2. lettura geolitologica e geomorfologica dell`area dolomitica e di

 2. LETTURA GEOLITOLOGICA E GEOMORFOLOGICA
DELL’AREA DOLOMITICA E DI PASSO VALLES IN SPECIFICO
2.1 INTRODUZIONE
L’analisi ambientale che ci si è posti di attuare all’interno del bacino del torrente Cordevole
integra molteplici aspetti, considerando diversi comparti tra cui quello fluviale, vegetale, silvopastorale, pedologico e, non per ultimo, quello geolitologico. Proprio lo studio di quest’ultimo si
rivela quanto mai importante ed imprescindibile per la comprensione delle caratteristiche e delle
dinamiche proprie dell’area considerata. La geologia infatti deve essere valutata base
fondamentale e fattore di principio per l’evoluzione di tutti gli elementi che vanno a costituire
l’”ecosistema ambiente”: dallo sviluppo del suolo a quello della vegetazione, dalle proprietà
fisiche, chimiche e biologiche delle acque interne alla morfologia del territorio, con tutte le sue
peculiarità e criticità. Ecco quindi l’importanza di iniziare l’indagine dell’area vasta con l’analisi
geologica per poter successivamente comprendere al meglio tutti gli aspetti che vanno
considerati all’interno di uno studio scientifico dell’ambiente.
2.2 GENESI E GEOLOGIA DELLE DOLOMITI
2.2.1 LA LEGGENDA DEI MONTI PALLIDI
«Ai tempi dell’antico Regno delle Dolomiti, quando la roccia delle montagne aveva lo stesso
colore delle Alpi, tutto era ricoperto di prati fioriti, boschi lussureggianti e laghi incantati.
Ovunque si poteva respirare aria di felicità e armonia meno che nel castello reale. Bisogna
infatti sapere che il figlio del Re aveva sposato la principessa della luna, ma un triste destino
condannava i due giovani amanti a vivere eternamente separati. L’uno non poteva sopportare
l’intensa luce della luna che l’avrebbe reso cieco, l’altra sfuggiva la vista delle cupe montagne e
degli ombrosi boschi che le causavano una malinconia talmente profonda da farla ammalare
gravemente.
Ormai ogni gioia sembrava svanita e solamente le oscure foreste facevano da solitario rifugio al
povero principe. Ma si sa, però, che proprio le ombrose selve sono luoghi popolati da curiosi
personaggi, ricchi di poteri sorprendenti e capaci di rovesciare inaspettatamente il corso degli
eventi. Ed è così che un giorno, nel suo disperato vagare, il principe si imbattè nel re dei
Salvani, un piccolo e simpatico gnomo in cerca di una terra per il suo popolo. Dopo aver
ascoltato la triste storia del giovane sposo, il re dei Salvani gli propose, in cambio del permesso
di abitare con la propria gente questi boschi, di rendere lucenti le montagne del suo regno.
Siglato il patto, gli gnomi tessero per un’intera notte la luce della luna e ne ricoprirono tutte le
rocce. La principessa potè così tornare sulla terra per vivere felicemente assieme al suo sposo e
le Dolomiti presero il nome di “Monti Pallidi”.»1
1
Kindl, U. (1993).
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2.2.2 CENNI STORICI ED INQUADRAMENTO GEOGRAFICO
Il termine Dolomiti è da attribuirsi al marchese Déodat de Dolomieu (1750-1801) che tra il 1789
ed il 1790, di ritorno da un viaggio di studio in Italia, raccolse, nelle Alpi dello Stubai e nella
Valle dell’Adige tra Salorno e Mezzocorona, due campioni di roccia chiara, apparentemente
calcarea, che però non presentava la tipica effervescenza se trattata con acido cloridrico.
I campioni vennero analizzati dal chimico e botanico Nicolas-Théodore de Saussurre, il quale
stabilì che il minerale componente, non ancora conosciuto, fosse un carbonato doppio di calcio e
magnesio [CaMg(CO3)2] e gli diede il nome Dolomite in onore dell’amico.
Il nuovo termine apparve nel 1794 solo in un testo inglese di mineralogia; entrò comunemente
nell’uso solo dopo la prima guerra mondiale, quando però nella “Regione Dolomitica” venivano
incluse tutte le Prealpi Venete e Friulane nonché le Alpi Carniche e Giulie.
