence
of R. necatrix over a large number of other fungal species. A simple and rapid procedure for direct
DNA extraction from soil, roots, and bark was developed to yield DNA of purity and quality suitable
for PCR assays. Combining this protocols with a double amplification with primer R2-R8 and R10
Scorpion-R7 (nested Scorpion-PCR) it has been possible the real time detection of R. necatrix in
artificially inoculated soils and roots of mahaleb cherry and on naturally infected bark of apples.
INTRODUZIONE
Il marciume radicale lanoso causato da Rosellinia necatrix Prill. è diffuso e grave soprattutto in
Europa, ma è presente anche in Israele, Giappone, India ed Iran. R. necatrix è un patogeno polifago che
attacca piante legnose da frutto e forestali, nonché piante arbustive ed erbacee (Guillaumin, 1988). Le
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
piante colpite manifestano una generale sofferenza e vanno incontro a progressivo deperimento fino
alla morte (Sztejnberg et al., 1987). Recenti osservazioni di campo hanno evidenziato un incremento
della malattia nell’Italia meridionale dove colture molto suscettibili, come mandorlo, pesco, ciliegio,
ecc., sono spesso coltivate in consociazione o in stretta successione. La lotta contro il marciume
radicale lanoso è sostanzialmente di tipo preventivo e si basa sull’utilizzazione di materiale di
propagazione sano e di terreni non infestati dal patogeno. Al presente, non sono disponibili tecniche di
diagnosi rapide e sicure per R. necatrix; il suo isolamento non è semplice da radici infette ed è in
pratica impossibile da terreno, a causa della mancanza di specifici substrati selettivi. L’uso di trappole,
come ad es. dischetti di foglie di avocado, può consentire la diagnosi del patogeno nel terreno
(Sztejnberg et al., 1987), ma richiede tempi lunghi e l’esito è spesso incerto. Recentemente sono state
sviluppate tecniche di diagnosi basate sulla reazione a catena della polimerasi (PCR), ma non sono
disponibili primer specifici per R. necatrix. Inoltre, l’uso della PCR su larga scala è fortemente frenato
da operazioni di postamplificazione, come ad es. elettroforesi e colorazione degli acidi nucleici con
bromuro di etidio, che la rendono laboriosa e pericolosa per gli operatori. Gran parte degli
inconvenienti della PCR tradizionale possono essere superati con tecniche di PCR che consentono
l'identificazione dell’amplificato in tempo reale attraverso l’emissione di un segnale fluorescente (Taqman, molecular beacons e Scorpion-PCR) (Finetti e Gallitelli, 2001). In particolare, la Scorpion-PCR
(Whitcombe et al., 1999), basata su una reazione unimolecolare, è favorita dal punto di vista cinetico e
termodinamico ed è più rapida e sensibile dei metodi bimolecolari (Molecular Beacons e Taq-Man)
(Thelwell et al., 2000; Finetti e Gallitelli, 2001). Essa è stata già utilizzata in patologia vegetale per il
monitoraggio di un microrganismo agente di lotta biologica (Schena et al., 2000 e 2001) oltre che per la
diagnosi di funghi (Ippolito et al., 2000) e di virus fitopatogeni (Finetti et al., 2000).
Nel presente lavoro sono stati definiti primer specifici per l’identificazione e la diagnosi di R.
necatrix. Questi primer hanno consentito la diagnosi del patogeno direttamente in matrice infetta
(radici, corteccia, terreno), sia mediante PCR convenzionale sia mediante PCR in tempo reale.
MATERIALI E METODI
Individuazione e saggio di primer specifici.
Numerose coppie di primer potenzialmente specifiche per R. necatrix (Tab. 1) sono state
definite sulla base dei geni delle regioni ITS1 e ITS2 (internal transcribed spacer regions) dei geni
codificanti l'RNA ribosomiale.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Tabella 1. Coppie di primer utilizzati per l’identificazione di R. necatrix, frammento amplificato e
specificità
Primer
R1-R7
R1-R8
R1-R11
R2-R7
R2-R8
R2-R11
R3-R7
R3-R8
R3-R11
R5-R7
R5-R8
Frammento
450 BP
501 bp
453 bp
442 bp
493 bp
445 bp
390 bp
441 bp
393 bp
331 bp
382 bp
R5-R11
R10-R7
334 bp
112 bp
Specificità
R. necatrix
R. necatrix
R. necatrix, R. mammiformis
R. necatrix
R. necatrix
R. necatrix
R. necatrix
R. necatrix
R. necatrix
R. necatrix
R. necatrix, R. limoniispora, R. mammiformis, R. filigrana,
R. reticulispora
R. necatrix, R. filigrana
R. necatrix
Le sequenze dei geni ITS1 e ITS2 di R. necatrix, R. arcuata, R. quercina e R. pepo sono state
allineate con l'ausilio del programma "Clustalw" (EMBL, European Bioinformatics Institute) e le
regioni geniche uniche di R. necatrix utilizzate per disegnare primer specifici. La specificità di tutti i
primer è stata valutata utilizzando DNA estratto da 93 isolati fungini ottenuti da diversi generi e specie,
sei differenti specie di Rosellinia (R. aquila, R. limonispora, R. mammiformis, R. miligrana, R.
reticulispora e R. sanguinolenta) e 72 diversi isolati di R. necatrix, comprendenti sia ceppi italiani sia
isolati provenienti da Paesi Bassi, Argentina, Spagna e Israele. Per l’estrazione del DNA i funghi sono
stati allevati in capsule Petri contenenti agar malto (AM) ricoperto con un foglio di cellophane per
prevenirne la crescita nel substrato e favorire la raccolta del micelio. Cinque milligrammi di micelio
sono stati sospesi in 400 µl di tampone di rottura (Hoffman and Winston, 1987) ed estratti con 400 µl
di fenolo/cloroformio/alcol isoamilico (25:24:1) in presenza di 25 mg di sferule di vetro (acid-washed
glass beads, ∅ 425-600 µm) e due sfere di acciaio (∅ 5 mm). I tubi sono stati agitati su vortex a 3000
rpm per 10 min e centrifugati per 15 min a 13000 g. La fase acquosa è stata estratta con un uguale
volume di cloroformio/alcol isoamilico (24:1) ed il DNA contenuto precipitato con etanolo assoluto,
lavato con etanolo al 70%, essiccato, risospeso in acqua distillata sterile e diluito alla concentrazione di
50 ng/µl.
Le reazioni di PCR sono state condotte in un volume totale di 25 µl, contenente 100 ng di DNA
totale, 10 mM Tris-HCl (pH 9), 50 mM KCl, 0.1% Triton X-100, 100 µM di ciascun dNTPs, 1 mM
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
MgCl2, 1 unità di DNA polimerasi (Taq DNA polymerase, Promega Corporation, WI, USA) e 2 µM di
primer. L’amplificazione è stata realizzata mediante 5 min di denaturazione a 95°C seguita da 35 cicli
di 95°C per 30 sec, 60°C per 30 sec e 72°C per 1 min. Gli ampliconi sono stati analizzati mediante
elettroforesi in gel di agarosio al 2% con tampone TAE e visualizzati mediante colorazione con
bromuro di etidio.
Scorpion-PCR
Uno dei primer specifici (R10) è stato modificato dalla Oswel Research Products Ltd.
(Southampton, UK) per ottenere un primer Scorpion che consente l’identificazione dell’amplificato in
tempo reale attraverso l’emissione di un segnale fluorescente. Il primer R10 Scorpion è stato combinato
con il primer R7 e valutato per la sua specificità utilizzando gli stessi isolati precedentemente descritti.
La miscela di reazione utilizzata era uguale a quella della PCR convenzionale, ma il primer R10 è stato
sostituito dal primer R10 Scorpion (0.3 µM). L’amplificazione è consistita di una fase iniziale di
denaturazione a 94°C per 5 min seguita da 40 cicli di 45 s a 94°C e 45 s a 57°C. La fluorescenza è
stata monitorata in tempo reale utilizzando uno specifico termociclatore (BIO-RAD iCycler Thermal
Cycler) che consente la lettura dei livelli di fluorescenza ad ogni ciclo durante la fase di “annealingextension” a 57°C. Il valore di Ct (Cycle threshold), ovvero il ciclo di PCR al quale il segnale
fluorescente di uno specifico campione diventa significativamente più elevato della fluorescenza di
base (threshold), comune a tutti i campioni, e misurata nei primi cicli di PCR è stato calcolato
automaticamente dal “software” iCycler Thermal Cycler a corredo dell’apparecchiatura.
Diagnosi di R. necatrix su matrice infetta
R. necatrix è stata diagnosticata in terreno e radici artificialmente inoculati con il patogeno, oltre
che in corteccia di melo naturalmente infetto. L’inoculo di R. necatrix è stato preparato su cariossidi
sterili di grano seguendo la procedura descritta da Sztejnberg e Madar (1980). Le cariossidi infette sono
state utilizzate per inoculare un terreno apparentemente sano (3 g di cariossidi/1000 g di terreno), che è
servito per allevare 4 semenzali di magaleppo (Prunus mahaleb L.) di due anni in contenitori di
plastica di 6 litri. Altri quattro semenzali allevati nel terreno non inoculato sono stati utilizzati come
testimone. Le piante sono state mantenute in serra ed irrigate settimanalmente. I terreni e le radici sono
stati prelevati da tutte le piante a quattro settimane dal trapianto, quando chiari sintomi di deperimento
erano evidenti sulle chiome. I campioni di terreno (circa 1 kg) sono stati essiccati a temperatura
ambiente per cinque giorni, frantumati, e setacciati con un vaglio da 2 mm. Per l’estrazione del DNA,
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
tre repliche costituite da 0,5 grammi di terreno, sono state prelevate da ciascun campione e risospesi in
700 µl di tampone di estrazione (0,12 M Na2HPO4, 1,5 M NaCl, 2% CTAB) in tubi Eppendorf da 2 ml.
Alla sospensione di terreno sono state aggiunte due sfere di acciaio (Ø 5 mm) e 0,5 g di sferule di vetro.
I tubi sono stati agitati su vortex per 10 min e centrifugati a 13000 g per 5 min. La fase acquosa è stata
estratta con 750 µl di cloroformio, precipitata con due volumi di isopropanolo, lavata con etanolo al
70%, essiccata e risospesa in 50 µl di acqua distillata sterile.
Le radici di magaleppo, prelevate sia da piante con sintomi, vegetanti in terreno inoculato con
R. necatrix, sia da piante vegetanti in terreno non inoculato, sono state sottoposte ad estrazione del
DNA. La medesima procedura è stata utilizzata per estrarre DNA da corteccia di melo prelevata dal
colletto di piante mostranti sintomi di marciume radicale e da cui era stata isolata R. necatrix. Come
testimone è stata utilizzata corteccia di piante asintomatiche e risultate negative agli isolamenti. Duetre g di radici o corteccia sono stati lavati con acqua di rubinetto, asciugati con carta assorbente,
tagliuzzati con forbici e frantumate con azoto liquido. Circa 50 mg di materiale per ciascun campione
sono stati trasferiti in tubi Eppendorf da 2 ml contenenti PVP (uguale volume), 2 sfere di acciaio (Ø 5
mm) e 1,5 ml di tampone di estrazione (Tris HCl 200mM, NaCl 250mM, EDTA 25 mM, SDS 0,5%). I
tubi sono stati agitati su vortex per 10 min e centrifugati a 13000 g per 5 min. La fase acquosa è stata
estratta per due volte con fenolo/cloroformio (1:1) e cloroformio, precipitata con due volumi di
isopropanolo, lavata con etanolo al 70%, essiccata e risospesa in 50 µl di acqua distillata sterile. Prima
dell’amplificazione il DNA di tutti i campioni (terreno, radici e corteccia) è stato purificato con
Sepharose CL-6B (Pharmacia) seguendo la procedura descritta da Bramwell et al. (1995). Un µl di
DNA per ciascun campione e per ciascuna ripetizione è stato amplificato utilizzando una singola
coppia di primer e due coppie di primer (nested PCR). Nel primo caso l’amplificazione è stata
realizzata mediante PCR convenzionale con i primer R2-R8 e mediante Scorpion PCR con i primer
R10 Scorpion-R7. Nel secondo caso un µl di amplificato ottenuto con i primer R2-R8 è stato utilizzato
come DNA bersaglio per una seconda amplificazione con i primer R10 Scorpion-R7 (nested ScorpionPCR). Amplificazione ed analisi dei risultati è stata realizzata come descritto in precedenza.
RISULTATI E DISCUSSIONE
Tutte le coppie di primer analizzate hanno amplificato singoli frammenti di DNA e la maggior
parte di esse è risultata specifica per R. necatrix amplificando frammenti di DNA delle dimensioni
attese solo da questo fungo (Tab. 1). In particolare, le coppie R2-R8 ed R10-R7 hanno amplificato
frammenti specifici rispettivamente di 493 e 112 bp (Fig. 1) e sono stati selezionati poiché idonei per
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
reazioni di nested PCR (la sequenza omologa dei primer R10-R7 è localizzata all’interno del
R. sanguinolenta
R. reticulispora
Fig.
Primers R2-R8
R. necatrix
R. necatrix
R. miligrana
R. mammiformis
R. limonispora
M
R. aquila
frammento amplificato dai primer R2-R8).
501 bp
404 bp
331 bp
242 bp
190 bp
147 bp
Gel
di
agarosio
mostrante
i
prodotti
dell’amplificazione ottenuti con i primer R2-R8 e R10-R7 da
Rosellinia necatrix
Primers R10-R7
501 bp
404 bp
331 bp
1.
242 bp
190 bp
147 bp
110 bp
Il primer R10 è stato modificato per ottenere uno Scorpione molecolare ed utilizzato, in coppia
con il primer R7, per identificare in tempo reale R. necatrix. Uno specifico incremento di fluorescenza
è stato ottenuto solo in presenza di DNA di R. necatrix, mentre la fluorescenza è risultata bassa durante
l’amplificazione per tutte le altre specie di funghi analizzate (Fig. 2).
A
300
Isolati di
R. necatrix
200
100
Fig. 2. Identificazione in tempo reale di isolati di Rosellinia
Soglia (Threshold)
necatrix. In A è riportata la fluorescenza relativa normalizzata
40
38
36
34
32
30
28
Testimone (H2O)
26
24
22
20
18
16
14
12
8
10
6
4
0
2
Fluorescenza (∆Rn)
400
-100
(∆Rn) ottenuta amplificando DNA di R. necatrix a confronto
B
con il testimone negativo (acqua), mentre in B è evidenziata
3 00
Testimone
positivo
(R. necatrix)
2 00
l’assenza di incremento di fluorescenza per tutti gli altri isolati
Altre
specie
fungine
1 00
fungini analizzati a confronto con il testimone positivo (DNA
di R. necatrix)
Soglia (Threshold)
40
38
36
34
32
30
28
26
24
22
20
18
16
14
12
8
6
10
-1 00
4
0
2
Fluorescenza (∆Rn)
4 00
PC R cycles
La separazione su gel di agarosio e la colorazione con bromuro di etidio della miscela di
reazione utilizzata per l’analisi in tempo reale ha confermato l’amplificazione di un frammento delle
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
dimensioni attese (112 bp) solo per i campioni risultati positivi all’analisi colorimetrica (dati non
mostrati).
I protocolli utilizzati per estrarre il DNA da terreno, radici e corteccia hanno permesso l’ottenimento
in poche ore di acidi nucleici sufficientemente puliti per l’amplificazione genica. In tutti i campioni
analizzati la presenza di R. necatrix non è stata rilevata dopo una amplificazione singola, sia con i
primer convenzionali (R2-R8) sia con quelli Scorpion (R10 Scorpion-R7). Nella reazione di nested
Scorpion-PCR tutti i campioni artificialmente inoculati (terreno e radici) sono risultati positivi mentre
per i testimoni non inoculati non è stato rilevato alcun incremento di fluorescenza (Fig. 3). Inoltre, un
significativo incremento di fluorescenza è stato ottenuto utilizzando DNA estratto da corteccia di melo
con sintomi di marciume radicale e non da corteccia prelevata da piante apparentemente sane (dati non
mostrati).
Fig. 3. Diagnosi in tempo reale di R. necatrix in
terreni artificialmente inoculati. Nella reazione
di nested Scorpion-PCR sono stati rilevati
Terreni
inoculati
200
incrementi di fluorescenza (∆Rn) solo per i
terreni inoculati con il patogeno
100
Terreni non
inoculati
S o glia
39
37
35
33
31
29
27
25
23
21
19
17
15
13
9
7
5
11
-1 0 0
3
0
1
Fluorescence (∆ Rn)
300
C ic li di PC R
In definitiva, combinando un protocollo rapido di estrazione del DNA con due
amplificazioni consecutive e separate, la prima con i primer convenzionali (R2-R8), la seconda con
quelli marcati (R10 Scorpion-R7), è stato possibile diagnosticare il patogeno in una giornata lavorativa
sia nel terreno che su radici e corteccia. Rispetto ad una PCR convenzionale, l’uso di primer marcati
non richiede nessuna operazione aggiuntiva e dispensa dalle lunghe e costose operazioni successive
all’amplificazione genica (ad es. elettroforesi e colorazione con bromuro di etidio, quest’ultima,
peraltro, molto pericolosa). Questa tecnica inoltre, analogamente a quanto riportato per altri sistemi
basati sulla fluorescenza, può essere utilizzata per l’analisi quantitativa e multipla di microrganismi
(Bates et al., 2001; Cullen et al., 2001).
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
CONCLUSIONI
La ricerca svolta ha consentito lo sviluppo di una tecnica rapida, sensibile e specifica per la
diagnosi di R. necatrix, basata sulla reazione a catena della polimerasi. La disponibilità di questa
tecnica può avere una grande importanza pratica considerato che la prevenzione è la metodologia di
lotta più efficiente ed attualmente disponibile contro il marciume radicale lanoso, non essendo possibile
la lotta curativa. La tecnica sviluppata, consentendo la diagnosi su larga scala del materiale di
propagazione e dei terreni in cui si intende impiantare un nuovo frutteto sarà pertanto essenziale nel
prevenire o comunque limitare la diffusione del marciume radicale lanoso.
BIBLIOGRAFIA
Bates J.A., Taylor E.J.A., Kenyon D.M. e Thomas J.E . 2001. The application of real-time PCR to the
identification, detection and quantification of Pyrenophora species in barley seed. Molecular
Plant Pathology 2: 49-57
Bramwell P.A., Barollon R.V., Rogers H.J. e Bailey M.J. 1995. Extraction and PCR amplification of
DNA from the rhizoplane. Molecular Microbial Ecology Manual 1.4.2: 1-20
Cullen D.W., Lees A.K., Toth I.K. e Duncan J.M. 2001. Conventional PCR and real-time quantitative
PCR detection of Helminthosporium solani in soil and potato tubers. European Journal of Plant
Pathology 107: 387-398
Finetti Sialer M. e Gallitelli D. 2001. Identificazione dei patogeni delle piante in tempo
reale.Informatore Fitopatologico 6: 58-62
Finetti Sialer M., Schena L. e Gallitelli D. 2000. Real-Time Diagnosis in Plant pathology with selfprobing amplicons (Scorpions). In: Atti “5th Congress of the European Foundation for Plant
Pathology”, Taormina, Italia, 18-22 Septembre (riassunto)
Guillaumin J.J. 1988. Rosellinia necatrix Prill. In: Smith I.M., Dunez J., Lelliot R.A., Phillips D.H. e
Archer S.A. (ed) European Handbook of Plant Diseases. (pp 333-335) Blackwell Scientific
Publication, Oxford, UK
Hoffman C.S. e Winston F. 1987. A ten-minute DNA preparation from yeast efficiently releases
autonomous plasmids for transformation of Escherichia coli. Gene 57:267-272
Ippolito A., Schena L., Nigro F. e Salerno M. 2000. Detection of Phytophthora nicotianae and P.
citrophthora from roots and rhizosphere of citrus plants using PCR and Scorpion-PCR. In: Atti
“ISC 9th International Conference” - Orlando, FL, USA, 3-7 dicembre (riassunto)
Schena L., Finetti Sialer M. e Gallitelli D. 2000. Specific identification of Aureobasidium pullulans
strain L47 using Scorpion PCR. Eppo Bulletin 30: 559-562
Schena L., Finetti Sialer M. e Gallitelli D. 2001 Molecular detection of the strain L47 of
Aureobasidium pullulans, a biocontrol agent of post-harvest diseases. Plant disease (in stampa)
Sztejnberg A. e Madar Z. 1980. Host range of Dematophora necatrix, the cause of white root rot
disease in fruit trees. Plant Disease 64: 662-664
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Sztejnberg A., Freeman S., Chet I. e Katan J. 1987. Control of Rosellinia necatrix in soil and in apple
orchard by solarization and Trichoderma harzianum. Plant Disease 71: 365-369
Thelwell N., Millington S., Solinas A., Booth J. e Brown T. 2000. Mode of action and application of
Scorpion primers to mutation detection. Nucleic Acids Research 28: 3752-3761
Whitcombe D., Theaker J., Guy S.P., Brown T. e Little S. 1999. Detection of PCR products using selfprobing amplicons and fluorescence. Nature Biotechnology 17:804-807
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
I principali fito-nematodi delle piante da frutto
(Diagnosi, sintomi e patogenesi)
Vovlas N. e A. Troccoli
Istituto di Nematologia Agraria, CNR, Bari
RIASSUNTO
Nell’Italia meridionale molte piante da frutto, sia in vivaio che in pieno campo, ospitano
nematodi fitoparassiti. Di questi, molti sono endoparassiti migratori (Pratylenchus spp.), o
endoparassiti sedentari (Meloidogyne spp.,), o semi-endoparassiti (Tylenchulus semipenetrans),
patogeni di diverse specie fruttifere. Alcuni nematodi ectoparassiti, invece, costituiscono un serio
problema fitosanitario perché sono capaci di trasmettere virus vegetali (ad es. Xiphinema index). Delle
più importanti specie di nematodi fitoparassiti sono riportate le principali caratteristiche morfologiche
utili alla loro diagnosi, e descritti i sintomi ed i danni indotti da questi parassiti ai loro ospiti.
ABSTRACT
The main plant parasitic nematode species on fruit trees (Diagnosis, symptoms and pathogenesis).
In Southern Italy, olive, citrus, grape and stone fruits, are hosts for a fairly long list of plant
parasitic nematodes. Several of these nematodes are migratory endoparasitic (Pratylenchus spp.), or
sedentary endoparasitic (Meloidogyne spp.), or semi–endoparasitic (Tylenchulus semipenetrans) forms,
some of which are recognised as pathogens to their hosts. A serious phytosanitary problem is also due
to some ectoparasitic nematodes (such as Xiphinema index) which are able to transmit vegetable
viruses. The main morphometric characteristics useful for species identification, the damage they cause
to the host, and measures suggested for effective nematode management in nurseries are illustrated for
Meloidogyne spp., Xiphinema index, Tylenchulus semipenetrans, and Pratylenchus spp., all common
parasites of olive, grape, Citrus sp. and stone fruits, respectively.
INTRODUZIONE
I nematodi fitoparassiti, con la loro attività trofica, causano profonde alterazioni anatomiche alle
piante da frutto, come nel caso dei nematodi appartenenti ai generi: Meloidogyne, Pratylenchus, e
Tylenchulus, o danni indiretti come la trasmissione di virus da parte di nematodi appartenenti al genere
Xiphinema. In questo contributo sono illustrate, per ognuno dei gruppi di nematodi elencati in
precedenza, alcune caratteristiche morfometriche utilizzabili nella diagnosi, i principali sintomi indotti
ed alterazioni anatomiche causate nei loro siti di alimentazione in alcuni ospiti.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
MATERIALI E METODI
Popolazioni di nematodi estratti da campioni di terreno e da radici sono state identificate e
classificate in base ad osservazioni microscopiche di parametri morfometrici ottenuti da preparati
temporanei e/o permanenti infiltrati in glicerina. Le descrizioni istologiche dei siti di alimentazione,
invece, e l’illustrazione delle alterazioni anatomiche causate dalle singole specie di nematodi nei loro
ospiti, sono state effettuate basandosi sulla osservazione di preparati permanenti di sezioni di 10-12 µm
di tessuti infetti, opportunamente colorati.
Osservazioni morfologiche ed istologiche
Nematodi “galligeni” Meloidogyne spp.
Tre specie appartenenti al genere Meloidogyne (M. arenaria, M. incognita e M. javanica) sono
frequentemente rinvenute in vivaio o in pieno campo, in Puglia, associate a radici di olivo, pesco e vite.
A
C
B
Fig. 1. A) Apparato radicale di olivo fortemente deformato dagli attacchi dei nematodi
galligeni; B) Femmina del nematode (N) conficcata nei tessuti radicali; C) stadi di
sviluppo del nematode.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Il sintomo tipico delle infezioni di questi nematodi si manifesta a carico dell’apparato radicale che
appare nel complesso ridotto e presenta caratteristici rigonfiamenti (“galle”) che sono conseguenza
dell’attività trofica del parassita. Le femmine di Meloidogyne spp. sono piriformi e possono deporre
centinaia di uova. Da ogni uovo emerge il secondo stadio larvale del nematode, il quale è vermiforme e
rappresenta l’unico stadio infettivo di questi nematodi. In condizioni di temperatura ottimale (26-28°C)
un ciclo vitale si compie in circa 30 giorni. Dopo l’insediamento della larva infettiva, nella radice della
pianta, intorno alla porzione cefalica del nematode si formano 4-8 cellule specializzate. Queste cellule
sono molto più voluminose di quelle adiacenti e, per questa loro caratteristica, sono chiamate “cellule
giganti”. Esse sono polinucleate, con nuclei e nucleoli ipertrofici, ed hanno la funzione di cellule nutrici
del parassita. La presenza del nematode e l’espansione di queste cellule nutrici causano spesso
interruzioni dei fasci conduttori della linfa per cui la funzionalità della radice infetta ne risulta
fortemente compromessa.
Il nematode degli Agrumi: Tylenchulus semipenetrans.
Questa specie è caratterizzata da un accentuato dimorfismo sessuale evidente anche negli stadi
larvali. I maschi adulti e le lave di seconda età sono vermiformi e mobili, mentre le femmine adulte
sono sacciformi e sedentarie. Il ciclo biologico si svolge esclusivamente sulle radici capillari della
pianta ospite.
A
B
C
Fig. 2. A) Femmina di Tylenchulus semipenetrans conficcata nella radice di agrumi; B) Corpo
intero del nematode; C) cellule nutrici (colorate in rosso).
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Il sito di alimentazione è costituito da 5-8 cellule “nutrici” attorno alla porzione cefalica del
nematode. Le cellule nutrici sono simili a quelle adiacenti, ma possiedono nuclei più grossi, pareti
ispessite e presentano un differente comportamento nella loro reazione ai coloranti. Il tessuto corticale
della radice, a seguito all’attività trofica del nematode, spesso si scolla dal cilindro centrale con
conseguente disfacimento della radichetta per il successivo intervento di altri agenti patogeni, quali
batteri e funghi. Una sintomatologia atipica di malnutrizione, accompagnata da clorosi e defogliazione,
si manifesta sulla parte aerea delle piante fortemente infestate dal nematode.
I nematodi delle lesioni Pratylenchus spp.
Sono nematodi migratori endoparassiti che penetrano nella radice e colonizzano i tessuti corticali
causando estese cavità, necrosi e lesioni.
Fig. 3. A) Lesioni necrotiche sulla superficie radicale di pesco infetta da Pratylenchus sp.;
B) Sezione longitudinale di radice infetta mostrante necrosi corticali.
Le lesioni di color rosso-scuro o marrone sono visibili sulla superficie della radice infestata.
Le specie più comuni che interessano le piante da frutto sono Pratylenchus penetrans e
Pratylenchus vulnus, entrambe polifaghe, spesso diffuse con il materiale vivaistico.
I nematodi vettori di virus Xiphinema index.
Le specie del genere Xiphinema sono in grado di trasmettere particelle virali di forma poliedrica
(NEPO).
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
A
B
C
D
Fig. 4. A) Morfologia della femmina matura del nematode Xiphinema index; B) Galle radicali
indotte dall’azione trofica del nematode su di una radice di vite; C, D) Estremità anteriore e
posteriore del corpo del nematode.
Tra i nepovirus trasmessi da specie apparetenenti a questo genere, particolare importanza riveste il
“Grapevine Fanleaf Virus” che ha come principale vettore naturale la specie Xiphinema index. Ospite
principale di questa specie è la vite, ma fico e rosa permettono una notevole riproduzione del parassita.
I primi danni provocati dalle infezioni di X. index sono di natura meccanica e consistono in
deformazioni dell’apparato radicale con conseguente perdita della funzionalità. Di maggior gravità però
è la malattia virale trasmessa dal nematode in seguito alla sua nutrizione prima sulle piante infette dal
virus e poi su quelle sane.
La sospensione per 2-3 anni della coltivazione di piante ospiti sui terreni infestati dal parassita,
eventualmente seguita da una disinfestazione chimica, può risultare sufficiente a bonificare
appezzamenti infetti e renderli idonei all’ uso.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
CONCLUSIONE
Tenendo conto del numero delle specie di nematodi di ogni genere e la vasta gamma degli ospiti di
ognuna di esse, nonché delle disposizioni ministeriali sulla regolamentazione della produzione del
materiale vivaistico, risulta evidente la necessità di effettuare analisi nematologiche del terreno in vivai,
in campi di piante madri ed in pieno campo per identificare le specie di nematodi eventualmente
presenti.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Diagnosi di PNRSV e PDV mediante amplificazione genica da diverse specie di Prunus
Minafra A., M.R. Silletti, A. Bazzoni
Dipartimento di Protezione delle Piante e Microbiologia Applicata, Università degli Studi e
Centro di Studio del CNR sui Virus e Virosi delle Colture Mediterranee, Bari
RIASSUNTO
La certificazione delle drupacee richiede uno strumento di diagnosi sensibile e riproducibile per
PNRSV e PDV. Nell’ambito del progetto POM A32 sono stati comparati diversi primer per
amplificazione, è stata applicata una estrazione cromatografica di RNA totale da piante arboree e quindi
validata la RT-PCR su materiale proveniente da pieno campo durante tutta la stagione vegetativa. Il
vantaggio della diagnosi via RT-PCR di PDV e PNRSV consiste in un più ampio periodo di
campionamento rispetto al saggio sierologico e nel poter usare floema in dormienza. Si può consigliare
l’uso per la selezione di piante madri o per controlli periodici del materiale in propagazione.
Summary
Certification schemes for stone fruit plants require a sensitive and reliable diagnostic tool for
PNRSV and PDV. In the frame of POM A32 project, different PCR primers were compared, a
chromatographic total RNA extraction from woody plants was applied and RT-PCR detection validated
on field samples through all the seasons. The advantage of PNRSV and PDV RT-PCR diagnosis is
represented by a larger sampling period if compared to serological tests and in the use of phloem from
dormant budwood. The use of the technique could be suggested for mother plants selection or for
periodical controls of propagation material.
INTRODUZIONE
Fra i diversi virus che infettano le drupacee (Prunus spp.), il virus della maculatura anulare dei
Prunus (PNRSV) e quello del nanismo del susino (PDV), appartenenti al genere Ilarvirus, sono stati
presi in considerazione quali agenti pregiudizievoli della qualità per il deleterio effetto che possono
avere sulla produzione, sullo sviluppo delle piante e per la insidiosa capacità di diffondersi per polline,
se ne obbliga la esenza nel materiale di propagazione vivaistica di tali colture a partire dalla categoria
‘CAC’ (DM 14.4.1997). Ne deriva la necessità, per quanti siano coinvolti nei programmi di
certificazione, di dotarsi di strumenti di diagnosi applicabili su ampia scala, con costi contenuti e
sensibilità adeguata a rilevare questi virus, che hanno scarsa ed erratica concentrazione nelle piante
infette. Oltre al saggio biologico tramite innesto su indicatori, che richiede spazi e costi adeguati anche
per un numero ristretto di piante (Boscia et al., 1999), i saggi sierologici sinora utilizzati (ELISA; Clark
e Adams, 1977), a causa della scarsa immunogenicità di questi virus, offrono un ridotto titolo degli
antisieri policlonali ed una insufficiente sensibilità. Inoltre, questi virus sono estremamente sensibili alle
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
temperature elevate e vi è una ristretta finestra stagionale, immediatamente successiva alla ripresa
vegetativa, in cui il saggio sierologico può essere effettuato con qualche successo.
L’ incremento delle conoscenze sui genomi di questi virus, ha favorito negli ultimi anni lo
sviluppo di metodi molecolari di diagnosi che, con elevata sensibilità, ricercano negli estratti delle
piante ospiti specifiche porzioni di RNA virale. L’ibridazione molecolare, soprattutto con lo sviluppo di
sonde a RNA complementare, marcate con digoxigenina (Pallas et al., 1998), rappresenta un ottimo
strumento per la diagnosi di un largo numero di campioni ed
è suscettibile di automazione e
quantificazione. Tuttavia, la comparazione del limite di sensibilità della ibridazione con quello della
amplificazione genica (RT-PCR) ha dimostrato che quest’ultima può rilevare fino a pochi picogrammi
di virus (Sanchez-Navarro et al., 1998; Saade et al., 2000) o che è possibile individuare RNA di
ilarvirus da floema di talee dormienti di pesco e mandorlo (Rosner et al., 1997) o di ciliegio (Bazzoni et
al., 2001). Uno svantaggio della RT-PCR consiste nel dover utilizzare preparazioni sufficientemente
purificate del substrato da amplificare, per evitare inibizioni delle reazioni enzimatiche, e sebbene siano
state descritte per PNRSV e PDV tecniche di amplificazione che partono da virus adsorbito a pozzetti di
polistirene (direct-binding; Rowhani et al., 1995) o eluito da succo assorbito su carta da filtro (print
capture-PCR; Cambra et al., 1998), la purificazione di acido nucleico totale resta ineludibile per la
affidabilità del saggio.
I protocolli di certificazione del materiale vivaistico di drupacee, nell’ambito dei quali lo stato
sanitario di poche piante madri può pregiudicare la produzione di migliaia di piante commercializzate,
devono quindi essere supportati da uno strumento di diagnosi sensibile e riproducibile per PNRSV e
PDV. Tale strumento non viene peraltro suggerito dalle disposizioni legislative che prescrivono la
certificazione. Nell’ambito del progetto POM A32 il nostro obiettivo è stato quello di i) comparare
diversi oligonucleotidi per amplificazione descritti in letteratura per PNRSV e PDV, ii) applicare una
tecnica rapida di estrazione di RNA totale da piante arboree basata sull’adsorbimento cromatografico a
particelle di silice (Foissac et al., 2000), e quindi iii) validare la RT-PCR su materiale proveniente da
pieno campo durante tutta la stagione vegetativa.