Le Dolomiti nel mondo sono uniche, sia per l’intrinseco ed eccezionale valore naturale che
rappresentano, sia perché decisamente limitate geograficamente ad una relativamente ristretta
regione compresa tra Veneto e Trentino Alto-Adige. Al di fuori di quest’area, dove è espressa al
massimo l’associazione rocce dolomitiche-rocce vulcaniche (è questa la vera peculiarità), è
improprio parlare di Dolomiti in senso stretto (con buona pace per gli abitanti del Friuli Venezia
Giulia e di quelli della zona di Madonna di Campiglio).
Attualmente alle “Alpi Dolomitiche” vengono attribuiti i seguenti confini:
- a Nord, la Val Pusteria (valle del Rienza) da Bressanone alla Sella di Dobbiaco;
- a Nord-Est, la Val di Sesto;
- ad Est e a Sud-Est, la valle del torrente Padola e quella del Piave da S. Stefano di Cadore
fino a Feltre;
- a Sud un tratto del torrente Seren, la Valsugana ed il torrente Fersina fino allo sbocco
nell’Adige;
- ad Ovest la valle dell’Isarco da Bressanone a Bolzano e quella dell’Adige da Bolzano a
Trento.
Ma come già citato, all’interno dell’area appena delimitata, è da riconoscere una zona ancora più
ristretta da riferirsi alle “Dolomiti in senso stretto”. (Fig. 2.1)
Fig. 2.1 – Limiti geografici delle Dolomiti. Tratta da Bosellini, A. (1996).
19
L’area può infine essere ulteriormente suddivisa in “Dolomiti Occidentali” e “Dolomiti
Orientali”: il limite in questo caso è definito dalla Valle del Cordevole.
La storia genetica delle Dolomiti è quanto mai complessa e prolungata nel tempo. La maggior
parte delle rocce che ne costituiscono l’articolata stratigrafia si formarono nell’arco temporale
compreso tra la fine del Paleozoico (Permiano) e la fine del Mesozoico (Cretacico): stiamo
parlando quindi di più di 150 Ma. Questo senza considerare che il processo di evoluzione,
caratterizzato da innalzamento, deformazione ed erosione, è continuato fino ai giorni nostri (e
continua tuttora). Ecco perché le “Dolomiti” in senso stretto, nel mondo, sono uniche. Come
racconta lo stesso geologo Alfonso Bosellini, massimo esperto mondiale dell’argomento, solo in
questa ristretta zona geografica è possibile riscontrare la tipicissima associazione rocce
dolomitiche-rocce vulcaniche, esclusiva a livello globale. (Fig. 2.2)
Fig. 2.2 – Successione stratigrafica delle Dolomiti. Tratta da Bosellini, A. (1996).
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2.2.3 IL BASAMENTO METAMORFICO
Alla base della successione stratigrafica vi è una massa di rocce scure metamorfiche, il
“basamento metamorfico” (Bm), formatosi per metamorfismo, collegato all’orogenesi Ercinica
del Carbonifero (300-350 Ma fa), di preesistenti rocce sedimentarie e vulcaniche di età
paleozoica (400-550 Ma). Il risultato furono rocce scistose, grigio scure, nere, lucide, spesso
brillanti per l’abbondante presenza di mica (filladi, micascisti, paragneiss).
I rilievi metamorfici ercinici furono poi erosi e spianati dagli agenti meteorici.
2.2.4 IL PAESAGGIO PERMIANO
dalle aride pietraie vulcaniche alle lagune salate e ai quieti golfi marini
Successivamente nel basamento metamorfico si intrusero due grosse masse plutoniche di granito,
il “granito di Bressanone” (280 Ma) ed il “granito di Cima d’Asta” (274-276 Ma) (g) e nello
stesso tempo una vasta area subcircolare nei pressi di Bolzano iniziò a sprofondare lungo una
serie di faglie verticali. Nacque così una grande caldera del diametro di circa 70 km. Lungo
questa serie di faglie lo stesso magma risalì, originando colate piroclastiche di ignimbriti
(porfidi quarziferi, P) che vennero messe in posto da nubi ardenti e terminarono verso i 260
Ma, quando tutta la caldera atesina fu completamente colmata (Complesso vulcanico atesino).
I rilievi vulcanici atesini furono erosi e spianati e tutta l’area dolomitica divenne un’ampia
pianura desertica solcata da torrenti che scorrevano erodendo, trasportando ed accumulando
detriti (argille, sabbie, ghiaie). Con la diagenesi si formarono (250 Ma fa) le Arenarie di Val
Gardena (AVG). (Fig. 2.3)
Fig. 2.3 – L’ambiente di formazione delle Arenarie di Val Gardena. Tratta da Bosellini, A. (1996).
Dopo circa 50 Ma di condizioni continentali, iniziò una fase di subsidenza e di conseguente
invasione del mare (245-250 Ma fa). Un’ampia fascia di lagune e stagni, parzialmente sbarrata a
est nord-est da zone di alto strutturale controllate dalla tettonica sinsedimentaria (area carnica),
creò le condizioni per la formazione di successioni evaporitiche di gesso, anidrite e dolomie
scure (“evaporiti”). Poi, il continuo avanzamento del mare creò un vasto golfo di acque poco
profonde e quiete che permise la deposizione di fanghi ricchi di sostanza organica, diventati poi
calcari neri (segno della transizione ad un contesto deposizionale di rampa, con gradienti di
subsidenza e profondità media dei fondali in progressivo e lento aumento da ovest ad est). Tutto
ciò avvenne in un intervallo di tempo inferiore ai 10 Ma: con l’avanzata del mare verso ovest era
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nata la Formazione a Bellerophon (Be; Bc), dal nome di un gasteropode erbivoro lagunare
contenuto nei calcari neri. (Fig. 2.4 e 2.5)
Fig. 2.4 – L’evoluzione del paesaggio permiano e l’ambiente di formazione della “Bellerophon”.
Tratta da Bosellini, A. (1996).
Fig. 2.5 – Il Bellerophon.
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Alla fine dell’era paleozoica una grande estinzione segnò la scomparsa dell’85% degli organismi
viventi per cause ancora sconosciute (probabilmente l’impatto di un enorme meteorite oppure un
generale raffreddamento del clima con conseguente variazione termica delle acque marine).
2.2.5 LA FORMAZIONE DI WERFEN
la grande trasgressione marina del Triassico inferiore
L’inizio della nuova era mesozoica (248 Ma fa) fu caratterizzato da una grande trasgressione
marina, con un deciso avanzamento del mare verso ovest. Le condizioni di mare basso e costiero
favorirono il deposito di sabbie, argille e fanghi calcarei che costituiscono l’attuale Formazione
di Werfen (dal nome di una cittadina austriaca; W), una sequenza di rocce stratificate, dai colori
vivaci e spesso ricche di fossili come Claraia clarai, un mollusco lamellibranco.
In 7-8 Ma il livello marino subì almeno quattro grandi fluttuazioni con altrettante trasgressioni e
regressioni. Per questo la Formazione di Werfen risulta costituita da almeno nove livelli
stratigrafici differenti, come in Figura 2.6.
Fig. 2.6 – La colonna stratigrafica ideale della Formazione di Werfen. Tratta da Bosellini, A. (1996).
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2.2.6 L’ANISICO
Durante l’Anisico superiore (236 Ma fa), una vasta area quadrangolare compresa tra Bolzano,
Cavalese, Agordo e Brunico si sollevò ed emerse formando un’isola. Le rocce di questa furono
in parte erose con produzione di sabbia e ghiaie che andarono a costituire il Conglomerato di
Richthofen (dal nome di un famoso geologo austriaco; CR). Se nelle Dolomiti occidentali vi era
un’ampia area emersa, in quelle orientali (Agordino, Zoldano, Cadore, Comelico, Dolomiti di
Braies e Sesto) il mare andava approfondendosi da ovest ad est, rendendo possibile la
deposizione di formazioni conglomeratiche, calcaree, dolomitiche e marnose (Dolomia del
Serla).
Successivamente nelle Dolomiti occidentali aumentò di nuovo la subsidenza, il mare invase le
aree emerse, cosicché sul Conglomerato di Richthofen si deposero prima calcari marnosi grigioverdastri e poi, in ambiente di mare tropicale con acque calde e limpide, le dolomie e i calcari
della Formazione di Contrin (C).
Dove invece la batimetria era più profonda, si accumularono materiali finissimi, ricchi di
sostanza organica, come calcari, marne, argille nere e di vario colore (Formazione del Gruppo
di Braies, GB).
Alla fine dell’Anisico la piattaforma tropicale si fratturò in vari blocchi, i quali cominciarono a
sprofondare ed alcuni s’inclinarono leggermente cosicché da una parte sprofondarono ancora di
più, dall’altra poterono persino emergere dall’acqua. In questi ultimi punti, dove le calde acque
tropicali erano basse, attecchirono comunità di organismi marini (alghe, spugne, coralli).