MATERIALI E METODI
Materiale vegetale infetto da virus
Nove piante di quattro specie (albicocco, susino, ciliegio e mandorlo), sono state selezionate
nella collezione del DPPMA (agro di Valenzano, Bari), per il loro stato di infezione con PNRSV e
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
PDV sulla base di precedenti saggi sierologici (Tab. 1). I campioni da sottoporre a saggio – 10 foglie
espanse da ciascuna pianta - sono stati raccolti mensilmente nella primavera-estate del 2000 e del
2001. In sporadici campionamenti autunnali è stato utilizzato floema da talee. Oltre alla
amplificazione genica gli stessi campioni sono stati sottoposti al saggio ELISA (Boari et al., 1997;
Myrta et al., 2001). Un isolato ciascuno di PNRSV e di PDV sono stati mantenuti su cetriolo in serra
a 25°C per essere usati come controllo positivo.
Estrazione di acido nucleico da tessuto vegetale e amplificazione (RT-PCR)
RNA totale è stato estratto da 100mg di tessuto (foglie o floema da talee) con il metodo
descritto da Foissac et al. (2000). I frammenti di tessuto vengono omogeneizzati in microtubi in
presenza di 1ml di tampone di estrazione (4.0 M guanidina isotiocianato, 0.2 M NaOAc, pH5.2, 25
mM EDTA, 1.0 M potassio acetato, 2.5% PVP-40, 2% sodio metabisolfito) e microsfere metalliche in
un estrattore a vibrazione (Mixer Mill 300, Retsch) per 2 min. L’omogenato viene incubato a 70°C
con sodio lauril sarcosina, centrifugato per rimuovere il residuo cellulare e fatto adsorbire, in presenza
di sodio ioduro ed etanolo, a particelle di silice per 10min a temperatura ambiente. Dopo due lavaggi
della resina con STE (50 mM NaCl, 100 mM Tris pH 8, 1mM EDTA) con 50% di etanolo, l’acido
nucleico viene eluito in 150µl di acqua sterile per 4 min a 70°C ed infine quantificato mediante lettura
spettrofotometrica. Circa 200 ng di RNA totale vengono denaturati con 0.5 µg di esameri casuali di
DNA (random primers) per 3 min a 95°C e quindi si aggiunge la miscela di sintesi di cDNA (con
200U di trascrittasi inversa MMLV in 50 µl di reazione) incubando per 1h a 42°C. 5 µl di cDNA, dopo
un trattamento a 70°C
per 10 min, vengono addizionati a 45 µl di miscela di amplificazione
contenente primer specifici (120 nM finale), 1.5mM MgCl2 ed 1U di Taq DNA polimerasi.
L’amplificazione avviene con una temperatura di appaiamento dei primer di 52°C per 30-35 cicli
(Minafra e Gallitelli, 1995). I primer utilizzati nel lavoro e l’ampiezza dei relativi prodotti PCR sono
descritti in Tab. 2.
Analisi dei prodotti amplificati
Un decimo della reazione PCR è stata analizzata dopo migrazione in gel di poliacrilammide al
5% in Tris-borato-EDTA pH 8.3 per circa 1h. Il gel viene poi rapidamente fissato in acido acetico e
sviluppato con argento nitrato. Alternativamente, 5 - 7 microlitri
di prodotto PCR vengono
addizionati a un ugual volume di soluzione di denaturazione (concentrazione finale : 200mM NaOH,
5mM EDTA) e incubati a 95°C per 3min, per essere poi deposti su una membrana di nylon (Hybond
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
N+, AP Biotech) e ibridati con una sonda a DNA, costituita dallo stesso frammento PCR purificato e
marcato con fosfatasi alcalina (AlkPhos Direct kit, Amersham Life Science). Circa 10ng di DNA
marcato per ml di tampone di ibridazione vengono fatti ibridare a 55°C per almeno 2h secondo le
istruzioni della casa produttrice. Dopo 2 lavaggi della membrana per rimuovere la sonda non ibridata,
si aggiunge direttamente substrato chemioluminescente (CSPD, Roche) e si espone con una lastra
radiografica per 1-3h. L’intensità del segnale di ibridazione è correlato con la quantità di DNA
amplificato.
RISULTATI E CONCLUSIONI
L’ amplificazione di PDV e PNRSV da estratti di acido nucleico di drupacee infette in pieno
campo si è dimostrata attendibile e riproducibile. Circa il 90% dei saggi effettuati ha risposto secondo
le attese. Di estrema importanza, per il tipo di piante arboree e di virus labili in esame, è la possibilità,
ulteriormente verificata, di diagnosticare l’infezione nell’arco di tutta la stagione vegetativa,
utilizzando anche estratti da floema di talee non vegetanti (Rosner et al., 1997).
Uno dei possibili inconvenienti della PCR risiede nella variabilità intrinseca alle sequenze di
RNA virali che conducono talora ad attribuire risultati negativi pur in presenza di infezioni, a causa
dell’incompleto appaiamento di alcuni primer al cDNA. Per una preliminare valutazione dei primer
descritti in letteratura, due isolati per ciascun virus, mantenuti rispettivamente su pianta erbacea ed
ospite arboreo, sono stati amplificati con diverse coppie di primer (Fig. 1, A e B). Sebbene i primer
utilizzati nella prova siano stati disegnati nella regione conservata del gene codificante la proteina
capsidica, coterminale negli RNA 3 e 4 di Ilarvirus, si è visto che alcuni di essi amplificano poco o
affatto la sequenza bersaglio, alle condizioni di amplificazione descritte. Le coppie di primer che
hanno prodotto amplificazioni più consistenti (PDV 1c/1h, Rowhani et al., 1998; PNRSV I /III,
Rosner et al., 1997) sono state utilizzate successivamente per la validazione su isolati di campo (Fig.
2, A e B). In tutti i campionamenti, da aprile sino a luglio e, per alcuni casi, in autunno su floema o in
pieno inverno su giovani foglie emesse in cella climatica da talee forzate, è stato possibile amplificare
le sequenze virali. Nei paralleli saggi sierologici, la presenza di virus è riscontrabile negli stessi tessuti
solo nei primi mesi primaverili di vegetazione (aprile – maggio). È interessante segnalare che alcuni
dei campioni saggiati, selezionati per la sola infezione a PNRSV in base a precedenti informazioni
sierologiche, dimostravano frequentemente anche la presenza di PDV. Il dato tuttavia non è
sorprendente in quanto i campioni provengono da una collezione in campo di piante virosate,
sottoposte ad infezioni di PDV facilmente veicolato per polline.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Al fine di semplificare la preparazione dei campioni, si è tentato con successo di miniaturizzare
la purificazione cromatografica di acido nucleico con l’uso di microcolonne da centrifugazione
prodotte in laboratorio (microtubi da 0.8 ml con fondo forato, stratificati con cotone idrofilo sterile e
gel di silice, e inseriti a loro volta in microtubi da 1.8ml). L’estratto di acido nucleico è stato così
purificato nello stesso tempo e con la stessa qualità delle spin-column commerciali, ma ad un costo
irrisorio. La Fig. 3 mostra l’amplificazione di PDV da acido nucleico estratto con questo metodo da
piante erbacee ed arboree.
Una ulteriore semplificazione della procedura è possibile al momento della analisi dei prodotti
PCR, che generalmente vengono evidenziati mediante elettroforesi in gel di agarosio o
poliacrilammide. Per un saggio rapido e quantificabile di prodotti PCR per virus di piante arboree
sono stati descritti sistemi immunoenzimatici quali PCR-ELISA (Cambra et al., 1998) e rivelazione
colorimetrica (Rowhani et al., 1998). Per aumentare il numero di campioni analizzati
contemporaneamente e la sensibilità del rilevamento, nel presente lavoro è stata applicata con
successo una rapida ibridazione a macchia dei prodotti PCR con una sonda di DNA, direttamente
marcata con fosfatasi alcalina, in modo da ridurre tempi e manipolazioni. La fig. 4 mostra che, con
adeguati controlli, è possibile individuare campioni di PDV positivi alla PCR anche al limite della
sensibilità della colorazione con argento nitrato in gel di poliacrilammide.
In conclusione, il vantaggio del metodo di amplificazione PCR sviluppato per la diagnosi di
PDV e PNRSV consiste nell’avere a disposizione un più ampio periodo di campionamento rispetto al
saggio sierologico e addirittura nel poter usare floema in dormienza. Una applicazione massale della
PCR alla diagnosi di virus di piante da frutto deve essere comunque considerata con cautela, per le
possibili contaminazioni che inducono ad equivoche interpretazioni dei risultati, nonché per i costi e
la perizia tecnica richiesta. Tuttavia, per la sua elevata sensibilità e specificità, se ne può consigliare
l’uso in fase di selezione di piante madri per i programmi di certificazione o per controlli periodici del
materiale in propagazione.
BIBLIOGRAFIA
Bazzoni A., A. Minafra, A. Ippolito, V. Savino. 2001. I punti critici del processo produttivo e normativo
del materiale vivaistico di ciliegio. Frutticoltura, 3, 18-24.
Boari A., D. Boscia, M. Yurtmen, O. Potere, C. Turturo, V. Savino. 1997. Production of monoclonal
antibodies to prune dwarf ilarvirus and their use in the serological characterization of almond virus
isolates. EPPO Bulletin, 27, 555-556.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Boscia D., A.M. D’Onghia, B. Di Terlizzi, F. Faggioli, A. Minafra, R. Osler. 1999. Accertamenti
fitosanitari sul materiale di propagazione. In: Atti del Convegno Nazionale su Certificazione delle
Produzioni Vivaistiche, 15 Ottobre 1999, 99-153.
Cambra M., A. Olmos, M. Asensio, O. Esteban, M.T. Gorris, T. Candresse, D. Boscia. 1998. Detection
and typing of Prunus viruses in plant tissues and in vectors by print and spot-capture PCR,
heminested-PCR and PCR-ELISA. Acta Horticulturae, 472, 257-263.
Candresse T., S.A. Kofalvi, M. Lanneau, J. Dunez. 1998. A PCR-ELISA procedure for the simultaneous
detection and identification of prunus necrotic ringspot and apple mosaic ilarviruses. Acta
Horticulturae, 472, 219-224.
Clark M.F., A.N. Adams. 1977. Characteristics of the microplate method of the Enzyme linked
immunosorbent assay for the detection of plant virus. Journal of General Virology, 34, 475-483.
Foissac X., L. Svanella-Dumas, P. Gentit, MJ. Dulucq, T. Candresse. 2000. Polyvalent detection of fruit
tree tricho, capillo and foveaviruses by nested RT-PCR using degenerated and inosine containing
primers (PDO RT-PCR). 18th International Symposium Virus and Virus-like diseases of Fruit
Trees, July 9-15, 2000, 48.
Minafra A., D. Gallitelli. 1996. Improved PCR methods for identification of phytopathogenic viruses.
In: Methods in Molecular Biology. vol 50: Species diagnostic protocols: PCR and other nucleic
acid methods (ed. J.P. Clapp) Humana Press. 81-91.
Myrta A., B. DiTerlizzi, D. Boscia, E. Choueiri, M. Gatt, I. Gavriel, K. Caglayan, C. Varveri, H.
Zeramdini, F. Aparicio, V. Pallas, V. Savino. 2001. Serological characterization of mediterranean
Prunus necrotic ringspot virus isolates. Journal of Plant Pathology, 83, (1) 45-49.
Pallas V., P. Mas, J.A.. Sanchez-Navarro. 1998. Detection of plant RNA viruses by non-isotopic dotblot hybridization. Plant virus protocols: from virus isolation to transgenic resistance (eds. G.
Forster and S. Taylor), Humana Press. 461-468.
Parakh D.R., A.M. Shamloul, A. Hadidi, S.W. Scott, H.E. Waterworth, H.E. Howell, G.I. Mink. 1995.
Detection of prune dwarf ilarvirus from infected stone fruits using reverse transcriptionpolymerase chain reaction. Acta Horticulturae, 386, 421-430.
Rosner A, L. Maslenin, S. Spiegel. 1997. The use of short and long PCR products for improved
detection of prunus necrotic ringspot virus in woody plants. Journal of Virological Methods, 67,
135-141.
Rowhani A., M.A. Maningas, L.S. Lile, S.D. Daubert, D.A. Golino. 1995. Development of a detection
system for viruses of woody plants based on PCR analysis of immobilized virions.
Phytopathology, 85, 347-352.
Rowhani A., L. Biardi, G. Routh, S.D. Daubert, D. Golino. 1998. Development of a sensitive
colorimetric PCR assay for detection of viruses in woody plants. Plant Disease, 82, 880-884.
Saade M., F. Aparicio, J.A. Sanchez-Navarro, M.C. Herranz, A. Myrta, B. DiTerlizzi, V. Pallas. 2000.
Simultaneous detection of the three ilarviruses affecting fruit trees by non-isotopic molecular
hybridization and multiplex reverse transcription-polymerase chain reaction. Phytopathology, 90,
1330-1336.
Sanchez-Navarro J.A., F. Aparicio ,A. Rowhani, V. Pallas. 1998. Comparative analysis of ELISA, non
radioactive molecular hybridization and PCR for the detection of prunus necrotic ringspot virus in
herbaceous and Prunus hosts. Plant Pathology, 47, 780-786.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Tabella 1. Fonti di Prunus infette da PNRSV e PDV utilizzate nella prova
Specie
mandorlo
ciliegio
ciliegio
ciliegio
ciliegio
susino
susino
albicocco
albicocco
codice
PNRSV
Pnrsv c
Pnrsv h
VP77deg
VP78NR
Pnrsv/I
Pnrsv/III
Pnrs/Rw1c
Pnrs/Rw 1h
PDV
Pdv c
Pdv h
Pdv/Rw 1c
Pdv/Rw 1h
VP77deg
VP80D
varietà/codice
M5
Bing
Bing
S 222
M1
California Lopez
Prugna Borgia
Boccuccia
Tirynthos
ubicazione
f4p18
f10p6
f10p14
screenhouse
screenhouse
f1p19
f1p18
f1p10
f3p1
infezione (ELISA)
PNRSV, PDV
PNRSV
PNRSV
PNRSV
PNRSV, PDV
PNRSV, PDV
PNRSV
PNRSV
PNRSV
Tabella 2. Oligonucleotidi per amplificazione
sequenza
frammento
PCR
TTCTAGCAGGTCTTCATCGA
CAACCGAGAGGTTGGCA
GCT/ATCCCTAAC/AGGGGCATC
GAACCTCCTTCCGATTTAG
TCACTCTAGATCTCAAGCA
GACACTTTTGCGCGTACGCA
TTCTGTACCTGCCAATATCCTACTTCG
AGACGTCGTGACAGACGTCGAAG
TAGTGCAGGTTAACCAAAAGGAT
ATGGATGGGATGGATAAAATAGT
TAGTGCAGGTTAACCAAAAGGAT
CCGGTATGATATCTCGTACCGAG
GCT/ATCCCTAAC/AGGGGCATC
CAACGTAGGAAGTTCACAG
rif. bibl.
243
Candresse et al., 1998
356
Saade et al., 2000
170
Rosner et al., 1997
304
Rowhani et al., 1998
172
Parakh et al., 1995
580
Rowhani et al., 1998
517
Saade et al., 2000
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
A
1
2
3
4
5
6
7
B
8
1
2
3
4
5
6
Fig. 1 Confronto fra amplificazioni con diverse coppie di primer su isolati erbacei ed arborei di
PNRSV (A) e PDV (B). Analisi in gel di poliacrilammide colorato con argento nitrato. (A) 1 e 5 :
Saade; 2 e 6: Candresse; 3 e 7: Rowhani ; 4 e 8: Rosner. (B) 1 e 2 : Parakh; 3 e 4, Rowhani; 5 e 6:
Saade.
A
B
Fig. 2 – Analisi di prodotti PCR amplificati in un
campionamento mensile da foglie e floema per PNRSV
(A) e PDV (B). (A) : amplificazione con primer Rosner
(170bp). (B): amplificazione con primer Rowhani
(580bp). Ultimi pozzetti di ciascun gel: campione sano e
controllo no-cDNA.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
1
2
3
4
5
6
7
8
Fig. 3 - Prodotti PCR di PNRSV e PDV
amplificati da acido nucleico di piante erbacee (24) ed arboree (6-8) estratte con centrifugazione su
microcolonne di gel di silice:(1) marker,(2 – 3 ) e
(6 – 7) PNRSV, (4) e (8) PDV; (5) controllo nocDNA.
7
Fig. 4 – Ibridazione diretta con sonda a DNA marcata
con fosfatasi alcalina su prodotti PCR di PDV. Controllo
sano e no-cDNA nei pozzetti 4 e 5 superiori, controllo
erbaceo nel pozzetto 7. Rilevazione chemioluminescente a
6h di esposizione.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Distribuzione di PPV in piante di Prunus: alcune esperienze di diagnosi mediante ELISA
A. Myrta1, O. Potere2, F. Ismaeil1, D. Boscia2
1
Istituto Agronomico Mediterraneo, Valenzano, Bari
2
Dipartimento di Protezione delle Piante e Microbiologia Applicata, Università degli Studi
e Centro di Studio sui Virus e le Virosi delle Colture Mediterranee, CNR, Bari
RIASSUNTO
Si riportano i risultati di alcuni saggi ELISA eseguiti su foglie, sintomatiche e non, di diverse
parti della chioma di piante affette da Sharka. L’erraticità dei risultati dimostra la scarsa affidabilità del
metodo ELISA per la diagnosi del virus della vaiolatura del susino (PPV) in foglie asintomatiche.
L’analisi comparativa di diverse sezioni del lembo fogliare ha fornito indicazioni promettenti sulla
possibilità di migliorare l’efficacia del saggio, tuttavia la definizione di una più efficace metodologia di
campionamento necessita di ulteriori sperimentazioni.
SUMMARY
The results of ELISA tests done on leaves, with and without symptoms, sampled in different
areas of the canopy of trees affected by Sharka are reported. The results demonstrate that ELISA is not
reliable for Plum pox virus (PPV) detection when asymptomatic leaves are used. Comparative analysis
of different areas of the leaf blade indicates the possibility of improving the efficiency of the test.
However, the definition of a more efficient sampling methodology needs further studies.
INTRODUZIONE
La vaiolatura del susino (sharka), causata dal virus della vaiolatura del susino (PPV), è la più
grave malattia virale delle drupacee in Europa e nel Mediterraneo. È stata segnalata inoltre in Sud
America (Roy e Smith, 1994), India (Bwardhaj, 1995), USA (Levy et al., 2000) e Canada (Thompson
et al., 2001) a dimostrazione della forte espansione geografica in atto negli ultimi anni.
La disponibilità di mezzi diagnostici rapidi ed affidabili risulta indispensabile per attuare un controllo
tempestivo ed efficace della malattia. Il metodo ELISA, che viene ormai adoperato largamente nella
diagnosi del virus, spesso non lo rileva nelle foglie asintomatiche di piante infette, a causa della sua
distribuzione irregolare (Adams, 1978; Knapp et al., 1995). Al fine di ottenere indicazioni più precise
sull’affidabilità della diagnosi di PPV in foglie asintomatiche, sono state effettuate prove sperimentali
di cui si riferisce in questa nota.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
MATERIALI E METODI
Per la realizzazione della prova sono stati utilizzati due alberi di albicocco identificati in un
frutteto commerciale in due momenti diversi della stagione e alcune piante di GF 305 da collezione di
isolati di PPV del Dipartimento di Protezione delle Piante e Microbiologia Applicata dell’Università di
Bari. Tutte le piante oggetto della prova sono state sottoposte ad accurato rilievo visivo per individuare
i sintomi di infezione (foglie con aree clorotiche diffuse o maculature lungo le nervature secondarie e
ad anello). L’identificazione di PPV è stata fatta mediante DASI-ELISA utilizzando l’anticorpo
monoclonale universale MAb 5B (Cambra et al., 1994) mentre per la determinazione del ceppo virale
sono stati adoperati MAb ceppo-specifici (Boscia et al., 1998). Sono stati eseguiti saggi
immunoenzimatici anche per diagnosticare l’eventuale presenza nelle piante del virus del nanismo del
susino (PDV), del virus della maculatura anulare necrotica dei Prunus (PNRSV), del virus del mosaico
del melo (ApMV) e del virus della maculatura clorotica fogliare del melo (ACLSV).
La prima pianta sottoposta a saggio è stata un albicocco di cv. Tirynthos, individuato in agro di
Ugento (LE) all’inizio della stagione vegetativa (fine marzo) nell’ambito del Programma
“Monitoraggio delle malattie da quarantena di drupacee ed agrumi” della Regione Puglia. Dalla pianta,
di circa 15 anni di età con sintomi virali, sono stati prelevati numerosi rametti, alcuni dei quali solo con
foglie prive di sintomi ed altri portanti anche foglie sintomatiche. I saggi sono stati effettuati su 76
foglie asintomatiche ancora parzialmente sviluppate (circa 2-3 cm di larghezza), 38 delle quali
provenienti da rametti totalmente privi di sintomi, e altrettante prelevate da rametti che portavano
anche foglie con sintomi. I testimoni erano costituiti da 4 foglie con sintomi evidenti.
Un secondo campionamento è stato effettuato su un’altra pianta di cv. Tyrinthos rinvenuta nello
stesso frutteto nel corso di un rilievo successivo, dalla quale sono state raccolte foglie completamente
sviluppate, in prossimità della maturazione dei frutti (metà maggio). Dai rami portanti foglie
sintomatiche sono state prelevate 100 foglie prive di sintomi adiacenti a quelle con sintomi evidenti.
Nel contempo sono state raccolte 100 foglie sintomatiche che sono state esaminate visivamente al fine
di individuare la localizzazione dei tipici sintomi virali su ciascun lembo fogliare, in particolare sulle
quattro sezioni in cui esso è suddivisibile tracciando una croce di S. Andrea (Fig. 1). Tra le foglie
sintomatiche ne sono state selezionate 40 prive di sintomi nella zona basale (area 1) per saggiare sia la
porzione sintomatica che quella asintomatica di ogni foglia. Da ciascuna delle foglie asintomatiche
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
raccolte sono stati prelevati quattro dischi (circa 1,5 cm di diametro) distribuiti sulle diverse sezioni del
lembo fogliare (Fig. 2) che sono stati saggiati.
A fine primavera (inizio giugno) da due piante di GF 305 infette solo con il ceppo PPV-M,
allevate in vaso in una serra a rete dove è ospitata una collezione di isolati del virus, sono state saggiate
20 foglie con sintomi ed altrettante asintomatiche, non adiacenti alle precedenti.
Infine in autunno (15 ottobre) da altre due piante di GF 305 della stessa collezione, anch’esse
infette solo con il ceppo M, sono state campionate e saggiate 40 foglie asintomatiche (da rami privi di
sintomi) e 4 foglie con sintomi.
RISULTATI E DISCUSSIONE
La prima pianta di cv. Tyrinthos oggetto di indagine è stata preliminarmente saggiata mediante
ELISA per verificarne lo stato sanitario ed è risultata esente da PDV, PNRSV, ApMV e ACLSV e
infetta dal ceppo PPV-D. Contrariamente alle 4 foglie con sintomi (testimoni) che hanno tutte dato
reazione positiva, sulle 76 foglie prive di sintomi è stato ottenuto solo il 15,8% di risposta positiva al
saggio ELISA per quelle prelevate dai rami anche con foglie sintomatiche e ancor meno (5,3%) per
quelle raccolte dai rami asintomatici (Tab. 1).
Anche la seconda pianta di cv. Tyrinthos è risultata esente da PDV, PNRSV, ApMV e ACLSV
e infetta da PPV-D. Nel saggio eseguito sui quattro dischi ottenuti da ciascuna delle 100 foglie
asintomatiche è risultato positivo il 56% delle foglie in almeno una delle porzioni considerate. Inoltre,
comparando l’esito del saggio effettuato sui quattro dischetti, è stato rilevato che l’82% dei campioni
infetti (46) è rappresentato dalla porzione 1, prossima al picciolo, e che una percentuale molto più
ridotta è data dagli altri tre dischi (Tab. 2).
Su ognuna delle 100 foglie sintomatiche è stata rilevata la distribuzione dei sintomi nelle quattro aree
considerate per ciascun lembo fogliare: solo nel 6% dei casi i sintomi erano diffusi sull’intera pagina
fogliare mentre solitamente (76%) essi erano circoscritti a uno o due settori del lembo.
Sorprendentemente, la sezione 1, che nelle foglie asintomatiche era quella in cui più di frequente è stato
ritrovato PPV, è apparsa la meno interessata dalla comparsa dei sintomi (soltanto 26 campioni) (Tab.
3).
Dal saggio ELISA eseguito su 40 foglie senza sintomi nel settore basale e con sintomi in
almeno una delle altre porzioni, tutti i tessuti sintomatici sono risultati positivi, mentre 8 sezioni basali
asintomatiche (20%) non hanno dato reazione. L’analisi dell’intensità di tali reazioni in base alle letture
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
fotometriche ha evidenziato una correlazione tra valori di assorbanza e visibilità dei sintomi: valori di
lettura elevati in presenza di sintomi e medio-bassi in assenza di essi.
Il saggio effettuato a giugno su GF 305 allevati in vaso ha confermato la piena corrispondenza
tra presenza di sintomi e risultato positivo in tutte le 20 foglie sintomatiche, ma non ha rilevato nessun
campione positivo tra le 20 foglie asintomatiche delle stesse piante. Va rilevato che, a differenza del
saggio di maggio su Tyrinthos, in cui le foglie asintomatiche erano state scelte in prossimità di quelle
con sintomi, in questo caso si è seguito un criterio opposto (massima distanza dalle foglie con sintomi).
Infine, il saggio effettuato ad ottobre su due piante di GF 305 della stessa collezione, oltre alla
reazione positiva delle 4 foglie testimoni con sintomi, ha confermato la difficoltà a rilevare PPV in
foglie asintomatiche, che hanno dato reazione positiva solo nel 30% dei casi, con notevoli differenze
tra le due piante (Tab. 4).
CONCLUSIONI
Il saggio ELISA di piante di albicocco e GF 305 infette, rispettivamente, da PPV-D e PPV-M ha
confermato l’affidabilità del saggio per l’individuazione del virus su foglie sintomatiche. Tuttavia
l’analisi delle foglie asintomatiche delle stesse piante ha evidenziato l’elevato rischio di ottenere falsi
negativi. Il saggio di parti diverse del lembo fogliare, pur necessitando di ulteriori conferme su un più
ampio numero di isolati e di specie e/o varietà, sembra indicare che l’utilizzo della porzione prossimale
al picciolo riduca in maniera significativa, anche se ancora insoddisfacente, il rischio di falsi negativi.
La scarsa affidabilità del saggio su foglie asintomatiche di piante infette e che mostrano sintomi fa
ipotizzare, inoltre, che questa situazione sia ancor più marcata in piante infette ma ancora asintomatiche
e, pertanto, pone grossi dubbi sull’utilità del ricorso all’ELISA nel controllo del mantenimento in sanità
delle fonti di approvvigionamento che, per definizione, sono asintomatiche.
BIBLIOGRAFIA
Adams A.N. 1978. The detection of plum pox virus in Prunus species by enzyme-linked
immunosorbent assay (ELISA). Ann. Appl. Biol. 90, 215-221.
Boscia D., Myrta A., Potere O., Cambra M., Crescenzi A., Di Terlizzi B., Candresse T., Savino V.
1998. Impiego di anticorpi monoclonali per la identificazione dei diversi ceppi del virus della
vaiolatura delle drupacee (PPV). Notiziario sulla Protezione delle Piante 9 (Nuova Serie), 207212.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Bwardhaj S.V., Thakur P.D., Kohosla K., Sharma D.R. Detection of Plum pox virus in India. 1995.
Acta Horticulturae 386, 237-240.
Cambra M., Asensio M., Gorris M.T., Pérez E., Camarasa E., Garcia J.A., Moya J.J., Lòpez-Abella D.,
Vela C., Sanz A. 1994. Detection of plum pox potyvirus using monoclonal antibodies to
structural and non-structural proteins. EPPO Bulletin 24, 569-579.
Knapp E., da Camara Machado A., Puhringer H., Wang Q., Hanzer V. , Weiss H., Weiss B., Katinger
H., Laimer da Camara Machado M. 1995. Localization of fruit tree viruses by immuno-tissue
printing in infected shoots of Malus sp. and Prunus sp. Journal of Virological Methods 55, 157173.
Levy L., Damsteegt V., Welliver R. 2000. First report of plum pox virus (Sharka Disease) in Prunus
persica in the United States. Plant Disease 84, 202.
Pasquini G., Barba M. 1997. Plum pox potyvirus strains: an overview. In: Proceedings of the Middle
European Meeting ’96 on Plum Pox. Budapest, 2nd - 4th October 1996, 168-171.
Roy A., Smith I. 1994. Plum pox situation in Europe. EPPO Bulletin 24, 515-523.
Thompson D., McCann M., Mac Leod M., Lye D., Green M., James D. 2001. First report of Plum pox
potyvirus in Ontario, Canada. Plant Disease 85, 97.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Tabella 1. Risultati del saggio ELISA su giovani foglie asintomatiche di pianta adulta di Tyrinthos ad
inizio vegetazione (fine marzo)
foglie asintom. foglie asintom.
positive (%)
negative (%)
ramo con sintomi
6 (15,8%)
32 (84,2%)
ramo senza sintomi 2 (5,3%)
36 (94,7%)
TOTALE
8 (10,5%)
68 (89,5%)
Tabella 2. Risultati del saggio ELISA delle diverse porzioni di 100 foglie asintomatiche di pianta
adulta di Tyrinthos in prossimità della maturazione (15 Maggio)
Porzione N° Campioni
Incidenza relativa sul
fogliare
positivi
totale positivi (%)
1
46
82,1
2
16
28,6
3
18
32,1
4
11
19,6
1+2+3+4
56
Tabella 3. Distribuzione dei sintomi in 100 foglie sintomatiche di pianta adulta di Tyrinthos in
prossimità della maturazione (15 Maggio)
Porzioni fogliari
Frequenza
(%)
1
2
3
4
17
+
+
14
+
+
10
+
9
+
+
9
+
8
+
+
+
7
+
6
+
+
+
+
5
+
+
+
5
+
+
+
3
+
+
3
+
+
2
+
+
+
1
+
1
+
+
100
26
58
65
56
+ presenza di sintomi; - mancanza di sintomi
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Tabella 4. Risultati del saggio ELISA di foglie asintomatiche di due piante di GF 305 (15 Ottobre)
Pianta 1
Pianta 2
TOTALE
Positive (%)
9 (45%)
3 (15%)
12 (30%)
Negative (%)
11 (55%)
17 (85%)
28 (70%)
2
Figura 1. Suddivisione del lembo fogliare adottata per
il rilievo e la localizzazione dei sintomi.
4
3
1
2
3
4
1
Figura 2. Posizione dei dischetti fogliari oggetto
dell’analisi
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Messa a punto e validazione di un protocollo per l'accertamento sanitario delle diverse specie
di Prunus nei confronti di PPV
Comes S., Fanigliulo A., Pacella R., Piazzolla P. e Crescenzi A.
Dipartimento di Biologia, Difesa e Biotecnologie Agro-Forestali. Università degli Studi della Basilicata
Riassunto
Il virus della vaiolatura del susino (PPV) è un virus da quarantena per il quale è prevista la lotta
obbligatoria (D.M. 29/11/96). E' evidente la necessità di disporre di un metodo di diagnosi quanto mai
sensibile per l'identificazione del patogeno nel materiale di moltiplicazione delle diverse specie di
Prunus suscettibili. Infatti, è alto il rischio che nel corso dei processi di certificazione del materiale
vivaistico siano selezionate piante madri falsamente negative a PPV, visto che è possibile rilevarlo, con
i mezzi di diagnosi comunemente utilizzati, solo all'inizio della ripresa vegetativa e con una sensibilità
molto bassa a causa della minore concentrazione e della distribuzione non uniforme del virus nella
pianta.
Viene riportata la preparazione di un anticorpo policlonale anti-PPV e la messa a punto e
validazione di un protocollo di diagnosi di PPV nelle diverse specie di Prunus, dotato di elevata
sensibilità, riproducibilità e specificità applicabile alla diagnosi del virus per tutta la durata della fase
vegetativa delle diverse specie di drupacee. Il protocollo si sviluppa attraverso le fasi di immunocattura e trascrizione inversa realizzate nello stesso tubo, seguite da amplificazione a catena della
polimerasi (PCR) specifica per tutti gli isolati di PPV noti.
Summary
Plum pox virus (PPV) is a quarantine virus against which obligatory control is foreseen (D.M.
29/11/96). It is necessary to have available a highly sensible diagnostic method for the pathogen
detection in the propagation material of susceptible Prunus species. It is likely that, during certification
programmes on plant propagative material, PPV false negative mother plants are selected. In fact, it is
possible to detect the virus - with the commonly used diagnostic methods - only in spring and with a
very low sensibility due to the low concentration and uneven distribution of the virus in plant.
Anti-PPV polyclonal antiserum production is reported, together with the defining and validation of
a PPV diagnostic method in different Prunus species. This method is endowed with high sensibility,
reproducibility and specificity, and is applicable to PPV diagnosis throughout all vegetative phase of
the Prunus species. The protocol develops through 3 phases: immuno-capture and reverse transcription
(performed in the same tube) followed by PPV-specific polymerase chain reaction.
INTRODUZIONE
Ai sensi del D.M. 29/11/96, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 10 dicembre 1996 n. 289 "Lotta obbligatoria contro il virus della vaiolatura delle drupacee (Sharka)" - il virus della vaiolatura
del susino (PPV) è un virus a lotta obbligatoria. Dalla prima segnalazione in pieno campo in Bulgaria
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
nel 1917, la malattia da esso indotta si è rapidamente diffusa in quasi tutti i paesi europei: ex
Iugoslavia, Ungheria, Romania, Albania, Repubblica Ceca, Slovacchia, Germania, Austria, Polonia,
Unione Sovietica, Paesi Bassi, Grecia, Svizzera, Gran Bretagna, Turchia, Francia, Svezia, Italia,
Belgio, Spagna e Portogallo. Nell’area mediterranea è stata successivamente riscontrata in Libano,
Cipro, Egitto e Siria (Roy e Smith, 1994). Nel 1992 essa è stata rinvenuta in Cile (Roy e Smith, 1994),
nel 1994 in India (Thakur, 1994), nel 1999 negli U.S.A. (Levy et al., 2000) e nel 2000 in Canada
(Ferguson e Prange 2001). La diffusione su così ampia scala della vaiolatura del susino è sicuramente
imputabile al movimento di materiale di propagazione di drupacee infetto. Risulta, quindi evidente la
necessità di migliorare i metodi di diagnosi del virus in particolare nel materiale di propagazione che,
se infetto, può seriamente compromettere il successo di nuovi impianti frutticoli e - soprattutto introdurre il virus in aree ancora indenni.
Attualmente, metodi molto sensibili nella diagnosi di PPV sono quelli basati sulla RT-PCR che
parimenti a quelli biologici (richiedenti però spazi e costi più elevati), e a differenza di quelli
sierologici, permettono l'identificazione del virus anche in periodi diversi da quello di massima
espressione sintomatologica della malattia e di massima concentrazione del virus nella pianta - ripresa
vegetativa - (Crescenzi et al., 1994a). Un forte limite associato all'applicazione di tali metodiche per la
diagnosi virale nelle specie arboree è sicuramente la presenza - negli estratti fogliari - di una serie di
fattori organici che inibiscono la PCR, generando talvolta dei falsi negativi (Demeke e Adams, 1992;
Henson e French, 1993). È dunque evidente l'importanza di ottenere un acido nucleico privo di fattori
che potrebbero inficiare la diagnosi.
Nel 1994 il PPV è stato isolato per la prima volta da infezione naturale su ciliegio dolce
(Crescenzi et al., 1994b) e acido (Kalashyan et al., 1994). Essendo P. avium e P. cerasus fino allora
considerate resistenti a PPV, non erano previsti controlli fitosanitari su queste specie e sul rispettivo
materiale di propagazione nei confronti di PPV.
Nell'ambito del progetto POM-A32, uno dei nostri obbiettivi è stato quello di mettere a punto e
validare un protocollo sperimentale per l'accertamento sanitario delle diverse specie di Prunus - ed in
particolare del ciliegio - nei confronti di PPV. Tale protocollo prevede l'applicazione di una metodica
di RT-PCR modificata nel fatto che l'RNA virale viene estratto direttamente da virioni immunocatturati (IC-RT-PCR) per mezzo di anticorpi policlonali preparati nei confronti dell'isolato da ciliegio
dolce PPV-SwC. Il protocollo è semplificato dalla realizzazione della trascrizione inversa nello stesso
tubo in cui è avvenuta l'immuno-cattura, ed è applicabile alle principali specie di Prunus.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
MATERIALI E METODI
Materiale vegetale ed isolati virali.
Sono stati utilizzati per le prove i seguenti isolati di PPV appartenenti ai 4 gruppi noti: PPV-SwC
(C) (Crescenzi et al., 1994b) mantenuto su Prunus cerasus e P. avium; PPV-EA (Wetzel et al., 1991a)
mantenuto su P. armeniaca cv. Tyrinthos; PPV- SK68 (M) (Palkovics et al., 1993) mantenuto su P.
armeniaca cv. Tyrinthos, P. persica cv. Babygold 9 e P. domestica cv. Ozark premier; PPV- Rank (D)
(Lain et al., 1989) e mantenuto su P. armeniaca cv. Tyrinthos. Ciascun isolato è stato mantenuto anche
su P. persica GF305 in serra termo-condizionata ed utilizzato negli esperimenti come controllo
positivo.
I campioni fogliari da sottoporre a saggio sono stati raccolti a cadenza mensile, nel periodo di
vegetazione degli anni 2000 e 2001.
Produzione di un antisiero policlonale nei confronti del PPV-SwC.
Per la produzione di un antisiero policlonale nei confronti del virus della vaiolatura del susino,
del'isolato, SwC, il virus è stato purificato da Nicotiana benthamiana secondo la procedura descritta da
Crescenzi et al. (1997), ed utilizzato come antigene per immunizzare conigli. In particolare, è stata
effettuata una iniezione intramuscolare con 2 mg di virus risospeso nell'adiuvante completo di Freund
seguita da 3 iniezioni intramuscolari a cadenza quindicinale con l'antigene risospeso nell'adiuvante
incompleto di Freund. Il siero è stato ottenuto una settimana dopo l'ultima iniezione e, dopo aggiunta di
un ugual volume di glicerolo e sodio azide allo 0,05%, è stato conservato a -20°C. Il titolo è stato
determinato in immuno microscopia elettronica ed immuno western blot nei confronti dell'isolato
virale omologo.
Immuno - cattura di virioni da tessuto fogliare di diverse specie di Prunus.
Tubi da PCR sono stati sensibilizzati per 2 ore con 200 µl di antisiero (anti PPV-SwC) diluito
1/500 in tampone di sensibilizzazione ( NaHCO3 2,93 g/l + Na2CO3 1.59 pH 9.6 ). Sono stati dunque
sottoposti a 3 lavaggi di 3’ ognuno con tampone di lavaggio (PBS, NaCl 0,08 %, KH2PO4 0.002 %,
Na2HPO4 0,0115 %, KCl 0.002 %, NaN3 0.002%, pH 7,2-7,4) + Tween 0.05%, e successivamente
incubati per 12-16 ore a 4°C con 200 µl di succo estratto da tessuto fogliare in PBS contenente il 2%
PVP ed 0.05% di Tween 20. Infine, sono stati effettuati 5 lavaggi di 5’ cadauno con tampone di
lavaggio.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Sintesi del cDNA. La miscela di appaiamento (annealing) è stata preparata direttamente nei tubi in
cui è stata effettuata l'immuno-cattura dei virioni: 10 µl di tampone di trascrizione (Rav2 buffer) 5X, 5
µl di DTT 0,1 M, 1 µl di primer complementare PPV-C (5’-CAGACTACAGCCTCGCCAGA-3’,
Wetzel et al., 1991b) 1µg/µl, 5 µl di ß-ME 0,3 M, 2,5 µl di dNTPs 10mM, 6 µl di Triton X100 1.7% e
18,5 µl di H2O. Per consentire il rilascio dell' RNA virale e la sua denaturazione i tubi sono stati
incubati per 5’ a 100°C, posti immediatamente in ghiaccio per 5’ e quindi incubati a temperatura
ambiente per 20’. Alla miscela sono stati successivamente aggiunti 1 µl di trascrittasi inversa Rav2
(30U/µl) (Amersham) ed 1 µl di inibitore di ribonucleasi RNasin ( 40u/µl) (Ambion). La miscela di
sintesi di cDNA così ottenuta è stata incubata per 30’ a 45°C.
Amplificazione mediante PCR
L'amplificazione è stata condotta su 5 µl di cDNA, in un volume finale di 50 µl, in presenza di 5
µl di tampone di amplificazione 10X, 1 µl di primer PPV-C 0,1 µg/µl, 1 µl di primer omologo PPV-H
(5’-ACCGAGACCACTACACTCCC-3’) (Wetzel et al., 1991b) 0,1 µg/µl, 1 µl di dNTPs 10mM e 1 U
di DynaZime DNA polymerase (Finnyzimes Oy). E' stata condotta con un hot start a 85°C per 5', 30
cicli di denaturazione a 94°C per 30", appaiamento a 62°C per 30" e sintesi a 72°C per 45", 1 ciclo di
estensione a 72°C per 5’. Il prodotto della PCR è stato analizzato mediante elettroforesi su gel di
poliacrilammide (PAGE) al 5% seguita da colorazione mediante nitrato d'argento o etidio bromuro. Il
frammento ottenuto dall'amplificazione, delle dimensioni attese di 243 paia di basi (pb), è stato
sottoposto ad analisi del polimorfismo di lunghezza dei frammenti di restrizione (RFLP) con gli enzimi
RsaI e AluI (New England Biolabs) per verificare l'appartenenza dell'isolato virale in esame ad uno dei
diversi gruppi di PPV. Infine, il prodotto del RFLP è stato verificato mediante PAGE all' 8% colorato
mediante nitrato d'argento o etidio bromuro.
RISULTATI E DISCUSSIONE
L'antisiero policlonale prodotto utilizzando come antigene l'isolato SwC di PPV è in grado di
riconoscere tutti gli isolati di PPV appartenenti ai gruppi finora noti (C, D, EA, e M). Il titolo
dell'antisiero, determinato in immuno microscopia elettronica è pari a 1/12000, quello determinato in
immuno western blot è pari a 1/60000.
L'applicazione del protocollo sperimentale qui riportato per la diagnosi di isolati di PPV
appartenenti ai 4 gruppi noti ha dato risultati riproducibili per tutta la durata della fase vegetativa delle
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
piante di diverse specie di Prunus sottoposte a saggio, comprese P. avium e P. cerasus, notoriamente
ricche di sostanze ossidanti. L'utilizzo dei primer designati da Wetzel et al., (1991b) per la diagnosi di
PPV conferma ancora una volta la sua piena validità nei confronti di tutti gli isolati saggiati. L' RFLP
sul prodotto della PCR ottenuta permette inoltre di identificare rapidamente il sottogruppo di
appartenenza. L'analisi RFLP non permette di discriminare tra gli isolati appartenenti ai gruppi EA ed
M, che però possono essere distinti mediante analisi sierologica con Mab ceppo specifici (Boscia et al.,
1998).
Nel corso dell'ottimizzazione del protocollo di diagnosi di PPV mediante IC-RT-PCR è risultata
fondamentale la scelta della trascrittasi inversa. La Rav-2, consentendo di operare a temperature di
trascrizione fino a 45°C, ha permesso di superare i problemi legati ad eventuali strutture secondarie
dell'RNA virale, e quindi di ridurre i tempi di sintesi e aumentare la specificità e la quantità del cDNA
prodotto.
L'immuno-cattura dei virioni che precede la sintesi di cDNA, piuttosto che l'utilizzo di uno dei
diversi metodi di estrazione dell'RNA totale noti, consente di concentrare le particelle virali dal succo
estratto (aumentando la sensibilità del metodo) ed inoltre di aumentare la specificità nella fase di
amplificazione (non sono mai state ottenute bande diverse da quella attesa). La possibilità di realizzare
immuno-cattura dei virioni e trascrizione inversa nello stesso tubo consente, oltre che di ridurre i tempi
di esecuzione del saggio, di limitare notevolmente il rischio di contaminazione dei campioni.
La sensibilità, specificità e riproducibilità del protocollo descritto per l'intera durata della fase
vegetativa delle diverse specie di Prunus ricompensa i maggiori costi da affrontare se si pensa a
quanto sia grave il pericolo di introduzione della malattia in aree ancora indenni e soprattutto quello
legato alla diffusione di isolati dotati di maggiore virulenza (quelli appartenenti al gruppo M) nelle aree
in cui purtroppo la sharka è già endemica.
In conclusione, la possibilità di disporre di un metodo di diagnosi altamente sensibile per il
virus della vaiolatura del susino per le diverse specie di Prunus suscettibili consente di ridurre
notevolmente il rischio di selezionare, nei processi di certificazione del materiale vivaistico, piante
madri falsamente negative.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
BIBLIOGRAFIA
Boscia D., Myrta A., Potere O., Cambra M., Crescenzi A., Di Terlizzi B., Candresse T. e Savino V.
1998. Impiego di anticorpi monoclonali per l'identificazione dei diversi ceppi del virus della
vaiolatura delle drupacee. Notiziario sulla protezione delle piante 9, 207 - 212.
Crescenzi A., Nuzzaci M. and Piazzolla P. 1994a. Sensitivity of the detection of plum pox potyvirus
by molecular assays. EPPO Bulletin 24, 579 – 583.
Crescenzi A., Nuzzaci M., Levy L., Piazzolla P., Hadidi A. 1994b. Infezioni di sharka su ciliegio dolce
in Italia meridionale. L'Informatore agrario 34, 73 - 75.
Crescenzi A, d'Aquino L, Nuzzaci M, Ostuni A, Bavoso A, Comes S, De Stradis A. and Piazzolla P.
1997. Production of strain specific antibodies against a synthetic polypeptide corresponding to the
N-terminal region of the plum pox potyvirus coat protein. J. Virol Methods 69, 181 - 189.
Demeke T., and Adams, R.P. 1992. The effects of plant polysaccharides and buffer additives on PCR.
Biotechniques 12, 332 – 334.
Ferguson B. and Prange K. - 2001.
Plum Pox Virus Confirmed in Canada.
http://www.caf.wvu.edu/kearneysville/disease_descriptions/PPV/ppvcanada.htm
Henson, J. M. and French R. 1993. The polymerase chain reaction and plant disease diagnosis. Ann.
Rev. Plant Pathol. 31, 81 – 109.
Kalashyan Y. A., Bilkey N.D., Verderevskaya T.D. and Rubina E.V. 1994. Plum pox potyvirus on sour
cherry in Moldava. EPPO Bulletin 24, 645 – 650.
Lain S., Riechmann J.L. and Garcia J.A. 1989. The complete nucleotide sequence of plum pox
potyvirus RNA. Virus Res. 13, 157 - 172.
Levy L., Damsteegt V., Scorza R. and Kolber M. 2000. Plum pox potyvirus disease of stone fruit.
http://www.scisoc.org/feature/PlumPox/Top.html
Palkovics L., Burgyan J. and Balazs E. 1993. Comparative sequence analysis of four complete
primary structures of plum pox virus strains. Virus Genes 4, 339 - 347.
Roy A.S. and Smith I.M. 1994. Plum pox situation in Europe. EPPO bullettin 24, 515 – 524.
Thakur P.O., Bharawaj S.W., Garg I.D., Khosla K.E. and Sharma D.R. – 1994. Plum pox virus on
stone fruits in India. A new record. Plant Disease 9, 100 – 102.
Wetzel T., Candresse T., Ravelonandro M., Delbos R.P., Mazyad H. Aboul-Ata A.E. and Dunez J.
1991a. Nucleotide sequence of the 3’ terminal region of the RNA of El Amar strain of plum pox
potyvirus. J. Gen. Virology 72, 1742 - 1746.
Wetzel T., Candresse T., Ravelonandro M. and Dunez J. 1991b. A highly sensitive immunocapture
polymerase chain reaction method for plum pox potyvirus detection. J. Virol Methods 39, 27 –
37.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Controlli virologici su materiali per la propagazione vegetativa di prunoidee
Babini A. R., M. Cardoni, R. Bissani, E. Tura
CAV Centro Attività Vivaistiche, Via Tebano 144, 4018 Faenza (RA)
RIASSUNTO
Per ottemperare a quanto previsto dalla legislazione vigente in materia di vivaismo (D.M.
14/04/97) nel biennio 2000-2001 è stato organizzato dal CAV un programma di controlli sanitari di
piante di fonte appartenenti a diverse specie di prunoidee, finalizzati all’individuazione di infezioni
causate da virus in particolare dal virus della maculatura anulare necrotica dei Prunus (PNRSV), dal
virus del nanismo del susino (PDV) e dal virus della vaiolatura delle drupacee (PPV).
E’ stato così messo a punto un protocollo che prevede sopralluoghi in campo per l’osservazione di
eventuali sintomi, il prelievo di campioni e poi l’analisi in laboratorio impiegando la tecnica DAS ELISA. Nel biennio 2000 – 2001 sono stati analizzati complessivamente 9686 campioni, prelevati da
altrettante piante madri di molteplici varietà di prunoidee, di cui l’11,5% delle piante esaminate, pur
prive di sintomi, è risultata interessata dai virus considerati, in particolare PNRSV e PDV. Solo le
piante di alcune fra le varietà più diffuse, soprattutto per il susino e l’albicocco, sono risultate
interessate in elevata percentuale dalle infezioni di PDV e PNRSV, mentre molte nuove varietà e
selezioni in corso di licenziamento, con particolare riferimento a pesco e nettarine, sono state
riscontrate conformi a quanto previsto dai decreti vigenti.
SUMMARY
During the last two years, CAV supported associated nurseryman for quality controls which are
compulsory in Europe and it have been managed controls for mother plants of Prunus species in order
to detect PNRSV, PPV, PDV.
The control protocol is based on field surveys, to collect samples that are analysed in laboratory
employing DAS-ELISA techniques. Up to now, 9686 samples from mother plants have been tested and
11.5% of them have resulted to be infected from PNRSV and/or PDV. Between the main cultivated
varieties, a few apricot and plum cultivars resulted virus infected. On the other hand, new peach and
nectarine varieties and selections from breeding programs are found negative to controls for above
mentioned viruses.
INTRODUZIONE
La produzione e commercializzazione di materiali di propagazione vegetale è regolamentata
nell’UE da decreti che prevedono parametri minimi di qualità per evitare la diffusione di patologie di
origine infettiva gravemente dannose alle produzioni agricole. Questo in particolare riguarda il settore
frutticolo, gravemente minacciato in questi ultimi anni dalla diffusione di malattie causate da virus ,
fitoplasmi e batteri capaci di pregiudicare la sopravvivenza della frutticoltura in intere aree vocate.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
L’Emilia-Romagna è una delle regioni italiane più importanti per la produzione frutticola, in particolare
per la coltivazione del pesco e delle altre prunoidee “minori” come susino, albicocco e ciliegio, ed è
nel contempo l’areale italiano con la maggiore presenza di aziende vivaistiche che producono piante di
queste specie.
Le problematiche riguardanti la qualità sanitaria del materiale vivastico sono perciò molto sentite dagli
operatori del settore, sia vivaisti che produttori di frutta. L’obiettivo della qualificazione delle
produzioni vivaistiche si può ottenere in primo luogo attraverso la corretta applicazione delle normative
vigenti, in particolare quelle finalizzate alla produzione di materiale CAC (Conformità Agricola
Comunitaria).
Per questo motivo i vivaisti associati al CAV si sono rivolti alla propria struttura consortile per attuare
una serie di controlli sanitari sulle piante di fonte del materiale di propagazione da loro utilizzato per la
produzione di pesco, susino e albicocco. Il CAV da parte sua ha maturato una specifica esperienza nel
controllo sanitario dei materiali di propagazione vivaistica poiché da oltre 15 anni partecipa ai
programmi
regionali
e
nazionali
di
certificazione
di
fruttiferi
e
fragola,
occupandosi
dell’individuazione, controllo e moltiplicazione dei materiali di prebase e base nel processo di
certificazione.
In questo lavoro si riportano i risultati dei controlli virologici di piante madri di fonte di pesco,
susino, albicocco e ciliegio, eseguiti nel 2000–2001, per accreditarle come idonee all’attività vivaistica
MATERIALI E METODI
Il controllo del materiale vivaistico è obbligatoriamente sancito dal DM 14/04/97 che individua
nel vivaista il primo responsabile della qualità sanitaria dei propri materiali. Per coadiuvare il vivaista
nell’attuazione di quanto previsto dal suddetto decreto, il CAV già da alcuni anni ha predisposto, messo
a punto e realizzato un protocollo di controllo della qualità, per agevolare l’attività dei vivaisti
nell’adempimento di quanto previsto dal già citato decreto ministeriale.
In questo protocollo è prevista l’esecuzione di saggi volti all’individuazione, nelle piante considerate
di fonte, dei principali virus pregiudizievoli per la qualità delle piante (Giunchedi e Poggi Poggiolini,
1985) cioè il virus della maculatura anulare necrotica dei Prunus (PNRSV), il virus del nanismo del
susino (PDV) e soprattutto il virus della vaiolatura del susino (PPV), patogeno da quarantena ai sensi
delle direttiva CEE 77/93.
Per attuare il controllo il vivaista deve in primo luogo individuare e contrassegnare le piante di fonte da
utilizzare per l’attività vivaistica, riportandone chiaramente la posizione in una mappa.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Queste piante sono sottoposte ad un controllo in campo per l’osservazione di eventuali sintomi e al
prelievo di campioni per la successiva analisi di laboratorio.
Il sopralluogo in campo è di solito eseguito durante il periodo primaverile ed all’inizio dell’estate, cioè
nel momento di rapido accrescimento dei germogli che coincide anche con la massima espressione
sintomatica di eventuali malattie infettive.
Durante il sopralluogo le singole piante prescelte vengono controllate accuratamente in ogni parte della
chioma per rilevare eventuali alterazioni sulla vegetazione ascrivibili alla presenza di patogeni di
origine infettiva.
A seguito dell’accurato controllo visivo viene poi prelevato, in tre differenti punti della chioma, un
campione costituito da giovani foglie e, se presenti, anche da fiori, in particolare petali. I campioni così
prelevati, debitamente conservati in un refrigeratore portatile, vengono poi trasferiti in laboratorio dove
sono analizzati mediante la tecnica sierologica immunoenzimatica DAS - ELISA per i virus PNRSV,
PDV, PPV, impiegando antisieri commerciali (Bioreba A.G., Basilea; Agritest di Valenzano, Bari). Il
protocollo applicato è quello riportato in letteratura (Clarck e Adams, 1977) e consigliato per l’uso del
kit di antisiero.
Qualora si ritenga necessario approfondire l’esame diagnostico per confermare eventuali risultati dubbi
del test ELISA, in specifico nei riguardi del PPV, si fa ricorso alla tecnica di biologia molecolare basata
sull’immunocattura di eventuali particelle virali e la successiva reazione di amplificazione mediante
specifici primer, dell’acido ribonucleico (RNA) virale (IC-RT-PCR) del trascritto (Corvo et al., 1995).
Questa tecnica molto più sensibile del test ELISA e, nello stesso tempo,
abbastanza agevole
nell’esecuzione, poiché permette di amplificare sequenze nucleotidiche virali senza estrazione degli
acidi nucleici, è stata impiegata anche per il monitoraggio di frutteti situati in aree “a rischio” in quanto
non lontano da zone “focolaio” del PPV, prima di decidere la loro destinazione ad un uso di tipo
vivaistico.
RISULTATI E DISCUSSIONE
Nel biennio 2000-2001 sono state controllate sia
piante
già
utilizzate nell’attività di
propagazione, sia piante di varietà di nuova introduzione e, limitatamente a pesco e nettarine, anche
nuove selezioni in corso di valutazione. Riguardo al controllo di eventuali sintomi sulla vegetazione
primaverile e sui frutticini, soltanto poche piante fra quelle esaminate mostravano decolorazioni del
lembo fogliare, maculature clorotiche o variegature negli spazi internervali e lungo le nervature,
tipicamente ascrivibili ad infezioni di origine virale. Tutte le piante che mostravano, al controllo visivo,
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
qualcuno dei sintomi sopra descritti venivano scartate, e solo in qualche caso è stato effettuato il
prelievo del campione e l’analisi di laboratorio per determinare il patogeno implicato. Il prelievo era
perciò di norma eseguito solo su piante completamente asintomatiche. Il numero delle cultivar
esaminate per ogni specie è riportato in tabella 1.
I risultati delle analisi eseguite negli anni 2000-2001 riportati nelle tabelle 2 e 3 hanno
complessivamente riguardato 9686 campioni, prelevati da altrettante piante madri di molteplici varietà
di prunoidee, provenienti dal nord Italia (in particolare Emilia Romagna e Piemonte) e dal meridione
(Campania), utilizzate prevalentemente da vivaisti dell’Emilia Romagna.
A seguito dell’analisi, l’11,5% delle piante esaminate, pur prive di sintomi, sono risultate infette da
PDV o PNRSV.
Il virus riscontrato più frequentemente è risultato essere il PNRSV, in particolare su albicocco dove è
risultato presente nel 16,5% delle piante esaminate e nel susino dove le piante infette sono risultate il
15,4%. La presenza di questo virus in piante di nettarine pesche e percoche è risultata sempre inferiore
al 10%. Il PDV è stato riscontrato sporadicamente, salvo che su piante di ciliegio dove è risultato
presente nel 9,6% delle piante esaminate.
Alcuni campioni, sono stati esaminati anche per i virus della maculatura fogliare clorotica del melo
(ACLSV) , del mosaico del melo (ApMV) e della maculatura anulare latente della fragola (SLRV), i
quali, peraltro, non sono stati mai riscontrati ad eccezione del ACLSV presente con una certa frequenza
soprattutto su albicocco, come risulta in tabella 3.
I dati presentati nelle tabelle 5, 6, 7, 8, 9 e 10 sono indicativi dello stato sanitario di piante madri delle
varietà di drupacee maggiormente coltivate nelle aree frutticole del nord Italia, dalle quali si evince
che nella gran parte dei casi sono esenti da virus od infette in bassa percentuale da PNRSV e PDV.
Anche le piante di nuove selezioni della specie pesco, in corso di valutazione prima del licenziamento,
sono risultate interessate in misura estremamente limitata da infezioni di PNRSV (tab. 9).
In nessun caso sono stati riscontrati infezioni da PPV su piante individuate come fonte di materiale di
propagazione, neanche attraverso l’impiego di IC-RT-PCR.
Questa tecnica ha evidenziato 2 soli campioni positivi reperiti durante il monitoraggio di frutteti non
lontano da aree che ospitavano focolai di PPV (tab.10).
Dai risultati ottenuti durante un biennio di saggi che hanno coinvolto 38 aziende vivaistiche,
emerge un quadro di diffusione dei principali virus delle prunoidee abbastanza contenuto.
La presenza di virus, soprattutto di PNRSV, è stata riscontrata seppur in percentuale limitata, sia in
piante di varietà tradizionali che di nuove varietà all’inizio del loro percorso di moltiplicazione
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
vivaistica. Quando per queste varietà non è stato possibile individuare nemmeno una pianta esente da
PNRSV, si è deciso di abbandonarne la moltiplicazione.
Quasi tutte le selezioni di alcuni costitutori sia istituzionali che privati, da cui in un prossimo futuro
scaturiranno le novità varietali, sono risultate esenti dai virus considerati nella CAC.
La tecnica ELISA, largamente applicata, è risultata idonea a svolgere rapidamente i controlli
richiesti con un costo accettabile per le aziende vivaistiche. Si è inoltre rivelata affidabile, data la
corrispondenza dei risultati ottenuti quando i controlli sono stati ripetuti sulle stesse piante per più anni
consecutivi.
La tecnica IC-RT-PCR è risultata indispensabile allorché è stato necessario avere la massima
attendibilità del saggio finalizzato ad evidenziare la presenza di PPV che è il virus più dannoso in
assoluto per le prunoidee da frutto. La pericolosità di tale virus è legata alla sua modalità di diffusione
in campo da pianta a pianta, attraverso molte specie di afidi vettori. È perciò raccomandabile collocare
l’attività dell’intera filiera di produzione vivaistica in aree indenni da focolai di PPV. Il ricorso ad
analisi approfondite per la presenza di questo virus, anche mediante l’uso di IC-RT-PCR, ha consentito
di indirizzare la scelta dei vivaisti verso zone adeguatamente isolate da aree “a rischio PPV” per
realizzare le loro produzioni.
CONCLUSIONI
Sono ormai passati 4 anni dall’entrata in vigore del decreto che istituisce la CAC e
l’applicazione di un sistema di controlli rappresenta un cambiamento sostanziale nel modo di attuare
l’attività vivaistica.
I vivaisti che operano nelle principali regioni frutticole e che si rivolgono a produttori
professionalmente qualificati per l’approvvigionamento del materiale di propagazione attuano
regolarmente il protocollo dei controlli sanitari previsti per le produzioni vivaistiche, in particolare
utilizzano materiale esente da determinati virus. Attraverso questo continuo monitoraggio dello stato
sanitario del materiale di propagazione è possibile reperire fonti di approvvigionamento sempre più
affidabili perché esenti dai patogeni di qualità.
La concreta finalità del settore vivaistico più lungimirante è quella di promuovere così l’ulteriore
progresso tecnico del vivaismo italiano nella consapevolezza che le migliori produzioni in termini di
qualità delle piante si possono ottenere solo impiegando materiale di propagazione sano.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
BIBLIOGRAFIA
Giunchedi L., C. Poggi Pollini. 1985. Virosi del pesco. In "Le virosi delle piante da frutto" L'Italia
Agricola, 122, pag. 166-182.
Clark M.F., Adams A.N. 1997. Characteristics of the microplate method of enzyme-linked
immunosorbent assay for the detection of plant viruses. J. Gen. Virol., 34, pag. 475-483.
L.M. Corvo, M. Sousa Santos, G. Nolasco. 1995. Detection of Plum Pox Virus using simplified
polymerase chain reaction procedure. Acta Horticolturae, 386, pag. 383-390.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Tabella 1. Numero di varietà controllate nel biennio 2000/2001
per l'accreditamento delle piante di utilizzo vivaistico
SPECIE
Varietà
controllate
2000
Varietà
controllate
2001
PESCO
127
95
NETTARINA
82
119
PERCOCA
13
11
CILIEGIO
52
47
ALBICOCCO
60
38
SUSINO
53
42
Tabella 2. Campioni di prunoidee controllati per i virus rilevanti ai sensi del D.M. 14/04/97nel biennio
2000-2001 e relative percentuali di infezione
ANNO
N°
CAMPIONI
PPV
PDV
PNRSV
PESCO
2000
1375
0
21
83
6% PNRSV; 1,5% PDV
PESCO
2001
986
0
4
74
7,5% PNRSV; 0,4%PDV
NETTARINA
2000
2052
0
25
129
6,28% PNRSV; 1,21% PDV
NETTARINA
2001
2049
0
4
246
12% PNRSV; 0,19%PDV
PERCOCA
2000
181
0
3
19
10,4%PNRSV; 1,6%PDV
PERCOCA
2001
93
0
0
3
3,22% PNRSV
CILIEGIO
2000
391
0
31
14
3,5%PNRSV; 7,92% PDV
CILIEGIO
2001
242
0
47
2
ALBICOCCO
2000
1035
0
5
149
0,82%PNRSV; 19,42%PDV
14,39%PNRSV; 0,4% PDV;
0,09% PPV
ALBICOCCO
2001
601
0
0
122
20,29%PNRSV
SUSINO
2000
436
0
22
74
16,85% PNRSV; 5%PDV
SUSINO
2001
245
0
9
31
12,65%PNRSV; 3,67%PDV
CULTIVAR
PERCENTUALE DI PIANTE
INFETTE
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Tabella 3. Campioni di prunoidee controllati per ACLSV, ApMV, SLRV nel biennio 2000-2001 e
relative percentuali di infezioni
ANNO
N°
CAMPIONI
ACLSV
ApMV
SLRV
PESCO
2000
61
3
0
0
PESCO
2001
245
3
0
NETTARINA
2000
139
15
0
0
NETTARINA
2001
328
20
0
0
PERCOCA
2000
3
0
0
0
PERCOCA
2001
19
0
0
0
CILIEGIO
2000
9
0
CILIEGIO
2001
15
0
ALBICOCCO
2000
140
65
ALBICOCCO
2001
2
0
0
SUSINO
2000
72
29
0
SUSINO
2001
5
0
0
CULTIVAR
PERCENTUALE DI
PIANTE INFETTE
1,22% ACLSV
6,09% ACLSV
0
0
0
0
46,4% ACLSV
0
40,27% ACLSV
Tabella 4. Risultati del controllo di piante madri delle principali varietà di ciliegio saggiate nel biennio
2000/2001
N°
camp.
PPV
PNRSV
PDV
BLAZE STAR
11
0
0
0
BURLAT
16
0
1
0
CANADA GIANT
11
0
0
0
CELESTE
33
0
0
5
15,1% PDV
FERROVIA
45
0
0
8
18% PDV
GIORGIA
11
0
3
0
27,27% PDV
KORDIA
43
0
0
0
LAPINS
50
0
0
0
MERCHANT
29
0
0
0
MOREAU
26
0
0
0
REGINA
10
0
0
0
SONATA
10
0
0
6
60% PDV
SWEET HEART
54
0
0
9
16,6% PDV
TECLOVAN
10
0
0
0
VARIETA'
PERCENTUALE
PIANTE INFETTE
6,25% PNRSV
1,1% PNRSV 7,8% PDV
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Tabella 5. Risultati del controllo di piante madri delle principali varietà di albicocco saggiate nel
biennio 2000/2001
VARIETA'
N°
camp.
PPV
PNRSV
PDV
PERCENTUALE PIANTE
INFETTE
AURORA
30
0
0
0
HAROGEM
15
0
0
0
MARIETTA
55
0
0
0
NINFA
77
0
6
0
7,8%PNRSV
ORANGE RED
18
0
1
0
5,5% PNRSV
PELLECCHIELLA
122
0
86
0
70,5% PNRSV
PINK COT
63
0
0
0
PISANA
28
0
0
2
7,14% PNRSV
PORTICI
167
0
13
1
7,8% PNRSV 1,04% PDV
ROSA
67
0
1
0
1,49% PNRSV
SAN CASTRESE
90
0
41
0
45,5% PNRSV
SILVERCOT
69
0
7
2
9,8% PNRSV
VITILLO
145
0
14
1
10,3% PNRSV 1,31% PDV
17,86% PNRSV 0,6% PDV
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Tabella 6. Risultati del controllo di piante madri delle principali varietà di nettarina saggiate nel
biennio 2000/2001
N°
camp.
PPV
PNRSV
PDV
AMBRA
147
0
1
1
AMIGA
68
0
0
0
AM 7
50
0
0
1
2% PDV
BIG TOP
353
0
3
2
0,8% PNRSV 0,5% PDV
CALIFORNIA
21
0
0
0
CRISTINA
48
0
0
0
EARLY TOP
50
0
0
0
FORLIVESE
38
0
0
0
GIOIA
27
0
0
0
GUERRIERA
295
0
2
0
INDIPENDENCE
25
0
0
0
LADY ERICA
10
0
0
1
10% PDV
LAURA
70
0
56
0
80% PNRSV
M. AURELIA
46
0
25
1
5,4% PNRSV 2% PDV
MAEBA TOP
65
0
0
0
MAX 7
39
0
0
0
MORSIANI 60
39
0
0
0
MORSIANI 90
25
0
0
0
NECTAROSS
21
0
0
0
ORION
51
0
0
0
RITA STAR
56
0
1
1
1,78% PNRSV 1,78% PDV
ROSE DIAMOND
50
0
2
0
4% PNRSV
RUBRA
63
0
63
0
100% PNRSV
STARK RED GOLD
318
0
7
0
2,2% PNRSV
SUPER CRIMSON
15
0
0
0
SUPER RED
55
0
0
7
12,72% PDV
SWEET LADY
169
0
2
1
1,1% PNRSV 0,5%PDV
SWEET RED
78
0
11
3
14,1% PNRSV 3,8%PDV
VENUS
65
0
1
0
1,5% PNRSV
VARIETA'
PERCENTUALE PIANTE
INFETTE
0,6% PNRSV 0,6% PDV
0,6% PNRSV
7,3% PNRSV 0,7%PDV
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Tabella 7. Risultati del controllo di piante madri delle principali varietà di percoca saggiate nel biennio
2000/2001
N°
camp.
PPV
PNRSV
PDV
ANDROSS
49
0
0
0
BABY GOLD
5
0
0
0
BABY GOLD 6
2
0
0
0
BABY GOLD 7
2
0
0
0
BABY GOLD 9
8
0
1
0
12,5% PNRSV
CARSON
43
0
9
0
20,9% PNRSV
EGEA
2
0
1
1
50% PNRSV 50% PDV
JONIA
6
0
0
0
JUNGERMAN
64
0
2
2
LOADEL
4
0
0
0
MERIAM
PERCOCA
ROMAGNOLA
14
0
9
0
3
0
0
0
ROMEA
49
0
0
0
VARIETA'
PERCENTUALE PIANTE
INFETTE
3,1% PNRSV 3,1% PDV
64,28% PNRSV
8,76% PNRSV 1,1% PDV
Tabella 8. Risultati del controllo di piante madri delle principali varietà di susino saggiate nel biennio
2000/2001
N°
camp.