Nacquero così delle scogliere coralline sviluppatesi notevolmente, soprattutto in un primo tempo,
per aggradazione verticale, dato che la produzione di carbonato di calcio era così abbondante da
tenere il passo della stessa subsidenza. Così l’ecosistema scogliera poteva tenersi costantemente
ad una profondità di 20-30 metri, dove le condizioni di vita erano ottimali.
Quando la subsidenza rallentò, c’era ancora spazio per accrescimento laterale per progradazione,
testimoniato dalle clinostratificazioni, le antiche superfici del pendio sottomarino che
raccordavano il margine delle scogliere con il fondale del bacino marino. Molte famose scogliere
dolomitiche (Sciliar, Rosengarten, Latemar, Sassolungo, Marmolada, Pale di S. Martino, Putia,
Odle) sono proprio costituite da strati inclinati di detriti e blocchi accumulati sui fianchi delle
piattaforme degradanti (Dolomia dello Sciliar, DS, e Calcare della Marmolada). (Fig. 2.7)
In adiacenza alle scogliere, dove i fondali erano più profondi, si depositarono i sedimenti della
Formazione di Livinallongo (Li): alla base 10-20 metri di straterelli calcareo-silicei neri ricchi
di sostanza organica, seguiti da calcari grigio-verdastri a noduli selciosi con possibili
intercalazioni di tufi e ceneri vulcaniche dal colore verde intenso (“pietra verde”).
Nel Cadore, Comelico, Zoldano e Agordino si accumularono invece sabbie provenienti da sud,
dalla pianura veneta, che al tempo era in gran parte emersa (Arenarie di Zoppè, Z).
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Fig. 2.7 – L’evoluzione delle scogliere carbonatiche ladiniche pre-vulcaniche
e dei circostanti bacini marini. Tratta da Bosellini, A. (1996).
2.2.7 GLI EVENTI VULCANICI E TETTONICI DEL LADINICO SUPERIORE
Alla fine del Ladinico (228 Ma fa) l’area dolomitica fu sconvolta da fenomeni vulcanici e sismici
che, tra l’altro, originarono una serie innumerevole di fratture, faglie (oltrechè deformazioni,
piegamenti, accavallamenti, diapiri di gessi e marne della “Bellerophon” che sfondarono la
soprastante copertura sedimentaria intercalandola e deformandola). Lungo queste, in alcune
rocce poterono risalire i magmi (filoni vulcanici, f), in altre si formarono scarpate con possibilità
di frane marine innescate da terremoti. La movimentazione di ingenti quantità di materiali
comportò l’accumulo di brecce caotiche, costituite da frammenti di tutte le formazioni triassiche
sottostanti, chiamato oggi “caotico eterogeneo” (Ce).
Si svilupparono poi due grossi apparati vulcanici, nei pressi di Predazzo e nella zona dei
Monzoni (Valle S. Nicolò), i quali emisero enormi quantità di lava e altri prodotti (tufi, ceneri,
ialoclastiti, brecce). Tipica fu la formazione di “lava a pillow” (solidificatasi in ambiente
marino) e di ialoclastite, una sabbia vulcanica derivante dalla polverizzazione esplosiva della
lava in condizioni subacquee. L’enorme insieme di questi prodotti finì col seppellire in parte le
scogliere (probabilmente fu questa la causa che impedì il processo di scambio con il magnesio
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per contatto tra una falda d’acqua dolce ed acqua marina salata, preservando taluni massicci
calcarei dal processo di dolomitizzazione), colmando inoltre, parzialmente, i bacini marini.
Proprio in queste profondità marine, in un primo tempo, il magma potè raffreddarsi lentamente,
formando plutoni di rocce intrusive del genere dei gabbri e dei graniti (monzoniti, sieniti).
Queste intrusioni penetrarono nelle rocce preesistenti (dai porfidi del Permiano al più recente
Calcare della Marmolada) determinando in esse metamorfismo termico per contatto, con
conseguente formazione di un’aureola metamorfica di contatto.
Fig. 2.8 – La distribuzione dei massicci calcarei che non hanno subito dolomitizzazione.
Tratta da Bosellini, A. (1996).
2.2.8 LO SMANTELLAMENTO DEGLI EDIFICI VULCANICI
E LA RINASCITA DELLE SCOGLIERE
Una volta cessata l’attività tettonica e vulcanica, i rilievi vulcanici vennero gradualmente erosi
ed i prodotti del processo andarono a colmare parzialmente gli stretti e profondi bacini marini di
interscogliera circostanti, originando il Conglomerato della Marmolada (CM).