PPV
PNRSV
PDV
ANGELENO
132
0
35
2
26,5% PNRSV 1,5% PDV
FORTUNE
69
0
3
6
4,34% PNRSV 8,69%PDV
FRIAR
11
0
0
0
GOLDEN PLUMZA
16
0
9
0
GREEN SUN
12
0
0
0
LARODA
12
0
0
0
T.C. SUN
27
0
0
0
EARLY BIG EGG
16
0
0
0
GROSSA DI FELISIO
15
0
13
0
86,66% PNRSV
PRESIDENT
15
0
12
0
80% PNRSV
STANLEY
24
0
0
0
VARIETA'
PERCENTUALE PIANTE
INFETTE
56,25% PNRSV
20,63% PNRSV 2,2% PDV
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Tabella 9. Risultati del controllo di piante madri delle principali varietà di pesco saggiate
biennio 2000/2001
N°
camp.
PPV
PNRSV
PDV
CRIMSON LADY
45
0
0
0
FAYETTE
21
0
0
0
FLORDA STAR
29
0
0
3
FRANCOISE
59
0
0
0
GUGLIELMINA
16
0
0
0
MAY CREST
30
0
17
0
NEMAGUARD
63
0
0
0
O'HENRY
34
0
0
0
ORION
34
0
0
0
RED HAVEN
16
0
2
0
12,5 % PNRSV
RICH LADY
146
0
8
0
5,4% PNRSV
RICH MAY
80
0
0
0
ROME STAR
30
0
0
0
ROYAL GEM
146
0
1
0
0,6% PNRSV
ROYAL GLORY
18
0
1
0
5,5% PNRSV
RUBY RICH
131
0
0
0
SIMPHONIE
24
0
0
0
SPRING BELLE
109
0
3
0
2,7% PNRSV
SPRING CREST
68
0
0
1
1,4% PDV
STARLITE
10
0
10
0
100% PNRSV
SYMPHONIE
68
0
1
7
1,47% PNRSV 10,2% PDV
TARDIBELLE
25
0
6
0
24% PNRSV
ZINGAR 5
99
0
2
0
2% PNRSV
VARIETA'
PERCENTUALE CAMPIONI
INFETTI
10,3 % PDV
56,6% PNRSV
3,9%PNRSV 0,8% PDV
nel
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Tabella 10: Indagine sulla diffusione di PPV mediante analisi
con test DAS ELISA e IC-RT-PCR
SP
VARIETA'
DAS ELISA
IC-RT- PCR
AL
AURORA - 1
-
-
AL
AURORA - 2
-
-
AL
PISANA
-
-
NT
AMBRA - 1
-
-
NT
AMBRA - 2
-
-
NT
BIG TOP - 1
-
-
NT
BIG TOP - 2
-
-
NT
LAURA - 1
-
-
NT
LAURA - 2
-
-
NT
RICH LADY
-
-
NT
STARK RED GOLD
-
-
PS
MARIA MARTA
-
-
PS
RUBY RICH
-
-
PC
ROMEA
-
-
PI
MRS 2/5 - 1
+
+
PI
MRS 2/5 - 2
-
+
Legenda:
AL = Albicocca
NT = Nettarina
PS = Pesco
PC = Percoca
PI = Porta Innesto
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
1
Conservazione dei campioni fogliari:
Un aspetto importante nella diagnosi del virus della sharka (PPV)
Pasquini G. e M. Barba
Istituto Sperimentale per la Patologia Vegetale (ISPaVe), Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, Roma
RIASSUNTO
Il virus della vaiolatura del susino (PPV) è l’agente causale della più grave malattia virale che
colpisce le drupacee.
La diagnosi del virus viene effettuata in una ben definita fase vegetativa della pianta, che
corrisponde a fine primavera-inizio estate. Infatti, solo in questo periodo, in cui le piante sono in ripresa
vegetativa, il virus raggiunge nei tessuti fogliari una concentrazione tale che ne consente il rilevamento
tramite il saggio sierologico (ELISA). Per questo motivo, i laboratori coinvolti nella diagnosi del PPV,
si trovano spesso nelle condizioni di dover manipolare un elevato numero di campioni in un arco di
tempo relativamente breve. Nel nostro laboratorio sono state effettuate diverse prove al fine di
verificare la possibilità di diagnosticare il virus in campioni fogliari conservati a diverse temperature
per periodi di varia lunghezza.
Foglie sintomatiche sono state prelevate a giugno da diverse specie di drupacee naturalmente
infette dai due ceppi PPV-D e PPV-M. I campioni sono stati suddivisi in tre gruppi: I)
aliquote di 0,5 gr. di tessuto fogliare sono state mantenute a 4°C; II) aliquote di 0,5 gr. di tessuto
fogliare sono state congelate a –20°C; III) aliquote di 0,5 gr. di tessuto fogliare sono state polverizzate
in azoto liquido e congelate a –20°C.
Tutti i campioni sono stati analizzati con ELISA e saggio molecolare (RT-PCR) dopo quattro
periodi di conservazione: 15, 30, 60 e 90 giorni.
I risultati ottenuti hanno evidenziato che i campioni fogliari possono essere mantenuti a 4°C per
circa 10 giorni, mentre le foglie congelate possono essere analizzate, con entrambe le tecniche
considerate, anche dopo 60 giorni di conservazione senza osservare diminuzioni nella sensibilità dei
test.
La polverizzazione con azoto liquido ed il successivo congelamento della polvere a –20°C è
sicuramente risultato il miglior sistema di conservazione. Infatti, anche dopo tre mesi, sono stati
ottenuti risultati positivi, sia con l’ELISA che con l’RT-PCR, da tutti i campioni infetti analizzati.
SUMMARY
Plum pox virus, the most important virus affecting stone fruit trees, is responsible for heavy
losses in orchards.
PPV diagnosis must be performed during a well defined vegetative stage of the plants: springearly summer. Only in this period, in fact, the viral concentration in green tissues allows to obtain
reliable results during diagnostic assays. For this reason laboratories must manipulate a high number of
samples in a very short time.
To overcome this problem, trials were performed in our laboratory by monitoring the possibility
of PPV detection in samples stored at different temperatures for periods of different length. i
1
Lavoro svolto nell’ambito del Programma triennale di ricerca agricola, agro-ambientale, agroalimentare e agro-industriale
del Lazio (PRAL), codice 26/99 – Allestimento di protocolli diagnostici per il rilevamento di agenti patogeni virali.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Symptomatic leaf samples were collected in June from different stone fruit plants naturally
infected with PPV D and M strains. Samples were split into three groups: I) 0.5 g. aliquots stored at
4°C; II) 0.5 g. aliquots frozen at –20°C; III) 0.5 g. aliquots powdered in liquid nitrogen and stored at –
20°C.
All samples were analysed both by ELISA and RT-PCR techniques after four different storage
periods: 15, 30, 60 and 90 days.
The results showed that samples can be maintained at 4°C for about 10 days, whereas frozen
samples could be analysed, with bothmethods, until 60 days of storage without loosing in reliability.
Powdering in liquid nitrogen and maintenance of samples at –20°C resulted the best storage system. In
fact, also after three months, positive results were obtained from all infected samples either by ELISA
or RT-PCR techniques.
INTRODUZIONE
Il virus della vaiolatura del susino (PPV) è l’agente causale della più grave malattia virale che
colpisce le drupacee. Severe misure di controllo vengono applicate in tutti i paesi dove il virus è stato
individuato e le normative fitosanitarie prevedono controlli in campo per valutare lo stato sanitario del
materiale di propagazione e per stimare la diffusione del PPV nei vivai e nei frutteti. Questi
monitoraggi comportano annualmente un ingente lavoro di campionamento e un numero molto elevato
di saggi diagnostici da effettuare in laboratorio.
Al momento, diversi metodi di diagnosi sono applicabili per l’identificazione del PPV nei
tessuti vegetali, ma l’ELISA, pur avendo problemi di sensibilità, è sicuramente il saggio diagnostico
più utilizzato per i controlli massali, a causa del suo basso costo, della facilità di esecuzione e del fatto
che consente di saggiare un elevato numero di campioni al giorno. Per poter ridurre il problema della
limitata sensibilità del test, che rende difficile l’individuazione del virus in piante completamente
asintomatiche o in piante in cui il virus non è diffuso su tutte le branche, l’ELISA viene effettuata su
campioni fogliari prelevati in una ben definita epoca temporale che, nel bacino del Mediterraneo, va da
fine primavera ad inizio estate. Infatti, solo in questo periodo, in cui le piante sono in ripresa
vegetativa, il virus raggiunge nei tessuti fogliari una concentrazione tale che ne consente il rilevamento
tramite il saggio sierologico. Per questo motivo, i laboratori coinvolti nella diagnosi del PPV si trovano
spesso nelle condizioni di dover manipolare un elevato numero di campioni in un arco di tempo
relativamente breve. E’ necessaria, pertanto, una buona organizzazione al fine di ridurre il rischio di
errori tecnici ed, inoltre, nei casi dubbi, la possibilità di ripetere l’analisi è limitata.
Considerando le proprietà fisico-chimiche dei potyvirus, gruppo a cui il PPV appartiene, nel
nostro laboratorio sono state effettuate diverse prove di conservazione di campioni fogliari, prelevati in
campo a metà giugno, al fine di verificare la possibilità di procrastinare il saggio diagnostico.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
In questo lavoro vengono riportati i risultati ottenuti analizzando campioni fogliari mantenuti a
diverse temperature e per diversi periodi di tempo.
MATERIALI E METODI
Nell’ambito della collezione ISPaVe di isolati di PPV, sono state scelte quattro piante di pesco,
susino ed albicocco, che sono state rinvasate e mantenute sotto una serra a prova di insetto. L’IC-RTPCR (Wetzel et al., 1992) ha confermato la presenza del virus e l’analisi dei profili enzimatici di
restrizione dell’amplicone, digerito con Rsa I, ha permesso di caratterizzare il ceppo del virus (Tab. 1).
Piantine di pesco GF305 sane sono state usate come controlli negativi.
A metà giugno, dalle quattro piante selezionate sono state raccolte foglie sintomatiche, che sono
state suddivise come segue:
-
aliquote di 0,5 gr. di tessuto fogliare sono state mantenute a 4°C in bustine di plastica;
-
aliquote di 0,5 gr. di tessuto fogliare sono state congelate a –20°C in bustine di plastica;
-
aliquote di 0,5 gr. di tessuto fogliare sono state polverizzate in azoto liquido, la polvere così
ottenuta è stata inserita all’interno di provette di plastica e congelata a –20°C.
Tutti i tipi di campioni sono stati analizzati con ELISA ed IC-RT-PCR dopo diversi intervalli di
tempo: 15, 30, 60 e 90 giorni. I controlli positivi di ciascun test erano rappresentati da foglie fresche
sintomatiche prelevate, ad ogni intervallo di tempo considerato, direttamente dalle piante mantenute
sotto rete a prova di insetto.
Il test ELISA è stato effettuato con il Mab universale 5B (Agritest, Italia), seguendo le istruzioni
tecniche della Ditta fornitrice. I protocolli della IC-RT-PCR sono quelli riportati in Pasquini et al.,
2000. L’estrazione del virus dai tessuti fogliari mantenuti a 4°C o congelati a –20°C è stata effettuata,
come per i campioni freschi, tramite la macerazione, nel rapporto 1:10 (g/l) in PBS-T contenente 2%
PVP K25 e 20 mM Dieca. La polvere, mantenuta a –20°C, ottenuta dalla macerazione in azoto liquido
dei tessuti fogliari, è stata diluita 1:20 nello stesso tampone di estrazione.
RISULTATI
I risultati riportati in Tabella 2 mostrano che è possibile individuare la presenza del PPV nei
campioni fogliari mantenuti a diverse temperature e con diverse modalità. Inoltre, l’efficacia della
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
diagnosi sierologica e molecolare sui campioni conservati è risultata correlata prevalentemente alle
condizioni di mantenimento e non al ceppo virale e/o alla pianta ospite.
Sia il saggio sierologico che quello molecolare hanno evidenziato la presenza del virus in tutti i
campioni analizzati alla fine di giugno, dopo 15 giorni di conservazione.
Dopo 30 giorni (fine di luglio) il saggio molecolare ha mostrato poca efficacia nel
riconoscimento del virus nei campioni mantenuti a 4°C, mentre l’ELISA è stata ancora in grado di
individuare il virus in tutti i campioni refrigerati, anche se i valori di assorbimento ottico sono risultati
deboli se confrontati con quelli dei corrispondenti campioni fogliari prelevati direttamente dalle piante
infette. I tessuti fogliari congelati tal quali e la polvere congelata, ottenuta dalla macerazione in azoto
delle foglie, hanno dato sempre risultati positivi sia in ELISA che in IC-RT-PCR.
Dopo 60 giorni di conservazione (fine di agosto), il PPV è stato individuato dal materiale
congelato a –20°C. In questo periodo le temperature ambientali hanno raggiunto i 30-32°C e i sintomi
di sharka sono scomparsi dalle foglie delle piante infette mantenute sotto rete. In conseguenza a questa
situazione, l’ELISA, effettuata sul materiale prelevato direttamente dalle piante ha dato esito negativo,
con eccezione dei campioni fogliari provenienti dal susino.
Alla fine di settembre (dopo 90 giorni di conservazione), è stato possibile individuare la
presenza del virus su tutti i campioni polverizzati in azoto liquido e mantenuti a –20°C. Le foglie
congelate come tali hanno cominciato ad evidenziare alcuni problemi: l’ELISA infatti è riuscita ad
individuare il virus in soli due campioni e l’IC-RT-PCR ha dato esiti positivi con tre campioni sul
totale di quattro. Per quanto riguarda l’analisi dei campioni freschi, l’ELISA, come già individuato a
fine agosto, ha fallito nell’individuare il virus in matrici di pesco e albicocco infette.
CONCLUSIONE
I risultati ottenuti evidenziano che è possibile conservare i campioni di tessuti fogliari prelevati
in campo in un periodo ottimale per la diagnosi del PPV e saggiarli successivamente, sia con il saggio
sierologico che molecolare. Questo dato ha una notevole rilevanza perché spesso i laboratori di
diagnosi hanno difficoltà ad operare con un elevato numero di campioni in poco tempo. Inoltre, se si
considera che il PPV è un organismo da quarantena coperto da norme fitosanitarie, e che il materiale di
propagazione deve essere esente dal virus e che tutte le piante trovate infette devono essere
immediatamente eradicate, la possibilità di conservare i campioni per un periodo lungo consente di
ripetere il test in caso di contenzioso.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Il mantenimento a 4°C è risultato il metodo meno efficiente per la conservazione dei campioni.
I processi di fermentazione, infatti, compromettono la qualità dei tessuti interferendo nei legami
antigene-anticorpo ed aumentando la concentrazione degli inibitori della PCR. Alla luce dei risultati
ottenuti sembra conveniente, quindi, mantenere i campioni nelle celle frigorifere per un massimo di 10
giorni per evitare la possibilità di avere campioni falsi negativi.
Il congelamento a –20°C dei tessuti fogliari ha dato risultati molto soddisfacenti fino a due
mesi di mantenimento, un intervallo di tempo accettabile nella programmazione della diagnosi di un
numero elevato di campioni di piante. La polverizzazione dei tessuti fogliari in azoto liquido ed il
successivo congelamento della polvere a –20°C, pur essendo più laborioso, rappresenta sicuramente il
metodo di conservazione più efficiente, che consente di mantenere i campioni inalterati per un periodo
di tempo molto lungo: polvere mantenuta per un anno a –20°C ha dato segnali positivi in IC-RT-PCR
(dati non riportati).
La conservazione dei campioni per un idoneo periodo di tempo, inoltre, non interferisce nella
sensibilità del test. E’ possibile, infatti, effettuare l’ELISA su campioni prelevati nella fase vegetativa
della pianta più idonea alla diagnosi del virus e conservati in opportune condizioni, senza perdita di
sensibilità, risolvendo i problemi relativi alla maggiore sensibilità del saggio molecolare in alcune fasi
vegetative delle piante.
In conclusione, la possibilità di conservare i campioni fogliari in opportune condizioni e per
idonei intervalli di tempo consente di ottimizzare la diagnosi del virus della sharka, facilitando quindi
l’organizzazione dei laboratori e permettendo, inoltre, di ripetere i test. La possibilità di conservare i
campioni consente anche di aumentare il numero delle piante analizzabili in un anno e di migliorare,
quindi, la lotta che rimane essenzialmente preventiva contro questa malattia.
BIBLIOGRAFIA
Kegler H. and Schade C.,1971. Plum pox virus. CMI/AAB Description of plant viruses, 70.
Pasquini G., Mazzei M., Barba M., 1995. Improvement of detection of Plum Pox Virus in stone fruits
by ELISA. Acta Horticulturae, 384, 543-548
Pasquini G., A.M. Simeone, L. Conte and M. Barba, 2000. RT-PCR evidence of the non-transmission
through seed of Plum Pox Virus strain D and M. Journal of Plant Pathology, 82, 221-226.
Roy A.S. and Smith I.M., 1994. Plum Pox situation in Europe. EPPO Bulletin, 24, 515-524.
Wetzel T., Candresse T., Macquaire G., Ravelonandro M., Dunez J., 1992.A highly sensitive
immunocapture polymerase chain reaction method for Plum Pox potyvirus detection. Journal of
Virological Methods, 39, 27-37.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Tabella 1. Isolati di PPV mantenuti sotto la rete a prova di insetto.
N° isolati
1
2
3
4
5
Specie
susino
albicocco
pesco
pesco
pesco
Varietà
Morettini
Perla
Royal Glory
Rich Lady
GF 305
Ceppo
D
D
D
M
sano
Tabellae 2. Risultati ottenuti con l’ELISA e l’IC-RT-PCR effettuate su foglie fresche, su foglie
congelate e su foglie polverizzate in azoto liquido e poi mantenute a –20°C.
Isolati
Campioni freschi
ELISA IC-RTPCR
Foglie at 4°C
ELISA IC-RTPCR
Foglie congelate a –
20°C
ELISA
IC-RT-PCR
Foglie polverizzate
mantenute
a –20°C
ELISA IC-RTPCR
15 giorni
(fine di giugno)
1
2
3
4
5
+
+
+
+
-
+
+
+
+
-
+
+
+
+
-
+
+
+
+
-
+
+
+
+
-
+
+
+
+
-
+
+
+
+
-
+
+
+
+
-
30 giorni
(fine di luglio)
1
2
3
4
5
+
+
+
+
-
+
+
+
+
-
+
+
+
+
-
+
+
-
+
+
+
+
-
+
+
+
+
-
+
+
+
+
-
+
+
+
+
-
60 giorni
(fine di agosto)
1
2
3
4
5
+
-
+
+
+
+
-
n.s.
n.s.
n.s.
n.s.
n.s.
n.s.
n.s.
n.s.
n.s.
n.s.
+
+
+
+
-
+
+
+
+
-
+
+
+
+
-
+
+
+
+
-
90 dgiorni
(fine di settembre)
)
1
2
3
4
5
+
-
+
+
+
+
-
n.s.
n.s.
n.s.
n.s.
n.s.
n.s.
n.s.
n.s.
n.s.
n.s.
+
+
-
+
+
+
-
+
+
+
+
-
+
+
+
+
-
+ = risultato positivo; - = risultato negativo; n.s. = non saggiato.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
2
Diffusione di virus e viroidi in germoplasma di drupacee nell’ Italia centro-meridionale
Ferretti L., F. Faggioli, E. Ragozzino, G. Pasquini, M. Barba
Istituto Sperimentale per la Patologia Vegetale, Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, Roma
RIASSUNTO
Differenti varietà di pesco, albicocco, susino e ciliegio, provenienti da campi collezione e da
centri di moltiplicazione di germoplasma frutticolo, sono state analizzate, con saggi sierologici e
molecolari, per verificare la presenza dei principali agenti virali e viroidali dei fruttiferi. Oltre il 70%
del germoplasma di pesco, albicocco e susino e più del 30% del germoplasma di ciliegio è risultato
infetto da uno o più agenti virali. Il virus della maculatura anulare clorotica del melo (ACLSV) è
risultato il virus più diffuso su pesco, albicocco e susino, mentre su ciliegio è stato rinvenuto solo il
virus del nanismo del susino (PDV). Oltre il 50% del germoplasma di pesco è risultato infetto dal
viroide del mosaico latente del pesco (PLMVd), assente o poco frequente, invece, su albicocco, susino
e ciliegio. Elevate anche le percentuali di infezione del viroide del nanismo del luppoli (HSVd) in
particolare, su susino. I dati mettono in evidenza che, laddove è stata effettuata una selezione sanitaria
efficace, l’incidenza di alcuni virus (ilarvirus e sharka) è significativamente bassa o addirittura assente,
mentre nel caso di patogeni emergenti o poco considerati (PLMVd, HSVd e ACLSV), la loro
diffusione è molto alta e compromettente la qualità del germoplasma frutticolo.
SUMMARY
VIRUSES AND VIROIDS AFFECTING STONE FRUIT GERMOPLASM IN SOUTHERN-CENTRAL ITALY
Different peach, apricot, plum and cherry varieties, individuated in mother plant and germplasm
collection fields, were analysed, by serological and molecolar methods, for the presence of the most
important viruses and viroids. More than 70% of peach, apricot and plum germplasm and about 30%
the cherry germplasm were found infected by one or more of the considered pathogens. Apple chlorotic
leaf spot virus (ACLSV) resulted the most widespread virus on peach, apricot and plum trees. Prune
dwarf (PDV) was the only virus found in cherry. Peach latent mosaic viroid (PLMVd) occurred mainly
in peach samples (54,4%), never in cherry and only sporadically in apricot and plum, while Hop stunt
viroid (HSVd) was detected, in high percentage, in peach, plum and apricot but not in cherry samples.
The results show that an appropriate sanitary selection, performed in the past for the ilarviruses and
Plum pox virus (PPV), is able to reduce the incidence of viral agents, whereas for the emergent or not
considered pathogens, great efforts must been done to control their diffusion, so to increase the stone
fruit germplasm quality.
2
Lavoro svolto in parte nell’ambito del Programma triennale di ricerca agricola, agro-ambientale, agroalimentare e agroindustriale del Lazio (PRAL), codice 26/99 – Allestimento di protocolli diagnostici per il rilevamento di agenti patogeni
virali.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
INTRODUZIONE
Le drupacee, al pari di altre colture agrarie, sono affette da un alto numero di malattie ad
eziologia virale che ne compromettono la produttività quanti-qualitativa (Desvignes, 1999; Nemeth,
1986; Uyemoto e Scott, 1992). La Sezione di Virologia dell’Istituto Sperimentale per la Patologia
Vegetale di Roma, allo scopo di valutare e, se possibile, migliorare la qualità sanitaria del germoplasma
di drupacee, ha svolto un’attività di monitoraggio che, nel corso di un triennio, ha portato ad acquisire
dati sufficienti per una valutazione della diffusione di questi patogeni nel germoplasma di drupacee in
alcune regioni dell’Italia centro-meridionale (in particolare Lazio e Campania) . A tal fine, sono stati
presi in considerazione i risultati di saggi sierologici e molecolari effettuati su campioni di pesco,
albicocco, susino e ciliegio provenienti da campi collezione o da centri di moltiplicazione di
germoplasma frutticolo. In questo modo è stato possibile estendere l’analisi ad un ampio numero di
varietà e, quindi, di riferire i risultati ad un campione sufficientemente rappresentativo del panorama
varietale presente in queste zone italiane.
Scopo del presente lavoro è stato quello di definire, sulla base delle percentuali di diffusione,
quali siano i virus e viroidi ai quali si deve porre maggiore attenzione nella produzione di materiale di
propagazione sanitariamente qualificato.
L’indagine è stata rivolta ai principali virus e viroidi riscontrabili nelle drupacee, ovvero: virus
del nanismo del susino (PDV), virus della maculatura anulare necrotica dei Prunus (PNRSV), virus del
mosaico del melo (ApMV), virus della maculatura clorotica fogliare del melo (ACLSV), virus della
vaiolatura anulare del susino (PPV), viroide del mosaico latente del pesco (PLMVd) e viroide del
nanismo del luppolo (HSVd). Di ognuno di questi, è stata calcolata la percentuale di diffusione
rapportando il numero delle piante infette al totale delle piante saggiate per ciascuna specie.
MATERIALI E METODI
Origine del materiale
L’indagine ha interessato campi collezione di germoplasma e campi di piante madri del Lazio e
della Campania. Tutti i campioni provenienti dai campi di piante madri non presentavano sintomi virali
evidenti, mentre fra quelli provenienti dai campi collezione e dai frutteti commerciali, alcuni
mostravano sintomi più o meno specifici.
In particolare, sono state saggiate 443 piante di cui: 134 campioni di pesco appartenenti a 63
varietà e 7 selezioni, 173 campioni di susino appartenenti a 14 varietà, 113 campioni di albicocco
appartenenti a 24 varietà, 2 selezioni, 1 susinococco e, infine, 23 campioni di ciliegio appartenenti a 10
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
varietà. La minore incidenza del ciliegio nell’ambito del panorama frutticolo delle regioni considerate,
giustifica il minor numero di campioni saggiati
rispetto alle altre specie. La lista delle varietà
analizzate è riportata in tabella 1.
Saggi diagnostici
Per la diagnosi dei virus sono stati effettuati prevalentemente saggi di tipo sierologico (DASELISA) con kit commerciali utilizzati in accordo con le istruzioni delle Ditte produttrici; si è ricorso a
saggi di tipo molecolare (IC-RT-PCR) solo per quei virus per i quali la diagnosi sierologica è possibile
solo in periodi vegetativi molto ristretti (ACLSV) o non è sufficientemente sensibile nel caso di
campioni asintomatici (PPV). Per la diagnosi dei viroidi invece, sono state adottate tecniche molecolari
e, precisamente, l’ibridazione molecolare con sonde clonate non radioattive (tissue printing e spot blot)
e l’amplificazione genica (RT-PCR).
In particolare, per gli ilarvirus (PDV, PNRSV, ApMV) sono stati utilizzati antisieri commerciali
(DSMZ, Germania) in DAS-ELISA diretta a partire da foglie prelevate in primavera, o da fiori ottenuti
da rami raccolti in inverno e pre-germogliati in serra.
Per la diagnosi del PPV è stata eseguita una DAS-ELISA indiretta, utilizzando l’anticorpo monoclonale
universale 5B (Agritest, Italia), a partire da foglie e fiori raccolti in primavera. Sui campioni
asintomatici, è stata invece effettuata una IC-RT-PCR utilizzando per l’immunocattura un anticorpo
policlonale prodotto da questo Istituto (ISPaVe 21) ed il protocollo descritto da Faggioli et al., (1998).
L’ACLSV è stato saggiato su foglie raccolte in primavera mediante IC-RT-PCR, utilizzando
l’antisiero policlonale ISPaVe 82 per l’immunocattura e un protocollo di RT-PCR precedentemente
messo a punto (Paquini et al., 1998) con la coppia di iniziatori specifici A52/A53 (Candresse et al,.
1995). Per problemi occorsi durante lo stoccaggio dei campioni, questo virus non è stato saggiato in
ciliegio.
La diagnosi dei viroidi mediante RT-PCR è stata effettuata seguendo il protocollo messo a
punto da Faggioli et al., (2001); l’ibridazione molecolare a goccia (spot blot) e l’impronta di tessuto
(tissue printing) è stata eseguita secondo il protocollo di Loreti et al., (1999).
RISULTATI
Con riferimento al pesco, il 72,4% delle piante saggiate è risultato infetto da uno o più dei
patogeni considerati. In particolare, le infezioni virali più frequentemente riscontrate, sono state quelle
da ACLSV (26,1%) e PNRSV (18,6%); decisamente inferiore è risultata, invece, la presenza di PDV
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
(2,9%), per altro sempre in infezione mista, mentre non sono mai state riscontrate infezioni da PPV e
ApMV. Molto diffusa la presenza di infezioni viroidali, in particolare del PLMVd riscontrato in oltre il
50 % delle piante saggiate; presenti, ma meno diffuse, invece, le infezioni da HSVd (28,4%). Nel
16,7% dei casi, inoltre, questi viroidi sono stati contemporaneamente riscontrati nella stessa pianta.
Percentuali di diffusione simili, sono state rilevate anche per le infezioni miste ACLSV+PLMVd
(22,4%) e PNRSV+PLMVd (16,4%) mentre meno frequenti sono risultate le infezioni miste
PDV+PLMVd (1,4%) e PDV+PNRSV+PLMVd (1,5%).
Piuttosto simile la situazione riscontrata su albicocco. La percentuale totale di piante infette è
risultata pari al 77,9%. Anche per questa specie l’ACLSV è risultato il virus più diffuso (21,2%),
seguito dal PNRSV (15,%); più frequenti, rispetto al pesco, le infezioni da PDV, che su albicocco
raggiungono una percentuale di diffusione del 5,3%. Anche in questo caso, non sono state rilevate
infezioni da ApMV e PPV. Per quanto riguarda i viroidi, invece, i saggi effettuati hanno messo in
evidenza una presenza decisamente maggiore di infezioni da HSVd (37,2%) rispetto al PLMVd (0,8%).
Molto bassa la percentuale d’infezione mista che ha riguardato solo i virus PDV e PNRSV (1,8%).
L’ACLSV risulta essere il virus più diffuso anche su susino sul quale è stato riscontrato con una
frequenza del 40,5%. Fra gli ilarvirus, invece, è il PDV ad essere il più diffuso (13,9%) seguito dal
PNRSV (9,2%). Ancora assenti sono risultati il PPV e l’ApMV. Per quanto riguarda i viroidi, solo
l’HSVd è presente in percentuale elevata (49,7%) mentre appena lo 0,6% delle piante è risultata infetta
da PLMVd. Elevate sono risultate le infezioni miste HSVd+ACLSV (23,1%) mentre la contemporanea
presenza dei due ilarvirus (PDV+PNRSV) è stata riscontrata nel 6,9% dei campioni. In totale, la
percentuale delle piante risultate infette da almeno un patogeno virale è stata del 83,8%.
Su ciliegio, le uniche infezioni riscontrate sono state quelle da PDV che è risultato presente nel
34.8% delle piante saggiate. Assenti tutti gli altri virus e viroidi mentre, come precedentemente
riportato, non è stato effettuato il test dell’ACLSV.
Tutti i risultati sono riassunti nella tabella 2.
CONCLUSIONI
Dall’indagine effettuata, il germoplasma di drupacee dell’Italia centro-meridionale appare
largamente compromesso dalla presenza di uno o più agenti infettivi di origine virale: ad eccezione del
ciliegio, per il quale la percentuale di diffusione di virus risulta comunque superiore al 30%, per tutte le
altre specie la presenza di patogeni virali è risultata sempre superiore al 70%.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Va comunque osservata una diversa incidenza dei singoli agenti virali sulle percentuali
d’infezione in relazione a diversi fattori. Gli ilarvirus (PDV, PNRSV, ApMV) ed il PPV, che sono
oggetto di un sistematico controllo sanitario reso possibile anche grazie alla disponibilità di tecniche
diagnostiche rapide ed affidabili, ricorrono in percentuale generalmente bassa (PDV e PNRSV) o sono
del tutto assenti (ApMV e PPV). Solo su ciliegio, il PDV ha raggiunto una frequenza superiore al 30%
che è comunque bassa se si considera la diffusione in natura piuttosto elevata di questo virus sulle
drupacee. Al contrario, l’ACLSV, la cui diagnosi presenta maggiori difficoltà tecniche rispetto ad altri
virus e per il quale non è previsto il controllo ai fini della produzione di qualità, si riscontra con una
maggiore frequenza.
Un discorso a parte meritano i viroidi per i quali le elevate percentuali di infezione riscontrate, almeno
su certe specie, sono imputabili alla loro recente scoperta e, conseguentemente, alla mancanza, in
passato, di controlli attraverso tecniche diagnostiche semplici, rapide e sensibili. Per quanto riguarda il
PLMVd sono state confermate le elevate percentuali di infezione su pesco mentre molto bassa o nulla
è risultata la sua presenza sulle altre specie. Elevate sono risultate anche le percentuali di infezione da
HSVd il quale, inoltre, dimostra di essere più polifago del PLMVd riscontrandosi in percentuale elevata
su pesco, albicocco e susino.
Considerato il danno economico che questi patogeni arrecano alle drupacee, le percentuali
d’infezione così elevate potrebbero compromettere in maniera considerevole la produttività di tali
colture sia in termini quantitativi che qualitativi. Nell’ottica di un miglioramento sanitario del
germoplasma frutticolo, appare dunque indispensabile tenere in seria considerazione la assenza di tali
agenti patogeni.
In conclusione, questi dati mettono in evidenza che, laddove è stata effettuata una selezione
sanitaria efficace (per maggiore conoscenza dei patogeni, migliore disponibilità di test diagnostici,
interventi legislativi), l’incidenza di alcuni virus (ilarvirus e PPV) è significativamente bassa o
addirittura assente, mentre nel caso di patogeni emergenti o poco considerati (PLMVd, HSVd e
ACLSV), la loro diffusione è molto alta e compromettente la qualità del germoplasma frutticolo.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Tabella 1. Elenco delle varietà e selezioni oggetto della prova
Pesco
Regina bianca
Pontina
Albicocco
Susino
Ciliegio
Bellella di Melito Vitillo
Fortune
Late Lory
Diamond princess Rose diamonde
Lampetella
Barone
Angeleno
Early Bigi
Guglielmina
Tardibelle
Micariello
Voccuccia liscia Blackamber
Bertiello
Fairtime
White top
Torca
Nicola qualità
Empress
Cornaiola
Crown princess
Carson
Luscianese
Sayeb
Emperor
Della Rocca
Crimson lady
Andross
Regina
Boreale
Red noble
Tinta nera
Spring lady
Jungerman
Riccia a fuoco
Pellecchiella
Obilnaja
Malizia
Rossa S. Carlo
Loadel
La Marca
Ninfa
Settembrina nera
Pagliaccio
Maycrest
Baby gold 9
Baby Gold 7
Portici
Sorriso precoce
Sciazza
Springbelle
Armking
Biotipo Npb01
Laura
Marmulegna
Spernocchia
Flavorcrest
Spring red
Biotipo Npg01
Robada
Genova giallo-verde
Red top
Flavor top
Biotipo Pc03
Kyoto
San Rafele
Elegant lady
Stark redgold
Biotipo Ppb01
Lady rose
Florentia
Fayette
Maria Aurelia
Biotipo Ppb14
Bergarouge
Sorriso di primavera
Redhaven
Firebrite
Biotipo Ppb17
Karpatin
Glohaven
Maria Laura
Biotipo Pc07
Kompakta
Early O’Henry
Indipendence
Opal
Maria bianca
Zingara nera
Valjevka
White lady
Ciccio Petrino
Venturina
Maria delizia
Silvette
Signora
Alix
Terzarola col pizzo
Boccuccia spinosa
Doris
Terzarola gialla
Ebolitana
Early giant
Poma 1
Ceccona
Early silver
Giallona di Siano
Persechella
June brite
Poma 2
Biotipo AB02
Maeba star
Chiazziera
Biotipo AB03
Maria dorata
Rossa tardiva di Caiazzo
Susinococco
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Tabella 2. Percentuale di diffusione degli agenti virali in germoplasma di drupacee.oggetto della prova
Specie
N° di
N° di
piante piante
saggiate infette
% PDV
Pesco
134
97
72,4
Albicocco
113
88
77,9
Susino
173
145
83,8
Ciliegio
23
8
PNRSV
2,9%
18,6%
(2,9%)*
(2,2%)
5,3%
15,0%
(1,8%)
(1,8%)
13,9%
9,2%
(6,9%)
(6,9%)
34,8 34,8%
0%
ApMV
0%
0%
0%
0%
ACLSV PPV PLMVd HSVd
26,1%
(22,4%)
21,2%
40,5%
(23,1%)
n.s.
0%
54,5%
28,4%
(38,8%) (16,4%)
0%
0,8%
0%
0,6%
0%
0%
37,2%
49,7%
(23,1%)
0%
* La percentuale, in corsivo tra parentesi, è riferita alle infezioni miste descritte nel testo.
n.s: non saggiato
BIBLIOGRAFIA
Candresse T., Lanneau M., Revers F., Grasseau N., Macquaire G., German S., Malinowski T. e Dunez
J. 1995. An immunocapture PCR assay adapted to the detection and the analysis of the molecular
variability of the apple chlorotic leaf spot virus. Acta Horticulturae, 386, 136 – 147.
Desvigne J. C. 1999. Les virus des arbres fruitiers. Ctifl, Paris.
Faggioli F., Pasquini P., Barba M. 1998. Comparison of different methods of RNA isolation for Plum
Pox Virus detection by reverse transcription – polymerase chain reaction. Acta Virologica, 42,
219 – 221.
Faggioli F., Ragozzino E., Barba M. 2001. Simultaneous detection of stone and pome fruit viroids by
single tube RT-PCR. Acta Horticolturae, 550, 59-64.
Loreti S., Faggioli F., Cardoni M., Mordenti G., Babini A.R., Poggi Pollini C. and Barba M. 1999.
Comparison of different diagnostic methods for detection of peach latent mosaic viroid. EPPO
Bulletin, 29, 433-438.
Nemeth M. 1986. Virus, mycoplasma and rickettsia diseases of fruit trees. Martinus – Nijhoff
Publishing, Dordrecht, the Netherlands and Akademiai Kiado, Budapest, 1-841.
Pasquini G., Faggioli F., Pilotti M., Lumia V., Barba M., 1998. Characterization of apple chlorotic leaf
spot virus isolates from Italy. Acta Horticulturae, 472, 195-202.
Uyemoto J. K. e Scott S. W., 1992. Important diseases of Prunus caused by viruses and other grafttransmissible pathogens in California and South Carolina. Plant Disease, 76, 5 – 11.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
La diagnosi del viroide del mosaico latente del pesco
Faggioli F. e M. Barba
Istituto Sperimentale per la Patologia Vegetale,
Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, Roma
RIASSUNTO
Il mosaico latente del pesco è una malattia che causa rilevanti danni economici in tutte le aree
peschicole mondiali. Le piante colpite, infatti, hanno una scarsa vigoria vegetativa e i frutti maturano
in maniera irregolare, sono malformati e di pezzatura ridotta. L'agente causale è un viroide (viroide del
mosaico latente del pesco, peach latent mosaic viroid -PLMVd) che, per la sua pericolosità, è
considerato un patogeno da quarantena e rientra nell'elenco dei patogeni di cui si deve accertare
l'assenza nel materiale di propagazione peschicolo sanitariamente qualificato.
La diagnosi si basava, fino a pochi anni fa, esclusivamente sull'uso del saggio biologico
sull'indicatore legnoso pesco GF 305 mediante la tecnica della protezione incrociata (cross-protection)
e richiedeva almeno tre-quattro mesi di tempo. Recentemente, il sequenziamento del PLMVd e la
messa a punto di moderne tecniche di biologia molecolare hanno stimolato studi tendenti a
semplificarne la diagnosi, soprattutto in termini di tempo.
Considerata la pericolosità del patogeno e la necessità di verificare l' assenza del viroide nelle
piante capostipiti di pesco utilizzate per la produzione di materiale certificato esente da virus, è stata
impostata una prova comparativa, per verificare la sensibilità, specificità e riproducibilità di differenti
metodi di diagnosi.
In questa nota viene riportato il protocollo di diagnosi per “impronta di tessuto” risultato il
metodo migliore per il rilevamento del PLMVd in diverse matrici vegetali (foglie, gemme e corteccia)
prelevate da piante di pesco infette.
La validità del metodo è stata confermata, successivamente, verificandone la attendibilità su
larga scala.
SUMMARY
Peach latent mosaic viroid (PLMVd) detection
Peach latent mosaic (PLM) is a quarantine world-wide spread disease caused by the peach
latent mosaic viroid (PLMVd). Some strain induce mosaic symptoms on leaves, delay of foliation,
flowering and maturity, calico and malformation of fruits with cracked sutures and enlarged pits, bud
necrosis and, in the more severe cases, early decline of the trees. To prevent the use of infected
propagative material, international certification schemes foresee the absence of PLMVd from peach
mother plants.
Until few years ago its detection was mainly based on cross protection tests on GF305 peach
seedlings. Recently, the improved knowledges of PLMVd genome and the optimization of molecolar
techniques applied to the diagnosis of plant pathogens have stimulated studies aimed at point out a
diagnostic method sensitive, reliable and less time consuming.
A ring test among different Institutions has been set up to compare the sensitivity, specificity
and riproducibility of the diagnostic techniques available at the moment and routinely applied to
PLMVd detection in peach germoplasm.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
In this paper we report the “tissue blot”protocol, resulted the most suitable and reliable for
detecting PLMVd in different matrices (leaves, buds and bark) collected from infected peach plants.
The method, has been successively validated by mass scale application.
INTRODUZIONE
Il mosaico latente del pesco (PLM ) è una malattia che causa rilevanti danni economici in tutte
le aree peschicole italiane. Il PLM deve il suo nome di "latente" al fatto che, generalmente, non induce
forti sintomi cromatici sull'apparato vegetale, anche se alcuni ceppi particolarmente virulenti possono
indurre sintomi di calico su foglie e frutti o mosaici gialli, più o meno diffusi. I sintomi più tipici di
PLM compaiono su piante di quattro-cinque anni di età, che presentano ritardi di 4-6 giorni nella
fioritura, foliazione e successiva maturazione dei frutti. Nelle piante infette si riscontra spesso un
deperimento generalizzato, con vegetazione scarsa, fogliame sparso, accecamento delle gemme con
successivo disseccamento dei rametti giovani; tutto ciò porta ad un più rapido declino ed
invecchiamento delle piante, che presentano una maggiore sensibilità al freddo e agli altri agenti
patogeni che causano cancri.
Molto tipici, evidenti e spesso dannosi, sono i sintomi riscontrabili sui frutti. Questi ultimi
presentano, infatti, delle piccole aree circolari depigmentate, associate, talvolta, a forti deformazioni
dovute a spaccature necrotiche della linea di sutura che li rendono non commerciabili. In alcuni casi
sono state rilevate anomale colorazioni bianco-rosacee dei petali (specialmente associate a condizioni
di alte temperature), e butteratura del legno dei rami e delle branche principali (Desvignes, 1999).
L'agente causale della malattia è il viroide del mosaico latente del pesco (Peach latent mosaic
viroid, PLMVd) (Flores et al., 1990), presente in Italia in circa il 50% del germoplasma di pesco e
nettarine, per lo più di importazione giapponese ed americana (Loreti et al, 1998).
La diffusione del PLMVd avviene principalmente mediante materiale di propagazione vegetativa.
Inoltre, è stata dimostrata la sua trasmissibilità mediante gli attrezzi da taglio (Hadidi et al., 1997), per
afidi (Desvignes, 1986) ed ultimamente anche per polline (Ragozzino et al. 2001); Date la sua
pericolosità e diffusione, questo patogeno è considerato da quarantena (Barba, 1999).
In considerazione di tutto ciò, importanza fondamentale riveste la messa a punto di una
metodologia diagnostica sensibile, rapida, attendibile e riproducibile, applicabile ad un grande numero
di campioni e utilizzabile in ogni epoca stagionale.
I viroidi, i più piccoli agenti di malattie infettive conosciuti nelle piante superiori, sono molecole
di RNA circolare a singolo filamento aventi dimensioni ridotte, fra le 250 e le 380 basi circa (Diener,
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
1991). L'RNA viroidale non codifica per alcun prodotto proteico per cui, diversamente dai virus, è
privo del rivestimento proteico. In conseguenza di ciò, i viroidi hanno una bassa risposta
immunogenica che rende difficile e poco affidabile una loro diagnosi sierologica (IEM, ELISA);
pertanto le uniche tecniche diagnostiche utilizzabili per il loro rilevamento in pianta sono biologiche o
molecolari.
Qui di seguito viene riportato il protocollo di diagnosi per “impronta di tessuto” risultato, in una
precedente prova comparativa (Loreti et al.,1999) il metodo migliore per il rilevamento del PLMVd in
diverse matrici vegetali (foglie, gemme e corteccia) prelevate da piante di pesco infette. Il metodo,
infatti è:
di facile esecuzione: utilizza una sonda non radioattiva applicabile anche in laboratori non
specializzati, stabile per oltre un anno, e molto sensibile (individua fino ad una diluizione di 1/10.000
di TNA e fino a 10 femtogrammi di trascritto di RNA, in vitro, complementare al viroide, dati non
pubblicati) e specifica (non si osservano reazioni col sano);
rapido: evita la fase preliminare di estrazione degli acidi nucleici, necessaria sia per l'ibridazione
a goccia che per l'RT-PCR, riducendo notevolmente i tempi di lavoro, aspetto molto importante in una
diagnosi massale;
affidabile: questa tecnica è stata utilizzata negli anni passati per accertare l’esenza del viroide sia
in piante di pesco allevate in pieno campo che utilizzate come fonti primarie nel processo di
certificazione. In alcuni casi il saggio biologico (cross protection su GF 305 ) non è stato in grado di
evidenziare la presenza del PLMVd mentre l’ibridazione si (Babini e Barba comunicazione personale).
PROTOCOLLO
Campionamento
La diagnosi può essere eseguita, utilizzando matrici diverse, in ogni periodo dell’anno.
Il campione da sottoporre ad analisi deve provenire da almeno 4 rametti di uno o due anni di età
prelevati nei quattro punti cardinali.
Le matrici in cui è stata riscontrata la maggior concentrazione del viroide, a seconda della stagione in
cui viene eseguita la diagnosi sono riportate qui di seguito.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Matrice
Inverno Primavera Estate Autunno
Gemme
+++
----
----
----
Corteccia
++
+++
+++
++
Foglie
---
++
+++
++
Frutto
---
++++
++++
---
È opportuno sottolineare che l’utilizzo delle gemme prelevate durante il riposo invernale consente di
effettuare l’accertamento dello stato sanitario del materiale di propagazione proprio durante il periodo
in cui più attiva è la sua commercializzazione.
Il campione, appena prelevato, deve essere cartellinato e conservato, ermeticamente chiuso in buste di
plastica, in idonee borse frigorifere e, giunto in laboratorio, trasferito in camera fredda a 4°C.
Se ben conservato, il campione può essere analizzato entro un arco di tempo di 5 giorni, per foglie e
frutti, e di circa un mese per gemme e corteccia.
Ibridazione molecolare per impronta di tessuto ("tissue printing")
È una tecnica molecolare che, attraverso l’uso di una sonda di cRNA marcata con digoxigenina,
consente di rilevare la presenza dell’RNA viroidale. La sintesi della sonda di cRNA avviene mediante
trascrizione in vitro del cDNA complementare all' intera sequenza di PLMVd clonato nel plasmide
PGEM3ZF(+). La sonda viene successivamente coniugata con digoxigenina seguendo le istruzioni di
un kit commerciale (DIG RNA Labelling Kit SP6/T7 – Roche).
Si deve lavorare con guanti, utilizzando materiale sterile (tamponi e vetreria).
Il saggio di diagnosi prevede le seguenti fasi:
Impronta di tessuto (tissue printing):
attivare la membrana di nylon (del tipo caricato positivamente) immergendola per 20' in H2O
distillata e 20' in 2xSSC;
asciugare la membrana su carta da filtro e disegnare uno schema (celle quadrate di cm 1,5 di
lato);
tagliare il tessuto scelto per il saggio con una lama da bisturi e, aiutandosi con una pinzetta,
premere la superficie di taglio sulla membrana di nylon per consentire l'assorbimento della linfa;
avvolgere la membrana con una pellicola trasparente;
trasferire la membrana in un cross-linker (Optimal cross-linker) o esporla per 15 min agli UV al
fine di fissare gli acidi nucleici;
conservare la membrana a 4°C proteggendola tra due lastre di vetro. La membrana può essere
mantenuta in queste condizioni anche per diversi mesi.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Pre-ibridazione
trasferire la membrana in provettoni sterili contenenti 10 ml di miscela di pre-ibridazione così
composta:
Miscela (concentrazioni finali):
x 10 ml
50% formammide
5xSSC
0,1% NLS
0,02% SDS
2% Blocking Reagent
100 µg/µl SSD*
dH2O
5 ml della soluzione madre
2,5 ml della soluzione madre 20x
100 µl della soluzione madre 10%
20 µl della soluzione madre 10%
2 ml
10 µl
370 µl
*il salmon sperm DNA va denaturato a 100°C per 3' (direttamente nella boccetta)
agitare in un fornetto da ibridazione per 2-3 ore a 70°C su un agitatore rotante.
Ibridazione
Aggiungere, nello stesso provettone dove è stata eseguita la pre-ibridazione, 0,2-0,5 µg/ml di
sonda digoxigenata. (la concentrazione varia in funzione della sensibilità della sonda);
agitare tutta la notte a 70°C in fornetto di ibridazione rotante;
N.B. è possibile conservare a – 20°C, o meglio a – 80°C, la miscela di ibridazione contenente la
sonda è riutilizzabile fino ad almeno 5 eventi di ibridazione senza perdita di sensibilità.
Lavaggi
Estrarre la membrana, trasferirla in un nuovo provettone sterile e sciacquarla come segue
(sempre agitando nel fornetto di ibridazione rotante):
- 2 volte: 15' a temperatura ambiente in 25 ml di 2xSSC + 0,1%SDS (5 ml SSC 20x + 500 µl
SDS 10% portati a 50 ml con acqua sterile)
- 2 volte: 15' a 55°C nel fornetto in 25 ml di 0,1x SSC + 0,1% SDS (250 µl SSC 20x + 500 µl
SDS 10% portati a 50 ml con acqua sterile)
Rilevamento
Si utilizzano i tamponi ed i protocolli indicati dalla Ditta fornitrice del kit (DIG-Luminescent
Detection Kit - Roche).
Trasferire la membrana in un contenitore sterile (vaschetta di plastica o vetro) ed immergerla:
5' in 25 ml di tampone di lavaggio (WB);
30' in 20 ml di tampone B2;
30' in 20 ml di tampone B2 contenente anti-DIG-AP diluito1:5.000 (4 µl in 20 ml);
5' x 3 lavaggi in 25 ml di tampone di lavaggio (WB);
2' in 20 ml di tampone B3;
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Quindi:
su un foglio da lucidi dispensare la soluzione di substrato (CSPD) diluito 1:100 in tampone B3
(circa 1 ml per 100 cm2 di filtro); appoggiare sul velo di tampone la membrana;
eliminare il liquido in eccesso tamponando la membrana con carta da filtro;
mettere a contatto la membrana con un film autoradiografico e conservare al buio in scatole di
esposizione;
sviluppare e fissare il film dopo un periodo variabile da 30 minuti a 5-6 ore.
Tamponi utilizzati
Tampone di lavaggio (WB)
100 ml tampone B1 + 0,3%
Tween 20
Tampone B1
Tampone B2
0,1 M Acido maleico
pH 7,5 con NaOH in gocce
0,15 M NaCl
autoclavare
soluzione 1:10 del bloking
reagent (in dotazione del kit)
in tampone B1
Tampone B3
0,1 M Tris-HCl
0,1 M NaCl
50 mM MgCl2
SSC 10x:
3M NaCl
0.3M trisodio citrato 2H2O
pH 9,5 (non si può
autoclavare per cui si filtra e
si tiene al buio)
pH 7 con HCl
In Fig. 1 è riportato un filtro in cui si evidenziano le risposte che si ottengono con materiale infetto.
Limitazioni d’uso
La principale limitazione d’uso può essere dovuta alla preparazione della sonda. Questa, infatti, al
momento non è presente in commercio ma può essere richiesta all’Istituto Sperimentale per la
Patologia Vegetale di Roma sia già pronta all’uso che sotto forma di plasmide. Inoltre, è possibile
sensibilizzare i filtri con i campioni e poi inviarli ai laboratori già in possesso della sonda per
completare le successive fasi di rilevamento.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Strumentazione specifica
Il laboratorio di diagnosi deve essere dotato della normale strumentazione di base (bilance,
pHmetro, frigorifero, distillatore d’acqua) nonché di fornetto da ibridazione e apparato ad UV per
fissare gli acidi nucleici. È necessaria, inoltre, una camera oscura per eseguire tutte le procedure di
sviluppo e fissaggio del film autoradiografico.
BIBLIOGRAFIA
Barba M. 1999. Il viroide del mosaico latente del pesco e il virus del mosaico del pesco. Notiziario
sulla protezione delle piante, 10, 117-122.
Desvignes J.C. 1986. Peach latent mosaic and its relation to peach mosaic and peach yellow mosaic
virus diseases. Acta Horticulturae 193:51-57.
Desvignes J.C., Boye R., Cornaggia D. and Grasseau N. 1999. Maladies à
virus des arbres fruitieres. Centre technique interprofessionel des fruits et legumes , CTIFL
Editor, Paris.
Diener T.O. 1991. Subviral pathogens of plants: Viroid and Viroid-like satellite RNAs. FASEB J.,
2808-2813.
Flores R., Hernandez C., Desvignes J. C. and Llàcer G. 1990. Some properties of the viroid inducing
peach latent mosaic disease. Res. Virol., 141, 109-118.
Hadidi, A., Giunchedi, L., Shamloul, A.M., Poggi Pollini C., and Amer A.M. 1997. Occurrence of
peach latent mosaic viroid in stone fruits and its trasmission with contaminated blades. Plant
Disease, 81: 154-158.
Loreti S., Faggioli F., Barrale R. and Barba M. 1998. Occurrence of viroids in temperate fruit trees in
Italy. Acta Horticulturae, 492, 55-59.
Loreti S., Faggioli F., Cardoni M., Mordenti G., Babini A.R., Poggi Pollini C. and Barba M. 1999.
Comparison of different diagnostic methods for detection of peach latent mosaic viroid. EPPO
Bulletin, 29, 433-438.
Ragozzino E., Barrale R., Simeone A.M., Conte L., Faggioli F., Barba M. 2001. Il viroide del mosaico
latente del pesco: studio sulle possibili vie di trasmissione. Atti VIII Convegno Nazionale SIPaV,
p 24, Potenza 3-5 ottobre 2001.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
3
La diagnosi del fitoplasma degli scopazzi del melo
Barba M.1, G. Boccardo2, L. Carraro3, P. Del Serrone1, P. Ermacora3, G. Firrao3, N. Loi3, M. Malfitano4,
C. Marcone4, C. Marzachì2, R. Musetti3, R. Osler3, S. Palmano3, A. Ragozzino4
1
Istituto Sperimentale per la Patologia Vegetale, Roma; 2 Istituto di Fitovirologia del CNR, Torino;
3
Dipartimento di Biologia Applicata alla Difesa delle Piante, Udine;
4
Istituto di Patologia Vegetale, Portici
Riassunto
Quella degli scopazzi del melo (AP) è una grave malattia delle pomacee di natura fitoplasmale la
cui diagnosi, fino a pochi anni fa, era essenzialmente affidata alla osservazione dei sintomi e all'uso di
indicatori biologici e di tecniche di microscopia. Recentemente, l'applicazione di tecniche sierologiche
e di biologia molecolare ha consentito di identificare il fitoplasma agente causale della malattia
direttamente nelle piante legnose. Tuttavia, anche per queste metodiche, per garantirne l’affidabilità e
la ripetitività dei risultati, è stato necessario mettere a punto procedimenti analitici standardizzati e
verificati.. Si sono quindi definiti 2 protocolli: quello sierologico e quello molecolare, che consentono
di diagnosticare AP nelle piante di melo.
SUMMARY
Apple proliferation diagnosis
Apple proliferation (AP) is an economically important disease of pome fruit trees caused by
phytoplasmas whose diagnosis, until few years ago, was mainly based on symptom expression, on
microscope observation and on the use of biological indicators. Recently, serology and molecolar
techniques are used as sensitive and reliable diagnostic methods, to detect phytoplasmas directly in
woody hosts.
Specific protocols for serological and molecular biology AP-phytoplasma detection have been
set up. Based on the described protocols AP detection is possible on apple - trees.
INTRODUZIONE
Apple proliferation = AP = scopazzi del melo, è una malattia da quarantena di origine
fitoplasmatica che crea seri danni economici ai melicoltori. Segnalata per la prima volta in Italia negli
anni ‘50, ha mostrato, recentemente, una certa recrudescenza in alcuni comprensori a forte vocazione
melicola della Val d’Aosta e del Trentino. In Italia, la sua distribuzione geografica, può essere così
riassunta:
3
Lavoro svolto nell’ambito del PF “Biotecnologie” - Area diagnostici, finanziato dal MiPAF. Progetto N. 453.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Friuli Venezia Giulia
Veneto
Emilia Romagna
Alto Adige
Trentino
Liguria
Lombardia
Piemonte
Valle d’Aosta
Presenza media
Sporadica
Nessuna segnalazione
Presenza limitata in zone ad altitudine superiore ai 600 m
Presente in percentuale più elevata in Val di Sole e
Val di Non (altitudine superiore agli 800 m)
Nessuna segnalazione
Presenza sporadica
Segnalata in alcuni frutteti a produzione biologica
Presente fin dal 60. Incidenza significativa su tutto
il territorio.
Per AP, è in fase di predisposizione, da parte del Ministero per le Politiche Agricole e Forestali, un
decreto di lotta obbligatoria applicabile a livello regionale. E’ opportuno ricordare, inoltre, che questa
malattia non deve essere presente in materiale di propagazione commercializzato come “certificato”.
Le piante infette da AP generalmente non muoiono ma mostrano anomalie e malformazione dei
germogli consistenti in scopazzi, rosettamenti e vegetazione anticipata; le foglie sono piccole,
irregolari e con grandi stipole; i frutti sono piccoli, malformati e con picciolo allungato. Il blocco del
flusso floematico può causare clorosi ed arrossamenti fogliari, fragilità dei tessuti e ispessimento della
corteccia. Alcune varietà sono particolarmente sensibili: Golden delicious, Renetta del Canadà,
Granny Smith, Idared, Gravenstein, Starking ed anche le cultivar resistenti alla ticchiolatura, come
Florina. Nel caso di ceppi particolarmente aggressivi, su varietà molto sensibili, si può avere una
perdita di produzione molto elevata. Le piante infette, inoltre, sono più soggette ad attacchi di
Phytophtora, di oidio e di Stereum. In meleti infetti la percentuale di piante malate aumenta nei primi
anni (2-3) per poi stabilizzarsi. La diffusione è a chiazze o file. L’osservazione dei sintomi è facilitata
in autunno (arrossamenti fogliari, malformazioni e decolorazioni varie) ed inverno (scopazzi).
Agente causale della malattia è un fitoplasma strettamente correlato a quello della moria del
pero e dei giallumi europei delle drupacee. E’ diffuso in campo da psille (Cacopsylla costalis, C.
melanoneura).
Fino a pochi anni fa la diagnosi di AP era affidata esclusivamente all'utilizzo di indicatori
biologici o ad osservazioni al microscopio ottico, a luce fluorescente, di sottili sezioni di tessuto
corticale, colorate con il fluorocromo DAPI (4-6 diamidino-2-fenilindolo) che si lega in modo
aspecifico agli acidi nucleici (Seemüller, 1976).
In seguito alla applicazione di tecniche basate sull'amplificazione di sequenze degli acidi
nucleici (PCR) è stato possibile migliorare la identificazione e la caratterizzazione dei fitoplasmi anche
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
in piante arbustive ed arboree, nelle quali la loro concentrazione è spesso al di sotto della soglia di
sensibilità di altre tecniche (Ahrens e Seemüller, 1992).
L'analisi del gene codificante il 16S rRNA ha permesso, inoltre, di suddividere i fitoplasmi in
diversi gruppi in base ai vari gradi di omologia di sequenza (Seemüller et al., 1994). La disponibilità
delle sequenze ha permesso di individuare siti di restrizione diagnostici per gli specifici gruppi di
fitoplasmi.
Anche le tecniche sierologiche – basate sull’utilizzo di anticorpi monoclonali (Mabs)- quali
ELISA ed immunofluorescenza (IF), sono state applicate con successo al rilevamento dei fitoplasmi in
matrici vegetali infette (Jiang et al., 1989; Schwartz et al., 1989).
Qui di seguito vengono riportati i protocolli di diagnosi sierologica e molecolare risultati,
(attraverso una precedente prova comparativa, Barba et al., 1998) idonei a rilevare AP in piante di
melo infette.
Il metodo sierologico (ELISA), grazie alla semplicità d’uso, può essere utilizzato in una fase
iniziale di selezione sanitaria o in indagini massali (decreti di lotta obbligatoria) dove il numero di
analisi da effettuare è particolarmente elevato.
Il metodo molecolare, più laborioso ma più sensibile, è suggerito, invece, per verificare la
assenza di AP in germoplasma di pregio (accessioni primarie dei costitutori, piante capostipiti in un
processo di certificazione, piante madri) o, per confermare eventuali risultati dubbi.
DIAGNOSI SIEROLOGICA
La diagnosi sierologica di AP si è basata sull'utilizzo di un anticorpo monoclonale (Mab) prodotto
da un ibridoma denominato 1F4/1E2, ottenuto presso il Dipartimento di Biologia Applicata alla Difesa
delle Piante dell'Università di Udine (Loi et al., 1998) e attualmente commercializzato dalla Ditta
BIOREBA AG (Reinach, Svizzera).
Protocollo ELISA
1.
Campionamento
Il test ELISA può essere eseguito su campioni di foglie, rametti e radici di melo.
Foglie. Il periodo ottimale per il campionamento va da luglio ad ottobre; le foglie, 12-15 per pianta,
devono essere prelevate a “random” da almeno 4 rametti diversi (privilegiando le parti sintomatiche, se
presenti); il materiale non deve essere senescente.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Rametti. Il campionamento può essere effettuato da luglio fino ad inverno avanzato (dicembregennaio) prelevando 4-5 porzioni di rametti di 1 anno di età e di 20-25 cm di lunghezza.
Radici. Il campionamento può essere effettuato durante tutto il periodo dell'anno, prelevando
radichette capillari (1,5-2 grammi) o radici secondarie (stessa modalità vista per i rametti).
Il campione, appena prelevato, deve essere chiuso ermeticamente in buste di plastica e
conservato in idonee borse frigorifere; giunto in laboratorio, va trasferito in camera fredda, a 4°C.
Se ben conservato, il campione può essere analizzato entro un arco di tempo di 3 giorni.
2. Preparazione dell’antigene
Foglie. Nervature fogliari vengono separate dalla lamina fino al raggiungimento di 1,5-2g di materiale
e quindi macerate (in mortaio, pressa o apposito apparato) in tampone di estrazione nel rapporto 1:10
W/V.
Rametti. Dopo eliminazione della corteccia, mediante raschiatura superficiale, si preleva la porzione
del floema, escludendo i tessuti xilematici più interni; il campione va quindi macerato come sopra.
Radici. I campioni vanno abbondantemente lavati per rimuovere ogni traccia di terra; le radichette
vengono quindi macerate direttamente come descritto per le nervature fogliari; le radici secondarie
vengono trattate come i rametti, tenendo presente che in questo caso i fasci floematici sono più
profondi.
3. DAS-ELISA
Per la sensibilizzazione delle piastre ELISA (NUNC MaxiSorp) si utilizza Mab purificato alla
concentrazione di 5 µg/ml, in tampone carbonato/bicarbonato, in ragione di 200µl per ciascun pozzetto
della piastra; l'incubazione può essere condotta a 30°C per 4 ore o per tutta la notte a 4°C. Nei pozzetti
sensibilizzati, dopo 3 lavaggi con PBS-Tween 20, si aggiungono i succhi dei campioni la cui
incubazione va condotta a 4°C per 14-16 ore. Dopo la rimozione dell'antigene in eccesso, nei pozzetti
ELISA viene aggiunto il Mab coniugato e diluito 1:1000 in apposito tampone; la durata
dell'incubazione è di 5 ore a 30°C. L'ultima fase della procedura prevede l'aggiunta del substrato di
reazione per l'enzima. La presenza dell'enzima e quindi dell'antigene si rende evidente mediante la
formazione di un composto colorato; l'intensità di tale colorazione, in rapporto diretto con la
concentrazione dell’antigene, viene misurata allo spettrofotometro. I valori di densità ottica (al netto
del bianco) dei campioni positivi, dopo 2 ore di incubazione, possono variare da 0,200 a 1,300; per i
controlli negativi i valori oscillano da 0,030 a 0,065.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
5. Avvertenze.
Per questa tecnica devono e possono essere utilizzate parti diverse della pianta, in funzione dei
periodi dell'anno. E’ comune l’esito positivo dei test applicati alle radici e negativo alla chioma,
specialmente su piante asintomatiche. La conservazione dei campioni in congelatore è sconsigliata in
quanto questa porta ad una drastica diminuzione dei valori ELISA.
6. Strumentazione specifica.
Il laboratorio di diagnosi deve essere dotato della normale strumentazione di base (bilance,
pHmetro, frigorifero, distillatore d’acqua) nonchè di termostato e lettore di piastre ELISA.
7. Tamponi.
Sono quelli indicati dalla Ditta fornitrice del Kit e comunemente impiegati in ELISA per il
rilevamento dei virus (http://www.biorba.ch).
DIAGNOSI MOLECOLARE
La diagnosi molecolare prevede tre fasi operative: estrazione degli acidi nucleici, amplificazione
a catena della polimerasi (PCR), analisi della lunghezza dei frammenti di amplificazione.
Protocollo PCR
1.Campionamento
Foglie verdi, prelevate ad inizio estate e prive di necrosi evidenti, sono la matrice ottimale su cui
eseguire la diagnosi.
Le foglie, minimo 12 per pianta, devono provenire da almeno 4 rametti di uno o due anni prelevati nei
quattro punti cardinali.
Il campione, appena prelevato, deve essere cartellinato e conservato, ermeticamente chiuso in buste di
plastica, in idonee borse frigorifere e, giunto in laboratorio, trasferito in camera fredda a 4°C.
Se ben conservato, il campione può essere analizzato entro un arco di tempo di 3 giorni.
Il periodo suggerito per la raccolta e l'analisi dei campioni è il mese di luglio.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
2. Estrazione degli acidi nucleici
Nell’ambito della prova comparativa è stato definito un metodo standard di preparazione degli
acidi nucleici giudicato soddisfacente da tutti i partecipanti. Al fine di renderlo accessibile a tutti, è
stata
preparata
una versione multimediale del protocollo (accessibile presso il sito
http://www.uniud.it/ phytoplasma/DNAprep.html) che si avvale di alcune immagini per illustrare i
passaggi maggiormente critici. Il protocollo, basato sulla procedura originariamente pubblicata da
Ahrens e Seemüller (1992), prevede le seguenti operazioni:
1.
Preparare circa 1,5 g di nervature centrali da foglie verdi senza necrosi evidenti. Utilizzando un
bisturi, tagliare le nervature e raccoglierle in piccoli pezzi in un mortaio precedentemente raffreddato e
mantenuto in ghiaccio, aggiungendo 7/8 ml di PGB (Phytoplasma grinding buffer) freddo e preparato
poco prima di essere usato. Incubare in ghiaccio per 10-15 minuti.
2.
Aggiungere circa 50 mg di sabbia di quarzo (Sigma cat. S9887) e sminuzzare accuratamente
col pestello. Aggiungere ancora 5 ml di tampone freddo nel mortaio e continuare la frantumazione ora
in modo più veloce fino ad ottenere una miscela omogenea. Lasciare in ghiaccio per 10 minuti.
3.
Trasferire la miscela in una provetta da 15 ml e centrifugare (il rotore deve essere stato
preventivamente raffreddato) a 2.500 g (4.500 rpm in un rotore Sorvall SS34) per 5 minuti. Quindi
trasferire con cautela il surnatante in una provetta Corex da 15 ml pulita e preraffreddata in ghiaccio.
4.
Centrifugare a 18.000 g (21.500 rpm in Sorvall SS34) per 25 minuti. Scartare con attenzione il
surnatante e far asciugare le provette capovolte per uno o due minuti.
5.
Risospendere bene (senza fare schiuma) il pellet in 2 ml di CTAB buffer usando pipette Pasteur
in plastica monouso con bocca larga. Trasferire 1 ml in provetta Eppendorf da 2 ml. Incubare i tubi in
bagno termostatato (60°C) per 15-60 minuti. Possibilmente agitare (vortex) le provette un paio di volte
durante il periodo di incubazione.
6.
Aggiungere approssimativamente 1 ml di cloroformio isoamylalcol (24:1), mescolare la
soluzione energicamente e passarla al vortex per omogenizzarla. Centrifugare a 6.000 rpm per 10
minuti a temperatura ambiente, poi prelevare con attenzione la fase acquosa (superiore) contenente gli
acidi nucleici e trasferirla in una provetta Eppendorf da 2 ml. Trascurare l'interfaccia. I pigmenti
dovrebbero rimanere nella fase organica.
7.
Precipitare gli acidi nucleici aggiungendo un volume di isopropanolo freddo e mescolando.
Mettere i tubi a 4°C o in ghiaccio per 1 ora. Centrifugare a 10.000 rpm per 10 minuti. Quindi scartare
il surnatante alcolico e lavare attentamente la provetta con 80% etanolo. Asciugare in liofilizzatore per
5 minuti.
8.
Risospendere gli acidi nucleici nel tubo con 400 l di TE. Precipitare gli acidi nucleici
aggiungendo 40 l di 3M Na Acetato e 0,9 ml di etanolo (95%). Lasciar incubare per almeno 2 ore a 20°C o 30 minuti a -80°C. Centrifugare a 10.000 rpm per 10 minuti. Quindi scartare il surnatante
alcoolico e lavare attentamente la provetta con 80% etanolo. Asciugare in liofilizzatore per 5 minuti.
9.
Risospendere il DNA in 100 l di acqua (PCR grade).