Nelle zone invece più distanti dai centri vulcanici si accumularono le arenarie e argille degli
Strati di La Valle (LV).
Alla fine del Ladinico (229-230 Ma fa), la zona dolomitica risultava divisa in due: ad ovest una
vasta regione prevalentemente emersa, ad est una vasta area marina.
L’area continentale emersa frequentemente aveva perso, per erosione, la spessa copertura di
materiale vulcanico, portando alla luce le piattaforme pre-vulcaniche che iniziavano a subire
fenomeni carsici: si parla di isole rocciose dalle cui coste si staccavano grossi blocchi calcarei
che, rotolando, andavano a finire sul fondo del mare antistante. Qui si mescolavano a fini
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sedimenti rossi o gialli creando, in seguito a cementazione, megabrecce calcaree, oggi chiamate
Calcari di Cipit.
2.2.9 LE SCOGLIERE POST-VULCANICHE
Tra la fine del Ladinico e l’inizio del Carnico, tutta l’area dolomitica risultava essere un mare
tropicale tranquillo con condizioni ideali per lo sviluppo di nuove scogliere e piattaforme
carbonatiche evolutesi solo per progradazione laterale in quanto, mancando o quasi la
subsidenza, non c’era spazio per l’aggradazione (Dolomia Cassiana, DC).
Allo stesso tempo gli ultimi e più fini prodotti dell’erosione dei materiali vulcanici, assieme a
particelle calcaree provenienti dalle nuove piattaforme, andavano accumulandosi sui fondali più
profondi, costituendo la Formazione di S. Cassiano (SC) (arenarie fini, marne grigie, strati
calcarei giallastri).
Fig. 2.9 – I modelli teorici di sviluppo delle scogliere pre e post-vulcaniche. Tratta da Bosellini, A. (1996).
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2.2.10 IL LIVELLAMENTO TOPOGRAFICO ALLA FINE DEL CARNICO
All’inizio del Carnico superiore vaste emersioni, prodotte da estesi sollevamenti nelle aree
meridionali (pianura veneta), bloccarono l’evoluzione delle piattaforme carniche. Solo nella
parte dolomitica orientale resistettero alcuni bacini poco profondi, che però vennero presto
colmati da fanghi carbonatici (Dolomia di Dürrenstein, DD).
Alla fine del Carnico (221-222 Ma fa) l’area dolomitica ridiventò una piatta zona costiera sulla
quale si depositò la Formazione di Raibl (dal nome di una miniera nei pressi di Tarvisio, R)
caratterizzata da vivacissimi colori rossi, verdastri e bianchi (calcari, marne, argille, arenarie,
conglomerati, con qualche livello di dolomia e gesso).
2.2.11 LA DOLOMIA PRINCIPALE
le piane tidali del Norico
All’inizio del Norico (220 Ma fa), una nuova trasgressione marina trasformò la piana costiera in
una piana tidale. In queste condizioni, e grazie alla subsidenza, per circa 10 Ma si formò la
successione stratificata della Dolomia Principale (DP): mille metri di rocce tidali, depositatesi
al pelo dell’acqua o poco sotto, in bancate omogenee e massicce spesse qualche metro alternate a
livelli di dolomia finemente straterellata (Tre Cime di Lavaredo, Sorapiss, Cristallo, Antelao,
Pelmo, Civetta).
Alla fine del Triassico (205-210 Ma fa), le condizioni ambientali della regione mediterranea
cambiarono sostanzialmente e la zona dolomitica divenne un’area marina tropicale poco
profonda ma completamente sommersa (“Piattaforma di Trento”) nella quale si depositarono
prima, nel Retico, il Calcare di Dachstein (dal nome di una montagna austriaca, CD) e poi, nel
Giurassico (205 Ma fa), i Calcari Grigi (CG).
Nel Giurassico medio-superiore (170-140 Ma fa) la “Piattaforma di Trento” cominciò a
sprofondare diventando un plateau oceanico. In questo ambiente, al di sopra dei Calcari Grigi, si
depositarono i calcari rossi nodulari della formazione dell’Ammonitico Rosso (AR).
Nel Cretaceo (140-65 Ma fa) andarono a depositarsi, in un ambiente di mare profondo, le rocce
più giovani delle Dolomiti: le Marne del Puez (MP) e della Formazione di Antruilles (dal
nome di una località vicina a Cortina, FA) (marne grigio-verdastre o rossastre).