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Tamponi utilizzati
PGB (PHYTOPLASMA GRINDING BUFFER) per 1 litro
K2HPO4
16,7g (anidro) o 21,7g (3 idrato)
KH2PO4
4,1g
Saccarosio
100g
BSA (fraction V)
1,5g
PVP10000
20g
Acido ascorbico
5,3g
pH=7,6
Preparare poco prima dell'uso. NON AUTOCLAVARE.
2% CTAB BUFFER
CTAB
Tris pH8
EDTA pH8
NaCl
PVP 10000
per 500ml
10g
50ml da 1M
20 ml da 0.5 M
40,9g
5g
3. Reazione a catena della polimerasi
La reazione di amplificazione specifica è stata condotta in un volume totale di 50 µl in presenza di:
1 X PCR Buffer (Roche),
0.5 µM primer fO1 (5'-CGGAAACTTTTAGTTTCAGT-3'),
0.5 µM primer rO1 (5'-AAGTGCCCAACTAAATGAT-3'),
100 µM dNTPs,
2 U. Taq polimerasi,
5µl di acidei nucleici dall'estrazione precedentemente descritta.
La reazione è stata sottoposta al seguente ciclo di incubazioni: 2 minuti a 95° C seguita da 35 cicli
costituiti da 30 secondi a 95° C, 75 secondi a 55° C e 90 secondi a 72° C. Infine la reazione è stata
completata con 10 minuti di incubazione a 72° C. La reazione è stata eseguita anche su estratti di acidi
nucleici da almeno un controllo positivo ed uno negativo.
4. Esame della lunghezza dei frammenti di amplificazione
Cinque µl dei prodotti amplificati sono stati analizzati in gel di agarosio al 1.5%, colorati con
bromuro d'etidio e visualizzati agli UV su transilluminatore. Tutti i campioni devono presentare un
amplificato di circa 1500 bp nella reazione di controllo. I campioni risultano positivi quando è
presente un amplificato di 1050 bp nella reazione di amplificazione specifica.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
5. Limitazioni d’uso.
Punto critico del protocollo è l’estrazione degli acidi nucleici dai campioni fogliari. Una
scarsa qualità del DNA totale, infatti, può compromettere la fase successive di amplificazione.
6. Strumentazione specifica.
Il laboratorio di diagnosi deve essere dotato della normale strumentazione di base (bilance,
pHmetro, frigorifero, distillatore d’acqua) nonchè di termociclatore, apparati elettroforetici,
transilluminatore.
BIBLIOGRAFIA
Ahrens U. e E.Seemüller, 1992. Detection of DNAof plant pathogenic mycoplasmalike organisms by
a polymerase chain reaction that amplifies a sequence of the 16S rRNA gene.Phytopathology,
82: 828-832.
Barba M., Boccardo G., Carraro L., Del Serrone P., Ermacora P., Firrao G., Giunchedi L., Loi N.,
Malfitano M., Marcone C., Marzachì C., Musetti R., Osler R., Palmano S., Poggi Pollini C.,
Ragozzino A., 1999. Confronto fra differenti tecniche di diagnosi applicate al rilevamento di
fitoplasmi in Pomacee. Notiziario sulla protezione delle piante, 9 (nuova serie): 263-277.
Jiang Y.P., Chen T.A., Chiykowski, Sinha R. C., 1989. Production of monoclonal antibodies to peach
eastern X-disease agent and their use in disease detection. Canadian Journal of Plant Pathology,
11(4):325-331.
Loi N., P. Ermacora, L. Carraro, R. Osler, T.A. Chen, 1998. Apple proliferation detection using
monoclonal antibodies. Proceedings XII International Congress of the International Organization
for Mycoplasmology. Sidney, Australia, July 22-28, 1998
Lorenz K.H., B.Schneider, U.Ahrens e E.Seemüller, 1995. Detection of the apple proliferation
phytoplasma and pear decline phytoplasma by PCR amplification of ribosomial and
nonribosomial DNA. Phytopathology, 85: 771-776.
Schwartz Y., Boudon-Padieu E., Grange J., Meignoz R., Caudwell A., 1989. Obtention d'anticorps
monoclonaux specifiques de l'agent pathogene de type mycoplasme (MLO) de la flavescence
doree de la vigne. Res. Microbiol., 140:311-324.
Seemüller E. 1976. Investigations to demonstrate mycoplasmalike organisms in diseased plants by
fluorescence microscopy. Acta Horticulturae 67: 109-112
Seemüller E., L.Kunze e U.Schaper, 1984. Colonization behavior of MLO and symptom expression of
proliferation-diseased apple trees and decline-diseased pear trees over a period of several
years.Z. Pflkrautkh.Pflschutz, 91: 525:532.
Seemüller E., B.Schneider, R.Maurer, U.Ahrens, X.Daire, B.Kison, K.H.Lorenz, G. Firrao, L.Avinent,
B.B.Sears e E.Stackebrandt, 1994.Phylogenetic classification of phytopathogenic mollicutes by
sequence analysis of 16S ribosomial DNA. Int.Jour.Syst.Bacteriol., 44: 440-446.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Protocolli per gli accertamenti sanitari degli organismi patogeni di
qualità delle drupacee
A. Bazzoni, D. Boscia, A. Cardone, A. Crescenzi, A. Ippolito, A. Minafra, F. Nigro,
G. Romanazzi, L. Schena, M. Silletti, N. Vovlas
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
I. FUNGHI
INTRODUZIONE
Nella proposta di protocollo di produzione del materiale di propagazione per le drupacee
elaborata nell’ambito di questo Progetto (Bazzoni et al., 2001) sono stati indicati i seguenti patogeni
fungini pregiudizievoli per la qualità: Armillaria mellea, Rosellinia necatrix, Chondrostereum
purpureum, Nectria galligena, Taphrina deformans, Verticillium dahliae e diverse specie di
Phytophthora (P. cactorum, P. cambivora, P. citrophthora, P. drechsleri, P. megasperma); il DM del
14 aprile 1997, invece, per Verticillium e per Phytophthora non fornisce indicazioni sulle specie
coinvolte. Per C. purpureum (agente del mal del piombo) e V. dahliae (agente della tracheoverticilliosi)
è previsto un controllo visivo sulle fonti di approvvigionamento. Sul terreno dei campi di fonti iniziali,
sul substrato e sul terreno in semenzaio e in vivaio è invece prevista la diagnosi per la presenza di V.
dahliae e delle specie di Phytophthora agenti di marciume del colletto.
Marciume del colletto
La diagnosi del marciume del colletto può essere effettuata mediante isolamento del patogeno in
piastra su substrato semiselettivo o mediante ELISA. Queste tecniche consentono di accertarne la
presenza sia nel terreno, sia nei tessuti infetti. L’isolamento su substrato semiselettivo fornisce una
misura quantitativa precisa del numero di propaguli di Phytophthora spp. nel terreno e sulle radichette;
inoltre, tale tecnica permette l’individuazione delle specie coinvolte e fornisce una risposta nell’arco di
4-8 giorni. L’ELISA, sebbene non riesca a discriminare le specie di Phytophthora coinvolte, fornisce
una risposta in tempi più brevi (24 ore).
Gommosi del colletto
Phytophthora cactorum (L. C.) Schröter, P. cambivora (Petri) Buisman, P.
citrophthora (Sm. et Sm.) Leonian, P. drechsleri Tucker, P. megasperma
Drechsler
Tipo di diagnosi Isolamento su terreno di coltura semiselettivo, ELISA
Isolamento su terreno di coltura semiselettivo
Affidabilità del Buona
saggio
Terreno
Matrice
Da inizio primavera a metà autunno
Epoca di
campionamento
I campioni, raccolti in sacchetti in polietilene sterili, devono essere conservati a
Modalità di
temperatura ambiente e analizzati nell’arco di 4-7 giorni
conservazione
Diagnosi di Phytophthora spp. nel terreno mediante isolamento su substrato
Protocollo
semiselettivo (Allegato 1)
adoperato
Malattia
Agenti
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Nel substrato selettivo possono crescere anche funghi appartenenti a generi
Note e
limitazioni d’uso affini come Pythium e Mortierella. Per isolare P. cactorum, è necessario
preparare un substrato selettivo per Phytophthora spp. (Allegato 1-A) senza
l’aggiunta di hymexazol, sostanza tossica per questa specie
ELISA
Affidabilità del Buona
saggio
Disponibilità di Discreta
corredi di
anticorpi sul
mercato
Terreno
Matrice
Da inizio primavera a metà autunno
Epoca di
campionamento
I campioni, raccolti in sacchetti in polietilene sterili, devono essere conservati a
Modalità di
temperatura ambiente e analizzati nell’arco di 4-7 giorni
conservazione
Diagnosi di Phytophthora spp. mediante ELISA (Allegato 2)
Protocollo
adoperato
In caso di risposta positiva, tale tecnica non riesce a distinguere la specie di
Note e
limitazioni d’uso Phytophthora coinvolta
Verticilliosi
Verticillium dahliae, responsabile della tracheomicosi delle drupacee nota come verticilliosi, è
un fungo ad habitat tellurico, dove può sopravvivere a lungo grazie alla differenziazione di
microsclerozi. Ai fini di una diagnosi precoce del patogeno (prima della comparsa dei sintomi esterni) e
per escludere infezioni asintomatiche, oltre ai rilievi visivi, sono necessari accertamenti di laboratorio
sul terreno dei campi di piante madri e sul terriccio in vivaio. Per il campo di piante madri, la diagnosi
dovrà essere effettuata al momento dell’impianto, determinando la densità di inoculo dei microsclerozi
in almeno 10 campioni/Ha. Inoltre, è necessario che il terriccio utilizzato in vivaio durante il ciclo
colturale sia esente dal fungo; pertanto, l’accertamento sanitario deve essere effettuato ogni qualvolta si
prepari una nuova miscela, analizzando almeno un campione ogni 5 m3 di terriccio. Per la diagnosi di
V. dahliae nel terreno sono disponibili substrati semiselettivi che consentono l’accertamento della
densità di inoculo dei microsclerozi del patogeno nel terreno in circa due mesi.
Verticilliosi
Malattia
Verticillium dahliae Kleb.
Agente
Tipo di diagnosi Isolamento su terreno di coltura semiselettivo
Isolamento su terreno di coltura semiselettivo
Affidabilità del Ottima
saggio
Terreno
Matrice
Intero anno
Epoca di
campionamento
I campioni, raccolti in sacchetti di plastica sterili chiusi, possono essere
Modalità di
conservati a temperatura ambiente anche per 3 mesi
conservazione
Diagnosi di V. dahliae nel terreno mediante isolamento su substrato
Protocollo
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
semiselettivo (Allegato 3)
adoperato
I tempi necessari per la diagnosi sono piuttosto lunghi (2 mesi)
Note e
limitazioni d’uso
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
PROTOCOLLI
Allegato 1
Diagnosi di Phytophthora spp. nel terreno
mediante isolamento su terreno di coltura semiselettivo
a) Prelievo dei campioni di terreno
1) individuare la forma e la superficie dell’appezzamento da sottoporre ad accertamento;
2) definire lo schema di prelievo dei campioni secondo percorsi preordinati dipendenti dalla forma
dell’appezzamento (ad es. a W, a doppio W, a Z, a X, etc.), in modo tale da non escludere
settori dal prelievo e da effettuare un campionamento sistematico-randomizzato, ossia prelievo
del campione ad intervalli regolari di n metri;
3) dopo aver allontanato uno strato superficiale di circa 5 cm, prelevare il campione di terreno fino
ad una profondità di 20-25 cm;
4) per ogni ettaro di terreno da sottoporre ad accertamento sanitario, prelevare almeno 10
campioni di circa 1 kg, costituiti ciascuno da 10 subcampioni;
5) nel caso dei terricci in vivaio, prelevare da punti diversi della massa un campione di circa 1 kg,
costituito da 10 subcampioni, ogni 5 m3;
6) sistemare i terreni o i terricci in buste di plastica per il trasporto in laboratorio e conservarli a
temperatura ambiente fino al momento dell’analisi.
b) Lavorazione dei campioni in laboratorio
7) mescolare accuratamente i campioni nelle stesse buste ove sono contenuti;
8) setacciare i campioni con vaglio a maglie di 2 mm;
9) pesare due aliquote da 10 g di terra fina e porli in beute da 100 ml;
10) prelevare una aliquota da 20 g per la determinazione del peso secco (mediante essiccazione in
stufa a 105°C per 24 ore);
11) diluire in agar acqua (0,1%) ciascuna aliquota da 10 g in rapporto 1/10 (p/v);
12) porre in agitazione la sospensione per 3 min mediante un agitatore magnetico;
13) pipettare 1 ml della sospensione in 10 piastre Petri (Ø 90 mm) contenenti 12,5 ml di un
substrato semiselettivo (Masago et al., 1977; Ippolito et al., 1991) (Allegato 1-A);
14) incubare le piastre in termostato al buio alla temperatura di 19±1°C;
15) contare le colonie di Phytophthora spp. dopo 4 e 8 giorni di incubazione. La densità di inoculo
(DI) di Phytophthora spp. nel terreno viene espressa come numero di propaguli per grammo di
terreno secco.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Allegato 1A
Substrato semiselettivo per Phytophthora spp. (Masago et al., 1977)
1) porre in un cilindro da litro 17 g di corn meal agar e portare al volume di 900 ml con acqua
distillata;
2) sterilizzare in autoclave a 1 atm per 20 min a 121°C;
3) raffreddare il substrato in bagno termostatato a 45-50°C;
4) aggiungere 100 ml di una soluzione antibiotica, contenente 27 mg di nystatin, 59 mg di PCNB,
27 mg di benomyl, 14 mg di rifampicina, 580 mg di ampicillina, ognuno dei quali sciolto in 20
ml di acqua distillata, e 0,25 ml di hymexazol;
5) agitare e dosare in piastre Petri con diametro di 90 mm (12,5 ml/piastra).
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Allegato 2
Diagnosi di Phytophthora spp. mediante ELISA
Il seguente protocollo è utile nella diagnosi di Phytophthora spp. sulla terra fina, ottenuta per
setacciamento del campione di terreno attraverso un vaglio con maglie di 2 mm. Un miglioramento
della sensibilità si ottiene utilizzando per la diagnosi i residui organici surnatanti, ricavati ponendo in
agitazione in matracci frangiflusso (270 rpm per 10 minuti) 100 g di terreno, sospesi in 200 ml di acqua
distillata (Romanazzi et al., 2001). I kit disponibili sono commercializzati dalle Ditte Agdia e Loewe.
Procedura:
1) numerare i campioni da saggiare e predisporre lo schema della loro distribuzione nella piastra,
includendo in ogni prova almeno un paio di campioni sicuramente infetti e altrettanti
sicuramente sani;
2) frantumare 1 g di terreno in azoto liquido;
3) sospendere il frantumato in 10 ml del tampone di estrazione;
4) filtrare la sospensione;
5) avviare la sensibilizzazione della piastra distribuendo in ciascun pozzetto 100 µl di IgG diluite
in tampone di sensibilizzazione, seguendo le indicazioni del fornitore;
6) coprire le piastre con apposito coperchio e incubare per 4 ore a 37°C;
7) eseguire cinque lavaggi con tampone di lavaggio;
8) seguendo lo schema predeterminato, distribuire in ciascun pozzetto 100 µl della sospensione del
campione corrispondente;
9) coprire le piastre con apposito coperchio e incubare per una notte a 4°C;
10) eseguire cinque lavaggi con tampone di lavaggio;
11) distribuire 100 µl della sospensione di IgG coniugate con fosfatasi alcalina, diluite in tampone
di coniugazione come indicato dal fornitore;
12) coprire le piastre con apposito coperchio e incubare per 4 ore a 37°C;
13) eseguire cinque lavaggi con tampone di lavaggio;
14) distribuire in ogni pozzetto 100 µl di P-nitrofenil-fosfato (1 mg/ml) disciolto, pochi minuti
prima dell’utilizzo, in tampone per il substrato, accertandosi che il contenitore per la soluzione
sia privo di impurità;
15) lasciar sviluppare la reazione colorimetrica (viraggio a color giallo) a temperatura ambiente per
0,5 - 2 ore;
16) effettuare la lettura dei valori di assorbanza dei singoli pozzetti della piastra, ad intervalli di
circa 30 minuti, mediante un fotometro (lettore di piastre ELISA) a 405 nm. Si considerano
infetti i campioni con una assorbanza uguale o superiore alla somma tra la media delle letture
fotometriche relative ai testimoni non infetti e il triplo della loro deviazione standard (Sutula et
al., 1986).
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Allegato 3
Diagnosi di V. dahliae nel terreno mediante isolamento su substrato semiselettivo
a) Prelievo dei campioni di terreno
Il prelievo dei campioni di terreno deve essere effettuato con le stesse modalità previste per la
diagnosi di Phytophthora spp. (Allegato 1).
Note - I campioni devono essere prelevati con terreno in tempera. Qualora fosse noto che un settore
dell’appezzamento sia stato precedentemente coltivato con una specie ortiva suscettibile a V. dahliae, è
opportuno che i campioni di terreno prelevati da tale settore siano tenuti separati da quelli prelevati dal
resto dell’appezzamento.
b) Lavorazione dei campioni in laboratorio
1) disporre i singoli campioni su fogli di carta assorbente, in modo da formare uno strato di 1-2
cm;
2) far essiccare i campioni di terreno o di miscela all’aria per circa 25-30 giorni, in un ambiente
fresco e ventilato, smuovendo periodicamente lo strato e sbriciolando le zolle più grosse;
3) una volta essiccati, mescolare accuratamente i terreni e setacciarli con vaglio a maglie di 2 mm;
4) pesare 25 g di terra fina e porli in una beuta frangiflusso da 250 ml;
5) portare ad un volume di 100 ml con acqua distillata sterile;
6) porre in agitazione per 1 h a 270 rpm su agitatore rotativo;
7) filtrare il terreno attraverso due setacci impilati aventi rispettivamente maglie da 150 e 20 µm;
8) raccogliere il materiale presente sul setaccio inferiore in una beuta e risospenderlo in 100 ml di
acqua distillata;
9) seminare uniformemente la sospensione su substrato semiselettivo di Harris (Allegato 3A) nella
misura di 2 ml per piastra (∅ 100 mm), per un totale di 10 piastre;
10) lasciare asciugare le piastre per circa 30 min sotto cappa e incubarle a 24°C al buio per 15
giorni;
11) lavare le piastre sotto acqua corrente, in modo da allontanare i residui di terreno presenti;
12) incubare nuovamente le piastre a 24°C, al buio, per 15 giorni;
13) rilevare il numero di colonie da microsclerozi servendosi di uno stereomicroscopio (almeno 20
ingrandimenti).
NOTE - Il numero di microsclerozi per grammo di terra (N) fina può essere calcolato come segue: N =
n x 2, dove n = numero medio di microsclerozi per piastra; 2 = fattore di diluizione.
Difficoltosa risulta la distinzione dei microsclerozi di V. dahliae da quelli di V. tricorpus. In
quest’ultima specie i microsclerozi sono più grandi e più tondeggianti, caratteristiche difficilmente
apprezzabili con un esame allo stereomicroscopio; osservate attentamente in coltura, invece, le due
specie possono essere distinte per la presenza di clamidospore e di ife scure che caratterizza V.
tricorpus.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Allegato 3A
Preparazione del substrato semiselettivo per Verticillium dahliae (Harris et al., 1993)
Preparazione dell’estratto di suolo:
Porre 1 kg di terreno in 1000 ml di acqua distillata, sterilizzare ad 1 atm per 20 min, far decantare la
sospensione, filtrare sottovuoto su carta Whatman e conservare a 5°C.
Preparazione del substrato agarizzato:
In un cilindro da litro porre:
• 24 ml di estratto di suolo;
• 1,5 g di KH2PO4;
• 4 g di K2HPO4;
• 1 ml di tergitolo;
• 2 g di sodio polipectato;
• 15 g di agar;
• 2 ml di soluzione salina contenente 10 g di KH2PO4, 5 g di KCl, 5 g di MgSO4, 0,1 g di FeSO4, 20
g di NaNO3 in 100 ml di acqua distillata;
• portare al volume di 900 ml con acqua distillata;
• versare il contenuto del cilindro in una bottiglia da litro e sterilizzare in autoclave ad 1 atm per 20
min;
• dopo aver raffreddato il substrato in bagno termostatato a 45-50°C, aggiungere 100 ml di una
soluzione antibiotica contenente 60 mg di cloramfenicolo, 60 mg di clortetraciclina, 50 mg di
streptomicina solfato e 6 mg di biotina;
• agitare e dosare in piastre Petri con diametro di 100 mm (12,5 ml/piastra).
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
BIBLIOGRAFIA
Bazzoni A., Minafra A., Ippolito A., Vovlas N., Cariddi C., Amenduni T., Finetti-Sialer M.M., Di
Terlizzi B., Savino V. 2001. Punti critici delle drupacee. In: Savino V. (Coordinatore), Atti del
convegno Progetto POM A32 - I risultati di due anni di attività. Termoli, 1-2 marzo 2001, 22
pp. (http://www.agr.uniba.it/poma32/Termoli/AttiTermoli.htm).
Harris D.C., Yang J.R., Ridout M.S. 1993. The detection and estimation of Verticillium dahliae in
naturally infested soil. Plant Pathology 42: 238-250.
Ippolito A., De Cicco V., Salerno M. 1991. Aspetti eziologici ed epidemiologici del marciume radicale
degli agrumi da Phytophthora spp. in Puglia e Basilicata. Phytopathologia Mediterranea 30:
47-51.
Masago H., Yoshikawa M., Fukada M., Nakanishi N. 1977. Selective inhibition of Pythium spp. from
soils and plants. Phytopathology 67: 425-428.
Romanazzi G., Nigro F., Schena L., Ligorio A., Pentimone I., Ippolito A. 2001. Impiego di kit
commerciali ELISA nella diagnosi di Phytophthora spp. agenti del marciume radicale degli
agrumi. Atti XIV Convegno Nazionale di Micologia, Selva di Fasano, Fasano (BR), 22-27
ottobre. Micologia Italiana (in stampa).
Sutula C.L., Gillet J.M., Morrissey S.M., Ramsdell D.C. 1986. Interpreting ELISA data and
establishing the positive-negative threshold. Plant Disease 70: 722-726.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
II. NEMATODI
INTRODUZIONE
Per l’accertamento della presenza di nematodi fitoparassiti in un ambiente agrario e la
successiva determinazione della specie, fondamentale importanza rivestono la raccolta e l’esame
diagnostico di laboratorio dei campioni di terreno e delle parti della pianta infestati. La conoscenza,
quindi, del comportamento biologico dei nematodi e del loro rapporto con le diverse parti della pianta
ospite è basilare per una corretta estrazione quantitativa e qualitativa.
CAMPIONAMENTO E METODI DI ESTRAZIONE
I campioni di vegetali e/o di terreno da analizzare, costituiti da sub-campioni prelevati a caso
(almeno 10 campioni finali per una superficie di 1 ha), devono essere posti in sacchetti di polietilene e
conservati, in attesa di essere esaminati, in cella frigorifera a 4–6°C per evitare alterazioni (schiusa
delle uova, morte delle larve, ecc.).
PRELIEVO E COMPOSIZIONE DEL CAMPIONE
Per il campionamento dei nematodi delle piante arbore (endoparassiti migratori e sedentari,
semi-endoparassiti e vettori di virus vegetali), ogni momento richiesto per un controllo fitosanitario
risulta adatto. Il campione (1-2 kg circa), prelevato dalla rizosfera della pianta ospite ad una profondità
di 5-40 cm, deve essere preferibilmente composto da radici capillari e terreno circostante.
METODI DI ESTRAZIONE DEI NEMATODI DALLE RADICI
I nematodi fitoparassiti, in genere, possono invadere varie parti della pianta ospite. Nelle radici di
piante da frutto vari stadi di sviluppo di nematodi endoparassiti e semi-endoparassiti possono essere
presenti in varie fasi del loro sviluppo e possono essere estratti con il metodo della omogeneizzazione.
Questo metodo è generalmente usato per estrarre i vari stadi di sviluppo di nematodi sia endo- che
semi-endo parassiti sedentari (Meloidogyne spp.e Tylenchulus semipenetrans) e endo-parassiti
migratori (Pratylenchus spp.).
Le attrezzature necessarie sono:
- un comune frullatore
- due setacci con maglie da 710 e 40 µm, rispettivamente.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Le varie fasi si possono riassumere così:
riduzione delle radici in pezzi da 1-1,5 mm;
frantumazione delle radici (10 g. circa in 100 ml di acqua) con il frullatore;
filtrazione della sospensione ottenuta attraverso i due setacci, posti l’uno sull’altro, con maglie da
710 e 40 µm e successiva raccolta di nematodi e residui vegetali in sospensione acquosa;
osservazione microscopica della sospensione ed identificazione dei nematodi.
La sospensione di nematodi, ottenuta con il metodo sinora descritto, può essere resa più limpida con
una opportuna centrifugazione.
METODI DI ESTRAZIONE DEI NEMATODI DAL TERRENO
I nematodi fitoparassiti possono essere presenti nel terreno sotto forma di uova, larve infestanti,
stadi larvali intermedi e adulti.
I nematodi liberi nella rizosfera possono essere recuperati con il metodo del travaso e con il metodo
della centrifugazione.
Travaso o setacciamento
Sono richiesti alcuni secchi da 5-6 litri e una serie di setacci con maglie di varia apertura per
raccogliere gli esemplari di tutte le dimensioni.
Le varie fasi dell’estrazione possono essere così riassunte:
sospensione in acqua di circa 1 kg di terreno;
uno o due travasi della sospensione in secchi successivi, osservando brevi pause per favorire la
decantazione dei residui terrosi più grossi;
filtrazione della sospensione attraverso 2 setacci da 710 e 40 µm per raccogliere i nematodi e
particelle terrose;
osservazione microscopica del campione.
Centrifugazione
Questo metodo è molto indicato per la raccolta di nematodi liberi attivi e passivi presenti nel
terreno. Le attrezzature che occorrono sono:
centrifuga con contenitori da almeno 500 ml;
rimescolatore (agitatore) a vibrazione.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Procedimento:
sospendere il campione di terreno da esaminare in 4-5 litri di acqua;
concentrare attraverso un setaccio detriti organici e nematodi in modo da ottenere un campione di
400 –500 ml, aggiungendo 10-20 g di caolino;
centrifugare per 3-5 minuti a 2500 giri;
eliminare il supernatante;
sospendere nuovamente il residuo (detriti e nematodi ) in una soluzione di solfato di magnesio
avente una densità di 1,2 (465 g di prodotto commerciale per litro di acqua), mediante un
agitatore;
centrifugare nuovamente per 2-3 minuti a 2000 giri/m;
recuperare i nematodi filtrando il supernatante attraverso un setaccio di 5 µm;
osservazione microscopica della sospensione.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
III. VIRUS ED AGENTI VIRUS-SIMILI
INTRODUZIONE
Nella proposta di protocollo di produzione del materiale di propagazione per le drupacee
elaborata nell’ambito di questo progetto, come agenti virali pregiudizievoli alla qualità della drupacee
sono stati indicati i seguenti virus: il nanismo del susino (PDV), la maculatura anulare necrotica dei
Prunus (PNRSV), la maculatura clorotica fogliare del melo (ACLSV) ed il mosaico del melo (ApMV).
Inoltre, nello stesso protocollo è stato considerato anche PPV, virus oggetto di lotta obbligatoria.
Per il loro accertamento sanitario, lo stesso protocollo prevede i rilievi visivi (esame dei sintomi)
e saggio diagnostico in laboratorio, che secondo il periodo effettuato ed il tipo di tessuto utilizzato, può
essere sia sierologico (ELISA) che molecolare (RT-PCR).
PDV (virus del nanismo del susino)
PDV è presente in tutte le aree dove sono coltivate le specie del genere Prunus. I sintomi causati
da PDV possono classificarsi in due tipologie principali: i) maculature clorotiche e necrotiche, o, a
volte, mosaico giallo sulle foglie del ciliegio, le cui piante si presentano meno vigorose e sofferenti; ii)
nanismo su pesco e susino. In alcuni casi sui frutti possono manifestarsi, all’invaiatura, anulature o
macchie rossastre, mentre con l’innalzamento della temperatura i sintomi fogliari vengono mascherati.
PDV è un virus trasmissibile meccanicamente, ma meno facilmente di PNRSV. I tessuti erbacei
(fiori e/o giovani foglie) sono inoculati su Cucumis. sativus, che fornisce risposte nell’arco di 6-10
giorni dall’inoculazione. Con l’indexaggio, mediante innesto di piante di Prunus. serrulata cv.
Shirofugen e pesco cv. GF305, la diagnosi della malattia può essere ottenuta in 5-8 settimane.
Alcuni isolati blandi del virus non rispondono al saggio biologico su GF 305. Per questo,
l’indexaggio su questo indicatore è normalmente accompagnato dal saggio ELISA delle giovani foglie,
raccolte da 5-10 piante in un campione. Per le difficoltà di isolamento e di purificazione dai tessuti
erbacei ed una bassa immunogenicità di questo virus, sono disponibili sul mercato kit ELISA con
discreti livelli di sensibilità. La determinazione della sequenza genica del virus permette di produrre
diagnostici molecolari (primer per PCR e sonde per ibridazioni), ad elevata specificità e sensibilità. Un
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
limite nell’applicazione della diagnosi molecolare è però nella complessità delle attrezzature e nella
elevata professionalità richiesta agli operatori
Agente
PDV (virus del nanismo del susino)
Discreta
Disponibilità di
corredi di anticorpi sul
mercato
Sequenze (RNA 3 e 4) da diversi isolati presenti in banche dati. Primer
Disponibilità di
per PCR disegnati su diverse porzioni del genoma e già validati.
sequenze per PCR
Tipo di tessuto
-
fiori e/o foglie giovani;
floema da talee dormienti (solo PCR)
Epoca di
campionamento
-
fiori: durante la fioritura
foglie giovani: in primavera;
marze legnose (solo PCR): autunno-inverno (il saggio viene
eseguito su floema e/o foglie ottenute con forzatura delle talee)
Modalità di
conservazione
-
foglie e fiori: in bustine di plastica, a 4°C, max. per 7-10 gg;
marze legnose: in torba od altro substrato inumidito avvolto nella
plastica, a 4°C, fino a 3 mesi
Protocollo adoperato
DAS-ELISA o TAS-ELISA (vedi allegato 1)
RT-PCR (vedi allegato 2)
Note e limitazioni
d’uso
Per la costituzione del campione da saggiare in ELISA è preferibile
utilizzare tessuti prelevati da punti diversi della chioma. In particolare,
si consiglia di prelevare un campione costituito da almeno 5-10 foglie
prelevate dalle porzioni apicali.
PNRSV (Virus della maculatura anulare necrotica dei Prunus)
PNRSV è presente ovunque siano coltivate le drupacee. Isolati diversi del virus causano
importanti malattie quali: maculatura necrotica, “tatterleaf” del ciliegio, mosaico rugoso del ciliegio,
maculatura anulare del pesco, calico del mandorlo, ecc.
PNRSV è un virus di cui è possibile la trasmissione meccanica. Utilizzando idonei tessuti erbacei
(fiori e/o giovani foglie) la sua diagnosi può essere agevolmente effettuata mediante inoculazione su
ospiti erbacei (C. sativus, Chenopodium quinoa, ecc.) che forniscono risposte nell’arco di 6-10 giorni
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
dall’inoculazione. Con l’indexaggio, mediante innesto di piante di P. serrulata cv. Shirofugen e pesco
cv. GF305, la diagnosi della malattia può essere ottenuta in 5-8 settimane.
Alcuni isolati blandi del virus non rispondono al saggio biologico su GF 305; pertanto,
l’indexaggio è normalmente accompagnato dal saggio ELISA delle giovani foglie, raccolte da 5-10
piante in un campione.
Per la facilità di isolamento e purificazione dai tessuti erbacei e la discreta immunogenicità di
questo virus, sono disponibili sul mercato antisieri reattivi che consentono di poter effettuare la
diagnosi, in particolare con la tecnica ELISA, con buona sensibilità, affidabilità e rapidità.
La determinazione della sequenza genica del virus permette di produrre diagnostici molecolari
(primer per PCR e sonde per ibridazioni), ad elevata specificità e sensibilità. Un limite
nell’applicazione della diagnosi molecolare è però nella complessità delle attrezzature e nella elevata
professionalità richiesta agli operatori.
Agente
PNRSV (virus della maculatura anulare necrotica dei Prunus)
Disponibilità di
corredi di anticorpi sul
mercato
Disponibilità di
sequenze e/o di primer
per amplificazione
Elevata
Tipo di tessuto
-
Fiori e/o foglie giovani
floema da talee dormienti (solo PCR)
Epoca di
campionamento
-
fiori: durante la fioritura
foglie giovani: in primavera
marze legnose (solo PCR): autunno-inverno (il saggio viene
eseguito su floema e/o foglie ottenute con forzatura delle talee)
Modalità di
conservazione
-
foglie e fiori: in bustine di plastica, a 4°C, max. per 7-10 gg
marze legnose: in torba od altro substrato inumidito avvolto nella
plastica, a 4°C, fino a 3 mesi
Protocollo adoperato
-
DAS-ELISA o TAS-ELISA (vedi allegato 1)
RT-PCR (vedi allegato 2)
Sequenze da diversi isolati (soprattutto RNA 3 e 4) presenti in banche
dati (GenBank). Primer per PCR disegnati su diverse porzioni del
genoma e già validati in letteratura
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
ACLSV (Virus della maculatura clorotica fogliare del melo)
ACLSV è segnalato ovunque siano coltivate le Rosacee. Molti isolati di ACLSV sono spesso
latenti sulle drupacee, altri invece sono particolarmente virulenti. L’infezione virale può accentuare i
sintomi in presenza di altri virus o predisporre gli alberi ad una carenza nutrizionale. ACLSV si
trasmette meccanicamente su ospiti erbacei (C. quinoa, N. occidentalis, ecc.). La trasmissione richiede
tessuti erbacei (fiori e/o giovani foglie) e fornisce risposte nell’arco di 10-15 giorni dall’inoculazione.
Con l’indexaggio, mediante innesto di piante di pesco cv. GF305 o P. tomentosa, la diagnosi della
malattia può essere ottenuta in 5-8 settimane.
Attualmente sono disponibili sul mercato antisieri di buona reattività che consentono di poter
effettuare una diagnosi, in particolare con la tecnica ELISA, con elevata sensibilità, affidabilità e
rapidità.
La determinazione della sequenza genica del virus permette di produrre diagnostici molecolari
(primer per PCR e sonde per ibridazioni), ad elevata specificità e sensibilità. Un limite
nell’applicazione della diagnosi molecolare è però nella complessità delle attrezzature e nella elevata
professionalità richiesta agli operatori.
Agente
ACLSV (virus della maculatura clorotica fogliare del melo)
Disponibilità di
corredi di anticorpi
sul mercato
Discreta
Disponibilità di
Sequenze per PCR
Tipo di tessuto
Sequenze complete di diversi isolati e Primer "universali"
-
fiori e/o foglie giovani;
floema da talee dormienti (solo PCR)
Epoca di
campionamento
-
fiori: durante la fioritura
foglie giovani: in primavera;
marze legnose (solo PCR): autunno-inverno (il saggio viene eseguito
su floema e/o foglie ottenute con forzatura delle talee)
Modalità di
conservazione
-
foglie e fiori: in bustine di plastica, a 4°C, max. per 7-10 gg;
marze legnose: in torba od altro substrato inumidito avvolto nella
plastica, a 4°C, fino a 3 mesi.
Protocollo adoperato
-
DAS-ELISA e TAS-ELISA (allegato 1)
RT - PCR (allegato 3)
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Il virus ha una distribuzione irregolare nella pianta, pertanto per la
costituzione del campione da saggiare è preferibile utilizzare tessuti
prelevati da punti diversi della chioma. In particolare, si consiglia di
prelevare un campione costituito da 5-10 foglie prelevate dalle parti
apicali dei germogli.
Note e limitazioni
d’uso
ApMV (virus del mosaico del melo)
ApMV è stato segnalato nella maggior parte delle arre di coltivazione delle drupacee, con
incidenze generalmente modeste, tranne poche eccezioni (mandorlo in Italia meridionale). Le piante
infette presentano maculature anulari o lineari e/o picchiettature di colore giallo cromo nei mesi
primaverili. Col progredire della stagione le aree cromatiche possono assumere la colorazione normale
o virare verso una tonalità biancastra, che permane fino alla caduta delle foglie.
ApMV si trasmette meccanicamente da tessuti erbacei (fiori e/o giovani foglie) su ospiti erbacei
(C. sativus) su cui compaiono i sintomi nell’arco di 6-10 giorni dall’inoculazione. L’indexaggio si
esegue mediante innesto di piante di pesco cv. GF305.
Per questo virus sono disponibili sul mercato antisieri che consentono di poter effettuare la
diagnosi ELISA, con buona sensibilità e affidabilità.
La determinazione della sequenza genica del virus permette di produrre diagnostici molecolari
(primer per PCR e sonde per ibridazioni), ad elevata specificità e sensibilità. Un limite
nell’applicazione della diagnosi molecolare è però nella complessità delle attrezzature e nella elevata
professionalità richiesta agli operatori.
Agente
ApMV (virus del mosaico del melo)
Elevata
Disponibilità di
corredi di anticorpi sul
mercato
Disponibili alcune sequenze parziali
Disponibilità di
Sequenze per PCR
- fiori e/o foglie giovani;
Tipo di tessuto
- floema da talee dormienti (solo PCR)
Epoca di
campionamento
-
Modalità di
-
fiori: durante la fioritura
foglie giovani: in primavera;
marze legnose (solo PCR): autunno-inverno (il saggio viene
eseguito sulle foglie e/o fiori ottenuti in forzatur
foglie e fiori: in bustine di plastica, a 4°C, max. per 7-10 gg;
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
conservazione
-
marze legnose: in torba od altro substrato inumidito avvolto nella
plastica, a 4°C, fino a 3 mesi.
Protocollo adoperato
-
DAS-ELISA o TAS-ELISA (vedi allegato 1)
RT-PCR (vedi allegato 3)
Note e limitazioni
d’uso
Per la costituzione del campione da saggiare in ELISA è preferibile
utilizzare tessuti prelevati da punti diversi della chioma. In particolare,
si consiglia di prelevare un campione costituito da almeno 5-10 foglie
prelevate dalle porzioni apicali.
PPV (virus della vaiolatura delle drupacee)
PPV causa la vaiolatura delle drupacee o Sharka, che è sicuramente la malattia da virus più
dannosa per le drupacee. Il quadro sintomatologico, dipendente dal ceppo virale e dalla specie ospite, è
variegato con maculature fogliari con forme sinuose a fiamma e/o anulari sulle nervature secondarie e
terziarie delle foglie; butteratura e deformazione dei frutti di albicocco e susino, maculature anulari e
rotture di colore dei fiori e dell’epicarpo di pesco, nonché cascola precoce dei frutti di albicocco e
susino.
PPV si trasmette meccanicamente su ospiti erbacei (N. benthamiana, C. foetidum, ecc.). La
trasmissione richiede tessuti erbacei (fiori e/o giovani foglie) e fornisce risposte nell’arco di 10-15
giorni dall’inoculazione. Con l’indexaggio, mediante innesto di piante di pesco cvs. GF305 o Elberta,
la diagnosi della malattia può essere ottenuta in 5-8 settimane.
Per la relativa facilità della purificazione dai tessuti di ospiti erbacei e la buona immunogenicità
di questo virus, sono disponibili sul mercato antisieri che consentono di poter effettuare la diagnosi, in
particolare con la tecnica ELISA, con buoni livelli di sensibilità e affidabilità; tuttavia, la sensibilità del
saggio ELISA è soddisfacente solo in tessuti sintomatici, mentre è ad altissimo rischio di risultato
falsamente negativo quando l'infezione è ancora latente.
La determinazione della sequenza genica del virus permette di produrre diagnostici molecolari
(primer per PCR e sonde per ibridazioni), ad elevata specificità e sensibilità, che permettono la più
facile rilevazione dell'infezione anche in assenza di sintomi.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Agente
PPV (Virus della vaiolatura delle drupacee)
Disponibilità di
corredi di anticorpi sul
mercato
Disponibilità di
sequenze per PCR
Elevata. Disponibilità di antisieri policlonali e monoclonali (sia
"universali" che specifici per i quattro ceppi del virus)
Tipo di tessuto
-
Epoca di
campionamento
Sequenze complete e parziali di numerosi isolati.
Primer ceppo-specifici e "universali"
fiori e/o foglie giovani
floema da talee dormienti (solo PCR)
fiori: durante la fioritura
foglie giovani: in primavera
marze legnose (solo PCR): autunno-inverno (il saggio viene eseguito
su floema e/o foglie ottenute con forzatura delle talee)
foglie e fiori: in bustine di plastica, a 4°C, max. per 7-10 gg;
marze legnose: in torba od altro substrato inumidito avvolto nella
plastica, a 4°C, fino a 3 mesi
Modalità di
conservazione
-
Protocollo adoperato
-
Note e limitazioni
d’uso
Il virus ha una distribuzione irregolare nella pianta, pertanto per la
costituzione del campione da saggiare è preferibile utilizzare tessuti
prelevati da punti diversi della chioma.
In particolare, si consiglia di prelevare un campione costituito da almeno
5-10 foglie, prelevate dalle parti mediane dei germogli e soprattutto
ombreggiate. Si consiglia, inoltre, di utilizzare per il saggio la porzione
del lembo fogliare prossima al picciolo.
DAS-ELISA o TAS-ELISA (vedi allegato 1)
RT-PCR (vedi allegati 3 e 4)
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Allegato 1
DAS-ELISA (Clark e Adams, 1977)
1. Assegnare a ciascun campione da saggiare un’apposita numerazione e predisporre lo schema
della loro distribuzione nella piastra su apposita scheda. Accertarsi di includere nello
schema, come testimoni, anche alcuni campioni (almeno due) sicuramente infetti ed
altrettanti sicuramente sani;
2. preparare i campioni da saggiare omogeneizzando i tessuti con mortaio e pestello, o altra
idonea apparecchiatura meccanica, in presenza di tampone di estrazione (in rapporto di circa
1:10 peso/volume), trasferire il succo in provette e lasciare decantare a 4°C;
3. avviare la sensibilizzazione della piastra distribuendo in ciascun pozzetto 100 µl di IgG
purificate diluite in tampone di sensibilizzazione, seguendo le indicazioni del fornitore;
4. coprire la piastra con apposito coperchio o film adesivo e porla in camera umida;
5. incubare 2 h a 37 °C o 16 h a 4 °C;
6. eseguire tre lavaggi di 3' ciascuno con tampone di lavaggio;
7. seguendo lo schema predeterminato, distribuire in ciascun pozzetto 100 µl di succo, privo di
sedimenti, del campione corrispondente;
8. coprire la piastra con apposito coperchio o film adesivo e porla in camera umida;
9. incubare a 4 °C per tutta la notte;
10. eseguire tre lavaggi di 3' ciascuno con tampone di lavaggio;
11. distribuire 100 µl della soluzione di IgG coniugate con fosfatasi alcalina, diluite in tampone
di coniugazione come indicato dal fornitore;
12. coprire la piastra con apposito coperchio o film adesivo e porla in camera umida;
13. incubare 2 h a 37°C o 16 h a 4 °C;
14. eseguire tre lavaggi di 3' ciascuno con tampone di lavaggio;
15. distribuire 100 µl per pozzetto di P-nitrofenil-fosfato disciolto (1 mg/ml), pochi minuti prima
dell'utilizzo, in tampone substrato (accertarsi che il contenitore utilizzato per disciogliere il
substrato sia assolutamente privo di impurità);
16. lasciar sviluppare la reazione colorimetrica (viraggio a color giallo) a temperatura ambiente
per circa 0,5 – 2 ore;
17. effettuare la lettura dei valori di assorbanza dei singoli pozzetti della piastra, ad intervalli di
30', mediante un fotometro (lettore di piastre ELISA) a 405 nm;
In caso di momentanea indisponibilità del lettore è possibile bloccare la reazione mediante ulteriore
distribuzione di 25 µl di NaOH 3,0 M per pozzetto.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
TAS-ELISA
1. Assegnare a ciascun campione da saggiare un’apposita numerazione e predisporre lo schema
della loro distribuzione nella piastra su apposita scheda. Accertarsi di includere nello schema,
come testimoni, anche alcuni campioni (almeno due) sicuramente infetti ed altrettanti
sicuramente sani;
2. preparare i campioni da saggiare omogeneizzando i tessuti con mortaio e pestello, o altra
idonea apparecchiatura meccanica, in presenza di tampone di estrazione (in rapporto di circa
1:10 peso/volume), trasferire il succo in provette e lasciare decantare a 4°C;
3. avviare la sensibilizzazione della piastra distribuendo in ciascun pozzetto 100 µl di IgG
purificate diluite in tampone di sensibilizzazione, seguendo le indicazioni del fornitore;
4. coprire la piastra con apposito coperchio o film adesivo e porla in camera umida;
5. incubare 2 h a 37 °C o 16 h a 4 °C;
6. eseguire tre lavaggi di 3' ciascuno con tampone di lavaggio;
7. seguendo lo schema predeterminato, distribuire in ciascun pozzetto 100 µl di succo, privo di
sedimenti, del campione corrispondente;
8. coprire la piastra con apposito coperchio o film adesivo e porla in camera umida;
9. incubare a 4 °C per tutta la notte;
10. eseguire tre lavaggi di 3' ciascuno con tampone di lavaggio;
11. distribuire 100 µl per pozzetto di anticorpi secondari (monoclonali) diluiti in PBS o tampone
coniugato, come indicato dal fornitore;
12. coprire la piastra con apposito coperchio o film adesivo e porla in camera umida;
13. incubare 2 h a 37 °C o 16 h a 4 °C;
14. eseguire tre lavaggi di 3' ciascuno con tampone di lavaggio;
15. distribuire 100 µl della soluzione di IgG anti-topo coniugate con fosfatasi alcalina, diluite in
tampone di coniugazione come indicato dal fornitore;
16. coprire la piastra con apposito coperchio o film adesivo e porla in camera umida;
17. incubare 2 h a 37°C o 16 h a 4 °C;
18. eseguire tre lavaggi di 3' ciascuno con tampone di lavaggio;
19. distribuire 100 µl per pozzetto di P-nitrofenil-fosfato disciolto (1 mg/ml), pochi minuti prima
dell'utilizzo, in tampone substrato (accertarsi che il contenitore utilizzato per disciogliere il
substrato sia assolutamente privo di impurità);
20. lasciar sviluppare la reazione colorimetrica (viraggio a color giallo) a temperatura ambiente
per circa 0,5 – 2 ore;
21. effettuare la lettura dei valori di assorbanza dei singoli pozzetti della piastra, ad intervalli di
30', mediante un fotometro (lettore di piastre ELISA) a 405 nm;
In caso di momentanea indisponibilità del lettore è possibile bloccare la reazione mediante ulteriore
distribuzione di 25 µl di NaOH 3,0 M per pozzetto.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Composizione dei tamponi
PBS
8 g NaCl
0,2 g KH2PO4
2,9 g Na2HPO4 x 12 H2O (1,15 g se
anidro)
0,2 g KCl
0,2 g NaN3
H2O distillata fino a 1 lt
pH 7,4
Tampone di sensibilizzazione (coating buffer)
1,59 g Na2CO3
2,93 g NaHCO3
0,2 g NaN3
H2O distillata fino a 1 lt
pH 9,6
Tampone di lavaggio (washing buffer)
1,0 lt PBS
0,5 ml Tween 20
pH 7,4
Tampone di estrazione (extraction buffer)
1 lt PBS
0,5 ml Tween 20
20 g Polivinilpirrolidone, MW 24.000
pH 7,4
Tampone di coniugazione (conjugate
buffer)
1 lt PBS
0,5 ml Tween 20
20 g Polivinilpirrolidone, MW 24.000
2 g Sieroalbumina bovina (BSA)
pH 7,4
Tampone substrato (substrate buffer)
97 ml Dietanolammina
0,2 g NaN3
HCl fino a pH 9,8
a volume di 1 lt con acqua distillata
Attrezzature necessarie
Premesso che attualmente l’industria è in grado di fornire apparecchiature che consentono la
parziale automazione di tutte le operazioni ELISA, di seguito vengono indicate le apparecchiature e
strumentazioni ritenute più importanti o indispensabili (queste ultime in corsivo).
Piastre in Polistirene a 96 pozzetti
Mortai e pestelli
Vetreria (cilindri, beute)
Pipette graduate (mono e multicanali)
Agitatori magnetici
pH-metro
Frigorifero e congelatore
Incubatore (a 37 °C)
Lettore di piastre
Apparecchiature per la estrazione dei campioni (presse, trapani, ecc.)
Bi-distillatore
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Fra i reagenti ricordiamo:
anticorpi monoclonali e/o policlonali
prodotti chimici comuni per la preparazione di soluzioni e tamponi
enzimi (se si effettua direttamente la coniugazione)
substrati
Gli anticorpi possono essere acquistati presso ditte commerciali. Fra esse ricordiamo: Agdia, Agritest,
Bioreba AG, Boehringer, Loewe Biochemia GmbH e Biorad (ex-Sanofi Diagnostic Pasteur), Real
Durviz.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Allegato 2
PROTOCOLLO
RT-PCR
PER LA DIAGNOSI DI
PNRSV
E
PDV
IN
PRUNUS
DA PIENO CAMPO MEDIANTE
Applicazioni
Il protocollo descritto è stato sviluppato per la diagnosi dei virus delle drupacee, in particolare
il virus della maculatura anulare dei Prunus (PNRSV ) e il virus del nanismo del susino (PDV).
Il protocollo è stato validato nel corso di saggi di laboratorio effettuati presso il Dipartimento di
Protezione delle Piante e Microbiologia Applicata (Università degli Studi) e Centro di Studio del CNR
sui Virus e le Virosi delle Colture Mediterranee (Bari), adoperando isolati virali di differente
provenienza geografica , mantenuti su piante infette allevate in pieno campo presso l'Azienda
Didattico Sperimentale "Martucci" (Valenzano, Bari).
Limitazioni d’uso
•
La scarsa concentrazione dei virus in oggetto nella pianta infetta e/o eventuali variazioni del
loro titolo nel corso della stagione vegetativa possono ridurre la sensibilità della diagnosi con
gli strumenti proposti. Pertanto, un risultato negativo non garantisce l’esenza del virus in esame
nella pianta, ma piuttosto l’inabilità di diagnosticarlo nel substrato utilizzato.
•
Gli oligonucleotidi sintetici per l'amplificazione dei virus in oggetto adoperati nel protocollo
proposto sono stati descritti in letteratura a partire da differenti isolati. Un risultato negativo
potrebbe quindi derivare dalla esistenza di isolati virali aventi sequenze varianti.
Abbreviazioni usate nel testo
cDNA
RT
PCR
RNA
RNAsi
M-MLV
µm
DTT
Tris
dNTPs
Sarcosyl
µl
APS
TEMED
complementary DNA
reverse transcriptase
polymerase chain reaction
acido ribonucleico
ribonucleasi
Moloney Murine leukemia v irus
nanometri
ditiotreitolo
triidrossimetil ammino metano
deossinucleotidi trifosfati
sodio lauryl sarcosina
microlitro
ammonio persolfato
tetraetilen-metilendiammina
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Breve sintesi del protocollo di diagnosi
Questo protocollo descrive un metodo di diagnosi di virus delle drupacee in foglie o floema
adoperando la tecnica di reverse transcription (RT)- polymerase chain reaction. Il metodo di
diagnosi permette di amplificare sequenze specifiche dei virus descritti nella Tab. 1 mediante l’uso
degli oligonucleotidi riportati.
L’RNA totale, estratto da tessuti (foglie/piccioli o floema) di viti infette mediante un metodo
cromatografico di adsorbimento a particelle di silice (Foissac et al., 2000), è adoperato per la sintesi
(RT) di un DNA complementare a singola elica (cDNA) iniziata da oligonucleotidi sintetici a
sequenza casuale (random primers). Tale cDNA “multivalente” è di seguito utilizzato in una
reazione di amplificazione genica (PCR) per la diagnosi virale ad opera di specifici oligonucleotidi
sintetici. L’identificazione dei frammenti amplificati é in seguito effettuata mediante elettroforesi in
gel di poliacrilammide.
Il metodo di estrazione degli RNA totali è stato ottimizzato per l’estrazione da piccole quantità di
tessuto e risulta economicamente vantaggioso per la qualità degli estratti ottenuti.
1. Sequenze degli oligonucleotidi sintetici specifici per l'amplificazione di PNRSV e PDV
Virus
Primer
PNRSV/I
PNRSV/III
PDV/Rw 1c
PDV/Rw 1h
TCACTCTAGATCTCAAGCA
GACACTTTTGCGCGTACGCA
TAGTGCAGGTTAACCAAAAGGAT
CCGGTATGATATCTCGTACCGAG
Gene
adoperato
Dimensioni
amplicone
Bibliografia
RNA3 (CP)
170bp
Rosner et al.1997
RNA3 (CP)
580bp
Rowhani etal.,1998
2. Strumentazione necessaria
Il protocollo è stato sviluppato adoperando la seguente strumentazione. L'uso di modelli di altre ditte,
particolarmente per il thermal cycler, potrebbe richiedere adattamenti del metodo.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Strumento
Celle per elettroforesi
Microcentrifuga da banco (14K rpm)
Micropipette tarate
Thermal cycler
Freezer a bassa temperatura (-80°C)
Stufa per sterilizzazione
Autoclave per sterilizzazione
agitatore per microtubi
Omogeneizzatore a vibrazione per microtubi
Alimentatore per elettroforesi
Modello
BioRad / Biometria
Eppendorf
Gilson
Perkin Elmer 2400 (Applied Biosystems)
Retsch Mixer Mill300
GPS 200/400(AP Biotech)
3. Reagenti e soluzioni
MgCl2 25 mM (fornita con l’enzima Taq Dna polimerasi)
Soluzione di dNTPs 2,5 mM (miscelando soluzioni madri 100mM da Roche Biochemica)
Tampone 10X per PCR (fornita con l’enzima Taq Dna polimerasi)
DTT 100mM ( fornita con l'enzima MMLV- RT)
EB tampone di estrazione per l'RNA :4.0 M guanidina tiocianato; 0.2 M sodio acetato pH 5.2;
0.025 M EDTA bisodico; 1.0 M potassio acetato; 2.5 % polivinil pirrolidone-40K ; conservare in
frigorifero , aggiungere immediatamente prima dell'uso : 2% metabisolfito di sodio.
Sarcosyl (sodio lauryl sarcosina) 10% in acqua distillata sterile
Sospensione di particelle di silica: aggiungere 60 g di silica particles (Sigma S5631) a 500 ml di
H2O distillata in un cilindro, mescolare e lasciar decantare per 24 h; eliminare 470 ml di H2O
distillata, aggiungerne altri 500 ml, mescolare e lasciar decantare per 5 h; eliminare 440 ml di H2O
distillata e portare i restanti 60 ml di sospensione a pH 2.0 con HCl; autoclavare e conservare in
bottiglia scura in frigorifero a 4°C.
Soluzione di NaI: sciogliere 0.75 g di sodio solfito in 40 ml di acqua e successivamente 36 g di
sodio ioduro (Sigma S8379)
WB: SOLUZIONE DI LAVAGGIO PER RNA 0.01M TRIS-CL PH 7.5, 5 MM EDTA bisodico; 0.05M
cloruro di sodio; 50% alcol etilico
TBE 10X: 90 mM Tris-HCl, 90 mM acido borico, 2. 5mM Na2EDTA pH 8.3)
Gel loading buffer: 15% Ficoll (type400, Amersham, Pharmacia), 0.25% blu di bromofenolo, in
H2O distillata
Marker di peso molecolare per DNA: DNA fago Hind III
(Roche Biochemica)
APS soluzione 10% in acqua distillata
TEMED soluzione commerciale
(BioRad)
Soluzione di acrilammide/bisacrilammide 40% (19:1)
(BioRad)
Soluzione di AgNO3: 100 mg AgNO3, 150 µl formaldeide al 37% in 100 ml H2O distillata
Soluzione di Na2CO3: 3 g Na2CO3 anidro, 150 µl formaldeide al 37%, 4 µl di una soluzione di
Na2S2O3 (200 mg/ml)
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Enzimi e consumabili vari
DNA polymerasi termostabile (Taq DNA polimerasi)
M-MLV reverse transcriptase
Provette da microcentrifuga da 1,5 ml
Puntali per pipette
Puntali per pipette "aerosol free"
Provette da 200 ml per PCR a parete sottile
5 U/ µl
200 U/ µl
(Promega)
(Invitrogen)
4. Preparazione di RNA totali da tessuti di piante
Gli RNA totali sono preparati secondo un metodo microcromatografico di adsorbimento a particelle
idratate di silice. I tessuti adoperabili sono:
• foglie durante la stagione vegetativa o provenienti da forzatura di marze.
• floema di talee dormienti in autunno-inverno.
Le foglie da privilegiare nel campionamento devono essere giovani ma completamente espanse; in
tarda estate o inizio autunno scartare le foglie con inizio di senescenza o necrosi. Raccogliere
almeno 5-6 foglie da diversi rami lungo il perimetro della pianta e prelevare il campione di circa 100
mg da estrarre strappando una piccola striscia mediana da ciascuna foglia. Il floema da rami giovani
(legno dell'anno, circa 5 mm di spessore) dormienti va preparato raschiando con un coltello piccoli
trucioli del tessuto verde. Il tessuto da estrarre può essere processato subito o conservato in aliquote
a -70°C.
Il metodo prevede la macerazione dei tessuti in presenza di un tampone di lisi inibente l' enzima
RNasi e il successivo adsorbimento ed eluizione di RNA totale da particelle di silice
microcristallina.
4.1. Macerazione del tessuto.
Disporre in un microtubo sterile da 2 ml contenente 1ml di tampone di estrazione (EB), il tessuto
vegetale da estrarre (100 mg) e 2-3 microsfere metalliche da 3mm di diametro e far agitare per 2 min a
25 Hz in un omogeneizzatore a vibrazione (nel nostro laboratorio è in uso il Mixer Mill 300, Retsch). In
alternativa si può usare una bustina di plastica trasparente ed un pestello di porcellana per macerare il
tessuto in presenza di tampone.
4.2. Aggiunta di Sarkosyl e incubazione a 70°C per 10 min.
Trasferire 0,5 ml di omogenato in un provetta eppendorf da 1,5 ml e aggiungere 0,1 ml di 10%
Sarcosyl. Agitare ed incubare, con agitazioni periodiche (ogni 2-3 min), per 10 min a 70°C.
4.3. Incubazione in ghiaccio e centrifugazione
Incubare in ghiaccio per 2 min. e centrifugare alla massima velocità (12.000 x g) per 3 min. I residui
cellulari si concentrano nel pellet; evitare di riportarli in sospensione.
4.4. Incubazione del supernatante con NaI, etanolo e silica
Trasferire 0,3 ml di supernatante in una nuova provetta eppendorf da 1,5 ml ed aggiungere 0,3 ml
di soluzione di NaI, 0,15 ml di etanolo assoluto e 25 µl di sospensione di particelle di silica. Incubare
con agitazioni periodiche (ogni 2-3 min) per 5 - 10 min a temperatura ambiente.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
4.5. 1a Centrifugazione e lavaggio del pellet
Centrifugare a 6000rpm per 1 min, eliminare il supernatante ed aggiungervi 0,5 ml di washing buffer.
Agitare energicamente su vortex in modo da risospendere il pellet.
4.6. 2a Centrifugazione e lavaggio del pellet
Centrifugare e risospendere il pellet nuovamente come in 4.5.
4.7. 3a Centrifugazione ed eliminazione del supernatante
Centrifugare come in 4.5, eliminare il supernatante e lasciare asciugare il pellet tenendo le provette
capovolte per circa 10 min a temperatura ambiente su carta pulita. Non lasciar disidratare il pellet.
4.8. Eluizione di RNA totale
Il pellet è risospeso in 0,15 ml di acqua sterile con agitazione su vortex ed incubato per 2 min a
70 ° C. Centrifugare alla massima velocità per 3 min.e trasferire il supernatante in una nuova provetta.
4.9. Dosaggio spettrofotometrico della concentrazione di RNA totale e conservazione
dell'estratto.
Quantificare l'RNA totale estratto con un dosaggio spettrofotometrico valutando l'assorbimento a 260
nm e 280 nm. Le preparazioni possono essere conservate per alcuni mesi a -80°C o alternativamente
l'RNA può essere precipitato in alcool e conservato a -20°C (aggiungendo 0.1 vol di sodio acetato 3 M
pH 5.5 e 2.5 vol di etanolo assoluto).
NOTA : Per le informazioni generali sulla RT-PCR, sulla sicurezza degli operatori e la prevenzione
delle contaminazioni, si fa riferimento al capitolo "Protocollo di diagnosi RT-PCR dei virus della vite"
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
5. Protocollo di RT-PCR
5.1 Trascrizione di DNA complementare con random primers
5.1.1 Preparazione del master mix e denaturazione di RNA totale
Preparare in una provetta da 1,5 ml il seguente mix
X µl
RNA totali corrispondenti a 0,5 µg
1 µl
esanucleotidi ( random primers, 0,5 µg)
X µl
acqua sterile
30 µl
volume finale
Incubare a 95° C per 3 min e trasferire la provetta immediatamente in ghiaccio.
5.1.2 Sintesi del cDNA
Aggiungere all'RNA denaturato il seguente mix:
10 µl
5 X RT buffer
2,5 µl
2,4 µl
soluzione di desossiribonucleotidi (2,5 mM
ciascuno)
DTT 0,1 M
1 µl
M-MLV reverse transcriptase 200 U/ µl
4,1 µl
acqua distillata sterile
Incubare a 42 ° C per 1 ora. Al termine della reazione di sintesi incubare per 10 min a 70°C,
raffreddare in ghiaccio e centrifugare brevemente. Infine aliquotare 5 µl di cDNA in microtubi "thin
wall"; le aliquote si possono conservare a - 80° C.
5.2 Aggiunta del PCR mix al cDNA sintetizzato
Aggiungere ai 5 µl di cDNA aliquotato 45 µl di miscela PCR preparata come segue:
5 µl
10 X PCR buffer
1 µl
2 µl
Soluzione di desossiribonucleotidi (2.5 mM
ciascuno)
MgCl2 25 mM
1 µl
1 µl
0,2 µl
Soluzione di reverse primer 6 µM
Soluzione di forward primer 6 µM
Taq DNA polimerasi (5 U/ µl)
35 µl
Acqua distillata sterile
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
5.3. Reazione di amplificazione
Se non si dispone di un thermal cycler con coperchio riscaldato, è necessario stratificare
sopra il mix di PCR 25 µl di olio minerale onde evitare l'evaporazione del campione.
Previa programmazione del thermal cycler ininziare la reazione caricando i microtubi quando il
blocco termostatato ha raggiunto la temperatura di 94° C. Effettuare 30-35 cicli secondo i
programmi consigliati per ciascun set di primers.
6. Analisi dei risultati
6.1. Elettroforesi in gel di poliacrilammide: preparazione del gel
I prodotti di reazione di PCR sono analizzati mediante elettroforesi in gel di
poliacrilammide al 5%, preparato secondo lo schema seguente (per 5ml totali):
0,65 ml
Acrilammide / Bisacrilammide al 40 %
0,5 ml
35 µl
3,5 µl
3,85 ml
TBE 10 X
APS 10%
TEMED
acqua sterile
La soluzione è versata nell'apparato per elettroforesi verticale utilizzando un pettine di teflon ed
evitando di formare bolle d'aria. Attendere 20-30 min per la solidificazione del gel che avviene a
temperatura ambiente.
6.2. Elettroforesi in gel di poliacrilammide: caricamento dei campioni e corsa
Dopo la solidificazione del gel, rimuovere il pettine, assemblare il gel nell'apparato per
elettroforesi e ripulire i pozzetti. I lavaggi sono effettuati spruzzando TBE 1 X (tampone di
corsa elettroforetica) con una siringa da 5 ml.
I campioni da analizzare sono addizionati di 2 µl di gel loading buffer per ogni 10 µl di prodotto
PCR e caricati con micropipetta nei singoli pozzetti.
La elettroforesi è condotta fino a che il blu di bromofenolo giunge ad 1 cm dal termine del gel
applicando un voltaggio di 100 V costanti.
6.3. Elettroforesi in gel di poliacrilammide: visualizzazione del DNA amplificato mediante
colorazione con nitrato d'argento
Al termine dell'elettroforesi, i prodotti di DNA amplificato sono visualizzati mediante
colorazione del gel con nitrato di argento:
• immergere il gel in una vaschetta (in plastica o vetro) contente una soluzione di acido
acetico al 10% per 20 min;
• lavare il gel per 3 volte con un eccesso di acqua distillata; ogni lavaggio dovrà essere di
1 min;
• incubare il gel per 3 min in 1% acido nitrico;
• lavare il gel per 3 volte con un eccesso di acqua distillata;
• incubare il gel nella soluzione di AgNO3 per 30 min;
• lavare una volta con un eccesso di acqua distillata per 30 secondi;
• sviluppare il gel nella soluzione di Na2CO3;
• arrestare la reazione eliminando il Na2CO3 ed aggiungendo una soluzione di acido
acetico al 5%.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Note:
1. tutta la reazione è condotta a temperatura ambiente agitando delicatamente il gel su di un
agitatore orbitale;
2. la reazione di sviluppo in Na2CO3 può avvenire molto rapidamente (1-3 min).
6.4. Elettroforesi in gel di poliacrilammide: fotodocumentazione del gel
Il gel sviluppato potrà essere posto tra due fogli di lucidi per fotocopiatrice e fotografato
o acquisito elettronicamente.
7. Interpretazione dei risultati
I risultati sono interpretati qualitativamente come positivi o negativi a seconda della
presenza o assenza di specifici frammenti di DNA amplificato.
Ogni reazione di RT-PCR dovrebbe includere i seguenti controlli:
1. Un RNA totale adoperato come controllo negativo precedentemente estratto da tessuti
di una pianta sana e conservato a -20°C , verificata come tale in test precedenti e/o con
differenti altri test diagnostici.
La comparsa di specifici frammenti di DNA amplificato nel controllo negativo dopo RT-PCR
indica una probabile cross-contaminazione e rende necessaria la ripetizione dell'intero set di
analisi effettuato.
2. Un RNA totale adoperato come controllo positivo precedentemente estratto da tessuti di
una pianta sicuramente infetta.
La mancata osservazione di una specifico frammento di DNA amplificato nel controllo
positivo indica l'assenza di sintesi del cDNA o di amplificazione di quest'ultimo, e induce a
ripetere l'intero set di analisi effettuato.
3. Un campione di tessuto di pianta infetta dal quale si è proceduto ad estrarre gli RNA
totali, sintesi di cDNA e PCR nello stesso tempo e nelle stesse condizioni con cui si sono
estratti gli RNA totali dai campioni da analizzare.
L'assenza di amplificazione nel campione di tessuto di pianta infetta, insieme ad un risultato
positivo dell'RNA adoperato come controllo positivo, lascia presupporre un problema
intervenuto durante l'estrazione degli RNA totali e determina la ripetizione dell'intero set di
analisi.
Ogni set di analisi condotto dovrà essere conservato come fotodocumentazione contenetente le
seguenti informazioni:
• data
• nome dell'operatore
• protocollo adoperato per l'estrazione degli RNA totali
• protocollo adoperato per l'RT-PCR
• codice identificativo di ogni campione analizzato
• analisi dei risultati per ogni campione analizzato
• commenti dell'operatore
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
BIBLIOGRAFIA
Foissac X., L. Svanella-Dumas, P. Gentit, MJ. Dulucq, T. Candresse. 2000 Polyvalent detection of
fruit tree tricho, capillo and foveaviruses by nested RT-PCR using degenerated and inosine
containing primers (PDO RT-PCR). 18th International Symposium Virus and Virus-like
diseases of Fruit Trees, July 9-15, 2000, 48.
Mackenzie D.J., McLean M.A., Mukerij S., Green M. 1997. Improved RNA extraction from
woody plants for the detection of viral pathogens by reverse transcriptase – polymerase
chain reaction. Plant Disease 81, 222-226.
Minafra A., D.Gallitelli. (1996). Improved PCR methods for identification of phytopathogenic
viruses. In: Methods in Molecular Biology, vol.50. Species Diagnostics Protocols: PCR and
other Nucleic Acid Methods (J.P.Clapp ed.), Humana Press Inc., Totowa, NJ, 81-91.
Rosner A, L. Maslenin, S. Spiegel. 1997. The use of short and long PCR products for improved
detection of
prunus necrotic ringspot virus in woody plants. Journal of Virological
Methods, 67, 135-141.
Rowhani A., M.A. Maningas, L.S. Lile, S.D. Daubert, D.A. Golino. 1995. Development of a
detection system for viruses of woody plants based on PCR analysis of immobilized virions.
Phytopathology, 85, 347-352.
Rowhani A., L. Biardi, G. Routh, S.D. Daubert, D. Golino. 1998. Development of a sensitive
colorimetric PCR assay for detection of viruses in woody plants. Plant disease, 82, 880-884.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Allegato 3
PROTOCOLLO PER LA
MEDIANTE RT-PCR
DIAGNOSI DI
PPV, ACLSV
ED
APMV
IN
PRUNUS
DA PIENO CAMPO
Applicazioni
Il protocollo descritto è stato sviluppato per la diagnosi dei virus delle drupacee, in particolare il
virus da "quarantena" della vaiolatura del susino (PPV) ed i virus di "qualità" virus del mosaico del
melo (ApMV) e virus della maculatura clorotica del melo (ACLSV).