Dopo il Cretaceo, nell’era terziaria e fino all’epoca oligocenica, continuarono ad accumularsi
materiali per altri 40 Ma, migliaia di metri di rocce che oggi non esistono più perché erose
durante il sollevamento della catena alpina. Le Alpi sono il risultato del progressivo
avvicinamento e della successiva collisione tra la parte settentrionale della Placca Apula (o
Adriatica o Promontorio Africano), con il continente europeo e sono costituite in larga parte da
rocce appartenenti ai loro margini. L’innalzamento dolomitico iniziò in particolare nell’Eocene
(40-50 Ma fa), ma la deformazione vera e propria iniziò negli ultimi 15-20 Ma, mentre la
geomorfologia attuale, così straordinaria e tipica, riconosciuta in tutto il mondo, si deve ai
processi erosivi degli ultimi 2 Ma (che contarono il succedersi di ben quattro glaciazioni) e nello
specifico degli ultimi 10 mila anni con la conclusione dell’ultima glaciazione, quella di Würm.
Tutto ciò ha lasciato in dono un inestimabile patrimonio di guglie, picchi, pareti dai colori
straordinari, immerse in un contesto naturale tra i più vari, complessi ed invidiati al mondo.
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2.3 L’ESCURSIONE IN CAMPAGNA
2.3.1 INTRODUZIONE ALL’AREA DI PASSO VALLES
Fig. 2.10 – Il Passo Valles. Stralcio di carta Tabacco 1:25.000.
Il Passo Valles (2031 m s.l.m.), situato, dal versante veneto, sulla testata della valle omonima
percorsa dal torrente omonimo, è un importante valico che mette in comunicazione diretta le
province di Belluno (comune di Falcade) e Trento (comune di Tonadico). L’area (attraversata da
un’importante faglia disposta in direzione est-ovest), che unisce i bacini iniziali del torrente
Travignolo e del torrente Biois, a prima vista sembra aver poco a che fare con gli splendidi
paesaggi dolomitici caratterizzati da imponenti pareti e guglie di dolomia rosata. Tuttavia si è
ampiamente fatto notare come le Dolomiti costituiscano un ambiente quanto mai eterogeneo, e
questo ne è un esempio. Infatti, da Passo Valles, a settentrione la visuale è dominata da un
paesaggio omogeneo e monotono, ricco di prati, pascoli e detriti di versante, tutti prodotti di
processi erosivi, con rilievi a forma di panettone della formazione geologica dei porfidi
vulcanici, segnati da fratture e faglie (le quali spiegano come la formazione più antica, quella dei
porfidi appunto, si ritrovi così elevata rispetto a tutta l’area circostante (M.Pradazzo, Col
Margherita). A nord-ovest il paesaggio non cambia, con il complesso vulcanico atesino sempre a
porfidi (Iuribrutto, Cima Bocche). (Fig. 2.11)
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Fig. 2.11 – Foto del complesso vulcanico atesino dello Iuribrutto (al centro) e di Cima Bocche (a sinistra).
A sud del valico, dove ancora l’ambiente è caratterizzato da prati, pascoli, macereti e formazioni
calanchiformi e doliniformi, svetta Cima Valles o Venegia (2305 m s.l.m.), rilievo composto
nella parte inferiore dalla Formazione a Bellerophon e in quella sommitale dalle rocce stratificate
della Formazione di Werfen con disposizione a reggipoggio. (Fig. 2.12 e 2.13)
Fig. 2.12 – Foto di Cima Valles o Venegia.
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Fig. 2.13 – Semplice illustrazione di Cima Valles o Venegia: da notare la presenza di un thrust, cioè una
faglia a basso angolo di inclinazione rispetto ad un piano orizzontale. La cima è stata trascinata verso
SSE come indicato dalla freccia. Gli strati in prossimità della faglia si sono piegati di conseguenza.
Tratta dalla cartellonistica in loco a Passo Valles.
A sud-ovest lo sguardo spazia lungo la Val Travignolo verso la Foresta di Paneveggio; a sud-est
domina la Cima della Venegiota.
2.3.2 ANALISI LITOLOGICA
Fig. 2.14 – Il sentiero CAI 751, anche Alta Via delle Dolomiti no 2. Stralcio di carta Tabacco 1:25.000.
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Fig. 2.15 – Rilevamenti geologici effettuati lungo il sentiero CAI 751. Montaggio di stralci di carte tecniche
regionali a scala 1:5.000 e 1:10.000.
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