Il protocollo è stato validato nel corso di saggi di laboratorio effettuati presso il Dipartimento di
Biologia, Difesa e Biotecnologie Agro-Forestali dell'Università degli Studi della Basilicata,
Potenza. Sono stati adoperati isolati virali di diversa provenienza geografica mantenuti su diverse
specie di Prunus.
Limitazioni d’uso
Scarsa concentrazione dei virus nella pianta infetta o sue variazioni nel corso della stagione
vegetativa, distribuzione non uniforme del virus della pianta: tali limitazioni possono
compromettere l'esattezza della diagnosi generando dei "falsi negativi" che non sono sinonimo di
assenza del virus ma piuttosto di una scarsa sensibilità del metodo diagnostico adoperato.
Utilizzo per le reazioni di amplificazione mediante PCR di inneschi di sintesi disegnati sulla base
delle sequenze finora note dei diversi isolati virali: potrebbero non essere in grado di rilevare la
presenza di isolati virali da quelli divergenti a livello di sequenza nucleotidica.
ABBREVIAZIONI USATE NEL TESTO
APS
β-ME
cDNA
DNA
dNTPs
EB
EDTA
IC
pb
PCR
RFLP
RNA
RNase
RT
SDS
SwC
TEMED
TNA
Ammonio persolfato
Beta mercapto-etanolo
DNA complementare
Acido deossiribonucleico
Nucleotidi trifosfati
Extraction Buffer
Acido etilen diammino tetracetico
Immuno Cattura
Paia di basi
Amplificazione a catena della Polimerasi (Polymerase Chain Reaction)
Restriction fragment lenght polymorfism
Acido ribonuleico
Ribonucleasi
Trascrizione Inversa
Sodio Dodecil Solfato
Sweet Cherry
Tetraetilen-metilendiammina
Total nucleic Acids
TRIS
U
µl
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Triidrossimetil ammino metano
Unità
Microlitri
Breve sintesi del protocollo di diagnosi
Il presente protocollo descrive il corretto procedimento per effettuare la diagnosi di PPV,
ACLSV ed ApMV in diverse specie di Drupacee. Prevede l'applicazione di una metodica di RTPCR a partire da acidi nucleici totali (TNA) estratti da tessuto fogliare. I TNA, estratti secondo la
procedura descritta da Crescenzi et al., 1997, fungono da substrato per la sintesi - mediante
trascrizione inversa catalizzata dalla Rav-2 - di un DNA complementare a singola elica (cDNA)
iniziata da oligonucleotidi sintetici specifici per le suddette specie virali, la cui sequenza è di seguito
riportata. Tale cDNA è successivamente utilizzato in una reazione di amplificazione genica (PCR).
L’identificazione dei frammenti amplificati è effettuata mediante elettroforesi su gel di
poliacrilammide e colorazione con nitrato d'argento. Relativamente alla diagnosi di PPV, l'analisi
del polimorfismo dei frammenti di restrizione (RFLP), ottenuti per digestione del prodotto
dell'amplificazione con gli enzimi AluI ed RsaI, consente di stabilire il gruppo di appartenenza degli
isolati eventualmente diagnosticati.
Sequenze degli oligonucleotidi sintetici specifici per l'amplificazione di
PPV, ACLSV, ApMV.
VIRUS
PRIMER
PPV/C
5’-CAGACTACAGCCTCGCCAGA-3’
PPV/H
5’-ACCGAGACCACTACACTCCC-3’
ACLSV/C
5’-CAGACCCTTATTGAAGTCGAA-3’
ACLVS/H
5’-GGCAACCCTGGAACAGA-3’
ApMV/C
5’-CTTGACCTGCAATATCCTACTCG-3’
ApMV/H
5’-GAATAGTGTTTCAGTATG-3’
DIMENSIONI
AMPLICONE
RIFERIMENTO
BIBLIOGRAFICO
243 pb
Wetzel et al., 1991
CP
358 pb
Nemchinov et al.,
1994
CP
687 pb
Rowhani
1955.
GENE
CP
et
al.,
Strumentazione Necessaria
Il protocollo è stato sviluppato adoperando la strumentazione di seguito riportata. L'uso di
modelli di altre ditte potrebbe richiedere adattamenti del metodo.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Strumento
Alimentatore per elettroforesi (200V)
Autoclave per sterilizzazione
Bilancia analitica
Celle per elettroforesi verticale
Centrifuga refrigerata
Freezer a bassa temperatura (-80°C)
Gel dryer
Microcentrifughe da banco
Micropipette tarate
Speed Vac
Modello
LKB - Bromma
Stufa per sterilizzazione
Termostato
Explorer OHAUD
BioRad
Sigma 3K30
Forma Scientific
model 583 - BioRad
ALC micro-Centrifughette 4214 ALC International s.r.l.
Gilson
Universal Vacuum System plus UVS400A - SC110
SVPT - Savant
ISCO
Grant Boekel PHC19
Thermal cycler
Gene Amp PCR System 9700 - Perkin Elmer
Reagenti e soluzioni
Acqua deionizzata sterile; Azoto liquido; Fenolo; Cloroformio; Alcool isoamilico; Tampone
d'estrazione per TNA (EB 1x: SDS 2%, N-Lauryl Sarcosina 1%, EB 10x); EB 10x (per 500 ml:
glicina 38,5 g, NaCl 29,0 g, EDTA 0,5 M pH 8,0); Ammonio acetato 10 M; Alcool etilico assoluto
e 70%; DTT 0,1 M; dNTPs 10 mM; β-ME 0,3 M; Marker di peso molecolare per DNA (New
England Biolab); TRITON X100; Soluzione al 40% di acrilammide/bis-acrilammide; TBE (TRIS
90 mM, Acido borico 90 mM, EDTA 2mM, pH 8,3), Acido acetico, Nitrato d'argento, Etidio
bromuro, TEMED, APS, Idrossido di sodio, Sodio borato, Formaldeide (37%), Glicerolo.
Enzimi
- Rnase inhibitor 40 U/µl, inibitore di RNase (Ambion);
- DynaZyme 2 U/µl, DNA polimerasi termostabile (Finnyzimes Oy) e relativo tampone;
- RAV-2 11 U/µl trascrittasi inversa (Amersham) e relativo tampone;
- AluI 5 U/µl (New England Biolabs);
- RsaI 10 U/µl (New England Biolabs).
Consumabili vari
Provette da microcentrifuga da 0,2, 1,5 e 2 ml; puntali per pipette; vaschette per pesate; Gel
Drying film V713B (Promega).
Protocollo di RT-PCR su TNA
1. Campionamento
I campioni da sottoporre a saggio devono essere raccolti nel periodo di vegetazione delle
diverse specie di Prunus indagate per la presenza di PPV.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Il protocollo in oggetto è applicabile essenzialmente a tessuto fogliare, raccolto durante la
stagione vegetativa o successivamente alla forzatura di marze.
2. Tecnica di diagnosi
2.1. Preparazione di Acidi Nucleici Totali da tessuto fogliare di Drupacee
2.1.1. Macerazione del tessuto.
Porre 100 mg di tessuto fogliare in un tubo eppendorf ed immergerlo in azoto liquido,
polverizzare finemente il campione con pestello sterile e aggiungere 400µl di tampone di estrazione
(EB) e 800µl di fenolo-cloroformio-alcol-isoamilico (25-24-1). Miscelare energicamente su vortex
per 1’ e incubare in ghiaccio per 5’.
2.1.2.Estrazione fenolo-cloroformio e precipitazione con ammonio acetato.
Agitare su vortex per 1’ e centrifugare a 12000 g per 10’. Recuperare la fase acquosa e
trasferirla in un tubo pre-raffreddato. Addizionare 1 volume di miscela fenolo-clmoroformio-alcoolisoamilico (25:24:1). Agitare su vortex per 1’ e centrifugare a 12000 g per 10’. Recuperare la fase
acquosa e trasferirla in un tubo pre-raffreddato. Addizionare 1-volume di cloroformio-alcoolisoamilico (24:1). Agitare su vortex e centrifugare a 12000 g per 10’. Recuperare la fase acquosa e
trasferirla in un tubo pre-raffreddato. Addizionare alla fase acquosa 1/5 del volume di ammonio
acetato 10M e 3-5 volumi di alcool etilico assoluto freddo (-20°C). Agitare su vortex per 1’ e
incubare a –70°C per 30’. Centrifugare a 12000 g per 10’ in centrifuga refrigerata (4°C), allontanare
il sovranatante e lavare il pellet con alcool etilico freddo (-20°C) al 70%. Centrifugare a 12000 g per
5’ in centrifuga refrigerata (4°C) e lavare nuovamente il pellet con alcool etilico freddo (-20°C) al
70%. Essiccare il pellet sotto vuoto e risospenderlo in 20µl di H2O bidistillata sterile RNase-free.
2.2. Sintesi dell’elica complementare (cDNA) all’RNA virale
2.2.1. Preparazione della miscela di annealing
− Preparare in una provetta da 1.5 ml la seguente miscela (volume finale 30 µl):
5 µl
6 µl
3 µl
1 µl
15 µl
−
−
−
−
TNA
Rav-2 buffer 5X
DTT 0,1 M
Primer complementare 1µg/µl
H2O
Agitare delicatamente.
Incubare per 5’ in H2O bollente.
Incubare per 3'-5’ in ghiaccio.
Incubare per 15-20 a temperature ambiente.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
2.2.2. Sintesi del cDNA
− Addizionare alla miscela di annealing, 20 µl della seguente miscela di trascrizione:
4 µl
Rav-2 buffer 5X
2 µl
DTT 0,1 M
5 µl
ß-ME 0,3 M
2,5 µl
dNTPs 10mM
4,5 µl
H2O sterile
1 µl
RNasin
1 µl
Rav-2 (30U/µl )
− Agitare delicatamente.
− Incubare per 30-45' a 45 – 50 °C.
2.3. Amplificazione mediante PCR:
Preparare in un nuovo tubo da PCR la seguente miscela di reazione (volume finale 50 µl):
5 µl
cDNA
5 µl
PCR buffer 10X
1 µl
dNTPs 10mM
1 µl
Primer complementare 0,1µg /µl
1 µl
Primer omologo 0,1µg /µl
36,5 µl
H20
0,5 µl
DynaZime (FynniOy) (1 U)
2.3.1. Programmi di amplificazione
Impostare sul Thermal Cycler ed avviare il programma di amplificazione specifico per ogni
virus:
PPV
Hot start
Denaturazione
Appaiamento
Sintesi del cDNA
Sintesi
85°C x 5'
94°C x 30"
62°C x 30"
72°C x 1’
72°C x 10’
1 ciclo
30 cicli
1 ciclo
ACLSV
Hot start
Denaturazione
Appaiamento
Sintesi del cDNA
85°C x 5'
94°C x 30"
48°C x 30"
72°C x 1’
1 ciclo
30 cicli
Sintesi
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
72°C x 10’
1 ciclo
ApMV
Hot start
Denaturazione
Appaiamento
Sintesi del cDNA
Sintesi
85°C x 5'
94°C x 30"
40°C x 30"
72°C x 1’
72°C x 10’
1 ciclo
30 cicli
1 ciclo
3. Analisi dei risultati mediante elettroforesi in gel di poliacrilammide
3.1. Preparazione del gel
I prodotti di reazione di PCR sono analizzati mediante elettroforesi in gel di poliacrilammide
al 5%, preparato secondo lo schema seguente:
5,625 ml
Acrilammide/Bis-Acrilammide al 19:1
4,5 ml
TBE 5X
612 µl
APS 10%
45 µl
TEMED
34,85 ml
acqua sterile
La soluzione è versata nell'apparato per elettroforesi verticale utilizzando un pettine di teflon ed
evitando di formare bolle d'aria. Attendere 30-45' per la solidificazione del gel, che avviene a
temperatura ambiente.
3.2. Caricamento dei campioni e corsa elettroforetica
Dopo la solidificazione del gel, rimuovere il pettine, assemblare il gel nell'apparato per
elettroforesi e ripulire i pozzetti. I lavaggi sono effettuati spruzzando TBE 1 X (tampone di corsa
elettroforetica) con una siringa da 5 ml. I campioni da analizzare sono addizionati di 3 µl di gel
loading buffer per ogni 10 µl e caricati con micropipetta nei singoli pozzetti. L'elettroforesi è
condotta fino a che il blu di bromofenolo ha migrato ad 1 cm dal termine del gel applicando un
voltaggio di 150 V.
3.3. Visualizzazione del DNA amplificato mediante colorazione con nitrato d'argento
Al termine dell'elettroforesi, i prodotti di DNA amplificato sono visualizzati mediante
colorazione del gel con nitrato di argento a come di seguito riportato:
− Immergere il gel per 40' in una vaschetta (in plastica o vetro) contenente una soluzione acquosa
(200 ml) di acido acetico glaciale 1% ed alcool etilico assoluto 10%;
− Lavare il gel per 3 volte con 200 ml di acqua sterile (ogni lavaggio dovrà essere di 30’’);
− Colorare il gel per 40' in una soluzione costituita da 0,39 g di nitrato d’argento in 200ml di
acqua distillata;
− Lavare il gel per 3 volte con 200 ml di acqua sterile (ogni lavaggio dovrà essere di 30’’);
− Incubare il gel in una soluzione contenente 4,2 g di NaOH, 20 mg di sodio borato e 800 µl di
formaldeide al 37% (preparare la soluzione subito prima dell’uso);
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
− Attendere lo sviluppo delle bande (5 – 15');
− Allontanare la soluzione di sviluppo e lavare con acqua distillata (2 – 3 lavaggi di pochi secondi
ognuno);
− Fissare la colorazione con una soluzione contenente etanolo 40% e acido acetico 5%; per un
tempo variabile da 1 ora ad 14-16h;
−
Essiccare il gel con apposite membrane a temperatura ambiente per 2 – 3 giorni.
3.4. Fotodocumentazione del gel
Il gel potrà essere fotografato su Transilluminatore Photo UV 20 C (EuroClone) ed acquisito
mediante sistema di foto-documentazione PhotoPRINT II (EM-TFC20M, EuroClone).
4. Analisi RFLP del frammento ottenuto per PCR su campioni infetti da PPV
4.1. Digestione con RsaI
Preparare la seguente miscela di reazione (volume finale 10 µl):
-
5 µl
Prodotto di PCR (0,5 µg)
1 µl
Buffer 10X
0,5 µl
RsaI 1 U/µl
3,5 µl
H2O
Agitare delicatamente e centrifugare per pochi secondi a 12.000 g.
Incubare per 1 h a 37 °C.
Verificare il prodotto dell'RFLP in elettroforesi su gel di poliacrilammide (PAGE) 5% e colorare
il gel mediante Silver staining.
4.2. Digestione con AluI
Preparare la seguente miscela di reazione (volume finale 10 µl):
-
5 µl
Prodotto di PCR (0,5 µg)
1 µl
Buffer 10X
0,5 µl
AluI 1 U/µl
3,5 µl
H2O
Agitare delicatamente e centrifugare per pochi secondi a 12.000 g.
Incubare per 1 h a 37 °C.
Verificare il prodotto dell'RFLP in elettroforesi su gel di poliacrilammide (PAGE) 5% e colorare
il gel mediante Silver staining.
5. Interpretazione dei risultati
I risultati sono interpretati qualitativamente come positivi o negativi a seconda della
presenza o assenza di specifici frammenti di DNA amplificato. In ogni reazione dovrebbero
essere effettuati i seguenti controlli:
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
1. Un controllo negativo su tessuti di una pianta sana (verificata tale in test precedenti e/o
con differenti altri test diagnostici). La comparsa di specifici frammenti di DNA
amplificato nel controllo negativo dopo RT-PCR su TNA indica una probabile crosscontaminazione e rende necessaria la ripetizione dell'intero set di analisi effettuato.
2. Un controllo positivo a partire da TNA ottenuto da pianta sicuramente infetta da PPV
(verificata tale in test precedenti e/o con differenti altri test diagnostici). La mancata
osservazione di una specifico frammento di DNA amplificato nel controllo positivo indica
l'assenza di sintesi di cDNA o di amplificazione di quest'ultimo, e induce a ripetere l'intero
set di analisi effettuato.
3. Un controllo positivo a partire da cDNA ottenuto (adoperando lo stesso protocollo) da
pianta sicuramente infetta da PPV (verificata tale in test precedenti e/o con differenti
altri test diagnostici). La mancata osservazione di uno specifico frammento di DNA
amplificato nel controllo positivo indica l'assenza di amplificazione di quest'ultimo, e induce
a ripetere l'intero set di analisi effettuato.
Ogni set di analisi condotto dovrà essere conservato come fotodocumentazione contenente le
seguenti informazioni:
− Data
− Nome dell'operatore
− Protocollo adoperato per l'RT-PCR
− Codice identificativo di ogni campione analizzato
− Analisi dei risultati per ogni campione analizzato
− Commenti dell'operatore
BIBLIOGRAFIA
Boscia D., Myrta A., Potere O., Cambra M., Crescenzi A., Di Terlizzi B., Candresse T. e Savino V.
1998. Impiego di anticorpi monoclonali per l'identificazione dei diversi ceppi del virus della
vaiolatura delle drupacee. Notiziario sulla Protezione delle Piante 9, 207 - 212.
Crescenzi A., d'Aquino L., Nuzzaci M., Ostuni A., Bavoso A., Comes S., De Stradis A. e Piazzolla
P. 1997. Production of strain specific antibodies against a synthetic polypeptide corresponding
to the N-terminal region of the plum pox potyvirus coat protein. Journal of Virological
Methods 69, 181 - 189.
Nemchinov L., Hadidi A., Candresse T., Foster J.A. e Verderevskaya T. 1994. Sensitive detection
of applechlorotic leaf spot virus from infected apple or peach tissue using RT-PCR, IC-RTPCR, or multiplex IC-RT-PCR. Acta Horticulturae 386: 51-57.
Rowhani A., Maningas M.A., Lile L.S., Daubert S.D. e Golino D.A. 1995. Development of a
detection system for viruses of woody plants based on PCR analysis of immobilized virions.
Phytopathology 85 (3), 347-352.
Wetzel T., Candresse T., Ravelonandro M. e Dunez J. 1991. A highly sensitive immunocapture
polymerase chain reaction method for plum pox potyvirus detection. Journal of Virological
Methods 39, 27 – 37.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Allegato 4
PROTOCOLLO PER LA DIAGNOSI DI PPV IN PRUNUS DA PIENO CAMPO MEDIANTE IC-RT-PCR.
Applicazioni
Il protocollo descritto è stato sviluppato per la diagnosi del virus della vaiolatura del susino
(PPV) nelle principali specie di Prunus, ed è applicabile per tutta la durata della fase vegetativa
delle stesse.
È stato messo a punto e validato nel corso di saggi di laboratorio effettuati presso il
Dipartimento di Biologia, Difesa e Biotecnologie Agro-Forestali dell'Università degli Studi della
Basilicata, Potenza. Allo scopo sono stati adoperati isolati virali di diversa provenienza geografica.
Limitazioni d’uso
Utilizzo per le reazioni di amplificazione mediante PCR di inneschi di sintesi disegnati sulla
base delle sequenze finora note dei diversi isolati virali: potrebbero non essere in grado di rilevare la
presenza di isolati virali da quelli divergenti a livello di sequenza nucleotidica.
L'analisi RFLP non permette di discriminare tra gli isolati appartenenti ai gruppi EA ed M, che però
possono essere distinti mediante analisi sierologica con anticorpi monoclonali ceppo specifici
(Boscia et al., 1998).
ABBREVIAZIONI USATE NEL TESTO
APS
β-ME
cDNA
DNA
dNTPs
EDTA
IC
pb
PBS
PCR
PPV
PVP
RFLP
RNA
Rnase
RT
SwC
TEMED
TRIS
U
µl
Ammonio persolfato
Beta mercapto-etanolo
DNA complementare
Acido deossiribonucleico
Nucleotidi trifosfati
Acido etilen diammino tetracetico
Immuno Cattura
Paia di basi
Tampone fosfato salino
Amplificazione a catena della Polimerasi
(Polymerase Chain Reaction)
Plum pox virus
Poli-vinil-pirrolidone
Restriction fragment lenght polymorfism
Acido ribonuleico
Ribonucleasi
Trascrizione Inversa
Sweet Cherry
Tetraetilen-metilendiammina
Triidrossimetil ammino metano
Unità
Microlitri
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Breve sintesi del protocollo di diagnosi
Il presente protocollo è dotato di elevata sensibilità, riproducibilità e specificità nella
rilevazione della presenza di PPV in diverse specie di Prunus. Si sviluppa attraverso le fasi di
immuno-cattura del virione (IC) e trascrizione inversa (RT) realizzate nello stesso tubo, seguite da
amplificazione a catena della polimerasi (PCR) specifica per tutti gli isolati di PPV noti.
Prevede l'uso di anticorpi policlonali preparati nei confronti dell'isolato da ciliegio dolce PPV-SwC
nella fase di immuno-cattura. Tali anticorpi "catturano" le particelle virali dal succo estratto da
foglie di drupacee infette. Successivamente, l'RNA virale rilasciato dai virioni funge da stampo per
la sintesi - mediante trascrizione inversa catalizzata dalla Rav-2 - di un DNA complementare a
singola elica (cDNA) iniziata da un oligonucleotide sintetico complementare all'RNA virale e
specifico per PPV, la cui sequenza è di seguito riportata (tab. 1). Tale cDNA è quindi utilizzato in
una reazione di amplificazione a catena della polimerasi (PCR).
L’identificazione dei frammenti amplificati è effettuata mediante elettroforesi su gel di
poliacrilammide e colorazione con nitrato d'argento. L'analisi del polimorfismo dei frammenti di
restrizione (RFLP), ottenuti per digestione del prodotto dell'amplificazione con gli enzimi AluI ed
RsaI, consente di stabilire il gruppo di appartenenza degli isolati di PPV eventualmente
diagnosticati.
L'immuno-cattura dei virioni che precede la sintesi di cDNA, piuttosto che l'utilizzo di uno
dei diversi metodi di estrazione dell'RNA totale noti, consente di concentrare le particelle virali dal
succo estratto ed inoltre di aumentare la specificità nella fase di PCR. La possibilità di realizzare
immuno-cattura dei virioni e trascrizione inversa nello stesso tubo consente oltre che di ridurre i
tempi di esecuzione del saggio, di limitare notevolmente il rischio di contaminazione dei campioni.
Sequenze degli oligonucleotidi sintetici specifici per l'amplificazione di PPV
DIMENSIONI
NOME
PRIMER
GENE
PPV/C
5’-CAGACTACAGCCTCGCCAGA-3’
CP
PPV/H
5’-ACCGAGACCACTACACTCCC-3’
CP
AMPLICONE
243 pb
BIBLIOGRAFIA
Wetzel et al., 1991
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Strumentazione necessaria
Il protocollo è stato sviluppato adoperando la strumentazione di seguito riportata. L'uso di
modelli di altre ditte potrebbe richiedere adattamenti del metodo.
Strumento
Modello
Alimentatore per elettroforesi (200V)
Autoclave per sterilizzazione
Bilancia analitica
Celle per elettroforesi verticale
Centrifuga refrigerata
Freezer a bassa temperatura (-80°C)
Gel dryer
Microcentrifughe da banco
Micropipette tarate
Speed Vac
Stufa per sterilizzazione
Termostato
Thermal cycler
LKB - Bromma
Explorer OHAUD
BioRad
Sigma 3K30
Forma Scientific
model 583 - BioRad
ALC micro-Centrifughette 4214 ALC International s.r.l.
Gilson
Universal Vacuum System plus UVS400A - SC110 SVPT - Savant
ISCO
Grant Boekel PHC19
Gene Amp PCR System Perkin Elmer 9700 - Applied Biosystem
Reagenti e soluzioni
Acqua deionizzata sterile; Antisiero anti PPV-SwC; Tampone di sensibilizzazione (NaHCO3
2,93 g/l + Na2CO3 1.59 g/l pH 9.6). PBS (NaCl 0,08 %, KH2PO4 0,002 %, Na2HPO4 0,0115 %, KCl
0.002 %, NaN3 0.002%, pH 7,2-7,4); Tween, PVP; DTT 0,1 M; dNTPs 10 mM; β-ME 0,3 M;
Marker di peso molecolare per DNA (New England Biolab); TRITON X100; Soluzione al 40% di
acrilammide/bis-acrilammide; TBE (TRIS 90 mM, Acido borico 90 mM, EDTA 2mM, pH 8,3),
Acido acetico, Nitrato d'argento, TEMED, APS, Idrossido di sodio, Sodio borato, Formaldeide
(37%), Glicerolo.
Enzimi
- Rnase inhibitor 40 U/µl, inibitore di RNase (Ambion);
- DynaZyme 2 U/µl, DNA polimerasi termostabile (Finnyzimes Oy) e relativo tampone;
- RAV-2 11 U/µl, trascrittasi inversa (Amersham) e relativo tampone;
- AluI 5 U/µl (New England Biolabs);
- RsaI 10 U/µl (New England Biolabs).
Consumabili vari
Provette da microcentrifuga da 0,2, 1,5 e 2 ml; puntali per pipette; vaschette per pesate; Gel
Drying film V713B (Promega).
Protocollo di IC-RT-PCR
1. Campionamento
I campioni da sottoporre a saggio devono essere raccolti nel periodo di vegetazione delle diverse
specie di Prunus indagate per la presenza di PPV. Il protocollo in oggetto è applicabile
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
essenzialmente a tessuto fogliare. I campioni devono essere raccolti lungo le diagonali degli
impianti sottoposti ad indagine, da piante di 4 – 10 anni, sia sintomatiche sia asintomatiche. Circa il
5% delle piante presenti negli impianti investigati deve essere saggiato per la presenza del virus
perché il risultato della diagnosi sia statisticamente attendibile. In particolare, si devono raccogliere
tre subcampioni fogliari per pianta che devono essere successivamente riuniti a formare un unico
campione da sottoporre ad analisi.
2. Tecnica di diagnosi
2.1. Immuno - cattura di virioni da tessuto fogliare di diverse specie di Prunus
-
Sensibilizzare per 2 ore i tubi da PCR con 200 µl di antisiero policlonale anti PPV-SwC diluito
1/500 in tampone di sensibilizzazione.
Effettuare 3 lavaggi di 3’ ognuno con tampone di lavaggio (PBS + Tween 0.05%).
Porre nei tubi 200 µl di succo estratto in PBS contenente il 2% PVP ed 0.05% di Tween 20.
Incubare per 12-16 ore a 4°C.
Effettuare 5 lavaggi di 5’ ognuno con PBS + Tween 0,05%.
2.2. Sintesi del DNA complementare all'RNA virale (cDNA)
- Porre nei tubi in cui è stata effettuata l'immuno-cattura dei virioni la seguente miscela di
annealing:
-
10 µl
Rav-2 buffer 5X
5 µl
DTT 0,1 M
1 µl
Primer complementare 0,1 µg/µl
5 µl
ß-ME 0,3 M
2,5 µl
dNTPs 10mM
6 µl
Triton X100 1.7%
18,5 µl
H2O sterile
Incubare per 5’ a 100°C, agitando di tanto in tanto i tubi.
Porre immediatamente i tubi in ghiaccio per 5’.
Incubare a temperatura ambiente per 20’.
Aggiungere 1 µl di Rav2 (11U/µl ) ed 1 µl di RNasin ( 40U/µl ).
Agitare al vortex, centrifugare per pochi secondi a 12.000 g e incubare per 30’ a 45°C.
2.3. Amplificazione mediante PCR
Preparare in un nuovo tubo da PCR la seguente miscela di reazione (volume finale 50 µl):
5 µl
cDNA
5 µl
PCR buffer 10X
1 µl
dNTPs 10mM
1 µl
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
Primer complementare 0,1 µg/µl
1 µl
Primer omologo 0,1 µg/µl
36 µl
H20
1 µl
DynaZime (FynniOy) (2U/µl)
Impostare sul Thermal Cycler ed avviare il programma di amplificazione:
Hot start
Denaturazione
Appaiamento
Sintesi
Sintesi
85°C x 5'
94°C x 30"
62°C x 30"
72°C x 45"
72°C x 5’
1 ciclo
30 cicli
1 ciclo
2.4. Analisi dei risultati mediante elettroforesi in gel di poliacrilammide
2.4.1 Preparazione del gel
I prodotti di reazione di PCR sono analizzati mediante elettroforesi in gel di poliacrilammide
al 5%, preparato secondo lo schema seguente:
5,625 ml
Acrilammide/Bis-Acrilammide al 19:1
4,5 ml
TBE 5X
612 µl
APS 10%
45 µl
TEMED
34,85 ml
acqua sterile
La soluzione è versata nell'apparato per elettroforesi verticale utilizzando un pettine di teflon ed
evitando di formare bolle d'aria. Occorrono 30-45' per la solidificazione del gel che avviene a
temperatura ambiente.
2.4.2 Caricamento dei campioni e corsa elettroforetica
Dopo la solidificazione del gel, rimuovere il pettine, assemblare il gel nell'apparato per
elettroforesi e ripulire i pozzetti. Effettuare i lavaggi spruzzando TBE 1x (tampone di corsa
elettroforetica) con una siringa da 5 ml. Addizionare ai campioni da analizzare 3 µl di loading
buffer per ogni 10 µl e caricarli con micropipetta nei singoli pozzetti. Condurre l'elettroforesi fino a
che il blu di bromofenolo migra ad 1 cm dal termine del gel, applicando un voltaggio costante di
150 V.
2.4.3 Visualizzazione del DNA amplificato mediante colorazione con nitrato d'argento
Al termine dell'elettroforesi i prodotti di DNA amplificato sono visualizzati mediante
colorazione del gel con nitrato di argento, effettuata secondo il seguente protocollo:
− Immergere il gel per 40' in una vaschetta (plastica o vetro) contenente una soluzione acquosa
(200 ml) di acido acetico glaciale 1% ed alcool etilico assoluto 10%;
− Effettuare 3 lavaggi di 30" cad. con 200 ml di acqua sterile;
− Colorare il gel per 40' in una soluzione costituita da 0,39 g di nitrato d’argento in 200 ml di
acqua distillata;
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
− Effettuare 3 lavaggi di 30" cad. con 200 ml di acqua sterile;
− Incubare il gel in una soluzione contenente 4,2 g di NaOH, 20 mg di sodio borato e 800 µl di
formaldeide al 37% (preparare la soluzione subito prima dell’uso);
− Attendere lo sviluppo delle bande (5 – 15');
− Allontanare la soluzione di sviluppo e lavare con acqua distillata (2 – 3 lavaggi di pochi secondi
ognuno);
− Fissare la colorazione con una soluzione contenente etanolo 40% e acido acetico 5%; per un
tempo variabile da 1 a 14-16 ore;
− Acquisire il gel mediante un sistema di fotodocumentazione o essiccarlo in Gel Dryer model
583 (BioRad) a temperatura ambiente per 2 – 3 giorni.
2.4.4 Fotodocumentazione del gel
Il gel sviluppato potrà essere fotografato su Transilluminatore Photo UV 20 C (EuroClone)
ed acquisito mediante sistema di foto-documentazione PhotoPRINT II (EM-TFC20M, EuroClone).
2.5 Analisi RFLP del frammento ottenuto per PCR
2.5.1. Digestione con RsaI
Preparare la seguente miscela di reazione (volume finale 10 µl):
-
5 µl
Prodotto di PCR (0,5 µg)
1 µl
Buffer 10X
0,5 µl
RsaI 1 U/µl
3,5 µl
H2O
Agitare delicatamente e centrifugare per pochi secondi a 12.000 g.
Incubare per 1 h a 37 °C.
Verificare il prodotto dell'RFLP in elettroforesi su gel di poliacrilammide (PAGE) 5% e colorare
il gel mediante Silver staining.
2.5.2 Digestione con AluI
Preparare la seguente miscela di reazione (volume finale 10 µl):
-
5 µl
Prodotto di PCR (0,5 µg)
1 µl
Buffer 10X
0,5 µl
AluI 1 U/µl
3,5 µl
H2O
Agitare delicatamente e centrifugare per pochi secondi a 12.000 g.
Incubare per 1 h a 37 °C.
Verificare il prodotto dell'RFLP in elettroforesi su gel di poliacrilammide (PAGE) 5% e colorare
il gel mediante Silver staining.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001
2.6 Interpretazione dei risultati
I risultati sono interpretati qualitativamente come positivi o negativi a seconda della
presenza o assenza di specifici frammenti di DNA amplificato. In ogni reazione dovrebbero
essere effettuati i seguenti controlli:
1.
Un controllo negativo su tessuti di una pianta sana (verificata tale in test precedenti
e/o con differenti altri test diagnostici). La comparsa di specifici frammenti di DNA
amplificato nel controllo negativo dopo IC-RT-PCR indica una probabile crosscontaminazione e rende necessaria la ripetizione dell'intero set di analisi effettuato.
2.
Un controllo positivo a partire da prodotto di IC (virione e relativo RNA virale)
ottenuto da pianta sicuramente infetta da PPV (verificata tale in test precedenti e/o
con differenti altri test diagnostici).
La mancata osservazione di una specifico
frammento di DNA amplificato nel controllo positivo indica l'assenza di sintesi di cDNA o
di amplificazione di quest'ultimo, e induce a ripetere l'intero set di analisi effettuato.
3.
Un controllo positivo a partire da prodotto di IC-RT (cDNA) ottenuto da pianta
sicuramente infetta da PPV (verificata tale in test precedenti e/o con differenti altri
test diagnostici). La mancata osservazione di uno specifico frammento di DNA
amplificato nel controllo positivo indica l'assenza di amplificazione di quest'ultimo, e
induce a ripetere l'intero set di analisi effettuato.
Ogni set di analisi condotto dovrà essere conservato come fotodocumentazione contenetente le
seguenti informazioni:
• Data
• Nome dell'operatore
• Codice dell'antisiero utilizzato
• Protocollo adoperato per l'immuno-cattura dei virioni
• Protocollo adoperato per l'RT-PCR
• Codice identificativo di ogni campione analizzato
• Analisi dei risultati per ogni campione analizzato
• Commenti dell'operatore
BIBLIOGRAFIA
Boscia D., Myrta A., Potere O., Cambra M., Crescenzi A., Di Terlizzi B., Candresse T. e Savino V.
1998. Impiego di anticorpi monoclonali per l'identificazione dei diversi ceppi del virus della
vaiolatura delle drupacee. Notiziario sulla protezione delle piante 9, 207 - 212.
Wetzel T., Candresse T., Ravelonandro M. and Dunez J. 1991. A highly sensitive immunocapture
polymerase chain reaction method for plum pox potyvirus detection. Journal of Virological
Methods 39, 27 – 37.
Progetto POM A32 “Norme fitosanitarie e commercializzazione delle produzioni vivaistiche”
Locorotondo (BA), 4 – 7 dicembre 2001